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Archivio Piccola Rassegna 16-31 Luglio 2007

 

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ARCHIVIO – 16/31 Luglio 2007

 

31-7-2007

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21-7-2007

20-7-2007

19-7-2007

18-7-2007

17-7-2007

16-7-2007


INDICE 31-7-2007

 

+ +  Europa 31-7-2007 USA, scoppia la bolla immobiliare. La nuova frontiera? Le case low-cost 1

+ + Il Messaggero (Abruzzo) 31-7-2007 Aumentano i mutui e la richiesta dei piccoli appartamenti, mentre i prezzi delle case in città sono diminuiti del 6 per cento. Antonio Di Muzio  2

+ La Nuova Sardegna 30-7-2007 La Sir, l’Imi e la storia di miliardi Giacomo Mameli 2

+ Aprileonline.it 30-7-2007 Sicilia, ricompare l'opposizione? Agostino Spataro, 4

L’Unità 31-7-2007 Passerotto, non andare via Marco Travaglio  5

La Repubblica 31-7-2007 Telecom, la grande truffa fiscale scatta una multa da 1,6 miliardi Le Entrate: "Sequestriamo i beni di Gnutti, Hopa e complici" Per 4 anni l'amministrazione finanziaria ha "graziato" la Bell. Chi è intervenuto? Nel marzo 2003 accertamenti fiscali danno esito negativo Chi li esegue è oggi al centro della partita tra Visco e il geneale Speciale. di CARLO BONINI 6

Europa 31-7-2007 La “rupture” di Sarko e la Bce  SANDRO GOZI 9

Il Riformista 31-7-2007 DIRITTI CIVILI Se il Parlamento è assente la giustizia supplisce  10

L’Unità 31-7-2007 Tagli alla politica, andare oltre i primi passi Vittorio Emiliani 11

La Gazzetta di Mantova 31-7-2007 Porto Mantovano, lo spreco di denaro pubblico per un giornalino che non informa  12

L’Unità 31-7-2007 Fondi Fininvest, il "pentito" e il buco nero della fondazione Il perito Giuffrida: dal '78 in poi operazioni ricostruibili. La procura pronta a mettere nel mirino i tre anni precedenti di Marzio Tristano  13

La Gazzetta del Sud 31-7-2007 Ancora disattesi i diritti del malato nell'Europa del terzo millennio Crisostomo Lo Presti 13

Il Corriere delle Alpi 31-7-2007 Tra puttanieri e quaqquaraqua'. Mino Fuccillo  14

Il Tirreno 31-7-2007 Il progetto del Partito Democratico nacque a Cecina a fine Ottocento Ilio Nencini. 15

 


++  Europa 31-7-2007 USA, scoppia la bolla immobiliare. La nuova frontiera? Le case low-cost

 

Negli Stati uniti è scoppiata la bolla immobiliare: i prezzi delle case sono in caduta e le famiglie americane, che da decenni investono i loro risparmi nel mercato degli immobili, temono di perdere gran parte del loro patrimonio. “E’ svanita ogni speranza che l’abbassamento dei prezzi delle case possa essere contenuto, anzi questa tendenza del mercato immobiliare sta contagiando altri beni di consumo come le automobili” afferma il New York Times. Secondo il quotidiano di New York, la Federal Riserve (FED), la banca centrale degli Stati Uniti, e il Ministero del Tesoro non riescono a gestire l’emergenza.

“Infatti anche se la FED abbassasse i tassi di interesse ci sarebbe bisogno della cooperazione a livello internazionale con altre banche, altrimenti il dollaro sarebbe pericolosamente danneggiato e l’inflazione schizzerebbe alle stelle. Ma l’amministrazione Bush ha completamente trascurato la cooperazione finanziaria internazionale”.

 

Secondo il Seattle Post-Intelligencer “la crisi del mercato immobiliare corrisponde in realtà ad un a crisi del sistema creditizio. Gli Stati uniti sono un paese che ha preso in prestito soldi a tutti i livelli: le famiglie si sono indebitate, ma anche le aziende e il governo. L’unica maniera per calmierare questa situazione è quella di accettare che i tassi dell’inflazione siano più alti.”

 

Il Washington Post si preoccupa invece dei milioni di statunitensi che non possono permettersi una casa. “ Ci sono nove milioni di famiglie che hanno entrate troppo basse per permettersi un affitto e solo sei milioni di case che hanno dei prezzi d’affitto abbordabili. La Camera dei rappresentanti ha votato da poco un progetto di legge per aiutare le famiglie bisognose a pagare l’affitto e ora sta lavorando a una legge che prevede la costruzione di più case a basso costo. L’obbiettivo è quello di costruire 1,5 milioni di nuove case nei prossimi dieci anni”.

Anche a Los Angeles “ il Comune ha approvato la costruzione di nuove unità abitative a basso costo” scrive il Los Angeles Times.


+ + Il Messaggero (Abruzzo) 31-7-2007 Aumentano i mutui e la richiesta dei piccoli appartamenti, mentre i prezzi delle case in città sono diminuiti del 6 per cento. Antonio Di Muzio

 

Questo in sintesi l'andamento del mercato immobiliare urbano del primo semestre, che sta subendo in questi mesi una sorta di stallo. I dati sono stati forniti dalla Federazione italiana agenti immobiliari professionali. Per quanto riguarda i numeri, i prezzi degli appartamenti nel centro storico sono arrivati a 3.500 euro al metro quadro per le case nuove o ristrutturate (2.500 per le case in buono stato; 2 mila per quelle da ristrutturare). "Anche se c'è poca disponibilità ed i costi sono elevati - ha detto Sergio Adriani, presidente provinciale degli agenti immobiliari - i prezzi tendono a salire, pure se solitamente c'è l'handicap del garage". In generale comunque il confronto tra il primo semestre 2007 e il secondo del 2006 vede un aumento del 20% dell'offerta, stabile il numero delle transazioni ed una diminuzione del 6% dei prezzi. Per i mutui, invece, c'è un aumento vertiginoso (80% per una media di 25 anni). "C'è crisi economica - ha aggiunto Adriani - e l'aumento dell'utilizzo dei mutui sta a confermare questa tendenza. La gente vuole capitalizzare, gli affitti sono alti ed i soldi non ci sono. Allora ci si rivolge al mutuo anche per importi superiori al costo della casa". Per le zone, quelle più ambite sono o Pettino (periferia) o località Sant'Antonio (media periferia) anche se il mercato inizia ad essere saturo: tante offerte e pochi acquisti. Sulla tipologia dell'immobile richiesto va alla grande la piccola abitazione con meno di 60 metri quadri (50%); segue la media abitazione dai 60 ai 120mq (35%) e la grande oltre i 120 mq (15%) "Ci sono sempre più single o coppie senza figli - ha concluso Adriani - ed allora il grande appartamento oltre i 100 metri quadri non è più appetibile come accadeva fino a 15-20 anni fa".


+ La Nuova Sardegna 30-7-2007 La Sir, l’Imi e la storia di miliardi Giacomo Mameli

 

 L’accordo tra Intesa-Sanpaolo ed eredi Rovelli per la restituzione di una parte del maltolto

MILANO. Dopo 25 anni si conclude la rocambolesca vicenda che ha visto come protagonisti, accanto agli uomini e alle donne delle due fazioni, i mille miliardi di lire - o quasi - che nel 1994, intorno alla metà di questa storia, l’Imi fu costretto a versare agli eredi di Nino Rovelli, fino a qualche anno prima padrone della Sir, a titolo di risarcimento. Quella montagna di soldi sparì immediatemente in un labirinto di conti correnti e paradisi fiscali ricostruiti solo da poco dalla Procura di Monza. Ma la sentenza che impose quel pagamento è stata da poco riconosciuta illegittima dalla Cassazione perché frutto di quella corruzione per la quale sono stati condannati Cesare Previti, allora avvocato della famiglia Rovelli, e il giudice Vittorio Metta, estensore della sentenza che favorì la famiglia dell’ex padrone della Sir. Nei giorni scorsi Intesa SanPaolo, che nel frattempo ha assorbito l’Imi, ha raggiunto un accordo con gli eredi Rovelli che chiude quella vicenda: la famiglia Rovelli verserà 200 milioni, oltre a cedere i sostanzioai crediti vantati da Primarosa Battistella, vedova Rovelli, verso l’amministrazione finanziaria, collegati all’imposta di successione sui famosi mille miliardi.

E dire che dietro quel colossale imbroglio c’era il nobilissimo intento di promuovere il «Piano di rinascita economica e sociale della Sardegna». Che doveva essere liberata dal «brigantaggio», dalla vita scandita dal suono delle campane a morto nei paesi dello scacchiere del «malessere» in Barbagia, dal rosario rosso sangue dei sequestri di persona da Capo Pecora a Palau, da tassi ancora elevati di analfabetismo, da una disoccupazione che superava il 25 per cento dei sardi in grado di lavorare. La busta paga arrivava con le rimesse degli emigrati. Fuggiti a centinaia di migliaia.

Spuntò così la petrolchimica, quella delle cattedrali nel deserto della Media valle del Tirso, davanti al Golfo dell’Asinara al Nord e al Golfo degli Angeli al Sud. Con l’industria la Sardegna cambiò pelle. Ma quasi nessuno avrebbe immaginato che «la virtù dei benefattori» si sarebbe presto trasformata in vizio da inferno dantesco che - scrivono i giudici - «non ha l’uguale nella storia d’Italia e forse del mondo» alimentata da una combine di toghe sporche e untuose con epicentro politico-giudiziario romano. Questa torbida telenovela industrial-finanziaria con logistica nell’Isola dei Nuraghi è giunta al suo epilogo con una pur piccola tempesta che giunge dopo la Grande Quiete: gli eredi del petroliere morto a Zurigo nel 1990 (la vedova di Nino Rovelli Battistella Primarosa, i figli Felice, Oscar, Anna Rita e Ursula Angela) dovranno restituire 200 milioni di euro per mettere la parola fine alla vicenda Imi-Sir sviluppatasi - hanno scritto i magistrati - con una «gigantesca opera di corruzione».

Previti vince causa  Di soldi i Rovelli-boys ne avevano avuto molti ma molti di più. Nel 1990 la magnanima Corte d’Appello di Roma presieduta da Vittorio Metta (lo stesso del lodo Mondadori) aveva deciso che l’Imi (la grande merchant bank ora passata sotto il cappello di Intesa-SanPaolo) avrebbe dovuto versare 972 miliardi di vecchie lire agli eredi dell’inventore della petrolchimica del Meridione d’Italia. Trecento miliardi furono pagati come tassa di successione. Il resto finì allegramente in tasche rovelliane. E fu festa grande. Perché aveva «vinto causa» l’onorevole avvocato Cesare Previti, candido e accanito difensore dei Rovelli. Prima era successo di tutto e di più. Erano stati infangati i vertici della Banca d’Italia con gli incolpevoli Paolo Baffi e Mario Sarcinelli, c’era stata la manomissione di prove e di processi, sono spuntate tante norme ad hoc, con falsi in bilancio diventati giaculatorie francescane e rogatorie ad personam, con leggi Cirami. Cirielli, eccetera, eccetera. E chi più ne ha più ne metta. Con una maggioranza prona in Parlamento che diceva sì a pratiche di evidente malaffare.

I paradisi fiscali  Quei soldi avuti dall’Imi come «risarcimento» di chissà che cosa erano finiti nell’universo mondo dei paradisi fiscali e di conti correnti fantasma. Non è stato facile scovarli. Magistrati segugi hanno dovuto lavorare sodo, dalla Procura di Monza li hanno ricercati per tredici ininterrotti anni, dal Lussemburgo a Zurigo, da Georgetown delle isole Cayman all’ex Honduras britannico di Belize, in Costarica e negli Stati Uniti. Finalmente il tesoro-tesoretto è stato scovato, un po’ qua e un po’ là. Gli eredi dell’impero Rovelli capiscono insomma che i giudici hanno trovato tana, che la pacchia del nascondino è finita. Eccoli dirigersi verso gli stessi caveaux da dove quella montagna di soldi era partita. Per restituire parte del maltolto. Per evitare la beffa e ridare dignità alla legge.

Al centro di questi traffici illeciti c’era proprio la Sardegna. Quella che aspirava a una vita anche con l’industria, come succedeva in tutte le altre parti del mondo occidentale. Perché era in Sardegna - oltre che nella piana calabrese di Sant’Eufemia di Lamezia Terme - che il Clark Gable della Brianza (così era chiamato Rovelli per la straordinaria somiglianza col protagonista di Via col Vento) aveva deciso di «portare il lavoro». In Calabria aveva gli stessi sponsor che avrebbe trovato in Sardegna. Basta guardare vecchie foto d’archivio e incontrare i visi serafici di Giulio Andreotti per l’ex Democrazia Cristiana o di Giacomo Mancini per il Partito Socialista. Il primo progetto prevedeva spese in impianti pari a 45 miliardi. Alla fine Rovelli e la sua Sir, solo in Calabria, ne portò a casa 230. Un po’ più della metà del Piano di Rinascita della Sardegna.

Petrolchimico e unzioni  Da noi le cose andarono perfino peggio. Con il consenso pressoché generale. Pietro Melis, professore di latino e greco con radici nel Supramonte di Oliena, sardista della scuola di Camillo Bellieni, straconvinto della necessità di «portare l’industria anche nell’Isola dei pastori, dei commercianti e dell’emigrazione di massa», assessore regionale proprio all’Industria a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, aveva detto una volta che «pochi ringhiavano contro la petrolchimica. Perché il petrolio è un olio e Dio sa quanto unge. E quanto certa gente ami essere unta».

Sì. Di unzioni petrolifere ce n’erano state a non finire anche in Sardegna. Per catturare il consenso popolare, intanto. Fu una stagione d’oro per lo sport, per il Cagliari rossoblu in serie A con Gigi Riva, Ricky Albertosi e Ricciotti Greatti, per il Brill che incantava il Palasport di Monte Mixi con John Sutter. Consenso da catturare con Sua Maestà l’Informazione. Intanto con l’acquisto dei due quotidiani dell’Isola, prima La Nuova Sardegna e qualche anno dopo l’Unione Sarda. Giornali scritti non con l’inchiostro delle rotative ma col petrolio. Giornalisti che portavano nelle redazioni «la voce del padrone». E incenso ai servitori politici di turno. Un presidente della Regione diceva no a un nuovo impianto da far sorgere nella piana del Sologo e nell’altipiano sotto la colonia penale di Isili? Ebbene. Dàgli all’untore. Fino alle dimissioni di quel presidente e alla sua sostituzione con uno più accondiscendente. Con crisi di giunta e cambio di leader anche ogni otto mesi. Avveniva soprattutto nelle correnti della Dc e nel Psi. E anche nel Pci dove esistevano dei consiglieri regionali «ad personam» di Rovelli con i quali il Gran Capo e i politici contrattavano anche i nomi dei direttori dei giornali. Ma soprattutto con carriere politiche interamente costruite insieme alle ciminiere. Se arriva in Sardegna Flaminio Piccoli, segretario della potentissima Dc, e da un balcone di Villagrande annuncia il suo «pacchetto» di 12 mila posti di lavoro ad Ottana, ecco i giornali far da megafono. E mai un dubbio. E mai un-rigo-uno per il dissenso (contenuto), me neanche per il dubbio. E il politico ritratto in foto col Segretario o a lui vicino sul palco ottiene preferenze a profusione. Nel nome della democrazia. E del lavoro da creare.

Progetti e miliardi  Per costruire strade attorno a Portotorres e Macchiareddu, attorno ad Ottana, per ampliare porti, per realizzare pipeline tra Santa Gilla e Sarroch. Non solo. Non appena Ottana comincia a produrre - e siamo agli inizi degli anni ’70 - la crisi della chimica è già evidente. I manager - quelli statali dell’Eni e quelli privati della Sir - sono già «i signori del declino», non capiscono come gira il mondo industriale, non comprendono come sia necessaria la ricerca scientifica, l’invenzione di nuovi materiali. Qualcuno invoca la chimica fine. Bollato come visionario. Qualche altro esalta la farmaceutica. Niente. Solo polietilene, solo acido acrilico, solo fibre di scadente qualità. C’è un assessore all’Industria che confonde le fibre poliestere col polistirolo. «E che differenza c’è?», domanda smarrito l’assessore della prima Autonomia all’allora ministro dell’Industria Romano Prodi. Politici incapaci di analizzare la metamorfosi epocale che gli sta avvenendo sotto i piedi. E manager piccoli, piccolini, autentici nientini nell’industria in gran mutamento. Vivono solo di raffinazione e di virgin nafta. Non si rendono conto di quanto sta avvenendo in Cina, in Giappone, a Taiwan, a Singapore, negli stessi mercati orientali e asiatici. Bussano ancora a quattrini. Propongono addirittura di raddoppiare gli impianti. Con Ottana 1 in crisi si propone la Siron 2, altre centinaia di miliardi buttati al vento. E se c’è un sindacalista che definisce «follìa il raddoppio degli impianti» ecco che sorgono i puri (anche nel giornalismo) che si scagliano contro «il sindacato che è contro il progresso e il lavoro». E le giunte regionali prone, pronte a dire di sì pur di ingrossare il portafogli della potentissima Sir.

Così facendo si arriva al Grande Crack  Siamo al 1978. Sono inutili le conferenze delle Partecipazioni Statali, sono estenuanti le notti di trattative al ministero (allora) del Tesoro di via XX Settembre a Roma, col ministro Tommaso Morlino, col povero Governatore Paolo Baffi che dice no ai salvataggi proposti dalle banche, dall’Imi in primo luogo. Cambiano le sigle. La politica industriale italiana è nel pallone. Anzi, non c’è proprio. L’Eni diventa Enoxy, la Montedison barcolla, la Montefibre va a pallino, la Snia ha già chiuso baracche e burattini. Niente ricerca scientifica e perdita dell’industria di base, acciaierie comprese. La quinta potenza industriale all’interno del G7 merita la retrocessione. E in Sardegna? I posti di lavoro calano a vista d’occhio. L’unica eccezione positiva è la Saras che non licenzia e adegua gli impianti alle nuove tecnologie. Ma non vengono rinnovati gli impianti di Stato. Ottana - modello per alcuni anni di tecnologia - è sinonimo di ferrovecchio, Portotorres va in ruggine, Macchiareddu pure, Villacidro lascerà lo spazio per grandi (anche troppo) centri commerciali. A Isili? Ciminiere sì, ma come riparo per gatti selvatici, pipistrelli e topini di campagna.

Ecco  Tutto questi imbrogli, queste colossali prese in giro di operai e amministratori locali, non erano da addebitare alle incapacità dirigenziali dei vertici Sir. Settecento miliardi di crediti vengono convertiti in azioni nel 1979, le banche si prendono la Sir. Gli eredi Rovelli si lamentano. Accusano l’Imi di non rispettare i patti. Vogliono essere «risarciti» loro, mica le migliaia di lavoratori rispediti a casa. Per questo piano trovano le alleanze giuste. Nelle aule di giustizia e nelle aule parlamentari. Con un avvocato, Cesare Previti, ministro della Difesa nel governo guidato da Silvio Berlusconi. Con un deputato, Cesare Previti, che «ringhiava» davanti alle contestazioni con carta-che-canta del pubblico ministero Ilda Boccassini. Con un ex ministro&soci - hanno scritto i giudici in 500 pagine di motivazione di sentenza - che volevano «conseguire nel modo più facile, ma anche tra i più sordidi, quella ricchezza materiale evidentemente mai sufficiente».

Alcune cifre, per finire  Solo nel 1982 Rovelli perde 1400 miliardi, la cordata delle banche «salvatrici» mille, lo Stato quattromila. In tutto 6.400 miliardi. La Sardegna perde contemporaneamente più di seimila buste paga nella chimica. Sì, giustizia sarà anche stata fatta. Consolazione magra pensare che davanti a 6.400 miliardi di vecchie lire oggi uno voglia chiudere la partita restituendone appena 400, pari cioè ai 200 milioni di euro con i quali si è raggiunto l’accordo fra i Rovelli e l’ex Imi oggi Intesa-San Paolo. Forse è necessario un altro piano di Rinascita: per sconfiggere un altro tipo di «brigantaggio».

(30 luglio 2007)


+ Aprileonline.it 30-7-2007 Sicilia, ricompare l'opposizione? Agostino Spataro, 

 

Regionamenti      Ieri in commissione Affari Istituzionali, nella discussione sulla legge elettorale per gli enti locali, deputati del centrosinistra e di An hanno deciso di mandare avanti la riforma, approvando la riduzione numerica e delle relative spese degli organismi elettivi

All'Ars è ricomparsa l'opposizione. Finalmente! Si potrebbe dire. Vedremo se si tratta di una buriana di mezza estate o di un nuovo inizio. In ogni caso, trattasi di una buona notizia, dal piglio nuovo, dopo anni di quieta routine parlamentare, di consociativismo strisciante e/o palese che hanno consentito al centrodestra siciliano di fare e disfare le cose a suo piacimento e di consolidare il suo enorme consenso elettorale, condannando la Sicilia ad un inesorabile declino.
E' accaduto l'altro ieri, in commissione Affari Istituzionali nella discussione sulla legge elettorale per gli enti locali: deputati del centrosinistra e di An hanno deciso di mandare avanti la riforma, approvando la riduzione numerica e delle relative spese degli organismi elettivi degli enti locali.
Per inciso, riteniamo più corretta questa definizione e non quella ambigua di "costi della politica" che si presta alla subdola campagna contro "la politica" genericamente intesa, scatenata da forze potenti, economiche e mediatiche, che non sappiamo dove voglia andare a parare.

Ovviamente, non si vuol negare l'esigenza di un contenimento delle spese e dell'eliminazione degli sprechi che si registrano nelle istituzioni elettive, ma anche in tanti altri settori della vita pubblica che certi Catoni ignorano intenzionalmente. L'importante è che vi sia un segnale di sana reazione da parte dello stesso corpo (istituzionale) interessato. E mi pare che, dopo Roma, qualcosa cominci a muoversi anche a Palermo, proprio grazie al voto della prima commissione che ha fatto esplodere le contraddizioni all'interno del blocco di potere dominante alla Regione.
Per altro, c'è da rilevare che, in questo caso, l'opposizione non ha espresso un no di principio, ma piuttosto un sì ad un'ipotesi riformatrice largamente condivisa che i maggiorenti del centrodestra hanno abbandonato a causa di pressioni ricattatorie provenienti da varie parti della maggioranza. A questo punto, è obbligatorio proseguire su questa linea, senza dimenticare che l'opinione pubblica attende anche un serio sforzo di autoriforma che riequilibri gli appannaggi e i meccanismi di gestione dell'Ars, del governo e degli enti regionali in sintonia con quanto si sta facendo a livello nazionale.
Verificheremo nel prosieguo dell'andamento di questo travagliato disegno di legge.

Tuttavia, ci è parso di vedere un'opposizione che finalmente affonda il suo artiglio e scompiglia inconfessabili trame di potere, quasi che volesse segnare un discrimine fra passato e presente. E futuro.
Se una tale condotta dovesse essere sviluppato in futuro, sicuramente se ne gioverebbe la democrazia dell'alternanza e l'opposizione di centrosinistra ri-acquisterebbe credibilità e un ruolo alternativo visibile, capace di delineare una nuova prospettiva politica per la Sicilia.
Ovviamente, i conti non si possono fare senza l'oste il quale- come già si preannuncia- farà di tutto per vanificare questa importante decisione. Usando tutti i mezzi disponibili, appellandosi alla compattezza del centrodestra, minacciando ritorsioni a destra e a manca, soprattutto ai danni del partito di Fini, sollecitando le proteste di sindaci e presidenti di provincia e di circoscrizioni e le rispettive rappresentanze consiliari.

Si apre, dunque, una sfida difficile. Per vincerla è necessario resistere, ma soprattutto contrattaccare portando il confronto fuori dell'Ars e delle logiche compromissorie, fra la gente e negli stessi organismi degli enti locali, e in tutti quei settori della società siciliana che ancora sperano nel cambiamento.
L'occasione sembra propizia poiché, in contemporanea col voto sulla legge elettorale, sono stati resi noti i dati allarmanti di un'indagine della Corte dei conti secondo cui un terzo dei comuni e più della metà delle province siciliane hanno oltrepassato (taluni di molto) i limiti della spesa prevista nei bilanci adottati in ossequio del cosiddetto "patto di stabilità".
Non sarà reato trasbordare, visto che tutto è stato sanato da una norma della finanziaria, ma sicuramente è un grave errore politico, soprattutto in tempi come quelli che stiamo vivendo.

Fra i tanti esiti negativi, colpisce il risultato della provincia di Catania, retta saldamente dall'eterno scontento e alleato elettorale della Lega di Bossi, on. Raffaele Lombardo, dove la previsione di
spesa si è moltiplicata per 41, passando da 17 a 701 milioni di euro.
Un risultato a dir poco catastrofico che chiama in causa la responsabilità politica di Lombardo e della sua giunta di centrodestra, ma anche la capacità reattiva dell'opposizione di centro sinistra della provincia etnea che, pur esprimendo prestigiose personalità della politica nazionale, sembra rassegnata a subire una gestione dispendiosa dei suoi più importanti enti locali. E' superfluo ricordare che, sovente, l'incremento della spesa è finalizzato all'acquisizione del consenso e quindi ad eternare il sistema di potere dominante che poi va a pesare anche sugli equilibri regionali e nazionali.

Eppure, si parla sempre solo di Palermo. Di Catania non si sa quasi nulla. Strano. In Italia e nel mondo si sa tutto delle eruzioni dell'Etna, ma nulla sanno i cittadini siciliani, e forse anche
catanesi, di cosa stia facendo l'opposizione per controbattere lo strapotere dei vari Lombardo e Scapagnini.
O sono vere le voci, sempre più insistenti, secondo le quali esiste un feeling fra Lombardo e il nascente Partito democratico?


L’Unità 31-7-2007 Passerotto, non andare via Marco Travaglio

 

Oggi la Camera dovrebbe votare pro o contro la proposta della giunta per le elezioni di mettere alla porta l'onorevole pregiudicato e interdetto Cesare Previti. Il tutto con 14 mesi esatti di ritardo, visto che la sentenza della Cassazione del 4 maggio 2006 aveva già stabilito irrevocabilmente il da farsi. Per 420 giorni il deputato abusivo ha percepito indebitamente lo stipendio (13-14 mila euro al mese netti) e maturato i diritti alla pensione a spese dei contribuenti. Ed è riuscito ad affermare il principio cardine della Repubblica dei Mandarini, largamente e trasversalmente condiviso: quando c'è di mezzo un membro della casta, o della cosca, anche le sentenze definitive diventano provvisorie. Trattabili. Chiunque vinca le elezioni, la legge non è uguale per tutti, perché in Parlamento vige il diritto d'asilo. Giunti a questo punto, è vivamente sconsigliabile votare sì alla cacciata di Previti dal Parlamento. Forse è meglio che resti dov'è, a imperitura memoria. Gli terranno compagnia altri 24 onorevoli pregiudicati, più uno che, per meglio difendere la famiglia e combattere la droga, organizzava coca-party con due squillo a botta in un grand hotel (ieri s'è dimesso dall'Udc, ma non dal Parlamento), e un altro che, per arrivare prima in uno studio tv, usò un'ambulanza come taxi (s'era dimesso dal Parlamento, ma poi ci ha ripensato e ha traslocato da An a Forza Italia: sempre in ambulanza, si presume). La loro presenza a Montecitorio servirà ai Mandarini per rivendicare lo status di legibus soluti e ai cittadini per rassegnarsi a quello di sudditi. E poi, come rivela L'espresso, Previti ha già mostrato ampi segni di ravvedimento: ora non corrompe più i giudici, ma ­ affidato ai servizi sociali grazie alla legge ex Cirielli che gli ha regalato i domiciliari e all'indulto extralarge che gli ha restituito la libertà - rieduca tossicodipendenti nella comunità Ceis di don Mario Picchi. In particolare sovrintende al "Programma serale", che prevede "colloqui individuali e di gruppo per strappare dalla cocaina, dal gioco d'azzardo e da altre azioni compulsive (come lo shopping) professionisti, dirigenti di aziende e giovani che hanno deciso di dare una sterzata alle loro esistenze". Salvo i due mesi che gli tocca passare di nuovo in casa, a causa della seconda condanna definitiva per aver comprato la sentenza Mondadori (anche lui aveva problemi di shopping compulsivo, ma nel ramo giudici), tornerà presto all'aria aperta dalle 7 alle 23(salvo qualche permesso premio per ritemprarsi nella villa all' Argentario, dove un tempo veleggiava sul mitico "Barbarossa" nelle acque dell'allusiva Cala Galera). Per dedicarsi, tre giorni a settimana, ai ragazzi del Ceis: "colloqui collettivi e individuali", precisa L'espresso, nei quali "nessuno lo ha mai rifiutato come consulente". Previti, in particolare, segue "l'evoluzione di due ex tossicodipendenti, due liberi professionisti" entusiasti del loro nuovo rieducatore: "Previti ci ha sorpreso", assicura don Musìo, braccio destro di Picchi: "È aperto, franco, collaborativo, si è guadagnato la stima di tutto lo staff. L'onorevole si sta mettendo in discussione e nei colloqui con i frequentatori offre un grande contributo di pragmatismo". Come ai vecchi tempi, quando smistava compulsivamente, ma pragmaticamente, miliardi su miliardi da un conto svizzero all'altro senza pagare una lira di tasse. Qualche maligno temeva che, vistolo in faccia, i ragazzi ricadessero negli antichi vizi e abbisognassero di una rieducazione supplementare. Invece finora tutto è filato liscio come un bonifico estero su estero. "Il bilancio - aggiunge il sacerdote - è positivo: spero Previti che riversi questa nuova esperienza anche negli ambienti che frequenta". Magari che rieduchi anche Berlusconi e Dell'Utri, peraltro esperti in altri tipi di bilanci, perlopiù falsi. Nel tempo libero, a parte qualche partitella al circolo Canottieri Lazio ("sempre più sporadiche, ma la passione resta nonostante l'età", confida un amico) e "la ginnastica agli attrezzi di cui si è dotato in casa", Cesare "riceve e conversa". Pare che sia un po' in freddo con Pera e Tajani, mentre Silvio e Marcello sono sempre affettuosissimi, e ci mancherebbe altro. Gli onorevoli che oggi hanno in mano il suo destino si mettano una mano sul cuore e una sul portafogli. E ci pensino bene, prima di privare le istituzioni democratiche di un apporto così fondamentale. In fondo, al Parlamento, un educatore di tossici può sempre tornare utile. Uliwood party.


La Repubblica 31-7-2007 Telecom, la grande truffa fiscale scatta una multa da 1,6 miliardi Le Entrate: "Sequestriamo i beni di Gnutti, Hopa e complici"
Per 4 anni l'amministrazione finanziaria ha "graziato" la Bell. Chi è intervenuto? Nel marzo 2003 accertamenti fiscali danno esito negativo Chi li esegue è oggi al centro della partita tra Visco e il geneale Speciale. di CARLO BONINI

 

ROMA - Nell'estate del 2001, la cessione a Marco Tronchetti Provera del pacchetto azionario di controllo di Telecom Italia ha sottratto al Fisco 600 milioni di euro, (1.266 miliardi delle vecchie lire). E per l'amministrazione delle Finanze, è arrivato il tempo che quel denaro rientri nelle casse dell'Erario.
L'Agenzia delle entrate ha notificato un avviso di accertamento fiscale ai soci e agli amministratori pro-tempore della società "Bell", la cassaforte lussemburghese del finanziere bresciano Emilio Gnutti che di Telecom aveva il controllo e attraverso cui ne venne perfezionata la vendita. Sei anni fa, i soci di "Bell" raccolsero dalla transazione plusvalenze esentasse per 2 miliardi di euro (3.500 miliardi delle vecchie lire). Dovranno ora versare 600 milioni di euro a titolo di "maggiore imposta" evasa e 1 miliardo di euro "a titolo di sanzioni". Quell'esenzione non gli spettava, perché Bell era una società italiana a tutti gli effetti, e fu ingiustamente favorita.
"Considerata l'entità del danno erariale, nonché la distrazione del patrimonio sociale di "Bell" - scrive l'Agenzia delle entrate nel provvedimento - si rende opportuna l'iscrizione di ipoteca sui beni dei trasgressori e dei soggetti obbligati in solido, con conseguente sequestro dei loro beni, compresa l'azienda".
Tali misure cautelari dovrebbero essere effettuate anche nei confronti dei soci di Bell. In particolare, di "Hopa spa" e "GP Finanziaria spa" (entrambe controllate da Gnutti ndr.), i maggiori ed effettivi beneficiari della distrazione del patrimonio sociale".
Un miliardo e seicento milioni di euro (tremila miliardi, 292 milioni 371 mila 654 lire, nel computo dell'Agenzia delle Entrate) è un fiume di denaro. Lo 0,1% del Pil del nostro Paese.
Eppure, per quattro anni, l'amministrazione finanziaria che rispondeva al ministro dell'economia Giulio Tremonti ha rinunciato alla sua riscossione. Perché? La risposta è in una storia che, con l'evidenza dei documenti di cui "Repubblica" è in possesso, ricostruisce le mosse di un network di professionisti, dirigenti pubblici, militari della Guardia di Finanza di Milano che intorno a questo tesoro si è mosso, garantendone l'immunità fiscale. Vi si rintracciano significativamente alcuni protagonisti della partita mortale ingaggiata a partire dall'estate del 2006 con il viceministro Vincenzo Visco da un blocco di alti ufficiali della Guardia di Finanza con l'appoggio del centrodestra.

I fatti, dunque.

2001. Tronchetti ha acquistato Telecom comprando da "Bell" il 22,5 per cento delle azioni Olivetti che ne garantiscono il controllo. "Bell" è una holding con sede legale al 73 di Cote d'Eich, Lussemburgo. La controlla "Hopa spa", la finanziaria di Gnutti, la "bicamerale della finanza", in cui siedono tra gli altri il Montepaschi di Siena, Fininvest e l'Unipol di Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti. A quella data, soci di "Bell" sono "Gpp International Sa" (a sua volta controllata per il 100 per cento da Hopa), "Gp finanziaria spa" (dello stesso Gnutti), "Interbanca spa", "Banca Antoniana popolare veneta", Chase Manhattan International, "Oak fund", "Financiere Gazzoni Frascara", "Finstahl", "Tellus srl", "Pietel srl", "Autel srl.", Ettore, Fausto e Tiberio Lonati, "Bc com" e gli stessi "Montepaschi" e "Unipol".
"Bell" non è stata nulla di più che una cassaforte in cui sono rimaste custodite le azioni di controllo Olivetti-Telecom. Esaurita la sua funzione, può essere svuotata e abbandonata. Come documentano i libri societari, nel novembre 2001, con la distribuzione ai soci dei 2 miliardi di euro di plusvalenze Telecom, il patrimonio netto della società scende a poco più di 34 milioni di euro, impiegati per "l'estinzione dei debiti contratti".
Di fatto, è una messa in liquidazione. Di cui ha la sostanza, ma non la forma. Perché, contabilmente, Bell deve continuare ad esistere. E' l'unico modo, infatti, per far rientrare in Italia i capital gain in regime di esenzione fiscale e aggirare le norme che vietano, anche in Lussemburgo, di ridistribuire utili di una società in liquidazione. La mossa soddisfa gli appetiti di tutti. Solleva soprattutto la cortina di fumo in cui Guardia di Finanza prima e Agenzia delle entrate, poi, possano volontariamente smarrirsi. E' ciò che accade di lì a breve.
Il 26 marzo del 2003, a Milano, dodici militari della Guardia di Finanza bussano in via dei Giardini 7, studio legale "Freshfields Bruckhaus Deringer", domicilio fiscale dichiarato dalla "Bell". Appartengono alla "quarta sezione" del "Primo gruppo Verifiche Speciali" del nucleo regionale di polizia tributaria della Lombardia. Devono accertare se i 2 miliardi di euro di plusvalenze della vendita Telecom non siano stati sottratti alla tassazione attraverso una "esterovestizione", come, con termine tecnico, viene definita la fittizia localizzazione all'estero della residenza fiscale di una società che, al contrario, ha di fatto la sua attività e persegue il suo oggetto sociale in Italia. L'accertamento su Bell è l'unica opportunità rimasta al Fisco per ficcare il naso in quella transazione, perché su "Hopa" (che controlla Bell) è sceso il buio del "condono tombale" (2002) cui Gnutti ha immediatamente aderito.
Il lavoro dei finanzieri porta via quattro mesi. In un contesto significativo. Nel 2003, lo spoil-system del centro-destra ha finito di ridisegnare la macchina della lotta all'evasione. Giulio Tremonti, ministro dell'economia, si è liberato del direttore generale dell'Agenzia delle entrate, Massimo Romano, apprezzato civil servant e architetto della riforma fiscale. Al suo posto ha voluto Raffaele Ferrara, un ex ufficiale della Guardia di Finanza legato a doppio filo con Marco Milanese, altro ex ufficiale scoperto da Tremonti a Milano e diventato capo della sua segreteria politica.
Ferrara (legato al direttore del Sismi Nicolò Pollari) arriva al vertice dell'Agenzia delle Entrate dalle Ferrovie del dopo Necci, dove ha lavorato per la società "Metropolis". Esattamente come Marco Di Capua, che diventa direttore dell'Accertamento dell'Agenzia delle Entrate a spese di William Rossi. Come e più di Ferrara, forse, Di Capua conta ancora molto nella Guardia di Finanza. E non solo lì, visto che il fratello, Andrea, altro ex ufficiale, è stato chiamato al Sismi da Nicolò Pollari per dirigere l'ufficio del personale.
Nella sua direzione "Accertamento", Di Capua ha aggregato Graziano Gallo, "dottore commercialista in Milano", cui è affidato l'incarico di responsabile dei "controlli sulle imprese di grandi dimensioni". Anche lui ha vestito l'uniforme della Guardia di Finanza, come il padre: il colonnello Salvatore Gallo, annotato negli elenchi della loggia P2 con tessera numero 933.
Le acque non si sono mosse soltanto a Roma. A Milano, è stato avvicendato il vertice della Guardia di Finanza. Il nuovo comandante del nucleo regionale di polizia tributaria è Stefano Grassi, che ha sin lì lavorato nell'ufficio dell'aiutante di campo del ministro Tremonti. Mentre nuovo comandante regionale è il generale Emilio Spaziante, altro "pollariano" di ferro, già capo dell'intelligence delle Fiamme Gialle, futuro capo di Stato maggiore e vicesegretario del Cesis, motore primo, nell'estate del 2006, dell'affare Visco-Speciale.
Ma torniamo ai nostri dodici finanzieri e alla loro verifica su "Bell". A scorrerne i nomi, ce n'è uno oggi più conosciuto di altri. Guida la squadra. E' il tenente colonnello Virgilio Pomponi. E' arrivato a Milano nel 2002 come "capo delle operazioni" del Nucleo regionale di polizia tributaria, ufficio che risponde direttamente al generale Spaziante, ed è destinato ad assumere presto il comando del nucleo provinciale di polizia tributaria. Soprattutto, è destinato a finire al centro dell'affare Visco-Speciale, perché nella lista degli ufficiali di Milano di cui, nell'estate 2006, verrà chiesto l'avvicendamento. Di Pomponi, alcune cronache diranno che il suo allontanamento da Milano avrebbe prodotto "contraccolpi nelle indagini su Unipol e la lussemburghese Bell, nemmeno valutabili" nella loro gravità. E' un fatto che se ad oggi non è dato sapere quale contributo investigativo personale l'ufficiale abbia dato alle due indagini, sono al contrario documentabili le conclusioni che il primo agosto 2003, rassegna nel "verbale di constatazione" che chiude appunto il primo accertamento su "Bell".
Il Fisco - osserva il tenente colonnello - non ha argomenti, né "evidenze probatorie" per aggredire Bell. Che - scrive - "ad avviso di codesto comando regionale" è e resta una "Societé de partecipation financières" di diritto lussemburghese. La sede della sua amministrazione e l'oggetto della sua attività sociale sono cioè regolarmente radicate in Lussemburgo. Il che la rende soggetta alla locale legislazione fiscale, che prevede l'esenzione sulle plusvalenze ottenute dalla cessione di partecipazioni azionarie. Eppure, sembrano esistere ottime ragioni per sostenere il contrario. Sulla scorta di 193 documenti acquisiti nello studio "Freshfields Bruckhaus Deringer", l'ufficiale dà atto, infatti, che "Bell appare essere sempre stata priva di proprio personale e di propri beni strumentali in Lussemburgo". Che "la maggioranza dei suoi soci ha residenza in Italia". Che lo studio legale "Freshfields Bruckhaus Deringer" di Milano "non si è limitato all'esame delle questioni legali riguardanti la società, ma ha predisposto le assemblee sociali e le riunioni del cda, redigendone ordini del giorno e verbali; ha steso contratti e accordi tra i soci; ha partecipato a riunioni dell'assemblea Olivetti e alla sottoscrizione di atti" ha lavorato ad operazioni cruciali in stretto contatto non con un ufficio in Lussemburgo, ma con un telefono di Brescia: quello della "signora Maurizia Gallia", segretaria di Gnutti.
Dunque? Le ragioni di "Bell" vengono argomentate dall'avvocato Dario Romagnoli e da Claudio Zulli. Non sono due professionisti qualunque. Romagnoli ha diviso il suo studio di diritto tributario ("Vitali-Romagnoli-Piccardi) con Giulio Tremonti fino al giorno in cui non è stato nominato ministro dell'economia. È anche lui un ex ufficiale della Guardia di Finanza ed è stato compagno di corso di Marco Milanese, che di Tremonti è capo della segreteria. Zulli è il commercialista di Gnutti, ma anche lui ha ottimi rapporti con il ministro. Come, nell'estate del 2005, documenta l'intercettazione telefonica di un suo colloquio con Consorte (nei giorni chiave della scalata Bnl, il numero uno di Unipol lo chiama per chiedere un incontro con Tremonti. "Devo ringraziarlo di due o tre cosette e gli devo spiegare un po' di roba perché mi deve dare una mano su cose importanti").
Per il comando regionale della Guardia di Finanza, Romagnoli e Zulli hanno argomenti irresistibili. In una memoria che diventa parte integrante del verbale, i due professionisti scrivono: "Bell non ha, né ha mai avuto residenza fiscale in Italia (...) il consiglio di amministrazione si è sempre riunito in Lussemburgo. L'assemblea dei soci si è sempre riunita all'estero (...) Nessuno dei soci ha mai esercitato il controllo della società (...)". Conclude dunque Pomponi: "Gli elementi raccolti hanno messo in luce, da un lato indici di collegamento diretto di Bell con il territorio dello Stato italiano, dall'altro che l'intera attività di amministrazione/gestione ordinaria e le principali decisioni straordinarie appaiono formalmente essere state poste in essere all'estero. Pertanto, a parere di questo Comando, non si ravvisa un quadro probatorio tale da far ritenere che Bell debba ragionevolmente ritenersi residente in Italia sotto il profilo fiscale".
Il 4 agosto 2003, il caso è chiuso. E, per quel che racconta alla Procura di Milano l'ex numero uno della Banca Popolare, Giampiero Fiorani, l'operazione costa ad Emilio Gnutti 25 milioni di euro. Li versa all'avvocato Romagnoli a titolo di parcella professionale. Uno sproposito, che Romagnoli nega negli importi (l'avvocato ha sempre sostenuto, di aver ricevuto "non più di 5 milioni di euro") e che Fiorani imputa a complessivo saldo del salvataggio fiscale di Bell, aggiungendo che per lui, come per Gnutti, dire studio Romagnoli significava dire Tremonti. Che Fiorani affermi o meno il vero, è un fatto che nel bilancio 2005 di Bell (l'anno, vedremo, è significativo) compare nelle voci a debito un'annotazione per 31 milioni di euro da saldare con Romagnoli e Zulli. Ed è un fatto che, esaurito il capitolo Guardia di Finanza, la pratica soffochi nelle spire dell'Amministrazione civile delle Finanze.
Il verbale di accertamento delle Fiamme Gialle su "Bell" viene trasmesso all'ufficio 1 dell'Agenzia delle Entrate di Milano, dove verrebbe dimenticato se non fosse per la notizia ricevuta il 25 febbraio 2004 dai pm di Milano Mannella e Nocerino che su Bell esiste un'istruttoria per evasione fiscale. Il 16 luglio 2004 - giorno in cui Domenico Siniscalco giura da ministro dell'Economia (Giulio Tremonti di era dimesso il 3) - l'Ufficio 1 di Milano scrive alla Procura: "Non sussistono prove sufficienti per affermare che Bell possa essere considerata fiscalmente residente in Italia. Pertanto, salvo che a seguito di più incisive attività istruttorie di codesta procura, non emergano elementi tali da condurre a soluzioni diverse, lo scrivente ufficio provvederà all'archiviazione". La pratica muore. Finché, aprile 2005, la Procura, che a sua volta sta per archiviare, torna a sollecitare.
L'ufficio 1 - è ormai giugno 2005 - interpella la Direzione regionale. Che impiega cinque mesi per stabilire che è necessario se la sbrighino a Roma, alla Direzione generale accertamento, quella di Marco Di Capua. La risposta arriva il 23 dicembre del 2005, quando Tremonti è ormai tornato a fare il ministro. La Direzione Accertamento informa di "essere già stata interessata dalla Procura di Milano" e di aver provveduto a individuare dei "consulenti" per i pm Mannella e Nocerino: il "dottor Pasquale Cornio", capo dell'ufficio soggetti grandi dimensioni area nord e il "dottor Graziano Gallo", capo settore nazionale dell'accertamento sulle grandi imprese. Il 10 aprile 2006, i due periti così concludono con la Procura: "I redigenti ritengono che la Bell sia da considerarsi fiscalmente residente in Italia secondo le regole di diritto interno". E tuttavia, "che difficilmente possa considerarsi residente fiscalmente in Italia secondo le regole di diritto convenzionale, prevalenti su quelle di diritto interno. Non essendo stati reperiti elementi sufficienti a dimostrare che la direzione effettiva della società abbia avuto sede in Italia".
Gnutti e soci sono salvi. Un'ultima volta. Ad aprile del 2006, al ministero torna Visco. La Procura di Milano decide di proseguire la propria istruttoria. All'agenzia delle entrare riacquistano i loro uffici Massimo Romano e William Rossi. La pratica Bell esce dall'archivio. A Milano deflagra il "caso Visco-Speciale".
(31 luglio 2007)


Europa 31-7-2007 La “rupture” di Sarko e la Bce  SANDRO GOZI

 

La “rupture” di Sarkozy non si limita alla Francia. Il presidente protagonista ha allargato ormai la sua tendenza anticonformista a tutta l’Europa. Tra i temi preferiti del nuovo presidente francese, infatti, vi è senza dubbio quello del ruolo della Banca centrale europea. Come spesso accade, le ragioni all’origine di tale dibattito sono molto legate a esigenze politiche, economiche e mediatiche nazionali.
Ma sarebbe sbagliato lasciarlo cadere.
È un dibattito che non può essere confinato alla Francia e alle reazioni alle “provocazioni” francesi da parte degli inquilini dell’Eurotower, ma che va allargato all’intera Unione. Non si tratta di mettere in dubbio l’indipendenza della Bce, che deve rimanere un punto fermo della politica monetaria europea, ma di affrontare esigenze reali di politica economica.
C’è effettivamente una questione irrisolta in Europa, anche dopo il recente accordo sulla riforma dei Trattati: il governo economico e sociale dell’euro. L’Europa di oggi è asimmetrica: una politica monetaria centralizzata, una serie di politiche nazionali non integrate. Ed è incompleta: esiste l’Europa della regulation, in cui le istituzioni europee agiscono come delle autorità amministrative indipendenti, ma non c’è quella della governance. Esiste un’integrazione “negativa”, dell’abbattimento delle barriere, ma ne manca una “positiva” a causa dell’assenza di un “governo europeo delle scelte”. Oggi la “non politica economica” europea si sviluppa all’interno del triangolo Commissione-Banca centrale-Patto di stabilità: un triangolo di regole, appunto, non di governo.
I governi nazionali non hanno ancora saputo recuperare, collettivamente a livello europeo, quei margini di manovra ormai perduti a livello nazionale. Il re nazionale è nudo, ma nessuno ha il coraggio di trarne tutte le conseguenze, recuperando in chiave europea una sovranità nazionale ormai perduta. Finchè tale situazione perdurerà, è inevitabile attenersi alle regole esistenti e al Patto di stabilità, unico punto di riferimento condiviso.
Ma ciò vuol dire rinunciare alla politica: per quanto tempo potremo permettercelo? Soprattutto, per quanto gli europei lo permetteranno? Per quanto tempo potremo rimanere in una situazione in cui, attraverso i tassi di interesse, la Banca centrale può imporre ai governi determinate scelte politiche (e, di fatto, anche sanzionarli) mentre non è possibile il contrario? La Banca centrale sinora si è comportata abbastanza bene, pur concentrandosi unicamente sulla stabilità dei prezzi. Se le decisioni fossero state diverse, quali meccanismi di accountability avremmo a disposizione? Praticamente nessuno.
Occorre allora correggere tale asimmetria, fare uscire la Banca dal suo “splendido isolamento” e rafforzare i meccanismi di dialogo e cooperazione con l’Ecofin, l’Eurogruppo e il Parlamento europeo.
Come cominciare? Innanzitutto, spingendo i governi ad avvalersi di tutte le prerogative offerte dai trattati, a partire dagli orientamenti generali in materia di tassi di cambio. Inoltre, rafforzando il coordinamento delle politiche economiche, anche mettendo in atto i procedimenti di bilancio nazionali (noi italiani potremmo trovare un ulteriore incentivo per riformare una finanziaria tanto farraginosa quanto inefficace). Un risultato concreto, raggiungibile in tempi relativamente brevi, sarebbe una convergenza progressiva delle principali scelte finanziarie. Quindi a medio termine sarebbe auspicabile un ambizioso programma di convergenza delle politiche fiscali più rilevanti. Infine, stabilendo una rappresentaza unificata dell’euro sulla scena internazionale.
È urgente farlo: i cittadini sono delusi, l’Europa non si sta scrollando di dosso un’immagine di dogmatismo e compromessi al ribasso.
Non illudiamoci che finti successi come quello dell’ultimo vertice europeo di giugno possano veramente ridare entusiasmo. Occore ben altro. It’s politics, stupid...: cosa aspettiamo?


Il Riformista 31-7-2007 DIRITTI CIVILI Se il Parlamento è assente la giustizia supplisce

Quando la politica tace o, peggio, parla troppo e così facendo rinvia il momento della decisione, capita che qualcun altro faccia sentire la propria voce. E a fare ciò è la magistratura, che non può esimersi dal pronunciarsi sui casi concreti che di volta in volta si presentano al suo giudizio. È recentemente accaduto a proposito dei diritti civili e, in particolare, di tre casi: la decisione del gup del Tribunale di Roma di non procedere contro Mario Riccio, l'anestesista che sedò e staccò dal respiratore Piergiorgio Welby; la decisione di ammettere nel processo come parte civile il convivente omosessuale della vittima di un omicidio; l'assoluzione, per molti versi sconcertante e apparentemente di senso opposto alle prime due, di un camionista accusato di aver trascurato, nel corso della malattia che l'ha portata alla morte, la donna con la quale aveva convissuto per quindici anni.
Si tratta di casi molto diversi tra loro ma che hanno in comune la supplenza della politica da parte della magistratura. Al di là del contenuto delle decisioni, sul quale ognuno può legittimamente formarsi la propria opinione, c'è da dire che questa sorta di via giudiziaria ai diritti civili non è un fatto positivo, almeno per due ragioni. Innanzitutto, le decisioni della magistratura di merito non costituiscono in Italia precedenti vincolanti anche se formano la cosiddetta giurisprudenza. Significa che su casi simili un altro giudice potrebbe decidere diversamente. Dunque, questo insieme di decisioni - caso per caso - non ha rilevanza generale con il rischio di esporre i cittadini ad “ingiustizie”. Ma quel che appare più grave è proprio l'incapacità della politica di decidere su temi di tale rilevanza e questa incapacità, che appunto si esprime di volta in volta con il silenzio o con le troppe chiacchiere, rischia di diventare un problema non da poco. Per questo occorre che il Parlamento torni a far sentire la propria voce. In caso contrario, sarà difficile per i parlamentari lamentarsi del protagonismo della magistratura che, quando c'è, riempie semplicemente il vuoto lasciato nel Paese dall'arretramento della politica.


L’Unità 31-7-2007 Tagli alla politica, andare oltre i primi passi Vittorio Emiliani

 

Dunque, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si appresta a tagli incisivi alle spese del Quirinale. Le Camere annunciano economie interne che riscuotono un primo apprezzamento. Comuni e Province, invece, annunciano che diserteranno la riunione Stato-Regioni-Enti locali di mercoledì prossimo per concordare riduzioni al costo della politica, gonfiatissimo, e misure di federalismo fiscale. ANCI e UPI sostengono che il governo non ha tagliato abbastanza a casa propria e vuol tagliare troppo a casa loro (riduzione del 20 per cento nel numero dei consiglieri; massimo di 12 assessori; niente circoscrizioni sotto i 250.000 abitanti; via le indennità di missione, ecc.). Tuttavia, se salta l'incontro col governo, l'intera operazione rischia di impantanarsi. Chissà per quanto tempo. In particolare, protestano le Comunità Montane. Non gli va giù che le Regioni restringano il numero dei Comuni attovagliati al banchetto dei finanziamenti previsti si riduca con il ripristino del limite altimetrico dei 600 metri sul livello del mare. Per essere classificati "di montagna" dovrebbero infatti avere almeno l'80 per cento del territorio al di sopra di quella altitudine. Limite che sarà pure schematico e però è quello statistico di sempre: sopra i 600 metri è montagna, sotto di essi è collina e pianura. Sopra hanno senso le Comunità Montane - in realtà create, a suo tempo, per superare la polverizzazione dei Comuni e per concentrare alcuni servizi essenziali, invano - sotto non ne hanno. Meno che mai sul mare dove invece percepivano furbescamente i finanziamenti previsti alcuni Comuni largamente marittimi e soltanto un po' collinari. Nell'Oltrepò pavese i Comuni realmente montani sono appena 4, ma la Comunità Montana ne ha finanziati fin qui ben 43. "Un po' per uno in braccio alla mamma", recita un detto dell'Appennino povero. Solo che mamma Italia ha tenuto in braccio e allattato troppi pargoli ingordi. Per ora è stata soprattutto la Sardegna ad abolire tutta una serie di Comunità Montane (ben 24) e numerosi altri posti in consigli vari, per un totale di oltre mille percettori di prebende. La Regione Campania ha avuto mano meno risoluta visto che ha ridotto le Comunità Montane da 27 a 25, restituendo 52 Comuni alla condizione collinare, di pianura, o magari costiera. Ma l'Unione delle Comunità Montane fa sapere di opporsi risolutamente al disegno di legge Santagata, destinato a tagliare Comuni, Comunità e consiglieri incorporati. Avanti pure. Anzi, indietro tutta. Dal canto loro, Camera e Senato hanno fatto alcuni passi verso l'abbassamento dei costi, anche se, nell'immediato, sono passi teorici. Difatti tali misure di riduzione dei vitalizi e di altre spese avranno effetto soltanto dalla prossima legislatura. Siamo ancora alla politica degli annunci. La quale fa più danni che altro. Era stato detto e ridetto: non possiamo chiedere ai parlamentari in carica di tagliarsi l'erba sotto i piedi. Siccome però quell'erba è cresciuta a bosco soprattutto nell'ultimo decennio, in piena Seconda Repubblica - evidentemente per volontà bipartisan - non era poi una moralistica bizzarria attendersi qualche sforbiciata da subito. È tutta una mentalità di autoconservazione che andrebbe intaccata. Sulle colonne de l'Unità l'ex deputato Diego Novelli ha lanciato la proposta di una autoriduzione del vitalizio in essere da parte dei colleghi che sono stati senatori o deputati. Poteva essere un gesto di entità simbolica, tuttavia politicamente importante, visto che gli "ex" ammontano a 2.703 (più altri 456 in attesa di maturare l'età, limite introdotto da qualche anno). Invece si è beccato rampogne della categoria. Quale percettore di un vitalizio parlamentare, io credo invece che si dovesse a Novelli una risposta, cercando le forme per non dire unicamente di no. Allo stesso modo non capisco perché consiglieri comunali e, ancor più, di circoscrizione debbano venire remunerati in modo decisamente significativo: con questa cultura il senso dell'impegno politico locale come servizio si volatilizza. Di annuncio in annuncio, cosa rimane dunque di concreto nella bisaccia del povero cercatore di tagli reali al costo della politica? Non ci sono tagli a ministeri e a sottosegretariati dell'attuale governo che pure ne è ricco come nessun altro in Europa. I ministri dovrebbe scendere a 12, figurarsi. Una misura del genere la si potrà introdurre soltanto col prossimo governo e quindi (con molta probabilità) nella prossima legislatura. Oggi sarebbe quanto mai difficile trovare i giusti equilibri dovendosi dosare col bilancino poltrone e poltroncine in numero tanto ridotto (quanto "europeo"). E la riduzione di numero dei parlamentari, purtroppo inserito nella Costituzione del 1948 e quindi modificabile col lungo iter delle leggi costituzionali? Non potrebbe venire subito ribadita con ordini del giorno nelle due Camere, magari mettendo rapidamente in calendario, tutti insieme, una misura che l'intera opinione pubblica si augura prima di ogni altra? Per ora galleggiano in un clima di bonaccia alcune meritevoli proposte di legge costituzionale in materia. Del 6 aprile scorso è quella dei senatori Manzione e Bordon, ulivisti scontenti: vi si parla di ridurre i deputati a 400 e i senatori a 200. Il verde Boato, il 3 maggio, ha proposto 500 deputati e 250 senatori. I deputati dell'Italia dei Valori, Borghesi, Donaldi, Mura e Palomba, l'11 maggio, oltre a ridimensionare gli scranni di Montecitorio e di Palazzo Madama (a 400 e a 200, rispettivamente), si occupano dei Consigli Regionali che dovrebbero oscillare fra i 30 e i 50 consiglieri al più, a seconda della popolazione. Il 4 luglio, infine, l'ex presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini ha proposto misure analoghe a quelle dell'Italia dei Valori. Di recente Walter Veltroni, primo candidato alla segreteria del futuro PD, ha detto di ritenere sufficienti 400 deputati e 100 senatori. Cifre che sono collegate, evidentemente, anche ad una riforma sia del sistema istituzionale (maggior federalismo, per esempio), sia della legge elettorale (sistema tedesco, oppure bipolarismo alla francese, ecc.). Con tutto quel che comporta. Si muoverà qualcosa in queste acque strategiche? Intanto, dal momento che le cifre non divergono troppo, si potrebbero unificare questi disegni di legge e compiere così qualche passo concreto in avanti. Di politica degli annunci non si campa più. Si può soltanto appassire e magari deperire, accusando, nobilmente s'intende, l'anti-politica. Troppo scontato, e pure un po' suicida.


La Gazzetta di Mantova 31-7-2007 Porto Mantovano, lo spreco di denaro pubblico per un giornalino che non informa

 

In tempi di riduzione dei costi della politica, a partire dalle assemblee parlamentari per arrivare agli sperperi degli enti locali, si rimane sorpresi a constatare che per un giornalino di propaganda amministrativa si spendano a Porto Mantovano i soldi dei cittadini per almeno 8.500 euro ogni 40 giorni. Se poi qualcuno, come ha fatto L'associazione ViverePorto confuta l'opera tipografica e rileva che il periodico dell'amministrazione comunale ha contenuti scialbi con ripetute aree dedicate alla iconografia degli assessori, lo si taccia come pretestuoso e falso. Il costo per pagina informativa di 566 euro, con intere pagine dedicate a qualche azienda locale (con quale criterio viene scelta?), sarebbe giustificato solo in una prospettiva democratica di dibattito, di apertura dei contenuti ad associazioni, siano queste di volontariato o di impegno politico. Mentre i rappresentanti dei cittadini all'opposizione si finanziano autonomamente e volontariamente le proprie comunicazioni stampate, il gruppo politico di maggioranza non ha bisogno di crearsi un foglio di informazione perché se lo trova belle pronto e confezionato con i soldi dei cittadini. Il vicesindaco di Porto, nella sua lettera del 26 luglio, ci informa che il notiziario del comune è utilizzato solo per riportare notizie su problemi o proposte dell'attività comunale. Manzoli prosegue chiarendo che il giornalino non è stato concepito come un contenitore di sole schermaglie o polemiche politiche. Suggeriamo però all'assessore di andare a rileggere il numero di giugno-luglio, in cui il sindaco attaccava la minoranza, rea di aver promosso la mozione di sfiducia, oppure il numero di ottobre 2006, nel quale il sindaco lanciava pesanti, quanto infondate, accuse alle opposizioni. E tutto questo avviene sempre senza diritto di replica dato che il giornalino, come ci ricorda Manzoli, serve solo per i problemi e le proposte concrete. Nello stesso numero di ottobre una pagina intera era dedicata alla pubblicazione della lettera di dimissioni dell'assessore Pezzali. I lettori avranno anche apprezzato il doppio paginone centrale grazie al quale, nel numero di aprile 2007, i cittadini hanno appreso ché Rifondazione entra in maggioranza. Quale è l'utilità di queste informazioni per i cittadini portuensi? Sono da considerare informazioni di pubblica utilità anche le pagine che pubblicizzano le attività commerciali di Asep spa? Nei numeri di marzo 2007, ottobre e luglio 2006, tanto per fare alcuni esempi, il giornalino contiene una pagina di pubblicità del negozio di fiori gestito da Asep. Ma questa non è concorrenza sleale verso tutti i negozi di fiori gestiti dai privati? Per quanto riguarda le accuse mosse a Vivereporto ci sembra veramente patetico appellarsi, come fa Manzoli, alle percentuali elettorali, per di più sbagliate. Vivereporto, che rappresenta il 10,5% degli elettori e non il 5 come dichiara il vicesindaco, ha sempre sollevato critiche e proposte puntuali e documentate. Una saggia amministrazione, invece di nascondersi dietro alle percentuali elettorali, dovrebbe quantomeno sapere ascoltare le critiche che le vengono mosse, quand'anche a sollevarle fosse un solo cittadino. Consigliamo pertanto al vicesindaco Manzoli l'arte di incassare (non le imposte dove il comune di Porto è diventato campione!), e di riconoscere a chi esprime un giudizio divergente e non fa parte del gregge il diritto al controllo dell'attività amministrativa, alla critica costruttiva e alla ricerca della verità. Associazione ViverePorto Porto Mantovano.


L’Unità 31-7-2007 Fondi Fininvest, il "pentito" e il buco nero della fondazione Il perito Giuffrida: dal '78 in poi operazioni ricostruibili. La procura pronta a mettere nel mirino i tre anni precedenti di Marzio Tristano

 

Palermo "LE OTTO operazioni oggetto della transazione? Roba ininfluente ai fini dell'accertamento dell'origine del denaro, ho chiuso la partita giudiziaria per evitare di re- stare altri dieci anni sotto la spada di Damocle di una richiesta risarcitoria". Parla il consulente della Banca d'Italia Francesco Giuffrida e minaccia querele ai giornali che hanno sparato per primi la notizia della transazione, trasformandola, dice, in una "ritrattazione". Ieri mattina ha spiegato al pm Antonio Ingroia i termini dell'intesa con Fininvest, la cui origine misteriosa sta per entrare di nuovo nei riflettori investigativi dei pm di Palermo. La procura, infatti, sta valutando se riaprire l'indagine sui flussi finanziari che originarono il gruppo di Silvio Berlusconi a metà degli anni '70. La notizia, confermata in ambienti giudiziari, segue la pronuncia della corte di appello che giudica il senatore Dell'Utri, condannato in primo grado a nove anni per concorso in associazione mafiosa: rigettando la richiesta di nuove indagini dibattimentali sollecitata dai pm sulla provenienza del denaro, la corte indicò la procura come la sede naturale dei nuovi accertamenti. "Ho solo riconosciuto, e per qualcuna di quelle operazioni l'avevo già fatto in aula - dice ora Giuffrida - che nessuna di quelle otto immissioni di denaro era riconducibile a fonti esterne. Loro, la Fininvest, hanno d'altro canto riconosciuto la mia professionalità. Ma stiamo parlando di operazioni del 1978". E qui si ferma. Il pensiero va alla data di costituzione della Fininvest, cioè nel 1975 e proprio due anni dopo la consulenza di Giuffrida, che sul punto non ha subito alcuna sconfessione, ricostruisce con sufficiente esattezza la cosiddetta lista Dal Santo, un elenco di misteriosi soci finanziatori che versarono alla Fininvest ben 16 miliardi di allora. Giuffrida oggi sostiene di aver solo diviso le operazioni contabili in tre macroaree: la prima fa riferimento ad un periodo antecedente al 1977, le altre due, oggetto della transazione, raggruppano le operazioni Ponte, Palina e Fiduciaria Padana e altre manovre fatte negli anni '80. E nessuna di queste è determinante ai fini dell'accertamento della provenienza dei fondi. E se dopo l'incontro il procura Ingroia non commenta, parla invece il maresciallo Giuseppe Ciuro, che con il perito della Banca d'Italia è andato a scavare per anni nei segreti contabili delle holding di Berlusconi. Coinvolto nel processo per le talpe in procura, condannato a 4 anni per favoreggiamento e assolto dal concorso in associazione mafiosa, Ciuro ora dice: "Non entro nel merito della perizia redatta da Giuffrida. Rilevo solo che gli anni origine dei segreti sono quelli attorno al 1975. Mi lascia però perplesso che il dottor Giuffrida dica di essere stato coordinato costantemente dai pm. Noi non abbiamo subito coordinamenti o interferenze". Per Giuffrida quella consulenza sull'origine finanziaria della Fininvest è oggi un capitolo chiuso. Il vice-direttore della Banca d'Italia non dovrà più deporre in aula al processo Dell'Utri. Resta agli atti, però, un'altra sua perizia che cita il gruppo Fininvest, redatta nell'ambito del processo per l'omicidio Calvi e consegnata ai pm di Roma. Il perito ha ricostruito una serie di movimenti finanziari dell'Ambrosiano tra cui anche l'acquisizione di una partecipazione estera nella Capitalfin International Ltd. Proprietaria al 100% di una società denominata "Fininvest Limited Gran Cayman". Ora la procura vuole sapere se Calvi, appartenente alla P2 e beneficiario nel corso degli anni di ingenti finanziamenti da parte di ambienti mafiosi, finanziò la Fininvest nella prima metà degli anni '70. Anni dei quali ha parlato anche Carlo Calvi, il figlio del banchiere ucciso a Londra: "In una circostanza, intorno agli anni 1973-74 - ha messo a verbale - mentre eravamo nella casa alle Bahamas (.) mio padre fece dei riferimenti generici al fatto che tra i beneficiari dei finanziamenti della Bnl di cui ho appena detto vi erano anche società del gruppo Fininvest". Gli anni di cui non vuole parlare il consulente di Berlusconi e in cui, dice Ciuro, c'è l'origine dei segreti.


La Gazzetta del Sud 31-7-2007 Ancora disattesi i diritti del malato nell'Europa del terzo millennio Crisostomo Lo Presti

 

Tempi di attesa lunghissimi, scelte del paziente ignorate, difficoltà di accesso alle cure La Carta europea dei diritti dell'ammalato, nata cinque anni fa, vede l'Italia fanalino di coda nella classifica stilata da Active Citizenship Network diffusa nel rapporto del 29 marzo. La prima Giornata europea dei diritti dell'ammalato è stata l'occasione per una radiografia precisa della situazione negli ospedali del Vecchio Continente: tempi di attesa lunghissimi; scelte del paziente ignorate; difficoltà di accesso alle cure; terapia del dolore all'anno zero. I Paesi Bassi e la Francia sono all'avanguardia: "Mentre la situazione del sistema sanitario in Europa è ancora preoccupante in quasi tutti gli altri Paesi". Rileva Teresa Petrangolini, segretario nazionale di Cittadinanzattiva, una delle organizzazioni (presenti in 14 Stati europei) il cui programma è orientato alla difesa dei diritti dei cittadini che entrano in contatto con le strutture sanitarie. Recentemente sono stati presi in esame 42 ospedali delle varie capitali. Ne è emerso un quadro allarmante nonostante in tutti i Paesi esistano leggi in difesa del diritto di accesso alle cure. Molte sono le persone che vengono emarginate, che non riescono ad utilizzare i vari Servizi nazionali e che non godono della copertura completa per cure adeguate. In Austria, Danimarca, Finlandia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Italia, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia più della metà dei diritti, elencati dalla Carta (sono 14) vengono disattesi. Era il 15 novembre del 2002 quando a Bruxelles venne presentato il documento dell'Ue a tutela dei servizi previsti in favore dei cittadini nel quadro della "Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea", sottoscritta a Nizza il 7 dicembre 2000. La Carta mira a garantire un "alto livello di protezione della salute umana", assicurando una vera qualità delle prestazioni. Ma dalla Danimarca, dalla Grecia e dal Portogallo continuano a formarsi in partenza schiere di ammalati che cercano in altri Paesi la copertura totale sanitaria con cure adeguate; mentre in Germania, Irlanda, Portogallo e Gran Bretagna spesso mancano terapie mirate alla cura di malattie rare. Lunghi tempi di attesa si registrano, invece, in Italia, Spagna e Grecia: per la sostituzione di una protesi dell'anca si possono aspettare anche 12 mesi e per l'installazione di un bypass coronario 120 giorni. "Altro servizio trascurato è la libera scelta della struttura dove essere curati e il medico a cui affidarsi. Poi c'è il grande nodo del diritto a terapie del dolore, come la mancanza di somministrazione di antidolorifici e morfina e in sei Paesi la evitata prescrizione di analgesici prima e dopo cure dolorose. In pratica in un Paese europeo si possono avere cure avanzate e in un altro no". Commenta Alessandro Lamanna, esperto di sistemi sanitari di Cittadinanzattiva.In Italia, dopo la pubblicazione del Rapporto, qualcosa si è mossa: per iniziativa della vicepresidente della Commissione Affari Sociali della Camera, Dorina Bianchi e di altri 20 parlamentari è stata presentata una mozione per chiedere al Governo il rispetto della Carta europea dei diritti dell'ammalato: "La mozione dice la Bianchi vuole richiamare l'attenzione sui diritti dei pazienti a rischio a causa di alcune lacune del nostro Servizio sanitario nazionale. Spesso la teoria viene sommersa dalla pratica e ciò che compare nelle norme non trova applicazione nella realtà. Questo non è ammissibile quando c'è in gioco la salute. La Carta non può e non deve rimanere un bell'enunciato di principi, ma diventare momento concreto di evoluzione terapeutica e assistenziale in tutti i territori dell'Ue e in Italia in primo luogo. Rispettare quei diritti significa dare ad ogni cittadino la possibilità di curarsi vicino casa, senza costosissimi e traumatici viaggi della speranza e assicurare una sanità senza mortificanti file, ma fatta di medicine e umanità". Belle parole che si instaurano sui silenzi spesso rotti dalle prime pagine dei giornali che vogliono comunque rappresentare il senso del condiviso, profondo sentire. Il problema diviene drammatico al Sud dove le strutture veramente efficienti (e ve ne sono) rappresentano l'eccezione e dove ci si scontra con farraginose interpretazioni del sistema orientato alla capillarizzazione dei presidi. Occorre, al di là degli enunciati, attivare volontà di trasformazione delle parole in atti per dare certezza del diritto anche ai più deboli, agli indifesi, agli ultimi della scala sociale che non possono permettersi l'accesso alle strutture private. (martedì 31 luglio 2007).


Il Corriere delle Alpi 31-7-2007 Tra puttanieri e quaqquaraqua'. Mino Fuccillo

 

Il peggio, il vero peggio è venuto dopo. "La ragazza, siccome era tardi, è rimasta a letto con me". Ecco spiegato: la ragazza non se la sentiva di lasciare l'albergo a tarda sera, le strade, si sa, sono insicure, i taxi costosi e quindi l'onorevole le ha dato riparo e conforto. "Certo che mi riconosco nei valori cristiani, ma che c'entrano questi con l'andare con una prostituta?". Aboliti dunque, probabilmente con un paio di emendamenti sfuggiti ai più, un paio dei vecchi dieci comandamenti e comunque il papa con tutto il clero si aggiornino: sì, va bene, non si fa sesso con il profilattico, non si fa fuori del matrimonio, ma, se lei prende i soldi, si può fare, non è peccato, non vale, non conta. "Non l'ho pagata, le ho dato un regalo in denaro". Sublime, signorile ed elegante precisazione, si vede la differenza, lo stile che caratterizza l'uomo di mondo dall'uomo di monta. "Faccio una riflessione a voce alta: quanti parlamentari vanno a letto con le donnine?". Ecco come parla uno che si assume delle responsabilità, che non si nasconde tra la folla, uno della classe dirigente che, con senso delle istituzioni, prova a sputtanare un Parlamento a suo dire pieno di puttanieri. "Ai miei elettori non importa nulla, importa solo che risolva i problemi del loro territorio". Chiaro no? Siamo tutti clienti, cambia solo il tipo di transazione e la merce scambiata. Sono frasi autentiche di Cosimo Mele, parlamentare della Repubblica, pronunciate dopo. Frasi di un "povero di spirito", il che non vuol dire in questo caso frasi di uno privo di ironia. Ma il peggio, ancor peggio, è venuto ancora dopo. Quel segretario di partito, lo stesso di Mele, che non approva ma versa calde e copiose lacrime sulla "vita dura e sulla solitudine" dei parlamentari e chiede per loro soldi per il "ricongiungimento familiare". Cioè l'albergo o la casa pagati a Roma anche per la moglie e i figli? E perchè non un'indennità adulterio in caso di giornate d'aula troppo stressanti? E, per i single, una fidanzata di Stato? E che dire dell'idea che la solitudine il maschio la curi con due labbra femminili al lavoro per un paio d'ore? Cosa intende per anima solitaria l'onorevole Cesa, quella tentata dalla melanconia o dall'onanismo? Che spessore culturale misurare in questo concetto vaginale del "riposo del guerriero"? E la nutrita pattuglia dei parlamentari di Forza Italia che la butta in politica e che orgogliasamente rivendica: anche la destra tromba? E Cossiga che, dall'alto della sua esperienza di statista, ci ricorda che l'uomo non è di legno? E Diliberto che marca la cifra della sua critica e del suo sdegno con l'elegante, democratica e femminista espressione: "Uno che va per troie"? Quello che era accaduto prima era successo a un deputato di un partito che si vuole cattolico e cristiano. Cristianamente, ma anche solo civilmente, quello che era accaduto prima riguardava lui, la sua famiglia e anche la sua credibilità di uomo pubblico. Un prima miserello e squallidotto che comunque non legittimava pulpiti da cui dannare o prime pietre da scagliare. Ma il dopo...Una ripassatina veloce ai vangeli, una memoria sia pur labile di come vengono descritti e cosa sono e rappresentano i sepolcri imbiancati avrebbe dovuto cucire le bocche con il doppio filo del pudore intelligente. Così non è stato, così non è. Ma non è questione di parlamentari o gente comune, cattolici o laici. E' questione di uomini, della loro statura e del loro calibro, sperando che in questi termini gli interessati non vedano sessuali allusioni. Diceva un personaggio di un vecchio e grande film: "In ogni situazione ci sono gli uomini, i mezzi uomini, gli ominicchi e i quaqquaraqua". In questa storia, nel dopo e non prima, l'unica categoria rappresentata in massa è l'ultima.


Il Tirreno 31-7-2007 Il progetto del Partito Democratico nacque a Cecina a fine Ottocento Ilio Nencini.

Cecina Anche la politica locale ha bisogno di rapportarsi con la storia, poiché gli studi rivelano che a Cecina nella seconda metà dell'Ottocento è nata la cultura del "Partito democratico". Precursore dell'idea fu il Guerrazzi dalla sua Villa della Cinquantina, dopo l'avvento e la fine nel sangue della Comune di Parigi. Infatti nel 1871 egli esortò le nuove generazioni a misurarsi con senso pratico per conquistare la borghesia produttiva sul programma delle trasformazioni economiche, avvalendosi delle pressioni delle organizzazioni operaie, garantendo le libertà dei culti e delle coscienze. Il nuovo indirizzo politico venne riproposto nel clima della rivoluzione sociale, propagata con la fondazione dell'Internazionale anarchica nel 182; tanto che alle elezioni politiche dell'8 novembre 1874, nel Collegio Elettorale di Volterra la candidatura del volterrano, cavalier Niccolò Maffei, fece avanzare la sinistra governativa in favore delle riforme. Tuttavia la confusione delle idee nell'attuale "Partito progressista" sollecitò l'onorevole Maffei a costruire una nuova sistra democratica, quale possibile soluzione per cambiare le cose in Italia senza compromettere la legalità costituzionale, rispetto all'intransigenza della sinistra estrema. Dal parlamentare fu scelto Cecina per lanciare il nuovo progetto denominato "Partito democratico", e vi giunse il 23 luglio 1882 per fare appello alla popolazione, in attesa delle elezioni del 22 ottobre. Separando l'ideologia della politica, sostenne il metodo dell'associazione democratica per convergere fra le varie aspirazioni, sulla concordia di un programma per i diritti sociali e civili. Rivendicò maggiori poteri ai Municipi a differenza della Provincia, ritenuta senza tradizione storica. Auspicò l'introduzione dei dazi sul superfluo e non sul necessario, mentre lo sviluppo del benessere materiale doveva essere conguinto a quello intellettuale, da conseguire con l'istruzione. I poteri che tra Stato e Chiesa, regolati dalla vigente legge, potevano subire modifiche solo per volontà del Parlamento. Su queste basi, in controtendenza alla sinistra non governativa, fu raggiunto il successo: l'on. Maffei venne nuovamente eletto, ed il candidato locale del "Partito democratico", Giacomo Barabino, Sindaco di Cecina, con risultato successivo al candidato della destra monarchica - costituzionale, rafforzarono entrambi nel Collegio Elettorale di Volterra la coalizione progressista del Ministero Depretis. La cultura di associarsi e convergere fra più aspirazioni rimane influente nell'evoluzione dei partiti, nel passaggio da comitati elettorali a organizzazioni politiche legate al territorio. Per cui, dopo l'esempio del Comune di Milano nel 1899, il Municipio di Cecina nel 1907 venne conquistato dal "Fascio Popolare" sul modello dell'unione fra socialisti, repubblicani, radicali. Da quì, alla fine dello Stato liberale, il massimalismo ideologico alimentato dalle vicende nazionali, fu il condizionamento del nuovo consenso elet


INDICE 30-7-2007

 

+ La Stampa 30-7-2007  Catania affonda nel mare di debiti. La città deve oltre settecento milioni alle banche. Una girandola di favori e strane consulenze. PAOLO BARONI 1

+ Il Corriere della Sera 30-7-2007 La proteina della longevità I ricercatori hanno «prodotto» un topo mutante che vive più a lungo, consuma di più e pesa di meno. Tutto per una proteina La molecola «chiave» si chiama AC5  3

La Stampa 30-7-2007 Solo nel 2006, la Fed aveva definito i prezzi delle case negli Usa non irragionevoli, nonostante fossero più che raddoppiati in pochi anni. 3

La Stampa 30-7-2007 30/7/2007 (7:12) - DEPUTATI ASSENTEISTI L'onorevole? E' fuori stanza. In poco più di un anno le votazioni sono state oltre 3000, ma qualcuno non ha mai partecipato a nessuna di esse. UGO MAGRI 4

La Repubblica 29-7-2007 Tommaso Padoa-Schioppa intervistato da Enrico Cisnetto "Gli statali fannulloni? Da punire" A Cortina il ministro dell'Economia parla di pubblica amministrazione, governo e tasse. E sull'Alitalia: "Non è incondizioni fallimentari". Possibile una nuova gara. La produttività secondo Padoa-Schioppa  5

Il Riformista 30-7-2007 Impasse. Per sopravvivere va bene anche il doroteismo  6

Il Tirreno 30-7-2007 Prato Logli: "Abolire la Provincia di Prato? E perché non Firenze e Pistoia?" 6

Il Giornale di brescia 30-7-2007 Brown negli Stati Uniti per ribadire la "solidità dell'intesa Usa-Gb". IL PREMIER BRITANNICO SMENTISCE VOCI DI UN POSSIBILE RITIRO DALL'IRAQ Il premier britannico Brown interviene alla Camera dei Comuni 7

Il Corriere della Sera 29-7-2007 Cellulari, ribassi per le telefonate all'estero Risparmi fino al 50 per cento . Tim, Vodafone e Wind si adeguano alla direttiva di Bruxelles, anticipando l'entrata in vigore dell'eurotariffa  7

Libertà 30-7-2007 UE All'Italia 29 miliardi I fondi sono suddivisi in quattro settori 8

La Stampa 26-7-2007 Il boom dei conti online  9

 


 

+ La Stampa 30-7-2007  Catania affonda nel mare di debiti. La città deve oltre settecento milioni alle banche. Una girandola di favori e strane consulenze. PAOLO BARONI

 

CATANIA
Catania sull’orlo della bancarotta. Gli ispettori, inviati nei mesi scorsi dal Tesoro, hanno consegnato il loro rapporto: 700 milioni di euro di debiti con le banche, 95 milioni di spese correnti «non soddisfatte» e 41 milioni di debiti fuori bilancio. Insomma, il Comune è «chiaramente in stato di insolvenza». «È un bilancio disastroso quello della giunta Scapagnini» denuncia Orazio Licandro deputato del Pdci. L’amministrazione di centrodestra guidata dal medico personale di Berlusconi contrattacca («nulla di nuovo, è la situazione nota da tempo») e a sua volta cerca di scaricare una parte di responsabilità sul centrosinistra che ha governato la città dal 1993 al 2000.

Braccio di ferro A Catania il braccio di ferro sindaco-opposizione dura ormai da mesi: il centrosinistra racconta di sprechi e regalie, di clientelismo e cattiva gestione che negli ultimi sette anni avrebbero fatto lievitare a dismisura debiti. «Sono cose da terzo mondo - denuncia l’ex sindaco Enzo Bianco -. Una situazione da bancarotta, paragonabile a quella di Taranto - aggiunge - frutto di entrate sistematicamente sovrastimate e di uscite sottostimate e di una spesa del personale che arriva al 60-65% del bilancio comunale. In pratica quasi tutti i dipendenti hanno beneficiato di uno o anche due scatti di promozione». E per questo ora, conti alla mano, chiede a Scapagnini di presentare subito un’idea per uscire dalla crisi oppure di passare la mano.

Fino ad oggi il primo cittadino e la sua giunta hanno respinto ogni attacco («basta infangare la città») arrivando più volte a minacciare querele. Alcuni fatti, però, parlano da soli: i fornitori del Comune da tempo vengano pagati sempre più in ritardo così come i 4000 dipendenti dell’ente. Ed anche i revisori del Comune, in una relazione inviata l’anno scorso alla Corte dei conti, segnalavano una situazione di continua «tensione finanziaria», di debiti fuori bilancio e spese che non vengono ridotte ma che anzi continuano a correre come in passato. A distanza di un anno anche la magistratura contabile si è mossa dando al Comune 90 giorni di tempo per adottare interventi strutturali per evitare il crack. Licandro, intanto, ha deciso di investire della questione la Procura: «quello degli ispettori del Tesoro è un atto d’accusa durissimo - sostiene - la giunta ha ripetutamente violato in modo formale e sostanziale leggi e principi contabili». Per l’amministrazione invece la situazione «non appare assolutamente catastrofica come invece l’opposizione vorrebbe far credere». E partendo dalle stesse cifre certificate dal Tesoro la giunta avrebbe già messo a punto un piano che sindaco e assessore al Bilancio illustreranno questa sera al consiglio comunale.

Gioielli in vendita Da mesi l’opposizione denuncia le «manovre scorrette» di Scapagnini e c. Al centro delle polemiche c’è la società «Catania Risorse», oggetto di diverse interrogazioni parlamentari e dalla quale lo scorso Capodanno la giunta catanese ha girato la bellezza di 65 milioni di euro di immobili, «da valorizzare». Insomma da vendere. Nell’attesa la società, una srl con un capitale di appena 30 mila euro, presieduta dal segretario comunale, Armando Giacalone, è stata autorizzata a contrarre mutui per un valore pari a quello degli immobili ricevuti in dote. In maniera tale da consentire al Comune di poter contabilizzare in extremis, giusto l’ultimo giorno dell’anno, un’entrata cospicua. Che ha riequilibrato i conti ed evitato il commissariamento. «Hanno fatto tutto in pochissimo tempo - raccontano i bene informati - con le posizioni giurate addirittura fatte in un’unica giornata, neanche fosse la vendita di un tre vani».

La delibera è stata messa in piedi in fretta e furia. Le perizie degli immobili sono state redatte e depositate nel giro di 24 ore a cura di un semplice ragioniere del Comune alla vigilia dell’approvazione del progetto. Passato nonostante il parere contrario del Collegio di difesa. Nella pancia di «Catania Risorse» sono finiti così 14 immobili, tra cui l’ex monastero di Sant’Agata, che ospita uffici comunali ed un centro sociale, gli edifici barocchi di via Crociferi e via di San Giuliano, l’ex Caserma Malerba, l’ex monastero di Santa Chiara, dove Giovanni Verga ambientò la clausura della protagonista di «Storia di una capinera» e dove ora si trovano l’Anagrafe e la sala matrimoni. E poi uffici, biblioteche, l’autoparco comunale e l’ex mercato rionale di Nesima. «Vendita illegittima» sostengono Bianco e gli altri parlamentari catanesi del centrosinistra. «Nessuna intenzione di vendere, ma solo la necessità di utilizzare meglio questi immobili così come consentono le leggi» ribattono dalla Giunta.

«Per otto beni immobili l’atto è nullo» ha fatto sapere a febbraio la Sovrintendente ai beni culturali Grazia Branciforti che ha messo il veto sulla loro cessione giocandosi il posto di lì a qualche settimana tra lo sdegno di mezza città. A suo parere monasteri e conventi, tutti risalenti al XVI e XVIII secolo, sono beni di «eccezionale interesse storico-artistico», «opere mirabili» del periodo tardo-barocco inserite dall’Unesco nella lista del patrimonio mondiale dell’umanità da tutelare e non si possono cedere. «Si sono comportati come Totò con la Fontana di Trevi» denuncia Saro D’Agata, capogruppo Ds a palazzo degli Elefanti. «Attacchi strumentali» ribattono dallo staff di Scapagnini. Lo stop della Sovrintendenza ha chiaramente messo in difficoltà la Giunta, ma il rimedio è stato trovato rapidamente: a fine aprile la giunta ha deciso di trasferire a «Catania risorse» altri beni per 108 milioni di euro, per lo più impianti sportivi come la «cittadella» ed il campo sportivo di Nesima, il campo da calcio di Zia Luisa ed il Duca d’Aosta.

Sprechi e regalie Secondo l’amministrazione di Catania non esiste un problema-debiti perché il Comune, non solo ha un ricco patrimonio stimato all’incirca 8-900 milioni di euro, ma vanta anche crediti per 220 milioni. L’opposizione invece parla di tutt’altre cifre. Bianco agli 83 milioni di perdite già acclarate aggiunge «40 milioni di euro fuori bilancio, le perdite dell’azienda trasporti Amt, che non vengono mai considerate ma che sono a loro volta ingenti, e quelle che potrebbero emergere dai bilanci del 2005 e del 2006». E Licandro rilancia: «Veniamo da 7 anni di amministrazione allegrissima: mutui da tutte le parti difficilmente giustificabili, ed una quantità impressionante di consulenze, a cominciare dai 24 mila euro spesi per ingaggiare una giovane 22enne, nota per essere stata Miss Eritrea, come “consulente per lo sviluppo industriale della città”. Per non parlare dei rimborsi dell’indennità “cenere lavica” (compresi tra 300 e 1000 euro) erogati a tutti e 4mila i dipendenti del Comune, senza alcuna distinzione, tre giorni prima delle comunali del 2005». Una partita questa già finita all’attenzione della magistratura: il processo a carico di Scapagnini ed 8 assessori è tutt’ora in corso. Le accuse vanno da abuso d’ufficio a violazione della legge elettorale.


 

+ Il Corriere della Sera 30-7-2007 La proteina della longevità I ricercatori hanno «prodotto» un topo mutante che vive più a lungo, consuma di più e pesa di meno. Tutto per una proteina La molecola «chiave» si chiama AC5

 

 

NEW JERSEY, (Stati Uniti) – La proteina in questione si chiama AC5 (5 adenilil ciclasi) e, secondo uno studio pubblicato su Nature, i topi mutanti privati di AC5 producono una maggior quantità di un'altra proteina denominata ERK2, che regola i processi ossidativi e regala un'eterna giovinezza (o quasi) e altri piacevoli effetti collaterali. Allo studio ha collaborato anche il professore Stephen Vatner che, come spesso succede, è inciampato in questa verità quasi per caso, nel corso di altri studi sulle patologie cardiache.

SCOPERTA INCIDENTALE - Vatner, collaborando con il professor Junichi Sadoshima e con altri colleghi alla scuola medica del New Jersey, inizialmente era interessato a scoprire se l'inibizione dell'AC5 conducesse a un cuore più sano. Ma nel corso dell'esperimento ha constatato che i topi privi di questa proteina avevano una longevità mediamente superiore del 30 per cento. L'AC5, come altri betabloccanti (sostanze che inibiscono l'adrenalina), esercita notoriamente un'azione positiva significativa sul cuore, ma le recenti scoperte dell'equipe del professor Vatner aprono le porte a ipotesi sconfinate, quasi miracolose, che vanno ben oltre i benefici cardiaci.

L'ESSERE UMANO - I topi osservati infatti hanno rivelato un cambiamento significativo nel processo di metabolismo: mangiano di più, pesano di meno e soprattutto vivono molto più a lungo. Inoltre pare che questi topi mutanti siano anche più resistenti al tumore, oltre a non essere interessati dal normale deterioramento delle ossa che accompagna l'invecchiamento. Le ripercussioni sull'essere umano potrebbero essere molte e con risvolti quasi inquietanti, nonché misteriosi: potrebbe bastare una sostanza miracolosa per vivere quasi il doppio e mettersi al riparo, tra l'altro, dall'incubo del soprappeso? Come al solito rimane l'incognita «essere umano», non potendo prevedere gli effetti di questa inibizione proteica sul nostro organismo e, non ultimo, ci sono da considerare i risvolti mentali. Come fa notare il cardiologo dell'Università della California H. Kirk Hammond, nell'articolo di Nature, sono anche da considerare eventuali ripercussioni psichiche, al momento sconosciute. E infine Hammond avverte che, per assicurarsi una buona longevità, sarebbe sufficiente guidare con prudenza, smettere di fumare e non mangiare cibo spazzatura.

Emanuela Di Pasqua

30 luglio 2007


 

La Stampa 30-7-2007 Solo nel 2006, la Fed aveva definito i prezzi delle case negli Usa non irragionevoli, nonostante fossero più che raddoppiati in pochi anni.

 

Quale idea di mercato hanno queste persone? Quale motivo politico li porta a nascondere sistematicamente l'irrazionalità dei mercati? I futures sui Fed funds stimano al 65% la probabilità di un taglio dei tassi d'interesse americani entro fine anno. Si tratta di una straordinaria inversione di rotta rispetto a un mese fa. Tutti gli indicatori segnalano una fuga verso la qualità e la fine del credito facile attraverso garanzie collaterali. Doveva accadere, lo avevamo segnalato tante volte. Il detonatore sono stati i prestiti subprime sull'immobiliare, ma il problema viene da lontano. Bernanke aveva ragioni comprensibili per nasconderle, ma la responsabilità è interamente dell'era Greenspan. Non ci stancheremo mai abbastanza di ripetere che l'imbroglio del Maestro doveva essere denunciato anziché celebrarne gli illusionismi. Ora Washington deve ridurre i tassi dinteresse: solo così eviterà gravi conseguenze sull'economia reale. Tante volte si critica la noiosa politica monetaria della Bce senza pensare che con la sua politica stabile ha evitato gli scompensi, le bolle e i buchi, che ancora, dopo l'hi-tech, le obbligazioni e il real estate, stanno colpendo prima il mercato americano e poi tutto il mondo. È assurdo predicare flessibilità dei prodotti e del lavoro perché solo così si possono assorbire le incoerenze delle politiche finanziarie. Mi preoccupano però le notizie che arrivano dall'Italia e dalla vicenda Italease, che sembra ricopiare esattamente gli errori della finanza americana sugli adjustable-rate mortgage. I banchieri hanno venduto a debitori poco informati strumenti ipotecari che ora stanno dimostrandosi insostenibili. Forse è ora di aprire gli occhi sulla finanza in stile americano. Aleweb_mit@web.de.


 

La Stampa 30-7-2007 30/7/2007 (7:12) - DEPUTATI ASSENTEISTI L'onorevole? E' fuori stanza. In poco più di un anno le votazioni sono state oltre 3000, ma qualcuno non ha mai partecipato a nessuna di esse. UGO MAGRI

 

ROMA
La pentola è stata scoperchiata, come spesso accade, dai Radicali per nobili motivi e (va detto) anche per consumare una piccola vendetta. Anzitutto volevano puntare i riflettori sul grande tema del rapporto tra elettori ed eletti, denunciando la difficoltà di conoscere cosa combinano i nostri onorevoli, una volta accasati in Parlamento. Una questione alta di trasparenza, insomma. E poi, en passant, intendevano dimostrare che la perdita di Daniele Capezzone, entrato in rotta con Marco Pannella, non è poi così grave dal momento che l’ex segretario del partito in aula si vede solo ogni tanto. Così nei giorni scorsi si sono fatti consegnare dagli uffici di Montecitorio i tabulati sulle presenze e assenze al momento del voto, una trentina di fogli che un comune mortale cercherebbe inutilmente sul sito istituzionale www.camera.it. Spulciandoli, ne viene fuori uno spaccato di qualche interesse.

Intanto le buone notizie. C’è chi, tra i rappresentanti del popolo, sgobba come un matto. Autentici stakanovisti. Gente avvitata al proprio scranno, che non si distrae nemmeno per fare pipì, che sulle 3116 votazioni elettroniche effettuate dal 28 aprile 2006 al 7 giugno 2007 (è il periodo preso in esame) sono arrivati a sfiorare il 100 per cento delle presenze. Da Guinness la performance di Massimo Zunino, diessino di Savona, già recordman delle votazioni nella XIV legislatura, il quale ha pigiato il tasto ben 3115 volte. Guarda un po’, nella speciale classifica tutti i primi dieci appartengono all’Ulivo.

Per scovare finalmente un forzista occorre calare intorno al ventesimo posto (Gaetano Fasolino, con un pur ragguardevole 98,23 per cento di centri). E’ la prova di una diversità antropologica, una sinistra disciplinata e compatta contro una destra pasticciona e assenteista? Può darsi. Certo il Cavaliere non se ne può lamentare, in quanto è da lui per primo che viene il cattivo esempio. Certo, Berlusconi è Berlusconi. Oltre alla politica ha il Milan, le tivù, le ville, le canzoni napoletane e tanto ancora. Però le sue incursioni alla Camera sono così rare da costituire un evento: ha votato in un anno 70 volte, faccenda che si sbriga in tre sedute. Peggio di lui hanno fatto solo Paolo Cirino Pomicino e Cesare Previti: il primo perché malato (ha subito un trapianto di cuore) il secondo in quanto detenuto.

Qualche maligno sostiene che il Cav. snobba le votazioni potendosi permettere di rinunciare alla diaria mensile da 4.190 euro, accordata oltre all’indennità di 7 mila euro a quanti non risultano mai assenti (ogni forfait sono 200 euro in meno). Ma la ragione per cui Berlusconi si tiene al largo dalla Camera è molto più seria. E affonda le sue radici nell’ultima riforma elettorale.

Il cosiddetto «Porcellum» attribuisce a chi vince un premio su base nazionale. Non a Palazzo Madama (dove difatti se la combattono sul filo di pochi voti e i senatori sono stressatissimi) ma alla Camera. Qui, grazie ai contestatissimi 24 mila voti in più delle ultime elezioni, Romano Prodi può usufruire di un margine garantito, 71 voti che rendono praticamente impossibili i ribaltoni. Provarci, da parte dell’opposizione, sarebbe perfettamente inutile: alla maggioranza è sufficiente tenere un «piantone» in aula per sventare ogni possibile agguato. Ne discende un’organizzazione del lavoro dove ad alcuni tocca fare la guardia al bidone. Mentre quelli che possono, cioè i grandi capi e gli aspiranti tali, con una giustificazione o con l’altra si sottraggono alla frustrazione dell’atto di presenza.

Ministri, vice-ministri e sottosegretari hanno una scusa eccellente: gli affari di governo. Senza ipocrisie Giuliano Amato, ministro dell’Interno, ha votato 18 volte su 3116, fiducia compresa. Il premier, 115. D’Alema, giramondo in quanto capo della diplomazia, 138. L’unico ministro che di tanto in tanto si incontra alla Camera è Vannino Chiti (16,46 votazioni su cento), ma lui è titolare dei Rapporti col Parlamento. Anche per i massimi leader si tende a fare eccezione, in passato non è che i Moro, i Berlinguer, i Nenni fossero sempre lì a votare.

Piero Fassino, anche per rispetto della tradizione, è risultato assente nel 91 per cento dei casi. Ora, tutto si può dire a Fassino tranne che sia un lavativo. Così come si offenderebbe Claudio Scajola se gli rimproverassero l’assenza dall’aula (in 98 votazioni su cento): lui è presidente del Comitato di controllo sui servizi segreti, di questi tempi un vero tormento. Lo stesso Capezzone, uno che letteralmente vive di politica, presiede la Commissione Attività produttive. Insomma, fanno dell’altro: riunioni, incontri, conferenze spesso autorizzate. Dunque, prima di bollarli come «imboscati» occorre controllare se fossero in missione o meno. Nel caso di Capezzone, è accaduto 4 volte su 10. In quello di Giulio Tremonti, vicepresidente della Camera e figura di spicco dell’opposizione, 7 su dieci. Qualcuno esagera. Il comunista italiano Severino Galante risulta ufficialmente in missione ben 93,7 volte ogni cento votazioni. Il che lo rende (paradosso del Regolamento) uno dei deputati più presenti in assoluto. Laddove un plotoncino di deputati del gruppo misto tranquillamente «bigia» le votazioni una volta su due, tanto nessuno dice nulla.

Per i radicali Sergio D’Elia e Maurizio Turco, attivissimi sull’argomento, è materia da riformare in profondità. Hanno già bussato alla porta di Bertinotti (assai sensibile) perché si rendano pubbliche le informazioni sull’attività di ogni deputato. Come avviene nei paesi di più antica tradizione democratica, ogni cittadino elettore deve poter cliccare sul sito della Camera e sapere come si comporta il proprio rappresentante. Senza doversi rivolgere a «Chi l’ha visto».


 

La Repubblica 29-7-2007 Tommaso Padoa-Schioppa intervistato da Enrico Cisnetto "Gli statali fannulloni? Da punire" A Cortina il ministro dell'Economia parla di pubblica amministrazione, governo e tasse. E sull'Alitalia: "Non è incondizioni fallimentari". Possibile una nuova gara. La produttività secondo Padoa-Schioppa

 


CORTINA - "Gli statali fannulloni? Vanno puniti, allontanati se necessario: sono una palese ingiustizia contro chi fa il proprio lavoro". Il ministro dell'Economia a Cortina per presentare il suo libro "Italia, un'ambizione timida", punta l'indice contro "chi non fa il proprio dovere". "Tuttativa - aggiuge - è anche una caricatura pensare che sia un problema di fannulloni e basta. La questione della riforma della pubblica amministrazione è più ampia e riguarda l'organizzazione della macchina della spesa". Bisogna introdurre "maggiore legalità e maggiore riconoscimento del merito. Non solo nella funzione pubblica ma anche nel mondo delle imprese. Cambiare i costumi è difficile, ma si può fare".
"Non lavoro per un futuro da politico". Camicia di seta blu e pantaloni chiari, inaspettatamente loquace, Padoa-Schioppa ha tratteggiato il percorso del proprio lavoro e quello più generale dell'esecutivo italiano ma ha temuto a precisare: "Non sto lavorando per costruirmi un futuro da politico".
"Nel governo opinioni diverse". Secondo Padoa-Schioppa "nel governo è naturale che ci siano opinioni diverse. Bisogna essere consapevoli che chi ha il potere lo può perdere". Pur rifiutandosi, con un sorriso e una battuta, di rispondere a una domanda su quale sia il collante di questa maggioranza di governo, il ministro ha sottolineato che "ogni soluzione ai problemi, si chiamino Alitalia, si chiamino pensioni, lascia comunque dei dubbi. Ma una scelta va fatta. Non spetta a me giudicare l'azione di governo. Non ho il distacco necessario per farlo - ha proseguito - non ho mai firmato nulla di contrario a qualcosa di utile al Paese e ai miei principi".
"Visco? Cambiate idea su di lui". Il ministro ha quindi spaziato su la vasta attività relativa al proprio dicastero: ha reso omaggio a Marco Biagi e alla sua legge ("Un grande uomo. Lo sarebbe stato anche se non donava la sua vita"); ha difeso il vice ministro Vincenzo Visco ("Parlategli e cambierete idea su di lui"), e sulle tasse ha annunciato un probabile taglio: "Con la finanziaria di quest'anno non c'è nessuna intenzione di aumentare le imposte. Vedremo anzi cosa è possibile fare per ridurle: tutto ruota attorno alla possibilità di contenere la spesa pubblica".
"L'Alitalia può essere risanata". La battuta finale, il ministro dell'Economia l'ha riservata all'Alitalia: "L'azienda non è in condizioni fallimentari. E' una società che ha capitali, che può essere risanata ma non attraverso una trattativa privata: questo non è possibile". La strada, sembra di capire, è quella di una nuova gara.
(29 luglio 2007)


 

Il Riformista 30-7-2007 Impasse. Per sopravvivere va bene anche il doroteismo

Sarkozy e Ségolène non sono de Gaulle e Mitterrand. Ma le organizzazioni, che essi hanno radicalmente rinnovato nello stile di direzione e nel tratto organizzativo, oltre che nel processo di comunicazione e di ascolto nei confronti della pubblica opinione, sono le medesime che, una volta, agivano con lo stile e il tratto deciso dai vecchi leader. Questa continuità della organizzazione, che non esclude il rinnovamento dei contenuti e delle modalità con cui si realizza una politica, è un notevole vantaggio per il loro paese. Si evitano molti costi finanziari e molti, ancora più ingenti e pericolosi, costi frizionali di carattere operativo e sociale. Non è facile convincere un elettore, o un militante attivo nel suo partito, che si deve cambiare nome e comportamento a prescindere dalla linea politica. È meglio cambiare la linea politica di un partito che resta tale e, nell’ambito del quale si afferma una nuova leadership.
Ovviamente è meglio sotto un profilo tecnico gestionale: il rapporto tra costi e benefici è preferibile. Ed è anche questo il modo con cui, nel mercato politico rappresentato dal partito stesso, e nel rapporto che quel partito stabilisce con il suo elettorato, si seleziona una nuova classe dirigente che si afferma sulla vecchia. C’è più controllo di mercato, tra domanda e offerta di politica, riferite a un comune sentire di una parte della comunità sociale, che non azione dirigista, creazione di nuove organizzazioni come fossero contenitori pensati a tavolino alle quali gli elettori dovrebbero aderire, a prescindere. La “seconda” repubblica italiana, soi disant, è tutta un germinare di nuove organizzazioni, più o meno riconducibili alle vecchie, nell’ambito delle quali agiscono gruppi dirigenti che vengono comunque dalle vecchie organizzazioni. Il tasso di innovazione politica che si genera, lungo questa procedura operativa, è basso, come notava su queste colonne Emanuele Macaluso e tende a premiare uno stile doroteo, che rende compatibili le opinioni diverse nella misura in cui si pongono quelle opinioni nel contesto di un comune disegno di potere. Questo non è un giudizio negativo sul doroteismo storico, quello nato e cresciuto dentro la Democrazia Cristiana.
Perché è evidente che proprio quella articolazione di idee e potere condusse la Dc ad alcuni rilevanti traguardi. Anche in ragione del fatto che lo stesso doroteismo doveva competere, nel mercato politico democristiano, con altre correnti organizzate. Leader e idee si sottoponevano, insomma, al giudizio del mercato per emergere. In questa seconda repubblica si afferma invece una dinamica stravagante: leadership singolare e bipolarismo federato, che rende sempre uguali i nuovi leader alla immagine sbiadita della propria federazione, secondo una felice definizione di Giuseppe De Rita. Questa usura della leadership si ribalta in un esaurimento del sistema politico e in una minaccia di evaporazione del regime democratico. Non una fine traumatica del governo, come capitò a Craxi, ma una fine per consunzione delle stesse istituzioni repubblicane. Forse i più avvertiti tra i protagonisti della scena hanno capito il senso ultimo di questa deriva. Si erano tagliati dietro i ponti, abolendo i partiti e ricostruendone di nuovi, molti di stampo personale per colpa del bipolarismo federale che premia il soggetto marginale della federazione. Ora ritorna, seppure come second best, l’aspirazione a una legge elettorale di stampo tedesco: proporzionale con il barrage. Che eviterebbe gli effetti distorsivi del bipolarismo federato e consentirebbe la riapertura del mercato politico. Ridando vitalità alle istituzioni democratiche. Un salutare ritorno al passato.


 

Il Tirreno 30-7-2007 Prato Logli: "Abolire la Provincia di Prato? E perché non Firenze e Pistoia?"

 

PRATO. "La nostra Provincia non serve a niente? E allora perché non abolire quelle di Firenze e di Pistoia e lasciare Prato, che oltretutto è baricentrica rispetto alle altre due?". Massimo Logli incassa e rilancia. Ci mette il carico, insomma, per replicare all'idea di Matteo Renzi che giusto ieri, sulle pagine del nostro giornale, ragionando sui costi della politica diceva: "Che senso ha la Provincia di Prato, rappresentata da un grande Comune e da una Comunità montana? Nessuno. Così come non avrebbe senso quella di Empoli". Certo, Renzi è presidente della Provincia di Firenze e Logli di quella di Prato, magari ognuno tira l'acqua al proprio mulino, ma un certo imbarazzo le dichiarazioni di Renzi l'hanno provocato, non foss'altro perché i due presidenti appartengono allo stesso schieramento e per di più sono espressione dello stesso partito, la Margherita. "Meno male che non decide lui - scherza, ma fino a un certo punto, Massimo Logli - Mi pare più che altro una battuta estiva, ma non me la voglio certo cavare così". E come, allora? "Mettiamola così - ragiona Logli - Ognuno dovrebbe pensare a ridurre i costi dei propri enti, a renderli più efficienti. Noi restituiamo al territorio il 75% dei soldi che riceviamo. Significa che la macchina della Provincia (costi di personale e amministratori, in gran parte, ndr) assorbe il 25% delle risorse". Insomma, Logli è cosciente che il dibattito sui costi della politica è una cosa seria, ma non ci sta a passare per quello che butta via i soldi del cittadino o li utilizza solo per tenere in piedi un carrozzone. "Figuriamoci, io vado volentieri in giro con la Lam e nessuno di noi ha l'auto blu - spiega il presidente - Abbiamo un servizio di noleggio e paghiamo le corse che facciamo, solo nelle occasioni strettamente necessarie. Abbiamo ridotto i costi dei telefonini, siamo pronti a tagliare un assessore se passerà la linea del taglio del 10% del ministro Lanzillotta". E rincara: "Non mi piace il principio di chiudere gli enti piccoli, guardiamo semmai all'efficienza. E comunque, le Province si possono anche abolire, basta stabilire chi si occuperà delle funzioni di cui ci stiamo occupando noi". Di una cosa Logli è sicuro. "Non siamo disponibili a tornare indietro di 50 anni, la Provincia di Prato è stato il frutto della pressione della nostra gente, che è pratese, non è fiorentina". Ma allora questo duello a distanza tra Renzi e Logli non sarà mica la solita guerra di campanile? "Sarà che loro devono ancora darci 4 milioni di euro dopo la spartizione del patrimonio e non ce li vogliono dare..." la butta là Logli. Scherza, ma non troppo. P.N.


 

Il Giornale di brescia 30-7-2007 Brown negli Stati Uniti per ribadire la "solidità dell'intesa Usa-Gb". IL PREMIER BRITANNICO SMENTISCE VOCI DI UN POSSIBILE RITIRO DALL'IRAQ Il premier britannico Brown interviene alla Camera dei Comuni

 

LONDRA - A Washington per ribadire a Bush la solidità della "relazione speciale" tra Usa e Gran Bretagna nonostante ora a Downing Street non ci sia più il fedelissimo Blair: questa la missione di Gordon Brown, alla sua prima puntata da premier Oltreoceano, preceduta dalle previsioni di "una presa di distanza" rispetto alla sintonia perfetta dell'era Blair. Un viaggio per enfatizzare un'amicizia che coincide però con la rivelazione, fatta dal Sunday Times, secondo la quale il nuovo governo britannico starebbe sondando le posizioni americane su un possibile ritiro dallo scacchiere iracheno, diventato per Londra troppo pesante da sostenere accanto al conflitto sempre più drammatico in Afghanistan. Il portavoce di Brown ha smentito seccamente questa circostanza affermando che il consigliere del premier per gli Affari esteri, Simon McDonald "ha chiaramente detto agli americani che la posizione britannica sull'impegno in Iraq non è cambiata", e negando che il premier abbia in tasca un piano per il ritiro britannico da illustrare a Bush. Secondo il domenicale McDonald avrebbe sentito l'opinione della Casa Bianca su un possibile ritiro anticipato delle truppe britanniche dall'Iraq. McDonald, ex ambasciatore in Israele, avrebbe dato l'impressione a numerosi esperti americani da lui consultati di "preparare il terreno" a Brown su questo tema scottante in vista della visita in corso negli Usa. Dal suo arrivo a Downing Street il successore di Blair ha riconosciuto che sono stati commessi degli errori in Iraq dall'invasione del 2003, ma si è rifiutato di fissare un calendario per il ritiro dei 5.500 soldati britannici. Brown, poco prima di volare in Usa, ha voluto chiarire che l'Asse con Washington non è in discussione. Gli Stati Uniti, ha affermato, restano il Paese con cui la Gran Bretagna ha "il rapporto bilaterale più importante", un rapporto fondato "sui valori comuni di libertà, opportunità e dignità dell'individuo". Le sue frasi sembrano contrastare dunque con la sensazione avuta da molti osservatori, e confermata da frasi di esponenti governativi, per la quale i rapporti Londra-Washington non sarebbero stati così stretti dopo la fine dell'era Blair. Ad esempio, il nuovo sottosegretario agli Esteri Lord Malloch Brown aveva detto nei giorni scorsi che i due Paesi "non sarebbero più stati come dei gemelli siamesi" nella politica estera. Ma Brown ha spiegato che, alla luce dei valori comuni tra Usa e Gb, "il rapporto non è solamente forte, ma può diventare ancora più forte negli anni a venire". I due leader toccheranno nei loro colloqui a Camp David i più importanti temi internazionali: Iraq, Afghanistan, Medio Oriente, Darfur, Kosovo, commercio internazionale, cambiamenti climatici. E, ha assicurato Brown: "Il rapporto tra un presidente Usa e un premier britannico sarà sempre forte, e io sono ansioso di incontrare Bush per discutere come lavorare insieme per affrontare le grandi sfide che abbiamo di fronte".


 

 

Il Corriere della Sera 29-7-2007 Cellulari, ribassi per le telefonate all'estero Risparmi fino al 50 per cento . Tim, Vodafone e Wind si adeguano alla direttiva di Bruxelles, anticipando l'entrata in vigore dell'eurotariffa      

 

ROMA - Scattano i primi ribassi per le telefonate all'estero. Tim, Vodafone e Wind hanno deciso infatti di ridurre le tariffe di roaming anticipando l'entrata in vigore dell'eurotariffa, il tetto di prezzo che un operatore può applicare per le chiamate effettuate o ricevute all'estero in un Paese dell'Ue. Per chi usa il cellulare all'estero, dunque, in arrivo telefonate meno care, sempre che resti all'interno dell'Unione Europea.

TIM, WIND, VODAFONE E 3- Tim si adeguerà all'eurotariffa dal 30 agosto: il costo delle chiamate dall'estero potrebbero ridursi anche del 50%. Anche Wind si uniformerà alle direttive europee ed il passaggio avverrà in modo automatico e su tutti i piani tariffari, anche quelli promozionali o opzionali. Il risparmio sarà del 25% rispetto alle tariffe attuali. Vodafone, invece, già da domenica 29 luglio rende operativa la novità anche se per l'attivazione del beneficio bisognerà chiamare il 42070 ed eventualmente rinunciare all'offerta Passport lanciata nel giugno 2005. Eurotariffa dopo il 30 agosto anche in casa 3: fino ad allora l'operatore Umts lascerà in vigore 3 Like Home, che, afferma 3 Italia, «nella maggior parte dei casi è più conveniente». La proposta prevede infatti per chi si trova all'estero in un Paese dove il Gruppo 3 è presente, la possibilità di chiamare allo stesso prezzo della tariffa nazionale più lo scatto alla risposta.

BRUXELLES - Secondo la direttiva di Bruxelles, a cui i gestori si uniformano, ogni operatore non può far pagare più di 0,588 euro al minuto a chi chiama da uno dei 26 paesi Ue verso un altro, e 0,288 euro a chi riceve la telefonata. Valori, questi, che devono comprendere tutti gli elementi fissi e per i quali non sono previsti costi di attivazione. Bruxelles ha inoltre predisposto anche un preciso calendario per i tagli previsti nei prossimi anni: il 30 agosto 2008 si scenderà a 0,552 euro e per le chiamate in uscita a 0,264 euro per quelle in entrata; il 30 agosto 2009 il tetto sarà posto a 0,516 euro e 0,228 euro.

29 luglio 2007


 

Libertà 30-7-2007 UE All'Italia 29 miliardi I fondi sono suddivisi in quattro settori

Quasi ventinove miliardi di euro: è l'ammontare dei fondi europei a disposizione dell'Italia di qui al 2013 per lo sviluppo regionale. Ieri sono state definite le priorità della strategia d'investimento, legate alla strategia europea per la crescita e l'occupazione, conosciuta come "Agenda di Lisbona". Tra le priorità, hanno un posto di particolare rilievo l'efficienza energetica, il ricorso alle fonti rinnovabili e l'investimento nelle competenze del lavoro. I due fondi europei che finanziano queste azioni sono il Fondo di Sviluppo Regionale (FESR) e il Fondo Sociale (FSE). Per l'Emilia Romagna, questo si traduce in una disponibilità di 296 milioni per il Fondo Sociale e 128 milioni per il Fondo di Sviluppo Regionale, di cui rispettivamente 39 e 17 per l'anno in corso. Tutti i programmi operativi delle regioni saranno approvati entro la fine del 2007. La Commissaria europea per la politica regionale Danuta Hübner si è congratulata "in particolare per l'impegno italiano a investire una notevole parte delle risorse nell'efficienza energetica e nelle fonti d'energia rinnovabili. Si tratta di un impegno molto importante perché quello dell'energia è uno dei problemi centrali che l' Europa dovrà affrontare nell'immediato futuro". L'altro grande cantiere d'intervento è quello delle risorse umane e dell'investimento nelle competenze, per "conseguire qualifiche più elevate e a trovare posti di lavoro più gratificanti", come ha detto il Commissario all'occupazione Spidla. I 28,8 miliardi di euro a disposizione nel periodo di programmazione 2007 - 2013 sono suddivisi in quattro grandi settori: lo sviluppo di circuiti di conoscenza; l'incremento del tenore di vita, associato a una maggior sicurezza dei cittadini e all'integrazione sociale; infine, la promozione dei distretti industriali, dei servizi e della concorrenza, soprattutto attraverso l'internazionalizzazione e la modernizzazione dell'economia. Tra le azioni che sarà possibile sostenere si va, ad esempio, dall'aumento della qualità della vita e dell'attrattività del territorio, attraverso il potenziamento delle condizioni di sicurezza per la gente e gli investitori, al la diversificazione del turismo e l'allungamento della stagione turistica. Ma anche il collegamento con le reti transeuropee dei trasporti e dell'energia, o i regimi di ingegneria finanziaria destinati alle piccole e medie imprese. Gli obiettivi verranno raggiunti attraverso programmi operativi, i più importanti dei quali sono fissati su base regionale. Le regioni dell'obiettivo "Convergenza", cioè quelle che devono colmare un divario - purtroppo crescente - negli indicatori di sviluppo economico sono Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Basilicata, che saranno le principali beneficiarie. L'obiettivo "Competitività regionale e occupazione" riguarda un gruppo eterogeneo di regioni, formato da tutte le regioni settentrionali, alcune delle quali hanno un Prodotto Interno Lordo (ovvero un livello economico) pro-capite molto più alto della media UE e da regioni meridionali che non rientrano più nell'obiettivo "Convergenza". La mappa dei fondi italiani si trova nel sito: http://www.ec.europa.eu/regional_policy/atlas2007/fiche/it_en.pdf. Ulteriori informazioni sulla politica regionale europea sono reperibili presso: http://ec.europa.eu/regional_policy/index_en.htm, mentre sull'occupazione, gli affari sociali e le politiche di pari opportunità in Europa si trova: http://ec.europa.eu/employment_social/index_en.html [.


 

La Stampa 26-7-2007 Il boom dei conti online

 

MILANO
Gli italiani usano sempre di più la banca "on line", anche se i conti "internet" in Italia continuano ad essere troppo cari, nonostante una riduzione dei suoi costi negli ultimi anni. È la fotografia del periodico rapporto di KPMG Advisory, giunto alla sua 14* edizione, che analizza su base semestrale l’evoluzione della finanza elettronica nel nostro Paese.

I risultati dello studio indicano che nel secondo semestre 2006 erano oltre 10 milioni i conti on line, di cui circa 3,4 milioni effettivamente utilizzati.

È quindi ancora elevato il numero di conti sottoscritti ma ancora inattivi, ma allo stesso tempo tende ad ampliarsi la base dei nuovi clienti che iniziano ad utilizzare l’e-Banking: nei primi sei mesi del 2006, infatti, sono state circa 300.000 le persone che hanno «sperimentato» i servizi finanziari via web per la prima volta.

L’incidenza dei conti "on line" sul totale dei conti correnti del sistema bancario italiano (pari a circa 37 milioni di conti) si aggira intorno al 27%. Nel secondo semestre dello scorso anno sono state portate a termine circa 44 milioni di operazioni bancarie on line. Internet è sempre di più un’alternativa rispetto allo sportello tradizionale: la clientela ha realizzato on line circa 24 milioni di operazioni di tipo bancario, con un incremento del 13% rispetto al periodo precedente.

Si tratta prevalentemente di pagamenti e bonifici (15 milioni), ricariche di cellulari e carte pre-pagate (8,6 milioni) ma anche pagamenti di tasse e imposte. La parte rimanente dell’operatività fa riferimento all’attività di trading on line, che con circa 20 milioni di eseguiti corrisponde ormai a più del 26% dell’intera attività di intermediazione di Borsa Italiana. Per Anna Ponziani, responsabile Ufficio Studi KPMG Advisory e curatrice del rapporto «In una fase caratterizzata da operazioni di concentrazione e d’internazionalizzazione del sistema bancario italiano sarà interessante capire quali leve saranno utilizzate dalle banche per aumentare la penetrazione della finanza on line nel nostro Paese, nella consapevolezza che questo canale permette di ridurre sensibilmente la loro struttura di costo».

Lo studio confronta anche il costo medio di un canone annuo per il conto/accesso on line in Italia rispetto ad altri paesi europei: nonostante nel nostro Paese negli ultimi due anni si sia assistito ad una notevole riduzione dell’importo medio del canone (sceso da 42 a circa 31 euro), in Italia il costo medio di un conto on line, continua ad essere più elevato rispetto alla Spagna (in media 21 euro), alla Francia (20 euro), al Regno Unito e all’Olanda, dove l’uso del conto on line normalmente è addirittura gratuito. Lo studio fornisce anche delle stime in merito ai risultati ottenuti dall’e-Banking nella riduzione dell’operatività allo sportello: con il progressivo utilizzo del canale internet l’operatività allo sportello tradizionale per quanto concerne bonifici e altri pagamenti si è ridotta del 30%; ancora più rilevante l’impatto nella compravendita di titoli, in cui il coinvolgimento dello sportello è diminuito del 40%.

Secondo il rapporto, infine, i primi cinque gruppi bancari italiani (BancoPosta, Capitalia, Intesa, SanPaolo e Unicredit) detengono quasi il 60% delle quote di mercato dell’e-Banking nel nostro Paese.


INDICE 27-7-2007

INDICE 27-7-2007  1

Tgroseto.net 26-7-2007 Raccolta firme per indizione di 4 referendum abrogativi in Abruzzo. 1

Economia-oggi.it 26-7-2007 WALL STREET: DOMINA IL ROSSO, PESA CRISI MERCATO IMMOBILIARE  2

Il Secolo XIX 27-7-2007 Soltanto se cala la spesa si  possono ridurre le tasse  Massimo Baldini 2

Europa 27-7-2007 Se chi stupra o incendia è elettore sindaci e governatori voltano la testa . FEDERICO ORLANDO  5

L’Unità 27-7-2007 Mediobanda Marco Travaglio  5

Finanza e mercati 27-7-2007 È scattata l'offensiva della vigilanza sui derivati delle banche italiane. Secondo quanto risulta a F&M, Banca d'Italia, di concerto con la Consob, ha avviato una "ricognizione generale" sulle esposizioni del sistema bancario. 6

La Stampa 27-7-2007 Raul Castro apre agli Usa, ma soltanto nel dopo Bush. 7

Il Corriere della Sera 27-7-2007  A Genova la flotta dei velieri storici  La manifestazione ha come protagonisti i grandi «alberi» del mondo. 8

 


 

Tgroseto.net 26-7-2007 Raccolta firme per indizione di 4 referendum abrogativi in Abruzzo.

Notizie Abruzzo

Riceviamo e Pubblichiamo - Per la prima volta in Abruzzo è in atto in questi giorni la raccolta delle firme per la indizione di 4 Referendum abrogativi per la riduzione dei costi e degli sprechi della politica.

Si chiede ai Cittadini abruzzesi di firmare per abrogare il vitalizio per i Consiglieri regionali cessati dal mandato, la indennità di funzione dei Consiglieri Regionali, che attualmente è pari a 8.082,31 euro lordi mensili, eliminando quei trattamenti economici abnormi e confusi attribuiti in modo esclusivo ad alcuni soggetti per il solo fatto di ricoprire una carica allinterno del Consiglio Regionale, della Giunta, delle Commissioni e Gruppi o in organi di vertice di nomina politica degli enti strumentali della Regione.

Tali compensi si sono consolidati e moltiplicati negli anni a partire dalla Legge Regionale n. 22 del 30 maggio 1973 e vengono attribuiti mensilmente a tutti i Consiglieri Regionali, e con una indennità aggiuntiva ad alcune cariche istituzionali quali il Presidente della Giunta ed il Presidente del Consiglio regionale, gli Assessori i Vice Presidenti del Consiglio, i Presidenti delle Commissioni consiliari, dei Gruppi consiliari (anche se composti da un solo Consigliere) ed i Segretari del Consiglio i Vice Presidenti ed i Segretari delle Commissioni rispettive.

Con questi 4 referendum anche i Cittadini abruzzesi si trasformano, per la prima volta dalla nascita dellistituto Regione, in possibili legislatori.

Il Comitato promotore, a quasi un mese dallinizio della campagna referendaria di raccolta delle firme specialmente presso le sedi istituzionali dei Segretari Comunali, dei Cancellieri di Uffici Giudiziari, Giudici di pace e Notai abruzzesi, prende atto con sconcerto del fatto, sorprendente sul piano democratico e della funzione pubblica della informazione, che proprio alcuni (per fortuna non tutti!) dei più importanti organi di stampa regionale stiano praticando, nei fatti e forse con predeterminazione studiata nelle stanze dei poteri forti e degli ancora vincenti ed imperanti potentati politici e controllori di quei pozzi di San Patrizio che sono gli Enti Strumentali e le Società partecipate della Regione, delle Province e dei Comuni e loro Consorzi, una pesantissima forma di censura e killeraggio nei confronti dellenorme ed impari sforzo che Comitati locali e singoli Cittadini abruzzesi stanno compiendo per la raccolta delle firme per i 4 referendum regionali, in un periodo durissimo, di ferie estive ed in presenza di un caldo torrido che blocca, scoraggia ed impedisce ogni forma di informazione diretta nelle piazze e nei luoghi di aggregazione e rende impraticabile la stessa tradizionale forma di propaganda sonora in movimento ed i giornali parlati, il cosiddetto spicheraggio autogestito e volontario attraverso un mezzo mobile che giri per lAbruzzo.

Meraviglia che tali organi di stampa, che tanto si effondono in proclami sui costi della politica, non si pronuncino affatto, non informino e, come sarebbe logico, non sostengano direttamente proprio i referendum regionali in Abruzzo i quali, allo stato delle cose a livello nazionale, sono gli unici strumenti democratici che i Cittadini hanno a disposizione per contribuire alla riduzione dei costi della politica e delle caste. E possibile un cambiamento di rotta? Oppure il Comitato dovrà acquistare delle pagine o diffondere degli spoot a pagamento, contraddicendo lo spirito stesso dei 4 referendum almeno per i quali le spese si dovrebbero ridurre al minimo?

Pio Rapagnà
Comitato Promotore dei Referendum 

 

 

 

 

 


Economia-oggi.it 26-7-2007 WALL STREET: DOMINA IL ROSSO, PESA CRISI MERCATO IMMOBILIARE

(AGI/REUTERS) - New York, 26 lug. -Seduta allinsegna del rosso per Wall Street in quello che potrebbe diventare il nuovo giovedi nero. Gli indici di borsa americani perdono oltre il 2% colpiti dai timori per la crisi nel settore immobiliare Usa e per il rialzo dei prezzi del petrolio. Le forti perdite hanno spinto il Nyse a imporre tetti agli scambi per restringere le vendite in blocco. A piu di due ore dal termine della seduta Il Dow Jones perde il 2,08% a 13.499 punti e il Nasdaq retrocede del 2,3% a quota 2.587.
A rafforzare i timori ha contributo il dato sulle vendite di nuove case negli Stati Uniti che ha evidenziato una flessione del 6,6%. Anche il prezzo del petrolio, salito sopra i 77 dollari, mette in allarme gli investitori. Ma la preoccupazione maggiore e
rappresenta dal credit crunch, una crisi generalizzata di liquidita. Il rischio e che la crisi dei mutui subprime Usa, quelli elargiti alla clientela piu a rischio, possa estendersi ad altre branche del credito. Finora il contagio ha colpito soprattutto le obbligazioni garantite da mutui ipotecari, specie quelle come i Cds (credit default obligation) e i Cdo (obbligazioni collaterali sul debito), il cui abuso ha contribuito a spalmare la crisi dei mutui Usa sugli altri mercati finanziari. (AGI)
Gio


Il Secolo XIX 27-7-2007 Soltanto se cala la spesa si  possono ridurre le tasse  Massimo Baldini

 

Il governo Prodi è nato all'insegna di tre parole d'ordine, che avrebbero dovuto segnarne l'azione: Sviluppo, risanamento ed equità. Sullo sviluppo, malgrado il buon andamento della congiuntura, continuiamo a crescere meno degli altri paesi europei per la presenza di molti problemi strutturali, dall'invecchiamento demografico alla carenza di infrastrutture, dal cattivo funzionamento della pubblica amministrazione alla piccola dimensione media delle imprese. Tutti problemi noti. Come sono stati affrontati? Un eventuale sondaggio che chiedesse agli italiani quali sono state le scelte di politica economica più importanti del governo vedrebbe emergere probabilmente tre punti: riduzione del cuneo fiscale, liberalizzazioni e lotta all'evasione. L'obiettivo della riduzione del cuneo fiscale, realizzata attraverso l'Irap, è il recupero di competititività delle imprese. Una diminuzione del costo del lavoro ha effetti simili alla svalutazione del tasso di cambio, ma si tratta di un sollievo che viene ben presto meno se la competitività continua a diminuire a causa di meccanismi strutturali. Le imprese hanno iniziato un processo di ristrutturazione, obbligate dalla concorrenza internazionale. I frutti si vedranno solo nel lungo periodo. L'altra importante scelta del governo per favorire lo sviluppo consiste nelle liberalizzazioni. I risultati concreti sono ancora molto modesti, ma la strada è giusta, perché più del 70% del pil è prodotto dal settore dei servizi. Mentre ampi settori dell'industria sono obbligati a modernizzarsi sotto la spinta della concorrenza estera, molti servizi si rivolgono ad un mercato solo locale, ed è quindi necessario che lo stimolo ad una maggiore concorrenza provenga da interventi della politica. Sull'equità, nel centrosinistra convivono due visioni molto distanti: da una parte una impostazione meritocratica che vede nel mercato il luogo in cui gli individui possono realizzare le proprie capacità, lasciando allo Stato il compito di eguagliare le opportunità e di correggere le inefficienze e le iniquità che il mercato produce. Da un'altra parte c'è una visione risarcitoria, che vuole rimediare alle disuguaglianze redistribuendo il reddito. Terza via contro socialdemocrazia, diciamo. Queste teorie hanno un punto in comune: entrambe privilegiano i trasferimenti monetari come strumento per realizzare una maggiore equità e ridurre le diseguaglianze. Trasferimenti condizionati all'impegno individuale oppure sgravi fiscali secondo l'impostazione meritocratica, trasferimenti subordinati solo ad un basso livello di reddito secondo l'approccio risarcitorio. Il dibattito si consuma così giorno per giorno alla ricerca di un piccolo aumento delle pensioni basse, di un piccolo sgravio Irpef a favore dei redditi medi, di una modesta riduzione dell'Ici. L'enfasi posta sulla redistribuzione monetaria produce delusione nell'elettorato, perché i vincoli sulle risorse permettono redistribuzioni molto limitate, come la vicenda dell'ultima riforma Irpef insegna. Relega inoltre in secondo piano (nelle scelte concrete, più che nelle dichiarazioni di intenti) i problemi strutturali, nonché il tema della riqualificazione dei servizi pubblici, fondamentali per aumentare anche l'efficienza della nostra economia. Venendo infine al risanamento, lo stesso viceministro Visco ha riconosciuto, due giorni fa, che il miglioramento dei conti pubblici è frutto del buon andamento delle entrate. La lotta all'evasione, una bandiera del governo, è un obiettivo giusto, ma è stata fatta spesso in modo rozzo, con la clava più che con il fioretto. L'esito è stato un forte calo dei consensi. Gli obiettivi oggi dovrebbero essere semplificare gli adempimenti e ridurre le aliquote sui contribuenti onesti. Visco li condivide, ma essi si scontrano con il vero limite di questo primo anno di governo: l'incapacità di controllare la dinamica della spesa. Malgrado le buone intenzioni e le iniziative di monitoraggio avviate, di fatto la spesa pubblica continua a seguire una dinamica indipendente dalle scelte dell'esecutivo. La prossima Finaziaria dovrà recuperare almeno 15 miliardi per coprire spese su cui il governo si è già impegnato, come l'aumento degli stipendi pubblici o il rifinanziamento di strade e ferrovie, fino al taglio dell'Ici. Se si vuole mantenere la promessa di ridurre le tasse sugli onesti, bisognerà tagliare la spesa pubblica, ma il recente dpef è assolutamente vago su come farlo. È praticamente impossibile trovare tante risorse in così poco tempo. Sarebbe ingeneroso giudicare dopo solo un anno una politica economica impostata su un profilo più ampio. Dei primi passi del governo Prodi restano, sul fronte economico, l'avvio delle liberalizzazioni e una nuova attenzione all'equità. Ancora poco è stato fatto sul terreno dello sviluppo, mentre i conti pubblici sono lontani dalla stabilità. Gli obiettivi di lungo periodo sono condivisibili, ma la debolezza parlamentare e le divisioni interne nelle priorità da perseguire non hanno contribuito alla chiarezza nella scelta degli strumenti con cui perseguirli. 27/07/2007 vincenzo tagliasco Sul Secolo XIX di martedì scorso, Giovanni Mari usa come incipit al suo articolo dedicato al fenomeno del nepotismo all'Università la citazione di un brano dell'intervento di Alessandro Repetto, presidente della Provincia di Genova (che riporto così come l'ho letto sul giornale): "Basta con il nepotismo nell'Università. Il futuro di Genova e della Liguria presenta problemi anche per una questione generazionale: ai giovani, anche quelli bravi e dai grandi meriti, mancano opportunità. E questo accade anche perché sono troppe le cattedre che passano da padre a figlio, perché sono troppe le preferenze che premiano ricercatori a danno di altri più preparati". Intervengo perchéè un tema che mi ha sempre oppresso, da quando nel lontano ottobre 1959, mi ribellavo - anche e soprattutto fisicamente - a quegli anziani che tiranneggiavano e taglieggiavano noi matricole al Politecnico di Milano, scendendo da prestigiose Alfa Romeo SS rosse fiammanti, e di cui noi, frequentatori della Casa dello Studente di Viale Romagna, conoscevamo prestigiose ascendenze: figli di magistrati, di primari, di professori universitari, di politici, di industriali e commercianti. Successivamente i temi dell'eredità, dell'iniqua prassi di evadere le tasse, dell'ingiustizia nella distribuzione di opportunità concesse ai giovani ha forgiato le mie idee politiche impedendomi di condividere pienamente la militanza in partiti vicini al mio modo di concepire la libertà, la giustizia, la solidarietà proprio perché, in alcuni (anche se limitati) casi, le prassi di vita e di comportamento non erano congrui con le idee sacrosante professate e sancite in pagine stupende di comuni Maestri. Appartengo a quella categoria di persone che non sono riuscite a evolvere, che non sono state in grado di superare attraverso l'esperienza i sogni e i miti dell'età giovanile. Sono pervicacemente rimasto ai tempi delle violente discussioni di fronte al Politecnico, con rabbia immutata. Ho dedicato molte pagine di alcuni miei libri al terribile tema di come rapportarsi ai propri figli, senza cadere nella trappola di commettere ingiustizie nei riguardi dei figli degli altri. Per questo ho apprezzato molto che Mari abbia sottolineato, del convegno al quale ha partecipato Alessandro Repetto, proprio questo aspetto che considero strategico nel momento attuale che sta vivendo la società italiana. La rivista Il Mulino ha dedicato al tema della "generazione immobile" il suo ultimo numero (3/2007) dove l'articolo di Ilvo Diamanti è intitolato "Il Paese dove il tempo si è fermato". Un altro articolo ha come titolo "Le prerogative perdute dei giovani": ebbene, questa è l'analisi della realtà valida non per tutti i giovani, ma solo per quei giovani che non hanno alle spalle la famiglia importante in grado di progettare loro il futuro. E questo non avviene solo all'Università. E questo, anche nel passato in Italia, avveniva non solo all'Università ma in molti altri settori. Un mio grande maestro di scienza, liberale convinto e aspro critico delle mie tendenze di sinistra, amava sottolineare che mentre i suoi amici industriali o commercianti potevano lasciare in eredità ai figli l'impresa, lui poteva investire solo in cultura e, per questo motivo aveva mandato a studiare il figlio negli Usa, invitava prestigiosi professori nella sua villa nel Levante genovese e con orgoglio, citava tre lavori in collaborazione con tali scienziati, scritti dal figlio prima che si laureasse. Il problema è grave. La societàè immobile proprio perché i genitori di oggi sono molto più sofisticati di quelli di un tempo. Nel passato, almeno c'era la soddisfazione da parte dei perdenti di denunciare l'incapacità, se non la dabbenaggine, del figlio del potente di turno; così come il figlio dell'industriale e del commerciante erano palesemente inadeguati a gestire l'impresa di famiglia. Oggi le cose non stanno più in questi termini. Il dolore è doppio: non solo il vincente (in tutti i campi) è portatore di un nome, è figlio d'arte, ma molto spesso ha un curriculum progettato a tavolino dalla lungimiranza della famiglia che lo mette al riparo di molte critiche. Questo non avviene solo all'Università; vale anche per gli attori del cinema e del teatro (che spesso generano sceneggiatori e registi, ma sempre nel mondo dello spettacolo), nel campo delle professioni (medici, notai, avvocati, commercialisti?.); e che dire del settore ampio e variegato della comunicazione (televisione, radio, giornali, agenzie di comunicazione)? E questo non avviene solo in Italia. Anche negli Usa il Washington Post e il New York Times hanno denunciato, recentemente, più volte l'aggiramento del sogno americano (per cui tutti possono emergere sulla base del loro merito) proprio a causa della diabolica abilità delle nuove generazioni di genitori abbienti e acculturati. Qualche esempio. Professori di Boston - oltre ad allenare i loro figli per tutto il corso delle high school alle tematiche di logica e di matematica, pagando tutor privati, solo al fine del superamento dei test di ammissione alle università più prestigiose - si consorziano per riuscire a pagare i 100.000 dollari richiesti, annualmente, da sofisticate cinesi in grado di insegnare lingua e cultura cinese ai loro pargoli; circa la metà costa un'insegnante di lingua araba.Eppure tutto è fatto alla luce del sole; nessun dubbio sul valore del figlio dei genitori avveduti. Intellettuali e professionisti Usa sono terrorizzati che i loro figli possano avere un tenore di vita, uno status sociale inferiore al loro di baby boomers: investono nella preparazione dei loro figli nello stesso modo in cui un imprenditore investe nella sua fabbrica al fine di garantire il futuro dei figli. Su questo tema grandi pensatori dell'Ottocento hanno già scritto quasi tutto; basterebbe andarseli a rileggere, proprio come fanno gli avveduti professori di Harvard che progettano il futuro dei figli. Che fare? Sempre trovando ispirazione nei pensatori di cui sopra la ricetta è apparentemente semplice: far pagare a tutti le tasse e utilizzarle per migliorare il sistema scolastico a partire dalle scuole materne affinché le differenze di preparazione non siano così profonde come oggi. Le scuole di recitazione e di cinema dovrebbero poter assumere insegnanti di grande livello a disposizione anche dei non-figli d'arte; l'insegnamento delle lingue (di tutte le lingue) dovrebbe avvenire dai primi anni; l'insegnamento della matematica e della logica dovrebbe essere fatto da insegnanti talmente super pagati da esprimere al meglio la loro fantasia e creatività; si dovrebbe favorire lo studio all'estero; si dovrebbero creare opportunità di lavoro di ricerca scientifica nelle imprese, soprattutto nelle imprese (e non solo nelle Università e in altri Enti pubblici di ricerca). Ma tutto questo costa un sacco di soldi e contravviene a quello che predicavano i pensatori dell'Ottocento di cui sopra: la giustizia, la solidarietà l'eguaglianza. In altre parole, tutti dovrebbero essere onesti e pagare le tasse: ossia dare a Cesare quel che è di Cesare. Conosco e apprezzo molto Alessandro Repetto: ha fatto molto bene a denunciare il problema. Spero che non si fermi solo all'Università. Sono infinite le coorti di giovani, nei più diversi contesti di lavoro professionale, che vivono il dramma condensato nella frase: "Cari ragazzi, sfortunati figli di genitori "normali", il futuro non abita più qui!". vincenzo tagliasco è ordinario di Bioingegneria all'Università di Genova. 27/07/2007.


 

Europa 27-7-2007 Se chi stupra o incendia è elettore sindaci e governatori voltano la testa . FEDERICO ORLANDO

Cara Europa, leggo su diversi giornali le lamentele di sindaci, governatori, operatori turistici, cittadini per i “ritardi” con cui in alcune zone, vedi Gargano, sarebbero arrivati i soccorsi della Protezione civile.
Ma di che cosa ci si meraviglia? Non è stato sempre così? A Catanzaro i vigili del fuoco non hanno nemmeno un elicottero.
E chiamare presto i soccorsi, prima che l’incendio produca i suoi risultati, non sta bene. La mafia potrebbe offendersi.
LETTORE CALABRESE

 

Caro lettore calabrese, capisco. Un anno (oltre vent’anni fa) venni a villeggiare nella vostra tragica regione, con grande godimento per le sue bellezze e grandi incazzature per lo sfregio che ne fanno cittadini, amministratori, imprenditori, governanti regionali, mafiosi e tutti i parassiti che vivono sfruttando ciò che madre natura ha dato a tutti.
Denunciai sul mio giornale quel che avevo visto e, da allora, non ho più avuto un invito in Calabria, neanche dagli amici. Ecco perché, dicevo, capisco che lei si mimetizzi.
Naturalmente, lei a sua volta capirà che una terra fatta così è condannata a restare ferma, a vivere di rendita finché c’è un capitale (la natura) che la produce. E poi alla malora.
Vale per tutto il Mezzogiorno. Conosco, per esserci stato anch’io, i luoghi del Gargano devastati dagli incendiari.
Perché ci andiamo? Perché sono belli. L’anno prossimo non ci andremo, perché sono diventati brutti. Non per questo chi avrà perso clienti avrà perso tutto. Si sa come vanno le cose degli incendi. Sono quasi tutti su ordinazione.
C’è chi vuole deprezzare il valore degli impianti esistenti per acquistarli a costo ridotto. A rimboschire e a ricostruire ci penseranno i soldi degli italiani, che affluiranno generosi sotto forma di finanziamento al rimboschimento, credito turistico, risanamento ambientale.
Capisce perché al nord vogliono il federalismo fiscale? Hanno ragione. Nel frattempo, i vostri operai forestali, che hanno finito di lavorare nella scorsa primavera, potranno essere riassunti nel prossimo autunno e garantirsi altri sette otto mesi di salario. Gli speculatori edili potranno in una notte gettare le fondamenta dei loro “rustici” e attendere poi l’immancabile condono per completare l’opera: è sempre stato così, dice lei, si costruisce sul demanio dello stato e si condona; si costruisce in riva ai fiumi o nelle aree archeologiche e si condona; si costruisce sulle terre incendiate (precluse per legge a destinazioni edilizie) e si condona.
È sempre stato così, centrodestra o centrosinistra non cambia niente. Da un po’, quando votiamo, in certe zone noi elettori abbiamo solo l’imbarazzo di scegliere se votare la mafia di destra o quella di sinistra, che è sempre la stessa mafia, vestita una volta di rosso una volta d’azzurro secondo come spira il vento. Vale per gli incendi, vale per l’edilizia, vale perfino per gli stupri: il sindaco (ds) di Montalto di Castro, dopo dieci giorni di richieste di dimissioni, ha scritto ieri (ieri) una lettera all’Unità per chiedere scusa alla ragazza stuprata, che è di Tarquinia.
Lui, il sindaco, i soldi delle spese processuali li ha anticipati ai compaesani stupratori invece che alla forestiera stuprata. Figuriamoci quando daremo, come vorremmo, il voto amministrativo ai sedicenni. Amen.


 

L’Unità 27-7-2007 Mediobanda Marco Travaglio

 

Nell'immortale "Mezzogiorno e mezzo di fuoco"di Mel Brooks, il cattivo decide di arruolare una sporca dozzina con "i peggiori criminali del West" per dare l'assalto a Rock Ridge e mette su un banchetto, tipo raccolta firme, per il reclutamento. L'avviso parla chiaro: "Help Wanted. Cercansi spietati delinquenti per distruzione di Rock Ridge. 100$ al giorno. Precedenti penali indispensabili. Register here". L'addetto alla selezione, di fronte alla lunga fila degli aspiranti, è rigorosissimo. "Precedenti penali?", domanda al primo. E quello: "Stupro, assassinio, incendio doloso, stupro". "Hai detto stupro due volte". "Sì, ma mi piace tanto lo stupro!". "Ottimo, firma qua. Avanti il prossimo. Precedenti penali?". "Atti di libidine in luogo pubblico". "Non è mica tanto grave". "Sì, ma in una chiesa metodista!". "Ah, carino! Arruolato, firma qua!". Non che c'entri qualcosa, ma quella scena m'è tornata in mente quando ho letto che Luciano Moggi - per recitare con Lino Banfi nel remake del capolavoro neorealista "L'allenatore nel pallone" - ha fatto il suo ingresso nella scuderia di Lele Mora, già popolata di noti galantuomini del calibro di Fabrizio Corona, Gianpiero Fiorani e, pare, anche dalla nuova fiamma di Stefano Ricucci. Mancano all'appello Coppola e Vittorio Emanuele di Savoia, ma arriveranno presto. Lì però la selezione è un po' meno stringente che a Rock Ridge: tra i requisiti richiesti, i precedenti penali (Mora a parte) non sono indispensabili; basta una richiesta di rinvio a giudizio, o un mandato di cattura, o un avviso di garanzia. Un po' come per entrare a Mediobanca e negli altri cosiddetti "salotti buoni" (resta da capire quali siano quelli "cattivi"). Da questo punto di vista, la recente promozione di Cesare Geronzi (7 processi a carico, una condanna in primo grado per il crac Bagaglino, 2 interdizioni) a presidente di Piazzetta Cuccia, dopo la celebrata fusione tra Capitalia e Unicredit, lascia ben sperare. Non c'è nemmeno bisogno di aprire il reclutamento: basta prendere i giornali di ieri, appuntarsi i nomi dei rinviati a giudizio per lo scandalo Parmalat e di quelli per cui si chiede il giudizio per Antonveneta, e compilare le tessere ad honorem. Lì c'è il Gotha del capitalismo all'italiana, i furbetti del quartierino e i furbetti del quartierone. Si fa quasi prima a dire chi non c'è. Formazione tipo dei crac Parmalat e Ciappazzi: Tanzi, Geronzi, Arpe, Fiorani (lui c'è sempre), Armanini (Deutsche Bank), Tonna e altri 50. Formazione tipo della scalata Antonveneta: Fiorani (vedi sopra), Fazio, Grillo (Luigi, Forza Italia), Consorte, Sacchetti, Grillo, Gnutti, Zulli (il commercialista di Consorte, già socio dello studio Tremonti), Ricucci, Coppola, Zunino e altri 70 (il banchiere di Unicredit e Mediobanca, Fabrizio Palenzona, resta indagato in uno stralcio). Insomma, il fior fiore. Particolarmente interessanti le 17 pagine del rinvio a giudizio dedicate dal gip a Geronzi, che avrebbe "dato appoggio a Tanzi al di là delle regole", pur "a sicura conoscenza dello stato di decozione delle attività turistiche di Collecchio e dell'insolvenza di Parmalat", dunque diede "un consapevole contributo al dissesto" che gettò sul lastrico decine di migliaia di famiglie. Il suo avvocato non ha trovato di meglio che denunciare il gip di Parma alla Cassazione per essersi "spinto a esprimere il suo convincimento, con una vera sentenza di condanna". Ormai il precedente della Forleo fa scuola: se un gip fa il gip, viene insultato e denunciato; del resto chi si credere di essere: un gip? Geronzi è indagato anche per il crac Cirio: due anni fa il pm Orsi gli chiese perchè Capitalia seguitò a piazzare bond nel 2000, dopo che il comitato esecutivo era stato allertato col "semaforo giallo" sulla decozione del gruppo: "Chi ha comprato i bond 20 giorni dopo sapeva di questi semafori o andava al buio?". Geronzi rispose: "Le risulta che in Italia sia mai stato emesso un bond nel cui lancio siano stati informati i sottoscrittori dello stato di salute delle aziende?". In qualunque altro paese difficilmente chi si esprime così farebbe ancora il banchiere. Da noi viene promosso al vertice di Mediobanca. Se poi dovesse andare male, c'è sempre la villa di Lele Mora. O, alla peggio, il Parlamento. Ma solo in caso di condanna. Citofonare Cesare (l'altro). Uliwood party.


 

Finanza e mercati 27-7-2007 È scattata l'offensiva della vigilanza sui derivati delle banche italiane. Secondo quanto risulta a F&M, Banca d'Italia, di concerto con la Consob, ha avviato una "ricognizione generale" sulle esposizioni del sistema bancario.

 

Dopo lo scandalo che ha travolto Italease e i sospetti di posizioni in bilico che gravano su altre grandi banche, Mario Draghi e Lamberto Cardia hanno deciso di rompere gli indugi e di indagare a fondo su un elemento del sistema finanziario, la cui pericolosità è già stata segnalata in più occasioni da entrambe le autorità. Inoltre, non è escluso che siano stati aperti dossier su alcune singole società. La decisione di Bankitalia e Consob non stupisce vista la portata di quanto accaduto con Italease, un caso su cui sono destinate, tra l'altro, a emergere ancora importanti novità. Infatti, come emerso nei giorni scorsi, la Procura di Milano ha aperto un'indagine; mentre diverse associazioni dei consumatori stanno mettendo assieme dossier volti a dimostrare reati come la "truffa contrattuale", l'"insider trading" e l'"aggiotaggio", anche da parte dei broker che continuavano a consigliare di comprare il titolo Italease, nonostante fosse ormai nota la sua esposizione sui derivati. Le associazioni, inoltre, puntano il dito contro gli istituti che hanno fornito i derivati a Italease (praticamente tutte le grandi banche italiane ed europee) e sollevano sospetti sui "rapporti di interesse" intrattenuti fra alcuni membri del management di Italease e altri istituti. Sono state le stesse associazioni (l'Adusbef in particolare) ad allargare il tiro su altri gruppi, come UniCredit, contribuendo ai timori in merito già diffusi sul mercato. Negli ultimi mesi Draghi ha affrontato l'argomento derivati in più occasioni, fra cui l'intervento all'Abi e le "Considerazioni finali". Quando, dopo aver ricordato i benefici dei derivati, ha detto che: "Essi possono tuttavia divenire fonte di instabilità se utilizzati dagli intermediari non per coprire il rischio esistente, bensì per accrescere la quantità dei rischi da assumere. I derivati di credito possono modificare, inoltre, il modus operandi delle banche che se ne servono: se chi eroga il prestito ne cede in parte il rischio ad altri, l'incentivo a vagliare la qualità dei debitori può ridursi". Cardia, invece, in occasione dell'incontro annuale con il mercato finanziario, ha spiegato che "il ricorso agli strumenti derivati rappresenta un fenomeno di crescente diffusione ed è oggetto di attenzione da parte delle autorità di vigilanza per gli effetti sul livello complessivo di rischio per il sistema e la distribuzione tra i singoli utilizzatori". A fine 2006, il controvalore nozionale delle posizioni in derivati era pari ad oltre 6.000 miliardi di euro, concentrato quasi interamente sui primi dieci gruppi bancari italiani.

 


 

La Stampa 27-7-2007 Raul Castro apre agli Usa, ma soltanto nel dopo Bush.

 

Nella prima commemorazione senza Fidel, l'offerta di dialogo e ammissioni sulla malattia del fratello: «Un duro colpo»

Pronto a dialogare con gli Stati Uniti, se cambiano una politica «assurda» e «illegale»: un’apertura a metà quella di Raul Castro, a capo del governo della Cuba orfana di Fidel.
Oggi è stata la sua giornata. Davanti a 100mila cubani in piazza per celebrare la «giornata della rivoluzione», la prima senza la presenza di Fidel, ha parlato della malattia del fratello:«Un duro colpo». Poi l’appello agli americani, per nulla gradito a Washington.

L’appuntamento era nella piazza centrale di Camaguey, a sud-est dell’Avana. Raul ha fatto un discorso sobrio, rispetto ai comizi fiume di Fidel, appena un'ora.  E ha dato, a suo modo,un'indicazione di voto. La nuova amministrazione degli Stati Uniti - ha detto, alludendo alle elezioni per la Casa Bianca del 2008 - «dovrà decidere se perseverare in una politica assurda, illegale e infruttuosa contro Cuba, oppure accettare il ramo d’ulivo che le abbiamo teso».

Il riferimento è a un discorso pronunciato all’Avana lo scorso 2 dicembre, nel quale lo stesso Raul aveva sottolineato «la disponibilità a risolvere per via negoziale il contenzioso tra Cuba e gli Stati Uniti». «Se le autorità americane metteranno da parte il proprio senso di onnipotenza e decideranno di discutere in modo civile - ha concluso - saranno le benvenute».  Altre volte, in passato, Raul era sembrato esprimere un atteggiamento di prudente apertura nei confronti dell’amministrazione statunitense. Il discorso pronunciato oggi, però, ha un valore politico diverso. In piazza, a ricordare l’assalto rivoluzionario alla caserma Moncada, non c’era Fidel. L’ottanuntunenne lider maximo non compare in pubblico dal luglio scorso, quando fu costretto a passare i peini poteri al fratello dopo un ricovero d'urgenza in ospedale.

In questo anno Fidel è stato sottoposto a diversi interventi chirurgici all’intestino, ma la natura della sua malattia, un cancro terminale secondo gli Stati Uniti, resta misteriosa. Di recente ha ripreso in parte le sue attività, pubblicando una serie di articoli e saggi. Le redini, però, restano in mano al fratello.  Che oggi lo ha evocato. «Difficilmente avremmo potuto immaginare il duro colpo che ci attendeva. Sono stati momenti davvero difficili, ma con conseguenze diametralmente opposte rispetto a quelle che volevano i nostri nemici, speranzosi nel crollo del socialismo cubano». A Camaguey, migliaia di magliette rosse e bandiere nazionali. «Fidel sarà sempre il capo ma ora lo è anche Raul», ha detto Gilberto Guerrero, un pensionato con alle spalle tanto lavoro nelle piantagioni di canna da zucchero. «Fidel è in via di guarigione». Speranze non condivise dalla Casa Bianca. Alle parole del presidente ad interim, il portavoce Sean McCormack ha risposto gelido. «L’unico dialogo che serve è con il popolo cubano. Aspettiamo il giorno in cui i cubani possano aver un dialogo libero e aperto. Non deve avvenire negli Stati Uniti, ma a Cuba».


 

Il Corriere della Sera 27-7-2007  A Genova la flotta dei velieri storici  La manifestazione ha come protagonisti i grandi «alberi» del mondo.

 

La Tall Ships Races quest'anno si svolge nel Golfo ligure. Tra prestigiose imbarcazioni d'epoca ci sono la Vespucci e la Palinuro

 

GENOVA - Dopo le gloriose edizioni del 1992 e del 2000, Genova ha l’onore dopo tanto tempo di ospitare la Tall Ships’ Races 2007 Mediterranea, il grande evento internazionale dedicato alle più alte e lunghe navi a vela al mondo. Ma al contrario delle due occasioni precedenti, dove Genova era una tappa di partenza, questa volta il capoluogo ligure ospita la conclusione di tutta la regata, offrendo ai genovesi e ai turisti un’occasione ancora più importante per accogliere queste «vecchie signore» del mare. Le imponenti navi storiche, solitamente abituate a navigare nelle acque del Nord, si preparano infatti a ricevere un’accoglienza principesca nel cuore della città, a Porto Antico e anche nelle zone limitrofe, che coinvolgeranno il grande pubblico di equipaggi e visitatori in una grande festa della durata di quattro giorni. Sabato 28 luglio, a partire dalla prime luci della mattina, i 33 velieri che hanno affrontato l’ultima tappa della gara ormeggeranno nel «salotto buono» del porto di Genova, occupando tutta l’area compresa fra i Magazzini del Cotone e la Stazione Marittima. Ad aspettarli in porto c’è già una delle più rappresentative tall ships contemporanee, Shosholoza, arrivata appena due giorni fa da Valencia, che con l’evento genovese condivide il main sponsor, MSC Crociere, e i comuni intenti di offrire la possibilità ai giovani, anche ai meno abbienti, di amare la vela e il mare, come il team sudafricano fa nel suo paese da anni grazie alla Izivunguvungu MSC Foundation for Youth.

EVENTI - Festeggiamenti, mostre, eventi culturali e manifestazioni sportive sono il biglietto da visita del capoluogo ligure per le oltre 3000 le persone che, a bordo delle navi, partecipano alla lunga veleggiata che è partita da Alicante lo scorso 7 luglio e che si conclude sabato 28 luglio tagliando il traguardo della Lanterna. Metà di queste persone, come vuole la tradizione di questo evento, sono composte da ragazzi e ragazze fra i 16 e i 25 anni di oltre 30 differenti nazionalità, che hanno l’occasione di fare un’esperienza straordinaria, al centro della quale prevale lo spirito di fratellanza, di solidarietà e di rispetto per il mare anziché «il solito» aspetto agonistico che si riscontra nelle competizioni veliche. Pur avendo due regate da Alicante a Barcellona e da Tolone a Genova, congiunte da una «crociera in società» fra il capoluogo catalano e la capitale del Var, questa manifestazione è una gara «decoubertiana», dove si promuovono amicizia e spirito di gruppo fra diverse nazioni e, nei porti ospitanti, ci si confronta con le culture locali e con un folto pubblico attratto dalle navi e da tutti gli eventi collaterali e sportivi fra i giovani.

SCAFI DIVERSI - Poco importa quindi la grande differenza fra le navi presenti: ci sono grandi navi a vela, brigantini, golette, schooner, ketch, yawl e altri tipi di armi desueti: per concorrere insieme, tuttavia, queste navi sono state divise in quattro classi proprio in base al tipo di vele a all’alberatura, e nonostante questo non manca un meccanismo di handicap con correzione del tempo simile a quello comunemente usato nella vela d’altura per offrire un risultato in «tempo compensato» sufficientemente equo a dare un premio per il valore dell’equipaggio e la bontà della navigazione effettuata.

PROGRAMMA - Il programma degli eventi collaterali a partire da sabato prevede quindi tanti eventi sportivi e anche «anomali» per la stagione, come una gara di sci di fondo alla Calata Mandraccio organizzata dall’Esercito Italiano. Nel pomeriggio, prenderanno vita esibizioni di nuoto sincronizzato e una rappresentazione teatrale di «Pirate» della compagnia Raccontamiunastoria e, dopo le 20, il culmine si avrà con la Tall Ships Night, che offrirà musica, spettacoli e animazione in 17 location del Porto Antico e del centro storico di Genova. Nei giorni seguenti ancora numerosi spettacoli tematici, gare riservate ai ragazzi che compongono gli equipaggi e un grande mercato d’Europa, con espositori di oltre 20 nazionalità. La manifestazione è organizzata dalla Sta-Italia, un sodalizio fra la Marina Militare e lo Yacht Club Italiano, sotto l’egida della Sail Training International, un’associazione senza scopo di lucro che si occupa di questi raduni fra grandi navi a vela sin dal 1956.

EVENTO STORICO - Curiosamente, la prima edizione di cinquantuno anni fa negli intenti dell’organizzatore avrebbe dovuto dare un «addio» alle superstiti navi a vela dell’epoca, alcune mercantili e altre militari, ma la storia invece ha premiato questo evento riuscendo a rendere possibile quasi ogni anno successivo una nuova edizione, grazie alla rinascita di vecchie navi militare e mercantili e, in molti casi, trovandone iscritte anche di nuove, costruite appositamente per l’addestramento o il charter, sulla base dei progetti dei vascelli e delle golette di un paio di secoli prima.

LE VELE ITALIANE - Imponente la presenza di navi italiane: una su quattro, come nella scorsa Coppa America! La Marina Militare ha iscritto all’evento Amerigo Vespucci, Italia e Palinuro in classe A, Capricia (donata da Gianni Agnelli all’inizio degli anni '90) e la Stella Polare nella classe D. Quelle non militari sono invece Pandora, classe B, che è stata anche protagonista di un film angloamericano, Idea Due, classe C, che ha vinto la prima tappa nella sua classe e in assoluto, e Pamadica, classe D, un piccolo e veloce scafo di un armatore genovese. Nel Porto Antico di Genova, ai velieri che hanno partecipato alla Tall Ships’ Races 2007 Mediterranea si affiancheranno anche altre importanti barche d’epoca che non hanno potuto prendere parte all’evento, fra cui le militari Orsa Maggiore, Caroly e il Corsaro II, il successore naturale della mitica Artica II che aveva vinto la prima edizione di questa manifestazione nel 1956.
Alex D'Agosta

26 luglio 2007


 

INDICE 26-7-2007

+ Il Corriere della Sera 26-7-2007  La mossa di Piero e Massimo. Una lettera per il via libera all'autorizzazione. L'obiettivo di D'Alema e Fassino è di congelare la polemica.  In autunno il Parlamento potrebbe respingere la richiesta. Maria Teresa Meli 1

+  La Stampa 26-7-2007  Presto online la pagella Ue degli operatori tlc 2

L’Unità 26-7-2007 La supercàzzola parlamentare Marco Travaglio  3

Il Riformista 26-7-2007  LE RICHIESTE DEL GUP I furbetti e i furboni del crack Parmalat 3

L’Azione 26-7-2007 TANTI NUOVI ENTI, E LA PROVINCIA? Sen. Gian Pietro Favaro Capogruppo Forza Italia in Consiglio provinciale. 4

La Repubblica 26-7-2007Palermo LE SCELTE DEI PARTITI Blitz sui costi della politica la Cdl va in frantumi all'Ars An vota con l'Unione, la legge passa in commissione L'opposizione: norme in aula senza indugi Micciché convoca d'urgenza i capigruppo Decisivo il via libera di Fini L'ira di Udc e Fi: subito un vertice di maggioranza Primo sì alla riduzione dei compensi per i consiglieri comunali e provinciali EMANUELE LAURIA  5

La Repubblica 26-7-2007 Palermo I PUNTI IL CASO Indagine della Corte dei conti: in Sicilia 132 Comuni e sei Province hanno violato il patto di stabilità La finanza allegra degli enti locali un terzo di bilanci fuori controllo 132 26,38 1.755 6 ANTONIO FRASCHILLA  6

La Stampa 26-7-2007 LA RIFORMA DELL'EDITORIA Ridotti i finanziamenti per le cooperative e i giornali di partito  7

L’Unità 25-7-2007 Se la scuola «ministerializza» i bambini Luigi Berlinguer 7

La Repubblica 25-7-2007 Un software per spiare i cellulari 120 perquisizioni in tutta Italia. In Piemonte sei indagati: due coniugi si controllavano a vicenda. L'inchiesta, partita da Vicenza, potrebbe coinvolgere 500 persone  9

La Stampa 26-7-2007 Morire dal ridere per la Casa Bianca Tra i candidati è battaglia a colpi di battute e gag. Di Maurizio Molinari 9

Europa 26-7-2007 Sono favorevole al sistema tedesco non corretto dall’imbroglio all’italiana. Risponde FEDERICO ORLANDO  10

L’Unità 26-7-2007 CAPITALIA Gli ex vertici romani a giudizio per il filone Ciappazzi. Ma l'avvocato del presidente ricorre in Cassazione Arpe e Geronzi travolti da un insolito destino /  11

 


 

+ Il Corriere della Sera 26-7-2007  La mossa di Piero e Massimo. Una lettera per il via libera all'autorizzazione. L'obiettivo di D'Alema e Fassino è di congelare la polemica.
In autunno il Parlamento potrebbe respingere la richiesta. Maria Teresa Meli

 

 

ROMA — Un altro agosto, dopo quello del 2005, a doversi difendere, un giorno sì e l'altro pure, dalle accuse su Bancopoli? Già dato: i Ds non vorrebbero fare il bis. Per questa ragione stanno pensando a come evitare il massacro mediatico estivo. Piero Fassino, Massimo D'Alema e Nicola Latorre meditano di scrivere una lettera alle giunte per le autorizzazioni a procedere di Camera e Senato per ribadire il loro via libera, ma anche le critiche a Clementina Forleo. Tutto ciò nella speranza che, rinviando la "pratica" a settembre, nel frattempo il "caso" si sgonfi, le giunte rinviino le ordinanze alla procura di Milano giudicando irricevibile la documentazione, e, magari, vengano avviati procedimenti disciplinari nei confronti della gip Forleo. «Non possiamo non chiedere che si proceda — è stato il ragionamento di Massimo D'Alema — altrimenti vedrete che chiunque si potrà alzare in questi giorni e accusarci di chissà che cosa dalle colonne dei giornali, magari anche di quelli di sinistra...». Il ministro degli Esteri non perde il suo proverbiale sarcasmo e mostra un certo distacco da queste vicende. Non altrettanto Fassino, che è fuori di sé. Al punto di arrivare ad attaccare il presidente della Camera Fausto Bertinotti. Il quale Bertinotti è rimasto letteralmente basito dall'affondo del segretario ds: «Capisco — ha detto ai compagni di partito — che Piero è sotto botta ed è stressato, ma dovrebbe rendersi conto che certi atteggiamenti si ritorcono contro di lui, diventando un boomerang». Il leader della Quercia, però, non riesce a ostentare calma e tranquillità, soprattutto dopo aver letto nero su bianco le parole di Clementina Forleo sui vertici diessini. La Quercia è stata in riunione permanente dalla mattinata, via telefono o attraverso incontri informali al Botteghino, come al Senato e alla Camera. Tutti a sviscerare i problemi da affrontare, consultando ogni due per tre Guido Calvi, senatore dei Ds nonché avvocato del partito. «Il via libera all'autorizzazione— stato il ritornello di Fassino — è ovvio, ma non possiamo neanche dire ai magistrati: prego fate di noi quello che volete, e uscire a mani alzate, visto che ci vengono rivolte accuse infamanti. Questo è inaccettabile». Calvi ha cercato di rassicurare i dirigenti ds che si sono visti alle cinque del pomeriggio al Botteghino (D'Alema non c'era) spiegando loro che il caso ha un «profilo giuridico complesso », ragion per cui ci vorrà tempo per esaminare il tutto.

I TIMORI DEI DS - Ma i vertici dei Ds temono anche la reazione del popolo della sinistra. Soprattutto dopo l'abbraccio di Forza Italia, i cui dirigenti difendono a spada tratta gli esponenti della Quercia e annunciano che voteranno contro l'autorizzazione a procedere. Potrebbe diventare imbarazzante se, ad esempio, il senatore forzista Maurizio Sacconi dicesse pubblicamente quel che l'altro ieri sera sussurrava nei corridoi di palazzo Madama: «D'Alema dovrebbe reagire: ci vuole una sua iniziativa». Ma c'è anche un altro motivo di disagio per il gruppo dirigente della Quercia. Bobo Craxi, sulla "Stampa", ha ricordato come con suo padre né Giorgio Napolitano (all'epoca presidente della Camera) né Massimo D'Alema furono garantisti. Le parole di Craxi hanno colpito Napolitano, tanto che il capo dello Stato ha chiamato il sottosegretario agli Esteri per chiarirgli il suo comportamento del tempo. Certo, Craxi ha colpito nel segno: invocare il garantismo ora che si è coinvolti in prima persona in una vicenda giudiziaria, quando non lo si è fatto prima, in altre occasioni, diventa difficile, e i Ds sono i primi a rendersene conto. Ma la vicecapogruppo dell'Ulivo a Montecitorio Marina Sereni si oppone a questa lettura dei fatti: «Se, e, ripeto, se — osserva — abbiamo commesso un errore in passato non frenando in tempo e con fermezza gli eccessi di giustizialismo, non significa che adesso dobbiamo ripetere quell'errore. Certo, noi daremo l'autorizzazione a procedere a prescindere, mentre in genere ci regoliamo caso per caso, perché la vicenda riguarda i nostri dirigenti, ma è anche ora che qualcuno dica quale deve essere il giusto rapporto tra politica e magistratura, per evitare sconfinamenti e scorrettezze ». E per evitare soprattutto quel che uno dei tre dirigenti della Quercia coinvolti in questa storia sussurra a mezza bocca: ossia che, «un secondo dopo che il Parlamento avrà dato l'autorizzazione a procedere arriveranno gli avvisi di garanzia per noi...».


 

+  La Stampa 26-7-2007  Presto online la pagella Ue degli operatori tlc

 

BRUXELLES
La Commissione europea lancerà ai primi di agosto un sito web in cui verranno indicate tutte le compagnie di telefonia mobile che hanno applicato «l'eurotariffa roaming entro i termini stabiliti dal regolamento Ue e quelle ancora inadempienti».La Commissione pubblicherà ai primi di agosto un sito internet con i nomi di tutti gli operatori europei per dire se ognuno di essi ha o non ha applicato le eurotariffe, o se applica tariffe ancora meno care«, ha riferito a Bruxelles Martyn Selmayr, portavoce del commissario europeo per Informazione e Media, la lussemburghese Viviane Reding.
«Siamo contenti del fatto che molti operatori europei abbiano offerto l’eurotariffa già dal primo luglio», ma questa iniziativa ha lo scopo di «motivare le compagnie telefoniche a fare ancora meglio», ha insistito il portavoce sottolineando che »insieme con tutte le altre istituzioni europee, la Commissione incoraggia tutte le compagnie a offrire l’eurotariffa il più presto possibile« e a «utilizzare questo regolamento come un vantaggio per conquistare fette più ampie di mercato».
Lo scorso 29 giugno, nei Ventisette, è entrato in vigore un nuovo regolamento che consente ai consumatori di godere già da quest’estate della cosiddetta "eurotariffa" roaming, che fissa un tetto massimo per le chiamate effettuate all’estero (0,49 euro iva esclusa) e ricevute all’estero (0,24 euro, iva esclusa), equivalenti a una riduzione dei prezzi fino al 75 per cento. Gli operatori, assicurano a Bruxelles, dovranno farsi concorrenza al di sotto di questi tetti, che saranno ulteriormente ridotti nel 2008 e nel 2009. «C’è un regolamento che stabilisce la fase transitoria verso l’eurotariffa, questo significa che gli operatori sono obbligati a luglio ad offrire i nuovi prezzi e ad attivarli entro un mese dall’accettazione dei clienti, altrimenti vi sarà infrazione del regolamento», ha concluso Selmayr.
Il regolamento, che dovrà essere esteso automaticamente a tutti gli utenti Ue a partire dal 30 settembre, si applicherà per tre anni, durante i quali la Commissione e le autorità nazionali di regolamentazione terranno sotto stretta sorveglianza la sua attuazione. Bruxelles procederà inoltre a una valutazione delle nuove regole entro 18 mesi per stabilire se sia necessario prorogarne l’applicazione e intervenire nuovamente per disciplinare anche le tariffe applicate alla trasmissione di sms e dati in roaming.


 

L’Unità 26-7-2007 La supercàzzola parlamentare Marco Travaglio

 

Certe sedute parlamentari andrebbero vietate ai minori. Non tanto quelle in cui si dicono le parolacce o si fanno strani gesti. Ma piuttosto quelle in cui l'aulica Istituzione diventa una specie di giardino d'infanzia, di parco giochi per dar modo agli annoiati rappresentanti del popolo di svagarsi un po'. Prendiamo Roberto Calderoli: a dispetto dell'aspetto, è un bambinone. Un tempo si divertiva a far gironzolare un paio di leoncini nel suo giardino a Bergamo di Sopra, dove a tempo perso fa il dentista. Poi una delle adorabili bestiole gli addentò una coscia rischiando di renderlo monco. Lui sopportò il dolore con padana virilità e tutto finì per il meglio (fuorché, si capisce, per la bestiola). Sempre per celia, Calderoli insultò per anni Berlusconi, chiamandolo ora "mafioso" ora "tangentista", cosine così, salvo poi entrare nel suo governo. Un'altra volta distribuì a Pontida la nuova moneta padana destinata a soppiantare la lira: il "calderòlo", che spopolò per qualche minuto, finché il primo leghista non tentò di rifilarlo a un barista per pagare il caffè (il barista, noto terrone, reagì maluccio). Altra burla memorabile: le nozze del sciur Roberto e della sciura Sabina con rito celtico, in una radura della Val Brembana, con tanto di druido e calice di sidro; senonché, quando la signora scoprì che non era una cosa seria, chiese il divorzio. Da allora il nostro ha trasferito il parco divertimenti a Roma, tra il governo Berlusconi e il Senato (di cui è addirittura vicepresidente). È fatto così: organizza scherzi. Crede di vivere nel film "Amici miei". La più nota delle sue supercàzzole parlamentari fu la legge elettorale, da lui stesso ribattezzata "porcata". Non male anche la t-shirt anti-Maometto esibita al Tg1 in pieno scontro fra Europa e Islam, che provocò scontri all'ambasciata italiana in Libia con morti e feriti. Morti e feriti con simpatia, però. Le pazze risate. Da quando è tornato all'opposizione, l'aspirante conte Mascetti si diverte un mondo a improvvisare mozioni e risoluzioni parlamentari in cui dà ragione al governo, così la maggioranza va in confusione: se le vota, si dà torto; se le boccia, si dà torto lo stesso. L'altra sera ne ha presentate addirittura cinque sulla politica estera: basta così poco, in fondo, per farlo contento. Ma lui almeno non si prende sul serio ("su di me non avrei scommesso un euro", ammise quando, con sua grande sorpresa, lo scambiarono per ministro delle Riforme). Altri invece sono serissimi. Ieri, per esempio, al question time con Mastella, s'è alzato il cosiddetto onorevole Lucio Barani del Nuovo Psi. Il presidente Bertinotti gli ha dato la parola per un minuto. Lui l'ha usato tutto per denunciare "l'omicidio di Craxi da parte dei giudici di Milano" e rammentare che il comune di Aulla, quando lui ne era sindaco, fu proclamato "dedipietrizzato" perché "Di Pietro ha fatto tanto male all'Italia". Poi, nei pochi secondi residui, ha sostenuto che a Milano c'è "uno scontro tra la gip Forleo e la Procura" e "la Forleo ha le palle" ma è vergognoso che faccia così, dunque (notare la logica sopraffina) "bisogna separare le carriere di giudici e pm". C'era da attendersi che il presidente o il ministro gli facessero notare che nessun giudice ha mai assassinato alcun politico: semmai molti giudici sono stati assassinati per motivi politici. Invece Tweed Berty l'ha molto "ringvaziato per la bvevità", evidentemente abituato ad ascoltare ben di peggio. Poi il Guardasigilli ha letto un compitino molto posato e burocratico, come se il Barani non avesse detto quelle cose. A quel punto il presidente ha "vidato la pavola all'on. Bavani per due minuti di veplica". Il Barani ne ha profittato per sostenere che la separazione delle carriere è troppo poco: bisogna "controllare giorno per giorno gli atti dei giudici, anche con test psicoattitudinali e tossicologici, per accertare l'uso di sostanze psicotrope". Anziché domandargli di quali sostanze faccia uso lui, il pvesidente l'ha di nuovo ringvaziato, passando all'interrogazione seguente: "Acquisto di generi alimentari direttamente presso i contadini". Per fortuna non c'erano in platea le solite scolaresche. Altrimenti si sarebbero fatte una strana idea delle istituzioni democratiche. Uliwood party.


 

Il Riformista 26-7-2007  LE RICHIESTE DEL GUP I furbetti e i furboni del crack Parmalat

Parmalat, una storia italiana. O meglio, da Totò truffa, se non fosse che i gabbati questa volta non sono attori e comparse di un film bensì migliaia di piccoli risparmiatori svuotati dei risparmi di una vita. 23 rinvii a giudizio nel procedimento principale sul crack Parmalat, 32 rinvii in quello relativo al turismo, 8 nel filone processuale che riguarda le mitiche Acque Ciappazzi. A deciderlo, ieri mattina, nell’ambito dell’atto conclusivo dell’udienza preliminare per il crac del colosso di Collecchio, il gup di Parma, Domenico Truppa. Oltre ai 23 imputati del filone principale (rinviati a vario titolo per associazione a delinquere e concorso in bancarotta fraudolenta), tra i quali l’ex patron Calisto Tanzi, Fausto Tonna, e diversi amministratori e sindaci Parmalat, sono stati rinviati a giudizio anche i membri del board di Capitalia, tra cui Cesare Geronzi (secondo quanto ritenuto dal gup, dietro la controversa vendita dell’azienda di acque minerali da Ciarrapico a Tanzi, c’era Geronzi che “obbligò” il patron Parmalat a comprarla, nonostante avesse seri problemi) e l’ex ad, Matteo Arpe, il cui ruolo sarebbe però secondario, sempre secondo il gup. A questo si aggiungono poi i 16 patteggiamenti e, nell’ambito Parmatour, le due condanne di Alfredo Poldy Allay e Luca Baraldi.
Morale: dopo un biennio in cui si è spesso preferito almanaccare e infierire su furbetti del quartierino e Ricucci vari semplicemente indagati, eccoci squadernato dalla procura di Parma il più grave scandalo finanziario del Belpaese (in plastica coincidenza con la vicenda Italease e derivati). Certamente molto di più della scalata Antonveneta, per cui, sempre ieri mattina, la procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex ad di Bpi Giampiero Fiorani, l’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio, l’ex numero uno di Unipol Giovanni Consorte, il finanziere Emilio Gnutti e un’altra settantina di indagati. Spiace solo che i grandi giornaloni, nei mesi scorsi, si siano spesso dimenticati di dare conto, insieme alle fusioni, dei frutti velenosi dell’italico bancocentrismo. Mescolando tutto senza colpo ferire: furbetti & furboni. Anche se, volendo, c’è sempre tempo per rimediare.


 

L’Azione 26-7-2007 TANTI NUOVI ENTI, E LA PROVINCIA? Sen. Gian Pietro Favaro Capogruppo Forza Italia in Consiglio provinciale.

 

All'interno del dibattito sui costi della politica molti ipotizzano l'abolizione della provincia. è una vecchia questione che ritorna ciclicamente. Gian Antonio Stella dedica alla provincia un capitolo del libro "La casta", in cui ricorda che già la commissione dei 75 all'Assemblea costituente ne aveva deciso la soppressione. La stessa cosa propose La Malfa negli anni Settanta. Ma nel 1977 il decreto 616 ne rilanciò il ruolo. Ruolo che la vigente Costituzione italiana conferma. Nel frattempo le province da 92 sono diventate 110 e ci sono proposte di legge per crearne altre 34 di cui almeno 2 possono interessare parte del territorio della Provincia di Treviso: la Provincia del Veneto Orientale e quella di Bassano. Sabato 14 luglio i sette Consigli provinciali del Veneto si sono riuniti in seduta congiunta per affermare il proprio ruolo. Contemporaneamente sui quotidiani veneti si leggeva la dichiarazione del coordinatore di Forza Italia Bondi per l'abolizione delle province. Sulla stessa linea, o quasi, il presidente Galan: "Le province possono essere utili come strumenti sovracomunali. Allora facciamo un'elezione di secondo grado, i sindaci e i consigli comunali eleggono la provincia e delegano alcune delle loro competenze a questo ente per le funzioni". Le ultime proposte di legge del Governo sembrano mirare a un ridimensionamento del ruolo delle province spesso in forza di leggi nazionali o regionali. Il Veneto è una regione con 4 milioni e mezzo di abitanti distribuiti in un territorio che si estende dalle Alpi al mare con caratteristiche molto diverse; e la Provincia di Treviso supera gli 800 mila abitanti e ha una lunga storia, come le altre province del Veneto, per cui si sono organizzate a dimensione provinciale tantissime organizzazioni e associazioni operanti nel nostro territorio: commercianti, artigiani, industriali, ordini professionali... La regione è nata come ente il cui compito è fare leggi e programmare lo sviluppo del territorio, dando chiare indicazioni. Ma la gestione dei vari servizi non è compito della regione, e i comuni (alcuni veramente piccoli) non hanno le dimensioni per gestire servizi in termini di area vasta. Il dibattito sugli sprechi della politica non è di oggi. Qualche anno fa due senatori dei Democratici di Sinistra Cesare Salvi e Massimo Villone pubblicarono sull'argomento un libro molto documentato, che non ebbe neppure lontanamente il successo del libro "La casta". La gente oggi, evidentemente, è più attenta ai costi (e agli sprechi) della politica perché capisce che questa non dà più risposte alle reali esigenze del Paese. Politici, o amministratori pubblici, che intervengono nel dibattito, cercano e sottolineano gli sprechi altrove, ed è un altrove molto affollato, che offre molti alibi. Non c'è una soluzione unica al problema: ci sono tanti piccoli interventi da fare, in vari settori, senza aspettare preannunciate soluzioni rivoluzionarie. Mentre si discute sull'eliminazione delle province o sulla riduzione del loro ruolo, continuano a nascere e prosperano, spesso in forza di leggi nazionali e regionali, organismi sovracomunali di vario tipo (società, agenzie, consorzi...), i quali, operando ognuno in settori specifici, in nome di una presunta o auspicata efficienza consegnano la gestione di determinati servizi a tecnici (veri o apparenti). Alcune considerazioni portano a concludere che, forse, è meglio affidare la gestione o il coordinamento di questi servizi a un ente unico. Anzitutto non si creerebbero nuovi enti. Inoltre le scelte relative ai vari servizi, come la viabilità, i trasporti, l'urbanistica, la salvaguardia del territorio e lo smaltimento dei rifiuti non sono mai puramente tecniche, si condiz ionano a vicenda, e chiedono il coinvolgimento di chi abita in un determinato territorio. Un ente unico, democraticamente eletto, ha i mezzi e l'autorevolezza per trovare al suo interno la composizione dei vari interessi. I vari consorzi e società operanti sul territorio, inoltre, sono più condizionabili da parte della regione: si passa da un centralismo statale a un neocentralismo regionale, ignorando qualsiasi discorso sulla partecipazione e la sussidiarietà. Le Province, nel documento approvato sabato 14 luglio hanno chiesto alla Regione che venga istituito il Consiglio delle autonomie locali che definisca chiaramente le competenze della Regione, dei Comuni e delle Province per assegnare anche le risorse adeguate all'espletamento di queste funzioni. Nella prima stesura dell'ultima finanziaria del governo Berlusconi era prevista l'eliminazione delle Comunità montane. Ci fu una rivolta generale dall'estrema destra all'estrema sinistra, dalle Alpi al mare. Il comma fu eliminato. Forse ha ragione quell'editorialista del Sole 24 Ore che ha scritto che la minaccia dell'abolizione delle province è solo ipotetica "perché in Italia non si riesce ad abolire nulla". L'approvazione dello Statuto regionale, all'interno del quale, secondo il dettato costituzionale, dovrà essere regolamentato il Consiglio delle autonomie locali, potrebbe essere il primo atto di riordino istituzionale anche in vista di una riduzione dei costi della politica.


 

La Repubblica 26-7-2007Palermo LE SCELTE DEI PARTITI Blitz sui costi della politica la Cdl va in frantumi all'Ars An vota con l'Unione, la legge passa in commissione L'opposizione: norme in aula senza indugi Micciché convoca d'urgenza i capigruppo Decisivo il via libera di Fini L'ira di Udc e Fi: subito un vertice di maggioranza Primo sì alla riduzione dei compensi per i consiglieri comunali e provinciali EMANUELE LAURIA

 

"Sì, ci voleva coraggio", ammette scendendo dal ring della riforma elettorale il capogruppo di An Salvino Caputo. Lo strappo è compiuto: i finiani votano con il centrosinistra e portano fuori dalle sabbie mobili della commissione Affari istituzionali la legge. "è solo il primo sì, ma ha un valore politico enorme che offre segnali precisi contro gli sprechi e per la modernizzazione di questa regione", dice Nicola Cristaldi, il presidente della commissione, principale volto della ribellione di Alleanza Nazionale. Ora sono pronte per l'aula le norme che tagliano i costi della politica. Nel testo c'è la riduzione dei compensi dei consiglieri provinciali e comunali, che non potranno guadagnare più del 20 per cento del presidente o del sindaco (oggi il tetto è fissato a un terzo). C'è il taglio del dieci per cento del numero dei consiglieri comunali in Sicilia, c'è un colpo di forbici anche per le giunte che a Palermo, solo per fare un esempio, non potranno avere più di 14 (Comune) o 13 componenti (Provincia). è questo, essenzialmente, il contenuto del testo della discordia approvato ieri dalla commissione, perché le regole elettorali propriamente dette, come lo sbarramento al 5 per cento e l'estensione del maggioritario e del turno unico nei Comuni sino a 15 mila abitanti, erano state accantonate dopo le proteste dell'Mpa (e dei piccoli partiti dell'Unione). Ma ce n'è abbastanza per fare andare in tilt la Cdl. Martedì sera il governatore Cuffaro e i leader di Forza Italia, Udc e Mpa avevano chiesto ad An un passo indietro, mettendo per iscritto in una nota anche "l'impegno formale" a un rinvio a settembre della legge da parte del presidente siciliano del partito di destra, Giuseppe Scalia. Il pressing non ha sortito l'effetto sperato: in mattinata Cristaldi e Caputo hanno prima chiamato Scalia esprimendo il loro disaccordo, poi una telefonata direttamente con Fini e il via libera alla mossa di rottura. Assenti gli esponenti dei tre maggiori partiti della maggioranza, con l'assessore Paolo Colianni dell'Mpa protagonista di un abbandono anticipato dei lavori, l'organismo guidato da Cristaldi ha alzato disco verde. Scalia, alla fine, ha diramato un comunicato assieme ai due colleghi deputati per tentare di stemperare il clima: "Spiace quello che è accaduto: siamo pronti a riavviare il processo di collaborazione all'interno della Cdl, per un rilancio dell'azione del governo e del parlamento". Ma, a quel punto, si era già scatenata l'ira dei compagni di viaggio. "è stato un blitz inopportuno e dannoso", commenta il capogruppo forzista Francesco Cascio, che pure era stato il relatore della riforma. Cuffaro si è lamentato al telefono con Scalia. Il segretario dell'Udc Saverio Romano ha lanciato i suoi strali: "Subito un vertice di maggioranza, An ci dica se vuole proseguire il percorso di governo insieme a noi". Un summit che il coordinatore forzista, Angelino Alfano, sta già organizzando. I capigruppo di Forza Italia, Udc e Mpa, intanto, hanno chiesto l'immediato ritorno in commissione del disegno di legge, lamentando vizi procedurali. Ma l'opposizione ha già messo in mora il presidente dell'Ars Gianfranco Micciché, affermando che non può fare a meno di mandare in aula il provvedimento prima delle ferie. "Dobbiamo varare entro la chiusura della sessione estiva dell'Ars una riforma chiesta a gran voce dalla gente", dice Antonello Cracolici (Ds). "La legge era già stata inserita nel calendario di Sala d'Ercole, non si può tornare indietro", affermano i diellini Barbagallo, Galvagno e Gucciardi. Il presidente dell'Ars, Gianfranco Micciché, ha convocato in serata una riunione urgente di tutti i capigruppo. "Abbiamo altri impegni", gli hanno risposto proprio i vertici del Pd. La partita, ora, si gioca a colpi di regolamento.


 

La Repubblica 26-7-2007 Palermo I PUNTI IL CASO Indagine della Corte dei conti: in Sicilia 132 Comuni e sei Province hanno violato il patto di stabilità La finanza allegra degli enti locali un terzo di bilanci fuori controllo 132 26,38 1.755 6 ANTONIO FRASCHILLA

 

(segue dalla prima di cronaca) Il risultato? Anche chi violerà sicuramente il patto di stabilità potrà comunque assumere, fare promozioni e aumentare i debiti fuori bilancio. Per "punizione", non sarà premiato con nuovi fondi derivati dall'aumento del gettito nazionale Irpef. Ma per il resto tutto rimarrà come prima. Di certo c'è che i magistrati hanno riscontrato la finanza allegra degli enti locali siciliani. Numeri alla mano, nelle previsioni il 32 per cento dei Comuni dell'Isola supererà i tetti di spesa, a fronte di una media nazionale del 26 per cento. "E difficilmente gli enti riusciranno a raddrizzare i conti nel bilancio definitivo del 2006", spiegano i funzionari della Corte dei conti. Quasi nessuno dei Comuni ha rispettato la data del 30 giugno per l'approvazione dei rendiconti, e comunque per il 2006 "il non rispetto del patto non avrà alcuna conseguenza, e non scatteranno sanzioni". La Finanziaria 2007 ha di fatto cancellato l'obbligo del rispetto del patto di stabilità per lo scorso anno: "Questo perché nel 2006 è stato introdotto per la prima volta il sistema dei controlli, che sono scattati soltanto a settembre - spiegano gli uffici della Corte - gli amministratori e i dirigenti dei Comuni sono stati convocati a novembre e dunque i margini di manovra nei bilanci erano già troppo ridotti. Per evitare sanzioni eccessive si è preferito eliminarle per il 2006, salvo introdurre una norma che obbliga al rispetto del patto di stabilità per quest'anno già a partire dal bilancio di previsione 2007". La cancellazione delle sanzioni non invoglierà certo gli enti a mettere in atto correttivi per ridurre la spesa. I controlli della Corte dei conti hanno comunque messo in luce la finanza fuori controllo di Comuni e Province dell'Isola. A partire dal Comune di Palermo. L'analisi fatta dai magistrati sul bilancio di previsione 2006 è impietosa: "Nella loro relazione annuale i revisori del comune di Palermo hanno sostanzialmente messo in luce che l'impostazione del preventivo per l'esercizio in corso non è tale da garantire il rispetto delle regole previste dal patto di stabilità per il 2006, relativamente sia alla spesa corrente sia alla spesa in conto capitale", scrivono i magistrati, che aggiungono: "A fronte di un limite di spesa corrente netta 2006 calcolato in 353.419.000 euro è stata preventivata una spesa corrente netta normativamente rilevante di 464.980.000,00 (più 31,5 per cento, ndr)". Per la Corte dei conti, inoltre, Palazzo delle Aquile ha sforato anche i limiti di spesa negli investimenti: "A fronte di un limite di spesa in conto capitale pari ad 176.813.000 euro è stata preventivata una spesa normativamente rilevante di 1.077.627.000 di euro". Questo porta ad una conseguenza, comune a tutti gli enti che hanno sforato la spesa per investimento: che per appianare i conti si faccia ricorso ai debiti fuori bilancio. "Per questi ultimi è prevista una significativa spesa pari ad 77.998.174 milioni di euro senza l'attivazione del completo controllo interno di gestione", aggiungono i magistrati che sottolineano anche la notevole perdita, nel bilancio comunale, per il "mantenimento di 3.300 precari lsu", che al momento sono stati finanziati con fondi nazionali ma che "in mancanza di questi dovranno essere pagati con fondi comunali". Nel palermitano hanno violato il patto di stabilità anche i Comuni di Santa Flavia, Capaci, Balestrate, Montelepre, Borgetto, Castelbuono, Altofonte, Gangi, Termini Imerese, Monreale, Bagheria, Bisacquino, Terrasini, Carini e Corleone. Ma non solo. Nella lista nera della Corte dei Conti è finito anche il comune di Cefalù: "L'impostazione del preventivo per l'esercizio in corso non è tale da garantire il rispetto delle regole previste dal patto di stabilità - scrivono i magistrati - A fronte di un limite di spesa corrente netta 2006 calcolato in 9.775.731 euro, è stata preventivata una spesa corrente netta normativamente rilevante di 11.493.955,37 euro". Stessa tendenza per le spese in conto capitale: "A fronte di un limite di spesa in conto capitale di 2.496.108 è stata preventivata una spesa di 5.714.298 euro", dicono dalla Corte dei conti. Non va meglio a San Giuseppe Jato, dove "a fronte di un limite di spesa in conto capitale 2006 calcolato in 818.642 è stata preventivata una spesa normativamente rilevante di 3.610.403 euro", cioè quattro volte superiore. Tra i grandi Comuni hanno violato il patto di stabilità anche Trapani, Messina, Agrigento, Siracusa e Caltanissetta. I magistrati contabili hanno infine controllato i bilanci delle nove Province siciliane. Scoprendo che a violare il patto di stabilità sono state sei. In particolare quelle di Messina, Siracusa, Trapani, Enna, Palermo e Catania. Per la provincia etnea la relazione della Corte dei Conti non ha usato giri di parole: "A fronte di un obiettivo di spesa pari a 17 milioni di euro, le spese previste ammontano a 701 milioni di euro", cioè 41 volte di più. Chissà cosa ne penserà il presidente Raffaele Lombardo, che ha bacchettato l'Ars per aver previsto il taglio dei costi della politica senza aver dato "il buon esempio".


 

La Stampa 26-7-2007 LA RIFORMA DELL'EDITORIA Ridotti i finanziamenti per le cooperative e i giornali di partito

 

ROMA Niente più finanziamenti a giornali di partiti che non esistono. In tempi in cui si guarda ai costi della politica è questa la novità che può fare colpo, nel disegno di legge sull'editoria che il consiglio dei ministri discuterà domani. Ma nell'intenzione del governo si tratta di molto di più: un riordino "di sistema" del settore dell'editoria sul quale si spera di ottenere anche il consenso dell'opposizione. Il sottosegretario alla presidenza Ricardo Franco Levi lo ha illustrato ieri mattina al presidente della Repubblica. Per assicurare concorrenza, pluralismo, trasparenza, l'Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni e l'Antitrust dovrebbero essere facilitate nel loro compito dalla nuova definizione di impresa editoriale, che comprende anche le iniziative su internet, e dall'obbligo di iscrivere tutte le imprese a un unico registro, il Roc (registro degli operatori della comunicazione). Scomparirà l'altra registrazione possibile, retaggio di vecchi tempi, delle pubblicazioni presso il Tribunale. Sarà più facile sapere a chi fa capo una data impresa. Scompaiono, come chiedeva l'Europa, le tariffe postali agevolate per i periodici, sostituite da un credito di imposta. Gli editori potranno ottenerlo a fronte dell'uso di aziende di distribuzione private, oltre alle Poste, oppure di una diffusione agli abbonati effettuata attraverso le edicole. Si vietano le vendite in blocco a prezzi inferiori al 50% di quello di copertina. Si elimina un conflitto di interessi, e un costo per il sistema, stabilendo che gli intermediari di pubblicità potranno riscuotere soltanto dagli inserzionisti, non dagli editori. Vengono abbassati i finanziamenti ai giornali di partito, dal 70 al 60%, e alle cooperative di giornalisti, dal 60 al 50%. Si finanzierà come giornale di partito uno solo per ogni gruppo parlamentare, con un problema anche per il nascente Partito democratico che ne ha due,l'Unità ed Europa: uno dovrà trasformarsi in coop. Non potranno più passare come giornali di partito quelli collegati a una sigla di comodo inventata da parlamentari. Nel primo commento, l'Ordine dei giornalisti vede "un'importante novità".


 

L’Unità 25-7-2007 Se la scuola «ministerializza» i bambini Luigi Berlinguer

 

«Ho impiegato 70 anni di lavoro mentale per capire che un uomo è un bambino andato a male». Questo vecchio detto toscano sembra un paradosso ma è la verità. Se guardiamo alla scuola, è proprio così. Pensate quanto è vecchio e noioso il dibattito adulto sulla scuola oggi. Come mai? Perché non si è riflettuto abbastanza su che cosa sia la scuola, che cosa significhi scuola. Ebbene scuola significa appunto imparare. E chi è per eccellenza colui che impara? Il bambino. La sua prima incalzante parola è «che cos’è? Perché?» e cioè la premessa, la molla di ogni apprendimento. Il bambino non ti da tregua: «perché?». Non è immaginabile un bambino che cessa - anche per un attimo - di imparare. Ogni impulso, ogni atto è in lui apprendimento, accrescimento. Il bambino è il prototipo dell’apprendimento. Intelligenza velocissima, disponibile, aperta, che assorbe subito e tanto? Che ricorda, consolida rapidamente ciò che introita. Il bambino ragiona senza schemi, senza veli (pensate al contrario all’ideologismo adulto, deformante e chiuso, mistificatore del reale, come diceva Marx). Il bambino interroga, si interroga, senza limiti, «perché?»; viene fuori con domande e considerazioni fulminanti, ragiona senza rigidità o incrostazioni o pregiudizi. Impara, cioè. Gianni Rodari diceva: «I bambini capiscono più di quello che noi sospettiamo. Sono disponibili per ogni audacia, non soffrono di schematismi, ignorano i regolamenti ufficiali dei generi letterari, apprezzano l’umorismo, adorano i giochi di parole... ».

Il bambino è un vero laico, non è né «clericale» né «laicista», non è neanche fondamentalista, perché tutto vuole verificare. Ha un po’ dello scienziato, curioso di sperimentare e insieme portato a sistemare, definire, con le sue fresche e irriverenti considerazioni. È intellettualmente coraggioso. Impara, cioè.

Allora: vogliamo davvero svecchiare il nostro sistema di istruzione? Non facciamo andare a male il bambino, non allontaniamoci da lui. E invece la nostra scuola secondaria, piano piano, ha finito per sopprimere il bambino. Si è ministerializzata, irrigidita, un po’ incallita. Badate che è difficile ministerializzare i bambini. E di fatti le elementari sono in parte riuscite a sottrarsi alla morsa del neoidealismo detuttivista. Merito degli insegnanti, delle maestre, ma soprattutto della forza incontenibile del bambino. Anche perché la sua anima allo stato naturale non differenzia l’anima del ricco da quella del povero. E in una classe elementare si trovano bambini ricchi e poveri. E questa mistura è stata essa stessa un arricchimento, perché così l’ambiente diviene assai più adatto all’apprendimento di un ambiente di apartheid. Educa alla democrazia, alla civiltà, ai buoni sentimenti, e insieme - fondamentale - ci si impara di più un ambiente bambino.

Ma nella scuola secondaria ministerializzazione, autoritarismo didattico (e, diciamolo, inconfessata intenzione classista), sono riusciti ad allontanare il bambino, e cioè allontanare l’apprendimento come centro vero dell’istruzione. Sull’apprendimento ha prevalso l’insegnamento. Anche con taluni successi, in qualche caso e per qualche tempo, ma sempre per percentuali assai basse di alunni. Ma la centralità del solo insegnamento ha spento la potenzialità e la potenza discente dei più.

Questa nostra istruzione ha reciso sapientemente le corde vibranti dell’apprendimento che il bambino simboleggia, e cioè l’espressività, l’emotività, la curiosità, la passione. Ha escluso l’arte dalla scuola. Voi non ci crederete, ma è così: ha escluso l’arte. Forse perché essa è pratica e quindi non fa parte della cultura (!) non mi si fraintenda: non parlo della storia dell’arte (anche quella) ma della espressività artistica vera e propria. Ha spento la propria personale creatività artistica. Entrate in una scuola elementare e guardate quei deliziosi disegni che ne tappezzano le pareti ridenti. Il bambino vuole dipingere o cantare, e purtroppo non lo si sostiene abbastanza in questo. Crescendo, però, queste emozioni vengono definitivamente spente. Si spegne la passione, quella che Rodari definiva «capacità di resistenza e rivolta, volontà di azione e dedizione, il coraggio di sognare in grande». Si spegne così l’amore per il bello, per il ridere insieme. Ancora Rodari (scusatemi l’abuso): «Nelle nostre scuole si ride poco. L’idea che l’educazione della mente debba essere una cosa tetra e la più difficile da combattere».

Questa stessa nostra vecchia istruzione ha anche escluso l’osservazione scientifica, ha trasformato la natura e la scienza in carta, ha spento la curiosità scientifica. Ha di nuovo allontanato il bambino. Ed ha così indebolito anche un altro aspetto essenziale dell’istruzione, l’educazione alla cittadinanza.

Più di chiunque il bambino, infatti, vive la comunità educante come l’ambiente proprio, di essa è il sale e il pepe, l’anima. Più di altri il bambino sente il bisogno di comunità, di socializzazione, ne assorbe la regola. Ha bisogno di modernità. Più di altri si avvantaggia della democrazia, delle cresciute libertà dei giovani e dei bambini, e sono anche forza dissacrante dell’autoritarismo adulto; è più moderno e divora e domina la tecnologia ne scopre potenzialità creative e risorse ludiche. Si avvantaggia dell’intreccio fra democrazia antiautoritaria e moderne opportunità e potenzialità tecnologiche fino a prendersi una rivincita storica: pretende di essere anche lui, almeno un po’, ad insegnare agli adulti. E già, perché domina il mezzo assai più di loro. Divertente: il bambino rischia di trasformare la gerarchia autoritaria e unidirezionale «cattedra-banco» in un vero e proprio circuito apprendimento-insegnamento, in un processo circolare (o quasi) un tantino dissacrante dell’autorità docente. Obbliga gli adulti a svecchiarsi, darsi una mossa, pena la brutta figura. Il suo coraggio spericolato e la maturazione di inedite abilità cognitive sono le carte vincenti della riscossa del bambino.

Attenzione però. La nostra grande Italia gerontocratica, ove un quarantenne ricercatore universitario è considerato un giovinetto; l’Italia dell’amarezza e del tetro piagnisteo, che non vede altro che bulli fricchettoni e rockettari, che pretende che tutto piova dall’alto e meno si ingegna a risolvere un po’ da sé; la nostra vecchia Italia può ancora uccidere il bambino. Può conservare un’istruzione scolastica deduttiva, come ai bei tempi antichi.

Stia attenta però questa vecchia Italia popolata di amareggiati e nostalgici, perché i bambini sono coraggiosi, testardi, curiosi ed inguaribilmente ottimisti. A scuola vogliono giocare, ridere, provare gioie ed emozioni, passione. Invocano il ricordo e il rispetto dell’insegnamento di Bambini italiani assai grandi, anche loro messi da parte da adulti piccini, neoidealisti tardogentiliani, fra i quali Maria Montessori, Gianni Rodari, Emma Castelnuovo, Loris Malaguzzi e Don Milani. Ce la faranno i bambini a vincere la partita? Mi pare che ci stiano provando, che si stiano mettendo in marcia. Vedo qualche buon segnale nel governo, i contenuti e i metodi - che sono il 90 per cento della scuola - possono tornare così al centro del dibattito e delle politiche scolastiche.


Pubblicato il: 25.07.07


 

La Repubblica 25-7-2007 Un software per spiare i cellulari 120 perquisizioni in tutta Italia. In Piemonte sei indagati: due coniugi si controllavano a vicenda. L'inchiesta, partita da Vicenza, potrebbe coinvolgere 500 persone

 

TORINO - Un software per spiare il telefono cellulare di un'altra persona, leggendo gli sms e controllando le chiamate. Sei persone sono indagate a Torino per aver intercettato, illegalmente, moglie e mariti in cerca di prove di infedeltà. Ma l'inchiesta della guardia di finanza di Vicenza potrebbe andare ben oltre una questione di gelosia coniugale: in tutta Italia sono state portate a termine 120 perquisizioni, per un totale di persone coinvolte che potrebbe toccare quota cinquecento.

Nel mirino dell'indagine delle Fiamme Gialle c'è un programma prodotto dall'azienda vicentina Access Group: un software in vendita a 500 euro che permette di tenere sotto controllo qualsiasi cellulare. E di leggere i messaggi, controllare la rubrica e gli ultimi numeri chiamati, ma anche di ascoltare le telefonate se ci si trova a meno di 5 metri di distanza nonché di localizzare la posizione dell'apparecchio.

Nel solo Piemonte sono state perquisite sei abitazioni: quella di un torinese, per esempio, che ha ammesso di aver usato il programma per controllare una moglie. Voci raccontano anche di un caso davvero incredibile: la guardia di finanza si sarebbe imbattuta in una coppia in cui moglie e marito, una all'insaputa dell'altro, si controllavano a vicenda. Per le sei persone indagate si ipotizza il reato di "installazione di apparecchiature atte a intercettare comunicazioni telefoniche", previsto dall'articolo 617-bis del codice penale e punito con il carcere fino a quattro anni.

In tutta Italia, poi, le perquisizioni sono state ben 120: storie di corna, certo, ma anche di spionaggio di altro tipo e più gravi. A questa prima fase di inchiesta, ne dovrebbe seguire un'altra fino a coinvolgere 500 persone. Il titolare dell'azienda che produce "la cimice" è stato indagato, assieme ad altri, per l'ipotesi di associazione a delinquere.

(25 luglio 2007)


 

La Stampa 26-7-2007 Morire dal ridere per la Casa Bianca Tra i candidati è battaglia a colpi di battute e gag. Di Maurizio Molinari

 

CORRISPONDENTE A NEW YORK Hillary Clinton vuole dimagrire, Barack Obama si fa beffa del proprio nome, Rudolph Giuliani ammette di subire fulmini divini e Mitt Romney parla come un poligamo. A sette mesi dall’inizio della campagna i candidati alla Casa Bianca scommettono sull’humor per far colpo su un elettorato che non ha ancora scelto i propri paladini. Con i sondaggi che descrivono gli americani divisi su tutto tranne il valore dell’humor - importante per l’83% - la gara fra i contendenti è a chi riesce a far ridere di più, soprattutto di se stessi.

L’ex First Lady ha guadagnato molti punti quando durante un forum sui temi della fede alla domanda «per che cosa prega?» ha risposto «Oh Signore, perché non mi aiuti a dimagrire?». Ma il repubblicano Mike Huckabee ha saputo esserle all’altezza: alla domanda «Quanto tempo è servito a Dio per creare il mondo?» ha replicato con un secco: «Non lo so, io non c’ero».

La scelta dei candidati è in genere di sfruttare i propri punti deboli, per esorcizzare gli affondi degli avversari. Obama intrattiene il pubblico sui guai causatigli dal proprio nome: «C’è chi mi chiama Alabama e chi Yo-ma, storpiando il nome del noto musicista, e tutti vogliono sapere perché porto questo nome, rispondo che è una via di mezzo fra mio padre, venuto dal Kenya, e mia madre, del Kansas». Mitt Romney, repubblicano doc, sa di avere il tallone di Achille nella fede mormone e ha pensato di riderci sopra: «Credo fermamente nel fatto che il matrimonio debba essere fra un uomo e una donna, ...e una donna, ...e una donna».

Per Hillary il punto debole sono i tradimenti di Bill e lei se la cava con un «mi trovo a mio agio con uomini cattivi e malefici». John Edwards ha esorcizzato il conto da 400 dollari di un barbiere spiegando perché mangiava fast food: «Se spendi in capelli ti resta poco per il cibo». In comune Obama e Romney hanno l’humor sulle consorti. «Ogni volta che mi trovo a prendere decisioni difficili prego, amen, e poi chiedo a mia moglie, amen, e dopo aver consultato queste due grandi potenze...», ha detto il senatore dell’Illinois rendendo omaggio al carattere della moglie Michelle. Romney ha messo in scena un duetto con la moglie Ann: «Avresti mai pensato che potessi candidarmi presidente?», «Mitt, non sei mai stato nei miei sogni migliori».

Per Rudolph Giuliani, candidato di punta dei repubblicani, il momento dell’humor è arrivato in diretta tv: un fulmine ha fatto saltare l’audio del suo microfono mentre spiegava i disaccordi con i vescovi sul diritto di aborto e lui ha colto l’attimo dicendo «per chi come me è andato in parrocchia tutta la vita quanto avvenuto mette davvero paura». Come dire: il fulmine divino è stato un rimprovero. E Il gaffeur per eccellenza è Joe Biden, senatore democratico, che ha detto al rivale Dennis Kuchinich: «L’unica cosa che ti invidio è tua moglie», una britannica alta 1 metro e 80, e 29 anni più giovane del marito.


 

Europa 26-7-2007 Sono favorevole al sistema tedesco non corretto dall’imbroglio all’italiana. Risponde FEDERICO ORLANDO

Cara Europa, nel suo intervento di martedì, Rosy Bindi rivendica un «bipolarismo governante», e per questo «è necessario cambiare la legge elettorale [...] ma il consenso in parlamento va cercato a partire da un accordo nel centrosinistra».
Perché «assi preferenziali tra una parte del centrosinistra e una parte del centrodestra hanno più il sapore di sospettosi accordi politici che di chiari e doverosi dialoghi istituzionali ». Ma l’atteggiamento per cui ogni patto sulle regole è un “inciucio” non è il limite del bipolarismo? Non c’è bisogno prima di tutto di una cultura politica? ROBERTO MAGURNO, EMAIL

 Caro Roberto, le dico la mia personale opinione sul sistema elettorale.
Non sono un fanatico del bipolarismo coatto all’italiana e, men che meno, del bipartitismo “perfetto” all’americana: due eccessi da immaturità o senescenza, che notoriamente s’incontrano. Sono per un sistema che tenda al bipolarismo – come in Inghilterra, Francia, Spagna, Germania, le grandi democrazie liberali d’Europa – senza strangolare partiti, storie e idee, ma spingendoli alla selezione naturale.
Sopravvivono i più validi, gli altri si adattano. Nel doppio turno francese di poche settimane fa il partito “centrista” di Bayrou, che aveva avuto oltre il 18 per cento al primo turno, è entrato nell’assemblea nazionale, dopo il secondo turno, con quattro deputati. Si sono salvati, così, sia il bipolarismo (gollisti e socialisti), sia il pluralismo delle rappresentanze; sia la saldezza del governo in parlamento. In Gran Bretagna (uninominale, o maggioritario secco) oltre a laburisti e conservatori, anche liberali, scozzesi, socialdemocratici, ecc.
prendono qualche seggio ma non intralciano il meccanismo bipolare: né il premier, come del resto in Spagna, viene eletto “direttamente dal popolo” , come si dice con formula sciocca: egli è il capo del partito che direttamente dal popolo (se no da chi?) ottiene il maggior numero di voti.
Il sistema tedesco, al quale va oggi la mia preferenza, consente a tutti di partecipare, ma taglia le gambe a chi non salta il 5 per cento. È così che si sono selezionati, come organismi più idonei per storia e modernità, i democristiani (nazionale e bavarese) e i socialdemocratici, più i liberali, che a fatica saltavano l’asticella, e poi i verdi. Socialdemocratici e dc hanno governato quasi sempre da soli, a volte con un alleato minore, raramente insieme in regime di grande coalizione.
Tutto questo non ha mai tolto forza al governo del cancelliere (i cui poteri non dipendono dai regolamenti parlamentari: ha visto lo sconcio di martedì sera al senato sulla mozione di politica estera?). Insomma, mi sembra che il sistema tedesco offre insieme il meglio della proporzionale (la rappresentatività) e il meglio del maggioritario (la governabilità).
Ma dev’essere, appunto, sbarrato, se no si finisce a Weimar o al “porcellum” che ha ridotto l’Italia al governo di 13 partiti. Il referendum (che ho firmato come assicurazione sulla vita) farebbe piazza pulita di questa immonda canizza, ma poi la riprodurrebbe, perché le liste vincitrici sarebbero in realtà superliste di partiti coatti, pronti a ridividersi dopo. Per evitare il referendum, il parlamento deve fare una legge tendenzialmente bipolare, e si pensa appunto al modello tedesco. Ma dev’essere vero modello tedesco, non una truffa all’italiana che permetterebbe di entrare in parlamento superando lo sbarramento in una o due regioni.
Imbroglio, stella polare della casta politica.


 

L’Unità 26-7-2007 CAPITALIA Gli ex vertici romani a giudizio per il filone Ciappazzi. Ma l'avvocato del presidente ricorre in Cassazione Arpe e Geronzi travolti da un insolito destino /

 

Roma ro.ro. Appena due mesi fa si erano lasciati, in malo modo, ma un insolito destino li ha riuniti. Cesare Geronzi e Matteo Arpe, rispettivamente presidente ed ex amministratore delegato, sono stati entrambi rinviati a giudizio a Parma nell'ambito di un filone del processo per il crack del gruppo Parmalat. Al primo vengono contestati il concorso in bancarotta e usura, al secondo solo il concorso in bancarotta. La storia è nota ed è quella della cessione delle Acque Ciappazzi dal gruppo Ciarrapico a Parmalat. Secondo quanto hanno sostenuto Calisto Tanzi e Fausto Tonna, l'ex patron e l'ex direttore finanziario della società di Collecchio, Parmalat sarebbe stata costretta a comprare l'azienda, che aveva un valore praticamente nullo, da Capitalia per continuare ad avere finanziamenti da parte del gruppo romano. "La lettura dei verbali ... - si legge nel decreto che dispone il rinvio a giudizio di Geronzi - convince questo giudice dell'esistenza di uno strapotere decisionale di Geronzi che tutti indicano senza nominare come colui che "ha deciso"". È vero - va avanti il decreto recuperato da Radiocor - che "come afferma con forza la difesa di Geronzi non vi è un documento, un atto, una lettera che comprovi la decisione di concedere il finanziamento bridge (ponte, ndr), ma ciò non fa che avvalorare la tesi dell'accusa secondo cui bastava un colloquio informale a latere del consiglio di amministrazione per dare l'input alle strutture bancarie di giustificare in qualche modo il sostegno finanziario a Tanzi. Non si spiegherebbe in altro modo - continua il decreto - tutta la fretta, la caoticità, le irregolarità che connotano l'erogazione del bridge loan: bisognava far così sia perché Tanzi ne aveva bisogno, sia perché soprattutto, ne aveva bisogno l'istituto bancario per chiudere la vertenza ciarrapico". Quanto ad Arpe, il cui ruolo è di fatto "secondario e subordinato", il suo "contributo va sicuramente ridimensionato alla luce del chiaro atteggiamento oppositivo mostrato in occasione della prospettiva di erogazione del finanziamento alla Hit (la holding del turismo del gruppo Tanzi, ndr), quando egli aveva ritenuto non sussistenti le condizioni economico-patrimoniali sufficienti per l'erogazione". D'altro canto, "anche Arpe si rendeva conto che il denaro erogato (a Parmalat, ndr) era destinato alla Hit e che pertanto l'escamotage attuato era più prudente per l'istituto di credito". Quindi, "l'atto di assenso" (al finanziamento, ndr).... è sufficiente per poter sostenere l'accusa in giudizio". Per Geronzi, che presenterà ricorso in Cassazione, è comunque una bella tegola. Un rinvio a giudizio per il nuovo presidente di Mediobanca non è un bel biglietto da vista da esibire alla comunita finanziaria. Anche perché Geronzi ha già una condanna di primo grado, sempre per concorso in bancarotta, per il caso Bagaglino - Italcase. All'estero, come in Italia, poco conosciuto. Parmalat è però un'altra cosa.


INDICE 25-7-2007

 

+  Il Corriere della Sera 25-7-2007 Scalata Antonveneta, le richieste della procura di Milano. Fazio e Fiorani, chiesto rinvio a giudizio. Con loro anche altri 70 indagati circa (tra cui Consorte e Gnutti), cinque patteggiamenti e dieci richieste di archiviazione  1

+ Il Sole 24 Ore 25-7-2007 Processo Parmalat, rinvii a giudizio per Tanzi, Tonna e Geronzi 2

+ Il Corriere della Sera 25-7-2007 L'INTERVISTA / Il vicepresidente di Forza Italia: la grande coalizione? La proposi io ma temo che per lungo tempo sarà impossibile realizzarla "La nuova legge elettorale si farà Basta maggioranze girevoli" Tremonti: bisogna lavorare sulla bozza D'Alimonte  Di Sergio Rizzo  3

+  Il Giornale di Brescia 25-7-2007 CRISTIANESIMO E ISLAM La libertà religiosa da noi deve includere il rispetto dei diritti &nbsp Moschee e predicazione dell'odio e della violenza. 4

L’Unità 25-7-2007 Totò antimafia Marco Travaglio  5

L’Arena di Verona 25-7-2007 POLITICA E RISPARMI. Deputati e senatori veronesi hanno opinioni contrastanti sulla riduzione dei privilegi degli eletti in Parlamento I "tagli" dividono i parlamentari di Giorgia Cozzolino  6

L’Arena di verona 25-7-2007 LA CITTÀ E LE REGOLE. Riunione in prefettura con sindaco e forze dell'ordine. Si chiederà al ministero degli Interni come si può rendere operativo il provvedimento Nullafacenti, il Comune insiste per la linea dura "È legge dello Stato e va applicata", dice il sindaco Flavio Tosi. 7

Il Sole 24 Ore 25-7-2007 Le strategie di Palazzo Civico La Valle d'Aosta sforbicia il gettone dei consiglieri Domenico Albero  8

L’Unità 25-7-2007 Caso Italease, si muove la Procura di Milano Bankitalia chiede l'aumento di capitale e il ricambio del consiglio. Stop a nuove operazioni Un incontro tra Bankitalia e Consob. Il caso Banca Italease si sta gonfiando. 9

Italia Oggi 25-7-2007 Uno schema di dlgs modifica la legge Draghi. Nuovi obblighi per le banche Superpoteri alla Consob sui prodotti finanziari 9

Il Sole 24 Ore 25-7-2007Da Tripoli a Sofia. Finanziamenti e un accordo di partnership hanno consentito la liberazione delle infermiere bulgare La Ue spalanca le porte alla Libia Ritorno in Bulgaria con Cécilia su un aereo militare francese - Subito la grazia Adriana Cerretelli 10

Finanza e Mercati 25-7-2007 Antonio Gramsci è ancora attuale: "L'illusione è la gramigna più tenace della storia collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari". 11

 


+  Il Corriere della Sera 25-7-2007 Scalata Antonveneta, le richieste della procura di Milano. Fazio e Fiorani, chiesto rinvio a giudizio. Con loro anche altri 70 indagati circa (tra cui Consorte e Gnutti), cinque patteggiamenti e dieci richieste di archiviazione

 

 

MILANO - La procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per l'ex governatore della Banca d'ItaliaAntonio Fazio, Giampiero Fiorani, l’ex numero uno della Banca popolare italiana, l'ex numero uno di Unipol Giovanni Consorte, per il finanziere Emilio Gnutti. In tutto circa una settantina di persone e nove società nell’ambito dell’inchiesta sui tentativi di scalata ad Antonveneta. La procura ha chiesto anche cinque patteggiamenti mentre sono dieci le richieste di archiviazione. L’inchiesta è condotta dai pubblici ministeri Fusco, Greco e Perrotti, che constestano a vario titolo a gli indagati i reati di associazione a delinquere, aggiotaggio manipolativo informativo, ostacolo all'attività di vigilanza, riciclaggio e appropriazione indebita.

25 luglio 2007


 

+ Il Sole 24 Ore 25-7-2007 Processo Parmalat, rinvii a giudizio per Tanzi, Tonna e Geronzi

 

L'ex patron Calisto Tanzi e Fausto Tonna, ex numero uno e direttore finanziario della Parmalat, sono stati rinviati giudizio nell'ambito del filone principale del processo sul crac da 14 miliardi dell'azienda alimentare. Questo l'esito dell'ultima udienza preliminare, che si è svolta a Parma. Rinvio a giudizio anche per Cesare Geronzi, neo presidente del consiglia di serveglianza di Mediobanca e numero uno di Capitalia, imputato per bancarotta e usura nel filone Ciappazzi del procedimento. Nello stesso filone rinvio a giudizio anche per l'ex amministratore delegato di Capitalia, Matteo Arpe.

Il gup Domenico Truppa ha mandato a giudizio altri 21 imputati, tra cui Giovanni Tanzi, fratello di Calisto, Luciano Silingardi, ex presidente della Fondazione Cariparma, Domenico Barili, ex direttore marketing di Parmalat. Semaforo verde, quindi, al dibattimento. Di fronte al Gup Domenico Truppa si sono ritrovati gli avvocati di 66 imputati che rischiavano di andare a processo per le vicende legate al crack da 14 miliardi del gruppo alimentare di Collecchio. Altri 16 imputati hanno chiesto di patteggiare la pena. Dalla lettura dell'ordinanza, "sbilanciata" a favore delle tesi dell'accusa, emerge che la tesi avvalorata è quella del «Non potevano non sapere», riferito in primis all'entourage dell'ex patron Calisto Tanzi.

Danni morali, rimborsi per 40 milioni ai risparmiatori. Il Gup ha anche stabilito in 40 milioni di euro il rimborso per danno morale che andrà ai 32 mila risparmiatori del gruppo bancario SanPaolo-Imi e ad altri 3 mila, per un totale di 35 mila risparmiatori. Lo ha riferito l'avvocato difensore del Gruppo SanPaolo-Imi, Carlo Federico Grosso. I 40 milioni, ha spiegato Grosso, sono il 10% di quanto investito dai risparmiatori, ovvero 400 milioni di euro. Dovranno rimborsarli ai risparmiatori Luciano Del Soldato, ex direttore finanziario di Parmalat, Giampaolo Zini, inventore del Fondo Epicurum e Maurizio Bianchi, revisore tra il '94 e il 2001 di Parmalat. L'avvocato ha fatto anche notare che si tratta di un «precedente importante».

Il processo Parmalat è stato diviso in tre tronconi principali: Parmalat (32 imputati che potrebbero essere rinviati a giudizio), Parmatour (33 imputati, di cui otto in comune
con il processo principale) e Ciappazzi (con Geronzi, presidente di Capitalia, accusato di concorso in bancarotta e usura, più altri sette imputati). Ma anche in due sottofiloni: il processo per riciclaggio e la presunta truffa all'Emilia-Romagna Factor, una società di factoring bolognese (complessivamente tre imputati). Il dibattimento ha coinvolto in diversi modi 108 persone, più due posizioni archiviate per morte dell'accusato: il finanziere milanese Gian Mario Roveraro, rapito e ucciso per altre vicende un anno fa, e Pier Giovanni Marzili, sindaco di due società della galassia Parmalat, imputato solo di bancarotta.

Scontato il rinvio a giudizio dell'ex patron Calisto Tanzi, che nei mesi scorsi ha provato a patteggiare cinque anni di reclusione, un terzo di quanto rischia in caso di condanna. Tanzi è accusato di bancarotta fraudolenta e associazione per delinquere. Da quest'ultima imputazione la sua difesa ha chiesto il proscioglimento. Stesso discorso per l'altro protagonista del crack: Fausto Tonna. L'ex direttore finanziario della Parmalat dai bilanci truccati e dai conti correnti scoperti, con le sue rivelazioni ha svolto un ruolo importante nelle indagini del pool di magistrati parmigiano. Senza Tonna trovare il bandolo della matassa del buco di bilancio da 14 miliardi di euro sarebbe stato molto più difficile. Anche Tonna ha chiesto di patteggiare la pena, ma non gli è stato concesso.

Tanzi sarà presente al dibattimento. Uno degli avvocati di Tanzi, Giampiero Biancolella, ha assicurato che l'ex numero uno di Parmalat sarà sicuramente presente al processo dibattimentale. «Di certo, non ci aspettavamo una sentenza di non luogo a procedere. Abbiamo raggiunto già in questa fase l'obiettivo che ci eravamo prefissati quello di un processo più unitario possibile. Al dibattimento approfondiremo angoli ancora da scandagliare. Ossia tutto il periodo che va dall'ottobre del 2002 al default, periodo che merita approfondimento. Depositeremo anche una lista testimoni». A chi gli chiedeva perché Tanzi non abbia voluto fare il rito abbreviato Biancolella ha risposto: «Vogliamo il dibattimento, dobbiamo difenderci in Aula davanti a tutti».

 


 

+ Il Corriere della Sera 25-7-2007 L'INTERVISTA / Il vicepresidente di Forza Italia: la grande coalizione? La proposi io ma temo che per lungo tempo sarà impossibile realizzarla "La nuova legge elettorale si farà Basta maggioranze girevoli" Tremonti: bisogna lavorare sulla bozza D'Alimonte  Di Sergio Rizzo

 

ROMA - "Necessaria, ma non sufficiente ". Così Giulio Tremonti considera una nuova legge elettorale. Che comunque, confida, "si farà". Anche perché il referendum, ritiene il vicepresidente di Forza Italia, "non risolve i problemi" di un Paese dove il potere è ormai, dice, in "dissoluzione". Al seminario su politica e antipolitica organizzato domani dall'Aspen, associazione tradizionalmente sede di confronto bipartisan sui tempi più spinosi, il suo presidente, Tremonti, è pronto ad alzare l'asticella del confronto con l'opposizione. Partendo dalla seguente affermazione: "In questo principio di secolo nell'Europa continentale la questione del potere dei governi è divenuta centrale. I popoli chiedono cose che i governi non sono più in grado di garantire. Nell'altro secolo la democrazia serviva per limitare il potere dei governi, per ridurre il rischio di eccessi. Adesso è il contrario, non una questione di eccesso, bensì di deficit di potere ". Anche in Italia? "Credo che l'Italia rappresenti un caso particolare, ma in un contesto generale. Se uno guarda la carta geografica dell'Europa continentale, vede che la meccanica politica si sviluppa e accelera sulla questione del potere. La democrazia deve rimanere ma il potere dei governi deve crescere proprio per conservare la democrazia con risposte più efficaci alla domanda che viene dai popoli. Le dinamiche sono essenzialmente due: o il potere viene concentrato orizzontalmente o viene incrementato verticalmente ". Che differenza c'è? "La concentrazione orizzontale del potere si ha con le grandi coalizioni. Da eccezione tedesca, questa sta diventando la formula democratica prevalente in Europa. Dalla Germania all'Austria, all'Olanda..." E qual è la sua spiegazione? "Le crisi sociali ed economiche prodotte dai fenomeni straordinari che da fuori investono l'Europa continentale, sempre più vecchia, sempre più spiazzata, non possono essere risolte con formule ordinarie, con il 50 virgola zero qualcosa per cento. Se vuoi un governo che sia insieme democratico ed efficiente metti insieme su un'agenda economico-sociale comune la maggioranza e l'opposizione. La destra e la sinistra". Così la grande coalizione non è solo la fine del bipolarismo, che inseguiamo da più di dieci anni, ma anche della politica per come l'abbiamo sempre intesa. O no? "No, affatto. In Europa la grande dividente tra destra e sinistra non è più sul modello di economia, visto che più o meno tutti convergono sull'economia di mercato, ma è sulle diverse visioni della società. E qui la politica prosegue nella dialettica tra destra e sinistra. La differenza è sui valori, sui principi, sulle identità, sul concetto di progresso, sui limiti della ricerca. Non per caso le grandi coalizioni mettono in comune i temi economici e sociali lasciando fuori gli altri". Italia a parte, restano comunque in Europa significative eccezioni dove questo modello non riesce ad attecchire. Per esempio la Francia. "Dove si sta sviluppando un fenomeno nuovissimo: l'incremento verticale del potere. Per Nicolas Sarkozy o per la sua politica non basta una vittoria al 53%, non bastano neppure i poteri del presidente della Repubblica francese, che sono come i poteri del presidente della Repubblica italiana sommati a quelli del capo del governo italiano. Se è permessa un'immagine, le prerogative che ha Napolitano più quelle che aveva Berlusconi". Pura ingordigia di potere? "No. Soltanto che per fare una politica efficace Sarkozy pianifica il passaggio dalla Quinta alla Sesta repubblica, intesa questa come sistema costituzionale capace di reggere la sfida della modernità. La dinamica politica tedesca è orizzontale, quella francese è verticale. Entrambe sono democratiche. Entrambe proprio per essere democratiche aumentano il potere dei governi. Più potere ai governi a fronte di più domanda di governo che viene dai cittadini ". E la dinamica italiana, com'è, geometricamente parlando? "In Italia c'è la dinamica opposta. Non la concentrazione, non l'integrazione, ma la dissoluzione del potere. Le nostre istituzioni si stanno consumando per interazione reciproca. La debolezza del governo si trasmette al Parlamento e la debolezza del Parlamento si trasmette al Paese. Prodi mi sembra un disperato che guida un autobus tenendo per ostaggio un pezzo della classe politica e quel che resta delle ideologie del Novecento". Forse quell'autobus è anche costretto a guidarlo, non crede? "è difficile dire dove si ferma il patetico e dove inizia il tragico, perché in realtà sull'autobus non ci sono soltanto i suoi compagni di viaggio destinati a restare senza ritorno: chi sarà rieletto, quanti saranno rieletti? Sotto l'autobus ci sta finendo tutta l'Italia". Difficile attribuire la dissoluzione del potere soltanto a Prodi, che è al governo da poco più di un anno. Per cinque anni, prima di lui, ci sono stati il governo di centrodestra e un'altra maggioranza politica. Per inciso, la sua. "Concordo. All'intensità di questa dinamica degenerativa non corrispondono certo solo causalità uniche o solo causalità semplici. Ma c'è un punto essenziale, che è una responsabilità personale morale di Prodi e del suo governo". Che c'entra adesso la moralità? "Prodi non ha indicato soluzioni precise, ma si è presentato agli elettori con un programma fatto da un preciso elenco di grandi problemi. Non ha vinto, ha pareggiato, ma ha preteso di governare lo stesso. Ha preteso di governare grandi problemi con minimi numeri: lo zero virgola zero qualcosa. Questa è la profonda amoralità politica, l'avventurismo che caratterizza il governo Prodi. Questa è la causa della paralisi in atto. L'unica cosa che si muove nella politica italiana è la dissoluzione". La legge elettorale varata dal centrodestra viene indicata anche all'interno dell'opposizione come la causa principale dell'ingovernabilità. Il referendum è un rimedio? "La colpa non è della legge, ma della mancata vittoria. Se hai più 24 mila voti alla Camera ma meno 200 mila voti al Senato non c'è legge elettorale che trasformi un vuoto in un pieno. In realtà, mentre negli altri Paesi all'intensità dei problemi politici corrispondono proporzionalmente la novità e la serietà delle soluzioni in campo, in Italia è l'opposto: i problemi sono più gravi, ma le soluzioni più deboli. Il referendum stimola il Parlamento, ma non risolve il problema dell'asimmetria di maggioranza fra Camera e Senato e non elimina i partitini con la soglia di sbarramento. La Costituzione garantisce agli eletti un mandato senza vincolo. è così che i partitini prima si immergeranno nelle coalizioni più grandi e poi riappariranno in Parlamento nella forma di gruppi-partito". Per questo bisogna cambiare le regole. Non crede che a questo punto sia una strada obbligata? "Credo che, referendum o no, la legge elettorale sia necessaria e tuttavia non sufficiente. Per avere governabilità è necessario che il voto politico si concentri su di una forza dandole una vittoria molto marcata. Sono convinto che gli italiani siano intelligenti ed esprimano con una buona legge elettorale un voto intelligente. In fondo l'Italia è un Paese di centro che tende a destra e se uno legge i titoli delle prime pagine dei quotidiani, tanto di politica quanto di cronaca, vede che di fatto macinano voti per il centrodestra". Secondo il suo schema, un Paese ideale per la grande coalizione. "Pur avendola proposta per primo nel 2004 credo che per lungo tempo in Italia sia impossibile una grande coalizione. Infatti la sinistra antagonista è troppo forte, troppo attrattiva, troppo competitiva verso la sinistra governista ". Allora non resta che imitare Sarkozy. "Difficile anche questo. E tuttavia basterebbe una vittoria marcata per una delle coalizioni in campo. La Francia tenta il passaggio dalla Quinta alla Sesta Repubblica, noi non siamo stati in grado di cambiare la Costituzione della Prima. L'errore storico è stato contrastare con il referendum del 2006 la nostra riforma costituzionale. Uomini illuminati e disinteressati come Piero Ostellino, Sergio Romano e Angelo Panebianco l'avevano invece sostenuta, pur prospettandone necessarie modifiche, possibili a valle. Forse il punto di partenza e forse la speranza è negli uomini di buona volontà". Auguri. Temo però che senza una nuova legge elettorale si faccia comunque poca strada. "Nel 1998 ho fatto una proposta di legge basata sul modello tedesco. Non per caso era intitolata: "O il Cancelliere o il caos". Non era il modello tedesco perfetto. Non lasciava spazio a ipotetiche maggioranze girevoli. Era fortemente bipolare perché prevedeva il collegamento dei partiti a un candidato presidente ed escludeva i ribaltoni togliendo ai ribaltonisti i finanziamenti pubblici e i simboli elettorali". è applicabile ancora oggi? "Sì, in teoria. In concreto, mi sembra più realizzabile la riforma cosiddetta D'Alimonte, che elimina il rischio di maggioranze asimmetriche fra Camera e Senato".


 

+  Il Giornale di Brescia 25-7-2007 CRISTIANESIMO E ISLAM La libertà religiosa da noi deve includere il rispetto dei diritti &nbsp Moschee e predicazione dell'odio e della violenza.

 

Il problema è tornato a Perugia dopo che era emerso a Milano come a Parma. Quanto sia radicato il fenomeno tocca alle forze dell'ordine indagare. Ovviamente, non vanno identificate le moschee, i centri islamici con il terrorismo. Ciò nononostante la loro diffusione per la natura della dottrina impartita, solleva non poche domande sia alla nostra cultura occidentale e democratica come alla politica. Il presupposto per l'apertura di una moschea secondo la visione occidentale è il diritto alla libertà religiosa e di espressione. Per noi, questi due diritti costituiscono il Dna dei nostri Stati democratici. Sono parte integrante della laicità. Conseguenza? I nostri ordinamenti europei si fanno obbligo di concedere e anche promuovere il diritto degli immigrati musulmani ad erigere i loro luoghi di culto e di cultura islamica. È su questa linea che si muove la Camera dei deputati nella proposta di "Norme circa la libertà religiosa". Le norme cadono però in una inversione piuttosto eccentrica in quanto pongono il principio della laicità a fondamento delle libertà e non invece le diverse libertà quale costitutivo della laicità. Ma non è questo il punto centrale della questione delle moschee. Piuttosto l'errore dei nostri politici, degli amministratori locali, della cultura e della mentalità comune sta nell'equiparare la moschee ad un edificio di culto cristiano, cattolico o protestante oppure ortodosso che sia. Anzi molti laici, tanto a destra e a sinistra, ritengono di dover incrementare la presenza di altre religioni per equilibrare il peso della religione cattolica in Italia. Ma il cristianesimo e la cultura occidentale, il diritto europeo e i valori cristiani sostanzialmente, seppur non integralmente, finiscono per coincidere sui diritti umani fondamentali. Di fatto la visione della vita, della società civile, dello Stato non sono diametralmente opposti, seppur in costante dialettica ed anche opposizione. Non è così per l'Islam. Che significa concretamente? Che nelle mosche e centri islamici si insegnerà ai fedeli, senza per questo essere terroristi o predicatori violenti, una serie di principi sia teorici che pratici distanti e talvolta opposti alla vita democratica del nostro Paese e dell'Occidente. Subito si pensa alla sottomissione delle donne, ad alcune pratiche ancestrali interne al matrimonio. In realtà sono spesso soltanto delle consuetudini, che già alcuni stati islamici vanno modificando. Nella predicazione in moschea invece è normale che un musulmano venga educato a considerare la propria fede come l'ultima, la più completa, la più razionale. Ovviamente quanti non la seguono, gli occidentali sia cristiani che non credenti, sono su un piano di inferiorità. Diventare cristiano e non credente per un musulmano è regredire ad uno stato inferiore. Ne deriva l'obbligo di diffondere l'islam tra gli infedeli, se necessario, anche con la forza. In queste condizioni chiedere la reciprocità in rapporto alla libertà religiosa resta una pura utopia occidentale. La domanderà un musulmano in un paese occidentale ma non è possibile l'inverso. Inoltre per noi spogliarsi o attutire la propria identità, annullare i simboli religiosi, è un atto - seppur maldestro - di tolleranza e amicizia per non offendere chi ci sta davanti. In realtà viene colto come un segno di capitolazione. Concretamente la libertà di coscienza non esiste nell'Islam e l'esercizio di altre religioni è tollerato. Ora se un iman insegna questo in una moschea, non fa predicazione di atti di violenza fisica diretta, ma finisce per impartire una dottrina difforme dai valori occidentali. Ecco la questione moschee e centri islamici.

 


 

 

L’Unità 25-7-2007 Totò antimafia Marco Travaglio

 

Mentre ti sale lo sconforto e ti vien da pensare che "questi sono come Berlusconi", una mano amica ti manda un'intervista di Totò Cuffaro al Giornale di Sicilia. E ringrazi di cuore Cuffaro, perché finché ci saranno lui e i suoi mandanti sarà difficile per il centrosinistra, nonostante gli sforzi, diventare come Berlusconi. Il governatore, fotografato senza la tradizionale coppola, annuncia che la sua Regione "vuol entrare nella gestione dei beni confiscati alla mafia, per accelerare il processo di assegnazione a enti o associazioni che li sfruttino per promuovere sviluppo e legalità". E minaccia di pubblicare ogni tre mesi "il bilancio trimestrale dell'attività della Regione contro Cosa Nostra". È vero che, se Pomicino e Vito fan parte dell'Antimafia, se Previti è onorevole, se Fiorani si propone come difensore civico dei consumatori dalle truffe delle banche, se Pollari è giudice del Consiglio di Stato e Pio Pompa dirigente della Difesa, se Gianpaolo Nuvoli che voleva impiccare Borrelli in piazza è direttore generale al ministero di Giustizia con delega ai diritti umani, manca solo Fabrizio Corona garante della Privacy. Dunque anche Cuffaro, imputato per favoreggiamento mafioso e indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, può partecipare alla lotta alla mafia. Non sarebbe la prima volta: l'aveva già fatto il suo amico Francesco Campanella, il giovanotto a mezzadria tra la politica (presidente dei giovani Udeur e del consiglio comunale di Villabate sciolto 2 volte per mafia) e il clan Mandalà, che fornì i documenti falsi a Provenzano per la trasferta ospedaliera a Marsiglia e, quando si sposò, esibì come testimoni Cuffaro e Mastella. Bene, Campanella era solito organizzare marce antimafia: premiò pure Raul Bova per l'indimenticabile interpretazione del Capitano Ultimo. Quindi non facciamo gli schizzinosi: se Cuffaro vuole lottare anche lui contro la mafia, lo si lasci entrare. Tutto si potrà dire tranne che non si tratti di un esperto del ramo. "Le procedure di assegnazione dei beni confiscati alla mafia", sdottoreggia il governatore imputato, "sono troppo lente. Ho chiesto al ministro degl'Interni di entrare nella gestione". Così, fra l'altro, si garantirebbe la necessaria continuità fra il prima e il dopo: l'assemblea regionale siciliana ha sei deputati indagati per mafia e un vicepresidente arrestato. Se i beni confiscati alle cosche passassero alla regione, nessuno noterebbe la differenza e si eviterebbero pericolosi salti nel buio. Ma Totò Antimafia si spinge oltre e promette "controlli preventivi nel sistema dei finanziamenti" pubblici e dei fondi comunitari di Agenda 2007, "affinché le risorse siano utilizzate al meglio evitando infiltrazioni mafiose". Anche perché "ancora si incontrano difficoltà a ottenere, in sede di assegnazione degli appalti, la certificazione antimafia". E meno male che la certificazione non devono rilasciarla anche i politici, altrimenti lui avrebbe qualche problemino. E così il suo spirito-guida Calogero Mannino, imputato di mafia, adulterazione di vini e truffa allo Stato finalizzata alla concessione di finanziamenti pubblici alla sua azienda vinicola Abraxas, dunque senatore dell'Udc: ieri la Guardia di Finanza, su ordine del gip di Marsala, ha sequestrato all'azienda beni per mezzo milione. Chissà se Mannino aveva la certificazione antimafia: pare di no, visto che di recente aveva dovuto dimettersi da presidente del Cerisdi, il centro studi palermitano d'eccellenza, perché il prefetto gliel'aveva negata, tagliando fuori l'istituto dai fondi pubblici. Mannino ottenne l'immediata solidarietà di Buttiglione e Cesa, ma pure da Follini, ultimo acquisto del Pd: tutti sdegnati contro il prefetto che osa negare il certificato antimafia agl'imputati di mafia. Mannino, sobriamente, lo paragonò ai prefetti fascisti "che mandavano al confino Gramsci e Pertini". Ora Totò illustrerà i propri solidi meriti antimafia ("abbiamo finanziato la ristrutturazione di un capannone da adibire a laboratorio di indagine chimica della polizia scientifica") in un libro, ovviamente a spese della Regione: "Il nostro no alla mafia". L'ultima volta che patrocinò un libro - un'enciclopedia sulla Sicilia - incaricò Andreotti di compilare la voce "Salvo Lima". Questa volta, per cambiare, potrebbe affidare la prefazione a Dell'Utri. Uliwood Party.


 

L’Arena di Verona 25-7-2007 POLITICA E RISPARMI. Deputati e senatori veronesi hanno opinioni contrastanti sulla riduzione dei privilegi degli eletti in Parlamento I "tagli" dividono i parlamentari di Giorgia Cozzolino

 

Opinioni contrastanti tra i parlamentari veronesi sull'accordo raggiunto tra Camera e Senato in merito ai tagli sui costi della politica. L'iniziativa, presentata l'altro giorno a Montecitorio, raccoglie gli applausi dei deputati e senatori del centrosinistra, mentre sono critici i parlamentari del centrodestra. Il provvedimento prevede l'innalzamento a 5 anni, anziché gli attuali 2 anni e sei mesi, dell'anzianità minima per poter godere del vitalizio pensionistico. Cancellata anche la possibilità di riscattare gli anni di lavoro parlamentare mancanti in caso di scioglimento del Parlamento. Infine ai deputati e senatori vengono tolti 3.100 euro utilizzabili per il rimborso di viaggi studi all'estero. Cinzia Bonfrisco, senatrice di Forza Italia, spiega: "È solo fumo negli occhi, sono nella commissione bilancio del Senato e so che il costo dei parlamentari incide solo per il 12 percento dell'intero bilancio. Ciò significa che le vere spese vanno ricercate negli apparati, è lì che vanno fatti i tagli maggiori". La senatrice appoggia la proposta del leghista Dario Fruscio che ritiene necessario creare una commissione che identifichi in tempi rapidi gli sprechi e le spese superflue. E fa un piccolo esempio: "Ogni parlamentare ha diritto a ricevere una copia della Gazzetta Ufficiale, che costa 8 euro più le spese di spedizione. E vi sembra indispensabile un barbiere all'interno del Parlamento?". La Bonfrisco si dice "contraria al privilegio previdenziale dei parlamentari, così come a tutte quelle ingiustizie del tipo baby pensioni, ma se ci limitiamo a questi tagli significa fare solamente della demagogia". Anche il deputato leghista, Federico Bricolo, si dice critico, pur sostenendo che "tagli ai costi della politica sono opportuni". Spiega infatti: "Più che altro sarebbe il caso di tagliare il numero dei ministri, visto che questo governo detiene il record di ministri e sottosegretari, ma anche, come già avevamo proposto, ridurre il numero dei parlamentari eliminando il bicameralismo, che è di per sè uno spreco". Bricolo è poi contrario all'abolizione dei contributi figurativi perché sostiene che in questo modo tutti sarebbero "attaccati alla poltrona per tutta la legislatura per non perdere il vitalizio più che per il bene del paese". Lo ritiene invece un buon accordo l'onorevole diessino Giampaolo Fogliardi che precisa: "È un'ottima dimostrazione di sensibilità in un momento difficile per la politica italiana". E aggiunge: "Voglio pensare che sia un avvio a un risanamento laddove ci sono dispersioni e ingiustizie senza andare a tagliare in modo strumentale". Fogliardi si riferisce in particolare agli stipendi dei parlamentari che, si aggirano sui 13mila euro e che, tolti i contributi ai partiti, i costi per gli alloggi romani e i compensi ai collaboratori, risultano essere non più che "dei buoni stipendi, al pari di un direttore di banca". Accoglie con favore l'iniziativa anche Tiziana Valpiana, di Rifondazione Comunista, che però sottolinea: "Sono già diversi anni che si va verso i tagli progressivi ai privilegi, poi sta anche alla coscienza del parlamentare fare un uso etico dei rimborsi". L'accordo presentato l'altro giorno a Montecitorio in una conferenza congiunta con il presidente del Senato, Franco Marini, e della Camera, Fausto Bertinotti, prevede riduzioni alle pensioni e ai rimborsi che porterà un risparmio annuo di decine di milioni di euro, pari al 25 per cento dei bilanci attuali. Ammonterà a 40 milioni di euro il risparmio alla Camera dovuto al taglio dei vitalizi, di cui 27 milioni deriveranno dall'abolizione del riscatto della pensione in caso di scioglimento anticipato delle Camere e due milioni di euro si recupereranno dai tagli ai rimborsi per viaggi di studio all'estero. Attualmente sono 2.703 gli ex parlamentari che godono di assegni vitalizi, 1.061 di essi ha corrisposto solo 5 anni di contributi. La spesa complessiva prevista dal bilancio 2007 per i vitalizi della Camera supera i 129 milioni di euro e negli ultimi anni è in costante crescita.G.C.


 

L’Arena di verona 25-7-2007 LA CITTÀ E LE REGOLE. Riunione in prefettura con sindaco e forze dell'ordine. Si chiederà al ministero degli Interni come si può rendere operativo il provvedimento Nullafacenti, il Comune insiste per la linea dura "È legge dello Stato e va applicata", dice il sindaco Flavio Tosi.

 

Si tratta di capire in che modo. Per questo il Comune attende una riposta dalla Prefettura, che interrogherà il ministero degli Interni per sapere come applicarla. È, questo, l'esito della riunione, svoltasi ieri in Prefettura, del Comitato provinciale per la Sicurezza, sull'applicazione del Decreto legislativo 30 del 2007 che consente l'espulsione dall'Italia di cittadini dell'Unione Europea che, 90 giorni dopo la loro prima identificazione, non sono in grado di provvedere al sostentamento proprio e dei propri familiari. Si tratta del decreto contro i "nullafacenti" che tanto ha fatto discutere nei giorni scorsi in città. Uscendo dalla riunione, a cui oltre al Prefetto Italia Fortunati hanno partecipato il presidente della Provincia, Elio Mosele, il Questore Luigi Merolla, il comandante provinciale dei carabinieri Georg Di Pauli, il comandante provinciale della Guardia di Finanza Fabio Contini ed Eliano Pasini, della Polizia municipale, Tosi ha dichiarato: "Il Prefetto formulerà al ministero una richiesta di chiarimento per le modalità applicative del decreto e in particolare per gli articoli che riguardano l'allontanamento per ragioni di ordine pubblico, l'articolo 20, e per chi non dimostra capacità di sostenersi, articolo 21. È una legge dello Stato e va applicata". Tosi fa sapere che "ci sono diverse città italiane che hanno chiesto alla prefetture come applicare questa legge in maniera omogenea" e che ci sono casi recenti di cronaca che richiamano la possibilità dell'applicazione. "Pensiamo", precisa il primo cittadino, "al tentato furto alle cantine Bertani di Grezzana, compiuto da tre persone straniere che in questo momento sono già a piede libero. Un caso come questo potrebbe rientrare nella legge che noi chiediamo di applicare, perché chi non lavora deve poter essere espulso. In riferimento all'articolo 21 potremmo anche avere una banca dati dei soggetti che non sono in grado di sostenersi". Intanto, il Comune di Verona organizzerà presto un incontro con alcuni Comuni della cintura extraurbana, con la partecipazione della Provincia, per verificare la possibilità di coordinarsi nel far applicare il decreto legislativo. Nella riunione il sindaco, oltre che sui controlli ai phone center effettuati in questi giorni dalla Polizia municipale, ha anche informato il Comitato per la sicurezza sull'intenzione di sgomberare il Centro sociale La Chimica dall'ex scuola Perini, in Borgo Venezia. "Abbiamo sollecitato lo sgombero anzitutto per ragioni di sicurezza, visto che l'edificio è in condizioni fatiscenti e con presenza di amianto", precisa Tosi, "e visto quanto è successo a Borgo Venezia, con la Chimica che si è opposta a uno sfratto, anche per una questione di ripristino della legalità". Il sindaco ha poi aggiornato sul Piano di chiusura del campo Rom di Boscomantico, previsto per metà ottobre. Tosi lunedì prossimo incontrerà i dirigenti del Centro Don Calabria, per verificare il piano operativo da questo presentato per integrare alcune decine di nuclei familiari sinora ospiti al campo. Altro punto toccato è la campagna di informazione avviata da Comune e categorie economiche contro il commercio abusivo, che prevede multe da 1.000 euro ai clienti, in programma a partire da agosto come manifesti e spot radiotelevisivi. Il Comune ha informato anche su una manifestazione culturale in programma sabato e domenica al laboratorio anarchico-gelateria occupata in via XX settembre 97/b.E.G. Due ore di comitato per l'ordine e la sicurezza. Certo i temi di cui discutere erano molti, ma soprattutto c'era quel decreto legislativo numero 30 del 2007 che tanto fa discutere in questi giorni. "In astratto è applicabile", ha detto il prefetto Italia Fortunati, al termine della riunione fiume. La prefetto s'è però riservata di porre la questione al ministero. "Abbiamo esaminato il decreto", ha detto la rappresentante di governo, "studiato soprattutto l'articolo 21 che prevede l'allontanamento per cessazione delle condizioni che determinano il diritto di soggiorno e l'articolo 20, che riguarda le limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico", ha continuato Fortunati, "ci siamo dati un mese di tempo prima del prossimo incontro. Per allora predisporremo la scheda che dovrebbe essere compilata per dare inizio ai controlli". La scheda, per ora in via ipotetica, potrebbe essere data alle forze dell'ordine per i controlli che verrebbero fatti a campione, e agli uffici anagrafe nel momento in cui il cittadino comunitario facesse richiesta di iscrizione. Nella scheda andrebbero inseriti i dati della persona controllata, che poi dovrà dimostrare di avere un reddito, un alloggio e di essere in grado di mantenere sè stesso e i suoi familiari, se ne ha. "La questione va valutata in maniera approfondita", ha aggiunto Fortunati, "prenderemo contatti anche con il Comune di Milano, per confrontarci". Anche il vicesindaco di Milano, infatti, ha chiesto al suo prefetto di far applicare il decreto legislativo 30, nato per dare attuazione alla direttiva 2004/38 Ce e che riguarda il diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare, soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri. Il decreto prevede che l'allontanamento sia adottato dal prefetto, secondo la residenza o dimora del destinatario che ha non meno di un mese di tempo per lasciare il territorio nazionale. Se chi è stato allontanato ha il divieto di reingresso, ma torna in Italia, è punibile con l'arresto da tre mesi a un anno e con l'ammenda da 500 a 5mila euro, e viene allontanato con accompagnamento immediato. La decisione del sindaco Flavio Tosi di far applicare il decreto aveva suscitato proteste e perplessità nei giorni scorsi. Secondo il sindacalista del Siulp, Silvano Filippi, segretario regionale del sindacato di polizia, il decreto non era applicabile. Il sindacalista aveva pesantemente criticato il sindaco e la sua volontà. A.V. L'assessore provinciale alla Sicurezza, Giovanni Codognola, deve dimettersi. Lo dicono gli esponenti del centrosinistra in Provincia, che presenteranno una mozione alla prossima riunione del Consiglio. Vincenzo D'Arienzo (Ds), Sergio Ruzzenente (Margherita) e Paolo Andreoli (Rc) ritengono che il suo assessorato rappresenti un inutile costo della politica. "In tre anni si è limitato ad elargire piccoli contributi, grazie ad appena 13 delibere in tre anni", spiegano. "Dopo 24 mesi dall'approvazione di un ordine del giorno con cui si stabilivano le linee d'indirizzo e le iniziative sulla sicurezza del territorio, nulla è ancora stato fatto e ne abbiamo informato il prefetto, chiedendole di indagare", proseguono. "Ma la responsabilità non è da attribuire al solo Codognola: il presidente Elio Mosele ha istituito l'assessorato e poi non l'ha reso funzionante per mancanza di fondi". Secondo la minoranza l'ex rettore "chiede maggiori deleghe dalla Regione e non riesce a far funzionare bene nemmeno quelle che già ha sulle scuole, sul lavoro e sull'ambiente". In tema di sicurezza, Andreoli giudica quello della Lega "un atteggiamento da grida manzoniane, mentre serve seria opera di prevenzione". L'assessore Codognola replica: "Ho dovuto partire da zero, battendomi anche contro il patto di stabilità per costruire una base su cui lavorare seriamente. Ora ci stiamo riuscendo ed il prossimo investimento di un milione di euro sulla tele sorveglianza in città e in provincia lascia ben sperare". Chiude il presidente Mosele, che garantisce di avere un costante dialogo con il prefetto. "La Provincia ha sempre risposto alle richieste di collaborazione delle forze dell'ordine e della Protezione civile, attuando quanto richiesto dal tavolo che si riunisce davanti al prefetto". R.C.


 

Il Sole 24 Ore 25-7-2007 Le strategie di Palazzo Civico La Valle d'Aosta sforbicia il gettone dei consiglieri Domenico Albero

 

AOSTA L'opinione pubblica e i costi crescenti hanno indotto il primo cittadino del capoluogo a passare, per i consiglieri comunali, dal gettone di presenza all'indennità: "Nel 2004 – spiega il sindaco di Aosta,Guido Grimod – abbiamo cambiato le modalità di compenso perché ci siamo accorti che so-prattutto, nelle commissioni consiliari, il numero di riunioni si gonfiava a dismisura e con esso la spesa totale". Secondo Grimod, il problema è superato con il sistema dell'indennità "perché stabilisce uscite certe". Nel 2007 un consigliere semplice riceve 940 euro lordi al mese, ma il Presidente dell'assemblea civica 2.350, 4.700 gli assessori, 5.483 il vice sindaco e poco più di 7.800 il sindaco. I compensi vengono riparametrati ogni anno secondo quanto stabilito dalla legge regionale 23 del 2001: così nel gennaio scorso il Consiglio ha confermato anche per l'anno in corso la riduzione del 10% dell'indennità di funzione del sindaco rispetto a quella massima attribuibile, pari a 8.700 euro circa. Un provvedimento che riduce a cascata i compensi di tutti gli altri amministratori. "Nell'approvare un bilancio imperniato anche su misure che richiedono un maggior sacrificio ai cittadini per favorire il rilancio di Aosta – ha dichiarato Grimod – sono state confermate per l'anno in corso le indennità stabilite nel mese di dicembre del 2005". Nel rendiconto del 2006 si registrano uscite per compensi agli amministratori per 84mila euro circa, spese di rappresentanza per 32mila euro e rimborsi spese agli amministratori per quasi 61mila euro. E allo scopo di razionalizzare e contenere i costi della politica, in particolare per ciò che riguarda le indennità degli amministratori di Comuni valdo-stani, la Giunta regionale della Valle d'Aosta ha affidato lo studio di soluzioni possibili a un gruppo di lavoro misto, recentemente costituito, composto da funzionari regionali e rappresentanti degli enti locali. "La normativa in vigore – spiega il presidente della Regione, Luciano Caveri – nell'agganciare le indennità degli amministratori locali a quelle dei Consiglieri regiona-li, lascia ampio margine di autonomia ai Consigli comunali nella determinazione delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza ai propri amministratori, ponendo, esclusivamente, dei limiti massimi d'importo che sono poco conciliabili con le recenti disposizioni statali e regionali volte a contenere i costi della politica". Il gruppo di lavoro avrà il compito di proporre delle modifiche alla legge regionale 23 del 2001 e nello stesso tempo ipotizzare degli interventi sulle leggi regionali che regolano l'elezione e il funzionamento dei consigli comunali. Ma il dibattito sui costi dell'amministrazione pubblica ha coinvolto anche i dirigenti comunali. Secondo Ettore Viérin, consigliere di opposizione per Forza Italia, il costo del personale è cresciuto in due anni di un milione di euro. "La Giunta – afferma Viérin – ha deliberato recentemente di erogare ai dirigenti e al segretario generale il salario di risultato a cui si aggiunge la retribuzione di posizione, raggiungendo così la cifra di 283mila euro". "Nell'aprile scorso – minimizza il sindaco – ci siamo limitati ad applicare il contratto collettivo regionale di lavoro, attribuendo ai dieci dirigenti un'indennità di risultato di 1.600 euro lordi l'anno". SOTTO LA LENTE La Giunta regionale ha costituito da poco un gruppo misto di lavoro per ridurre le uscite in tutte le amministrazioni.


 

L’Unità 25-7-2007 Caso Italease, si muove la Procura di Milano Bankitalia chiede l'aumento di capitale e il ricambio del consiglio. Stop a nuove operazioni Un incontro tra Bankitalia e Consob. Il caso Banca Italease si sta gonfiando.

 

Tanto che anche la Procura di Milano, dopo l'esposto presentato dall'Adusbef, ha acceso un faro. Il dossier è all'attenzione dei magistrati milanesi, che stanno decidendo la strada da seguire. Ieri per la seconda volta nel giro di qualche giorno c'è stato un consiglio di amministrazione straordinario della banca. All'ordine del giorno l'ispezione fatta dalla Banca d'Italia che ha chiesto un aumento di capitale, il rinnovo del consiglio di amministrazione in carica e lo stop a nuove operazioni "strutturate" con la clientela. Per l'istituto, che nello spazio di pochi mesi ha bruciato 3 miliardi di euro di capitalizzazione per le operazioni condotte dall'ex-amministratore delegato Massimo Faenza, l'ennesima tegola. Che ha fatto crollare di nuovo il titolo. In Borsa ha perso il 9,7% a 16,016 euro. Volumi scambiati da capogiro, pari al 9,4% del capitale. La performance di Italease ha trascinato al ribasso anche le azioni del Banco Popolare (-4,4%), primo azionista con una quota del 30,7% circa. E il futuro non è proprio roseo. Per gli analisti resta ancora incertezza sul'esposizione della banca verso i derivati. Per ora si parla di 730 milioni ma la cifra potrebbe lievitare. Lo strumento del derivato è usato dalle banche per garantire dai rischi che potrebbero venire dalle oscillazioni negative dei tassi di interesse: uno swap sui tassi, per esempio, consente ad un'impresa, dietro pagamento di premi e commissioni, di assicurare che non vi siano perdite qualora i tassi aumentino o diminuiscano. Il fatto è che il derivato va maneggiato con cura perché è uno strumento con una elevata dose di rischio. Italease con qualche suo cliente ha omesso questo aspetto. Come ha ricordato lo stesso governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, lo scorso 11 luglio, nel suo intervento all'assemblea annuale dell'Abi: "Spingere i clienti ad assumere rischi finanziari anziché a coprirli accresce il rischio di controparte, con possibili perdite cospicue, fa emergere rischi legali e di reputazione, che minano le prospettive di sviluppo dell'intermediario, possono giungere a metterne in discussione la stabilità". Venerdì scorso il consiglio di Banca Italease ha deliberato un aumento di capitale per un importo di 600 milioni, elevabile fino a 700 milioni. Mediobanca si è impegnata a garantire il buon esito dell' operazione così come tutti i membri del patto (Bpvn, Bper, Antonveneta, BP Sondrio, Reale Mutua e Bpm) hanno confermato l'impegno a sottoscrivere la quota di propria spettanza.


 

Italia Oggi 25-7-2007 Uno schema di dlgs modifica la legge Draghi. Nuovi obblighi per le banche Superpoteri alla Consob sui prodotti finanziari

 

Superpoteri alla Consob sulle informazioni riguardanti i prodotti finanziari e derivati collocati sui mercati regolamentati e nuovi obblighi di comunicazione a carico di banche, sim e società di intermediazione mobiliare. Il ministero dell'economia ha infatti messo a punto lo schema di dlgs per l'attuazione della direttiva 2004/109/Ce sulla trasparenza delle comunicazioni riguardanti emittenti di valori mobiliari all'interno dell'Unione europea. Il provvedimento, oggi al vaglio del pre-consiglio, mette nuovamente mano alla legge Draghi (dlgs n. 58/1998) e fissa a 120 giorni il termine entro cui le società quotate in borsa dovranno approvare il bilancio dopo la chiusura dell'esercizio. Fermi restando gli obblighi e la tempistica prefissati dal codice civile (art. 2429 e 156, comma 5) il conto economico dovrà essere diffuso al mercato unitamente alla relazione finanziaria annuale comprendente oltre al bilancio d'esercizio anche il bilancio consolidato, nel caso in cui debba essere redatto, e la relazione sulla gestione. Entro 60 giorni dalla chiusura dell'esercizio dovrà poi essere predisposta una relazione finanziaria semestrale che includa il bilancio semestrale abbreviato e una relazione intermedia sulla gestione. La relazione sul bilancio semestrale abbreviato della società di revisione, precisa il testo, dovrà invece essere pubblicata integralmente insieme con la relazione finanziaria semestrale che dovrà essere trasmessa almeno 15 giorni prima della pubblicazione al collegio sindacale e alla società di revisione. Disposizioni più stringenti anche sulle modalità e i criteri di redazione del bilancio semestrale abbreviato che dovrà essere predisposto nel rispetto dei principi contabili internazionali contenuti nel regolamento Ce n. 1606/2002. La relazione intermedia sulla gestione dovrà invece contenere i riferimenti agli eventi più importanti che si sono verificati nei primi sei mesi dell'esercizio e una valutazione della loro possibile incidenza sul bilancio semestrale abbreviato. All'interno del documento dovrà essere poi inserita una descrizione dei principali rischi e delle principali incertezze legate all'andamento dell'ulteriore semestre d'esercizio. Entro 45 giorni dalla chiusura del primo e del terzo trimestre le società dovranno poi predisporre un resoconto intermedio contenente una descrizione generale della situazione patrimoniale e dell'andamento economico della società quotata e delle imprese controllate oltre a un'illustrazione compiuta degli eventi e delle operazioni realizzate nel periodo di riferimento con una specifica valutazione degli effetti destinati a incidere sul conto economico dell'emittente e delle imprese controllate. Sarà la Consob a stabilire, con appositi regolamenti, modalità ed eventuali deroghe agli obblighi di comunicazione e di trasparenza appena descritti. Il dlgs detta inoltre specifiche disposizioni per la conservazione (storage) di questi dati da parte di un sistema centralizzato accessibile anche alla consultazione da parte del pubblico e che in alcuni casi potrà essere collocato presso la commissione presieduta da Lamberto Cardia. Lo stoccaggio e la diffusione sui mercati delle informazioni regolamentate in generale dovrà però essere gestito direttamente dalla società interessata che potrà affidarlo a un soggetto esterno autorizzato dalla Consob attraverso la stipula di un apposito contratto di servizi. La violazione delle nuove norme sulla trasparenza che riguarderà anche l'acquisizione di partecipazioni rilevanti riferite alla detenzione di strumenti finanziari derivati comporterà l'applicazione di sanzioni più severe ed esporrà l'emittente anche alla sospensione o al divieto di negoziare azioni e quote di fondi chiusi. riproduzione riservata


 

Il Sole 24 Ore 25-7-2007Da Tripoli a Sofia. Finanziamenti e un accordo di partnership hanno consentito la liberazione delle infermiere bulgare La Ue spalanca le porte alla Libia Ritorno in Bulgaria con Cécilia su un aereo militare francese - Subito la grazia Adriana Cerretelli

 

BRUXELLES. Dal nostro inviato Attilio Geroni PARIGI. Dal nostro corrispondente "Finalmente è possibile aprire una nuova era nelle relazioni tra Unione europea e Libia, approdare a un accordo di partenariato del tipo di quelli vigenti con tutti i Paesi della regione ". Così il ministro degli Esteri portoghese Luis Amado, accanto al commissario Ue alle Relazioni esterne Benita Ferrero Waldner, ha commentato la fine,dopo ben otto anni, dell'incubo delle infermiere bulgare condannate a morte dal regime di Tripoli e liberate poche ore prima a Sofia. A quale prezzo? "Bisogna capire che era in gioco la vita di sei persone" ha risposto, visibilmente emozionata, la Ferrero-Waldner. L'aereo della salvezza li aveva riportati a Sofia all'alba, dopo otto anni di prigionia in Libia. Aveva il tricolore blu, bianco e rosso della repubblica francese e a bordo, ad attenderli, avevano trovato i volti sorridenti di Cécilia Sarkozy, della Ferrero- Waldner, e quello rassicurante di Claude Guéant, segretario generale dell'Eliseo. Queste sono state le prime sensazioni forti di libertà delle cinque infermiere bulgare e del medico palestinese, sfuggiti a un destino di morte o carcere a vita grazie all'azione combinata della diplomazia europea e di quella altamente personalizzata di Nicolas Sarkozy e di sua moglie. La liberazione dei sei, accusati di aver inoculato consapevolmente il virus dell'Aids a 438 bambini ricoverati nell'ospedale di Bengasi dove avevano prestato servizio durante gli anni Novanta,era nell'aria da lunedì. Già domenica sera l'aereo presidenziale francese stazionava all'aeroporto di Tripoli in attesa che i colloqui di Cécilia, Guéant e dell'inviato europeo con il leader libico Muammar Gheddafi portassero all'accordo e alla liberazione. Difficoltà dell'ultimo minuto - in particolare ulteriori richieste di aiuti finanziari da parte libica subito definite "inaccettabili" dal Governo bulgaro - sembravano aver compromesso le possibilità di una soluzione positiva. Invece lo sforzo finale dell'insolita trojka diplomatica ha dato i suoi frutti. Anche se il prezzo che l'Europa ha pagato e pagherà per ora resta piuttosto (e volutamente) nebuloso, di sicuro il colonnello Gheddafi sarà più che profumatamente ricompensato per il rilascio dei suoi ostaggi. Non solo infatti pare assodato che l'Unione, attraverso i suoi Governi, imprese e organizzazioni non governative, verserà il grosso dei 461 milioni di dollari destinati a compensare le famiglie (un milione ciascuna) dei bambini infettati dall'Aids. Contribuirà inoltre alla cura dei malati e all'ammodernamento dell'ospedale di Bengasi. Ma c'è dell'altro. Un memorandum sulle relazioni bilaterali firmato dal commissario Uee dal ministro libico per gli Affari europei Abdelati Al-Obeidi prevede che l'Unione europea prenderà le misure per favorire l'accesso al proprio mercato dell'export libico, in particolare di prodotti agricoli e della pesca, finanzierà e fornirà aiuto tecnico nel settore dei restauri archeologici, dispenserà agli studenti libici borse di studio e formazione nelle università europee, allestirà un dispositivo di sorveglianza delle frontiere terrestri e marittime della Libia per combattere l'emigrazione clandestina, distribuirà infine ai suoi cittadini visti Schengen in cambio della soppressione dei visti per quelli europei. Un pacchetto di concessioni sicuramente appetibili, nel quale stranamente brilla per assenza il settore dell'energia. Un pacchetto di proposte che ora dovrà essere sottoposto all'esame dei ministri degli Esteri Ue, che dovranno decidere se concedere a Bruxelles il mandato a negoziare appunto l'accordo di partenariato. L'occasione non si presenterà però prima di ottobre. "Avevamo sperato di poter sottoscrivere il memorandum in tempo per sottoporlo al Consiglio Esteri dell'altro ieri", ha commentato Amado. Ma, ha aggiunto, l'accordo è arrivato fuori tempo massimo. Più rapida del previsto è arrivata invece per le infermiere l'ultima buona notizia.Poco dopo l'arrivo nella capitale bulgara, i sei volontari sono stati graziati immediatamente dal presidente Georgi Parvanov - la loro condanna a morte era stata comminata in ergastolo a Tripoli. Mentre da Parigi, in contemporanea con la conferenza stampa del presidente della Commissione Ue José Manuel Barroso, Sarkozy spiegava all'Eliseole dinamiche che hanno portato all'accordo e il ruolo giocato dalla first lady: "Non si tratta di una nuova forma di diplomazia - ha detto Sarkozy, che già oggi sarà a Tripoli per incontrare Gheddafi e avviare il processo di normalizzazione dei rapporti tra Ue e Libia. C'era un problema da risolvere, l'abbiamo risolto ed è l'unica cosa importante". Il presidente, tirato in volto per aver passato la notte in contatto telefonico con gli emissari e con lo stesso Barroso, ha tagliato corto sulle critiche rivolte dai socialisti all'intervento della moglie ricordando di aver preso un impegno sulla liberazione delle infermiere e del medico già il 6 maggio, giorno della sua elezione, durante il suo primo discorso pubblico: "Non sono stato eletto per guardar passare i treni", ha replicato, domandando polemicamente che cosa avessero fatto negli anni passati i ministri degli Esteri francesi per la liberazione dei prigionieri. IL PREZZO PATTUITO L'Unione si è impegnata a versare la maggior parte dei 461 milioni di dollari chiesti per compensare le famiglie dei bambini di Bengasi Finalmente a casa. Grandi festeggiamenti ieri mattina all'aeroporto di Sofia per le cinque infermiere bulgare e il medico bulgaro-palestinese che ancora non riuscivano a capacitarsi di essere usciti da un incubo durato otto anni EPA.


 

Finanza e Mercati 25-7-2007 Antonio Gramsci è ancora attuale: "L'illusione è la gramigna più tenace della storia collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari".

 

Le bolle non sono un fenomeno recente, e si ripercuotono in modo omogeneo nel corso dei secoli, dalla "tulipanomania" olandese fino alle recenti bolle immobiliari americane e cinesi. L'ultima vittima potrebbe essere uno degli attuali motori europei, la Spagna. L'economia cresce al 4 per cento. Ma per sostenere la crescita le aziende sono costrette a indebitarsi in modo massiccio. La questione - come segnalato da un report di Dresdner Kleinwort - non è "se" il Paese avrà problemi, ma "quando". Non sono pochi i punti interrogativi. Il deficit delle partite correnti è attorno al 10% del Pil. Le "corporate" hanno accumulato un debito - nel primo trimestre dell'anno - pari al 105% del Prodotto interno lordo, oltre qualsiasi altra grande economia europea, compresa la Gran Bretagna. Mentre i debiti delle aziende verso l'estero ammontano a 600 miliardi dollari. Intanto, negli ultimi 10 anni il prezzo degli immobili è triplicato, i mutui sono sestuplicati, le famiglie hanno debiti che sovrastano il reddito, a tassi variabili. Tassi che adesso sono fermi al 4% , ma dei quali ci si attende la crescita al 4,5% entro dicembre, e al 5% nel prossimo anno. Il sistema bancario sovra-esposto con i mutui potrebbe risentirne. È un fenomeno non solo spagnolo, ma anche francese. E italiano. Il Centro Studio Sintesi di Venezia segnala che i prezzi delle case continuano a crescere anche nel Belpaese, anche se meno che in passato. E come si è visto, cresce il costo del denaro. Ma le famiglie sembrano essere più prudenti: Unicredit - attraverso l'Osservatorio mututi di Banca per la Casa - registra una diminuzione (-1,6%) nel primo trimestre del 2007 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno nella richiesta di mutui.


INDICE 24-7-2007

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+ +  Il Corriere della Sera 24-7-2007 Lavoro: quanto pesa la mancanza dei dati . Meno bandiere più pragmatismo di Pietro Ichino  1

+  Il Sole 24 Ore – 24-7-2007 Calabrò: «Ancora troppi disservizi e addebiti telefonici impropri» di Nicoletta Cottone  2

Primadanoi.it 23-7-2007 Costi della politica, «2mila euro per una firma poi me la squaglio»  3

Il Corriere della sera 24-7-2007 POLITICA E TAGLI Quanto costa la commissione anti-sprechi? Di SERGIO RIZZO e GIAN ANTONIO STELLA  4

La Stampa 24-7-2007 Fischi al ministro dalle Comunità  5

Italia Oggi 24-7-2007 Il Caso Il Senato si vendica con i media e prepara le forbici per i giornali 6

Il Giorno 24-7-2007 TANTO per cominciare, i provvedimenti si attueranno dalla prossima legislatura. 6

L’Unità 24-7-2007 Clementina, sia Clemente Marco Travaglio  7

La Stampa 24-7-2007 Analisi Clementina e i giorni dell'amarezza Ma per l'Antonveneta nessuno protestò PAOLO COLONNELLO  8

La Repubblica 23-7-2007 OLTRE IL GIARDINO La furbata di Marano e la tv dei furbetti di ALBERTO STATERA  9

L’Unità 24-7-2007 LIQUIDAZIONI Premi alla carriera e stock options milionarie, ma anche la diabolica invenzione della governance duale Geronzi e la compagnia bancaria degli uomini d'oro Oreste Pivetta  10

Il Giornale di Brescia 24-7-2007 La Ue al lavoro sul nuovo Trattato  10

Europa 24-7-2007 Meriti e colpe dei magistrati nella lotta contro i terroristi islamici FEDERICO ORLANDO RISPONDE  11

Il Piccolo di Trieste 24-7-2007 Turchia, Erdogan rassicura l'occidente: il cammino verso l'Europa continua  12

ISVAP 23-7-2007 COMUNICATO STAMPA DEL 23 LUGLIO 2007. RCAuto: Isvap propone di abolire il tacito rinnovo  13

 


 

+ +  Il Corriere della Sera 24-7-2007 Lavoro: quanto pesa la mancanza dei dati . Meno bandiere più pragmatismo di Pietro Ichino

 

 

I Paesi del Nord Europa e del Nord America dispongono di una quantità impressionante di dati sulle vicende dei lavoratori nel mercato e nel tessuto produttivo: li raccolgono in modo sistematico e li usano per affinare la comprensione di ciò che realmente accade. In Italia, su questo terreno siamo enormemente indietro rispetto a quei Paesi. Per esempio: mancano i dati individuali sulle retribuzioni, sulla loro struttura, evoluzione e potere di acquisto zona per zona; mancano i dati analitici su campioni rappresentativi di persone, che nei Paesi più evoluti consentono di studiare con precisione le loro storie di formazione e di lavoro o non lavoro.

L'arretratezza del nostro sistema di rilevazione dei dati sul funzionamento del mercato del lavoro — troppo sovente difesa con una protezione della
privacy che qui non c'entra proprio nulla — si sposa benissimo con il carattere fortemente ideologico dei nostri dibattiti politici in materia. Discutiamo sventolando bandiere (articolo 18, e ora la legge Biagi) o cercando di abbatterle, ma ci curiamo pochissimo di sapere quali sono gli effetti reali di questo o quel provvedimento su cui discutiamo. Il nostro Paese ha, invece, estremo bisogno di una politica fortemente ispirata al pragmatismo; di una politica, dunque, che sappia avvalersi di tutto quanto possono offrirle la statistica, l'economia, la sociologia del lavoro e delle relazioni industriali. Queste scienze non forniscono quasi mai prescrizioni univoche circa la scelta migliore da compiere — che resta compito proprio della politica — ma, quando dispongono dei dati, sanno indicare, in riferimento a una determinata scelta, chi ci guadagna e chi ci perde, come e quanto. Esse inoltre presentano l'incalcolabile ricchezza di mettere in comunicazione studiosi di tutto il mondo, di valutare comparativamente esperienze compiute in Paesi diversi; e sono, proprio per questo, il solo mezzo che possa consentire alla nostra politica del lavoro di uscire dal provincialismo che ha caratterizzato fin qui i suoi dibattiti. Il primo passo da compiere è potenziare e affinare decisamente le attività di raccolta dei dati, per metterci al passo con la parte più evoluta del mondo; e ascoltare di più chi li sa leggere ed elaborare. Ma la svolta — se ne trova un interessante preannuncio nel discorso torinese di Walter Veltroni — dovrebbe consistere anche in questo: smettere di concepire gli interventi legislativi come momenti di palingenesi, di riforma epocale, e incominciare a concepirli come momenti di sperimentazione, ispirata a quanto di meglio offre il panorama internazionale, magari inizialmente limitata a determinate zone o aziende per consentire il confronto con quanto accade in quelle «non trattate ». Per esempio: la legge nazionale o un accordo interconfederale delinea e incentiva la sperimentazione di una riforma in materia di ripartizione tra retribuzione fissa e variabile, oppure di autocertificazione per le malattie di brevissima durata con riduzione della retribuzione per i giorni di assenza e redistribuzione del risparmio conseguito su tutti gli stipendi; e si lascia che siano le leggi o i contratti regionali, oppure anche i contratti aziendali, a decidere se adottare o no l'innovazione.

È il metodo del try and go: se i risultati sono buoni, si estende la riforma; altrimenti ci si muove in altre direzioni. In campo medico questo metodo è obbligatorio: nessuna terapia può essere praticata su scala nazionale prima di essere stata testata sperimentalmente. Dobbiamo incominciare a ragionare e operare così anche per curare le disfunzioni del mercato del lavoro, per cercare senza pregiudizi — né di destra né di sinistra — le soluzioni migliori.

24 luglio 2007


+  Il Sole 24 Ore – 24-7-2007 Calabrò: «Ancora troppi disservizi e addebiti telefonici impropri» di Nicoletta Cottone


Dopo l'ultimatum di Bruxelles, che ha dato all'Italia due mesi di tempo per correggere le distorsioni nella distribuzione delle frequenze tv determinate dalla legge Gasparri, va accelerato l'iter del disegno di legge Gentiloni di riassetto del sistema tv per consentire al nostro ordinamento di mettersi in linea con l'Europa. Il monito rivolto al Parlamento arriva dal presidente dell'Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni Corrado Calabrò che questa mattina ha presentato alla Camera la relazione sull'attività svolta dall'Authority nel 2006. Nel suo discorso Calabrò ha denunciato la delusione sulle aspettative di trasparenza e di qualità dell'offerta di servizi di telecomunicazione che genera un danno ai consumatori e al sistema produttivo. «La valanga di segnalazioni di disservizi, ritardi nella riparazione dei guasti, di attivazione di servizi non richiesti e di addebiti telefonici impropri, che l'Autorità riceve - dice Calabrò - assume le dimensioni di un primario problema sociale». Nel primo semestre del 2007 le tariffe dei servizi di telecomunicazione, però, anche grazie a interventi legislativi, sono ulteriormente calate di circa l'8%, con un risparmio su base annua stimabile in circa due miliardi di euro. Il presidente dell'Authority ha anche sottolineato che «l'abolizione della tassa di concessione sulla telefonia mobile può contribuire a una maggiore concorrenza e innovazione sul fronte delle tariffe mobili».
L'Authority ha rilevato che Telecom italia é «operatore dominante in tutti i mercati che riguardano la rete fissa», quindi la separazione funzionale della rete «é il rimedio più efficace per risolvere i problemi concorrenziali», nell'interesse di tutti gli operatori e della stessa Telecom. Per centrare l'obiettivo entro l'anno, l'Authority intende dialogare con tutti, Telecom in primis.
L'Autorita' per le Comunicazioni compie quest'anno dieci anni e festeggia il passaggio dell'Italia da maglia nera del settore delle telecomunicazioni in Europa in fatto di
liberalizzazione del mercato, a una leadership che la vede salire come quinto mercato al mondo in termini di fatturato pro capite e il secondo nei servizi voce nella telefonia mobile con una penetrazione del 140% senza eguali.

Editoria
Per l'Authority è opportuno un riordino del settore dell'editoria, nel segno della semplificazione amministrativa, dell'innovazione tecnologica e dell'intervento sulle strozzature che ne condizionano la distribuzione'. Calabrò è favorevole a una revisione della normativa che regola il settore pur riconoscendo che «'la stampa appare caratterizzata da assetti di mercato competitivi e da limiti ex ante, tuttora validi, che ne assicurano uno svolgimento pluralistico» e afferma di non condividere '«le previsioni apocalittiche» di quanti affermano che, con l'evoluzione del sistema dei media, quelli tradizionali '«saranno soppiantati da nuove forme policentriche di informazione intolleranti a qualsiasi forma di mediazione culturale». Resterà centrale, secondo Calabrò, il ruolo della stampa e del giornalismo professionale come «fondamentale presidio della vera liberta' di informazione, intesa come comunicazione sostanziale».

Raccolta pubblicitaria in tv
Il duopolio Rai-Mediaset domina il mercato della raccolta pubblicitaria, ma Sky tallona Mediaste. Nel 2006 Rai e mediaste si sono aggiudicate l'84% delle risorse da spot, ma Sky, con il 91% degli introiti da tv a pagamento, superiori al canone Rai, tallona Mediaset nei ricavi totali del settore tv: nel 2006 la Rai ha occupato una quota del 34%, Mediaset del 29%, mentre la piattaforma satellitare ha raggiunto il 28 per cento.

Rai
Indipendenza della Rai dalla politica, nel solco dei criteri dettati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Per Calabrò il disegno di legge ha il compito di individuare «un modello di governance della società che realizzi una netta separazione tra le attività di servizio pubblico e le attività commerciali, secondo gli indirizzi comunitari». L'attuale normativa ibrida, segnala nella relazione, rende stentata l'operatività. Fare servizio pubblico, per la Rai, vuol dire «qualità della programmazione e diffusione di stimoli culturali adatti alla grande platea televisiva; completezza dell'informazione; utilizzazione delle nuove tecnologie per rinnovate modalità di produzione e distribuzione dei contenuti, con un rafforzamento delle possibilità di accesso».

I numeri dell'Authority
Nel 2006 l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si è riunita 73 volte e ha deliberato 835 provvedimenti, 24 dei quali legati ad analisi e regolamentazione dei mercati delle comunicazioni elettroniche. Ha svolto circa 30 consultazioni pubbliche in materia regolamentare, con la partecipazione di operatori, associazioni dei consumatori, università e singoli cittadini e 4 indagini conoscitive su materie come le offerte integrate fisso-mobile e i servizi a ricarica del credito.
Sono stati170 i pareri di pubblicità ingannevole, 106 di concorrenza su provvedimenti dell'Antitrust; 16 operazioni di concentrazione nel Sistema integrato delle comunicazioni; 30 provvedimenti sanzionatori in materia di tutela dei minori; 15 interventi volti a salvaguardare la par condicio, 27 sugli obblighi di programmazione, 26 sulla pubblicità, 149 le autorizzazioni e i trasferimenti di proprietà di aziende radiotelevisive e la tutela dei diritti e degli utenti. Su quest'ultimo fronte, sono state analizzate circa 5mila segnalazioni di consumatori (oltre 1.100 verificate direttamente sul campo) e sono stati sanzionati gli operatori per oltre 2 milioni di euro per le sole infrazioni nei confronti degli utenti. Infine sono 16 le associazioni dei consumatori che da quest'anno siedono al neo istituito tavolo permanente di consultazione. Nel 2006 sono al Tar del Lazio e al Consiglio di Stato oltre 60 ricorsi e 44 istanze cautelari (nessuna è stata accolta), mentre due terzi dei ricorsi è stato respinto nel merito (e dei ricorsi accolti, la metà è stata ammessa solo in misura parziale).


 

Primadanoi.it 23-7-2007 Costi della politica, «2mila euro per una firma poi me la squaglio»

 

PESCARA. Dopo la pubblicazione dei due libri: "La casta" di Giannantonio Stella-Rizzo e " Senti chi Parla" di Mario Giordano che mettono a nudo gli sprechi del denaro pubblico da parte della politica, a Pescara Gianni Melilla, presidente del Consiglio Comunale, ha proposto di ridurre i numeri degli assessori da quattordici ad otto. «Bella proposta», commenta Antonio Gentile, segretario provinciale Nuovo Psi, «ma certamente irrealizzabile, con la maggioranza di oggi e con il sindaco attualmente bersagliato della magistratura e della stampa nazionale e internazionale».Con il taglio ipotizzato da Melilla chi potrebbe voler rinunciare alla sua posizione? Come procedere? Con un sorteggio? Chi rinuncerà di sua sponte al succulento appannaggio?
«Melilla», continua Gentile, «se intende veramente portare una ventata di moralità nell'amministrazione comunale (ne ha tutti i titoli per farlo) non deve fermarsi solo al numero degli assessori. Bisogna ridurne anche l'indennità e proseguire con i consiglieri comunali e circoscrizionali».
Gentile fa un po' di conti in tasca ai consiglieri del Comune e bolla come «immorali» i compensi percepiti: «si arriva a guadagnare oltre 2mila euro fra sedute consiliari e commissioni di lavoro dove ci si limita in maniera oscena e truffaldina ad apporre la sola firma per poi squagliarsela».
Altro spreco «indecoroso», che pochi conoscono è, spiega ancora il segretario provinciale dello Psi, «il distacco dagli uffici di personale che viene utilizzato (si fa per dire) presso i gruppi consiliari per l'importante lavoro di "enigmistica" anche durante le ore di straordinario». E Gentile consiglia una cura dimagrante per «l'elefantiaca segreteria del primo cittadino». «I rapporti con la base elettorale e con gli iscritti dei propri partiti vanno curati fuori dalle istituzioni senza farne gravare i costi sulle stesse».
Altro importante taglio su cui il segretario riflette è quella del city manager: «Antonio Dandolo, assunto in comune quale city manager succhia ogni anno 200mila euro. Questa figura, creata con la sciagurata riforma Bassanini, non è obbligatoria. Il suo compito non si sa bene quale dovrebbe essere, considerato che il ruolo di segretario comunale, questa si istituzionale, esiste ancora». E Gentile chiude con la "perla dello spreco d'alfonsiano" , «da far conoscere ai cittadini pescaresi e forse anche alla Corte dei Conti:
Giorgio D'Amico, ex primario chirurgo dell'ospedale di Torre Maggiore in provincia di Foggia ed ex assessore comunale, non si sa di quale raggruppamento politico, da quando è stato rimosso dalla carica per far posto ad un altro pseudo politico senza seguito elettorale, incassa mensilmente dal comune 1.300,00 €. A che titolo? Forse come consulente chirurgico del sindaco?»
23/07/2007 9.25


 

Il Corriere della sera 24-7-2007 POLITICA E TAGLI Quanto costa la commissione anti-sprechi? Di SERGIO RIZZO e GIAN ANTONIO STELLA

 

 "Trattasi di un gruppo di svogliati selezionati da un gruppo di incapaci per il disbrigo di qualcosa di inutile".Ecco cos'è una "commissione" nella micidiale definizione di un antico e caustico editorialista del New York Times . Un giudizio forzato. Forse qualunquista. Ma che non può non tornare in mente (facciamo gli scongiuri) davanti alla decisione presa dal Senato di affrontare la questione incandescente dei costi della politica istituendo una apposita commissione conoscitiva da mettere al lavoro dopo le vacanze, la tintarella, i bagni. Il metodo più sicuro, spesso, per guadagnare tempo. Si dirà: certe commissioni parlamentari hanno fatto un buon lavoro. Verissimo. Ottimo. Si pensi a quella sulla condizione contadina condotta alla fine dell'Ottocento da Stefano Jacini per denunciare la disperazione di un mondo di tuguri "ove in un'unica camera affumicata e priva di aria e di luce vivono insieme uomini, capre, maiali e pollame". O quella sulla Questione Meridionale di Leopoldo Franchetti, Sidney Sonnino ed Enea Cavalieri. O ancora, in tempi più recenti, quella sulla P2 sotto la presidenza di Tina Anselmi. O quelle, soprattutto in certi anni durissimi, sulla mafia. Sia pure concluse, a volte, purtroppo, con l'epilogo sconcertante di relazioni di maggioranza e relazioni di minoranza. Neppure i più accaniti teorici di questo strumento della democrazia, però, possono negare quanto esso sia andato via via alla deriva. Fino ad assumere, troppo spesso, altre funzioni. Non nobilissime. Di minaccia, di vendetta, di ricatto. Di pressione politica. Basti ricordare l'Umberto Bossi nella sua stagione di guerra al Cavaliere: "Parlare e discutere di par condicio è troppo poco. Io propongo una commissione parlamentare d'inchiesta sugli arricchimenti di Silvio Berlusconi. Da dove provengono i suoi soldi? Come ha costruito il suo impero televisivo? Come utilizza la politica per difendere gli affari personali?". O l'ambigua intimidazione di Luciano Violante: "Se facessimo come Berlusconi nella prossima legislatura, a elezioni vinte, potremmo istituire una commissione parlamentare su come è diventato ricco. Ha detto che andava in comune a Milano con l'assegno in bocca: a chi lo dava?". O ancora l'avvertimento dello stesso Cavaliere reduce dall'aver deposto al processo di Milano: "Faremo una commissione d'inchiesta sulla vendita della Sme". Per non dire dell'insistenza con cui pezzi della sinistra hanno premuto per una commissione sul G8 di Genova, la cui presidenza per Gigi Malabarba doveva andare alla madre di Carlo Giuliani. O delle polemiche divampate intorno alle commissioni sull'affare Mitrochin, su Telekom Serbia o perfino alle sole ipotesi di commissioni su Tangentopoli, sull'uso della giustizia negli anni di Mani Pulite o sulle scalate bancarie del 2005. Non bastasse, si sono viste commissioni parlamentari, regionali o comunali così pigre, assurde o traboccanti di poltrone da minare gravemente la fiducia dei cittadini. Come quella costituita anni fa in Calabria "per la qualità e la fattibilità delle leggi", i cui risultati (zero) sono sotto gli occhi di tutti. O quella sui fondi neri Iri, istituita nel gennaio 1987 e defunta senza mai riunirsi una sola volta. O quella dedicata all'ambiente che, stando al rapporto Legambiente 2001, riuscì in un anno a esaminare "solo gli emendamenti all'articolo 1" (su dieci) della Legge Micheli contro l'abusivismo. O le due "commissioni interministeriali sul latte microfiltrato" chiamate a pronunciarsi (giudizio favorevole) sul via libera al latte "frescoblu" sul quale Calisto Tanzi aveva scommesso decine di milioni di euro. E la "commissione antisprechi" nella Sanità voluta dalla Regione Veneto nel 2003? Tre anni dopo, la Corte dei Conti riassumeva che era costata 340 mila euro e aveva prodotto (in tre anni!) due documenti, inutilizzati: che spreco! E le 24 commissioni permanenti o speciali (dalla "riforma della burocrazia" alla "garanzia e tutela della riservatezza della sfera personale e della privacy") del Lazio? E le 18 della Campania ridotte a 12 solo in seguito alle polemiche e alle risate sulla decisione di fare una "Commissione sul Mare" e una "Commissione sul Mediterraneo"? Fino al capolavoro, serissimamente descritto da un'agenzia del maggio 2002: "Parte operativamente da lunedì prossimo, con la prima riunione della speciale commissione che si riunirà al ministero della salute, il "progetto dentiera" voluto dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per dare agli anziani "edentuli" e indigenti le protesi, cioè le dentiere, che non si possono permettere". Tra quelle ordinarie, permanenti, speciali, bicamerali, conoscitive o di inchiesta, le commissioni avviate da Camera e Senato in questa solo legislatura risultano essere (dal ciclo dei rifiuti al servizio sanitario nazionale, dagli infortuni sul lavoro all'uranio impoverito) ben 56. C'è la commissione di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti, la banca del Tesoro, la cui vita è riassunta dal deputato Carmine Santo Patarino così: "Finora abbiamo fatto due o tre incontri, ma ancora l'attività istituzionale non è stata avviata". C'è la commissione mista per "l'accesso ai documenti amministrativi". C'è quella "consultiva per il riconoscimento di ricompense al valore e al merito civile". Quella dell'anagrafe tributaria, che fino a oggi si è riunita sei volte: poco più di una a trimestre. Quella per la "semplificazione della legislazione" che in un anno e passa è stata convocata 13 volte (totale: 10 ore) sotto la sapiente guida di Pietro Fuda il quale, uomo giusto al posto giusto, è stato dirigente della Cassa del Mezzogiorno e poi della Regione Calabria: due modelli di burocrazia agile e scattante. E via così... Sperano davvero i senatori, con questi precedenti, che i cittadini si entusiasmino alla nascita di questa nuova commissione, che peraltro si aggiunge a quella già varata dalla Camera? In bocca al lupo. Ammettano però che un po' di scetticismo... Sergio Rizzo.


 

La Stampa 24-7-2007 Fischi al ministro dalle Comunità

 

Polemica Il ddl attende ancora il voto del Parlamento Fischi al ministro dalle Comunità MAURIZIO TROPEANO Lido Riba, presidente piemontese dell'Unione delle comunità Montane, a più riprese aveva invitato presidenti, consiglieri e assessori del sistema degli enti locali montani ad accogliere il ministro Linda Lanzillotta con fair play istituzionale. E così quando il ministro si siede al tavolo di presidenza del convegno sulla Governance nei territori montani i timidi applausi riescono a coprire i timidi fischi. La contestazione arriverà alla fine quando nel suo intervento il ministro difenderà la scelta di introdurre la soglia dei 600 metri d'altitudine come discriminante per definire l'appartenenza di un comune alla comunità montana. Fischi, commenti critici espressi a voce alta, plateali uscite dalla sala. Il ministro, però, non retrocede di un millimetro. le contestazioni? "Non ho paura del confronto e credo che le ragioni di merito del provvedimento siano state apprezzate dagli amministratori dei comuni veramente montani". Dunque quota 600 resta per il governo un limite insuperabile - "non è una nostra invenzione ma è applicato nei principali paesi europei", spiega il ministro - e sarà la base della discussione nella conferenza unificata Stato-regioni e comuni dell'1 agosto. Aggiunge: "In questo modo siamo convinti di tutelare i veri interessi della montagna". Gli amministratori in platea non la pensano così. Se il ddl Santagata sulla riduzione dei costi della politica sarà approvato verrebbero cancellate 7 delle 48 comunità montane e ben 247 comuni sugli attuali 558 sarebbero declassati. Per questo il presidente Riba ha presentato quella che ha definito una "risposta seria" ai costi della politica che attraverso una ridefinizione del sistema elettorale "permetterebbe di ridurre del 50% il numero dei consiglieri ed assessori". Più dura la contestazione di presidenti e assessori preoccupati delle ricadute economiche sui territori. Da Giampaolo De Dominici, presidente Valsesia a Mauro Marucco, Valli di Lanzo, da Agostino Bonetto sindaco di Netro nell'Alta Vall'Elvo a Roberto Vaglio, assessore nell'Alto Canavese il concetto è lo stesso: i costi della politica sono altrove. Perché la spesa di una comunità montana con 20 mila abitanti è nettamente più bassa di una consulenza regionale per uno studio di fattibilità. Il tentativo dell'Uncem è quello di cercare di stralciare dal disegno di legge sulla riduzione dei costi della politica qualsisi tentaivo di ridefinire la montagna. Il ministro Lanzillotta spiega che la posizione del governo è diversa e che "comunque visto che il Ddl dovrà essere approvato dal Parlamento l'ultima parola spetta a deputati e senatori". La posizione dell'Uncem trova una sponda nella regione Piemonte. Prima gli assessori Sibille e Deorsola hannon chiesto l'introduzione di una distinzione più sottile dell'altitudine per difendere i piccoli comuni. Spiega la presidente, Mercedes Bresso: "Per noi è fondamentale non solo preservare ma anche far crescere la capacità progettuale del territorio che si esprime con le comunità Montane perché è fonte di sviluppo". Aggiunge Luciano Caveri, governatore della Val d'Aosta: "La riforma va fatta nell'ambito della legge sulla montagna".

 


 

Italia Oggi 24-7-2007 Il Caso Il Senato si vendica con i media e prepara le forbici per i giornali

 

  L'ispirazione è di quelle inconfessabili. Fatto sta che oltre al taglio dei vitalizi dei senatori, il consiglio di presidenza del senato ha sfornato ieri un'altra idea. La istituzione di un comitato con l'obiettivo di effettuare una ricognizione di altre spese collegate, anche se non direttamente, alla politica. In cima alla lista, e per ora unica, c'è quella a vantaggio di giornali e tv. Un modo elegante "per farla pagare" a chi intorno ai costi della politica ha alzato un polverone. La proposta di istituire all'interno del consiglio o di presidenza un comitato controllore è stata del vicepresidente di palazzo Madama Mario Baccini (Udc) ed è stata subito accolta con entusiasmo dai componenti. "La Commissione dovrebbe essere varata nel prossimo settembre, e dovrà raccogliere tutte le informazioni relative ai costi in generale, nell'ambito non solo del Parlamento ma anche della amministrazioni che gravano sul bilancio dello Stato. Per decidere bisogna conoscere", ha spiegato Baccini. Presidente in pectore Gavino Angius (Ds), collega di Baccini. Ma nel segreto della riunione, che è resocontata ma i cui bollettini sono disponibili dopo mesi, è emerso il primo obiettivo: incidere sui contributi all'editoria e sulle convenzioni che i due rami del parlamento garantiscono alle agenzie. Insomma, una sorta di occhio per occhio, dente per dente. Per adesso il comitato avrà solo un potere ricognitivo, ma senz'altro potrà formulare proposte di intervento diretto, per esempio al collegio dei questori. D'altra parte a palazzo Chigi, il sottosegretario Ricardo Franco Levi ha già pronto un ddl per razionalizzare i contributi dati ai giornali organo di partiti e alle testate come partecipazione alle spese per la carta o quelle telefoniche. Ma questa ritorsione potrebbe arrivare a toccare anche le convenzioni che annualmente camera e senato stipulano con le agenzie di stampa per ottenere sulla maggior parte dei computer i take sul tel-press. Per dire, l'Ansa ottiene dal senato 380 mila euro, tutti gli altri a seguire. Almeno questa commissione non costerà. A domanda diretta, il presidente del senato Franco Marini è sbottato: "Immagino che almeno il caffè i suoi componenti lo potranno prendere", ha risposto piccato sottolineando che "il tenore della domanda è indicativo dello spirito sbagliato con cui la stampa si approccia a questi temi. Su internet però ci si può documentare con grande trasparenza", ha riferito il presidente di palazzo Madama. In ogni caso, la sfida è lanciata. Il campanello d'allarme è già suonato ai vertici delle organizzazioni sindacali della stampa. Proprio nei giorni scorsi Paolo Serventi Longhi, segretario della Federazione nazionale della stampa, ha sottolineato che "Sicuramente occorrerà distinguere in maniera trasparente i finanziamenti pubblici ai giornali di partito dai finanziamenti che vengono dati dallo Stato in genere al pluralismo dell'informazioni". "I finanziamenti ai giornali di partito", ha fatto osservare, "sono finanziamenti alla politica, non sono in qualche modo interventi di sostegno all'editoria. Condivido l'intendimento del sottosegretario Levi e del governo che puntano proprio su questo aspetto: rafforzare il finanziamento pubblico e spostare sul finanziamento pubblico l'onere per i giornali di partito. Bisogna naturalmente", ha concluso Serventi Longhi, "fare una selezione precisa, sul numero delle copie vendute, la qualità del prodotto, il lavoro giornalistico e non. Occorre che siano rispettati tutti questi principi ma con una funzione dichiaratamente di politica e non informativa".


 

Il Giorno 24-7-2007 TANTO per cominciare, i provvedimenti si attueranno dalla prossima legislatura.

 

In secondo luogo, si prevedono cose ovvie come la possibilità di maturare un vitalizio dopo che la legislatura è durata il tempo previsto e cioè cinque anni, impedendo il riscatto del periodo non maturato. Per un comune mortale, il diritto alla pensione coincide strettamente con il lavoro svolto. E guai se manca un giorno. PER I PARLAMENTARI non era così. Inoltre, a partire dal 2007 gli onorevoli non riceveranno circa 3 mila euro all'anno per i viaggi internazionali e di aggiornamento. Infine, si vieta una cosa che se non è illegale, è certamente indecente e cioè il cumulo del vitalizio con altre indennità elettive. Per esempio, nell'attuale governo in questa condizione sono in tanti. Di significativo, oltre ad un lieve ritocco degli importi delle pensioni (sempre dalla prossima legislatura in poi, non c'è neanche bisogno di scriverlo), mi sembra non sia scaturito altro dall'incontro congiunto tra gli uffici di Presidenza della Camera e del Senato per affrontare il tema dei costi della politica. Argomento che è stato regolato dal Consiglio dei Ministri pochi giorni fa con un provvedimento che dovrebbe essere studiato nelle scuole per dimostrare come lasciare sostanzialmente le cose come stanno. INOLTRE, si preannunciano indagini conoscitive, un modo come un altro per diluire la questione, in modo da sfiancare gli italiani, banalizzando la questione. Certamente loro sanno bene come fare. Eppure, nonostante la debolezza dei provvedimenti annunciati, si cominciano a registrare i primi maldipancia degli interessati. Se ne fa, coraggiosamente, portatore il capogruppo dell'Udeur a Palazzo Madama, Tommaso Barbato, che dichiara: "E' giusto razionalizzare i costi della politica, ma nel decidere non bisogna lasciarsi influenzare dalle strumentalizzazioni qualunquistiche e demagogiche dell'antipolitica". Arrivati a questo punto dobbiamo però chiarire le cose. Chi è che rappresenta l'antipolitica? Chi non rinuncia ai propri privilegi pagati da tutti gli altri o chi lo evidenzia? E siamo ancora costretti a ricordare per l'ennesima volta su questo giornale che i trattamenti pensionisti dei nostri parlamentari costano ogni anno 187 milioni. Vi ricordate quanti ne versano? 14. Il resto lo paghiamo noi. www.blogquotidiani.net/caligiuri/


 

L’Unità 24-7-2007 Clementina, sia Clemente Marco Travaglio

 

Siccome in Italia, invece delle notizie, si preferisce commentare le fughe di notizie, e non è importante il fatto ma evitare che la gente lo conosca, proviamo a fare un po' d'ordine nel casino organizzato del "caso intercettazioni". "Possibile ­ domanda Violante - che una Procura in grado di scoprire chi ha rapito Abu Omar non riesca a scoprire chi passa le intercettazioni ai giornali?". La risposta è semplice: le due ordinanze in cui il gip Clementina Forleo chiede al Parlamento il permesso di utilizzare (e dunque riporta) le intercettazioni tra i furbetti e sei parlamentari è stata depositata nella cancelleria del Tribunale venerdì alle 12.30. Da quel momento avvocati e indagati han potuto prenderne copia. Ed, essendo caduto il segreto, se qualche avvocato o indagato passa le carte ai giornali, non è affare dei magistrati e soprattutto non è reato né fuga di notizie. Lo stesso giorno in cui i politici inscenavano il pianto greco, uscivano sui giornali le telefonate dei presunti terroristi arrestati a Perugia: perché nessuno ha protestato per la "fuga di notizie"? Perché le ordinanze erano pubbliche. Ecco: lo stesso vale quando c'è di mezzo qualche politico. A questo punto, però, si lamentano i presidenti Marini e Bertinotti: "È grave che un'ordinanza destinata al Parlamento esca sui giornali prima di arrivare al Parlamento". In realtà, non è grave: è fisiologico, salvo che, depositata l'ordinanza, i giudici facciano pedinare gli avvocati per sincerarsi che non la passino ai giornalisti (peraltro senza commettere alcun reato). La terza obiezione è più seria. Non quella del ministro Mastella (la Forleo avrebbe addirittura "violato la Costituzione": il che, detto da un Guardasigilli che pretende di sindacare l'atto di un giudice con lo strumento disciplinare dell'ispezione, fa dubitare che egli conosca la Costituzione). Ma quella mossa da giuristi insigni come Grosso e Grevi e da ex magistrati come D'Ambrosio e Casson: il gip non può "accusare" parlamentari non indagati rubando il mestiere alla Procura. Grevi parla, sul Corriere, di "anomala forzatura" e "abnorme invasione di confini", perché "non è ammissibile che il gip prospetti ipotesi accusatorie, o anche soltanto apprezzamenti di colpevolezza, a carico di soggetti non sottoposti a indagine dal pm". In effetti, se fosse vero che la Procura non ha mai considerato l'ipotesi che qualche parlamentare a colloquio coi furbetti abbia commesso reati, si tratterebbe di un'invasione di campo da parte del gip. Ma nella richiesta inoltrata dalla Procura al Gip sulle telefonate da inviare al Parlamento, i pm han chiesto di poterle utilizzare a carico sia degli indagati (i furbetti) sia di "altre persone da identificare", cioè da indagare dopo l'eventuale autorizzazione. Ed è evidente chi siano le "altre persone", visto che al telefono si è sempre in due: i politici non (ancora?) indagati. La Forleo potrà facilmente ribattere di aver semplicemente esplicitato il concetto espresso dai pm, illustrando ­ come la legge le impone - la rilevanza penale che a suo avviso hanno le posizioni dei soggetti coinvolti (sugli aggettivi usati, ciascuno può pensarla come crede). Così nessuno, al momento del voto in Parlamento, potrà dire di non aver saputo che, in caso di autorizzazione, le telefonate potrebbero essere usate contro qualche politico. La qual cosa spetterà comunque alla Procura. Solo a fine indagine il gip, se riterrà che i pm abbiano dimenticato qualcuno, potrà ordinare l'"imputazione coatta". Che però il gip ­ preposto al controllo delle indagini - non possa "accusare" e debba tenersi sulle generali, è discutibile: basta leggere le ordinanze d'arresto, perquisizione, sequestro scritte dai gip per capire che i gip "accusano" eccome. Solo che non lo fanno in veste di "parte", ma di giudici "terzi", dunque le loro accuse sono più gravi. È curioso che, dopo anni di polemiche sul presunto "appiattimento" dei gip sui pm, ora si rimproveri a un gip di non appiattirsi sui pm. Ancor più curioso che, dopo tante polemiche sullo scarso garantismo dei giudici, si voglia negare alle difese l'accesso agli atti per evitare che l'opinione pubblica sia tempestivamente informata. La prossima volta, se un gip vuole vivere sereno, sa quel che deve fare. Mai intercettare un Vip indagato, onde evitare il rischio che questi parli con politici. Se i reati risalgono a due anni prima, bruciare tutto perché "comunque è roba vecchia". E se la Procura chiede di inoltrare certe intercettazioni al Parlamento, evitare di spiegare perché sono penalmente rilevanti o, meglio ancora, dire che son tutte fesserie e invitare le Camere a negare l'autorizzazione. In ogni caso, prima di prendere qualsiasi iniziativa, chiedere il permesso a Clemente Mastella, noto giureconsulto di scuola ceppalonica. Uliwood party.


 

La Stampa 24-7-2007 Analisi Clementina e i giorni dell'amarezza Ma per l'Antonveneta nessuno protestò PAOLO COLONNELLO

 

MILANO Sarà un vizio, sarà l'incapacità di tacere oppure, come dice lei, "l'impossibilità di essere catalogata" ma il gip Clementina Forleo non pensa affatto di aver riportato nella sua ordinanza sulle intercettazioni dei parlamentari quelle "valutazioni non pertinenti" di cui ieri l'ha accusata, sebbene in modo indiretto, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Del resto questa "impertinenza" della Forleo (in serata spiegherà: "Rimarrò soggetta, come sempre, solo alla legge"), che irrita a seconda delle stagioni la destra come la sinistra, non venne affatto rilevata quando emise la prima ordinanza di sequestro delle azioni Antonveneta. Eppure anche allora non era stata tenera: "Le indagini - scriveva - consentono di far luce su un sistema istituzionale gravemente malato...". Era il primo agosto 2005. "Nessuno disse che erano non pertinenti", conferma Clementina. Si tratta pur sempre di ordinanze che comportano interpretazioni giuridiche prima ancora che politiche, anche se spesso e volentieri questo principio viene dimenticato e rovesciato a seconda delle convenienze. Per compilare quelle 60 pagine che hanno spaccato il mondo dei giuristi e fatto infuriare le massime cariche istituzionali, il gip Forleo si è mossa in realtà su due principi cardine, rilevabili dalla stessa lettura del documento e confermate, anche se non ufficialmente, dai pm che si occupano delle inchieste sui "furbetti del quartierino". Il primo si riferisce all'utilizzabilità di quelle intercettazioni che riguardavano una richiesta riferita al processo nel suo insieme e non relativa a qualche indagato particolare, per esempio Consorte, aprendo così la strada, nei fatti, ad eventuali futuri indagati. Circostanza che il gip Forleo coglie interpretando la richiesta del pm Orsi che, nelle sue "note" del 10 luglio scorso, riportava minuziosamente tutti i principali passaggi telefonici nei quali rilevava la commissione di possibili reati, dall'aggiotaggio all'insider trading. Il secondo principio su cui si è mossa l'ordinanza Forleo riguarda invece la stessa funzione del gip. Che, lei stessa lo ha ricordato in questi giorni, "non è un semplice passacarte". Ma appunto un giudice, e come tale con la facoltà di decidere in un'inchiesta l'esistenza di eventuali ipotesi accusatorie "ulteriori" anche se non espressamente segnalate dai pm. Lo scrive chiaramente a pagina 15: "Come si dirà, alcune intercettazioni appaiono "ex se" suscettibili di integrare ulteriori ipotesi di reato allo stato non emerse se non appunto da tali conversazioni". Con il problema che queste intercettazioni finché non verranno autorizzate sono allo stato inutilizzabili. Anche se con l'evidente paradosso di essere a questo punto ben conosciute non solo dagli indagati, o futuri tali, ma dall'opinione pubblica intera. Qualcuno ha obiettato che il gip Forleo, ravvisando eventuali reati a carico dei parlamentari, intercettati loro malgrado mentre parlavano sull'utenza dell'ex presidente di Unipol, avrebbe dovuto restituire le carte al pm con i propri rilievi lasciando alla Procura il compito di completare il quadro accusatorio. Ma qui interviene il secondo paradosso, figlio come al solito di leggi nate per eludersi vicendevolmente. Trattandosi di intercettazioni non ancora autorizzate, e dunque allo stato nel "limbo" dell'inutilizzabilità, la Procura non avrebbe avuto modo di trattare queste carte né di avanzare perciò nuove contestazioni. E allora? Ecco che il giudice ne deve dichiarare la "rilevanza processuale" e per dichiararla deve nel contempo motivare questa sua convinzione scrivendo chiaramente che l'eventuale utilizzabilità di queste telefonate potrà rendere perseguibili anche i suoi protagonisti. Parole troppo dure? Può darsi, dato che sono riferite a personaggi non ancora indagati. Ma almeno hanno il pregio di essere contenute in un atto formale, criticabile fin che si vuole, ma limpido. Ora, se la Camera voterà l'autorizzazione, la Procura avrà modo di regolarsi al meglio. Se viceversa il Parlamento riterrà di non autorizzare, le telefonate andranno distrutte. E il rischio a questo punto è che i parlamentari protagonisti delle conversazioni vengano comunque chiamati a deporre come testimoni. Ma con l'avvocato fuori dalla porta, per il timore che vengano indagati durante l'interrogatorio: alla fine, la procedura meno garantista.


 

La Repubblica 23-7-2007 OLTRE IL GIARDINO La furbata di Marano e la tv dei furbetti di ALBERTO STATERA

 

Dopo le indimenticabili performance di "Ball of Steel" (palle d´acciaio-ndr), "Wild West" e, tocco padano-partenopeo tra tanto english, "Votantonio", Antonio Marano, leghista varesotto, ex deputato, ex sottosegretario nel primo governo Berlusconi e tuttora, per quegli insondabili scherzi della sorte, direttore di Rai 2, conquista a mezza estate, in memoria di Ennio Flaiano, il nostro personale premio "Italia alle vongole" o "Vongolino d´oro". Se Gianpiero Fiorani non ha mentito a Luca Pagni, che lo intervistava per "Repubblica", Marano gli ha offerto di condurre "una trasmissione su Rai2 in difesa dei diseredati, dei cittadini truffati dalle finanziarie e dalle banche".
Per chi non lo ricordasse, Fiorani è l´ex capo dei "Furbetti del quartierino", quello che ha messo a ferro e fuoco la finanza italiana, che tosava i correntisti "qualunque" della Banca Popolare di Lodi e che, telefonicamente, baciava l´ex governatore della Banca d´Italia Antonio Fazio, che da controllore trescava con un suo controllato diventato ormai un "famiglio". Poi la galera e il "ravvedimento mediatico", che, cooptato nella squadra ruffiana di Lele Mora, lo ha promosso a baciare non più Fazio, ma la giovane figlia di Ornella Muti, Nike Rivelli, nei pressi del Billionaire, luogo di culto dell´Italia "cafonal" illustrata da Roberto D´Agostino.
Capite l´astuzia quasi partenopea del polentone Marano? Chi meglio di un truffatore può spiegare le truffe ai truffati?
Ex gestore di Rete 55, una tivù privata del Varesotto, amico di Bobo Maroni, appassionato del festival dei druidi, autore di indimenticabili "speciali" su Pontida, all´atto del suo secondo insediamento alla direzione del secondo canale della Rai, Marano aveva promesso "una rete sexy". Sexy in che senso? Guardonismo per un colabrodo etico e finanziario? Se si mettono insieme le "Palle d´acciaio", "Wild West", "Votantonio", "Donne", "La sposa perfetta" e altre insulsaggini varie, il presunto "servizio pubblico" ha buttato dalla finestra circa 14 milioni e mezzo di euro per format idioti e fallimentari, che Aldo Grasso non esita a definire "uno scandalo". Pochi spiccioli, se volete, per gli standard di Gianpiero Fiorani, che di milioni ne spese almeno 40, naturalmente non suoi, per cercare di salvare dalla bancarotta Credieuronord, la banchetta, nata come suprema icona del velleitarismo leghista e subito diventata un disastro, che fece imbufalire alcune migliaia di leghisti della prima ora truffati come polli. Così nessuno meglio di Fiorani, nella trasmissione che Marano graziosamente gli ha offerto sul "servizio pubblico" e che si potrebbe intitolare "Furbetti" o " Fanfulla da Lodi", potrà raccontare che in questo paese basta pagare, come per l´appunto accadde con la banchetta di Bossi, per lavare ogni peccato e ottenere magari dalla politica gratitudine eterna per fare i propri affari. A quei tempi la Lega era la peggior nemica del governatore Fazio. Bastarono poche ore, dopo l´intervento di Fiorani, perché Bobo Maroni dichiarasse: "Fazio è bravissimo, non si tocca", smentendo anche il ministro dell´Economia in carica Giulio Tremonti, che della Lega era allora il principale supporter dentro Forza Italia e che aveva l´unico scopo di far fuori il governatore. Chissà che con Marano, il Fiorani versione petto nudo, danze, baci e Billionaire non abbia giocato ancora spregiudicatamente quel credito, e magari altri meno noti, cui il direttore di Rai2 non poteva negarsi.
Marano è giustamente famoso per l´"Isola dei famosi", un saggio superbo sulla società di massa - per chi sappia leggerlo nella sua nefandezza - e sull´Isola, buon sangue non mente, avrebbe voluto approdare uno dei figli di Umberto Bossi, Riccardo, cui il papà, dopo un primo avallo, ha promesso, nel caso, "calci nel sedere". Se è Marano che ha dissuaso l´insipiente giovanotto, ha forse fatto l´ultimo favore al suo boss.
Chi più di lui, che l´insipienza della politica mantiene ancora in quel posto, merita a mezza estate il "Vongolino d´oro"?
a.staterarepubblica.it


 

L’Unità 24-7-2007 LIQUIDAZIONI Premi alla carriera e stock options milionarie, ma anche la diabolica invenzione della governance duale Geronzi e la compagnia bancaria degli uomini d'oro Oreste Pivetta

 

L'opinione Mentre s'andava a concludere il chilometrico confronto sulla riforma delle pensioni e il paese si divideva e subdivideva in una miriade di partiti e partitini e s'alzava un'onda larga e rutilante di sdegno invocante tagli risparmi lavoro rigore eccetera eccetera, correvano sui nostri video alcune notizie, regolarmente pubblicate, che annunciavano: come Cesare Geronzi, lasciando Capitalia, fosse stato premiato su iniziativa del consigliere Massimo Pini con un modesto omaggio a perenne riconoscenza per le sue imprese, in euro venti milioni; come il suo amministratore delegato, Matteo Arpe, avesse ricevuto tra liquidazioni (tfr) e stock options tra i cinquanta e i sessanta milioni (sempre in euro); come l'amministratore delegato di BancaIntesa, neo fusa con SanPaolo, abbia incassato tra una voce e l'altra trenta milioni di euro (qualcuno azzardava cinquanta, ma qui i dati sono incerti). Siamo alla solita: gli stipendi d'oro, con il corollario di liquidazioni e di stock options, dei cosiddetti grandi manager o dei manager di successo. Nessuno dei tre citati è a fine carriera. Arpe è giovane e si rifarà, Passera continua a guidare le sue banche, Cesare Geronzi s'è addirittura allargato: a settantrè anni, in aperta testimonianza dello scontro generazionale invocato per mandare tutti in pensione dieci anni più tardi, si dividerà, uno e trino, tra Unicredit, la presidenza del patto di sindacato e quella del consiglio di sorveglianza di Mediobanca, e avrebbe pure voluto partecipare alla sedute del consiglio d'amministrazione. La solita storia di controllori e controllati che fanno un mestiere e insieme l'altro. Al punto che il governatore di Bankitalia s'è allarmato e ha messo in allarme Lanfranco Cardia, presidente della Consob. Insieme hanno alzato qualche diga alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, cioè delle poltrone e dei milioni, in virtù di quella che in linguaggio ostico al prepensionato in mobilità s'è diffusa sui media sotto il nome di governance duale. Che è poi un gioco da ragazzi: se si sommano due banche, le teste che costano (e che, magari, contano) si lasciano al loro posto, tanto per non dover decidere, per non scontentare nessuno, e i tagli cominciano in basso (cinquemila esuberi tra Capitalia e Unicredit). Chiunque capisce che tra "governo doppio", premi, liquidazioni, stock options, stipendi (che ovviamente non sfuggono alle dinamiche del caro vita) il bilancio è pesante e sfugge per di più al controllo degli azionisti (soprattutto dei piccoli azionisti: non si tratta di banche, ma di Telecom dove i piccoli azionisti si sentirono proporre all'ultima assemblea stock options clamorose per tutti i dirigenti, quelli per intenderci del gruppo Tronchetti, che ebbero avuto parte nelle imbarazzanti difficoltà del gruppo telefonico). La domanda inevasa è sempre la stessa: chi paga? Draghi, di fronte ai banchieri dell'Abi, denunciò i disservizi, i costi eccessivi per chi si presenta allo sportello con il suo conto corrente, le lentezze delle operazioni (sempre ai danni del nostro correntista). La questione è morale (e sta nella distanza tra i sei milioni annui di un amministratore delegato e i quindici/ ventimila euro di un impiegato qualsiasi), ma tocca anche i bilanci e di conseguenza i nostri depositi. E quindi la domanda resta, ma sembra retorica: chi paga (e quante tasse pagano, se non trovano anche le "loro" tasse rifugio nei paradisi fiscali).


 

Il Giornale di Brescia 24-7-2007 La Ue al lavoro sul nuovo Trattato

 

Da ieri a Bruxelles la Conferenza intergovernativa che deve redigere il documento di riforma delle istituzioni comunitarie La Ue al lavoro sul nuovo Trattato Barroso: "C'è un chiaro consenso politico", il veto polacco sarebbe risolto Il ministro portoghese Amado e il presidente della Commissione Ue Barroso BRUXELLES Senza fanfare e squilli di trombe, i ministri degli Esteri della Ue hanno lanciato ieri a Bruxelles i lavori della settima Conferenza intergovernativa (Cig) della storia della Ue che dovrebbe dare in tempi rapidi alla Ue un Trattato riformato, nonostante le smarcature riproposte dalla Polonia e dalla Gran Bretagna. "La Cig è stata aperta. Il mandato ricevuto dal Vertice è chiaro e preciso e ci consente di dare alla Ue un nuovo Trattato quanto prima - ha annunciato il ministro degli Esteri, Luis Amado, presidente di turno del Consiglio -. È ora importante creare le condizioni politiche perché il nuovo testo sia pronto per il Vertice Ue di metà ottobre e possa essere approvato entro la fine dell'anno". Il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Durao Barroso, che ha partecipato alla breve cerimonia insieme ai tre rappresentanti nella Cig nominati dal Parlamento europeo, ha assicurato che tra i 27 ministri "c'è un chiaro consenso politico per rispettare il mandato definito al Vertice". Con il lancio della Cig, la Ue crea le condizioni concrete per uscire dallo stallo istituzionale in cui era precipitata dopo la bocciatura franco-olandese della Costituzione. Con il Trattato riformato, la Ue adeguerà il proprio funzionamento alla nuova reltà allargata a 27, lasciando aperta la possibilità di nuovi ingressi. Tutti gli occhi restano però puntati sulla Polonia e le sue ambiguità. Al Consiglio europeo di giugno Varsavia aveva minacciato il veto a causa del nuovo sistema di voto previsto dalla riforma, ottenendo un rinvio della sua applicazione (dal 2009 al 2014) e la possibilità di usare per altri tre anni la cosiddetta clausola di Ioannina che facilita le minoranze di blocco. Ieri, il ministro degli Esteri polacco Anna Fotyga ha parlato di "chiarimenti" necessari ed ha informato i colleghi che il suo Paese potrebbe esercitare, come fatto dalla Gran Bretagna, l'opzione di opt-out sulla Carta dei diritti fondamentali. Con la Polonia, "ci sono piccoli problemi", ha minimizzato Amado, riferendo che da oggi saranno affrontati in sede tecnica. E anche il ministro degli Esteri Massimo D'Alema ha parlato di "sottolineature da parte della Polonia che non sembrano riaprire il dibattito politico". "L'Italia - ha proseguito il vice premier - è favorevole ad una conclusione della Cig sulla base del compromesso raggiunto al Vertice di giugno. Sarebbe grave ed irresponsabile riaprire il negoziato politico: ma non sembra ci siano avvisaglie di questo tipo". Il lavoro della Cig non si preannuncia facile. Ieri Amado ha distribuito ai colleghi una bozza di nuovo testo che conta 275 pagine, inclusi protocolli e annessi. Tra gli elementi di sostanza mantenuti, spiccano anche alcune le novità. Innanzitutto si prevede il nuovo sistema di calcolo di voto: le decisioni in seno all'Ue saranno prese, dal 2014, con il sistema della doppia maggioranza (55% degli Stati membri che rappresentino almeno il 65% della popolazione complessiva). Ma fino al 2017 un qualsiasi Stato membro potrà chiedere che sia utilizzato il sistema attuale. Un'altra novità sarà la nomina di un ministro degli Esteri della Ue (che continuerà a chiamarsi Alto rappresentante): avrà i poteri previsti dalla Costituzione per il ministro degli Esteri e coordinerà la politica internazionale, sarà vicepresidente della Commissione Ue. Nel nuovo testo si prevede anche che dal 2009 sarà eletto un presidente del Consiglio europeo permanente con un mandato di due anni e mezzo (attualmente rotazione ogni sei mesi). Sarà inoltre ridimensionato l'utilizzo del voto all'unanimità e in tal modo l'applicazione della maggioranza qualificata sarà estesa ad altri 40 settori, inclusi quelli della cooperazione giudiziaria e poliziesca. L'unanimità resta per fisco, politica sociale, politica estera, risorse Ue e revisione dei trattati. L'opposizione di Gran Bretagna, Repubblica ceca e Olanda hanno fatto invece cadere la menzione nel nuovo trattato della bandiera e dell'inno europeo, inoltre non comparirà più il termine Costituzione.


 

Europa 24-7-2007 Meriti e colpe dei magistrati nella lotta contro i terroristi islamici FEDERICO ORLANDO RISPONDE

Cara Europa, proprio mentre a Roma il ministro Amato lodava i veli islamici e qualificava pin up le donne italiane senza veli, e mentre a Treviso l’ex sindaco leghista auspicava di cavar pietre dalle Dolomiti per lapidare le donne trevigiane tutte pin up e adultere, la polizia e, per una volta i magistrati, procedevano a Perugia all’arresto di un imam marocchino, che esortava bambine e bambini della sua scuola a ferire a sangue i loro compagni italiani, cristiani miscredenti. Posso dire: chi semina vento raccoglie tempesta? NICOLA AMOROSO, AREZZO

 

No, caro Amoroso. Primo, perché l’on. Amato ama stupire formulando paradossi, ma condivide i meriti della polizia parlando, come per Perugia, di «rischi molto concreti» che stavano maturando ben al di là di «una predicazione più o meno radicale». Secondo, perché non andrebbero rilevate neanche in cronaca cittadina le sbruffonate di uno pseudosceriffo ex tombeur de femmes, inacidito da improbabili compartecipazioni a nuovi adulteri («però, ha il mio calendario sexy in casa», ha raccontato al telegiornale di Italia 1 una pin up cittadina). Terzo, perché non tutte le procure italiane sembrano preoccuparsi, come certi magistrati milanesi, più del “sequestro” di Abu Omar, in nome dello stato di diritto, che non di quel che il suddetto faceva o preparava contro la sicurezza dello stato di diritto. Ecco perché lei non può far risalire la semina del terrorismo (islamico e non) a battute e paradossi, peraltro inopportuni. Infatti, visto che trattano temi etico-sociali che fanno vittime, come la pachistana uccisa dai suoi parenti perché vestiva e viveva all’occidentale.
Io penso invece che abbia ragione Magdi Allam quando scrive che la prima causa della diffusione della rete terroristica in Italia è che molti magistrati, politici, giornalisti e intellettuali assolvono i predicatori di odio perché giudicano tale predicazione “libertà di espressione”. Questo è il cuore del problema.
Invano – secondo me – Renzo Guolo sulla Repubblica di domenica spiega che i pedagoghi di terroristi e i loro accoliti sono gruppi autonomi da al Qaeda, ma il dilagare del qaedismo come semplificatorio strumento di lettura del mondo può innescare, in un qualsiasi punto di crisi, un’iniziativa di terroristi-faida- te del tutto coerente con la guerra di al Qaeda.
Del resto, in misura casareccia ma non operettistica (ci scapparono centinaia di morti) la nostra vicenda degli anni Settanta vide il medesimo schema: c’era un partito clandestino combattente (Br, Nap, ecc.) che uccideva o gambizzava, e poi una vasta platea palese, gli Autonomi, che condivideva in tutto o in parte la cultura brigatista e, se del caso, oltre all’appoggio logistico esprimeva suoi nuclei armati, o singoli combattenti.
Ma anche allora non pochi magistrati italiani spaccarono il capello in quattro per non colpire i “rivoluzionari”; così come oggi i residui italiani dell’“ antimperialismo” solidarizzano con l’imam di Perugia e i suoi “militanti islamici antimperialisti”, che sarebbero dunque dei perseguitati.


 

Il Piccolo di Trieste 24-7-2007 Turchia, Erdogan rassicura l'occidente: il cammino verso l'Europa continua

 

Euforia alla Borsa di Istanbul. Gli Usa e il Vaticano soddisfatti della vittoria elettorale degli islamici moderati Una telefonata di Prodi al primo ministro di Ankara per congratularsi con lui Turchia, Erdogan rassicura l'Occidente: "Il cammino verso l'Europa continua" ANKARA Euforia alla Borsa di Istanbul e soddisfazione praticamente universale, negli ambienti politici e finanziari internazionali. Sono queste le reazioni "a 360 gradi" all'indomani della netta vittoria di domenica del partito di radici islamiche Akp del premier Tayyip Erdogan, che ieri, dopo che domenica aveva già giurato fedeltà alla laicità, ha ulteriormente rassicurato tutti dichiarando, che il suo governo "proseguirà nel cammino delle riforme sulla via dell'Unione europea" e che "il nuovo presidente sarà eletto dal Parlamento col metodo della concertazione"; lasciando quindi intendere di essersi già diposto a sacrificare, per la pace sociale, il suo amico-candidato Abdullah Gul. Il nuovo record di Borsa (un balzo complessivo del 5,08% su base giornaliera) mostra che gli ambienti finanziari turchi ed internazionali hanno tifato e tifano per Erdogan. La stessa Confindustria turca (Tusiad) ha riconosciuto "i grandi successi economici" del governo Erdogan negli ultimi anni, ma gli ha raccomandato la concertazione per il nuovo presidente, come ha fatto pure stamane la stampa turca. Erdogan sta rispondendo cioè positivamente alle attese di tutti e cioè gli è valso ieri le congratulazioni ed il plauso di vari leader mondiali ed europei, tra cui quelli dell'Ue - tra questi Sarkozy, la Merkel e il premier italiano Prodi, che gli ha telefonato personalmente, e del ministro degli esteri Massimo D'Alema; quelle di Atene, di Israele e di vari altri paesi. Vi è anche stata una dichiarazione di plauso da parte del Vaticano: "Sono islamici, ma moderati e rispettano le altre religioni", ha commentato il portavoce della conferenza episcopale turca, mons. Georges Marovitch. Si è felicitata anche la Casa Bianca ammericana. Persino gli arcigni militari turchi, mantenutisi nella campagna elettorale rigorosamente neutrali e silenti, vengono descritti come "soddisfatti" della situazione emersa ieri alle elezioni. La soddisfazione universale richiede spiegazioni articolate. Gli uomini d'affari turchi vogliono tre cose: stabilità politico-economica, stabilità istituzionale e adesione all'Ue. La vittoria di domenica dell'Akp gliele garantisce tutte perchè con i suoi 340 seggi in Parlamento Erdogan potrà formare un governo monocolore, ma non potrà eleggere da solo un presidente islamico, nè cambiare la costituzione, come l'Akp voleva fare in aprile, sostenendo Gul, la qual cosa generò la crisi culminata nel comunicato in Internet dei militari turchi che lo accusarono di "mettere in pericolo la laicità". I circoli politici e finanziari europei vogliono soprattutto, oltre alla stabilità in Turchia, la continuazione del negoziato di adesione della Turchia all'Ue, (cominciato nel 2005, ed oggi semibloccato per via del rifiuto di Ankara di aprirsi alle merci greco-cipriote) anche se esso prenderà un tempo più lungo dei 7-10 anni previsti; e, forse, un tempo indefinito, dati gli attuali orientamenti di Parigi e Berlino e di altri paesi Ue, che propongono ad Ankara un "partenariato speciale" invece dell'adesione a pieno titolo, come ha confermato ieri Parigi, mentre il presidente della Commissione dell'Ue, Josè Barroso, che aveva dichiarato ad un giornale greco che "la Turchia non è pronta per entrare nell'Ue", ha auspicato la continuazione delle riforme turche. L'Ue è molto rassicurata poi dall"'equilibrio" uscito dalle elezioni di ieri tra i maggiori poteri turchi (Akp e militari, ndr.), come hanno affermato all'unisono il Commissario Ue, Franco Frattini ed il ministro degli esteri inglese David Miliband. "L'Akp ha vinto, ma non stravinto. È il miglior risultato possibile", ha sintetizzato il presidente della Commissione esteri della Camera, Umberto Ranieri. Gli americani, d'altra parte, vedono nella vittoria del partito filoislamico anche una conferma della credibilità del loro "modello" di "islam moderato" da diffondere in tutto il "Grande Medio Oriente", ivi compresa la Turchia. Viceversa, un governo di coalizione tra il Partito Repubblicano (Chp, laico e patriottico di sinistra) ed il nazionalista Mhp non sarebbe piaciuto quasi a nessuno, perchè rischiava di portare la Turchia verso una fase di quasi-isolazionismo. Lo lasciavano presagire le critiche di quei due partiti laici verso le aperture del governo Erdogan agli investimenti esteri e le accuse di avere "svenduto la patria agli stranieri" con le sue massicce privatizzazioni. Essi avevano accusato Erdogan anche di avere "ceduto" ai punti di vista europei sulla questione cipriota e curda e di avere negato ai militari l'autorizzazione per compiere un intervento militare contro le basi del Pkk in Nord Irak. Un'ipotesi quest'ultima, che complicherebbe la situazione irachena, e che sarebbe divenuta realtà immediata in caso di sconfitta di Erdogan. Il quale non la esclude, ma la rinvia a tempi migliori


 

ISVAP 23-7-2007 COMUNICATO STAMPA DEL 23 LUGLIO 2007. RCAuto: Isvap propone di abolire il tacito rinnovo

 

L’ISVAP ha inviato una segnalazione ai presidenti di Camera e Senato e al Ministro dello Sviluppo Economico per l’abolizione, nell’interesse degli utenti, dell’istituto del tacito rinnovo in materia di contratti Rc auto.

Nel proporre questo intervento normativo l’Autorità sottolinea che l’abolizione, evitando l’automatismo connesso al rinnovo tacito, stimolerebbe la ricerca del consumatore verso prodotti a lui più confacenti in termini di qualità e di prezzo e nello stesso tempo accrescerebbe la concorrenza tra le imprese per conservare o incrementare quote di mercato.

La misura - oltre che essere coerente con i principi alla base della recente attribuzione della facoltà di recesso annuale ai detentori di contratti poliennali di altro ramo (contenuta nel così detto pacchetto Bersani bis) - aggiungerebbe a giudizio dell’Autorità un altro fondamentale tassello al mosaico degli interventi del Ministero e della stessa ISVAP per favorire, nella prospettiva di un calo delle tariffe, scelte più libere e consapevoli da parte degli utenti assicurativi, ivi compreso l’intervento in corso per la realizzazione di un portale web e di un software in grado di fornire all’utente i migliori preventivi Rc auto in tempo reale (preventivatore).


 

INDICE 23-7-07

Panorama 23-7-2007 IL NOSTRO TEMPO Sindacati, le mani sul 5 per mille CARLO PUCA  1

Il Corriere della Sera 23-7-2007 Diario del referendum La politica malata e la «cura» delle urne. Giovanni Guzzetta e Mario Segni 4

Il Riformista 23-7-2007   Scontro nell’Unione sulla risoluzione sul Dpef di Tonia Mastrobuoni 4

Il Corriere della sera 22-7-2007  «Io e i giovani targati anni '80»  Enrico Letta scende in campo per il Pd Aldo Cazzullo  5

Italia Oggi 27-7-2007 E il Palazzo tuona contro i giudici. 6

La Repubblica 23-7-2007 "Il vicepremier aveva il dovere di interessarsi di quelle banche" Parla Fiorani: Berlusconi il più furbo, ma nessuno ha montato lo stesso can can. La mia scalata fu osteggiata da Geronzi e dalla massoneria olandese di LUCA PAGNI 7

Italia Oggi 23-7-2007 La casta degli intoccabili Franco Bechis. 8

Da vita.it 20/07/2007  Casa: anche in Italia allarme bolla immobiliare Negli ultimi 8 anni mutui in crescita dl 326 %  9

La Stampa 22-7-2007 La più grande gaffe del Belgio  9

 


 

Panorama 23-7-2007 IL NOSTRO TEMPO Sindacati, le mani sul 5 per mille CARLO PUCA

 

FINANZA CREATIVA Dietro il grande potere sindacale c'è anche un'enorme disponibilità economica. Ora ancor più cospicua con l'introduzione del contributo alle onlus. Dove, nonostante una legge del 1997... A Trapani, in piazza Ciaccio Montalto 27, c'è il Centro elaborazione studi europei e territoriali. Altrimenti detto Ceset, si dichiara ufficialmente una onlus, cioè una "organizzazione non lucrativa di utilità sociale". Insomma, una di quelle meritevoli associazioni che producono volontariato o ricerca scientifica senza fini di lucro. Il Ceset ha ottenuto un clamoroso exploit nelle dichiarazioni dei redditi per il 2005: 7.304 persone lo hanno scelto per devolvere il 5 per mille dalla propria dichiarazione dei redditi. Se si considera che la città ha 70 mila abitanti, circa il 30 per cento dei contribuenti trapanesi ha premiato il Ceset per le sue ricerche europee e territoriali, purtroppo sconosciute a internet. Il Centro ha invece un presidente conosciuto: si chiama Mario Tessitore e di mestiere fa il sindacalista. Più precisamente è segretario cittadino della Cisl. E guarda caso la sede trapanese del Caf, il centro di assistenza fiscale cislino, è sempre in piazza Montalto 27, negli stessi uffici del Ceset (o viceversa). Psicologicamente, si tratta di un classico caso di sdoppiamento della personalità (giuridica). Penalmente, sia chiaro, non c'è nulla di rilevante. Amministrativamente, il caso è invece al vaglio dell'Agenzia per le entrate, che ha inserito il Ceset tra le onlus "non validate", cioè prive per il momento di tutti i requisiti richiesti. Forse basterà un'autocertificazione, forse no, a risolvere il problema di Tessitore. Certo è che non si tratta di spiccioli. Da un primo calcolo di Carlo Mazzini, grande esperto di legislazione non-profit, sarebbe "intorno ai 25 euro il valore di ogni preferenza espressa con il 5 per mille". Un tesoro che sindacati e sindacalisti hanno puntato. D'altronde parliamo di una Triplice sindacale che fa la cresta con le organizzazioni europee, dichiarando circa 3 milioni di associati in meno rispetto ai 10,5 milioni dell'Italia. Il motivo? Risparmiare sulle quote d'iscrizione alla Ces, la Confederazione europea dei sindacati, parametrate al numero degli iscritti. Non bastavano poi gli introiti già noti, tra convenzioni con i Caf (85 milioni di euro l'anno, 14,33 euro per dichiarazione dei redditi), i finanziamenti ai patronati (lo 0,226 per cento dei contributi versati dai lavoratori), la gestione dei fondi pensione, le società di servizi. Non bastava il privilegio di poter secretare i bilanci (i sindacati non hanno l'obbligo di pubblicazione). Non bastano, infine, i denari che i confederali fanno spendere allo Stato per difendere le loro minoranze, pensionati e dipendenti pubblici, come ha denunciato per ultima il ministro Emma Bonino. Ci volevano pure i denari del volontariato. Eppure, la legge parla chiaro: i sindacati non sono onlus. Il decreto 460 del 1997 li esclude tassativamente dalle agevolazioni fiscali previste per ong, associazioni e ricerca scientifica. E la Finanziaria 2005 li esclude ugualmente dalla possibilità di godere del 5 per mille. Ma usciti dalla porta della legge, Cgil e Cisl sono rientrate per la finestra delle associazioni a loro collegate, utilizzando uno straordinario mezzo di propaganda e pressione come i Caf. D'altra parte, tranne la Uil di Luigi Angeletti, tutti i gestori di Caf hanno capitalizzato. Le Acli di Andrea Oliviero hanno raggiunto quota 228.829 preferenze, il Movimento cristiano lavoratori di Carlo Costalli è arrivato a 109.748. E nei centri di assistenza fiscale la percentuale di italiani che versano il 5 per mille sale fino all'80 per cento, rispetto alla media nazionale del 60. L'Arci, che ha 1 milione di iscritti ma non ha Caf, ha raccolto la miseria di 10.500 indicazioni. Per il presidente Paolo Beni la causa è evidente: "La competizione con chi conta su Caf e patronati è squilibrata". Ma Acli e Mcl non sono sindacati, quindi non sono esclusi dal decreto del 1997, a differenza di Cgil e Cisl, scese in campo utilizzando metodi perlomeno discutibili. Come quelli segnalati dal settimanale Vita, la bibbia del non-profit. Il suo direttore Riccardo Bonacina è il padre "giornalistico" del 5 per mille. Pur difendendo la legge, ha pubblicato le lettere di chi si è scontrato con l'ostilità dei Caf. I metodi utilizzati sono diversi. Il più denunciato è l'esclusione selettiva, e va spiegato. Per la donazione diretta del 5 per mille, deve tassativamente essere indicato il codice fiscale dell'associazione. Ma il sistema informatico dei Caf sindacali ne "riconosce" soltanto alcuni: quelli delle loro onlus di riferimento e, per evitare problemi "politici", quelli di grandi associazioni come per esempio Airc e Unicef. Così vengono automaticamente tagliate fuori migliaia di piccole associazioni territoriali o, secondo le accuse, realtà sgradite. È capitato anche all'associazione Luca Coscioni: "Il software dei Caf non accetta il nostro codice fiscale" hanno lamentato gli amici di Emma Bonino, casualmente avversaria dei sindacati. Per i quali non valgono soltanto i casi limite delle associazioni fai-da-te come il Ceset. Basta guardare alle classifiche ufficiali del 5 per mille. L'Auser (associazione per l'autogestione dei servizi e la solidarietà), costola del sindacato pensionati Spi-Cgil, ha ottenuto 184.143 preferenze, il secondo posto (dietro l'Anpas) nel settore del volontariato e il quinto in assoluto, comprese ong e ricerca. Per il presidente Michele Mangano il risultato è buono ma non eccezionale: nel 2007 l'obiettivo è di 200 mila preferenze, considerato che "in molte regioni i nostri associati hanno preferito devolvere il 5 per mille ai servizi sociali dei comuni". Un'opzione esercitata soprattutto nelle regioni rosse. Ma siccome da quest'anno la scelta a favore dei municipi è abolita, e le regioni rosse sono fortemente sindacalizzate, c'è da scommettere che il tetto di 200 mila verrà ampiamente superato. Sempre di area Cgil è la Federconsumatori promossa dal sindacato di Guglielmo Epifani: è fuori dalla top ten, ma pure ha ottenuto 13.638 adesioni. Al nono posto nel volontariato, con 22.037 devoluzioni accertate, c'è l'Anolf, associazione di immigrati cislina. Meglio ancora è andato l'Iscos, l'istituto sindacale per la cooperazione allo sviluppo, arrivato a quota 25.948. Di diretta emanazione della Cisl sono anche l'Ente turistico sociale italiano (1.625 preferenze) e l'Adiconsum, i cui 15.766 fan dovranno attendere: l'associazione di consumatori cislina è temporaneamente parcheggiata tra i "non validati". Poco male per il sindacato di Raffaele Bonanni. La campagna pressante sul 5 per mille, lanciata tra aprile e maggio del 2006, ha trovato sfogo soprattutto nell'Anteas, associazione nazionale terza età attiva per la solidarietà, classificatasi quinta nel volontariato con 70.439 preferenze. Sul sito, l'Anteas si descrive come "associazione ispirata dalla Fnp-Cisl", i pensionati del sindacato cattolico. Poi, sempre online, c'è un po' di storia: "Anteas è nata nel 1996. Nel 2003 è stato varato il nuovo statuto associativo per consolidarne la crescita, all'insegna della solidarietà". Crescita e solidarietà: ma proprio nel 2003, quando si è cominciato seriamente a parlare di 5 per mille. Un'ennesima casualità. Ora però il fato vuole che Stefano Zamagni, presidente prodiano dell'Agenzia per le onlus, stia mettendo mano al regolamento d'attuazione del 5 per mille. Dice Zamagni: "Il mercato delle donazioni è oligopolistico. Serve più equilibrio tra piccoli e grandi. E ci vuole il rating etico". Sì, ci vuole. Alla faccia del destino cinico e (soprattutto) baro.

IL NOSTRO TEMPO Sindacati, le mani sul 5 per mille CARLO PUCA FINANZA CREATIVA Dietro il grande potere sindacale c'è anche un'enorme disponibilità economica. Ora ancor più cospicua con l'introduzione del contributo alle onlus. Dove, nonostante una legge del 1997... A Trapani, in piazza Ciaccio Montalto 27, c'è il Centro elaborazione studi europei e territoriali. Altrimenti detto Ceset, si dichiara ufficialmente una onlus, cioè una "organizzazione non lucrativa di utilità sociale". Insomma, una di quelle meritevoli associazioni che producono volontariato o ricerca scientifica senza fini di lucro. Il Ceset ha ottenuto un clamoroso exploit nelle dichiarazioni dei redditi per il 2005: 7.304 persone lo hanno scelto per devolvere il 5 per mille dalla propria dichiarazione dei redditi. Se si considera che la città ha 70 mila abitanti, circa il 30 per cento dei contribuenti trapanesi ha premiato il Ceset per le sue ricerche europee e territoriali, purtroppo sconosciute a internet. Il Centro ha invece un presidente conosciuto: si chiama Mario Tessitore e di mestiere fa il sindacalista. Più precisamente è segretario cittadino della Cisl. E guarda caso la sede trapanese del Caf, il centro di assistenza fiscale cislino, è sempre in piazza Montalto 27, negli stessi uffici del Ceset (o viceversa). Psicologicamente, si tratta di un classico caso di sdoppiamento della personalità (giuridica). Penalmente, sia chiaro, non c'è nulla di rilevante. Amministrativamente, il caso è invece al vaglio dell'Agenzia per le entrate, che ha inserito il Ceset tra le onlus "non validate", cioè prive per il momento di tutti i requisiti richiesti. Forse basterà un'autocertificazione, forse no, a risolvere il problema di Tessitore. Certo è che non si tratta di spiccioli. Da un primo calcolo di Carlo Mazzini, grande esperto di legislazione non-profit, sarebbe "intorno ai 25 euro il valore di ogni preferenza espressa con il 5 per mille". Un tesoro che sindacati e sindacalisti hanno puntato. D'altronde parliamo di una Triplice sindacale che fa la cresta con le organizzazioni europee, dichiarando circa 3 milioni di associati in meno rispetto ai 10,5 milioni dell'Italia. Il motivo? Risparmiare sulle quote d'iscrizione alla Ces, la Confederazione europea dei sindacati, parametrate al numero degli iscritti. Non bastavano poi gli introiti già noti, tra convenzioni con i Caf (85 milioni di euro l'anno, 14,33 euro per dichiarazione dei redditi), i finanziamenti ai patronati (lo 0,226 per cento dei contributi versati dai lavoratori), la gestione dei fondi pensione, le società di servizi. Non bastava il privilegio di poter secretare i bilanci (i sindacati non hanno l'obbligo di pubblicazione). Non bastano, infine, i denari che i confederali fanno spendere allo Stato per difendere le loro minoranze, pensionati e dipendenti pubblici, come ha denunciato per ultima il ministro Emma Bonino. Ci volevano pure i denari del volontariato. Eppure, la legge parla chiaro: i sindacati non sono onlus. Il decreto 460 del 1997 li esclude tassativamente dalle agevolazioni fiscali previste per ong, associazioni e ricerca scientifica. E la Finanziaria 2005 li esclude ugualmente dalla possibilità di godere del 5 per mille. Ma usciti dalla porta della legge, Cgil e Cisl sono rientrate per la finestra delle associazioni a loro collegate, utilizzando uno straordinario mezzo di propaganda e pressione come i Caf. D'altra parte, tranne la Uil di Luigi Angeletti, tutti i gestori di Caf hanno capitalizzato. Le Acli di Andrea Oliviero hanno raggiunto quota 228.829 preferenze, il Movimento cristiano lavoratori di Carlo Costalli è arrivato a 109.748. E nei centri di assistenza fiscale la percentuale di italiani che versano il 5 per mille sale fino all'80 per cento, rispetto alla media nazionale del 60. L'Arci, che ha 1 milione di iscritti ma non ha Caf, ha raccolto la miseria di 10.500 indicazioni. Per il presidente Paolo Beni la causa è evidente: "La competizione con chi conta su Caf e patronati è squilibrata". Ma Acli e Mcl non sono sindacati, quindi non sono esclusi dal decreto del 1997, a differenza di Cgil e Cisl, scese in campo utilizzando metodi perlomeno discutibili. Come quelli segnalati dal settimanale Vita, la bibbia del non-profit. Il suo direttore Riccardo Bonacina è il padre "giornalistico" del 5 per mille. Pur difendendo la legge, ha pubblicato le lettere di chi si è scontrato con l'ostilità dei Caf. I metodi utilizzati sono diversi. Il più denunciato è l'esclusione selettiva, e va spiegato. Per la donazione diretta del 5 per mille, deve tassativamente essere indicato il codice fiscale dell'associazione. Ma il sistema informatico dei Caf sindacali ne "riconosce" soltanto alcuni: quelli delle loro onlus di riferimento e, per evitare problemi "politici", quelli di grandi associazioni come per esempio Airc e Unicef. Così vengono automaticamente tagliate fuori migliaia di piccole associazioni territoriali o, secondo le accuse, realtà sgradite. È capitato anche all'associazione Luca Coscioni: "Il software dei Caf non accetta il nostro codice fiscale" hanno lamentato gli amici di Emma Bonino, casualmente avversaria dei sindacati. Per i quali non valgono soltanto i casi limite delle associazioni fai-da-te come il Ceset. Basta guardare alle classifiche ufficiali del 5 per mille. L'Auser (associazione per l'autogestione dei servizi e la solidarietà), costola del sindacato pensionati Spi-Cgil, ha ottenuto 184.143 preferenze, il secondo posto (dietro l'Anpas) nel settore del volontariato e il quinto in assoluto, comprese ong e ricerca. Per il presidente Michele Mangano il risultato è buono ma non eccezionale: nel 2007 l'obiettivo è di 200 mila preferenze, considerato che "in molte regioni i nostri associati hanno preferito devolvere il 5 per mille ai servizi sociali dei comuni". Un'opzione esercitata soprattutto nelle regioni rosse. Ma siccome da quest'anno la scelta a favore dei municipi è abolita, e le regioni rosse sono fortemente sindacalizzate, c'è da scommettere che il tetto di 200 mila verrà ampiamente superato.  Sempre di area Cgil è la Federconsumatori promossa dal sindacato di Guglielmo Epifani: è fuori dalla top ten, ma pure ha ottenuto 13.638 adesioni. Al nono posto nel volontariato, con 22.037 devoluzioni accertate, c'è l'Anolf, associazione di immigrati cislina. Meglio ancora è andato l'Iscos, l'istituto sindacale per la cooperazione allo sviluppo, arrivato a quota 25.948. Di diretta emanazione della Cisl sono anche l'Ente turistico sociale italiano (1.625 preferenze) e l'Adiconsum, i cui 15.766 fan dovranno attendere: l'associazione di consumatori cislina è temporaneamente parcheggiata tra i "non validati". Poco male per il sindacato di Raffaele Bonanni. La campagna pressante sul 5 per mille, lanciata tra aprile e maggio del 2006, ha trovato sfogo soprattutto nell'Anteas, associazione nazionale terza età attiva per la solidarietà, classificatasi quinta nel volontariato con 70.439 preferenze. Sul sito, l'Anteas si descrive come "associazione ispirata dalla Fnp-Cisl", i pensionati del sindacato cattolico. Poi, sempre online, c'è un po' di storia: "Anteas è nata nel 1996. Nel 2003 è stato varato il nuovo statuto associativo per consolidarne la crescita, all'insegna della solidarietà". Crescita e solidarietà: ma proprio nel 2003, quando si è cominciato seriamente a parlare di 5 per mille. Un'ennesima casualità. Ora però il fato vuole che Stefano Zamagni, presidente prodiano dell'Agenzia per le onlus, stia mettendo mano al regolamento d'attuazione del 5 per mille. Dice Zamagni: "Il mercato delle donazioni è oligopolistico. Serve più equilibrio tra piccoli e grandi. E ci vuole il rating etico". Sì, ci vuole. Alla faccia del destino cinico e (soprattutto) baro.

 

 

 


 

Il Corriere della Sera 23-7-2007 Diario del referendum La politica malata e la «cura» delle urne. Giovanni Guzzetta e Mario Segni

 

Il referendum può essere stimolo in quanto capace di «provocare una reazione dell'organismo » malato, cioè del Parlamento

 

Sin dall'inizio in molti hanno definito il referendum uno «stimolo ». Pur con qualche perplessità abbiamo accettato questa definizione. Ma ora che la prima parte della campagna sta per concludersi, ci siamo interrogati sulla questione e abbiamo esaminato le definizioni date dal dizionario. Sono tre: «Atto o effetto dello stimolare, ovvero ciò che stimola»; «Qualunque sostanza o fattore capace di provocare una reazione dell'organismo»; «Bastone acuminato che serve a pungolare buoi e bestie da soma». Poiché lo stimolo referendario è rivolto al Parlamento, scartiamo subito la terza definizione, che sarebbe gravemente irriguardosa. Restano le altre due, e soprattutto la seconda, la più adatta alla situazione: il referendum può essere stimolo in quanto capace di «provocare una reazione dell'organismo » malato, cioè del Parlamento.

Ci sembra difficile immaginare qualcosa di più forte, di più adatto a provocare una reazione. E difatti, sin dal momento in cui è stato annunciato, di reazioni verbali, attacchi e insulti il referendum ne ha provocato a bizzeffe. Ma la domanda è un'altra: un Parlamento di 24 o 25 partiti (abbiamo perso il conto) è capace di reagire con i fatti oltre che con le parole? Quello che è stato fatto sinora lascia molto perplessi. Ecco perché la definizione di stimolo non ci convince. Non perché manchi la buona volontà degli stimolatori, ma perché è molto dubbia la capacità di reazione dello stimolato. Per fortuna il referendum pone un termine. Per cui, se la reazione non avverrà entro la primavera, saranno gli elettori a curare la malattia.

23 luglio 2007


 

Il Riformista 23-7-2007   Scontro nell’Unione sulla risoluzione sul Dpef di Tonia Mastrobuoni

Il sospetto che la richiesta di Lamberto Dini e Natale D’Amico di recepire nella risoluzione sul Dpef un obiettivo esplicito e ambizioso di riduzione della spesa corrente possa rappresentare un nuovo paletto dei moderati, probabilmente non è infondato. La lettera dei due senatori, pubblicata giovedì scorso sul Sole24Ore, in piena bufera sulle pensioni, ha immediatamente provocato la levata di scudi di Rifondazione, che ha già fatto sapere di essere contraria. Soprattutto la prima delle due firme, quella di Dini, ex presidente del Consiglio e padre della riforma del ’95, attivissimo nelle ultime settimane sul fronte della difesa a ogni costo dei saldi di bilancio dello scalone, non poteva che essere percepita come un nuovo guanto di sfida, da parte dell’ala massimalista dell’Unione: un segnale lanciato nelle ore decisive della vertenza sullo scalone soprattutto in previsione di due settimane che non si annunciano facilissime a Palazzo Madama. Rimandata la battaglia sulle pensioni a settembre, mancano all’appello due provvedimenti prima della pausa estiva. Entrambi da discutere al Senato.
Da martedì, in commissione Bilancio, proseguirà la discussione sul Dpef e sulla risoluzione che accompagnerà il testo in Aula. Successivamente, dopo il voto finale alla Camera, è atteso nella stessa commissione il decreto sul tesoretto con probabile voto di fiducia.



 

Il Corriere della sera 22-7-2007  «Io e i giovani targati anni '80»  Enrico Letta scende in campo per il Pd Aldo Cazzullo

 

Il sottosegretario scioglierà la riserva martedì: «Firmo per il referendum, il voto va cambiato»

Il sottosegretario Enrico Letta (Ap)

ROMAEnrico Letta ha vissuto un mese intenso. Durante la settimana, la trattativa sulle pensioni. Nei weekend, l’ascolto in giro per il Paese. Oggi firmerà il referendum: «Penso sia lo stimolo giusto perché il Parlamento approvi una legge elettorale sul modello tedesco, quello vero, con una soglia di sbarramento non fittizia». Dopodomani annuncerà la sua decisione sulla candidatura alla guida del partito democratico. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha davanti a sé le ultime 48 ore di riflessione, ma è evidente che ormai non potrà sottrarsi.

«È stato davvero un mese importante, decisivo — racconta dalla sua Pisa, di ritorno da Torino e Genova e in partenza per l’Abruzzo —. Non ho viaggiato solo nel Nord-Est, in Veneto e nel Trentino di Lorenzo Dellai, una delle persone con cui mi trovo più in sintonia; sono stato anche nel Mezzogiorno, a Bari e a Napoli. E poi in Lombardia, Emilia Romagna, Toscana. Devo dire che dappertutto, sia dagli imprenditori, sia dagli amministratori, e anche dai presidenti della Sardegna Soru, delle Marche Spacca e della Basilicata De Filippo, sia dai giovani è arrivata un’indicazione univoca: la richiesta di primarie vere. Dai miei interlocutori è venuta una spinta molto forte a decidere per il sì. Le primarie sono belle quando non c’è un leader designato, ma tante candidature. Certo: sarebbe faticoso. Si tratterebbe di trovare 2500 candidati in tutta Italia; se ho atteso a lungo, è anche perché ci sono grandi difficoltà organizzative da superare». Ma non è soltanto questo. «L’incertezza, il dubbio, sono una delle categorie umane più importanti e positive. Questo mese mi è servito anche a riflettere sulle attuali difficoltà del centrosinistra e su come dovrà essere il partito che nascerà il 14 ottobre». A chiedergli cosa lo divida da Veltroni, dalla Bindi, da Colombo, Letta risponde in due modi. Evitando la contrapposizione diretta. Ma distinguendosi, con un’idea del partito democratico legata alla propria formazione e anche alla propria generazione.

«Walter, Rosy, Furio hanno fatto benissimo. Sono loro grato. Decidendo di candidarsi hanno deciso di rischiare, e quindi ci hanno dato una lezione perché il rischio è il seme della politica. Sono tre personalità che stimo, pur avendo con loro rapporti e consuetudini diverse. Ma la logica delle primarie impone a chi pensa di aver qualcosa da dire in più, di avere qualcosa di positivo da portare, di farlo con la candidatura». Una lista con il proprio nome in appoggio a un altro può non essere sufficiente: «La via maestra è metterci la propria faccia. Prendiamo le primarie negli Stati Uniti. Se due anni fa i dirigenti del partito democratico americano si fossero riuniti e avessero designato, ad esempio, Hillary Clinton, convincendo gli altri candidati a ritirarsi, le primarie sarebbero state molto meno coinvolgenti di quanto non siano con Obama ed Edwards in campo».

Senza considerare che in Italia esiste una questione specifica, quella generazionale. «C’è una generazione tra i trenta e i quarant’anni che nella politica è poco rappresentata, come denuncia Adinolfi. Certo non mi rivolgo soltanto ai miei coetanei. Ma non mi chiamo fuori: di quella generazione faccio parte; e credo che abbia molto da dare, soprattutto al partito democratico. Perché il Pd è il primo partito postideologico. E noi siamo la prima generazione postideologica. Ci siamo formati negli anni Ottanta; anni bistrattati, che in realtà sono stati straordinari. E non soltanto per la musica, la tv, il cinema, il design. Non è vero che siano stati soltanto gli anni del riflusso; la formazione di chi era ragazzo allora è stata forse più equilibrata di quella della generazione precedente. Questo ci rende per certi aspetti più liberi». Gli esempi che si potrebbero fare sono molti. «Aver cominciato a seguire la vita pubblica dopo la crisi delle ideologie ci ha avvantaggiati. Non essendoci mai illusi, non abbiamo vissuto la fase della disillusione». Da qui un atteggiamento più equilibrato, anche nei confronti dell’America: «Prima di noi è cresciuta una generazione critica, e anche giustamente: erano gli anni del Vietnam. Qualcosa di simile sta accadendo ora con l’America di Bush che scatena la guerra in Iraq. Per noi l’America era il grande avversario dell’Unione sovietica, un Paese che davvero non esercitava su di noi alcuna attrattiva, così come la Cina postmaoista. Abbiamo amato gli Stati Uniti, fin da subito; e questo ci rende liberi, quando occorre, di criticarli». Letta si guarda dall’impostare il suo progetto sulla contrapposizione generazionale, tanto meno di ergersi a portabandiera di trentenni e quarantenni.

L’obiettivo è prendere il meglio di un’esperienza e di una formazione, e portarlo nel Pd. «Vorrei fare in modo che il nuovo partito sia costruito un po’ come l’enciclopedia Wikipedia, un po’ come un quadro di Van Gogh. Come accade con Wikipedia, anche nel Pd ognuno delle centinaia di migliaia di partecipanti deve portare il proprio contributo, le proprie competenze, che in certi campi sono di sicuro maggiori delle mie e di quelle dei leader del centrosinistra. E, come i quadri di Van Gogh, il nuovo partito deve avere tinte forti: un giallo che sia giallo, un blu che sia blu. Non deve porsi per prima la questione della mediazione, che è importante, ma dovrà seguire; il Pd deve innanzitutto dire la sua». Letta dirà la sua già oggi sul referendum. «Firmo». A ricordargli che in molti nel Pd hanno esitato a sostenere il referendum nel timore di destabilizzare il governo, risponde che «l’unico modo per indurre il Parlamento ad approvare una nuova legge elettorale è creare un vincolo esterno. Come accadde all’inizio del decennio scorso, quando il referendum costrinse le Camere a varare la legge Mattarella, di cui solo ora si comprende il valore. Magari la si potesse ripristinare. Purtroppo la legge Calderoli ha creato un sistema, con il Parlamento nominato dai capi partito anziché eletto dal popolo, che va assolutamente smantellato». E siccome la nuova legge avrà bisogno di un vasto consenso, «l’unico modello che può avere una larga maggioranza e nello stesso tempo combattere la frammentazione e difendere la governabilità è il sistema tedesco. Credo anche sia il modello che meglio si adatta alle esigenze del partito democratico». A chiedergli se la nuova leadership del Pd non indebolirà il governo in carica, Letta ha uno scatto: «L’accordo sulle pensioni dimostra che il governo Prodi c’è, eccome».

Letta ne è molto soddisfatto, anche pensando alla propria generazione: «È stata una prova di riformismo dei fatti, non delle parole. Certo, tutto è perfettibile. Ma abbiamo raggiunto tre obiettivi. Tutelare i giovani e i precari, con il riscatto della laurea, la totalizzazione dei contributi per evitare che un solo euro versato vada sprecato, e i contributi figurativi per garantire i collaboratori a progetto. Aumentare le pensioni più basse. E assicurare la tenuta del sistema previdenziale nel modo imposto dalla demografia, innalzando l’età pensionabile». Letta però non intende intestarsi il merito, pur rivendicando di non «aver mai mollato, non essermi mai alzato dal tavolo e aver sempre invitato gli altri a restarci».

È stato un lavoro di squadra, con i ministri Padoa Schioppa e Damiano. Ma il protagonista è stato il vituperatissimo Romano Prodi. «Parliamoci chiaro: la palla l’ha messa in porta lui. Anche nella notte finale, il ruolo decisivo è stato suo. Spero che la cosa sia chiara, e che se ne rendano conto tutti».

22 luglio 2007


 

Italia Oggi 27-7-2007 E il Palazzo tuona contro i giudici.

La Forleo scatena la bufera tra i politici. Una bufera bipartisan. Le ordinanze del giudice delle indagini preliminari, Clementina Forleo, con le quali si chiede l'autorizzazione a utilizzare nei procedimenti per le scalate Antonveneta, Bnl ed Rcs le conversazioni telefoniche di sei politici tra cui i diessini Massimo D'Alema e Piero Fassino, si sono conquistate le critiche di tutti. Immediata la controffensiva dei Ds ma anche del ministro della giustizia, Clemente Mastella, che parla di possibile lesione di diritti da parte del magistrato milanese. Il Guardasigilli, che ha dato mandato ai suoi uffici di acquisire la richiesta inoltrata dal Gip alle camere ravvisando delle "singolarità", non è l'unico a prendere le distanze dai provvedimenti di Clementina Forleo. Nella Quercia l'alzata di scudi è totale. Fassino, D'Alema e Nicola Latorre dichiarano in tre note distinte di essere estranei "a qualsiasi illecito". Mentre altri esponenti del partito, tra cui il capogruppo dell'Ulivo al senato Anna Finocchiaro, parlano di "interpretazione forzata" da parte del Gip. Il vice coordinatore di Forza Italia Fabrizio Cicchitto si dichiara "preoccupato" per "l'invasione di campo" da parte della Forleo. Nell'inchiesta sono coinvolti anche due parlamentari azzurri: Salvatore Cicu e Romano Comincioli. "Il reiterato richiamo alle regole da parte del Gip di Milano nella vicenda delle scalate bancarie andrebbe applicato anzitutto alla gestione delle intercettazioni telefoniche. Contrariamente allo spirito della legge le conversazioni dei parlamentari sono state sbattute in prima pagina su tutti i quotidiani nazionali in spregio delle loro prerogative costituzionali, della privacy e del segreto istruttorio", ha attaccato il vice segretario nazionale dell'Udc, Michele Vietti. "Quando poi finalmente si chiede al Parlamento l'autorizzazione di utilizzarle", conclude Vietti, "lo si fa anticipando un giudizio che dà per scontata la colpevolezza e tende a mettere la Camera di fronte ad un fatto compiuto". Intanto, nel centrosinistra, mentre i Ds insorgono e alcuni nella Margherita solidarizzano, come il capogruppo dell'Ulivo alla cCamera Dario Franceschini che dichiara di "condividere le valutazioni di Anna Finocchiaro", il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro avverte: l'Idv voterà a favore delle richieste di autorizzazione. Anche se è pronto a mettere "la mano sul fuoco" per quanto riguarda l'integrità morale di Fassino. E mentre Verdi e Pdci, con i capigruppo di Montecitorio Angelo Bonelli e del Senato Manuela Palermi, sono compatti nel chiedere che sulla vicenda Unipol-Bnl-Antonveneta-Rcs si faccia finalmente luce e che venga data ai magistrati tutta la "libertà di agire" di cui hanno bisogno, il presidente dei deputati della Rosa nel Pugno Roberto Villetti definisce le ordinanze del Gip una "sentenza fuori processo". Esattamente come il vice capogruppo dell'Ulivo di palazzo Madama Luigi Zanda che accusa Clementina Forleo di avere già emanato una sentenza. Ma non sono convinti della iniziativa della Forleo neanche i tecnici. Per Vittorio Grevi, ordinario di diritto processuale penale, "in linea di principio il giudice tutte le volte in cui incontra una notizia di reato deve la trasmettere al pm". Per Mario Chiavario, ordinario a Torino, "la normativa (la legge 140, ndr) è sbilanciata verso una tutela eccessiva dei parlamentari", premette, "visto che a loro stessi è demandato il potere di autorizzazione". Però poi avanza l'ipotesi che "una invasione di campo da parte della Forleo ci sia stata. "L'articolo 8 comma due della legge 140 stabilisce che solo su istanza di parte il giudice può chiedere l'autorizzazione". E qui l'istanza del pm non sembra proprio esserci.


 

La Repubblica 23-7-2007 "Il vicepremier aveva il dovere di interessarsi di quelle banche" Parla Fiorani: Berlusconi il più furbo, ma nessuno ha montato lo stesso can can. La mia scalata fu osteggiata da Geronzi e dalla massoneria olandese di LUCA PAGNI

 

MILANO - "Ma cosa avrebbero dovuto fare due uomini politici del livello di D'Alema e Fassino? Non avrebbero dovuto interessarsi a quanto accadeva in un settore fondamentale come quello bancario? La verità, per paradosso, è che non hanno fatto abbastanza".

Gianpiero Fiorani li manda già assolti. Per l'ex numero della Popolare Lodi, il manager che sperava di creare il più grande polo del credito in Italia scalando prima Antonveneta e poi Capitalia, i vertici diessini non hanno compiuto nessun reato. Altro che insider trading e aggiotaggio: a suo dire, nelle telefonate tra Giovanni Consorte e i politici della Quercia non emerge nessuna responsabilità. Fiorani ripete, così, quanto ha già sostenuto davanti ai giudici. E anche in questa intervista non svela nessun retroscena. Salvo uno: nei mesi del tentativo di scalata ad Antoveneta ha avuto tra i suoi sostenitori Vincenzo Maranghi, il successore di Enrico Cuccia alla guida di Mediobanca, morto pochi giorni fa.

Fiorani, non è reato, secondo lei, diffondere notizie su operazioni finanziaria di cui non è stata avvisata ancora la Consob?
"Ma non ne hanno tratto vantaggi personali. Quando leggo che esclamavano "abbiamo una grande banca" ci vedo entusiasmo e partecipazione. E la soddisfazione per aver mantenuto una società importante in mani italiane. Lo stesso can can andrebbe allora montato nei confronti di Silvio Berlusconi perché aveva dichiarato che vedeva bene la nostra operazione".

Ma non esistono telefonate di Berlusconi che la chiama per sapere a che punto è il tentativo di scalata ad Antonveneta.

"È vero, ma se uno invece di telefonare si adopera per creare il contatto è la stessa cosa. Ma, lo ripeto, non ci vedo nulla di sconvolgente. Qual è il paese in cui il politico ad alto livello non si interessa di quanto accade nella finanza e nell'economia? Non so quanto ci vorrà perché emerga la verità, ma quel giorno vedremo che la scalata ad Antonveneta è stata ostacolata da Cesare Geronzi, perché aveva capito che puntavamo a Capitalia, e dalla massoneria, soprattutto olandese".

E chi ha ostacolato Unipol nel suo tentativo di conquista a Bnl?
"L'allora presidente Luigi Abete con la cordata guidata da Diego Della Valle e Luca Montezemolo che si sono schierati contro il mondo delle cooperative".

Quindi Berlusconi si è interessato, ma non l'ha aiutata.
"Come sempre è stato il più furbo. Se l'operazione fosse andata in porto stia certo che si sarebbe preso la sua parte di merito. In caso contrario, si sarebbe detto completamente estraneo".

Il pm Clementina Forleo sostiene invece di avere "prove granitiche" sulle "complicità istituzionali" e chiede di poter usare nella sua indagine anche telefonate come quelle tra lei e l'ex senatore Luigi Grillo.
"La dottoressa Forleo è magistrato molto preparato ma è anche conosciuta per essere un'intemperante: quando si mette in testa una verità non c'è verso di farle cambiare idea. Fa bene a indagare se lo ritiene opportuno, ma non dovrebbe dare giudizi di questo tipo prima del processo. Anche per evitare che si crei un inutile caso mediatico. Eppure la dottoressa Forleo ha provato sulla sua pelle cosa significa essere nel tritacarne delle polemiche quando definì guerrigliero un terrorista".

Non verrà negare l'interessamento del senatore Grillo, un vero tifoso della scalata ad Antonveneta. Telefonava anche alla moglie del governatore Antonio Fazio pur di avere notizie da riferirle.

"Ma sono cose da manuale delle Giovani Marmotte. Grillo si comportava come Sofia Loren nella Ciociara, che tenta di vendicare la figlia violentata".

Ma lei lo sentiva quasi tutti i giorni.
"Voleva ritagliarsi un ruolo, ma non ha portato nessun vantaggio il suo interessamento. In quei giorni ero sventrato da attacchi che arrivavano da ogni parte: ammetto che sentire qualcuno che stava dalla mia mi dava un po' di conforto".

Alla fine non le telefonava più nessuno?

"Non l'ho mai raccontato, ma chi mi ha seguito e consigliato in tutti quei mesi è stato Vincenzo Maranghi. Ci sentivano spesso e mi ha seguito in tutte le nostre operazioni di quei giorni. Ho dei bigliettini bellissimi in cui mi rincuora e mi incoraggia. Sono orgoglioso di aver ricreato il rapporto tra lui e Antonio Fazio. Maranghi era convinto che il Governatore avesse tramato contro di lui. L'ho fatto ricredere e li ho fatti incontrare a Roma. È stato sempre Maranghi a farmi capire che era finita: la sera in cui ha saputo che la Consob ci aveva denunciato per il concerto con Ricucci mi ha detto "Fiorani, sono passati dall'altra parte, ora la vedo molto male..."".
(23 luglio 2007)


 

Italia Oggi 23-7-2007 La casta degli intoccabili Franco Bechis.

 

Unipol, il gip Forleo accusa D'Alema, Fassino & c. E finisce sul rogo Il giudice delle indagini preliminari del tribunale di Milano, Clementina Forleo, ha inviato in parlamento un'ordinanza con cui chiede di potere utilizzare il testo delle intercettazioni fra Giovanni Consorte (ex Unipol) e i ds Piero Fassino, Massimo D'Alema e Nicola Latorre. Analoga richiesta per le telefonate fra Stefano Ricucci, Gianpiero Fiorani e tre forzisti: Romano Comincioli, Luigi Grillo e Salvatore Cicu. La richiesta è fatta anche per "rendere possibile la procedibilità penale" nei confronti dei parlamentari pizzicati al telefono per ipotesi di reato molto gravi, come l'aggiotaggio e l'insider trading. Per la richiesta, la Forleo è stata travolta da polemiche e messa sul rogo (...) Il gip milanese, in passato già finito nel mirino di parlamentari del centro-destra, viene accusato di avere oltrepassato i limiti istituzionali anticipando una sentenza di colpevolezza nei confronti di D'Alema & c. quando nemmeno è iniziata l'azione penale. Centro-sinistra e centro-destra sono insorti contro chi ha osato ipotizzare reati così gravi nei confronti di potenti uomini politici, con difese apodittiche dei parlamentari nel mirino: "Sono così onesti", "persone per bene", "metterei la mano sul fuoco sulla loro onestà". Può essere, come in qualsiasi procedimento penale, che una tesi di accusa si riveli infondata alla prova dei fatti. Ed è un diritto di chiunque proclamare la propria innocenza. Ma la reazione avuta ieri trasversalmente da buona parte del parlamento è qualcosa di ben diverso e inaccettabile. Le circa 140 pagine delle due ordinanze Forleo contengono nuove intercettazioni, e frasi che non erano note di intercettazioni telefoniche fra Latorre, D'Alema, Fassino e Consorte che lasciano più di un dubbio sulla liceità della loro condotta. Il gip Forleo le illustra motivandone con ampiezza le ipotesi di reato. Lasciamo ai giuristi se questo avvenga con un eccesso di procedura o meno. Mi sembra molto più interessante la sostanza, vale a dire la verità sulla scalata Unipol a Bnl e sulla regia dei Ds in quella operazione. Dico di più: dalle nuove intercettazioni è evidente che Fassino, D'Alema e Latorre fossero più che consci dei trucchi e dei sotterfugi utilizzati da Consorte per aggirare la legge sull'opa obbligatoria. Invece di preoccuparsi del rispetto della legge e della tutela dei piccoli risparmiatori, hanno avuto a cuore la protezione degli interessi dei loro amici cooperatori e la costituzione di un assetto di potere. Spasmodicamente attenti agli amichetti e agli interessi di parte, nemmeno un secondo a quelli generali. Può essere che questo non configuri un reato (la Forleo è di parere opposto). Ma certo è elemento rilevante per giudicare del senso dello stato e della giustizia tipico di questa casta di intoccabili.Franco Bechis.


 

Da vita.it 20/07/2007  Casa: anche in Italia allarme bolla immobiliare Negli ultimi 8 anni mutui in crescita dl 326 %

Prosegue l'allarme di una possibile "bolla" immobiliare. I prezzi degli immobili residenziali crescono senza sosta e i tassi di interesse applicati sui mutui sono aumentati; dove si e' verificata un'inversione di marcia si e' trattato di una tendenza effimera di breve periodo.

L'allarme sui prezzi e sui tassi di interesse si trasferisce presto sui mutui che negli ultimi otto anni sono piu' che quadruplicati. Questi i principali risultati di una ricerca del Centro Studi Sintesi di Venezia, che ha quantificando anche i finanziamenti concessi alle famiglie per l'acquisto di abitazioni.

Duecentotto miliardi di euro di mutui erogati nel 2006, con una variazione rispetto all'anno precedente del +13,3%, secondo stime elaborate su dati di Banca d'Italia: gia' questi numeri preliminari indicano che la tendenza alla crescita si e' consolidata e non accenna a rallentare. Negli ultimi otto anni le famiglie italiane hanno piu' che quadruplicato (+326%) il loro indebitamento nei confronti del sistema creditizio per l'acquisto di immobili, in particolare nelle province del sud Italia (Vibo-Valentia +992,4%, Crotone +824,2%, Cosenza +604,2%, Pescara +563,7%)

Gli italiani si indebitano sempre di piu' per comprarsi la casa. L'aumento della consistenza dei mutui e' stato certamente favorito dal livello estremamente basso dei tassi di interesse, successivo all'entrata in vigore dell'Euro, ma ora si potrebbe arrivare ad una situazione insostenibile per le famiglie. Accendere un mutuo costa oggi in media il 5,5% di tasso d'interesse annuo. Il rischio, pero', e' che i tassi continuino a salire, visto che la BCE vorrebbe nuovamente aumentare il tasso di riferimento di ulteriori 0,25 punti percentuali nel prossimo autunno.

Tenuto conto che nel solo anno 2006 il rincaro e' stato di oltre un punto percentuale (+1,25%), il Centro Studi Sintesi ha stimato il peso di questi incrementi all'interno del bilancio familiare, informazione particolarmente preziosa visto che le rate stanno assumendo dimensioni sempre piu' insostenibili per i redditi piu' bassi. I dati appaiono alquanto preoccupanti: nel territorio nazionale si prevede una crescita media annuale di 844 euro, che si tradurrebbe in un incremento mensile della rata di 70 euro. L'impatto maggiore si verificherebbe nelle regioni centrali, dove il rincaro annuale potrebbe raggiungere i 1.068 euro. Sono 12 le province italiane in cui l'incremento dovrebbe superare i 1.000 euro nel corso dell'anno; fra queste spiccano la capitale, Roma, con un rincaro di 1.512 euro, Pescara (+1.264 euro), Firenze (+1.213 euro) e Siena (+1.206 euro). Ai lati bassi della graduatoria, al di sotto dei 500 euro di aumento si osservano 22 province italiane; da segnalare i rincari contenuti previsti per le famiglie di Potenza, Vibo Valentia (+324 euro), Frosinone (+358 euro), Reggio Calabria (+361 euro), Enna (+372 euro), Agrigento (+374 euro) e Sondrio (+388 euro).


 

La Stampa 22-7-2007 La più grande gaffe del Belgio Il candidato premier canta la Marsigliese al posto dell'inno nazionale. Di Marco Zatterin

Si chiama Yves Leterme.  E' l'uomo che da settimane sta cercando di formare la coalizione di governo in Belgio. La notizia è che non è riuscito nemmeno a cantare l'inno nazionale nazionale. Anzi peggio, su richiesta ha cantato quello francese, la Marsigliese.  

Il fatto è diventata globale in poche ore grazie a Youtube. Il leader del partito fiammingo cristiano democratico, trionfatore alle elezioni, è stato approcciato ieri da un giornalista del  canale francofono. Il fastidioso reporter gli ha chiesto perché il 21 luglio fosse festa nazionale in Belgio  e lui non lo sapeva (il giuramento del primo re Leopoldo, lo scrico per chi non vuole diventare premier nel paese piatto) . 

  Spubblicato a vita. E' come se il presidente del consiglio italiano non sapesse perché si celebra i 2 giugno (il referendumo per la repubblica, 1946, lo dico per chi vuore diventare premier...). 

Per il numero uno della regione fiamminga non è una gaffe isolata. In un'intervista al giornale francese "Libération" nel 2006 sul bilinguismo in Belgio, Leterme aveva definito i francesi "intellettualmente incapaci di imparare l'olandese". 

Attualmente il politico fiammingo sta cercando di porre fine alla crisi politica che dura da cinque mesi, da quando il suo partito di centro destra ha vinto la maggior parte dei seggi in parlamento. Leterme guiderà comunque  il governo. E' una carica per cui non chiedono storia e geografia ma voti. E questi li ha avuti.

ps. se volete vedere il filmato è qui, in francese ahimè: 
http://www.youtube.com/watch?v=cG5x30_pYME

 


 

INDICE 21-7-2007

Quotidiano.net 21-7-2007 E' lui. Tagliente e ironico, dettagliatissimo e dannatamente insolente ma, soprattutto, senza peli sulla lingua. E' Marco Travaglio. di Alessia Gozzi 1

Il Giornale 21-7-2007 LA PRIMA REPUBBLICA FINÌ PER MOLTO MENO  di Maurizio Belpietro – 2

Europa 21-7-2007 SCALATE  «GIUDIZIO ANTICIPATO», POLEMICHE Il gip: «Politici complici»  3

L’Unità 21-7-2007 Mediare non basta più Gianfranco Pasquino  3

La Repubblica 21-7-2007 Nuovo record per il supereuro Adesso vale 1,3843 dollari. La moneta europea ha toccato il livello massimo sulla divisa americana  4

Il Riformista 21-7-2007 L’“effetto V” sulla ex terza mozione ds Anche i democratici e socialisti con Walter di Alessandro De Angelis 5

 


 

 

 

Quotidiano.net 21-7-2007 E' lui. Tagliente e ironico, dettagliatissimo e dannatamente insolente ma, soprattutto, senza peli sulla lingua. E' Marco Travaglio. di Alessia Gozzi

 

Il massimo esperto dei processi berlusconiani torna in libreria con un'analisi spietata del mondo dell'informazione in Italia. Ne emerge un quadro disperato: giornalisti corrotti e mercenari, notizie inventate ad arte e falsi scoop, dibattiti televisivi programmaticamente svuotati di contenuto. In una parola un efficientissimo “bufalificio”. Il peccato originale, padre di tutte le degenerazioni dell'informazione, è la scomparsa dei fatti stessi. E se i fatti vengono sostituiti dalle opinioni, allora tutti possono dire tutto e il contrario di tutto mentre il giornalista si riduce a megafono delle idee del politico di turno. Altro che cane da guardia dell'informazione, al massimo può diventare un “cane da compagnia o da riporto”. Ma perché un giornalista dovrebbe abdicare al suo ruolo e nascondere i fatti? Le ragioni sono le più disparate: c'è chi nasconde i fatti perché semplicemente non li conosce, chi per paura di querele, chi per non perdere i favori di qualcuno, chi per non contraddire la linea del giornale e, soprattutto, chi li nasconde perché “è nato servo”. Leo Longanesi l'aveva capito benissimo: “Non è la libertà che manca. Mancano gli uomini liberi”. Travaglio ripercorre i maggiori scandali che hanno attraversato il Paese, da Tangentopoli fino ad arrivare ai recenti Vallettopoli e Calciopoli, passando per la guerra in Iraq con annesse “armi di distrazione di massa” e per la “più grande bufala del nuovo millennio”, la temutissima e perlopiù sconosciuta influenza aviaria. Periodi caratterizzati da un alternarsi di indignazione collettiva, revisionismi di comodo e momenti di totale oblio informativo. Tra gli infiniti esempi di quella sindrome che il giornalista definisce “Giornalistopoli” spicca l'evergreen Bruno Vespa. L'inventore della saga di Cogne, con tanto di plastico modello 'casa di Barbie', viene descritto come un maestro del “parlar d'altro”. Un episodio più che esemplificativo: “Quando Previti viene condannato definitivamente in Cassazione a sei anni, l'amico Bruno opta per un tema ben più attuale: la dieta mediterranea”. Molti sono i giornalisti che guardano al professionista d'indiscussa fama come a un modello da imitare. Il simbolo dei “Vespa boys” è impersonificato, secondo Travaglio, da Stefano Mensurati, coraggioso conduttore di 'Radio anch'io'. Il suo segreto sta in una formula semplice e gettonatissima: “Io faccio parlare, ho un modo di pormi che accoglie le richieste dell'ospite… Che diritto ho di contestare quel che il politico dice?”. Lo scatenato Travaglio ne ha per tutti, a destra e a sinistra. Da Giuliano Ferrara ad Ritanna Armeni, da Cesara Buoamici a Lamberto Sposini, da Enrico Mentana a Giovanni Floris, e ancora Vittorio Feltri, Lucia Annunziata, Vittorio Sgarbi, fino al quasi simpatico Emilio Fede. Ma al top della hit parade c'è il “giornalista-spia”, il leggendario agente Betulla, alias Renato Farina. Il vicedirettore di 'Libero' “ha confessato di aver preso migliaia di euro dal Sismi e per conto del Sismi ha pubblicato una serie di fandonie da competizione”. Il personaggio in questione è stato sospeso per dodici mesi dall'Ordine dei giornalisti. E Travaglio si chiede sbigottito: “Ma che deve fare, di grazia, un giornalista per essere radiato dalla professione. Forse afferrare un computer e sfasciare il cranio a dei colleghi in redazione?”. In un Paese affetto da mali ormai incancreniti, dove perfino la matematica è diventata un'opinione e i giornalisti mutanti “trasgenici” che tutto fanno anziché il loro dovere, c'è ancora speranza per sviluppare gli anticorpi? Non tutte le mele sono marce, ci sono ancora i giornalisti con la schiena diritta che fanno inchieste a dispetto delle querele e delle difficoltà. E il libro di Travaglio è come uno schiaffo in pieno volto, fa indignare, lascia l'amaro in bocca, ma non è una resa. E' un grido di battaglia per ricordare che la missione del giornalista è una sola: “Raccontare i fatti. Possibilmente tutti. Possibilmente veri”. Marco Travaglio, La scomparsa dei fatti, Il saggiatore, pp. 316, 15 euro.


 

Il Giornale 21-7-2007 LA PRIMA REPUBBLICA FINÌ PER MOLTO MENO  di Maurizio Belpietro

 

Ve lo ricordate? Era il 31 dicembre del 2005. In attesa dei botti di capodanno alcuni onorevoli membri del centrosinistra diedero un’occhiata distratta ai quotidiani, immaginando di leggervi le solite cronache prefestive: il bilancio dell’anno appena concluso, le nuove mete delle vacanze, gli acquisti per il cenone. Anche se la mente era un po’ distratta dall’imminente veglione, quando presero tra le mani Il Giornale gli autorevoli esponenti di Ds e Margherita furono scossi. Sulla prima pagina campeggiava il sunto di una telefonata tra Piero Fassino e Giovanni Consorte, il capo di Unipol. «Siamo padroni di una banca?», chiedeva trepidante il segretario della Quercia informandosi sulla scalata che le assicurazioni delle Coop stavano per lanciare. Dall’intercettazione emergevano le mosse segrete dell’Opa, ma anche le trame del gruppo dirigente del maggior partito di sinistra. Subito si alzò la cortina fumogena di ciò che resta di Botteghe oscure. Fassino e compagni gridarono al complotto. D’Alema sprezzante parlò di immondizia. In pratica, grazie anche al fiancheggiamento dei giornali amici, i Ds evitarono di render conto delle loro scorribande nel mondo bancario e delle relazioni intrattenute con Consorte: con lui al telefono ho parlato di vacanze, mentì il presidente della Quercia, e molti fecero finta di crederci.
La telefonata rivelata dal Giornale in realtà alzò il velo sulla madre di tutti i traffici diessini. Quell’intercettazione è infatti la base di tutto quello che è accaduto dopo. Il tentativo di rimuovere quattro ufficiali della Guardia di Finanza, le pressioni e le minacce che porteranno alla destituzione dello stesso comandante delle Fiamme gialle, il primo tentativo di vietare la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche.
Da quel 31 dicembre 2005 partì una campagna politica che puntò a seppellire, ma anche a minimizzare il contenuto delle conversazioni tra i vertici dei Ds e quelli di Unipol. «Nulla di penalmente rilevante», seguitarono a dire Fassino e D’Alema. «Chiacchiere tra compagni». «Innocenti richieste di informazioni». Che quelli non fossero semplici scambi di opinioni a noi è sempre stato chiaro. Che la versione minimalista fosse un’autoassoluzione che faceva perno sul porto delle nebbie milanese, ossia sull’«incapacità» della Procura lombarda di trovare prove a carico dei postcomunisti, noi non lo abbiamo mai dubitato. I bottegai oscuri contavano sul solito insabbiamento, ma stavolta una serie di fatti non sono andati per il verso giusto. Il generale Roberto Speciale si è messo di traverso e non ha trasferito gli ufficiali della Finanza che avrebbe voluto rimuovere Vincenzo Visco. La Procura, di solito molto sollecita quando si tratta di indagare sul Cavaliere, aveva fatto sapere che quelle telefonate non erano niente di che, ma il giudice Clementina Forleo, nel richiedere l’utilizzo delle intercettazioni, sostiene – pur senza nominarli - che i vertici dei Ds «non furono passivi ricettori di informazioni penalmente rilevanti» e neppure tifosi del disegno di Unipol, ma «consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata».

Il giudizio della Forleo, che è certamente un magistrato fuori dagli schemi, non è una sentenza definitiva. Un gip si può sbagliare. Tocca ai vari gradi del processo accertare i fatti ed emettere condanne o assoluzioni. Una cosa però è certa. Da oggi in poi i vertici Ds non possono più raccontare che quelle erano conversazioni prive di interesse. Soprattutto non possono sperare che il Parlamento blocchi l’uso delle telefonate. Certo, proveranno a stoppare la Forleo e le indagini. Ma ricordino: la prima Repubblica finì quando la Camera negò l’autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi. Per la fine dei Ds servirebbe molto meno.


 

Europa 21-7-2007 SCALATE «GIUDIZIO ANTICIPATO», POLEMICHE Il gip: «Politici complici»

Due ordinanze per 35 telefonate scuotono il parlamento al quale il gip milanese, Clementina Forleo, chiede l’utilizzo delle intercettazioni relative alle scalate su Antonveneta, Bnl-Unipol e Rcs.
Sono sei i politici coinvolti: i ds D’Alema, Fassino, Latorre e Grillo, Comincioli e Cicu di Forza Italia. A far discutere e “preoccupare” – tanto che il ministro Mastella ha disposto l’acquisizione dell’atto definito «singolare » – sono le considerazioni svolte dal gip, laddove sembra già concludere che i politici, pur estranei al procedimento, «erano consapevoli partecipanti di un disegno criminoso di ampia portata». Le reazioni non si sono fatte attendere. Fassino rivendica la sua «assoluta estraneità a qualsiasi condotta illecita» così come Latorre. D’Alema si rifà alle intercettazioni già rese pubbliche: «Tutti possono constatare l’infondatezza di quanto sembra mi venga contestato» dice. Per Zanda (Ulivo) quella della Forleo più che un’ordinanza sembra «una sentenza».


 

L’Unità 21-7-2007 Mediare non basta più Gianfranco Pasquino

 

Troppo spesso appiattiti sulla, peraltro significativa, cronaca quotidiana, dimentichiamo gli elementi strutturali che segnano la politica italiana. È vero: l’attuale coalizione di governo è attraversata da molte, eccessive, linee di divisione politica che, qualche volta, portano a paralisi decisionale, qualche volta a compromessi al ribasso. Criticare tutto questo è doveroso; potrebbe addirittura essere utile.

È altrettanto vero che negli anni sessanta le coalizioni di governo erano spesso destabilizzate dalle correnti interne ai due maggiori partiti, Democrazia cristiana e Socialista, mentre negli anni ottanta il pentapartito fu scosso dalle prese di posizione, spesso del tutto particolaristiche, dei socialdemocratici, dei liberali, dei repubblicani, senza contare gli scontri, solo apparentemente epocali, fra la strategia di Craxi e quella di De Mita. Tuttavia, da allora sono cambiati alcuni elementi che rendono gli attuali scossoni dentro il governo dell’Unione più forti e più pericolosi.

Il primo elemento è che la coalizione di centro-sinistra è, proprio perché rappresentativa del suo variegato elettorato, molto, qualcuno direbbe fin troppo, composita. Quindi, ciascuna delle componenti, sapendo di essere necessaria e, al tempo stesso, avendo bisogno politico di differenziarsi da tutte le altre, tira la corda dalla sua parte. Il secondo elemento è che nella cosiddetta Prima Repubblica era quasi dato per scontato che, in assenza di qualsiasi possibilità di alternanza, le crisi di governo potessero essere risolte da rimpasti ministeriali e persino da uscite e ingressi degli stessi partiti (esemplare, in negativo, il decennio del pentapartito) non soltanto senza andare ad elezioni anticipate, ma anche senza essere accusati di violare un eventuale mandato elettorale. Il mandato non lo aveva comunque ricevuto il governo, ma era stato ottenuto dai segretari di partito che, entro limiti abbastanza chiaramente definiti, se lo “giocavano” nella formazione delle coalizioni e nella nomina dei ministri. In questa lunga e irrisolta, si ha addirittura l’impressione che qualcuno non intenda sostanzialmente più affrontare il problema, transizione politico-istituzionale, il modello di governo è stato, più o meno consapevolmente irrigidito. Pur rimanendo l’Italia una democrazia parlamentare, nella quale, lo sottolineo, i governi si fanno, si disfano, si sostituiscono in Parlamento, si è fatta strada l’interpretazione, peraltro contraddetta dalla pratica, che i governi debbano durare “intatti” tutta la legislatura, oppure che si debba passare ad un’altra legislatura. Certo, la competizione bipolare dà un minimo (per l’appunto, minimo) sostegno a questa interpretazione. Inoltre, la stabilità dei governi, a condizione che sia la premessa dell’efficacia decisionale, è sicuramente un bene da acquisire e da preservare, ma, per l’appunto, non al prezzo della paralisi. Pur tenendo conto delle diversità nella coalizione di centro-sinistra e, a scanso di equivoci, lo sottolineerò con nettezza, della pericolosità dell’alternativa tuttora guidata da Berlusconi, con le sue pulsioni anti-politiche e populiste e con il suo incomprimibile conflitto di interessi, nonché con la sua voglia di rivalsa/vendetta, chi governa la coalizione non può, preferirei scrivere non deve, mai cercare soltanto un punto di equilibrio statico, che non scontenti nessuno.

Esagera Prodi quando sostiene che se sono scontenti tutti, questo significa che la decisione è buona, ma è certo che una buona decisione produce anche, almeno nel breve periodo, scontento più o meno diffuso. Questo significa che le cosiddette fibrillazioni nei governi di coalizione sono inevitabili. Suggerisce anche che debbono essere governate e spostate in avanti quando le buone decisioni, se si dimostreranno davvero tali, produrranno conseguenze positive.

La soluzione, secondo alcuni, sta nella costruzione del Partito Democratico. Quindi, sarebbe sufficiente aspettare (sopravvivere?) finora al 14 ottobre. Secondo altri, fra i quali mi colloco, la soluzione sta, invece, da un lato, in alcune riforme elettorali e istituzionali, dall’altro, nello stile e nella qualità della leadership di governo. Ho l’impressione che un po’ tutte le componenti del centro-sinistra siano entrate in una strana competizione interna fatta di manifesti e di contro-manifesti, di posizionamenti e di veti (alle riforme, in particolare, quella elettorale) e che la leadership di governo venga costretto ad esercitarsi ed esaurirsi non nel decidere, ma nel mediare.

La mediazione democristiana fu, spesso, non sempre, una raffinata, ma per il paese costosa, arte di governo. Temo che oggi, in un sistema bipolare, non soltanto non sia più possibile, ma non sia nemmeno auspicabile. Dunque, prendendo atto delle intrinseche difficoltà dei governi di coalizione e delle più improbabili e più rischiose, ma non tanto rigide come, pur comprensibilmente, vorrebbe Arturo Parisi (“nuove alleanze, nuove elezioni”) modalità di sostituzione dell’attuale compagine governativa, chi voglia cambiare in meglio ha il dovere di essere lungimirante e “sistemico”. Quelle riforme che giovano al sistema politico e socio-economico possono consentire alla coalizione di centro-sinistra di rilanciarsi. Tutto il resto, ahinoi, gioca nelle mani del, pur diviso, centro-destra che, comunque, “sistemico”, ovvero interessato a migliorare qualità e rendimento della democrazia italiana, proprio non è stato e non sarà.


 

La Repubblica 21-7-2007 Nuovo record per il supereuro Adesso vale 1,3843 dollari. La moneta europea ha toccato il livello massimo sulla divisa americana


Otto anni di alti e bassi, sotto l'influsso di eventi politici e scelte economiche

Il palazzo della Bce a Francoforte


ROMA - Ormai lo chiamano tutti supereuro, come se fosse un superoe, perché oggi ha raggiunto la quota di 1,3843 sul dollaro: è il record assoluto, un livello mai raggiunto finora. Quando nacque la moneta unica europea aveva due ambizioni. La prima, far compiere al Vecchio Continente un altro passo sulla strada dell'integrazione. La seconda, sfidare il biglietto verde come moneta principe degli scambi internazionali. Quello tra euro e dollaro è stato una relazione fatta di alti e bassi, e a dettare i rapporti di forza sono stati gli eventi politici, oltre alle scelte dei responsabili dell'economia.
Per la gente comune la data di nascita dell'euro è il primo gennaio 2002, quando i cittadini ebbero la possibilità di toccare con mano la moneta e utilizzarla nella vita di ogni giorno. In realtà, all'epoca aveva già 3 anni di vita, perché gli operatori finanziari avevano cominciato a scambiarla sui mercati il primo gennaio 1999. A quella data un euro valeva 1,1667 dollari. Il 4 gennaio, primo giorno di contrattazioni, la moneta europea salì immediatamente, per poi cominciare un'inesorabile discesa. La parità venne raggiunta il 2 dicembre 1999, per arrivare al minimo storico di 82,30 cents il 26 ottobre del 2000.
Il 2001 fu ovviamente un anno di svolta. Gli attacchi alle Twin Towers, l'offensiva Nato in Afghanistan, e più in generale il senso di incertezza geopolitica non poterono non influenzare i mercati. L'euro cominciò una lenta risalita. 90 centesimi il 1 gennaio 2002, e una nuova parità raggiunta il 15 luglio dello stesso anno.
L'attacco americano all'Iraq, l'incubo terrorismo, le incerte prospettive di ripresa dell'economia statunitense, la politica del dollaro debole favorita dal segretario al Tesoro, John Snow, portarono l'euro a rafforzarsi sempre di puiù . Il 19 maggio del 2003 superò la quotazione della nascita, salendo a 1,17 dollari. Il 30 dicembre 2004 fu toccato un record di 1,3666 dollari per un euro.
La moneta unica scese in concomitanza con gli eventi politici e le lotte sociali che turbarono la quiete del Vecchio Continente, come la bocciatura della Costituzione europea e la rivolta delle periferie di Parigi. Poi, una nuova risalita. Fino al record odierno.
(20 luglio 2007)


 

Il Riformista 21-7-2007 L’“effetto V” sulla ex terza mozione ds Anche i democratici e socialisti con Walter di Alessandro De Angelis


Loro, democratici e socialisti lo sono di nome e di fatto. E oggi stanno con Veltroni. Stiamo parlando dell’area della sinistra Ds nata dopo il congresso di Firenze sulla scia della terza mozione, quella Angius-Zani per intenderci, che raccolse il 10% circa di consensi. Ebbene, oggi, l’area dal nome Dls (Democratici, laici e socialisti, appunto) terrà la sua prima assemblea nazionale per stabilire modi e forme della propria partecipazione alla fase costituente del Pd. E - non è un dettaglio - per ufficializzare il sostegno alla candidatura Veltroni. Saranno presenti, ma solo come osservatori, Vita e forse Cuperlo. Loro (il grosso della ex terza mozione), che democratici e socialisti lo sono di nome e di fatto, presenteranno un documento lungo e articolato: «Il nostro impegno (si legge nel documento) sarà dedicato ad unire, per realizzare un nuovo soggetto politico popolare, laico, pluralista, di sinistra, radicato nel mondo dei lavori, della ricerca, dei ceti medi e produttivi, in grado di svolgere la funzione sociale e di governo dei grandi partiti socialisti e socialdemocratici europei». Con questo documento, loro manifesteranno oggi la volontà di stare a pieno titolo, anche se con il proprio programma, dentro il processo costituente. E di sostenere la candidatura di Veltroni.
L’“effetto V” (nel senso di Veltroni) ha fatto cadere una ad una le principali riserve che gli ex terza mozione avevano sollevato al congresso di Firenze. Spiega Marco Pacciotti, portavoce di Dsl: «Veltroni è un elemento di novità politica. Ci ha convinto con l’intervento di Torino su molti temi come la laicità, il welfare, e il fatto che abbia tolto di mezzo quel Manifesto di Orvieto su cui avevamo avanzato critiche al congresso. Se queste sono le premesse l’orientamento verso Veltroni è forte». Dello stesso parere Massimo Brutti: «La nostra critica era che tutto si risolvesse tra i gruppi dirigenti dei Ds e della Margherita. Sulla necessità di allargare il percorso con Veltroni c’è un punto di convergenza». E aggiunge Sergio Gentili: «Veltroni ha messo l’accento sui temi ambientali, della sicurezza, della precarietà del lavoro, della cultura e dell’istruzione. Un vero discorso da premier».
È ancora presto per dire se Dls farà una propria lista di appoggio, oppure se confluirà nel listone riformista che appoggerà il sindaco. Sul piano generale, per Brutti, l’obiettivo è «allargare il campo». In questo senso, spiega il senatore dell’Ulivo: «una pluralità di liste può essere utile». Ma non sarà questo l’argomento di oggi. Per ora i democratici e socialisti del Pd sono impegnati a fissare le coordinate di fondo della propria partecipazione alla costituente. E vedono proprio nell’abbandono del Manifesto di Orvieto spazi per condizionare l’agenda dei contenuti del futuro partito: welfare, diritti, sviluppo sostenibile ambiente, laicità (dai Dico al testamento biologico), dal punto di vista, ovviamente, democratico e socialista.
A Roma il gruppo dirigente sembra non avere dubbi sull’appoggio a Veltroni. Il ragionamento che viene fatto suona più o meno così: «Spazi per una candidatura autonoma non ce ne sono, quindi appoggiamo Walter e trattiamo il più possibile sui contenuti». Ma è proprio sul «trattare» che qualcuno esprime qualche perplessità, e vorrebbe una linea più dura sulla base di un ragionamento che suona più o meno in quest’altro modo: «Partiamo dai contenuti della mozione e magari anche da un candidato di bandiera, per appoggiare Veltroni in un secondo momento». Tra i responsabili regionali non ha dubbi il coordinatore del Lazio Giovanni Carapella: «Daremo un forte sostegno a Veltroni sull’asse della piattaforma di Torino, chiaramente arricchendola con i nostri contenuti». Più trattativista quello del Veneto, Walter Vanni, che spiega: «Invece di partire dal candidato vediamo le dichiarazioni di intenti di tutti i candidati e confrontiamoli con la nostra mozione. Poi decidiamo». Uno schema, questo, che vorrebbe dire appoggiare, in alternativa a Veltroni, Furio Colombo, visto che sugli altri vale la pregiudiziale Pse. Parte invece dal metodo la coordinatrice dell’Emilia Romagna, Gabriella Ercolini: «Veltroni è una novità forte ed è la candidatura cui guardiamo con interesse. Ma dobbiamo approfondire sui contenuti. E serve anche un incontro chiarificatore». Nei fatti: dai Dls partirà oggi un via libera a Veltroni.

 


INDICE 20-7-2007

 

+ +   La Stampa 20-7-2007 Unipol-Bnl, Forleo accusa:"Politici complici, non tifosi". Per il magistrato milanese «sarà proprio il placet del parlamento a rendere possibile la procedibilità penale nei confronti dei suoi membri»

+ +   Il Sole 24 Ore 20-7-2007 Pensioni: «La sfida non è solo finanziaria ma anche su ritmo di crescita» di Antonio Pollio Salimbeni

+ Il Corriere della Sera 20-7-2007 Referendum: raggiunte le 500mila firme Guzzetta: faccio appello al rientro delle firme in più a Roma. Il presidente del Comitato promotore del quesito sulla modifica della legge elettorale: ora puntiamo a quota sicurezza di 570mila  1

+ La Repubblica 20-7-2007 Il ritorno dei laureati al lavoro. le imprese li assumono di nuovo. 2

+ La Stampa 20-7-2007  Dove comanda la "Papessa". La leader dei Focolarini e l’apertura di Bertone alle donne: a Roma non c’è maschilismo GIACOMO GALEAZZI 4

+ Il Corriere della Sera 20-7-2007 Perché è ancora una costruzione artificiale Il bipolarismo che non funziona di Giovanni Sartori 5

Europa  20-7-2007 La bellezza dei corpi è la bellezza del mondo basta con l’ipocrisia modello Financial Times FEDERICO ORLANDO RISPONDE  5

Il Riformista 20-7-2007 La candidata Rosy Bindi: voti una, prendi tre  di Claudia Mancina  6

La Stampa 20-7-2007 Gli Usa come Roma: così cade un impero. Nel saggio di Murphy un parallelismo inquietante 7

La Repubblica 20-7-2007 IL CASO Questi i costi degli uffici dello Stato. Il piano di tagli dei ministri Lanzillotta e Santagata Telefoni e posta per 500 milioni, il web può dimezzare le spese CARMELO LOPAPA  8

La Repubblica 20-7-2007 Firme sui costi della politica preso d'assalto il banchetto la raccolta  9

Il Giorno 20-7-2007 LA CARTA sanitaria? Una sconosciuta per i milanesi. Eppure, non solo ha sostituito il vecchio tesserino sanitario cartaceo di colore giallo ma in futuro diventerà a tutti gli effetti tessera sanitaria nazionale. Di STEFANIA CONSENTI 9

L’Unità 20-7-2007 Boom in arrivo per l'economia mondiale Lo prevede il Fondo Monetario Internazionale. Nessuna paura per l'euro troppo forte  10

Il Giornale di Brescia 20-7-2007 CDL DIVISA SULLA RIFORMA ELETTORALE Casini critica Fini: difende le sue convenienze  10

Il Cittadino 20-7-2007"Truccati i bilanci Bipielle 2003 e 2004" Sotto inchiesta anche i sindaci, Goisis: "Pronto a difendermi" 11

L’Unità 20-7-2007 Occhio agli hamburger americani di Alberto Crespi 12

 


 

+ +   La Stampa 20-7-2007 Unipol-Bnl, Forleo accusa:"Politici complici, non tifosi". Per il magistrato milanese «sarà proprio il placet del parlamento a rendere possibile la procedibilità penale nei confronti dei suoi membri»

+ Intercettazioni e dossier, la politica fa quadrato

+ Unipol, bufera intercettazioni D'Alema a Consorte: "Facci sognare"

+ "Intercettazioni, una follia italiana"

+ Intercettazioni, la replica dei giudici: "Abbiamo fatto solo il nostro dovere"

+ Intercettazioni, D'Alema contrattacca: "Attacchi indecenti, qualcuno paghi"

+ Intercettazioni, Grechi: "Notizie trafugate prima del deposito"

+ Intercettazioni, Di Pietro: "Non mi dimetto ma voto contro"

ROMA
I politici intercettati nell’ambito dell’inchiesta in corso a milano sui tentativi di scalata ad antonveneta, bnl e rcs «all’evidenza appaiono non passivi ricettori di informazioni pur penalemnte rilevanti, nè personaggi animati da sana tifoseria per opposte forze in campo, ma consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata».

E' quanto scrive il gip di milano, Clementina Forleo, nellordinanza inviata al parlamento per chiedere alle camere il via libera allutilizzazione delle conversazioni intercettate nel procedimento penale. Per il magistrato milanese «sarà proprio il placet del parlamento a rendere possibile la procedibilità penale nei confronti dei suoi membri», definiti dal gip «inquietanti interlocuri di numerose di dette intercettazioni».

Il «disegno criminoso di ampia portata» evidenziato dalla Forleo nellordinanza, a giudizio del magistrato milanese «si stava consumando proprio ai danni dei piccoli e medi risparmiatori in una logica di manipolazione e lottizzazione del sistema bancario e finanziario nazionale». Quanto al ruolo rivestito nella vicenda dagli uomini politici, per il gip «è evidente come, risultando a carico di tali soggetti solo le granitiche risultanze di cui al tenore delle conversazioni in questione, non si saresbe potuto procedere alla relativa iscrizione degli stessi nel registro degli indagati data appunto lattuale inutilizzabilità».


+ +   Il Sole 24 Ore 20-7-2007 Pensioni: «La sfida non è solo finanziaria ma anche su ritmo di crescita» di Antonio Pollio Salimbeni

 

La partita delle pensioni non è solo una sfida per i conti pubblici in tutta Europa, è anche e soprattutto una sfida che implica profonde ripercussioni nel mercato del lavoro e chiama in causa il ritmo di crescita dell'economia. Non solo: le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione non sono uno "tsunami" che provocherà improvvisamente dei problemi, ma il frutto di un processo lento. Bisogna sapere però che la "finestra di opportunità" per intervenire nelle condizioni più favorevoli aperta nel 2004 si chiuderà piuttosto in fretta, nel 2011. Fra quattro anni. E' su questo scenario che si fonda la Commissione europea quando chiede ai governi maggiore coraggio. Vediamo come stanno le cose. La popolazione europea invecchia rapidamente: fino al 2050 i tassi di natalità resteranno al di sotto del tasso di rimpiazzo naturale della popolazione; calo delle nascite e imminente pensionamento dei ‘baby boomers' (nati tra il 1946 e il 1964) faranno raddoppiare al 54% il cosiddetto ‘tasso di dipendenza', cioè il numero di anziani di 65 anni e oltre rapportato al numero di 15-64enni. In pratica, mentre oggi lavorano quattro europei per anziano, in futuro ne lavoreranno soltanto due. L'invecchiamento progressivo della popolazione è spinto da altri due fattori: l'aumento dell'aspettativa di vita, già aumentata di otto anni dal 1960 e stimata aumentare entro il 2050 di sei anni per i maschi e cinque per le donne; la maggiore immigrazione pari a 40 milioni di persone. Risultato: la popolazione europea passerà da 457 milioni nel 2004 a 471 milioni nel 2027 per scendere a 454 milioni nel 2050. E sarà più vecchia: la popolazione in età di lavoro tra i 15 e 64 anni perderà 48 milioni di effettivi pari al 16% del totale; i 65enni e oltre aumenteranno di 58 milioni (+77%). Per il mercato del lavoro non sarà il migliore dei mondi possibili. Anzi. Dopo uno studio sui limiti alla crescita e al miglioramento degli standard di vita gli economisti della Dg affari economici della Commissione Ue Giuseppe Carone e Declan Costello (1) concludono che "nonostante il dibattito sull'invecchiamento della popolazione riguardi i costi di bilancio, l'impatto più immediato e drammatico sarà avvertito proprio nel mercato del lavoro". Nella Ue a 25 membri fino al 2011 sia la popolazione in età di lavoro che il tasso di occupazione (63% nel 2004, 70% nel 2020) aumenteranno: ecco la cosiddetta ‘finestra di opportunità' per avviare riforme strutturali. Si tratta di una condizione favorevole perché sia l'andamento demografico sia quello della forzalavoro sosterranno la crescita economica. Poi la musica cambierà. Tra il 2012 e il 2017 l'aumento dei tassi di occupazione ammortizzerà il calo della popolazione in età di lavoro dovuto al ritiro della generazione dei ‘baby boomers'. Dopo il 2018 non ci sarà più un fattore che compenserà l'invecchiamento della popolazione una volta esaurita la spinta propulsiva degli ingressi femminili nel mercato del lavoro. Inoltre, in assenza di riforme che prolunghino l'età lavorativa, il tasso di occupazione degli anziani è previsto ristagnare. Risultato: sia la dimensione della popolazione in età di lavoro che il numero di occupati caleranno. Dopo essere aumentati di circa 20 milioni tra il 2004 e il 2017, l'occupazione è prevista ridursi di circa 30 milioni di unità. Ciò indica chiaramente che i motori della crescita economica cambieranno regime: l'occupazione fornirà un contributo positivo fin verso il 2010, che diventerà neutrale tra il 2011 e il 2030 per poi diventare negativo. Riducendosi l'offerta di lavoro, il fattore determinante per mantenere un adeguato livello di crescita sarà la produttività. Tenendo conto che le proiezioni sull'andamento della produttività per addetto indicano una crescita media dell'1,7% per tutto il periodo fino al 2050 nella Ue a quindici membri (è più elevata nei dieci paesi entrati nel 2004), il tasso di crescita potenziale annuo dovrebbe calare dal 2,2% del periodo 2004-2010 all'1,8% tra il 2011 e il 2030 e all'1,3% tra il 2031 e il 2050. La proiezione per gli altri dieci paesi è peggiore dato l'andamento demografico ancora meno favorevole (dal 4,7% al 3% allo 0,9%). Se questo è lo scenario ipotizzabile l'allungamento dell'età lavorativa deve far parte di una strategia europea se si vuole mantenere un livello di crescita in grado di mantenere l'attuale standard di benessere.


 

+ Il Corriere della Sera 20-7-2007 Referendum: raggiunte le 500mila firme Guzzetta: faccio appello al rientro delle firme in più a Roma. Il presidente del Comitato promotore del quesito sulla modifica della legge elettorale: ora puntiamo a quota sicurezza di 570mila

 

 

MESSINA - Il referendum sulla legge elettorale con ogni probabilità si farà, a meno di una nuova legge o di una fine anticipata della legislatura. «Abbiamo le 500 mila firme» ha dichiarato infatti il presidente del Comitato promotore dei referendum elettorali, Giovanni Guzzetta, che si trova a Messina, sua città natale, per concludere il tour referendario. Guzzetta ha anche sottolineato che ora si tratta di raggiungere quota sicurezza di 570 mila firme.

SOGLIA DI SICUREZZA - «Mi sono sempre imposto serietà nell'informazione ai cittadini sull'andamento della raccolta e quindi ho atteso questo giorno - ha affermato - per potere dare una notizia certa e circostanziata che faccia un po' piazza pulita delle tante asserzioni e fuga di notizie non accreditate. Oggi posso dire che presso il Comitato Nazionale di Roma sono presenti già 500 mila firme. Ciò ci dà molta soddisfazione, ma ribadisco che, come abbiamo sempre detto, la soglia di sicurezza è di 570 mila firme e questa soglia non è stata ancora raggiunta. Faccio pertanto appello al rientro delle firme». «Siamo ottimisti - ha proseguito Guzzetta - sul fatto che ce la faremo e colgo l'occasione, dopo aver ringraziato tutti i comitati locali, per esprimere un elogio e un ringraziamento per tutti quei volontari che a decine in queste ore lavorano senza interruzione presso il Comitato per controllare tutte le firme. È merito anche loro, e del nostro coordinatore organizzativo, Antonio Funiciello, se stiamo conseguendo il risultato sperato».

20 luglio 2007


 

+ La Repubblica 20-7-2007 Il ritorno dei laureati al lavoro. le imprese li assumono di nuovo.

A fine 2007 quasi un nuovo assunto su dieci sarà uscito dalluniversità. Una percentuale mai raggiunta dal 2003. Dalle imprese posti per 75 mila. Nel pubblico 43 mila. La richiesta soprattutto nei servizi avanzati. Ma è ancora forte lo squilibrio tra le scelte dei giovani e i titoli richiesti dal Sistema Italia. I risultati di un'indagine di Unioncamere. TABELLA: le Top 20 province. ASSUNZIONI: dal 2003 a oggi. TITOLI: gli indirizzi più richiesti
di FEDERICO PACE

Torna a tirare una leggerissima brezza nelle vele dei laureati alla ricerca di un impiego. Perduti da un bel po di tempo, come le navi delle storie di Conrad, nel bel mezzo di una bonaccia. Fermi al palo, non per colpa loro, da troppo tempo, sembrano infine poter ritrovare un poco di spinta per provare a muovere i primi passi nel mercato del lavoro. Sì perché da questanno, dopo un tempo che è parso infinito, le cose stanno tornando a girare per il verso giusto.

Veniamo ai numeri. Nel 2007 i laureati che troveranno un impiego, secondo il rapporto Excelsior di Unioncamere, saranno 187 mila e cinquecento. Di questi poco più di 75 mila entreranno in unimpresa privata e 43 mila andranno a rinfoltire le file della pubblica amministrazione. Per il resto circa 68 mila troveranno la strada come lavoratori autonomi. Numeri che se non fanno sorridere a tutti denti, di certo fanno smettere la maschera di pessimismo che siamo stati costretti a indossare in questi anni. Quel che desta più sorpresa è che proprio le imprese, che fino allanno scorso, quelle che dei laureati proprio sembrava non ne volessero sentire parlare, proprio loro sono tornate a cercarli. Tanto che a fine 2007 quasi un nuovo assunto su dieci arriverà da una facoltà. Una percentuale mai toccata dal 2003 a oggi (vedi tabella ).

Ma quali sono le ragioni di questa tanto attesa inversione di tendenza? Il settore manifatturiero ci ha detto Claudio Gagliardi, direttore del centro studi di Unioncamere (leggi l'intervista integrale) - sembra avere ora la necessità di procedere a un recupero dellefficienza della macchina organizzativa, fatto che si traduce nellacquisizione di figure professionali di livello elevato da impiegare nella gestione, ovvero che possano rafforzare le aree dedicate al marketing commerciale.

A incidere è anche il crescente peso del settore dei servizi allinterno del Sistema Italia che tende a favorire una maggiore richiesta di figure con una formazione più elevata. Laumento progressivo dellincidenza del settore terziario prosegue Gagliardi - spiega il fatto che proprio da questo segmento provenga il nuovo slancio della domanda di dirigenti, impiegati con elevata specializzazione e tecnici. Ma anche levoluzione sociale e culturale che anche il nostro Paese sta avendo si traduce in una maggiore domanda delle imprese di tre filiere professionali: quella legata al mondo della scuola e dellistruzione; quella socio-sanitaria (infermieri, fisioterapisti, assistenti sociali, ecc.); quella espressa da molte professioni legate alle arti, allo spettacolo e ai media.

Le grandi imprese. A dargli unopportunità saranno soprattutto le imprese di grandi dimensioni. Quelle con più di 250 addetti. Nel loro caso il 17 per cento dei nuovi assunti saranno proprio laureati. Sempre molto difficile invece la strada verso le piccolissime imprese (quelle con meno di dieci dipendenti) dove solo il 3,8 per cento dei nuovi assunti sarà uscito da una facoltà universitaria. Un problema questo che sarà bene non prendere sotto gamba visto il peso sulla dinamica occupazionale di queste imprese (quattro assunzioni su dieci in Italia vengono da qui). Da un punto di vista territoriale è nel Nord Ovest a offrire maggiori opportunità seguito dal Centro. Meno interessante il Nord Est. Mentre ai minimi ancora la proporzione di laureati ricercati dalle imprese del Mezzogiorno (solo 5 su cento).

Milano capitale dei laureati. Quasi un quinto di loro troverà un impiego a Milano dove verranno assunti entro la fine del 2007 più di 14 mila laureati, ovvero il 20,3 per cento dei nuovi assunti (vedi tabella). Subito dietro il capoluogo lombardo c’è Roma con un numero di assunzioni supererà le 10 mila unità. Le cose andranno bene anche a Parma, dove il 16,5 per cento delle nuove assunzioni riguarderà i laureati, Torino (il 14,9 per cento) e Pescara (10,9). Nella parte alta della classifica si trovano anche altre città del Sud come Catania, Palermo, Napoli, Catanzaro e Reggio Calabria. Tuttavia però la gran parte delle città meridionali occupa le posizioni di retrovia. La maglia nera spetta a Isernia con nuove assunzioni per laureati che interesseranno solo l1,4 per cento delle assunzioni, Grosseto (1,9 per cento), Pistoia (2,1 per cento), Teramo e Oristano (vedi tabella).

Soprattutto economia. In termini assoluti i più ricercati saranno quelli che hanno un titolo conseguito nellindirizzo economico, seguiti dagli ingegneri, i sanitari e paramedici e i chimici-farmaceutici (vedi tabella).

Credito e servizi finanziari. I settori che si dimostreranno più interessati a loro sono quelli del credito, assicurazioni e servizi finanziari dove il 44,8 per cento delle nuove assunzioni del 2007 coinvolgeranno figure in possesso di una laurea. Buone le opportunità anche nei servizi avanzati alle imprese (il 29,6 per cento) e nelle telecomunicazioni (il 33,2 per cento).

Ma non ci sono solo notizie positive. Continua infatti a esserci un marcato squilibrio tra le scelte dei giovani nei percorsi universitari e le richieste del "Sistema Italia". Troppo pochi laureati in economia. Troppi invece quelli che scelgono studi nell'area politico-sociale e in quella giuridica. Un mancato allineamento tra domanda e offerta che nel 2006 interessava quasi 88 mila laureati (vedi tabella).

Inoltre i direttori del personale, secondo i dati del rapporto di Unioncamere, fanno sempre più difficoltà a fare entrare un giovane in azienda. Tanto che nel 2007 si assiste a un ulteriore peggioramento della quota di "under 30" che entreranno in impresa. A fine anno saranno solo il 37,7 per cento dei nuovi assunti, insomma un ulteriore scivolone rispetto allanno scorso quando erano il 39,5 per cento e sempre più lontani dal 43,3 per cento del 2004.

In un recente sondaggio somministrato a 19 mila giovani europei con unetà compresa tra 15 e 29 anni, molti di loro hanno confermato ancora una volta, di fronte allimpossibilità di trovare un lavoro remunerato, di essere pronti a seguire un corso di formazione o ad accettare uno stage pure non remunerato. Insomma la disponibilità a sacrificarsi, almeno per un po, ce lhanno. Resta che questo tipo di situazione non può essere condotta a lungo tempo a meno di penalizzare tutte le prospettive di vita. Basti pensare che un terzo di loro ha detto che la fonte di principale reddito gli arriva ancora dai genitori. E in Italia questa percentuale raggiunge limpressionante quota del 49,8 per cento. La più alta di tutti e 27 i paesi dellUnione europea. Date un lavoro a questi giovani e fateli uscire di casa. Fate in modo che anche loro abbiano un futuro.

TABELLA:
Le 20 province con maggiori opportunità
Le 20 province con minori opportunità

ASSUNZIONI:
Dal 2003 a oggi

TITOLI:
Gli indirizzi più richiesti Lo squilibrio domanda-offerta


 

+ La Stampa 20-7-2007  Dove comanda la "Papessa". La leader dei Focolarini e l’apertura di Bertone alle donne: a Roma non c’è maschilismo GIACOMO GALEAZZI

CITTA' DEL VATICANO
Magari all’inizio qualche sacerdote non vedeva di buon occhio un movimento fondato da una donna. Ma il carisma dell’unità è stato capito dai papi e oggi sono centinaia i cardinali e vescovi legati ai Focolari. Dal rifugio svizzero di Montana, dove è in vacanza, Chiara Lubich (classe 1920, come Giovanni Paolo II), leader dei Focolarini, definita la «donna più potente della Chiesa mondiale», commenta la svolta del segretario di Stato Tarcisio Bertone che annuncia più ruoli di responsabilità al femminile.

Karol Wojtyla le ha donato la sala delle udienze di Castelgandolfo e, scherzando sui pochi mesi che li separava, la chiamava «sorella maggiore». Joseph Ratzinger, da prefetto dell’ex Sant’Uffizio, permise all’episcopato di aderire al movimento e da papa ne ha approvato la «regola». Eppure dalla Trento dei primi anni ’40 non sono mancate ombre di misoginia sul cammino di una multinazionale della spiritualità che al primo punto dello statuto cita il testamento di Cristo: «Che tutti siano uno». Oggi il volto di Chiara Lubich è con quello di Madre Teresa nel santuario brasiliano di Aparecida. Per «comporre in unità la famiglia umana», Lubich ha dovuto vincere le resistenze di un universo al maschile.

«Nella Seconda guerra mondiale ero terziaria francescana, 500 persone mi seguivano finché il vescovo di Trento, Carlo De Ferrari, m’impose di separare il Terz’Ordine dal Movimento dell’Unità che avevo creato dicendo: “Qui c’è il dito di Dio” - racconta Lubich-. In sei decenni, più che il maschilismo, nella Chiesa ho avvertito la grazia della comprensione. Giovanni XXIII ha dato l’approvazione al movimento, Paolo VI è stato un padre e ha riconosciuto la struttura organizzativa». Ora i Focolari sono in tutto il mondo e in Italia sono sostenuti soprattutto dai cardinali di Firenze, Milano e Napoli, Antonelli, Tettamanzi e Sepe; il vicario papale Ruini ha istituito con Lubich il coordinamento del laicato (in prima linea al “Family day”), il vescovo di Benevento, Mugione, ha donato l’ex seminario diocesano, i cardinali di Curia, Poupard e Mayer, come il ministro dei Laici, l’arcivescovo Rylko, hanno favorito la crescita del movimento.

Giulio Andreotti partecipa alla loro messa, Prodi («ci unisce stima e una vecchia frequentazione») partecipa ai loro raduni ecumenici a Stoccarda, mentre il Movimento per l’unità, il loro braccio politico, raccoglie adesioni trasversali in Parlamento. «In ogni partito c’è qualcosa di vero e di buono da far emergere e valorizzare per il bene comune», precisa. Più potere al femminile, però, non significa ordinazione sacerdotale delle donne: «Il valore della donna è altro, il suo contributo non è necessariamente il sacerdozio, ma la vita, l’amore, la realtà umana in cui la donna può entrare più facilmente». Hanno avuto qualche difficoltà con sacerdoti per cui le cose di Chiesa erano cose da uomini. Poi il Concilio e la conoscenza del movimento hanno aiutato a chiarire. Uno dei principali supporter è stato l’arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla. «Quando è stato eletto Papa, è stato facile il contatto con lui, così attento al “genio delle donne”. Ho avuto tante conversazioni e pranzi con lui. Mi sono sempre sentita considerata, quasi come una sorella. Nel ’98 ha riunito i movimenti e da allora replichiamo l’incontro».

Quando poi esponenti dell’episcopato vogliono entrare nel movimento, Lubich chiede il permesso al cardinale Ratzinger e lui acconsente. La formula da lui ideata è il “legame spirituale” tra Focolarini e vescovi (come il porporato di Praga, Miloslav Vlk). «Del gruppo oggi fanno parte circa 700 presuli di ogni paese, inclusi protestanti, anglicani e ortodossi - afferma -. Siamo amici di Azione cattolica e facciamo iniziative con altri movimenti. Ora la Chiesa ci ha chiesto di scrivere ciò che siamo per ottenere un riconoscimento, così abbiamo presentato gli statuti generali aggiornati e ottenuto l’approvazione. L’opera è completa».


 

+ Il Corriere della Sera 20-7-2007 Perché è ancora una costruzione artificiale Il bipolarismo che non funziona di Giovanni Sartori

 

 

Abbiamo un governo moribondo che si ostina a vivere. Così Eugenio Scalfari, che si chiede se questo durare in agonia sia meglio che decedere subito. Un bel problema. Che ha radici antiche nel senso che risale al bipolarismo che abbiamo inventato alla caduta del regime democristiano. Inventato perché è un unicum molto diverso dagli altri bipolarismi.

Il nostro è un bipolarismo rigido, ingessato, nel quale ogni polo è un fortilizio chiuso in se stesso. In tutte le altre democrazie, invece, il bipolarismo è flessibile e aperto; il che vuol dire che ogni polo si adatta alle circostanze e si apre, occorrendo, a soluzioni «allargate». Imperocché il nostro è un bipolarismo disfunzionale che si può inceppare senza rimedio, mentre il bipolarismo flessibile può funzionare comunque vadano le elezioni. Già, le elezioni. Il bipolarismo all'italiana si fonda sull'originalissima idea che le elezioni lo devono servire producendo ogni volta una maggioranza largamente autosufficiente. E se non lo fanno? E se producono dei pareggi? In tal caso sbagliano gli elettori, ed è il sistema elettorale che li deve costringere al bipolarismo. Questo è stato l'intento primario del Mattarellum; ed è sempre lo stesso intento di «salvare il bipolarismo» che giustifica l'attuale premio di maggioranza. Forse tutto bene, se non fosse per il fatto che il bipolarismo che sarebbe da salvare è soltanto la sua deformazione italica, soltanto il bipolarismo alla Prodi.
La verità è che a livello elettorale una distribuzione dualizzata tipo «destra- o-sinistra» è normale, è fisiologica, in tutte le democrazie. Anche il «bipartitismo imperfetto» teorizzato da Giorgio Galli negli anni Sessanta descriveva una struttura di voto bipolare tra Pc e Dc (che non era imperfetta in chiave dualistica, ma perché non comportava alternanze). E la riprova del fatto che il bipolarismo sia fisiologico è data dalla constatazione che tutte le democrazie occidentali sono bipolari quale che sia il sistema elettorale.

Il punto è, allora, che il bipolarismo all'italiana è una costruzione del tutto artificiale, artificiosa e innecessaria che si ascrive soprattutto alla formidabile ostinazione di Prodi. Ma oramai i nodi stanno venendo al pettine. Dopo un anno di governo paralizzato dalla sua non-maggioranza, e anche (come tutti, salvo Prodi, avevano previsto) da un'insanabile conflittualità interna, lo scenario sta cambiando. Il quadro non è più quello di un Prodi «insostituibile», ma di un Veltroni che lo andrà a sostituire. Così l'ala riformista che Prodi sacrifica da sempre alle istanze del massimalismo che si è messo in casa, riacquista forza e voce.

Rutelli dichiara che il nascente Partito democratico «dovrà proporre un'alleanza di centrosinistra di nuovo conio»; Fassino suggerisce che «tutto il centrosinistra dovrebbe cercare convergenze più ampie»; e l'ex premier Lamberto Dini bolla la sinistra bertinottiana come «una minoranza » sconfitta dalla storia, e si chiede perché non si dovrebbero cercare nuove alleanze. Sì, questo è il metodo del bipolarismo flessibile. Ma Prodi resta chiuso nel suo bunker, e il suo fido Parisi controbatte che «questi vogliono solo un ritorno al passato». Il che sottintende che finché Prodi resta in sella il bipolarismo che funziona non vedrà mai la luce.
Non so quando sia bene, per il Paese, che Prodi cada. Ma certo Prodi non è la soluzione del problema: oramai è il problema. Il suo bipolarismo non è né immaturo né maturo; è puramente e semplicemente sbagliato.

20 luglio 2007


 

Europa  20-7-2007 La bellezza dei corpi è la bellezza del mondo basta con l’ipocrisia modello Financial Times FEDERICO ORLANDO RISPONDE

 

Cara Europa, dopo aver letto tutto quello che il Financial Times ha scritto contro la pubblicità italiana che sfrutta la bellezza dei corpi femminili, apro i nostri giornali, leggo quelle critiche, ma trovo tutto come prima: cioè anche loro stampano la suddetta pubblicità e altre immagini. Ma allora perché i giornali danno rilievo alle critiche moralizzatrici? ANDREA SABATINI, ROMA

 

 E meno male, caro Sabatini, che ritrova tutto come prima. Pensi che mortorio se i giornali fossero casti lenzuoli grigi, tipo Pravda o Popolo d’Italia d’altri tempi; o come certi giornali stranieri non popolari che leggiamo per dovere, ma ci ricordano l’editoria depressa del dopoguerra. Ci sarebbe da spararsi, non le pare? Pensi che l’Italia fascista aveva scelto per suo colore il nero, che è la negazione della luce, cioè del colore, cioè della bellezza. Vestivano in camicia nera, come gli ayatollah la cui moda per donne ora piace, anche al ministro Amato, nel suo quotidiano pendolare. Eppure, già in quei lontani decenni, dalle copertine dei settimanali (Domenica del corriere, Tribuna illustrata, ecc.) erompevano formidabili seni, glutei e gambe disegnate da Boccasile, tutte Elisabette Canalis ante litteram. Anche allora facevano pubblicità ai telefoni, alle radio, ai primi elettrodomestici. O magari al flit.
Del resto, per molti secoli, dal Rinascimento italiano, migliaia di artisti e modelle/i avevano riempito di nudi le magioni di principi, cardinali, mercanti, i musei: non c’è genio della pittura e della scultura che non abbia espresso nel corpo – riportato alla luce dopo i burka e i sai medievali – , la gloria della bellezza, ch’era stata il cuore della civiltà greca e romana insieme alla politica, alla filosofia, al diritto e all’ordinamento sociale. Non è vero che la bellezza, specialmente femminile, sia diventata negli ultimi decenni strumento di carrierismo e di pubblicità: la pubblicità degli oggetti ha sempre cercato di un corpo per valorizzare, magari arbitrariamente, la propria bellezza; e quanto al successo sociale legato al fascino, non abbiamo aspettato la società consumista e permissiva per costruire addirittura l’Italia anche con l’avvenenza della contessa di Castiglione e dell’ambasciatore Nigra, l’uno per la gioia dell’imperatore francese l’altro dell’imperatrice. Solo che certe libertà e privilegi, che erano riservate alle Dame e ai Cavalieri nelle società chiuse, nella società aperta sono diventate diritto o almeno aspirazione di tutti. Contro questa realtà hanno sbattuto il muso, negli ultimi trent’anni, le prime femministe, i moralisti e ora anche i giornaloni stranieri (a proposito, qual è lo stato di salute di milioni di pubblicazioni pornografiche, che dai paesi puritani arrivano fino alle nostre edicole?). Se in Italia il nudo femminile sui manifesti ci piace (meglio senza pose da ranocchia ,come l’ultima Elisabetta Canalis), se uomini e donne non faranno un altro ’77 per proibire i manifesti urticanti, è anche perché – come ha scritto ieri Joaquin Navarro-Valls, che non dev’essere un mostro di laicismo – la donna (come l’uomo) è tante cose nella società italiana, non solo bellezza esibita: e sbagliano i giornalisti del Financial Times a scambiare il manifesto per la società, “la parte per il tutto”.


 

Il Riformista 20-7-2007 La candidata Rosy Bindi: voti una, prendi tre  di Claudia Mancina


La candidatura di Rosy Bindi non è soltanto utile, come molti hanno detto, perché allarga il campo del dibattito e vivacizza le primarie. È una candidatura particolarmente significativa, perché non è l’espressione di una singola identità (per esempio, quella cattolico-democratica), ma intreccia varie identità: un tratto che ha in comune con la candidatura di Veltroni, che non può certo essere considerata soltanto espressione dei Ds.
Le identità di Rosy sono almeno tre: quella di sinistra, quella cattolica, quella femminile. È un mix molto significativo, che può avere un peso nel percorso di costruzione del Pd, al di là delle motivazioni soggettive - non sempre prive di tatticismi e retropensieri - di chi nel suo partito l’ha incoraggiata. L’adesione di Franca Chiaromonte, presidente di Emily, è emblematica. Molte donne probabilmente la seguiranno. E molti cattolici, o molti che trovano Veltroni non abbastanza di sinistra. Questa candidatura quindi potrà aumentare l’attrattiva delle primarie e portare più gente al voto del 14 ottobre; potrà perfino - se i risultati, com’è possibile, saranno veramente molto buoni - riaprire la questione del ticket.
Ma potrà anche aprire qualche pista nuova nel Pd. Il bello della figura di Rosy è che le sue tre identità si modificano l’una con l’altra. Essere di sinistra da cattolici non è la stessa cosa che esserlo da ex comunisti. Essere cattolici da donne non è la stessa cosa che esserlo da uomini. Per la prima volta in Italia una donna si candida alla segreteria di un grande partito. Non è una cosa da poco. Le donne non acquistano forza politica chiedendo quote o posti in nome della differenza di genere, ma mettendosi in gioco direttamente e giocando le loro carte come leader politici. Il gesto di Rosy da questo punto di vista è molto poco italiano: somiglia a quello di Ségolène Royal, che ha sfidato il partito e ha costretto gli altri a schierarsi. Potrebbe segnare l’inizio di una nuova fase nella presenza politica delle donne italiane, se da parte di queste ci sarà la capacità di avviare una riflessione nuova.
E tuttavia forse in questo momento l’aspetto più interessante e stimolante è quello che riguarda l’identità cattolica. Come spiegava ieri Paola Binetti su queste pagine, i cattolici oggi si trovano davanti varie opzioni riguardo alla loro presenza in politica, e quindi al rapporto tra fede e politica. Tra la tentazione di rifare un partito dei cattolici, e il timore di perdere completamente la propria identità, si celebra ancora il lungo lutto per la scomparsa del cattolicesimo politico. La Binetti esclude la via di un partito dei cattolici, e infatti sarà nel Pd. Ma sappiamo che molti non si fidano di questa prospettiva, e temono uno spostamento dei cattolici - che finora, com’è noto, si sono equamente distribuiti nei due schieramenti - nel centrodestra. A questo rischio rispondono varie riflessioni e ipotesi di aggregazione in vista del Pd, che qualche volta sembrano adombrare l’idea di una corrente cattolica.
Da non cattolica - quindi con tutto il rispetto per un travaglio che non è il mio - credo che sarebbe da evitare la formazione di una corrente così definita nel nuovo partito; che forse sarebbe perfino impossibile da realizzare, perché tra i cattolici non c’è unità di vedute, come non c’è tra gli ex comunisti, né tra le donne. È per questo che la contaminazione delle identità non è solo un auspicio, ma una necessità non eludibile. Mi sembra che la candidatura di Rosy Bindi anticipi già in sé tale contaminazione. È difficile pensarla a capo di una corrente cattolica. Piuttosto, come candidata alla segreteria, dovrà forse declinare meglio la sua laicità e insieme la sua cattolicità. Nella difficile vicenda dei Dico, la Bindi ha scontentato i cattolici ma non ha soddisfatto i laici. La quadratura del cerchio non è facile, se non ci si decide a uscire da un conflitto di valori che è indecidibile e che non dovrebbe avere spazio in politica. Se la candidatura di una cattolica favorirà una riflessione più avanzata su questi temi, sarà un’ottima cosa, per il Pd e per il paese.


 

La Stampa 20-7-2007 Gli Usa come Roma: così cade un impero. Nel saggio di Murphy un parallelismo inquietante

 

CORRISPONDENTE DA NEW YORK Capitol Hill è stata costruita sul modello del colle Palatino, le forze armate americane hanno il punto di forza nella logistica come i legionari di Cesare, l’incubo dei confini porosi lungo il Rio Bravo ricorda i problemi del Vallo di Adriano e la multietnicità accomuna la società degli Stati Uniti all’antica Roma: sono numerosi i paralleli fra l’unica superpotenza del XXI secolo e l’impero romano tracciati da Cullen Murphy in Are We Rome? («Siamo come Roma?») per domandarsi se «la caduta dell’impero dei Cesari» coinciderà con «l’inevitabile destino dell’America».

Il libro di 262 pagine firmato dal giornalista che ha diretto per due decadi il magazine Atlantic Monthly - ora è a Vanity Fair - è una via di mezzo fra un testo di storia comparata, una guida attraverso la «romanità» urbanistica di Washington e un saggio polemico sui costumi politici di chi è stato eletto al Congresso o alla Casa Bianca. Ciò che ne emerge sono sei paralleli al vetriolo fra i due imperi più potenti che la storia abbia conosciuto: Washington condivide con Roma il fatto di considerarsi senza rivali, l’imponenza arrogante dell’apparato militare, la dilagante corruzione del potere politico da parte dei privati, la presunzione di poter ignorare cosa avviene altrove nel mondo, la difficoltà di gestire i propri confini, l’impossibilità oggettiva di esercitare un potere enorme. Malcostume politico e imbattibilità militare costituiscono la miscela con la quale Murphy accompagna il lettore dentro strade e palazzi di Washington descrivendone le caratteristiche - e i marmi bianchi - come se fossero gli edifici del Foro.

Ciò che più colpisce l’autore è come, a quasi duemila anni di distanza, Washington ripeta il modello militare dei Cesari: logistica e addestramento consentono di prevalere su ogni nemico, le terre lontane (com’era il limes ed è oggi l’Afghanistan) vengono gestite con isolati avamposti militari, il teatro globale di operazioni è diviso in un limitato numero di comandi (cinque per l’Us Army, sette per Tiberio) e appena possibile si ricorre ai mercenari per fare fronte alla carenza di soldati (gli Usa in Iraq, i romani in Pannonia). Anche lo scenario della lotta al terrorismo ricorda il pericolo delle invasioni barbariche, quando Roma dovette ammettere di non essere in grado di difendere tutti i confini e assegnò alle città il compito di difendersi dalle scorribande con una decisione che ricorda da vicino la scelta dell’amministrazione Bush di versare fondi federali a piccoli e grandi centri per migliorare la capacità di proteggersi da attacchi come quelli dell’11 settembre.

L’argomento che divide storici e politici: se i neoconservatori Charles Krauthammer, Bill Kristol e Max Boot credono nella «Pax americana» come riedizione della «Pax romana», ci sono invece storici come Chalmers Johnson e Paul Kennedy che ritengono inesorabile il delino americano e altri ancora, da Niall Ferguson e Victor Davis Hanson, secondo cui la sorte parallela dei due imperi non è scontata.

Fino alla penultima pagina di Are We Rome? Murphy accompagna il lettore in un crescendo di paragoni e similitudini che sembrano preannunciare l’inesorabile dissoluzione dell’attuale egemonia americana nel mondo se non degli stessi Stati Uniti, destinati a lasciare il posto a secoli di incertezza e instabilità prima dell’emergere di un possibile successore. Ma arrivato a trenta righe dalla fine Murphy pone fine al pathos soffermandosi sull’unica qualità che «l’America possiede e Roma non aveva» ovvero il fatto che «la classe dirigente romana era scontenta, cinica, pessimista, credendo nel motto "Nihil potest ultra"» mentre nel dna degli Stati Uniti c’è la costante volontà di «rendere il mondo un luogo migliore», grazie a «una profonda fede nelle invenzioni» testimoniata dal fatto che in duecento anni gli americani hanno attraversato più trasformazioni scientifiche, economiche e sociali di quanto avvenuto a Roma nel corso di un intero millennio. Se Catone si lamentava sull’«aver perduto da tempo il nome vero delle cose», l’americano medio continua a ritenere possibili miglioramenti di ogni sorta, personali e collettivi, esprimendo una fiducia e una volontà di creare che fa degli Stati Uniti una costante «fabbrica del futuro», capace di rigenerare il dna che mancò all’antica Roma. Come dire: l’America ha una via d’uscita per evitare il crollo imperiale ma deve avere il coraggio di intraprenderla cercando soluzioni ai problemi che la affliggono, a cominciare dalla corruzione della vita pubblica e dall’ignoranza del mondo degli altri.


 

La Repubblica 20-7-2007 IL CASO Questi i costi degli uffici dello Stato. Il piano di tagli dei ministri Lanzillotta e Santagata Telefoni e posta per 500 milioni, il web può dimezzare le spese CARMELO LOPAPA

 

ROMA - Al governo è bastato sbirciare tra i conti dell'amministrazione per scoprire che nell'anno 2007 dell'era Internet, dai ministeri e dagli uffici pubblici dello Stato vengono spediti per posta 80 milioni di documenti e 20 milioni di raccomandate. Da un ufficio all'altro, ben inteso. I primi a 1,80 euro ciascuno, le seconde a 2,80. Spesa complessiva: 168 milioni di euro. Quando e se il disegno di legge appena varato dal governo Prodi per abbattere i cosiddetti costi della politica entrerà in vigore, le scartoffie dovrebbe lasciare il posto al web, alla posta elettronica, quella che usano ormai più di 20 milioni di italiani. E la spesa di 168 milioni sarà quasi azzerata: ridotta a 1 milione 823 mila euro. Si scoprono questi e altri piccoli arcani (ma a sei zeri) della spesa pubblica dal monitoraggio preparatorio confluito poi nella relazione tecnica e nelle tabelle del ddl approvato in Consiglio dei ministri e che ora gli uffici hanno completato. La montagna di posta in transito a caro prezzo costituisce solo uno dei paradossi emersi dal controllo sullo stato di salute della burocrazia. Perché si fa presto a parlare di costi della politica, di privilegi del Parlamento, ma l'amministrazione centrale dello Stato su quel fronte, a quanto sembra, non teme paragoni. Si prenda l'esempio dei telefonini, ancora status symbol se concessi in dotazione da ministeri e società pubbliche ai loro sherpa, ai funzionari, ai componenti degli uffici di gabinetto. Ebbene, l'indagine condotta dal governo è giunta a una prima stima di massima. In circolazione ve ne sono 150 mila. E il dato si riferisce solo agli apparecchi in dotazione ai dipendenti e ai funzionari dello Stato. Impossibile finora stimare quanti ve ne siano ad appannaggio di Comuni, Province e Regioni. Nessuno si stupirebbe se fossero altrettanti. La spesa? Varia da gestore, dal tipo di contratto stipulato e dall'uso. Ma calcoli, anche questi approssimativi, parlano di 50-100 euro l'anno per ciascun apparecchio. Per un totale che va dai 10 e ai 15 milioni di euro. Il provvedimento presentato sette giorni fa dai ministri Santagata e Lanzillotta conta di ridurre l'assegnazione a chi ha "esigenze di pronta e costante reperibilità", come si legge nella relazione. Ma il grosso del risparmio il governo spera di strapparlo sotto un'altra voce, che ha rivelato costi stratosferici, superiori e non di poco alle previsioni. Si tratta della telefonia fissa. Nella scheda "Stato attuale della fonia nella pubblica amministrazione" si calcola qualcosa come 1,5 milioni di postazioni telefoniche. Che nel 2006 sono costate di 200 milioni di euro per il traffico, di 100 milioni per soli canoni di utenza e 50 milioni per le spese di manutenzione dei centralini. Il totale fa 350 milioni di euro. "Quei costi li abbatteremo col passaggio al Voip, alle comunicazioni telefoniche via Internet, che ci consentirà di ridurli di almeno 120 milioni di euro" spiega il sottosegretario all'Innovazione Beatrice Magnolfi, artefice del pacchetto di misure che passa attraverso l'uso del web. "Come avvieremo la rivoluzione? Tagliando gli stanziamenti per la telefonia come per la posta del 30 per cento a quei rami dell'amministrazione, degli enti e delle società pubbliche che non si saranno adeguati ai nuovi strumenti telematici. Come pure dovranno ridurre le consulenze e informare i cittadini sulle indennità corrisposte attraverso i siti web, tanto più che abbiamo scoperto che le amministrazioni ne hanno aperti ben 1.025: è il momento di farli funzionare e non di utilizzarli come vetrine". Il deterrente ideato per costringere a tagliare l'hanno battezzato "ghigliottina automatica" (meno ti adegui, più ti tagliamo). Lo stesso accadrà con le auto blu. Il governo ne vuole introdurre di cumulative, riducendone il numero. Ma prima di intervenire dovrà scoprire quante ve ne sono in circolazione. Perché del parco macchine, il monitoraggio compiuto non è riuscito ancora a venire a capo.


 

La Repubblica 20-7-2007 Firme sui costi della politica preso d'assalto il banchetto la raccolta

 

- Bari Centinaia di firme raccolte contro i costi della politica: è il risultato che ha raggiunto il Comitato contro sprechi e privilegi, nella sola giornata di ieri. I banchetti, allestiti in corso Vittorio Emanuele, erano presidiati da Maria Cipresso e Pino Gadaleta, fondatori del comitato, e dal consigliere comunale Donato Cippone. Nel pomeriggio la raccolta è continuata in via Sparano. L'iniziativa, partita dalla rete civica "La repubblica dei cittadini.com", cui il comitato ha subito aderito, ha incontrato l'adesione forte e spontanea della gente. La petizione, strumento previsto dall'articolo 50 della Costituzione, vuole sensibilizzare l'opinione pubblica e i politici su una serie di problematiche che stanno infiammando i dibattiti di questi giorni: i costi eccessivi della politica, la responsabilità dei partiti di fronte alla legge, i conflitti di interessi nelle istituzioni, nell'economia e nella società. A questo si aggiungono richieste più urgenti e sentite dalla gente, quali la salvaguardia dell'ambiente e soprattutto la salute che deve essere accessibile a tutti i cittadini e in tempi brevi. La raccolta delle firme proseguirà nei prossimi giorni. (m. mor.).


 

Il Giorno 20-7-2007 LA CARTA sanitaria? Una sconosciuta per i milanesi. Eppure, non solo ha sostituito il vecchio tesserino sanitario cartaceo di colore giallo ma in futuro diventerà a tutti gli effetti tessera sanitaria nazionale. Di STEFANIA CONSENTI

 

? MILANO ? E, QUESTA è la novità, i medici saranno obbligati ad utilzzarla. "Ora come ora, però, sono numerosi i cittadini che la custodiscono nel cassetto. Gli uffici postali o le Asl, poi, non sono in grado di rilasciare il pin", denuncia la consigliera regionale (Ulivo)Ardemia Oriani. "Di fatto - prosegue la consigliera che è membro della Commissione sanità - la Regione ha speso tanti soldi per varare uno strumento, la Carta Siss, che non viene utilizzato perchè molti medici non vi hanno aderito". In altre realtà lombarde, come a Bergamo e Brescia i cittadini usano il tesserino per pagare bollette, prenotare esami, richiedere certificati di residenza. Ma su Milano "ci sono criticità" che dipendono in parte anche dal Comune di Milano che ha pochi servizi online. Delle future applicazioni della carta sanitaria (progetto di legge 244 con assestamento di bilancio, ndr) si è discusso ampiamente nei giorni scorsi in Terza Commissione e il pacchetto sanità approderà martedì in Consiglio regionale. "Sul tavolo - dice la consigliera dell'Ulivo - c'è la proposta della Regione di obbligare i medici, i farmacisti e i pediatri ad utilizzare la carta. La mancata adesione al sistema informativo socio sanitario comporterà delle sanzioni. Ma questa sembra l'ennesima decisione della giunta Formigoni che non ha le gambe per camminare da sola". Pronta la risposta dell'assessore alla Sanità, Luciano Bresciani: "Il 70% dei medici usa la carta ma stiamo studiando un sistema che preveda l'obbligo per tutti gli altri. D'altronde la categoria ha pure siglato un accordo che prevede anche riconoscimenti economici legati ai risultati di utilizzo". Sulle multe, invece, l'assessore glissa perchè "è tutto da decidere e ci sarà un periodo di sperimentazione a partire dal momento in cui verrà approvata la legge". L'assessore, invece, ammette i ritardi dell'applicazione della carta sanitaria su Milano ma che saranno pienamente superati quando "si consoliderà la diffusione su tutto il territorio lombardo". INTANTO, annuncia Bruno Pastore, direttore di Lisit, la società che per conto di Lombardia informatica ha realizzato la rete della Carta Siss, "entro fine luglio in 46 farmacie milanesi si potranno prenotare prime visite specialistiche per gli ospedali Sacco, Niguarda, San Paolo e Policlinico". Una bella comodità, soprattutto per gli utenti più anziani che potranno recarsi nella propria farmacia di riferimento. Il progetto, infatti, dopo un primo avvio sperimentale, coinvolgerà "tutte le 422 farmacie milanesi e i medici di base pubblicizzeranno il nuovo servizio".


 

L’Unità 20-7-2007 Boom in arrivo per l'economia mondiale Lo prevede il Fondo Monetario Internazionale. Nessuna paura per l'euro troppo forte

 

/ Milano PIENO BOOM "Ci avevano accusati di un eccessivo ottimismo sulle previsioni di crescita dell'economia mondiale e ora possiamo dire che siamo lieti di essere sta- ti tanto ottimisti, l'economia globale è difatti in pieno boom". A sostenerlo - riferendosi alle ultime stime di primavera dell'Fmi e anticipando nuovi dati che verranno resi pubblici la prossima settimana - è stato Simon Johnson, capoeconomista del Fondo Monetario Internazionale nel corso di un incontro con la stampa a Washington. "A parte segnali di debolezza provenienti dall'economia statunitense legati anche alle ricadute della crisi dei mutui subprime che avevamo peraltro anticipato, il quadro è buono - ha precisato Johnson - l' economia europea è andata molto bene anche grazie all'ottimo lavoro fatto dalla Banca centrale europea nel contenere le aspettative inflazionistiche, la Germania ha fornito un'ottima performance così come l'economia di Paesi emergenti quali Cina ed India". Il responsabile economico del Fondo ha sottolineato i positivi effetti dei "notevoli cambiamenti strutturali" attuati in Europa e si è soffermato sull'unico fattore emerso da aprile ad oggi non previsto nell' ultimo 'World economic outlook' dell'Fmi: "Siamo in presenza di un'impennata-shock nel prezzo del cibo a livello globale, la cui entità ci ha preso di sorpresa". I due fattori che hanno contribuito maggiormente al balzo dei prezzi alimentari sono stati l'imprevista crescita della domanda di cibo da parte dei Paesi emergenti specialmente dell'Africa, e l'esplodere della questione etanolo negli Stati Uniti che ha avuto pesanti ricadute sui prezzi del mais in Messico e in America Latina. Rispondendo ad una domanda sull' euro, Johnson ha osservato come vi sia "una percezione errata della valutazione dell'euro che in termini effettivi, ossia nel confronto con l'intero paniere degli altri Paesi, è salito dall'inzio dell'anno solo del 2%". Il capoeconomista ha infine citato tra le preoccupazioni esistenti quella di un risorgere di sentimenti protezionistici sia negli Usa che in Europa, in particolare nei confronti della politica monetaria di Pechino.


 

Il Giornale di Brescia 20-7-2007 CDL DIVISA SULLA RIFORMA ELETTORALE Casini critica Fini: difende le sue convenienze

 

ROMA - Nuova giornata tesa nella Cdl sulla riforma della legge elettorale. Dopo il pesante botta e risposta di giovedì tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini sul tema del bipolarismo, ieri è stato Pier Ferdinando Casini ad andare all'attacco del partito di via della Scrofa. "Fini - ha sottolineato il leader dell'Udc parlando dell'appoggio di An al referendum - difende le sue convenienze. È legittimo che lo faccia, ma non vorrei che dimenticasse che ha sostenuto il proporzionale nella legge elettorale". E ancora: "Chi difende il bipolarismo ritiene di avere pochi numeri e cerca di godere di una rendita di posizione". Fini ha glissato ("rispetto le opinioni di Casini ma non le condivido") e ha lasciato la replica più dura al portavoce del suo partito, Andrea Ronchi, che dice: "Mi dispiace che Casini faccia torto all'intelligenza di Fini che ha sempre dimostrato di non agire per convenienza". L'obiettivo principale di An, però, sembra sempre Berlusconi. L'ex-premier, che ieri non ha avuto contatti con il leader di An, si sarebbe speso con i suoi sulla necessità di "non buttar via 14 anni di lavoro" archiviando il bipolarismo, ma, dall'altra parte, non avrebbe nemmeno ancora maturato una decisione sul sistema elettorale migliore verso il quale orientare la riforma in discussione in Parlamento. Starebbe quindi temporeggiando in attesa anche della proposta della maggioranza, con una parte del partito, in particolare gli ex-Dc, che caldeggia il modello tedesco. Da qui, forse, anche il pressing di Gianfranco Fini che in un editoriale per il "Secolo d'Italia" di oggi chiederà che sulla legge elettorale "Berlusconi si spieghi meglio". Mentre Ignazio La Russa ha avvertito: "Senza bipolarismo addio alla Cdl". Intanto il ministro delle Politiche Agricole, Paolo De Castro, si aggiunge alla lista dei membri dell'esecutivo che hanno firmato per il referendum. E ieri è stata la giornata anche della firma dell'ex-consigliere economico di Romano Prodi, Angelo Rovati. Il componente del "Comitato dei 45" spiega di aver deciso di dare il suo appoggio alla consultazione popolare dopo le ultime "virate" di molti esponenti dell'Ulivo sul modello tedesco che consentirà di mettere in campo la vecchia Dc. Le firme stanno rientrando gradualmente a Roma, ma si apre un altro fronte che è quello della costituzionalità dei quesiti. È il vice presidente del Senato Roberto Calderoli ad andare all'attacco: "Appaiono evidenti a tutti i vizi di costituzionalità" del referendum. E come già ieri aveva fatto il Guardasigilli Clemente Mastella, Calderoli chiede "un'attenta verifica delle firme vista l'improvvisa e sospetta impennata numerica che a un certo punto hanno fatto registrare". A replicare a quanti avanzano dubbi di costituzionalità sui quesiti è direttamente il presidente del comitato referendario Giovanni Guzzetta, che lo fa con una battuta: "Sembra di essere ai mondiali di calcio, quando tutti diventano Ct: siamo improvvisamente diventati un Paese di 56 milioni di costituzionalisti".


 

Il Cittadino 20-7-2007"Truccati i bilanci Bipielle 2003 e 2004" Sotto inchiesta anche i sindaci, Goisis: "Pronto a difendermi"

 

Anche i sindaci della Banca Popolare di Lodi coinvolti nella predisposizione dei bilanci 2003 e 2004 sono tra i 25 indagati dell'inchiesta conclusa settimana scorsa dal sostituto procuratore di Lodi Alessandra Simion per l'ipotesi di false comunicazioni ai soci, ossia "falso in bilancio". Ieri l'avviso di conclusione indagini è stato notificato anche al professor Gianandrea Goisis, che è stato l'ultimo presidente del collegio dei sindaci della Popolare "indipendente", in carica fino alla fusione scattata l'1 luglio. L'essere "sotto indagine" ha sorpreso non poco i sindaci, alcuni dei quali erano convinti, almeno fino a marzo, di essere estranei a ogni ipotesi accusatoria: "Questo tipo di responsabilità si ha in realtà che non si avvalgono di una società di revisione - spiega uno dei sindaci Bpl dell'epoca -, riteniamo, anche alla luce di pareri illustri, che nel nostro caso le verifiche spettassero appunto alla società esterna". E proprio sulla Deloitte&Touche potrebbe ora puntare uno stralcio di questa indagine, affidata dal pm al nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Milano, guidato dal capitano Alberto Nastasia. A portare la procura a guardare nei bilanci 2003 e 2004 della Popolare di Lodi era stata la segnalazione della Consob datata 23 dicembre 2005, dieci giorni dopo l'arresto di Gianpiero Fiorani, anch'egli tra i destinatari dell'avviso per questa ipotesi di doppio falso in bilancio. Successivamente la procura ha anche acquisito documentazione della Banca d'Italia. Titolare del procedimento è sempre stata la Simion. Primi a finire sul registro degli indagati sono stati i componenti del consiglio di amministrazione dell'epoca: oltre a Fiorani, Giovanni Benevento, Desiderio Zoncada, Giorgio Olmo, Luca Barilla, Giorgio Chiaravalle, Francesco Ferrari, Carlo Gattoni, Domenico Lanzoni, Erich Mayr, Amato Luigi Molinari, Carlo Pavesi, Antonio Premoli, Osvaldo Savoldi, Enrico Tessera, Gianmaria Visconti di Modrone e Domenico Zucchetti, oltre al consigliere che subentrò a Barilla. "Avvisati" anche i dirigenti dell'epoca Attilio Savarè e Giovanni Vismara, l'allora direttore finanziario Gianfranco Boni e l'istituto che ha "ereditato" la responsabilità amministrativa di Bpl - Bpi, che in caso di condanna sarà chiamato a pagare una sanzione. Il reato contestato si dovrebbe estinguere in sette anni e mezzo. La natura del "falso" ipotizzato deriverebbe dalla mancata segnalazione di obblighi di riacquisto di titoli (ad esempio nei confronti di Deutsche Bank e del fondo Victoria&Eagle, non riconducibile a persone fisiche del Lodigiano), da titoli strutturati "nascosti" e dall'omessa segnalazione di perdite su titoli. Mancate registrazioni contabili che avrebbero influito in misura del 65 per cento sui risultati dei due bilanci, che furono di 123 milioni di euro per il 2003 e di 168 per il 2004, mascherando perdite per 200 milioni di euro e facendo mostrare alla Bpl una solidità patrimoniale ben maggiore di quella effettiva. C'è chi, a fronte di contestazioni della Banca d'Italia, ha ammesso di non aver trascritto nel 2005 ben sette opzioni "put", e la convinzione tra chi conosceva bene la Bpl di quegli anni è che "neppure gli ispettori di Bankitalia in 9 mesi siano riusciti a ricostruire tutto". Fiorani, dal canto suo, interrogato a inizio giugno dalla Simion, avrebbe spiegato di essersi fidato della società di revisione e che non era compito suo occuparsi del bilancio. Goisis dall'inizio del mese è tornato a fare il docente universitario a tempo pieno: "Avremo modo di difenderci - taglia corto -, comunque non farò mai più il consigliere o il sindaco di una banca: ci sono troppe pressioni, dell'opinione pubblica e della magistratura. E si rischia di dover far fronte a enormi spese per difendersi e a grandi danni d'immagine".Carlo Catena.


 

L’Unità 20-7-2007 Occhio agli hamburger americani di Alberto Crespi

 

Fast Food Nation è la prova provata che l'America è un grande paese. Non è una frase ironica: una democrazia che ha mille difetti, ma che crea da sé anticorpi come Michael Moore, come Al Gore, come il Morgan Spurlock di Super Size Me. e come il Richard Linklater di questo film; ovvero, cineasti che possono urlare ai quattro venti le storture del proprio paese senza essere zittiti, è un paese malato, sì, ma con la speranza di guarire. Fast Food Nation è, fin dal titolo, un manifesto su una nazione che sta morendo per cattiva alimentazione. Se aveva ragione Feuerbach, il filosofo secondo il quale "l'uomo è ciò che mangia", allora gli americani sono letteralmente, a stragrande maggioranza, dei sacchi di merda: perché la scena forse più agghiacciante di Fast Food Nation è quella in cui ci viene spiegato, con il tono asettico delle formule scientifiche, come sia perfettamente logico che negli hamburger dei fast food ci siano microframmenti di sterco bovino. Le condizioni in cui i bovini vengono macellati sono tali, e talmente frettolose, che accade sovente che le parti della bestia non vengano ben separate, e gli intestini finiscano nello stesso tritacarne che prepara i suddetti hamburger. Pensateci, la prossima volta che entrate in un McDonald's. A differenza di quasi tutti gli altri titoli citati, però, Fast Food Nation non è (solo) un documentario. Potremmo definirlo un film-dossier, perché Linklater (cineasta molto eclettico, autore anche di film sperimentali come Waking Life) l'ha basato su un libro omonimo, di Eric Schlosser, che è un'inchiesta feroce e documentata sull'industria alimentare americana. Da questa inchiesta, il film parte per raccontare la storia di Don Henderson, un esperto di marketing della catena di fast food Mickey's che deve affrontare un'emergenza di comunicazione: nei suoi hamburger, come si diceva, sono stati rilevate tracce di carne contaminata. nel modo che dicevamo. Si parte dunque per un viaggio nel mondo del "cibo veloce", che riesce a narrare anche le storie di chi ci lavora (soprattutto immigrati), di chi li contesta (ambientalisti e animalisti assortiti), e di chi ne è vittima (i poveri animali macellati in condizioni atroci: preparatevi, la sequenza del macello è terribile, potreste diventare vegetariani). L'abilità di Linklater è tutta nell'equilibrare denuncia e narrazione, documento e fiction: gli aspetti narrativi della trama sono talmente efficaci e, a tratti, persino divertenti che il film è riuscito ad attrarre attori di gran calibro. Henderson è interpretato da Greg Kinnear, nel cast ci sono anche Patricia Arquette, Ethan Hawke, Catalina Moreno (la straordinaria attrice ispanica di Maria Full of Grace). e Bruce Willis, che nonostante la sua immagine di repubblicano macho non è nuovo a comparsate semi-gratuite in film indipendenti (basterà ricordare la sua partecipazione, non accreditato nei titoli, a Pulp Fiction). Fast Food Nation è un film forte e divertente, un ottimo modo per avere conferme sulla follia dell'America - ma anche per riconciliarsi con la sua capacità di raccontarle e denunciarle. Peccato l'uscita quasi agostana, a distanza di oltre un anno dalla presentazione a Cannes 2006: questo era un film in cui credere di più, ma forse è già una fortuna che abbia trovata la via delle sale. CINEMA & CICCIA Esce "Fast Food Nation" film forte e divertente che mette sotto accusa i colossi del "cibo veloce": negli hamburger accade sovente che ci finiscano anche gli escrementi delle vacche.


INDICE 19-7-2007

 

+ La Stampa 19-7-2007 Paolo Borsellino: il ricordo a quindici anni dalla strage. La giornata a Palermo si snoderà tra manifestazioni, spettacoli, dibattiti, messe e commemorazioni e vedrà la partecipazione del presidente del Senato Franco Marini 1.

+ Il Sole 24 Ore 19-7-2007 Il Tesoro "doma" i derivati cattivi. Oltre 100 Comuni hanno informato Via XX Settembre su 200 swap: solo 10 fuorilegge.  Isabella Bufacchi 2

+  Il Corriere della Sera 19-7-2007 Intervista al ministro dell'Economia «Alitalia, vendita o liquidazione» Parla Padoa-Schioppa: «Non ricapitalizzeremo, esploriamo altre ipotesi» Sergio Rizzo  3

+ L’Espresso 18-7-2007 Chi terrà insieme le due sinistre? di Edmondo Berselli 4

+ Il Sole 24 Ore 18-7-2007 Rallenta il mercato immobiliare delle grandi città di Claudio Tucci 5

L’Unità 18-7-2007 Il direttore coraggioso  Furio Colombo  6

Finanza e Mercati 19-7-2007 Ue e Authority nazionali strigliano il Governo, alle prese con spesa pubblica e liberalizzazioni Ma i partiti frenano Padoa-Schioppa. In soffitta i provvedimenti su Opa, Popolari e scatole cinesi. Di Francesco Nati 7

Il Riformista 19-7-2007 LE POLITICHE DI BROWN  Gordon, non ci deludere  8

La Nazione 19-7-2007 SPESA REGIONALE I DATI AGGIORNATI A LIVELLO NAZIONALE Deficit, il peggiore è in Umbria  8

L’Unità19-7-2007 Dolce stil novo Marco Travaglio  9

Gazzetta del Sud 19-7-2007 Scudo spaziale, Mosca vuole rivedere altri trattati Claudio Salvataggio  9

Il Piccolo di Trieste 19-7-2007 Bruxelles boccia la legge Gasparri Contestato lo scarso pluralismo anche nel digitale Televisione. Gigi Furini. 10

La Repubblica 19-7-2007La Commissione fa sapere che non autorizzerà nuovi piani di salvataggio dopo il 2004 Bruxelles avverte: niente aiuti Napolitano invita a obbedire Il Capo dello Stato: sulla concorrenza ci sono tensioni, non possiamo fare strappi ALBERTO D'ARGENIO  11

Gazzetta del Sud 19-7-2007 Termovalorizzatori Italia condannata per colpa della Sicilia  11

La Nazione 19-7-2007 ESPLODE IL CASO BRANCACCIO: PER GIGI, SOSTITUITO ALL'IMPROVVISO DA COSTANZO, SOLIDARIETA' BIPARTISAN Proietti infuriato: "Un golpino all'amatriciana" di ANDREA SPINELLI 12

 


 

+ La Stampa 19-7-2007 Paolo Borsellino: il ricordo a quindici anni dalla strage. La giornata a Palermo si snoderà tra manifestazioni, spettacoli, dibattiti, messe e commemorazioni e vedrà la partecipazione del presidente del Senato Franco Marini

 

PALERMO
Oggi è il giorno della memoria nel ricordo di Paolo Borsellino, procuratore aggiunto a Palermo, e degli agenti della polizia di Stato che gli facevano da scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cusina, Claudio Traina e Vincenzo Limuli, massacrati nella strage di via Mariano D’Amelio il 19 luglio 1992 e di cui quest’anno ricorre il quindicesimo anniversario.

La giornata a Palermo si snoderà tra manifestazioni, spettacoli, dibattiti, messe e commemorazioni e vedrà la partecipazione del presidente del Senato Franco Marini, del leader di An Gianfranco Fini, del sindaco di Roma Walter Veltroni e del governatore della Puglia Nichi Vendola. Ma il magistrato sarà ricordato con diverse cerimonie in tutta la Sicilia e anche in altre città d’ Italia.

Marini alle 10,30 circa, appena giunto in città, deporrà una corona d’alloro sul cippo che ricorda la strage in via D’Amelio davanti l’abitazione della madre del magistrato dove lui si stava recando quando è stato fatto brillare l’ esplosivo che lo ha ucciso. I magistrati ricorderanno il loro collega nell’aula magna del palazzo di Giustizia, alle 11, ma molti altri saranno i momenti di ricordo che culmineranno in serata con la fiaccolata organizzata da Azione giovani cui parteciperà anche Fini.

Questo anniversario è segnato dalle notizie sulla continuazione dell’inchiesta nissena sui mandanti occulti della strage e dall’accorato appello del fratello di Borsellino, Salvatore, che chiede risposte alle tante domande sulla strage che presenta tuttora lati oscuri.


 

+ Il Sole 24 Ore 19-7-2007 Il Tesoro "doma" i derivati cattivi. Oltre 100 Comuni hanno informato Via XX Settembre su 200 swap: solo 10 fuorilegge.  Isabella Bufacchi

 

ROMA Il Tesoro ha vinto un'importante battaglia quest'anno contro il cattivo uso degli strumenti derivati nella finanza locale. Nel primo semestre del 2007, infatti, un centinaio di Comuni ha inviato al dipartimento del debito pubblico al ministero dell'Economia e delle Finanze comunicazioni dettagliate su oltre 200 contratti derivati: due terzi stipulati quest'anno, un terzo chiusi in passato. Di questi solo una dozzina finora sono risultati irregolari rispetto ai requisiti imposti dal Mef nella Finanziaria 2007. Una decina di posizioni sono state segnalate alla Corte dei Conti e al servizio ispettivo della Ragioneria generale dello Stato che ha già avviato ispezioni sul luogo. Se questi risultati, che confermano un uso diffuso e virtuoso dei derivati, dovessero essere confermati a fine anno allora si potrà dire che il Tesoro ha vinto la sua guerra contro swap e opzioni complessi che nascondono la speculazione sotto i vestiti buoni della copertura. In anni di dure battaglie del Tesoro, il dilagare dei derivati ad alto rischio per i conti pubblici è stato messo in evidenza prima dall'ex-ministro dell'Economia Giulio Tremonti durante il suo braccio di ferro con il Governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, poi dalla Consob e da un'indagine parlamentare del 2005, infine da ripetuti allarmi della Corte dei Conti (si veda da ultimo il Sole 24 Ore dello scorso 6 luglio). Adesso al dipartimento del debito pubblico in via XX Settembre si inizia ad intonare il canto della vittoria. Quel che sta funzionando, stando a giudicare dalle comunicazioni giunte al Mef negli ultimi mesi, è l'ultimo giro di vite sul mercato voluto dal ministro Tommaso Padoa- Schioppa. Dopo una raffica di interventi restrittivi, dalla legge sui Boc del 1996, svariati decreti, regolamenti e circolari, la Finanziaria 2007 ha rafforzato il principio della corrispondenza fra passività e derivato e dell'uso dei derivati per la sola copertura dei rischi e ha imposto l'obbligo di trasmettere al Mef il testo del contratto prima del suo perfezionamento: questa comunicazione è indispensabile per la validità stessa del contratto. In assenza dell'invio dei termini del derivato al Tesoro, il contratto è nullo. "La norma, a differenza del passato, sembra essere particolarmente incisiva: il flusso di comunicazioni non era mai stato così intenso - ha commentato Maria Cannata, capo del Dipartimento del Tesoro per la gestione del debito -. Anche il sistema bancario ora sembra maggiormente sensibilizzato, non volendo rischiare di veder compromessa l'efficacia del contratto". Se le operazioni comunicate o poste in essere violano le disposizioni in materia di derivati, la legge velocizza l'intervento punitivo di Corte dei Conti e Ragioneria. La casistica del passato invita però alla prudenza. Il Tesoro è intervenuto più volte, tramite leggi, regolamenti attuativi e circolari esplicative, con l'obiettivo di scoraggiare, frenare, arginare il cattivo uso dei derivati da parte degli enti locali. Ma il fenomeno è sempre apparso fuori controllo: i Comuni, soprattutto di dimensioni mediopiccole e con problemi di bilancio, ricorrono alla finanza creativa per tamponare crisi di liquidità finanziaria, per sfruttare fonti di gettito alternative fuoribilancio. Invece di tagliare spese primarie già ridotte all'osso e offrire meno servizi ai cittadini, alcuni Comuni tentano la fortuna con i derivati: e ottengono tramite swap con upfront il pagamento immediato di flussi di cassa futuri, rinviando il conto alle giunte degli anni a venire. Il fatto che una squadra di volenterosi tecnici del Tesoro, in verità non più di una decina, controlli a tempo pieno i derivati degli enti locali ha acceso un faro sulle irregolarità. Il monitoraggio ex-post non aveva dato finora i risultati attesi: quello exante è decisamente più efficace. Il comportamento del Tesoro getta infine una luce sul problema annoso e irrisolto dei derivati complessi e speculativi venduti dalle banche alle imprese, soprattutto medio-piccole. Molte Pmi, e non solo i clienti di Banca Italease, lamentano di questi tempi una crescita preoccupante delle perdite a causa di derivati che non hanno ridotto l'esposizione dell'azienda contro i rischi di mercato (e rialzo dei tassi) bensì l'hanno addirittura moltiplicata. Le banche sono accusate di scarsa trasparenza o di scorrettezza. Il comportamento del Mef a questo riguardo è illuminante per come risolvere in parte il problema in attesa di un'offerta più trasparente. Il ministro dell'Economia ha agito nei confronti degli assessori al bilancio come dovrebbe fare l'amministratore delegato di un'azienda nei confronti del suo direttore finanziario: paletti chiari e incisivi su cosa fare e non fare con i derivati, procedure ferree di controllo interno e interventi punitivi e sanzionatori per chi si comporta male. isabella.bufacchi@ilsole24ore.com.


 

+  Il Corriere della Sera 19-7-2007 Intervista al ministro dell'Economia «Alitalia, vendita o liquidazione» Parla Padoa-Schioppa: «Non ricapitalizzeremo, esploriamo altre ipotesi» Sergio Rizzo

 

 

ROMA Nessuno, adesso, è autorizzato a pensare che il governo possa fare marcia indietro. I partiti, che sotto sotto la decisione di vendere ai privati l'Alitalia non l'hanno mai digerita, sono avvertiti. E sono avvertiti anche i sindacati, che qualche bastone, e nemmeno troppo piccolo, fra le ruote della gara l'hanno messo eccome. «Oltre la vendita, c'è soltanto la liquidazione», chiarisce Tommaso Padoa-Schioppa. «Liquidazione », una parola che pesa come un macigno, e che il ministro dell'Economia per la prima volta pronuncia pubblicamente, parlando solo ora, a gara chiusa, dopo aver osservato sull'argomento un'assoluta riservatezza. «Liquidazione», finora uno spauracchio che nessuno aveva preso seriamente in considerazione. Forse neppure chi, come l'ex ministro Roberto Maroni, aveva proclamato, non più tardi di un anno e mezzo fa: «Il governo non può e non deve dare più un centesimo all'Alitalia. Se non ha la forza per competere porti i libri in tribunale». Padoa-Schioppa sottolinea l'evidenza dei fatti: «È una società in perdita, nella quale lo Stato non può più mettere capitali », anche perché l'Unione Europea non lo consentirebbe. Ma il ministro afferma di non credere «che la notizia di ieri (il ritiro dell'AirOne dalla gara, ndr) significhi che l'opzione della vendita sia stata esplorata fino in fondo». Il Tesoro, insomma, non ha ancora gettato la spugna: «In queste ore stiamo esplorando le alternative, per capire quali altre modalità ci siano per procedere alla cessione del controllo della compagnia, dopo che quella scelta ha dato l'esito che ha dato». Cioè, è miseramente fallita. Come nessuno, a via XX settembre, si poteva aspettare. Eppure Padoa-Schioppa dice di non essersi mai pentito di aver preso la decisione di indire la gara: «Se pure fossi stato consapevole del rischio che potesse andare a finire così, l'avrei fatto lo stesso. L'Alitalia era come la nazionale di calcio, che ha 58 milioni di commissari tecnici. Ognuno aveva la sua formazione e il suo compratore preferito: chi voleva puntare sull'hub di Malpensa, chi rafforzare Fiumicino, chi venderla ai cinesi, chi agli arabi, chi ancora ad AirOne». Per questo sostiene che una gara era necessaria. «Dovevamo porre condizioni precise e trasparenti. E non escludere alcun potenziale acquirente. Il fatto è che il privato può scegliere a chi vendere, ma lo Stato, se vuole essere un buon venditore, deve seguire le procedure. In più c'erano molte condizioni da rispettare. Ecco, la gara è stata il modo per esplorare questa via». Nonostante alla fine, di compratori, ne sia rimasto soltanto uno. «E fortemente interessato», aggiunge il ministro dell'Economia. Precisando che la procedura di per sé non fissava particolari paletti né sull'occupazione, né sul prezzo e che «le uniche due condizioni poste dall'interlocutore come dirimenti, e cioè che l'eventuale giudizio negativo dell'Antitrust o il cattivo esito dei negoziati sindacali fossero causa di sospensione dell'operazione, le avevamo accettate». Ragion per cui, confessa il ministro dell'Economia, «la decisione di ieri è stata per noi una sorpresa. Ma dai contatti con gli advisor abbiamo anche dedotto che era una conclusione non maturata in modo visibile neppure dall'altra parte». Cosa è successo, allora? «Evidentemente il complesso delle caratteristiche nelle quali opera questa società ha fatto ritenere che il rischio non andava corso», ipotizza Padoa-Schioppa. Che, comunque, insiste: «Per noi sarebbe stato meglio se l'operazione fosse andata in porto. Ma in ogni caso l'opzione della vendita non ha esaurito tutte le sue possibilità. E ora abbiamo le mani completamente libere nei confronti di chiunque».

Anche, perché no, di Carlo Toto: che è sempre parso il candidato preferito di parte della maggioranza. «È vero, ho avuto anch'io questa impressione», dice il ministro. «Ma tenga presente», aggiunge, «che se una preferenza del genere ci fosse stata, il fatto che l'operazione con AirOne avrebbe prodotto un soggetto nazionale di dimensioni più robuste era argomento non di natura politica che poteva indurre un giudizio più favorevole rispetto alle altre opzioni». Come per esempio la cessione ad Aeroflot o ai fondi americani. Continua Padoa-Schioppa: «Posso capire che ognuno abbia le sue preferenze, anche se per quanto mi riguarda non ne ho mai avute. Per me una compagnia di bandiera resta tale anche se cessa di essere pubblica. In Lufthansa e Air France la partecipazione dello Stato non è certamente maggioritaria. La proprietà pubblica è soltanto strumentale, nel bene e nel male. Purtroppo per l'Alitalia, in questi vent'anni, nel male ». Per questo chi si illude che il fallimento della gara possa spianare la strada a un ritorno al passato, sbaglia di grosso. «Il punto non è se lo Stato debba o meno mantenere una quota, ma chi deve avere il controllo della compagnia. E su questo», avverte il ministro dell'Economia, «non ci possono essere ambiguità. D'altra parte, se l'Alitalia è giunta a questo punto, quando soltanto vent'anni fa poteva fare una fusione alla pari con British airways, è perché noi Paese, noi governo, abbiamo gestito molto male il ruolo di proprietario, il ruolo di politico, il ruolo di titolare delle infrastrutture. Di proprietario, perché abbiamo scelto ogni volta di uscire dalle difficoltà cambiando il management. Di politico, per aver fatto regolarmente da sponda al sindacato sulle spalle dell'azienda. Di titolare delle infrastrutture, per non aver gestito il sistema degli aeroporti in modo friendly rispetto alla compagnia di bandiera, come invece hanno fatto i nostri concorrenti esteri». Se un merito rivendica di avere, Padoa-Schioppa, è quello di aver «posto fine a questa cosa, confermando Giancarlo Cimoli». Una decisione, a quanto pare, niente affatto facile. «Se lei sapesse quante pressioni ho avuto per sostituire Cimoli, anche dall'interno del governo.... Ma se lo avessi fatto avremmo percorso un altro girone infernale e chissà quando ci saremmo fermati. E adesso non saremmo arrivati alla cessione della società».

Anche se la fermata è stata piuttosto brusca. «Abbiamo affrontato una situazione che ha mostrato di essere molto più critica di quello che immaginavamo. E la procedura di vendita ha semmai rivelato, e non certo creato, questa criticità. Rendere l'Alitalia attraente per un investitore sembra più difficile di quanto pensassimo», ammette il ministro dell'Economia. Senza tuttavia mostrarsi particolarmente abbattuto dall'esito della gara: «Un Paese di 58 milioni di abitanti con la nostra conformazione geografica e una tale quantità di aeroporti è il paradiso di una compagnia di bandiera». Ottimismo di circostanza? A chi gli chiedesse se fra dieci anni l'Italia avrà ancora la sua compagnia di bandiera, lui risponderebbe: «Certamente ». Ma il problema è vedere come ci si arriverà a quel giorno. E per ora la nebbia è tornata a essere impenetrabile.

19 luglio 2007


+ L’Espresso 18-7-2007 Chi terrà insieme le due sinistre? di Edmondo Berselli

 

Se il Partito democratico, come dice Veltroni, dovrà essere a 'vocazione maggioritaria' la leadership dovrà essere conquistata sul terreno di una competizione interna all'alleanza

 

Di qui al 14 ottobre, data di fondazione del Partito democratico, ci sarà la possibilità di analizzare le prospettive del 'partito nuovo', e di capirne le potenzialità. Ma c'è un problema che finora è stato solo sfiorato, e che è a suo modo un problema eterno, cioè strutturale, per il centrosinistra. Vale a dire la convivenza fra le due sinistre, quella liberal-riformista e quella 'alternativa'.

A essere meticolosi le sinistre sono ben più di due, dal momento che andrebbero considerate le componenti ambientaliste e neosocialiste. Ma se il Pd, secondo la formula più volte espressa da Walter Veltroni, dovrà essere un partito "a vocazione maggioritaria", la linea di confine del conflitto possibile, all'interno del centrosinistra, corre nei pressi dei Comunisti italiani e di Rifondazione comunista.

Quindi oltre a marcare una piattaforma esplicitamente riformista, come Veltroni ha fatto nel discorso al Lingotto di Torino, occorrerà anche provare a immaginare come dovrà svilupparsi il rapporto con l'altra sinistra. Finora infatti si è assistito a un incepparsi dell'azione di governo (esemplare, e preoccupante, nel caso delle pensioni), in cui le resistenze dell'ala oltranzista si sono intrecciate con la posizione della Cgil, che non può farsi scavalcare dai partiti, con la conseguenza di una impasse assai negativa per l'immagine dell'esecutivo.

La situazione è stata riassunta con lucidità lievemente sadica da Giulio Tremonti, il quale ha dichiarato: Prodi non è uno qualsiasi; ha governato il Paese; è stato, bene o male, alla presidenza della Commissione europea. Se si è piantato in un anno, vuol dire che nessun altro, nel centrosinistra, può illudersi di farcela. In altre parole: il problema del centrosinistra è irrisolvibile.

In realtà, Prodi ha tentato di risolvere la questione attraverso il suo voluminoso programma, le famose 281 pagine di super-mediazione. Ma il totem del programma rischia di diventare un vincolo, se non è sottoposto al vaglio della realtà e del contesto economico in evoluzione. Ad esempio: il taglio del cuneo fiscale alle imprese era stato pensato in una fase in cui c'era la sensazione di una perdita di competitività da tamponare a ogni costo. Per rispettare la promessa alle imprese, si sono impegnate risorse mentre l'apparato produttivo italiano stava riprendendo a fare profitti. Ne è venuta fuori una misura 'pro-ciclica', di quelle che il centrosinistra aveva spesso rimproverato al centrodestra (come nel caso della detassazione degli utili reinvestiti nel primo governo Berlusconi).

In sostanza, il programma è uno strumento che può diventare un vincolo ulteriore, come prova anche la discussione infinita sullo scalone. E allora, se non basta un accordo di programma, qual è la risorsa chiave che può garantire la gestione di un rapporto non paralizzante con la sinistra alternativa?

Non c'è una risposta unica. È possibile che a dispetto delle apparenze (e agli appelli di Fassino a Pier Luigi Bersani a non infrangere "l'unità riformista") a Veltroni possa far comodo una candidatura alle primarie che si dislochi alla sua 'destra': nel senso che la presenza di una piattaforma industrial-liberalizzatrice (come quella di Enrico Letta, per intenderci), potrebbe assicurargli una posizione di maggiore centralità nel Pd e nell'intera coalizione, e quindi un ruolo più dinamico nella trattativa con la sinistra meno riformisticamente malleabile.

Ma a prendere sul serio l'etichetta di "partito a vocazione maggioritaria", viene da dire che non si diventa partiti maggioritari senza sistema maggioritario. Per il centrosinistra, le future elezioni politiche avranno due fronti, non uno solo: il primo sarà quello del confronto, durissimo, con il centrodestra; il secondo sarà quello che designerà i rapporti di forza interni all'Unione.

Non è pensabile in questo momento che il Pd possa diventare maggioritario semplicemente in base alla propria condizione di partito dei riformisti più volonterosi. La leadership di coalizione dovrà essere conquistata sul terreno di una competizione interna all'alleanza. E allora è inutile illudersi che riforme elettorali all'acqua di rose possano rendere centrale il futuro partito di Veltroni. Se c'è una strada, per il Pd, è quella segnata dal referendum di Guzzetta e Segni. Che imporrebbe regole severissime e una torsione formidabile del sistema politico: ma poiché l'alternativa è la vittoria semiautomatica della destra, e simmetricamente una grande palude a sinistra, vale la pena di correre l'avventura. Anche perché un partito nuovo non nasce nella bambagia, bensì nell'asprezza del confronto. E allora, se il Pd vuole vincere, innanzitutto non deve avere paura di giocarsi la partita senza riserve mentali.

(18 luglio 2007)


+ Il Sole 24 Ore 18-7-2007 Rallenta il mercato immobiliare delle grandi città di Claudio Tucci

Rallenta, nel biennio 2005-2006, l'andamento del mercato immobiliare nelle grandi città. Il calo, trasversale su tutto il territorio nazionale, dipeso essenzialmente da una diminuzione negli acquisti e nell'offerta di locazioni nei grandi Comuni, ha riguardato tutte le tipologie di transazioni, con impennate più consistenti nella domanda piuttosto che nell'offerta. I prezzi troppo alti rimangono la causa principale del mancato acquisto di un bene. E così, a Torino, Milano e Napoli il calo è stato più sensibile per gli immobili acquistati, mentre Palermo e il capoluogo piemontese sono, invece, le città che evidenziano la flessione maggiore per il venduto. Roma registra il picco più elevato nel calo della domanda delle locazioni, a fronte di Palermo che, invece, è rimasta sostanzialmente stabile anche dal lato dell'offerta, versante nel quale Milano, Genova e Napoli indicano flessioni maggiori del doppio o del triplo rispetto questa, in sintesi, la fotografia scattataalla media delle sei grandi città. È dall'indagine 2007, presentata a Roma da Tecnoborsa, che analizza, a distanza di due anni, il mercato immobiliare nelle sei grandi città italiane con più di 500mila residenti: Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo e Genova.

Dal rapporto emerge che, anche se le transazioni medie annue sono passate da 104.142 a 106.620, i maggiori comuni italiani rappresentano il 12,7% del numero delle transazioni, contro il 13,3% registrato nel biennio precedente. Questo, secondo Tecnoborsa, dimostra, in particolare, come la crescita delle compravendite in Italia sia dipesa essenzialmente dalle citt
à di medie dimensioni e dalle località a vocazione turistica. Il mercato abitativo nelle grandi città è caratterizzato da prezzi più elevati rispetto alla media nazionale e da una cospicua componente di immobili di pregio. Cresce la richiesta di edilizia ordinaria (1,5%), ma inferiore alla media nazionale che si attesta al 6,9 per cento. Il fenomeno, spiegano a Tecnoborsa, è da mettere in stretta relazione con l'elevato livello dei prezzi raggiunti nelle grandi città e il raddoppio dei tassi di interesse che si è verificato in tutta Europa da dicembre 2005 a giugno 2007. Spariscono i piccoli prestiti a fronte di una continua salita della quota di chi accende un mutuo per acquistare un'abitazione, specialmente quelli compresi tra il 41% e il 60% del prezzo pagato per l'immobile.

Si acquista un immobile soprattutto per abitazione principale, e tra le caratteristiche che pesano maggiormente nella scelta, ai primi due posti si trovano la dimensione e il prezzo. Rispetto al 2005, si
è quasi invertita la tendenza tra la richiesta delle case in periferia, che è aumentata del 5,4%, rispetto a quella in centro, diminuita del 6,8 per cento. Una famiglia è spinta a vendere per acquistare un'abitazione principale (anche se la quota è scesa rispetto al biennio precedente), per liquidità e per fare altri investimenti finanziari. Al contrario, sale la quota di coloro che hanno venduto per acquistare una seconda casa per parenti prossimi e per le vacanze.
Sul versante, infine, del mercato delle locazioni, sia a livello nazionale sia nelle grandi citt
à, sono in calo i rendimenti locativi dovuti a una crescita dei canoni inferiore rispetto ai prezzi, anche se nelle grandi città non accenna a diminuire l'acquisto di immobili per investimento.


 

L’Unità 18-7-2007 Il direttore coraggioso  Furio Colombo

 

«Si affolla la gara per le primarie». Così inizia il suo articolo Stefano Menichini, direttore di Europa, organo dei “coraggiosi” che suggeriscono di smontare il palco dell’attuale centrosinistra per rimontarlo un po’ più vicino a Berlusconi.
Curiosa apertura di un articolo dedicato da un quotidiano politico non a una “gara” ma alle elezioni primarie per la carica di segretario del nascente Partito democratico. Ancora più curiosa l’immagine che il direttore evoca per i suoi lettori. Si “affolla” una “gara” che sabato 14 luglio era di uno (Walter Veltroni), il 15 luglio era di due (Walter Veltroni e io) e lunedì 16 era di tre (quando si è aggiunta felicemente Rosy Bindi).
Dopo un’apertura così poco giornalistica (a lui tre persone che vorrebbero confrontare idee e progetti per un nuovo grande partito sembrano una folla), segue un elaborato in cui Menichini perde il filo forse perché cautamente assente dagli anni di Berlusconi in cui Padellaro e io, solo per l’ostinazione di dirigere un giornale antiberlusconiano, venivamo definiti terroristi, omicidi (”testata omicida” era la definizione che ci spettava, mentre Menichini era probabilmente a Lugano) querelati quasi una volta al giorno (mai sui fatti), citati a giudizio in cause civili milionarie dalla batteria di avvocati di casa Berlusconi-Previti- Dell’Utri.
Se il direttore di Europa, invece che in un dorato esilio (così si deve immaginare a causa della sua memoria totalmente sgombra da persone e fatti realmente accaduti dal 2001 al 2006) si fosse trovato a vivere in Italia avrebbe notato che questo giornale - si è accorto delle violenze cilene accadute al G8 di Genova (un ragazzo ucciso e centinaia di feriti nel modo più brutale) come debutto democratico del duo Fini-Berlusconi, molto prima delle rivelazioni giudiziarie e delle drammatiche confessioni di parti in causa;
- si è schierato con il Palavobis prima di sapere che invece di 400 o 4.000 partecipanti ci sarebbero stati 40.000 protagonisti di libertà (quella sì era una folla);
- ha lavorato a sostenere tutti gli eventi liberi e tutti i girotondi fino all’autoconvocazione, senza cestini pranzo e autobus pagati, di un milione di cittadini in Piazza San Giovanni;
- si è occupato giorno per giorno di ogni legge vergogna e di ogni Tv vergogna (direttori di grandi quotidiani che sedevano due ore in silenzio attorno al facondo monologante Berlusconi, sostenuto dal sorriso di Bruno Vespa, senza interromperlo mai);
- si è meritato sia ripetute minacce di morte (il giornale ha dato notizia solo di quelle pubbliche, le altre le ha girate alla Digos) sia lo spionaggio personale e quotidiano per cinque anni, pedinamenti inclusi, di quella parte o gruppo dirigente del Sismi che è adesso al centro di una vasta inchiesta giudiziaria.
Menichini mi accusa di «presunzione di superiorità morale». Diciamo che, con Padellaro e tutti i miei colleghi de l’Unità, abbiamo lavorato per la fine della clamorosa e vergognosa illegalità che dominava sotto Berlusconi. E Menichini no. Nessuno si sarebbe sognato di rimproverargli la sua prudente assenza dalla scena. Dopotutto Berlusconi, senza il Palavobis, senza Piazza San Giovanni, senza centinaia di girotondi, senza la mobilitazione di tanti cittadini altrimenti estranei ai partiti e alla politica, e senza l’Unità (il solo giornale politico europeo con 70mila copie vendute) avrebbe potuto durare dieci anni e anche più, continuare il massacro delle nostre libertà, il controllo totale delle televisioni e la immagine ridicola e penosa dell’Italia, nata il giorno del non dimenticato scontro con l’eurodeputato Schultz, che Berlusconi ha chiamato kapò.
Ma adesso è Menichini che un po’ bizzarramente fa l’elenco di ciò che noi, secondo lui, non avremmo fatto. Ci vuole coraggio, ma dopotutto Menichini fa parte dei “coraggiosi”. Sentite. Avremmo dovuto (noi, l’Unità e il suo direttore) in piena epoca berlusconiana tener testa a Prodi, sfidarlo a quelle primarie; avremmo dovuto andarci piano con Berlusconi. Dopotutto è stato scelto da metà del Paese. Pensate alla fortuna dei cittadini americani che nessuno ha ammonito ad andarci piano con Bush, neppure quando aveva il 70 per cento di gradimento. E infatti adesso il suo gradimento è al 34 per cento. Si chiama democrazia.
Io, personalmente, dovrei essere molto prudente nelle primarie, mi ammonisce Menichini. Vedessi mai che le vinco. «Berlusconi - dice lui con una gentile affermazione di stima nei miei confronti - lo affosserebbe in tre giorni». Con il Sismi dei tempi di Berlusconi e tutta la televisione ferreamente sotto controllo, pena il licenziamento immediato, è possibile. Ma se la vita italiana fosse normale, Menichini pensa davvero che l’uomo rifatto di Arcore sia così irresistibile? Se lo immagina Berlusconi eletto a plebiscito in Francia o anche solo in Costarica? Senza Vespa, senza Confalonieri, senza i ragazzi a gettone di Dell’Utri e la folla napoletana che, sono certo, non si lascerà umiliare una seconda volta da quelle domande tipo spot dei telefonini a cui bisogna rispondere in coro “siiii” e “noooo” come non si vede neppure in “Fascisti su Marte”?
Menichini si domanda perplesso come Padellaro, Travaglio, Flores, e io (per dire i peggiori) ce la faremmo mai a battere Berlusconi.
Semplice, Menichini: prima di tutto smettere di venerarlo, smettere di pensare che sia astuto, good looking, affascinante, moderno e invincibile.
Chiamiamo a testimone Veronica Lario. Lei - che lo ha visto da vicino - ha voluto farci sapere che, a differenza di ciò che credono alcuni della Margherita (e anche alcuni Ds) l’uomo rifatto di Arcore viene dal più profondo e umiliante passato italiano.
Bello però il titolo di Menichini: «Con quelli non vinceremo mai». Ce lo avevano già detto, a cominciare dal 2001 e nei giorni della rinascita de l’Unità, molti suoi colleghi, quando lui era a Lugano. Noi testardamente siamo andati avanti. Pazienza, Menichini. Per il momento Berlusconi non governa. Nonostante lo spionaggio, le accuse, le calunnie, le querele milionarie, non ci ha spaventato, non ci ha affascinato e non ha vinto. Per il futuro, perché non augurare buona fortuna a chi non smette di provare, e di dare il suo contributo per un po’ più di dignità e di libertà in Italia, sempre che Europa sia, oltre all’ Unità, l’altro giornale del Partito democratico?
furiocolombo@unita.it


 

Finanza e Mercati 19-7-2007 Ue e Authority nazionali strigliano il Governo, alle prese con spesa pubblica e liberalizzazioni Ma i partiti frenano Padoa-Schioppa. In soffitta i provvedimenti su Opa, Popolari e scatole cinesi. Di Francesco Nati

 

Il Governo accelera sul tesoretto, ma manda in soffitta le riforme finanziarie. A cominciare da quelle sulle scatole cinesi e sulle banche popolari, che rischiano di restare insabbiate nelle paludi del Parlamento almeno fino al 2008. La tabella di marcia di Camera e Senato appare lunga e tortuosa. C'è l'esame del Dpef, il decreto sull'extra-gettito (Montecitorio voterà oggi la fiducia) e le liberalizzazioni. Poi la pausa estiva. E, dulcis in fundo, la nuova Finanziaria, che sarà il vero banco di prova del centrosinistra. Un cerchio difficilissimo da quadrare di fronte ai veti incrociati nella maggioranza. Sulle pensioni, ad esempio, si preannuncia una riunione infuocata al Consiglio dei ministri di domani. Scatole cinesi. Se alcune riforme rischiano di tardare, quella delle cosiddette scatole cinesi potrebbe non vedere mai la luce. Un timore che si legge nelle parole stesse del relatore Luigi Zanda. "Il disegno di legge - spiega a F&M il senatore dell'Ulivo - non risulta neanche all'ordine del giorno delle commissioni competenti". Senza contare i recenti interventi di Tommaso Padoa-Schioppa e del presidente Consob, Lamberto Cardia, secondo cui il fenomeno è ormai passato di moda. Banche popolari. Fallito il tentativo di un accordo bipartisan, dopo due mesi di iter parlamentare la riforma degli istituti cooperativi messa a punto da Giorgio Benvenuto è ancora al palo. La riunione in Senato prevista per questa settimana è slittata e lo stesso potrebbe accadere a per la convocazione di martedì prossimo. "Si va avanti compatibilmente con gli impegni in aula - spiega il presidente della commissione Finanze - e il Parlamento è alle prese con ben altre questioni". Sul ddl pesano soprattutto le forti resistenze provenienti dalla lobby delle popolari. E il muro dell'opposizione: "Niente sconti alla maggioranza", avverte il vicepresidente di FI al Senato, Gianpiero Cantoni. Opa. L'Italia deve ancora recepire la direttiva Ue sulle Opa, che a detta di molti sconta pericolosi vizi relativi alla cosiddetta passivity rule e alle difese preventive. Anche su questi punti, però, Padoa-Schioppa ha già avvertito: non ci saranno interventi.


 

Il Riformista 19-7-2007 LE POLITICHE DI BROWN  Gordon, non ci deludere

Gordon Brown ci piace: nelle sue prime settimane a Downing street, ha dato prova di fermezza e coerenza sul fronte interno, mentre in politica estera ha già dimostrato di avere una linea molto più indipendente e progressista del suo predecessore. Mentre Londra e Glasgow erano scosse dall’allarme terrorismo, per esempio, Brown ha mantenuto la promessa di concedere più poteri al Parlamento, e mentre Bush tuonava a favore della guerra in Iraq, il premier inglese gli ha mandato uno dei membri più fidati del suo cabinet a parlare di pace e di multilateralismo. Lo ripetiamo, insomma, Gordon Brown ci piace. Eppure, ieri a Downing street sono accadute due cose che ci sono piaciute un po’ meno. Primo: il ministro della Difesa ha criticato gli amici e alleati Nato, chiedendo un maggiore impegno militare in Afghanistan, e da Brown non è arrivata neppure una parola in proposito. Secondo: il premier ha annunciato, con uno zelo che poteva sembrare eccessivo, di prendere in considerazione l’idea di inasprire le penalità sul consumo di cannabis.
Cominciamo dall’Afghanistan. In un’intervista alla Bbc, il ministro della Difesa britannico Des Browne si è detto «profondamente preoccupato» perché alcuni paesi membri dell’Alleanza atlantica sarebbero restii a contribuire con mezzi e uomini. Dell’impegno europeo in Afghanistan abbiamo già discusso quando fu Bush a lamentarsene: non si può trattare i partner europei come alleati di seconda scelta, come l’amministrazione Bush ha fatto per più di sei anni, e poi aspettarsi chissà quale grande impegno. Certo Gordon Brown non avrebbe potuto metterla in questi termini, ma il suo silenzio davanti alle dichiarazioni del ministro della Difesa stupisce ugualmente. Poi c’è la questione della cannabis: Gordon Brown non si è mai spacciato per un fervente antiproibizionista, e non ci aspettavamo certo che proponesse la depenalizzazione della marijuana. Eppure quando Brown, ieri, ha fatto sapere di stare seriamente valutato di cambiare la legge sulla cannabis siamo rimasti un po’ stupiti. Non è una misura simbolica: si tratterebbe di promuovere la canapa indiana dal grado C al grado B nel catalogo delle droghe in mano al governo britannico, e questa promozione, come ha subito scritto il Guardian, implicherebbe pene molto più severe per chi di queste sostanze fa uso. Non sappiamo perché Brown abbia preso tanto a cuore la questione, ma di certo sbattere in galera qualche ragazzino che si fa le canne in più non ci sembra di pubblica utilità.


 

La Nazione 19-7-2007 SPESA REGIONALE I DATI AGGIORNATI A LIVELLO NAZIONALE Deficit, il peggiore è in Umbria

 

? PERUGIA ? SONO giornate decisamente nere per la sanità umbra. Come se non bastasse lo scandalo assenteismo a gettare discredito ci si è messa anche la Corte dei Conti che ha valutato la spesa del Servizio sanitario nazionale elaborando i dati del ministero della salute. La nostra regione risulta essere la peggiore nella spesa sanitaria tra quelle del centro nord. In Umbria, infatti, è stato registrato il record del deficit pro-capite: quota 50 euro, contro 23 e 21 euro di Emilia Romagna e Toscana. Nel 2006 il costo del Servizio sanitario nazionale nel centro nord è complessivamente aumentato ed ha registrato un saldo negativo pari a 243 milioni di euro, quando nell'anno precedente il deficit si era attestato a quota 57 milioni di euro. La spesa totale nazionale ha sforato la fatidica soglia dei 100 miliardi di euro. A questa quota l'Umbria ha contribuito con 1,49 miliardi di euro di cui 550 milioni utilizzati per coprire le esigenze del personale sanitario. Complessivamente la regione ha speso meno rispetto ad Emilia Romagna (7,48 miliardi), Toscana (6,25) e Marche (2,48). Il dato però va ripartito sul numero degli abitanti, ecco perchè ha conquistato la maglia nera. Il debito verrà in parte risanato grazie ai fondi stanziati con la finanziaria 2006 che prevede per l'Umbria un contributo di 53 milioni di euro, mentre per il 2007 le è stato riconosciuto un fabbisogno di spesa sanitaria pari ad 1,44 miliardi di euro. E. B.


 

L’Unità19-7-2007 Dolce stil novo Marco Travaglio

 

Tre notizie alla rinfusa. 1) Il senatore Gustavo Selva, quello che usa le ambulanze come taxi per arrivare prima in tv, ritira le dimissioni da senatore perché "i cittadini mi invitano a restare", insomma "lo faccio per rispetto vostro". 2) Fabrizio Corona pubblica le sue prigioni, manco fosse Silvio Pellico, e molti giornali dedicano paginoni alle sue decisive "rivelazioni" (tipo quante volte si masturbava in cella). 3) Maurizio Costanzo, essendo praticamente disoccupato visto che lavora solo per Rai, Mediaset, Sky, Messaggero, Libero, Riformista, Panorama, Telecom, ministero delle Comunicazioni, una dozzina di enti locali e P2, ha assunto la direzione del teatro romano Brancaccio (in aggiunta al Parioli e alla Sala Umberto) sfrattandone Gigi Proietti: ora prepara un cartellone a base di Maria de Filippi con tronisti e squinzie al seguito, senza dimenticare Platinette, perché a lui Pirandello gli fa un baffo. Se, come dice Massimo Fini, "volgare non è chi dice parolacce, ma chi non sta al proprio posto", allora le tre notizie hanno un comune denominatore: la irredimibile volgarità di un paese finito, dove nessuno sta più al suo posto. L'altro giorno il quotidiano che si fa chiamare "Libero" pubblicava un "racconto" di tal Francesco Borgonuovo, dal titolo "Arriva l'estate, fioriscono le stagiste", illustrato da una pregnante foto di Monica Lewinsky. L'incipit è pura poesia: "Senti il fiato caldo dell'estate e sai che arriveranno, sarà una migrazione in grande stile. Come uccelletti leggiadri le stagiste planeranno, faranno il nido per un po', giusto il tempo di svernare, e poi se ne torneranno via così com' eran venute". Il seguito è ancor più lirico: "Le uniche degne di titolo, quelle purissime e illibate, vengono direttamente dalle scuole, da dove s'attinge la linfa più dolce e saporita". Che stia parlando di amori minorenni? Niente paura: "A fine giugno ­ spiega il vate ebraico-cristiano in piena tempesta ormonale - le porte delle Università si spalancano e ne esce una folla di canottiere aderenti, unghie dipinte in ciabattine infradito, shorts, minigonne, perizomi e cosce robuste pronte a riversarsi in agenzie di pubblicità, negli uffici stampa dei festival musicali, nelle case di moda e nelle redazioni dei giornali". Dove Lui vedrà di farsi trovare pronto. Segue una citazione evangelica, per far contento Betulla, in endecasillabi sciolti e rime baciate: "Vi manderò come agnelli in mezzo ai lupi, disse il Signore, e loro si faranno mandare negli open space e dietro le finestre coi doppi vetri, dove le attendono le fauci spalancate di capi cinquantenni disillusi e famelici, di giovani leoni incravattati golosi d'avventure,di veterani che adagiano gli occhi sui glutei ben fatti e fra le camicette coi bottoni innocenti e lascivi. Le stagiste sono caramelline già sbucciate della carta che i professionisti si contenderanno col coltello fra i denti e la sigaretta da accendere 'dopo' già pronta sull'orecchio". Il nuovo Balzac prosegue in dolce stilnovo fra "mani pronte a scivolare sempre più giù fino alla fine dell'esperienza formativa", "pance retrattili che fibrillano in attesa di scattare all'indietro" e "tette che scendono inesorabilmente". Non manca un accenno all'"idea marxiana che il lavoro le renderà donne", così i comunisti sono sistemati; una pennellata di sociale su "quelle precarie lagnose che mugugnano perché si chiamano Roberta, hanno 40 anni e guadagnano 400 euro"; e un tocco di neorealismo, con sapide classificazioni di "culi di piombo" e "culi sodi". Poi, pagato il dazio all'impegno, si torna alla vita vissuta: "I colleghi si becchettano fra di loro: 'Questa te la trombi tu', 'no tu', e va a finire che non se la tromba nessuno... Le stagiste abitano spesso insieme con altre amiche, che magari ancora preparano gli esami e succede che parti per trombarti la stagista e ti trombi pure loro". Il finale è da pelle d'oca: "Amori da spiaggia consumati in ufficio, con i maschi a tramutarsi in dei (sic) Massimo Ciavarro qualsiasi in un Sapore di sale come un altro e le fragoline a prendersi gioco di loro". Ora, "Libero" è lo stesso giornale che s'è schierato con il Family Day, che fucila qualunque pallida critica al Vaticano, che ospita le lenzuolate del pompo-ciellino Renato Farina e che ha pubblicato qualunque scritto dell'ultima Fallaci, anche la lista della spesa, in difesa della "civiltà ebraico- cristiana" insidiata dai vucumprà. Infatti il pregevole scampolo di prosa compariva nella sezione "Cultura". Sarà poco poetico, ma una domanda in generale s'impone: quando arriva la Buoncostume? Uliwood party.


 

Gazzetta del Sud 19-7-2007 Scudo spaziale, Mosca vuole rivedere altri trattati Claudio Salvataggio

 

A mostrare le nuove carte del gioco del Cremlino è stato ieri il generale Buzhinski MOSCA Lo spettro dello scudo spaziale Usa nell'Europa orientale sta spingendo Mosca a rivedere tutta l'architettura della sicurezza internazionale. Dopo aver dichiarato la moratoria sul trattato per le armi convenzionali in Europa (Cfe), ora la Russia punta a sostituirlo con un nuovo accordo e a rivedere anche altri due trattati siglati con gli Usa: lo Start-1 (per la riduzione delle armi strategiche) e l'Inf (sulle forze nucleari a raggio intermedio). A mostrare le nuove carte del gioco del Cremlino, mentre prosegue il suo silenzio sulla vicenda Litvinenko, è stato ieri il generale Ievgheni Buzhinski, capo del dipartimento del ministero della difesa russa per gli accordi internazionali. È sua la bocciatura della proposta Nato di una conferenza straordinaria sui problemi del Cfe, dopo quella fallita a Vienna il 12/15 giugno. "Non vedo molto senso in tale conferenza, perché la posizione della Nato non è mutata", ha spiegato. Il presidente russo Vladimir Putin aveva annunciato sabato scorso la sospensione della partecipazione al Cfe per la mancata ratifica da parte dei paesi della Nato della versione definitiva del 1999. Ratifica che l'Alleanza Atlantica subordina al ritiro al ritiro delle truppe russe da Georgia e Moldavia. Ma per Buzhinski anche l'accordo del 1999, che tiene conto del crollo dell'Urss e del dissolvimento del Patto di Varsavia, "è obsoleto e non corrisponde alla realtà odierna". A suo avviso, è meglio sviluppare un nuovo documento che corrisponda alla nuova realtà e questo "potrebbe essere fatto in due modi: o tutte le parti adeguano il trattato Cfe dopo averlo ratificato o si dimostra la volontà politica e si cominciano consultazioni per definire un nuovo accordo". Nonostante la bocciatura della proposta Nato, il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov, in una conversazione telefonica con il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice, si è detto pronto a proseguire le discussioni con la parte americana sul Cfe". Ma Buzhinski ha fatto capire che la Russia vuole alzare il tiro, modificando anche i due trattati che la legano agli Usa. (giovedì 19 luglio 2007).


 

Il Piccolo di Trieste 19-7-2007 Bruxelles boccia la legge Gasparri Contestato lo scarso pluralismo anche nel digitale Televisione. Gigi Furini.

 

 ROMA L'Unione europea boccia la legge Gasparri, cioè la legge che era stata fatta dal precedente governo e che avrebbe dovuto riorganizzare il complesso mondo della tv. A mostrare il pollice verso è la commisssione sulla concorrenza secondo la quale la legge Gasparri mantiene una situazione di duopolio nel sistema radiotelevisivo italiano e rischia di estenderlo anche al digitale. Dunque, la legge che avrebbe dovuto aprire il mercato alla concorrenzza, di fatto, secondo Bruxelles, lasciava che a farla da padrone fosse il duopolio Rai-Mediaset. Non solo, ma con il rischio che questo duopolio si estendesse, in ugual misura, anche al digitale. Adesso la Commissione dà tempo due mesi all'Italia "per porre rimedio alle discriminazioni". Roma dovrà adeguare la propria legislazione alle norme comunitarie, altrimenti Bruxelles potrà decidere il deferimento alla Corte di giustizia europea. "La Commissione - si legge in un comunicato - ritiene che la legislazione italiana che regolamenta il passaggio della televisione analogica alla televisione digitale terrestre, imponga restrizioni ingiustificate alla fornitura di servizi e conceda vantaggi ingiustificati agli operatori analogici esistenti". Stando così le cose, per Bruxelles, il passaggio dall'analogico al digitale non cambierebbe le cose e "lascerebbe i consumatori italiani di fronte a una scelta limitata". La procedura d'ingrazione contro il nostro Paese era stata aperta dopo una denuncia di Altroconsumo e una prima lettera di "messa in mora" era stata mandata dall'Ue all'Italia il 19 luglio 2006. Bruxelles ricoda che, a distanza di un anno, l'Italia ha elaborato la cosidetta "legge Gentiloni" che mira a modificare la legge esistente, ma che questo "progetto" non è ancora stato adottato. In pratica la "Legge Gentiloni" vieterà il trading, cioè la compravendita di frequenze, per gli operatori che possiedono più di due reti analogiche nazionali e la redistribuzione di quelle liberate con il progressivo passaggio al digitale terrestre. Al momento è la Rai a possere il maggior numero di impianti analogici (5.871), seguita da Mediaset (4.523) e Telecom Italia Media (1.115). Mediaset la fa invece da padrona negli impianti digitali (975) mentre Telecom Italia Broadcasting ne ha 236 e la Rai solo 143. Immediate le repliche e le polemiche politiche in Italia. "Il richiamo dell'Unione europea - dice il ministro Gentiloni - è sacrosanto: la legge Gasparri è incompatibile con l'ordinamento europeo. Il disegno di legge del governo cancella la Gasparri e reintroduce i principi fondamentali di pluralismo e concorrenza. Ora mi aspetto una decisa accelerazione del suo iter, come ci chiede esplicitamente l'Europa". "La bocciatura della legge Gasparri sta a dimostrare che questa normativa è stata concepita per tutelare i più forti e accontentare il padrone - dice il verde Marco Lion -. Ora il Parlamento inizi a discutere della questione e ci liberi dalla Gasparri". "Resta opinabile la decisione Ue - replica lo stesso Gasparri - perchè l'Italia vanta un alto numero di operatori ed un'ampia possibilità di acecsso al mercato. Forse ha ragione Sarkosy quando critica certi meccanismi europei".


 

La Repubblica 19-7-2007La Commissione fa sapere che non autorizzerà nuovi piani di salvataggio dopo il 2004 Bruxelles avverte: niente aiuti Napolitano invita a obbedire Il Capo dello Stato: sulla concorrenza ci sono tensioni, non possiamo fare strappi ALBERTO D'ARGENIO

 

BRUXELLES - Torna l'incertezza sul futuro di Alitalia e, puntuale come un orologio svizzero, l'Europa torna a far sentire la propria voce chiedendo a Roma di rispettare le regole Ue sugli aiuti di Stato. Per Bruxelles, dunque, il governo non potrà assicurare un futuro alla compagnia di bandiera mettendo in campo l'ennesimo piano di salvataggio che preveda l'iniezione di soldi pubblici. Una posizione subito accolta dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, secondo cui bisogna rispettare le regole comunitarie visto che l'Italia non vuole strappi con l'Unione europea. A dettare la linea di Bruxelles è stato Michele Cercone, portavoce del commissario europeo ai Trasporti Jacques Barrot: "Un'operazione analoga è stata già autorizzata secondo il principio "one time, last time" - ovvero una volta, ultima volta ? il che impedisce alla Commissione Ue di autorizzare nuovi interventi" con denaro pubblico. Quanto al futuro della compagnia, ha aggiunto, noi rimaniamo "agnostici" purché la gestione della crisi sia in linea con le regole comunitarie. Insomma, per la Ue è indifferente se Alitalia verrà affidata ad una gestione pubblica o privata, quel che conta, invece, è che non ci sia una ricapitalizzazione con denaro dello Stato per evitarne il fallimento. Il tutto in linea con il principio cardine della politica Ue sugli aiuti di Stato secondo cui chi subentra in un'azienda in crisi deve comportarsi come "un investitore privato", ovvero pagandola il valore di mercato. Un modo per evitare che un governo paghi una cifra spropositata per aumentare la liquidità di chi è sull'orlo del precipizio. Pertanto, ha spiegato il portavoce, "se il processo di privatizzazione sarà fatto in linea con il normale comportamento di un investitore privato non ci sarà nessun problema di aiuti di Stato". La posizione Bruxelles, che la Commissione ha tutti i poteri per difendere, è stata subito accolta da Giorgio Napolitano. Da Lisbona il capo dello Stato ha affermato: "Quello degli aiuti di Stato è un problema delicato che non riguarda solo l'Italia ma tutti i paesi europei. Sulla concorrenza ? ha aggiunto - in questo momento ci sono polemiche, in particolare per le prese di posizione del nuovo presidente francese, e la nostra esperienza ci dice che non possiamo fare strappi". Il che significa, ha concluso, "collaborare con le istituzioni europee" attenendosi alle loro regole. Norme che nel caso di Alitalia vietano nuovi aiuti pubblici, visto che nel 1997, esattamente dieci anni fa, Bruxelles aveva già autorizzato un'erogazione di soldi dello Stato per salvare la compagnia di bandiera. Nel 2004-2005, poi, l'ormai storico dossier della compagnia di bandiera era stato oggetto di un durissimo negoziato tra il governo e la Commissione. Alla fine Bruxelles aveva dato il proprio via libera al piano di salvataggio perché Roma aveva tolto dal miliardo e duecento milioni di euro di ricapitalizzazione ogni traccia di aiuto di Stato. E non bisogna sottovalutare che, nonostante la lunghissima analisi del dossier, la decisione Ue era stata aspramente contestata da tutte le compagnie europee, British Airways in testa. Come dire, anche con tutta la buona volontà del mondo Bruxelles non può fare sconti.


 

Gazzetta del Sud 19-7-2007 Termovalorizzatori Italia condannata per colpa della Sicilia

 

BRUXELLES La Corte di giustizia europea ha condannato l'Italia per il mancato rispetto in Sicilia delle norme Ue sugli appalti. Il caso, esaminato dai giudici europei, si riferisce alla procedura per la stipula di convenzioni per l'utilizzo della frazione residua dei rifiuti urbani, al netto della raccolta differenziata, prodotta nei comuni della Regione Siciliana. Con queste convenzioni, sottolinea la Corte nella sua sentenza, non sono state applicate le procedure per gli appalti pubblici di servizi previste dalla norme comunitarie. "Accogliamo con favore e senza sorpresa l'odierna sentenza con cui la Corte di giustizia europea ha accolto il ricorso della Commissione Ue e ha condannato l'Italia per violazione della direttiva comunitaria sugli appalti in relazione alla costruzione di quattro megainceneritori in Sicilia", ha affermato il deputato Dl Franco Piro. "Come noi sosteniamo fin dal principio di questa vicenda ha aggiunte -, le convenzioni con le quali sono stati affidati i lavori ai quattro raggruppamenti di imprese per gli inceneritori di Bellolampo, Augusta, Paternò, Casteltermini, sono illegittime. Emergono nettamente le responsabilità che si è assunto il commissario straordinario per l'emergenza rifiuti e presidente della Regione Cuffaro". (giovedì 19 luglio 2007).


 

La Nazione 19-7-2007 ESPLODE IL CASO BRANCACCIO: PER GIGI, SOSTITUITO ALL'IMPROVVISO DA COSTANZO, SOLIDARIETA' BIPARTISAN Proietti infuriato: "Un golpino all'amatriciana" di ANDREA SPINELLI

 

? LATINA ? "LA SENSAZIONE che provo lavorando con questi due scansafatiche è che ci divertiamo più noi del pubblico" diceva Dean Martin parlando delle sue complicità artistiche con Frank Sinatra e Sammy Davis jr. Ed è proprio con lo spirito gaudente del Rat Pack che alcuni grandi nomi del pop si sono ritrovati attorno alle canzoni dell'interprete di "That's amore", trasformandole con l'ausilio dell'elettronica nei duetti virtuali di "Forever cool". Nei negozi il 24 agosto, "Forever cool" è l'album con cui il mondo della musica festeggia quei novant'anni che Dino Paul Crocetti, scomparso il giorno di Natale del '95, avrebbe compiuto il 7 giugno scorso; Robbie Williams fa sua "Please don't talk about me when I'm gone", Joss Stone se la vede con "I can't believe that you're in love with me", Martina McBride con "Baby, it's cold outside" e Charles Aznavour con "Everybody loves somebody", mentre il trombettista Chris Botti arricchisce col suo prezioso afflato strumentale "I've grown accustomed to her face". Ma c'è pure Tiziano Ferro, che condivide col divo di origini abruzzesi l'universo romantico di "Arrivederci Roma". E quel pezzo di Renato Rascel affiora pure tra le pieghe dello spettacolo che Ferro porta al debutto domani sera nella sua Latina, per poi proseguire alla volta di altre 14 città, fra cui Carpi il 22 luglio, Marina di Massa il 25, San Benedetto il 27, Mugello il 29, Cattolica il 18 agosto. SE MARTIN, rivangando i suoi controversi esordi da boxeur, si vantava di aver combattuto venti incontri "tutti vinti, tranne diciannove", Ferro per ora le sue sfide se le è messe in tasca una dopo l'altra. Ma questa gli ha cambiato la vita. "In "Arrivederci Roma" ho cantato in maniera diversa dalle altre, spingendomi verso orizzonti finora inesplorati" spiega. "E' una questione di timbro, di tensione, di atteggiamento, che penso avrà ripercussioni anche sul mio modo di cantare futuro". Cosa ammira maggiormente in Dean Martin? "Le smisurate capacità di entertainer. Nonostante la sua grandezza d'artista, nessuno ancora l'aveva mai omaggiato, così quando la Capitol ha messo in cantiere questo progetto la famiglia è stata felicissima di concedere il proprio placet". Perché lei ha scelto "Arrivederci Roma"? "Anche se nella versione di Mario Lanza o di Perry Como, quel pezzo è fra i quindici-venti della mia vita. Così quando mi è stato proposto di duettarlo in "Forever cool" ho accettato senza esitazioni". E' stato difficile per lei cantare su una base pre registrata? "No, mi sono bastate un paio di registrazioni. Un po' come accade quando incido le mie canzoni". Sulla tomba di Martin, al cimitero di Westwood, c'è incisa la frase "Tutti amano qualcuno", titolo della canzone riletta nel disco da Aznavour. D'accordo? "Assolutamente. Ho chiamato il mio ultimo disco "Nessuno è solo" non a caso, l'uomo trova il suo equilibrio nel confronto con gli altri specie se, e quando, ama". Quali brani di questo cd le sono piaciuti di più? "I due interpretati da Kevin Spacey, "Ain't that a kick in the head" e "King of the road". Come aveva già lasciato intendere nel film "Beyond the sea", Spacey è un cantante pazzesco, che ti lascia a bocca aperta". Quello al cantante e attore di Steubenville non è il solo omaggio del suo nuovo spettacolo. "Oltre ad "Arrivederci Roma", rileggo alla mia maniera "Centro di gravità permanente" di Franco Battiato, il mio cantante preferito assieme a Vasco Rossi. Uno dei pochisimi a non essersi mai svenduto e ad aver mantenuto intatta la sua integrità". - -->.


INDICE 18-7-2007

+ +   AgenParl 18-7-2007 SENATO: COSSIGA A MARINI, NON VOTERO' PIU' A PALAZZO MADAMA  1

+ +   La repubblica 18-7-2007 Alitalia. si ritira anche l'ultimo consorzio  Tpg, Matlin Patterson e Mediobanca abbandonano la gara per la privatizzazione. Air One e Aeroflot potrebbero rientrare se cambiassero i termini del bando. La Ue avverte: "Nessun aiuto di Stato".Il governo: "Valutiamo tutte le ipotesi". Il titolo crolla in Borsa, poi leggera ripresa.Fassino: "Nelle prossime ore iniziativa del governo per rilancio proposte”  2

(memo) + +   Il Sole 24 Ore 13-6-2007 Le liberalizzazioni “frenate”. 2

+ La Stampa 17-7-2007 La Corte dei Conti dà ragione a Grillo "Chi è corrotto non può essere eletto". «Chi è condannato in via definitiva deve essere destituito da ogni carica»  3

+ Il Sole 24 Ore 18-7-2007 Nuovo record storico per l'euro sul dollaro  3

+ Il Sole 24 Ore AirOne si ritira dall'asta Alitalia di Laura Serafini 4

+ Antitrust Comunicato stampa UNICREDIT-CAPITALIA: ANTITRUST AVVIA ISTRUTTORIA SU POSSIBILI RISCHI CONCORRENZIALI E RUOLO MEDIOBANCA/GENERALI  5

La Repubblica 18-7-2007 Assenteismo nelle aziende pubbliche: enti previdenziali e agenzie fiscali in testa. Travet, 45 giorni di assenze l'anno Il 50% in più rispetto ai privati di LUCA IEZZI 6

Il Sole 24 Ore 17-7-2007 Selva ritira le dimissioni da senatore  6

Europa 18-7-2007 Sapremo al senato se governo e opposizione stanno con le vittime o con gli assassini della strada FEDERICO ORLANDO RISPONDE  7

Il Riformista 18-7-2007 PENSIONI La dimissioni di Bonino e i diktat della sinistra pari sono  7

Il Sole 24 Ore 17-7-2007 Ice-Istat: il made in Italy ritrova l'Europa di Michele De Gaspari 8

 


 

+ +   AgenParl 18-7-2007 SENATO: COSSIGA A MARINI, NON VOTERO' PIU' A PALAZZO MADAMA

 

Roma, 18 Luglio 2007 – AgenParl – Francesco Cossiga non parteciperà più alle votazioni in Senato. Il senatore a vita lo ha comunicato con una lettera al presidente del Senato Franco Marini di cui ha reso noto il testo.
“Le recenti votazioni, nelle quali determinanti sono stati per la maggioranza elettiva e per il Governo i voti di senatori a vita e le polemiche che ne sono derivate in un clima politico e parlamentare sempre più pericolosamente confuso – scrive Cossiga a Marini – mi hanno fatto maturare la decisione di non partecipare più in questa legislatura alle votazioni, né in Commissione né in Aula né nelle sedute del Parlamento a Camere riunite, salvo che non si tratti di provvedimenti sulla cui approvazione concordino maggioranza di Governo e opposizione”.
“Mi riservo – precisa Cossiga – di partecipare al dibattito, di presentare emendamenti, e di firmare ordini del giorno e mozioni che abbiano già raggiunto il prescritto numero di firme e di fare dichiarazioni di voto, ancorché poi al voto non partecipi. Naturalmente, poiché continuo ad essere membro del Senato, voterò se richiesto per la nomina dei suoi organi, per le questioni regolamentari e per le deliberazioni che riguardino la sua vita interna”.
”Con questa mia personale decisione non intendo assolutamente giudicare gli egregi colleghi senatori a vita”, ribadisce l'ex Capo dello Stato pregando Marini di comunicare la sua decisione al consiglio di Presidenza per le eventuali decisioni che riterrà di voler adottare “in materia di mio complessivo trattamento economico”. E aggiunge: “La mia decisione è dovuta ad una mia considerazione sull'evoluzione e lo stato delle istituzioni e del nostro regime rappresentativo, e al pericoloso stato confusionale nel quale esse versano”.


 

+ +   La repubblica 18-7-2007 Alitalia. si ritira anche l'ultimo consorzio  Tpg, Matlin Patterson e Mediobanca abbandonano la gara per la privatizzazione. Air One e Aeroflot potrebbero rientrare se cambiassero i termini del bando. La Ue avverte: "Nessun aiuto di Stato".Il governo: "Valutiamo tutte le ipotesi". Il titolo crolla in Borsa, poi leggera ripresa.Fassino: "Nelle prossime ore iniziativa del governo per rilancio proposte”

 


ROMA - Tpg, Matlin Patterson e Mediobanca abbandonano l'ipotesi di acquisto dell'Alitalia. La gara per la privatizzazione della compagnia aerea è sostanzialmente fallita. Anche l'ultimo consorzio ha lasciato e il
titolo della compagnia di bandiera ha subito una forte flessione in Borsa. Fonti di Palazzo Chigi diffondono però commenti ispirati ad un cauto ottimismo: "Nulla è ancora chiuso. Valutiamo tutte le ipotesi", dicono a margine della visita del presidente del Consiglio in Slovacchia. "D'altronde c'è tempo fino al 23 per la scadenza della presentazione di offerte vincolanti". E, mentre l'Ue avverte: "Niente aiuti di Stato", Fassino ritiene necessaria "un'iniziativa del governo per il rilancio di proposte per un assetto stabile e definitivo".

Ue: "Non aiuti di Stato". La Commissione Europea dice no a nuovi aiuti di stato per un eventuale salvataggio dell'Alitalia. "Un'operazione analoga è stata già autorizzata nel 2004 sul principio 'una volta, ultima volta' e ciò impedisce che vengano autorizzati nuovi interventi", ha detto il portavoce del commissario ai Trasporti Jacques Barrot rispondendo ad una domanda sulla possibilità che il Tesoro ricapitalizzi la compagnia per far fronte alle sue esigenze finanziarie ed evitare un eventuale fallimento.


La palla torna al Tesoro. A questo punto la palla torna al Tesoro, che già nel comunicato di stamani si era riservato "come previsto dalla lettera di procedura, ogni decisione circa il proseguimento della procedura di privatizzazione". "C'è un ventaglio di possibilità", ha spiegato a questo proposito il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, aggiungendo però che la liquidazione è "l'ultima tra le ipotesi sul tavolo". Dalla partita, intanto, torna a chiamarsi fuori Air France, che ribadisce di non essere interessata "alle condizioni attuali", mentre Air One e Aeroflot si dicono pronte a ritornare sui loro passi se il bando cambiasse. Preoccupati i sindacati che chiedono un immediato confronto con il governo.

Le preoccupazioni di Fassino e l'iniziativa di governo. Il leader della Quercia Piero Fassino ha espresso apprensione per "il rischio gravissimo" che vada disperso "un patrimonio economico, di professionalità e competenza di cui l'Italia non può privarsi". Allo stesso tempo Fassino si è detto sicuro che nelle prossime ore ci sarà "un'iniziativa del governo per rilanciare proposte che consentano di approdare ad un assetto stabile e definitivo".

Il titolo crolla in Borsa, poi riprende. Come previsto, i mercati hanno accolto negativamente gli ultimi sviluppi della gara. Ieri, prima dell'ufficializzazione della rinuncia di Air One, il titolo Alitalia aveva chiuso in Borsa con un +0,31%. Oggi, in apertura, il valore delle azioni della compagnia era in calo di oltre l'8%. Poi, nelle ore successive, ha avuto una leggera ripresa e la flessione si è ridotta al 3,16%.

(18 luglio 2007)


 

(memo) + +   Il Sole 24 Ore 13-6-2007 Le liberalizzazioni “frenate”.

 

Taxi

Gli enti locali possono (non più "devono") rilasciare  Licenze per trasporto innovativo a taxi e noleggio con conducente. Escluso il trasporto pubblico locale

 

Pra

Saltata l’abolizione del Pubblico registro automobilistico.Gli articoli 51-54 saranno stralciati e spediti in un nuovo Ddl alla commissione Trasporti

 

Componenti auto

Perso anche l’articolo 5 sui ricambi delle auto che eliminava il nulla osta della casa costruttrice del veicolo: il governo è andato sotto in Aula su un emendamento di Fi

 

Acqua

Stop alle gare future e in corso per l’affidamento dei servizi idrici locali sino ad una riforma complessiva del settore. La norma inserita durante il voto in Aula

 

Banche

Versione più soft per la nullità della clausola di massimo scoperto per i  conti correnti. Possibile «un corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme»

 

Notai

Non passa l’emendamento che sottraeva ai notai l’esclusiva sulla compravendita di immobili al di sotto di 100mila euro di valore catastale

 

Gas

Caduta la misura che superava le omologazioni tecniche dei contatori, affidando i controlli a nuove norme stabilite da ministero dello Sviluppo e Authority energia

 


 

+ La Stampa 17-7-2007 La Corte dei Conti dà ragione a Grillo "Chi è corrotto non può essere eletto". «Chi è condannato in via definitiva deve essere destituito da ogni carica»

 

ROMA
Via, per sempre, i politici corrotti: chi riveste una carica pubblica e viene condannato in via definitiva per «cattiva amministrazione», non deve avere la possibilità di candidarsi di nuovo. A sorpresa, la Corte dei Conti si dichiara d’accordo con la proposta, che definisce «un pò forte, clamorosa», come quella di Beppe Grillo che recentemente ha depositato alla Cassazione una richiesta di legge popolare per un «Parlamento pulito».

Il procuratore generale della magistratura contabile Claudio De Rose, in occasione di una riflessione sui risultati raggiunti dalla Procura generale in vista del suo prossimo collocamento a riposo, si spinge ancora più in là: «Chi è condannato in via definitiva deve essere destituito dalla carica che riveste». L’ineleggibilità e la revoca del mandato dovrebbe riguardare in particolare chi si macchia di corruzione in tema di appalti o di frodi comunitarie, fenomeno questo che «non accenna a diminuire». Sulla stessa linea, il viceprocuratore generale aggiunto Mario Ristuccia: «C’è una domanda nel paese di corretto uso delle risorse pubbliche. Se c’è un amministratore che le usa in modo distorto, una sanzione accessoria di questo tipo sarebbe la garanzia di cui la Nazione avrebbe bisogno».

Per De Rose, quella di garantire la non rieleggibilità per i politici corrotti può essere «un buon sistema». Ad esempio, ha spiegato, «in altri paesi europei, come la Gran Bretagna, si suggerisce questo tipo di sanzioni accessorio». L’alto magistrato non ritiene che stia per tornare in auge Tangentopoli ma sottolinea comunque il potere di associazioni a delinquere dietro le procedure di appalti e anche dietro l’assegnazione dei fondi comunitari. «Preoccupa poi il fatto che le società pubbliche non producano mai utili...», aggiunge De Rose. Da parte della Procura generale, «non è che abbiamo le armi spuntate - sottolinea l’alto magistrato - i numeri e i mezzi sono numericamente inadeguati». E questo comporta anche che molti reati vadano prescritti, proprio per la lentezza dei controlli. Infine, tornando sempre al tema dei parlamentari, De Rose fa presente «un’altra delle cose che mi danno fastidio»: «Non è un’irregolarità - conclude - ma è una legge sbagliata mandare i parlamentari in pensione dopo due anni e mezzo».

 

 

 


 

+ Il Sole 24 Ore 18-7-2007 Nuovo record storico per l'euro sul dollaro


L'euro sale al nuovo record storico a 1,3834 dollari e apre sui mercati del Vecchio Continente in rialzo a 1,3818 contro 1,3771 delle quotazioni indicative della Bce. Anche la sterlina avanza al nuovo massimo da 26 anni a 2,0548 dollari.
L'euro è invece stabile nei confronti dello yen, a 168,18, contro 168,07 della quotazione Bce di ieri.
Il biglietto verde scivola ancora per i timori per la crisi dei subprime e per un previsto nuovo aumento dei tassi di interesse. La crisi dei mutui subprime si riaccende dopo che il colosso Bear Stearns fa sapere che due suoi hedge fund, colpiti dalla crisi dei mutui ad alto rischio, valgono ora «molto poco».


+ Il Sole 24 Ore AirOne si ritira dall'asta Alitalia di Laura Serafini

Anche l'ultimo candidato rimasto in lizza per comprare Alitalia – quello che fino ad ora è stato dato come favorito - si ritira dalla competizione. La Ap Holding di Carlo Toto, che controlla la compagnia AirOne, ha comunicato ieri sera il ritiro ufficiale dalla gara e la decisione di non presentare alcuna offerta vincolante in vista della scadenza del 23 luglio.
La notizia non giunge come un fulmine a ciel sereno e in verità era nell'aria già da alcuni giorni. Lunedì Ap Holding aveva fatto trapelare la notizia che le osservazioni del ministero dell'Economia sulle modifiche al contratto di vendita proposte dal gruppo guidato da Toto tardavano ad arrivare. Ieri l'annuncio che la bozza di contratto era arrivata, ma che le condizioni poste dall'azionista pubblico di Alitalia sono così rigide da aver comportato il ritiro dalla gara.
Fonti autorevoli del ministero dell'Economia e dei consulenti che lo stanno assistendo nella gara (Merrill Lynch, lo studio Chiomenti e Bain Company) accreditano però un'altra versione: Ap Holding non sarebbe riuscita a chiudere con le banche (in particolare con Intesa SanPaolo, suo partner principale) il progetto di finanziamento dell'operazione e per questo motivo avrebbe colto l'occasione della consegna delle osservazioni al contratto di vendita per fare marcia indietro.
Inevitabile che ieri sulle diverse interpretazioni della vicenda si scatenasse la bufera. Fonti bancarie hanno assicurato che invece le questioni finanziarie non c'entrano e che addirittura Intesa SanPaolo era pronta a portare all'esame del consiglio di sorveglianza il piano finanziario per sostenere Ap Holding nel progetto di acquisto di Alitalia.
Il motivo per cui Toto avrebbe deciso di gettare la spugna, secondo questa versione, sarebbe da ricercare nella decisione del Tesoro di non allentare alcune condizioni previste nel contratto di vendita e considerate dal potenziale compratore troppo rigide e tali da rendere economicamente non conveniente l'operazione. Il passaggio cruciale riguarda Az Servizi, la società che gestisce in outsourcing i servizi informatici e di handling, controllata da Fintecna con un 49% più un 2% ricevuto in usufrutto da Alitalia e per il restante al 49% da Alitalia. Il bando di gara nei fatti lasciava intendere ai compratori che sarebbe stata gradita un'offerta per il 49% di Fintecna: ma alla cordata composta da Ap Holding questa opzione non interessava.
Piuttosto era stata chiesta la possibilità di rinegoziare i contratti, che sarebbero a condizioni non di mercato. O in alternativa di tornare in possesso del 2% di Az Service per andare in maggioranza e poi rinnovare i contratti. Ma il Tesoro ha detto no, così come non ha voluto saperne di cancellare la previsione di fideiussioni a garanzia di forti penali che sarebbero scattate se una parte del piano non fosse stata realizzabile anche per cause non dipendenti dall'acquirente. E ancora: nessun impegno è stato assunto dal ministero dell'Economia per derogare alla normativa antitrust (come consentito dalla normativa) affinché non fosse imposto ad Ap Holding di dover cedere gli slot più redditizi. Infine era stato chiesto al ministero di togliere la clausola che prevedeva di chiudere la trattativa con i sindacati sugli esuberi entro un paio di mesi dall'acquisizione.
La posizione del dicastero di fronte a queste richieste, in verità, era abbastanza chiara sin dall'inizio della procedura di gara: poche regole chiare, trasparenti e niente cambiamenti in corsa per evitare di dare l'appiglio ai concorrenti già uscita dalla competizione di fare un ricorso al Tar rischiando di sospendere tutta l'operazione.
In questa escalation di eventi, comunque, ieri il ministero dell'Economia dava l'impressione di aver già messo in conto l'epilogo della vicenda: un comunicato è atteso in cui via XX Settembre dichiarerà che l'unico concorrente rimasto in corsa ora è il fondo di private equity Matlin Patterson e che bisognerà attendere che questo si pronunci sulla propria decisione se presentare o meno un'offerta vincolante prima di poter dichiarare la gara chiusa per mancanza di concorrenti e poi decidere cosa fare . In verità questo fondo Mattlin sembra sempre più una foglia di fico più che un candidato vero che serve forse a prendere tempo per trovare una soluzione.
Cosa accadrà ora è difficile dirlo. «Viene meno l'ipotesi di privatizzazione dell'Alitalia, ora si profila un avvenire certamente fosco. Per Alitalia si rischia di portare i libri in tribunale», ha dichiarato ieri il leader di An, Gianfranco Fini, profilando uno dei percorsi che appare come il più probabile per la compagnia nazionale. Oggi ci sarà il banco di prova di piazza Affari: per il titolo in Borsa si prepara una giornata molto difficile.
In un lungo comunicato diffuso ieri per spiegare le sue ragioni, Ap Holding (che ieri aveva fatto trapelare l'interesse per la compagnia serba Jat) ha rivelato che il suo piano industriale prevedeva un aumento delle rotte nazionali e internazionali del 14% in 5 anni, una crescita di 1,5 milioni dei passeggeri intercontinentali e di sette destinazioni transoceaniche, oltre all'intenzione di mantenere gli hub di Fiumicino e Malpensa.
Per ora resta un sogno, soprattutto per i passeggeri di Alitalia. Che ieri ha diffuso i dati sul traffico passeggeri a giugno 2007, in aumento dell'1,5% rispetto a giugno 2006, a fronte di un rialzo della capacità offerta dello 0,9%.


 

+ Antitrust Comunicato stampa UNICREDIT-CAPITALIA: ANTITRUST AVVIA ISTRUTTORIA SU POSSIBILI RISCHI CONCORRENZIALI E RUOLO MEDIOBANCA/GENERALI

 

COMUNICATO STAMPA
L’Autorità Garante della Concorrenza e del mercato, nella riunione del 17 luglio 2007, ha deliberato l’avvio di una istruttoria relativamente alla operazione di concentrazione UniCredito Italiano SpA e Capitalia SpA.


La fusione tra il gruppo Unicredit e il gruppo Capitalia determinerà la costituzione di uno dei principali gruppi bancari italiani e dell’area euro, con una capitalizzazione di mercato di quasi 100 miliardi di euro e una rete distributiva in Italia costituita da oltre 5.000 sportelli e da più di 3.000 promotori finanziari.
La fusione comporterà, alla luce delle peculiarità della struttura dei gruppi interessati all’operazione, vari effetti che l’Autorità ha ritenuto meritevoli di approfondimento. Si tratta, in successione, di un considerevole ampliamento della rete distributiva, di un incremento del potere di mercato nell’attività a monte della produzione/gestione di vari mercati e di un arricchimento della gamma e tipologia di servizi offerti.
Più in particolare, la decisione di avvio istruttoria da parte dell’Autorità deriva dalla necessità di accertare i rischi di creazione di una posizione dominante, tale da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza, su diversi mercati relativi al settore bancario tradizionale, al settore del risparmio gestito, al settore dell’investment banking, al settore assicurativo, nonché ad altri mercati collegati non strettamente bancari.
L’Autorità ha ravvisato, infatti, rischi di eccessivo potere di mercato nel settore della raccolta e degli impieghi bancari in diverse province italiane, molte delle quali localizzate in Sicilia e nel Lazio. Ulteriori settori oggetto di analisi nella fase istruttoria saranno quello dei prodotti assicurativi vita e dell’investment banking, dove entrambe le parti sono attive e nel quale il contesto competitivo potrebbe risultare allentato per i legami che caratterizzano la nuova entità.
L’Autorità analizzerà parimenti i legami azionari e personali post fusione con altri primari operatori nei mercati rilevanti, i quali, allo stato, appaiono difficilmente qualificabili come concorrenti effettivi, attuali e potenziali.
Si tratta del gruppo Generali e del gruppo Mediobanca che - alla luce delle nuove partecipazioni detenute dalle parti, tanto nella compagine azionaria che nei patti parasociali, nonché nella governance e in considerazione dei legami incrociati - opereranno in un contesto che rischia di essere caratterizzato da una forte riduzione delle pressioni competitive con la nuova banca nei rami dell’assicurazione vita e nel settore dell’investment banking.
Il procedimento si chiuderà entro il 7 ottobre 2007.

Roma, 17 luglio 2007

 


 

La Repubblica 18-7-2007 Assenteismo nelle aziende pubbliche: enti previdenziali e agenzie fiscali in testa. Travet, 45 giorni di assenze l'anno Il 50% in più rispetto ai privati di LUCA IEZZI

 

Nel conto annuale della Ragioneria la classifica del non-lavoro, tra ferie, malattia, permessi e scioperi
Le donne mancano otto giorni in più rispetto alla media. I più virtuosi magistrati e diplomatici

 

ROMA - Sette settimane lontano dalla scrivania. Le statistiche confermano il luogo comune del dipendente pubblico meno presente al lavoro rispetto ai colleghi del settore privato: i dati annuali della Ragioneria dello Stato, aggiornati al 2005, dicono che per gli uomini l'assenza media è di 47 giorni e per le donne di 52. Cifra complessiva che comprende ferie, malattie e permessi vari. Visto che la quota delle vacanze può essere considerata identica sia nel settore pubblico che nel privato, la differenza è consistente: quasi il 50% in più. Nella Pubblica Amministrazione il 20% del periodo lavorativo lo si passa da assenti più o meno o giustificati contro il 16% registrato nell'industria e il 12,3% dei servizi.

La tendenza è al peggioramento: nel 2000 i giorni di lavoro complessivamente persi per malattia e permessi erano 65.209.385, cinque anni dopo sono saliti a 66.368.095 con l'aggravante che nel quel monte assenze è diviso tra un totale di impiegati più basso di 29 mila unità. Se si guarda alla malattia, in cinque anni ogni dipendente pubblico in media ha chiesto un giorno in più di riposo, facendo pagare allo Stato 3 milioni di giorni lavorati in meno. Confermata inoltre che sono le dipendenti donne a chiedere mediamente più tempo per rimanere lontano dall'ufficio.

Ministeri e Pa. Nel dettaglio il confronto può non essere omogeneo per l'enorme differenza di dimensione tra i vari enti, comunque tra i più "cagionevoli" spiccano gli oltre 2400 addetti alla presidenza del consiglio con quasi 16 giorni di malattia a testa. Nei ministeri si passa dai 22,5 giorni di media per i dipendenti della difesa fino ai soli 4,6 del ministero degli Interni e i 6,8 degli Esteri.

Nelle altre istituzioni si segnalano gli alti tassi di assenza delle Agenzie fiscali e degli Enti pubblici non economici (Aci, Inail, Inps, Inpdap), una tendenza storica per queste istituzioni che peggiora anziché migliorare.

Infine la palma di stakanovisti invece va a diplomatici e magistrati, i primi stanno lontano dal lavoro solo 25 giorni all'anno, i secondi addirittura 13, ferie comprese. La toga inoltre sembra garantire una salute di ferro visto che i certificati di malattia coprono appena 3,4 giorni per addetto.

Enti locali. Tra comuni, province e regioni emergono differenze Nord-Sud solo sulle motivazioni dell'assenza dall'ufficio. Nella provincia di Treviso per esempio l'addetto medio è lontano dalla scrivania per 35 giorni l'anno escluse le ferie, nel comune di Bolzano per 38,9 giorni. In entrambi i casi pesano i permessi retribuiti (i giorni di malattia a Treviso sono appena 8), negli stessi uffici di Reggio Calabria i motivi di salute rendono inabile gli addetti per 26 giorni di media. L'uso smodato dei permessi malattia non è solo meridionale: ai primi posti spicca Alessandria (22 giorni), mentre tra i più virtuosi ci sono le province di Catanzaro e gli impiegati comunali di Avellino.

Oltre le rilevazioni statistiche, per scoprire i reali abusi servono dati puntuali, fino al caso singolo. La Ragioneria ha promesso già dal 2006 dati più dettagliati, e le stesse amministrazioni hanno aumentato i controlli. E quando non basta, come a Perugia, interviene la magistratura.

(18 luglio 2007)


 

Il Sole 24 Ore 17-7-2007 Selva ritira le dimissioni da senatore

 

Il senatore di An Gustavo Selva ha deciso di ritirare le dimissioni che aveva presentato dopo essere stato criticato dal ministro della Sanità Livia Turco e da altri esponenti politici per avere utilizzato un'ambulanza per partecipare ad una trasmissione televisiva. Il senatore aveva giustificato l'accaduto con la paura di non poter essere in tempo negli studi televisivi di La7 a causa del traffico causato da manifestazioni anti americane durante la visita di Bush a Roma.


 

Europa 18-7-2007 Sapremo al senato se governo e opposizione stanno con le vittime o con gli assassini della strada FEDERICO ORLANDO RISPONDE

Cara Europa, vi segnalo lo sdegnato articolo di Elena Loewenthal, “Tra urla e condoni”, sulla Stampa dell’altroieri, lunedì: un grido contro una classe politica che consente a giovani e non giovani (ma soprattutto ai primi) di uccidersi con droga e alcool e di uccidere; e un elogio per qualche magistrato che decide di muoversi da solo, modificando il reato di omicidio colposo in quello di omicidio volontario.
Sto coi più deboli, e quindi condivido ciò che scrive la Loewenthal.
E voi? SALVATORE CHIARIZIA, PESCARA

 

Parlo per me, caro Chiarizia, e le dico che ci sto anch’io, benché da quindici anni almeno l’Italia sia soggetta a una nuova “cultura della resa”: la resa ai prepotenti, dove costoro hanno sempre ragione in quanto, al peggio, imputati “da garantire”, mentre le vittime hanno sempre torto, in quanto, al meglio, affamate di “giustizialismo”. Parola che nel dizionario della mafia politico-giornalistica sostituisce la parole “giustizia”, e si affianca a “liberale” per liberista, “radicale” per comunista, “cattolico” per clericale, “nazionale” per fascista, “imprenditore” per evasore, eccetera.
Mentre il ministro Amato preannuncia di voler aggiungere al ddl del Senato il “sequestro della macchina” per chi guida ubriaco, e il ministro dei trasporti Bianchi di voler addirittura proporre l’arresto obbligatorio – segno che se n’erano dimenticati quando scrissero quel ddl: mentre 5500 ragazzi, giovani e adulti lasciavano la vita sulle strade dal l gennaio 2007 – la Loewenthal scrive: «Occorre prendere con urgenza misure pratiche, come quella, talmente ovvia da sembrare sorprendente, di tenere davvero in carcere chi ammazza in stato di ebbrezza […] Poco importa se per omicidio “colposo” o “volontario”, l’importante è che sia qualcosa da scontare attraverso una pena e dentro le mura di una cella, senza condoni di sorta…».
Proprio così, ma ci vorrebbero governanti con le palle.
Che non sia il caso di rivolgersi a una donna? Ma poi penso all’instancabile Livia Turco, che propone di opporsi alla strage scrivendo sulle bottiglie “Vietato guidare in stato di ebbrezza”, come dire vietato portare i cani a fare popò sulla aiuole. D’altra parte, anche i maschietti non scherzano, se penso che il procuratore capo di Torino Maddalena, di gran lunga uno dei migliori magistrati d’Italia, teme che contestare all’assassino l’“omicidio volontario” potrebbe rivelarsi non efficace; tant’è che la decisione del pm bolognese Giovannini, che di omicidio volontario ha parlato per primo, viene riguardata dai sacerdoti del diritto come una audace innovazione. E allora parlate di omicidio doloso, e che chi sta in regola con la coscienza non teme la severità delle leggi; e sfidate i commercianti, introducendo divieti di vendita degli alcolici ai giovani: come gli svedesi cominciarono a fare trent’anni fa. Noi nel frattempo abbiamo marciato all’incontrario: le studentesse a 12 anni fanno le cubiste di pomeriggio (vedi l’agghiacciante libro di Marida Lombardo Pijola), e si vendono a tariffa; mentre ci proponiamo di estendere ai quattordicenni il diritto di voto, magari con spinello raddoppiato.
Insomma, largo ai giovani, verso il cimitero.


 

Il Riformista 18-7-2007 PENSIONI La dimissioni di Bonino e i diktat della sinistra pari sono

La decisione di Emma Bonino di rimettere il suo mandato di ministro in vista di un possibile accordo sullo scalone è motivata dalla richiesta che il premier chiarisca «se è compatibile il nostro sostegno al governo o se lo siano, invece, le posizioni conservatrici e reazionarie della sinistra comunista e di alcuni leader sindacali». La mossa di Bonino è motivo per essere ancor più pessimisti sul destino del governo e al tempo stesso per solidarizzare con il Prof. Sul primo punto, è chiaro che il gesto di Bonino - che a quanto si capisce può ancora rientrare - non va sottovalutato. E non solo perché lo Sdi ha subito annunciato di essere pronto, nel caso, a passare all’appoggio esterno, ma perché è evidente che dietro la mossa del ministro radicale c’è un humus politico forte anche dentro il Pd e il suo gesto non è un’isolata alzata di capo, ma il sintomo che le fibrillazioni provocate dal manifesto dei “coraggiosi” non sono un mero dibattito accademico. Al contrario, la trattativa sullo scalone dimostra che Prodi sarà sempre sul filo. Se copre a sinistra, si scopre dall’altra parte. E viceversa.
D’altronde, però, c’è di che simpatizzare per il Professore, a dispetto dei suoi alleati di destra e di sinistra. Perché lo scenario politico italiano ci ha abituato a tutto. Ma le dimissioni preventive di un ministro, che rimette il mandato prima ancora di aver potuto valutare la proposta definitiva del governo, per giunta delegando al premier l’ultima parola sulla propria uscita di scena, sono una singolare novità. Non sappiamo se a scatenare la reazione di Bonino siano bastate le dichiarazioni di Franco Giordano, fiducioso su un accordo, e non ci sentiamo di escludere che la mediazione del Prof, di cui si sa molto ma non tutto, risulti meritevole di cotanto gesto di protesta. Ma non si può rimproverare alla sinistra di procedere per diktat senza rendersi conto che le dimissioni preventive appartengono in pieno a quel medesimo repertorio che si vorrebbe biasimare
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Il Sole 24 Ore 17-7-2007 Ice-Istat: il made in Italy ritrova l'Europa di Michele De Gaspari

 

Nei primi quattro mesi del 2007 i dati complessivi del commercio estero italiano mettono in evidenza una crescita delle esportazioni di merci pari al 13,3% nei valori correnti rispetto al corrispondente quadrimestre di un anno prima. Nell'ambito dei 27 paesi dell'Unione europea, che incidono per oltre il 60% sul totale dell'interscambio, l'aumento delle nostre vendite è del 14,6% nello stesso periodo, mentre con i paesi extra Ue la dinamica dell'export in valore ha toccato il +10,1% nei primi cinque mesi, risultando nettamente superiore a quella delle importazioni (+5,1%, su cui hanno pesato l'apprezzamento dell'euro e il temporaneo calo del prezzo del petrolio nella parte iniziale dell'anno). I conti economici nazionali del primo trimestre 2007 registrano, per contro, una frenata delle esportazioni di beni e servizi a prezzi costanti, sia nei confronti del periodo precedente (+0,4%) che dello stesso trimestre del 2006 (+4,1% tendenziale).

Le esportazioni di beni e servizi hanno concluso il 2006 in forte accelerazione nella gran parte dei settori, con un effetto di trascinamento molto consistente sul 2007. Dopo questo sprint, i dati di contabilità nazionale del commercio estero segnalano una minore vivacità dell'export nel primo trimestre dell'anno. Ma superata la pausa, le vendite all'estero dovrebbero confermare la migliore capacità di tenuta del made in Italy sui mercati internazionali, già messa in evidenza nel corso del 2006. Le esportazioni nel loro complesso sono previste in aumento di un 4-5% in termini reali nel 2007, grazie anche al maggiore dinamismo del ciclo congiunturale europeo, che compensa il rallentamento della domanda americana.

Nella media del 2006 le esportazioni italiane di beni e servizi, secondo i conti economici nazionali, sono aumentate del 5,3% nei valori reali
, il migliore risultato dopo il picco ciclico (+9%) del 2000. I dati del commercio estero mostrano una crescita per le sole merci pari al 3,6% in volume, a fronte di un calo dello 0,9% nel 2005. Le nostre vendite all'estero hanno beneficiato, in particolare, della ripresa in atto nell'area dell'euro, che assorbe il 45% dell'export italiano. Il principale contributo è venuto dalla Germania, storico primo mercato di sbocco del made in Italy; un forte aumento delle esportazioni si è, poi, registrato nei dodici nuovi paesi membri della Ue e, tra i mercati extraeuropei, in Russia e Cina. Sono in calo, invece, gli Stati Uniti a causa soprattutto della sensibile rivalutazione dell'euro (oltre l'11%) nei confronti del dollaro.

I settori esportatori più dinamici sono stati quelli dei beni strumentali, a cominciare dalle macchine e apparecchi meccanici, seguiti dai prodotti in metallo e dai mezzi di trasporto. Nei tradizionali settori del made in Italy (tessile-abbigliamento-moda e arredo-casa) l'andamento dell'export è risultato, per contro, complessivamente debole, pur in presenza di una forte crescita dei valori medi unitari. In questi comparti, dove ancora si concentra una quota rilevante dell'industria manifatturiera nazionale, si registra da tempo un intenso processo di delocalizzazione internazionale dell'attività produttiva. A fronte della sostenuta espansione del commercio globale (+15% in valore e +8% in volume), accompagnata dall'apprezzamento del tasso di cambio effettivo, la quota delle esportazioni italiane sui mercati mondiali si è ulteriormente ridotta, sia a prezzi correnti (dal 3,6% al 3,4%) che a prezzi costanti (dal 2,7% al 2,5% circa).

Le importazioni di beni e servizi, sempre nella media del 2006 e secondo i dati di contabilità nazionale, sono aumentate del 4,3% in termini reali, sull'onda della ripresa della domanda interna e delle stesse esportazioni, con un risultante contributo positivo del commercio estero alla crescita del Pil. L'aumento è in buona parte dovuto agli acquisti all'estero di beni intermedi, destinati alla trasformazione industriale, in linea con le fasi di ripresa ciclica e la nostra crescente apertura al commercio internazionale, legata anche alla delocalizzazione delle produzioni di semilavorati. Accelera, poi, il flusso di merci provenienti dalla Cina, a cominciare dal tessile-abbigliamento e calzature, dove si registra un forte spiazzamento delle produzioni nazionali. Le importazioni di prodotti manufatti cinesi superano ormai il 5% del totale dei nostri acquisti dall'estero, pari al triplo delle vendite in Cina; una quota che raggiunge il 20% nei comparti tipici del made in Italy. Nel 2007 le importazioni sono previste in aumento di circa il 4%, con una dinamica un po' inferiore a quella delle esportazioni, che conferma il positivo apporto della domanda estera netta alla crescita del Pil.

Ice e Istat in collaborazione


La collaborazione tra Ice e Istat nell'ambito del Sistema statistico nazionale ha dato luogo, per il nono anno a partire dal 1999, alla presentazione congiunta delle due principali pubblicazioni statistiche sul commercio estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane: L'Italia nell'economia internazionale-Rapporto Ice 2006-2007 e l'Annuario statistico del commercio estero e attività internazionali delle imprese Istat-Ice 2006.

La base informativa così resa disponibile è, quindi, molto ampia e articolata, in grado di meglio soddisfare le esigenze conoscitive degli operatori pubblici e privati. Una più approfondita utilizzazione dei dati sugli scambi con l'estero delle merci e dei servizi e di quelli relativi agli investimenti diretti esteri consente, infatti, un'analisi puntuale del sistema produttivo e commerciale dell'azienda Italia nel contesto dell'integrazione europea e della globalizzazione dei mercati. Il Rapporto e l'Annuario rappresentano, in particolare, il principale strumento di informazione e analisi sul posizionamento competitivo dell'Italia nell'economia internazionale.


INDICE 17-7-2007

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+ + Il Tempo 17-7-2007 Doveva essere il giorno dei tagli dei costi della politica. Niente da fare, tutto rimandato. Fab. Per. 1

+ + La Repubblica 17-7-2007 Borsellino, per la strage di via D'Amelio la procura indaga sui servizi segreti 2

L'ufficio requirente di Caltanissetta riapre l'inchiesta sulla strage del 19 luglio 1992 Secondo gli inquirenti apparati deviati del settore informativo avrebbero avuto un ruolo nell'attentato  3

+ La Repubblica 17-7-2007 Perugia, assenteisti in ospedale Arrestati dieci medici e infermieri 3

+  Il Corriere della Sera 17-7-2007 Tutte le assenze del professor M. Trasferito, si ammala di nuovo Il docente che nessuno può licenziare. E arriva la terza (inutile?) ispezione                                                                                                                             Marco Imarisio  3

+  La Stampa 17-7-2007 Bush: la mia pace in Medio Oriente “Presto una conferenza con gli israeliani, il governo di AbuMazen e i paesi arabi” 5

L’Unità 17-7-2007 Mitridate, re d'Italia Marco Travaglio  5

La Repubblica 16-7-2007 LINEA DI CONFINE MARIO PIRANI 6

Alto Adige 17-7-2007 Attualità Slitta il piano anti-sprechi Pensioni dei parlamentari: Marini vuole tagliare quelle dei senatori in carica, scintille con Bertinotti Nel pacchetto di misure la classe economica per i viaggi in Europa  7

La Stampa 17-7-2007 I costi della politica continuano a far discutere il palazzo. Dopo le accuse delle Comunità montane al governo, adesso a tener banco sono le frizioni tra Camera e Senato. Ieri veniva accreditata una diversa sensibilità sul tema tra i due rami del Parlamento. 8

Italia Oggi 17-7-2007 All'appello dei risparmi mancano ben 24 milioni di euro di Stefano Sansonetti 8

Il Corriere della Sera 16-7-2007 Rosy Bindi si candida alla segreteria del Pd Con lei in corsa Veltroni e Colombo L'annuncio affidato a un comunicato: «Anche io, come tanti, sento la responsabilità di un impegno in prima persona»  9

Europa 17-7-2007 Leader con i quali non vinceremo mai STEFANO MENICHINI 10

Europa 17-7-2007 Dalla scuola di San Giuliano alle stragi del sabato, la libertà di delinquere uccide i più indifesi. FEDERICO ORLANDO RISPONDE  11

Il Riformista 17-7-2007 Il governo non regge più, il Pd non sa che fare di Emanuele Macaluso  12

Milano Finanza 17-7-2007 MFT Consulenza senza bavaglio Dalla mifid nessuna limitazione per ci fornisce indicazioni sui titoli. Le uniche restrizioni saranno applicate ai consulenti che prestano consigli ad hoc e ai siti registrati come testate giornalistiche. 13

La Stampa 17-7-2007 La patata transgenica divide l'Europa Undici paesi contro il tubero ogm "destinato all'industria": la decisione passa ora alla Commissione VANNI CORNERO  14

 


 

+ + Il Tempo 17-7-2007 Doveva essere il giorno dei tagli dei costi della politica. Niente da fare, tutto rimandato. Fab. Per.

 

 

 La decisione delle Camere slitta. Il Senato non era pronto: tutto rinviato a causa dell'intenso lavoro della scorsa settimana sull'ordinamento giudiziario. Voci di corridoio sostenevano che qualcuno a Palazzo Madama si fosse impuntato sull'assegno vitalizio, che secondo il documento non deve essere superiore del 60% dello stipendio. Voci, appunto. Che ieri hanno fatto infuriare il presidente della Camera Fausto Bertinotti, il quale in mattinata si era sfogato col collega Marini per telefono. Quelle indiscrezioni facevano apparire la Camera come il ramo "lassista" del Parlamento. Poi ha precisato: "Se l'incontro è stato rimandato è per gli impegni rilevanti che il Senato ha dovuto far fronte - spiega Bertinotti - E non esiste discrepanza tra le due proposte. Il rinvio è per arrivare a una deliberazione congiunta, già maturata. Delibereremo prima dell'inizio della pausa estiva". Nel pomeriggio, poi, ci ha pensato il questore Gabriele Albonetti a chiarire tutti i punti. Innanzitutto: gli effetti dei tagli sui vitalizi non li vedremo in questa legislatura, ma alla fine della prossima. Poi difende i parlamentari. Una difesa strenua e orgogliosa dei costi "strutturali" della politica come baluardo di democrazia. E ha fatto riferimento a "una campagna che tende a produrre una forte delegittimazione dell'attività politica". Anche se, ha aggiunto, che a essa vanno comunque affiancate "risposte concrete nella lotta agli sprechi". albonetti spiega che un parlamentare alla fine dei conti resta con 5-6.000 euro al mese. Albonetti ha però voluto ricordare sia quello che si è già fatto che quello che ci si propone di fare. Così ecco specificato che la Camera, nella propria autonomia, ha concretamente applicato alle spese correnti dal 2005 il limite di incremento del 2% stabilito dalla legge finanziaria dello stesso anno; come pure ha recepito e attuato le norme stabilite dalle leggi finanziarie a partire da quella per il 2005 in materia di contenimento delle spese per consulenze. Ed ecco sottolineato subito dopo che negli ultimi anni, il tasso di crescita delle spese effettive della Camera si è progressivamente ridotto: era superiore al 7% nel 2000 ed è del 2,94% nel 2007. E ancora che la percentuale di crescita effettiva delle retribuzioni del personale di Montecitorio nel periodo 2001-2006 è in linea con la dinamica dello stesso periodo nei settori principali della pubblica amministrazione. Inoltre, i costo del Palazzo secondo il questore sono con le altre democrazie Ue. Si può comunque fare ancora molto per risparmiare e in questo senso Albonetti è stato prodigo di esempi su come si intende procedere. Ha citato l'imminente esternalizzazione del ristorante dei deputati, che produrrà una riduzione dei costi di circa 3,7 milioni di euro su base annua. Ha confermato interventi sull'informatica che determineranno contenimenti di spesa nell'ordine di 2,5 milioni di euro sempre su base annua. E ha poi accennato alla "razionalizzazione dei costi per locazioni di immobili" anche attraverso la "sostituzione progressiva degli immobili in locazione con edifici nella diretta disponibilità della Camera". In questo modo, sempre secondo Albonetti, sarà possibile operare risparmi a regime di 2,6 milioni di euro all'anno. Già decisa poi una riduzione delle tirature degli atti parlamentari con significativi vantaggi gestionali in termini di minori spazi occupati e di abbattimento del rischio di incendio. E inoltre: fine della stampa cartacea della rassegna stampa e convocazioni degli organi della Camera tramite posta elettronica e sms. Sulla fatidica questione dei vitalizi invece tutto rimane temporaneamente sospeso in attesa di una concertazione assoluta col Senato. "Con le leggi vigenti stiamo facendo il massimo. È chiaro che se riuscissimo a diminuire il numero dei parlamentari e a eliminare il bicameralismo, possiamo rendere più efficiente la democrazia e abbiamo dimezzato i costi della politica". martedì 17 luglio 2007


 

+ + La Repubblica 17-7-2007 Borsellino, per la strage di via D'Amelio la procura indaga sui servizi segreti

L'ufficio requirente di Caltanissetta riapre l'inchiesta sulla strage del 19 luglio 1992
Secondo gli inquirenti apparati deviati del settore informativo avrebbero avuto un ruolo nell'attentato

ROMA - La procura della Repubblica di Caltanissetta indaga sul probabile coinvolgimento di apparati deviati dei servizi segreti nella strage di via d'Amelio in cui morì il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. La notizia è stata confermata all'agenzia di stampa ANSA da ambienti qualificati.

Il procuratore aggiunto, Renato Di Natale, coordina l'inchiesta sui mandanti occulti della strage avvenuta il 19 luglio 1992. Secondo l'ipotesi degli inquirenti ci potrebbe essere la mano di qualcuno degli apparati deviati dei servizi segreti che ha forse avuto un ruolo nell'attentato.

Questa pista di indagine, che in un primo momento era stata accantonata ed archiviata, è stata ripresa nei mesi scorsi dagli investigatori in seguito a nuovi input d'indagine.

I magistrati stanno valutando una serie di documenti acquisiti dalla procura di Palermo e che riguardano il telecomando che potrebbe essere stato utilizzato dagli attentatori. A questo apparecchio è collegato un imprenditore palermitano. I processi che si sono svolti in passato hanno solo condannato gli esecutori materiali della strage, ma nulla si è mai saputo su chi ha premuto il pulsante che ha fatto saltare in aria Borsellino e gli agenti di scorta.

Un altro elemento sul quale è puntata l'attenzione degli inquirenti, è "la presenza anomala" di un agente di polizia in via d'Amelio subito dopo l'esplosione. Si tratta di un poliziotto - già identificato dai magistrati - che prima della strage era in servizio a Palermo, ma venne trasferito a Firenze alcuni mesi prima di luglio dopo che i colleghi avevano scoperto da una intercettazione che aveva riferito "all'esterno" i nomi dei poliziotti di una squadra investigativa che indagava a San Lorenzo su un traffico di droga.
(17 luglio 2007)


 

+ La Repubblica 17-7-2007 Perugia, assenteisti in ospedale Arrestati dieci medici e infermieri

PERUGIA - Dieci arresti per assenteismo all'ospedale Santa Maria della Misericordia a Perugia. Sono finiti in carcere o agli arresti domiciliari medici, docenti, infermieri e personale tecnico amministrativo. Secondo quanto si legge in una nota della Procura gli arrestati si allontanavano dal lavoro facendo timbrare il cartellino o il badge marcatempo da amici compiacenti. Tra gli arrestati, dipendenti dell'Azienda ospedaliera, un ex dipendente della stessa struttura e tre impiegati dell'Università degli studi di Perugia, tutti operanti presso l'ospedale perugino. Sono accusati di falso in atto pubblico e truffa aggravata. Gli arresti sono stati eseguiti stamani dai carabinieri del Nas.

(17-07-2007)


 

+  Il Corriere della Sera 17-7-2007 Tutte le assenze del professor M. Trasferito, si ammala di nuovo Il docente che nessuno può licenziare. E arriva la terza (inutile?) ispezione          Marco Imarisio

Da una scuola all'altra di Milano, manda certificati medici da una località a 1.110 chilometri. Ha un secondo mestiere: insegnare per me è un passatempo

MILANO — I peccati, e non il peccatore. Storia breve e protetta dall'anonimato del professor M. Occorre prima riportare la laconica dichiarazione dell'interessato, molto compreso nel suo ruolo: «Un pubblico ufficiale come me ha il dovere di non intrattenere rapporti con la stampa».
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Il professor M. e le sue pratiche non sono rappresentativi dei docenti italiani. Fosse così, avremmo già chiuso baracca e burattini. La sua storia è importante di riflesso, offre la misura di come l'Amministrazione sia inerte ed inerme davanti a un caso di menefreghismo così smaccato da avere aspetti comici. Anche se gli studenti che si sono imbattuti in questo docente avrebbero da ridire sull'aggettivo «comico».

Sul Corriere della Sera di lunedì, l'editoriale di Pietro Ichino dava conto del cursus honorum del professor M. Passato indenne attraverso due indagini interne che prendevano atto del suo assenteismo e della scarsa voglia di insegnare, è stato trasferito ad altro istituto, dove attualmente esercita, o dovrebbe. I suoi vecchi alunni, che lui ha lasciato nel febbraio 2007, pochi giorni fa hanno sostenuto la maturità, con esiti paragonabili a Caporetto. Pare di capire che ci saranno altri studenti caduti sul fronte del professor M.

All'inizio di giugno, la sua nuova scuola ha chiesto con urgenza l'invio di un ispettore. L'arrivo del docente non è stato indolore. Il trasferimento era stato deciso al termine dell'anno scolastico 2005/2006. Ma un professore di ruolo non può essere scambiato con un suo simile. Per fargli spazio, viene rimosso un supplente con contratto annuale. Uno bravo, scrupoloso. I suoi studenti inscenano una manifestazione di protesta sotto le finestre dell'Ufficio scolastico provinciale. Non si cambia ad anno iniziato, è il loro ragionamento.

Con grande abnegazione, il professor M. esordisce il 19 febbraio con una settimana consecutiva di lavoro, durante la quale fa domanda al preside per ottenere l'autorizzazione a svolgere una seconda attività. Visti i precedenti, permesso negato. Il professor M. comincia a non farsi più vedere. Il primo certificato di malattia è del 26 febbraio. Ne fioccano altri, tutti con la curiosa caratteristica di essere stilati in una località distante 1.110 chilometri da Milano, suo luogo di residenza. I periodi di malattia cominciano sempre di lunedì, come se vi fosse la volontà di non rientrare a scuola dopo il weekend.

Quando c'è, è peggio. Ai suoi studenti di quarta dice chiaramente che per lui la scuola è un passatempo, nella vita ha un altro lavoro. All' ennesimo certificato di malattia, fine aprile 2007, il preside nomina un supplente, nonostante la situazione economica non florida della scuola, per accontentare gli studenti e i loro genitori inferociti.

Il quale, va detto, ha una sua coerenza. Avendo capito dalle precedenti esperienze che nulla gli può capitare, applica alla nuova scuola i comportamenti tenuti in quella vecchia. La prima indagine alla quale venne sottoposto, maggio 2005, era stata chiamata a gran voce proprio da quegli studenti che pochi giorni fa sono stati infilzati alla maturità. L'ispettore scoprì che il professor M. era già stato segnalato nel 1996 dal preside di allora dopo i risultati disastrosi ottenuti dai suoi alunni all'esame finale.
Tre anni dopo era stata proposta una ispezione sul suo conto, mai avvenuta. Entrando nel merito, l'ispettore rileva «il numero elevatissimo di assenze e la loro collocazione strategica soprattutto in determinati periodi dell'anno scolastico e le gravi difficoltà e carenze di apprendimento lamentate dagli studenti». Nel 2002-2003 le assenze sono state pari al 72 per cento del suo orario di servizio; nel 2003-2004 si scende al 61%. Il sospetto di tutti è che il suo secondo lavoro si svolga tra Milano e la sua terra di origine, alquanto lontana. L'ispettore parla con gli alunni. «Quando non ha voglia di fare lezione si mette a parlare di cucina o dei suoi viaggi». «Quasi sempre dice che è stanco, e quindi si mette a leggere il giornale pretendendo silenzio».

Gli studenti si dichiarano scoraggiati. Per l'atteggiamento dell'insegnante, che al ritorno dai suoi periodi di malattia gli rifila una media di 70-90 pagine al giorno da studiare con relativi esercizi, senza averle prima spiegate in classe. Assegna 30 problemi (la sua è una materia scientifica) alla volta e il giorno dopo, prima di aprire il giornale, fornisce solo i risultati senza motivarne logica e passaggi. Poi, ogni tanto, li interroga in massa e li bastona. Nel colloquio con l'ispettore non ritiene di dover fare di più, sostenendo che la colpa è dello scarso materiale umano che compone le classi in questione. Va notato che i suoi alunni avevano ottimi voti in ogni materia tranne una, la sua. Al termine dell'indagine, l'ispettore proponeva di assegnare il prof M. «ad incarico diverso da quello dell'insegnamento, che lo veda impegnato (sempre che di impegno egli sia capace) in attività che non comportino l'assunzione delle responsabilità connesse con l'esercizio della funzione docente, da lui del tutto negletta».

I pareri degli ispettori però non sono vincolanti. Se l'interessato fa ricorso, e lo fa quasi sempre, si riparte da capo. Nel 2005 la pratica finì a Roma, alla Sezione disciplinare del Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione, organo anche di tutela sindacale e quindi per sua natura portato a sopire. Per il professor M. si decise di non decidere. Venne mandato un altro ispettore, che salomonicamente suggerì il trasferimento per incompatibilità ambientale. I nuovi studenti del professor M. ringraziano, commossi e preoccupati.

17 luglio 2007


 

+  La Stampa 17-7-2007 Bush: la mia pace in Medio Oriente “Presto una conferenza con gli israeliani, il governo di AbuMazen e i paesi arabi”

 

 

CORRISPONDENTE DA NEW YORK Una conferenza internazionale per accelerare la pace e isolare Hamas. È questo il nuovo passo della Casa Bianca, annunciato dal presidente George W. Bush nella cornice di un appello ai palestinesi affinché «scelgano fra la speranza e la morte, fra la pace e il terrore». Bush punta a rafforzare il presidente Abu Mazen e il premier Salam Fayyad contro i fondamentalisti di Hamas.
Bush è il primo presidente americano ad aver sostenuto la nascita di uno Stato di Palestina indipendente e, a cinque anni da quel momento, fa capire che solo Abu Mazen può riuscirvi. «Chi sceglie Hamas sceglie gli attentati, gli omicidi, il terrore sostenuto da Siria e Iran, mentre chi sceglie Abu Mazen punta a realizzare una democrazia moderna basata sullo Stato di Diritto» dice Bush, ribadendo l’impegno preso nel 2002: «Lo Stato di Palestina non nascerà mai con il terrorismo».
L’intenzione della Casa Bianca è di far capire ai palestinesi che, optando per Abu Mazen, si avrà «il sostegno dell’America». E per dimostrarlo con i fatti, Bush snocciola una serie di decisioni: la fine delle sanzioni economiche all’Autorità nazionale palestinese (Anp); 190 milioni di dollari di aiuti economici, 80 dei quali destinati alle forze di sicurezza; 228 milioni di dollari in prestiti; l’impegno diplomatico per far continuare gli incontri bilaterali Ehud Olmert-Abu Mazen; la convocazione in autunno di una conferenza internazionale a sostegno della visione di «due Stati in pace e sicurezza uno a fianco dell’altro». A presiedere la conferenza sarà il segretario di Stato, Condoleezza Rice, mettendo attorno al tavolo israeliani, palestinesi e i Paesi arabi che vorranno unirsi a Giordania ed Egitto nell’impegno per una composizione del conflitto. Washington ritiene possibile la presenza di Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi, mentre più dubbi vi sono su Libano, Iraq e Siria.
Bush vede nella conferenza un punto di incontro fra la «Road Map» del Quartetto (Usa, Ue, Onu e Russia) e l’iniziativa di pace saudita del 2002. Da qui le richieste ad ogni parte in causa: i palestinesi devono «porre fine agli attentati e liberare i soldati israeliani rapiti», gli israeliani «cessare di allargare gli insediamenti e smantellare gli avamposti illegali» e gli Stati arabi «porre fine alla finzione della non esistenza di Israele e inviare dei rappresentanti» nello Stato ebraico.
A meno di 18 mesi dalla fine della presidenza, Bush sembra convinto della possibilità di arrivare alla nascita dello Stato di Palestina grazie ad un sostegno per Abu Mazen tanto marcato quanto è l’isolamento delle milizie islamiche. «Hamas deve riconoscere Israele, rinunciare al terrorismo, fare propri gli accordi di pace e riconoscere l’autorità di Abu Mazen» dice il presidente, enumerando le condizioni che il Quartetto ribadirà nel summit di Lisbona. Israele ha plaudito alla proposta di Bush, mentre Hamas la ritiene «un tentativo di dividere il popolo palestinese».
Poche ore prima del passo della Casa Bianca era stato il premier israeliano, Ehud Olmert, a muoversi in sintonia con Washington incontrando Abu Mazen in un bilaterale a Gerusalemme segnato da un duplice passo: la promessa del rilascio di 250 detenuti palestinesi, in gran parte di Al Fatah, e l’amnistia per altri 180, sempre di Al Fatah. Si tratta di combattenti che andranno a rafforzare le forze dell’Anp, per scongiurare colpi di mano di Hamas in Cisgiordania. Abu Mazen ha chiesto l’inclusione della lista degli scarcerati anche di Marwan Barghouti, il leader dei Tanzim considerato un possibile successore alla presidenza.


 

L’Unità 17-7-2007 Mitridate, re d'Italia Marco Travaglio

 

 

 Ogni giorno che passa ci viene scippato un pezzettino di libertà e non ci facciamo nemmeno più caso. E' una mitridatizzazione per sottrazione: Mitridate VI, re del Ponto, sorbiva un sorso di veleno al giorno per immunizzarsi contro eventuali avvelenatori. A noi viene tolto, un po' alla volta, il diritto all'informazione. Sabato la notizia, enorme, della condanna definitiva di Previti e del giudice Metta sulla sentenza comprata che regalò la Mondadori a Berlusconi stazionava a pagina 20 del Corriere, a pagina 16 del Messaggero, addirittura fra le brevi a pagina 13 della Stampa. Per vedere il processo Mondadori in prima pagina, la Cassazione avrebbe dovuto assolvere tutti. Allora sì l'avrebbero saputo tutti. L'altro giorno Piero Ricca, il barbuto rompipalle che va a contestare, carte alla mano, i politici di destra e di sinistra, s'è visto notificare dalla Guardia di finanza il sequestro preventivo del suo blog www.pieroricca.org su disposizione del pm romano Giuseppe Saieva e del gip Cecilia Demma. Che faceva, Ricca, sul blog ora bloccato? Organizzava truffe telematiche? No, altrimenti l'avrebbero già invitato in tv o l'avrebbero già candidato al Parlamento. Lui invece pubblicava notizie scomode e videoclip delle sue scorribande alle calcagna dei politici in fuga. Lesa maestà. Il sequestro nasce dalla querela sporta contro di lui da Emilio Fede (Fede che querela qualcuno: un ossimoro), per avergli osato chiedere notizie sulle sentenze della Corte costituzionale che impongono il trasloco su satellite di una rete Fininvest-Mediaset, anche perché nel 1999 Rete4 ha perso la concessione per trasmettere su terrestre e Europa 7 l'ha vinta ma attende da allora che Rete4 liberi le frequenze su cui trasmette in proroga, cioè fuorilegge rispetto ai dettami della Consulta. Fede, comprensibilmente sgomento alle parole "legge", "sentenza" e "Costituzione", ha dato a Piero dell'imbecille. Poi, mancandogli la parola, gli ha sputato contro (il video è disponibile su youtube). In un paese serio, dovendo proprio sequestrare qualcosa, non si procederebbe contro il blog di Ricca, ma contro Rete4 (o magari contro la Mondadori, che da venerdì è ufficialmente provento di reato). E, visto che Fede usa da sempre il Tg4 per insultare i nemici del padrone, se il blog di Ricca va sequestrato per evitare la reiterazione del presunto reato di diffamazione, figuratevi un po' che dovrebbe esserne del Tg4. In tutto l'orbe terracqueo, il sequestro di un sito internet susciterebbe enorme scandalo. Da noi la notizia è, al massimo, una "breve", una curiosità affogata fra mille altre. Chi non ha padrini politici, e peggio ancora si comporta da cittadino esercitando fino in fondo i propri diritti, non esiste. A proposito di cittadini: Daniele Luttazzi torna finalmente in tv. Ma non sulla Rai, dalla quale era stato cacciato sei anni fa per ordine di Bellachioma, anzi prim'ancora che questi l'ordinasse. Torna su La7. Alla Rai non riesce a tornare nemmeno Oliviero Beha, che ha dalla sua un contratto a tempo indeterminato (sistematicamente violato dall'azienda) e una sentenza ormai esecutiva del Tribunale del lavoro (regolarmente calpestata dall'azienda). Ora perciò porterà in tribunale il Cda per i reati di inottemperanza a provvedimento del giudice e abuso d'ufficio. L'altro giorno, da un'intervista mai smentita di Gianpiero Fiorani, ha appreso che costui sarebbe in trattative col cosiddetto "servizio pubblico"per un programma su Rai2 "dalla parte dei consumatori". Il banchiere ladro, già detenuto nonché indagato in una mezza dozzina di Procure della Repubblica, diventerebbe una sorta di difensore civico contro le truffe bancarie, dall'alto della sua formidabile esperienza nel ramo. Beha, che prima dell' epurazione conduceva un seguitissimo programma radiofonico, si propone di affiancarlo: "Pur avendo due biografie molto diverse, non essendo per esempio io mai stato in galera almeno finora, credo potremmo integrarci benissimo nella conduzione. Non mi sfugge neppure la grande valenza televisiva di uno come Fiorani che, stando a cronache nere e rosa, bacia da Dio, dall'ex governatore Fazio alla figlia di Ornella Muti. Le premesse per un bel sevizio al pubblico ci sarebbero tutte". Pur con tutto l'affetto che portiamo a Oliviero, ci permettiamo di dubitare della fattibilità dell'operazione: in un paese dove si fa carriera per meriti penali e dove San Vittore è meglio della Scuola di Atene, Beha è privo di curriculum. Vada a rubare come tutti gli altri, poi se ne riparla. Uliwood party.


 

La Repubblica 16-7-2007 LINEA DI CONFINE MARIO PIRANI

 

 

 "C'è una rottura acuta tra la società e la politica. Ma c'è una spaccatura ancora più profonda tra la società e il centrosinistra": parola di Bersani, il più "nordista" dei ds. Come è potuto accadere, però, nessuno lo dice. Al più si addossano le responsabilità al governo, quasi in esso la sinistra non fosse presente con tutto il suo peso. Ma è una presenza che, appunto, non pesa perché il suo pensiero è rachitico. Abrogate le ideologie, anche la capacità di elaborare idee appare dispersa. Un tempo non era così. Pur stando all'opposizione la sinistra proponeva una sua visione dell'Italia, esprimeva analisi sociali ed economiche in base alle quali disegnava una strategia a lungo termine ed anche iniziative di raggio più immediato. Non mancavano naturalmente errori, alcuni correggibili, altri tetragoni, insiti nella natura stessa del Pci. Il tutto, però, ad un ben altro livello di capacità concettuale. Osservazione che mi è suggerita dalla lettura incrociata dell'intervista di Bersani ("Repubblica" 11/7) e di un libro edito dal Mulino, "Distretti industriali e sviluppo locale" (a cura di Anna Natali, Margherita Russi e Giovanni Solinas), che ripropone una serie di saggi di un economista di straordinario acume, purtroppo scomparso prematuramente, Salvatore Brusco, noto, fra l'altro, per aver aperto il dibattito internazionale sul nesso tra coesione sociale e sviluppo locale nei sistemi di piccola impresa, con il saggio "The Emilian Model", pubblicato nel 1982 sul "Cambridge Journal of Economics". Fra l'altro mi è sembrato di notevole interesse comparativo con la situazione attuale un saggio (in collaborazione con Mario Pezzini) su "La piccola impresa nell'ideologia della sinistra italiana" che affronta l'influenza delle misure di politica economica promosse dai due partiti dominanti (Dc e Pci) dalla fine degli anni Sessanta in poi nei confronti di quel tipico sistema (i distretti) di piccole imprese concentrate su territori relativamente ristretti. Le localizzazione dei distretti era concentrata, allora come oggi, in regioni come l'Emilia Romagna, la Toscana, l'Umbria a prevalenza Pci e il Veneto, il Friuli, le Marche a larga influenza Dc. Visto che la odierna perdita di consensi è sofferta dall'Unione proprio in queste regioni l'analisi del passato non è pleonastica. Lo studio prende il via dalle posizioni della socialdemocrazia, ispirate dal marxismo, a cavallo tra Ottocento e Novecento, dominate da un idea di superiorità assoluta della grande impresa a cui la piccola era destinata a fare da supporto. Solo con Togliatti questa linea viene radicalmente abbandonata. Il giudizio sul fascismo, definito "un movimento reazionario a base di massa", muove Togliatti a riflettere sugli errori commessi nelle lotte sostenute negli anni Venti, difendendo solo gli interessi operai e bracciantili e spingendo così i ceti medi verso il Regime. La svolta che assegna un ruolo cruciale alla politica delle alleanze con "i ceti medi produttivi", cioè con i contadini, i commercianti, gli artigiani e i piccoli imprenditori industriali, venne fissata in un celebre discorso a Reggio Emilia nel 1946 ("Ceto medio e Emilia rossa") in cui T. affermava: "Non vi è nessun contrasto tra gli interessi che noi difendiamo e quelli dei gruppi sociali intermedi". Su questa base si prefigurò una "politica di scambio" politico ed economico che costituì il fulcro di una influenza larga e stabile nelle cosiddette regioni rosse. Dopo il '68 le correnti operaiste nel sindacato e nel partito cominciano a contestare la linea togliattiana, affermando che le piccole imprese erano soprattutto dei "reparti" distaccati delle grandi per la lavorazione dei prodotti intermedi. Di qui l'esigenza di avanzare le stesse rivendicazioni sindacali nelle piccole e nelle grandi imprese. Amendola, Lama e la maggioranza centrista si mostrarono, peraltro, ancora convinti che "vi era uno scontro per la conquista dei mercati tra grandi e piccole imprese". Si accentuò anzi una legislazione di sostegno e, malgrado gli estremismi delle ali radicali, una politica sindacale differenziata per le imprese fino a 15 e a 35 dipendenti. In questo arco la politica consociativa ebbe modo di esplicitarsi e influire sulla costituzione materiale del Paese. Tutto ciò si accompagnò nell'arco di un trentennio ad una elaborazione culturale ed economica ricca di spunti innovativi, anche se contraddittori. Oggi di tutto ciò non vi è più traccia. Paradossalmente solo Berlusconi sembra aver sempre presente il concetto di blocco sociale, di alleanza di interessi di classe, di valore del ceto medio. Forza Italia, ultimo rifugio del marxismo?.


 

Alto Adige 17-7-2007 Attualità Slitta il piano anti-sprechi Pensioni dei parlamentari: Marini vuole tagliare quelle dei senatori in carica, scintille con Bertinotti Nel pacchetto di misure la classe economica per i viaggi in Europa

 

 

ROMA. Tgliare i costi della politica, dicono in comune Camera e Senato. Fausto Bertinotti sostiene che bisogna decidere subito, prima della pausa estiva, perché la decisione "è del tutto matura", ma bisogna arrivare a "soluzioni condivise", anche sul taglio dei vitalizi, le pensioni di deputati e senatori. Ma su questo c'è una differenza: il presidente della Camera vuole cominciare dagli ex parlamentari, mentre Franco Marini appare più deciso: vuole abbassare le pensioni dei senatori in carica. Bertinotti ha letto questa notizia sui giornali e si è sentito scavalcato. Ha protestato per telefono con Marini, che, come dice il suo ufficio stampa, considera la questione "un punto di rilievo marginale". Ma il presidente della Camera obietta che posizioni come quelle uscite sui giornali non servono a creare un clima adatto per arrivare a decisioni comuni. Bertinotti ha insistito per una sinergia anche con il governo e ha detto che la questione dei tagli va affrontata tenendo conto di un costo fisiologico che va comunque difeso. Per il futuro, il vitalizio va comunque ridotto, fino al 60 per cento della indennità parlamentare. La Camera ha già "lavorato di lima" per ridurre le spese, secondo uno "stile di sobrietà al quale teniamo molto". Prime misure: per i viaggi in Europa, i presidenti di commissione prendono i posti di classe turistica; la presidenza non farà regali per Natale, neppure ai deputati; niente fondi per iniziative che possono essere coperte senza spese. Dopo aver parlato con Marini, Bertinotti ha potuto dire che tra Senato e Camera non c'è contrasto, c'è anzi "totale sintonia". Ma non ha rinunciato a una frecciata: questa sintonia non può essere oscurata da qualche incursione "inelegante e sbagliata". Il presidente di riferisce forse anche all'intesa di Antonio Di Pietro con Gianfranco Fini per un "intergruppo" che non produca "acqua fresca", come il consiglio dei ministri, ma una legge severa. Misure sono state annunciate in aula dal questore della Camera Gabriele Albonetti. Non sarà chiesto nessun aumento della dotazione del governo, mentre il Dpef prevede crescita. Fino al 2010, significa risparmio di 100 milioni di euro, pari al 10 per cento. Circa 2,6 milioni di euro all'anno saranno risparmiati con una diversa utilizzazione degli immobili, evitando le tante sedi di palazzo, che costano molto di affitto e colpiscono negativamente l'opinione pubblica. Albonetti ha contestato che i costi della Camera italiana siano superiori a quelli dei parlamenti francese, tedesco e britannico. Dopo "accertamento approfondito", si è visto che "il costo unitario per giorno e per ora" dei lavori di aula e commissioni, è inferiore agli altri parlamenti, per la "diversa intensità" dei lavori. Nei calcoli di Albonetti, l'indennità netta complessiva di 14.500 euro al mese per ogni deputato, tolte le spese per Roma e il territorio, si riduce a 5.000-6.000 euro "effettivamente disponibili". Risparmi sulla carta: niente più rassegna stampa su foglio, ma solo Internet; 25 milioni in meno di pagine per gli atti parlamentari. Spesa ridotta di 350 mila euro l'anno. E che la buvette costi come i bar del centro. Renato Venditti.


 

La Stampa 17-7-2007 I costi della politica continuano a far discutere il palazzo. Dopo le accuse delle Comunità montane al governo, adesso a tener banco sono le frizioni tra Camera e Senato. Ieri veniva accreditata una diversa sensibilità sul tema tra i due rami del Parlamento.

 

 

Con un Palazzo Madama più rigorista, pronto a spingere sull'acceleratore dei tagli e concorde nel dare una sforbiciata a indennità e vitalizi dei senatori sin da questa legislatura ("si deve dare un segnale incisivo", ha dichiarato il presidente, Franco Marini). E con, al contrario, i colleghi di Montecitorio (e il presidente dell'Assemblea, Fausto Bertinotti) più cauti e inclini a rimandare tutto alla prossima legislatura, nel 2011. Una diversità di vedute della quale si è accennato nell'incontro al Quirinale che i presidenti delle due Camere hanno avuto separatamente col presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Di certo c'è che Bertinotti (che i ben informati descrivono irritatissimo con Marini) ieri in mattinata ha convocato i giornalisti per spiegare che "non esistono contrasti tra le due Camere". Anzi, sui tagli agli sprechi - dicevano ieri nell'Ufficio di Presidenza della Camera - eravamo pronti a intervenire da dieci giorni, abbiamo aspettato per sincronizzarci con il Senato. "Sulle scelte che faremo per tagliare i costi della politica - assicura Bertinotti - non c'è una posizione della Camera e una del Senato. Non c'è contrasto tra le due Istituzioni". Ma per ora i segnali che arrivano dall'Ufficio dei questori (i deputati che sovrintendono all'amministrazione della Camera) sono tutt'altro che incoraggianti. Le proposte sul tavolo a fronte di qualche taglio (il vitalizio passerebbe dal 25 al 20 per cento dello "stipendio" in caso di una sola legislatura), prevede anche sostanziosi aumenti: in caso di due legislature la pensione dei deputati passerebbe dal 38 al 40 per cento dell'indennità, e alla terza esperienza da parlamentare dal 53 al 60. E se è vero che con la riforma il diritto al vitalizio scatterebbe soltanto nel caso in cui il deputato abbia al suo attivo tutti e cinque gli anni della legislatura (adesso basta la metà), la maggior parte degli onorevoli ha già un paio di legislature alle spalle. Circostanza questa che solleva più di un dubbio sul risparmio effettivo che si potrebbe realizzare. E per rendersi conto che per i tagli al "costo della politica" a Montecitorio tiri una brutta aria bastava ascoltare ieri pomeriggio la relazione al bilancio, fatta dal questore, Gabriele Albonetti. "La retribuzione di un parlamentare - ha spiegato il deputato ulivista - si pone nella fascia bassa nella classifica della classe dirigente". Infatti è vero che fra diarie, rimborsi, e indennità un parlamentare riceve circa 14 mila 500 euro al mese, ma "se vuol far bene il suo lavoro, fra alloggio a Roma, uno nel territorio, e i collaboratori, non gliene rimangono che 5-6 mila". E tutti i privilegi di cui godono i parlamentari? "Idola fori (leggende). La buvette della Camera - ha precisato - costa come un qualsiasi bar del centro di Roma". Non è così. E' vero invece che, come ha spiegato Bertinotti, qualche economia la si è realizzata su altri fronti: niente regali di Natale agli onorevoli, e i presidenti di commissione hanno accettato biglietti aerei non business class. Ora volano in turistica.


 

Italia Oggi 17-7-2007 All'appello dei risparmi mancano ben 24 milioni di euro di Stefano Sansonetti

 

 

Il dl Bersani stimava in 42 mln la minore spesa per le commissioni. Ma la realtà è ben diversa. Tagli alla pa, la cronaca di un fiasco Il ministro per lo sviluppo economico, Pier Luigi Bersani, ci aveva provato giusto un anno fa. Il tentativo, però, è miseramente naufragato. La polemica sui costi della politica non era ancora divampata, ma c'era pur sempre il programma con cui l'Unione si era presentata alle elezioni. Al suo interno, tra i tanti obiettivi, quello del contenimento degli sprechi pubblici sembrava veramente godere della condivisione di tutte le anime della coalizione di centro-sinistra. E così il ministro diessino, insieme alla prima lenzuolata liberalizzatrice, presentò anche un programma di riduzione dei costi della macchina dello stato. Il provvedimento era il decreto legge 223 del luglio del 2006 e intendeva abbattere del 30% rispetto al 2005 la spesa complessiva sostenuta dalla pubblica amministrazione per commissioni e comitati vari. La relazione tecnica allegata all'articolo 29 del decreto diceva che a regime, nel 2007, i risparmi sarebbero stati di 42 milioni di euro. Quando il ministro per l'attuazione del programma, Giulio Santagata, qualche mese fa ha fatto il bilancio di quell'operazione, ha comunicato con grande soddisfazione che gli obiettivi erano stati raggiunti. Peccato, però, che dalle tabelle fornite in quell'occasione dal ministro prodiano, risulta che le economie per il 2007 sono calcolate in circa 18 milioni di euro (per la precisione 17.989.879). Ovvero meno della metà di quello che era stato stimato dal suo collega diessino. La conclusione, in sostanza, è che l'unico vero tentativo di compressione dei costi compiuto dal governo fino a questo momento, sulla base di un decreto immediatamente esecutivo, è stato ampiamente fallito. Adesso Santagata, insieme al ministro per gli affari regionali, Linda Lanzillotta, si ritrova a gestire una situazione molto più esplosiva, dal momento che quello sui costi abnormi della politica è ormai un caso completamente deflagrato. Al quale, però, la risposta è stata molto più blanda rispetto a un anno fa. La contromisura presa dall'esecutivo la scorsa settimana, con l'approvazione di un disegno di legge ad hoc, sembra destinata a scontare tempi troppo lunghi per conseguire una reale attuazione (vedi ItaliaOggi del 14 luglio scorso). E certo il precedente del decreto legge Bersani del 2006 non depone molto bene. I risultati dell'operazione dell'anno scorso erano stati presentati in pompa magna. A subire quelli che sembravano i tagli più consistenti è stato in primis il ministero dell'ambiente di Alfonso Pecoraro Scanio, che con 14 organi riordinati e 4 soppressi ha fornito per quest'anno un risparmio di 5 milioni e 800 mila euro. A seguire il ministero dei trasporti, guidato da Alessandro Bianchi, che attraverso la razionalizzazione di 19 strutture preesistenti ha garantito 2 milioni e 600 mila euro di economie. A scendere il dicastero dell'Agricoltura del prodiano Paolo De Castro, che ha provveduto ha riordinare 57 organismi e a sopprimerne 6, per un risparmio totale di poco più di un milione di euro. Insomma, tutti i dicasteri, chi più chi meno, hanno contribuito a mettere insieme economie complessive per quasi 18 milioni di euro. Che in ogni caso sono ben lontani dai 42 milioni che erano stati stimati da Bersani. Le cose non sembrano mettersi meglio alla luce del ddl Santagata. Si pensi, a titolo di esempio, all'elenco di enti potenzialmente sopprimibli che è stato allegato al testo messo a punto dal ministro per l'attuazione del programma. Dei 130 segnalati, il governo ha proposto la soppressione soltanto per due organismi: l'Unione nazionale del tiro a segno e l'Istituto nazionale per la lotta all'analfabetismo. Per non parlare di come il pacchetto di misure varate un anno fa da Bersani sia in buona parte replicato nell'attuale impalcatura del ddl Santagata. In effetti le disposizioni che quest'ultimo ddl dedica all'abbattimento specifico dei costi della politica sono ben poche. E quasi tutte concentrate su comuni e province, i cui consiglieri sono destinati a diminuire di un 20% medio, anche se soltanto a partire dalle prossimo consiliature. Il resto del testo risulta più che altro composto da norme che perseguono risparmi di spesa esattamente come aveva cercato di fare il dl Bersani dell'anno scorso e come hanno tentato di fare negli anni scorsi almeno cinque o sei Finanziarie. Con risultati, però, che non sempre hanno soddisfatto.


 

Il Corriere della Sera 16-7-2007 Rosy Bindi si candida alla segreteria del Pd Con lei in corsa Veltroni e Colombo L'annuncio affidato a un comunicato: «Anche io, come tanti, sento la responsabilità di un impegno in prima persona»

 

 

ROMA - Rosy Bindi si candida alla segreteria del Pd alle primarie del 14 ottobre e giovedì presenterà a Roma (Residence di Ripetta ore 12) il suo programma. Lo ha annunciato lo stesso ministro della Famiglia attraverso una nota: «L'appuntamento del 14 ottobre ha risvegliato nel popolo dell'Ulivo nuove attese e una grande speranza nel Partito democratico - è scritto nel comunicato -. Queste attese e queste speranze non possono andare deluse. Anch'io, come tanti, sento la responsabilità di un impegno in prima persona. Ho riflettuto a lungo sul contributo che avrei potuto dare a questa straordinaria opportunità per la politica e il paese. Sono ormai convinta che la scelta più giusta e più utile sia quella di presentare la mia autonoma candidatura alla segreteria del nuovo partito». Al momento, oltre alla Bindi, i candidati sono Walter Veltroni e Furio Colombo. Il ministro Bersani aveva al contrario annunciato la propria rinuncia alla segreteria del Pd pochi giorni fa.

CONTRO IL REGOLAMENTO - Il ministro Bindi ha poi spiegato: «Il Comitato dei 45 ha approvato un regolamento elettorale che favorisce chi può contare su una forte organizzazione. Ds e Margherita, attraverso i loro più autorevoli esponenti, hanno già dichiarato di appoggiare la candidatura di Walter Veltroni». «Nonostante questi limiti - ha continuato - sono convinta che in tantissimi, donne e uomini e soprattutto giovani e giovanissimi, che già si sentono democratici pur non militando nei partiti esistenti o sentendosi estranei ai loro apparati organizzativi, si aspettano e vogliono essere protagonisti di questa nuova stagione».

«LASCERO' ALTRI INCARICHI» - La scelta delle segreteria del Pd obbligherebbe ovviamente il ministro della Famiglia a rinunciare agli altri incarichi. Onere che la Bindi accetta senza problemi: «Se sarò eletta rinuncerò a qualunque altro incarico. Consapevole del rilievo di questo impegno per la nostra democrazia e il futuro del Paese, mi dedicherò esclusivamente a questo compito entusiasmante che corrisponde ad una grande domanda di cambiamento della politica».

LE REAZIONI - La notizia della candidatura di Rosy Bindi ha raccolto consensi all'interno della maggioranza. Per D'Alema «è un contributo sicuramente utile; una personalità come lei, certa
mente.... Ho già visto che anche Furio Colombo si è candidato - ha detto D’Alema - era ragionevole attendersi che ci fosse una pluralità di candidati: forse ce ne saranno anche degli altri, sarà un confronto di idee e di persone». Sulla stessa lunghezza d'onda del vicepremier si sintonizza anche Dario Franceschini: «Sono contento - ha detto - siamo dentro a un meccanismo nuovo e la candidatura di Rosi sarà utile al confronto». «Mi auguro - ha proseguito - che Rosy faccia come abbiamo fatto noi del ticket e non si candidi a rappresentare solo un pezzo della Margherita, ma si incroci con i Ds e la società civile». Per il ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni «è un bene per tutti che chiunque ha dei progetti e delle proposte diverse da quelle del ticket si candidi. Rosi ritiene di averle, quindi ha fatto una scelta corretta che rappresenta un'opportunità». «Dobbiamo perdere i vecchi vizi - ha aggiunto - e quindi dobbiamo salutare positivamente il confronto dialettico il 14 ottobre e anche dopo, nella chiarezza dei risultati». Favorevole alla candidatura della Bindi è anche Walter Veltroni: «Mi fa piacere che Rosy abbia deciso di candidarsi. È una donna che stimo, alla quale mi lega da anni una sincera amicizia e sintonia politica. Come quella di Furio Colombo, la candidatura del ministro Bindi arricchisce e qualifica la grande e inedita pagina di democrazia politica rappresentata dalle elezioni primarie del prossimo 14 ottobre». Per Bersani, invece, «queste candidature arricchiscono il percorso».

16 luglio 2007


 

Europa 17-7-2007 Leader con i quali non vinceremo mai STEFANO MENICHINI

Si affolla la gara per le primarie.
Rosy Bindi ha sciolto ieri le riserve con un testo che chiede soprattutto chance per le donne e fedeltà di coalizione, e pare voler qualificare il ministro della famiglia come la candidata degli esclusi dalle logiche di partito.
Con lei, aumentano gli outsider. Ce ne sono di quelli che possono arricchire il confronto – la Bindi, sicuramente – e quelli che invece possono pericolosamente spostarlo.
Uno è Furio Colombo, presentatosi sull’Unità con un lungo articolo che vale la pena commentare. Perché contiene il nucleo dell’errore storico del centrosinistra. La cosa essenziale che Colombo sbaglia è la data. Le primarie ideali per lui e per chi la pensa come lui si sono svolte nel 2005. L’ex direttore dell’Unità doveva sfidare Prodi allora, non Veltroni oggi.
Se la politica, anzi la vita di questo paese si riduce tutta allo scontro con Berlusconi, bisognava forse fare i coraggiosi quando Berlusconi era al governo.
Tra chi spinge Colombo all’errore c’è il suo successore all’Unità. Il quale sostiene, in polemica con Rutelli, che l’antiberlusconismo deve restare il perno di qualsiasi politica e alleanza, perché il potere del Cavaliere è intatto e i rischi del suo ritorno sono tuttora altissimi.
Già in questa analisi c’è un buco.
Una voragine. Nella quale precipitano i 19 milioni di italiani che un anno fa hanno ancora votato per il centrodestra.
La metà di loro, direttamente per Berlusconi.
Presi come sono a scongiurare il neocentrista Rutelli, Padellaro e gli altri non si pongono affatto il problema di questi italiani. Del perché sono irriducibili alle proposte del centrosinistra, perché insistono a votare Berlusconi dopo anni di malgoverno, e oggi cambierebbero subito Prodi con lui. Eppure sono italiani come gli altri: operai, casalinghe, giovani, piccoli artigiani. Padellaro lo sa. Essendo più riflessivo, non li liquiderebbe come fa Colombo quando afferma che Berlusconi «è il nemico degli italiani per bene»: se ne deduce che gli amici suoi sono gli italiani per male. Metà del paese (ora anzi, a quanto pare, più della metà). Presunzione di superiorità morale, analisi sbagliata, grave errore politico. Colombo corre, immaginiamo, pensando di vincere le primarie. Ora, non insistiamo sul particolare che un centrosinistra guidato da lui verrebbe asfaltato da Berlusconi in tre giorni, e già questo in un paese serio – che so, l’America – chiuderebbe ogni discorso su torti e ragioni.
Il problema è che prima ancora di essere messi nelle condizioni di regalare alla destra vent’anni di governo, Colombo, Padellaro, Marco Travaglio, Paolo Flores e compagnia danneggiano il centrosinistra già solo rilanciando l’antiberlusconismo come priorità.
Giustamente, ha chiesto loro Sandra Bonsanti: sì, il Cavaliere è ancora un pericolo, ma come lo si batte? Loro risponderebbero: con una bella campagna sui suoi reati, lo strapotere televisivo, la concezione antidemocratica, l’editto di Sofia, le leggi ad personam… Cioè Berlusconi, Berlusconi, Berlusconi, Berlusconi… Non s’accorgono – qui lo sbaglio di data – che il centrosinistra trae qualche speranza solo dalla rottura di questo schema, che ha fatto felice Berlusconi dal ’94 a oggi.
È questo che chiede, ci pare, il Manifesto dei cosidetti Coraggiosi.
È questo che vuole e ora può fare solo Veltroni: rompere lo schema che regala puntualmente a Berlusconi la centralità nel suo campo e la simpatia del popolo di centrodestra.
A Colombo, Padellaro e gli altri verrebbe da dire: per una volta, se ci riuscite, non allarmatevi per cambi di alleanza, neanche possibili tra l’altro ammesso che qualcuno li voglia. Non concentratevi sull’Udc, la Lega o An: concentratevi sul loro elettorato.
Veltroni (Rutelli vi sta pregiudizialmente antipatico, lasciamolo stare) vuole parlare a quella gente lì. Provare a convincerla. Com’è riuscito a fare da sindaco insieme, guarda caso, a gente come Chiamparino, Cacciari, Bassolino. Rutelli… Se dovessero cominciare a pensare che può farcela, che può parlare alla loro gente, Fini, Bossi, Casini non rimarrebbero a cuccia come adesso.
L’hanno già fatto capire: per loro l’arrivo di Veltroni vuol dire che cambia il gioco.
Come del resto cambia per tutti. Più che strillare perché lo vogliono scaricare dalla maggioranza, Bertinotti brucia i tempi della Cosa rossa. Fa bene: sa che fra poco le alleanze si costruiranno sulla rispettiva forza e su accordi politici veri, non sulla perenne emergenza democratica.
Se davvero vi preme liberarvi di Berlusconi, se pensate che potete divertirvi anche senza di lui, dopo che vi siete tanto divertiti contro di lui, la strada è questa, non altre. In un certo senso, non ce ne voglia l’interessato, di tutti quelli che possono candidarsi alle primarie Colombo è il più dannoso, il più pericoloso.
Un politico di quelli, come disse un tale, con i quali non vinceremo mai.


 

Europa 17-7-2007 Dalla scuola di San Giuliano alle stragi del sabato, la libertà di delinquere uccide i più indifesi. FEDERICO ORLANDO RISPONDE

Cara Europa, cosa ci succede? A Larino una giudice monocratica assolve gli imputati di San Giuliano perché il fatto «non sussiste».
Negli ospedali si muore come mosche. Sulle strade adulti ubriachi o minorenni drogati e no, uccidono il sabato sera; poi la domenica mattina, sono al mare, già liberi. È stato sempre così in Italia o sono gli effetti della predicazione berlusconiana? Liliana Carfagnini, Larino (CB)

 

 

Cara signora, è dai giorni del terremoto che non ci rivediamo nelle nostre plaghe molisane, ma i sentimenti non sono cambiati: primo fra tutti la pietà per i bambini, compresa la figlia dell’ex sindaco, accusato di mancanza di controlli e collaudo della scuola. Ma perché distruggere i fiori sulla tomba di quella bambina? Il rancore per il padre non deve sfogarsi in vendetta contro una innocente, pianta dai suoi genitori come tutte le altre vittime.
Così affondiamo sempre più nelle sabbie mobili della generale barbarie. La generale barbarie ha un nome molto preciso, la fuga degli italiani dalla responsabilità; e anche la fuga ha una causa precisa, un millennio e mezzo di “remissione dei peccati”, col risultato che nessuno si sente peccatore. Tutt’al più prescritto, come l’ex premier, o “semplice” evasore fiscale, come il suo ex ministro della difesa, che 630 mangiapane in parlamento non fanno decadere dall’incarico: perché «oggi a lui domani a noi», sicché è meglio non creare precedenti.
Tutti peccatori, tutti assolti, nessun peccatore.
Come ha detto il procuratore generale di Larino, questa è «l’Italia peggiore, in cui nessuno è mai responsabile di niente». E se qualcuno, metti D’Ambrosio, s’assume la responsabilità di indagare sui reati di chi ne è sospettato, ecco che in Senato viene aggredito come «Assassino » da una senatrice craxi-berlusconiana, e nessuno la caccia dall’aula. Peccatrice, infatti, ma con certezza di assoluzione. E di fronte all’assoluzione che verrà, chi si assume la responsabilità di applicare la norma? Gli italiani hanno il culto dell’incompetenza oltre all’orrore della responsabilità. Di fronte a un tale abisso psicologico, arriva dalle sue remote culture Gad Lerner e propone che, per migliorare il generale contesto, è bene dare il voto ai sedicenni, anzi ai quattordicenni. Dice: se all’ottantenne che provoca incidenti di macchina (vedi investimento della signora Napolitano) si dà la patente, perché non dare la scheda elettorale al quattordicenne? Insomma, se volete conservare i vecchi, fate largo ai giovani. I quali però, quanto a stragi in automobile, stanno in rapporto ai vecchi 100 a 1. Cara signora, in Italia ci divertiamo così: eludendo i problemi e meravigliando con le parole, il voto a 14 anni e «il fatto non sussiste», come dice delle responsabilità di San Giuliano il giudice di Larino. Ilvo Diamanti spiega che perciò gli italiani aspettano «l’uomo forte». Sciocchezza. Ogni italiano lo vuole per gli altri, non per sé. E siccome siamo 60 milioni di anarchici, continueremo così. Anche uccidendo i più indifesi (ragazzi, bambini, vecchi) per favorire il decremento demografico.


 

Il Riformista 17-7-2007 Il governo non regge più, il Pd non sa che fare di Emanuele Macaluso


Ha ragione Paolo Franchi: i «coraggiosi» non hanno coraggio. Ed è forse questa una delle ragioni per cui il centrosinistra di nuovo conio, coniato da Francesco Rutelli e da altri della Margherita, è destinato a provocare nuove lacerazioni nell’Unione. Non solo per le prevedibili reazioni di Rifondazione comunista identificato come partito di vecchio conio, moneta fuori corso, ma per le contrastanti reazioni che si sono verificate tra i costruttori del Pd. L’Unità, con Padellaro prima e Colombo dopo, l’ha severamente disapprovato anche perché nel manifesto rutelliano si afferma che «è finita la lunga stagione in cui la coesione del centrosinistra è stata garantita dall’antagonismo verso Berlusconi». L’Unità ricorda a Rutelli che il Cavaliere è in campo e con la spada sguainata pronto a tornare a Palazzo Chigi e quindi non è finito nulla: la «coesione» antiberlusconiana deve essere operante. Anche se i fatti dicono che non basta per governare e le contraddizioni sono tali per cui la destra è più forte di prima e alle porte del governo.
A Veltroni il manifesto sembra, dico sembra, che non dispiaccia, ma chiedere un chiarimento è inutile. A Scalfari piace Veltroni ma non il «nuovo conio» rutelliano. Fassino in un’ampia intervista all’Unità di mercoledì 11 luglio affermava: «Dobbiamo guardare con attenzione al mutamento di posizione dell’Udc e dobbiamo pensare a una legge elettorale che tenga conto di una diversa articolazione del sistema politico». Era una chiara apertura a Casini e si prefigurava il sistema elettorale tedesco. Fassino, però, sapeva che l’Udc ha sempre detto che non è disponibile ad aggregarsi all’attuale maggioranza e tenere in piedi il governo Prodi. In un’intervista ancora più ampia, sempre sull’Unità, il 13 luglio (due giorni dopo), Fassino parlava di convergenze più ampie «con la Lega per il federalismo fiscale». E aggiungeva: «Intorno alla legge elettorale di tipo tedesco sembrano possibili ampie convergenze». L’Udc è sparita e osserva che «non è chiaro che cosa voglia dire l’espressione centrosinistra di nuovo conio, dato che per la governabilità basta guardare oltre gli orizzonti dell’Unione». Cosa significa? Niente, proprio niente.
La verità è che ci si rende conto - chi più chiaramente, chi confusamente e chi equivocamente - che il governo non regge più e non sanno cosa fare. Non lo sanno quelli del Pd e non lo sanno quelli di Rifondazione che pensano di stare al governo ed essere alternativi al sistema. In un mio articolo sul Riformista indirizzato a Fabio Mussi avevo detto che la situazione che si era creata nel governo imponeva scelte nette e rapide. Lo stesso ragionamento ho fatto a Bertinotti nella conversazione pubblicata su questo giornale. Il tema è questo: l’attuale equilibrio non regge: o si costituisce una consistente area socialista riformista e di governo nell’ambito del Pse per condizionare e competere virtuosamente col Pd, oppure questo partito sarà spinto a convergenze di tipo centrista. Non c’è una “terza via" d’uscita”. Chi si illude che questa scelta lasci più spazio a sinistra puntando sul “tanto peggio, tanto meglio” compie un errore che pagherà non solo la sinistra. L’avvio di una Costituente socialista aperta ha questo senso. Oggi questa appare l’area più debole rispetto al Pd e agli alternativisti. Ma è quella che ha la posizione politica più rispondente all’avvenire della sinistra e agli interessi del Paese. Anche perché le due cose coincidono.


 

Milano Finanza 17-7-2007 MFT Consulenza senza bavaglio Dalla mifid nessuna limitazione per ci fornisce indicazioni sui titoli. Le uniche restrizioni saranno applicate ai consulenti che prestano consigli ad hoc e ai siti registrati come testate giornalistiche.

 

 

Che dovranno indicare autori e metodologie di analisi, e non potranno operare sugli strumenti trattati "Cambiare tutto per non cambiare nulla", recita la celebre frase del Gattopardo. E per la regolamentazione della consulenza finanziaria è un po' quello che è stato fatto: si sono mosse istituzioni di ogni ordine e grado, il parlamento europeo, quello italiano, le associazioni di categoria, tutti più volte coinvolti nel dibattito di preparazione della normativa. Nel frattempo, tanto allarmismo, soprattutto da parte dei siti web che della consulenza, attraverso l'invio di segnali operativi, hanno fatto la loro ragion d'essere. Ma alla fine la consulenza è ancora libera, senza grandi limitazioni. Per essere più precisi, fornire un'indicazione generica su uno strumento finanziario (per esempio compra il titolo x a questo prezzo, con target a quota y e stop a z) non è consulenza ma, secondo il legislatore, una semplice raccomandazione. A patto però che risponda a due precisi requisiti: non deve partire dalla richiesta del cliente e deve essere inoltrata attraverso uno strumento di comunicazione di massa, per esempio via internet. "Si rientra nell'area della consulenza quindi solo se l'indicazione è personalizzata sulla base delle necessità del cliente", ha sottolineato Gianluigi Gugliotta, segretario generale di Assosim. In definitiva, secondo il punto di vista della Ue, e da venerdì scorso anche italiano dopo che il governo ha approvato la prima bozza del decreto legislativo, i segnali operativi non costituiscono un servizio di consulenza agli investimenti ma un semplice accessorio. Il che vuol dire che "mentre i servizi di investimento devono essere svolti da soggetti ben precisi, nel secondo caso l'attività è completamente libera", ha spiegato Luca Zitiello, avvocato in Milano e autore proprio di un testo sulla Mifid. La questione non riguarda un numero ristretto di soggetti, ma più di un centinaio fra siti web, blog e soprattutto comunità virtuali che ogni giorno, gratis o a pagamento, forniscono e si scambiano suggerimenti operativi. Attenzione però perché più ci si attribuisce una precisa etichetta, più gli spazi di libertà si riducono. Per fare un esempio, se a diffondere analisi e alert è una testata giornalistica, oppure un consulente di investimento o anche una sim, gli obblighi crescono. Autori e metodi più chiari. Molti siti, pur limitando l'attività alla diffusione di segnali operativi e di qualche commento a corollario, hanno deciso in passato di registrarsi come testata giornalistica: accrescevano così il proprio prestigio e legittimavano alcuni contributi editoriali. La novità è che a partire dal mese di giugno (e da novembre ancora di più con la Mifid) questi soggetti sono tenuti a una serie di obblighi. Il redattore, giornalista o collaboratore che sia, non potrà comprare o vendere i titoli di cui si sta occupando la testata. Con non pochi problemi. A scrivere sui siti molto spesso sono infatti gli stessi trader o gestori, a cui invece d'ora in avanti è proibito operare sui titoli citati nelle loro pagine web. è chiaro che l'interpretazione delle norme in questo caso è un po' restrittiva e letterale: la finalità della normativa è di evitare abusi, raggiri e comportamenti dolosi in genere a danno degli utenti, non di evitare a qualcuno di svolgere la propria professione. Ma ugualmente tra gli operatori non mancano i timori: "C'è il rischio che dove non è arrivata a fare chiarezza la normativa possa arrivare la giurisprudenza", ha osservato Emilio Tommasini di Lombardreport.com. Con danno e fastidi evidenti per chi opera nel settore anche in caso di vittoria in sede giudiziale. In secondo luogo, sulle testate giornalistiche on-line dev'essere esplicitato l'autore dell'analisi e la metodologia utilizzata per arrivare alla previsione e agli obiettivi di prezzo. Infine dev'essere indicata la Carta dei doveri dell'informazione economica. Risultato: ai siti web a questo punto non resta che spogliarsi della veste di testata giornalistica o adeguarsi alle norme stringenti della Consob.Gli obblighi del consulente. Dal prossimo novembre, chi si attribuisce la qualifica di consulente, anche se fornisce semplici raccomandazioni generiche, dovrà iscriversi a un albo. L'attestazione è subordinata al possesso di requisiti di onorabilità e professionalità, che verranno precisati in futuro da specifici provvedimenti del Ministero dell'economia di concerto con altri soggetti pubblici come Banca d'Italia, Consob e ministero di grazia e giustizia.Il consulente dev'essere in possesso poi di requisiti patrimoniali capaci di sostenere i rischi operativi, cioè eventuali denunce di risarcimento di danni. In alternativa le norme secondarie prevedono, sul modello anglosassone, la stipula di specifiche assicurazioni per la responsabilità civile, sull'esempio di quelle sottoscritte da avvocati e medici. Ancora più stringente sono gli obblighi per le sim. Le società di investimento dovranno dotarsi di un capitale sociale consistente e essere soggette a una serie di controlli da parte dalle autorità di vigilanza. Occhio alla propensione al rischio. Come accennato, una cosa è la raccomandazione generica fatta a una pluralità indistinta di utenti, altra è la consulenza ad personam. Quando il suggerimento operativo su un titolo è specificatamente tarato su un singolo investitore, esiste una relazione tra investitore e consulente e quindi scattano una serie di incombenze. "Una delle più importanti è la verifica dell'adeguatezza dell'operazione proposta", ha confermato Giuseppe D'Orta, consulente finanziario e socio dell'associazione a difesa dei consumatori Aduc. In pratica dovranno essere raccolte una serie di informazioni relative al cliente: conoscenza ed esperienza in materia di investimenti finanziari, situazione reddituale (stipendi ed entrate diverse), finanziaria (mutui, leasing ecc.) e patrimoniale (immobili, partecipazioni ecc). Vanno infine analizzate anche la sua volontà/capacità di sopportare perdite e i suoi obiettivi di investimento. (riproduzione riservata) MFT  - Trading Online Numero 141, pag. 1 del 17/7/2007 Autore: Giuseppe Di Vittorio Visualizza la pagina in PDF     Link sponsorizzati Carte di credito con Cariparma Visita il nostro sito e scopri la convenienza dei nostri servizi. www.cariparma.it Acquisti e prelievi in tutta libertà e sicurezza È Barclaycard. La carta di credito gratuita e flessibile che ti consente di gestire le spese in tutta libertà, ovunque tu sia. Zero pensieri, mille servizi. Scopri i vantaggi di Barclaycard. www.barclaycard.it.


 

La Stampa 17-7-2007 La patata transgenica divide l'Europa Undici paesi contro il tubero ogm "destinato all'industria": la decisione passa ora alla Commissione VANNI CORNERO

 

 

TORINO Un'anticamera della sconfitta. Questo rischia di essere il voto che ieri, a Bruxelles, ha stoppato la coltivazione di "Emphlora", una patata Ogm che, nelle intenzioni della Commissione europea, dovrebbe essere usata per produrre grandi quantità di amido destinato alle industrie. Il Consiglio Agricoltura Ue si è spaccato: undici ministri si sono dichiarati contrari (Austria, Malta, Lussemburgo, Lettonia, Italia, Grecia, Irlanda, Cipro, Danimarca, Polonia e Ungheria), dieci favorevoli (Finlandia, Estonia, Gran Bretagna, Slovacchia, Olanda, Lituania, Belgio, Svezia, Repubblica ceca, Germania) e sei si sono astenuti (Portogallo, Slovenia, Spagna, Bulgaria, Romania, Francia). Ma, visto che, per il sistema ponderato in vigore, ogni Stato membro ha una caratura diversa, dovuta all'entità numerica della sua popolazione, la proposta di autorizzazione ha in realtà raccolto 130 voti a favore, 119 contrari e 96 astensioni. La conclusione è che, poiché non è stata raggiunta la soglia della "maggioranza qualificata", posta a 156 voti, l'ingresso della "superpatata" creata dalla Basf nei campi dell'Unione europea è stato negato, ma, contemporaneamente, la decisione sul "sì" o il "no" adesso passa alla Commissione, che potrà decidere autonomamente. Ma il pensiero della Commissione lo si conosce già. A comunicarlo è stata, prima della votazione la portavoce di Stavros Dimas, Commissario Ue all'ambiente: "La patata transgenica "Emphlora" è sicura", spiegava ieri la portavoce, sottolineando che, comunque, il suo uso sarebbe unicamente industriale "e non ha niente a che fare con la catena alimentare" e aggiungendo che l'Efsa, l'agenzia europea per la sicurezza alimentare, ha dato il suo via libera. A quanto pare, però, la richiesta d'autorizzazione riguarda sì la coltivazione di "Emphlora" per uso industriale, ma anche la possibilità di utilizzare le parti vegetative del tubero come mangimi per animali e quindi il transgenico entrerebbe comunque nella catena alimentare. Insomma, dopo la vicenda della soglia di contaminazione nel biologico portata allo 0,9% c'è chi, come l'associazione italiana Copagri, comincia ad avere seri dubbi su alcuni orientamenti nell'Unione europea in fatto di coltivazioni transgeniche. "Faremo pressioni sulla Commissione perché prenda in considerazione le preoccupazioni dei Paesi contrari alla patata Ogm, sollecitando l'Esecutivo Ue a chiedere una nuova opinione all'Agenzia dei farmaci o ad altri organismi indipendenti", ha detto dopo il risultato del voto il ministro Paolo De Castro, tra i primi sostenitori del "no". "Emphlora" contiene, infatti, un gene di resistenza all'antibiotico kanamicina, mentre la normativa europea prevede dal 2004 che non vengano commercializzati nell'Unione Ogm contenenti geni di resistenza agli antibiotici che possano comportare rischi per la salute umana. Se la superpatata avesse il via libera dalla Commissione sarebbe la prima autorizzazione a coltivare un nuovo Ogm sul suolo europeo dall'autunno 1998, facendo saltare il "principio di precauzione". E la Coldiretti commenta: "Rischia di passare un orientamento contrario alla volontà dei consumatori in Europa e in Italia, dove secondo l'indagine Coldiretti Ispo tre cittadini su quattro sono convinti che i prodotti contenenti Organismi geneticamente modificati siano nocivi".


 

INDICE 16-7-2007

+ +   Il Sole 24 Ore 16-7-2007 Risparmi per 20 miliardi se le pubbliche amministrazioni fossero virtuose Nicoletta Cottone  1

+ +   Il Corriere della Sera 16-7-2007 Polemica sui cibi adulterati. La Coldiretti: «Depenalizzazione scandalosa» È il giudizio del presidente dell'associazine, Sergio Marini, che commenta così la bozza del codice disicurezza alimentare  2

+ + AgenParl 16-7-2007 ARRIVANO I NOSTRI E RUTELLI PUNTA A PALAZZO CHIGI 3

+  La Repubblica 16-7-2007 IL PERSONAGGIO Furio Colombo in corsa per le primarie del Pd. "Veltroni va bene, ma io voglio dare il mio contributo come si fa negli States" "Walter, mi candido perché l'antiberlusconismo non è finito" ANTONELLO CAPORALE  3

+  Il Corriere della Sera 16-7-2007 Vendere cibi adulterati non sarà più reato La depenalizzazione nella bozza del Codice di sicurezza alimentare  4

Le nuove norme prevedono soltanto multe fino a 100 mila euro. Mario Pappagallo  4

+  Comincialitalia.net 14-7-2007 RUBBIA: "IL FUTURO E' NEL SOLE" Esclusivo. Lo scienziato spiega la svolta di Roberto De Giorgi 5

+  La Repubblica Affari e Finanza 16-7-2007 Oltre il giardino I costi del capitalismo oltre a quelli della politica di ALBERTO STATERA  6

Notizie.alice.it 16-7-2007 GIAPPONE/ TERREMOTO DI MAGNITUDO 6,8 PROVOCA 160 FERITI Epicentro avvertito al largo di Niigata, a 256 km da Tokyo  7

Il Corriere della Sera 16-7-2007 Giappone: incendio a centrale nucleare dopo terremoto  8

Notizie.alice.it 16-7-2007 MESSICO/ TERREMOTO DI 6,1 GRADI RICHTER IN CHIAPAS  8

Il Secolo XIX 16-7-2007 Bilancio sociale Novi Ligure. Quale è il costo della politica a Novi? Oggi i novesi possono controllare direttamente come vengono impiegati i fondi pubblici attraverso il bilancio sociale che è stato pubblicato recentemente e che è accessibile a tutti anche on line. 8

Il Giornale di Vicenza 16-7-2007 IRAQ. Il presidente annuncia il veto su qualsiasi piano sull'intervento da parte del Congresso Bush sempre più solo "Guerra ormai persa" 8

 


 

+ +   Il Sole 24 Ore 16-7-2007 Risparmi per 20 miliardi se le pubbliche amministrazioni fossero virtuose Nicoletta Cottone

 

Se le amministrazioni pubbliche fossero virtuose si potrebbe risparmiare un punto e mezzo di Pil, pari a circa 20 miliardi di euro l'anno.

Luigi Giampaolino, presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e fornitura, nella sua relazione annuale per il 2006, ha sottolineato che questa cifra potrebbe essere tagliata se le amministrazioni spendessero meglio.

Giampaolino ha sottolineato che solo per beni e servizi la Pubblica amministrazione in Italia spende ogni anno una cifra pari a circa 117 miliardi di euro, che corrisponde all'8% del Pil. «I conti - spiega Giampaolino - sono presto fatti. Studi a campione riferiti al periodo 2000-2005 rilevando variazioni significativi nei prezzi pagati dalle diverse Pubbliche amministrazioni hanno calcolato che se tutte le amministrazioni pagassero lo stesso prezzo, portando le meno virtuose a livello delle più virtuose, si potrebbe ottenere un risparmio di circa il 20%: vale a dire un punto e mezzo circa del Pil. Una cifra comunque sottostimata alla quale vanno aggiunte le spese per il lavori pubblici».

Secondo Giampaolino «è di tutta evidenza non solo l'opportunità, ma l'indispensabilità di un'azione di vigilanza e la missione quindi dell'autorità preposta istituzionalmente a tale azione, volta a garantire, attraverso la libera concorrenza nei mercati di riferimento, anche la qualificazione e il contenimento della spesa pubblica».

Confermata la tendenza delle amministrazioni a bandire gare di piccoli importi. «Il mercato è molto frammentato - si legge nel rapporto - sia sul versante dell'offerta che su quello della domanda», con il risultato che le imprese italiane difficilmente hanno interesse a stutturarsi «per competere fuori del nostro Paese dove la concorrenza ha come protagonisti gruppi di grandi dimensioni». Riscontrata anche «la ricorrenza di non trascurabili indici di accordo tacito tra le imprese partecipanti alle gare diretto a pilotare l'aggiudicazione e acquisire il controllo delle commesse».

Giampaolino ha anche denunciato gli scarsi investimenti in infrastrutture di Autostrade. Nel corso del quinquennio 2000-2005, ha detto Giampaolino, «si è avuto un incremento tariffario molto superiore all'inflazione, in assenza di tutti gli investimenti previsti nei piani», con «un aumento dei ricavi a causa della sottovalutazione dei volumi di traffico all'atto della sottoscrizione delle convenzioni di concessione». Il presidente Giampaolino ha ricordato l'indagine condotta dalla sua Autorità di vigilanza con la quale si rilevò «che le sub concessionarie non hanno rispettato la percentuale massima prevista dalla legge per quanto riguarda gli affidamenti a imprese proprie e/o controllate, con grave lesioni degli obblighi di legge e del bene della concorrenza e del mercato in questo importante settore».

Altissime le spese per gli arbitrati, che sono costati oltre 291 milioni di euro, escluse le spese relative allo svolgimento del giudizio. «Un business smodato per i cosiddetti arbitri - commenta il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro - per pagare i quali si sono spesi circa 300 milioni di euro, una somma che da sola sarebbe sufficiente per far funzionare l'autorità giudiziaria ordinaria». Soldi che, secondo Di Pietro, andrebbero dati al «ministero della Giustizia per far funzionare i tribunali ordinari, anziché darli agli arbitri che si autoliquidano le proprie parcelle».

Questa mattina il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto al Quirinale i componenti dell'Authority per la vigilanza sui contratti pubblici. Oltre al presidente Luigi Giampaolino, anche i componenti, Alessandro Botto, Giuseppe Brienza, Piero Calandra, Andrea Camanzi, Guido Moutier, Alfonso Maria Rossi Brigante. (N.Co.)

 


 

+ +  Il Corriere della Sera 16-7-2007 Polemica sui cibi adulterati. La Coldiretti: «Depenalizzazione scandalosa» È il giudizio del presidente dell'associazine, Sergio Marini, che commenta così la bozza del codice disicurezza alimentare

 

 

MILANO - Innanzitutto, la salute dei cittadini. Dopo il vino al metanolo, il maiale alla diossina del Belgio e il latte per neonati con l'inchiostro, occorrono pene più severe per chi danneggia i consumatori e le imprese agricole. Così il presidente della Coldiretti, Sergio Marini, commenta la bozza del codice della sicurezza alimentare che cancella l'azione penale per chi commercializza alimenti adulterati. «Di fronte alle emergenze sanitarie che si ripetono - afferma Marini - la scandalosa proposta di depenalizzare il reato di vendita di cibi adulterati conferma il nostro allarme sul tentativo di mettere le mani sulla qualità alimentare italiana, a danno delle imprese agricole e dei consumatori».

L'attuale proposta, sottolinea il presidente della Coldiretti, «prevede che chi commetterà questi reati non andrà più in carcere se non saranno provocate gravi intossicazioni o casi di morte, in aperta contraddizione con il bisogno di garantire la sicurezza alimentare dei cittadini». La richiesta, dice una nota, è già stata inoltrata dalla Camera dei Rappresentanti allo Usda, l'organismo responsabile della sicurezza alimentare negli Stati Uniti. Ora, chiede l'Associazione italiana, è necessario «accelerare anche in Italia e in Europa il percorso intrapreso a livello comunitario», estendendo l'obbligo di etichettatura a tutti i prodotti alimentari.

Secondo il rapporto annuale Rassf della Commissione europea, nel nostro continente «quasi la metà delle notifiche di rischio per la sicurezza alimentare» sono relativi a prodotti importati da Paesi extracomunitari e respinti alle frontiere. Un rischio vero e proprio per l'economia del nostro Paese che con l'agroalimentare ricava il 15% del Prodotto interno lordo.

16 luglio 2007


 

+ + AgenParl 16-7-2007 ARRIVANO I NOSTRI E RUTELLI PUNTA A PALAZZO CHIGI

 

Roma, 16 Luglio 2007 – AgenParl – Ormai è sulla bocca di tutti. Francesco Rutelli torna alla carica per lo scranno più alto di Palazzo Chigi e pertanto apre decisamente all’Udc mentre il suo alleato Piero Fassino fa qualcosa di simile verso la Lega. L’obiettivo è quello, più che mai proclamato, di dar vita a una nuova maggioranza parlamentare di intonazione moderata e centrista, potabile per il partito di Pier Ferdinando Casini e per la Lega di Bobo Maroni, arruolando la sinistra riformista e scaricando quegli spezzoni della sinistra che vogliono continuare ad essere alternativi. Anzi con il sostegno di Udc e Lega anche la sinistra riformista non è più indispensabile. Per cui se c’è bene, se non c’è va bene lo stesso.
Di qui l’offensiva dei prodiani, i quali hanno ben compreso che Rutelli e Fassino si preparano a disarcionare Prodi e quindi ad avere il controllo e del governo e del Partito Democratico, secondo, si fa per dire, la dottrina montesquieuriana della “divisione” dei poteri come peraltro avveniva ai tempi della Prima Repubblica.
In questo gioco si sono inseriti Giuliano Amato e Lamberto Dini. I quali, illudendosi di poter diventare eredi di Prodi, stanno dando una mano, anzi tutte e due, all’abbattimento non dello scalone pensionistico ma della credibilità della coalizione di centrosinistra. In questo senso vengono giudicate le critiche che i due uomini politici infliggono particolarmente a quella che definiscono, forse non correttamente, la sinistra massimalista, chiedendone l’espulsione dall’Unione. Una sinistra la quale, specie in questo momento, tende a caratterizzarsi sempre di più come riformista e ciononostante viene posta all’indice.


 

+  La Repubblica 16-7-2007 IL PERSONAGGIO Furio Colombo in corsa per le primarie del Pd. "Veltroni va bene, ma io voglio dare il mio contributo come si fa negli States" "Walter, mi candido perché l'antiberlusconismo non è finito" ANTONELLO CAPORALE

 

ROMA - Furio Colombo, l'ex direttore dell'Unità, ha ieri annunciato sull'Unità la sua intenzione di partecipare alla corsa per la guida del partito democratico. L'Unità ne farà le spese. "Ho voluto annunciare per tempo ad Antonio Padellaro che avevo intenzione di fare questo passo e, nell'articolo, ho specificato che la presa di posizione è personale. Il giornale unicamente la ospita". Lei milita da senatore in un gruppo politico che ha molti, forse troppi punti di vista differenti dal suo. "Diciamo che mi sento come uno Staterello che sui banchi del Senato a sud confina con Ignazio Marino, eccellente ed equilibrato senatore, a nord con Gerardo D'Ambrosio, al quale confido tutti i miei dubbi quando si tratta di affrontare aspetti giuridici importanti, ad ovest con Franca Rame ed Heidi Giuliani, donne dolcissime e di qualità, ad ovest con Andrea Manzella, maestro del diritto costituzionale". Staterello, appunto. "Non avverto una solitudine tale da non permettermi di ritenere che siano condivise da molti prese di posizione che erroneamente vengono definite estreme. Il rigore estremo è nei confronti del berlusconismo, nella convinzione della necessità di una ferma, convinta e rapida battaglia per l'affermazione di una legge sul conflitto di interessi. Non ritengo, come leggo nel manifesto dei "coraggiosi": gruppo che va da Rutelli a Chiamparino, che la stagione dell'antiberlusconismo sia da seppellire. Voltare pagina, dicono. Anzi, oggi più che mai serve una posizione dura, ferma. Sono i fatti, la cronaca di queste ultime ore, che dicono quanto sia attuale la straordinaria pericolosità di questo personaggio". Già l'accusano e da oggi ancora di più che lei alimenta solo l'antipolitica. "Sono un liberal, la mia vita pubblica l'ho svolta essenzialmente negli Stati Uniti. Desidero, per esempio, che se si è deciso di approvare una legge sui Dico, si vada avanti malgrado la rispettabilissima presa di posizione di una autorevole organizzazione. Chiedo troppo?" Si guardi intorno. "Rutelli è stato uno straordinario sindaco di Roma e ho stima delle sue posizioni. Ma vorrei che valutasse la legittimità della richiesta di ritenere, per esempio, la posizione dei laici almeno pari a quella dei cattolici e delle gerarchie dei cattolici e non come un corsivo a piè di pagina". Se avanza la sua candidatura ritiene inadeguata quella che già c'è. Perché Veltroni non va bene? "Veltroni va benissimo, mi piace e ho ascoltato il suo discorso plaudendo molti passaggi. La mia non è infatti una candidatura alternativa. Ma come? Stiamo facendo il partito democratico, scrutiamo il mondo americano e non ci accorgiamo che negli Usa ci sono mille esempi di personalità che pongono una serie di istanze per arricchire il dibattito politico, completare la piattaforma, concorrere a formare un'opinione più larga". Colombo: ha capito quante firme le servirebbero per poter affrontare la battaglia? "Niente di niente. Non so quante firme servano e non so neppure se è concesso a chi non possiede una scorta di governo (per scorta intendo la strumentazione necessaria, le relazioni organizzate) di avanzare una autonoma candidatura". Avrà presto documentato il conto. "Devo dirle che sebbene venga considerato isolato, e alcune volte lo sono davvero, mi è stata sempre concessa la più ampia libertà di movimento e di parola. Se sono al Senato è perché i dirigenti dei Ds, Fassino e Veltroni in testa, hanno voluto che io fossi candidato in una posizione eccellente. Non bisogna dimenticarlo". C'è Furio Colombo: largo ai giovani. "Ecco, l'età. E' un problema, lo so. Avrei voluto tanto che si potesse dire: do un contributo di innovazione, segno un ricambio generazionale. Ma non è così purtroppo. Però a me tocca fare quel che sento e devo fare". Succeda quel che può. "Vediamo quante mail arrivano, il movimento che si crea. Poi decideremo".


 

+  Il Corriere della Sera 16-7-2007 Vendere cibi adulterati non sarà più reato La depenalizzazione nella bozza del Codice di sicurezza alimentare

Le nuove norme prevedono soltanto multe fino a 100 mila euro. Mario Pappagallo

 

 

MILANO — Le cozze infettate dal virus dell'epatite o, peggio, dal vibrione del colera potrebbero «costare» solo una multa a chi le alleva, pesca e offre in vendita ai consumatori. Da 10mila a 80mila euro al massimo, una volta provata la buona o cattiva fede dell'«inquinatore». Nessun reato penale, nessuna sanzione come il carcere, previsto dalla legge 283 del 1962 attualmente in vigore. La depenalizzazione è inserita nel nuovo Codice della sicurezza alimentare predisposto dal Dipartimento per la sanità pubblica veterinaria, la nutrizione e la sicurezza degli alimenti del ministero della Salute. La bozza del Codice (un decreto legislativo) è stata sottoposta all'esame delle Regioni e dovrà essere discussa al tavolo Stato-Regioni.

Verrebbero abrogate tutte le leggi in materia, accorpate e semplificate. Ma, sorpresa, al Capo VI, quello relativo alle sanzioni, sparisce l'azione penale. In soldoni niente più magistratura di mezzo, fatto salvo in caso di gravi intossicazioni o in caso di morte del malcapitato consumatore di cibo inquinato, adulterato, con un'etichetta non veritiera, e così via. Addio ai sequestri preventivi che scattano per ordine dei pm, come avvenuto nel caso di mucca pazza o delle acque minerali al cloroformio, del pane o della mortadella agli escrementi, dei tiramisù al botulino, del tè cinese al piombo o del miele agli antibiotici. E i famosi blitz dei carabinieri del Nas scatterebbero solo su richiesta di Asl o enti amministrativi.

Un alleggerimento per la magistratura? Senz'altro, ma anche un'arma in meno di prevenzione, perché la sanzione penale è un fortissimo deterrente. Un produttore di vino al metanolo non rischierebbe più il carcere ma una multa che, anche se alta (da mille a 100 mila euro in base al tipo d'illecito), potrebbe anche convenirgli rispetto al guadagno già fatto in modo fraudolento. E se ci scappa il morto? Allora subentra la magistratura (per reati come l'omicidio), ma una vittima non è certo prevenzione. Anzi è la prova di un fallimento nel campo della sicurezza alimentare. Senza contare che, senza informazione o sequestri, mentre si indaga di decessi potrebbero essercene altri.

Di che cosa si occupa la legge 283 destinata all'abrogazione? Solo nella prima metà del 2007, sono state oltre 150 le sentenze della Cassazione relative a reati contemplati proprio dalla 283. Ecco un drammatico elenco-esempio che riguarda reati da 283 commessi o finiti in giudicato negli ultimi 12 mesi: prodotti ayurvedici con troppo piombo o mercurio, tè cinese al piombo, miele agli antibiotici, bevande analcoliche ( soft drink) al benzene, acque minerali con cloroformio o con tetracloroetilene, molluschi e crostacei dell'Est «infetti», pesce fresco ricco di un parassita (anisakis) causa di gravi enterocoliti, animali allevati con ormoni, maiali alimentati con il cromo per renderne le carni più rosse (in apparenza più magre), salmone con additivi per renderlo più arancione, frutta e verdura ai pesticidi. Senza contare frodi come la vendita di prodotti surgelati spacciati per freschi o di cibi contenenti sostanze non indicate in etichetta, se non scaduti e riciclati.

Coinvolti nei reati produttori, importatori, venditori, ristoratori, mense e distributori. Soltanto sabato la procura di Torino ha aperto due inchieste: una su tonno fresco che presenta elevati tassi di istamina (potrebbe scatenarsi una crisi allergica anche in chi allergico non è), l'altra su 67 chili di pane fresco (sfornati da una panetteria di Torino) con escrementi di insetti e roditori.

Un'ultima annotazione: il punto 3 dell'articolo 64 del Capo VI del Codice punisce con una multa da 10mila a 100mila euro (la sanzione più alta prevista dal Codice) «chi comunica o diffonde anche a mezzo stampa informazioni suscettibili di creare panico o allarmismo tra i consumatori». Attenzione: non notizie false, ma solo suscettibili di creare allarmismo. Suona come un «bavaglio» all'informazione che, come è noto, è base della prevenzione e della capacità del consumatore di sapersi autotutelare.

 

16 luglio 2007


 

+  Comincialitalia.net 14-7-2007 RUBBIA: "IL FUTURO E' NEL SOLE" Esclusivo. Lo scienziato spiega la svolta di Roberto De Giorgi

Da tempo Comincia l'Italia, primo tra i media, ha iniziato un 'opera di sensibilizzazione presso i cittadini sui grandi temi del futuro sui quali ci vogliamo incamminare. Tra essi, oltre alle politiche, ci sono le questioni scientifiche. Che non riguardano i partiti, neppure tanto gli Stati, ma le comunità internazionali. Una grande sfida per guardare al futuro.
Pubblichiamo qui un articolo di particolare interesse di Roberto De Giorgi. Il quale non solo traccia un percorso su ciò che si muove, ma indica anche questioni di sistema. Per questo ringraziamo l'articolista del suo impegno e del pregio del suo lavoro.
Redazione di Comincia l'Italia

Nel convegno svoltosi recentemente sul “ritorno di Archimede” si è parlato di solare termodinamico a concentrazione. Questa l’idea su cui punta il premio Nobel Rubbia che è convinto che questa è la via del futuro: l’energia solare. Il futuro è la sostituzione del petrolio con l’energia dal sole. Ma la vera novità presentata al convegno è che il Ministero dell’Ambiente promuove uno sviluppo compatibile nel nostro Paese. Seguendo questa strada, l’Italia deve avviare la costruzione di centrali solari, come già sta facendo la Spagna. Su questa strada, il primo a mettersi è il Presidente della Regione Calabria. Si passa da Archimede a Pitagora, perché una delle possibili zone identificate per la localizzazione della centrale è Crotone, dove potrebbe essere costruita al posto di Europaradiso – una operazione di cementificazione dissennata – in una delle aree compatibili come “zona di interesse comunitario”.

Già nell’attuale Conto Energia ci sono gli incentivi per la costruzione di impianti fino a 100 Mw, già utilizzabili anche per il solare termodinamico, ma l’obiettivo finale è dotarci di una serie di centrali con questa tecnologia. Per questo il Ministro dell’ambiente lavora insieme al ministero per lo Sviluppo Economico per dotarsi di uno strumento legislativo – identico a quello spagnolo – che consenta alle nostre imprese di investire anche in Italia sul solare termodinamico, sapendo che godono delle medesime possibilità che hanno in Spagna.

Ecco cosa ha detto Rubbia: “Ho fatto vedere che effettivamente Archimede aveva ragione, queste navi romane se avesse voluto le avrebbe bruciate, e questo è il primo passo di uno sviluppo tecnologico che ha più di 2000 anni. In realtà questa storia di utilizzare il sole per concentrare la luce è un esercizio che già i ragazzini fanno, quando prendono una lente e cercano di accendere con questa una fiamma. E’ una evidenza assolutamente ovvia che si conosce da migliaia di anni. Si tratta di sfruttare questa caratteristica in un progetto concreto. Un progetto economicamente valido, che abbia le dimensioni necessarie alla grande industria".

"Il solare termodinamico - prosegue lo scienziato - oggi costa 10/11 centesimi al Kwh e si prevede che entro il 2020 si riduca a 6 centesimi al Kwh. Questo non lo dico io, lo dicono la World Bank, il Department of Energy americano e la IEA (International Energy Agency): gruppi estremamente seri, che fanno degli studi di mercato, concludono che effettivamente stiamo avvicinandoci ad una situazione dove il costo del solare termodinamico sarà, senza sussidi, uguale o confrontabile a quello dei fossili.
L’Italia è in una posizione particolarmente difficile per quanto riguarda l’approvvigionamento di energia, compriamo dall’estero il petrolio, il gas naturale e tutto quello che ci serve. Mentre l’energia dal sole è una produzione totalmente indigena, quindi non utilizzando il sole buttiamo via una delle risorse naturali del nostro Paese.

Rubbia indica le capacità energetiche: "La quantità di energia solare disponibile è circa 10.000 volte superiore a quella di cui il Pianeta avrebbe bisogno se marciasse sul principio dell’energia solare a concentrazione. Quindi abbiamo una dote naturale straordinaria, che spesso non abbiamo utilizzato, che mettono l’Italia, la Spagna ed i paesi del Mediterraneo assolutamente in primo piano. Sarebbe un errore grave dimenticare le differenze che fanno sì che i paesi del sud dell’Europa possono diventare una vera e propria sorgente di energia.
Il solare termodinamico ha l’accumulo, come l’idroelettrico. Nell’idroelettrico c’è la diga, nel termodinamico c’è il liquido caldo ed ambedue hanno la stessa funzione, quella di separare il momento in cui esiste la pioggia (nel caso dell’idroelettrico) o la luce solare (nel caso del termodinamico) con il momento in cui c’è il bisogno di consumo da parte dell’utilizzatore. Noi siamo abituati a premere l’interruttori anche alle 4 del mattino e c’è la corrente, questo lo si può fare soltanto con un accumulo. Il solare termodinamico quindi è in una situazione analoga a quella dell’idroelettrico. Nell’idroelettrico c’è la diga, l’acqua e la turbina, nel caso nostro c’è lo specchio, il liquido e la turbina".

Prendiamo un esempio tipico: l’Arabia Saudita. "E’ un luogo dove il solare marcia bene - spiega Rubbia -. Però è anche un luogo dove c’è molto combustibile, c’è un sacco di petrolio e gas naturale. Ebbene la quantità di energia che l’Arabia Saudita riceve sotto forma di sole è mille volte la quantità di energia che lo stesso paese produce oggi con combustibili fossili.
Un millesimo della superfice dell’Arabia Saudita con specchi, permetterebbe di produrre, indefinitivamente, la stessa energia primaria totale che oggi si realizza nel paese che ha la più grande produttività mondiale di petrolio e gas naturale".

Parliamoci chiaro, se non ci fossero alternative ai fossili, il futuro della nostra umanità sarebbe in grave pericolo. Cosa faremo all’ultima goccia di petrolio, se non ci fosse un’alternativa coerente? "Noi, come scienziati, oggi stiamo lavorando per prepararci a questo nuovo passo che è fondamentale: non ci sarà pace, non ci sarà felicità, non ci saranno soluzioni possibili se non ci sarà energia abbondante ed a basso costo. Noi abbiamo un orologio che ogni giorno sta contando il count down; i fossili prodotti naturalmente dalla natura in un milione di anni oggi si bruciano in un anno.”


 

+  La Repubblica Affari e Finanza 16-7-2007 Oltre il giardino I costi del capitalismo oltre a quelli della politica di ALBERTO STATERA

 

In Italia si sa una poltrona non si nega a nessuno, tanto che quelle piccole e grandi di origine politica, secondo calcoli prudenziali hanno ormai superato le 400 mila, accrescendo smisuratamente i vituperati "costi della politica". Ma il vizio non è soltanto della politica. Se i costi politici sono addebitati a tutti noi, i costi dell'impresa, sono sul conto dei piccoli azionisti risparmiatori, a cominciare dalle cifre stratosferiche delle stockoption assegnate, (autoassegnate) a manager spesso largamente sopravvalutati. Quanti sono, ad esempio, e quanto costano agli azionisti i consiglieri d'amministrazione delle società quotate in borsa? Pare che nessuno sappia dirlo con precisione, ma è certo che la tendenza è all'aumento del numero e delle prebende, complice, tra l'altro, il nuovo sistema della cosiddetta "governance duale", che raddoppia le torri di comando accentuando i rischi "Babele". Come avviene, ad esempio, in Mediobanca con due presidenti, uno non qualunque (si chiama Cesare Geronzi) al vertice del Consiglio di sorveglianza, che rappresenta gli azionisti, e l'altro, affiancato da un consigliere delegato, alla guida del Consiglio di gestione fatto di manager. Il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi ha denunciato all'assemblea dell' Abi il rischio che la moltiplicazione delle poltrone di vertice faccia smarrire "chiarezza di obiettivi, razionalità nella divisione delle responsabilità" a danno dell' "orientamento nelle scelte aziendali". Il presidente della Consob Lamberto Cardia ha segnalato le "dimensioni ipertrofiche" dei consigli d'amministrazione e ha avvertito che l'adozione del sistema dualistico rischia di peggiorare l'ipertrofia, aumentando i costi e riducendo la responsabilizzazione dei consiglieri. I dati forniti da Cardia sono significativi: nelle grandi società italiane quotate in borsa il numero medio dei consiglieri d'amministrazione è 14,3, contro i 10,8 delle maggiori società inglesi; il 60 per cento delle società britanniche ha meno di 12 consiglieri, mentre in Italia, al contrario, il 70 per cento ne ha più di 12. Quanto ai consiglieri cosiddetti "indipendenti", in Inghilterra sono la quasi totalità, con l'esclusione di quelli con incarichi esecutivi, mentre da noi sono solo il 60 per cento. E' il modello di controllo delle società che determina le dimensioni dei consigli d'amministrazione, come dimostra il fatto che le società controllate attraverso patti di sindacato hanno in media tre consiglieri in più rispetto alle società controllate di diritto, e due in più rispetto a quelle controllate di fatto. La moltiplicazione delle poltrone, accentuata dalla governance duale applicata in caso di fusioni che sommano gli eserciti di consiglieri d'amministrazione invece di sfrondarli, è più intensa nella banche e , soprattutto, nelle assicurazioni. Il 90 per cento delle imprese assicurative ha un consiglio d'amministrazione composto da più di dieci persone, contro il 70 per cento delle banche e poco più del 30 per cento delle società industriali. Riguarda tutti, invece, l' "interlocking", cioè il fenomeno dei "pluriconsiglieri", quelli che fanno parte di vari consigli d'amministrazione, talvolta in conflitto d'interessi tra loro, con il rischio di danneggiare gli azionisti di minoranza. Su 162 società, più del 50 per cento dei consiglieri ha cariche in altre società quotate in borsa. Gli effetti "Babele" della governance duale, di cui uno dei padri è considerato il notaio Piergaetano Marchetti, si sono già manifestati in Mediobanca e in altri casi meno noti, come quello delle ex municipalizzate di Milano e Brescia, Aem e Asm, dove per mettere d'accordo gli azionisti si sono fatti non solo due presidenti, ma anche due direttori generali con gli stessi poteri. Quale nefandezza non si compirebbe e non solo in politica per moltiplicare le poltrone, nel paese della poltronite ? a.statera@repubblica.it.


 

Notizie.alice.it 16-7-2007 GIAPPONE/ TERREMOTO DI MAGNITUDO 6,8 PROVOCA 160 FERITI Epicentro avvertito al largo di Niigata, a 256 km da Tokyo

 

Tokyo, 16 lug. (Ap) - Dopo il tifone Man-Yi, il terremoto. Finita l'allerta per il ciclone che ha provocato 3 morti, decine di feriti e migliaia di sfollati nel fine settimana, il Giappone si è svegliato con una scossa di terremoto di magnitudo 6,8 della scala Richter, con epicentro nel mare a 10 metri di profondità, al largo di Niigata, sull'isola di Honshu.

Secondo un primo bilancio provvisorio, ci sarebbero almeno 160 feriti. Decine di case in legno sarebbero crollate nei pressi dell'epicentro. Danni a strade costiere e ponti. Lanciato l'allarme tsunami dall'agenzia meteorologica giapponese lungo le coste della prefettura di Niigata, per onde comunque rimaste sotto i 50 centimetri.

L'agenzia meteorologica giapponese ha rilevato la scossa alle 10.13 ora locale (le 3.13 in Italia), avvertita anche a Tokyo, distante 256 chilometri dall'epicentro.

Dopo la scossa più forte, ne sono state avvertite altre di assestamento, nessuna superiore ai 4,2 gradi della scala Richter.

A Tokyo, sospeso il servizio dei treni superveloci che collegano la capitale alle città del nord. Fermati i tre reattori nucleari presenti nelle zone dove la scossa è stata avvertita. Un incendio si e' sviluppato all'impianto di trasformazione dell'elettricita' nella centrale di Kashiwazaki, a pochi chilometri dall'epicentro. I tecnici hanno assicurato che non c'è alcun rischio nucleare. Sempre a Kashiwazaki, 35.000 abitazioni sono rimaste senza gas.

Il primo ministro Shinzo Abe, che si trovava nel sud del Paese per la campagna elettorale in vista delle prossime elezioni politiche, sta tornando a Tokyo e predisporrà una "task force", stando alle ultime indiscrezioni diffuse dalle televisioni giapponesi.

Il 23 ottobre del 2004, un altro terremoto di magnitudo 6,8 colpì Niigata, provocando 67 vittime e 3.000 feriti.


 

 

Il Corriere della Sera 16-7-2007 Giappone: incendio a centrale nucleare dopo terremoto

 

TOKIO - Un incendio si e' sviluppato a un impianto di trasformazione dell'elettricita' in una centrale nucleare nel nord ovest del Giappone, dopo che la zona e' stata colpita da un forte terremoto di magnitudo 6.6. Lo riferisce la tv Asahi, che trasmette immagini con del fumo nero che si innalza dall'impianto alla centrale nucleare di Kashiwazaki Kariwa, nella provincia di Niigata, circa 250 km a nord ovest di Tokyo. (Agr)


 

Notizie.alice.it 16-7-2007 MESSICO/ TERREMOTO DI 6,1 GRADI RICHTER IN CHIAPAS

 

Non ci sarebbero né feriti né danni

Città del Messico (Ap) - Una scossa di magnitudo 6,1 sulla scala Richter ha colpito nella notte il Chiapas, in Messico. Non ci sarebbero né feriti né danni.

L'epicentro è stato localizzato nei pressi della capitale dello stato, Tuxtla Gutierrez, 690 chilometri a sud-est di Città del Messico. La città sarebbe rimasta senza elettricità.


 

Il Secolo XIX 16-7-2007 Bilancio sociale Novi Ligure. Quale è il costo della politica a Novi? Oggi i novesi possono controllare direttamente come vengono impiegati i fondi pubblici attraverso il bilancio sociale che è stato pubblicato recentemente e che è accessibile a tutti anche on line.

 

Tra le tante informazioni, sfogliando la documentazione inerente al consuntivo 2006, si può scoprire a quanto ammonta lo stipendio di sindaco e assessori e dei consiglieri e quanto sborsa ogni cittadino per questa spesa. Il costo della giunta è stato pari a 169.220,32 euro nel 2006 mentre nel 2005 era stato di 183.986,39 mentre il gettone di presenza per i consiglieri comunali complessivamente è stato, per l'anno passato, di 14.379,19 euro a fronte dei 22.296,02 del 2005. Complessivamente l'assise comunale è costata alla collettività 183.599,51 euro. Ogni abitante ha dovuto spendere procapite per gli assessori 5,96 euro nel 2006 (6,49 nel 2005) e 0,51 per i consiglieri comunali. "Il bilancio sociale- dice l'assessore alle finanze Germano Marubbi- ha l'obiettivo di rendere maggiormente leggibili e confrontabili le informazioni relative alla macchina comunale". Da quest'anno il bilancio sociale ha un'altra novità ovvero il bilancio di Genere o delle pari opportunità: una innovazione fortemente voluta dalle donne dell'ufficio ragioneria. Curiosando in questo paragrafo si scopre che la popolazione novese ha una forte componente femminile, le donne sono 14820, gli uomini 13550. Alle urne, nelle ultime consultazioni elettorali, si sono recate 12491 donne e 11240 uomini. Marzia Persi 16/07/2007.


 

Il Giornale di Vicenza 16-7-2007 IRAQ. Il presidente annuncia il veto su qualsiasi piano sull'intervento da parte del Congresso Bush sempre più solo "Guerra ormai persa"

 

BAGHDAD Mentre il premier iracheno Nouri al Maliki comunica alla Casa Bianca che gli americani se ne possono andare "in qualsiasi momento", gli Stati Uniti perdono la voglia di vincere in Iraq. Per due americani su tre l'escalation decisa in gennaio dal presidente George W. Bush è stata un fiasco, rivela un sondaggio di Newsweek da cui emerge anche che sette americani su dieci bocciano il modo con cui Bush sta conducendo la guerra. I militari Usa morti in Iraq hanno superato quota 3.600 e, se anche una vittoria fosse tatticamente raggiungibile sul terreno, la guerra sembra ormai perduta in patria. La settimana scorsa, tuttavia, Bush ha annunciato che metterà il veto a qualsiasi progetto legislativo sulla condotta della guerra che venga approvato prima di settembre quando è atteso il rapporto del generale David Petraeus e dell'ambasciatore a Baghdad Ryan Crocker. Il dibattito sulla guerra tornerà di prepotenza in Senato nei prossimi giorni: tra le proposte sul tappeto c'è quella dei senatori repubblicani Richard Lugar e John Warner per una nuova autorizzazione della guerra. Un'altra repubblicana, Susan Collins, ha presentato un testo per un ritiro graduale fin da ora delle truppe da combattimento. Nella serata di ieri, intanto,Yassin Majid, un collaboratore del primo ministro iracheno Nouri al Maliki ha riferito che il premier è stato frainteso quando ha affermato che le forze irachene sono in grado di rilevare la gestione della sicurezza dagli Stati Uniti e che le truppe Usa potrebbero andar via quando vogliono. Al Maliki aveva detto ai giornalisti che esercito e polizia iracheni sono in grado di mantenere la sicurezza quando le truppe Usa se ne andranno, "in ogni momento che vogliono". "Affermiamo che siamo in grado di assumerci la responsabilità nella gestione del dossier sicurezza se le forze internazionali si ritirassero, in qualunque momento volessero", le parole del primo ministro. IL PREMIER AL MALIKI, Il capo del governo ha fatto sapere di essere stato frainteso, Baghdad "in qualunque momento può assumersi la responsabilità nella gestione della sicurezza se le forze militari internazionali si dovessero ritirare".