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Archivio Piccola Rassegna 1/15 marzo 2007


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INDICE  1/15 Marzo 2007

 

15-3-2007

14-3-2007

13-3-2007

12-3-2007

11-3-2007

10-3-2007

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8-3-2007

7-3-2007

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3-3-2007

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1-3-2007

 


 

INDICE 15-3-2007

++ La Repubblica 15-3-2007 Fioroni: "telefonini spenti a scuola"  Altrimenti scattano le sanzioni

++ La Stampa 15-3-2007  REPORTAGE  Il miracolo delle tessere. La minoranza Ds all'attacco: "Volete un partito-Stato con la Dc" Antonella Rampino

++ La Repubblica 15-3-2007 Moratti, Berlusconi, Alberini e l'insicurezza a Milano

++ La Repubblica 15-3-2007 Cebit 2007, l'hard disk è scomparso mini portatili con memoria flash Di Andrea Di Stefano

+ Il Corriere della sera 15-3-2007 «Il Canada vieta il voto agli italiani» Lo riporta il settimanale Diario in edicola venerdì

La Stampa 15-3-2007 15/3/2007 (8:18) - MERCATI  Allarme mutui sulle borse. La crescita delle insolvenze negli Usa contagia l'Europa che brucia 226 miliardi Francesco Spini 1

La Stampa 15-3-2007 Steve Hanke "L’immobiliare si avvia verso 18 mesi di saldi”  2

Il Riformista 15-3-2007 Intercettazioni, è il momento di dire basta  3

La Stampa 15-3-2007 Pensioni, le minime verso l'aumento Stefano Lepri 4

Tempo medico on line 15-3-2007 Costano care le disuguaglianze nella salute, costano la vita. 4

La Nuova Venezia 15-3-2007 Il mondo della cultura contro la base USA  5

 


++ La Repubblica 15-3-2007 Fioroni: "telefonini spenti a scuola"  Altrimenti scattano le sanzioni


ROMA - Cellulari spenti in classe durante le ore di lezione. Per i trasgressori scatteranno sanzioni disciplinari compresa quella del ritiro temporaneo del cellulare durante le ore di lezione e la restituzione, ove occorra, in presenza dei genitori. E' quanto prevedono le linee guida sull'uso dei cellulari a scuola e sulle sanzioni disciplinari per episodi di particolare gravità emanate oggi dal ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni.

"Le linee di indirizzo - ha spiegato il ministro in una conferenza stampa - scaturiscono dalla necessità di rendere cogente nel più breve tempo possibile il divieto dell'uso del telefonino nelle classi e la possibilità da parte dei docenti di ritirarli fino al termine delle lezioni. Il divieto dell'uso del cellulare durante le lezioni - ha ricordato il ministro - è già normato, ma ora diventa cogente da subito". Fioroni ha ribadito ancora una volta che, invece, il divieto di accesso a scuola dei telefoni cellulari va regolamentato per legge".

(15 marzo 2007)

 


++ La Stampa 15-3-2007  REPORTAGE  Il miracolo delle tessere. La minoranza Ds all'attacco: "Volete un partito-Stato con la Dc" Antonella Rampino

ROMA
Alla fine, l’unica cosa certa è che Piero Fassino vincerà il congresso. La maggioranza del segretario è salda, e veleggia nei dati ufficiali ancorché non definitivi del Botteghino al momento ben oltre il 75 per cento. Ma da quando le sezioni della Quercia hanno aperto i battenti, con le tre mozioni congressuali depositate, perché gli iscritti possano esaminarle, discuterle anche coi leader, e infine votarle, in casa diessina è successo veramente di tutto. Ricorsi a valanga alla commissione garanzia, decine di pratiche aperte alla commissione comunemente detta (non a caso) «vigilanza congressi», riunioni-fiume delle medesime, con faldoni e insulti che volano e le minoranze che se ne vanno sbattendo la porta. «Questo, nel nostro partito non era mai successo, mai in queste proporzioni», accusa Gavino Angius, titolare con Mauro Zani ed Alberto Nigra della mozione che vorrebbe almeno discutere se davvero, e come, i diesse debbano sciogliersi nell’abbraccio con la Margherita.
Quercia in subbuglio, da Bologna in giù, conferma Lalla Trupia, l’ex «ragazza di Berlinguer» che presiede il collegio dei garanti e appartiene alla sinistra che candida Fabio Mussi come segretario, «con la sola eccezione del Nord, dal quale non abbiamo avuto alcun ricorso». Ma per il resto, l’entusiasmo per il nuovo Partito Democratico, come lo valuta il fassiniano Migliavacca, ha intanto curiosamente prodotto qualcosa come 30 mila tessere in più. Tempestini, della segreteria politica, segnala il successo di Fassino e sul resto ci sono gli organismi di garanzia.
Ma è un bollettino di guerra. Una quantità di «anomalie». Iscrizioni gonfiate, accusano le minoranze. Perché è chiaro, sottolinea Nigra, «se Fassino invece di vincere, stravince, non avrà davvero nessun ostacolo, nemmeno una discussioncina sulla via del Partito Democratico». Uno dei casi più vistosi, Vibo Valentia-Catanzaro, dove ci sono «sezioni morte», cioè senza nemmeno un iscritto, come a Brognaturo, Pannaconi, Ionadi 2, Motta, Filocastro, Comparni, Nicotera 2, Simbario, improvvisamente si son precipitate a iscriversi 23, 39,45 anche 60 persone. A Caserta, da 2800 si arriva a 8.300, in un solo mese, e poi via di slancio a 9.800. Siccome il rischio è che la commissione garanzia annulli le tessere nuove e riporti tutto alla situazione del 2004, a un certo punto a Caserta sembravano anche andati persi i cedolini del tesseramento di quell’anno. Poi c’è il caso-Siracusa, da 1.500 a 4.000. A Lentini, da cento a mille. A Gela, da 400 a 800. E via dicendo, Taranto, Messina, Avellino.
Ventuno federazioni al di sotto di ogni sospetto. E poi Roma: in pochi mesi, da 12.000 a 15.000 tessere, si è fatta onore la più celebre sezione del centro storico, quella di Via dei Giubbonari, dove transita la crème del partito: da 200 a 420. E ieri sul tavolo di Fassino è arrivata una lettera in cui l’onorevole Raffaele Aurisicchio da Avellino gli racconta quel che è successo nella sezione di Calitri l’11 marzo scorso: «Un compagno amministratore del Comune ha detto di aver ricevuto pressioni dai bassoliniani, se non voti per Fassino, gli hanno detto, i finanziamenti della Regione te li puoi scordare...».
Poi ci sono le Regioni rosse. «Da noi nessun tesseramento gonfiato» dice orgoglioso Mauro Zani, che una volta rappresentava a Botteghe Oscure tutto il peso (anche finanziario) dell’Emilia-Romagna, «però c’è una mobilitazione parossistica: vota gente che non s’è mai vista metter piede in sezione, e gli anziani li vanno a prendere anche a casa...». Infatti, «ricordo un caso in cui al dibattito sulla mozione Fassino c’erano in sala al massimo 120 persone, e il giorno dopo a votare erano in 504», conferma Trupia. Risultato: a Bologna Fassino sta sull’87 per cento, Mussi al 4,3, Angius al 7,3, «ma è un successone, perché noi un mese e mezzo fa non esistevamo».
E le polemiche, poi: Katia Zanotti del Correntone ha denunciato «pressioni e intimidazioni sui segretari di sezione» da parte dei fassiniani, e in effetti così era andata con Gabriella Ercolini rea di aver mostrato propensione per Angius e Zani. A Scandicci, vicino Firenze, le operazioni in sezione sono invece cominciate in ritardo rispetto alla metà di febbraio prevista perché il segretario (fassiniano) aveva convocato tutti gli iscritti invitandoli a votare «per il Partito Democratico», e purtroppo proprio così si intitola la mozione di Fassino.
Il fatto è che il congresso nazionale di Firenze, se Fassino come previsto vince nei congressini, sarà di pura celebrazione delle sorti magnifiche e progressive del Partito Democratico. «Il nostro congresso ormai è un votificio», dice Angius. «La maggioranza vuole il Pd per farne un partito-Stato, come era la Dc», accusa Alberto Nigra. Amarezza, rabbia: questo si sente, a parlare con le minoranze. E corre voce che la sinistra di Mussi potrebbe anche arrivare a non partecipare al congresso, quello «vero». Di certo «il 29 riuniremo i nostri delegati e decideremo il da farsi», dice Alfiero Grandi. Fassino, D’Alema, lo stesso Veltroni sono però stati letteralmente acclamati, in giro per l’Italia. A Firenze, una sera in una convention, il Partito Democratico ha perfino preso l’83 per cento dei voti. Ma era un sondaggio: si votava col telecomando.


++ La Repubblica 15-3-2007 Moratti, Berlusconi, Alberini e l'insicurezza a Milano. Di Ilvo Diamanti

Rubriche » Bussole


Può sembrare inconsueta l'iniziativa del sindaco di Milano, Letizia Brichetto Moratti, di promuovere una manifestazione per la sicurezza dei cittadini. In aperta contestazione con la disattenzione del governo Romano. E può, forse, suggerire commenti ironici l'adesione del consigliere comunale Silvio Berlusconi.

Ma è difficile negare che Milano, oggi, è un'emergenza. Bastano un po' di numeri, ricavati dalle graduatorie sul benessere (sic) degli italiani, compilate ogni anno dal Sole 24 Ore, in base a indicatori statistici "strutturali". E quindi non opinabili. Nella classifica dedicata alla sicurezza, la provincia di Milano (di cui la città costituisce gran parte), nel 2006, si poneva al 102° posto. Penultima. Più sotto, solo Bologna (magari Cofferati, che, da ex-sindacalista, ha consuetudine con le manifestazioni di massa, potrebbe seguire l'esempio). Insomma: Milano è peggio di Napoli (anche se i media non le hanno riservato lo stesso trattamento). Più in particolare: è al 99° posto in Italia, per rapine denunciate, al 101° per furti d'auto, scippi e borseggi, all'86° per percentuale di crescita dei reati negli ultimi anni. Le forze dell'ordine sono del tutto insufficienti ad affrontare una situazione così critica. Tanto che il 95% dei furti e il 70% delle rapine restano impuniti.

Insomma, ha mille ragioni, il Sindaco Letizia Brichetto Moratti a mobilitare i cittadini, per scuotere questo governo disattento. D'altronde, la Moratti è una lady di ferro. Non ha mai esitato ad esporsi. Come l'anno scorso, quando, insieme al padre, vecchio partigiano, si recò alla manifestazione del 25 aprile. Da cui venne allontanata, a causa delle proteste di sedicenti antifascisti, capaci di mischiare l'antifascismo con l'intolleranza (e la stupidità).

Stavolta, però, non ci saranno contestazioni. La criminalità, infatti, è fra i problemi che preoccupano maggiormente i cittadini, nel Nord, soprattutto in Lombardia (Demos, novembre 2006). La Moratti preferisce, quindi, diventare (e brandire) la bandiera dell'insoddisfazione popolare, per non divenirne il bersaglio. Diversamente dal sindaco che l'ha preceduta, Gabriele Albertini. Anch'esso di Forza Italia. Anch'esso a capo di una giunta di centrodestra. Eppure Albertini avrebbe avuto motivi forse anche più validi per mobilitare la piazza, negli anni scorsi. In fondo, nel 2001, quando fu rieletto sindaco, Milano, nella graduatoria della sicurezza, era posizionata molto, ma molto meglio. Al 46° posto. Insomma: a metà classifica. Una realtà sicura, per essere una metropoli. Ma un anno dopo era scesa già al 69°. Poi, il crollo. Il 99° posto, nel 2005. Il 102°, nel 2006.

Albertini avrebbe dovuto - lui per primo- mobilitare i cittadini, proclamare un Security Day. Fra il 2001 e 2006. Ma non l'ha fatto. Un Security Day, a Milano, venne organizzato nel 1999. Ma si trattò di una manifestazione "nazionale" di FI. Contro il governo "nazionale". Al tempo (occasionalmente) di centrosinistra.

Altra personalità e altro stile, lady Letizia. Fosse stato sindaco lei, avrebbe organizzato prima, questa manifestazione. Due, forse tre anni fa. E avrebbe marciato, con Silvio Berlusconi a fianco. Per protestare contro il governo romano. Guidato da Silvio Berlusconi (milanese, patron del Milan). Di cui era esponente (autorevole) un ministro milanese. Letizia Brichetto Moratti.

(15 marzo 2007)


++ La Repubblica 15-3-2007 Cebit 2007, l'hard disk è scomparso mini portatili con memoria flash Di Andrea Di Stefano

Fino a domenica la Fiera tecnologica di Hannover: 400mila visitatori, più di 6000 aziende provenienti da 77 paesi

HANNOVER - Anche l'era dell'hard disk è finita. Lo sviluppo delle nuove nanotecnologie nel campo dei microprocessori e delle memorie ha decretato il pensionamento anticipato del disco fisso, quell'unità presente in tutti personal computer dove vengono conservati i dati personali e che è conosciuta come hard disk. Al Cebit, la più importante fiera dell'Information technology che si è aperta oggi ad Hannover, i veri protagonisti sono diventati gli SSD, solid state drives, che altro non sono che piccole schede di memoria flash, e la porta USB che grazie agli sviluppi tecnologici è destinata a diventare il principale punto di accesso al mondo digitale.

La Sasmung, che è leader nella produzione di memorie flash, ha presentato il primo Ultra Mobile PC, un portatile touch screen che pesa solo 690 grammi con uno spessore di 24 millimetri, monta il nuovo sistema operativo Vista oltre a due camere (una sul fronte che svolge le funzioni di webcam e una sul retro che rappresenta una fotocamera digitale), connettività senza fili Hsdpa, Wi-Fi e in prospettiva Wi-Max. Il nuovo portatile della Samsung è la prima concretizzazione degli effetti delle nanotecnologie nel mondo hi-tech: chip più potenti in spazi sempre più piccoli ma anche funzioni software montate sempre di più all'interno dei microprocessori. Nella seconda parte dell'anno il gruppo coreano lancerà il primo portatile privo di disco fisso: al suo posto una memoria fash da 32GB.
Accanto alla Samsung tutti i produttori di schede e pennine puntano sulla disponibilità di memoria a costi sempre più bassi: la SanDisk al Cebit ha presentato una scheda SSD sottile come una carta di credito in grado di sostituire un hard disk da 32GB. I prezzi delle memorie flash sono destinati a scendere sempre di più permettendo a questi prodotti di andare a conquistare il 50% del mercato dei pc portatili entro il 2013 secondo le stime della società di ricerche In-Stat.

Le novità come sempre al Cebit non mancano, anche se la corazzata tedesca mostra vistosi segni di debolezza di fronte all'aggressività di internet. Da oggi sino a domenica nei padiglioni del quartiere fieristico sono attesi più di 400000 visitatori che potranno visitare gli stand di più di 6000 aziende provenienti da 77 paesi. Ma dopo lo scoppio della bolla nel 2001 il numero degli espositori si è letteralmente dimezzato e ora è attestato ad un terzo del livello record raggiunto nel 2000. Per una fiera che ha celebrato nel 1965 il lancio del primo computer realizzato dalla Nixdorf e nel 1987 il primo cellulare Gsm della Nokia l'assenza di grandi aziende come la stessa multinazionale finlandese insieme a Philips, Motorola e Canon mette in evidenza da una parte il ruolo crescente degli eventi specializzati, come il GsmCongress di Barcellona o il Consumer Electronic Show di Las Vegas, e dall'altra il ruolo della Rete dove gli stand sono virtualmente aperti 24 ore su 24, 365 giorni l'anno.

(15 marzo 2007)


+ Il Corriere della sera 15-3-2007 «Il Canada vieta il voto agli italiani» Lo riporta il settimanale Diario in edicola venerdì

 

«Il Canada vieta il voto agli italiani»

Il governo teme la richiesta da parte di altre comunità straniere con il rischio di aprire contenziosi diplomatici. Il deputato Bucchino: «Potrebbero esserci altre sorprese»

 

MILANO - Il difficile equilibrio tra accoglienza delle minoranze e relazioni diplomatiche con i Paesi di provenienza è al centro di un provvedimento preso recentemente dal governo canadese e che verrà formalizzato tra qualche giorno. Una decisione ufficiale di Ottawa che tocca anche la politica italiana: lo stop all'elezione presso rappresentanze politiche straniere di cittadini residenti nel territorio canadese. La notizia che qui anticipiamo è stata raccolta dal Corriere Canadese, giornale online di lingua italiana, è riportata nel numero di venerdì del settimanale Diario.

MARZIANI - «La decisione è arrivata come un pugno nello stomaco, anche se in molti non negano un sentore legato a una serie di episodi, di conversazioni negate e di indifferenze da parte dei due Paesi che già nel novembre del 2005 avevano siglato l'accordo storcendo il naso» scrive il settimanale. Ma il fatto scatenante sarebbe la possibilità che comunità "a rischio" come quella cinese e quella indiana pretendano lo stesso diritto, aprendo contenziosi diplomatici di difficile soluzione. L'articolo, a firma Paola Bernardini, caporedattore del Corriere Canadese e corrispondente di Diario, riporta le reazioni del deputato Gino Bucchino (Unione), eletto appunto con il voto degli italiani all'estero: «Me lo aspettavo, il Canada ha autorizzato la campagna elettorale e l'elezione di un rappresentante nel governo italiano (nella tornata dell'aprile 2006, ndr) solo all'ultimo momento perché è stato un calcolo elettorale». Bucchino poi avverte: «Spesso nel Parlamento italiano siamo visti come marziani, ma non so ancora se la partita è davvero chiusa. Attenzione però, potrebbero esserci delle sorprese». Vale a dire, scrive la giornalista, che anche gli Stati Uniti e l'Australia potrebbero seguire l'esempio Canada mettendo definitivamente la parola fine al voto all'estero.

LA PERPLESSITA' DELL'AMBASCIATORE - Un'altra opinione sull'argomento è riportata dal giornale locale Embassy, ed è attribuita dall'estensore dell'articolo Angelo Persichilli all'ambasciatore italiano, Gabriele Sardo. Il diplomatico non commenta direttamente quella che viene definita una decisione non ancora ufficiale (l'annuncio formale, secondo Embassy, è atteso a giorni ma il primo ministro di Ottawa Stephen Harper avrebbe già emesso il suo parere) ma dice a Persichilli che «apprezza l'interessamento canadese, ma sono un po' deluso perchè una richiesta di dialogo da parte mia e del nostro viceministro degli esteri Danieli non sono state recepite. E questo non è il livello di relazioni che ci si aspetta tra due Paesi alleati e amici».

15 marzo 2007


La Stampa 15-3-2007 15/3/2007 (8:18) - MERCATI  Allarme mutui sulle borse. La crescita delle insolvenze negli Usa contagia l'Europa che brucia 226 miliardi Francesco Spini

MILANO
Gli americani si ritrovano in difficoltа nel ripagare i mutui-casa. E nelle Borse di mezzo mondo si scatenano le vendite. Non bastavano dunque i 272 miliardi di capitalizzazione andati in fumo due settimane fa sull’onda del crollo di Shanghai: ieri i listini europei ne hanno persi altri 226. A scatenare la nuova ondata di vendite sono stati i dati relativi alle insolvenze relative ai mutui-casa, che nell’ultimo trimestre del 2006 sono salite dal 4,67% al 4,95%. Il vero panico, perт, и scattato quando gli operatori hanno letto i numeri sui cosiddetti «subprime mortgage», i prestiti ipotecari concessi, a fronte di tassi piщ elevati, a soggetti con un minore affidabilitа. Qui l’incidenza delle rate saltate и salita al 13,3%.
Sul mercato sono quindi scattati tutti i ragionamenti del caso. Il primo, e piщ urgente, ha riguardato il settore finanziario pesantemente colpito per la sua esposizione sul business dei mutui ad alto rischio, peraltro presenti pure nel portafoglio di hedge fund e degli investitori sotto forma di cartolarizzazioni. Societа poco conosciute ai piщ, come la specilizzata New Century Financial, rischiano il crack. A catena temono impatti negativi le banche finanziatrici di tali societа e pure un colosso come Lehman Brothers, pur presentando utili a mille, ammette le difficoltа nel settore immobiliare.

Il secondo, invece и di natura sistemica. Con una semplice equazione: la gente in difficoltа nel ripagare il mutuo necessariamente tenderа a raffreddare i consumi, minando quindi le prospettive economiche di Washington. Basta poco, dunque, a spiegare il perchй di quel -1,97% con cui due sere fa il Dow Jones di Wall Street ha dato il via al secondo giorno nero di questo 2007, seguita dalle principali piazze asiatiche. Il dato complessivo lo offre ieri il Dj Stoxx 600, che raggruppa i principali titoli del Vecchio Continente: -2,66%, 226 miliardi andati in fumo. Milano non manca all’appello di questo nuovo collasso. L’S&P/Mib, che riunisce i titoli piщ «pesanti», lascia sul campo il 2,45%, il piщ generale Mibtel il 2,23. All’estero suona la stessa musica, con Parigi in calo del 2,52%, Francoforte che cede il 2,66% e Londra a -2,61%.

Ma sul mercato non и ancora panico totale, tanto che il Dow Jones ieri va al recupero a +0,48%, assieme al Nasdaq, a +0,9%. «La situazione sembra analoga a quanto successo tra maggio e giugno del 2006: in successione ci furono una correzione, una fase di assestamento, un nuovo ribasso. Poi il mercato tornт a salire», spiega Antonio Cesarano, a capo della research & strategy di Mps Finance. Lo scenario «resta rialzista, anche se restano le incognite sul mercato immobiliare, che potrebbero riperquotersi sui consumi».

Prima di gridare alla catastrofe, perт, occorre dell’altro. Spiega Alessandro Nilo, strategist del Fad Credem: «Solo con dati allarmanti sulla disoccupazione accompagnati da un brusco movimento al ribasso dei rendimenti decennali dei titoli di Stato americani ci sarebbe veramente da preoccuparsi». Per il momento, secondo Nilo, «stiamo assistendo a una normale scossa di assestamento, positiva per il mercato, che potrа rimbalzare, finchй la situazione non peggiori davvero».

E alla fine, conta anche un certo realismo. «Quello azionario - ricorda Mario Spreafico, direttore investimenti di Citigroup - и un mercato che cresce quasi ininterrottamente da quattro anni. Rispetto a prima le azioni oggi sono meno competitive, a livello di rendimenti, delle obbligazioni. In Europa perт il contesto economico migliora, la crescita degli utili permane. Anche per questo questa ha tutta l’aria di una correzione quasi fisiologica tesa a trascinare le valutazioni su livelli piщ attraenti».


La Stampa 15-3-2007 Steve Hanke "L’immobiliare si avvia verso 18 mesi di saldi”

CORRISPONDENTE DA NEW YORK

Docente alla Johns Hopkins University e ex consigliere economico di Ronald Reagan, Steve Hanke legge la tempesta sui mercati finanziari come la sovrapposizione di due bolle speculative, dicendosi però sicuro sulla possibilità che il settore immobiliare americano ritrovi il proprio equilibrio.

I mercati sono scossi dall’impatto della bolla immobiliare?
«In realtà di bolle ve ne sono due. Una riguarda il mercato immobiliare in America, che da tempo è in una fase di rallentamento. E un’altra riguarda i crediti finanziari che sono andati per anni al settore immobiliare, concessi in maniera spesso superficiale. Qualcosa del genere, questa sovrapposizone fra le due bolle, si è verificato anche in Europa e in particolare in Gran Bretagna».

Quali sono gli scenari?
«Siamo nella fase nella quale si appurano le scorte di beni immobili. Quanti ne sono rimasti da vendere, quanti ne richiede il mercato e quanti degli investimenti fatti, dei mutui concessi, possono sperare di rientrare e di ottenere profitti. Servirà del tempo, forse un anno o 18 mesi, prima che il mercato del settore immobiliare riesca a trovare un nuovo equilibrio interno».

Quale è il problema di fondo?
«È finanziario. Sono stati concessi troppi crediti, e troppo facilmente, per la costruzione di immobili che ora rischiano di non trovare acquirenti. Su questa analisi non ci sono molti dubbi fra gli esperti del settore. Il punto è che a volte in mercato reagisce con il panico agli assestamenti necessari affinché il settore immobiliare ritrovi l’equilibrio».

Non teme terremoti finanziari?
«No, se guardiamo i mercati ci accorgiamo che sono oggi più o meno dove erano alla fine dello scorso anno. Non siamo alla vigilia di un crollo ma di un assestamento, reso necessario dai troppi crediti concessi. E’ un processo iniziato con le prime scosse nel 2005 e continuato nel 2006 con la manifestazione della bolla immobiliare. Adesso la situazione è che coloro che hanno investito si trovano di fronte a rischi che non avevano considerato nei prezzi da dover pagare».

Eppure in Europa c’è chi teme che la bolla immobiliare finisca per trascinare Wall Street..
«Il panico non serve. Bisogna analizzare i dati. La bolla immobiliare sarà corretta una volta che saranno noti i numeri delle abitazioni costruite e rimaste invendute. A quel punto i prezzi degli immobili scenderanno. Ci saranno un po’ di saldi nei prossimi 18 mesi. Quello che, a quel punto, resterà da appurare sarà l’impatto su chi ha concesso i mutui per le aziende immobiliari».

Quali sono i rischi?
«Il rischio è che ad essere coinvolti alla fine potrebbero essere non solo aziende immobiliari ma forse banche o fondi di investimento. Non possiamo dirlo con certezza perché non sappiamo nelle mani di chi è il debito. Non sappiamo chi c’è alla fine della catena dei crediti che sono stati concessi».


Il Riformista 15-3-2007 Intercettazioni, è il momento di dire basta

Non ci piace fare le anime belle. Ma neppure essere presi in giro. Il Giornale, ieri, ha incartato in un involucro di insopportabile ipocrisia una scelta editoriale e professionale di rara scorrettezza.
Cominciamo proprio dall’ipocrisia, che non è un aspetto secondario della triste vicenda. Al Giornale hanno sostenuto di aver tirato fuori il nome di Silvio Sircana, o meglio del «portavoce di Prodi» che è quello che veramente stava loro a cuore, per difenderlo in quanto potenziale (e innocente) vittima di un ricatto, peraltro mai andato a fine. Noi dovremmo berci questa sciocchezza? Ma andiamo... Il quotidiano ha fatto il nome di Sircana perché ha ritenuto opportuno associarlo a una storia sordida, da “sparare” alla grande in prima pagina e poi - come cantava Jannacci - «vedere l’effetto che fa». Quel titolo, «Ricatto al portavoce di Prodi», era non rispondente alla verità dei fatti (il ricatto non c’è mai stato), ma rispondente al proposito di far cadere «il portavoce di Prodi» in un lago di fango, contando che gli schizzi arrivassero lontano, almeno fin dalle parti di Palazzo Chigi.
Qualcuno ne dubita? Allora legga le cronache interne del quotidiano. Scoprirà che in modo un po’ ingenuo, o molto impudente, il redattore che racconta la sua telefonata a Sircana mostra di sapere che anche altri giornali erano al corrente che nell’intercettazione figurava anche il nome del “ricattando”. Solo che gli altri il nome non lo hanno scritto. Per correttezza professionale. Quella che impone prudenza e scrupolo, qualità che al Giornale non sono mai mancate, e che ha anzi sempre energicamente reclamato dagli altri, quando sulla stampa finivano nomi “amici”, salvo a scomparire nel nulla quando i nomi erano invece “nemici”. Come fu il caso di Livia Turco, alla quale, sulla base di una riscontrabilissima omonimia, vennero attribuite altamente improbabili simpatie per l’eutanasia.
E veniamo a quel che c’era dentro il brutto pacco che il Giornale ha consegnato a tradimento a noi e a tutti gli italiani. Per l’ennesima volta sono finiti sui giornali i fatti privati di persone coinvolte o fatte oggetto di intercettazioni a fini di giustizia. Nonostante tutte le polemiche, nonostante i reiterati buoni propositi di cambiare le leggi, annunciati e (come troppo spesso accade da noi) non tradotti in fatti, lo scandalo continua. Ebbene, lo diciamo nel modo più semplice a nome, crediamo, di una buona parte dell’opinione pubblica e, speriamo, della maggioranza dei giornalisti: questa vergogna deve finire. Su tutti i fronti. Sul fronte delle molte Procure della Repubblica dove evidentemente si pratica un uso troppo disinvolto di uno strumento di indagine utilissimo, sì, ma anche terribilmente delicato, come dimostra la ben più severa prassi che è adottata negli altri paesi democratici. Sul fronte degli uffici investigativi, dai vertici dei servizi segreti fino ai cancellieri di tribunale e - facciano qualche esamino di coscienza anche loro - agli avvocati. Non tutte le intercettazioni sono necessarie, non tutte quelle necessarie sono rilevanti ai fini dei procedimenti, nessuna, in linea di principio, dovrebbe finire sui giornali, se non per imprenscindibili necessità di cronaca. Il gran bailamme che ci accompagna da mesi e mesi, tra la corsa al gossip pecoreccio e lo spregiudicato uso a fini di lotta politica, mostra che delle intercettazioni, in Italia, si fa un uso potenzialmente criminale. Le responsabilità dei media non sono le uniche, ma sono le più forti. Adesso basta.


La Stampa 15-3-2007 Pensioni, le minime verso l'aumento Stefano Lepri

 

15/3/2007 (7:31) - IL MINISTRO SPERA DI CONCLUDERE ENTRO L'ESTATE. Ma sulla revisione dei coefficienti è già scontro aperto tra governo e sindacati

ROMA
Aumento delle pensioni minime in essere, per il futuro una revisione dei coefficienti di calcolo: la posizione del governo sulla previdenza si precisa, in vista del negoziato con le forze sociali che si aprirà tra una settimana, il 22, benché l’ala sinsitra della maggioranza recalcitri. Il ministro del Lavoro Cesare Damiano spera di concludere «entro l’estate» ma l’intervento sulle pensioni minime - che potrebbe essere anche realizzato sotto forma di «assegno fiscale» anziché di aumento del trattamento Inps - potrebbe arrivare prima.
Pensioni minime e calo dell’Ici sono i due scopi per cui viene già conteso il «surplus» (3-4 miliardi di euro?) che il buon gettito fiscale e la maggior crescita consentirebbero di redistribuire. I conteggi a cui sta lavorando la Ragioneria dello Stato pare prevedano un deficit pubblico al 2,5-2,6% quest’anno, più basso del 2,8% concordato con l’Europa. La crescita del prodotto lordo arriverà attorno al 2%. Per il governo si profila un dilemma: se si redistribuisce troppo subito, con l’occhio al voto amministrativo di maggio, si dovrà di nuovo stringere con la legge finanziaria 2008.
Per la previdenza, rivedere i coefficienti di trasformazione (con cui si calcoleranno le future annualità di contributi per chi oggi lavora) «fa parte della legge Dini» in vigore, è un atto dovuto, dice il ministro Damiano. «Vanno aggiornati con un criterio politico che tenga conto delle conseguenze che si scaricano sulle pensioni più basse e sui giovani» spiega il suo braccio destro Giovanni Battafarano. Si lavora su due ipotesi: revisione più morbida dei coefficienti per i precari a basso stipendio, oppure una forma di integrazione per le pensioni più basse che risulterebbero dai nuovi calcoli.
Finora, i sindacati hanno detto di no alla modifica dei coefficienti. Ma, significativamente, la Cgil ieri ha taciuto. La Cisl e la Uil senza alzare la voce replicano che «così la trattativa parte male», pronte peraltro a valutare ciò che il governo proporrà. La promessa di intervenire sulle pensioni minime (si parla di una spesa di circa un miliardo di euro) qualche effetto l’ha avuto. Ma nella serata di ieri l’ala sinistra della maggioranza ha ripreso il suo gioco al rilancio. Diverse voci di Rifondazione e del Pdci hanno rinnovato il no al ritocco. Non c’è ancora una posizione comune del governo, «le dichiarazioni di Battafarano sono inopportune» ha detto la sottosegretaria al Lavoro Rosa Rinaldi, del Prc. Il varo «prima possibile» degli aumenti alle pensioni è peraltro subordinato a un do ut des significativo con i sindacati che dia via libera ai coefficienti.


Tempo medico on line 15-3-2007 Costano care le disuguaglianze nella salute, costano la vita.

 

I dati del rapporto dell'Osservatorio italiano sulla salute globale. Una vita che in Giappone è di 48 anni più lunga rispetto a quella in Sierra Leone; una vita che ogni anno, per 11 milioni di bambini, durerà meno di cinque anni. Le disuguaglianze nella salute in Inghilterra costano a un manovale sette anni di vita rispetto all'aspettativa di vita di un professionista e in Italia comportano una probabilità doppia di ricevere un trapianto di rene per chi ha un livello di istruzione superiore. A distanza di due anni dal primo, il secondo rapporto dell'Osservatorio italiano sulla salute globale, intitolato A caro prezzo. Le diseguaglianze nella salute (Edizioni ETS, Pisa, 2006, 344 pagine, 20 euro), invita a concentrarsi sulla distribuzione delle possibilità di salute nel mondo. "Le disuguaglianze nella salute e nell'assistenza sanitaria si sono terribilmente dilatate in questi ultimi vent'anni, rappresentando uno dei più gravi scandali di questo tempo" scrive Gavino Maciocco, presidente dell'Osservatorio, nelle pagine introduttive del Rapporto. Maciocco ricorda anche le parole scritte dall'epidemiologo Michael Marmot, che ha presieduto la Commissione sui determinanti sociali della salute costituita presso l'Organizzazione mondiale della sanità: "Le disuguaglianze nella salute tra e all'interno dei paesi sono evitabili. Non esiste alcuna ragione biologica perché la speranza di vita debba essere di 48 anni più lunga in Giappone rispetto alla Sierra Leone o vent'anni più corta tra gli aborigeni rispetto agli altri australiani. Ridurre queste disuguaglianze sociali nella salute, venendo così incontro ai bisogni delle persone, è un problema di giustizia sociale". Risultato del lavoro di diversi autori, il Rapporto offre ai lettori l'opportunità di addentrarsi fra i temi della sanità e della salute globale attraverso la lente delle disuguaglianze e presenta il quadro generale delle diversità tra le nazioni nell'area materno-infantile, in contesti di guerra, a seguito di catastrofi naturali, nelle diverse condizioni di lavoro e così via. Ma offre anche uno spaccato dei sistemi sanitari e delle diverse possibilità di cura all'interno di alcuni paesi, per esempio negli Stati Uniti. "La nazione più ricca e potente del mondo non è tale per quanto riguarda la salute dei suoi cittadini" si legge nel Rapporto. "Riferendoci agli indicatori più comunemente usati per misurare lo stato di salute delle popolazioni si nota che gli Stati Uniti sono superati da tutti i paesi industrialmente più avanzati". Anche dall'Italia se viene messa a confronto, per esempio, la speranza di vita: 78 anni per gli uomini e 84 per le donne rispetto a 75 e 80 anni rispettivamente per gli statunitensi. Viene presentata anche la situazione dell'India, in cui convivono scenari contrastanti in campo sanitario. "Se la sanità indiana è avara e disastrata per la grande maggioranza dei cittadini del secondo paese più popoloso del mondo, è invece - in alcune sue nicchie - particolarmente attraente per pazienti provenienti dall'estero, particolarmente da Stati Uniti e Gran Bretagna" si legge nel Rapporto. "Numerosi ospedali privati, infatti, si stanno specializzando nel turismo sanitario, offrendo prestazioni a prezzi concorrenziali con tempi di attesa minimi". E ancora il libro si sofferma su Cina, Brasile, Uganda, Moldova e Kazakhstan, senza dimenticare un quadro più generale delle disuguaglianze nella salute in Europa. "Constatare, prevedere, osservare, documentare, anno dopo anno, la morte di minoranze e maggioranze non è un dato epidemiologico: è un genocidio, con le conseguenze di responsabilità che questo comporta" si legge nella postfazione del Rapporto. "Qualsiasi adattamento, addolcimento o distinguo è una manipolazione programmata, che coinvolge la responsabilità della comunità scientifica e di tutti coloro che prendono decisioni come se si trattasse di qualcos'altro". Responsabilità alla quale non ci si deve sottrarre, con l'appuntamento al prossimo rapporto. di Valeria Confalonieri - Tempo Medico n. 819 15 marzo 2007 "A caro prezzo. Le diseguaglianze nella salute" di Osservatorio italiano sulla salute globale Edizioni ETS, Pisa, 2006.


 

La Nuova Venezia 15-3-2007 Il mondo della cultura contro la base USA

 

VICENZA. "L'area in cui dovrebbe sorgere l'ampliamento della base militare americana a Vicenza è stata designata quale patrimonio monumentale dell'umanità dall'Unesco e per la sua tutela l'Italia ha sottoscritto, nel 1958, la convenzione internazionale dell'Aja". Lo sottolinea lo storico dell'arte veneto Lionello Puppi, che ieri sera è stato ricevuto dalla Commissione Cultura della Camera dei Deputati. Puppi, che ha portato un appello proposto dalla Fondazione Benetton, sottoscritto da oltre 120 intellettuali italiani ed esteri, sottolinea come agli impegni internazionali che dovrebbero portare alla concretizzazione del progetto militare Usa, si contrappongano altri impegni internazionali, precedenti e per nulla segreti, volti a proteggere i luoghi di particolare valore storico, artistico e paesaggistico. "Vicenza ed il suo sistema di ville palladiane estese sul territorio - ricorda lo studioso - sono stati dichiarati patrimonio dell'umanità nel 1995 e l'Unesco è già intervenuta alcuni anni fa per tutelare una villa palladiana dal vicino attraversamento dell'autostrada Valdastico". "E' dunque comprensibile - aggiunge - che lo stesso organismo si mobiliterà a causa dell'installazione di una base militare straniera a 3.500 metri dalla Basilica della città ed a poche centinaia di metri da Villa Caldogno". Puppi, infine, ricorda come la convenzione dell'Aja imponga la protezione dei beni storici ed artistici dai rischi di danneggiamento derivanti da eventi bellici e da atti di terrorismo. "Un pericolo - conclude - che sarebbe chiaramente accresciuto dall'esecuzione dell'ampliamento".


INDICE 14-3-2007

 

++ Da Affari Italiani 14-3-2007 Guai in vista per Profumo e Palenzona...

++ Il mistero dell'Eucaristia ci spinge a un impegno coraggioso nelle strutture di questo mondo. Occorre prendere decisioni sul rispetto e la difesa della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà di educazione. Di    

          Benedetto XVI

+ Il Sole 24 Ore 14-3-2007 Recordati patteggia con 2 milioni Ma.Mo.

+ Il Corriere della Sera 14-3-2007 Dal Vaticano altolà al teologo Sobrino Per due opere definite «contrarie alla dottrina cattolica» .

+ Il Corriere della sra 14-3-2007 La visita di Putin e gli incontri con il governo. Gli affari e i valori di  Franco Venturini

+ Il Sole 24 Ore 14-3-2007 USA. La Casa Bianca: nessuna intesa con la Libia sul nucleare.  di Mario Platero

La Stampa 14-3-2007  "Torture in Cecenia" Un ex ministro ceceno ieri ha chiesto asilo politico in Italia. ANNA ZAFESOVA

Il Corriere della Sera 14-3-2007 L'INTERVISTA -Il presidente del Senato e gli scenari politici. Marini: «Partito democratico in un anno» Francesco Verderame

Il Riformista 14-3-2007  Sul Pd traballa il modello Roma  di Stefano Cappellini 1

Il Sole 24 Ore 14-3-2007 Taglio dell'Ici e aliquota unica del 20% sugli affitti di Dino Pesole

La Repubblica 14-3-2007 Tettamanzi: "Sulla famiglia serve il dialogo, non lo scontro" 2

Il Corriere della sera 14-3-2007 Unione, caduto l'«alibi Ruini» La sfida ora viene dal Pontefice  La Nota Massimo Franco  2

L’Avvenire Eugenio Scalfari annette e respinge, sempre aut-aut mai et-et. Dopo Voltaire, anche Pascal Sicuro di aver scritto bene. Francesco D'Agostino  3

 


++ Da Affari Italiani 14-3-2007 Guai in vista per Profumo e Palenzona...


"Undici conti esteri di Palenzona"
. Il titolo del Corriere della Sera non sarà un buon mattino per  Alessandro Profumo e neppure per lo stesso banchiere Fabrizio Palenzona. Il Corsera ha fatto di tutto per "nascondere" la notizia, ha messo in servizio in taglio basso delle cronache e non l'ha richiamato in prima ma per il numero due di Unicredit e consigliere d'amministrazione di Mediobanca restano notizie bruttissime. E per Profumo notizie imbarazzanti.
  Secondo il servizio firmato dai bravissimi Paolo Biondani e Mario Gerevini, nelle tasche del banchiere arrivarono versamenti milionari in nero per ordine di Fiorani. "Palenzona l'ho pagato nell'estate del 2004 anche su una banca di Chiasso - aveva detto Fiorani - aggiungendo che "questo bonifico proviene dal nostro conto Gattuccio ed era di oltre un milione di dollari". I due cronisti scrivono che "dai documenti in mano alla magistratura milanese risultano anche due depositi intestati alla madre di Palenzona di 82 anni".
  "La partita delle banche". E' ancora una volta Rosario Dimito sulle pagine del Messaggero a dare la "linea" su quanto accadrà in Telecom. "L'obiettivo finale è chiaro: le banche si stanno muovendo per acquisire l'80% di Olimpia in mano a Tronchetti Provera, la cassaforte che possiede il 18% di Telecom. Non si tratta ancora di un'offerta formale vera e propria ma di un impegno a comprare in via di definizione. Ma a quale prezzo?".
  Bersani tuona contro il pericolo straniero dopo che Telecom e Fastweb rischiano di finire in mano a gruppi esteri ma il Sole 24Ore ammonisce: "Banche e fondazioni stanno mettendo a punto l'offerta da presentare a Pirelli per rilevare la quota di controllo di Telecom Italia. Ieri è arrivato anche un pubblico appello del ministro Bersani ai "soggetti finanziari" per evitare l'arrivo di capitali stranieri. Ma gli investimenti delle banche non dovrebbero essere suggeriti dalla politica".


++ Il mistero dell'Eucaristia ci spinge a un impegno coraggioso nelle strutture di questo mondo. Occorre prendere decisioni sul rispetto e la difesa della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà di educazione. Di Benedetto XVI

 

 

È importante rilevare ciò che i Padri sinodali hanno qualificato come coerenza eucaristica, a cui la nostra esistenza è oggettivamente chiamata. Il culto gradito a Dio, infatti, non è mai atto meramente privato, senza conseguenze sulle nostre relazioni sociali: esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede. Ciò vale ovviamente per tutti i battezzati, ma si impone con particolare urgenza nei confronti di coloro che, per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme. Tali valori non sono negoziabili. Pertanto, i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana. Ciò ha peraltro un nesso obiettivo con l'Eucaristia (cfr 1 Cor 11,27-29). I Vescovi sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato.

A questo proposito è necessario esplicitare la relazione tra Mistero eucaristico e impegno sociale. L'Eucaristia è sacramento di comunione tra fratelli e sorelle che accettano di riconciliarsi in Cristo, il quale ha fatto di ebrei e pagani un popolo solo, abbattendo il muro di inimicizia che li separava (cfr Ef 2,14). Solo questa costante tensione alla riconciliazione consente di comunicare degnamente al Corpo e al Sangue di Cristo (cfr Mt 5,23-24).

Giustizia

Attraverso il memoriale del suo sacrificio, Egli rafforza la comunione tra i fratelli e, in particolare, sollecita coloro che sono in conflitto ad affrettare la loro riconciliazione aprendosi al dialogo e all'impegno per la giustizia. È fuori dubbio che condizioni per costruire una vera pace siano la restaurazione della giustizia, la riconciliazione e il perdono. Da questa consapevolezza nasce la volontà di trasformare anche le strutture ingiuste per ristabilire il rispetto della dignità dell'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. È attraverso lo svolgimento concreto di questa responsabilità che l'Eucaristia diventa nella vita ciò che essa significa nella celebrazione. Come ho avuto modo di affermare, non è compito proprio della Chiesa quello di prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile; tuttavia, essa non può e non deve neanche restare ai margini della lotta per la giustizia. La Chiesa «deve inserirsi in essa per via dell'argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunzie, non può affermarsi e prosperare».
Nella prospettiva della responsabilità sociale di tutti i cristiani i Padri sinodali hanno ricordato che il sacrificio di Cristo è mistero di liberazione che ci interpella e provoca continuamente. Rivolgo pertanto un appello a tutti i fedeli ad essere realmente operatori di pace e di giustizia: «Chi partecipa all'Eucaristia, infatti, deve impegnarsi a costruire la pace nel nostro mondo segnato da molte violenze e guerre, e oggi in modo particolare, dal terrorismo, dalla corruzione economica e dallo sfruttamento sessuale». Tutti problemi, questi, che a loro volta generano altri fenomeni avvilenti che destano viva preoccupazione. Noi sappiamo che queste situazioni non possono essere affrontate in modo superficiale. Proprio in forza del Mistero che celebriamo, occorre denunciare le circostanze che sono in contrasto con la dignità dell'uomo, per il quale Cristo ha versato il suo sangue, affermando così l'alto valore di ogni singola persona.

Responsabilità

Non possiamo rimanere inattivi di fronte a certi processi di globalizzazione che non di rado fanno crescere a dismisura lo scarto tra ricchi e poveri a livello mondiale. Dobbiamo denunciare chi dilapida le ricchezze della terra, provocando disuguaglianze che gridano verso il cielo (cfr Gc 5,4). Ad esempio, è impossibile tacere di fronte alle «immagini sconvolgenti dei grandi campi di profughi o di rifugiati — in diverse parti del mondo — raccolti in condizioni di fortuna, per scampare a sorte peggiore, ma di tutto bisognosi. Non sono, questi esseri umani, nostri fratelli e sorelle? Non sono i loro bambini venuti al mondo con le stesse legittime attese di felicità degli altri?».

Collaborazione

Il Signore Gesù, Pane di vita eterna, ci sprona e ci rende attenti alle situazioni di indigenza in cui versa ancora gran parte dell'umanità: sono situazioni la cui causa implica spesso una chiara ed inquietante responsabilità degli uomini. Infatti, «sulla base di dati statistici disponibili si può affermare che meno della metà delle immense somme globalmente destinate agli armamenti sarebbe più che sufficiente per togliere stabilmente dall'indigenza lo sterminato esercito dei poveri. La coscienza umana ne è interpellata. Alle popolazioni che vivono sotto la soglia della povertà, più a causa di situazioni dipendenti dai rapporti internazionali politici, commerciali e culturali, che non a motivo di circostanze incontrollabili, il nostro comune impegno nella verità può e deve dare nuova speranza»...
Il mistero dell'Eucaristia ci abilita e ci spinge ad un impegno coraggioso nelle strutture di questo mondo per portarvi quella novità di rapporti che ha nel dono di Dio la sua fonte inesauribile. La preghiera, che ripetiamo in ogni santa Messa: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano», ci obbliga a fare tutto il possibile, in collaborazione con le istituzioni internazionali, statali, private, perché cessi o perlomeno diminuisca nel mondo lo scandalo della fame e della sottoalimentazione di cui soffrono tanti milioni di persone, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Il cristiano laico in particolare, formato alla scuola dell'Eucaristia, è chiamato ad assumere direttamente la propria responsabilità politica e sociale. Perché egli possa svolgere adeguatamente i suoi compiti occorre prepararlo attraverso una concreta educazione alla carità e alla giustizia. Per questo, come è stato richiesto dal Sinodo, è necessario che nelle Diocesi e nelle comunità cristiane venga fatta conoscere e promossa la dottrina sociale della Chiesa. In questo prezioso patrimonio, proveniente dalla più antica tradizione ecclesiale, troviamo gli elementi che orientano con profonda sapienza il comportamento dei cristiani di fronte alle questioni sociali scottanti. Questa dottrina, maturata durante tutta la storia della Chiesa, si caratterizza per realismo ed equilibrio, aiutando così ad evitare fuorvianti compromessi o vacue utopie.

Benedetto XVI

14 marzo 2007

 


+ Il Sole 24 Ore 14-3-2007 Recordati patteggia con 2 milioni Ma.Mo.

 

 

MILANO Un patteggiamento da 2 milioni di euro per il gruppo farmaceutico Recordati indagato dalla procura di Milano per corruzione. A tanto ammonta la sanzione pecuniaria accordata dal pm Francesco Prete, titolare dell'inchiesta che aveva portato all'arresto di tre manager della società, accusati di avere messo in piedi una rete di medici e farmacisti "a libro paga"degli informatori scientifici della Recordati. La stessa società era stata coinvolta anche in un'altra inchiesta questa volta condotta dalla procura di Bari per una truffa ai danni del servizio sanitario nazionale: in entrambi i casi il gruppo farmaceutico era stato indagato ai sensi del decreto legislativo 231. "Per fronteggiare le richieste di risarcimento danni e sanzioni inerenti ai procedimenti in corso, il gruppo ha già accantonato 2,9 milioni di euro che si ritiene coprano le passività presumibilmente derivanti da tali procedimenti ", si legge nella relazione al bilancio 2006. In particolare, per quanto riguarda il procedimento di Milano, la società ha depositato alle autorità giudiziarie il nuovo modello organizzativo, "ulteriormente rafforzato per prevenire la commissione di condotte illecite da parte dei dipendenti e avendo messo a disposizione ogni profitto e risarcito al ministero della Salute ogni danno che possa essere derivato dalle condotte illecite dei propri dipendenti", si legge nella relazione al bilancio. Ai legali della Recordati è già stato notificato l'avviso di conclusione delle indagini e ora si attende la fissazione della data dell'udienza preliminare davanti al Gip. Analoga istanza è stata formalizzata nell'ambito del procedimento di Bari.


+ Il Corriere della Sera 14-3-2007 Dal Vaticano altolà al teologo Sobrino Per due opere definite «contrarie alla dottrina cattolica» .Il gesuita salvadoregno è uno dei padri della teologia della liberazione. Troppo valorizzato l'aspetto storico di Gesù

 

 

CITTÀ DEL VATICANO - La Congregazione per la dottrina della fede (ex Santo Uffizio) ha definito contrarie alla dottrina cattolica due opere di Jon Sobrino, gesuita salvadoregno considerato uno dei padri della teologia della liberazione. I libri sotto accusa sono «Gesù Cristo liberatore - Lettura storico teologica di Gesù di Nazareth» del 1991, e «La fede in Gesù Cristo» del 1999. Si tratta del primo provvedimento del genere della Congregazione dall'elezione di Benedetto XVI. Quando Joseph Ratzinger era vescovo di Monaco finanziò la traduzione in tedesco della tesi di dottorato di Sobrino.
TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE
- La decisione di esaminare gli scritti del teologo gesuita, che con Leonardo Boff e padre Casaldaliga è uno dei maggiori esponenti della Teologia della liberazione, è stata presa nel 2001 (quando a dirigere la Congregazione era proprio Ratzinger). Fra le affermazioni di Sobrino giudicate «pericolose» vi quelle che mettono in dubbio punti cruciali della fede, come la divinità di Gesù Cristo, l'incarnazione del Figlio di Dio, la relazione di Gesù con il Regno di Dio, la sua autocoscienza e il valore salvifico della sua morte. I rilievi critici del Vaticano a Sobrino sono di aver valorizzato troppo la componente storica della figura di Gesù separandola dalla sua dimensione divina.

PADRE LOMBARDI - «Sobrino è uomo che ha vissuto da vicino l'esperienza drammatica del suo popolo, per questo ha teso a sviluppare una "cristologia dal basso" e ha coltivato una sintonia spirituale profonda con l'umanità di Cristo», ha commentato la notificazione della Congregazione per la dottrina delle fede il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi. «Tuttavia l'insistenza di Sobrino sulla solidarietà fra Cristo e l'uomo non deve essere portata al punto da lasciare in ombra o sottovalutare la dimensione che unisce Cristo a Dio».

14 marzo 2007


+ Il Corriere della Sera 14-3-2007 La visita di Putin e gli incontri con il governo. Gli affari e i valori di  Franco Venturini

 

 

Nel novembre del 2003, quando Silvio Berlusconi lasciò di stucco anche Putin proclamandosi «avvocato» della guerra russa in Cecenia, l'opposizione di centrosinistra lo sommerse giustamente di critiche. Non erano, le violazioni dei diritti umani compiute dalle forze di Mosca, assimilabili alla comune lotta contro il terrorismo internazionale.
E appariva davvero inaccettabile che un presidente del Consiglio italiano a quelle violazioni di fatto si associasse, perché nessuna amicizia personale e nessun interesse economico potevano cancellare d'un colpo la primazia dei nostri valori. Oggi Vladimir Putin è di nuovo in visita in Italia, Berlusconi è all'opposizione e il centrosinistra è al governo. Nel tempo trascorso dal 2003 la guerra in Cecenia si è parzialmente placata, ma sul Cremlino pesano altri capi d'accusa: una generale involuzione autoritaria gestita dall'alto, lo scarso rispetto dei diritti democratici per esempio nel settore dell'informazione, la totale sottomissione della Duma, le restrizioni di legge imposte a chiunque voglia cercare una rappresentanza politica diversa da quella ufficiale. Ebbene, sarà coerente con le giuste critiche del 2003 l'opposizione di centrosinistra diventata governo? Putin si sentirà dire, questa volta, che l'Italia ha un concetto diverso della democrazia e auspica il pieno ristabilimento delle libertà fondamentali in Russia?
Non siamo tanto ingenui da ignorare che le bordate lanciate dall'opposizione sono cosa diversa dalle responsabilità di governo. Basti pensare alla Casa delle libertà che oggi vorrebbe mandare più truppe italiane in Afghanistan, e farle combattere: direbbe la stessa cosa, se si trovasse sui banchi dell'Esecutivo? Ma se la politica comporta fatalmente una certa dose di gioco delle parti, esiste anche per ognuno degli schieramenti il dovere di tener fede a principi giudicati inalienabili. E in più esiste, per il governo guidato da Romano Prodi, quel ricorrente test della «discontinuità» cui le manchevolezze democratiche del sistema Putin paiono prestarsi mirabilmente.
Il ministro degli Esteri D'Alema, ieri, ha dichiarato che nei rapporti con la Russia bisogna coltivare «un impegno comune basato sui diritti dei popoli e sui diritti umani». È un primo, cauto passo positivo. Ma al termine dei colloqui tra Prodi e Putin che si svolgeranno oggi al Castello Svevo di Bari ci aspettiamo di più, speriamo in una più netta e formale riaffermazione dei nostri valori.
Non si tratta soltanto di coerenza con l'indignazione del 2003, o di discontinuità rispetto al governo di allora. E nemmeno pensiamo che sia giusto abbandonarsi a eccessi retorici, o ignorare le peculiarità storiche della Russia. Ma il rispetto dovuto al grande Paese che Vladimir Putin rappresenta non esclude, e anzi richiede in un rapporto collaudato e maturo come il nostro, che tra i doveri governativi figuri anche quello di rendere esplicita e percepibile la propria identità. Siamo di questa stessa opinione quando si dialoga con la Cina o quando ci troviamo davanti agli orrori di Abu Ghraib. Cosa potrebbe mai spingerci a essere ancora gli «avvocati» di Putin, allora, anche se questa volta la difesa dovesse scegliere la tecnica del silenzio?
Una possibile risposta la conosciamo: il gas, il petrolio, gli interessi economici vecchi e nuovi. Ma Angela Merkel, se proprio abbiamo bisogno di un esempio, resta in buoni rapporti con l'America dopo aver detto a Bush di chiudere Guantanamo e fa affari d'oro con la Russia dopo aver strigliato Putin sui temi della democrazia. Vogliamo sperare che oggi il presidente del Consiglio non sia da meno.

14 marzo 2007

 


+ Il Sole 24 Ore 14-3-2007 USA. La Casa Bianca: nessuna intesa con la Libia sul nucleare.  di Mario Platero

Il dipartimento di Stato di Washington ha corretto il tiro nella serata di martedì sulla notizia diffusa dall'agenzia di stampa di Tripoli Jana secondo cui ci sarebbe stato un accordo per lo sviluppo di centrali nucleari a scopo pacifico in Libia. «Siamo in trattativa con i libici su un progetto destinato alla creazione di un centro di medicina nucleare. E' questa l'unica cosa che possa giustificare l'utilizzo del termine nucleare», ha detto il portavoce di Condoleezza Rice, Tom Casey, parlando ai reporter a Washington. «Per il resto deve essere chiaro che non abbiamo raggiunto alcun accordo con la Libia per la costruzione di una centrale nucleare per la produzione di energia elettrica, non c'è alcun accordo in fase di definizione e non abbiamo alcuna intenzione di affrontare il nodo del nucleare in tempi brevi». Libia e Stati Uniti hanno riallacciato i rapporti diplomatici l'anno scorso a tre anni dalla rinuncia del colonnello Muammar Gheddadi al riarmo nucleare e al sostegno del terrorismo. «In futuro, saremo aperti a discutere sull'uso dell'energia atomica per fini civili - ha continuato Casey - ma credo che nessuno pensi che sia già il momento di farlo».

 

 


La Stampa 14-3-2007  "Torture in Cecenia" Un ex ministro ceceno ieri ha chiesto asilo politico in Italia. Anna Zafesova

 

Ieri mattina, poche ore prima dell’atterraggio dell’aereo presidenziale di Vladimir Putin, a Roma è sbarcato anche un altro passeggero proveniente dalla Russia. Anzi, in fuga dalla Russia: Umar Khambiev, ceceno, ex ministro della Sanità con il governo indipendentista di Aslan Maskhadov e poi emissario dei ribelli ceceni in Europa, ha messo a verbale con la polizia di frontiera italiana la sua richiesta di asilo politico in Italia. Tutta la relativa documentazione sarebbe stata quindi trasmessa al Consiglio italiano per i rifugiati (Cir). E oggi, mentre a Bari Romano Prodi e Vladimir Putin presiederanno il summit italo-russo, Khambiev in una conferenza stampa alla Camera dei Deputati racconterà la sua Cecenia, dalla quale ha deciso di scappare. Per esempio, racconterà del suo fratello Magomed - anche lui ex indipendentista, ora ministro nel nuovo governo filorusso - che tre anni fa è stato costretto alla resa dai militari che gli avevano sequestrato la famiglia.
Un argomento dimenticato, quello del Caucaso, che anno dopo anno dai primi punti dell’ordine del giorno dei vari vertici e conferenze cui partecipa il leader russo scende sempre più in basso, fino quasi a scomparire. Amnesty International nei giorni scorsi ha chiesto, in una lettera inviata al presidente del Consiglio e al ministro degli Esteri, la necessità di «sollevare» con Putin il tema dei diritti umani in Russia, in particolare «nella regione del Caucaso del Nord dove continuino a verificarsi detenzioni arbitrarie, esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate, rapimenti e torture».
Per il Cremlino la guerra in Cecenia è archiviata, è in corso, anzi si è quasi conclusa la «normalizzazione», e il nuovo presidente Ramzan Kadyrov - «uomo di Putin», come si autodefinisce - danza quasi ogni giorno alle inaugurazioni di aeroporti, concorsi di bellezza e conferenze per i diritti umani, mostrando davanti alle telecamere che la sua repubblica è sempre più felice, che «diventerà presto un luogo dove la gente andrà in vacanza». Ma dietro le quinte di questo spettacolo la Cecenia rimane ancora un inferno quotidiano, come sostiene anche il Comitato del Consiglio d’Europa contro la tortura e i trattamenti inumani e degradanti (Cpt). Che ieri ha deciso di rendere pubbliche le sue critiche - normalmente inviate in forma riservata agli Stati membri - dopo che le autorità di Mosca si sono dimostrate indisposte a intervenire sulle lacune segnalate dagli esperti del comitato tecnico dopo le visite effettuate in Cecenia ad aprile-maggio e novembre 2006. «Il Cpt rimane profondamente preoccupato, il ricorso alla tortura e ad altre forme di maltrattamento da parte dei membri delle forze di polizia e dei servizi di sicurezza continua, così come la pratica correlata delle detenzioni illegali». Il comitato parla di «un clima di impunità», pur riscontrando «progressi certi» nelle «condizioni materiali di detenzione». La decisione di ricorrere ad una dichiarazione pubblica sulla situazione in Cecenia - è stata definita «una misura eccezionale spiacevole ma completamente giustificabile» dal segretario generale del Consiglio d’Europa, Terry Davis.
Il Cremlino reagisce di solito con fastidio ad accuse di violazioni dei diritti umani che vengono da organizzazioni internazionali, Ong e governi stranieri, soprattutto occidentali. I leader delle democrazie europee affrontano sempre più timidamente l’argomento con Putin. Ma perfino fonti ufficiali russe segnalano un peggioramento drastico della situazione con i diritti umani: le violazioni delle libertà civili nel 2006 sono aumentate del 47%, secondo il rapporto dell’Incaricato per i diritti umani russo Vladimir Lukin. In 400 pagine si denuncia una giustizia corrotta e parziale, l’impennata degli attacchi di ispirazione xenofoba, e un potere autoritario che impedisce ai russi di esercitare i loro diritti «sociali», inclusi quelli all’attività imprenditoriale e alla scuola. Per quanto funzionario dello Stato russo, investito di status ufficiale e nominato dalla presidenza, Lukin giunge alla conclusione che «i russi non si fidano del loro governo, e non credono che esso si adoperi per garantire i loro diritti sociali, economici e politici».


Il Corriere della Sera 14-3-2007 L'INTERVISTA -Il presidente del Senato e gli scenari politici. Marini: «Partito democratico in un anno» Francesco Verderame

 

«L'arco di alleanza sarà più ampio». «Prodi sta a palazzo Chigi, non è lui a dover costruire il nuovo soggetto politico»

 

 

ROMA — «Il tempo è scaduto, è il tempo della scelta». Il presidente del Senato sta parlando del Partito democratico, sta chiedendo che dalle assise dei Ds e della Margherita arrivi «un'accelerazione, imposta da una realtà politica italiana troppo frammentata». Basta questo accenno per far capire che Franco Marini non sta ragionando solo sul futuro soggetto riformista, e la seconda carica dello Stato diventa più esplicita quando spiega che «il tempo è scaduto» anche per l'attuale sistema, «che va cambiato perché vive ormai da parecchi anni in bilico, e senza una capacità di guida forte della società».
È chiaro dunque che il suo pensiero è giocato su un doppio registro. Da un lato infatti Marini sprona la Quercia e i Dl a far sì che i congressi di aprile siano «il momento decisivo per la nascita del Pd. Allora bisognerà decidere. E presa la decisione, dovrà subito iniziare la fase costituente. Il processo di maturazione c'è stato, è durato dieci anni». Dall'altro lato, se è vero che «il nuovo soggetto servirà a far fronte al cambiamento della società italiana», «bisognerà garantire risposte nuove dinnanzi agli squilibri sociali, dare certezze ai giovani preoccupati dal precariato, lanciare idee più chiare sulla redistribuzione della ricchezza e sul superamento delle incrostazioni corporative che bloccano la nostra società. Insomma, ci sarà bisogno di scelte fuori dall'ordinario, altrimenti l'Italia resterà ferma in una realtà politica impantanata».
E pensa che il Pd sarà la soluzione dei problemi?
«Intanto potrà mettere in moto un meccanismo di ristrutturazione anche nell'altro schieramento, per rendere il sistema più efficace e governabile. Bisognerà avere il coraggio di scommettere, perché al più presto, entro un anno, si realizzi il progetto. Se del caso pagando qualche prezzo. Perché non si fanno grandi operazioni politiche senza pagar dazio. Noi non dobbiamo costruire un movimento, nè abbiamo bisogno di rifare un nuovo, indistinto cartello di alleanze. Noi abbiamo necessità di un partito, che non potrà assorbire tutto il centrosinistra ma che dovrà essere in grado di orientare. Poi si faranno le alleanze con chi è possibile farle».
Cosa vuol dire?
«Finora gli schieramenti sono stati costruiti per battere lo schieramento avverso più che per governare. Non svelo un segreto se dico che anche l'alleanza con cui mi sono candidato ha redatto un enorme documento programmatico, ma non è riuscita a sciogliere certi nodi. Alcune contraddizioni sono rimaste. E questo è un limite. Il Pd dovrà essere un partito aperto ma omogeneo al proprio interno, capace di costruire programmi di governo».
Quando parla di «prezzi da pagare» si riferisce al rischio di scissione nei Ds?
«Le scissioni dispiacciono, spero che nel Pd vengano tutti. Ma che a sinistra del soggetto riformista si identifichi un'area con cui poter costruire alleanze efficaci, non mi pare un dramma. D'altronde un'area a sinistra c'è, e lo ritengo un fatto positivo se sarà più caratterizzata, capace di dialogare e di costruire in futuro un'alleanza seria per governare».
Questo vuol dire che il futuro Pd potrebbe guardare anche ad altri tipi di alleanze, magari con un'area di centro?
«Quando si ristrutturerà il sistema politico, con un Pd ormai affermato, l'arco delle possibili alleanze naturalmente sarà più largo. Abbiamo deciso di essere alleati con chi sta alla nostra sinistra, sebbene siano evidenti dei limiti nell'azione di governo. Penso sia naturale continuare il dialogo, ma non è possibile precostituire da ora il futuro».
L'accelerazione verso il Pd serve anche per evitare che un'eventuale crisi di governo travolga il progetto?
«Non vedo nessun automatismo tra le due questioni. Certo, una crisi di governo non aiuterebbe un progetto così importante, mentre la sua tenuta sarebbe una garanzia per uno sviluppo ordinato del processo».
Questo processo porterà Prodi alla guida del partito, o visto che Prodi è premier sarà opportuno che un altro si impegni al suo posto?
«Prodi è il leader del centro-sinistra che guida il governo. Proprio per questo saranno altri a dover gestire la fase di costruzione del partito. Poi si vedrà, e tra i possibili leader ci sarà anche Prodi».
Senta, con Rutelli come va? Si dice che i rapporti tra voi si siano ultimamente raffreddati...
«Per due dirigenti che hanno militato e militano nello stesso partito ci dev'essere sempre l'accordo. Poi, come in ogni famiglia, ci sono alti e bassi».
Nella Dc i doppi incarichi non hanno mai portato bene: prima Fanfani, poi De Mita, ne hanno pagato le conseguenze. Rischia anche Rutelli?
«Portare avanti per lungo tempo incarichi di grosso peso e di grande impegno può essere gravoso. Ma osservando dall'esterno la vita del partito da cui provengo, ho visto che c'è stata la saggezza di mettere al coordinamento della Margherita, dunque a tempo pieno, un dirigente come Soro che sta lavorando con impegno e serietà».
In Francia è vigilia di presidenziali: farà il tifo per il centrista Bayrou nella corsa all'Eliseo?
«Da parlamentare europeo ho avuto modo di conoscerlo bene. So che è un politico capace, espressione di una Francia profonda che avverte, se non il fastidio, il peso di una semplificazione dello scontro politico tra conservatori e socialisti che non risponde più alla complessità di quel Paese. Proprio per questo lo vedo molto competitivo, in grado di ottenere un ottimo risultato. Ovviamente spero che vinca».
Peccato che i Ds, con cui dovrete fare il Pd, sostengano la socialista Royal...
«È del tutto naturale che facendo parte della famiglia socialista facciano il tifo per lei».
Ma questa differenziazione tra voi e i Ds ripropone l'eterno dilemma: dove siederà nell'Europarlamento il Pd? Finirà tra i banchi dei socialisti, come annuncia il capogruppo Schulz?
«Mettiamo da parte le spigolosità di Schulz, che non sempre sono gradevoli. E diciamo anche che non è un'offesa stare tra i socialdemocratici europei. Non lo sarebbe in linea di principio nemmeno per me. Io dico però che ha ragione Prodi quando spiega che questo problema va risolto dopo, quando insieme stabiliremo quale sarà la collocazione più rispondente alla natura del Pd».
Parisi sostiene che il nuovo soggetto, così come si sta costruendo, è a rischio perché «manca la politica» e tutto sembra ruotare attorno ad «accordi di vertice».
«Riconosco a una personalità come Parisi un impegno che non è mai venuto meno sulla costruzione del Pd. È un uomo volitivo, caratterizzato magari da alti e bassi di umore. Però - ne sono certo - non farà mancare il suo apporto alla realizzazione del progetto».
Perché fare ora la legge elettorale, visto che mancano ancora quattro anni alla scadenza della legislatura?
«Considero la riforma elettorale una priorità perché va corretto lo squilibrio che l'attuale sistema ha provocato nelle due Camere, e perché va restituito al cittadino il diritto di scegliere il proprio candidato. Inoltre, poiché in questa legislatura nessuno può prevedere l'evolversi della situazione, e se tra uno, due, tre anni ci sarà una stabilizzazione o un'accelerazione verso le urne, da presidente del Senato mi preoccupa il fatto che l'attuale meccanismo di voto resti in vigore. Questo è un rischio troppo grande per il Paese. Bisogna eliminare il rischio, tenendo presente che la Costituzione non prevede l'automatico ritorno alle urne dopo il varo della nuova legge elettorale».
A proposito di rischi: riferendosi alla proposta di maggioranze variabili formulata dal ministro Amato, lei ha paventato il timore che la «variabilità finisca per toccare il governo».
«In genere si parla di maggioranze variabili quando uno la maggioranza ce l'ha, e può pensare di allargarla in una direzione o nell'altra. Ma al Senato il centro- sinistra dispone di una maggioranza risicata. In questa situazione non ha senso parlare di maggioranze variabili, sono impraticabili. Piuttosto su temi di interesse nazionale ci possono essere convergenze tra maggioranza e opposizione, ed è una cosa nobile, che io auspico».
A forza di raccogliere complimenti come presidente del Senato, non pensa che verrà invitato a cambiar palazzo? Magari palazzo Chigi...
«Due cose. La prima è che palazzo Chigi è occupato, e per me ben occupato. La seconda è che il politico che si fa lusingare dai complimenti è perlomeno un ingenuo, per non usare una parola che renderebbe meglio l'idea».

14 marzo 2007

 


Il Riformista 14-3-2007  Sul Pd traballa il modello Roma  di Stefano Cappellini


C’è quasi da chiedersi se, parlando di Partito democratico, il famoso «modello Roma» stia funzionando al rovescio di come dovrebbe. Un interrogativo politico cui è ancora presto per dare una risposta certa. Per ora parlano alcuni numeri e dicono che la mozione di Piero Fassino per il Partito democratico, che in tutta Italia viaggia non lontana dall’80 per cento, nella capitale è ferma a quota 59. Con la prospettiva della scissione agitata sia da Mussi che da Angius, non è rassicurante per Fassino sapere che finora in città quasi un iscritto su due è ostile o scettico sul Pd. La Margherita romana, che ha appena celebrato il suo congresso all’insegna della parola d’ordine «Noi per il Partito democratico», ha vissuto giorni difficili tra divisioni di corrente, tesseramento sospetto e affluenza contestata: le cifre ufficiali dicono che nel fine settimana all’hotel Ergife hanno votato circa 15 mila dei 49 mila aventi diritto, ma secondo fonti del partito i votanti effettivi sarebbero poco meno di 4 mila. Insomma, nonostante il convegno dell’altroieri al teatro Eliseo partecipato da un pezzo importante della futura classe dirigente democratica, da Goffredo Bettini a Nicola Zingaretti passando per Piero Marrazzo (ma pressoché disertato dai Dl), a Roma - peraltro feudo politico di due leader ultrademocrat come Francesco Rutelli e Walter Veltroni - il Pd non sembra partire sotto i migliori auspici.
Il coordinatore uscente della Margherita Roberto Giachetti, che non ha ricucito col successore Riccardo Milana e non ha gradito l’accordo di quest’ultimo con lo sfidante popolare Lucio D’Ubaldo («Penso che le differenze esistenti al nostro interno avrebbero dovuto trovare una chiara rappresentazione al momento del voto», ha scritto Giachetti sul suo blog) è in sciopero della fame per chiedere una data certa per la Costituente del nuovo partito e teme che Roma possa risultare il laboratorio della disaffezione al Pd: «Abbiamo lasciato troppo tempo il progetto a bollire. Se continuiamo di questo passo non sarà Roma il problema, ma l’Italia tutta».


Il Sole 24 Ore 14-3-2007 Taglio dell'Ici e aliquota unica del 20% sugli affitti di Dino Pesole

Sulle modalità di distribuzione del «dividendo fiscale» scende in campo la maggioranza e pone sul tavolo della trattativa anche l'eventuale introduzione nel Ddl delega in materia di tassazione delle rendite finanziare, in discussione alla Camera, anche l'aliquota unica del 20% sugli affitti.
Probabilmente la prossima settimana — ha annunciato ieri la capogruppo dell'Ulivo in commissione Finanze della Camera, Laura Fincato — si terrà un vertice dell'Unione sui nodi del Ddl delega. Si tratta, in primo luogo, di stabilire le modalità di attuazione del nuovo meccanismo di prelievo al 20% per tutti i redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria. Sarà al tempo stesso l'occasione per fare il punto sulle proposte emerse finora all'interno del Governo, su come articolare lo sconto fiscale che va emergendo per il buon andamento delle entrate tributarie.
Cifre certe ancora non ce ne sono. Si attendono i dati della Trimestrale di cassa, in arrivo entro una decina di giorni. Secondo quanto deciso due sere fa nel vertice serale a Palazzo Chigi tra il premier Romano Prodi,i vice premier Francesco Rutelli e Massimo D'Alema e i ministri economici, non appena i dati della Trimestrale saranno disponibili si aprirà il confronto in sede politica e con le parti sociali sul complesso delle questioni sul tappeto: il dividendo fiscale, ma soprattutto la riforma della previdenza con annesso riordino degli ammortizzatori sociali,il nodo dei contratti pubblici.
In primo piano il pacchetto casa.Sul tappeto al momento restano due opzioni: abolizione
tout court dell'Ici per la prima casa,
per un costo di 2,7 miliardi su un gettito totale pari a 10 miliardi ( ieri rilanciata dal sottosegretario all'Economia, Mario Lettieri, che propone la strada del decreto legge); incremento delle detrazioni a beneficio delle famiglie con più figli, per un costo che si aggira attorno ai 2 miliardi. Il tutto andrà coordinato con la revisione degli estimi catastali. L'idea che sembra emergere in queste ore (soprattutto in seno alla maggioranza) è di inserire nel pacchetto anche l'aliquota unica del 20% sugli affitti. Ipotesi emersa nel corso della fase preparatoria della Finanziaria, poi accantonata.Il mancato gettito è quantificato in 1,5 miliardi, che sarebbe compensato da una stretta sull'evasione degli immobili. Il complesso di misure allo studio prevede anche sconti, sotto forma di maggiori detrazioni, a beneficio sia degliinquilini che dei proprietari.
Si segnala nel frattempo la decisione assunta dal Comune di Roma di ridurre l'Icisullaprima casa dal 4,9 al 4,6 per mille e di aumentare al tempo l'addizionale Irpef dallo 0,2 allo 0,5 per cento.
Una volta decisa in sede politica la priorità degli interventi, si individuerà il veicolo normativo. L'inserimento dell'aliquota unica del 20% sugli affitti nel Ddl delega sembra essere la strada più lineare, anche se al momento non si esclude che la nuova misura possa essere introdotta in Finanziaria, per entrare in vigore con certezza nel 2008. L'anticipo all'anno in corso appare al momento improbabile, anche perché si creerebbe uno scarto temporale rispetto alla parallela riforma della tassazione delle rendite finanziarie. E l'idea dei tecnici di Visco resta quella di far marciare i vari "pezzi" del pacchettocasa insieme.
Al ministero dell'Economia domina la prudenza. Soprattutto perché ancora non è chiaro a quanto ammonti effettivamente la cifra disponibile nell'immediato né quali siano le reali priorità che il Governo deciderà di perseguire. Appare improbabile che vi siano risorse sia per il «dividendo fiscale» sia per il riordino degli ammortizzatori sociali (che costa 2,5 miliardi), tanto per citare due delle questioni sul tappeto. Poi si tratta di metter mano ai cosiddetti«incapienti », e incrementare le pensioni minime, secondo quanto annunciato da Prodi. Infine, per la Finanziaria 2008, si prepara un pacchetto di sconti per i redditi oltre i 40mila euro.
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La Repubblica 14-3-2007 Tettamanzi: "Sulla famiglia serve il dialogo, non lo scontro"

 

L'arcivescovo di Milano: lavoriamo insieme per andare avanti ed evitare scontri il percorso Dobbiamo saper parlare anche alle persone che sono lontane dalla Chiesa Va fatto uno sforzo le regole I contenuti del Vangelo sono quelli e sui principi non si possono fare sconti. Ma anche lo stile è importante il perdono Se la comunità cristiana non è compatta non è credibile. Ma sia compatta nel perdono la sofferenza Bisogna stare vicino a tutte le famiglie, soprattutto a quelle che soffrono, magari senza saperlo ZITA DAZZI DAL NOSTRO INVIATO GERUSALEMME - "I contenuti del Vangelo sono quelli, e sui principi non si possono fare sconti. Ma l'importante è lo stile, il modo di proporre questi contenuti anche alle persone che sono lontane dalla chiesa. L'importante è lo sforzo di andare avanti e riprendere il dialogo, giorno dopo giorno". Il cardinale Dionigi Tettamanzi parla a Nazareth, dopo una messa nella basilica dell'Annunciazione, nel primo giorno di un pellegrinaggio della Diocesi ambrosiana. E' alla guida di 1300 fedeli arrivati in Terrasanta per festeggiare gli 80 anni di Carlo Maria Martini. Ma all'arcivescovo di Milano, che celebrerà a Gerusalemme anche i suoi cinquant'anni di sacerdozio, ancora una volta preme sottolineare che la Chiesa deve restare unita, evitare le spaccature. L'altro invito esplicito, nel momento più apro del dibattito sui temi della famiglia, è quello affinché si cerchi una mediazione anche col mondo politico, senza sfoderare un'intransigenza "senza perdono". Arcivescovo, quest'anno ha impostato il percorso pastorale di Milano sul tema della famiglia, sollecitando i parroci a dare ascolto a tutte le famiglie, anche a quelle che non vivono secondo la regola cattolica, quelle non sposate. "Bisogna stare vicino a tutte le famiglie, soprattutto a quelle che soffrono, a quelle che hanno più bisogno e pensano magari di non averne bisogno. Comunque se non ci sta la chiesa, vicino a queste famiglie, sicuramente sta vicino a loro il Signore, il Gesù della croce e della gloria". Ma quali sono i problemi della famiglia oggi? "Oggi c'è una miriade di problemi che affliggono le famiglie, anche quelle che in teoria vivono bene da un punto di vista economico e culturale. Anche le famiglie cattoliche che partecipano alla vita della comunità cristiana e alla vita sociale. Tutte queste sono famiglie messe alla prova". Ma in questo momento, il dibattito politico sui problemi della famiglia moderna è così difficile che sembra quasi non ci sia margine di dialogo. "Non bisogna dimenticare che proprio nel Vangelo ci sono due prospettive che si incrociano continuamente, che sono la prospettiva del cammino ricco di speranza e quello del cammino faticoso, che ci fa restare impalati di fronte alle difficoltà, che a volte ci fa venire la tentazione di rinunciare". Qual è l'insegnamento? "Quando arriva questa sensazione di sconfitta bisogna pensare che insieme si può superare l'ostacolo. E questa esigenza di lavorare insieme non riguarda solo l'appello affinché lavorino assieme le istituzioni, le varie forze sociali, il volontariato. E' un "insieme" che deve valere anche dentro alla Chiesa, come è scritto nel Dna metodologico della comunità cristiana". Bisogna evitare spaccature all'interno del mondo cattolico o spaccature a livello politico? "Se la comunità cristiana non è compatta, non è affatto credibile. Ma l'unione è sempre un'unione nel perdono, non nello scontro. Chi non è capace di perdonare non è capace di amare. Siamo tutti poveri nell'amore perché l'istinto che ci prende e ci domina non è quello del perdono, ma della vendetta, della divisione". Ma ci sono dei principi sui quali è difficile trovare un'intesa fra laici e cattolici. "L'importante non sono tanto le parole dette. Anche queste vanno pronunciate, perché si verrebbe meno alla fedeltà ministeriale. Ma ciò che conta è lo sforzo che tutti quanti assieme cerchiamo di fare un passo in avanti, vivendo, magari a fatica, ma con convinzione, con capacità di riprendere il dialogo giorno dopo giorno e di vivere la coerenza".


Il Corriere della sera 14-3-2007 Unione, caduto l'«alibi Ruini» La sfida ora viene dal Pontefice  La Nota Massimo Franco

 

Ma il rapporto Stato-Chiesa resta irrisolto nei due schieramenti

 

 

L' illusione un po' superficiale di una Cei «liberata» dal cardinale Camillo Ruini, e dunque meno arcigna verso l'Unione, sta già tramontando. Il martellamento di Benedetto XVI sulle leggi «contro la natura» che «politici e legislatori cattolici» non dovrebbero votare, non lascia margini. E il riferimento alla «coppia dell'uomo e della donna» come «nucleo fondante di ogni società», fatto ieri dal neopresidente della Cei, Angelo Bagnasco, chiude il cerchio di una continuità rocciosa. I rapporti fra Santa Sede e centrosinistra riemergono tormentati come prima.
Il modo stentoreo col quale la sinistra governativa denuncia l'«ingerenza vaticana», è la replica di un'incomunicabilità vistosa; e di categorie culturali datate, incapaci di rimodellare il dualismo Stato- Chiesa. Ma non offre novità neppure il sostegno acritico e a volte strumentale del centrodestra alle parole del Papa. Silvio Berlusconi è già immerso in una lunga campagna elettorale senza data del voto. E sembra scegliere il binomio Chiesa- ordine per logorare il governo. Le lodi al Pontefice e la presenza alla marcia del sindaco Letizia Moratti a Milano appaiono pezzi della stessa strategia.
Per l'Unione lo scontro assume contorni taglienti. La legge sulle unioni di fatto è in bilico. Ministri come Mastella e singoli eletti anticipano che non voteranno il provvedimento con una convinzione più forte che nel passato. Non significa che sono diventati numerosi: è solo più debole il fronte dei «Dico». E la pressione vaticana aumenta dopo le dimissioni di Ruini del 7 marzo.
Il rettore dell'ateneo Lateranense, monsignor Rino Fisichella, annuncia che la Cei discuterà la «Nota impegnativa» sulle unioni di fatto il 26 marzo, quasi in parallelo col Parlamento: una coincidenza quasi minacciosa. Ma soprattutto, le parole del Papa contengono espressioni che sono riferite alla situazione italiana. Si conferma un'offensiva concentrata sul Paese considerato la «vetrina» più vicina e strategica del cattolicesimo.
Non è detto che la pressione abbia successo. Ma sulla carta, al Senato i voti non bastano. E comunque, per il Vaticano il risultato sembra meno importante dell'esigenza di affermare principi «non negoziabili». Su questo sfondo, la sintonia che il centrodestra accredita viene incassata oltre Tevere, senza rilasciare deleghe. Ma per i cattolici al governo la situazione si complica. Il loro sforzo di distinguere fra laicità e convinzioni religiose potrebbe assumere contorni laceranti. Anche perché a tracciarli ora è Benedetto XVI: l'«alibi Ruini» è caduto.

Massimo Franco

14 marzo 2007


 

L’Avvenire Eugenio Scalfari annette e respinge, sempre aut-aut mai et-et. Dopo Voltaire, anche Pascal Sicuro di aver scritto bene. Francesco D'Agostino

Contrapponendo la «Chiesa di Ruini» a quella di Agostino, Pascal, Maritain, Martini, la Chiesa del «potere» a quella del «vangelo», Eugenio Scalfari ha dato su Repubblica (11 marzo 2007) l'ennesima prova di quel gusto per l'aut-aut col quale si cerca, da che mondo è mondo, di ridurre la complessità del reale, radicalizzando, cioè cercando di portare alle radici, questioni che meglio andrebbero trattate considerando dell'albero, oltre che le radici, anche il tronco, i rami, le foglie. Fuor di metafora, non ottiene altro effetto se non quello (paradossale) di impoverire la complessità del mondo colui che, come Scalfari, ne irrigidisce la percezione, semplificandola in schemi binari. Sfugge al fondatore di Repubblica la specificità dell'apporto cattolico alla lettura delle cose, che in pagine insuperate Jean Guitton riassunse nella logica dell'et-et, ben diversa appunto da quella dell'aut-aut. Il cattolico è infatti chiamato a tenere insieme dimensioni (formalmente) contraddittorie, così come è (ma solo formalmente) contraddittoria l'idea che Dio possa farsi uomo: per il cattolico è indispensabile, per capire il mondo, coniugare libertà e ubbidienza, peccato e grazia, tempo ed eternità, Stato e Chiesa, impegno per il mondo e fuga da esso, ragione e fede, matrimonio e celibato e (perché non dirlo? Mai tema è stato così di moda come è oggi questo) uomo e donna. È vero, come sostiene Scalfari, che ci sono due anime nella Chiesa cattolica? Certo che è vero. Ma queste due anime, cioè il Vangelo e il potere, sono convergenti e non divergenti e vanno sapientemente coniugate. Il Vangelo non si sostanzia infatti in un messaggio spiritualistico, etereo, sospiroso ed emotivo: la parola di Dio si inserisce ed opera nella storia e può essere tagliente come una spada. E il potere, letto alla luce dell'insegnamento del Cristo, cioè come servizio, non solo non è contrapposto al vangelo, ma diventa una via per attuarlo. Chi ha un potere - questa è l'essenza dell'insegnamento cristiano - non deve vergognarsene, né è tenuto a spossessarsene; ha piuttosto il dovere di usarlo (naturalmente purché e nei limiti in cui ne sia capace) con una finalizzazione esclusiva, quella al servizio dei fratelli, della comunità e in definitiva del genere umano, nel nome cioè del bene materiale e spirituale di tutti. Ecco perché il Cristo, nella conclusione del Vangelo secondo Matteo, non esita a porre con fermezza la sua stessa persona al centro del potere («data est mihi omnis potestas in caelo et in terra»), come fondamento del mandato evangelizzatore che affida ai suoi discepoli. Ed ecco perché il termine di Signore, col quale così di frequente i discepoli alludono al Cristo nei Vangeli, pur appartenendo chiaramente al lessico del potere, non desta nessun sentimento di timore o di diffidenza: quel Signore, al quale il cristiano affida la sua vita, può essere altrettanto legittimamente denominato come Salvatore. Ai laici, dice Scalfari, a quei laici che predicano «libertà, democrazia, tolleranza» piace la Chiesa di Pascal. Sono lieto di apprenderlo, dato che per i padri nobili del laicismo moderno (basti pensare a Voltaire o più di recente a Bertrand Russell) quello di Pascal è un nome che genera solo imbarazzo. In una delle sue pensées Pascal, infatti, sostiene una tesi che - ove presa sul serio - obbligherebbe il laicismo relativistico moderno a dilatare a dismisura la propria sensibilità: «se non si ama la verità - scrive Pascal - non si è capaci di conoscerla». "Libertà, democrazia, tolleranza" sono infatti una triade splendida, che facciamo nostra senza alcuna difficoltà. Ma ad essa premettiamo l'amore per la verità, un amore operoso, attento alle persone e alle cose, che non ha paura del potere, quando si manifesta nella logica di un servizio attento e intelligente al bene umano.


INDICE 13-3-2007

+ La Stampa 13-3-2007 Legge elettorale,  Prodi incontra la Lega

La Stampa 13-3-2007 DOCUMENTO-RATZINGER AI VESCOVI Monito ai politici cattolici nella nuova Esortazione ApostolicaIl Papa: non votate leggi contro natura. Marco Tosatti

La Repubblica 13-3-2007 Perché abbiamo bisogno del Partito democratico VINCENZO CERAMI 1

Il Corriere della Sera 13-3-2007 L'unica cosa più temibile di una Russia stabile è una Russia instabile. Di Franco Venturini 2

Quotidiano.net 13-3-2007 Un italiano su tre è vittima di truffe Ricerca della Confesercenti. 3

Punto informatico 13-3-2007 Scatto alla risposta. La prudenza di Bersani D.B. 4

Il Corriere della Sera 12-3-2007 Caso Giuliani, la Corte Ue accoglie ricorso  5

La Stampa 12-3-2007 "L'Annunciazione" di Leonardo in viaggio verso Tokyo  5

 


 

+ La Stampa 13-3-2007 Legge elettorale,  Prodi incontra la Lega

 

A palazzo Chigi sono arrivati il coordinatore delle segreterie della Lega, Roberto Calderoli e il capogruppo alla Camera, Roberto Maroni

ROMA
Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha avviato oggi i colloqui con gli esponenti dell’opposizione sulla riforma della legge elettorale. A palazzo Chigi i primi colloqui sono avvenuti con i membri del Carroccio: il coordinatore delle segreterie della Lega, Roberto Calderoli e il capogruppo alla Camera, Roberto Maroni. Agli incontri partecipa anche il ministro per i Rapporti con il Parlamento e le Riforme, Vannino Chiti.

Prima dell’incontro con la delegazione della Lega sulla legge elettorale a palazzo Chigi, il premier Romano Prodi ha sentito al telefono il leader del Carroccio, Umberto Bossi per fare il punto della situazione.


I COMMENTI DI CALDEROLI
«Il presidente del Consiglio ci ha illustrato la sua iniziativa di ricognizione informale sulla legge elettorale» spiegando che il ruolo del «governo è di facilitatore e non certo di legislatore». Lo ha riferito il leghista Roberto Calderoli in una conferenza stampa a Palazzo Chigi al termine dell’incontro con Romano Prodi, Vannino Chiti e Enrico Letta sulla legge elettorale.

«Il governo non auspica il referendum, ma quello di un’attività legislativa del Parlamento - ha spiegato Calderoli - però il referendum è stato un pungolo per accelerare l’iter. E per questo ha chiesto qual è la nostra posizione. La Lega è sempre disponibile quando si tratta di occuparsi di questo tipo di riforme» a patto però, ha precisato, che ci sia la garanzia che non tenga il referendum. «Per le riforme serviranno un paio di anni - ha proseguito Calderoli - da qui alla fine di questo tavolo di chiacchierate di conversazioni informali verificheremo qual è la proposta. Bisogna evitare che l’avvio di riforme possa lasciare aperta la porta al referendum. Bisogna avere la certezza che il referendum non possa modificare la legge elettorale».

I COMMENTI DI MARONI
«Se si trova l’intesa bene, altrimenti si va al referendum e ognun per sè». Lo ha detto Roberto Maroni, capogruppo della Lega alla Camera, al termine dell’incontro con Romano Prodi, Vannino Chiti ed Enrico Letta a Palazzo Chigi sulla riforma della legge elettorale. Un incontro, ha sottolineato Maroni, dove dall’inizio è stato riscontrato «un clima positivo» che lo ha fatto durare oltre un’ora anziché «un quarto d’ora». Per questo «siamo ottimisti» e, ha aggiunto Maroni, «con tutte le cautele del caso mi pare che ci siano le condizioni per fare una cosa utile e interessante».

 

 

 

 


La Stampa 13-3-2007 DOCUMENTO-RATZINGER AI VESCOVI Monito ai politici cattolici nella nuova Esortazione ApostolicaIl Papa: non votate leggi contro natura. Marco Tosatti

 

CITTA' DEL VATICANO
Benedetto XVI pubblica oggi la sua «Esortazione Apostolica» sull’eucarestia, che «La Stampa» è in grado di anticipare, e lancia un monito severo ai politici e ai legislatori cattolici che, «consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana».

E’ ovvio che il Pontefice, in questo ampio documento (centosessanta pagine) che raccoglie il lavoro di quasi un mese di vescovi di tutto il mondo, riuniti nell’ottobre scorso a Roma per un «Sinodo» su questo tema, non ha in mente solo, o particolarmente, l’Italia e la battaglia dei Dico; ma la traducibilità in termini italiani è agevole e immediata. Il Papa parla di «coerenza eucaristica»; il culto a Dio non è mai un atto meramente privato, ma «richiede la pubblica testimonianza» della fede. E questo è vero «con particolare urgenza» per quelli che devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, «come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio fra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme. Tali valori - ammonisce Benedetto XVI - non sono negoziabili». E non si chieda alla Chiesa di tacere: «I vescovi sono tenuti a richiamare costantemente tali valori: ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato». E’ una presa di posizione che, per la sua autorevolezza, lo strumento usato (un’ «Esortazione Apostolica») e il fatto di avere origine da un Sinodo mondiale, segnato perciò da una partecipazione collegiale e qualificata di vescovi, ha un peso molto forte. In questa luce, anche il tanto atteso documento della Cei sui Dico (la cui uscita potrebbe slittare a maggio) ne verrà certamente condizionato.

Il documento - intitolato «Sacramentum Caritatis» - copre un ventaglio vastissimo di temi: dalla confessione, al celibato sacerdotale, alle nullità matrimoniali, al canto gregoriano fino alla posizione del tabernacolo nella chiesa, e a come organizzare la domenica. Fra l’altro, viene raccomandata «una equilibrata e approfondita prassi dell’indulgenza, lucrata per sé o per i defunti». L’indulgenza, che come è noto fu una delle cause dello scisma protestante, prevede la confessione personale; e il papa esorta a «favorire la confessione frequente», e a non usare l’assoluzione generale se non in casi eccezionali. Ma vediamo alcuni punti del documento.

Celibato. I sacerdoti devono sapere che il loro ministero «non deve mai mettere in primo piano loro stessi o le loro opinioni, ma Gesù Cristo». Cristo ha vissuto la sua missione «nello stato di verginità», e questo è il punto di riferimento della tradizione della Chiesa latina. Il sacerdote sposa la Chiesa; e allora, «in unità con la grande tradizione ecclesiale, con il Concilio Vaticano II e con i sommi pontefici miei predecessori, ribadisco la bellezza e l’importanza di una vita sacerdotale vissuta nel celibato... e ne confermo quindi l’obbligo per la tradizione latina». Divorziati risposati. Non possono essere ammessi ai sacramenti, perché «il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore fra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucarestia». Se c’è un dubbio sulla validità del primo matrimonio, bisogna rivolgersi ai tribunali ecclesiastici, ma fondamentale è «l’amore per la verità». Tradotto: niente manica larga con i riconoscimenti di nullità. Se la nullità non c’è, e però la convivenza è «irreversibile», se vogliono accostarsi ai sacramenti gli interessati devono vivere «come amici, come fratello e sorella».

Latino e gregoriano. Per le liturgie di massa: «E’ bene che tali celebrazioni siano in lingua latina; così pure siano recitate in latino le preghiere più note della tradizione della Chiesa ed eventualmente eseguiti brani in canto gregoriano». E i futuri sacerdoti «fin dal tempo del seminario» siano preparati a celebrare in latino, «nonché ad utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano». E in generale, la liturgia non può «subire il ricatto di mode del momento».


La Repubblica 13-3-2007 Perché abbiamo bisogno del Partito democratico VINCENZO CERAMI

 

Gli esperti ci ricordano che in Italia la politica si fa per telefono e nei salotti, che ha un linguaggio autoreferenziale. E che il potere di cambiare le cose sta strettamente nelle mani di chi non ha alcun interesse a cambiarle. Probabilmente hanno ragione, e per questo è necessario un grande scossone per riportare la politica nel suo ambiente naturale, tra i cittadini. Un grande Partito Democratico è l'occasione giusta. I politologi dicono che le belle parole sono l'abito elegante di chi invecchia. Sarà vero, ma chi non pronuncia belle parole è condannato a vivere nel brutto e nel vuoto. Questa nostra epoca ci vuole tutti uguali, nei modi di essere e nei consumi. è cattiva scuola quella che tenta di far somigliare tra loro gli alunni. Il suo compito principale è semmai l'esatto contrario: fare in modo che tutte le individualità siano differenti e irripetibili. La coabitazione di persone diverse tra loro, ognuna con la propria storia e la propria personalità, è più viva di un ricovero nel quale tutti portano il medesimo distintivo, e poco hanno da dirsi giacché, appunto, si somigliano. La politica italiana, per come sono andate le cose nel passaggio dalla prima alla seconda repubblica, ha oggi necessità di aprire spazi vitali a vaste parti della popolazione, fino a ieri frazionate e circoscritte in aree chiuse, generate dal percorso della storia. Bisogna prendere atto che il sistema tradizionale dei partiti non corrisponde più alla società del nostro tempo. Vanno buttate giù le pareti che fanno da confine, e lasciare circolare, in un ambito più ampio e arioso, idee ed esperienze diverse, ma legate dal comune desiderio di un grande balzo in avanti del nostro paese, sul piano della giustizia, della civiltà e del benessere. Le giovani generazioni, che del passato non hanno responsabilità e memoria, faticano a riconoscere nei partiti attuali le loro idealità e aspettative. Li vivono come sopravvivenze, se non proprio come stanze del Palazzo. Eppure sono proprio i ragazzi e le ragazze ad avere necessità assoluta di politica, di credere nella politica. Il Partito Democratico, di cui tanto si parla negli ultimi mesi, è la grande opportunità per dare una spallata al vecchio e cominciare a costruire il futuro, per creare un clima di fiducia e di partecipazione di tutti alla crescita dell'Italia. Non hanno senso le recriminazioni, le nostalgie, le impuntature di principio, la difesa degli orticelli, la vaghezza dei progetti chimerici, e l'aridità del pragmatismo di cui sono portatori i partiti tradizionali. Così come rallenta - quando non avvelena - la crescita della politica, l'arroccamento dei quadri al dirigismo e al personalismo. Il Partito Democratico apre le porte che fino a ieri tenevano separati laici e cattolici, democratici di De Gasperi e democratici di Berlinguer, democratici di Nenni e democratici cristiani? Liberarsi di quei cancelli, mischiando le diversità sotto la stessa bandiera, svuota di senso i vecchi conflitti, vanifica ogni spirito di supremazia, fa nascere un nuovo senso di appartenenza, più esteso, ben disposto agli scambi di esperienze e di culture. Comune denominatore e collante saranno la continuità della tradizione democratica e l'unanime impegno a creare il futuro migliore che vorremmo avere, lasciando nel magazzino tutto quanto del passato, seppure glorioso, è diventato zavorra. I giovani non dovranno rimettere in piedi una macchina scassata, ma imparare a costruirne una nuova di zecca, bella e che corra a gran velocità, per affrontare le nuove sfide culturali, economiche, tecnologiche. In questo nuovo, spazioso partito si può passeggiare, bivaccare, fare festa, discutere e progettare tra amici che hanno scelto di separare l'interesse personale da quello generale, che hanno scelto di stare assieme per essere più forti e dar vita a un'Italia viva, creativa, efficiente. Il nostro paese ha potenzialità e intelligenze indiscutibili, sa produrre con estro e cultura, sa coniugare fantasia e scienza. Gli basta ritrovare fiducia in se stesso, e anche la tradizionale, straordinaria vocazione all'allegria. I giovani, che sono il nostro futuro prossimo, hanno bisogno di grandi principi, più forti della mitologia consumistica diffusa dal mercato. Cercano valori basilari in cui trovare un'identità sia personale che collettiva, una cultura ricca che li faccia crescere fuori da ogni condizionamento, nella certezza di un domani sereno. Hanno diritto a una politica che rispetti la sacralità dell'uomo e l'integrità dell'ambiente in cui vive. Chiedono già oggi che la politica ritrovi il suo ruolo di distributore di giustizia, senza porsi al servizio di interessi particolari, di lobby nazionali e internazionali. Vogliono viaggiare per il mondo con l'orgoglio di essere italiani, e non portare il loro talento all'estero perché qui da noi mancano le occasioni di lavoro. è un nuovo clima che il Partito Democratico deve far nascere in Italia, un entusiasmo che spinga all'invenzione e alla fantasia, in ogni campo, nel lavoro, nell'arte, nell'imprenditoria. Quindi liberalizzazioni, alleggerimenti burocratici, stimoli all'iniziativa, opportunità di esprimere le proprie capacità. Ottimismo. Non abitiamo il migliore dei mondi possibili, lo sappiamo benissimo. E non serve a niente chiederci perché. O lo rifiutiamo o cerchiamo di viverci. Un partito politico serve a rendere vivibile anche un mondo poco aggraziato. Il Partito Democratico non può accontentarsi della somma algebrica dei partiti dell'Ulivo. Dovrà essere un territorio aperto a tutti gli italiani che hanno a cuore la sorte del loro paese, delle loro famiglie, dei loro figli. Non importa la provenienza politica d'origine. Sarebbe da augurarsi, paradossalmente, che un giorno si decida di tirare a sorte la posizione degli schieramenti nel Parlamento. Che la destra sieda a sinistra, e viceversa. Non ha alcun senso ispirarsi a un costume passato che non ha più agganci col presente. La società di massa è una realtà definitiva e irreversibile. Le differenze non sono più ideologiche, ma fanno riferimento a un'etica generale con cui si guarda al mondo. Il Partito Democratico si fonda sulla difesa dei diritti di chi è socialmente più fragile. Coniuga realismo politico e difesa delle scelte e dei diritti di tutti. Combatte per la salvaguardia della natura. è per la laicità dello Stato e contro la pena di morte. è per l'Europa unita, e contro ogni forma di discriminazione. Opera per la libertà e il pluralismo dell'informazione. Ha nel gene il principio della concertazione. Non accetta la guerra come merce di scambio. Al contrario di chi gli si oppone, sa valutare la centralità della cultura in una società evoluta. Una sua parte consistente ha rifiutato lo statalismo. Combatte i moralismi, ed è attenta ai grandi fenomeni sociali che hanno bisogno di giustizia e di legalità. è più che mai vicino agli interessi delle aziende che creano benessere e posti di lavoro. Valorizza l'incontro delle culture e l'integrazione dei nuovi italiani, opera per la crescita e l'autonomia dei paesi poveri. Deplora e cerca di vincere l'odiosa evasione fiscale. Rispetta i poteri dello Stato. Opera affinché nel nostro paese le istituzioni assumano il proprio ruolo costituzionale super partes, agendo lontano dai partiti. Pone la scuola pubblica al centro della sua attenzione, in quanto luogo del sapere e motore del futuro, sia per gli agiati che per i meno agiati. Intorno a questa concezione del mondo può nascere un impegno "forte", capace di mobilitare l'entusiasmo di molti italiani e soprattutto dei giovani. Se vuole porsi al centro della vita italiana nei prossimi decenni, il Partito Democratico deve presentarsi sulla scena come una grande svolta, chiudendosi una porta alle spalle, e spalancandone un'altra. Sogniamo un altro panorama culturale, inedito e in stretta sintonia con i tempi, che faccia precipitosamente invecchiare tutto ciò che ancora abbiamo sotto gli occhi.


 

Il Corriere della Sera 13-3-2007 L'unica cosa più temibile di una Russia stabile è una Russia instabile. Di Franco Venturini

 

Forse bisogna ricorrere a questo vecchio schema della guerra fredda, anche se allora si trattava dell'URSS e il mondo era diverso, per capire il tormento che caratterizza i rapporti dell'Occidente con la Russia odierna. E per cercare di comprendere, soprattutto, come vada giudicato quel Vladimir Putin che oggi sarà ricevuto con tutti gli onori in Italia e in Vaticano. Sette anni dopo la sua prima conferma elettorale al Cremlino, il presidente russo resta per molti un enigma irrisolto. Prodi, Napolitano e il Papa accolgono stasera un salvatore della patria, oppure uno spregiudicato ex agente del KGB che non ha rinunciato ai suoi vecchi metodi? Putin è l'artefice di una democratizzazione in marcia dove la democrazia non è mai esistita, oppure la sua è una dittatura appena mascherata? Siamo al cospetto di un leader che distribuisce benessere e difende margini di libertà individuale che l'URSS non conosceva, oppure il Cremlino è animato da una sete di potere che non si ferma davanti alle violazioni dei diritti umani e ai delitti eccellenti? Il problema è che Vladimir Putin sfugge a definizioni tanto nette perché ognuna di esse contiene soltanto qualcosa di vero. Erede di una Russia in disfacimento dove gli Oligarchi facevano il bello e il cattivo tempo, Putin ha certamente ristabilito il funzionamento e il prestigio dello Stato. Aiutato dalle quotazioni internazionali del gas e del petrolio, Putin ha gestito una crescita economica che ha moltiplicato a dismisura i miliardari ma ora favorisce anche l'inedita formazione di una classe media. Davanti alla nuova sfida del terrorismo e all'aggravarsi delle crisi regionali, Putin ha difeso i suoi interessi ma ha anche offerto all'Occidente più collaborazione che ostilità. Eppure questo Putin rassicurante è lo stesso che considera il Parlamento una semplice camera di ratifica, è lo stesso che mette i bastoni tra le ruote ai partiti non sottomessi, è lo stesso che ha chiuso più di un occhio sugli abusi della guerra in Cecenia da lui stesso riaperta, è lo stesso che si serve di una magistratura docile per tenere in carcere l'ex petroliere Khodorkovskj e per ridurre al lumicino la libertà di informazione, è lo stesso che amministra un sistema di potere nel quale diventano possibili - anche se il Cremlino ne è forse il bersaglio politico - le eliminazioni di Anna Politkovskaja o di Alexander Litvinenko. Si capisce allora perché, nei rapporti con la Russia di Putin, l'Occidente si scopra prigioniero di un dilemma perenne tra valori e bisogni. I valori, quelli delle nostre democrazie mature, vengono abbondantemente disattesi nella "democrazia gestita" voluta dal Cremlino. Ma i bisogni appartengono anch'essi alla politica, e non danno tregua. L'Europa importa dalla Russia un quarto del suo fabbisogno energetico, e la percentuale è destinata ad aumentare se l'Unione non metterà in pratica i suoi buoni propositi nel settore delle energie rinnovabili. La Russia è già un grande mercato. Le scelte internazionali di Mosca (sul Kosovo, o sull'Iran) possono infastidire gli USA e alcuni europei, ma Washington e tutti gli europei sanno che una nuova contrapposizione Russia-Occidente avrebbe ben più pesanti conseguenze. Tapparsi il naso ed essere pragmatici, è questa, allora, la strategia migliore? In parte sì, perché a nessuno possono sfuggire il peso della storia russa e quanto di positivo Vladimir Putin ha comunque fatto. A cominciare dalla tanto preziosa stabilità, in un Paese che resta potenza nucleare. Ma il realismo, benché necessario, non basta. Accanto agli affari e alla difesa dei bisogni anche i valori devono trovare posto in una "politica russa" che l'Occidente intero stenta a esprimere. Perché anche la Russia che vende energia ha bisogno di noi che la compriamo. Perché Mosca avrà presto bisogno di massicci investimenti proprio nel settore energetico, e non vuole gettarsi tra le braccia della Cina. Perché, in definitiva, accanto a una questione di principio che dovremmo in ogni caso porre esiste una reciprocità di convenienze tale da consigliare alla Russia di ascoltare. A condizione che l'Europa "vecchia" e quella "nuova", troppo rassegnata la prima e troppo bellicosa la seconda, riescano a definire una linea comune verso Mosca. A condizione che il Cremlino non si senta ignorato o trascurato, come sta accadendo sulle componenti europee dello scudo anti-balistico USA. A condizione, soprattutto, che la successione al Cremlino nel 2008 non si trasformi in lotta di potere senza esclusione di colpi. La Russia ne uscirebbe destabilizzata, e noi potremmo trovarci a rimpiangere Vladimir Putin. il Dilemma dell'Occidente.

 


 

Quotidiano.net 13-3-2007 Un italiano su tre è vittima di truffe Ricerca della Confesercenti.

 

A cadere nel mirino dei truffatori sono soprattutto anziani, commercianti e piccole imprese. In costante crescita i raggiri commessi su internet Roma, 12 marzo 2007 - Un'Italia truffaldina che strumentalizza lo Stato e colpisce le imprese e i cittadini onesti, ricorrendo a ingegnosi artifici e astuti stratagemmi che producono numerose e quotidiane illegalità. Reati, in apparenza piccoli, ma in grado di distruggere una famiglia o un'impresa. Questo il ritratto a tinte fosche della penisola, che emerge dallo studio sul tema 'Il Bel Paese delle truffe. Costi e vittime di un reato antico e moderno', realizzato dal Centro Studi Temi della Confesercenti. La ricerca evidenzia, attraverso dati e notizie, il fenomeno delle truffe relativo agli anni 2001-2006. A cadere nel mirino dei truffatori sono soprattutto anziani, commercianti e piccole imprese. Mediamente un italiano su tre è vittima delle truffe, con circa 15 milioni complessivi di cittadini colpiti. I numeri parlano chiaro: circa 18 miliardi di euro il giro d'affari annuo che finisce nelle tasche di soggetti, raramente perseguiti dalla giustizia, che svolgono indisturbati il loro sporco 'lavoro'. "Una torta gigantesca - spiega Confesercenti - le cui sostanziose fette finiscono nelle tasche di maghi e occultisti per circa 5 miliardi di euro, in quelle di criminali che praticano frodi telematiche per altri 5 miliardi di euro, nelle mani di truffatori ai danni dell'Ue, dello Stato e delle Regioni, per circa 3,5 miliardi di euro. A questi si aggiungono i 4,6 miliardi di euro di truffe subite dai commercianti". Un settore in piena salute quello delle truffe, caratterizzato da una costante e inarrestabile crescita. Nel periodo 2001-2004 sono stati registrati 300.363 casi a fronte dei 145.212 del triennio precedente. L'incidenza percentuale di questo reato, sul totale generale dei delitti è più che raddoppiata, passando dal 2,1% del triennio 1998-2001 al 4,3% del periodo successivo. Il trend negativo, inoltre, sembra essere confermato dalle stime concernenti il primo semestre 2006, che segna un aumento in linea con quello conosciuto nei primi sei mesi del 2005. Si tratta di un fenomeno criminale che coinvolge l'Italia dal Nord al Sud. In quest'ultima parte del territorio si concentra il 70% delle truffe ai danni della Commissione europea. Le truffe via internet, poi, sono in costante crescita: si calcola che dal 2005, ogni giorno, sono circa 8 milioni i tentativi di carpire dati e informazioni personali, attraverso una semplice mail, per accedere ai conti bancari di vittime ignare. Per il 2006 la Crif, la società che gestisce il principale sistema di informazioni creditizie, stima in oltre 23 mila i tentativi di frode creditizia, con un aumento del 120% rispetto al 2005, (con un'incidenza di in oltre 102 milioni di euro). Tra gli altri reati che procurano maggiore allarme e irritazione sociale, lo studio ha focalizzato l'attenzione sulle truffe alimentari e sull'affare magia. Secondo il rapporto Rasf (Rapid Alert System for Food and Feed) della Commissione europea, i casi di rischio nel settore alimentare sono aumentati del 22%, per un totale di 3158 notificazioni segnalate nel 2005. I casi riguardano la presenza di microtossine, microrganismi nocivi (salmonella, ecc.), sostanze illegali (colorante Sudan, ecc.), e persino il colorante Itx, sostanza chimica contenuta nelle confezioni di latte destinato ai neonati. Quasi la metà (46%) delle notifiche di rischio per la sicurezza alimentare riguarda prodotti importati da Paesi extracomunitari come la Cina, respinti alle frontiere dell'Unione perchè ritenuti dannosi per la salute. Il bilancio delle truffe non migliora con l'occultismo che, con un volume d'affari di 5 miliardi di euro l'anno, un'evasione che sfiora il 100%, con la presenza e l'operatività di 22.000 maghi e astrologi ed il coinvolgimento di 10 milioni di cittadini, si conferma una realtà di vaste e inquietanti dimensioni. La crescita di questo mercato è stata negli ultimi anni di circa il 30%. Il settore naviga a gonfie vele con palle di vetro, tarocchi, pratiche esoteriche e astri, che coinvolgono ogni anno il 17% della popolazione. "I numeri e i denari movimentati - dichiara il presidente della Confesercenti, Marco Venturi - dimostrano che le truffe non sono più un reato 'folkloristico' marginale, bensì una grave minaccia per le persone e per l'economia. È necessario un impegno ancora più forte da parte delle istituzioni ed un'azione più incisiva da parte delle forze dell'ordine, per contrastare un fenomeno in costante e allarmante crescita". Secondo Venturi, "servono, in particolare, numeri di telefono dedicati alla denuncia delle truffe, sostegni di psicologi ed esperti, di aiuti economici vincolati alle denunce e finalizzati a debellare i truffatori ed a recuperare l'attività delle imprese".


 

Punto informatico 13-3-2007 Scatto alla risposta. La prudenza di Bersani D.B.

 

Il ministro dello sviluppo economico ritiene che prima di abolire lo scatto alla risposta ci vogliano ampie riflessioni. E che forse non servirà --> Forum Scrivi nuovo Bologna - Le recenti vicende legate al mondo della telefonia mobile stanno cambiando lo scenario delle offerte commerciali formulate dagli operatori. Questa è l'opinione del Ministro per lo Sviluppo Economico Pierluigi Bersani, che ritiene che il regime di concorrenza che si sta sviluppando possa portare a risultati che i consumatori apprezzeranno. Il Ministro, intervenuto al convegno Scuola, lavoro, impresa, ritiene opportuno attendere prima di introdurre l'abolizione dello scatto alla risposta nella telefonia. E questo perché, in seguito all'abolizione dei costi di ricarica, stabilita dal decreto che porta il suo nome, il ministro afferma di aver constatato alcuni iniziali - e importanti - cambiamenti: "Basta guardare la battaglia a colpi di pubblicità sui giornali e per le tv. Penso che le stesse compagnie che avrebbero potuto negli anni scorsi farsi concorrenza, magari tagliando il costo della ricarica, potranno via via anche su altri meccanismi tariffari farsi concorrenza, magari facendo qualche sorpresa al consumatore". Bersani ha poi aggiunto: "Se per la questione della ricarica avevamo alle spalle un'indagine molto puntuale di Autorità competenti, che ci ha dato il modo di considerare quell'istituto nelle sue particolari applicazioni, per lo scatto alla risposta c'è un meccanismo più complesso e dobbiamo fare degli approfondimenti". Il ministro sembra quindi intenzionato ad attendere l'evolversi degli eventi, esaminando nel frattempo le reazioni del mercato e le iniziative degli operatori, auspicando forse che, tra le "sorprese" che questi possono fare ai consumatori, vi sia anche la loro capacità di autoregolamentarsi.

 


 

Il Corriere della Sera 12-3-2007 Caso Giuliani, la Corte Ue accoglie ricorso

 

Secondo la famiglia, c'è stato un «uso eccessivo della forza»

Giudicata «ricevibile» l'istanza presentata dai genitori e dalla sorella del ragazzo morto durante gli scontri del G8 di Genova

 

BRUXELLES (Belgio) - La Corte europea dei diritti dell'uomo ha dichiarato «ricevibile» il ricorso presentato dai genitori e dalla sorella di Carlo Giuliani, morto a Genova nel 2001 durante gli scontri avvenuti in occasione del vertice del G8. Lo ha reso noto la stessa Corte precisando che la sentenza sarà pronunciata in altra data. La decisione dei giudici europei segue la prima udienza che si era tenuta il 5 dicembre scorso.

«FORZA ECCESSIVA» - La famiglia Giuliani nel suo ricorso a Strasburgo ha invocato, in particolare, l'articolo 2 della Convenzione dei diritti dell'uomo (diritto alla vita) sostenendo che la morte di Carlo «è dovuta ad un uso eccessivo della forza» e considerando che «l'organizzazione delle operazioni per ristabilire l'ordine pubblico non siano state adeguate». I ricorrenti lamentano inoltre «l'assenza di soccorsi» immediati che ha comportato la violazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione (divieto di trattamenti inumani). L'istanza davanti alla Corte di Strasburgo è stata presentata il 18 giugno 2002.

IL PROCESSO - Le udienze del processo della Corte di Strasburgo potrebbero cominciare prima dell’estate e saranno pubbliche. La Corte si pronuncia sulle responsabilità legate alla violazione dei diritti umani, cioè su un campo di azione più ampio dei singoli addebiti penali. Sarà tutt’altro che un processo astratto: le sentenze della Corte di Strasburgo sono direttamente applicabili negli Stati membri, salvo appello al Collegio della Grande Camera.

12 marzo 2007

 


 

La Stampa 12-3-2007 "L'Annunciazione" di Leonardo in viaggio verso Tokyo

 

L’Annunciazione, che venne dipinta da Leonardo da Vinci ad appena 20 anni di età, sarà esposta alla mostra "La mente di Leonardo"

FIRENZE    
Allo smontaggio e successivo imballaggio della tavola erano presenti, oltre a giornalisti e televisioni da ogni parte del mondo (c’erano anche corrispondenti di testate giapponesi e americane), anche la soprintendente al Polo Museale Fiorentino, Cristina Acidini e i carabinieri del Nucleo Beni Culturali. Era invece assente il direttore degli Uffizi, Antonio Natali, che non ha mai nascosto la sua contrarietà al prestito dell’opera alla mostra di Tokyo.
L’Annunciazione venne dipinta da Leonardo da Vinci ad appena 20 anni di età. La tavola risale al 1472-1473, quando il giovane pittore era alla bottega del Verrocchio. Il dipinto si trova nella sala Leonardo della Galleria degli Uffizi, assieme ad altri due dipinti del Maestro di Vinci, L’Adorazione dei Magi e Il Battesimo di Cristò.«Se non avessimo ottenuto tutte le garanzie e se la tavola di Leonardo fosse stata in condizioni anche di lieve precarietà, allora sarei stata io ad incatenarmi, perchè di fronte ad un qualunque problema, anche minimo, i tecnici hanno il dovere di far sentire la loro voce». Lo ha detto Cristina Acini, soprintendente al Polo museale fiorentino che stamani, assieme ai tecnici della Galleria degli Uffizi, ha assistito al distacco dalla parete ed al successivo imballaggio della ’Annunciazionè di Leonardo da Vinci, in partenza per Tokyo.
Per protestare contro il prestito dell’opera al Paese del Sol Levante, stamani il senatore di Forza Italia Paolo Amato si è incatenato a una colonna del loggiato degli Uffizi. Il direttore della Galleria degli Uffizi, Antonio Natali, che nei giorni scorsi aveva ribadito la contrarietà al prestito, stamattina non ha assistito alle operazioni di imballaggio della tavola.
«Ci sono momenti che vanno affrontati con i nervi saldi - ha detto la soprintendente Acidini ai giornalisti - ma siamo sicuri che ci siamo attrezzati al meglio di quanto umanamente era possibile, ricorrendo a tecnologie sofisticate, sia giapponesi che italiane, per garantire la conservazione dell’opera. Per il resto - ha aggiunto - siamo nelle mani di quello che qualcuno chiama Provvidenza e qualcun’altro Fato».


INDICE  12-3-2007

++ La Stampa 12-3-2007 MEDIASET  Processo Berlusconi-Mills senza tv Non saranno ammesse le riprese televisive

++ La Repubblica 12-3-2007 Scuola, provocazione shock di Amato "Antidoping dopo le interrogazioni"

++ La Stampa 12-3-2007 Cina e Usa litigano sul caffè.  Maurizio Molinari

++ Da APCom 12-3-2007. OSSERVATORE ROMANO: SIT IN PER I DICO, ESIBIZIONE CARNASCIALESCA

++ Da AgenParl 12-3-2007 I socialisti preparano l’alternativa al PD

++ Da AgenParl 12-3-2007 Anche Veltroni Leader Maximo

+ L’Unità 12-3-2007  Afganistan. Tragica illusione  Umberto De Giovannangeli

+ La Stampa 12-3-2007 L'Onu: "Il governo sudanese ha orchestrato i crimini in Darfur" 1

+ La Repubblica 12-3-2007 Legge elettorale, definito il percorso parlamentare  2

Il Corriere della Sera 12-3-2007 Società fiacca governo debole La politica davanti alle emergenze quotidiane. di  Giovanni Sartori 2

Il Giornale di Vicenza 12-3-2007 Energia e crisi internazionali nell'agenda dell'incontro bilaterale Italia-Russia, vertice a Bari Putin incontrerà Napolitano e sarà a pranzo dal Professore  3

Il Riformista 12-3-2007 Come evitare l’impasse parlamentare Sull’Afghanistan (e non solo). Buone ragioni per cercare una buona intesa  4

Il Corriere della Sera 12-3-2007 L'addio di Jacques Chirac all'Eliseo  5

La Stampa 12-3-2007 Tasse, gli 007 in edicola. Controlli a tappeto: l’evasore si scopre anche spulciando gli annunci economici. Alessandro Barbera  6

Da isolapossibile.it L’acqua come l’aria: un bene pubblico per tutti. Di Chiara Giarrusso  7

 


 

++ La Stampa 12-3-2007 MEDIASET  Processo Berlusconi-Mills senza tv Non saranno ammesse le riprese televisive

 

12/3/2007 (16:50) -

MILANO
Il processo al «re» delle televisioni si svolgerà senza riprese tv. Le telecamere dovranno restare fuori dall’aula del processo che inizierà domani a Silvio Berlusocni e David Mills accusati di corruzione in atti giudiziari. Lo hanno deciso i giudici della decima sezione penale del Tribunale di Milano secondo i quali le riprese tv non sono necessarie e rischiano di pregiudicare la serenità del dibattimento. Al fine di soddisfare l’attesa dell’opinione pubblica verso la conoscenza di ciò che accade in aula viene ritenuta sufficiente la presenza della carta stampata. Il presidente del collegio Nicoletta Gandus ha scritto poche righe per spiegare il «no» a una richiesta fatta, ironia della sorte, dai telegiornali di Mediaset, il gruppo di cui l’ex premier è azionista di riferimento.

Quello che inizia domani è un processo stralcio nato dall’inchiesta sui presunti fondi neri relativi ai diritti tv di Mediaset che vede la causa principale in corso dal 21 novembre scorso davanti ai giudici della prima sezione penale del Tribunale, che conta tra gli imputati gli stessi Berlusconi e Mills, dove invece le telecamere ci sono. Nell’udienza di oggi relativa a tale procedimento i giudici della prima sezione penale hanno sospeso la deposizione di Guido Pugnetti, ex manager Rti e Mediaset adesso alla Rai, invitandolo a tornare il 26 marzo prssimo accompagnato da un difensore perchè potrebbe essere sentito come indagato di reato connesso, La sospensione della testimonianza è stata decisa quando il pm ha mostrato in aula una mail in cui il manager di Fox Douglas Schwalbe afferma di aver riferito allo stesso Pugnetti: «L’impero Berlusconi funziona come un elaborato ’shell gamè con la finalità di evadere le tasse italiane». Per l’accusa quella mail è uno dei documenti più importanti dell’inchiesta trattandosi tra l’altro dell’allegato numero 1 alla consulenza della società di revisione Kpmg. In vista del procedimento il pm Fabio De Pasquale ha presentato una lista di testimoni con 11 nominativi, la difesa Mills chiede la citazione di 83 persone e la difesa Berlusconi di 63. Molti testi sono però comuni. Il più famoso la cui deposizione viene sollecitata sia dall’accusa sia dalla difesa dell’ex premier è Flavio Briatore.

Stando alla lista testi presentata dagli avvocati Nicolò Ghedini e Piero Longo, legali di Berlusconi, Briatore va citato per parlare e rispondere a domande delle parti «in merito a tuitti i fatti di cui al capo di imputazione ed in particolare in relazione ai suoi rapporti con David Mills, con Silvio Berlusconi, con Carlo Bernasconi, con Giorgio Patroncini, con Heimo Quaderer, con Maria De Fusco e con lo studio Marrache». Secondo l’ipotesi accusatoria Berlusconi avrebbe «comprato con almeno 600 mila dollari» le testimonianze rese da Mills, l’inventore del sistema di società off shore usato da Fininvest, nei processi All Iberian e presunte tangenti alla guardia di finanza.

Il processo all’ex presidente del Consiglio e all’avvocato inglese è a fortissimo rischio prescrizione. La scadenza è quella del febbraio dell’anno prossimo. E sembra francamente impossibile arrivare a celebrare i tre gradi di giudizio previsti in 11 mesi. Comunque i giudici hanno fissato un calendario abbastanza fitto che prevede 12 udienze fino al prossimo mese di luglio. La difesa di Silvio Berlusconi intanto domani presenterà insieme a quella di Mills una serie di eccezioni preliminari. La più importante riguarda la presunta mancata notifica della celebrazione del processo a Fininvest come parte offesa del reato.

Va ricordato che Mills è indagato in un altro stralcio di inchiesta, ancora per falsa testimonianza. Secondo la procura il legale britannico avrebbe omesso di dire al verità quando depose al processo Sme in trasferta a Londra. Mills avrebbe incontrato prima delle testimonianza manager e legali Fininvest per concordare il contenuto della deposizione stessa. Alfredo Messina, manager Fininvest, sentito come indagato di reato connesso si avvaleva della facoltà di non rispondere davanti al pm. L’indagine sembra andare verso una richiesta di archiviazione e va considerato inoltre che su un fatto accaduto a Londra potrebbe non esserci giurisdizione da parte dell’Italia.


++ La Repubblica 12-3-2007 Scuola, provocazione shock di Amato "Antidoping dopo le interrogazioni"

Il ministro propone controlli sui ragazzi all'uscita di scuola "In Italia c'è bisogno di una campagna anti-droga enorme"

 

FIRENZE - "Noi oggi facciamo l'antidoping solo agli atleti. Perché non prevedere un uso più ampio di questo controllo e renderlo più sistematico, ad esempio all'uscita delle discoteche e a scuola?". Al convegno dell'Anci Toscana sulla sicurezza, il ministro degli Interni Giuliano Amato lancia una nuova idea per combattere la droga: effettuare anche sugli studenti i controlli sull'assunzione di stupefacenti. Controlli finora riservati, appunto, esclusivamente agli atleti in gara. E' una proposta che farà discutere, come sottolinea lo stesso ministro. "Bisogna pensare anche a cose del genere, anche se può apparire una cos aun po' idiota". Una provocazione, quindi. "Cose del genere, però, meritano di essere prese in considerazione. E poi, magari - spiega Amato - sostituite da altre".
Per gli studenti, immagina il ministro, potrebbero diventare obbligatori test anti-doping tra i banchi. I ragazzi potrebbero dover sottoporsi alle analisi "ad, esempio, dopo le interrogazioni". Forse in caso di prestazioni "sospette". E se lo studente dovesse risultare positivo, spiega Amato, dovrebbe scontarne le conseguenze. "Perderebbe punti. E chiaramente l'interrogazione non sarebbe valida".
Ma il ministro sa che una norma del genere non sarebbe ben accolta. Neanche dal corpo docente. "Ho spiegato questa mia idea ad un insegnate che mi ha detto: ma sei matto? Di sicuro arriverebbero i genitori a fare un occhio nero al preside o al professore".
Eppure, spiega Amato, qualcosa bisogna pur fare. Per questo occorre estendere il più possibile i controlli sull'uso di stupefacenti. "In Italia - continua - c' è bisogno di una campagna enorme contro la droga. E deve essere rivolta soprattutto a noi stessi, chiamando in causa noi integerrimi consumatori di coocaina, e quei genitori, e non solo i figli, che prendono la coca nel weekend per passare un fine settimana più elettrizzante".
Il problema droga, avverte, nel nostro paese ha ormai raggiunto dimensioni critiche. E trascina nella rete della criminalità organizzata troppi ragazzi innocenti. Un fenomeno, questo, che non può lasciare indifferenti. "Io spero che milioni di italiani - ha infatti concluso, commentando le immagini trasmesse dal TG1 ieri sera - si siano raggelati davanti al servizio del telegiornale di Gianni Riotta dove si intervistavano a Torino un parroco e un operatore sociale. Persone che tentano di gestire ragazzi immigrati usati come corrieri della droga e che usano le fogne come via di fuga".
(12 marzo 2007)

 


++ La Stampa 12-3-2007 Cina e Usa litigano sul caffè.  Maurizio Molinari Corrispondente Da New York

INIZIATIVA DI LEGGE ALL'ASSEMBLEA DEL POPOLO: "SIMBOLO DEL CONSUMISMO CHE OFFENDE LA NOSTRA TRADIZIONE MILLENARIA" Il caffè americano di Starbucks venduto a turisti e passanti in uno dei cortili della Città proibita di Pechino rappresenta da sette anni la sovrapposizione fra tradizione millenaria e modernità dei commerci nel cuore della Cina Popolare. Ma questo simbolo del consumismo potrebbe presto essere obbligato a chiudere i battenti. A chiederlo, con tanto di proposta di legge, è stato il deputato Jiang Hongbin, rappresentante della provincia di Heilongjiang all'Assemblea del Popolo e uomo d'affari di indiscusso successo, noto per la determinazione con cui insegue i propri obiettivi. La sua tesi, messa nero su bianco in vista della imminente riunione annuale del Parlamento cinese, è che "fino a quando Starbucks resterà dentro il Palazzo imperiale porrà una grave minaccia alla nostra cultura tradizionale". Il passo legislativo non è un fulmine a ciel sereno: a dare inizio alla campagna anti-Starbucks è stato un conduttore televisivo lanciando in gennaio una campagna online per far allontanare il caffè "made in Usa" da uno dei luoghi più venerati della cultura nazionale, ovvero l'ex residenza degli imperatori delle dinastie Ming e Qing. L'iniziativa su Internet ha avuto successo, portando alla genesi di una campagna favorevole al boicottaggio del caffè "made in Usa". La reazione della proprietà di Starbukcs è stata finora di gestire il caso scegliendo il basso profilo: l'insegna esterna al caffè è stata così discretamente rimossa ma le vendite sono continuate. Al deputato Jiang questo compromesso di immagine non basta e la proposta di legge punta a spingere l'amministrazione del Museo che gestisce la Città proibita - costruita 587 anni fa - a prendere l'iniziativa al fine di arrivare a una chiusura dei locali entro il mese di giugno. Ma è proprio il Museo a trovarsi nella situazione più delicata perché, se da un lato è il supremo custode della tradizione nazionale e non può quindi mostrarsi indifferente alla campagna di proteste, dall'altro non vede di buon occhio la prospettiva di dover rinunciare all'affitto regolarmente versato da Starbucks che contribuisce in maniera determinante a coprire le consistenti spese per la gestione della Città proibita, visitata ogni anno da circa sette milioni di persone. Sebbene la proposte di legge presentate dai singoli deputati all'Assemblea del Popolo raramente vengono fatte proprie dal governo di Pechino in questo caso la coincidenza con la protesta online crea una situazione di tipo nuovo, nella quale è difficile ignorare la possibilità di un dilagante boicottaggio di Starbucks da parte di tutti coloro che ritengono le sua presenza uno scempio culturale, un'offesa alla nazione cinese nel suo complesso. Saranno i prossimi giorni a dire se i 3000 membri dell'Assemblea del Popolo faranno propria la crociata anti-Starbucks, ma il persistente silenzio del Museo lascia intendere la presenza di molti dubbi sulla chiusura in tempi stretti di un'attività commerciale i cui proventi potrebbero essere assai utili per far fronte alle ingenti spese di ristrutturazione e rinnovamento in vista del Giochi Olimpici del 2008. L'importanza dell'affitto versato da Starbuks è una motivazione che lascia perplesso il combattivo deputato Jiang: "La Città proibita è uno di questi prodotti non-commerciali il cui valore non può essere misurato con il danaro e fino a quando questo caffè resterà nel Palazzo imperiale costituirà un affronto per l'intera tradizione cinese". La polemica è destinata a mettere in imbarazzo Starbucks, che ha investito importanti capitali sul mercato cinese, proprio nella settimana in cui il suo fondatore e presidente Howard Schultz sta festeggiando un ambito primato: essere riuscito a entrare nella classifica degli uomini più ricchi del Pianeta stilata dal magazine Forbes, grazie a una fortuna personale stimata in 1,1 miliardi di dollari. E guadagnata anche vendendo caffè in Cina.

 


++ Da APCom 12-3-2007. OSSERVATORE ROMANO: SIT IN PER I DICO, ESIBIZIONE CARNASCIALESCA

Città del Vaticano, 12 mar. (APCom) - Dura condanna dell'Osservatore Romano alla manifestazione di piazza Farnese di sabato sui 'Dico'. Una "esibizione carnascialesca" la chiama il quotidiano d'Oltretevere che definisce "discutibili le presenze" di alcuni ministri e "insultanti gli slogan" inneggiati.

Si è dunque inscenato sabato - osserva il quotidiano vaticano - il promesso corteo a favore del riconoscimento legale delle coppie omosessuali. Una manifestazione nella quale, al di là dell'immagine borghese e rassicurante che si voleva dare, hanno trovato posto discutibili mascherate e carnascialate varie. Ironie e isteriche esibizioni da parte di chi invoca riconoscimenti e non esprime rispetto. Erano in molti, fra l'altro - prosegue l'Osservatore Romano - i manifestanti omosessuali che recavano sulle spalle o per mano, dei bambini, frutto di precedenti relazioni o anche di fecondazioni praticate all'estero. Bambini - ammonisce ancora il quotidiano della Santa Sede - la cui presenza è stata sfruttata proprio allo scopo di accreditare l'immagine, che vorrebbe essere rassicurante, di una famiglia da tutelare".

L'Osservatore Romano condanna lo sfruttamento "dei bambini" che godono "anche nell'ordinamento italiano, di diritti che gli vengono riconosciuti comunque, in ogni condizione si trovino i loro genitori. Anche per questo - ammonisce il quotidiano d'Oltretevere - sfruttare la loro ingenuità appare un'operazione particolarmente criticabile". La manifestazione di sabato, dunque, "è anche, ancora una volta, la prova evidente di quale sia la finalità di chi si batte per il riconoscimento legale delle coppie omosessuali, essendo la presenza di minori determinante per garantire ad un nucleo famigliare particolari diritti. Non è un caso - conclude il quotidiano vaticano - che nelle immagini trasmesse sul corteo di sabato a parlare siano state quasi esclusivamente le coppie omosessuali, la categoria per la quale, al di là di ogni tattica politica, i recenti tentativi di regolamentazione sono concepiti".

L'Osservatore Romano non manca di criticare anche la presenza al corteo di tre ministri, "a dimostrazione di come una parte del Governo sembra volersi impegnare personalmente per una questione diventata inspiegabilmente prioritaria. Una presenza - prosegue - che ha portato fra l'altro il ministro della Giustizia Mastella a sfrondare il campo da ogni ipocrisia, avvertendo che sulla questione dei 'dico' il Governo potrebbe giocarsi la sua stessa esistenza. Mastella ha anche criticato il presidente del Consiglio Romano Prodi che, a suo modo di vedere, avrebbe potuto esprimere le sue 'perplessità' sulla presenza dei ministri in piazza 'un po' prima'".


++ Da AgenParl 12-3-2007 I socialisti preparano l’alternativa al PD

 

Roma, 12 Marzo 2007 – AgenParl – “Il nostro obiettivo primario è l’unità socialista”. L’annuncio arriva dal congresso dei Socialisti di Bobo Craxi.
Prende sempre più forma, quindi, il progetto lanciato dal segretario dello Sdi Enrico Boselli di creare una “costituente socialista” all’interno dell’Unione. A tale disegno sembra abbia “aperto” anche un altro socialista, Gianni De Michelis, che smarcatosi dalla Cdl pur di confrontarsi con l’idea di Boselli, sembra aver abbandonato i suoi propositi “terzopolisti”.
L’idea dei partiti ex Psi, quindi, è quella di riunire la diaspora socialista per creare un partito che si contrapponga al Pd.
Infatti non solo hanno risposto “picche” all’appello di Fassino di aderire alla futura forza unitaria, ma stanno anche cercando di “pescare” all’interno della Quercia. Infatti sfruttando la querelle sulla collocazione europea del Pd, corteggiano non poco il Correntone Ds, che vede nel Pse l’unica “casa madre”.
Anche se – viene fatto notare all’AgenParl – la minoranza diessina sembra essere più attratta dal progetto di un partito unico delle sinistre ipotizzato da Bertinotti. (G.R.S., F.C.)

 

 


++ Da AgenParl 12-3-2007 Anche Veltroni Leader Maximo

 

Roma, 12 Marzo 2007 – AgenParl – A Roma si sta lavorando per creare un nuovo partito. Lo vogliono costituire i promotori della “lista civica per Veltroni”.
“Gruppi di partecipazione attiva”. Così si fanno chiamare i “seguaci di Veltroni”, ideatori di questa nuova forza politica. Ora stanno organizzando corsi di formazione politica per “aspiranti Walteriani”.
Questa è un’idea nuova di partito, un po’ sui generis, che però si inquadra nell’andazzo vigente della personalizzazione della politica. Non a caso – viene fatto notare all’AgenParl – il leader diessino sta sfruttando “l’esperienza capitolina” per rilanciare una sua candidatura a livello nazionale o nel futuro Pd.
Intanto il nuovo partito prende forma. Roberto Tavani, assessore alla cultura e “seguace del sindaco”, ha organizzato in ogni zona della città l’elezione per nominare i rappresentanti del partito. Parte così il coordinamento cittadino che domani si riunirà per la prima volta e che presenterà il suo esecutivo.
Un’altra vetrina importante questa per il sindaco capitolino che, grazie alle sue idee innovative per la città, conquisterà sicuramente grande visibilità. (S.G.)

 


+ L’Unità 12-3-2007  Afghanistan. Tragica illusione  Umberto De Giovannangeli

 

Vogliamo impedire la vittoria talebana? Vogliamo fare sopravvivere la Nato?, si chiede, un po' retoricamente, l'editorialista del Corriere. Le risposte offerte hanno almeno il pregio della chiarezza: se si vuole evitare questa duplice disfatta, non c'è che un'unica via da imboccare: combattere. Senza se e senza ma. Combattere per evitare che una vittoria degli oscurantisti talebani possa determinare un devastante effetto domino che spazzerebbe via "i traballanti governi più o meno alleati dell'Occidente (dal Pakistan all'Arabia Saudita)...". Non solo: la vittoria integralista in Afghanistan avrebbe certamente delle ricadute terribili sugli atteggiamenti dei gruppi fondamentalisti "ampiamente rappresentati nell'immigrazione islamica in Europa". Va da sé che a fronte di questa guerra, per l'editorialista del Corriere è sinonimo dell'opportunismo italiota, un maldestro tentativo di rassicurazione interna, aver presentato da parte del Governo "non combattente" di Romano Prodi, la missione in Afghanistan come una "missione di pace e di ricostruzione". La ricaduta dell'apocalittico scenario descritto da Panebianco riguarda anche le vicende politiche nostrane: le "larghe intese" possono essere imposte dal volgere al peggio della guerra afghana: l'avanzata delle milizie talebane, e la disfatta delle forze Nato, combattenti e "imboscati", imporrebbero la nascita di un "esecutivo di emergenza". Un governo di guerra. La politica scompare in questo ragionamento. Gli sforzi di ricostruzione messi in atto dall'Italia nel martoriato Paese asiatico sfumano in patetici tentativi di evitare di guardare in faccia la realtà. Una realtà, quella evocata da Panebianco, nella quale l'unico linguaggio che conta è quello della forza militare. E quanti non si adeguano ad esso e come l'Italia, la Francia, la Germania, la Spagna insistono a rimanere "a presidiare le retrovie", nel migliore dei casi sono degli irresponsabili. Nel peggiore, dei complici (indiretti) delle milizie talebane e dei sanguinari fautori del Jihad globalizzato. Il punto è che la "ricetta Panebianco" è già stata sperimentata. In Afghanistan, come in Iraq. E ha dato risultati disastrosi, segnando, i Iraq ma non solo, il fallimento della strategia della "guerra preventiva" perseguita dalla decadente amministrazione Bush. Al professor Panebianco sembra peraltro difettare la memoria. In Afghanistan, e neanche tanto tempo fa, c'è già stata una "Grande Armata" - centinaia di migliaia di uomini impiegati, mezzi imponenti, ferocia necessaria - che ha provato a "pacificare" con le armi il Paese: era l'Armata sovietica. Come è finita è scritto nella storia. E per venire ai giorni nostri, un anno di guerra asimmetrica condotta dai britannici, col sostegno Usa, contro i Talebani a Helmand, ha prodotto come risultato la riconquista di Helmand da parte delle milizie talebane assieme al sostegno della popolazione locale. Nei giorni scorsi, l'Unità ha interpellato generali, esperti di strategie militari, analisti di politica internazionale, studiosi del mondo islamico, nessuno dei quali può essere tacciato di simpatie talebane. La loro "ricetta" è agli antipodi da quella caldeggiata da Panebianco: la scorciatoia militare, hanno sostenuto, è una tragica illusione; la Conferenza internazionale sull'Afghanistan, aperta ai Paesi della regione (dal Pakistan all'Iran), che il ministro degli Esteri Massimo D'Alema rilancerà il 20 marzo nel suo intervento al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, è tutt'altro che un esercizio retorico ma, al contrario, è tradurre in atti conseguenti una convinzione profonda: sta nella politica la chiave di volta per ridisegnare il nuovo volto dell'Afghanistan. Generali e studiosi hanno anche avvertito che l'inasprimento delle azioni militari di questi giorni da parte americana rischiano di allargare, in chiave anti-occidentale, il consenso delle popolazioni civili verso i Talebani. E il vero problema oggi è proprio quello di spezzare questi legami, facendo il vuoto attorno alle milizie integraliste. Costruire ospedali, scuole, acquedotti; pensare a piani di riconversione delle coltivazioni di oppio; gettare le basi di uno Stato di diritto - attività che hanno bisogno di una presenza militare - tutto questo è combattere una "guerra" contro i Talebani. Ma è un'altra "guerra" rispetto a quella invocata dal professor Panebianco.


+ La Stampa 12-3-2007 L'Onu: "Il governo sudanese ha orchestrato i crimini in Darfur"

GINEVRA
La comunità internazionale ha avviato importanti iniziative per risolvere la grave crisi in corso da quattro anni nella regione sudanese del Darfur, ma queste «sono state ampiamente ostacolate tanto da risultare inadeguate e inefficaci». Il rapporto sulla situazione in Darfur, redatto dalla squadra di esperti nominata dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu e presentato oggi a Ginevra, sottolinea come la comunità internazionale abbia l’obbligo di proteggere i civili del Darfur dai crimini di guerra e contro l’umanità che continuano ad essere commessi nella regione sudanese, con la partecipazione dello stesso governo di Khartoum.
La missione Onu sostiene quindi che il Consiglio di sicurezza dell’Onu dovrebbe avviare in tempi rapidi il dispiegamento della forza di pace "ibrida", composta da Unione africana (Ua) e Onu, e garantire ampio sostegno all’azione della Corte penale internazionale dell’Aia, che lo scorso 27 febbraio ha indicato i primi due sospetti responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella regione a partire dal febbraio 2003.
«Dovrebbero essere pienamente applicate tutte le risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dal Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione africana - si legge nel rapporto di 35 pagine - comprese quelle che impongono il divieto di circolazione e il congelamento dei beni e delle risorse economiche di quanti commettono tali violazioni».
Sono pesanti accuse contro il governo di Khartoum quelle  contenute nel rapporto dalla missione guidata dal premio nobel per la pace Jody Williams «Crimini di guerra e contro l’umanità continuano ad essere compiuti in tutta la regione. Il principale schema adottato è quello di una violenta campagna di contro-guerriglia lanciata dal governo del Sudan in collaborazione con le milizia janjaweed (diavoli a cavallo, ndr) che colpisce soprattutto civili. Le forze dei ribelli sono anche loro colpevoli di gravi abusi dei diritti umani e violazioni del diritto internazionale».
Gli esperti Onu accusano inoltre il governo sudanese di aver «evidentemente fallito ad assolvere il suo compito di proteggere la popolazione del Darfur da crimini compiuti su vasta scala» e di aver «orchestrato e partecipato a tali crimini».
La missione Onu denuncia ancora il diffuso ricorso allo stupro in tutta la regione e la negligenza del governo nel prevenire e indagare su tali crimini. «Le forze di sicurezza del governo continuano a ricorrere ad arresti e detenzioni arbitrarie», rivela ancora il rapporto, denunciando un’ondata di arresti di darfuriani compiuta nei mesi scorsi nella capitale Khartoum. Il conflitto in corso dal febbraio 2003 nella regione del Darfur ha causato finora, stando a stime, almeno 200.000 morti e oltre 2,5 milioni di sfollati. La missione Onu, composta da sei diplomatici ed esperti di diritti umani, venne creata lo scorso dicembre durante una sessione di emergenza del Consiglio Onu sulla situazione in Darfur, chiesta dall’allora Segretario generale Kofi Annan.
Appena due settimane fa il procuratore capo della Corte penale internazionale Luis Moreno Ocampo ha indicato Ahmad Muhammad Harun, ministro sudanese per gli Affari umanitari, e Ali Muhammad Ali Abd al-Rahman alias Ali Kushayb, esponente di punta delle milizie arabe dei janjaweed, fra i sospetti di crimini di guerra in Darfur, la regione occidentale del Sudan dove il conflitto in corso dal 2003 ha causato circa 200mila morti e oltre due milioni di sfollati. Le autorità sudanesi, però, hanno respinto le accuse e fatto sapere che non consegneranno i sospetti.


 

+ La Repubblica 12-3-2007 Legge elettorale, definito il percorso parlamentare

 

Oggi incontro tra Bertinotti e Marini: "Trovato l'accordo"
Domani Prodi vede la Lega. Bondi: "Accordo o governo istituzionale"

ROMA - Dopo un faccia a faccia a Palazzo Madama tra il presidente del Senato, Franco Marini e quello della Camera, Fausto Bertinotti, il cammino della legge elettorale e delle riforme istituzionali, fa un passo avanti. "Abbiamo definito un percorso parlamentare" dice Bertinotti. Proprio alla vigilia dell'incontro tra Romano Prodi e la Lega Nord che andrà a palazzo Chigi per valutare se ci sono possibilità di intesa. Partendo da un dato, scandito con forza da Prodi: "Serve una legge elettorale condivisa, mai più una riforma fatta dal amaggioranza senza l'opposizione".
Il segretario diessino Piero Fassino avverte: "Mi auguro che le dichiarazioni di disponibilit
à della Cdl siano vere e non solo mosse tattiche". Ma il forzista Sandro Bondi taglia corto: "Accordo subito o un governo istituzionale . Da parte nostra c'è veramente la volontà di raggiungere un accordo nel più breve tempo possibile". Un'apertira che, però, il vicepresidente dei deputati di Forza Italia alla Camera, Enrico La Loggia, circoscrive tra rigidi confini: "Ok a piccole modifiche all'attuale legge, per renderla più funzionale e garantire più stabilità. Dopo si vada al voto"
Chi invece frena sull'ipotesi di un ritorno alle urne
è Clmente Mastella. "Se c'è una legge elettorale
condivisa, non
è detto che si debba andare per forza al voto - dice il ministro dell'Udeur - Al voto si va quando le coalizioni saltano o una delle coalizioni dovesse registrare insuccesso o diffidenza tra i partner che la tengono in piedi".

(12-03-2007)


Il Corriere della Sera 12-3-2007 Società fiacca governo debole La politica davanti alle emergenze quotidiane. di  Giovanni Sartori

 

 

Un governo è debole quando non dispone di una maggioranza parlamentare sufficiente per governare. Un governo è debole, in secondo luogo, quando la sua maggioranza è discorde e scollata. E per entrambi questi rispetti il governo di Romano Prodi era e resta debole, debolissimo. Ma noi abbiamo anche una «società debole», fiacca e incapace di difendersi. Come si spiega? A rigor di logica un governo debole potrebbe essere fronteggiato da una società forte che si fa valere. Invece il Paese è flaccido, è passivo. Brontola, ma poi si lascia bastonare. In parte è cosi per retaggio storico. Ma in parte è cosi perché abbiamo avviato un circolo vizioso nel quale il cattivo esempio dell'alto contagia il basso. Vedi, per cominciare, il teppismo nel calcio. Sono decenni che i nostri teppisti viaggiano in trasferta su treni speciali che lietamente devastano. Tanto pagano le ferrovie. Ed è da sempre che le società di calcio sono conniventi con le loro tifoserie estreme. Il governo di Silvio Berlusconi era un governo forte, eppure ha sempre fatto finta di non vedere. Siamo dovuti arrivare al funzionario di polizia ucciso a Catania per indurre il governo a stabilire che i «bravi ragazzi» che assaltano con sassi e spranghe le forze dell'ordine sono da punire in modo esemplare. Vedremo. Al momento i pochissimi fermati per queste inaccettabili violenze sono quasi tutti tornati a casa. Altri casi. Da sempre ferrovie e strade vengono bloccate da scioperanti a vario titolo. Sì; ma non esiste forse un diritto sicuramente prevalente di chi si trova, innocentissimo, in viaggio, di non essere sequestrato? Eppure in questo caso polizia e carabinieri arrivano per guardare. La parola d'ordine del Viminale è, da sempre, «niente grane».

Diritti e legalità vengono patentemente straviolati, ma il governo latita. L'elenco è lungo. Scioperi selvaggi, scuole occupate, case abitate da abusivi, centri sociali extra legem (e che si fanno la legge da soli). Tutte cose assorbite da quel grande ventre molle che siamo ridotti a essere. E il caso esemplare è quello dei telefonini a scuola. La scuola plasma, bene o male, le nuove generazioni. A scuola i giovani dovrebbero imparare qualcosa e il docente dovrebbe fare lezione. Ma sempre più i giovani vanno a scuola con il loro cellulare. E, poverini, come potrebbero sopravvivere al tedio della lezione senza «chattare»? Se non che un professore di Lecco, spazientito, strappa di mano il telefonino a una studentessa che si beffava dei suoi richiami. Sapete com'è andata a finire? I genitori hanno spalleggiato la loro dolce bambina, la vicenda è addirittura finita in Cassazione, e il docente è stato condannato per violenza privata. Incredibile? Sì, sono le storture del diritto, del formalismo giuridico. A maggior ragione, spetterebbe al ministro dell'Istruzione di emanare una norma che vieta il cellulare a scuola e che ne autorizza il sequestro. Coraggio, signor ministro. La scuola è allo sfascio. Cominci a rimediare. La morale di queste storie è che un governo debole non è esentato per questo dal dovere di gestire con diligenza e fermezza gli affari ordinari. Se il governo di Romano Prodi non potrà fare granché in sede di «grandi riforme», non si capisce perché non possa fronteggiare a dovere le emergenze quotidiane. La nostra non è, nei casi succitati, impotenza di governo: è menefreghismo, colpevole noncuranza, e irresponsabilità. Speriamo che dirlo serva a qualcosa.

12 marzo 2007

 


 

Il Giornale di Vicenza 12-3-2007 Energia e crisi internazionali nell'agenda dell'incontro bilaterale Italia-Russia, vertice a Bari Putin incontrerà Napolitano e sarà a pranzo dal Professore

 

Roma. È un dialogo costruttivo, improntato su rapporti che vanno sempre meglio, non solo sul versante economico che registra una crescita dell'interscambio del 28 per cento nel 2006, quello che Vladimir Putin e Romano Prodi stanno costruendo. Di fronte a una situazione internazionale sempre più complessa e costellata di crisi, Roma e Mosca hanno tutte le intenzioni di collaborare all'insegna del multilateralismo. Obiettivo facilitato dalla presenza dell'Italia, per due anni, nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Il rapporto tra Roma e Mosca troverà un ulteriore punto di saldatura nel quarto vertice che si terrà a Bari mercoledì e vedrà la partecipazione di un cospicuo numero di ministri di entrambi i Paesi. Domani Putin sarà a Roma, dove lo attende un incontro al Quirinale con il capo dello Stato Giorgio Napolitano e un pranzo di lavoro a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio Prodi. L'appuntamento più atteso è però senz'altro quello in Vaticano per il suo primo faccia a faccia con papa Benedetto XVI. È la terza volta che Putin è ricevuto da un pontefice. A differenza dei suoi predecessori, Gorbaciov e Eltsin, quando incontrò Giovanni Paolo II, nel 2000 e nel 2003, non gli rivolse l'invito di recarsi a Mosca. Si vedrà con Benedetto XVI. L'agenda del summit di Bari si prefigura ricca di argomenti e fornirà ai protagonisti l'occasione per fare il punto sulle crisi internazionali (Medioriente, Iraq, Afghanistan e Iran) alla ricerca soluzioni condivise, per affrontare nuovi capitoli della questione energetica, per rilanciare la partnership tra Russia e Ue e per rinsaldare i rapporti economici bilaterali. Su questo versante, il settore energetico resta un punto qualificante dei rapporti italo-russi, ma è intenzione comune di dare nuova linfa ai settori aerospaziale, tecnico-militare e delle telecomunicazioni. L'appuntamento è stato preparato con cura dagli stessi Prodi e Putin durante l'incontro del 23 gennaio a Soci, sul Mar Nero dove il leader del Cremlino ha una residenza. Folta la schiera di ministri che parteciperanno ai lavori del vertice "allargato". Da parte italiana ci saranno: Massimo D'Alema (Esteri), Arturo Parisi (Difesa), Tommaso Padoa Schioppa (Economia), Clemente Mastella (Giustizia), Rosy Bindi (Politiche della Famiglia), Fabio Mussi (Ricerca e Università). Da parte russa sono attesi: Serghei Lavrov (Esteri), Alexei Kudrin (Finanze), Viktor Khristenko (Industria e Energia),e Vladimir Ustinov (Giustizia). La mattina prima del vertice, a Villa Madama a Roma, il ministro degli Esteri Massimo D'Alema aprirà i lavori del Foro di Dialogo italo-russo promosso dai due governi e organizzato dall'Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale. Al dibattito parteciperanno rappresentanti del mondo politico, economico e istituzionale italiani e russi tra cui Pierluigi Bersani, ministro dello Sviluppo economico, il ministro russo dell'Industria e dell'energia Khristenko, il ministro per il Commercio Internazionale Emma Bonino, Alekperov presidente di Nk Lukoil, il presidente dell'Eni Roberto Poli, Chelpanov vicedirettore di Gazpromexport e Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit

 

 


 

Il Riformista 12-3-2007 Come evitare l’impasse parlamentare Sull’Afghanistan (e non solo). Buone ragioni per cercare una buona intesa

In un clima di preoccupazione e di attesa per la sorte di Daniele Mastrogiacomo si avvierà nei prossimi giorni al Senato la discussione sul decreto che proroga la partecipazione di militari italiani a missioni internazionali. Nell’aula di palazzo Madama i numeri sono quelli che sono e le difficoltà, per il centrosinistra, sono note. Nel centrodestra sembra prevalere unicamente l’interesse a indicare nei 158 voti la soglia sotto la quale, si sostiene, Prodi dovrebbe lasciare. Sia chiaro, continuo a pensare che l’Unione non debba né possa considerare irrilevante la mancanza di una propria autonoma maggioranza al Senato. La teoria delle maggioranze a geometria variabile palesemente non regge. O meglio, è difficile pensare a un sostegno del centrodestra che non comporti una qualche intesa tra i due schieramenti sul piano politico. Questo è il punto. Arduo da affrontare in quanto comporta, insieme alla consapevolezza della propria fragilità, una apertura esplicita del centro sinistra al dialogo politico con l’opposizione.
È disponibile l’Unione a muovere in questa direzione? E il centrodestra è in grado di volgere lo sguardo alla prospettiva politica più che a un presunto immediato tornaconto? Difficile da prevedere. Per il centrosinistra si tratta di una linea di condotta obbligata se intende scongiurare un succedersi logorante di prove di forza al Senato. In questo contesto, la ricerca dell’intesa sulla legge elettorale resta fondamentale, ma occorrerebbe discutere con il centrodestra anche di altri punti programmatici controversi che giungeranno al vaglio delle aule parlamentari. È evidente che questo non è un esercizio su cui potrà reggere l’intera legislatura. Tuttavia, sino alla messa a punto di una nuova legge elettorale, appare inevitabile. C’è bisogno in sostanza di una gestione politica condivisa della delicata situazione parlamentare che si è determinata a causa della pessima legge elettorale con cui si è votato ad aprile dello scorso anno. Una gestione in cui (fino alla nuova legge elettorale) il centrosinistra non dovrebbe fingere di considerare un dettaglio la mancanza dei numeri al Senato e il centrodestra non dovrebbe farne un motivo di richiesta continua di dimissioni del governo.
In questo quadro andrebbe posta la questione del voto al Senato sulla presenza dei militari italiani in Afghanistan. Sul nodo delle missioni internazionali si impone un discorso di verità. La mia convinzione è che, allo stato, per quanto riguarda gli impegni all’estero dei militari, un governo di centrodestra non farebbe nulla di diverso da quanto sta facendo il centrosinistra. Anche in Afghanistan. In quel Paese sono impegnati duemila militari italiani che operano a Herat e a Kabul sulla base di impegni assunti in sede Nato dal governo di centrodestra e confermati dal centrosinistra. A Kabul e a Herat non ci si occupa di logistica e salmerie. Tutt’altro. Si tratta di aree difficili da presidiare, in cui i nostri militari rischiano di essere l’obiettivo di attacchi talebani da fronteggiare e respingere con le armi. Mi chiedo: cosa farebbe di diverso un governo di centrodestra? Impegnerebbe le nostre truppe anche nella partecipazione attiva alle operazioni di combattimento ai confini con il Pakistan? Posso sbagliare ma non credo che lo farebbe.
Intendiamoci, discutendo del carattere della nostra missione in Afghanistan ritornano questioni di fondo che attengono alla concezione che gli europei, conclusa la storia del Novecento, hanno della guerra. Con il diffondersi di una repulsione morale e politica verso di esso l’evento bellico sembra scomparire dalla coscienza collettiva degli italiani e degli europei mentre a prevalere è una concezione della sicurezza quasi svincolata dalla guerra. Si tratta di questioni cruciali che andrebbero seriamente approfondite. In quanto alla drammatica urgenza della questione afgana, non credo che la diffidenza verso un’ulteriore escalation militare abbia origine, come sostengono alcuni, da una incapacità degli europei e degli italiani di comprendere fino in fondo la pericolosità della minaccia terroristica. La discussione con gli americani più che il giudizio sulla pericolosità del fenomeno terroristico riguarda la ricerca della strategia più adeguata a combatterlo.
La sensazione diffusa, nelle opinioni pubbliche e nelle elite europee, è che gli Stati Uniti stiano combattendo privi di una adeguata strategia; che l’Occidente si trovi coinvolto suo malgrado in una successione di guerre che ne alimentano una pericolosissima vulnerabilità. Questa è la portata delle questioni con cui dobbiamo misurarci. Sarebbe quindi una manifestazione di serietà se le convergenze al Senato nel voto sulla missione in Afghanistan si liberassero di ogni calcolo ristretto e di parte. Si tratterebbe di una scelta di responsabilità. Condivisa dalla stragrande maggioranza degli italiani. Altro che querelle sulle dimissioni del governo! Ma accadrà? Lo scetticismo è d’obbligo.

 


 

Il Corriere della Sera 12-3-2007 L'addio di Jacques Chirac all'Eliseo

 

L'ufficializzazione in tv dopo 12 anni da Capo dello Stato

Il presidente francese annuncia che non si ricandiderà alle prossime presidenziali per un terzo mandato

 

 

PARIGI - Nessuna sorpresa. Jacques Chirac ha annunciato in diretta televisiva il suo addio all'Eliseo. Il presidente francese, come previsto, ha ufficializzato la sua rinuncia alle prossime presidenziali e dunque alla possibilità, in verità molto remota, di un terzo mandato. Dopo oltre quarant’anni di politica ai massimi livelli, e a sei settimane dal primo turno delle elezioni che designeranno il Capo dello Stato, Chirac ha annunciato in un discorso alla nazione la sua decisione di farsi da parte. Almeno per la carica più importante. Anche se la scelta sembra preludere alla conclusione della sua carriera politica.
CANDIDATI - Nessuna sorpresa, perché la Francia si aspettava ormai da tempo il ritiro di Chirac, dopo 12 anni come presidente. E i francesi sembrano decisamente pronti a voltare pagina, se è vero, come dicono i sondaggi, che tre quarti della popolazione voleva che Chirac non si ricandidasse. Chirac ha parlato in tutto per una decina di minuti: senza accennare minimamente alle polemiche che lo hanno sovente accompagnato, si è detto «orgoglioso» del proprio operato alla guida del Paese. Ha peraltro evitato di indicare chi sosterrà alle imminenti presidenziali, evitando dunque di schierarsi dalla parte del candidato del centro-destra, Nicolas Sarkozy, attuale ministro dell'Interno e suo ex delfino, che guida adesso l'Ump, l'Unione per un Movimento Popolare, il partito conservatore fondato proprio da Chirac. Sarkozy, dato dai sondaggi in costante ma ridotto vantaggio sugli avversari, in precedenza aveva dichiarato che un eventuale appoggio pubblico da parte dell'attuale inquilino dell'Eliseo sarebbe stato «un evento politicamente importante», ma aveva aggiunto di non aspettarselo, come è poi in effetti avvenuto. Il ministro è insidiato sempre di più dal centrista Francois Bayrou che, in un sondaggio pubblicato oggi dal settimanale 'Le Journal du Dimanche', per la prima volta è dato alla pari al primo turno di voto, il 22 aprile, con la socialista Segolene Royal: 23 per cento per entrambi, contro il 29 per cento a Sarkozy.
IL DISCORSO - «Al termine del mandato che mi avete conferito, sarà venuto per me il momento di servirvi in una maniera differente. Non chiederò i vostri voti né il vostro sostegno per un nuovo mandato», ha annunciato Chirac, entrando subito in argomento. «Sono fiero del lavoro che abbiamo svolto insieme», ha aggiunto, citando specificamente la riforma del sistema pensionistico, i miglioramenti introdotti nelle condizioni di vita degli anziani e dei portatori di handicap, la riduzione della disoccupazione e il freno alla criminalità. «La Francia non è un Paese come gli altri», ha quindi sottolineato, invitando i connazionali a difenderne i principi nel mondo. «La Francia ha responsabilità particolari, ha il retaggio della propria storia, e dei valori universali che ha contribuito a creare».

12 marzo 2007


Da Il Sole 24 Ore 12-3-2007  Tutti i ritardi dell'Italia di Rosalba Reggio

 

Il NordOvest resta al comando, ma dà segni di stanchezza. Questo il quadro emerso dalla ricerca condotta da Il Sole 24 OreCentro Studi Sintesi di Venezia sulla distanza delle regioni italiane dagli obiettivi di Lisbona 2010.
La fotografia, scattata mettendo a fuoco i quattro maggiori target europei — occupazione, innovazione, coesione sociale e sostenibilità ambientale —evidenzia la profonda eterogeneità del territorio nazionale: Valle d'Aosta, Piemonte, Abruzzo e Lombardia sono ai vertici, mentre Sardegna, Sicilia, Puglia, Campania e Calabria sono le più distanti dal traguardo Ue. Ma se la meta è più vicina per i campioni nazionali, gli stessi iniziano a rallentare la loro corsa, superati dal ritmo più intenso delle regioni più lontane. Il quadro globale disegna comunque un Paese che ha ancora un lungo cammino da percorrere. Soprattutto sul piano dell'occupazione,dove il Sud regala il bilancio più sfavorevole e la media nazionale denuncia una distanza ancora significativa dagli obiettivi. Lontano anche il traguardo in tema di coesione sociale. Qui, tra gli ultimi, oltre alle regioni del CentroSud, spicca una regione ad alto sviluppo tecnologico come la Lombardia.
Meno sfavorevole, invece, il bilancio globale nel campo della sostenibilità ambientale, dove si registrano diverse realtà già allineate agli obiettivi.È il caso di Abruzzo, Calabria, Molise, Umbria, Toscana, Trentino Alto Adige e Valle d'Aosta.
Il bilancio complessivo sui progressi fatti nel campo dell'innovazione regala un dato positivo. La media nazionale registra una discreta vicinanza ai traguardi di Lisbona, nonostante la presenza di regioni —soprattutto concentrate al Centro Sud — totalmente escluse dal processo di sviluppo.
Luci e ombre, dunque, nella performance dell'Italia, come già confermato nei giorni scorsi anche dal rapporto del Center for Europea reform, presentato dall'Associazione Glocus.
«Dobbiamo recuperare il terreno perso negli ultimi anni— commenta il ministro delle Politiche comunitarie e del commercio estero, Emma Bonino — ma la strada che stiamo battendo è quella giusta. Come ha confermato venerdì scorso il Consiglio europeo, prendendo atto dei progressi fatti finora e invitando l'Italia ad andare avanti. Le difficoltà saranno molte,lo sappiamo,perché il Paese soffre di un'incrostazione corporativa che si ripercuote sui governi,ma il mondo è andato talmente avanti che non si può più aspettare. L'importanza di Lisbona per il futuro della nostra economia è ormai davanti agli occhi di tutti ed è cresciuta la consapevolezza che senza innovazione e sviluppo non esiste domani ». «La sfida del Governo sarà quella di integrare le risorse nazionali con quelle locali — aggiunge Linda Lanzillotta, ministro degli Affari regionali e delle autonomie locali —. Le potenzialità che le regioni possono esprimere sono molte e lo sviluppo dovrà seguirele vocazioni del territorio. Bisognerà puntare sulla liberalizzazione del mercato dei servizi, sulla semplificazione per l'attività delle imprese e sull'efficienza delle risorse. Con uno sforzo maggiore di trasparenza, per le regioni, nella gestione dei fondi europei e con un'attenzione più stringente sui reali obiettivi di Lisbona».


 

La Stampa 12-3-2007 Tasse, gli 007 in edicola. Controlli a tappeto: l’evasore si scopre anche spulciando gli annunci economici. Alessandro Barbera

ROMA
Negli incubi del cattivo contribuente il Grande Fratello Fiscale assomiglia ad una piovra. Un impalpabile spettro che scruta ogni angolo della vita privata, il conto in banca, per trovare le prove dell’infedeltà nei confronti dello Stato. E però, se si osserva come l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza scovano gli evasori si scopre che molto spesso la prima traccia non ha niente a che vedere con i sofisticati strumenti in mano all’amministrazione fiscale. Gli esposti in tribunale, la lettura attenta degli annunci economici, di compravendita e affitto delle case. Solo l’anno scorso l’Agenzia delle Entrate ha fatto - con successo - più di ventimila accertamenti immobiliari. Oppure, nel caso delle auto, il controllo alla Motorizzazione di quelle in proprietà, soprattutto quando di lusso e magari intestate a società di San Marino. Si incrociano targa del veicolo e dati sul nucleo familiare - et voilà - ecco scovato il superevasore.
Gli acronimi degli strumenti di cui si servono gli esperti informatici del Fisco spesso spaventano, oppure appaiono falsamente innocui: Anagrafe Tributaria, sistema «Amico» - un software che a dispetto del nome seleziona i soggetti a rischio evasione - Pandora, per il controllo della denuncia delle ristrutturazioni edilizie. Ma uno degli strumenti di maggior successo delle Finanze è l’«Attività di analisi e ricerca». Rossella Orlandi, direttore centrale aggiunto accertamento, la definisce «la normale osservazione della realtà che ci circonda». Mentre gli informatici mettono a punto i più sofisticati data-base, la GdF ha capito che era necessario rafforzare metodi semplicissimi. E di condividerli fra i diversi nuclei territoriali. Spiega Orlandi: «L’anno scorso ad esempio siamo andati in alcuni porti, e abbiamo preso i dati delle barche attraccate, un indice senza dubbio significativo di ricchezza. Una volta risaliti ai proprietari e alle dichiarazioni, l’incrocio dei dati era bell’e fatto».
Gennaro Vecchione, comandante del nucleo speciale della Guardia di Finanza cita fra i tanti un caso: i montatori di impianti Gpl. «Chi lo la mettere sull’auto, ha bisogno di un certificato di conformità alla Motorizzazione. Ebbene, basta risalire a quei certificati per accertare l’evasione dell’installatore». Con questo metodi banali, dice Vecchione, talvolta vengono scovati i grandi evasori. L’ultimo caso è di un mago-sensitivo palermitano, Giuseppe Lo Burgio. Un finanziere zelante lo ha incrociato a bordo di una Ferrari fra le stradine del quartiere popolare della Noce. Si è segnato il numero di targa e l’ha girato al comando della polizia tributaria. Il ferrarista era totalmente sconosciuto al Fisco. In dieci anni aveva evaso con i consulti circa tre milioni di euro.
Certo, si tratta di casi singoli, che non fanno la gran parte degli accertamenti. La differenza fra il prima e il dopo della rivoluzione informatica per il Fisco è nella capacità di fare controlli di massa. Semplici data-base che incrociano di tutto: dalle utenze di gas, luce, e spazzatura - messi a disposizione dai Comuni grazie alla Finanziaria del 2004 - fino agli annunci sui giornali gratuiti di compravendita degli immobili.
«Nulla di più banale», dice Orlandi. «Se non coincidono intestatario delle utenze e proprietario nella gran parte dei casi significa un affitto in nero. Sembrerà strano, ma questo ad esempio è un ottimo strumento di accertamento, che ci permette di recuperare parecchio evaso. Solo l’anno scorso - spiega - abbiamo fatto circa ventimila controlli immobiliari». Per un appartamento affittato a mille euro al mese un anno di imposta evasa vale circa diecimila euro di sanzione. Più la multa per la mancata iscrizione del contratto di affitto all’ufficio del Registro. Rischi di incorrere in ligi contribuenti: pochi. «Abbiamo constatato un basso numero di ricorsi». Così che l’Agenzia delle Entrate sta mettendo a punto le liste per un’altra ondata di accertamenti. «Quest’anno contiamo di farne qualche decina di migliaia».
La redditizia attività di accertamento immobiliare - dice Orlandi - talvolta viene fatta con «azioni di intelligence». E’ quello che l’anno scorso il nucleo di Roma ha fatto per aggredire il fenomeno degli affitti in nero all’Università mescolando un gruppo di finanzieri fra gli studenti. A rimanere impigliati nella maglia dei controlli sono rimaste gran parte delle agenzie immobiliari e della loro attività. Ai finanzieri è bastato controllare i loro archivi.


 

Da isolapossibile.it L’acqua come l’aria: un bene pubblico per tutti. Di Chiara Giarrusso

In diecimila a Palermo per dire NO alla privatizzazione dell’acqua.

Acqua forza vitale. Acqua fonte di vita. Bene comune, diritto inalienabile. No alla gestione privata del servizio idrico in Sicilia. No ai rincari delle tariffe. Stop agli sprechi. Stop alla gestione privata dell’Ato idrico di Palermo. L’acqua non è una merce, ma un bene della collettività. Queste le parole d’ordine degli organizzatori della manifestazione contro la privatizzazione dell’ acqua, indetta dal Forum dei movimenti siciliani per l’Acqua, dal coordinamento dei sindaci siciliani dalla Camera del Lavoro di Palermo, dalle segreterie regionali dei partiti dell’Unione e da un cartello di associazioni e movimenti. Sindaci, comitati civici, sindacati, esponenti politici e cittadini, in diecimila provenienti da ogni parte della Sicilia si sono dati appuntamento sabato mattina alle 10 nel capoluogo siciliano, sotto una pioggia battente, per rivendicare la gestione pubblica di un bene pubblico inalienabile, l’acqua, l’emanazione immediata di una moratoria delle procedure di affidamento, l’approvazione di una legge che stabilisca l’esclusiva gestione e governo pubblico del servizio idrico integrato, la rimodulazione del servizio tariffario e una riduzione degli sprechi. Presenti numerosi esponenti della società civile, del sindacato e della politica. Da Marco Bersani, del Forum italiano dei Movimenti per l’acqua, al presidente dell’Antimafia, Francesco Forgione, a Leoluca Orlando, candidato a sindaco al Comune di Palermo. Un coro unanime con un unico obiettivo: bloccare la trattativa che a breve consegnerà l’affidamento della gestione dell’Ato idrico Pa 1 alla società "Acque potabili spa", che si è aggiudicata un appalto trentennale da un miliardo di euro. I promotori dell’iniziativa definiscono questa operazione una chiara anticipazione di un graduale processo di dismissione dell’Amap, con pesanti conseguenza sulle tasche dei cittadini che vedranno un aumento delle tariffe. Ipotesi questa peraltro annunciata dalla stessa società, che prevede un aumento di un euro e 30 centesimi a metro cubo (praticamente più del costo di un litro di benzina). La privatizzazione del servizio idrico è un processo già in atto in tutto il territorio nazionale, che interessa la quasi totalità delle regioni italiane, da nord a sud. Un processo che nei fatti apre al libero mercato settori dell’economia e beni di interesse pubblico, che prima ne erano esclusi. Un’inversione di tendenza assai preoccupante anche e soprattutto alla luce degli stravolgimenti climatici in atto. Intanto i promotori della campagna tengono a sottolineare che la mobilitazione siciliana inaugura il primo di tanti appuntamenti previsti in tutta Italia per la settimana dell’acqua in programma dal 17 - 25 marzo prossimi. Tra i presenti anche Padre Alex Zanotelli che ha affermato<>. A attendere il corteo a Piazza Verdi i banchetti della campagna «Acqua Pubblica, ci metto la firma!», per la sottoscrizione della proposta di legge di iniziativa popolare del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, che ad oggi ha raccolto circa 80.000 mila firme. Molti gli interventi che chiudono la mobilitazione. Quello di Marco Bersani, del Forum italiano dei Movimenti per l’acqua, quello dei sindaci dei comuni madoniti di Caltavoturo e Bivona. Infine Maurizio Calà, segretario della Camera del lavoro di Palermo, che ha letto un messaggio inviato da Rita Borsellino ai manifestanti in cui ha annunciato la presentazione di una mozione dell’Unione sulla gestione delle risorse idriche “per portare- continua la lettera- il dibattito dentro l’assemblea Regionale e impegnare il governo ad una nuova strategia sulle risorse idriche. Finalmente a misura dei cittadini".


INDICE 11-3-2007

+ La Stampa 11-3-2007 Nel silenzio delle Camere Michele Ainis

+ Il Corriere della Sera 11-3-2007. La vera posta in gioco. La missione in Afghanistan dopo il sequestro Mastrogiacomo. di Angelo Panebianco

L’Unità 10-3-2007 Cittadini spiati illegalmente: Fbi sotto accusa  1

La Stampa 10-3-2007 Baghdad, la conferenza tra le bombe Anche Iran e Siria alla conferenza internazionale di pace. 2

Reuters Italia 11-3-2007 Il primo ministro iracheno Nuri al-Maliki ha chiesto oggi ai Paesi della regione di smettere di interferire negli affari interni dell'Iraq  3

La Repubblica 11-3-2007 Appello del capo dello Stato per il varo della riforma, una necessità che definisce "obiettiva" Il leader dell'Udc all'attacco di Berlusconi 4

Virgilio notizie 10-3-2007 Parte di Cdl illiberale, ma esecutivo ha creato caos  4

Il Piccolo di trieste 11-3-2007 Nei guai un dirigente della Clinica odontoiatrica. L'accusa iniziale di appropriazione indebita si è poi aggravata. 4

Il Mattino di padova 11-3-2007 Il Bossi-Pensiero in pillole  5

 


+ La Stampa 11-3-2007 Nel silenzio delle Camere MICHELE AINIS

 

Dopo Vicenza, Roma. E di nuovo va in piazza lo spettacolo di ministri che manifestano per chiedere ai ministri questo o quel provvedimento, di leader della maggioranza di governo che marciano in corteo per incalzare la maggioranza di governo. Nella prima Repubblica non era mai successo, né - fin qui - nella seconda. D’altronde, neppure il dr. Jekyll si trasformava in mr. Hyde senza cambiarsi d’abito e d’aspetto; e men che mai poteva farlo trattenendo nello stesso istante le sue due identità. Ma c’è una logica in questa contorsione logica. C’è un presupposto in questa sfida al presupposto. Ogni democrazia si regge infatti su un governo che decide, su un Parlamento che legifera: la decisione politica s’esprime per l’appunto nella legge. Viceversa la legge è ormai un fantasma nelle Gazzette ufficiali, mentre Camere e governo sono chiusi da tempo per restauri. E allora la piazza ne costituisce il surrogato, al pari del dibattito in tv, dell’intervista concessa a un quotidiano, dell’estenuante giro di consultazioni come quelle che s’intrecciano sulla riforma della disciplina elettorale.

Se la produttività crolla dell’80 per cento
Le cifre sono quantomai eloquenti. Nei primi dieci mesi della legislatura (maggio 2006-febbraio 2007) il Parlamento ha battezzato in tutto 30 leggi; nel medesimo periodo della legislatura precedente (maggio 2005-febbraio 2006) ne aveva licenziate 148. Dunque un crollo dell’80% nella produttività parlamentare; ma se poi da quest’elenco si depennano i provvedimenti obbligati o di routine (quali il rinnovo delle commissioni d’inchiesta, le leggi comunitarie e di bilancio, quelle che ratificano trattati internazionali, o anche la stessa conversione dei decreti), rimangono appena 6 leggi appese al filo. E cioè l’indulto, il finanziamento della missione militare in Iraq, la nuova disciplina degli esami di Stato, il blocco della riforma giudiziaria di Castelli, nonché un paio d’interventi sulla casa e in materia societaria.

E la piazza diventa il surrogato delle Camere
Ecco: nasce da quest’impotenza il bisogno d’urlare a squarciagola nelle piazze, quando basterebbe un voto in Parlamento per girare i desideri in legge. E l’impotenza, come tutti sanno, ha il suo santuario nel Senato. Che infatti si è riunito in assemblea plenaria per appena 5 volte fra dicembre e gennaio; mentre le votazioni sono state 334 in 10 mesi. Colpa della veneranda età dei nostri senatori? Colpa delle fatiche d’avvio legislatura? Ma nei primi 10 mesi della legislatura scorsa (maggio 2001-febbraio 2002) sempre il Senato era stato chiamato al voto 2.175 volte, approvando 73 provvedimenti. No, l’impasse è politica, ha la sua fonte in una maggioranza fragile e sconnessa. E a propria volta l’impasse genera un ulteriore effetto surreale sulla nostra scena pubblica.

Sta di fatto che da due primavere, da quando è iniziata la XV legislatura, viviamo un po’ tutti sotto ipnosi, in una sorta d’allucinazione collettiva. I notiziari t’annunciano la legge sui Dico, ma anche la riforma giudiziaria di Mastella o il giro di vite del ministro Bianchi sulla sicurezza stradale. Tu a seconda dei casi approvi o disapprovi, e magari vai in ansia pensando ai 6 mesi di galera che ti toccano se parli al cellulare mentre guidi, o se hai bevuto qualche bicchiere a cena, prima di metterti al volante. Ascolti le reazioni, le esternazioni, le controdichiarazioni. Ma in realtà non c’è nessuna legge; nel migliore dei casi c’è solo un «disegno» di legge, ossia un progetto, un’intenzione. Progetto per lo più annunciato dal ministro proponente prima che il governo lo deliberi (l’annuncio al quadrato); e per lo più rinviato di seduta in seduta dal Consiglio dei ministri prima di spedirlo al Parlamento, che a sua volta ne rinvierà l’esame alle calende greche (il rinvio al quadrato). Sicché è giusto preoccuparsi dell’inefficienza di chi ci governa. Ma quanto all’efficienza no, non è il caso d’allarmarsi. È tutta una finta, ’n’ammuina.

micheleainis@tin.it


+ Il Corriere della Sera 11-3-2007. La vera posta in gioco. La missione in Afghanistan dopo il sequestro Mastrogiacomo. di Angelo Panebianco

 

 

La coincidenza fra l'offensiva alleata nel Sud dell'Afghanistan e il sequestro dell'inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo sta cambiando, agli occhi dell'opinione pubblica, il significato della nostra presenza militare in quel contesto. Non ci si può più rifugiare dietro i giochi di parole. La situazione è precipitata e quella che, ancora poche settimane fa, si poteva presentare agli italiani, in modo quasi rassicurante, come una «missione di pace e di ricostruzione dell'Afghanistan», si mostra per ciò che di fatto è o è diventata: una missione di guerra, benedetta dall'Onu, al fianco dei nostri alleati occidentali. Nel dibattito italiano le vere poste in gioco in Afghanistan vengono raramente menzionate. La prima riguarda il duello fra Occidente e terrorismo islamico. Se i talebani riprenderanno il controllo dell'Afghanistan, la galassia terrorista avrà conseguito una vittoria straordinaria e galvanizzante contro gli Stati Uniti e i loro alleati. L'islamismo radicale, sconfitti e umiliati i Paesi occidentali, vedrà crescere ancora di più la propria forza e il proprio prestigio entro il mondo islamico. Quali conseguenze per quel mondo, per esempio per i traballanti governi più omeno alleati dell'Occidente (dal Pakistan all'Arabia Saudita), avrebbe una vittoria dei talebani e dei loro alleati di Al Qaeda? E, ancora, quali effetti avrebbe sugli atteggiamenti dei gruppi fondamentalisti ampiamente rappresentati nell'immigrazione islamica in Europa? La seconda posta in gioco riguarda la sopravvivenza della Nato.

Potrebbe la Nato sopravvivere a una sconfitta in Afghanistan? E, a maggior ragione, potrebbe sopravvivere se nella sconfitta risultasse determinante il gioco di «scaricabarile» di fatto praticato dai principali Paesi europeo-continentali, Francia, Germania, Italia, Spagna, ai danni degli altri alleati? Come può rimanere in piedi un'alleanza militare nella quale solo alcuni, nell'emergenza, sono chiamati a combattere e a morire mentre altri, dicendo no alle richieste d'aiuto, rimangono a presidiare le retrovie? I suddetti Paesi europeo- occidentali dovranno porsi il problema, nei prossimi giorni e settimane, se siano interessati a vedere morire la Nato in Afghanistan e, in caso affermativo, con che cosa intendano sostituirla. Le due questioni (vogliamo impedire la vittoria talebana? Vogliamo fare sopravvivere la Nato?) acquistano in Italia una valenza particolare a causa della composizione della maggioranza di governo, del fatto che alcune sue componenti non temono la vittoria talebana né un possibile tramonto della Nato. Difficilmente una missione di guerra può essere condotta con successo in tali circostanze. In tempi di pace, le democrazie ben funzionanti si affidano al bipolarismo (che noi italiani abbiamo solo da poco conquistato). In tempi di emergenza, quelle stesse democrazie ben funzionanti si affidano spesso a governi di emergenza, di unità nazionale. E' infatti essenziale, soprattutto in caso di guerra, che le forze che sorreggono il governo ne condividano gli scopi. In occasione della recente crisi di governo si è adombrata la possibilità di un esecutivo di «larghe intese» e il tema continua a circolare. Ma se ne è parlato solo con riguardo alla necessità di fare una nuova legge elettorale. Se le cose volgeranno al peggio nel teatro di guerra afghano può essere che di «larghe intese» ci si trovi ancora a discutere. Questa volta, però, al fine di affrontare ben più drammatiche questioni.

11 marzo 2007


L’Unità 10-3-2007 Cittadini spiati illegalmente: Fbi sotto accusa

 

L'Fbi ha usato in maniera impropria e in alcuni casi addirittura illegale il Patrioct Act (la controversa legge contro il terrorismo firmata dal presidente Usa George W.Bush subito dopo gli attentati dell'11 settembre 2001) per spiare e ottenere informazioni personali su cittadini statunitensi e non. A dirlo un'inchiesta dell'Ispettore Generale, ovvero il braccio investigativo del Dipartimento di Giustizia americano, i cui risultati sono stati diffusi in un dettagliatissimo report di 199 pagine scaricabile anche dal sito internet del Dipartimento di giustizia.

Sotto accusa in particolare le “National Security Letters”, ovvero una sorta autorizzazioni in bianco che, secondo quanto stabilito dal Patrioct Act, gli agenti dell’Fbi dovevano solo riempire con nome e cognome della persona su cui volevano investigare per ottenere tutte le informazioni possibili da banche, assicurazioni, internet provider, compagnie telefoniche e quant’altro. Ovviamente le “letters” dovevano essere usate in casi di emergenza e poi sempre e comunque seguite a un’autorizzazione del giudice. Ma questa estrema libertà di azione non sarebbe stata sufficiente al Federal Bureau che ne avrebbe abusato.

Secondo gli ispettori per almeno tre anni, dal 2003 al 2005, l'agenzia federale nel 20% dei casi non ha infatti reso noto al Congresso (come stabilito sempre dal Ptrioct Act) quando costringeva una società a rivelare i dati personali dei propri clienti in situazioni che non erano di emergenza. E ha usato in maniera inappropriata le letters, cioè ha richiesto i dati annunciando che l'ordine amministrativo del giudice sarebbe stato inviato successivamente, cosa che puntualmente non è accaduta.

L'inchiesta non ha tuttavia trovato nessuna indicazione di condotta criminale. Secondo gli ispettori a causare questa situazione sarebbero stati "errori personali" degli agenti e un'archiviazione dei dati disorganizzata e inadeguata. I dati sui controlli a tappeto dell’Fbi sui cittadini statunitensi (ma anche stranieri) parlano comunque da soli. Secondo il database dell’Fbi nel 2000, prima dell’entrata in vigore del Patrioct Act, le richieste di controlli erano state 8500. Nel 2003 erano già 39mila, nel 2004 56mila, scese a 49mila nel 2005. Ma questi dati, ci spiega l’Ispettore Generale, sono per lo meno «approssimativi». Analizzando i database dell’Fbi e i report al Congresso Usa infatti i commissari hanno scoperto alte percentuali di omissioni, segnalazioni incomplete o errate: dal 6 al 17%.

Fatto sta che la notizia ha immediatamente scatenato reazioni politiche. Il senatore di New York Charles Schumer, membro della commissione Giustizia del Senato, ha definito le conclusioni del rapporto «una ferita nella fiducia pubblica profondamente inquietante» e ha sottolineato che «qualcuno avrà molto da spiegare».

In effetti il direttore dell'Fbi in persona, Robert Muller (nella foto) ha ammesso l'esistenza di un «problema serio» e si è preso le proprie responsabilità. «Sono io il responsabile - ha detto Muller durante una conferenza stampa - Avrei dovuto creare un sistema di revisione, e non l'ho fatto. Avrei dovuto fornire formazione e supervisione ai nostri agenti, e non l'ho fatto. La responsabilità è mia, e sono impegnato a riparare questi errori».

Comunque sia, Muller ha deciso di non rassegnare le proprie dimissioni. D’altra parte non è la prima volta che l’Fbi finisce sotto accusa per violazioni della privacy dei cittadini Usa. «Il rapporto dell’Ispettore generale non ci sorprende affatto – ha dichiarato Anthony D. Romero, direttore dell’Aclu, importante associazione per i diritti civili negli Usa – Ma resta il fatto che l’Ispettore generale e l’Fbi sono parte del problema e non possono essere considerate come una soluzione affidabile del problema stesso. Il Congresso deve immediatamente abrogare questo pericoloso Patriot Act».


Pubblicato il: 10.03.07
Modificato il: 10.03.07 alle ore 13.12

 


 

La Stampa 10-3-2007 Baghdad, la conferenza tra le bombe Anche Iran e Siria alla conferenza internazionale di pace.

 

Tre esplosioni vicino alla sede dei lavori. Gli Usa: i paesi vicini all'Iraq facciano di più BAGHDAD A detta dei maggiori protagonisti, la conferenza internazionale di pace per l'Iraq che si è svolta oggi a Baghdad è stata "positiva e costruttiva", e ha messo a segno "risultati tangibili", anche se non sono mancati gli "scambi vivaci", così come non sono mancati, all'esterno, i sanguinosi attacchi suicidi con le autobomba e con le granate. Aprendo i lavori in diretta Tv, dopo la lettura di versetti del Corano, il premier iracheno Nuri al Maliki ha subito esortato "gli Stati internazionali o regionali" ad "astenersi dall'interferire o influenzare gli affari nazionali in Iraq", evitando ogni "sostegno a gruppi etnie o partiti", perchè il terrorismo che semina morte e distruzione in Iraq, ha detto, "è lo stesso che colpisce in Arabia Saudita, Giordania, a New York, a Madrid, a Londra". Quasi a sottolineare le sue parole, poco dopo la sala del palazzo in cui si svolgeva la riunione veniva scossa dall'esplosione, poco distante, di tre colpi di mortaio. L'attacco è stato poi rivendicato da due gruppi sunniti, l'Esercito Islamico in Iraq e Jiash al Rashidin: "se gli ospiti della conferenza non sono in grado di garantire la propria sicurezza - si chiedono in un comunicato in web - come posso controllare la situazione in Iraq?. E ancora, nel grande quartiere sciita di Sadr City esplodeva una autobomba, causando la morte di 20 persone e il ferimento di una quarantina di altre. Nel pomeriggio, una seconda autobomba nella zona di Karrada ha causato poi la morte di una persona e il ferimento di altre tre. Ma non è tutto. Con notevole tempismo uno sconosciuto gruppo ha diffuso un video di rivendicazione del sequestro di due tedeschi avvenuto il 6 febbraio, in cui si concedono a Berlino 10 giorni "perchè annunci e inizi il ritiro delle sue truppe dall'Afghanistan". Per la prima volta, il Paese dei talebani e l'Iraq vengono accomunati in "una sola nazione, con una sola religione" da un gruppo terroristico, secondo il quale se la richiesta non verrà accolta, i tedeschi "non vedranno nemmeno i corpi di questi due agenti", cioè Hannelore Krause di 61 anni e il figlio di 20, che nel filmato appaiono in lacrime. Anche l'ambasciatore Usa a Baghdad Zalmay Khalilzad ha frattanto esortato tutti i vicini dell'Iraq a "respingere fermamente il principio secondo cui è accettabile la violenza selettiva contro alcune categorie di iracheni o contro le forze della coalizione", e quindi a "mettere fine al flusso di combattenti, armi ed altri supporti letali alle milizie e ad altri gruppi armati illegali". Un'esortazione evidentemente diretta a Siria e Iran, con i cui delegati, ha riferito il ministro degli esteri iracheno Hoshiar Zebari, Khalilzad ha avuto uno "scambio vivace", confermato dallo stesso ambasciatore americano, che ha detto di aver "parlato con loro (gli iraniani e i siriani) in maniera diretta, in presenza degli altri", per spiegare "le fonti della nostra preoccupazione". Sia Zebari che Khalilzad hanno voluto sottolineare che nella riunione si è parlato solo di Iraq, e che quindi gli altri scottanti dossier regionali o internazionali sono rimasti fuori, mentre il vice ministro degli esteri iraniano Abbas Araghchi ha voluto precisare che non ci sono stati incontri "uno a uno" con gli americani. Araghchi ha inoltre affermato che "la presenza delle truppe straniere non può aiutare la sicurezza in Iraq a lungo termine" e pertanto ha sollecitato "un calendario per il ritiro". Il più soddisfatto di tutti è apparso il ministro Zebari, che ha parlato di "risultati tangibili", vale a dire la decisione di formare comitati sul problema della sicurezza, quello dell'energia e quello dei rifugiati, che in particolare riguarda oltre due milioni di persone all'estero e un milione e mezzo all'interno dell'Iraq. Khalilzad ha poi precisato che saranno comitati composti da rappresentanti dei Paesi della regione. Il diplomatico americano ha inoltre confermato che nel mese di aprile si terrà una nuova conferenza sull'Iraq, ad Istanbul, e che questa volta sarà a livello di ministri degli esteri. "La Turchia - ha affermato - si è offerta di ospitare la riunione ad Istanbul e il segretario di Stato statunitense (Condoleeezza Rice) ha già detto che sarà presente". Secondo diverse fonti, al prossimo appuntamento, oltre agli stessi partecipanti di oggi - vale a dire i cinque Paesi del Consiglio di sicurezza dell'Onu, i Paesi confinanti dell'Iraq oltre a Egitto e Bahrein, la Lega Araba, la Conferenza islamica e l'Onu - dovrebbero esserci anche i Paesi del G-8, e quindi anche l'Italia.


 

Reuters Italia 11-3-2007 Il primo ministro iracheno Nuri al-Maliki ha chiesto oggi ai Paesi della regione di smettere di interferire negli affari interni dell'Iraq

 

BAGHDAD (Reuters) -. "Chiediamo che gli stati regionali e internazionali smettano di interferire o influenzare gli affari dello Stato iracheno appoggiando una certa setta, gruppo etnico o partito", ha dichiarato Maliki come risulta dalla trascrizione del suo discorso. L'intervento di Maliki si è svolto nell'ambito di una conferenza per la sicurezza a Baghdad, che ha visto partecipare vice ministri degli Esteri e altri funzionari di medio livello da Iran, Siria e Stati Uniti. Al termine della conferenza, il ministro degli Esteri iracheno Hoshiyar Zebari ha detto che l'incontro ha dato buoni risultati. "L'incontro è stato costruttivo e positivo nei fatti, nell'atmosfera e nella composizione (dei partecipanti)", ha detto Zebari durante una conferenza stampa. "I temi affrontati durante l'incontro si sono focalizzati sulla sicurezza e la stabilità dell'Iraq", ha aggiunto Zebari, che, quando i cronisti gli hanno chiesto un commento su eventuali contatti fra Usa e Iran, si è limitato a dire: "Ci sono stati incontri, discussioni e consultazioni". Nel discorso di apertura il primo ministro iracheno ha rivolto un appello a tutti coloro che hanno interesse alla pace nel Medio Oriente a unirsi nella lotta contro il terrorismo in Iraq. "Chiamiamo tutti ad assumere una responsabilità morale adottando una posizione chiara e ferma contro il terrorismo in Iraq e a cooperare nel mandare via le forze del terrore", ha proseguito Maliki. IRAN CHIEDE RITIRO TRUPPE USA L'Iraq ha convocato il vertice per raccogliere appoggi per fermare la violenza che insanguina il Paese da quattro anni. La conferenza è stata anche una rara occasione di incontro tra funzionari iraniani e statunitensi in un periodo di particolare tensione tra Washington e Teheran sul nucleare. L'inviato iraniano Abbas Araghci ha però detto che non vi sono scati colloqui diretti con gli americani. Araghci ha inoltre chiesto il ritiro delle forze Usa dal paese, dicendo che stanno alimentando la spirale di violenza. "La presenza delle forze straniere non può aiutare la sicurezza in Iraq nel lungo termine", ha dichiarato il viceministro degli Esteri iraniano. Due esplosioni hanno scosso la località dove si svolgeva la conferenza intorno all'ora di pranzo. Un testimone Reuters ha detto che sembravano colpi di mortaio caduti non molto lontano. L'Iraq ha allo studio un incontro tra ministri degli Esteri della regione e il gruppo dei G8 ad aprile, ha riferito un portavoce del governo. Alla conferenza odierna hanno partecipato anche rappresentanti dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu -- Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, oltre a Paesi arabi e confinanti con l'Iraq. L'ambasciatore Usa Zalmay Khalilzad ha sollecitato a sua volta i vicini dell'Iraq a fare di più per fermare i combattenti, le armi e la propaganda locale che alimenta la violenza nel Paese.

 


 

La Repubblica 11-3-2007 Appello del capo dello Stato per il varo della riforma, una necessità che definisce "obiettiva" Il leader dell'Udc all'attacco di Berlusconi

 

 "Basta pappagalli, non è insostituibile" Napolitano: "Legge elettorale? Un'esigenza" Casini: "Sistema tedesco, o si ridiscute tutto" Napolitano: "Legge elettorale? Un'esigenza" Casini: "Sistema tedesco, o si ridiscute tutto"" /> Casini con la compagna Azzurra Caltagirone RIMINI - "Le esigenze di riforma elettorale ed istituzionale" sono "obiettive". Lo scrive il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato al congresso de I socialisti' in corso a Rimini. "Uno sforzo di ulteriore chiarificazione in vista di possibili evoluzioni del sistema politico è particolarmente importante nel momento attuale, anche in rapporto al dibattito su obiettive esigenze di riforma elettorale e istituzionale", afferma il capo dello Stato. Sul tema della riforma elettorale è intervenuto oggi anche il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini. "O ci sarà un sistema proporzionale alla tedesca - afferma l'ex presidente della Camera - e allora ci sarà un maggiore protagonismo per il centro oppure se resta questa legge elettorale noi possiamo stipulare un nuovo patto in cui si ridiscuta tutto: uomini, candidature, programmi". "E' chiaro - sostiene ancora Casini - che la nostra posizione dà fastidio. Ma io rispondo con le parole pronunciate da qualcuno che è più autorevole di me e ha da poco lasciato la guida di una grande organizzazione cattolica: meglio contestati che irrilevanti...". "Noi - sottolinea ancora Casini - diciamo no agli yesmen che si limitano a ripetere slogan che qualcun altro conia. Qui il problema della leadership non si pone, se io avessi avuto ambizioni personali me ne sarei stato defilato. Invece io ho voluto andare in avanscoperta perché con gli yesmen e i pappagalli non si costruiscono alternative alla sinistra". Il leader dell'Udc poi si sofferma su Berlusconi: "lui è campione del mondo - dice - perché ha dimostrato grande forza e perché ha tantissimi voti. Ma guai a credere che ci sia un uomo solo che risolve i problemi di tutti. Nessuno è insostituibile".

 


 

Virgilio notizie 10-3-2007 Parte di Cdl illiberale, ma esecutivo ha creato caos

 

10-03-2007 14:37 Articoli a tema | Tutte le news di Politica Roma, 10 mar. (APCom) - Con il Ddl sui Dico il Governo la messo in moto una macchina, per poi lasciarla però senza benzina. Lo dichiara il radicale Daniele Capezzone, della Rosa nel pugno, Presidente della Commissione Attività produttive della Camera. "Purtroppo - osserva - un pezzo di Cdl sta tenendo un comportamento illiberale in materia di unioni civili: e a mio avviso, questo atteggiamento chiuso non corriponde ai sentimenti di quella parte dell'elettorato. Comportamento negativo (e situazione per certi versi anche più grave) pure dall'altra parte. Nonostante l'orientamento di gran parte dell'elettorato di centrosinistra, è proprio il Governo che ha creato il caos, e che ha le maggiori responsabilità". "Infatti - prosegue - c'erano proposte di iniziativa parlamentare che sono state fermate, in attesa della proposta del Governo. Era chiaro che sarebbe stato un testo al ribasso, e infatti è stato così. Poi, non pago di questo, il Governo ha messo la questione sul binario morto del Senato, ha espunto il tema dalle dodici priorità di Prodi, il quale si è ulteriormente smarcato in un suo recente intervento parlamentare". "Insomma - conclude - prima si sono sgonfiate le ruote alla macchina, e poi la si è fatta partire senza benzina. Questo non cancella ne' copre anche le responsabilità della minoranza, ma -lo ripeto- sono Governo e maggioranza a doversi assumere il carico delle scelte compiute. Una sequenza di autogol".

 


Il Piccolo di trieste 11-3-2007 Nei guai un dirigente della Clinica odontoiatrica. L'accusa iniziale di appropriazione indebita si è poi aggravata.

 

Ma sarà applicato l'indulto Dentista condannato a un anno di carcere Accusa di peculato. Non dava all'ospedale la quota di guadagni dell'attività privata: 6mila euro di Claudio Ernè Un anno di carcere. Lo ha inflitto il giudice Massimo Tomassini al dentista Roberto Coceano, 56 anni, dirigente medico della Clinica odontoiatrica e stomatologica del Maggiore. Era originariamente accusato di appropriazione indebita ai danni del Sistema sanitario nazionale ma nel corso del processo il capo di imputazione è stato modificato nella più grave ipotesi di peculato. E per peculato è stato condannato senza il beneficio della condizionale. Ovvio il ricorso in appello del difensore, l'avvocato Viviana Rodizza e l'applicazione del recente indulto. Niente carcere, nemmeno nella più astratta ipotesi. Secondo l'inchiesta diretta dal pm Federico Frezza il medico non ha versato all'Azienda ospedaliera quanto ha percepito nella sua attività ambulatoriale privata, esercitata nell'ambito di un rapporto "intrameonia" allargato. Lavorava come dentista non solo nella Clinica ospitata dalla palazzina di via Stuparich, adiacente all'Ospedale Maggiore, ma anche nel suo studio di via Slataper 2. Lo studio è stato chiuso sei mesi fa per iniziativa del medico, quando l'inchiesta è giunta alla stretta finale. "Sono trent'anni che lavoro onestamente. Non ritengo di meritare questa condanna. Molti miei colleghi lavorano furbescamente in nero e io sono l'unico ad aver chiesto all'Azienda ospedaliera di poter esercitare anche l'attività privata. Voglio vedere chi è tanto ligio da emettere una fattura se il cliente non la vuole o non la chiede" ha affermato polemicamente il medico. Il dentista aveva ottenuto una specifica autorizzazione a lavorare privatamente. Quanto aveva percepito per questa attività avrebbero dovuto comunque essere versato all'azienda ospedaliera che a fine anno gli avrebbe restituito il 93 per cento dei suoi incassi privati regolarmente fatturati, trattenendo per sè solo il 7 per cento. Invece l'inchiesta avviata dalla Tributaria ha scoperto una dozzina di clienti del suo studio che hanno pagato le prestazioni al dentista ma non hanno ottenuto alcuna fattura. L'imput era arrivato da uno stretto collaboratore del medico che ha anche indicato agli investigatori dove erano 'custoditi' i libri contabili. Poi la Guardia di Finanza ha inviato 350 questionari ai suoi pazienti con precise domande sulle modalità di pagamento, Dodici hanno risposto fornendo le informazioni usate poi per il rinvio a giudizio. Secondo l'inchiesta, nel 2002 e nel 2003 il dottor Coceano si è trattenuto complessivamente poco più di seimila euro. Il danno subito dal sistema sanitario nazionale è inferiore ai 400 euro, visto che solo il 7 per cento dei suoi incassi privati sarebbe stato trattenuto dalla medicina pubblica. Nel processo svoltosi con rito abbreviato, l'avvocato Alfredo Antonini ha rappresentato l'Azienda ospedaliera che si è costituita parte civile contro il proprio dipendente. Ed è stato proprio l'avvocato Antonini a chiedere il mutamento dell'originario capo di imputazione nel più grave peculato. Lo ha fatto esibendo una sentenza dal 2005 della Corte di Cassazione su un analogo caso. In sintesi al medico dentista è stato riconosciuto dal giudice Massimo Tomassini lo status giuridico di incaricato di pubblico servizio e l'appropriazione indebita si è trasformata nel più grave reato di peculato. Il medico oltre alle pena detentiva è stato condannato a rifondere il danno morale, dopo aver già risarcito quello materiale. Inoltre dovrà pagare più di settemila euro di spese legali e di giudizio. "Non ho rubato nemmeno un paziente al sistema sanitario nazionale. Non ho attinto alle liste del Centro di prenotazione" ha affermato il medico. "Erano clienti miei, vecchi di vent'anni che ho seguito costantemente in un rapporto privatistico. Alcune fatture non sono state emesse perché i lavori non erano conclusi. Non sono un pubblico ufficiale e nemmeno un incaricato di pubblico servizio. Il nostro contratto di medici è privatistico".


Il Mattino di padova 11-3-2007 Il Bossi-Pensiero in pillole

 

Riforma elettorale. "Questa settimana c'è il tavolo sulla legge elettorale. E' la prima cosa sulla quale la Lega si gioca il futuro. Sarebbe preferibile modificare la legge vigente, per quello che serve. Non c'è altra possibilità perché altrimenti non si può fermare il referendum. Comunque no al modello tedesco". Manifestazione leghista a Roma. "Dobbiamo portare milioni di persone in una grande manifestazione a Roma, per portare le richieste elaborate dal Parlamento del Nord. Bisogna avere idee chiare sul processo per il federalismo fiscale perché questo aiuta le famiglie, i cittadini, i paesi e le città. Per prendere voti al Nord bisogna parlare di federalismo. Oggi la situazione non è pericolosa, ma lo può diventare da un momento all'altro". Omosessuali. "Il concetto di famiglia parallela è sbagliato, ma è giusto e doveroso riconoscere qualche diritto anche agli omosessuali". Elezioni amministrative. "Intendo lasciare libertà di decisione ai gruppi leghisti impegnati nelle prossime elezioni amministrative su eventuali alleanze politiche o su singole candidature. Localmente non litigherò con la Lega e i leghisti se non sono d'accordo con le altre componenti della Cdl dove si voterà per le amministrative. E' difficile che io mi imponga e li costringa ad alleanze. L'abbiamo già provato in altri anni: dopo un po' litigano e ci sono casi in cui siamo finiti in tribunale. Non andrò a impormi con la pistola... Quello che abbiamo sperimentato in termini di alleanze locali spesso non ha mai funzionato". Afghanistan. "Se Berlusconi dice che se il governo al Senato per il voto sull'Afghanistan non avrà i 158 consensi dovrà dimettersi, come faccio a non essere d'accordo? Faccio parte della Cdl. Per il governo è un problema di forza minima per sopravvivere. Se non ce l'hai sei un disperato e ogni secondo sei sempre alla ricerca di aiuti. Tuttavia sono esigue le possibilità che il governo possa dimettersi in seguito al voto al Senato. Tutto può essere, ma di solito dov'è caduta una bomba non ne cade mai un'altra. E' difficile che si ripeta la stessa sequenza di qualche settimana fa". Nero su bianco. "I vertici dell'assemblea padana devono mettere nero su bianco tutte le conclusioni a cui giungono i lavori. E' tempo di far stampare ciò che ci diciamo, così avremo le idee più chiare e qualcosa di concreto da mostrare. Altrimenti il processo sul quale stiamo lavorando non si vede. Le idee infatti diventano creatrici di altre idee e per questo chiedo di avere tutti i documenti stampati".


INDICE 10-3-2007

Il Corriere della Sera 9-3-2007 -  Bullismo in oratorio a Bergamo. Un bambino autistico immigrato picchiato e filmato coi telefonini. Umiliata anche la madre accorsa dopo l'episodio. Medicato in ospedale. Gli è stato riscontrato un trauma cranico  1

Da L’Espresso 8-3-2007 Vi racconto l'impero della cocaina  di Roberto Saviano

Giornale di Brescia 10-3-2007  USA E ONU: LA DROGA AIUTA I TALEBANI "Lotta dura all'oppio afgano" 1

Da Aprileonline.info (9-3-2007) Si apre a Baghdad la Conferenza internazionale di pace Stefano Rizzo, 2

Da Borsa & Finanza 10-3-2007 Pronto a partire l'organismo. Cambiano le regole per i promotori finnziari 3

 


Il Corriere della Sera 9-3-2007 -  Bullismo in oratorio a Bergamo. Un bambino autistico immigrato picchiato e filmato coi telefonini. Umiliata anche la madre accorsa dopo l'episodio. Medicato in ospedale. Gli è stato riscontrato un trauma cranico

 

BERGAMO - Non solo a scuola. Ora il bullismo sconfina persino negli oratori. È successo a Bariano, nella bassa bergamasca. La vittima è un dodicenne brasiliano affetto da autismo, che è stato insultato e picchiato davanti ai coetanei che lo filmavano con il telefonino. Il dodicenne ha raccontato che un ragazzo più grande lo avrebbe prima insultato dandogli dello «sporco brasiliano», e quando il ragazzino ha reagito sputando, lo ha aggredito, prendendogli la testa e schiacciandola contro un gradino. Medicato in ospedale gli è stato diagnosticato un trauma cranico non commotivo. A questo punto la madre è tornata all'oratorio per avere spiegazioni e si è vista insultata a sua volta. «I giovani e le madri che erano lì - ha raccontato - mi dicevano di tornare al mio Paese, qualcuno mi ha anche gridato "brutta nera" e qualcun altro scattava foto col telefonino. Mio figlio è malato e la sua malattia lo rende iperattivo, non sa distinguere fra lo scherzo e la provocazione. È seguito da un'assistente ma negli ultimi tempi provava ad andare un po' da solo all'oratorio e noi lo sorvegliavamo da lontano. Più volte abbiamo visto che i grandi lo provocano, lo colpiscono con il pallone».

09 marzo 2007


Da L’Espresso 8-3-2007 Vi racconto l'impero della cocaina  di Roberto Saviano

È il petrolio bianco il vero miracolo del capitalismo moderno. Una ragnatela mondiale che ha nella camorra il suo terminale. E che dà ai clan un fatturato 60 volte superiore a quello della Fiat

 

Non esiste nulla al mondo che possa competervi. Niente in grado di raggiungere la stessa velocità di profitto. Nulla che possa garantire la stessa distribuzione immediata, lo stesso approvvigionamento continuo. Nessun prodotto, nessuna idea, nessuna merce che possa avere un mercato in perenne crescita esponenziale da oltre vent'anni, talmente vasto da permettere di accogliere senza limite nuovi investitori e agenti del commercio e della distribuzione. Niente di così desiderato e desiderabile. Nulla sulla crosta terrestre ha permesso un tale equilibrio tra domanda e offerta. La prima è in crescita perenne, la seconda in costante lievitazione: trasversale a generazioni, classi sociali, culture. Con multiformi richieste e sempre diverse esigenze di qualità e di gusto. È la cocaina il vero miracolo del capitalismo contemporaneo, in grado di superarne qualsiasi contraddizione. I rapaci la chiamano petrolio bianco. I rapaci, ovvero i gruppi mafiosi nigeriani di Lagos e Benin City divenuti interlocutori fondamentali per il traffico di coca in Europa e in America al punto tale che in Usa sono presenti con una rete criminale paragonabile soltanto, come racconta la rivista 'Foreign Policy', a quella italoamericana. Se si decidesse di parlare per immagini, la coca apparirebbe come il mantice di ogni costruzione, il vero sangue dei flussi commerciali, la linfa vitale dell'economia, la polvere leggendaria posata sulle ali di farfalla di qualsiasi grande operazione finanziaria. L'Italia è il paese dove i grandi interessi del traffico di cocaina si organizzano e si strutturano in macro-strutture che ne fanno uno snodo centrale per il traffico internazionale e per la gestione dei capitali d'investimento. L'azienda-coca è senza dubbio alcuno il business più redditizio d'Italia. La prima impresa italiana, l'azienda con maggiori rapporti internazionali. Può contare su un aumento del 20 per cento di consumatori, incrementi impensabili per qualsiasi altro prodotto. Solo con la coca i clan fatturano 60 volte quanto la Fiat e 100 volte Benetton. Calabria e Campania forniscono i più grandi mediatori mondiali nel traffico di coca, in Campania sono avvenuti i maggiori sequestri d'Europa degli ultimi anni (una tonnellata solo nel 2006) e sommando le informative dell'Antimafia calabrese e napoletana in materia di narcotraffico, si arriva a calcolare che 'ndrangheta e camorra trattano circa 600 tonnellate di coca l'anno.
La strada africana, la strada spagnola, la strada bulgara, la strada olandese sono i percorsi della coca infiniti e molteplici che hanno un unico approdo da cui poi ripartire per nuove destinazioni: l'Italia. Alleanze strettissime con i cartelli ecuadoregni, colombiani, venezuelani, con Quito, Lima, Rio, Cartagena. La coca supera ogni barriera culturale e ogni distanza tra continenti. Annulla differenze, nell'immediato. Unico mercato: il mondo. Unico obiettivo: il danaro. In Europa, 'ndrangheta e camorra riescono più di ogni altra organizzazione a movimentare la cocaina. Spesso in alleanza tra loro, alleanze nuove e inedite tra gruppi a cui i media italiani tradizionalmente riservano un'attenzione marginale e cronachistica, lasciando che nel cono d'ombra generato dalla fama di Cosa Nostra continuassero a migliorare e trasformare le loro capacità di importazione e gestione della coca. I giovani affiliati della 'ndrangheta, come emerge spesso dalle inchieste dell'Antimafia calabrese, ormai non la chiamano più col suo nome arcaico e dialettale, ma Cosa Nuova. E che Cosa Nuova possa essere l'adeguata definizione per un'organizzazione sempre più trasversale e in strettissima alleanza con i cartelli napoletani e casalesi della camorra è qualcosa in più di un semplice sospetto. Tra Sud America e Sud Italia sembra esserci un unico cordone ombelicale che trasmette coca e danaro, canali noti e sicuri, come se esistessero immaginari binari aerei e gallerie marine, che legano i clan italiani ai narcos sudamericani.

Una volta su una spiaggia salernitana ne avevo incontrato uno. L'unico che sembrava provare soddisfazione nel farsi chiamare narcos. Stravaccato sulla sdraio, ascelle aperte al sole, raccontava di sé con i silenzi giusti per alimentare la curiosità e non saziarla. Raccontava di sé senza dare nessun dettaglio che potesse divenire prova, faceva intendere ciò che era e lasciava che su di lui fioccassero leggende. Era uno che si diceva amico di un capo guerrigliero colombiano, Salvatore Mancuso, ne parlava come di una sorta di semidio, una potenza in grado di far muovere capitali immensi e di legare il Sud Italia alla Colombia con un unico indissolubile nodo scorsoio. Ma quel nome non mi diceva niente. Un nome italiano in Colombia, uno dei molti. Poi, qualche anno dopo, venni a conoscere ogni centimetro di leggenda e di inchiostro giudiziario. Salvatore Mancuso è il capo delle Auc (Autodefensas Unidas de Colombia), i paramilitari che da decenni dominano su oltre dieci regioni dell'interno della Colombia, contendendo paesi e piantagioni di coca ai guerriglieri delle Farc. Mancuso è responsabile di 336 morti tra sindacalisti, sindaci, pubblici ministeri e attivisti per i diritti umani: secondo le sue stesse ammissioni fatte al tavolo della commissione Giustizia e pace, istituita nell'ambito del negoziato tra i paramilitari e il governo del presidente colombiano Alvaro Uribe. Salvatore Mancuso è riuscito ad evitare ogni richiesta di estradizione sia negli Usa che in Italia, dove vorrebbero che venisse a rispondere delle tonnellate di coca esportate, perché per evitarle si è fatto arrestare. Condannato a 40 anni per una delle stragi più efferate della storia colombiana, quella di Ituango, attualmente collabora al processo di smobilitazione della guerriglia e per questo la legge 975 colombiana ha ridotto la sua pena a soli otto anni che sconta lavorando in una fattoria nel Nord del paese. Ma da lì in realtà continua ad avere una nuova postazione attraverso cui gestire la diffusione della migliore coca colombiana con i cartelli italiani. Sentir pronunciare il nome di Mancuso, per molti significa far affiorare ogni volta la voce di un testimone scampato a uno dei massacri compiuti dai suoi uomini delle Auc, un contadino che stringendo il microfono come se stesse spremendo un tubetto di dentifricio per farne uscire l'ultima stilla, disse in tribunale: "Cavavano gli occhi di chi osava ribellarsi con dei cucchiaini". Migliaia di uomini al suo servizio, una flotta di elicotteri militari, e intere regioni da lui dominate, l'hanno reso un sovrano della coca e della selva colombiana. Mancuso ha un soprannome 'El Mono', la scimmia, evocato dal suo aspetto di agile e tozzo orango. L'inchiesta Galloway Tiburon coordinata dalla Dda di Reggio Calabria dimostra che con l'Italia ha il maggiore numero di affari. Possiede persino il passaporto italiano. L'Italia sarebbe la nazione più sicura per svernare qualora la Colombia divenisse troppo rischiosa. Mancuso è considerato in diverse inchieste dell'antimafia (Zappa, Decollo, Igres, Marcos) il narcotrafficante che più di tutti, attraverso le finestre dei porti italiani, riempie di coca l'Europa. Il governo italiano che riuscirà a portare Mancuso in Italia sarà l'unico in grado di poter dichiarare di aver fatto qualcosa di decisivo contro il traffico di cocaina, perché sino a quando lo si lascia in Colombia, ogni giorno sarà come giustapporre la firma ai suoi affari.
Il contributo fondamentale della criminalità organizzata italiana sta nella mediazione dei canali e nella capacità di garantire continui capitali d'investimento. I capitali con cui la coca viene comprata si definiscono 'puntate'. E le puntate dei clan italiani arrivano prima di ogni altro concorrente: puntuali, corpose, in grado di permettere ai produttori di avere garanzie di vendite all'ingrosso e persino di liberarli della necessità di trasportare il carico sino a destinazione. L'operazione Tiro Grosso coordinata dai pm Antonio Laudati e Luigi Alberto Cannavale, compiuta nel 2007 dai Carabinieri del nucleo operativo provinciale di Napoli e che ha visto la collaborazione di Polizia, Guardia di Finanza e la partecipazione di decine di polizie europee, della Dea americana e della direzione centrale per i Servizi antidroga diretta dal generale Carlo Gualdi, costringe a cambiare in maniera radicale lo sguardo sulle vie della coca. Emerge la nascita di una nuova figura, il broker, e lo spostamento dell'asse internazionale dei traffici dalla Spagna a Napoli.
Dopo gli attentati dell'11 marzo 2004, la Spagna decretò il massimo rigore alle frontiere, cosa che si tradusse nell'aumento esponenziale dei controlli di porti e autoveicoli. E così il paese che prima era considerato dai narcos un enorme deposito dove poter stoccare cocaina alla sola condizione che non fosse destinata al mercato interno, ora come snodo di scambi diventava problematico. Tutta la droga finisce quindi dirottata in altri porti come Anversa, Rostock, Salerno. La coca vi arriva dopo che le puntate sono state decise, e a partecipare alle puntate non sono solo i clan, ma anche i corrieri, i broker stessi e chiunque voglia tentare la strada dell'investimento in questa sostanza alchemica che rende cento volte il costo iniziale. In un'intercettazione fatta dai carabinieri di Napoli all'interno dell'operazione Tiro Grosso, Gennaro Allegretti, accusato di essere un corriere, sta preparando un viaggio in Spagna e chiama un suo amico per farlo partecipare alla 'puntata'. Dall'alta parte del telefono, l'amico appena uscito dalla banca, sa di non avere molti liquidi e quindi vorrebbe tirarsi indietro:
"Tu lunedì cosa devi fare?! Perché io domenica già devo stare preparato... se tu mi dici di no... io domenica notte mi metto nella macchina e me ne vado. lunedì all'alba ce ne andiamo".
"Penso di no, perché ora sono andato in banca, quasi sicuro di no".
"Compà... non ti perdere sempre i tram, non perderlo. ha partecipato mezza Italia: ma che tieni da vedere. entri il mese prossimo con tre milioni in più".
I broker si incontrano negli alberghi di mezzo mondo, dall'Ecuador al Canada e i migliori sono quelli che fondano società di import-export. Trattano con i produttori come Antonio Ojeda Diaz che da Quito a Guayaquil - questo è quanto rivela sempre Tiro Grosso - organizzava i suoi contatti con gli italiani attraverso ditte di import-export con la Turchia. A Istanbul arrivavano solo i contenitori, mentre la coca sbarcava a più tappe durante le soste nei porti italiani e tedeschi. Le modalità del traffico gestito dai broker napoletani sono sterminate. Dalle scatolette di ananas sciroppato dove la coca è nascosta a mo' di cuscinetto tra una fetta e l'altra, ai caschi di banane dove le palline di coca venivano cucite nel corpo di ogni singola banana. I mediatori sudamericani come Pastor o Elvin Guerrero Castillo spesso vivono direttamente a Napoli, e gestiscono i loro affari direttamente da qui. In Italia il numero uno come broker, secondo le accuse, è Carmine Ferrara, di Pomigliano. Riusciva secondo gli inquirenti a gestire le puntate più importanti. Lui stesso si vanta della sua bravura in una intercettazione: "Tutti vogliono lavorare con me.". Le puntate sono raccolte dai diversi clan, Nuvoletta, Mazzarella, Di Lauro, i Casalesi, Limelli, gruppi spesso rivali tra di loro, ma che riescono ad accedere alla coca attraverso gli stessi broker. La forma del traffico è semplice e aziendale. Broker che mediano con i narcos, poi i corrieri che trasportano e poi i 'cavalli' che sono gli uomini affiliati che la passano ai vari sottogruppi dei clan e infine i 'cavallini' che la danno direttamente ai pusher. Ogni passaggio ha il suo guadagno, ma la coca oggi è passata dai 40 euro al grammo del 2004 ai 10-15 nelle piazze più importanti d'Italia. Altro capitolo sono le piazze nel cuore di Napoli, la capitale dello smercio. Il meccanismo dei broker è fondamentale per i produttori di coca: non sono affiliati, non hanno conoscenza se non sommaria delle strutture organizzative dei clan e quindi anche se arrivano a parlare, non sanno dei clan, e il clan non sa di loro. Se i broker vengono arrestati, rimarrà il cartello criminale pronto a divenire interlocutore di nuovi broker, e al contempo se una famiglia viene smantellata, i broker continueranno ad avere i loro interlocutori senza subire altro danno che un cliente perso. Si rivolgeranno ad altre famiglie o a nuove famiglie che emergeranno. Si leva una brezza di scandalo momentaneo quando vengono diffusi certi dati inquietanti: come il fatto che oltre l'80 per cento delle monete italiane risulta tracciato di polvere di coca o che le fogne di Firenze contengono più residui di quelle londinesi. Ma che sia la coca il motore primo dell'economia criminale e che questa, l'economia criminale, sia la più florida delle economie del nostro tempo, su questo molte procure ci lavorano in silenzio da anni e spesso con risorse inadeguate.
Il procuratore Franco Roberti, capo del pool anticamorra dell'Antimafia di Napoli, viso spigoloso, fortemente mediterraneo, taglio d'occhi orientale, un passato alla Procura nazionale antimafia, da molto tempo e prima d'ogni emergenza ribadisce, ricorda, sottolinea, con l'ostinazione di chi vuole guardare al di là del momento critico, dov'è che risiede davvero il problema. Nelle conferenze stampa delle più importanti operazioni antidroga coordinate dal suo ufficio delinea senza mezze misure la situazione grave, gravissima cui si deve far fronte. "A Napoli si ammazza quasi esclusivamente per la droga. La cocaina scorre a fiumi e genera guadagni favolosi. I clan si combattono per il controllo dei traffici. Se un clan investe un milione di euro in una partita di coca, ne ricava in brevissimo tempo almeno quattro. Quadruplica il guadagno rispetto al costo in un tempo microscopico". Solo per Tiro Grosso gli affari dei broker napoletani spaziavano dalla Spagna (Barcellona, Madrid, Malaga) e poi Francia (Marsiglia e Parigi), in Olanda (Amsterdam e L'Aia), Bruxelles in Belgio, Münster in Germania e poi corrieri e contatti in Croazia, ad Atene e poi a Sofia e Pleven in Bulgaria, a Istanbul in Turchia, e infine Bogotà e Cucuta in Colombia, Caracas in Venezuela, Santo Domingo e Miami negli Usa.
I corrieri utilizzati erano tutti rigorosamente incensurati, e viaggiavano su auto modificate. E la modifica delle auto era sofisticata fino all'inverosimile. La coca e l'hashish venivano preparati come un letto steso appena sopra l'asse dell'auto su cui poi montare il corpo del veicolo. Nelle officine napoletane di Quarto, Agnano, Marano, il meccanismo usato è, come dicono i meccanici, 'a' kamikaze'. Come i kamikaze hanno mutato per sempre la strategia militare contemporanea sbaragliando ogni difesa effettiva, perché fino ad allora ci si basava sull'assunto che l'attaccante cercasse di salvarsi, allo stesso modo i narcotrafficanti hanno compreso che l'unico modo per salvarsi dai posti di blocco era organizzare carichi che per scovare bisogna smantellare l'auto stessa. Cosa impossibile per qualsiasi pattuglia. Una volta, durante un'operazione di sequestro di un'automobile, pur sapendo con certezza che vi fosse della cocaina, i carabinieri non riuscivano a trovarla. Smontata l'auto pezzo per pezzo, non si individuava la coca. I cani la sentivano, ma non riuscivano a localizzarla, si agitavano confusi e schiumando dal naso. La coca era nascosta in forma cristallizzata nei fili della parte elettrica dell'auto. Solo un elettrauto esperto avrebbe potuto scovarla, scoprendo più fili del necessario. Per il trasporto si usano le famiglie dei trafficanti. Sono il modo migliore per distribuire i carichi. Le famiglie reali, non metaforicamente i clan, ma proprio i familiari incensurati e che fanno i mestieri più disparati. Gli si offre un weekend in Spagna e 500 euro a testa per il viaggio. L'avvocato pagato in caso di arresto, ovviamente. Una famiglia incensurata - padre madre e bambina - che parte il sabato o la domenica mattina e fa il viaggio, non insospettirebbero nessuna pattuglia. Sulla Roma-Napoli la scorsa primavera i carabinieri fermarono una famiglia che viaggiava su una Chrysler, spaziosa e ben caricata su un letto di 240 chili di cocaina. Quando hanno arrestato i genitori, un sottufficiale non riusciva a togliere dalle braccia della madre una bambina completamente disperata e in lacrime. E i volti di questi trafficanti della domenica erano increduli come di chi non si è reso conto sino in fondo di cosa stava facendo.
La Chrysler sembra costruita apposta per i trafficanti che la foderano. Sopra le gomme, nei vani dei finestrini che spesso non possono essere abbassati ma che tracimano di coca. Negli anni '80 era la Panda, ora invece non c'è trafficante che non desideri la Chrysler nel proprio parco macchine. Ogni auto di trafficante è protetta da un sistema di staffette che segnalano se ci sono posti di blocco e si organizzano di modo che a ogni uscita la staffetta avverte se uscire o proseguire sull'autostrada. Non parlano mai per telefono dell'arrivo o della partenza del carico e neanche loro sanno tutto il percorso, sanno solo in quali città hanno delle basi e a queste basi fanno riferimento solamente una volta arrivati. Una volta giunti a destinazione segnalano la loro presenza, così che sarebbe troppo tardi per gli inquirenti andare e sequestrare, se hanno ascoltato la conversazione. Una scheda telefonica per ogni viaggio. Poi si butta. In un'intercettazione un trafficante al casello di Caserta Nord si accorge che lo stanno aspettando i carabinieri e che l'hanno beccato e allora temporeggia dinanzi al casellante chiamando subito gli altri: "Mi hanno bevuto. chiamate l'avvocato, stutate tutti i cellulare fate fermare tutti quanti". Quando sono pedinati, i corrieri, le staffette cercano di seminare le auto civetta dei carabinieri e preparano camion in alcune piazzole di sosta, che aprono il ventre dei loro autotreni caricano la macchina e partono. Anonimi. Camion tra altri camion. È così difficile travolgere il sistema di staffette che nell'aprile scorso per bloccare una macchina i carabinieri sono dovuti atterrare con un elicottero sull'autostrada verso Capua per fermare un corriere.
I metodi per depistare sono sfiancanti. Un auto, pedinata per Tiro Grosso, prima di giungere dalla Spagna a Napoli ha fatto il seguente giro: parte da Ventimiglia, va a Genova, poi torna a Ventimiglia, poi va a Roma, poi torna a Firenze, poi va a Caserta e poi a Napoli. Tutto arriva a Napoli, ma da Napoli può anche ripartire. Pistoia, La Spezia, Roma, Milano e poi Catania. I nasi imbiancati d'Italia tirano coca battezzata a Napoli. Non c'è luogo dove la coca trattata dai broker napoletani non giunga. Non c'è gruppo criminale che non medi con loro. La mafia turca ha chiesto urgentemente coca ai broker napoletani offrendo armi in cambio. Le indagini per smantellare il brokeraggio di coca sono complicatissime. Gran parte del meccanismo del contrabbando è stato metamorfizzato in traffico di coca. Infatti i Mazzarella - è emerso dalle indagini - hanno concesso ai broker i loro 'capitani', ossia gli scafisti che negli anni Ottanta trasportavano le bionde, ora dai porti marocchini e spagnoli portano tutto a Napoli, Mergellina, Salerno. Un scafo Squalo 3 prima di essere usato era necessariamente testato dai 'capitani' napoletani. I napoletani continuano a essere inafferrabili nella gestione dei traffici per mare, gli introvabili fratelli Russo, i boss nolani eredi dell'impero che fu di Carmine Alfieri, secondo informative dei carabinieri, fanno latitanza su navi, non toccano mai terra, sempre in giro, per Mediterraneo e oceani.
Napoli è città che distrae, la microcriminalità e le faide danno imperativi che non riescono a concedere tempo ai grandi affari dei clan e delle borghesie della coca. E questa è una certezza che i broker conoscono bene. Ma non è sempre così. E per comprenderlo bisogna incontrare il colonnello Gaetano Maruccia, il comandante provinciale dei Carabinieri di Napoli. La prima volta che lo incontrai, ebbi l'impressione di discutere con uno stratega competente e impassibile, ma al tempo stesso ci ritrovai lo slancio del capitano Bellodi de 'Il giorno della civetta'. Qualità inconciliabili che parevano invece trovare sodalizio in un uomo capace di tenere insieme le contraddizioni fra ciò a cui non si può venir meno in nessun momento e a nessun costo, e ciò che si fa perché dietro al dovere resta ad agire il motore vivo di una scelta. Pugliese d'origine con sangue calabrese, un passato in Sicilia e a Roma, somiglianza al Brando maturo, capelli bianchi tirati indietro, una voce da basso. Immancabile sigaro a lato della bocca, e nel suo studio uno strano aggeggio che sbuffa ogni tanto un profumo che tende ad annullare il tanfo del tabacco. Mi stupì che riuscisse a inquadrare il problema strutturale del territorio in una situazione dove c'è un perenne rincorrere l'emergenza, l'imperativo della quotidianità, l'ossessiva richiesta di soluzioni quotidiane e immediate. Maruccia invece ha idee chiare: "È fondamentale comprendere come il mercato legale sia non soltanto infiltrato dai capitali generati dalla coca, ma fortemente determinato da questi capitali. E capire queste determinazioni è il compito più complicato. Le nostre ultime indagini dimostrano che Napoli è uno snodo centrale del traffico internazionale di coca, ma anche un punto di partenza per il riciclaggio, il reinvestimento, la trasformazione della qualità del profitto del narcotraffico in qualità economica legale. Scoprire i traffici, i canali di arrivo, le molteplici tecniche attraverso cui la cocaina e l'hashish giungono qui è un lavoro fondamentale, ma è solo la prima parte e forse persino la più semplice del lavoro. Sono le trasformazioni che dobbiamo capire: dobbiamo capire, come la polvere bianca diventi tutto il resto. Commercio, aziende, costruzioni, flussi bancari, gestione del territorio, avvelenamento del mercato legale. Si parte da questa macroeconomia da smantellare e poi i micro e medio crimini avranno vita difficile e agiranno senza speranza di crescita. Ma il percorso dev'essere questo e non il contrario".
I risultati del Comando provinciale dei Carabinieri di Napoli sono molteplici. Per ultimo, l'intero clan dei Sarno, potente nel racket e nella coca, che gestiva un traffico di armi con l'Est usando come copertura i bus delle badanti, è stato aggredito con 70 arresti. E anche il meccanismo del narcotraffico a Scampia è stato affrontato non soltanto con gli arresti di massa dell'ultimo livello, ossia dei pusher, ma con la distruzione dei fortini attraverso cui i clan difendono la piazza con un metodo nuovo e d'impatto, cioè affiancando centinaia di uomini per presidiarla e impedendo così ogni ipotesi e velleità di rivoltarsi. Maruccia non ha alcun sogno di palingenesi, soltanto sa vedere oltre il caos, oltre la coltre di dati singoli che piovono su una realtà che si vuole troppo spesso schiacciata nel sottosviluppo criminale e che invece cova potenzialità criminal-imprenditoriali enormi. "È innegabile che la loro capacità di fare impresa della coca, sia la loro maggiore qualità. Trasformare una periferia disastrata come l'area nord di Napoli in un'industria florida seppur criminale è una capacità criminale con cui dobbiamo confrontarci e che dobbiamo in ogni modo smontare come si smontano gruppi industriali e finanziari e non combriccole di briganti. Abbiamo di fronte la più importante azienda del territorio e temo non solo di questo territorio, anzi dell'intero paese. Quando si tratta di affrontare i problemi di Napoli non si tratta di rimanere entro i confini regionali, ma anzi risorse, mezzi, attenzione non bastano mai perché i percorsi partono e a volte terminano qui, ma coinvolgono i confini dell'intera nazione e spesso del mondo intero. L'importanza di una sempre più efficiente cooperazione internazionale non è determinante solo per il narcotraffico, ma dev'essere trasversale, deve colpire i capitali di investimento che i clan fanno in ogni parte del mondo. O si parte da questa consapevolezza o si ragionerà sempre in modo parziale".
Impensabile quindi continuare a osservare la coca come una dinamica esclusivamente criminale, la cocaina diviene una forma attraverso cui comprendere l'economia europea che non possiede petrolio, quello nero, e diviene sicuramente una porta d'accesso per comprendere l'economia italiana. Basterebbe seguire le tracce degli investimenti di coca dei broker campani e calabresi per comprendere dove si orienteranno in futuro i mercati legali. La coca, la magnifica merce, l'innominabile valore aggiunto della vita quotidiana di migliaia di persone e l'impronunciabile talento criminale dell'economia italiana, non può che essere raccontata come un modello metaforico usato per lo zero nel pensiero matematico. Traslando quello che disse Robert Kaplan "guarda lo zero non vedrai nulla, guarda attraverso lo zero vedrai l'infinito", sembra imperativo affermare: "Guarda la coca e vedrai solo della polvere, guarda attraverso la coca e vedrai il mondo".

(08 marzo 2007)


Giornale di Brescia 10-3-2007  USA E ONU: LA DROGA AIUTA I TALEBANI "Lotta dura all'oppio afgano"

 

 L'oppio dell'Afghanistan - problema numero uno nella lotta alla droga che si combatte nel mondo - rappresenta per il Paese un "cancro per la democrazia", ma anche, con i suoi legami col terrorismo, una minaccia per l'intera comunità internazionale. È la posizione dell'Amministrazione Usa illustrata a Vienna alla vigilia della conferenza Onu sugli stupefacenti (12-16 marzo), dal vice responsabile dell'ufficio narcotici al dipartimento di stato, Tom Schweich. In un briefing per la stampa, il delegato americano ha sottolineato che sul tema Afghanistan e lotta alla droga, Usa e Onu hanno la stessa posizione, che include peraltro un "no" chiarissimo alla liberalizzazione dell'oppio. Nel 2006 l'Afghanistan è risultato, con il 93%, il maggiore produttore al mondo di papavero (da cui si ricavano oppio e eroina), pari a un aumento del 59% delle coltivazioni rispetto al 2005. Il governo afghano ha accesso solo a una parte dei 165.000 ettari coltivati a oppio. La droga non solo è un grave fattore di corruzione, destabilizzazione e minaccia allo sviluppo del paese ma anche una seria minaccia alla sicurezza. I "collegamenti fra narcotrafficanti e talebani sono in continuo aumento", ha affermato Schweich. Questa minaccia è diventata una "priorità massima" per gli Usa e la comunità internazionale. Schweich ha detto di condividere la strategia Onu. Una lode è andata anche all'Italia che ha raddoppiato, ha detto, il suo impegno finanziario. Sono necessari non solo gli aiuti internazionali, ma anche la "volontà politica" delle istituzioni afghane, che deve garantire l'accesso bloccato in alcune aree controllate dalla guerriglia. Importanti sono inoltre l'equilibrio fra l'eliminazione delle coltivazioni e lo sviluppo alternativo, un miglioramento dell'azione giudiziaria, l'opera di informazione presso la popolazione e fare arrivare un messaggio chiaro: trafficanti e talebani non vinceranno. Per le Nazioni Unite l'obiettivo è concentrarsi ora su un rafforzamento delle province esenti da oppio (portarle dalle attuali sei ad almeno dieci) con incentivi ai contadini che aderiscono.


Da Aprileonline.info (9-3-2007) Si apre a Baghdad la Conferenza internazionale di pace Stefano Rizzo,

 

09 marzo 2007 Guerra Mentre negli Usa i democratici si sono accordati per inserire nel disegno di legge che rifinanzia le missioni in Iraq e in Afghanistan un limite temporale: agosto 2008, si apre a Baghdad la Conferenza internazionale di pace. Partecipano i cinque paesi permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU, le organizzazioni internazionali e i paesi vicini dell'Iraq, tra cui Iran e Siria Sembra che qualcosa si stia muovendo nel mattatoio iracheno. L'operazione sicurezza a Baghdad, lanciata due settimane fa dall'esercito americano e da quello iracheno, sta producendo qualche risultato. Le vittime per attentati e rappresaglie in città sono scese a poche decine al giorno. Una cifra sempre spaventosa, ma inferiore a quelle dei mesi precedenti. Allo stesso tempo sono aumentati gli attacchi in altre città e particolarmente nei confronti dei pellegrini in marcia verso Karbala per la ashura (la più grande festa sciita). Il nuovo comandante americano in Iraq, David Petraeus, è stato molto cauto nell'illustrare questi risultati nella sua prima conferenza stampa a Baghdad. Petraus non corrisponde allo stereotipo del generale tutto muscoli e poco cervello. Ha studiato ad Harvard e viene considerato uno dei generali più brillanti. E' un esperto di antiterrorismo e ha redatto il nuovo manuale di controinsurrezione dell'esercito in cui ha posto l'accento sulla necessità di garantire la sicurezza della popolazione civile e conquistarne la fiducia. Sa bene che la sua è una scommessa ad alto rischio e che non ha molto tempo a disposizione prima che l'opinione pubblica contraria alla guerra in patria lo costringa a rinunciare. Per questo nella conferenza ha fatto anche alcune considerazioni del tutto nuove, mai sentite prima da un generale. Ha detto che l'intervento militare da solo non è sufficiente a stabilizzare il paese. E' necessaria anche una "soluzione politica", cioè il coinvolgimento nel processo politico delle forze che oggi si sentono escluse. Non è una considerazione banale e anticipa l'apertura di canali di trattativa con la componente sunnita del paese, almeno con quella parte che non è rappresentata dalle frange più estremiste. Quanto questo messaggio possa essere accolto dal governo al-Maliki, è tutto da vedere. Non solo perché la maggioranza sciita che lo sostiene è ben decisa a conservare il potere dopo decenni di oppressione sunnita, ma anche perché gli spaventosi attentati di questa settimana contro i pellegrini dell'ashura hanno ulteriormente esacerbato gli animi e porteranno probabilmente a nuove rappresaglie nei prossimi giorni. Quali che siano le intenzioni di al-Maliki, i suoi spazi di manovra sono molto ridotti. Anche lui ha poco tempo per dimostrare ai suoi sostenitori sciiti (il partito Sciiri e il partito di Moqtada al-Sadr) che è in grado di fermare gli attentati e le autobombe. Dopo di che le due milizie sciite, l'Organizzazione Badr e l'Esercito del Mahdi, riprenderanno le loro operazioni di vendetta indiscriminata e di pulizia etnica e non ci sarà più ritorno dalla guerra civile. La seconda novità significativa è costituita dalla conferenza internazionale di pace che si aprirà domani a Baghdad tra imponenti misure di sicurezza. Vi parteciperanno i cinque paesi permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU, le organizzazioni internazionali e i paesi vicini dell'Iraq, tra cui Iran e Siria. Gli Stati Uniti hanno accettato di partecipare (sembra che la stessa Condoleezza Rice abbia incoraggiato l'iniziativa) e, con tortuoso linguaggio diplomatico, non hanno escluso incontri diretti, a due: "Se nella pausa caffè gli iraniani o i siriani mi avvicineranno, non mi volterò dall'altra parte" - ha detto l'inviato della Rice, David Satterfield. L'evento ha un che di straordinario ed è stato reso possibile dalla ripresa delle relazioni diplomatiche, interrotte da decenni, tra Iraq, Siria e Iran. Tanto più se si considera che nelle settimane scorse gli Stati Uniti avevano lanciato pesantissime accuse nei confronti di entrambi i paesi per il sostegno che fornirebbero alla guerriglia "mettendo in pericolo la vita dei soldati americani". L'importanza dell'incontro è anche legata al fatto che se soluzione politica alla guerra in Iraq ci sarà, passerà attraverso il consenso e l'attiva partecipazione nel gioco interno dei suoi due grandi vicini, uno (l'Iran) a maggioranza sciita, l'altro a maggioranza sunnita (la Siria), oltre che degli altri paesi della regione -- anch'essi invitati alla conferenza -- Egitto, Giordania, Arabia saudita. Perché in questo momento storico è in Iraq che si gioca lo scontro più vasto e di lunga data nel tra sunniti e sciiti per l'egemonia nel mondo mussulmano. Solo l'Iran può rassicurare i paesi arabi che un Iraq sciita non li minaccia e solo i paesi arabi possono rassicurare l'Iran che non incoraggeranno la destabilizzazione permanente dell'Iraq in funzione antisciita. La terza novità importante consiste nella decisione presa a Washington dalla camera dei rappresentanti e annunciata alla stampa da una Nancy Pelosi molto determinata e quasi sprezzante nei confronti del presidente. Dopo giorni di tentennamenti e di litigi interni, i democratici si sono accordati per inserire nel disegno di legge che rifinanzia le missioni in Iraq e in Afghanistan un limite temporale: agosto 2008. Hanno anche posto precisi paletti all'operato del Governo al-Maliki e stabilito che, se non saranno raggiunti, il ritiro dei soldati "potrà iniziare già dalla fine dell'anno". Agosto 2008. Può non sembrare gran cosa ai militanti democratici che chiedono a gran voce il ritiro delle truppe. Per quella data, se i morti americani continueranno al ritmo attuale di tre al giorno, ce ne saranno altri 1500 e altre decine di migliaia di feriti. Ma è già qualcosa. E' anche la prima volta che viene fissato un termine preciso per porre fine alla guerra, il che ha fatto infuriare la Casa bianca che ha sempre affermato che "indicare una data vuol dire incoraggiare i nostri nemici e mettere in pericolo la vita dei nostri ragazzi". Bush ha minacciato il veto presidenziale se la modifica sarà approvata anche dal Senato. Sarebbe la seconda volta che la Casa bianca si trova a porre il veto su un suo provvedimento, tanto più che si tratta di una richiesta di fondi per continuare la guerra. L'altra volta fu a fine 2005 quando minacciò il veto al bilancio della difesa pur di bloccare un emendamento che vietava la tortura. Nancy Pelosi ha dato prova di notevoli capacità di manovra per fare accettare l'emendamento ai democratici più conservatori (i cosiddetti "blue dogs"), inserendo nel provvedimento anche uno stanziamento per gli ospedali militari, che in questi giorni sono stati investiti da uno scandalo per le condizioni abominevoli in cui sono trattati i soldati feriti. Pelosi è stata anche attenta a non parlare di ritiro, ma di "ridispiegamento strategico" al fine di meglio combattere l'altra guerra che, dopo cinque anni di quasi oblio, sta ritornando prepotentemente all'attenzione dei media: quella in Afghanistan.


Da Borsa & Finanza 10-3-2007 Pronto a partire l'organismo Cambiano le regole per i promotori finnziari

 

 

FONDI & RISPARMIO Pronto a partire l'organismo Cambiano le regole per i pf Con la nuova struttura di Anasf, Assoreti e Abi, cambia l'esame per accedere alla professione. Via il test scritto e la prova orale. Arrivano le prove pratiche di Anna Messia - 10-03-2007 CONSULENTI FINANZIARI Dopo anni di discussioni finite nel nulla le modalità di accesso alla professione di promotore finanziario sono finalmente vicine alla svolta. La Consob ha messo in consultazione la bozza di regolamento che prevede l'avvio dell'Organismo per la tenuta dell'Albo, sganciando la gestione dalle sua competenza. L'emanazione del documento conclusivo è attesa entro fine marzo e lascerà alle associazioni rappresentative dei promotori (Anasf) e dei soggetti abilitati (Assoreti e Abi) la determinazione delle regole per la tenuta e l'accesso all'Albo, mentre alla Consob resterà il ruolo di vigilanza. Una rivoluzione che dà definitivamente autonomia gestionale ai promotori finanziari. Dopo questa decisione, il contributo di vigilanza che i consulenti pagano oggi alla Consob (per il 2007 è di 213 euro) confluirà solo in parte alla Commissione di via Martini (sempre per le attività di vigilanza), mentre il resto andrà nelle casse dell'Organismo che avrà personalità giuridica e autonomia finanziaria. La Consob quindi perderà buona parte degli oltre 13 milioni di euro che riceveva ogni anno dai promotori finanziari. Nei prossimi mesi bisognerà però redigere lo statuto della nuova realtà, oltre a predisporre il sistema informativo e le strutture territoriali. Per questo le associazioni rappresentative sono già al lavoro. Ma quanti membri avrà il nuovo Organismo? E quali regole introdurrà per i promotori finanziari? "Con ogni probabilità avrà una struttura snella, con due rappresentanti Anasf, uno ciascuno per Abi e Assoreti, e un presidente super partes - dice il presidente dell'Anasf, Elio Conti Nibali - Il nostro obiettivo è farlo partire entro l'anno, per far coincidere il trentennale della nostra associazione con l'avvio dell'Organismo". Novità si preannunciano anche per quanto riguarda l'accesso alla professione. La bozza Consob infatti dà alle associazioni la possibilità di cambiare le regole attuali, che prevedono un test d'esame scritto e una successiva prova orale. Il documento della Commissione prevede invece una generica prova valutativa, con carattere teorico-pratico, indetta almeno una volta all'anno. "Nelle prossime settimane, con le associazioni degli intermediari, discuteremo anche delle prove valutative per accedere all'albo - continua Conti Nibali - Per quanto ci riguarda non faremo proposte di modifica dei requisiti scolastici minimi (oggi per fare l'esame si richiede un diploma di scuola superiore quinquennale, ndr), ma siamo favorevoli a prove pratiche e a un accesso più consapevole a questo mestiere, spingendo magari per l'avvio di un corso di laurea per promotori finanziari". C'è, invece, il rischio che i promotori debbano pagare contributi più elevati? "Siamo ottimisti- conclude Conti Nibali - Con l'Organismo contiamo di recuperare in efficienza abbassando il contributo complessivo a carico dei promotori. Anche se probabilmente non nella fase di avvio".


INDICE 9-3-2007

 

++ L’Espresso 3-9-2007 ECONOMIA Diffidate dei castelli di carta di Paolo Pontoniere [Gli equilibri internazionali sono molto fragili. E si reggono troppo sul credito cinese. Per questo la festa è già finita. Parola di premio Nobel per l'economia colloquio con Paul Samuelson]

++ La Repubblica 9-3-2007 Bush alla rinconquista del Sud America. Disordini al suo arrivo in Brasile

+ Il Sole 24 Ore 9-3-2007 I gestori del mobile al Governo: non abolite lo scatto alla risposta. di Carmine Fotina  1

+ Il Corriere della sera 9-3-2007   Vannino Chiti: temo il referendum, ostacola il partito democratico «Tre modifiche alla Costituzione: meno parlamentari, premier forte, ruoli diversi per Camera e Senato» Monica Guerzoni 2

Il Corriere della Sera 9-3-2007  La Jihad e i mass media. Quei mullah che distruggevano le tv e invece ora riempiono gli schermi . Guido Olimpio  4

La Stampa 9-3-2007 Afghanistan, D'Alema gela Blair: "Non manderemo un soldato in più". Amedeo La Mattina  5

Il Giornale 9-3-2007 Rai, la sinistra sabota le nomine di Cappon di Gian Maria De Francesco  6

Il Cittadino 9-3-2007 Il Papa: "Rispetto per la vita fino all'ultimo suo respiro" 7

L’Unità 9-3-2007 Dico, bufera su Salvi. Lui ribatte: così potremo fare la legge  7

La Repubblica 9-3-2007 Detrazioni e assegni familiari tasse giù ai redditi oltre 40.000 euro. Il Tesoro studia il bonus fiscale. Si accelera sull'Ici Di Roberto Petrini 8

Il Corriere della sera 8-3-2007 Nicosia: greco-ciprioti abbattono il muro. Nell'unica città d'Europa divisa in due parti dall'estate 1974  9

La Repubblica 8-3-2007 Clima, l'Europa taglia i gas serra energie rinnovabili, accordo vicino. Gli obiettivi - è stato deciso al vertice Ue - avranno carattere "vincolante" 9

 

 


 

++ L’Espresso 3-9-2007 ECONOMIA Diffidate dei castelli di carta di Paolo Pontoniere

Gli equilibri internazionali sono molto fragili. E si reggono troppo sul credito cinese. Per questo la festa è già finita. Parola di premio Nobel per l'economia colloquio con Paul Samuelson

 

C'è aria di bolla nell'economia internazionale.

 Dopo l'esplosione (determinata dalle speculazioni degli hedge fund e dalla politica del denaro facile delle banche centrali) il mercato s'avvia verso un aggiustamento radicale. Ma a differenza del passato, quando il timone dell'economia internazionale era nelle mani delle Borse occidentali, adesso l'equilibrio s'è spostato verso l'estremo Oriente, dove i governi tengono ancora d'occhio gli operatori di Borsa e gli investitori si devono abituare alle dinamiche economiche del mercato azionario. Paul Samuelson, premio Nobel per l'economia, vede nubi recessive all'orizzonte dell'economia. Determinate anche dai rischi di una nuova guerra (in Iran), da problemi ambientali, dal debito statunitense, dal mercato immobiliare in crisi, dalla tropo rapida crescita economica dei paesi emergenti e dalla scarsità delle materie prime. Un quadro in cui gli investitori istituzionali cominciano a tirare i remi in barca. Fondatore, con Kenneth Arrow, dell'Economia Neoclassica Moderna, autore di 'Economics: An Introductory Analysis' (best seller economico di tutti i tempi), docente all'Mit, consigliere dei diversi presidenti democratici a partire da John Kennedy, Samuelson, 92 anni, dopo la morte di Milton Friedman e Kenneth Galbraith, è considerato il maggior economista vivente. Aria di fuga in Borsa, professor Samuelson... "è un castello di carte. Gli equilibri economici internazionali sono molto fragili, basta il minimo soffio di incertezza per mandarli all'aria, come per esempio qualcuno in Cina che si impaurisce del fatto che l'economia sta crescendo con troppa rapidità. Insomma non è che Shanghai sia Londra o Milano, un crollo di quella piazza non dovrebbe spaventare gli europei o i signori di Wall Street, e invece Shanghai starnutisce e si scatena un'ondata di panico mondiale. Vuole sapere perché?". Ci dica. "Perché le banche d'investimento sanno che l'età del denaro facile sta per finire, che i tassi devono salire e che una buona parte dei prestiti fatti nel mercato immobiliare statunitense si risolveranno in un fallimento. E ci sono segni che la crisi dei mutui a rischio si sta espandendo anche a quelli che una volta erano considerati sani. I tassi inoltre sono cominciati già a salire in Giappone e questo mette sotto pressione gli hedge fund che avevano usato prestiti contratti in quel paese - dove i tassi erano un quarto di punto percentuale - per investire in Cina, in India e anche negli Stati Uniti e per realizzare quelle che in termini tecnici vengono definite posizioni di leva o 'carry trade'. Adesso che i giapponesi hanno aumentato i tassi d'un quarto di punto, gli hedge fund, da Wall Street a Londra a Milano, cominciano a vendere per ripagare quei debiti. Inoltre ad appesantire la situazione contribuiscono anche gli investitori istituzionali, fondi pensione e fondi d'investimento ordinario, che per ridurre il rischio stanno chiedendo pure loro di scaricare i titoli sotto pressione. Comunque non è solo colpa degli hedge fund, la mentalità speculativa ha infettato un po' tutti. Oggi teoricamente ci sono tutti questi strumenti per distribuire il rischio: opzioni di vendita, contratti a premio, riporti valutari, e tutti si sentono autorizzati a tentare il proprio acume finanziario. Ma sebbene distribuiscano il rischio, questi strumenti lo fanno pure aumentare nel suo valore totale". Ma allora siamo in presenza di una bolla? "L'andamento del mercato azionario a livello internazionale negli ultimi anni è stato fortissimo. Che fosse guidato anche dai 'leveraged buyout', cioè da operazioni realizzate sulla base di un indebitamento dove l'azienda comprata veniva usata per garantire il debito stesso, lo sapevano tutti. Ma si trattava di una situazione che faceva comodo alle banche di investimento e anche alle banche centrali come quella statunitense che hanno creato una grande liquidità, e faceva comodo anche agli investitori d'assalto. Che la corsa si dovesse fermare era un fatto risaputo. Adesso si dirà che è stato un aggiustamento, che si tratta d'un intoppo sulla strada verso un futuro radioso, ma sappiamo bene che la bolla si sta sgonfiando, che il mercato era sopravvalutato e che c'è bisogno d'un aggiustamento". Quindi non si tratta d'un fenomeno passeggero? "Niente affatto. Per arrivare dove siamo adesso c'è voluto un bel po' di tempo, per scendere ce ne vorrà dell'altro. Non posso certo affermare che ci avviamo verso una manovra speculativa sul dollaro o verso una recessione mondiale, ma non mi stupirei se nei prossimi sei mesi entrambi questi eventi avessero luogo. Nei fatti il dollaro si tiene in piedi perché i paesi esportatori, Cina e India principalmente, non vogliono vedere i nostri consumi diminuire. Questo comporterebbe la diminuzione delle loro esportazioni, ma allo stesso tempo il loro investimento negli Usa non è più redditizio come in passato. Adesso che comincia a tremare il mercato immobiliare, che è sostenuto dai prestiti che ci fanno i paesi emergenti, Cina in testa, la situazione diventa insostenibile. Devono cominciare a disinvestire dal dollaro, e queste sono le prime avvisaglie che lo stanno già facendo". In passato una crisi asiatica non ci avrebbe fatto nessun effetto: era già successo nel 1998 e non ebbe alcuna ripercussione. "Adesso le cose sono differenti. L'economia globale è più integrata di quanto lo fosse nel '98 e poi la Cina è il grande elefante dell'economia internazionale, in dieci anni il mercato di quel paese sarà come quello americano, se non più grande. Il timone della crescita internazionale ormai non è più solamente nelle mani dei signori di Wall Street, e se loro se ne infischiano dei dati negativi prodotti dalla nostra economia, in Cina, in Giappone, in India e a Singapore si preoccupano e ce lo fanno sentire con chiarezza. Inoltre sullo stato delle Borse internazionali pesano altri problemi, direi addirittura maggiori dello stato dell'economia statunitense. L'insieme di questi fattori crea una situazione che sfugge anche al controllo della Federal Reserve". Di che problemi si tratta? "Della guerra. E non solo di quella in Iraq, che va malissimo, ma anche della crescente tensione con l'Iran. Se si scatena uno scontro nel golfo di Hormuz tra gli Usa e gli iraniani, il petrolio supererà facilmente i 120 dollari al barile. Capirà che una prospettiva del genere non piace a nessun investitore. Ci sono poi i problemi ambientali, la percezione che a livello internazionale non ci sia veramente la volontà di controllarli e allo stesso tempo il timore che le politiche ambientalistiche possano gravare sulle imprese. C'è poi lo scontro in corso tra i paesi industrializzati e quelli emergenti sulla gestione delle materie prime che scarseggiano e che vengono assorbite dalla crescita industriale". è circolata anche l'ipotesi che nell'aggiustamento ci sia stata la mano delle banche centrali che, impaurite dal clima speculativo creato dagli hedge fund, abbiano operato in direzione calmieratrice. Le pare una ipotesi credibile? "Questa mi pare dietrologia, e non è il mio mestiere. Le posso dire però cosa successe il 20 ottobre del 1987, il lunedì nero. Greenspan era stato appena nominato capo della Fed e il Dow Jones crollò del 22 per cento, più di quanto fosse mai caduto prima o di quanto sarebbe sceso dopo. Greenspan chiamò le banche e disse loro di non liquidare i conti con i loro debitori, che la banca centrale avrebbe venduto denaro a buon prezzo. La strategia funzionò. Adesso Bernanke sta cercando di fare la stessa cosa. Ma mentre Wall Steet recupera, in Europa ed Asia scendono in quanto, qualsiasi cosa dica Bernanke, il mercato se ne va per i fatti suoi". n.

 


 

++ La Repubblica 9-3-2007 Bush alla rinconquista del Sud America. Disordini al suo arrivo in Brasile

Il leader Usa punta sulla lotta alla povertà: "vogliamo aiutare, siamo amici"
Il presidente venezuelano Chavez: "Vince la medaglia d'oro per l'ipocrisia"

SAN PAOLO -Bush tenta di rinconquistare l'America Latina. Il presidente americano è partito in misssione diplomatica per riguadagnare la popolarità perduta nell'"altra" america. E, soprattutto, strapparla all'influenza del presidente venezuelano Hugo Chavez, che dopo aver raccolto il testimone di Fidel Castro, sta diventando il campione dell'anti-americanismo latino. Lo scorso anno, in un discorso alle Nazioni Unite, il presidente venezuelano lo aveva addirittura definito Bush il "diavolo".
Per questo l'uomo più potente del mondo, ma forse uno dei presidenti americani meno amati della storia, ha deciso di ricucire i rapporti con il sud america prima che sia troppo tardi. E gioca la carta della lotta alla povertà. "Vogliamo solo essere vostri amici - ha spiegato ai microfoni della televisione Colombiana Rcn - e questo mio viaggio è un'occasione per dire alla gente che gli Stati Uniti è molto attenta alle condizioni umane. E che vogliamo aiutare".
"Bisogna dare al presidente degli Stati Uniti la medaglia d'oro per l'ipocrisia, perché ora ha detto che è preoccupato per la povertà in America latina", ha contrattaccato Chavez, che questa sera guiderà una manifestazione antimperialista a Buenos Aires. "Adesso sta scoprendo, dopo tanti anni, che in America latina c'è la povertà, quando il principale colpevole è precisamente l'impero statunitense".
Per Bush non sarà un viaggio semplice. Il quotidiano cubano Juventud Rebelde ha definito la missione un "periplo non richiesto", e ha avvertito che Bush incontrerà numerosi ostacoli. "Il presidente - si legge sul giornale castrista - sarà accompagnato da numerose manifestazioni di "protesta e ripudio" organizzate in Brasile, Uruguay, Colombia, Guatemala e Messico. Tutti i paesi, insomma, che Bush visiterà nel corso della missione diplomatica.
A San Paolo del Brasile, prima tappa del viaggio, l'atterraggio dell'Air Force One è stato accolto da una manifestazione anti-usa sull'Avenida Paulista con striscioni che denunciavano l'arrivo del "nemico numero 1 dell'umanità". Negli scontri tra forze dell'ordine e gli oltre 6mila contestatori si contano almeno 23 feriti.
E anche in altre città brasiliane ci sono state proteste, con fantocci di Bush bruciati e slogan contro il presidente Usa. A Brasilia l'Ambasciata degli Stati Uniti è stata circondata da militanti dei Mst, il movimento dei contadini "sem terra". Il traffico già difficile di San Paolo si è trasformato in un groviglio inestricabile in previsione della visita che ha interdetto diverse arterie principali della metropoli.
In mezzo a questo caos, domani Bush si incontrerà con il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva per firmare un accordo bilaterale di cooperazione nel settore dei biocombustibili. Il Brasile con la canna da zucchero e gli Usa col granoturco sono le due potenze emergenti nella produzione dell'etanolo: questo combustibile alternativo è visto dagli Stati Uniti come una via d'uscita dalla dipendenza dal petrolio fossile, di cui il Venezuela di Chavez è il maggiore attore locale.
Il governo Lula ha però negato che con Bush sarà affrontato il tema del presidente del Venezuela, Hugo Chavez. Ma Washington, spiegano gli analisti, sarebbe ben felice di una mediazione del "presidente operaio", piuttosto popolare in tutta l'America Latina, col presidente rivoluzionario che chiama Bush di "diavolo".
(9 marzo 2007)

 


+ Il Sole 24 Ore 9-3-2007 I gestori del mobile al Governo: non abolite lo scatto alla risposta. di Carmine Fotina

 

Le compagnie telefoniche scrivono direttamente a Romano Prodi per scongiurare un'altra sforbiciata ai ricavi. I quattro gestori mobili, attraverso l'associazione Asstel guidata da Pietro Guindani di Vodafone, hanno deciso di assumere una linea comune (si veda «Il Sole24 Ore» di ieri) e hanno inviato una lettera aperta al premier, al garante della Concorrenza Antonio Catricalà e al presidente dell'Agcom Corrado Calabrò per difendere investimenti e sviluppo di un settore considerato «liberalizzato» e con prezzi già «in costante discesa». Per Asstel l'eliminazione dello scatto alla risposta sarebbe «una misura coercitiva»che,combinata all'abolizione dei costi fissi sulle ricariche, significherebbe una riduzione dei ricavi del settore di 5,5 miliardi, un quarto del totale. «Questo — sottolinea l'associazione — porterebbe all'azzeramento dell'utile ante imposte consolidato di settore e all'abbattimento per circa il 75% dei flussi di cassa». Secondo le società, sarebbero inevitabili «impatti occupazionali, una consistente revisione dei piani di investimento, incluso il rischio che alcuni operatori potrebbero essere costretti ad abbandonare il mercato».
Allo stato attuale non è da escludere comunque che il duello sui costi della telefonia mobile si risolva con un classico compromesso. Sono ormai spariti i contributi sulle ricariche e anche lo scatto alla risposta è finito sotto esame, ma inparalleloil Governo valuta se eliminare la tassa di concessione governativa che grava sugli abbonati. In questo modo i gestori renderebbero più appetibile le offerte in abbonamento, utilizzate oggi solo dal 9% degli utenti. E verrebbe riequilibrato il mix con le carte prepagate su cui le compagnie hanno perduto i ricavi derivanti dai costi fissi.
Lo scenario è ancora del tutto aperto, è però certo che eventuali interventi non saranno inseriti in un emendamento al Dl sulle liberalizzazioni, visti i tempi stretti e la mancanza dei «requisiti d'urgenza».
La cancellazione dello scatto alla risposta, fanno trapelare ministero per lo Sviluppo economico e Autorità dopo un incontro tecnico che si è svolto ieri mattina, è comunque ancora un'ipotesi condizionata a un'attenta verifica con la normativa comunitaria.
Dall'altro lato invece, dopo l'abolizione dei costi fissi di ricarica, si valuta se equilibrare il mercato cancellando anche la tassa governativa e, in questo caso, se esistono i margini per recuperare un gettito Iva pari a 600700 milioni. In Italia la tassa mensile (5,16 euro per le utenze residenziali e 12,91 euro per i clienti con partita Iva) esiste solo sugli abbonamenti e rappresenta spesso un disincentivo a sottoscrivere questa forma di contratto. Ecco in parte spiegato il boom delle linee prepagate, pari al 91% del totale. Netto il divario in termini di giro d'affari: i ricavi da servizi voce superano 7 miliardi euro con le prepagate e poco meno di 3 miliardi con gli abbonamenti.
È anche vero però che gli abbonati garantiscono ricavi medi notevolmente più alti: 520 euro l'anno contro 180 euro di una sim prepagata.
Anche per questo gli operatori pressano Governo e Authority per ottenere una forma di "compensazione" che favorisca la crescita degli abbonamenti.

 

 

 

 

 


+ Il Corriere della sera 9-3-2007      Vannino Chiti: temo il referendum, ostacola il partito democratico «Tre modifiche alla Costituzione: meno parlamentari, premier forte, ruoli diversi per Camera e Senato» Monica Guerzoni

 

Legge elettorale, si riparte dal proporzionale.

 

ROMA — Riposta in un cassetto nelle ore del «grande equivoco» con Prodi, la «bozza Chiti» rispunta sul tavolo delle consultazioni del premier con i partiti. «Si riparte da qui» rilancia il suo ruolo il ministro delle Riforme, dove il «qui» è una proposta organica per un nuovo sistema di voto proporzionale e tre importanti leggi costituzionali, il tutto da approvare in poco più di un anno e mezzo. E il referendum? «Chi lo sponsorizza non vuole il Partito democratico».

Ministro, ci sveli cosa contiene la sua «bozza» di riforma.
«Martedì riprendono le consultazioni e non partiamo da zero, ma dai punti fondamentali della bozza, da un'ipotesi di accordo per costruire tre leggi di riforma costituzionale e una riforma elettorale. Se Maroni, Casini, Fini e Berlusconi mantengono la disponibilità espressa il giorno della fiducia, questa volta si può davvero arrivare a un'intesa, un patto di comportamento da siglare entro aprile e che contempli i tempi di approvazione. Possiamo farcela, entro la fine del 2008».

Prendere o lasciare?
«No, ma nessuno ha diritto di veto. Se la maggioranza è d'accordo e l'opposizione invece dimostra una indisponibilità a procedere, si farà una valutazione sul peso di quei settori della Cdl che invece sono in campo per giocare la partita».

Prima tappa?
«Tre leggi costituzionali per il bene dell'Italia. La prima è la riduzione del numero dei parlamentari a 400 deputati per la Camera e 200 senatori. Ma dalle prossime elezioni e non dal 2016, perché non sarebbe serio. La seconda legge serve a rafforzare i poteri del premier, in tre passaggi. La fiducia si vota al candidato che ha vinto le elezioni, il capo del governo nomina e revoca i membri del governo ed è previsto il ricorso alla sfiducia costruttiva».

Terza legge costituzionale?
«La differenziazione del ruolo tra Camera e Senato. E qui ho riscontrato una situazione strana, tutti sono d'accordo ma poi si dicono scettici sulla possibilità di realizzarla, perché la deve votare il Senato».

La sua proposta per la riforma del sistema di voto.
«La legge elettorale che io vedo è questa. Si dichiarano le alleanze, si indicano i candidati premier e, punto cardine delle scelte da fare, si determina uno sbarramento...».

Alt. Qual è la sua soglia?
«Si deciderà insieme. Ma certo lo sbarramento deve essere inversamente proporzionale al premio di maggioranza. E poi io immagino circoscrizioni elettorali piccole, una per provincia e più di una per le province più grandi».

Niente preferenze?
«La gran parte delle forze politiche ha detto no. A me pare che questo pacchetto, riforma elettorale e tre leggi costituzionali, possa funzionare».

Legge elettorale modello Chiti?
«È un proporzionale corretto, con premio di maggioranza e la possibilità per i cittadini di scegliersi coalizione e rappresentanti».

Sicuro che piaccia a Prodi?
«Nel nostro cuore, nel mio e in quello di Prodi, c'è il modello francese, ma non c'è alcuna possibilità di arrivare a un accordo sul maggioritario con uninominale a doppio turno, piuttosto è più probabile un'intesa sul sistema tedesco».

Proprio quello che l'ha fatta litigare con Prodi. Nella sua lettera ai capigruppo lei chiedeva se ci fosse o no accordo sul sistema tedesco...
«Non c'è stata una questione personale tra premier e ministro, ma c'erano due punti non chiari che rischiavano di incrinare i rapporti con i gruppi parlamentari. Il primo, il modo in cui la decisione di guidare il processo si collegava a quel che era stato costruito sinora, cioè i colloqui che io, d'intesa con il premier, avevo svolto con i partiti. Secondo aspetto, senza una intesa preliminare c'era il rischio di andare allo sbaraglio in Aula».

Per questo ha disertato il Consiglio dei ministri?
«Finché non è chiaro cosa si intende fare, uno si ferma e sta zitto».

E magari pensa alle dimissioni.
«La linea del governo la sceglie il premier e se i ministri non la condividono ne possono trarre le conseguenze, ma non si è arrivati a questo. Con Prodi ho un rapporto molto forte, anche personale, di stima e di affetto. Non c'era una sfida, né un braccio di ferro, ma una rigorosa esigenza di chiarezza su una azione che avevamo deciso assieme e che assieme va portata avanti».

Grazie anche all'energica pressione di Fassino.
«Sia io sia il segretario avevamo la necessità ferma di un chiarimento. Prodi ha la consapevolezza di poter accompagnare la riforma e credo che questo sia un atteggiamento comune sia a Fassino sia a Rutelli».

Non sarà che Prodi ha avuto paura delle larghe intese?
«Penso che me lo avrebbe detto se avesse avuto dubbi di questo tipo. Che Prodi possa avere visioni dietrologiche o di complotti nei miei confronti no, non ci credo. Semmai, sono convinto che maggioranza e opposizione si rendano conto che un governo istituzionale sarebbe ambiguo e metterebbe fine al bipolarismo. Un governo tecnico? Metterebbe in scacco la politica».

Boselli ha detto che Prodi teme «una legge contro di lui».
«Forse Boselli sa qualcosa che io non so».

C'è anche chi sospetta un «patto» tra Prodi e Berlusconi...
«La mia forma mentale non contempla nulla del genere. Berlusconi è un interlocutore fondamentale, anche se ogni tanto apre e ogni tanto chiude e non si rende conto che la sua proposta non è accettabile. Qual è la ratio di modificare la Costituzione per inserire il premio di maggioranza nazionale al Senato, invece che raggiungere una intesa che risolve i problemi dell'Italia?».

Lei teme il referendum?
«Si, lo temo davvero e non ritengo giusto che esponenti del governo stiano nel comitato. È stato merito di Prodi cogliere che l'iniziativa referendaria era un problema e decidere di costruire una risposta parlamentare. Il referendum è anche un ostacolo per il Partito democratico».

Ma tra i sostenitori del referendum c'è anche Parisi, il «padre» dell'Ulivo.
«Per superare la frammentazione, Parisi ritiene utile il colpo di spada della consultazione popolare. Ma sponsorizzare il referendum vuol dire non volere il Parito democratico».

09 marzo 2007

 

 

 


Il Corriere della Sera 9-3-2007  La Jihad e i mass media. Quei mullah che distruggevano le tv e invece ora riempiono gli schermi . Guido Olimpio

La comunicazione ha un peso sempre più rilevante nelle strategie dei capi talebani. Che ora imperversano anche su Internet

 

MILANO — Il dramma di Daniele Mastrogiacomo si inserisce alla perfezione nella progressiva «irachizzazione» della guerriglia talebana. E si lega alla campagna mediatica organizzata negli ultimi mesi dai militanti. I seguaci del mullah Omar hanno prima combinato le loro esperienze con quelle dei mujaheddin in Iraq, così, insieme a cariche esplosive sempre più sofisticate, sono comparsi gli attentatori suicidi.

Ma queste armi non bastano da sole a glorificare la lotta. Sia pure in ritardo e facendosi forza, visto che per anni hanno distrutto i televisori considerati come fonte di perdizione, i talebani hanno investito nella guerra di propaganda. Un piano costruito nel febbraio 2006 con la produzione in proprio di un cd intitolato i «Leoni dell'Islam». Su ordine del mullah Omar ne sono state incise migliaia di copie distribuite in Pakistan, Afghanistan e nei Paesi del Golfo, dove vivono e trafficano generosi finanziatori. I cd sono stati poi smerciati nelle cittadine di confine, nascosti all'interno di custodie dei popolari film di Bollywood. Il successo ha incoraggiato i guerriglieri.

E il più lesto a sfruttare il canale mediatico è stato Dadullah «lo zoppo», importante capo militare della guerriglia. Negli ultimi sei mesi, aumentando la frequenza degli interventi a livello esponenziale, il mullah ha conquistato la scena. Ha iniziato a rilasciare interviste a tv sicure, come Al Jazira, quindi si è concesso a chiacchierate telefoniche con emittenti occidentali. I messaggi hanno sempre il medesimo tono: stiamo vincendo, l'Afghanistan sarà la tomba degli occidentali, abbiamo migliaia di kamikaze a disposizione. Un tentativo di mettersi sullo stesso piano del nemico. Sia sul campo di battaglia che nella guerra di parole.

Avvicinandosi la cosiddetta offensiva di primavera, Dadullah ha alzato i toni rendendosi conto che dopo ogni comparsata aumentava la copertura nei suoi riguardi da parte dei giornali internazionali. Qualsiasi cosa dica viene immediatamente rilanciata attraverso i canali tradizionali: dal reporter locale alla grande agenzia di stampa, da questa alle emittenti e ai quotidiani. Guerriero semi-sconosciuto al grande pubblico, il militante si è trasformato in un titolo: «Il mullah Dadullah...». E potremmo dire in un marchio.

Gli esperti americani — tra i quali l'autorevole Fred Burton — paragonano il suo successo a quello di Al Zarqawi, del quale ha usato gli stessi ingredienti: violenza efferata, presa d'ostaggi, annunci roboanti, ricerca dei media. Poco pratico del mondo elettronico, Dadullah è stato aiutato da alcune case di produzione qaediste che hanno il pregio di non fare censure e sono affidabili. Il ragazzotto venuto dalla California, Adam Gadahn, alias Azzam l'americano, dopo aver curato l'immagine di Osama e Al Zawahiri diffondendo buona parte dei video, si è dedicato a quella dei talebani. Il logo della «As-Sahab» (nuvola) — questa una delle società — è comparso in un buon numero di filmati, seguito da quelli di «Al Fajir», del «Global Media Islamic Front» o della storica «Labik».

I talebani hanno dato impulso anche al loro sito, che utilizza strutture pachistane. Ieri ne è stata annunciata la chiusura, ma la versione inglese dedicata all'Emirato dell'Afghanistan funzionava regolarmente. Dadullah ha diviso la scena con mullah minori e con un predicatore-soldato, il libico Abu Yahya Al Libi. Fuggito in modo rocambolesco dalla base di Bagram nel 2005, è diventato l'annunciatore qaedista. Si presenta davanti alle telecamere per declamare composizioni jihadiste, incita al martirio indossando il corpetto da kamikaze, rivela ai compagni le tecniche di interrogatorio americane. È rimasto invece al coperto, affidandosi solo a rare comunicazioni sulle onde radio, il mullah Omar. Non ama farsi vedere in pubblico, impone alle tribù del versante pachistano di non lasciarsi contaminare dalla tv e dunque proibisce di guardarla, però lascia campo ai suoi aiutanti memore della lettera scrittagli nel 2001 da Bin Laden: «La nostra guerra si svolgerà al 90 per cento sul fronte dei media».

Il sequestro del giornalista di Repubblica, alla luce di tutto ciò, potrebbe sembrare una contraddizione. Però i talebani hanno un'idea particolare della stampa. Per loro non esiste quella libera, tutti sono considerati schierati. I mullah dalla doppia anima, che fanno ai pezzi le televisioni ma poi ne riempiono gli schermi, vedono avversari da tutte le parti. Allora il reporter che fa il suo mestiere — se serve alle loro manovre — è considerato un intruso. E il suo sequestro diventa una doppia forma di pressione: è un giornalista ed è occidentale. Da mostrare in un video.

09 marzo 2007


 

La Stampa 9-3-2007 Afghanistan, D'Alema gela Blair: "Non manderemo un soldato in più". Amedeo La Mattina

 

Il ministro degli Esteri: «Quello che deve fare l’Italia lo ha già deciso il Parlamento»

INVIATO A BRUXELLES
Il governo italiano non cambia posizione e rimanda al mittente la richiesta di più truppe nel Sud dell’Afghanistan che Tony Blair ha rivolto ai Paesi della Nato. Un messaggio che Palazzo Chigi e la Farnesina hanno interpretato come rivolto in particolare all’Italia che non sta operando nelle zone dove infuriano i combattimenti. «Quello che deve fare l’Italia - ha spiegato Massimo D’Alema dopo il vertice dei leader del Pse - c’è scritto chiaramente nel decreto votato dalla Camera. Manteniamo questa linea e non abbiamo intenzione di cambiarla. Del resto, non abbiamo in previsione nuovi provvedimenti». Punto.
Dunque per il ministro degli Esteri non sarà impiegato un solo soldato in più dei 2000 già previsti, né ci sarà una dislocazione diversa delle nostre truppe: siamo a Kabul e Herat e lì rimaniamo a fare la nostra parte. «E non stiamo lì a raccogliere le margherite», sbotta un collaboratore del responsabile della Farnesina prima dell’inizio del Consiglio europeo. Anche nell’entourage di Romano Prodi è palese l’irritazione per l’uscita del premier britannico: «Prodi sottoscrive la dichiarazione di D’Alema. Da parte di Blair un po’ di umiltà non farebbe male». E in serata, lasciando il vertice europeo, Prodi ha infatti detto che «nella posizione italiana sull’Afghanistan non c’è nessun cambiamento: l’abbiamo confermata con il voto alla Camera».
La reazione italiana e quella degli altri Paesi europei (tranne l’Olanda) sembra che abbia reso Blair più prudente. Anzi, qualcuno parla perfino di una sua marcia indietro. Infatti l’inquilino di Downing Street nel pomeriggio avrebbe precisato che la Gran Bretagna non chiederà al Consiglio europeo un maggiore impegno militare in termini di uomini, ma solo «più sostegno da espletare in forme diverse»: «Ci rendiamo conto delle implicazioni storiche di alcuni Paesi». In cosa consistano queste «diverse forme» non è stato però specificato. In ogni caso la questione afghana Blair l’ha voluta affrontare alla cena di ieri sera con i primi ministri presenti al vertice europeo. E ciò nonostante l’argomento non sia all’ordine del giorno. Infatti che il tema non faccia parte dell’agenda di questo vertice a Blair lo hanno ricordato anche Chirac, Zapatero e la presidente di turno Angela Merkel.
Rimane il fatto che gli italiani hanno fatto muro. E quando i collaboratori dicono che il premier inglese dovrebbe essere «più umile e più attento» a fare certe proposte, si riferiscono alla vicende di questi ultimi anni: i Paesi della Nato sono andati in Afghanistan e mentre i talebani erano in rotta, Usa e Gran Bretagna hanno pensato bene di invadere l’Iraq, distogliendo forze dal campo afghano. E ora i soldati occidentali si trovano a fronteggiare un’offensiva talebana tesa a recuperare terreno nel Sud di quel Paese. Blair non può dire all’Italia quello che deve fare: ci sono delle decisioni prese in sede Ue e Onu, e a quelle gli italiani si attengono. Del resto, continuano le fonti del governo, l’Italia non si è mai sognata di rinfacciare alla Gran Bretagna l’inefficacia dell’azione contro il narcotraffico proprio in quelle aree di competenza inglese. Tra l’altro, aggiungono gli uomini di Palazzo Chigi e della Farnesina, dobbiamo abbandonare l’idea che la sicurezza in Afghanistan si garantisca a «colpi di baionetta».
Il governo italiano non vuole sentir parlare dell’esempio della Spagna, che ha aumentato di recente le sue truppe. «La Spagna - spiegano i collaboratori del premier - ha mandato 100 uomini in più per aumentare la sicurezza dei 600 soldati che ha sul territorio. Noi ne abbiamo 2000, e non stanno lì a guardare chi passa». Blair adesso sembra un po’ frenare. Ma se le cose in Afghanistan dovessero mettersi male e gli scenari di guerra si allargassero nelle zone dove sono gli italiani, allora le cose potrebbero cambiare.


 

Il Giornale 9-3-2007 Rai, la sinistra sabota le nomine di Cappon di Gian Maria De Francesco 

da Roma

«Erano venuti per dividerci e invece si sono divisi». Il consigliere di amministrazione Rai in quota Fi, Giuliano Urbani, non risparmia una vena di sarcasmo nel commentare la bocciatura delle otto nomine proposte ieri al cda dal direttore generale Claudio Cappon.
In un sol colpo sono saltate le designazioni di Giovanni Minoli come direttore di RaiDue al posto di Antonio Marano il cui trasferimento al Coordinamento sedi regionali non è andato a buon fine. Idem per il repêchage di Carlo Freccero alla presidenza di RaiSat e di Alberto Barbera alla guida di Rai Cinema. Silurati anche Scaglia, Del Bracco, Malesani e Sartori.
L’aspetto più clamoroso è rappresentato dal fatto che oltre all’opposizione dei 5 membri di area Cdl (che rappresentano ancora la maggioranza) un altro consigliere di centrosinistra ha contribuito al rovescio delle proposte di Cappon astenendosi o votando contro tranne che su Freccero e Minoli.
Ieri si è votato con lo scrutinio segreto richiesto proprio da Urbani per far emergere le contraddizioni del centrosinistra e individuare la «talpa» non è semplice. Le voci di corridoio portano a Nino Rizzo Nervo (area Dl) o a Sandro Curzi (vicino al Prc) considerato che il presidente diessino Claudio Petruccioli ha subito dichiarato di appoggiare le proposte del direttore generale. Entrambi hanno espresso il proprio rammarico a Minoli, Freccero e Barbera. L’altro consigliere in area Quercia, Carlo Rognoni, ha accusato la Cdl di aver messo «in stallo» l’azienda ribadendo di non essersi astenuto su Barbera, dunque la sua fedeltà alla linea pare un fatto assodato. I dubbi comunque restano vista la sostanziale mancanza di entusiasmo per le proposte di Cappon da parte dei consiglieri di centrosinistra nel corso del dibattito in cda.
Dopo le iniziali diffidenze (Prodi tifava per Perricone, ndr), tra Palazzo Chigi e direzione generale si era stabilita una buona sintonia. Le otto bocciature di ieri potrebbero perciò rappresentare un nuovo episodio di sfaldamento della maggioranza», ha rilevato Alessio Butti, responsabile informazione di An. Il presidente della commissione di Vigilanza Rai, Mario Landolfi (An), invece, si è domandato «chi o che cosa abbia ispirato l’anomalo comportamento del dg».
Il direttore generale, che aveva rifiutato l’invito a ritirare le candidature, è rimasto in silenzio dopo il no alle sue proposte. La situazione è critica e la permanenza del manager di scuola Iri al settimo piano di viale Mazzini non è scontata. Il responsabile informazione della Margherita, Renzo Lusetti, ha sollecitato l’intervento del ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Certo, la rimozione di Angelo Maria Petroni, designato da Giulio Tremonti, ormai non è più all’ordine del giorno (tranne che per Angelo Bonelli dei verdi) né la fragilità dell’Unione sembra avallare l’ipotesi di soluzioni di forza. Come ha sottolineato lo stesso Urbani «proposte di nomina maggiormente condivise avrebbero trovato ben altra accoglienza».


Il Cittadino 9-3-2007 Il Papa: "Rispetto per la vita fino all'ultimo suo respiro"

 

CITTÀ DEL VATICANO "La vita umana merita attenzione e rispetto sino all'ultimo suo respiro" è il messaggio lanciato ieri in Vaticano da Papa Ratzinger durante l'udienza ai soci del circolo caritativo dell'Obolo di San Pietro. Una frase, poche parole per ribadire un concetto chiave della dottrina cattolica: quello del no all'eutanasia. Il discorso di Benedetto XVI non aveva però il sapore del pronunciamento teologico o politico. Piuttosto che a condannare, era teso a elogiare l'attività di strutture come quelle dell'Obolo di San Pietro, un'istituzione antica della Chiesa che ha il compito di raccogliere soldi per affidarli alle opere di bene decise, di volta in volta, dai pontefici. I soci del circolo, da qualche anno, gestiscono anche l'Hospice Sacro Cuore, una struttura ospedaliera dove volontari laici e religiosi assistono malati terminali, in particolare affetti di sclerosi amiotrofica bilaterale. Proprio da questa malattia era stato colpito l'esponente radicale Pier Giorgio Welby, l'uomo che ha voluto che venisse staccata la spina alle macchine che lo tenevano in vita. Senza addentrarsi in termini espliciti sulla questione dell'eutanasia, il pontefice ha lodato i soci del circolo per la loro "silenziosa, ma quanto mai eloquente testimonianza di amore per la vita umana, che merita attenzione e rispetto sino all'ultimo suo respiro". Sul tema dell'eutanasia, e in termini ben più espliciti, Benedetto XVI si è espresso più volte in questa sua prima fase di pontificato. L'ultimo suo intervento risale a poche settimane fa, quando il Papa, il 24 febbraio scorso, in un discorso alla Pontificia accademia per la vita, aveva sottolineato la necessità che i cristiani si mobilitassero contro "i molteplici attacchi cui è esposto il diritto alla vita". In tale contesto aveva condannato le leggi tendenti a legalizzare l'eutanasia, mettendola sullo stesso piano dell'aborto o di certe forme di eugenismo per selezionare il "figlio perfetto". L'11 febbraio, il Papa aveva tuttavia chiesto con forza di "sostenere lo sviluppo di cure palliative" per i "malati inguaribili" in modo da assicurare loro "sostegno umano" e accompagnamento spirituale di cui hanno fortemente bisogno". Con le cure palliative, aveva spiegato, la Chiesa propone di alleviare le sofferenze dei malati terminali senza però mai ricorrere all'eutanasia. "La comunità cristiana", ha ripetuto più volte Papa Ratzinger non deve mai fare mancare "vicinanza materiale e spirituale" ai malati, e "non lasciarli nell'abbandono e nella solitudine mentre si trovano ad affrontare un momento tanto delicato della vita".

 


L’Unità 9-3-2007 Dico, bufera su Salvi. Lui ribatte: così potremo fare la legge

 

Alla vigilia della manifestazione è ancora polemica col governo sulla "bocciatura" di Maria Zegarelli / Roma PIAZZE E PARTITI Chi invita la piazza di domani a "urlare piano", evitare i "toni gridati e le esasperazioni ideologiche", come dice Franco Monaco della Margherita, perché "nuocerebbero alla causa"; chi in piazza ci sarà malgrado sia ministro - come Alfonso Pecoraro Scanio e Paolo Ferrero; e chi evita la piazza, pur "essendoci idealmente" - come la ministra Barbara Pollastrini. Infine, c'è chi annuncia la propria presenza in un'altra piazza, quella del Family Day, come i ministri Clemente Mastella e Beppe Fioroni, anche se quell'appuntamento per ora è solo un punto interrogativo. Vigilia di manifestazione "Diritti ora", ricca di polemiche. "I Dico non passano" ripete il Guardasigilli. "Passano, se solo mi lasciassero lavorare in pace", ribatte il presidente della Commissione Giustizia a Palazzo Madama, Cesare Salvi, che ha smontato "tecnicamente", il ddl firmato dalle due ministre Bindi e Pollastrini. Loro ci sono rimaste piuttosto male, lui ribatte:"Mi dovrebbero ringraziare perché se avessimo adottato il ddl del governo come testo base la legge avrebbe fatto una finaccia. Mastella aveva già annunciato che avrebbe bloccato tutto con la pregiudiziale di costituzionalità. Abbiamo salvato il governo ma anche la speranza di fare una legge sulle unioni civili riaprendo il dibattito in Commissione". In realtà su di lui è piombato un sospetto: che voglia, attraverso il ddl, dimostrare che il partito democratico è una via impraticabile, "un pasticciaccio". A pensarlo già sono in diversi: da Rosy Bindi (che ieri lo ha esplicitamente sostenuto sulle pagine di Europa) a Giorgio Tonini, uno dei saggi che sta lavorando al Manifesto del Partito democratico, al giurista Stefano Ceccanti, Salvi replica: "Ma stiamo scherzando? Il Pd non mi piace affatto, ma questo è un argomento a cui dedico non più di 60 minuti di riflessione al giorno. Le mie critiche al ddl sono critiche tecniche". Sempre dalle colonne del quotidiano Dl oggi Salvi spiega che "quello che apprezzo politicamente del lavoro delle due ministre, e l'ho detto in altra occasione, è l'impegno a trovare un punto di incontro tra cultura laica e cultura cattolica, che è un obiettivo al quale tutte le persone serie devono considerarsi impegnate, sia che ritengano che ciò debba comportare la fusione di un unico partito, sia che, come me, credano che, pur permanendo diritti diversi, l'alleanza tra cattolici democratici e sinistra socialista sia un punto decisivo di tenuta del sistema democratico italiano, prima ancora che del centro sinistra". Argomentazioni che non hanno convinto le due ministre, però. Intanto il capogruppo dell'Ulivo al Senato, Anna Finocchiaro, dà una botta alla botte e una al cerchio: "Ci sono due questioni dalle quali non prescindere: il testo dei Dico è la prima mediazione possibile tra cattolici e laici e nei Dico c'è una novità rispetto a tutte le altre proposte perché c'è un sistema di diritti per i conviventi non concorrenziale nei confronti della famiglia". In sostanza, per la Finocchiaro, "bisogna riflettere se i diritti dei conviventi si devono registrare solo quando c'è amore erotico o anche quando ci sono affinità e assistenza spirituale e materiale". Lei, come Bindi, Pollastrini e Melandri, è tra i nomi illustri che non saranno in piazza domani per il ruolo istituzionale che rivestono. Il coordinatore nazionale della manifestazione, Alessandro Zan, dice: "Vogliamo costruire un'occasione per mettere in contatto il paese reale, attrverso la testimonianze delle coppie di fatto e le istituzioni perché non è una manifestazione "contro" ma è per allargare i diritti in questo paese".


 

La Repubblica 9-3-2007 Detrazioni e assegni familiari tasse giù ai redditi oltre 40.000 euro. Il Tesoro studia il bonus fiscale. Si accelera sull'Ici Di Roberto Petrini

 

Dopo l'ufficializzazione dei dati sull'extra-gettito tecnici al lavoro sulle opzioni per l'impiego


ROMA - Il piano è allo studio dei tecnici del ministero dell'Economia da giorni. Ma la certificazione del "tesoretto" di 8,6 miliardi di gettito inaspettato nel 2006 e la conferma che le entrate stanno andando bene anche nei primi mesi di quest'anno, stanno suggerendo di rompere gli indugi. L'ultima decisione dovrà essere politica e collegiale all'interno del governo ma i tempi si stringono con l'avvicinarsi della Relazione Trimestrale di cassa, che certificherà definitivamente lo stato dei conti pubblici. Senza contare che si avvicinano le elezioni amministrative di primavera e il governo potrebbe essere tentato di giocarsi la carta del bonus fiscale prima di quella data.
Il piano prevede tre mosse. La prima è quella nota, annunciata dalla stesso premier Romano Prodi, dell'abbattimento dell'Ici sulla prima casa per chi ha figli: in questo caso è probabile che la misura sia varata a breve per mezzo di un decreto o di un disegno di legge. La misura da sola costerebbe dai 2 ai 3 miliardi.
Le altre due mosse - è questa è la novità delle ultime ore - riguardano l'Irpef. I tecnici del Tesoro, dopo le polemiche sollevate dalla manovra fiscale della Finanziaria 2007, hanno messo a punto un mix di interventi per i redditi che superano i 40 mila euro per compensare il vecchio intervento sulle aliquote che invece ha privilegiato i redditi sotto i 40 mila euro. I dettagli dell'intervento non sono ancora noti ma di sicuro si agirà con sostanziosi aumenti delle detrazioni per i carichi familiari e sugli assegni familiari. Un meccanismo che favorirà dunque le famiglie e conterrà una implicita risposta alle proposte di iniziativa parlamentare che, da destra e da sinistra, propongono il cosiddetto "quoziente familiare", un sistema in voga in Francia e Germania che consente di abbattere l'imponibile in funzione del numero dei componenti del nucleo.
Infine la terza mossa, i cui tempi tuttavia ancora non sono stati definiti, ma che potrebbe affacciarsi nel prossimo Dpef 2008-2012 e concretizzarsi nella legge Finanziaria 2008. Si tratta del problema degli "incapienti", cioè quei soggetti che hanno un reddito così basso che li rende esenti dalle tasse e che sono dunque condannati a rimanere a bocca asciutta di fronte alle diminuzioni di aliquote o all'aumento delle detrazioni fiscali. Per costoro si sta pensando ad una erogazione netta di denaro, un assegno vero e proprio, che sarà gestito dall'Inps e dall'amministrazione fiscale. Secondo alcuni calcoli sono considerati "incapienti" e dunque possibili beneficiari degli assegni, i nuclei con un reddito annuale di 15 mila euro e due figli e quelli con 12.500 euro ed un figlio.
Del resto ieri dal governo sono giunti nuovi segnali: il ministro Bersani (Sviluppo) ha parlato di un "ventaglio di misure", Epifani (Cgil) ha lamentato la penalizzazione fiscale dei redditi sui 1.300-1.400 euro al mese. Confcommercio e Confesercenti hanno chiesto un taglio delle tasse.

 


 

Il Corriere della sera 8-3-2007 Nicosia: greco-ciprioti abbattono il muro. Nell'unica città d'Europa divisa in due parti dall'estate 1974

 

Decine di persone si sono radunate per vedere la demolizione. La caduta dei primi pezzi accompagnata da un grande applauso  

 

NICOSIA - I greco-ciprioti giovedì sera, con un'iniziativa non prevista e non annunciata, hanno iniziato a smantellare il muro che divide la capitale di Cipro tra la parte sud greco-cipriota e la parte nord turco-cipriota. Muro eretto dai turchi nel 1974, parte di una grande divisione che spacca in due tutta l'isola del Mediterraneo.
APPLAUSI - I manifestanti hanno aperto un varco nel settore comerciale. «I lavori di demolizione si concluderanno venerdì, prima dell'alba», ha detto il portavoce del governo Christoulos Pashardis. La zona è stata transennata, mentre le ruspe e le squadre di demolizione entravano in azione. A gennaio furono i turco-ciprioti a smantellare il contestato camminatoio sopraelevato a Ledra Street, al centro di una disputa con i greco-ciprioti per l'apertura di un nuovo valico a Nicosia. Decine di persone si sono assembrate sul luogo per assistere alla demolizione e la caduta dei primi pezzi della struttura è stata accompagnata da un grande applauso.

08 marzo 2007

 


La Repubblica 8-3-2007 Clima, l'Europa taglia i gas serra energie rinnovabili, accordo vicino. Gli obiettivi - è stato deciso al vertice Ue - avranno carattere "vincolante"

L'intenzione è di portare al 20% i consumi energetici da fonti pulite. L'Italia ottiene una deroga per gli impianti industriali ad alta intensità

 

BRUXELLES - Gli obiettivi della strategia europea contro il cambiamento climatico avranno un carattere "vincolante", incluso quello più controverso che prevede di portare al 20%, dal 7% attuale, i consumi energetici da fonti rinnovabili, come il sole e il vento. Tagliando le emissioni di gas serra. Domani mattina, il cancelliere tedesco Angela Merkel, presidente di turno dell'Unione europea, presenterà un testo di compromesso che include la parola "vincolante": così hanno riferito diverse fonti europee, al termine della discussione sulla nuova politica energetica della Ue, che ha impegnato i leader europei nella prima giornata del vertice di Bruxelles. Il premier svedese Frederik Reinfeldt, in un breve incontro stampa, ha spiegato che "la presidenza ha concluso che ci saranno i vincoli ma la Commissione dovrà definire cosa vogliono dire per ogni Stato membro".
L'obiettivo del 20% a livello europeo sarà raggiunto con contributi diversi Paese per Paese. E le quote singole saranno determinate tenendo conto delle differenziazioni delle politiche energetiche nazionali, oltre che delle caratteristiche socio-economiche.
L'elenco delle deroghe e delle eccezioni è destinato quindi ad allungarsi. Anche l'Italia ha chiesto, e ottenuto, una deroga per gli impianti industriali ad alta intensità energetica, perché si tenga conto del loro ruolo strategico" e si possa preservare "la loro capacità di competere sul mercato globale".
Ma l'Italia aveva dichiarato fin dall'inizio di sostenere il carattere vincolante degli obiettivi, incluso quello sulle rinnovabili. "Nella Finanziaria abbiamo già preso misure importanti", aveva detto nel pomeriggio il ministro degli Esteri Massimo D'Alema, ricordando l'impegno per la benzina vegetale e le energie alternative, solare, eolica, da biomasse.
La Francia ha chiesto di legare il suo sì alle rinnovabili a un riconoscimento sul ruolo del nucleare come energia a basso contenuto di C02. La resistenza della Polonia e di altri paesi dell'ex blocco sovietico è stata superata con la promessa di accordi di solidarietà più stringenti in caso di crisi energetiche. Quella del Lussemburgo, con l'accoglimento della proposta di poter usare anche gli aiuti di stato per sviluppare le energie alternative.
Se il nuovo testo di compromesso riceverà domattina l'imprimatur dei leader, Merkel potrà dire di avere raggiunto quel "risultato storico" cercato con grinta e determinazione. Senza sorprese, i 27 hanno accettato gli altri due target vincolanti della strategia contro il riscaldamento del pianeta, impegnandosi a ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra entro il 2020, con l'opzione di salire al 30% se altri Paesi industrializzati seguiranno l'esempio europeo. L'Unione europea si impegnerà anche ad aumentare del 20% il livello della propria efficienza energetica, sempre entro il 2020. In questo modo,l'Europa dovrebbe sancire il suo ruolo guida nella lotta al cambiamento climatico.

(8 marzo 2007)

 


Il Sole 24 Ore 8-3-2007 Il solare estremo adesso sfrutta una tecnologia made in Italy di Giuseppe Caravita

Se esiste una tecnologia, tra quelle emergenti nell'energia, che più di tutte sembra vicina a un salto innovativo, senza dubbio è il fotovoltaico a concentrazione. Lo scorso 5 dicembre, per esempio, il Dipartimento dell'Energia Usa ha annunciato il superamento della barriera del 40%, in termini di efficienza di conversione di luce solare in elettricità, grazie a celle fotovoltaiche della BoeingSpectrolabs integrate a speciali lenti, capaci di concentrare la luce e inviarla sulla piastrina alla massima intensità.
Il 40%, secondo gli esperti, è comunque solo un passo intermedio. Nel giro di cinque anni — prevedono — si potranno ottenere celle a concentrazione anche al 6070%.E, soprattutto, a costi decisamente più bassi degli attuali.
Anche in Italia, tra il laboratorio di ricerca della Edison (il secondo gestore elettrico) di TrofarelloTorino, il Cesi di Milano e due istituti (il Crp di Udine e l'Inoa di Firenze) si sta giocando questa partita cruciale. Alla sua base, come nel caso SpectrolabsDoe, vi sono le celle fotovoltaiche multigiunzione. Chip particolarmente complessi (tre strati sovrapposti con arseniuro di gallio, silicio e germanio) capaci di catturare e trasformare in elettricità più segmenti dello spettro luminoso (a differenza delle celle in silicio o in film sottile che ne catturano soltanto uno), e quindi intrinsecamente più efficienti. Con un solo, e grande, svantaggio: il loro costo elevato, proporzionale alla complessità produttiva.
I produttori di celle multigiunzione (finora impiegate prevalentemente sui satelliti) si contano al mondo sulle dita di una mano. Oltre alla BoeingSpectrolabs, alla Emcore e alla Sharp le realizza dal 2005, unico in Europa, anche il Cesi, le sue celle arrivano al 30% di efficienza intrinseca e vi ha equipaggiato diversi satelliti.
Una competenza tecnologica preziosa che ha innescato il progetto della Edison per realizzare un prototipo di pannello fotovoltaico a concentrazione, su tecnologia tutta italiana, a costi di 100 euro per chilowattora (oggi la media è superiore ai 450). «Uno sforzo ambizioso ma possibile — spiega Claudio Serracane, direttore del laboratorio —: per questo, oltre al Cesi, abbiamo coinvolto il Crp, centro ricerche plastoottiche di AmaroUdine e l'Istituto nazionale di ottica applicata di Firenze. Il punto infatti è la realizzazione di una lente a concentrazione perfettamente allineata sulla cella, ma anche a basso costo di produzione».
Qui lo sforzo è quello di adattare la tecnologia dei fari automobilistici di grande serie. Enello stesso tempo di costruire un package lentecella robusto e durevole. A quel punto celle solari al 70% di efficienza sono prevedibili. Econ esse il loro decollo a costi competitivi con le fonti fossili.

 

 

 


INDICE 8-3-2007

++ Il Corriere della Sera 8-3-2007 Afghanistan, Rossi e Turigliatto non cedono. Fini: «Senza maggioranza politica è crisi». Fassino: «Sarà consenso largo»

++ Il Sole 24 Ore 8-3-2007 Su crescita e clima doppia sfida di Angela Merkel al vertice Ue. Di Piero Fornara

++ Il Corriere della Sera 8-3-2007 La Bce alza i tassi di un quarto di punto Trichet: «La politica monetaria resta accomodante»

+ Da ANSA 8-3-2007 INDAGINI ILLEGALI: ESPRESSO, E' SANDRO MARZI LA GOLA PROFONDA

+ La Stampa 8-3-2007 Il permier inglese insiste: servono uomini per combattere. Blair agli italiani "Dovete dare di più" Paolo Mastrolilli 1

+ Il Sole 24 Ore 8-3-200  Fed: negli Usa crescita rallentata di Riccardo Sorrentino  1

La Repubblica 7-3-2007 Rivoluzione sicurezza stradale. Arresto per ubriachi alla guida  1

Italia Oggi 8-3-2007 Dopo due ore di discussione il consiglio dei ministri ha approvato il ddl che riforma la magistratura. di Claudia Morelli 2

Il Sole 24 Ore 8-3-2007 Telefonia mobile.Sullo"scatto"duello da 4 miliardi Il Governo: valutiamo lo stop I gestori: investimenti a rischio Carmine Fotina  2

La voceditalia.it (7-3-2007) Rossi: "I partiti condizionati dalle scelte della finanza e dalla grande industria" 2

Il Riformista 8-3-2007 CASA DELLA CULTURA A MILANO Che sciocchezza colpire proprio l’islam moderato  3

Il Sole 24 Ore  7 marzo 2007  Via la pena di morte dalla Costituzione, anche in caso di guerra. di Nicoletta Cottone  3

Il Corriere della sera 7-3-2007 La truffa dell'undici settembre Stock-option predatate per approfittare del crollo post- attentato. Sarebbero 140 le aziende coinvolte. Lo scopo era garantire maggiori guadagni ai manager. Alessandra Carboni 4

La Repubblica 7-3-2007 Assicurazioni. Rca per più vetture: nuovi contratti, ma stessa classe. di Antonella Donati 4

 


 

++ Il Corriere della Sera 8-3-2007 Afghanistan, Rossi e Turigliatto non cedono. Fini: «Senza maggioranza politica è crisi». Fassino: «Sarà consenso largo»

 

Dopo il tranquillo passaggio alla Camera, la battaglia sulle missioni si sposta al Senato. Gli irriducibili della sinistra verso il no

 

ROMA - Ora che alla Camera lo scoglio, che poi tale non era visti i numeri, è stato superato in scioltezza la prova verità si sposta al Senato. Qui, il 27 marzo, approderà il decreto sul rifinanziamento delle missioni militari all'estero, Afghanistan compreso. L'Aula testerà la compattezza della maggioranza anche se è prevedibile, e forse messo in conto anche negli ambienti prodiani, qualche altro scossone. A provocarlo saranno i soliti noti, ovvero gli irriducibili della sinistra Turigliatto e Rossi. Quest'ultimo, ex senatore del Pdci, ha lasciato aperte due opzioni: o il voto contrario o la non partecipazione alla votazione. La seconda ipotesi non produrrebbe effetti negativi nella maggioranza in quanto il quorum si abbasserebbe. «Ci sono tutte le condizioni per votare contro - ha spiegato Rossi - Ma se ricomincia la danza e va in scena un'altra commediola come l'altra volta, "se non ci sono i voti (i 158 dell'Unione, ndr) c'è la crisi e siamo tutti rovinati", allora esco dall'Aula». Granitico il no di Franco Turigliatto: «Non ho cambiato idea, confermo che voterò no. A maggior ragione visto quello che sta accadendo» ha dichiarato il senatore che il Prc ha allontanato per due anni. Molto tormentato il verde Mauro Bulgarellipreferisce non prendere posizione. «Mi prendo una pausa di riflessione - spiega - voglio leggere per bene il testo che è stato approvato da Montecitorio».

Occhi puntati anche su Rifondazione. Alcuni esponenti dell'ala più radicale del partito hanno votato contro alla Camera. Al Senato la situazione potrebbe ripetersi. Il presidente dei senatori del Prc, Giovanni Russo Spena assicura che altri dissensi non ci saranno. «Se alla Camera, dove la cosa non ha fatto alcuna differenza, due deputati di Rifondazione non hanno votato il decreto di rifinanziamento, al Senato questo non accadrà. Tutti i 26 senatori di Rifondazione infatti, hanno preso l'impegno a votare questo decreto in una riunione del gruppo». «Quanto alle assurdità su maggioranza numerica e maggioranza politica - sottolinea Russo Spena - ribadisco che c'è un'unica maggioranza e che si tratta di una maggioranza valida sotto tutti i punti di vista e, soprattutto, quello costituzionale che è il principale».

Anche il segretario del Prc, Franco Giordano derubrica l'autosufficienza a questione puramente numerica e non politica. «Esiste un voto unitario su un provvedimento. Questo dice la Costituzione, è inequivoca, e io mi attengo a quella. Il resto, 158 voti o 157 o 160, sono tutte stupidaggini». Piero Fassino, segretario Ds, ritiene che «anche al Senato ci sarà un consenso larghissimo. L'amplissima maggioranza è positiva per i nostri soldati e per l'autorevolezza del nostro Paese».

E la Cdl, confermerà a palazzo Madama il suo sì al decreto? La previsione che fa Gianfranco Fini è senz'appello: «Se tra qualche settimana al Senato la maggioranza non dovesse avere l'autosufficienza politica si aprirebbe per il governo un enorme problema politico, perché si tratta di politica estera e di difesa». Si tornerebbe, dice il leader di An, «al punto di partenza anche se non ci sarà la crisi e loro faranno finta di niente». Paolo Bonaiuti, portavoce del presidente di Forza Italia Berlusconi, è altrettanto perentorio: «La sinistra fa esattamente come le cicale: alla Camera c'è l'estate della maggioranza, ma dopo l'estate anche per le cicale viene l'inverno. E il loro inverno è il Senato dove i voti dell'Unione non ci sono».

08 marzo 2007


++ Il Sole 24 Ore 8-3-2007 Su crescita e clima doppia sfida di Angela Merkel al vertice Ue. di Piero Fornara

 

Nel Consiglio europeo che si svolge oggi e domani a Bruxelles i capi di Stato e di Governo dei Ventisette sono chiamati a trasformare le parole in fatti su due temi cruciali e strettamente collegati: l'energia e la lotta ai cambiamenti climatici. «Dobbiamo usare la riunione di primavera per decidere su una strategia che ci garantisca il rifornimento dell'energia e assicuri la protezione del clima su una base sostenibile», ha scritto il cancelliere tedesco e presidente di turno dell'Ue Angela Merkel nella lettera di invito ai leader europei, aggiungendo: «La nostra risposta a questa questione avrà ripercussioni per il futuro dell'Europa e oltre». La Merkel ha dedicato tempo e impegno alla presidenza della Ue, ma finora «ha seminato molto senza raccogliere nulla», commentano fonti europee. Quindi si gioca una fetta del suo indiscusso prestigio già in questo summit .
Alla riunione di Bruxelles per l'Italia partecipano il presidente del Consiglio Romano Prodi, insieme con il ministro degli Esteri Massimo D'Alema e il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa. Ma quello di oggi e domani, oltre a essere il primo Vertice europeo a 27, è un incontro carico di aspettative anche perché, dopo la bocciatura della Costituzione europea che ha mandato in stand-by l'Unione europea per più di un anno, in molti vedono nella presidenza di turno tedesca l'opportunità per rimettere in funzione il motore dell'integrazione. Al Consiglio europeo la Merkel illustrerà infatti le linee generali della dichiarazione di Berlino del 25 marzo, che dovrebbe segnare un punto di svolta e riaprire il capitolo della riforme istituzionali indicate dalla Costituzione europea.

Ecco gli in sintesi quali sono gli obiettivi della presidenza tedesca:
Crescita.
La strategia di Lisbona «sta dando buoni frutti». La Ue attende un aumento del Pil per il 2007 del 2,7%. Nel biennio 2007-08 dovrebbero essere creati sette milioni di nuovi posti di lavoro e il tasso di occupazione complessiva dovrebbe salire dal 64% del 2005 al 66% del 2008. Il Consiglio si propone un nuovo passo in avanti per rafforzare il mercato unico e la competitività. Confermati gli obiettivi di ridurre all'1% il deficit di trasposizione delle leggi europee nelle legislazioni nazionali al più tardi entro il 2009 e di portare al 3% del Pil la spesa in ricerca e sviluppo entro il 2010. Il Consiglio concorda di ridurre del 25% entro il 2012 l'insieme degli ostacoli amministrativi e burocratici che rallentano lo sviluppo e chiede alla Commissione di lanciare un adeguato Piano di azione.
Unica voce su energia. I 27 si propongono di creare una politica comune dell'energia per aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti e rispondere in modo rapido alle crisi, assicurare la competitività e sostenibilità ambientale dell'economia europea, combattere il cambio climatico. La bozza della presidenza tedesca suggerisce di nominare un coordinatore per ciascuna di queste aree, mentre propone di parlare a livello internazionale con una sola voce, una sorta di Mister energia.
Tre volte 20 contro l'effetto serra. Il Vertice chiede un impegno per ridurre del 20% le emissioni di gas nocivi entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990, con il proposito di salire al 30% se altri Paesi industrializzati seguiranno l'esempio Ue. Entro il 2020, è richiesto di aumentare del 20% l'efficienza energetica. E sempre entro questa data viene chiesto di portare al 20% l'uso delle fonti rinnovabili nel totale dei consumi, con un contributo del 10% dai bio-carburanti.
Il «vincolante» resta tra parentesi. Nella bozza resta però tra parentesi, cioè aperto, il carattere vincolante del target sulle fonti rinnovabili. Mentre la Commissione e la presidenza tedesca insistono per avere obiettivi obbligatori, la maggioranza dei paesi si oppone. Il fronte dei «no» è guidato dalla Francia e comprende quasi tutti i paesi dell'ex blocco sovietico. Francia, Repubblica eca e Slovacchia chiedono di considerare anche il nucleare tra le fonti alternative. Alcuni Paesi (tra cui la Gran Bretagna) sono d'accordo a separare la proprietà delle reti di produzione e distribuzione, ma molti altri (tra cui Francia e Germania) si oppongono. Un compromesso potrebbe sancire per ora almeno la «separazione di fatto» delle reti: stesso proprietario, ma gestore diverso.

 

 


 

++ Il Corriere della Sera 8-3-2007 La Bce alza i tassi di un quarto di punto Trichet: «La politica monetaria resta accomodante»

 

Da Il Sole 24 Ore Il costo del denaro nel mondo

 

Il costo del denaro sale al 3,75%, lo stesso livello del settembre 2001. Riviste al rialzo le stime sul Pil, al ribasso l'inflazione

 

FRANCOFORTE - La Banca centrale europea ha alzato di un quarto di punto il livello dei tassi di interesse portandoli al 3,75%. Lo ha deciso il Consiglio direttivo che si è riunito a Francoforte. Di conseguenza il tasso di riferimento, quello sulle operazioni contro termine, sale al 3,75%, il tasso sulle operazioni di rifinanziamento marginale sale al 4,75% e quello sui depositi overnight al 2,75%.

RIALZI - È la prima stretta varata nel 2007 dalla Bce che porta così il costo del denaro sul livello del settembre 2001, ai tempi degli attacchi terroristici alle Torri Gemelle. Il 18 settembre del 2001, a una settimana esatta dagli attentati a New York, l'istituto centrale europeo decise di tagliare i tassi di 50 punti base portandoli dal 4,25% al 3,75%. Dal dicembre 2005 la Bce ha operato sette rialzi del costo denaro, tutti di 25 punti base.

TRICHET - Il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, ha definito i tassi attuali «moderati, mentre il mese scorso erano bassi». La politica monetaria «resta accomodante», ha spiegato, e l'aumento è stato deciso «all'unanimità» tenendo conto dei «rischi al rialzo» a carico dell'inflazione. La Bce ha comunque rivisto al ribasso le sue stime sui prezzi nell'area euro per quest'anno, portando le previsioni sull'inflazione dal 2% all'1,8%. Riviste al rialzo le stime di crescita per l'eurozona: per il 2007 sono state portate al 2,5% dal 2,2% previsto nel dicembre scorso, mentre per il 2008 la stima è stata alzata da +2,3% a 2,4% grazie, ha spiegato Trichet, «al dinamismo della crescita registrato nel secondo semestre 2006 e al calo dei prezzi dell'energia». Per il numero uno della Bce, le prospettive di crescita dell'Eurozona «rimangono favorevoli».

08 marzo 2007

 

 

 


 

 

 


+ Da ANSA 8-3-2007 INDAGINI ILLEGALI: ESPRESSO, E' SANDRO MARZI LA GOLA PROFONDA

            

            (ANSA) - MILANO, 8 MAR - Il 'supertestimone' dell' inchiesta Telecom, secondo un' anticipazione de L' Espresso, sarebbe il manager Sandro Marzi, nato in provincia di Novara e che conosce Giuliano Tavaroli dalla metà degli anni '80. Sarebbe lui, secondo la ricostruzione del settimanale che riporta brani delle sue deposizioni, l' uomo che sta svelando alla procura milanese "tutti i segreti degli uomini della sicurezza Telecom".   Marzi, manager di lungo corso ed ex presidente di Italtel Sistemi, secondo la ricostruzione, a partire dal 2002 si è occupato di "sviluppo mercati" collaborando con Telecom e Pirelli. Il contatto vero con Tavaroli, Marzi lo fa risalire al 2004, in occasione di un viaggio in Cina, sempre stando a quanto riporta L' Espresso. "Tavaroli - spiega Marzi ai pm milanesi - mi disse che Telecom era interessata a trovare fornitori per la security da mettere in competizione con quelli tradizionali". Operazione da fare però non tramite Telecom, riporta L' Espresso, ma attraverso un fondo "Mycube specializzato in partecipazioni di società di hig tech(...) di cui era responsabile Gianluca Braggiotti", afferma il settimanale riportando le dichiarazioni di Marzi.   Marzi inoltre - sempre secondo le anticipazioni del

settimanale - mette a disposizione i propri conti all'Ubs di Zurigo e le proprie società, controllate tramite la fiduciaria svizzera Fidinam. "Ghioni - afferma Marzi, secondo i brani riportati dall' "Espresso" - mi chiese se lo potevo aiutare a ricevere degli incassi all estero per consulenze da lui svolte (...) io non avevo interesse a contrariarlo, inoltre mi aveva rappresentato che l'esigenza era momentanea (...) gli consigliai di aprire un conto all'Ubs di Lugano". Da quel momento in poi la M&A di Marzi (una società off shore) viene utilizzata - dice il settimanale - per incassare le fatture del responsabile della sicurezza informatica di Telecom. Nel giro di pochi mesi arrivano poco meno di 300 mila euro e transitano per il conto Mao 887418 di Marzi, dopo essere stati ulteriormente filtrati da un conto della società Trumaco con sede, mi pare, nei Caraibi". Oggi tutta la documentazione relativa a quei conti, riportata in Italia da Marzi, è - dice l' Espresso - in mano alla Procura. Marzi, secondo L' Espresso, non si muove "a costo zero e trattiene per ogni operazione effettuata per conto di Ghioni il 10% degli importi. In particolare, secondo L' Espresso, Marzi aveva legato maggiormente con un giovane manager Telecom che non mancava di riferirgli perfino "pettegolezzi d' azienda, come per esempio - dice Marzi - i presunti disaccordi tra Tronchetti e Bondi (Enrico, ad tra il 2001 e il 2002) sull' uso del jet presidenziale da parte di Afef". (ANSA)


 

 

+ La Stampa 8-3-2007 Il permier inglese insiste: servono uomini per combattere Blair agli italiani "Dovete dare di più" PAOLO MASTROLILLI

 

NEW YORK
Mullah Mahmood aveva addosso il burka, quando martedì i soldati afghani lo hanno catturato nella provincia di Kandahar. Così, vestito da donna, uno tra i più importanti leader dei taleban cercava di scappare alle operazioni di sicurezza ormai in corso in tutta l’area meridionale dell’Afghanistan.

Alla «Operation Achilles», lanciata nella provincia di Helmand da 4.500 militari Nato e mille uomini delle forze di Kabul, si sono aggiunti scontri vicino alla città di Khost e nella regione di Zabul. Il contingente dell’International Security Assistance Force (Isaf) ha dovuto registrare anche le prime perdite britanniche, mentre proprio il premier Blair ha avvertito che chiederà agli altri europei di fare di più per la riuscita dell’offensiva di primavera. I contorni dell’operazione «Achilles» si vanno chiarendo. Tra le forze Nato - Isaf mobilitate ci sono anche circa 1.500 paracadustisti americani della 82nd Airborne Infantry Division, trasportati in zona poco prima dell’attacco. Con questa mossa, i comandanti sperano di aver ottenuto due risultati: più potenza rispetto all’operazione Medusa, non riuscita nel settembre scorso, e sorpresa. L’obiettivo è utilizzare una strategia in due tempi: primo, riprendere le aree di Helmand di cui si sono impossessati i taleban; secondo, restare sul terreno per avviare i progetti di ricostruzione, indispensabili per riconquistare l’appoggio della popolazione. Non è un caso che l’Isaf punti a controllare la diga di Kajaki, che serve a dare elettricità e acqua ad una vasta regione. I lavori di riparazione finora non sono potuti partire a causa della presenza dei taleban, e questo è un esempio delle ragioni per cui solo il 6% degli afghani ha la luce nelle case. Dunque l’offensiva di Helmand punta a bonificare l’area sul piano militare per poi rilanciare quei progetti civili di pace a cui tiene molto pure la sinistra radicale italiana. L’attacco, però, ha già provocato le prime vittime: due soldati britannici sono stati uccisi domenica a Sangin da un razzo, e uno è morto martedì. Il bilancio tra i taleban, per ora, sarebbe di quattro vittime. Il loro comandante, Abdul Qassim, ha detto di avere nella provincia di Helmand 9.000 uomini pronti a rispondere. Hanno armi per colpire elicotteri, mine, e sono addestrati per missioni suicide.

Mentre «Achilles» continua, gli scontri avvengono anche in altre zone. La cattura di Mahmood è frutto delle operazioni parallele in corso a Kandahar. Anche a Khost sono stati arrestati cinque presunti taleban che avrebbero stretti legami con al Qaeda, mentre vicino a Qalat, capitale della provincia di Zabul, i ribelli hanno assalito un posto di polizia. L’anno scorso era stato il più sanguinoso in Afghanistan dall’invasione del 2001, con circa 4.000 morti e un aumento degli attentati suicidi da 21 a 139. I taleban hanno preso nota delle tattiche usate dagli insorti iracheni e ora vogliono imitarle. Sullo sfondo della nuova offensiva, Blair ha detto che chiederà agli altri paesi europei di fare di più, durante il vertice della UE che si apre oggi a Bruxelles. Il premier britannico ha cominciato il ritiro dei suoi soldati dall’Iraq, ma ne ha mandati altri 1.400 in Afghanistan, marcando la differenza tra le due situzioni. Quindi, rispondendo ad una domanda dell’opposizione durante il «question time» in Parlamento, ha detto che tornerà a fare pressione sugli altri membri della Nato affinché tolgano i «caveat» che impediscono l’impiego delle loro truppe in combattimento. Tra questi paesi c’è l’Italia, che ha subito pressioni simili anche dagli Stati Uniti, interessati ad espandere il raggio d’azione delle truppe di Roma oltre la regione occidentale di Herat che presidiano. Ma il ministro degli Esteri francese, Philippe Douste-Blazy, ha già risposto ieri a Blair che l’invio di altri soldati non è all’ordine del giorno di Parigi, mentre sugli interventi nei combattimenti si deciderà caso per caso.


+ Il Sole 24 Ore 8-3-200  Fed: negli Usa crescita rallentata di Riccardo Sorrentino

 

 

Nell'area di Boston mancano tecnici e lavoratori del settore sanitario. Come nel distretto di Atlanta dove non bastano anche i lavoratori disponibili nel settore turistico. Nelle regioni centrali degli Stati Uniti, nelle regioni di Dallas e di Kansas City, si cercano ingegneri, lavoratori del settore petrolifero e contabili. Nell'area di Richmond, a sud di Washington, le agenzie interinali sono piene di domande dalle aziende. A New York, infine, le imprese di servizi continuano ad assumere a ritmi velocissimi. Si riduce l'occupazione solo nel settore dell'auto e, qua e là nel Paese, in quello delle costruzioni.
Questa è l'economia degli Stati Uniti descritta dal Beige Book, uno dei documenti consegnati ai Banchieri centrali per aiutarli a prendere le loro decisioni il 20 e il 21 marzo. Tanto lavoro, innanzitutto, e quindi salari e bonus in rialzo, anche se con moderazione. Consumi in crescita stabile con qualche accelerazione nei servizi e con evidenti segni di debolezza nelle vendite di auto, di immobili e di beni durevoli per la casa, per i quali si è ridotta anche la produzione. Limitate (per ora?) pressioni sui prezzi, soprattutto però grazie al calo del petrolio. Segnali contrastanti infine per le quotazioni delle case mentre in alcune aree aumentano le difficoltà per le famiglie indebitate.
Cosa penseranno i Banchieri centrali? Difficile da dire, questa volta più delle altre. Il quadro presentato dal Beige book, però, non sembra confermare almeno per ora la scommessa sui cui la Federal reserve ha puntato: crescita rallentata e - quindi - bassi prezzi. Il rapporto non offre numeri, definisce "moderata" l'espansione, notando alcuni ulteriori rallentamenti in una minoranza dei dodici distretti in cui gli Stati Uniti sono divisi dalla Fed, e segnala anche che l'occupazione aumenta, l'offerta di forza lavoro comincia a scarseggiare, e i salari iniziano a salire in un Paese che sembra aver esaurito quell'accelerazione della produttività che per dieci anni ha permesso di tenere agevolmente sotto controllo il costo della vita. Non a caso solo il petrolio - che è un prezzo in gran parte insensibile alla politica monetaria - e alcune materie prime sembrano tenere l'inflazione stabile.
Il "falco" Michael Moskow, il presidente della Federal Reserve di Chicago molto rigido sull'inflazione, non ha perso l'occasione; e ha ricordato a tutti come la pensa: occorrono altri rialzi dei tassi. «Mi aspetto - ha spiegato - che l'economia continui a operare a un livello elevato rispetto a quello potenziale (non inflazionistico, ndr) e questo potrebbe effettivamente portare all'emergere di maggiori pressioni sui prezzi». I suoi colleghi dovranno pensarci un po' su.

 

 


La Repubblica 7-3-2007 Rivoluzione sicurezza stradale. Arresto per ubriachi alla guida

l Consiglio dei ministri approva un documento del ministro Bianchi
Inasprimento delle sanzioni, "punti anche per i motorini e le minicar"


ROMA - Rivoluzione nel mondo dell'auto: il Consiglio dei ministro ha approvato le indicazioni del ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, che saranno definite in decreti legge, per migliorare la sicurezza stradale. Previsti consistenti rafforzamenti delle sanzioni: fra queste, l'arresto fino a sei mesi, e un'ammenda fino a 12 mila euro, per la guida "in stato di ebbrezza alcolica o assunzione di sostanze stupefacenti".
Il ministro ha riferito di aver "presentato una serie di misure e un rapporto che parte dall'esame della situazione della sicurezza stradale in Italia con dei dati che dimostrano come ci sia un sostanziale rallentamento nella diminuzione degli incidenti e delle vittime". Rapporto, ha aggiunto Bianchi, che "testimonia un certo ritardo rispetto al resto d'Europa e che l'obiettivo del dimezzamento degli incidenti e delle vittime entro il 2010 sembra ormai molto lontano". "Siamo di fronte ad una vera e propria ecatombe con oltre 5.000 morti un costo di oltre 30 miliardi di costo stimato, il 2,5% del Pil. E tutto questo ci ha fatto pensare che bisogna impostare una serie di misure di carattere strutturale".
Ma cosa conterrà questo pacchetto di novità? Innanzitutto lo stravolgimento della patente a punti con l'obiettivo di ridarle nuova efficacia. Per questo, la perdita dei punti si focalizzerà sui comportamenti di guida ad elevato rischio, sia al fine di ridefinire complessivamente il processo di perdita e riacquisizione dei punti, con una procedura di riassegnazione più rigorosa (basata su esami e valutazioni) e controlli più severi per la riassegnazione dei punti.
Misure rapide anche in materia di formazione. L'atto di indirizzo parla di progetti pilota per l'educazione alla sicurezza stradale in organica e stretta collaborazione con le amministrazioni locali e con i principali soggetti che contribuiscono attivamente a migliorare la sicurezza stradale a livello locale. Inoltre si punta anche al miglioramento dell'accesso alle patenti di guida sia attraverso il miglioramento dell'addestramento e degli standard di preparazione necessari per superare l'esame di abilitazione alla guida, sia attraverso la formazione di una maggiore consapevolezza del rischio stradale sotto i diversi aspetti (condizioni di traffico, condizioni climatiche, salute e livello di stanchezza del conducente, etc.).
In questo ambito verrà data piena applicazione al principio di gradualità indicato nella direttiva comunitaria sulle patenti di guida in modo da consentire l'uso dei mezzi di trasporto più potenti e impegnativi attraverso patenti di guida alle quali si può accedere solo attraverso esami progressivamente più impegnativi e dopo un prefissato periodo di esperienza nel livello precedente. Inoltre, sono previsti progetti pilota per la formazione di tecnici e decisori mentre verranno messe in sicurezza delle dodici strade più pericolose. Questa "non solo potrà determinare un consistente risparmio di vite e di feriti, ma potrà anche consolidare e rendere disponibili metodologie, tecniche ed esperienze concrete per la individuazione degli specifici fattori di rischio e, soprattutto, per la individuazione delle forme di intervento più efficaci per la loro rimozione".
"La mia opinione - spiega lo stesso Ministro - è che serva una patente di guida per macchinette e motorini e che debbano essere soggetti anche loro alla patente a punti, con un innalzamento dell'età per la guida delle microcar da 14 a 16 anni”. Ma non mancheranno sanzioni più pesanti - sia dal punto di vista economico che da quello della sottrazione dei punti - contro la guida in stato di ubriachezza o sotto l'uso di psicofarmaci e anche "violazioni gravi" come la guida contro mano e l'uso del telefonino mentre si è al volante.
Sul fronte della programmazione, il pacchetto di misure rapide prevede la concertazione con Regioni e Province delle linee guida per la costruzione di una rete di centri di monitoraggio provinciali e regionali, con la eventuale partecipazione delle città maggiori, raccordati con il centro di monitoraggio nazionale. Questo da un lato, avrà il compito di coordinare e fornire supporti alla rete dei centri di monitoraggio provinciali e regionali e, dall'altro, dovrà fornire al Governo nazionale e agli operatori pubblici e privati che possono contribuire al miglioramento della sicurezza stradale un quadro certo delle problematiche, delle azioni intraprese e delle misure che hanno conseguito i risultati più soddisfacenti.
E sul versante della regolamentazione, si procederà a rafforzare l'azione di contrasto dei comportamenti di guida ad alto rischio attraverso la riorganizzazione delle sanzioni con l'obiettivo di distinguere le violazioni del codice della strada in relazione alla pericolosità e graduare di conseguenza le sanzioni. Si tratta di una misura che anticipa la riforma del codice della strada e punta ad aumentare la durata del periodo di sospensione della patente di guida in proporzione al rischio determinato dalla trasgressione, oltre a prevedere, per i comportamenti ad alto rischio, la confisca del veicolo e forme di pena alternative come l'obbligo a svolgere servizi di utilità sociale, come fornire assistenza a vittime di incidenti stradali che siano rimaste inabili.
Altre misure riguardano l'informazione e sensibilizzazione con la costituzione della banca della comunicazione per la sicurezza stradale e l'istituzione di un premio annuale per le amministrazioni locali che hanno ottenuto i migliori risultati di sicurezza stradale.
Misure ad hoc anche per la mobilità su due ruote. Il Governo, per migliorare la sicurezza dei conducenti dei veicoli a due ruote a motore, con il contributo dei principali soggetti interessati a questo comparto di mobilità, predisporrà un piano di azione dedicato in modo specifico a questo comparto di incidentalità. E partirà anche un progetto "città sicure". La maggior parte delle vittime (45% dei morti e il 75% dei feriti) è determinata da incidenti in area urbana e le città italiane sono quelle con la più alta quota di vittime e con i più alti tassi di mortalità e ferimento.
Tra le misure strutturali, spicca la riforma del codice della strada "secondo principi di semplificazione, delegificazione, rafforzamento degli aspetti relativi alla sicurezza, diversificazione del sistema sanzionatorio, con particolare attenzione ai comportamenti di guida ad alto rischio". Inoltre, è previsto un aggiornamento del piano nazionale della sicurezza stradale, approvato dal Cipe il 29 novembre del 2002, "con l'obiettivo di ridefinire quegli aspetti che possono favorire un incremento dell'efficacia degli interventi e una più ampia partecipazione degli enti locali e del sistema delle imprese al processo di miglioramento della sicurezza stradale".
Altro obiettivo è il rafforzamento della Consulta Nazionale sulla Sicurezza Stradale volto a svilupparne ulteriormente le funzioni di promozione della concertazione interistituzionale e del partenariato pubblico privato, di analisi delle misure poste in essere e verifica della loro efficacia, di valutazione generale dello stato e dell'evoluzione della incidentalità rispetto agli obiettivi di sicurezza comunitari e nazionali.
Un 'pacchetto' di interventi interesserà la formazione a cominciare dall'educazione stradale nelle scuole. Il ministero della Pubblica Istruzione ha già individuato alcune linee di indirizzo per l'attuazione di iniziative di educazione alla sicurezza stradale mirate ad assicurare una formazione di base sulla mobilità sicura e sostenibile per la popolazione in età scolare. Inoltre, è prevista la promozione di master universitari e di altre iniziative formative in materia di sicurezza stradale dedicate a tecnici e decisori delle amministrazioni nazionali, regionali e locali per migliorare la capacità complessiva di governo della sicurezza stradale.
(7 marzo 2007)


 

Italia Oggi 8-3-2007 Dopo due ore di discussione il consiglio dei ministri ha approvato il ddl che riforma la magistratura. di Claudia Morelli 

 

Giustizia, Mastella fa la sua mossa Sì alla distinzione delle funzioni e verifiche di professionalità Sull'ordinamento giudiziario pesa l'incognita parlamento (e maggioranza). Ieri finalmente il consiglio dei ministri ha approvato lo schema di disegno di legge che modifica la legge Castelli sull'accesso in magistratura, la progressione in carriera e sostituisce alla rigida separazione di carriere una soft distinzione delle funzioni tra giudici e pm. La parola adesso passa al parlamento, che ha tempo fino al 31 luglio per approvare il poderoso provvedimento. Il 31 luglio è una data capestro, perché è solo fino a quella data che l'ordinamento Castelli è stato sospeso in attesa di questa riforma che se non dovesse arrivare in tempo, farebbe rivivere la versione tanto avversata dai magistrati. Il ministro della giustizia Clemente Mastella sa che la posta in gioco è alta e ieri, in conferenza stampa, ha invitato la opposizione a collaborare. Evenienza piuttosto difficile, visto che la filosofia Mastella si scontra con quella che ha improntato la legge Castelli e contro la quale i magistrati si sono schierati compatti. E ieri il guardasigilli lo ha sottolineato. 'Ho deposto l'ascia di guerra della politica nei confronti della magistratura. Non c'è stata nessuna incursione piratesca. L'equilibrio tra magistrati, Csm e politica è intatto', ha dichiarato ieri. Il testo, dopo una discussione di due ore in cdm in cui non sono mancate osservazioni da parte dei colleghi Antonio Di Pietro, Emma Bonino e altri, sarà modificato in alcuni passaggi. Le novità più significative rispetto alla legge 150/2005 riguardano l'accesso in magistratura, anche se nella ultima versione è scomparso il doppio canale del corso concorso per i laureati più meritevoli sul quale si erano attestate diverse critiche anche dei colleghi di governo. Il concorso è di secondo grado e si riducono i tempi delle prove concorsuali. Scompare anche la rigida distinzione tra le carriere, sostituita da quelle delle funzioni. Si potrà transitare da quelle requirenti a quelle giudicanti e viceversa ma sarà necessario cambiare distretto e superare una verifica delle attitudini. Il passo indietro su questo punto, previsto dal programma dell'Unione. è stato difeso da Mastella che in consiglio dei ministri ha dovuto fare i conti con il dissenso del ministro per le politiche comunitarie. Emma Bonino, che ha votato no al provvedimento, ha spiegato che ritiene il testo insufficiente a garantire efficienza. 'è stata una giornata difficile dal punto di vista politico, ma è chiaro che il problema della giustizia, delle regole, dei tempi, sia centrale per noi radicali. E non mi pare che il disegno di legge risolva questi problemi in modo accettabile'. Modiche sono state introdotte anche con riferimento alla disciplina della carriera e di valutazioni di professionalità. Queste avverranno ogni quattro anni, ma la progressione economica è stata sganciata da quella delle funzioni. La prima è condizionata al superamento delle valutazioni di professionalità. In caso di inadeguatezza professionale è previsto il blocco degli aumenti stipendiali. In ogni caso, il mancato superamento della valutazione comporta che il magistrato non potrà ricoprire incarichi extra giudiziari prima della successiva valutazione l'anno successivo. Anche la scuola per la magistratura cambia perché perde la fase valutativa originariamente voluta da Castelli. La formazione sarà obbligatoria: i magistrati dovranno frequentare almeno un corso di formazione ogni quattro anni. I componenti del Csm tornano ad essere trenta, venti togati e dieci laici ma il sistema elettorale non cambia. La modifica del sistema elettorale è demandata a un altro intervento. Il ddl apporta alcune modifiche anche al decreto delegato sul decentramento. Entro il 30 giugno di ogni anno i titolari degli uffici giudiziari dovranno predisporre il programma delle attività annuali su cui pianificare le risorse finanziarie . Ieri Mastella ha garantito che l'intervento sulla ex- Cirielli, arriverà presto ma Antonio Di Pietro ha fatto sapere di aver chiesto in cdm un provvedimento in 15 giorni.

 

 


 

Il Sole 24 Ore 8-3-2007 Telefonia mobile.Sullo"scatto"duello da 4 miliardi Il Governo: valutiamo lo stop I gestori: investimenti a rischio Carmine Fotina

 

Per l'Esecutivo serve un "approfondimento" sull'importo fisso alla risposta  Anche l'abolizione dello scatto alla risposta per le chiamate con il cellulare è ora allo studio del Governo, ma stavolta gli operatori alzano da subito le barricate.La segnalazione giunta dal presidente dell'Authority per le comunicazioni è stata accolta con attenzione, dice il ministro dello Sviluppo economico Pierluigi Bersani: "Stiamo studiando la cosa dal punto di vista normativo, c'è un approfondimento da fare". Ma già ieri i gestori hanno valutato le contromosse: da Londra, Pietro Guindani, a.d. di Vodafone e presidente di Asstel, l'associazione confindustriale che rappresenta il settore, si è consultato con i colleghiconcorrenti per definire la strategia difensiva che verterà sui rischi industriali di un nuovo taglio dei costi fissi. Secondo le compagnie è minacciata la stabilità dei conti economici, peraltro floridi grazie a margini che nel caso di Tim e Vodafone superano il 50%. A loro supporto è intervenuto anche il segretario confederale della Cgil Nicoletta Rocchi invitando il Governo a valutare gli impatti sul sistema delle imprese. In pericolo ci sarebbero investimenti e piani di sviluppo. A meno ovviamente - ed è il grande rischio sottolineato ancora una volta dai consumatori - di aumentare il traffico al minuto, che alla fine potrebbe essere l'unica vera voce di prezzo lasciata alla libertà del mercato. Il dialogo del Governo con l'Autorità sull'importo alla risposta, comunque, potrebbe seguire la via parlamentare a differenza dell'abolizione dei costi di ricarica stabilita con il decreto Bersani. Andrea Lulli,relatore al dl sulle liberalizzazioni, ha aggiunto ieri che sono in corso verifiche sulla "possibilità di inserire la norma nel dl. Al massimo entro domani ci sarà una risposta". L'abolizione dei contributi di ricarica inciderà sui ricavi tra 1,7 miliardi e 2 miliardi di euro. Ma, da una rapida elaborazione sui dati di traffico, emerge che l'eliminazione dello scatto alla risposta peserebbe anche di più, intorno ai 4 miliardi. Ogni anno gli operatori gestiscono complessivamente circa 100 miliardi di minuti di traffico mobile; considerando una durata media di 2,5 minuti si tratta di 40 miliardi di chiamate.Non a tutte tuttavia oggi si applica lo "scatto " (i gestori infatti hanno già alcuni piani senza importo fisso, seppure siano ancora pochi). Stimando una quota del 65%, si ottengono 26 miliardi di chiamate cui va moltiplicato un importo minimo di 15 centesimi, per una cifra complessiva di 3,9 miliardi. Stretti d'assedio, gli operatori provano intanto a recuperare almeno una parte degli introiti persi sulle ricariche. La Fit, la federazione dei tabaccai, è pronta alla serrata per opporsi alla riduzione delle provvigioni riconosciute per ogni operazione di ricarica: "Tutti i gestori stanno per tagliare le commissioni. Per una ricarica di 10 euro si scivola da una media di 30 centesimi a circa 25 cent". Trasparenza a rilento Due giornifa è entrata in vigore la delibera dell'Authority che obbliga tutti i gestori, sia del fisso sia del mobile, a pubblicare sui siti ea rendere disponibili nei punti vendita tabelle confrontabili sui piani tariffari. Gli operatori si adeguano con il contagocce: dopo Tim e 3, ieri è stata la volta di Vodafone. Gli altri sono indietro, ma l'Autorità per ora non è intervenuta. www.ilsole24ore.com REGOLE E RESISTENZE I tabaccai minacciano la serrata: sulle ricariche provvigioni tagliate Sui piani tariffari va a rilento l'operazione "trasparenza".

 

 

La voceditalia.it (7-3-2007) Rossi: "I partiti condizionati dalle scelte della finanza e dalla grande industria"

 

"Anche se io e Turigliatto avessimo votato a favore, il Governo sarebbe ugualmente andato in minoranza"

 

Il senatore che ha provocato le dimissioni del Governo sull'Afghanistan spiega le ragioni del suo dissenso

Dopo aver subito l’efficace, quanto falsa, campagna mediatica sui due senatori della “sinistra radicale che hanno fatto cadere Prodi”, ho cercato di capirne le ragioni e, al fine di sviluppare un più ampio confronto, penso sia utile esporre alcuni elementi di riflessione.
E’ vero che l’attuale Governo è spostato a sinistra?
Davvero la finanziaria avrebbe “fatto piangere i ricchi”?
Ogni persona sufficientemente informata, per quanto timorata dalle ancor vive “ansie di giustizia sociale”, può ammettere che così non è stato e che così non è.
Ma allora perché forti gruppi finanziari, Banca d’Italia in primis, forze politiche non marginali e autorevoli cariche pubbliche lavorano da tempo ad una sostanziale modifica moderata del quadro politico di cui sono già oggi i principali gestori e/o beneficiari ?
Non certo per tornare a Berlusconi, di cui non hanno gradito l’eccessivo rafforzamento finanziario, politico ed industriale (avvenuto anche a loro spese, durante la sua permanenza al governo), e di cui hanno concorso a decretare la fine, spostandosi con il centro sinistra, durante la campagna elettorale.

Negli anni ’90, si è sviluppato un duro scontro strategico-culturale tra Brezinsky e Wolfowitz, da un lato, che teorizzavano la centralità degli strumenti bellico-militari per conservare ed estendere il dominio degli USA sulle fonti energetiche e sull’economia del pianeta e contenere la crescita economico-politica dell’India e della Cina,  e Kissinger, unitamente a numerosi personaggi della politica e della cultura americana, dall’altro, che, prendendo atto della ormai consumata vittoria, mediatico-militare (compreso il “cul de sac” afghano) sull’URSS, indicavano la necessità di aprire una nuova fase dove l’America avrebbe potuto primeggiare come principale fattore di sviluppo e globalizzazione dei diritti sociali, civili e democratici.
Quanto è avvenuto in seguito: Indonesia, Africa, Palestina, Yugoslavia, Nicaragua, Iraq, 11 settembre, Afghanistan, ecc., è la riprova del netto prevalere della prima opzione strategica, materializzat asi sotto l’aberrante teoria delle “guerre preventive”.
L’Onu con il “siamo tutti americani “ del dopo 11 settembre, ha accentuato la propria crisi cedendo agli Stati Uniti ed ai loro interessi economico-strategici, gran parte della propria autorità sovranazionale. La stessa Europa, ed è qui la sua profonda crisi attuale (attivamente preparata su input Usa da Inghilterra, Italia, Polonia e Ungheria e sancita dai fallimenti dei referendum costituzionali e dall’ approvazione della direttiva Bolkesten), ha avviato un processo di generale regresso rispetto all’idea di poter assumere un grande ruolo internazionale (in una visione multilaterale) in ragione dei suoi livelli di progresso sociale, scientifico e culturale, della sua forza economica, demografica e, persino, militare.
Dopo l’11 settembre anche la grande finanza e la grande industria europea si piegano agli interessi ed agli intrecci finanziari gestiti, nei vari scacchieri mondiali, dalla Banca Mondiale e dalle grandi Corporations americane. Anche in Italia, e molto più della Francia e della Germania, la “classe imprenditoriale e/o dirigente” rinuncia ad arditi progetti e si acconcia a salire sulla locomotiva statunitense, trainata dagli enormi profitti del settore degli armamenti e delle guerre (con le sue attività produttive e commerciali collaterali: soldi pubblici per distruggere, poi soldi pubblici per ricostruire), dal controllo sull’approvvigionamento energetico, da quello sulle informazioni e sui servizi segreti di tantissimi stati (accentuatosi con il pretesto dell’antiterrorismo).
Anche i saperi, la scienza, l’arte e la cultura, sono stati piegati al businnes ed alle strategie delle grandi Corporations, in grado di finanziare in proprio o di farsi finanziare dai singoli Stati gran parte dei progetti di ricerca, attraendo a sé gran parte della ricerca scientifica e dei ricercatori delle più importanti università del pianeta.
I partiti, per scelta o per debolezza, si sono lasciati trainare (anche in Italia) dalle scelte della finanza e dalla grande industria; riservandosi, sempre più debolmente il ruolo, a decrescere, del “noi non siamo d’accordo”,  del “non sapevo” o del “sono le regole del mercato”; da noi l’ultima ridotta è “Berlusconi avrebbe fatto peggio”.
Mi sono così ricordato che già sei mesi fa, in occasione del voto sulle missioni militari all’estero, la grande stampa italiana (si fa per dire visto che siamo il paese economicamente sviluppato con meno lettori di giornali) enfatizzò, ed a più riprese distorse, le prese di posizione del gruppo dei senatori contro la Guerra, non nascondendo la delusione per la non sopraggiunta “crisi di governo”.
L’operazione allora fu sventata con due strumenti: il voto di fiducia, e l’incontro tra il Governo, nella persona del Ministro per i rapporti con il parlamento, i senatori “contro la guerra” ed i rispettivi capigruppo in Senato, che si concluse con l’accordo che il Governo avrebbe accolto, quasi in toto, i 9 ordini del Giorno da noi proposti, facendo proprie le valutazioni e gli impegni in essi contenute; va qui rimarcando il fatto, non certamente di dettaglio, che da allora, nessuno di quegli impegni è stato mantenuto e che si è giunti al voto sulla politica estera con tre nuovi e peggiorativi elementi: la nuova base militare Usa di Vicenza; la fabbrica di Cameri (Novara) dove, sulla base di un accordo firmato da D’Alema nel Natale ’98, verranno assemblati i nuovi aerei F35 (l’Italia si è già impegnata ad ad acquistarne 131, ad un costo indicativo di 200 milioni di €, l’uno); l’accordo militare con Israele, mentre al confine tra Libano e d Israele i nostri militari dovrebbero essere arbitri neutrali.
Ma è proprio ragionando sull’esperienza di sei mesi fa che bisogna chiedersi perché il Governo non ha posto la fiducia; e chiedersi anche perché, dopo aver rinunciato a porre la fiducia, non si è cercata una libera maggioranza in Senato.
D’Alema nella replica dice sostanzialmente: non voglio il voto di chi pensa (Cdl) che ci sia continuità in politica estera con il precedente governo e non voglio nemmeno il voto di chi non è d’accordo con le mie proposte di politica estera (senatori “contro la guerra” e, teoricamente, partiti dichiaratisi contrari alla base di Vicenza, alla guerra afgana ed alla costruzione-acquisto degli F35); può essere stato tanto ingenuo da non aver pensato che senza gli uni e senza gli altri, in Senato, non si sarebbe raggiunta la necessaria maggioranza dei votanti?
Il fatto, politico-matematico, è che se anche io e Turigliatto avessimo votato a favore, il Governo sarebbe ugualmente andato in minoranza.
Che si sia trattato di un casus belli per aprire una nuova fase politica è ora dimostrato da altri due elementi:
-        Nelle ore successive mancano autorevoli dichiarazioni e prese di posizione sulla conferma di Prodi, anzi, si legge di ipotesi di incarico ad Amato, Dini o altra personalità (richiesta “stranamente” fatta da Casini); io e il Segretario del Partito Consumatori Italiani siamo i primi a chiedere il rapido ritorno di Prodi alle Camere, con impegno a sostenerlo con la Fiducia;
-        il Governo ha ora dichiarato che non metterà la fiducia sul rinnovo della nostra partecipazione alla guerra afghana, e che si augura un’ampia convergenza in parlamento aprendo ai voti dei parlamentari della CDL, notoriamente meno sensibile al ripudio della guerra e attento nel guadagnarsi la riconoscenza ed il gradimento dell’attuale amministrazione americana.
Ciò è “normale” in una democrazia parlamentare (forse qualcuno non sa che anche in Inghilterra, Blair fa passare la sua politica di guerra con la contrarietà di una significativa parte di laburisti ed il consenso dei conservatori). Perché non lo si è fatto il 21 febbraio?  
I “partigiani del 26 Aprile” scrivono e mi dicono che loro, hanno votato a favore perché avevano già subodorato che si cercava il pretesto per spostare a destra (gli irriducibili dicono ancora al centro) l’asse del Governo; bisognava votare a favore così tutti avrebbero capito cosa c’era sotto e non avrebbero potuto accusare la sinistra “pacifista” di aver fatto cadere Prodi.
Tra questi ho anche dei cari amici, ma ciò non mi impedisce di partire da tali sconcertanti argomentazioni (Bugio ed altri) per riproporre il problema del ruolo dei comunisti e della sinistra, in parlamento e nel paese.
Quale cedimento culturale, si apre allorché passa l’idea che per contrastare scelte conservatrici ed antipopolari …bisogna approvarle e sostenerle?
Agli appelli “spintanei” che vengono a go-go dagli or ganismi europei ed ai disegni politici delle componenti moderate dell’Unione, tesi ad ottenere una violazione del diritto costituzionale ad una pensione dignitosa, a ridurre i diritti dei lavoratori, i servizi sociali ed il carattere pubblico e universale di scuola e sanità, la sinistra come dovrebbe rispondere? Approvandole e sostenendole?
Il rispetto del compromesso raggiunto con il programma comune è un conto, applicarne solo le parti moderate e accettare sistematici arretramenti sulle questioni messe in agenda dalle componenti più moderate, è un altro!
La rotta monetarista, segnata dalla finanziaria, è sbagliata.
Se questo è il percorso, la sorte elettorale dell’Unione è segnata; come segnata sarebbe la sorte di una sinistra che si lasciasse coinvolgere nel naufragio annunciato.
In questi giorni ho avuto tantissimi contatti e incontri da cui emergono aspetti ancor più inquietanti: su sinistra e lavoro, sinistra e ambiente, sinistra e giustizia sociale, sinistra e diritti, sinistra e informazione, sinistra e amministrazione locale, esce un mosaico desolante (pur facendovi la necessaria tara, e cioè considerandole informazioni influenzate dalla tensione del momento).
La questione è molto seria.
Sulla Nato siamo dietro ad Andreotti, sulle pensioni contro i sindacati, sull’ambiente siamo spesso al fianco di chi lo depreda (dagli inceneritori, alle turbogas, dai grandi costruttori che stanno dietro a tanti sindaci “nostri”, grandi e piccoli, alla scomparsa della partecipazione popolare alle scelte). Report, Travaglio e tanti altri giornalisti che onorano il loro mestiere denunciano ingiustizie e ruberie di denaro pubblico da ogni parte, e la sinistra che fa? Si stringe nelle spalle !?
Se possono impunemente raccontarci che una guerra è una pace, cosa ci stanno raccontato sulle pensioni, sui salari, sulla scuola, sulla sanità, sull’ambiente, sui diritti dei consumatori...
E invece eccolo lì il nostro ceto politico, a pensare a come unirsi tra ex Dc ed ex Pci per fare un “partito democratico all’americana”, che abbia tanti voti da essere sicuro di prendere tutto il potere, o a discutere di nuove formazioni postcomuniste o neosocialiste  però “aperte ai movimenti”, mentre approvano un dodecalogo che è, punto per punto, teso a delegittimare ed a tagliare alla radice gli obiettivi su cui i movimenti stanno lavorando.
Nel teatrino della politica, con le famiglie indebitate dalla truffa del “tasso 0”, e con il popolo della terza settimana sempre più in ambasce, va in scena la riforma elettorale, ovvero come proteggere l’attuale sistema socio-economico, non avendo tra i piedi chi vuole cambiarlo o rappresenta forze sociali minoritarie (ben sapendo, che ciò moltiplicherebbe la rabbia sociale e gli scontri nel paese, ma confidando in un eventuale salvifico e più efficace abuso delle forze dell’ordine).
Siamo giunti (come scrisse Pintor) alla fine della autonomia politica e culturale della sinistra?
Quand’anche non fossimo al capolinea, prima di arrivarci, bisognerebbe porsi con forza il compito di cambiare la politica, cominciando, da un ultimo, corale ma fermissimo, tentativo di cambiare dall’interno i nostri partiti della sinistra, battendoci per tirarli fuori dal “teatrino della politica” e dalle mani del ristretto ceto politico che ora li usa come “cosa sua” e rimetterli al loro posto, tra il popolo.
I nuovi dirigenti siano persone che hanno dato battaglia rispetto al degrado lobbistico, che dicano ciò che fanno e facciano ciò che dicono, che pratichino la democrazia interna ed il confronto delle idee, lasciando prevalere quelle utili ad una positiva soluzione dei problemi. Non sarà per nulla facile, ma prima di gettare i bambini con l’acqua sporca, bisognerà provarci.
Fernando Rossi
senatore del Gruppo Misto - Consumatori

 

Data: 07/03/2007 10.57.00

 

 

Il Riformista 8-3-2007 CASA DELLA CULTURA A MILANO Che sciocchezza colpire proprio l’islam moderato


In questi casi, si sa, le parole, da parte di chi ha una coscienza civile democratica (o basterebbe solo dire da parte di chi ha una coscienza civile) sono sempre le stesse, ma evidentemente, e purtroppo, vanno ripetute, con più forza e anche, perché no, con una sana indignazione. A cosa ci riferiamo? Alla polemica sollevata da alcuni esponenti del centrodestra milanese (di An e Lega) in relazione al trasferimento della nota e prestigiosa Casa della Cultura islamica dall’attuale sede in via Padova alla nuova sede che si trova ad un chilometro di distanza. Motivazione? Problemi di concessioni edilizie, di traffico e viabilità, artatamente sollevati. Risultato: un clima ostile nel quartiere non certamente sul tema della concessione edilizia, ma nei confronti dell’islam. Sconcertante.
Ma quello che è ancor più sconcertante è che la realtà in questione, attiva a Milano sin dal ’93, è espressione di quello che comunemente viene chiamato islam moderato, come ha mostrato con atti concreti e significativi: le posizioni critiche nei confronti dell’Ucoii, l’appello sull’emittente araba Al Jazeera per la liberazione delle due Simone, la ferma condanna dell’attentato terroristico a Londra. Insomma mai come in questo caso l’equazione tra islam e terrorismo non regge proprio. Non solo si tratta di una esperienza da valorizzare dal punto di vista strettamente “politico” (almeno così dovrebbe fare chi ha a cuore le questioni dell’integrazione ed è preoccupato da ben altri volti dell’islam) ma anche dal punto di vista “culturale” (aspetto mai secondario) essendo un centro molto attivo su questo piano, come emerge dalle relazioni positive che ha instaurato con numerose realtà religiose cattoliche, o dalla semplice frequentazione da parte di molti studenti.
La polemica sollevata dagli esponenti locali della Lega e di An appare dunque incomprensibile (se non alla luce della più bieca strumentalizzazione politica) ma soprattutto (questo temiamo) inquietante nei suoi possibili risvolti, sia per le comunità islamiche meno moderate che alimentano il proprio fanatismo con quello altrui, sia per il clima creato nella zona. Insomma, a poche settimane dalla vicenda del campo rom di Opera, che mise in luce un altrettanto cupo protagonismo delle stesse forze politiche, a fronte di posizioni ben più responsabili dell’amministrazione Moratti, quello che sta accadendo sulla Casa della cultura non comunica. Pessimi segnali.

 

 


 

Il Sole 24 Ore  7 marzo 2007  Via la pena di morte dalla Costituzione, anche in caso di guerra. di Nicoletta Cottone

 

Con un voto bipartisan il Senato ha votato in favore dell’abolizione della pena di morte anche nei casi previsti dalle leggi militari di guerra. Di fatto una totale cancellazione dal comma 4 dell’articolo 27 della Carta Costituzionale della pena di morte. Il sì è arrivato con 226 voti a favore e 12 astenuti. I disegni di legge costituzionali, in base all’articolo 138 della Costituzione, sono adottati da ciascuna Camera con due successive deliberazioni a intervallo non inferiore a tre mesi e sono approvate a maggioranza assoluta dai componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Ora, dunque, il provvedimento, dovrà ora tornare alla Camera per una seconda lettura e quindi ricevere il via libera definitivo da palazzo Madama.
Il provvedimento è costituito da un articolo unico che elimina dal quarto comma dell’articolo 27 della Costituzione le parole che ammettevano la pena di morte nei casi previsti dalle leggi militari di guerra. «Con il provvedimento in esame - sottolinea il senatore Learco Saporito di Alleanza Nazionale, relatore del disegno di legge costituzionale - si afferma che la pena di morte non potrà essere più inclusa nel corpo delle leggi penali ordinarie e si conferma la tradizione giuridica italiana contro la pena di morte. È inutile ricordare che questo provvedimento rende più credibile la richiesta del nostro Paese di ottenere una moratoria delle pene capitali nel mondo e rafforza il Trattato di Amsterdam nel 1998».

nicoletta.cottone@ilsole24ore.com


 

 

Il Corriere della sera 7-3-2007 La truffa dell'undici settembre Stock-option predatate per approfittare del crollo post- attentato. Sarebbero 140 le aziende coinvolte. Lo scopo era garantire maggiori guadagni ai manager. Alessandra Carboni

 

STATI UNITI - Si torna a parlare di stock options e retrodatazione. Questa volta lo scandalo interessa numerose società americane che, nel momento in cui l’economia ha iniziato a riprendersi dalla crisi in cui il mercato è scivolato dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, hanno pensato bene di «ritoccare» la data delle opzioni assegnate ai loro manager

L’INGANNO - I dirigenti delle aziende coinvolte hanno in pratica ricevuto le opzioni a ottobre e nei mesi successivi, come parte del pacchetto retributivo loro spettante nel 2001. Per garantire ai top executive un guadagno, però, tali stock options sono state retrodatate al momento in cui i titoli interessati hanno raggiunto il valore minimo dell'anno, ovvero i giorni immediatamente successivi l'11 settembre. In questo modo, quindi, in vista della ripresa della Borsa, i detentori delle opzioni si sono assicurati un maggior margine di guadagno tra il prezzo di acquisto delle azioni, fissato al minimo storico tramite opzione (contraffatta), e quello di vendita, più alto, dato dalla ripresa del mercato. Le aziende coinvolte sono 140, e la scoperta della truffa da parte della Securities and Exchange Commission ha già prodotto decine e decine di licenziamenti e dimissioni eccellenti. KLA-Tencor, Affiliated Computer Services, Take-Two Interactive Software, Progress Software, UnitedHealth Group e Broadcom sono tra coloro che hanno dovuto ammettere di avere «erroneamente indicato la data sbagliata» sulle opzioni, come riferisce il Wall Street Journal.

LE OPZIONI - Una stock option altro non è che un’opzione, offerta ai dipendenti di un’azienda, sulla sottoscrizione di azioni a un prezzo determinato. Tale prezzo è il prezzo d’esercizio, ovvero il valore che le azioni hanno nel momento in cui l’opzione è stata assegnata. L’opzione può essere esercitata entro una scadenza, prefissata. In pratica, chi riceve l’opzione ha il diritto di acquistare un titolo a un dato prezzo, congelato. Il guadagno ci sarà se nel momento della vendita il prezzo del titolo sarà superiore a quello di acquisto. Da qui l’interesse a indicare sulle opzioni la data in cui le azioni della società hanno toccato il valore più basso.

07 marzo 2007


 

La Repubblica 7-3-2007 Assicurazioni. Rca per più vetture: nuovi contratti, ma stessa classe. di Antonella Donati

 

Sono in vigore dal 2 febbraio le norme del decreto Bersani che obbligano le compagnie a garantire le stesse condizioni quando vengono assicurate più auto. E se non è così, interviene l'Isvap

Un'altra classe? No grazie. Le norme del decreto Bersani che impongono alle società di assicurazione di garantire la stessa classe quando vengono assicurate più vetture, sono infatti già in vigore dal 2 febbraio, e le compagnie hanno l'obbligo di applicarle a tutti i nuovi contratti. Ma non tutte le società si sono adeguate. E allora la via maestra per ottenere il trattamento giusto è quella di rivolgersi all'Isvap, l'Istituto di vigilanza sulle assicurazioni private che ha già avviato diverse procedure contro le società che non si sono volute adeguare, ed è pronto ad intervenire sulla base di una semplice segnalazione.

Stessa classe dal 2 febbraio in poi - Le disposizioni del decreto sono molto chiare e difficilmente equivocabili: "L'impresa di assicurazione in tutti i casi di stipulazione di un nuovo contratto, anche aggiuntivo al precedente, a prescindere dalla contestuale vigenza di un'altra polizza, non può assegnare al contraente una classe di merito più sfavorevole rispetto a quella risultante dall'ultimo attestato di rischio conseguito". Le norme scattano dalla data di entrata in vigore del decreto, il 2 febbraio, e quindi valgono ovviamente solo per i contratti sottoscritti da quella data in poi. Ma sicuramente da lunedì 5 febbraio è impossibile far finta di niente. Eppure qualche compagnia ha parlato di formulazione equivoca e per questo non ha voluto applicare le nuove regole. Per l'Isvap, però il testo della legge non dà adito a dubbi, e così sono partite le procedure di controllo e di richiamo.

Come presentare il reclamo - Chi si è trovato a dover fare i conti con una società che si è rifiutata finora di rispettare la legge ha, dunque, la possibilità di presentare alla propria assicurazione e contestualmente all'Isvap un reclamo per il mancato rispetto della legge. In questo caso, infatti, diversamente da quanto accade quando il reclamo riguarda problemi contrattuali, l'Isvap può intervenire senza attendere che la società risponda. E' obbligatorio avere prima la risposta ufficiale dell'assicurazione solo quando il reclamo riguarda questioni direttamente legate all'applicazione di norme contrattuali, quando invece si tratta di un mancato rispetto di norme di legge l'Istituto può intervenire in prima battuta. Per cui conviene comunque attivarsi anche con la società, ma informando che il reclamo è diretto anche all'Isvap: le società più accorte preferiranno adeguarsi immediatamente piuttosto che rischiare l'intervento, e le sanzioni, dell'Istituto di controllo. Presso l'Isvap è a disposizione un servizio telefonico di informazioni agli utenti (numero 06-42133000) al quale rispondono in orario di ufficio funzionari dell'Istituto. Il recapito per i reclami è: Isvap, Servizio Tutela Utenti, Via del Quirinale, 21 00187 Roma oppure Fax 06-42133426/06-42133353


INDICE 7-3-2007

++ Da Il Sole 24 Ore 7-3-2007       Visco: «Possibile una riduzione delle tasse in tempi brevi» di Nicoletta Cottone

+ Il Corriere del Veneto 7-3-2007 Glaxo, la difesa " convoca " il ministero. Colpo di scena al maxi- processo. Chiesta in aula un'integrazione d'indagine

+ La Repubblica 7-3-2007 Al Copaco l'allarme del Sismi "Militari a rischio di attentati". Di Alberto Custodero  1

+ L’Opinione.it 6-3-2007 Coppola, dalle borgate romane ai salotti buoni della finanza di Biagio Marzo  1

Il Corriere della Sera 7-3-2007 Scandalo Cia, condannato il braccio destro di Cheney. Libby colpevole di spergiuro e ostruzione della giustizia   Ennio Caretto  2

Il Corriere della Sera 7-3-2007 Tutti i rischi per la Nato e l’Italia. Kabul, finale di partita di  Franco Venturini 2

La Stampa 7-3-2007 I radical si accorgono di andare alla guerra AUGUSTO MINZOLINI 2

Il Giornale di Brescia 7-3-2007 Dico: Salvi (Correntone Ds) boccia il Ddl del Governo, scontro con la Bindi 2

Il Riformista 7-3-2007 LA LEZIONE DI CACCIARI Marziani in laguna  3

La Repubblica 6-3-2007 Tlc, nel mirino lo scatto alla risposta L'Agcom: "E' una anomalia, va abolito" 3

La Stampa 7-3-2007 Scatta l'allarme siccità, E Prodi mobilita le Prefetture GABRIELE BECCARIA  3

 

 


 

++ Da Il Sole 24 Ore 7-3-2007          Visco: «Possibile una riduzione delle tasse in tempi brevi» di Nicoletta Cottone

 

 Lo ha detto il viceministro all’Economia Vincenzo Visco nel corso dell’audizione dinanzi alle commissioni Finanze e Bilancio della Camera sull’andamento delle entrate tributarie della Pubblica amministrazione. «È possibile una riduzione della pressione fiscale - dice Visco - iniziativa che io ritengo prioritaria, in tempi brevi a condizione che i tassi di crescita della spesa primaria corrente siano ridotti e determinino i risparmi necessari al raggiungimento degli obiettivi indicati nel patto di stabilità e crescita». Visco ha ricordato che siamo impegnati con l'Unione europea a migliorare l'indebitamento nel prossimo anno almeno dello 0,5 per cento. Il miglioramento del rapporto deficit-Pil raggiunto nel 2006 (2,4%, al netto di oneri straordinari), dice il viceministro, è interamente dovuto alle maggiori entrate erariali. Le maggiori entrate rispetto alle stime di settembre non dipendono solo dal bilancio dello Stato centrale, ma anche dagli enti locali. In valori assoluti la crescita delle entrate è stata pari a 37,7 miliardi di euro: 29 già inclusi nelle stime e 8,6 in aggiuntivi (3,5 miliardi sono dovuti a un aumento delle entrate lorde dello Stato, 2,5 miliardi derivano da minori rimborsi, compensazioni ed altre poste correttive e circa 2,6 miliardi sono attribuibili a maggiori entrate degli enti locali).
Il maggior gettito fiscale strutturale realizzato nel 2006 dovrebbe generarsi anche nel 2007. «Guardando al futuro - dice Visco - un maggior gettito strutturale rispetto a quanto considerato nella Finanziaria dovrebbe generarsi anche nel 2007, a condizione che quanto previsto dalla Finanziaria sia compiutamente approvato e realizzato». Visco ha anche aggiunto che «maggiori entrate potranno derivare anche da un tasso di crescita più elevato del previsto, sebbene questo rappresenti un miglioramento ciclico più che strutturale».
Secondo Visco, senza la crescita delle entrate (1,6% del Pil) «l'indebitamento sarebbe risultato in linea con le stime della Commissione Faini: 4,1% ossia il risultato del 2005. Infatti, nel 2006, la spesa è rimasta invariata in rapporto al Pil».
In particolare l’Ire è cresciuta del 6,4% e le ritenute da lavoro dipendente privato dell’8,8%, più del doppio del Pil nominale. Dato che si ritiene legato all’emersione del lavoro nero. L’Ires è cresciuta del 16,3%, l’Iva dell’8,8 per cento. «Anche se si depurano le entrate dei provvedimenti one-off presi dal Governo precedente - spiega Visco - il gettito erariale rimane molto più elevato di quanto era lecito attendersi in base alla crescita del Pil».

 


 

+ Il Corriere del Veneto 7-3-2007 Glaxo, la difesa " convoca " il ministero. Colpo di scena al maxi- processo. Chiesta in aula un'integrazione d'indagine

Si allungano i tempi dell'udienza preliminare. Ieri intanto sette ore di arringhe dei legali che vogliono il " non luogo a procedere "

 VERONA - La tesi della Glaxo è chiarissima: nell'organizzare convegni e/ o congressi a invito per i medici, la multinazionale di Verona non ha fatto " nulla di diverso da quanto sono solite fare anche tutte le altre aziende farmaceutiche " . Non ha commesso " nulla di illegale " , dunque, e " se anche dovesse risultare che ha fatto qualcosa di sbagliato, l'avrebbe fatto in totale buona fede " . Questa, in estrema sintesi, la posizione difensiva del colosso farmaceutico nel mega- processo a 142 imputati per comparaggio, corruzione e associazione a delinquere che ieri ha vissuto un'altra udienza - la terza, finora - decisiva. Sette ore nell'aula solitamente riservata alla Corte d'assise ( anche ieri le parti in causa erano davvero troppe per trovare spazio nelle consuete sale al primo piano del palazzo di giustizia), che hanno visto l'atto- clou nell'arringa dell'avvocato Vittorio Fasce. è stato quest'ultimo, legale rappresentante di sei dirigenti Glaxo, a chiedere in aula un'integrazione d'indagine: " è necessario sentire il responsabile del Servizio congressi del ministero alla Salute su come la Glaxo agisse in questo settore sia a livello di modalità che di quantità " . Ovvia, la finalità a cui punta la difesa: dimostrare che la multinazionale scaligera non faceva nulla di diverso rispetto alle altre compagnie farmaceutiche. Un obiettivo, questo, che il legale mira a ottenere anche attraverso la seconda richiesta avanzata ieri in aula: " Sentire un rappresentante di Aifa ( l'agenzia italiana del farmaco, ndr ), a cui va il 5% degli introiti incassati dalle aziende grazie alle promozioni " . Una doppia integrazione d'indagine che comporterà, di fatto, un allungamento dei tempi previsti per giungere alla conclusione di un'udienza preliminare dominata ieri dalle arringhe dei legali allineati nella loro richiesta al giudice Rita Caccamo di " non luogo a procedere " . Centoquarantadue le persone ( in origine erano 143, ma una, Luigi Manzione, ha chiesto il rito immediato scavalcando l'udienza preliminare) chiamate a vario titolo a rispondere dei reati di comparaggio, corruzione e ( contestazione, quest'ultima, mossa solo a una cinquantina di loro) associazione per delinquere. Nei confronti di tutti loro, l'unico Tribunale deputato a decidere sarà quello di Verona. è stato lo stesso gup Caccamo, durante la scorsa udienza, a respingere la mega ( a sollevarla, era stata una trentina di imputati) eccezione di incompetenza territoriale avanzata in aula dalle difese di medici, informatori scientifici e dipendenti Glaxo sotto accusa. " Questo procedimento deve proseguire lontano da Verona " , avevano scandito a gran voce i legali che, a sostegno delle proprie richieste, hanno anche depositato agli atti voluminosi faldoni di materiale: " Si tratta di pronunciamenti della Corte di Cassazione che avvalorano la nostra domanda di trasferimento del processo " , hanno spiegato per ore davanti al giudice. Al termine dei loro discorsi, però, il gup Caccamo non si è neppure ritirata in camera di consiglio per riflettere sul da farsi, preferendo invece pronunciare un'ordinanza seduta stante. E il provvedimento di sposto dal magistrato ha assunto la forma e il colore di un semaforo rosso nei confronti delle difese: " Il procedimento resterà in questo tribunale " , ha infatti sentenziato il magistrato argomentando la propria decisione sulla base di una sentenza emessa dalla Cassazione nel 1990. " Una data lontanissima nel tempo, un verdetto del tutto inattuale: da allora, infatti, la stessa Cassazione si è più volte espressa in senso contrario, avvalorando dunque la nostra richiesta " , hanno commentato i legali fuori dall'aula. Di tutt'altro tenore, invece, la reazione del procuratore Guido Papalia, titolare della maxi- inchiesta e rappresentante della pubblica accusa in aula: " L'unica sede deputata a decidere sul caso Glaxo è quella scaligera " , ha ribattuto in il magistrato prima di chiedere il rinvio a giudizio di tutti e 142 gli imputati sotto accusa. L. T.

 L'AVVOCATO FASCE Va sentita la responsabile della sezione congressi del dicastero alla Salute.

 


+ La Repubblica 7-3-2007 Al Copaco l'allarme del Sismi "Militari a rischio di attentati". Di Alberto Custodero

Audizione di Branciforte davanti ai parlamentari. Preoccupazione per le operazioni Usa: "Hanno innescato una escalation violenta"

L'ammiraglio ha denunciato forti difficoltà di gestione a causa del taglio del 40 per cento del budget destinato all'intelligence

ROMA - "I nostri militari a Kabul sono a rischio di attentati". Palazzo San Macuto, ieri mattina. È in corso al Copaco, il comitato parlamentare che "sorveglia" i servizi segreti, l'audizione del capo del Sismi Bruno Branciforte. La notizia del sequestro del giornalista Daniele Mastrogiacomo non è ancora stata diffusa. Ma Branciforte descrive già a tinte fosche la situazione in Afghanistan. Ad ascoltarlo ci sono gli otto componenti del Copaco.

"Le operazioni militari in corso delle truppe Usa ci preoccupano - è la sintesi dell'intervento del direttore del Sismi - perché hanno innestato un'escalation di violenza che non può non coinvolgere i nostri soldati". Le dichiarazioni allarmistiche dell'ammiraglio, e i rapporti riservati del Sismi che, già da tempo, hanno indicato tra le minacce cui sono esposte le truppe italiane in missione all'estero gli attacchi kamikaze con autobomba e i rapimenti, hanno trovato drammaticamente conferma nella notizia del sequestro del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo catturato in Afghanistan dal mullah Dadullah.

Al Copaco il capo del Sismi ha poi annunciato un fatto che non può non avere importanti risvolti di politica internazionale. "Sono fresco di incontri - ha detto - con i responsabili dei maggiori servizi segreti esteri: c'è voglia di collaborazione e di ristabilire l'operatività con l'intelligence americana". "Proprio di recente - ha aggiunto Branciforte - ho incontrato gli esponenti della Cia, la cui collaborazione aveva avuto momenti di difficoltà a causa delle note vicende". Il riferimento è alle tensioni dovute alle indagini sul sequestro Abu Omar e la richiesta di estradizione (non ancora firmata dal ministro della Giustizia), avanzata dalla procura di Milano nei confronti di una ventina di agenti Cia.
Subito dopo, però, l'ammiraglio ha gelato gli otto parlamentari che lo hanno convocato denunciando forti difficoltà di gestione dell'intelligence in seguito al taglio del 40 per cento del budget da parte del governo, in parallelo con quanto dichiarato qualche giorno prima da Franco Gabrielli, direttore del Sisde, che aveva lamentato una riduzione ancor più drastica, del 60 per cento.

Questa notizia, in un momento così critico, ha portato il vicepresidente del Senato, Milziade Caprili, membro del Copaco, a dire che "dopo l'approvazione della legge di riforma dei servizi, e alla luce di quanto è accaduto in Afghanistan, va rivisto in finanziamento all'intelligence".

Il sequestro di Mastrogiacomo, per il presidente del Copaco, Claudio Scajola, "fa parte del complesso scenario afgano che ora si complica ulteriormente perché è evidente che i taliban hanno guadagnato nuovi territori. La situazione politica italiana, però, non cambia". "Ora - ha aggiunto - siamo nelle mani della capacità dei servizi che io spero sia alta. L'ammiraglio Branciforte ha definito la nostra presenza in Afghanistan "qualificata". Ciò non toglie, tuttavia, che ci sia forte preoccupazione per la vita del rapito".

Il Sismi, in Afghanistan, non è solo a lavorare per la liberazione del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo. A dare la caccia agli uomini del mullah Dadullah s'è creato un pool di 007 internazionali. Oltre alla nostra intelligence, infatti, la più presente nel territorio che si trova fra la provincia di Kandahar e quella di Hellmand risulta essere in questo momento quella inglese. Sono gli agenti dell'MI6 che in queste ore stanno riversando ai nostri 007 tutte le informazioni in loro possesso sull'organizzazione terroristica talibana che ha rivendicato il sequestro.
"Nessuna strada è stata tralasciata - ha assicurato il sottosegretario agli Esteri Gianni Vernetti, con la delega ai Paesi asiatici, fra cui l'Afghanistan - la nostra intelligence ha attivato tutti i canali già sperimentati durante il sequestro del fotoreporter Gabriele Torsello". "Abbiamo una notizia che ci conforta - ammette Vernetti - che il sequestro è avvenuto senza feriti".
Per individuare il posto nel quale è tenuto nascosto il giornalista di Repubblica, gli investigatori (sono presenti anche i carabinieri del Ros del generale Ganzer) potrebbero chiedere anche la collaborazione dei servizi segreti americani che, avendo in corso operazioni militari nella zona di Hellmand, hanno tutto il territorio sotto il controllo elettronico: usano i droni (gli aerei spia che volano senza equipaggio) e hanno il controllo di tutte le conversazioni telefoniche.

(7 marzo 2007)

 

+ L’Opinione.it 6-3-2007 Coppola, dalle borgate romane ai salotti buoni della finanza di Biagio Marzo

Edizione 54 del 06-03-2007

Che Danilo Coppola non fosse uno stinco di santo era risaputo, come tutti gli immobiliaristi visti in circolazione finora, ma il suo arresto, come sempre succede nei casi di inchieste giudiziarie, lascia dietro di sé una scia di dubbi. Non è la prima volta che quando ci sono appuntamenti importanti, nella fattispecie il varo della governance di Mediobanca e il rinnovo del vertice di Generali, che toccano gli assetti del salotto buono del capitalismo italiano, accade di tutto, anche l’arresto dell’immobiliarista –raider Coppola. Il quale Coppola è un azionista di Mediobanca sebbene a scalare: dal 5% all’1% e di Generali. Si dice che nella sua finanziaria del Lussemburgo ci sarebbe circa il 2% di capitale della compagnia del Leone di Trieste. Chi ha azioni di Mediobanca e di Generali ha, di conseguenza, messo le mani sul gruppo Rcs. Un altro immobiliarista, Stefano Ricucci, ha avuto l’ambizione sbagliata di scalare il gruppo editoriale di Via Rizzoli e si è bruciato, finendo pure lui a Regina Ceoli. Detto questo,Coppola, inoltre, possiede il 2% di una banca d’affari torinese tanto piccola quanto sconosciuta, la Bim che fa capo alle famiglie Giovannone, D’Aguì, Scanferlin e Segre. Nomi che non dicono nulla al grande pubblico, ma quelli degli azionisti Carlo De Benedetti, Salvatore Ligresti, Alcide Leali e Montezemolo dicono, viceversa, parecchio.

Coppola aveva fiutato l’aria, che si stava abbattendo su di lui una valanga giudiziaria, e aveva chiesto ai Pm di essere sentito, dopo la fuga di notizie relative alla sua iscrizione nel registro degli indagati per bancarotta, ma non gli prestarono ascolto, preferendo, invece, di sentirlo in carcere. Uno dei più noti “furbetti del quartierino” è stato arrestato e fra le ipotesi di reato contestate vi sono associazione per delinquere, appropriazione indebita, falso in bilancio, bancarotta fraudolenta, evasione fiscale, riciclaggio e appropriazione indebita. A occhio e croce, i medesimi reati per i quali fu arrestato il gangster italo - americano Al Capone. Per non andare indietro nel tempo, basterebbe fermarsi al caso Sindona. Scherzi a parte, l’inchiesta giudiziaria su Danilo Coppola dovrebbe allargarsi a macchia d’olio per scoprire chi c’è veramente dietro all’immobiliarista romano. Non è andata mai giù la leggenda metropolitana che lui è l’artefice della grande ricchezza accumulata in poco tempo. Insomma, per i molti lui non era altro che un prestanome.

Quand’anche ciò fosse vero, chi? Spetta alla magistratura, ora, scoprire le verità del caso Coppola. Chi si mise di buzzo buono, sul versante della carta stampata, per fare chiarezza sui tanti dubbi sull’origine delle fortune di Coppola, fu “Il Sole24ore” tramite le inchieste di Claudio Gatti. Nello stesso tempo, chi guardò l’entrata in campo dei new comers in modo favorevole, fu Piero Fassino, e chi scrisse qualche riga pro Coppola, fu Gad Lerner. Sulla rivista “Vanity Fair”, lo definì “lombrososamente discriminato”. La discriminazione nasceva, talaltro, perché era un uomo povero che veniva dalla periferia romana, Borgata Finocchio, che si era arricchito alla faccia dei tanti borghesi che non ci sono riusciti. Vero è che Coppola e suoi colleghi immobiliaristi sono stati presi di mira dal grande pubblico per invidia e per la vita lussuosa da “parvenu” che conducevano senza freni inibitori. In più, Coppola attirava l’attenzione, ma questo è un dettaglio, perché aveva un taglio di capelli, “Carré francese”, e portava, in modo vistoso, di volta in volta, al polso orologi di grandezza fuori del comune.

Tra i colleghi di Coppola il più famoso, non per il fatto che è convolato a nozze con l’attrice Anna Falchi, è stato Stefano Ricucci, pure lui ha passato le pene dell’inferno, pardon del carcere di Regina Coeli, per le sue scorribande finanziarie. Dopo le scalate all’AntonVeneta e alla Bnl, aveva puntato dritto dritto sul gruppo editoriale Rcs Media Group, la holding del Corriere della Sera, senza successo. Tentò l’assalto al cielo, ma ci lasciò le penne. Suo è il copyright:”Furbetti del quartierino” e di altre battute colorite irrepetibili. Ricucci aveva il pallino dell’editoria, ma altrettanto lo aveva Coppola che acquistò il gruppo a cui fanno capo il quotidiano economico “Finanza e Mercati” e il settimanale “Borsa e Finanza”. I famosi e famigerati “furbetti” delle scalate bancarie dell’estate 2005 hanno fatto, chi per un verso chi per l’altro, una brutta fine. I “furbetti” portarono a segno il colpo della loro vita con l’operazione Bnl. Precisamente, quando vendettero le loro quote a Giovanni Consorte, il Cuccia della finanza rossa, di modo che questi fosse nelle condizioni di lanciare l’Opa Unipol sulla banca di Via Veneto. Per dovere di cronaca, la compagnia di assicurazione bolognese la strappò dagli spagnoli di Bbva, che dimostrarono di essere ingenui e di avere mani inesperte nel gestire partite difficili e complicate come fu, comunque, quella dell’Opa.

Per favorire l’Unipol di Consorte, la cordata degli immobiliaristi e costruttori, ossia il “contropatto” con a capo Francesco Gaetano Caltagirone, in contrapposizione al “patto” di Bbva, Abete e Diego Della Valle, cedette la propria quota, che si aggirava a circa il 27%, facendosela pagare a peso d’oro.
Il “contropatto” incassò una montagna di plusvalenze e, in particolare, gli ingordi immobiliaristi con in mano quella incredibile fortuna investirono per creare nuove plusvalenze da investire ancora, e così di seguito. Il gioco era questo e loro lo conoscevano a menadito. Chi, come Ricucci, investì nella scalata Rcs, chi, come Coppola, acquistò, come detto, quote di capitale di Mediobanca. In queste operazioni bancarie, la Consob scoprì il concerto, in special modo, nella scalata dell’AntonVeneta. Il regista era Giampiero Fiorani, ex numero uno di Bpi, ex Banca Popolare di Lodi, che con l’avallo dell’ex governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, si era prefisso di cambiare la pelle al sistema bancario italiano, diventando il vero dominus.

Per via di questa scalata Fazio ruppe la lunga amicizia con Geronzi che sosteneva la banca olandese Abn Amro socia di Capitalia e di AntonVeneta. Giampiero Fiorani vinse e Rijkman Groenink perse di brutto per poi rifarsi, grazie alla magistratura e all’avvocato Guido Rossi, indicato al patron della banca di Amsterdam proprio dal banchiere di Marino. Nelle maglie delle inchieste giudiziarie incappò Danilo Coppola, accusato, assieme ai concertisti, di aggiotaggio. Senza le plusvalenze Bnl, gli immobiliaristi non avrebbero osato tanto, precisamente Coppola non avrebbe messo piede nel salotto buono di Mediobanca. Mentre nel lancio dell’Opa di Bpl su AntonVeneta, gli immobiliaristi dovettero impegnare le proprie risorse finanziarie, nell’operazione Bnl, invece, con la cessione delle loro quote, incassarono molto di più del previsto e ciò incoraggiò loro a proseguire su questa strada. In ultima analisi, Consorte pagò profumatamente il “contropatto” non calcolando, diciamo così, che stava innescando una operazione che si rifletteva negativamente sull’economia di mercato.

Di grazia, per i loro affari le risorse a disposizione non bastavano, ragion per cui Ricucci e Coppola si rivolsero agli istituti di credito per essere finanziati. Il raider di Zagarolo aveva una linea di credito privilegiata con la Deutsche bank di Vincenzo De Bustis e il finanziere della Borgata Finocchio con Unicredit di Alessandro Profuno. Come dire, pecunia non olet sia per il creditore sia per il debitore. Naturalmente, le banche non finanziano gratis, avendo l’assicurazione che, in casi spiacevoli di fallimento dei debitori, abbiano sempre e comunque la possibilità di rientrare. E poi, gli affari sono affari, Coppola è, in più, come visto, socio dell’ingegnere De Benedetti e Luca Cordero di Montezemolo. Imprenditori blasonati che sapevano, oltretutto, chi era il “parvenu” Coppola. Sul caso Coppola cosa si potrebbe dire ancora tanto, ma noi sinceramente, da garantisti, auspichiamo che l’immobiliarista ritorni in famiglia e gli inquirenti facciano il loro lavoro e arrivino alla verità tanto desiderata, senza subire alcuna influenza e in piena indipendenza.

 

Il Corriere della Sera 7-3-2007 Scandalo Cia, condannato il braccio destro di Cheney. Libby colpevole di spergiuro e ostruzione della giustizia   Ennio Caretto

 

I democratici all’attacco sull’Iraq, nuove critiche al vicepresidente

WASHINGTON — Colpevole di ostruzione della giustizia, spergiuro e falsa testimonianza: questo il verdetto della giuria del Ciagate (lo scandalo delle false prove sulle atomiche di Saddam), contro Lewis «Scooter » Libby, l’ex capo di gabinetto e consigliere della sicurezza nazionale del vicepresidente Cheney. La sentenza è attesa il 5 giugno e sarà probabilmente molto inferiore al massimo della pena prevista, 40 anni di carcere. Ma per l’amministrazione, già scossa da numerosi scandali, potrebbe essere l’inizio di una crisi: i democratici non escludono che Cheney, in cura dall’altro ieri per una trombosi a una gamba, si dimetta entro qualche mese, adducendo ragioni di salute.

Ieri sera il vicepresidente si è detto «molto deluso» e «rattristato» dal verdetto di colpevolezza. Libby è la vittima più illustre degli intrighi politici della Casa Bianca dall’Irangate, lo scandalo dell’86 delle vendite segrete di armi all’Iran per finanziare gli anticomunisti in Nicaragua che costò le teste di due consiglieri del presidente Reagan. Il Ciagate scoppiò nel luglio del 2003, dopo che l’ex ambasciatore Joseph Wilson svelò al New York Times di avere stabilito che Saddam non aveva cercato uranio per l’atomica in Niger, al contrario di quanto sostenuto dall’amministrazione. Per screditare Wilson, la Casa Bianca riferì ai media che l’ex ambasciatore era sposato a una agente della Cia, Valerie Plame. Ma questa era una agente sotto copertura, e a termini di legge farne il nome costituiva reato. Il presidente Bush dovette nominare un procuratore speciale, Patrick Fitzgerald, che dopo un’inchiesta di tre anni sul misterioso informatore dei media incriminò Libby.

La giuria ieri è stata unanime: Libby mentì sul proprio ruolo. Con sollievo dell’amministrazione, Fitzgerald ha annunciato che «il caso è chiuso, non ci saranno altre incriminazioni», mettendo così al riparo dalla legge Karl Rove, il braccio destro di Bush, a lungo sospettato di complicità nello scandalo. Mentre Cheney ha rifiutato commenti, la portavoce della Casa Bianca Dana Perino ha dichiarato che il presidente ha seguito in diretta tv il verdetto «e pur nel rispetto della giuria, ha manifestato tristezza per la condanna di Libby». La Perino ha negato che il Ciagate abbia danneggiato l’amministrazione, glissando sull’eventualità che Bush conceda la grazia a Libby. I democratici hanno diffidato il presidente dall’intervenire nello scandalo. Secondo la speaker della Camera Nancy Pelosi «Libby ha pagato per tutti una condotta spietata e disonesta».

Il Ciagate rimane comunque una mina vagante per la Casa Bianca perché il processo non ha sciolto importanti interrogativi. Uno dei giurati, David Collins, ex giornalista del Washington Post, si è chiesto perché non siano stati chiamati a testimoniare Cheney e Rove, che avevano discusso con Libby della Palme. Lo scandalo spingerà i democratici ad a p r i r e un’udienza al Congresso sui veri moventi della guerra all’Iraq. I più liberal parlano di «impeachment » o incriminazione dell’ex ministro della Difesa Donald Rumsfeld e di Cheney. La posizione del vicepresidente, l’ultimo dei falchi, rischia di farsi precaria, sebbene Bush lo difenda con fermezza.Al Congresso corre voce che se Cheney se ne andasse il presidente lo sostituirebbe con la segretaria di Stato Condoleezza Rice, che sarebbe così in pole position per le elezioni del 2008 alla Casa Bianca.

07 marzo 2007

 

Il Corriere della Sera 7-3-2007 Tutti i rischi per la Nato e l’Italia. Kabul, finale di partita di  Franco Venturini       

 

 

Sarà il riscaldamento globale, sarà la fretta di sparare per primi, sta di fatto che in Afghanistan la primavera è già cominciata. E mentre la Nato parte all’offensiva battendo sul tempo i talebani, un cambio di stagione si verifica anche nella politica italiana: in vista del voto a Palazzo Madama sul rifinanziamento della nostra missione a Kabul, il governo è pronto a considerare normale un eventuale apporto decisivo dell’opposizione. La sorte del collega di Repubblica Daniele Mastrogiacomo monopolizza in queste ore le nostre inquietudini e soprattutto le nostre speranze.

Ma non ci impedisce di vedere che dietro il singolo sequestro ad opera dei talebani, esattamente come dietro il singolo tormento politico italiano, la vicenda afghana si è ormai trasformata in una duplice bomba a orologeria assai difficile da disinnescare: dalle parti di Kabul perché il tentativo di vittoria militare è all’ultima spiaggia e la conquista del consenso popolare appare lontana; a Roma perché l’alchimia delle maggioranze variabili non reggerà per molto alle alternative radicali che l’Afghanistan promette di porre all’Italia. L’Operazione Achille lanciata dalla Nato ha obiettivi ambiziosi. Si tratta di prevenire le annunciate mosse dei talebani e di colpire in anticipo i loro raggruppamenti di forze, di spezzare i collegamenti tra guerriglia, narcotraffico e coltivazioni di oppio, di consentire la riparazione della diga di Kajaki per ripristinare le forniture di elettricità in una vasta regione.

Ma gli uomini impiegati sono soltanto 5.500 (di cui mille afghani), e il ruolo essenziale affidato alla poco attenta aviazione statunitense moltiplica i rischi di nuove stragi di civili come quelle dei giorni scorsi. Accanto alla scontata reazione dei talebani, è proprio questo della crescente ostilità popolare il punto debole dell’offensiva Nato. Nessuna guerra è mai stata vinta «contro» gli afghani. E per conquistarne il consenso servono tutti quei complementi civili (negoziati politici, aiuti economici effettivamente distribuiti, infrastrutture, sostituzione del reddito da oppio) che la comunità internazionale non è stata finora in grado di produrre.

L’Italia, eccoci a noi, litiga ma potrà fare poco se il barometro afghano volgerà al peggio. Perché le ambiguità di impostazione nella maggioranza di governo restano forti. Perché una conferenza di pace come quella che il governo insegue crea problemi con i Paesi vicini (il cruciale e fragile Pakistan, l’Iran che forse dialogherà con gli Usa ma soltanto in Iraq) e, come se non bastasse, insospettisce lo stesso presidente Hamid Karzai. Perché, non partecipando ai combattimenti più duri, noi come la Germania, la Spagna e la Francia abbiamo meno voce in capitolo.

Perché, infine, se la patata bollente passasse all’attuale opposizione le scelte strategiche non potrebbero mutare di molto. Se l’Alleanza atlantica non otterrà una vittoria definitiva (e questa sarebbe una sorpresa) si troverà essa stessa in crisi di identità. E l’Italia, con o senza il governo di Romano Prodi, si scoprirà stretta tra un ritiro impossibile e una missione di pace inattuabile.

07 marzo 2007


La Stampa 7-3-2007 I radical si accorgono di andare alla guerra AUGUSTO MINZOLINI

 

E il premier Prodi confida ai suoi: speriamo che la fortuna ci aiuti

ROMA
Nel transatlantico di Montecitorio Angelo Bonelli, capogruppo dei Verdi, sfoga la sua impotenza verso quella guerra sempre negata in Afghanistan e che oggi bussa prepotentemente alla porta del governo e della maggioranza con il rapimento dell’inviato di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo. «Comincia lo stillicidio - si lamenta - e noi non resisteremo. Se arriveranno le prime bare nessuno riuscirà a controllare l’impatto sul Paese. Neppure Fini. La verità è che in Afghanistan c’è una guerra e i nostri soldati la stanno combattendo. Con una strategia militare per di più sbagliata. Il comando americano ha fatto solo errori. I bombardamenti hanno saldato i contadini con i talebani. I contadini sono diventati dei vietcong: lavorano i campi di giorno e usano il mitra di notte. In più sono tornati i reduci di Al Qaeda dall’Iraq. E come se non bastasse il governo afghano è corrotto: a Kabul le ville si sono moltiplicate. Il problema è che noi non possiamo appoggiare una guerra. Né in Parlamento né nel Paese».

Di questo si parla fuori mentre nell’aula di Montecitorio si svolge un dibattito sul rifinanziamento della nostra missione militare che sembra lontano anni luce dallo scenario tragico di queste ore. Mentre è in corso l’offensiva più imponente lanciata dalla Nato verso il Sud del Paese, alla Camera si discute dell’oppio che si potrebbe comprare dai contadini afghani per dirottarlo nell’industria farmaceutica. Di drogato, però, c’è soprattutto il dibattito con cui una sinistra di governo va alla guerra facendo finta di niente, nascondendo la realtà sotto una spessa coltre di ipocrisia. Era tutto scritto ma nessuno ne ha tenuto conto e, quando il capogruppo dei Verdi al Senato, Manuela Palermi, sull’onda delle notizie da Kabul ieri ha chiesto il ritiro dei nostri soldati e della Nato, si è compreso in tutta la sua drammaticità quanto la soluzione data alla crisi non sia all’altezza della situazione. Ad uno scenario di guerra si è voluto rispondere con il bizantinismo delle «maggioranze variabili». E, adesso, per correre ai ripari, Romano Prodi sta tentando di dare una verniciata istituzionale al suo governo occupandosi in prima persona di legge elettorale. Operazione vana. Nell’opposizione Fini e Casini esigono dalla maggioranza l’ «autosufficienza» sull’Afghanistan mentre il leader dell’Udc ha parole di fuoco verso l’ex-compagno di strada Marco Follini, che ha puntellato un governo inadeguato: «Non possono prendermi in giro - sostiene l’ex presidente della Camera -. Io non sono Follini. C’è chi lo è e chi li ha».

Appunto, la sinistra va alla guerra e ci va nel modo peggiore. E’ successo già in passato, in Kosovo dove un governo di centro-sinistra negò sempre una partecipazione alle operazioni militari, fino ad ammetterla in extremis. Qui si è tentata la stessa operazione in circostanze assai più pericolose. E, adesso, dopo aver ubriacato per settimane il Paese con una lunga serie di «no», il governo conferma, sia pure sottovoce, che ci siamo dentro fino al collo. Le notizie che filtrano non lasciano dubbi: abbiamo sul territorio servizi di intelligence affiancati da «incursori»; il grado di allerta è al massimo livello; i nostri soldati saranno impegnati in operazioni di pattugliamento a piedi e dati i rischi svolgono corsi di «training» psicologico; e si ricomincia con i rapimenti stile Iraq, magari seguiti dai video con i talebani che chiedono al nostro governo di ritirare i soldati. «Ormai la provincia di Herat dove si trova il nostro contingente - ammette il sottosegretario alla Difesa Marco Verzaschi - è zona pericolosa. I nostri si stanno attrezzando. Certo non si può pretendere che non sparino. Certe polemiche non hanno senso. In Afghanistan dobbiamo restare visto che non possiamo uscire dalla Nato, il mondo ci prenderebbe a pernacchie. E’ uno dei motivi per cui D’Alema non voleva più fare il ministro degli Esteri».

Quest’evoluzione era nelle cose tant’è che i ministri più impegnati, D’Alema e Parisi, avevano tentato nelle scorse settimane di drammatizzare e di responsabilizzare governo, maggioranza e Paese. Con scarsi risultati visto che questa coalizione, per sua natura, può andare in guerra solo adottando la politica dello struzzo, cioè nascondendoselo. Altrimenti non regge, non tanto nel Palazzo quanto nel Paese: alle Europee del ’99, dopo aver fatto parte del governo D’Alema impegnato nella guerra in Kosovo, i Verdi toccarono il loro minimo storico. Ora il rischio è lo stesso. «Non possiamo - ammette Marco Rizzo del Pdci - gestire una fase del genere per molto tempo. Per ora è Rifondazione sotto schiaffo e ci copre tutti. Ma se in Afghanistan la situazione si complica, un devastante tsunami potrebbe investire tutto l’arcipelago della sinistra massimalista, arrivando a toccare anche la sinistra ds. Se poi c’è il combinato disposto con le questioni sociali, finisce male. Io mi chiedo come faceva il governo italiano a non sapere che era in preparazione un’offensiva Nato». «Finora teniamo - si rincuora il capogruppo di Rifondazione,Gennaro Migliore - ma se c’è un’escalation nasce un grosso problema per noi, per i ds e per il governo». Appunto, il centro-sinistra non è strutturato per la guerra.

«Il “no” alla guerra sempre e comunque - spiega Lanfranco Turci - è nel dna di una certa sinistra». «Sono le contraddizioni della politica estera di questa maggioranza - osserva il diessino Giuseppe Caldarola - e l’ipocrisia con cui vengono coperte è sinonimo di irresponsabilità». Sì, perché il nemico può inserirsi in queste contraddizioni. Come in Iraq. «Causa il dibattito politico - è l’analisi di Rocco Buttiglione - l’Italia è considerata l’anello debole della Nato e c’è il rischio che vengano colpiti preferenzialmente i nostri soldati per forzarci al ritiro». Solo che il dilemma «ritiro» o «non ritiro» è insito in questa maggioranza di governo. E’ un problema che per sua natura non si può risolvere. E allora bisogna affidarsi come Prodi a qualcosa che esula dall’azione politica: «Speriamo - è la frase con cui si è fatto forza ieri sera - che la fortuna ci aiuti».

 


Il Giornale di Brescia 7-3-2007 Dico: Salvi (Correntone Ds) boccia il Ddl del Governo, scontro con la Bindi

 

MAGGIORANZA DIVISA SULLE UNIONI CIVILI

L'esponente dei Ds, Cesare Salvi ROMA - "Per tutto il tempo della relazione nella quale Salvi ha demolito il disegno di legge del governo punto per punto, il ministro per la Famiglia Rosy Bindi ha sempre scosso la testa in segno di dissenso. Ma Salvi non le ha mai concesso la parola per esprimere la sua contrarietà...". La scena, raccontata dal capogruppo della Lega al Senato Roberto Castelli al termine della seduta della commissione Giustizia di Palazzo Madama dedicata ai Dico, è forse quella che rende meglio l'idea del livello di tensione che c'è nella maggioranza sui Dico. Ma anche lo scambio di battute fuori dall'Aula tra i diretti interessati, Cesare Salvi e Rosy Bindi, non delude le aspettative. Il senatore Ds dichiara che il ddl del governo "è privo di un impianto giuridico valido per poter essere adottato come testo base". E la ministra replica: "Evidentemente nella lettura di questo testo lui non è riuscito a capire fino in fondo il senso di equilibrio e la giustezza che contiene...". Il governo, sottolinea, è aperto alle modifiche a patto però che non si cerchi di introdurre "forme di paramatrimonio". Nella maggioranza, insomma, lo scontro sui Dico è più che mai aperto. A cominciare dai Ds che non nascondono il malcontento per come Salvi sta gestendo la questione. La "sua bocciatura" del ddl governativo, dichiara il senatore della Quercia Giorgio Tonini, risponde in realtà "a un intento ideologico" per dimostrare "che nel Partito Democratico non ci può essere un'intesa tra laici e cattolici su temi eticamente sensibili". È vero, aggiungono sempre tra i Ds, che alla fine il testo del governo è diventato un "mostro giuridico" visto che toglie l'aspetto della volontarietà e che prevede procedure discutibili come quella dell'invio della raccomandata al partner che non ha fatto la dichiarazione di convivenza, ma è anche vero che su questa storia sono stati fatti "troppi errori" come quello di togliere la questione alla Camera per affidarla al Senato. In particolare, si punta il dito contro il famoso ordine del giorno alla finanziaria che impegnava il governo a legiferare in materia pur di coprire "la gaffe" del ritiro dell'emendamento che estendeva ai conviventi benefici fiscali. Il dibattito sui Dico comunque, assicurano Salvi e la capogruppo dell'Ulivo Anna Finocchiaro, "non sarà insabbiato" e avrà "un suo tempo fisiologico". Intanto però oggi prima battuta d'arresto: si riunirà solo l'ufficio di presidenza della commissione per definire tempi ed eventuali audizioni. Nell'attesa, mentre il 64% degli italiani considera l'omosessualità una condizione naturale, la maggioranza continua a dividersi organizzando due diverse manifestazioni: una a sostegno dei Dico il 10 marzo a Roma e un'altra a maggio già battezzata come "family day". La Cdl, intanto, esulta e chiede a gran voce, dopo la bocciatura di Salvi, il ritiro del ddl del governo.

 

 

Il Riformista 7-3-2007 LA LEZIONE DI CACCIARI Marziani in laguna

Ai ministri che hanno maturato la decisione di manifestare pro (Pecoraro Scanio) o contro (Fioroni) i Dico, è toccata ieri la tiratina di orecchi del professor Massimo Cacciari. In un’intervista al Corriere della Sera - intitolata: «Cacciari: politici in piazza? Mai è un segno di crisi» - il sindaco di Venezia ha agitato la bacchetta. Sottolineando che «un politico che va in piazza non sa fare il suo mestiere» e rilevando che partecipare alla manifestazione dell’Arcigay o al family day «è un segno di crisi».
Ai più distratti, Cacciari ricorda che «la democrazia si basa sulla dialettica della rappresentanza: ascolto ciò che dice la gente e su quella base decido. È chiaro - continua il ragionamento del sindaco lagunare - che non ci potrà mai essere una perfetta identità. Il rappresentate, cioè il politico, fa sintesi di coloro che rappresenta. Se il “rappresentante si fa identico al “rappresentato”, se ne diventa la copia e “partecipa” anche lui, allora si elimina l’idea stessa di rappresentanza e cessa la democrazia».
L’argomentazione è chiara, semplice, lucida. Talmente chiara, semplice e lucida che Pecoraro e Fioroni dovrebbero da soli mettersi idealmente dietro la lavagna, in punizione.
Peccato che Cacciari abbia però dimenticato quando lui stesso, che in quanto sindaco fa il “rappresentante”, circa cinque mesi fa (mesi, non anni) scese in piazza al fianco degli artigiani e dei commercianti da lui “rappresentati” per protestare con loro contro la finanziaria. Cosa dobbiamo pensare? Che Cacciari all’epoca volesse cancellare l’idea stessa di rappresentanza o far cessare la democrazia? Tutt’altro. In quei giorni, a chi lo attaccava per la sua presenza alla manifestazione anti-governo, il sindaco di Venezia rispondeva che nel centrosinistra «ci sono problemi di ordine psicologico». E aggiungeva: «Certe reazioni ai miei comportamenti sono cose da marziani». Ora il marziano sta in laguna, e per la precisione a Ca’ Farsetti. Sembra quasi il titolo di un film. Forse degno del Leone d’Oro.

 


La Repubblica 6-3-2007 Tlc, nel mirino lo scatto alla risposta L'Agcom: "E' una anomalia, va abolito"

 

L'Autorità annuncia anche "una drastica riduzione" delle tariffe di roaming. E avverte: "Possibili multe fino a 2,5 milioni di euro in caso di infrazione"

 


ROMA - Dopo il taglio dei costi di ricarica, l'Agcom, l'autorità garante per le telecomunicazioni, prende di mira lo scatto alla risposta e le tariffe del roaming internazionale. Il primo è il costo extra che paga chi chiama quando inizia la conversazione. Il roaming, invece, è il servizio utilizzato dagli operatori telefonici di telefoni cellulari per permettere agli utenti all'estero di collegarsi utilizzando una rete non di loro proprietà.

"Lo scatto alla risposta è un'anomalia", spiega il presidente Corrado Calabro, che ne propone l'abolizione in tempi brevi, inserendolo direttamente del decreto Bersani sulle liberalizzazione, la cui conversione in legge è già all'esame delle Camere. Per una "drastica riduzione" delle tariffe di roaming internazionale, invece, avverte Calabrò, bisognerà aspettare luglio.

La notizia arriva proprio mentre
infuriano le polemiche tra operatori telefonici e l'autorità sul taglio dei costi di ricarica. Il giorno dopo il debutto delle ricariche senza extra-costi, infatti, sono state segnalate molte irregolatità nell'attuazione delle direttive da parte delle associazioni dei consumatori. All'Agcom fanno sapere che sono in corso gli accertamenti. "Stiamo indagando - spiega Calabrò - e in caso di infrazioni, abbiamo la possibilità di comminare multe fino a 2,5 milioni di euro".
(6 marzo 2007)


 

La Stampa 7-3-2007 Scatta l'allarme siccità, E Prodi mobilita le Prefetture GABRIELE BECCARIA

Il piano del governo: riduzioni dell'eso dell'acqua per motivi non essenziali

 

ROMA
Siccità: ora si allarma Romano Prodi. Se gli ultimi dati hanno fatto piazza pulita di ogni dubbio (non c’è abbastanza acqua), si deve scongiurare un’estate a secco, con «un piano di misure» e - ammonisce il premier - «celermente». Tutti, pubblici e privati, sono invitati a dare il loro contributo, collaborando per risparmiare le risorse idriche, troppo spesso affidate a «una gestione irrazionale, inadeguata e conflittuale». Il monito è in una circolare, che contiene «le indicazioni operative» per fronteggiare un’eventuale crisi ed è rivolta a ministri, presidenti di Regioni e prefetti.

Lo stato dei corsi d’acqua e dei bacini è più che preoccupante. Ecco qualche numero: il deficit delle precipitazioni nel periodo autunno-inverno - calcola il rapporto della Protezione Civile diffuso ieri - si ferma su valori tra il 20 e il 40% inferiori a quelli medi, ma in alcune zone del Nord-Est e del Centro si scende al 50-60% in meno. E non solo: la neve ricopre un terzo del territorio che imbiancava l’anno scorso. Anche per questo il Po, in tutte e cinque le stazioni di rilevamento, ha una portata di 500 metri cubi al secondo inferiore alla media, mentre il lago di Garda - aggiunge la ricerca - è «ben al di sotto della media». Ecco perché la circolare punta a una serie di interventi per utilizzare al meglio le magre risorse che restano: servono misure - si dice in gergo politichese - «per rafforzare, da un lato, i sistemi di previsione e monitoraggio e, dall’altro, per garantire la prevenzione, il contrasto e la mitigazione dei danni». Ed è per questo motivo che si chiede «la più stretta collaborazione» tra tutte le amministrazioni.

Il premier, in particolare, raccomanda un più accurato scambio di informazioni, che dovranno essere convogliate alla Protezione Civile: saranno poi i suoi team a predisporre gli interventi in caso di necessità e uno dei primi potrebbe essere il varo di una «cabina di regia», come avvenne nel 2003, per centralizzare le decisioni, evitando confusioni. Ma, se non si riuscisse ad arginare l’emergenza, il premier non esclude «la riduzione o l’interdizione delle erogazioni per consumi idrici destinati a usi non essenziali». Sono in vista sacrifici, ricordando la nota polemica della lettera: «Le crisi sono spesso originate da una gestione irrazionale, inadeguata e conflittuale dell’acqua».

 


 INDICE  5-3-2007

 

§         ++ Il Corriere della Sera 5-3-2007 Afghanistan, D'Alema: «Molto preoccupati»

§         ++ La Repubblica 5-3-2007 Ricariche cellulari, il Garante per le Tlc I consumatori soddisfatti: "Tutto regolare nell'applicazione del decreto". Dubbi della Ue sull'indipendenza dell'Agcom

§         ++ Il Corriere della Sera 5-3-2007. Il presidente della Camera sulla proposta Amato: «Sì ma solo con l'ok di tutto il centrosinistra». Mastella: «Intesa su atti neutri» No di Forza Italia e An. Cicchitto: «Solo un'astuzia della sinistra»

§         + Il Corriere della Sera  5-3-2007 Il ministro dell'Interno dopo la crisi del governo Prodi «Maggioranze variabili sulle singole misure» Aldo Cazzullo

§         + Il Riformista 5-3-2007 Il futuro della sinistra. Partito Democratico e questione socialista. Noi e le divisioni del mondo riformista  DI PAOLO FRANCHI

§         + Il Corriere della Sera 5-3-2007 Sequestrate 400 agenzie Money Transfer. Transazioni irregolari per 88 milioni

§         Il Corriere della Sera 5-3-2007 Telefonini: via i costi di ricarica Parte l'attuazione del Decreto Bersani che prevede l'abolizione del costo fisso. Le compagnie rispondono con strategie diverse  1

§         La Repubblica 5-3-2007 Benzina, Tesoro in campo contro i rincari "Occorre razionalizzare la rete" di ROBERTO MANIA  1. Nei dati del ministero, l'Italia è più cara degli altri paesi ma non per il peso del fisco. Troppi i distributori 1

§         Il Corriere della Sera 5-3-2007 ALBERIGO "Sbagliato evocare sempre nemici Molti dubbi anche dentro la Chiesa" Gian Guido Vecchi 1

§         La Repubblica 5-3-2007"I cattolici difendano la famiglia la Chiesa ha il dovere di richiamarli" di FRANCO MANZITTI 2. L'arcivescovo Bagnasco, candidato alla successione di Ruini: "Mostriamo la forza della nostra identità" 2

§         Il Corriere della Sera 5-3-2007 PERA "Sì all'appello del presidente Cei In gioco tutta la cultura occidentale" Marco Galluzzo  2

§         Il Sole 24 Ore 5-3-2007  Bilanci, dalle imprese lmbarde un terzo delle imposte di Emanuele Scarci 2

§         La Stampa 5-3-2007 Ahmadinejad a Riad, cordiale nemico IL PRIMO INCONTRO TRA IL SOVRANO SUNNITA E IL PRESIDENTE SCIITA  3

 


 ++ Il Corriere della Sera 5-3-2007 Afghanistan, D'Alema: «Molto preoccupati»

«Giusta la richiesta di Karzai per un'inchiesta indipendente»

Il ministro degli Esteri da Bruxelles: «Siamo molto turbati per la morte dei civili e per il sentimento di ostilità verso i militari»

 BRUXELLES - L'Italia è «molto preoccupata» di quanto sta succedendo in Afghanistan, e gli ultimi incidenti hanno provocato «grande turbamento, al di là degli aspetti giuridici». Lo ha detto il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, che si trova a Bruxelles per partecipare al Consiglio affari generali e relazioni esterne insieme ai colleghi dell'Unione europea. La dichiarazione di D'Alema arriva all'indomani della morte di numerosi civili a Jalalabad in seguito a un'imboscata ai soldati americani (i marines avrebbero aperto il fuoco sulle auto di passaggio dopo l'attacco) e poche ore dopo il nuovo raid americano che ha provocato 9 morti (mentre, sul fronte della politica interna, martedì è previsto alla Camera il voto sul decreto di rifinanziamento delle missioni militari). Per chiarire come siano andate le cose, ha aggiunto il responsabile della Farnesina, «è giusta la richiesta del presidente Karzai per l'apertura di un'inchiesta indipendente».

CRESCITA DELLA VIOLENZA - «È una situazione molto preoccupante che possa esserci una crescita della violenza e che possa diffondersi tra i cittadini afghani un sentimento di ostilità verso i militari della Nato: noi siamo lì per difenderli e ciò sarebbe una sconfitta», ha detto D'Alema. Per il ministro degli Esteri, «tutto questo richiede una riflessione molto seria perché le cose possano andare meglio. Ad esempio - ha sottolineato D'Alema - non uccidere civili potrebbe contribuire a far andare meglio le cose». Sulla responsabilità degli incidenti, se debba essere attribuita alla Nato o a un comando Usa, D'Alema ha detto: «Nessuno ha ordinato di sparare sui civili, né la Nato, né gli Usa. Non ci sono comandi che ordinano queste cose».

CONFERENZA - Sempre sulla questione afgana, D'Alema ha spiegato che nella relazione davanti al Consiglio di sicurezza dell'Onu, affidata all'Italia, il ministro il 20 marzo ribadirà la necessità di una conferenza internazionale di pace. «Noi - ha detto - spiegheremo alle Nazioni Unite perché l'Italia ritiene essenziale che ci sia una conferenza per la pace in Afghanistan che coinvolga tutti i paesi vicini e l'intera comunità internazionale. Chiaramente quello è il momento in cui è necessario spiegare le ragioni per cui riteniamo che sia indispensabile che ci si dia un appuntamento di questo tipo». Il titolare della Farnesina ha sottolineato che «la conferenza per la pace deve coinvolgere gli stati interessati, poi si tratta di vedere chi intende parteciparvi».

PALESTINESI - D'Alema ha parlato anche di Medio Oriente. «L'Italia ritiene che la formazione di un governo di unità nazionale (quello palestinese, ndr) dopo l'accordo tra Hamas e Fatah sia un indiscutibile passo in avanti: l'alternativa è la guerra civile».

05 marzo 2007 


++ La Repubblica 5-3-2007 Ricariche cellulari, il Garante per le Tlc I consumatori soddisfatti: "Tutto regolare nell'applicazione del decreto". Dubbi della Ue sull'indipendenza dell'Agcom

 

ROMA - Scatta da oggi il decreto Bersani che elimina i costi aggiuntivi nelle ricariche dei cellulari e che e scatta subito il primo intervento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. L'Agcom, infatti, ha chiesto chiarimenti a Wind e a Vodafone in materia tariffaria e in merito all'applicazione dell'abolizione del costo della ricarica telefonica, in vigore da oggi.
L'Agcom, in dettaglio, ha rivolto a Wind una richiesta di chiarimento 'urgente' su alcune strategie commerciali che potrebbero essere in contrasto con quanto previsto dal decreto Bersani, cioè l'obbligo di eliminare i contributi di ricarica su tutte le schede prepagate. Wind, secondo quanto comunicato nei giorni scorsi, ha infatti deciso che per le schede telefoniche inferiori ai 50 euro il costo di ricarica resta (viene abolito per i tagli superiori), ma non viene applicato nel caso in cui il cliente decida di passare a nuovi piani tariffari predisposti.
L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha chiesto chiarimenti urgenti anche a Vodafone in merito al cosiddetto 'contributo sul trasferimento del credito residuo'. In pratica il gestore chiede un rimborso di 8 euro per restituire il credito residuo al cliente, "ma gli 8 euro richiesti all'utente - fanno sapere da Vodafone - sono inferiori ai costi vivi sostenuti dall'azienda per l'operazione tecnica di trasferimento e sono coerenti con il decreto Bersani che consente il rimborso dei costi sostenuti. Inoltre - dicono ancora da Vodafone - noi siamo l'unica società ad effettuare questa operazione di restituzione con soldi veri".
Ma per le associazioni dei consumatori l'abolizione dei costi aggiuntivi previsti dal decreto Bersani si è svolta in modo regolare. Adusbef e Federconsumatori hanno effettuato questa mattina un monitoraggio in un trentina di negozi di telefonia mobile a Roma e Milano, per verificare sul campo il rispetto del decreto. I rappresentanti delle due associazioni dei consumatori hanno fatto le proprie verifiche mescolandosi alla clientela. Occhi puntanti soprattutto su Wind, "che nei giorni scorsi aveva affermato di voler continuare ad applicare i costi di ricarica per i tagli sotto i 50 euro e di voler continuare a richiedere i costi di ricarica ai vecchi clienti che non volesseso abbandonare i vecchi piani tariffari per accedere a nuovi". "Ma nei negozi visitati dalle due associazioni - fa sapere la nota - non erano disponibili, fino alle ore 12 di stamane, ricariche dell'egiziana Wind sotto i 50 euro".
Intanto l'Unione europea solleva dei dubbi sull'indipendenza dell'agicom, l'organismo di regolazione delle comunicazioni in italia. Lo ha ribadito il portavoce della commissaria Ue alle Tlc Viviane Reding. "Siamo in contatto e stiamo discutendo con le autorità italiane sull'abolizione dei costi della ricarica dei cellulari", ha detto il portavoce. "Noi condividiamo l'obiettivo di proteggere meglio i consumatori, ma abbiamo sollevato delle questioni procedurali relative alla indipendenza dell'Agicom nell'attuazione della legge".

(5 marzo 2007)


 

++ Il Corriere della Sera 5-3-2007. Il presidente della Camera sulla proposta Amato: «Sì ma solo con l'ok di tutto il centrosinistra». Mastella: «Intesa su atti neutri» No di Forza Italia e An. Cicchitto: «Solo un'astuzia della sinistra»

 

Maggioranze variabili, i paletti di Bertinotti

ROMA - Maggioranze variabili? Fausto Bertinotti, intervistato da Ferrara per Otto e mezzo, che andrà in onda lunedì sera su La7, mette i paletti alla possibilità di dar vita a maggioranze diverse dall' attuale su singoli temi. + Il Corriere della Sera  5-3-2007 Amato «Maggioranze variabili sulle singole misure» Aldo Cazzullo «Le geometrie variabili - spiega Bertinotti - possono andar bene solo nel caso in cui la maggioranza tutta ritenga che un certo argomento possa essere affrontato in questo modo, senza mettere in discussione la maggioranza stessa. Certo le geometrie variabili non possono essere usate come una clava. Se, per esempio, per 10 volte viene fuori un'altra maggioranza, diciamo aperta al centro, allora quella è un'altra maggioranza di governo».
MASTELLA - Disponibilità totale o quasi arriva da Mastella. Visto che c'è «una quasi maggioranza al Senato», per il Guardasigilli «soprattutto sui fatti istituzionali, è buona norma applicarsi a chiedere consenso all'opposizione, tenendo conto che si tratta di atti neutri». Disponibilità «che può essere data tenendo conto che non c'è una alternativa, dato il sistema vigente».
FORZA ITALIA E AN - Sull'argomento Forza Italia fa muro. Il vice coordinatore azzurro, Cicchitto non crede nella buona fede di Amato perché «la sinistra cerca di fare i conti, ma solo sul terreno dell'astuzia». Sandro Bondi, coordinatore nazionale del partito di Berlusconi, rincara. La proposta del titolare del Viminale viene derubricata a «spericolata formula politica» a «bizantismo». «Peccato - conclude Bondi - che la proverbiale intelligenza politica del ministro conduca ad esiti tanto deludenti, visto che la realtà ha già superato la sua pur fertile immaginazione». Anche An sbarra la strada. «Proporre maggioranze variabili su singole misure è un escamotage per salvare il governo» dice Altero Matteoli, presidente dei senatori.

05 marzo 2007


 

+ Il Corriere della Sera  5-3-2007 Il ministro dell'Interno dopo la crisi del governo Prodi «Maggioranze variabili sulle singole misure» Aldo Cazzullo

 

 

Amato: «Sarà il Colle a impedire che si superi il limite. I Dico? Testo migliorabile, ora serve una riflessione»

 

 

ROMA- Racconta Giuliano Amato che in questi giorni ha riletto un saggio del suo maestro di diritto costituzionale, Carlo Lavagna: «Maggioranza al governo e maggioranze parlamentari», 1974.
«Ho ritrovato una vecchia copia, con i punti interrogativi che avevo annotato allora. Ricordo che polemizzai con il mio maestro, là dove argomenta che le maggioranze sulle singole misure non necessariamente coincidono con la maggioranza della fiducia».
Ministro Amato, è quello che potrebbe accadere presto al governo Prodi. Le maggioranze variabili non rischiano di riaprire la crisi?
«Non è così. Il mio maestro esagerava nello sminuire la maggioranza della fiducia, ma diceva una cosa fondamentalmente giusta. Sono le forze politiche a dover decidere se il sostegno di una maggioranza diversa a un singolo provvedimento rappresenti una ragione per togliere la fiducia. Se non lo fanno, vorrà dire che esse, pur non condividendo quella misura, hanno ritenuto di non essere state "tradite"».
Sta dicendo che se la missione in Afghanistan passa con i voti della destra il problema non è di Prodi ma della sinistra radicale?
«Il giudizio è effettivamente loro, e in ogni caso avviene sotto il riflettore del capo dello Stato. E un capo dello Stato come Napolitano non consentirà alle maggioranze variabili di andare oltre un certo limite. Di sicuro la Costituzione non prevede che a ogni votazione si riproponga la maggioranza della fiducia. Certo, qualunque costituzionalista le direbbe che, se la legge di bilancio passasse con una maggioranza diversa, il governo si dovrebbe dimettere».
Secondo lei come esce il governo dalla crisi?
«Questo scossone poteva anche non esserci; ma, visto che c’è stato, a mio avviso può risultare utile. Perché ha fatto guadagnare al governo un orizzonte più nitido, ponendo fine a quella bramosia che circolava nel sistema di sostituire prima o poi questo governo con un altro che facesse la legge elettorale ».
Si era parlato infatti di un governo istituzionale, guidato magari proprio da lei.
«Non amo le autocitazioni, ma la mia uscita dei primi di gennaio, che parve allora molto eterodossa, aveva proprio questo fine: affiancare al lavoro di governo il lavoro per la futura legge elettorale e le riforme istituzionali connesse ».
Lei propose allora lo strumento della Convenzione. E’ un’idea ancora valida?
«La battaglia sullo strumento rischia di diventare di principio e non intendo parteciparvi. Decideranno i gruppi parlamentari. Quello che mi interessa è che si sia tagliata l’erba sotto i piedi a chi pensava a un altro governo per la legge elettorale. Ci siamo arrivati anche grazie al capo dello Stato che ha avuto un ruolo molto positivo di stabilizzazione del sistema politico. Napolitano ha messo in chiaro che noi avevamo la responsabilità di garantire la governabilità, che con questa legge è impossibile. E’ stato anche giusto chiedere al governo la maggioranza dei senatori eletti, il fatidico 158 su 315. Questo non diminuisce il valore del voto dei senatori a vita, ma fa valere il basilare principio democratico per cui un governo deve avere la maggioranza degli eletti».
Scrive Scalfari su "Repubblica" che Prodi dovrà "governare con il Parlamento", senza arroccarsi sulla sua maggioranza. Ma l’apertura all’opposizione non porterà alla rottura con la sinistra radicale?
«È dall’inizio della legislatura che Napolitano sostiene giustamente che una cosa è il bipolarismo, un’altra è la guerra tra federali e pellerossa e l’assedio di Fort Apache. Abbiamo creato la contrapposizione bipolare per rafforzare i governi, ma l’abbiamo condotta a una tale esasperazione da renderla inadeguata all’obiettivo. Ciò dipende da almeno due ragioni. Gli odi e gli amori che suscita una personalità come quella di Berlusconi. Berlusconi ha detto una cosa giusta: il suo nome ha generato un sostantivo, un nuovo "ismo" — berlusconismo e antiberlusconismo —, il che indica una forte peculiarità legata alla sua persona. Quando tra cent’anni Berlusconi non ci sarà più, il nostro bipolarismo cambierà. Poi c’è l’eterogeneità delle nostre coalizioni: sia il centrodestra sia il centrosinistra hanno alle rispettive estreme un peso forte, che aumenta l’attrito con l’altra coalizione. Anche se in coscienza devo riconoscere che la Lega nella passata legislatura e ora l’estrema sinistra hanno fatto uno sforzo per adeguarsi, per modificare le loro istanze ai fini della responsabilità di governo. A me pare che lo sforzo di Rifondazione stia dando frutti indiscutibili, anche se rimangono al suo interno componenti che strutturalmente rifiutano quelle responsabilità».
Non creeranno problemi neppure i 12 punti, con l’esclusione dei Dico? Non sono una torsione verso il centro?
«I 12 punti non rappresentano una torsione. Sono un elenco di misure che il governo deve ancora adottare. Sui Dico il governo ha già presentato un disegno di legge».
Il cardinale Ruini, nel colloquio con Virginia Piccolillo del Corriere, risponde al suo invito a non demonizzare le coppie di fatto e le definisce «una libera scelta che va rispettata».
«Sono convinto da tempo che questo sia il pensiero del cardinale Ruini. Non a caso, diversi mesi fa disse una cosa che io condivido: sarebbe grave attribuire alle convivenze di fatto uno status giuridico più omeno analogo al matrimonio. Mentre è giusto lenire le sofferenze ed eliminare le ingiustizie che possono esserci a danno delle persone che fanno parte di queste convivenze. Nell’elaborare il disegno di legge, il governo si èmantenuto entro questo perimetro».
Ruini dice anche che i conviventi non sentono il bisogno di «una struttura giuridica». Che cosa deve fare il governo ora? Disinteressarsi dei Dico? O spingere per la loro approvazione?
«Sono convinto che quel testo, come qualsiasi altro, sia migliorabile. Se è vero che può essere considerato da molti come non prioritario, ciò non toglie che rifletta esigenze di giustizia e sia giusto occuparsene. Ora, di tutto abbiamo bisogno fuorché di prove muscolari tra chi lo vorrebbe votare subito e chi lo vorrebbe buttare dalla finestra. Ci si rifletta. Se ne discuta, e si discuta sul merito».
Nessuna battaglia ideologica, nessuna guerra culturale quindi?
«Ciascun commento sia riferito alle proposte specifiche che sono sul tappeto. Altrimenti si rischia di tornare alle pregiudiziali. Sono pronto a discuterne ovunque, dalle aule parlamentari all’università Gregoriana, con interlocutori disposti come me a non fermarsi alle pregiudiziali».
Lei crede che il bipolarismo italiano abbia un futuro? O sostiene, come Follini e Casini, che vada superato, magari con una riforma elettorale alla tedesca?
«Io resto un fautore del bipolarismo, anche se temo che il nostro abbia bisogno di più tempo di quanto abbiamo sperato per "maturare". Ma la sua maturazione è molto più legata alla forza della politica che non agli espedienti dei sistemi elettorali. Sono un cultore della vecchia lezione di Duverger, per cui la politica debole è plasmata dai sistemi elettorali, mentre la politica forte li adatta a sé. Oggi lo spartiacque sembra essere tra chi ama il bipolarismo e odia il modello tedesco, e chi odiando il bipolarismo il modello tedesco lo vorrebbe sposare. Ma torno a dire che imodelli sono il Santo Graal dei poveri di spirito, e chi considera una cosa di per sé un modello vuol dire che non sa esattamente cosa vuole. Gli effetti di cui si parla non sono mai effetti del sistema elettorale in quanto tale, ma dell’interazione tra il sistema elettorale e il sistema politico».
Il problema è che in Italia la politica appare più debole che forte. «Appunto. Se affrontassimo il sistema tedesco con partiti deboli, poco strutturati, poco convinti di sé, è più che presumibile che la logica proporzionale prevarrebbe sul bipolarismo. Se invece il centrodestra darà vita a un nuovo partito, sia che lo comprenda tutto sia che ne comprenda solo una parte, e se noi daremo vita al Partito democratico, la logica proporzionale cederebbe a quella del collegio uninominale. Com’è accaduto in Germania».
Ma la legge elettorale ha tempi più stretti della nascita dei nuovi partiti.
«Questo è da vedere. Se si pensa di fare tutto di fretta e poi andare al voto in pochi mesi, non sarà facile. La mia impressione è che sarà molto complicato trovare il consenso sul modello tedesco, per via della clausola dello sbarramento al 5%. I piccoli partiti possono anche immettersi in un processo che li induca ad aggregarsi, ma non a suicidarsi. E poi non si può affrontare la legge elettorale senza interessarsi alle questioni costituzionali connesse: il superamento del bicameralismo perfetto e la riduzione del numero dei deputati».
Quale potrebbe essere la legge più adatta al sistema politico italiano?
«Lo si vedrà in relazione alle posizioni di ciascuno, con un minimo essenziale: restituire ai cittadini la scelta degli eletti, oltre alla scelta della coalizione di governo. È possibile che io non mi presenti più alle prossime elezioni, ma è certo che non mi presenterò mai più di fronte agli elettori sapendo già di essere eletto, per una decisione non loro ma delle segreterie di partito. E siccome non credo che la soluzione sia mantenere le liste introducendo le preferenze, che infiniti addusse lutti agli Achei — di cui è bene ricordarsi —, si potrebbe tornare a collegi uninominali, o in alternativa introdurre collegi plurinominali purché piccoli, con due o tre nomi».
Ma senza il modello tedesco i riformisti possono dire addio alla prospettiva dell’alleanza con l’Udc.
«Non è detto. I processi politici, come i processi chimici, sono fatti dall’interazione tra fattori diversi: da una parte l’interazione tra l’Udc e il centrosinistra, dall’altra l’interazione tra l’Udc e il centrodestra. Gli effetti dipendono non solo dalla legge elettorale ma da molti fattori; non ultimo il Partito democratico. Che dovrà nascere più rapidamente di quanto pensassimo all’inizio. La scadenza delle europee 2009 è troppo lontana: non tanto perché possano venire prima le politiche, quanto perché il processo costituente che i due partiti maggiori apriranno tra due mesi non potrà durare due anni senza che si perda la tensione necessaria».

05 marzo 2007


+ Il Riformista 5-3-2007 Il futuro della sinistra. Partito Democratico e questione socialista. Noi e le divisioni del mondo riformista  DI PAOLO FRANCHI

Si farà, il Partito democratico, e tutto lascia pensare che si farà più in fretta di quanto avessero messo in conto gli stati maggiori di Quercia e Margherita. Si farà, il Partito democratico, e probabilmente nei Ds avrà dalla sua ancora più consensi congressuali di quanto si potesse pensare all'inizio: anche a giudicare dai risultati dei primi congressi delle sezioni, o come si chiamano adesso, per le mozioni di Mussi e di Angius non sembra proprio tirare buon vento. Tutto questo è (relativamente) chiaro già adesso. Ma è altrettanto chiaro che la costituzione del Pd è destinata a provocare un terremoto in quel che resta della sinistra italiana. E anche all'interno dell'area cui questo giornale dichiaratamente si richiama, e continuerà qualsiasi cosa avvenga a richiamarsi: in una parola, tra i riformisti.
Già se ne avvertono, anche sul nostro giornale, o attorno al nostro giornale, le prime avvisaglie, e magari anche qualcosa di più. È il caso quindi di chiarire subito, in primo luogo ai nostri lettori, comprensibilmente appassionati alla questione assai più di quanto lo sia la grande maggioranza degli italiani, come intendiamo comportarci. I termini della divisione appaiono sin troppo evidenti. Li richiamo sommariamente, scusandomi con gli interessati per l'inevitabile schematicità. Da una parte ci sono nostri amici e nostri autorevoli collaboratori (faccio per tutti i nomi di Michele Salvati, Enrico Morando, Umberto Ranieri, Claudia Mancina) sicuramente riformisti, sicuramente liberalsocialisti, ai quali non piace il modo in cui il Pd sta prendendo forma, ma restano convinti che senza il Pd non si va da nessuna parte; e proprio per questo fanno appello a tutti i riformisti, a tutti i liberalsocialisti, perché facciano la loro parte perché il Pd non sia solo il partito unico dei postcomunisti e dei postdemocristiani, ma del riformismo di matrice liberalsocialista porti il più possibile il segno: di questo hanno scritto e scriveranno ancora sul Riformista, di questo hanno parlato venerdì, a Roma, al convegno dei liberal Ds, e parleranno ancora. Dall'altra ci sono altrettanti (e anche più) nostri amici e autorevoli collaboratori (faccio per tutti i nomi di Emanuele Macaluso, Rino Formica, Massimo L.Salvadori, Peppino Caldarola, Lanfranco Turci), secondo i quali è l'idea stessa del Pd a non stare in piedi se non come una fusione a freddo dei ceti politici di Ds e Margherita. È inutile e sbagliato, dunque, provarsi a correggerla dall'interno, è utile e giusto, invece, giacché la questione socialista non è un fastidioso ingombro lasciatoci in eredità dal Novecento, mettere all'ordine del giorno non un'impossibile e impensabile resurrezione del Psi, o magari del Psiup, ma la fase costituente di una nuova forza, laica e liberale, del socialismo italiano, intenzionata a interloquire con tutto quel mondo laico e liberale che nel Pd non si riconosce, e anche con la sinistra Ds, se e in quanto questa fa del socialismo europeo il suo ancoraggio: è il tema posto con grande passione, questo fine settimana, nell'affollato incontro di Bertinoro, e sollevato anche dalle tesi dello Sdi.
Non intendo affatto nascondere le mie convinzioni, peraltro note ai lettori: il socialismo non è un cane morto; assumerlo apertamente come punto di riferimento non è un ritorno al passato, ma semmai un ritorno al futuro; ed è proprio il Partito democratico, per come sta prendendo forma, a riattualizzare, in Italia, quell'aspetto ineludibile della questione della sinistra che è la questione socialista. Ma queste mie convinzioni non impediranno certo al Riformista di continuare ad essere, e anzi di diventare sempre di più, la tribuna per così dire naturale di tutte le posizioni in campo. Siamo già nel vivo di una partita difficile e complicata, destinata a concludersi con una separazione politica. Faremo la nostra parte perché si tratti di una separazione il più possibile serena e consensuale, non illividita da quello spirito di scissione che la sinistra si porta appresso da una vita. Perché i riformisti restino amici e compagni - una comunità di amici e di compagni - anche se le strade si divideranno.

 


+ Il Corriere della Sera 5-3-2007 Sequestrate 400 agenzie Money transfer. Transazioni irregolari per 88 milioni

L'indagine della Procura di Ancona e della DDA estesa a tutta Italia. Irregolari oltre 280mila trasferimenti di denaro verso l'estero per conto di immigrati

ANCONA - Quattrocento agenzie abusive del circuito 'Money transfer', che trasferivano denaro all'estero soprattutto per conto di lavoratori immigrati, sono state sequestrate in tutta Italia dalla Guardia di finanza di Ancona e dal Nucleo speciale di polizia valutaria di Roma, nell'ambito di un'inchiesta della Procura distrettuale antimafia anconetana. Le agenzie sono tutte riconducibili a tre società mandatarie di Roma, Milano e Verona. Perquisizioni e sequestri hanno interessato tutte le regioni, tranne la Sardegna e il Molise.
Oltre 280 mila le transazioni irregolari accertate dai finanzieri, per un importo complessivo di circa 88 milioni di euro. Millecinquecento i finanzieri impegnati nell'indagine - in codice "Easy money" - avviata nel 2004 dalla procura di Ancona coordinata dalla Direzione nazionale antimafia. L'obiettivo era verificare il rispetto del Testo unico delle leggi bancarie e la provenienza dei flussi di denaro movimentati nell'anconetano; ma ben presto l'inchiesta si è estesa su scala nazionale.
(5 marzo 2007)

 


Il Corriere della Sera 5-3-2007 Telefonini: via i costi di ricarica Parte l'attuazione del Decreto Bersani che prevede l'abolizione del costo fisso. Le compagnie rispondono con strategie diverse

 

La prima ad adeguarsi è stata «3 Italia»

ROMA - Oggi è il giorno della sparizione del costo fisso per la ricarica dei telefonini. Gli operatori hanno scelto diverse strategie per mettersi in regola con il decreto Bersani che ne ha decretato lo «stop».

TIM -Tim trasformerà a partire tutti i costi di ricarica in traffico telefonico pienamente utilizzabile. Per esempio, i clienti che acquisteranno una ricarica da 10 euro si vedranno avranno accreditati effettivamente 10 euro di traffico telefonico. Le Ricaricard attualmente in commercio, che indicano ancora il costo di ricarica separato dal traffico, attribuiranno comunque al cliente il valore effettivo corrispondente al taglio della ricarica, senza alcun costo aggiuntivo, e saranno utilizzate fino ad esaurimento delle scorte. Da aprile 2007 saranno in commercio le nuove ricariche che indicheranno solamente il valore del traffico acquistato. Tim inoltre non farà scadere il traffico acquistato al momento dello scadere della carta telefonica, secondo quanto prevede il decreto.
Tim, per cercare di aumentare il traffico senza aumentare le tariffe introdurrà nuove ricariche «flessibili» di pochi euro ciascuna (taglio minimo 5 euro) che potranno essere incrementate, in qualsiasi momento, anche con un solo euro. Quasi un «usa e getta».

«3 Italia» - La compagnia telefonica controllata da Hutchison Wampoa, dal canto suo, ha giocato d'anticipo, tagliando da venerdì scorso i costi alle ricariche delle carte telefoniche. Tutte le ricariche effettuate a partire da venerdì erogano un credito (senza scadenza) pari all'importo speso per l'acquisto. I piani tariffari rimangono gli stessi e non ci sono aumenti di nessun tipo per spalmare su altre voci il mancato introito del costo da ricarica. Non solo: i nuovi clienti che attiveranno fino al 30 aprile 2007 una «Ricaricabile 3» da 20 euro riceveranno 30 euro di traffico. Il bonus di 10 euro sarà ricevuto in due tranche da 5 euro ad aprile e maggio. Tutti i clienti 3 potranno continuare a utilizzare le ricariche 3 attualmente presenti sul mercato e riceveranno un credito senza scadenza pari all'importo speso per l'acquisto della ricarica. L'obiettivo è quello di tamponare il calo di introiti con un aumento del traffico dei clienti. L'eliminazione dei costi di ricarica è stata anticipata con una pagina di pubblicità sui principali quotidiani nazionali: il claim (che evoca il ministro dello Sviluppo economico Bersani che ha firmato il decreto) riecheggia lo spot tv con Paris Hilton con «Caro Signor Ministro, meglio cambiare no?».

WIND -Wind non dovrà tagliare il costo ai clienti che ricaricano per 50 euro perchè già l'esborso fisso per la ricarica non era previsto; chi ricarica per importi inferiori dovrà però migrare (gratuitamente) a nuovi piani tariffari per non pagare il costo di ricarica. Wind da domani lancia nuovi piani tariffari (Wind 12, Wind 5 New e Senza Scatto New) che non prevedono i costi per la ricarica ma dove aumentano leggermente, a seconda del piano scelto, le tariffe al secondo, al minuto o lo scatto alla risposta. La migrazione ai nuovi piani per i vecchi clienti che non vogliono pagare il costo fisso di ricarica è gratuita. Arriva anche la promozione «Raddoppi la ricarica», che permette a tutti i nuovi clienti Wind che attivano una sim entro il 1 aprile 2007 di ricevere in regalo per un anno, a ogni ricarica effettuata, un ricarica del medesimo importo, fino a 50 euro al mese. Alla societá telefonica sono sicuri di poter comunque continuare a proporre al pubblico le tariffe più convenienti sul mercato.

VODAFONE - Il gestore elimina i costi di ricarica sia per i vecchi che per i nuovi clienti. Tuttavia i nuovi dovranno misurarsi con cinque nuovi piani tariffari; in tre casi (Zero Limits, Zero Limits Lights e You&Vodafone) compare uno scatto alla risposta a 19 centesimi (da 15 precedenti con un rincaro che, secondo i calcoli del Movimento Difesa del Cittadino, è del 26%). Per quanto riguarda poi la restituzione del credito rimanente sul cellulare quando ad esempio un cliente passa a un nuovo operatore (secondo quanto disposto sempre dal decreto Bersani), l'operatore che fa capo al gruppo britannico chiede 8 euro di spese e l'invio di una raccomandata con ricevuta di ritorno.
ASSOCIAZIONI CONSUMATORI -
Gli operatori sono comunque tenuti a fornire, in formato cartaceo o elettronico, il prospetto tariffario in qualsiasi momento il consumatore ne faccia richiesta.
Il Movimento dei Consumatori consiglia agli utenti di telefonini di aspettare e, per il mese di marzo, di non cambiare piano tariffario, nè accettare offerte di nuovi prodotti da parte del proprio operatore o di altri concorrenti. «Prevediamo - ha commentato Lorenzo Miozzi, presidente del Movimento Consumatori - che inizi una doppia offensiva degli uffici di marketing, diretta sia nei confronti dei clienti sia dei possibili nuovi clienti. Operazione che potrebbe tramutarsi in vantaggi per i consumatori. Inoltre, aspettando qualche settimana l'Autorità e le associazioni dei consumatori avranno modo di verificare il pieno rispetto del Decreto Bersani».
Per Federconsumatori e Adusbef «ora Agcom e Antitrust dovrebbero vigilare affinchè le compagnie, costrette a rinunciare a questa rendita, non cerchino di rientrare della stessa cifra, accordandosi naturalmente in un modo tacito, per aumentare le tariffe telefoniche».

RESTITUZIONE COSTI - Per il Codacons inoltre i gestori telefonici dovrebbero restituire agli utenti le somme incassate per i costi di ricarica, relativamente al periodo che va dall'entrata in vigore del Decreto Bersani (2 febbraio) al 5 marzo.
PREOCCUPAZIONE DEI SINDACATI -
Preoccupati alcuni sindacati. La Uilcom esprime «preoccupazione» e sottolinea che le decisioni del Governo «se pur politicamente corrette, inserite in questo quadro di instabilità rischiano di compromettere il futuro di alcuni operatori meno strutturati». Sulla stessa linea la Slc-Cgil. Dice, infatti, Emilio Miceli, segretario generale della Slc-Cgil: «Il taglio dei costi di ricarica è un atto giusto, sacrosanto. Ma serve prudenza nei tempi di attuazione. Eliminare i costi troppo in fretta può mettere in ginocchio un paio di operatori. E a noi gli operatori servono tutti in buona salute».

05 marzo 2007

 


 

La Repubblica 5-3-2007 Benzina, Tesoro in campo contro i rincari "Occorre razionalizzare la rete" di ROBERTO MANIA

Nei dati del ministero, l'Italia è più cara degli altri paesi ma non per il peso del fisco. Troppi i distributori


ROMA - Offensiva del Tesoro contro le compagnie petrolifere. Un dossier elaborato dai tecnici del sottosegretario Alfiero Grandi sostiene che nel settore della distribuzione dei carburanti manca la concorrenza; che i prezzi della benzina e del gasolio sono inspiegabilmente più alti a confronto con la media europea; che, infine, il peso del fisco non è per nulla superiore rispetto ad altri Paesi simili al nostro come la Francia e la Germania. "Ci sono aumenti che non si giustificano e che talvolta sono addirittura eclatanti", dice Grandi. Non lontano da sabato scorso sono scattati gli ultimi incrementi, fino ad un picco di 1,249 euro al litro per alcuni marchi (Api, Esso, Ip e Total).
Sotto tiro il processo di formazione dei prezzi. "I prezzi consigliati alla pompa - si legge nel dossier - sono pressoché identici per tutte le compagnie. Le quali - continua - giustificano il maggiore prezzo rispetto agli altri Paesi con i più alti costi di distribuzione, attribuibili sia all'orografia del nostro territorio, sia alla grande frammentazione della rete distributiva. Ma omettono di dire che esso è anche dovuto ai più alti margini che le compagnie realizzano sul mercato italiano i margini, ante imposte, delle compagnie in Italia sono i più alti d'Europa".
Né si può attribuire la colpa al fisco. Parlano i numeri: secondo lo studio del Tesoro le tasse su un litro di benzina sono più pesanti del 4,1 per cento in Francia e dell'11,5 per cento in Germania. Cambia solo di poco se si guarda la tabella del gasolio per auto: meno 0,5 per cento in Francia e più 7,8 per cento in Germania. E il prezzo industriale è inferiore in entrambi i Paesi: meno 12 per cento in Francia e meno 11,8 per cento in Germania, per la benzina; meno 11,8 per cento in Francia e meno 10 per cento in Germania per il gasolio. E il peso dell'Iva è uguale in tutta Europa.
Bene - secondo Grandi - lo sforzo del ministro dello Sviluppo, Pierluigi Bersani per tentare di liberalizzare il mercato dei carburanti, ma forse non sufficiente, nonostante la sollevazione dei gestori. Da qui la proposta di coinvolgere ancor più l'intero esecutivo in una partita che tocca da vicino la stragrande maggioranza dei consumatori. L'idea di Grandi è, innanzitutto, di rafforzare i poteri dell'Antitrust, guidata da Antonio Catricalà, seguendo ciò che già accade nei comparti dell'energia elettrica e del gas. "L'Authority - sostiene il sottosegretario - interviene solo ex post, per accertare eventuali violazioni della concorrenza. È necessario, invece, agire prima, durante il processo stesso di formazione dei prezzi. C'è un buco normativo che deve essere colmato".
E le compagnie devono sentire il fiato sul collo dei "controllori". A cominciare dall'Eni (utile record da 9,2 miliardi nel 2006), che per il 31 per cento appartiene al Tesoro. "L'Agip (controllata al 100 per cento dall'Eni, ndr) - dice ancora il sottosegretario - non può pensare solo agli interessi aziendali. Prima vengono quelli della collettività, cioè dei consumatori. E se non dovesse bastare una semplice moral suasion, bisognerà far sentire la voce dell'azionista di maggioranza".
Un aspetto viene poi indagato con attenzione dai tecnici di Via XX settembre: quello relativo alla capacità di raffinazione delle compagnie, che finisce per trasformarsi in un'aggravante dei loro comportamenti in materia di prezzi. Oggi - secondo il Tesoro - le 17 raffinerie (gestite anche dalle compagnie) presenti sul nostro territorio sono in grado di produrre 100 milioni di tonnellate di petrolio a fronte di una domanda che sfiora le 95 tonnellate. Chiosano i tecnici: "Risulta del tutto evidente che sono proprio le compagnie che operano in Italia a "fare" il prezzo dei prodotti raffinati". Ricetta: separare l'attività di raffinazione da quella di distribuzione per ottenere trasparenza e concorrenza.
Infine la distribuzione. Sono ancora troppi gli impianti di distribuzione (intorno ai 22 mila contro i 40 mila del 1970) mentre dovrebbe scendere a 15 mila, favorendo l'ingresso di nuovi operatori indipendenti e della grande distribuzione commerciale.

(5 marzo 2007)

 


 

Il Corriere della Sera 5-3-2007 ALBERIGO "Sbagliato evocare sempre nemici Molti dubbi anche dentro la Chiesa" Gian Guido Vecchi

 

MILANO - Che ne pensa, professore? "Mi sembra un canto del cigno. Il suo mandato è agli sgoccioli, e si può capire che il cardinale Ruini voglia lasciare un messaggio conclusivo. Nei suoi sedici anni di presidenza la Cei è in gran parte divenuta una scuola con un maestro e tanti allievi, e la Chiesa si è ridotta al silenzio...". Nel senso che chi è fuori linea non parla? "Già. E se parla solo Ruini è anche meglio" ride Giuseppe Alberigo. "Ora speriamo si volti pagina". Storico della Chiesa, padre nobile della Fondazione per le scienze religiose di Bologna creata da Giuseppe Dossetti, Alberigo è un uomo che segue la massima evangelica: il vostro parlare sia sì sì, no no. Non è abituato a mandarla a dire, del resto è stato lui a scrivere la "supplica" degli intellettuali cattolici progressisti perché i vescovi non inviassero la "nota impegnativa" sui Dico, annunciata da Ruini e rivolta ai parlamentari credenti, "più che preconciliare sarebbe un atto prerisorgimentale!". Il cardinale Ruini invita i cattolici a svegliarsi, parla di "sfida", denuncia il pericolo dell'irrilevanza... "Questo è il nodo cruciale: il bisogno del nemico. Prima c'era il comunismo, ma ora non è più in commercio. E allora l'avversario è diventata la cultura e la società laica, il "laicismo", la modernità. Pretende d'essere all'avanguardia e ieri ha detto: attingiamo a Kant e Hegel. Ma santo cielo, la cultura contemporanea non è più Kant né Hegel!". Ma perché darsi un nemico? "Perché è più semplice raccogliere le file quando si può dire: attenzione, dobbiamo reagire. Ruini denuncia la società contemporanea come ostile, e allora è chiaro che si debba chiamare la Chiesa alle armi, difendersi e se possibile contrattaccare. Come poi questo si connetta con il Vangelo io, francamente, non so dirlo. Ma parlare di un poveretto che duemila anni fa è morto in Croce e ha predicato la salvezza, il privilegio dei poveri, è più scomodo, non c'è alcun dubbio". Eppure è evidente che nel mondo contemporaneo ci sia, al contrario, ostilità verso la fede. O no? "La Chiesa ha sempre avuto a che fare con culture "altre", a volte radicalmente diverse. Se pensiamo ai barbari, alle grandi invasioni... Perbacco, i cristiani hanno avuto l'impressione che crollasse tutto, che fosse la fine, altro che adesso! Grandi spiriti come Gregorio Magno, però, hanno detto: calma, il Vangelo è più grande, non nel senso della potenza ma per capacità di confrontarsi e dialogare con tutti. Io non ho mai nascosto la mia fede e non ho mai avuto problemi a parlare con tutti, al di là delle etichette. Se si vuole etichettare se stessi e il prossimo è già finita la possibilità di dialogo, rimangono solo ostilità e sopraffazione". Un laico come Massimo Cacciari diceva che il rischio è che la Chiesa si faccia parte, "un elemento, sempre più debole, del mondo diviso". "Sono perfettamente d'accordo. Direi di più: l'atteggiamento che ha guidato la presidenza Ruini non solo ha portato la Chiesa ad essere un fattore di divisione nella società italiana ma ha diviso la stessa Chiesa, il che è altrettanto grave e allarmante. I vescovi non osano parlare chiaro e forte, ma quando si sono fatte le consultazioni ha prevalso chi rappresentava una linea diversa. La maggioranza non ne può più". E se non parlano è colpa di Ruini? "Il clima della Chiesa in Italia va forse al di là delle responsabilità di Ruini. C'è una sorta di mortificazione, come se l'episcopato fosse un po' orfano della fine delle ideologie, dell'ostilità netta contro il comunismo, della Dc. Bisogna dare atto al cardinale Ruini di averci provato, a rimediare. Il progetto culturale è questa roba qui. Mi pare che l'esito sia stato catastrofico". Finito il comunismo, l'avversario è diventata la cultura laica

 


La Repubblica 5-3-2007"I cattolici difendano la famiglia la Chiesa ha il dovere di richiamarli" di FRANCO MANZITTI

L'arcivescovo Bagnasco, candidato alla successione di Ruini: "Mostriamo la forza della nostra identità"

 

GENOVA - I cattolici devono svegliarsi e battersi per difendere la famiglia, la loro cultura e i loro valori, in uno Stato che vara leggi difficili da digerire. Parola di Angelo Bagnasco, 63 anni, ex Ordinario militare, da soli sei mesi sulla cattedra che fu di Giuseppe Siri, il cardinale mancato papa per due Conclavi, di Dionigi Tettamanzi, oggi arcivescovo di Milano, e, da ultimo, di Tarcisio Bertone, oggi segretario di Stato in Vaticano e indicato come il suo grande sponsor per la successione a Ruini.
Già in settimana Bagnasco potrebbe diventare la nuova guida della Cei. Tutti lo danno come il candidato in pole position, senza reali concorrenti. Ma naturalmente Bagnasco, in una domenica da pastore del suo gregge di anime, mentre visita una parrocchia nella profonda periferia genovese, tace e sorride alla domanda se toccherà a lui prendere il posto di Camillo Ruini alla presidenza della Conferenza episcopale.
Cita il suo impegno al silenzio. Parla da arcivescovo di Genova e quindi da semplice membro della Conferenza che starebbe per essere chiamato a presiedere dopo Ruini, Poletti, i vicari di Roma, dopo Ballestrero, come lui nato a Genova. Ma condivide in pieno la linea sempre più insistentemente tracciata da Ruini e aggiunge di suo una richiesta urgente allo Stato italiano per una politica della famiglia più forte, descrivendo il terreno sul quale i cattolici devono scendere in campo e il temperamento che devono mostrare in una società sempre più laicizzata.
Monsignore, quella di Ruini sembra una chiamata alle armi dei cattolici contro lo Stato laico. Condivide?

"E' chiaro che i cattolici devono difendere la famiglia e che la Chiesa cattolica deve richiamarli a questo compito. Non si vogliono fare guerre sante. I nostri valori vanno difesi con serenità, moderazione, ma anche con fermezza di fronte allo Stato che fa le sue leggi. Non siamo contro le famiglie di fatto, ma contro una sovrastruttura che si aggiunga alla famiglia. Attenzione: questa è una battaglia che tocca anche a chi non crede, a chi non ha la fede ma un senso di responsabilità nell'organizzazione della nostra società: difendere un istituto come la famiglia".
E lo Stato cosa dovrebbe fare di fronte alla discesa in campo della Chiesa: modificare, rettificare i suoi progetti?
"Sono fiducioso che il buon senso sopravvenga. Ma dallo Stato ci aspettiamo subito, direi con urgenza, per esempio, politiche forti in favore della famiglia. Per ora nei programmi, nelle intenzioni di chi governa abbiamo visto segni troppo piccoli, troppo deboli in questa direzione. Non possono aspettarsi che la Chiesa dica sì e applauda le idee di riforma di istituti chiave come la famiglia. La Chiesa deve battersi perché siano difesi i valori fondamentali della nostra cultura".
Ma c'è qualche altro Stato che vara queste leggi ed è più sensibile ai valori della vostra cultura? O questa è una prerogativa italiana e dei rapporti tra l'Italia e il Vaticano?
"In Francia, per esempio, c'è una politica per la famiglia più avanzata. Ci sono leggi più favorevoli, anche se è chiaro che il peso dei cattolici è storicamente meno forte che in Italia. Ci sono altri Stati in cui quelle politiche sono più flebili o prendono altre direzioni, come la Spagna. Quello che noi ci aspettiamo sono segnali forti: quella è la strada che indichiamo".
E' solo un problema di programmi di governo o c'è qualcosa di più forte che divide la politica del governo dalle aspettative della Chiesa?
"Cercano spesso di farci passare per degli intolleranti. Non è così. Il problema è quello dell'identità culturale, in Italia come in Francia, in Europa. In Europa siamo il cuore del mondo, ma fatichiamo a definire la nostra identità a fronte delle altre culture religiose e laiche che si impongono nel mondo moderno. Guardi gli Usa: lì hanno un forte senso della loro identità. Noi stentiamo a imporre i segni forti della nostra civiltà. La famiglia è tra questi. E se non la difendiamo noi cattolici, chi deve farlo?".
E, quindi, qual è il richiamo che va fatto ai cattolici, oltre a quello di scendere in campo con moderazione e fermezza?
"Il Novecento si è chiuso lasciando alle nostre coscienze un grande problema: che cos'è oggi l'uomo? Tutto è entrato in discussione a partire dal fatto che di un uomo si possono anche cambiare gli organi, decidere il momento della morte, predeterminare il suo sviluppo, incidere geneticamente. Sui principi dell'etica ci sono scontri sempre più forti: è lì, appunto, che possiamo apparire intolleranti o che qualcuno può aspettarsi al contrario il nostro applauso, la nostra resa. Ricordo un commentatore qualche anno fa aveva posto retoricamente questa domanda: ma se la Chiesa dicesse sempre di sì, accettasse la rivoluzione laica dei valori? Ecco qual è il nostro ruolo di fronte a questo problema: essere non solo presenti, risaltare, mobilitarci per far valere questi valori, non per applaudire".
Insomma vuol dire che la linea di Ruini va condivisa e lei come vescovo si sente perfettamente identificato nella sua mobilitazione?
"Ripeto: ai cattolici non basta essere presenti e dire semplicemente che ci sono. Devono dimostrare tutta la forza della loro identità con grande serenità".
(5 marzo 2007)


 

Il Corriere della Sera 5-3-2007 PERA "Sì all'appello del presidente Cei In gioco tutta la cultura occidentale" Marco Galluzzo

 

ROMA - Ruini dice "cattolici svegliatevi". "Rischiamo di diventare subcultura", aggiunge. Sembrano parole da mobilitazione. Che succede? "Può sembrarlo. Ma non si tratta di un appello politico", risponde Marcello Pera, ex presidente del Senato. "La dimensione resta religiosa, morale soprattutto. E' anche la risposta a un risveglio delle coscienze che si coglie in Europa. E a cui si vuole corrispondere. Si rafforza la reazione al relativismo, con un appello alle coscienze e agli individui prima ancora che ai cattolici. Ruini sembra rivolgersi al singolo uomo, affinché tutti possano recuperare il senso della propria identità: religiosa, cattolica, culturale". "Se non vi svegliate niente potrà salvarci", prosegue Ruini. Sono toni quasi escatologici, la situazione è così grave? "Si fa riferimento al rischio d'estinzione della nostra cultura. Non solo cattolica, occidentale in senso più lato. Non a caso Ruini fa un parallelo fra Italia e Stati Uniti, la prima considerata come fortezza in grado di arginare il laicismo europeo. La diagnosi è grave, ma non è la marginalizzazione dei cattolici, bensì di un'intera civiltà. Ed è in piena linea con l'appello di Ratzinger, quando si rivolge a credenti e non credenti, e dice siete a rischio, tutti quanti...". Avremo una Chiesa sempre più interventista? "Sulla politica la Chiesa diventa meno interventista, in qualche modo la bypassa. Mentre si rivolge direttamente ai laici come ai cattolici, assume le forme di un magistero morale prima che religioso, diventa uno dei simboli chiave di un'identità millenaria non solo cattolica". "Meglio contestati che irrilevanti", dice ancora Ruini. "Non da ora ma da alcuni millenni la Chiesa ha fatto i conti con la contestazione. Accade ogni qual volta predica, si fa ecclesia, assume sino in fondo il proprio magistero di evangelizzazione, di missione morale". Sui Dico la Chiesa ha vinto? "Che la Chiesa abbia chiamato a raccolta singoli senatori, da Andreotti alla Binetti, non ci credo. Credo invece sia riuscita volutamente ad alzare il tono dello scontro ed a svegliare le coscienze. E qui ha vinto. Anche con argomenti non propriamente religiosi come la difesa dei figli. Con una predicazione più catechistica forse non avrebbe ottenuto lo stesso successo". Cosa ha prodotto lo scontro? "Io credo che ci sia stata un'eccessiva dose di arroganza da parte di Prodi, che fra l'altro è un cattolico. Spesso è stato irriguardoso verso la Chiesa, in alcuni casi nei confronti del Papa. C'è stato un eccesso di sicurezza che Oltretevere ha sconcertato parecchie persone e che alla fine ha prodotto un muro". I Dico sono un capitolo chiuso per il governo? "Non credo che ci sarà una crisi sui Dico, ma la situazione per la maggioranza si è aggravata. Alcuni, come Cesare Salvi, cominciano a considerare il testo concordato come un mostro giuridico. Giustamente, dato che crea un numero incontrollato di coppie di fatto". Omosessuali come deviati, l'accostamento ai pedofili: alcune parole di Andreotti e della Binetti fanno discutere. "Gratta gratta è uscito l'atteggiamento omofobico. Ma dire di no al matrimonio omosessuale non ha nulla a che fare con l'omofobia piuttosto con una proibizione di tipo morale. E questo è un elemento su cui Ruini ha vinto: si è scoperto che il nostro Paese ritiene minoritario il fondamento morale delle coppie di fatto. E prevalenti le ragioni della nostra tradizione, che vuole la coppia fatta di uomo e donna". Il rischio è la marginalizzazione di un'intera civiltà.

 

 

 

 

 


Il Sole 24 Ore 5-3-2007  Bilanci, dalle imprese lombarde un terzo delle imposte di Emanuele Scarci


Utili delle aziende sull'ottovolante dal 1998 al 2005, ma grazie al boom prolungato della natalità imprenditoriale, ai processi di ristrutturazione e ai mutamenti normativi i profitti netti sono arrivati a superare le imposte versate: 56 miliardi contro 45,6 nel 2005. Il colpo d'acceleratore ha riportato l'incidenza media dei profitti sui ricavi su livelli fisiologici, intorno al 2,6 per cento. Un colpo di reni necessario, perché nell'annus horribilis 2002 gli utili delle imprese si erano quasi prosciugati, appena 7 miliardi, pari allo 0,4% dei ricavi. E solo dal 2003 le aziende hanno ritrovato gradualmente la via della redditività e dello sviluppo. In realtà il dato sul balzo degli utili è in parte accentuato da un cambio normativo, ma che non muta la sostanza della sterzata strutturale, smentendo la teoria del declino industriale.
Dal trend storico emerge che fatturato globale (che nel 2004 ha varcato la soglia dei 2mila miliardi) e numero di imprese sono indicatori che hanno mantenuto costantemente il segno positivo, anche nel biennio nero 2001-2002 dell'economia italiana, in corrispondenza del crollo delle Torri gemelle, dello scivolone del dollaro e dell'ingresso della Cina nella Wto. Non solo: dalla mappa della redditività delle 40mila imprese italiane che hanno realizzato nel 2005 un utile di almeno il 20% in bilancio, emerge che il 6,5% sono in Lombardia. Inseguono a ruota Trentino-Alto Adige (5,9%), Liguria e Lazio (5,6%). Fanalino di coda, invece, è la Puglia (3,3%).
L'indagine
L'analisi sui bilanci approvati e depositati dalle aziende, dal 1998 al 2005, gli ultimi disponibili, è stata realizzata da Cerved e si riferisce alle società di capitali, escluse banche, assicurazioni, Sim e finanziarie. Dalla ricerca emerge nettamente la crescita delle imprese, mediamente 30mila in più l'anno, balzate dalle circa 600mila del '98 alle 830mila del 2005.
Al balzo degli utili, dai 7 miliardi del 2002 ai 56 del 2005, ha dato una mano la Finanziaria 2002, che consentiva di fruire di una diversa disciplina sulla rivalutazione dei beni d'impresa. E «l'incremento dell'utile degli anni successivi - sottolinea Cerved - sarebbe imputabile a operazioni straordinarie, svalutazioni di partecipazioni, plusvalenze e varie cause, che hanno interessato alcune grandi aziende italiane, come Enel, Snam Rg, Barilla Holding e altre».
Anche le imposte pagate dalle imprese sono arrivate, in valore assoluto, a livelli record: 45,6 miliardi nel 2005, quasi 11 miliardi in più rispetto al '98 (+31%).
Secondo i dati Cerved, la crescita delle imposte pagate è risultata in netta ripresa nel 2003 (+17,8%), ha frenato nel 2004 (+0,4%) e ha riaccelerato nell'anno successivo. «Infatti - annota Cerved - secondo una proiezione lineare, calcolata sul 96% dei bilanci, il tasso di crescita delle imposte dovrebbe passare da 0,4 del 2004 a 3,5 nel 2005».
Le distanze
Ma
in quale regione si trovano le aziende più generose con il Fisco? Risposta facile: in Lombardia. Quello che sorprende, però, è la distanza sulle "inseguitrici": le aziende lombarde versano oltre un terzo del totale delle imposte raccolte in Italia, mentre al secondo posto il Lazio contribuisce per il 16,9%, seguito da Veneto ed Emilia-Romagna per l'8,8 per cento. Limitato il contributo di regioni popolose e discretamente sviluppate come Marche (2%), Liguria (1,7%) e Puglia (1,4%). Fanalini di coda nella classifica risultano Molise e Basilicata, rispettivamente con lo 0,2 e lo 0,1% del totale nazionale.
Dal '98 al 2005 il contributo di Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto è rimasto pressoché costante, mentre il peso del Piemonte, forse soprattutto a causa della crisi della Fiat e del suo indotto, si è dimezzato: dal 14,9 al 7,7% (nel 2002 ha toccato il fondo con il 5%).
Tra i comparti che hanno contribuito di più ad alimentare il gettito fiscale del 2005 spicca l'industria manifatturiera, con circa il 38% del totale (45% nel '98), seguita dai servizi alle imprese, con il 14,9%, e il commercio, con il 14,8 per cento.

e.scarci@ilsole24ore.com

 


 

La Stampa 5-3-2007 Ahmadinejad a Riad, cordiale nemico IL PRIMO INCONTRO TRA IL SOVRANO SUNNITA E IL PRESIDENTE SCIITA

5/3/2007 (8:25) -

L'Iran smentisce di aver detto sì al piano saudita sulla pace tra Israele e palestinesi

MIMMO CANDITO

Non si può davvero dire che sia stato un viaggio diplomatico di routine, questo che tra sabato e domenica Ahmadinejad ha fatto a Ryad. Non lo è stato per il ruolo che Iran e Arabia Saudita hanno nei destini del Medio Oriente - ruoli che li vedono schierati su posizioni politiche e strategiche distinte - ma non lo è stato neppure nei risultati, che la lettura dei comunicati ufficiali cerca in qualche modo di mascherare e che però lasciano trasparire ugualmente come tra re Abdallah e il presidente in visita i formalismi protocollari non sono stati sufficienti a coprire le profonde diversità che separavano e, ancor più, separano oggi i due interlocutori.
Il comunicato della visita mette in rilievo come si sia discusso del Golfo, del Medio Oriente, dell'Islam e d'Israele - soggetti obbligati e ineludibili del colloquio. Ma nella discussione, quello che è venuto poi alla luce lascia tracce significative su due argomenti vitali. Il primo è la relazione tra l'ortodossia sunnita (che riguarda l'85 percento del mondo musulmano e della quale, comunque, i sauditi si ritengono gli interpreti più legittimati) e lo sciismo, che ha nell'Iran il paese guida ma è soltanto una delle tante minoranze mulsulmane, sebbene la più forte. Il fatto che il comunicato finale sottolinei come i due paesi «hanno deciso di operare congiuntamente per l'unità del mondo islamico» ha piuttosto - nel linguaggio della diplomazia - il riconoscimento della diversità e la conferma di come i sauditi non intendano affatto cedere alla spinta movimentista che Teheran sta mettendo in campo, nel progetto di Ahmadinejad d'assumere in qualche modo la leadership del «nazionalismo» musulmano.
Non è poco. La strategia dell'Iran di Ahmadinejad (che non è comunque detto che sia anche la strategia dell'ayatollah Khamenei) pare diretta a mutare le relazioni di forza che reggono i 1.200 milioni di fedeli musulmani, e crea dunque un processo di destabilizzazione che metterebbe in crisi tutte le leadership politiche dei paesi dove si pratica la religione di Allah: gli sciiti diventerebbero la bandiera del rivendicazionismo che traversa il mondo nel nome dell'islam, in una sorta di rivoluzione permanente. L'Arabia Saudita non appare certo disponibile a infilarsi in questo rischioso percorso.
Il secondo tema sul quale la visita ha rivelato d'essere tutt'altro che di routine è il piano di pace nel conflitto tra Israele e palestinesi. Mentre l'agenzia ufficiale saudita dice che di questo piano si è discusso - e nel piano è previsto il riconoscimento dello Stato d'Israele in cambio di alcune condizioni - l'agenzia ufficiale iraniana sostiene che su questo piano i due interlocutori non hanno aperto bocca.
Già è assai inusuale una contraddizione tanto lacerante nei comunicati delle agenzie ufficiali - che nei paesi a regime sono di fatto la voce del governo, del potere politico comunque - ma il contrasto è ancora più significativo, perchè tocca il punto di fondo della crisi tra il mondo musulmano, l'intero mondo musulmano, e praticamente il resto del pianeta. E poichè non è immaginabile che di questo tema non si sia discusso, nemmeno per accenni vaghi, appare inevitabile pensare che il contrasto ci sia, sia rimasto confermato, e non pssa essere sanato, perchè l'intera strategia di Ahmadinejad si basa sulla cancellazione dello Stato d'Isarele, secondo le sue ripetute, pubbliche, conclamazioni.
Alla luce di questa lettura, appare allora necessario tentare di comprendere quale sia stato il senso di questa visita, e che cosa Teheran tentasse di ottenerne. Una conclusione possibile è che Ahmadinejad volesse rappresentare al mondo arabo le proprie intenzioni di continuare nel programma nucleare, presentando questo proposito nei termini d'una visita ufficiale ma proponendolo di fatto nel suo forte valore di politica di potenza, soprattutto da quando Ryad e gli altri paesi del Golfo hanno manifestato la propria intenzione d'avere anch'essi un progetto nucleare. Ancora, portare l'espressione della forza militare e politica dello sciismo nel cuore della realtà sunnita, significava voler manifestare pubblicamnente la volontà del progetto di leadership nell'Islam tutto e trarne una sorta di credibilità pubblica, se non di legittimazione. I risultati ufficiali della visita smentirebbero questi due propositi, ma nei fatti i propositi trovano conferma dallo stesso incontro tra i due leader. Ad Ahmadinejad interessava un saldo politico, e questo saldo lo ha ottenuto.


INDICE 4-3-2007

 

+ Da Virgilio.it 3-3-2007 AUTHORITY: NOMINE MARINI E BERTINOTTI PER CONCORRENZA E CONTRATTI PUBBL  1

Il Piccolo di Trieste 4-3-2007 Il partito di lotta e di governo non può convivere a lungo  1

L’Unita’ 4-3-2007 La sua sola forza? Non avere eredi. I politologi analizzano la crisi di leadership nel centrodestra  1

Il Corriere della Sera  3-3-2007 «Il federalismo fiscale? E' sempre più vicino» L'obiettivo del governo è arrivare entro la legislatura al pareggio di bilancio  1

La Stampa 3-3-2007. La Bibbia e il dollaro conquistano l’Africa. Le sette protestanti dilagano nel Continente nero DOMENICO QUIRICO  2

 

 


+ Da Virgilio.it 3-3-2007 AUTHORITY: NOMINE MARINI E BERTINOTTI PER CONCORRENZA E CONTRATTI PUBBL

 ( Virgilio Notizie del 04/03/2007 )

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 
 
 
 
 
 
03-03-2007 15:19 Articoli a tema | Tutte le news di Politica (ASCA) - Roma, 3 mar - Il Presidente del Senato Franco Marini, e il Presidente della Camera dei deputati, Fausto Bertinotti, con determinazione in data odierna, adottata d'intesa tra loro, hanno nominato componenti dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato il professore Piero Barucci e la professoressa Carla Rabitti Bedogni. Sempre in data odierna, con determinazione adottata d'intesa tra loro, il Presidente del Senato della Repubblica e il Presidente della Camera dei deputati hanno nominato componenti dell'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture il professore Piero Calandra e il professore Andrea Camanzi. * Il professore Piero Barucci e' nato a Firenze il 29 giugno 1933. E' stato Professore di Economia Politica e Storia delle Dottrine Economiche presso le Universita' di Siena e Firenze (1966-1990) nonche' Preside della Facolta' di Economia e Commercio dell'Universita' di Firenze negli anni 1981-1983. E' stato Ministro del Tesoro e della Funzione Pubblica nel Governo Amato (giugno 1992-aprile 1993) e Ministro del Tesoro nel Governo Ciampi (aprile 1993-aprile 1994). Presidente e membro del Consiglio di amministrazione di importanti Istituti bancari italiani ed esteri, di enti pubblici, di Case editrici, Fondazioni e realta' associative operanti nei settori economici e creditizi. E' autore di significativi e numerosi saggi in tema di politica economica, sul pensiero e l'opera di economisti italiani dell'Ottocento e sul dibattito di politica economica in Italia nel dopoguerra. * La professoressa Carla Rabitti Bedogni e' nata a Modena il 26 novembre 1939. E'Avvocato cassazionista e Professore ordinario di diritto del mercato finanziario alla Facolta' di Economia e commercio presso l'Universita' degli Studi ''La Sapienza'' di Roma. E' Direttore scientifico e coordinatore del corso di perfezionamento in Diritto comunitario e interno degli intermediari bancari finanziari e assicurativi presso l'Universita' degli Studi ''La Sapienza'' di Roma. L'11 aprile 2002 e' stata nominata componente della Commissione nazionale per le societa' e la borsa (CONSOB). E' autrice di numerose monografie e saggi in tema di tutela della concorrenza, di diritto societario, diritto dei mercati finanziari, economia, tutela dei risparmiatori, intermediazione finanziaria, e ha coordinato e diretto opere collettanee sulle medesime materie. * Il professore Piero Calandra e' nato a Roma il 23 maggio 1937. Consigliere della Corte dei Conti ha svolto funzioni sia giurisdizionali che di controllo. Gia' funzionario del Senato, con qualifica di direttore di Servizio, e' attualmente esperto tributario presso il SECIT. Ha svolto, fuori ruolo, dal 1988 al 2001 diversi incarichi nell'Amministrazione dello Stato in qualita' di Capo di Gabinetto di diversi dicasteri (Riforme istituzionali, Politiche comunitarie, Lavoro). Docente, in varie Universita', di diritto amministrativo, di storia dell'amministrazione e di diritto pubblico dell'economia, che attualmente insegna, unitamente al diritto costituzionale, alla Link University of Malta in Roma. E' autore di significative monografie e di molti saggi ed articoli su temi concernenti la storia dell'Amministrazione pubblica, il diritto costituzionale e parlamentare. * Il professore Andrea Camanzi e' nato ad Alfonsine (provincia di Ravenna) il 2 febbraio 1949. Docente di Economia e gestione delle imprese di comunicazione presso la Facolta' di Economia della Libera Universita' degli Studi Guido Carli di Roma (LUISS), e' Presidente dell'Information, Computer and Communication Committee (ICCP) del Business and Industry Advisory Committee (BIAC) presso l'OCSE a Parigi. Board member dell'Advisory board della Columbia University for Tele-Information a New York, e' esperto di diritto comunitario e internazionale, di politiche pubbliche nei settori industriali e di diritto antitrust. Ha maturato esperienza nel settore della gestione aziendale in qualita' di membro di Consigli di Amministrazione e di Comitati esecutivi di importanti gruppi societari (Telecom Italia, TIM, Tecnost, Olivetti). E'autore di numerosi saggi in tema di strategia regolamentare e promozione della concorrenza.

03-03-2007 15:19 Articoli a tema | Tutte le news di Politica (ASCA) - Roma, 3 mar - Il Presidente del Senato Franco Marini, e il Presidente della Camera dei deputati, Fausto Bertinotti, con determinazione in data odierna, adottata d'intesa tra loro, hanno nominato componenti dell'Autorita' garante della concorrenza e del mercato il professore Piero Barucci e la professoressa Carla Rabitti Bedogni. Sempre in data odierna, con determinazione adottata d'intesa tra loro, il Presidente del Senato della Repubblica e il Presidente della Camera dei deputati hanno nominato componenti dell'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture il professore Piero Calandra e il professore Andrea Camanzi. * Il professore Piero Barucci e' nato a Firenze il 29 giugno 1933. E' stato Professore di Economia Politica e Storia delle Dottrine Economiche presso le Universita' di Siena e Firenze (1966-1990) nonche' Preside della Facolta' di Economia e Commercio dell'Universita' di Firenze negli anni 1981-1983. E' stato Ministro del Tesoro e della Funzione Pubblica nel Governo Amato (giugno 1992-aprile 1993) e Ministro del Tesoro nel Governo Ciampi (aprile 1993-aprile 1994). Presidente e membro del Consiglio di amministrazione di importanti Istituti bancari italiani ed esteri, di enti pubblici, di Case editrici, Fondazioni e realta' associative operanti nei settori economici e creditizi. E' autore di significativi e numerosi saggi in tema di politica economica, sul pensiero e l'opera di economisti italiani dell'Ottocento e sul dibattito di politica economica in Italia nel dopoguerra. * La professoressa Carla Rabitti Bedogni e' nata a Modena il 26 novembre 1939. E'Avvocato cassazionista e Professore ordinario di diritto del mercato finanziario alla Facolta' di Economia e commercio presso l'Universita' degli Studi ''La Sapienza'' di Roma. E' Direttore scientifico e coordinatore del corso di perfezionamento in Diritto comunitario e interno degli intermediari bancari finanziari e assicurativi presso l'Universita' degli Studi ''La Sapienza'' di Roma. L'11 aprile 2002 e' stata nominata componente della Commissione nazionale per le societa' e la borsa (CONSOB). E' autrice di numerose monografie e saggi in tema di tutela della concorrenza, di diritto societario, diritto dei mercati finanziari, economia, tutela dei risparmiatori, intermediazione finanziaria, e ha coordinato e diretto opere collettanee sulle medesime materie. * Il professore Piero Calandra e' nato a Roma il 23 maggio 1937. Consigliere della Corte dei Conti ha svolto funzioni sia giurisdizionali che di controllo. Gia' funzionario del Senato, con qualifica di direttore di Servizio, e' attualmente esperto tributario presso il SECIT. Ha svolto, fuori ruolo, dal 1988 al 2001 diversi incarichi nell'Amministrazione dello Stato in qualita' di Capo di Gabinetto di diversi dicasteri (Riforme istituzionali, Politiche comunitarie, Lavoro). Docente, in varie Universita', di diritto amministrativo, di storia dell'amministrazione e di diritto pubblico dell'economia, che attualmente insegna, unitamente al diritto costituzionale, alla Link University of Malta in Roma. E' autore di significative monografie e di molti saggi ed articoli su temi concernenti la storia dell'Amministrazione pubblica, il diritto costituzionale e parlamentare. * Il professore Andrea Camanzi e' nato ad Alfonsine (provincia di Ravenna) il 2 febbraio 1949. Docente di Economia e gestione delle imprese di comunicazione presso la Facolta' di Economia della Libera Universita' degli Studi Guido Carli di Roma (LUISS), e' Presidente dell'Information, Computer and Communication Committee (ICCP) del Business and Industry Advisory Committee (BIAC) presso l'OCSE a Parigi. Board member dell'Advisory board della Columbia University for Tele-Information a New York, e' esperto di diritto comunitario e internazionale, di politiche pubbliche nei settori industriali e di diritto antitrust. Ha maturato esperienza nel settore della gestione aziendale in qualita' di membro di Consigli di Amministrazione e di Comitati esecutivi di importanti gruppi societari (Telecom Italia, TIM, Tecnost, Olivetti). E'autore di numerosi saggi in tema di strategia regolamentare e promozione della concorrenza.

 


Il Piccolo di Trieste 4-3-2007 Il partito di lotta e di governo non può convivere a lungo

: rischia di certificare l'impossibilità di un'esperienza comune alla testa del Paese e disorienta l'opinione pubblica che vede esponenti della maggioranza combattere il suo stesso governo, come a Vicenza. La crisi, quindi, richiede un cambio di registro. Evoca la necessità di un riassetto del centrosinistra che favorisca il trasferimento dell'egemonia culturale dai massimalisti ai riformisti. E' questo il processo centrale: la nascita del Partito democratico inteso come il nuovo campo di scelte politiche, di energie culturali, e sociali capaci di costruire un solido orizzonte di governo e di cambiamento per il Paese. I riformisti hanno l'onere di dimostrare che esiste lo spazio politico per una forza moderata capace di esprimere un progetto riformatore di governo credibile, che abbia un ruolo forte e incisivo. Questa è l'idea che sfida Ds e Margherita: far decollare un nuovo soggetto che possa superare i confini sociali, politici e i limiti storici delle diverse tradizioni (cattolica laica socialista ex comunista), ma che abbia anche le dimensioni per collocarsi come perno della coalizione. Un soggetto che oggi è alleato con la sinistra radicale, domani potrebbe non esserlo o esserlo ancora, come avviene nel resto d'Europa. In Germania la Spd non è alleata dei radicali, in Francia invece sì. Il duello tra le due sinistre, quindi, è destinato a continuare, oscillando tra collaborazione e competizione. Ma è decisivo che Prodi non fondi la sua leadership sull'asse privilegiato con i radicali per il timore di essere disarcionato. Questa teoria è stata smentita dall'ultima crisi. Ora Prodi può inaugurare un nuovo stile di governo facendo leva sul polo riformista, restituendo i massimalisti al loro reale peso politico, e attuando nello stesso tempo un contenimento dell'anima più conservatrice della coalizione sui nodi della modernizzazione. Lo spazio politico è in ristrutturazione anche sul versante del centrodestra. Il dopo Berlusconi è ormai un problema aperto. L'Udc di Casini chiede un'interlocuzione con l'Unione allo scopo di rompere il centrosinistra in chiave centrista e ragionare su un'aggregazione con l'Udeur e parte della Margherita. E' un rischio che l'Unione dovrebbe correre per agitare le acque stagnanti della politica nazionale. Del resto, seguendo questa strategia, Casini ha destrutturato la Cdl così come la conosciamo oggi, e già pensa alla leadership dopo Berlusconi.. Fini segue un disegno diverso. Il leader di An forse immagina che solo chi sta vicino al Cavaliere potrà raccoglierne legittimamente l'eredità, ma ha il problema di distinguersi senza dividersi. Persino la Lega, l'alleato più fedele di Berlusconi, avverte che una stagione della Casa delle Libertà si sta chiudendo e che occorrono nuove idee e nuove mosse. Forse il centrodestra dovrebbe riflettere sull'esito della sua esperienza di governo se, oggi, persino loro discutono di come cambiare la legge elettorale che hanno voluto con l'obiettivo, per la verità raggiunto, di ostacolare il governo del centrosinistra. Lo stesso autore del pasticcio, Calderoli, ha ammesso che il Polo potrebbe essere vittima della sua stessa trappola. L'attuale legge elettorale, come ha osservato Fassino, spinge i partiti a lavorare più per vincere le elezioni che per governare. Il risultato è che la transizione non trova una meta. Il Paese non definisce la sua identità. Nessuno riesce ad assumersi la responsabilità di scelte difficili ma necessarie per modernizzare l'Italia. Scelte che richiedono il coraggio di seguire vie nuove, ma anche un di più di politica per una democrazia ancora troppo ingessata. Sergio Baraldi.

 


L’Unita’ 4-3-2007 La sua sola forza? Non avere eredi. I politologi analizzano la crisi di leadership nel centrodestra

/ Roma L'IMMAGINE del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi abbandonato dai partiti della Cdl durante l'intera partita che è seguita alla caduta e al successivo ritorno del governo guidato da Romano Prodi è uno spunto interessante per chi si occupa, dall'esterno, della materia politica. Siamo davanti alla fine del Berlusconismo o è solo la sua leadership ad essersi momentaneamente appannata? È stato vittima di un complotto o solo di sè stesso? Il politologo Edmondo Berselli ritiene che siamo senz'altro davanti a una crisi. E a questa crisi hanno contribuito, afferma, due aspetti: "Da una parte la divisione netta tra le posizioni dei quattro partiti della ex Casa della Libertà davanti alla crisi di governo. Dall'altra, ritengo sia mancato a Berlusconi l'elemento sorpresa, la trovata che avrebbe potuto far andare diversamente le cose". Sugli sviluppi di questa crisi Berselli indica una nuova biforcazione: "Dipende da quello che succede: se il sistema rimane bipolare, io credo che la destra non potrà rinunciare a Berlusconi. In una situazione diversa, del tipo "larghe intese", bicamerali o tavoli di consultazione per la legge elettorale la situazione potrebbe venire a modificarsi". Ma esiste un successore di Berlusconi? "Per adesso no. Chiunque sia ha più elementi di debolezza che di forza, perché la forza del presidente di Forza Italia sta proprio nell'eclettismo, di un leader politico che è laico e cattolico, proprietario ma, quasi nell'immaginario collettivo, minacciato nei suoi averi. Tutti i pretendenti non hanno questo eclettismo: Formigoni viene da Comunione e Liberazione ed è avvertito come troppo cattolico, Fini come nazional populista, Casini come troppo centrista. La Lega, poi, è laterale...". Per questo Berselli ritiene che ci troviamo ancora in una fase di stallo, perché: "O si trova un sostituto e si cambia il centrodestra, o non c'è una figura così efficace nel tenere insieme centristi moderati ed estremisti moderati". Il professor Carlo Galli, vicepresidente dell'associazione "Il Mulino", ritiene che esista ancora "una pretesa di leadership di Berlusconi, ma è una pretesa, nel senso che non è solo contrastata a parole dal leader dell'Udc Casini, ma sempre più sfidata anche sulla linea strategica da tenere". Restando sul tema: "L'obiettivo comune è solo quello di rendere difficile la vita del governo Prodi, ma le prospettive sul futuro prossimo restano troppo divergenti, con la Lega che si lascia ampi spazi di manovra e l'Udc che è orientata verso una prospettiva neo centrista". La posizione del leader dell'Udc, argomenta Galli, "deve avere evidentemente un obiettivo ritenuto possibile. Non si spiega altrimenti perché sia perseguita con tanta forza". Restano gli altri due soggetti politici contraenti il patto: "An e Forza Italia sono rimaste disorientate. Non si stanno muovendo. Fanno come l'asino di Buridano che, indeciso su quale campo scegliere per pascolare, non prese una decisione, e morì". Anche Don Gianni Baget Bozzo parla di un momento di difficoltà, ma l'argomentazione è diversa: "Da un lato Berlusconi riesce ad avere consenso personale, dall'altro i partiti della coalizione non perdono occasione per dargli contro. Eppure nè Fini nè Casini rappresentano un'alternativa di quello che è un fenomeno unico in Italia, l'unico che gode di consenso sulla persona. Per questo credo che Piero Fassino abbia commesso un errore ad attaccarlo frontalmente nell'aula di Montecitorio. Se Silvio Berlusconi perde la leadership del centrodestra non ci sarà nessuno a sostituirlo, e quindi il centrodestra si scioglierà. E si il centrodestra si scioglierà, con lui verranno meno sia il bipolarismo che il centrosinistra così come lo conosciamo adesso". Eduardo Di Blasi.

 


 

Il Corriere della Sera  3-3-2007 «Il federalismo fiscale? E' sempre più vicino» L'obiettivo del governo è arrivare entro la legislatura al pareggio di bilancio

 

Il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, ottimista: ci stiamo lavorando. E sulle tasse: ridurle, ma non si può dire quanto

 

NAPOLI - Il premier Romano Prodi lo aveva annunciato nell'aula della Camera nel giorno della fiducia al governo. E il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa lo conferma a distanza di 24 ore durante un intervento pubblico a Napoli: «Stiamo lavorando. Secondo me siamo abbastanza vicini a trovare un accordo». Non solo. Il ministro si dice addirittura «confortato», perché «un mese e mezzo fa sembravamo molto lontani invece non è così. Se questa legislatura attua il federalismo fiscale abbastanza rapidamente, consegna alla prossima legislatura una fondamentale riforma del sistema del governo del paese».

«SPENDERE MEGLIO» - Padoa-Schioppa ha ricordato che «all'inizio per quanto riguarda le cifre si è partiti dallo status quo, però è la premessa per applicare anche qui il principio per cui per poter spendere di più bisogna spendere meglio». Un concetto, questo, strettamente legato anche al riordino dei conti pubblici. «Non credo che possiamo nè dobbiamo avere una legge Finanziaria le dimensioni di questa ultima - ha spiegato il ministro -. Abbiamo risolto l'emergenza dei conti ma non abbiamo compiuti tutti i passi del risanamento». «L'Italia - ha poi aggiunto - deve arrivare nell'arco della legislatura a un bilancio in pareggio e portare il debito pubblico al di sotto del 100% del prodotto interno lordo, cosa che si può avere solo con un avanzo primario, cioè con una differenza tra spese e entrate, tolte le spese per interessi, dell'ordine del 3-4% che è quello della legislatura '96-2001 aveva lasciato in eredità alla legislatura che ci ha preceduto».

RIDUZIONE FISCALE - Padoa-Schioppa ha anche ribadito l'impegno dell'esecutivo ad attivarsi per la riduzione della pressione fiscale. Tuttavia, ha precisato, non si può dire «adesso quando e quanto». «Come ha detto il presidente Prodi - ha affermato il ministro - questo aspetto va visto con estrema attenzione. Non si possono fare passi tali dai quali poi dover tornare indietro».

03 marzo 2007

 


La Stampa 3-3-2007. La Bibbia e il dollaro conquistano l’Africa. Le sette protestanti dilagano nel Continente nero DOMENICO QUIRICO

Quando voi lavorate per la vostra azienda siete sacerdoti di Dio» proclama spavaldo il pastore Kenneth Ulmer alla folla, che gli risponde con amen e alleluja che hanno il fragore del tuono. Ulmer è in missione: che significa una predica oggi a Randburg, banlieue di Johannesburg in Sud Africa e poi via, domani in Uganda, in Kenya, in Nigeria. Folle vibranti nel continente più povero del pianeta, che vive con un dollaro al giorno, sono pronte a farsi convertire dai suoi capitalistici sermoni: «Ascoltatemi, il Businnes può essere un destino e condurre al regno di Dio». E infatti la setta evangelica di cui Ulmer è un tenore, a Los Angeles ha creato una florida azienda «per fare soldi senza vergognarsene».

Qui ha trentamila fedeli, la più grande congregazione dell'ex paese dell'apartheid. Fa arrivare dagli Usa uomini di affari che investono nei paesi africani, soprattutto quelli ricchi di materie prime e petrolio, e porta in America ragazzi che frequentano il «seminario». Che però assomiglia sl centro di formazione di una multinazionale e cura soprattutto il corso di leadership. Nel 1900 in Africa si contavano otto milioni di cristiani. Oggi sono 400 milioni: grazie alle sette protestanti, in grande maggioranza statunitensi. Sono loro, con l'Islam, le forze più dinamiche del continente. I due grandi evangelizzatori stanno cambiando l'anima dell'Africa, quotidianamente: spesso usando gli stessi mezzi, la semplicità del messaggio e la forza dei salvadanai, sostituendosi agli Stati che non esistono o sono putrefatti da violenza e corruzione. Le marce élitès li adorano, perchè non emettono scomuniche. Ormai le sette entrano nei Palazzi del potere, condizionano, dirigono, suggeriscono. Comandano. In nome di Dio certo, ma anche del business e di Bush. Spostiamoci a Nairobi. Kibera è la più grande bidonville della città, fitta della pena quotidiana di ottocentomila senzatutto. Un pastore, Loren Davis, accento texano, in piedi sul tetto di lamiera di una baracca predica a migliaia di persone: «Quanti di voi hanno bisogno di un miracolo stasera?». Domanda retorica: tanti, tutti. Ma Loren Davis non si spaventa di fronte alle vastità delle disgrazie. E' un veterano del Kenya, viene due volte l'anno per quella che chiama «la crociata evangelica», conosce il suo pubblico. Sa che trionfa quando, per esempio, accusa Satana di essere la causa dell'aids e annuncia che Dio è lì, pronto per portare rimedio: «Io non sono un medico, ma conosco il Grande Specialista». Alleluja, risponde la gente estasiata. Sono profeti come lui che hanno fatto i numeri del miracolo: ovvero gli evangelici sono ormai l 56 per cento della popolazione di questo paese di 32 milioni di abitanti, più che in Sud Africa e in Nigeria. Ci sono da 20mila a 38mila luoghi di culto, il doppio che nel Duemila. I loro nomi suggeriscono molte cose. Se osate entrare nela bidonville di Eldoret, ad esempio, sopra la Rift valley, potrete leggere «chiesa del Massimo Miracolo» e a fianco «Chiesa dove Gesù cambia ancora le vite». Questo chiedono i fedeli, miracoli, veri o finti non importa, e aiuti per sopravvivere. A Nairobi è impossibile sfuggire ai programmi televisivi evangelici che durano ore. Arrivano dagli Stati Uniti, anche i numeri di telefono per ordinare la casseta video sono dell'america del nord.

Curiosa contraddizione in un paese dove alla gente manca la luce elettrica. I neri d'Africa possono vedere i loro fratelli afro americani ballare e cantare i versetti della Bibbia a tempo di rap. Teologi americani hanno curato un commentario della Bibbia in 1600 pagine adattato ai problemi africani, dall'aids alla corruzione alle mutilazioni genitali. I riti sono frementi, fino all'estasi. A Benin city, in Nigeria, decine di fedeli sono rimasti calpestati durante la messa, mentre cercavano di toccare un pastore evangelico tedesco. Perchè l'esorcismo, la magia rialzano facilmente la testa. Come a Kisangani, nel Congo seviziato, dove un pastore protestante ha guidato una marcia di migliaia di persone scandita dai gospel per scacciare i demoni della guerra tra Kabila e i ribelli. I fedeli africani cercano una fede utile nella vita di tutti i giorni, si volgono a un Dio perchè nel loro medioevo privo di tutto credere è una fuga. Basta ascoltare le canzoni che cantano, come questa della chiesa evangelica della Buona Novella: «Noi andiamo in paradiso, che ci importa se le guerre e il dolore dominano su questa terra?». Così in Kenya l'87 per cento dei pentecostali giurano di essere stati beneficiari o testimoni di un miracolo. Il mimetismo accorto con le culture locali serve spesso a far passare un ambiguo messaggio conservatore.

A Nairobi gli evangelici hanno duramente lottato contro una mostra che illustrava, con ossa di ominidi, l'evoluzione. In Zimbabwe sono a, fianco a Mugabe nella sua ossessione senile di perseguitare gli omosessuali. In Uganda scoraggiano la diffusione dei preservativi per limitare l'aids , invocando la pratica della astinenza. Li guida una convertita di spicco, la moglie del presidente-padrone Museweni, il grande amico africano di Bush. Appunto.


INDICE  3-3-2007

+ La Stampa 3-3-2007 "Con l’arma dei Dico volevano affossare Prodi e partito democratico". Intervista a Rosy Bindi. UGO MAGRI 1

+ La Repubblica 3-3-2007 D'Alema: "Sul caso Calipari occasione perduta per gli Usa" 1

Da Il Riformista 3-3-2007 Chi vuole una Rifondazione socialista non dice una parola su come organizzarsi di Federico Fornaio  1

Da Affari Italiani 3-3-2007 All'attacco/ Sindacati: la proprietà cannibalizza Telecom. In 10 anni 22 mld di dividendo. Il gruppo: con Telefonica  2

Vai al Rapporto di Cusani

La Repubblica 2-3-2007 Usa, via libera al riso con geni umani ed è polemica sui rischi della coltura. Un esperimento condotto su bebè peruviani avrebbe dato esiti negativi Di Gaia Giuliani 2

 


 

+ La Stampa 3-3-2007 "Con l’arma dei Dico volevano affossare Prodi e partito democratico". Intervista a Rosy Bindi. Ugo Magri

 

Ministro Bindi, come ci si sente dopo esser finiti al rogo per colpa dei Dico?
«Le peggiori ustioni non me le ha date il giudizio della Chiesa. Dalla quale, personalmente, non mi sono sentita processata».
Che cosa l'ha scottata? «L'enorme mistificazione che si è consumata durante questa crisi. A un certo punto sembrava che l'avessi causata io...».
Lei?
«Sì. Tutti sanno che la turbolenza è nata dalla politica estera e dalla base di Vicenza. Invece è stato fatto credere che il motivo vero per cui il governo era caduto dipendeva dal disegno di legge sui Dico. Non solo».
Che altro?
«La stessa soluzione della crisi. Anziché attribuirne il merito ai 12 punti presentati da Prodi e al senso di responsabilità dell'Ulivo e della sinistra radicale, qualcuno l'ha collegata all'assenza dei Dico dal programma».
In effetti mancano. Tanto che lei, ministro, con una battuta li ha ribattezzati «Direi»...
«Li ho messi al condizionale perché il Parlamento ci lavorerà sopra. Però i Dico non deraglieranno. Sono sui binari giusti».
Insiste?
«Il governo ha fatto niente più del proprio dovere. Su richiesta di due mozioni parlamentari ha recepito con grande equilibrio le famose 7 righe del programma dell'Unione sulle coppie di fatto. E ha affidato il testo alle Camere dichiarando che mai avrebbe messo la fiducia, perché non vogliamo un bipolarismo etico. Ne è testimone il senatore Andreotti».
Belzebù?
«Sono andata da lui dopo il voto di fiducia, e gli ho chiesto: "Presidente, quando posso parlare con lei?". Ritengo possibile ragionare e spiegarsi con tutti. Ecco perché mi brucia questa strumentalità».
Di chi?
«Di quanti hanno provato a fare del male a questo governo e al Partito democratico servendosi di un'arma impropria».
Con quale obiettivo?
«Speravano di far cadere Prodi per passare a maggioranze diverse».
Mastella?
«No, lui non ha mai pensato di far cascare il governo. Semmai vorrebbe far passare come merito suo quella disponibilità al dialogo che era già nelle cose».
A chi si riferisce, allora?
«Via, s'è capito: ai cosiddetti teo-dem».
Volevano affossare Prodi?
«Si sono prestati. Dopo le dimissioni del governo la prima dichiarazione della senatrice Binetti è stata: "Ritiriamo i Dico e cambiamo maggioranza”».
I teo-dem contro i Dico non sono una sorpresa...
«No, guardi: quando il disegno di legge ha visto la luce, i loro commenti erano positivi. Parlavano di testo migliorabile. E' stato dopo, a crisi aperta, che hanno detto: se ne esce solo se si ritira il ddl. Un comportamento che mi addolora e mi indigna».
Al rogo mandiamo la Binetti?
«Per formazione io non mando tra le fiamme nessuno. Semmai aspetto al varco coloro che parlano di colpo inflitto alla famiglia. A parte che, da questo punto di vista, i Dico andrebbero benedetti...».
Addirittura.
«Non si è mai parlato così tanto di famiglia. Se dai 12 punti di Prodi una politica esce rafforzata, è proprio quella per la famiglia: asili nido, assegni familiari, casa. Ma ora che i "Dico" sono diventati "Direi", li voglio proprio vedere i critici quanto si impegneranno a superare la crisi della famiglia. Domando: questa cultura che idolatra soldi e ha l'ossessione del corpo, svalutando la gioia e il sacrificio di un legame stabile e di crescere i figli, è frutto del nostro ddl, o di un modello di società?».
La Chiesa vi contesta di aver riconosciuto dei diritti gay...
«Esiste una realtà umana che si chiama omosessualità. Sono sicura che la Chiesa non pensa di avere risolto il problema predicando la castità, valore che io personalmente apprezzo. Di certo, alla castità non può affidarsi lo Stato. E anche per questo vogliamo una legge giusta che sui diritti e i doveri non discrimini le persone».
Difende lo Stato laico?
«Da cattolica, assolutamente sì. Chi pensa di rinchiudere Dio nel recinto di una religione civile, o di affidare la forza del Vangelo a una legge dello Stato, corre un rischio grave. Di alimentare la reazione laicista che mira a estromettere la religione dalla dimensione pubblica. Come se la nostra democrazia non avesse un cemento spirituale, e la dignità della persona non si fondasse sulla sua trascendenza».
Consiglia ai vescovi di cucirsi la bocca?
«Tutt'altro. Ma il contributo di cui abbiamo più bisogno è di tipo pastorale. Di educazione all'amore responsabile, alla fedeltà coniugale, all'uso corretto della sessualità... Se siamo in queste condizioni, forse la stessa comunità cristiana dovrebbe fare un po' di autocritica. E rimboccarsi le maniche».

 


 

+ La Repubblica 3-3-2007 D'Alema: "Sul caso Calipari occasione perduta per gli Usa"

Il ministro degli Esteri, che il 20 marzo andrà all'Onu a presentare
il piano per l'Afghanistan, parla di "risposta inadeguata alla domanda di giustizia

E ricorda la vicenda del Cermis: "Allora si comprtarono in modo diverso"

ROMA - "Un'occasione perduta per gli Stati Uniti" e una mancata risposta "alla domanda di giustizia" che nasce dal caso Calipari. Massimo D'Alema critica le logiche dell'amministrazione Bush sulla vicenda della morte del funzionario del Sismi ucciso dai soldati americani a un check point vicino a Bagdad il 4 marzo del 2005 mentre tornava dall'aver salvato e recuperato la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena sequestrata da un gruppo terrorista.
D'Alema lo fa nel giorno in cui viene annunciato il suo prossimo viaggio a New York (20 marzo) per presentare all'Onu le proposte italiane "sul rinnovo della missione civile e umana in Afghanistan". E in questo contesto, le sue parole a margine della tavola rotonda su "Nicola Calipari, una vita per gli altri", suonano come un'ulteriore sottolineatura della politica estera italiana basata sull'amicizia con gli Stati Uniti, ma anche e soprattutto sull'autonomia di giudizio e il multilateralismo intesi come strade alternative a quelle americane per la pace nel mondo.
Il ministro degli Esteri, si diceva, ha parlato di occasione perduta per gli americani: "E' conosciuto il nome del militare che avrebbe sparato. Al di là della verità ci sarebbe bisogno di giustizia. Il governo si è già impegnato, ma non dipende dal governo italiano tradurre in giudizio l'imputato". E D'Alema ha paragonato la storia di Calipari alla tragica vicenda del Cermis: "Quando il militare imputato della responsabilità colposa dell'incidente della funivia del Cermis fu assolto, il governo degli Stati Uniti si assunse la responsabilità con un atto che ebbe, al di là degli aspetti risarcitori, un grande valore di carattere morale e politico. Un'assunzione di responsabilità che in questo caso non c'è stata".

(3 marzo 2007)


Da Il Riformista 3-3-2007 Chi vuole una Rifondazione socialista non dice una parola su come organizzarsi di Federico Fornaio


Leggendo in queste settimane della ritrovata vitalità nell’area socialista e di progetti di Rifondazione socialista credo possa tornare utile al dibattito in corso rammentare, parafrasando un antico detto popolare, che «le idee camminano con le gambe dell’organizzazione».
Intendiamoci, partiti di sinistra senza un coerente patrimonio ideale non hanno alcun significato, ma attenzione a non commettere l’errore fatale di dimenticarsi dell’importanza del radicamento territoriale, insomma, in una parola dell’organizzazione. La storia italiana, infatti, ci ha fornito più di un esempio di soggetti politici dotati di un bagaglio culturale e di idee di prim’ordine, che hanno clamorosamente fallito, proprio per aver sottovalutato gli aspetti materiali della propaganda (oggi si direbbe della comunicazione politica), delle sezioni e delle risorse economiche necessarie.
Un esempio di questo genere è stato il Partito d’Azione, erede del movimento di Giustizia e Liberta, uscito dall’esperienza resistenziale come uno dei maggiori protagonisti della lotta contro il nazifascismo. Forti dell’immagine di coraggio e di determinazione di molti dei suoi comandanti partigiani, gli azionisti ebbero un brutto risveglio all’indomani delle elezioni del 2 giugno 1946. Nonostante i commentatori dell’epoca (i sondaggi per nostra fortuna non esistevano ancora) gli attribuissero nelle previsioni un buon 10%, il Partito d’Azione raccolse un modesto 2,5%, con un piccolo drappello di deputati nell’Assemblea Costituente. Un partito che durò poco più di due anni dopo la Liberazione, mentre l’azionismo continuò a essere nella cultura della sinistra italiana un filone tanto nobile quanto minoritario.
Anche l’esperienza della socialdemocrazia italiana (Psli, poi Psdi) è lì a testimoniare quanto sia importante il radicamento organizzativo sul territorio, nelle grandi realtà associative di massa (sindacato, cooperative). Tutti oggi riconoscono che a Palazzo Barberini (gennaio 1947) Saragat aveva ragione nel difendere l’autonomia del socialismo democratico dall’abbraccio fusionista e nelle scelte di politica internazionale, eppure il responso delle elezioni del 1948 (7,1%) segnò la fine dell’illusione di poter creare in Italia un grande partito socialista democratico di massa, sul modello di altri paesi europei: un soggetto in grado di vincere la competizione con i comunisti per la leadership della sinistra. In verità a pochi mesi dalla fondazione del Psli, al primo congresso della Cgil unitaria, si era già manifestata una debolezza strutturale, destinata a pesare inesorabilmente a condizionare in negativo lo sviluppo del nuovo partito. In quella occasione la lista dei sindacalisti vicini al Psli e al Pri ottenne uno striminzito 5%. Una presenza marginale e insufficiente per sviluppare una qualsivoglia azione di contrasto alla maggioranza socialcomunista.
Insomma, un partito socialdemocratico o è un grande partito oppure non è in grado di svolgere il ruolo di guida della sinistra di governo che gli è proprio.
Riportato alla politica di oggi e alla questione socialista, il problema della dimensione critica di un soggetto d’ispirazione socialista democratica non può essere eluso, pena risvegliarsi malamente all’indomani della prima elezione. L’entusiasmo riunificatore che pervade l’articolato arcipelago socialista, rischia di sottovalutare i fattori materiali dell’organizzazione partitica e di gettare il cuore oltre l’ostacolo, senza riflettere adeguatamente proprio sui caratteri tipici dei partiti del socialismo europeo.
L’altra faccia della medaglia di un simile atteggiamento è la costituzione di un partito di reduci del socialismo, con la testa rivolta a un passato glorioso, ma estraneo alle dinamiche sociali e alle nuove domande della società, pur essendo in possesso di un bagaglio ideale e culturale di prim’ordine. Il riformismo per dare gambe alla sua azione di cambiamento ha bisogno di una rete organizzativa in grado di sostenere questo sforzo rivoluzionario, se si pensa alle resistenze corporative diffuse nella società e nell’economia italiana.
Anche per questa ragione, sono tra quelli che ritengono che la questione socialista possa trovare una risposta migliore nella partecipazione attiva e critica al processo costituente del Partito democratico. Un cantiere aperto che ha bisogno di essere innervato dalla cultura del riformismo socialista, per evitare di diventare una “fusione fredda” tra Ds e Margherita.
A riguardo vi sono molte obiezioni e comprensibili riserve tra i socialisti, ma l’obiettivo di unire in un unico, grande partito, i filoni del riformismo italiano del Novecento è una risposta ambiziosa, ma indispensabile per uscire dalla crisi del sistema politico italiano e ridare centralità riformista all’attuale alleanza di governo. Sta nelle cose naturali, infine, che l’approdo finale del Pd nella politica internazionale sia la famiglia socialista democratica del Pse e l’Internazionale socialista. Ci sono legittime resistenze nella Margherita su questa soluzione, ma alternative concrete non ci sono e alla fine non potrà che vincere un approccio ragionevolmente pragmatico prima ancora che sterilmente ideologico.
In definitiva la questione socialista è giunta a un bivio: tentare una improbabile Rifondazione socialista, tra gruppi, associazioni e partiti distanti tra loro su molti aspetti, correndo il rischio di ripercorrere l’esito elettoralmente fallimentare della Rosa nel pugno e di costruire un rifugio di reduci più che un moderno partito socialista democratico (mi si perdoni la brutale franchezza), oppure essere protagonisti e non comprimari della sfida del Partito democratico, che può diventare quel grande partito riformista plurale che l’Italia non ha mai avuto.
In questo quadro il fattore O (organizzazione) non può essere accantonato e su questo aspetto nel dibattito in corso nell’area socialista mi pare di osservare un imbarazzato silenzio, preoccupante per chi vorrebbe partecipare alla competizione elettorale con ambizioni da partito a vocazione maggioritaria. Di un nuovo Psiup gli italiani non sentono alcun bisogno.

 


 

Da Affari Italiani 3-3-2007 All'attacco/ Sindacati: la proprietà cannibalizza Telecom. In 10 anni 22 mld di dividendo. Il gruppo: con Telefonica

( Affari Italiani del 03/03/2007 )

 

Venerdí 02.03.2007 17:43 CUSANI SUI 10 BILANCI TELECOM DEGLI ULTIMI 10 ANNI 22 miliardi di dividendo negli ultimi 10 anni. 13 miliardi di utili dal 1999 Tlc/ Doccia fredda per Telecom. Stop ai contatti con Telefonica al 2006. 30 miliardi di ricavi, stabili. Tra 12 e 14 miliardi di margine operativo lordo. Più 66% di produttività dal 1999 al 2005. Calo occupazionale (da 122.000 a 85.000 dipendenti dal 1999 al 2006 nel mondo -giù del 30%- e in Italia da 117.000 a 70.000 -giù del 40%) e 45 miliardi di debito. Sono alcuni dei dati presentati a Milano dalla Slc-Cgil (tlc) che provengono da un'analisi (vedi link) commissionata dal primo sindacato italiano allo studio di Sergio Cusani. Dati che, secondo Emilio Miceli, segretario nazionale della Slc, dimostrano che "la proprieta di Telecom tende a devitalizzare e a cannibalizzare l'azienda". "L'attuale azionista di riferimento- prosegue Miceli - , per salvare se stesso, è costretto a remunerare a condizioni sempre più alte, oltre le possibilità stesse dell'azienda, se stesso e gli azionisti che lo sorreggono. Ovviamente questo spiega perché la rete è poco curata e sono in via di esternalizzazione attività fondamentali, ultima in ordine cronologico quella di assurance". Accuse pesanti, rivolte a Marco Tronchetti Provera, presidente di Pirelli, maggiore azionista di Olimpia, la scatola che controlla assieme a Mediobanca e Generali (con un patto di consultazione) l'ex monopolista. Accuse a cui si aggiungono quelle di "progressivo svuotamento" dell'azienda. Il sindacalista, infatti, cita "i 7 miliardi di dismissioni tra immobili, impianti e macchinari i 50 miliardi di beni immateriali a fronte di 17 miliardi di beni materiali". Numeri che risultano sempre dall'analisi effettuata da Cusani.

 

 


 

La Repubblica 2-3-2007 Usa, via libera al riso con geni umani ed è polemica sui rischi della coltura. Un esperimento condotto su bebè peruviani avrebbe dato esiti negativi Di Gaia Giuliani

Scopo della pianta curare la diarrea, causa di milioni di decessi tra i bambini del Terzo Mondo
Il progetto è in fase iniziale, ma molti coltivatori temono contaminazioni

 

WASHINGTON - Dopo un parziale consenso da parte del Dipartimento per l'Agricoltura degli Stati Uniti, verrà coltivato su suolo americano il primo raccolto che mescolerà un vegetale - il riso - a dei geni umani. Lo scopo del progetto è curativo e le polemiche sono già scoppiate, feroci, e scientificamente motivate. Perché l'azienda che ha intenzione di produrlo, la Ventria Bioscience, società biotech statunitense, avrebbe sperimentato su dei bambini peruviani un siero di riso con l'aggiunta delle proteine umane coinvolte nello strabiliante progetto agricolo. Per sondare le reazioni umane all'alimento.
Secondo la ong canadese Action Group on Erosion, Technology and Concentration, gli esiti sarebbero stati decisamente negativi: la maggior parte dei piccoli - si trattava di neonati - si sono ammalti. La notizia è rimbalzata sulle pagine di una serie di giornali sudamericani tra cui il messicano
La Jornada, che ha polemizzato sull'opportunità di sperimentare su bambini dell'America del Sud un alimento transgenico ancora vietato negli Stati Uniti.

E anche il Washington Post scrive della ricerca condotta in Perù, ma senza fornire particolari. Il quotidiano invece si sofferma su un altro tipo di pericolo che allarma molti coltivatori, ovvero quello che i raccolti di riso modificato "infettino" anche i loro campi, cosa già successa con del grano a cui si era accidentalmente mescolato un vaccino anti-diarrea per maiali.
E proprio la lotta alla diarrea, umana questa volta, sarebbe l'obiettivo del riso che la Ventria ha in cantiere, perché quello che può sembrare un malessere passeggero, è causa di almeno due milioni di decessi infantili tra i bambini del Terzo Mondo.
I semi in fase di sperimentazione sono tre e dovrebbero portare l'organismo alla produzione di altrettante proteine: due di loro, la lactoferrina e il lisozima, contengono sostanze che combattono i batteri e si trovano normalmente nella saliva, nelle lacrime e nel latte materno. Una terza qualità di riso produrrebbe sieroalbumina, una proteina del sangue usata dalla medicina in diversi tipi di terapia. L'idea portante di tutta la faccenda è che una volta alterati i semi, per ottenere una medicina efficace contro il disturbo mortale, sia sufficiente un terreno, dell'acqua e molto sole. E si pensa anche alla possibilità di aggiungere i chicchi a prodotti come yogurt e barrette di cereali.
Il riso geneticamente modificato verrà coltivato dalla Ventria su un'area di circa 1600 ettari nel Kansas, nella Contea di Geary. La coltura coinvolgerà inizialmente 225 ettari, per poi allargarsi al resto dell'appezzamento. La Ventria assicura che adotterà tutte le misure necessarie affinché i campi limitrofi a quelli del suo riso curativo non vengano "contaminati", e il Dipartimento dell'Agricoltura dà assicurazioni sul basso rischio del progetto.
Ma molti ambientalisti non sembrano convinti perché - come riporta il Washington Post - lo stesso Dipartimento sarebbe stato più volte condannato dai tribunali americani per una serie di errori di valutazione commessi proprio nei confronti delle biotecnologie.
(2 marzo 2007)


INDICE 2-3-2007

++ La Stampa 2-3-2007 Il Cavaliere, il Professore  e la tela di Penelope.  Augusto Minzolini 1

+ Il Corriere della sera 2-3-2007 Laziogate, Storace a giudizio Con l' ex ministro ed ex presidente della Regione Lazio anche altre sei persone  1

+ Il Sole 24 Ore 2-3-2007  Usa, incriminati 13 manager per insider trading  1

+ La Repubblica 2-3-2007 Laureati, colti e disperati. E’ l'esercito dei senza lavoro Di Federico Pace  2

La Repubblica 2-3-2007 Danilo Coppola. Dalla borgata a piazzetta Cuccia: la parabola dell'ultimo dei furbetti Di Alberto Statera  2

La Stampa 2-3-2007 2/3/2007 Ossigeno per Prodi. Mario Deaglio 3

La Repubblica del 02/03/2007 L'INTERVISTA. Giampaolo Galli, direttore generale dell'Ania: "Assicurazioni e banche discriminate Bruxelles porrà fine a un'ingiustizia" - Barbara Ardù  3

Il Riformista 2-3-2007 DIMENTICANZE . Riforma tv e conflitto d’interessi 3

Il Corriere della Sera 1-3-2007. Arrestato l'immobiliarista Danilo Coppola Le accuse: bancarotta, riciclaggio e appropriazione indebita  3

Il Corriere della Sera 1-3-2007 Intervista a Sir Arthur C. Clarke, autore di «2001: Odissea nello spazio». «Raggiungeremo l’immortalità elettronica»  4

 


++ La Stampa 2-3-2007 Il Cavaliere, il Professore  e la tela di Penelope.  Augusto Minzolini

 

Prodi cerca di rallentare la riforma, il leader azzurro vuole accelerare

Seduto su uno dei divani del corridoio dei passi perduti di Montecitorio, con l’orecchio perennemente attaccato alla cornetta del telefono, l’ex-dc Giampaolo D’Andrea, sottosegretario di quel ministro Vannino Chiti che conduce le danze sulla nuova legge elettorale, fa il punto sull’argomento che è diventato il nuovo ombelico della politica italiana: «La legge elettorale? Ma mica si fa mo’... Vediamo. Aspettiamo di vedere cosa esce fuori». Insomma, per il nostro c’è bisogno di tempo perché nella logica minimale che ha fatto la fortuna dei democristiani più dura il confronto sul tema e più questo governo malridotto guadagna mesi o anni di vita. Una filosofia che riappare anche sulla bocca del ministro per l’attuazione del programma, il prodiano doc Giulio Santagata: «Non credo - spiega - che il governo si presenterà da subito con un suo progetto. Bisogna trovare prima tutte le convergenze possibili». E nel Transatlantico di Montecitorio un altro sottosegretario che passa la sua vita a Palazzo Chigi, Paolo Naccarato, si unisce al coro anche se ha l’accortezza di lanciare qualche segnale a Silvio Berlusconi ben sapendo che è difficile fare la nuova legge elettorale senza il Cavaliere. «Un tentativo serio - racconta - lo faremo. Certo manterremo l’impianto dell’attuale legge con una serie di accorgimenti che potrebbero poi dar vita a tre-quattro interventi sulla Costituzione. Se questo governo dura? In fondo è interesse di tutti fare una nuova legge elettorale per mettersi a riparo dagli imprevisti...».
Nelle parole di Naccarato, appunto, c’è un’esca per il Cavaliere. Anche Berlusconi, infatti, segue lo schema dei piccoli aggiustamenti: per lui, nei fatti, basterebbe rendere omogenea la legge tra Camera e Senato. Una riformetta per non avere problemi con gli alleati della coalizione e, soprattutto, da fare in quattro e quattr’otto per aprire la strada alle elezioni. «La legge elettorale è un falso problema - fa presente -, basta trasformare il premio del Senato da regionale a nazionale». Prodi sarebbe anche disposto a fare piccoli aggiustamenti ma vuole impiegarci molto tempo. Berlusconi li vuole piccoli, invece, solo per farli presto. Tutti e due, quindi, quando parlano di legge elettorale pensano ad altro: alla durata del governo. Per dirla con le parole del Cavaliere l’argomento «è solo un diversivo per guadagnare tempo». Sarà, ma anche in questa vicenda il Cavaliere rischia di sbattere la testa contro il muro, come nella crisi che si è chiusa.
E il motivo è sempre lo stesso: perseguendo il sogno delle elezioni subito, senza munirsi di una strategia alternativa, Berlusconi rischia di restare fuori dai giochi. Se nella crisi è riuscito a mettere insieme, facendo insorgere in molti la paura delle urne, i 158 voti che hanno ridato fiato al governo, sulla legge elettorale rischia di non guidare ma di essere in balia dei giochi. I segnali già ci sono: mentre lui considera la riforma elettorale «un falso problema», Casini la considera «un problema» e Fini «il problema principale». E anche la fedelissima Lega che ha l’ossessione della legge elettorale ha cominciato ad andare in giro per dire la sua. Lui, il Cavaliere, ovviamente, alza la voce. In fondo nella sua testa la politica si riduce solo al rapporto con i cittadini, alla campagna elettorale e, se si vince, al governo. Non è avvezzo alle tattiche di Palazzo, alle strategie parlamentari, alle sottigliezze dei piani. Anzi, le rifiuta. Ieri, ad esempio, ha criticato gli alleati perché non hanno seguito il suo esempio nella crisi, non hanno chiesto le elezioni: «Loro temevano che chiedendo le elezioni ed essendo certi che non sarebbero state concesse, avremmo dissuaso quei senatori della sinistra che avrebbero potuto votare insieme a noi contro il governo. Questa ipotesi è stata smentita dei fatti e credo che per questa operazione di politica politicante abbiamo dato l’impressione di non essere decisi nella direzione unica delle elezioni».
Appunto, nella sua mente tutto quello che «non è semplice» è «politicante». Lui sa guidare la macchina solo sul rettilineo, non sopporta le curve. Finché non vede l’orizzonte si ferma sul ciglio della strada, mette in folle e resta immobile. E pensare che in questo momento l’unico che potrebbe permettersi due politiche è proprio lui: con Forza Italia che nei sondaggi è data dal 29 al 33% può essere l’asse di uno dei due poli del maggioritario, o diventare il partito di maggioranza relativa nel sistema tedesco; può puntare alle elezioni ma anche essere uno dei contraenti più influenti nel governo delle larghe intese. Insomma, gli basterebbe muoversi per togliere spazio agli altri. Potrebbe tranquillamente far proprio il ragionamento del suo ex-ministro dell’Interno aggiungendo un piccolo corollario alla sua proposta di riforma elettorale: «La maggioranza di governo deve essere uguale a quella che approva la nuova legge elettorale, altrimenti non si va da nessuna parte. Per questo ci vuole un altro governo».
Invece, visto che le «larghe intese» gli fanno venire l’orticaria, il Cavaliere liquida l’argomento come «un falso problema». E alla fine rischia di essere come Follini un «puntello» per Prodi: se il primo lo vota direttamente, il Cavaliere non aprendo a nessuna ipotesi alternativa alle elezioni in caso di crisi, lo sostiene indirettamente per difendere lo «status quo» nei due poli. Tutto per un eccesso di prudenza, per la voglia di non osare: «Non navigo verso l’ignoto - è il suo alibi - senza sapere quali sono i miei compagni e cosa vogliono».

 


+ Il Corriere della sera 2-3-2007 Laziogate, Storace a giudizio Con l' ex ministro ed ex presidente della Regione Lazio anche altre sei persone

La vicenda delle intrusioni informatiche nell'anagrafe della Capitale

 

ROMA- Il gup di Roma Enrico Imprudente ha rinviato a giudizio l' ex ministro ed ex presidente della Regione Lazio Francesco Storace (An) per il cosiddetto «Laziogate», vicenda relativa ad intrusioni informatiche nell' anagrafe della Capitale al fine di danneggiare la lista di Alessandra Mussolini in occasione delle elezioni regionali del 2005.
Il processo inizierà il prossimo 15 maggio davanti al giudice monocratico. Il consigliere comunale romano di An Fabio Sabbatani Schiuma, inizialmente indagato, è stato invece prosciolto dalle accuse. Secondo la Procura, uomini di Storace - indagati con lui per accesso abusivo a sistema informatico - e investigatori privati avrebbero violato l'anagrafe del Comune di Roma per verificare i dati degli apparenti sottoscrittori della lista Alternativa sociale (As) di Alessandra Mussolini, che era in concorrenza con An, accertando diverse irregolarità e utilizzandole per non far partecipare la lista alle elezioni amministrative del 2005. Storace ha sempre respinto le accuse.
In precedenza due degli imputati - Gaspare Gallo, uno dei due detective privati che avrebbe partecipato allo spionaggio, e Dario Pettinelli, ex addetto all'ufficio comunicazioni esterne della Regione Lazio - avevano già chiesto il patteggiamento. Nicolò Accame, ex portavoce di Storace, e Pierpaolo Pasqua, un altro detective implicato nel presunto spionaggio, avevano chiesto nelle settimane scorse che il caso venisse trasferito al tribunale di Milano per incompetenza territoriale, ma la richiesta è stata respinta dal Giudice per le indagini preliminari.
Pasqua e Accame sono infatti imputati anche nel processo parallelo sullo spionagggio a danni del presidente della Regione Lazio Antonio Marrazzo e di Mussolini, e hanno dunque chiesto di essere trasferiti per essere giudicati da un solo tribunale, ma il Gup ha respinto la richiesta perché i due processi si trovano in due fasi diverse non possono essere accorpati.

02 marzo 2007


+ Il Sole 24 Ore 2-3-2007  Usa, incriminati 13 manager per insider trading

 

Wall Street torna nel mirino delle autorità di regolamentazione dei mercati. Nella giornata di ieri, infatti, 13 manager sono stati incriminati dalla Sec (la Consob americana) a causa di un vasto giro di insider trading. Sotto i riflettori, con l'accusa di frode e di false dichiarazioni, alcuni dirigenti delle note banche d'affari Morgan Stanley, Ubs, Bear Stearns, Bank of America, oltre ai dipendenti di diversi fondi speculativi. L’ammontare delle operazioni illegali, secondo le autorità Usa, supererebbe i 15 milioni di dollari. Quattro delle quattordici persone fermate starebbero già collaborando. Tra i protagonisti di questo massiccio giro di attività di insider trading, si sono messi in evidenza il legale di Morgan Stanley Randi Collotta, 30 anni, e suo marito Christopher, 34 anni; colpiti dall'incriminazione, inoltre, Mitchel Guttenberg, manager della divisione clienti istituzionali di Ubs, e Robert Babcok e Ken Okada, impiegati di Bear Stearns.
Secondo l'accusa, le frodi sarebbero partite, nel caso di Morgan Stanley, da Collotta, che avrebbe avuto accesso a informazioni strettamente riservate relative a società oggetto di operazioni di fusione e acquisizione; queste informazioni sarebbero state poi messe a disposizione di alcuni dirigenti di Bear Stearns e di una società di brokeraggio (il cui nome non è stato ancora appreso), situata a Boca Raton, in Florida. Guttenberg, invece, avrebbe informato un altro dirigente incriminato, David Tavdy, di imminenti revisioni al rialzo e al ribasso operate da Ubs sui rating di alcuni titoli, prima che i cambiamenti sulle valutazioni divenissero pubblici. Si sarebbe trattato in particolare di alcuni titoli detenuti da Tavdy, quali Caterpillar, Goldman Sachs e U.S. Steel. Le informazioni riservate venivano passate in spesso in incontri apparentemente causali al ristorante o alla stazione dei treni. La Sec chiederà la restituzione dei profitti illegalmente accumulati e altre sanzioni. Il Procuratore distrettuale di New York, invece, intende procedere penalmente con un nutrito pacchetto di accuse, che vanno dall'insider trading alla frode e cospirazione, fino alle false comunicazioni.


+ La Repubblica 2-3-2007 Laureati, colti e disperati. E’ l'esercito dei senza lavoro Di Federico Pace

Solo la metà trova impiego a un anno dalla laurea. E' il peggior risultato dal 1999 a oggi
Nel 2006 hanno guadagnato, in termini reali, meno di 5 anni fa. L'indagine di AlmaLaurea

Iperqualificati, con qualche sogno in testa e sempre meno pagati. Destinati a emigrare, pur di evitare la disfatta. I laureati mostrano sul loro volto i segni delle sempre più acute contraddizioni di un intero paese dove il merito e le qualifiche non vanno quasi mai di pari passo con le opportunità e i compensi. Sul loro volto sono sempre più evidenti i segni del disagio provato di fronte a quella porta, quasi sempre socchiusa, che dovrebbe portarli al lavoro e alla maturità.
Quando una ragazza o un ragazzo con in tasca la laurea cerca un posto, pare di vedere un gigante che prova ad entrare attraverso la piccola porticina di una minuscola casa di lillipuziani. Loro sono tanti mentre sembrano sempre più inadeguati i posti di lavoro che il sistema economico e il mondo delle aziende italiane mette a disposizione. Addetti per i call center o cassieri di negozio che siano. Con il paradosso, che a questo punto pare quasi logico, che sono proprio i più preparati, quelli che prendono i voti più alti di tutti a ritrovarsi con il più basso tasso di occupazione. Tanto che a un anno dalla laurea, trovano lavoro solo quattro su dieci di quelli che hanno preso 110 e lode. Con la triste constatazione che nel 2006 un laureato guadagna al mese, in termini reali, meno di quanto percepiva cinque anni fa il fratello maggiore.
Fenomeni conosciuti si dirà, ma il fatto è che quest'anno le cose sono andate ancora peggio. Tanto che per trovare un impiego non è neppure sufficiente aspettare un anno. I dati del triste record dicono che dopo la fatidica laurea, a un anno dal giorno della discussione della tesi, dai festeggiamenti e dai sorrisi e dalle congratulazioni, trova lavoro solo il 45 per cento dei laureati "triennali" (erano il 52 per cento l'anno scorso) e il 52,4 per cento dei laureati pre-riforma, ovvero il dato più basso dal 1999 (
vedi tabella). I dati sono quelli della nona indagine sulla "Condizione Occupazionale dei laureati italiani" presentata (vedi la diretta) a Bologna da AlmaLaurea, il consorzio interuniversitario a cui aderiscono 49 università italiane. Ed è forse utile sapere che il convegno prevede per la mattina di sabato (3 marzo) anche una tavola rotonda (la presentazione e la tavola rotonda possono essere seguite in diretta sul sito di Almalaurea) che dibatterà su questi temi e a cui parteciperanno anche Fabio Mussi, il ministro dell'Università, e Cesare Damiano, il ministro del Lavoro, insieme ad Andrea Cammelli, il direttore di Almalaurea, e il presidente Crui Guido Trombetti.
Secondo l'indagine, l'instabilità che caratterizzava già molti degli impieghi degli anni scorsi si è fatta ancora più acuta. Sia per i laureati "triennali" che per quegli ultimi che stanno uscendo dal percorso previsto dal vecchio ordinamento. Solo un giovane su tre che ha conseguito una laurea breve - e ha trovato un impiego - è riuscito a siglare un contratto a tempo indeterminato. L'anno scorso l'impresa era riuscita al 40 per cento di loro. Stessa storia per i giovani che hanno ultimato il percorso di laurea del "vecchio ordinamento", la quota di chi è riuscito ad avere un contratto stabile è scesa al 38,4 per cento. Il lavoro atipico dal 2001 a oggi è cresciuto di ben dieci punti percentuali.

C'è poi lo stipendio. Quel sostegno che dovrebbe permettere alle nuove generazioni di prendere iniziative e decisioni, di mettere su famiglia, di provare a superare la sindrome di Peter Pan. Quel sostegno, è sempre più esile. I giovani laureati del post-riforma si ritrovano in tasca a fine mese solo 969 euro. Meno di quanto non fosse l'anno scorso (vedi tabella). Prendono qualcosa in più i laureati pre-riforma che a fine mese arrivano fino a 1.042 euro. Poco più dell'anno scorso ma, al netto del costo della vita, ancora meno di quanto un neolaureato guadagnava cinque anni fa.
Senza dire che l'Italia vanta il minor numero di laureati che lavora a cinque anni dalla laurea (l'86,4 per cento contro una media europea pari all'89 per cento). Scorrendo i dati dell'indagine di AlmaLaurea si ricava la triste conferma che nel cuore delle nuove generazioni, anche lì dove è opportuno che l'Italia sia più moderna e vicina all'Europa, covano e crescono le stesse antiche contraddizioni e disparità che gravano da tempo infinito sul corpo del malato Italia.
Le donne sono meno favorite rispetto agli uomini, hanno un tasso di occupazione più basso, sono più precarie e guadagnano meno dei loro colleghi uomini (
vedi tabella). A un anno dalla laurea lavora il 49,2 per cento delle laureate pre-riforma contro il 57,1 per cento degli uomini. E il gap salariale nel tempo non fa che crescere, tanto che a cinque anni dalla laurea le donne guadagnano un terzo meno di quanto non prendono gli uomini. Quanto alla precarietà a un anno dalla laurea il 52 per cento delle donne ha un contratto atipico contro il 41,5 per cento degli uomini. E la disparità è ancora più acuta per le laureate "triennali", visto che solo il 34 per cento delle donne ha un impiego stabile contro il 48 per cento dei loro colleghi uomini.
Stesso discorso per le disparità territoriali. Nel 2006 sei laureati del Nord su dieci trova lavoro dopo un anno mentre per le regioni del Sud le cifre si fermano al 40 per cento. Ovvero le stesse quote nel lontano 1999. Senza dire che a cinque anni dalla laurea, i giovani del Mezzogiorno prendono 1.167 euro al mese mentre i ragazzi del Nord arrivano a 1.355 euro al mese.
Non c'è da stupirsi se allora molti di loro non si sentono valorizzati per quello che valgono e, seppure a malincuore, decidono di muoversi oltre confine per trovare migliori occasioni. All'estero, lì dove sembrano trovare rifugio e compenso. I laureati italiani che lavorano fuori dai confini nazionali, a cinque anni dalla laurea, arrivano a guadagnare quasi 2 mila euro, ovvero il 50 per cento in più di quanto non accada alla media complessiva dei laureati. Se non si mette mano a questo problema, se non si trova un articolato piano per valorizzare i talenti che escono dalle nostre facoltà, poco si potrà fare per dare slancio al nostro paese.
(2 marzo 2007)


La Repubblica 2-3-2007 Danilo Coppola. Dalla borgata a piazzetta Cuccia: la parabola dell'ultimo dei furbetti Di Alberto Statera

Finisce a Regina Coeli la resistibile scalata di Soprannominato "er cash" per lo smodato uso dei contanti

 

Dalla borgata Finocchio, via della Bolognetta, periferia degradata a sud di Roma, a piazzetta Cuccia, nel palazzo secentesco di Mediobanca, tempio milanese dell'alta finanza italica; dall'istituto privato per scolari un po' testoni "Pio XII" di Torpignattara, al Lingotto, santuario torinese della Fiat, accanto ai Canaletto e ai Gustav Klimt collezionati in una vita da Gianni e Marella Agnelli.
Dalle palazzine giallonerastre della Tuscolana e della Romanina, al felliniano Grand Hotel di Rimini. Breve ma intenso, assai poco felliniano, è l'Amarcord di Danilo Coppola, azionista di Mediobanca, proprietario, tra l'altro, di un pezzo di Lingotto e del Grand Hotel riminese, detto "Er Cash" per lo smodato uso di contanti, o "Palazzinaro con la pistola" per il disinvolto maneggiare delle armi da fuoco, da quando sparò per spaventare degli zingari che lo disturbavano in un ghetto di periferia.
Danilo, dagli altari, è finito ieri in una cella di Regina Coeli - forse nei pressi di quella che ha ospitato a lungo il suo collega furbetto Stefano Ricucci - con l'accusa di bancarotta, associazione per delinquere e riciclaggio. Sic transeat gloria mundi, per dirla con San Paolo. Così la gloria, scema per un ragazzo di borgata neanche quarantenne, "tricologicamente scorretto", come è stato definito, peccato francamente alquanto veniale rispetto a quelli più seri che gli vengono addebitati per la criniera lunga e liscia che gli copre le spalle.
Il giovanotto è riuscito per un po' a far credere alle banche, della cui ingenuità fortissimamente dubitiamo, e a questa Italia abituata in ogni dove alle scorrerie dei lanzichenecchi della finanza, della politica, della cultura e anche dello spettacolo, di essere diventato in un battibaleno uno degli uomini più ricchi d'Italia, con un patrimonio di tre miliardi e mezzo di euro, diconsi settemila miliardi di vecchie lire. Può un figlio di borgata, col papà Paolo impiegato morto di ictus poco più che sessantenne e con la mamma Francesca che non più di vent'anni fa vicino al bar "Billi" inscatolava le alici per arrotondare il bilancio di casa, aver scalato la ricchezza e il potere nell'arco di tempo in cui i figli della borghesia benestante impiegano a studiare e a trovare, forse, un posto da 1500 euro al mese ?
Può darsi che per realizzare il "sogno americano" serva nascere intelligenti e determinati alla borgata Finocchio. Ma, se vogliamo, è più probabile che in borgata si trovino con meno difficoltà le "pudenda" di un capitalismo prima asfittico e un po' ottuso, oggi, per molti versi, di speculazione, d'avventura, di collusione, quando non di di riciclaggio. Niente di nuovo, per la verità. Trent'anni fa a salvare l'Italia dal disastro sindoniano, che era cominciato con la Generale Immobiliare, fu chiamato dal potere democristiano incarnato allora da Ferdinando Ventriglia, un manipolo di palazzinari romani di cui oggi neanche si ricordano i nomi.
E Salvatore Ligresti, che mai incarnò la lucentezza di un capitalismo delle regole e delle responsabilità, fu per anni la sponda di Enrico Cuccia, che familiarmente chiamava il suo corregionale siciliano "don Salvatore". Nel caso Ambrosiano-Calvi, che finì con l'impiccagione del banchiere sotto il Ponte dei Frati neri a Londra, erano coinvolti insieme il Vaticano, lo Ior, e la banda della Magliana, con faccendieri che sono ancora attivamente sulla piazza.
Con "Er Cash" è stato arrestato Luca Necci, ex cognato di Ricucci, un dettaglio che "ad abundantiam" ricongiunge i fili del capitalismo delinquenziale che negli anni del berlusconismo - per carità, non che anche prima non fosse capitato - ha spadroneggiato, nella convinzione di poter violare tutti i santuari del potere, compresa la "magnifica preda" del Corriere della Sera. Ma tra i "bad boys" di borgata che hanno messo a ferro e fuoco la finanza negli ultimi anni non sono state sempre rose e fiori.
Chi ha assistito o avuto eco diretta di qualche riunione dei "concertisti" durante la scalata fallita dei furbetti alla Banca Nazionale del Lavoro, racconta del crinierato della borgata Finocchio che attacca il collega ex odontotecnico di Zagarolo definendolo - pensate un po' - "inaffidabile", mentre quello inveiva contro chi voleva "fa'er frocio col culo degli altri".
A Danilo Coppola, che pare nulla abbia a che fare col parzialmente omonimo Frank Coppola detto "Tre dita", il mafioso che per anni fu in soggiorno obbligato a Pomezia e che di lì pilotò molti affari immobiliari a Roma e nel Lazio, di carattere non ne manca. Quando compra 170 milioni di azioni della Bnl, Diego Della Valle lo invita a prendere un tè all'Hotel Eden di Roma e più o meno gli dice: caro signore, quello che lei ha speso per la Bnl oggi vale il doppio, per cui si è fatto un bel gruzzolo, perciò lo monetizzi, per favore, se ne vada, perché uno come lei nel consiglio d'amministrazione della banca non entrerà mai.
"E che sono io, uno straccione ? Lei è sicuro di essere più ricco di me ?", gli risponde il crinierato e, preso dall'indignazione del parvenu rifiutato, un sentimento che tanti guai ha procurato a questo paese determinando persino la "scesa" in politica di Silvio Berlusconi, si compra il 4 per cento di Mediobanca, di cui nei giorni scorsi ha ceduto la metà per 50 milioni di euro. Il suo faro di vita, come spesso confida, è Francesco Gaetano Caltagirone, che nelle stanze del potere è entrato, eccome, per ricchezza, per abilità e per parentele politiche acquisite. Ma soprattutto per gli investimenti nei giornali: Il Messaggero, Il Mattino, Il Gazzettino. Quello è il modo per rifarsi una verginità. Ma il "Corriere" è il boccone impossibile di quel velleitario spaccone di Ricucci e di tutti quelli che lo proteggevano nel giro stretto berlusconiano e della Casa della libertà, che dal banchiere di Lodi Gianpiero Fiorani hanno succhiato, a quanto pare ai magistrati, tangenti per una cinquantina di milioni di euro: non solo il povero Luigi Grillo, l'ex democristiano ligure organizzatore della lobby pro Antonio Fazio durante la partita Antonveneta, ma anche i ruspanti leghisti e il ricco bibliofilo siculo Marcello Dell'Utri, l'inventore di Forza Italia, che nelle vicende dei "bad boys" del capitalismo straccione ha un suo ruolo non di secondo piano.
I figli non hanno le colpe dei padri, per carità. Ma sapete chi distribuì il film da Oscar della signora Ricucci, alias Anna Falchi ? Un certo Jacopo Dell'Utri, figlio del sullodato. Allora - si dice Coppola - se il "Corriere" è impossibile cominciamo dal basso: da quell'accrocco editoriale messo insieme da Osvaldo De Paolini, giornalista noto soprattutto per la personale esperienza borsistica, e dai suoi soci, compreso il direttore editoriale Gianni Locatelli, ex direttore del "Sole 24 Ore" ed ex direttore generale della Rai, incorso qualche anno fa, con alcuni suoi colleghi, nell'increscioso incidente Lombardfin. Così "Er Cash" sborsa 12 milioni o giù di lì per acquisire il 18 per cento di un'impresa editoriale semiclandestina. Licenzia i commercialisti di borgata e si affida al superstudio torinese dei Segre.
Ma non bastano i Segre, il Lingotto, Mediobanca, la Roma Calcio, il piccolo scudo di stampa con i giornaletti finanziari, il palazzo affittato all'Antitrust, a esorcizzare il turbillon inquietante di società nazionali o esterovestite governate spesso da baristi e studenti ignari, la contiguità antica con il commercialista della cosca Piromalli, Roberto Repaci, i trascorsi affari con Giampaolo Lucarelli, l'ombra di Enrico Nicoletti, boss della banda della Magliana.
L'impero di cartone forse è al capolinea. Chissà se lo è pure il giocarello del clan dei neopalazzinari, ribattezzati immobiliaristi - i Coppola, i Ricucci, gli Statuto, i Zunino, ma anche altri, come lo stampatore Vittorio Farina, assistito da personaggi che troviamo già tre lustri fa nelle cronache di Tangentopoli - che con un vorticoso giro di vendite, acquisti, riacquisti, rivendite, di scambi e controscambi, drogano il mercato immobiliare in una bolla gonfia di nulla, creando i fondi virtuali per l'assalto al cielo del capitalismo. Il tutto fiorente sulle fumanti "macerie della politica", come diciamo non noi, ma il ministro dell'Interno Giuliano Amato.
(2 marzo 2007)


La Stampa 2-3-2007 2/3/2007 Ossigeno per Prodi. Mario Deaglio

 

Mentre gli italiani dividevano la loro attenzione tra le aule parlamentari, dove si svolgeva il dibattito sulla fiducia al governo, e il Festival di Sanremo, una tempesta finanziaria si abbatteva sull’economia mondiale. Una correzione del piccolo mercato finanziario di Shanghai, del tutto naturale dopo un lunghissimo rialzo, ha innescato una caduta, ben più allarmante, delle borse americane ed europee. Il che costituisce un possibile preludio a un rallentamento più forte del previsto del «motore americano» dell’economia globale, mette fine a un’atmosfera di eccessivo ottimismo economico sul 2007 e conferisce maggiori responsabilità all’Unione Europea e ai governi dei Paesi che ne fanno parte nel contrastare le tendenze di instabilità che stanno venendo dal resto del mondo.
Sopravvissuti al dibattito sulla fiducia e al Festival di Sanremo, il governo e gli italiani dovranno fare i conti con questa situazione mutata in cui, però, l’economia italiana sta andando un po’ meglio di quanto generalmente ci si aspettava. Le cifre rese note ieri mostrano risultati soddisfacenti per il deficit pubblico (al netto di elementi negativi che, essendo una tantum, non si ripeteranno nel 2007); la ripresa produttiva, pur modesta - e gonfiata anch’essa da qualche elemento occasionale, come l’anticipazione degli ordini dalla Germania prima dell’aumento dell’Iva tedesca il primo di gennaio -, si è irrobustita; l’inflazione si mantiene sotto il livello di guardia del 2 per cento, anche se molti italiani continuano a essere convinti che si collochi a livelli più alti.
Se le cose continuano così, e se la congiuntura mondiale non peggiora troppo, questo governo a maggioranza debole potrebbe disporre di possibilità concrete di incidere sull’economia maggiori di quelle di tutti i governi degli ultimi dieci-quindici anni, assai più forti in termini di maggioranza, la cui progettualità è stata schiacciata da un deficit pubblico paralizzante. Le possibilità di scelta riguardano non solo la politica economica ma anche la politica industriale.
Al di là dei problemi pensionistici, sui quali permane molta incertezza, le possibili opzioni di politica economica sono già in parte emerse nei dibattiti dei giorni scorsi. Sarebbe meglio restituire qualcosa ai contribuenti italiani, soprattutto quelli con minor reddito, infilando qualche «soldino» addizionale nelle buste paga più leggere, oppure utilizzare queste risorse per avviare o accelerare qualche grande progetto che sta andando al rallentatore per carenza di fondi? È facile immaginare che l’ala sinistra della maggioranza eserciterà pressioni per la prima alternativa, che, tra l’altro, può produrre qualche effetto di stimolo immediato sull’economia nel breve periodo mentre dall’altra parte verrà manifestata una predilezione per progetti di più lunga durata che ne migliorino la competitività futura. Naturalmente non esiste una decisione «giusta», una formula perfetta, ma da queste scelte sotto incertezza può dipendere gran parte dello sviluppo futuro del Paese. Nelle scelte di politica industriale il governo si trova al centro di un crocevia di decisioni che riguardano in primo luogo le grandi imprese di cui lo Stato detiene ancora, direttamente o indirettamente, il controllo o che può influenzare, anche se private, con i suoi poteri di determinare tariffe e norme di vario tipo. La sorte ha fatto sì che si tratti di alcune delle decisioni più importanti che un governo italiano ha dovuto prendere in tempi recenti.
Toccherà al governo stabilire, in primo luogo, la sorte di Alitalia dove le alternative sembrano essere l’ingresso in un gruppo estero in posizione subordinata oppure un futuro indipendente ma con una rete di voli dimagrita. Sul tavolo del governo ci sono poi il miglioramento dei rapporti con la Spagna che hanno visto l’Enel acquistare in questi giorni un quarto della consorella spagnola Endesa, apparentemente per aiutarla a difendersi dalle non gradite proposte di acquisizione della tedesca E.On, e che potrebbero indurre il governo a rivedere l’opposizione alla fusione tra Autostrade e la spagnola Abertis; e qualche voce in capitolo il governo sicuramente avrà sulle possibili intese tra Telecom e la spagnola Telefónica. Vi è infine il capitolo Eni, e l’applicazione delle intese con la russa Gazprom che potrebbe portare ad acquisizioni petrolifere in Russia.
Il rinnovo della fiducia ottenuto dal Parlamento significa la conferma a Prodi e ai suoi ministri del pieno mandato di occuparsi e in molti casi di decidere autonomamente su tutte queste questioni. Il governo con la maggioranza più piccola dei tempi recenti si troverà a prendere alcune delle decisioni più grandi.
mario.deaglio@unito.it


La Repubblica del 02/03/2007 L'INTERVISTA. Giampaolo Galli, direttore generale dell'Ania: "Assicurazioni e banche discriminate Bruxelles porrà fine a un'ingiustizia" - Barbara Ardù

Economia L'INTERVISTA Giampaolo Galli, direttore generale dell'Ania: non si possono ridurre le tasse solo per alcuni settori, Prodi ne prenda atto "Assicurazioni e banche discriminate Bruxelles porrà fine a un'ingiustizia" BARBARA ARDU BARBARA ARDù ROMA - "Il problema andava risolto subito, in ottobre quando lo sollevammo. Ma siamo ancora in tempo. Non solo. Non ci risulta che la Commissione stia considerando in modo differenziato banche e assicurazioni rispetto agli altri settori". Giampaolo Galli, direttore generale dell'Ania, la Confindustria della assicurazioni, non aveva dubbi che sull'esclusione di compagnie e banche dai benefici della riduzione del cuneo fiscale (la differenza tra il costo del lavoro e quanto entra in busta paga n.d.r.), la Commissione europea avrebbe bacchettato l'esecutivo Prodi. Perché il governo vi ha lasciato fuori? Vi ha dato una motivazione? "Non ce la diede in ottobre e ancora oggi non abbiamo chiarimenti. Certo si può comprendere quale sia stato il ragionamento, basta leggere le dichiarazioni di alcuni esponenti del centrosinistra: dare una mano alle imprese manifatturiere, quelle più in difficoltà soprattutto sui mercati esteri. Ma è una motivazione che non sta in piedi. Un paese può ridurre le tasse, ma non può decidere di diminuirle solo per alcuni settori o per alcune regioni, si trasformerebbero in aiuto di stato, in violazione articolo 87 del trattato comunitario. Mario Monti quando era commissario alla Concorrenza fece una battaglia durissima contro gli aiuti di Stato e non mi sembra che l'attuale presidente della Ue, Barroso e i Commissari alla Concorrenza e al Mercato interno abbiano posizioni diverse, anzi". Il ministro Bersani ieri ha difeso la selettività dell'intervento, ma ha anche aggiunto che si tratta di problemi tecnici, risolvibili. "Il solo modo di risolvere il problema è estendere i benefici a tutte le imprese. Non c'è altra via. L'intervento sul cuneo fiscale è una misura sacrosanta: la differenza tra il costo del lavoro italiano e quello degli altri paesi è elevato. Ma anche noi, come gli altri, competiamo sui mercati internazionali. Non solo. Come compagnie siamo sottoposte alle pressioni dei consumatori che chiedono giustamente premi inferiori. Non si capisce perché dovremmo venire escluse". Avete fatto dei conti per capire quale potrebbe essere il risparmio? "No, ma per noi è una ragione di principio. Le nostre imprese vanno riga per riga sui bilanci per non pesare sui consumatori. Il costo dei premi è diventato un problema sociale, ci stupisce dunque che quando si affaccia la possibilità di intervenire per ridurre i costi e dunque i premi le imprese assicurative vengano tagliate fuori".

Non si possono ridurre le tasse solo per alcuni settori, Prodi ne prenda atto "Assicurazioni e banche discriminate Bruxelles porrà fine a un'ingiustizia" ROMA - "Il problema andava risolto subito, in ottobre quando lo sollevammo. Ma siamo ancora in tempo. Non solo. Non ci risulta che la Commissione stia considerando in modo differenziato banche e assicurazioni rispetto agli altri settori". Giampaolo Galli, direttore generale dell'Ania, la Confindustria della assicurazioni, non aveva dubbi che sull'esclusione di compagnie e banche dai benefici della riduzione del cuneo fiscale (la differenza tra il costo del lavoro e quanto entra in busta paga n.d.r.), la Commissione europea avrebbe bacchettato l'esecutivo Prodi. Perché il governo vi ha lasciato fuori? Vi ha dato una motivazione? "Non ce la diede in ottobre e ancora oggi non abbiamo chiarimenti. Certo si può comprendere quale sia stato il ragionamento, basta leggere le dichiarazioni di alcuni esponenti del centrosinistra: dare una mano alle imprese manifatturiere, quelle più in difficoltà soprattutto sui mercati esteri. Ma è una motivazione che non sta in piedi. Un paese può ridurre le tasse, ma non può decidere di diminuirle solo per alcuni settori o per alcune regioni, si trasformerebbero in aiuto di stato, in violazione articolo 87 del trattato comunitario. Mario Monti quando era commissario alla Concorrenza fece una battaglia durissima contro gli aiuti di Stato e non mi sembra che l'attuale presidente della Ue, Barroso e i Commissari alla Concorrenza e al Mercato interno abbiano posizioni diverse, anzi". Il ministro Bersani ieri ha difeso la selettività dell'intervento, ma ha anche aggiunto che si tratta di problemi tecnici, risolvibili. "Il solo modo di risolvere il problema è estendere i benefici a tutte le imprese. Non c'è altra via. L'intervento sul cuneo fiscale è una misura sacrosanta: la differenza tra il costo del lavoro italiano e quello degli altri paesi è elevato. Ma anche noi, come gli altri, competiamo sui mercati internazionali. Non solo. Come compagnie siamo sottoposte alle pressioni dei consumatori che chiedono giustamente premi inferiori. Non si capisce perché dovremmo venire escluse". Avete fatto dei conti per capire quale potrebbe essere il risparmio? "No, ma per noi è una ragione di principio. Le nostre imprese vanno riga per riga sui bilanci per non pesare sui consumatori. Il costo dei premi è diventato un problema sociale, ci stupisce dunque che quando si affaccia la possibilità di intervenire per ridurre i costi e dunque i premi le imprese assicurative vengano tagliate fuori".

 


Il Riformista 2-3-2007 DIMENTICANZE . Riforma tv e conflitto d’interessi

Nei tumultuosi giorni della prima crisi del governo Prodi, e anche dopo, con il rinvio alle Camere e il decisivo voto di fiducia al Senato, i dodici punti fissati dal premier come condizione necessaria per il rilancio del governo hanno fatto discutere più per le omissioni che per il contenuto stesso del cosiddetto dodecalogo. L’attenzione maggiore è stata rivolta alla mancanza dei Dico, vista anche la tensione nei rapporti tra Stato e Chiesa, ma questo non vuol dire perdere di vista gli altri punti salienti del programmone di 281 pagine presentato agli elettori. Per questo motivo, allora, ci auguriamo che la maggioranza porti avanti quanto previsto sulla riforma del sistema radio-tv (che significa innanzitutto abrogare la Gasparri) e sulla soluzione del conflitto d’interessi del Cavaliere. Il timore, infatti, è che l’esclusione di questi due temi dai dodici punti prodiani (che prefigurerebbero secondo qualcuno una dittatura del premier) lascino in sospeso questioni essenziali per la vita democratica del paese.
A onore del vero, ieri il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, sollecitato in merito, ha dichiarato che il suo ddl su pubblicità e digitale andrà tranquillamente avanti in Parlamento, con o senza la citazione nel dodecalogo. In questo caso, però, valgono le stesse preoccupazioni che abbiamo per i Dico: c’è una volontà reale della maggioranza di chiudere queste pratiche aperte? Certo, sullo sfondo, rimane sempre il pericolo dei numeri di Palazzo Madama, ma questo non significa abbandonare l’ambizione di cambiare un po’ questo paese stravolto dal berlusconismo. Anche perché, come si sente dire in molti ambienti dell’Unione, in primis dalla Quercia, sarebbe arduo ripresentarsi agli elettori senza aver messo mano alla riforma del sistema radiotelevisivo e al fatidico conflitto d’interessi che questo paese si trascina avanti da quasi tre lustri. Se lo ricordi, Prodi.

 


Il Corriere della Sera 1-3-2007. Arrestato l'immobiliarista Danilo Coppola Le accuse: bancarotta, riciclaggio e appropriazione indebita

 

Il costruttore azionista anche di Mediobanca in manette con l'ex cognato di Ricucci e altri 6 collaboratori. Sequestrati 70 milioni in titoli e azioni

 

MILANO - Avrebbe creato una galassia di società immobiliari con sempre le stesse persone presenti nei «board», con il mandato di farle fallire al momento giusto. Una rete di società ma anche di parentele incrociate tra i protagonisti delle cronache finanziarie degli ultimi anni. Questo lo scenario che fa da sfondo all'operazione della Guardia di finanza che ha portato questa mattina all'arresto di Danilo Coppola, l'immobiliarista romano azionista tra l'altro di Mediobanca. E' accusato di bancarotta, riciclaggio e appropriazione indebita. I fatti in questione riguardano attività immobiliari dal 2003 a oggi. In manette anche sette suoi collaboratori, tra cui il cognato Luca Necci e Francesco Bellocchi, ex cognato di Stefano Ricucci, anche lui coinvolto nelle inchieste finanziarie della Procura di Roma e del fallimento della sua capofila la Magiste International. Tra Bellocchi e Ricucci è in corso un contenzioso legale proprio davanti a un giudice del tribunale di Roma. Bellocchi ha accusato Ricucci di avergli falsamente addebitato la sottrazione di alcuni assegni quando i due, oltre che parenti, erano soci.
INCHIESTA ROMANA
- Le misure chieste dai pm della Procura di Roma, Giuseppe Casini e Lucia Lotti, sono emesse dal gip Caivano. L'indagine avrebbe messo in luce il fallimento di alcune società del Gruppo che poi sarebbero state abbandonate creando un «buco» contabile che si aggira sui 130 milioni di euro. A questa somma vanno aggiunti altri 72 milioni di mancato versamento di imposte, di cui 40 relativi all'Iva e il resto alle imposte dirette. Le Fiamme Gialle stamani hanno sequestrato 70 milioni di euro in titoli e azioni riconducibili alle società della galassia di Coppola. Fra le azioni sequestrate ci sono anche lo 0,10% di azioni Mediobanca e una quota azionaria della Roma Calcio e della società Ipi di Torino. Si tratta di un sequestro preventivo.
ARRESTI - Oltre all'immobiliarista romano, al cognato Necci e all'ex cognato di Ricucci, Bellocchi, sono stati arrestati, sempre per le medesime accuse, Andrea Raccis, Giancarlo Tumino, Gaetano Bolognese, Daniela Candeloro e il suo legale di fiducia Alfonso Ciccaglione: tutti collaboratori o intestatari di società di Coppola.
AFFAIRE BNL- Coppola aveva acquisito notorietà per essere stato citato come uno degli immobiliaristi romani che hanno beneficiato di plusvalenze notevolmente elevate dalla cessione di azioni Bnl alla Unipol (fino al 25% del valore iniziale). Da quella cessione il Gruppo Coppola aveva incassato una plusvalenza molto rilevante che ha reinvestito nell'acquisto della maggioranza dell'Ipi, società quotata dalla fiorente attività («400 milioni di utili previsti per il 2008» aveva pronosticato al Corriere) il cui titolo oggi è stato sospeso in Borsa.

INDAGATO ANCHE A TORINO- Proprio per la vendita di alcuni edifici della società Ipi, vendite dalle quali sarebbero state ricavate cospicue plusvalenze, nei giorni scorsi Coppola è stato indagato anche dalla procura di Torino. L'ipotesi di reato è aggiotaggio informativo. Coppola è noto a Torino soprattutto per le sue acquisizioni immobiliari, in particolare quelle del Business center e del polo alberghiero sorti sull' area dell' ex stabilimento del Lingotto. L'immobiliarista romano, nei giorni scorsi ha ridotto la sua partecipazione in Mediobanca dal 4,57% a poco più del 2% ottenendo plusvalenze che sarebbero state calcolate nell'ordine di 50 milioni di euro.
INDAGATO A MILANO
- A Milano Danilo Coppola è uno degli 84 indagati nell'ambito dell'inchiesta, appena conclusa, sulla scalata all'Antonveneta, che portò alle dimissioni dell'ex Governatore di Bankitalia, Antonio Fazio. Inchiesta nella quale l'immobliarista, indicato tra i concertisti, è stato condannato di recente dalla Consob a una multa di 103 mila euro per aver violato l'obbligo di Opa.
IL FURBETTO NEI SALOTTI DELLA FINANZA - La carriera di Copppola e la sua scalata ai salotti buoni è partita nel 2003. Dopo essersi comprato il 3% della banca Bnl,Coppola chiedeva un posto nel consiglio di amministrazione di via Veneto per sentirsi rispondere: «Non ci sono posti liberi». Da quel giorno l'oggi quarantenne romano non ha più smesso di far parlare di sé. In pochi mesi infatti, Coppola è diventato uno dei protagonisti del risiko bancario, del mondo italiano della finanza. Ma anche dell'editoria con le voci di una scalta a Rcs che hanno tenuto banca nell'estate 2005 e l'ingresso con il 18% nel capitale di «Editori per la Finanza», il gruppo a cui fa capo Finanza e Mercati. Una fortuna costruita sul mattone, se si pensa che dei 3.500 milioni di euro dichiarati nel 2005 dal suo gruppo 2.378 consistono in beni immobiliari che ha visto Coppola faremo molta strada, a partire da Via Bolognetta, nella borgata Finocchio, periferia sud-est di Roma in cui è nato nel 1967. Quel 3% di Bnl è diventato un 4,9%.
Poi è arrivata la partecipazione, attraverso 2 società controllate dalla holding lussemburghese Sfinge (capogruppo italiana è la Dacop), in Interimmobiliare. Poi, ancora, l'ingresso nella AS Roma di Franco Sensi, di cui Coppola detiene il 2,5% ma che, soprattutto, ha contribuito a salvare comprando dallo stesso Sensi il famoso Hotel Cicerone.
ALBERGHI - Quella degli alberghi, comunque, appare una vera e propria passione del giovane immobiliarista-finanziere: il fiore all'occhiello del suo impero (stimato in un volume d'affari vicino ai 300 milioni di euro e ad un portafoglio immobili di oltre 500) è il Daniel's di via Frattina, a due passi da Piazza di Spagna. Ma anche quel pezzo di Amarcord italiano, conquistato l'anno scorso: il Grand Hotel di Rimini, albergo simbolo di una città, di una delle capitali delle vacanze italiane, caro a Federico Fellini. A Milano il gruppo Coppola ha in corso un mega-progetto di riqualificazione immobiliare dell'area di Porta Vittoria. Gli ultimi passi, in ordine di tempo, di Coppola verso la consacrazione nel mondo dell'economia e della finanza che contano riguardano l'acquisizione, dal gruppo Zunino, del 65% di Ipi (valore dell'operazione 185 milioni di euro) e della Lingotto Spa, di cui è diventato il primo azionista con oltre l'80% del capitale. E, ancora, la tentata scalata a Rcs all'inizio dell'estate del 2006 quando l'immobiliarista dichiarò l'interesse a un ingresso, poi smentito dai fatti dopo mesi di voci, a fine estate. Il ruolo di Coppola, passato alle cronache come appartenente a quei 'furbetti del quartierinò che hanno tenuto banco negli ultimi anni, è anche legato al Tempio della Finanza italiana: Mediobanca dove l'immobiliarista romano è arrivato a sfiorare il 5% (4,68%) - asserendo comunque di non avere interesse ad entrare nel cda - per poi scendere, la comunicazione è proprio di ieri, al 2,17%. La mappa delle società riconducibili a Coppola è piuttosto fitta. La regia, in mano a tre fiduciarie lussemburghesi, Keope, Sfinge e Tikal Plaza mentre la società capogruppo in Italia si chiama Pacop, amministrata dalla cognata, Lucia Necci, cui si accompagnano tre S.p.a., Gruppo Coppola, Tikal e Ipi.

01 marzo 2007


 

Il Corriere della Sera 1-3-2007 Intervista a Sir Arthur C. Clarke, autore di «2001: Odissea nello spazio». «Raggiungeremo l’immortalità elettronica»

Lo scienziato continua a immaginare come sarà il nostro prossimo futuro. Nel 2090, per esempio...

 

Dal prossimo numero in edicola di Newton

Sir Arthur C. Clarke, inglese del Somerset, 90 anni a dicembre, vive dal 1956 a Colombo, capitale dello Sri Lanka. Scrive sempre saggi e romanzi di fantascienza, bellissimi. Gioca sempre a ping–pong, male. Fa sempre immersioni subacquee in quel mare che poco più di due anni fa, con le onde di tsunami, devastò buona parte dell’isola e delle coste dell’Oceano Indiano; un evento da lui previsto addirittura nel 1982. È stato fra i primi al mondo a usare il computer per scrivere e la posta elettronica per comunicare con il resto della Terra, grazie ai satelliti artificiali nati da una sua idea. Per comunicare con altri mondi, e con le persone che li abiteranno tra decine, centinaia o migliaia di anni, usa i suoi romanzi. Fra tutti, 2001: Odissea nello spazio e i successivi capitoli della saga. La gente di Colombo lo chiama «L’Uomo sulla Luna» perché in effetti lassù c’è stato più di tutti gli altri.

Lei è universalmente famoso per tre motivi: 1) È stato l’inventore nel 1945 della famosa Orbita di Clarke che ha reso possibili i satelliti per telecomunicazioni; 2) Ha progettato l’ascensore spaziale, con cui in futuro i razzi potranno decollare dall’orbita terrestre e non più dal nostro Pianeta; 3) È l’autore di 2001, il film più visionario, più bello, più complesso e più metafisico dedicato all’evoluzione dell’umanità, al suo passato e al suo futuro, immediato e lontanissimo. Quale delle tre qualifiche le piace di più? Sono felice e riconoscente all’umanità che mi considera l’inventore dei satelliti per telecomunicazioni e il principale proponente dell’ascensore spaziale. Ma preferirei essere ricordato come un bravo scrittore.

In una delle scene più famose di «2001» la scimmia, guardando la Luna, scaglia un osso per aria. Cosa rappresenta per lei quell’osso: un simbolo di potere, uno strumento di comunicazione o la nascita della tecnologia? Può essere visto in tutti e tre i modi. Sono ormai passati 40 anni da quanto Stanley Kubrick e io realizzammo «il proverbiale buon film di fantascienza» e non ricordo più tutto ciò che era alla base di ogni nostra decisione creativa. La sequenza dell’osso è rimasta famosa anche per essere il flash–forward più lungo del cinema, circa tre milioni di anni, tra la scimmia, chiamata «Moonwatcher» [l’osservatore della Luna] e l’anno 2001. Daniel Richter, il mimo che interpretava la scimmia, ha scritto un libro di memorie su questa sequenza.

A proposito di evoluzione. Oggi attraverso la scienza e la tecnologia possiamo guidare quella delle specie terrestri, compresa la nostra. Ciò si può ancora considerare un percorso naturale, dato che la scienza è comunque un prodotto dell’evoluzione della specie umana? La colonizzazione dello spazio è il prossimo passo logico nella nostra evoluzione come specie. È il grande passo successivo a quello che portò i nostri antenati, quando erano pesci, a trasferirsi dal mare sulla terraferma. Immagini un pesce tradizionalista che, un miliardo di anni fa, diceva ai suoi parenti divenuti anfibi: «La vita sulla terraferma non è paragonabile a quella marina. Noi stiamo bene quaggiù dove ci troviamo». E così fecero i pesci, e sono rimasti pesci. I nostri discendenti che vivranno sulla Luna e su Marte certamente visiteranno la Terra ogni tanto, indossando degli esoscheletri per far fronte alla sua schiacciante gravità, e maschere antigas per filtrare gli innumerevoli cattivi odori che il nostro Pianeta ha imparato a generare nel corso della sua storia di milioni di anni. Ma non credo che desidereranno vivere qui permanentemente.

Cosa troverebbe più eccitante, scoprire una civiltà aliena nell’universo oppure l’evidenza che in tutto il cosmo non ci sono altre forme di vita, lasciando così ai soli terrestri il ruolo di «sentinelle dello spazio»? Concordo con quanto disse l’astrofisico Carl Sagan: «Siamo soli nell’universo o non lo siamo: in entrambi i casi la nostra mente resta confusa». Personalmente non ho dubbi che l’universo brulichi di vita. Una delle mie speranze segrete è trovare un segno, qualsiasi segno, di alieni nel corso della mia vita. Preferirei un segno di vita intelligente, ma metterei la firma anche per trovare un segno di vita batterica. D’altra parte, può anche darsi che una civiltà intelligente abbia deciso di evitare qualsiasi contatto con noi, viste le condizioni disperate in cui abbiamo ridotto il nostro mondo. Chi lo sa, noi terrestri potremmo anche essere stati messi in una «quarantena galattica»!

Pensa davvero che l’umanità alla fine del suo cammino possa trasformarsi in pura energia, come accade nel suo 2001? Trasformarsi in pura energia è un modo per sottrarsi alla tirannia della materia e io mi figuro tranquillamente degli esseri realmente avanzati che stanno valutando i pro e i contro di una loro trasformazione in energia. Certo, non saranno più in grado di godere di alcuni piaceri del mondo materiale, ma quando tutto diventa uno stato mentale a chi importa più?

Tornando alla nostra condizione di terrestri degli anni appena successivi al 2001, dopo la radio, i satelliti e i telefoni cellulari quale potrà essere il prossimo passo nelle telecomunicazioni? Credo molto nei sistemi di riconoscimento vocale per i computer e altri dispositivi, anche per il loro valore sociale perché potrebbero essere usati pure dagli analfabeti. Oggi esistono però ancora delle limitazioni: vanno bene se ci si trova da soli, ma pensi al caos di un ufficio in cui tutti parlano alle macchine. Inoltre il software dovrà far fronte all’enorme differenza di accenti con cui una stessa lingua viene parlata. Non posso fare a meno di citare un episodio accaduto qualche anno fa, mentre tentavo di insegnare a un computer a riconoscere la mia voce. La frase «bisogna andare in aiuto del partito» [the party in inglese] diventò «bisogna andare in aiuto dell’apartheid», un esempio lampante del «politicamente scorretto».

Pensa realmente, come ha previsto in 3001: L’odissea finale, che in futuro saremo in grado di immettere o scaricare direttamente le informazioni nel nostro cervello collegandolo a un dispositivo esterno? Sì, il traguardo ultimo dei dispositivi input–output sarà la possibilità di scavalcare tutti i sensi dell’organismo umano e inviare segnali direttamente nel cervello. Come ciò si possa fare con esattezza lo lascio ai biotecnologi; per parte mia in 3001 ho descritto il braincap [una calotta da collocare sulla testa che fa appunto da interfaccia tra il cervello e un computer, ndr]. L’adozione diffusa del dispositivo potrà essere ritardata dal fatto che per indossarlo bisognerà probabilmente raparsi a zero. Così, la produzione di parrucche potrà diventare un grande business tra pochi decenni.

Quando uscì 2001, comunque, il computer HAL [che alla fine si impadronisce dell’astronave e uccide tutti gli astronauti tranne il protagonista Bowman, il quale riesce a disinnescarlo dopo una battaglia psicotecnologica] divenne il simbolo della macchina che supera l’uomo e domina il mondo. Questo timore, molto diffuso all’epoca, oggi non esiste più. Perché secondo lei? Dobbiamo ringraziare per questo un po’ di persone, come Steve Jobs e Bill Gates. Da quando i computer sono diventati più facili da usare e più accessibili, paure del genere sono svanite. I computer hanno poi introdotto nel nostro linguaggio parole e frasi che sarebbero state assolutamente prive di senso solo pochi decenni fa. I suoi nonni avrebbero mai capito un grido di dolore del tipo: «Il mio laptop si è crashato»? E che avrebbero pensato ascoltando termini come «megabyte», «hard drive» e «Googling»? C’è poi un altro esempio di una frase familiare che ha cambiato completamente il suo significato: cosa avrebbe pensato una donna dei primi anni del ’900 se le avessimo detto che suo nipote avrebbe trascorso la maggior parte della giornata, a casa e al lavoro, «fondling a mouse » cioè «maneggiando un topo»?

Ma l’informazione elettronica finirà per uccidere la stampa? Non lo credo. La scomparsa della stampa venne già predetta con l’arrivo della radio e della televisione, ma ciascuno dei nuovi mezzi di comunicazione ha trovato un suo posto e noi stessi non abbiamo buttato i nostri libri. Questo mezzo vecchio–stile ha infatti ancora spazio in mezzo ai siti Web, i videogiochi, le comunicazioni mobili e altre tentazioni. Senza dubbio, la sfida è cercare di attrarre quanti si sono abituati alla gratificazione istantanea derivante dai mezzi di comunicazione interattivi, ma la lettura di un libro resta insostituibile. L’industria editoriale dovrà cercare nuove direzioni ma non credo proprio che la stampa scomparirà.

Come vede il futuro della Terra? Lei è stato l’unico a considerare uno tsunami come una delle minacce naturali più gravi per il nostro Pianeta. In 2010: Odissea due lei previde per il 2005 un gigantesco tsunami nel Pacifico. Si sbagliò solo di cinque giorni e qualche migliaio di chilometri rispetto a quello reale. Perché questo tipo di catastrofe è stato sempre così poco considerato da scienziati e scrittori? I Paesi del Pacifico hanno sempre convissuto con gli tsunami, ma solo quello dell’Oceano Indiano nel 2004 ha catalizzato l’attenzione mondiale su un rischio simile. Poco dopo la tragedia, sottolineai però che uno tsunami può essere scatenato non solo da un terremoto sottomarino, ma anche dall’impatto di un asteroide. Anzi, quando si parla di minacce che giungono dallo spazio la gente sembra confortata dal fatto che i due terzi della Terra siano coperti dalle acque. Invece dovremmo preoccuparci di più: un impatto nell’oceano può moltiplicare i danni rispetto a uno sulla terraferma, generando «la madre di tutti gli tsunami». Duncan Steel, un’autorità in materia, ha eseguito alcuni calcoli terrificanti. Ha considerato un asteroide modesto, di 200 metri di diametro, che impatta sulla Terra alla tipica velocità di 68.400 km orari. Nell’urto, rilascia energia cinetica con un’esplosione di potenza pari a 600 megaton, 10 volte maggiore di quella del più potente test atomico sotterraneo mai realizzato. Anche se solo il 10 per cento di questa energia venisse trasferita a uno tsunami, le onde riuscirebbero a trasportarla sulle coste a migliaia di chilometri di distanza, causando una distruzione più diffusa di quella dovuta all’impatto dell’asteroide con la terraferma. In quest’ultimo caso, infatti, l’interazione tra l’onda d’urto e le irregolarità del terreno, come colline, alberi, edifici, limiterebbero l’area della devastazione. Nell’oceano, invece, l’onda si propaga così com’è fino a scaricarsi sulla costa. Per questo motivo ho suggerito di tenere d’occhio i cieli anche quando ci preoccupiamo delle minacce dalle profondità dell’oceano.

01 marzo 2007

 


INDICE 1-3-2007

La Repubblica 1-3-2007 Cuneo fiscale nel mirino della Ue. "Non escludere i gruppi di pubblica utilità" Di Alberto D'argenio  1

La Stampa 28/2/2007 (16:21) - IL RETROSCENA E Silvio scommette sulla crisi irrisolta Di AUGUSTO MINZOLINI 1

Il Riformista 1-3-2007  Bush apre alla Siria, il Mossad ringrazia di Anna Momigliano  1

Il Secolo XIX    1-3-2007 "Città partecipata" contro i politici che mentono  2

Il Corriere della Sera 1-3-2007 Non ha la mutua: muore per ascesso ai denti. La vittima è un bambino di 12 anni abitante nel Maryland (Usa). 2

 

 


La Repubblica 1-3-2007 Cuneo fiscale nel mirino della Ue. "Non escludere i gruppi di pubblica utilità" Di Alberto D'argenio

Dubbi della sul taglio selettivo dell'Irap, il governo studia le modifiche. Secondo la Ue aziende come Eni, Enel, Autostrade, non dovrebbero restare fuori

I benefici potrebbero essere estesi ma escludendo il fatturato in regime tariffario. Ma il costo sarebbe alto: un miliardo solo nel 2008

BRUXELLES - Il cuneo fiscale potrebbe cambiare volto. Dopo un primo round di contatti informali con il governo, la Commissione europea non è del tutto convinta dalla misura contenuta in Finanziaria: al centro dei dubbi di Bruxelles la selettività degli sgravi fiscali che, escludendo alcune aziende, potrebbe costituire un aiuto di stato illegittimo. E se il provvedimento non è certo a rischio cancellazione, nella sua versione definitiva potrebbe essere modificato premiando parte delle imprese ad oggi escluse, come i giganti dell'energia e delle telecomunicazioni.
Il confronto sull'asse Roma-Bruxelles ha avuto inizio con la cosidetta pre-notifica da parte del governo alla commissaria Ue alla Concorrenza, Neelie Kroes. Dopo un primo studio informale delle carte, i tecnici europei hanno chiesto una serie di chiarimenti all'Italia, non convinti dalla selettività dell'intervento che esclude banche, assicurazioni, imprese che operano su concessione o su tariffa nei settori dell'energia, acqua, trasporti, infrastrutture, poste, telecomunicazioni, raccolta e depurazione acque e rifiuti. Se per motivi di coerenza con la fiscalità generale l'esclusione di banche ed assicurazioni non ha suscitato perplessità, a non convincere l'Ue è invece l'aver lasciato fuori dal perimetro degli sgravi Irap grandi aziende come Autostrade, Eni, Enel e Telecom.
Una serie di dubbi che i tecnici della Commissione europea hanno sollevato ai colleghi italiani in due incontri informali e che la stessa Kroes, sebbene in modo sfumato, ha comunicato al premier Romano Prodi nel loro incontro di otto giorni fa a Roma ("stiamo studiando le carte, aspettiamo dei chiarimenti", è la sintesi di quanto detto dalla commissaria olandese a Palazzo Chigi). E proprio i chiarimenti - termine soft usato finora per esprimere i dubbi - dovrebbero arrivare martedì prossimo a Bruxelles in occasione di un nuovo incontro tecnico ad alto livello tra i rappresentanti della Commissione e un team formato dagli uomini della presidenza del Consiglio, del ministero dell'Economia, del Lavoro e delle Politiche comunitarie. Occasione in cui il governo potrebbe presentare anche una soluzione per cancellare la selettività dal provvedimento.
Estendere il cuneo fiscale alle aziende di pubblica utilità escluse, solo nel 2008 potrebbe costare quasi un miliardo di euro (20% rispetto ai soldi originariamente stanziati). Un costo non proibitivo, ma che i ministeri interessati vorrebbero evitare, o per lo meno ridurre. E una delle ipotesi al momento più quotate per venire incontro alle richieste di Bruxelles e risparmiare qualche centinaio di milioni, prevede di estendere il cuneo alle imprese in questione, ma escludendone la parte del fatturato che deriva dal business condotto in regime tariffario. Una sorta di compromesso che potrebbe venire messo sul tavolo martedì dai tecnici italiani, al momento al lavoro per definire i criteri in base ai quali calcolare le parti di fatturato a cui non concedere gli sgravi.
Fonti del ministero dell'Economia hanno confermato che il dossier è molto complicato e che è necessario svolgere un confronto con l'Ue a 360 gradi, in particolare sul punto della selettività su cui a Bruxelles "hanno chiesto informazioni". Una parziale ammissione delle difficoltà incontrate in sede europea che però non scalfisce la convinzione di riuscire ad ottenere l'autorizzazione "in tempi brevi" e senza modificare il provvedimento: se poi ci saranno problemi, aggiungono le stesse fonti, "dovremmo essere in grado di risolverli con qualche intervento" marginale. Parole rassicuranti che però non nascondono il fatto che il cuneo non entrerà in vigore a marzo, come originariamente previsto, e in attesa di un accordo con l'Ue potrebbe slittare ulteriormente.
(1 marzo 2007)


La Stampa 28/2/2007 (16:21) - IL RETROSCENA E Silvio scommette sulla crisi irrisolta Di AUGUSTO MINZOLINI

 

"Incalziamo sui Dico, in futuro Pallaro e Andreotti vacilleranno"

In un angolo della buvette di Palazzo Madama Rocco Buttiglione decritta quello strano gioco italiano che è la «crisi irrisolta», cioè una crisi di governo che si chiude esattamente allo stesso modo di come è stata aperta senza risolvere i problemi che l’hanno provocata. Il personaggio è adatto: è un esperto di Chiesa, cioè di quell’istituzione che ha dimostrato ancora una volta di poter disfare governi; ed è un cultore di complotti e ribaltoni (il pranzo di Gallipoli con Massimo D’Alema che preparò la crisi del primo governo Berlusconi fu farina del suo sacco). «Follini è andato di là - esordisce - certo, ma se noi avessimo voluto molti di loro sarebbero venuti di qua. Solo che Berlusconi non era convinto dell’ipotesi di un governo di larghe intese. E quando ha parlato di elezioni anticipate e poi ha smentito con poca convinzione, ha ricompattato gli altri. La vera crisi ci sarà a luglio quando sarà impossibile andare alle urne. E una cosa ve la posso dire: anche D’Alema e Rutelli saranno contenti quando verrà fuori una soluzione diversa dal governo Prodi. Per cui questa è una crisi “aggiornata”. Lo dimostra il «bis-pensiero» di Prodi su ogni problema: pensa una cosa e il suo esatto contrario».
L’analisi di Buttiglione va tarata visto che è svolta da un esponente dell’opposizione, ma, a parte questo, una sua fondatezza ce l’ha. Ieri bastava lanciare un’occhiata all’aula del Senato, o aggirarsi tra i sontuosi saloni di Palazzo Madama per comprendere che la crisi, al di là dell’esito del voto di fiducia di oggi, è ancora irrisolta. Sui banchi della sinistra massimalista due senatori, Franco Turigliatto e Fosco Giannini, seguiti da altre due senatrici, hanno evitato ostentatamente di applaudire Romano Prodi. Domenico Fisichella, il presidente di An passato nelle ultime elezioni alla Margherita, sembra aver intrapreso un cammino a ritroso: «Il discorso di Prodi? Non mi faccia parlare. Domani voto la fiducia ma poi vediamo...». Il vicepresidente del Senato, l’irrequieto ds Gavino Angius, ha così descritto il futuro del governo: «Un terno al lotto ma lo sapevamo anche prima». Mentre uno dei padri nobili del centro-sinistra, Antonio Maccanico, già sogna equilibri diversi: «Il quadro è fragile. Il voto sulla fiducia potrebbe anche andare bene, ma il problema è dopo. E’ il momento della capacità politica e della fantasia. Sul piano tecnico le larghe intese già ci sarebbero...». E anche D’Alema ieri si affidava più alla filosofia che non all’entusiasmo: «Se va bene? Beh, diciamo di sì... ogni giorno ha la sua pena».
Altro che il «nuovo slancio» di cui parla Romano Prodi. Tutto sembra essere tornato al punto di partenza, alla settimana scorsa, quando la crisi si è aperta. Le incongruenze sono tutte lì, non ne manca una. Due dibattiti al Senato (sulla mozione Parisi e sulla mozione D’Alema) e una «crisi» di governo non sono riusciti ad evitare il rischio delle «maggioranze variabili» sull’Afghanistan. Se poi laggiù, in quello scenario che sembra sempre più critico, i nostri soldati fossero vittime di un tragico episodio, l’attuale maggioranza non reggerebbe un minuto: «Il problema - ammette il capogruppo di Rifondazione Russo Spena - è questo fattore esterno: perché toccherebbe il Dna pacifista della sinistra radicale». Ed ancora. Il segretario di Rifondazione, Franco Giordano giudica il discorso di Prodi «equilibrato», il braccio destro di Mastella Stefano Cusumano ne loda, invece, «lo schema centrista, democristiano». Non parliamo poi di Tav, pensioni e liberalizzazioni: nella maggioranza c’è una babele di linguaggi. E i Dico? Ieri il Professore non ne ha parlato proprio, «ma oggi - osserva il portavoce, Silvio Sircana - l’opposizione ce lo metterà tra i piedi e noi diremo: “quello che dovevamo fare lo abbiamo fatto. Lo abbiamo spedito con il francobollo in Parlamento”».
Insomma, il quadro è fragile e la crisi, nei fatti, «irrisolta». Se ne è accorto anche Silvio Berlusconi. «Prodi - ha spiegato ai suoi - è una povera anima. E’ stato commissariato, non può essere chiaro su nessun argomento. Appena si muove cade. E anche se supera il voto di domani uno, due, quattro mesi va in crisi di nuovo. Nel dibattito dovete incalzarlo sui Dico perché Andreotti e Pallaro (ieri Berlusconi ha avuto un lungo colloquio con il senatore argentino, ndr) potrebbero restare insoddisfatti della sua posizione incerta sull’argomento. E comunque mettiamoci in testa una cosa: se cade oggi oppure tra un mese non possiamo chiedere le elezioni perché Napolitano non ce le darebbe».
Già, anche per il Cavaliere la «crisi» è irrisolta. L’unico che tenta di tenere tutto insieme è il Professore, con encomiabile testardaggine. «Noi vogliamo andare avanti - diceva ancora ieri - se qualcuno non lo vuole lo dica». Appunto, il Professore non demorde. Anche se i segretari dell’Unione nel vertice di qualche giorno fa non hanno voluto firmare il documento con i dodici punti, lui non demorde. Non si fa intimidire, semmai intimidisce. «Nel centrosinistra - spiega da giorni Pier Ferdinando Casini che è in contatto con tutti - sono tutti prigionieri di Prodi: da D’Alema, a Rutelli, a Fassino. Tutti hanno paura di lui». Questo, però, non toglie nulla alla fragilità del suo governo e della sua maggioranza: «Se al Senato - promette Gianfranco Fini - la maggioranza non potrà contare su 158 voti di senatori eletti, Prodi avrà i suoi guai».
Così sotto sotto continua la guerra dei numeri. Il centro-destra spera in un ravvedimento di Pallaro. L’uomo dei numeri di Mastella, il senatore Tommaso Barbato, confida invece in qualche altra sorpresa: «Il centro-destra non avrà De Gregorio che è all’ospedale, ma mancherà anche su un senatore dell’Udc, il folliniano “coperto”, che si darà malato». Quindi siamo al governo aggrappato a Pallaro e al cambio di casacca di Follini. «Era una cosa che proprio non mi aspettavo - spiega con delusione Fini -: per anni ci ha raccontato che voleva mettere in crisi questo bipolarismo muscolare e invece ora ne è diventato l’ultimo puntello. Inspiegabile». Inspiegabile sì, almeno con le categorie della politica. «Ormai - osserva l’azzurro Osvaldo Napoli - è un caso umano: dietro alla sua scelta ci saranno problemi di collegio o di famiglia».

 


Il Riformista 1-3-2007  Bush apre alla Siria, il Mossad ringrazia di Anna Momigliano


La notizia è stata data in pompa magna dalla Casa Bianca: alla conferenza di pace per l’Iraq, che si terrà questo a Baghdad, parteciperanno rappresentanti di Washington, Damasco e Teheran. Gli Stati Uniti, insomma, siederanno allo stesso tavolo con Siria e Iran, pronti ad aprire il negoziato con gli “Stati canaglia”. Con Siria e Iran, si sa, prima o poi si doveva trattare: lo diceva Henry Kissinger («In Medio Oriente non si può fare la pace senza i siriani e non si può fare la guerra senza gli egiziani») e lo ha ripetuto James Baker (vedi il famoso dossier dell’Iraq Study Group, a lungo ignorato dal presidente Bush). Per non parlare delle pressioni delle diplomazie europee, in testa il ministro degli esteri D’Alema e l’omologo tedesco Steinmeier, favorevoli ai negoziati con Teheran e Damasco.
Non tutti sanno, però, che prima dell’apertura annunciata due giorni fa da Washington, si è consumato per mesi un estenuante braccio di ferro tra Stati Uniti e Israele. Anzi, per volere essere più precisi, tra il Dipartimento di Stato Usa e il Mossad, il leggendario servizio segreto dello Stato ebraico. Da tempo, le menti pensanti dei servizi israeliani (non solo all’interno del Mossad, a dire il vero, ma anche dello Shin Bet, organizzazione forse meno celebre ma altrettanto importante) sostenevano la necessità di aprire un processo di pace con Damasco, considerato dagli 007 l’unico modo di archiviare una volta per tutte il conflitto con Hezbollah. La posizione del governo israeliano in materia, invece, era meno definita: qualche timida apertura era giunta dal ministro della sicurezza Avi Dichter, ex capo dello Shin Bet e tuttora legatissimo ai servizi, mentre il primo ministro Ehud Olmert ha ripetutamente smentito le voci che circolavano su presunte trattative segrete. Fatto sta che sulla stampa israeliana sono apparsi, qualche settimana fa, alcuni articoli che puntavano il dito contro Washington: Bush sta obbligando il governo israeliano a non trattare con Assad. Questa era la tesi accreditata dalle due penne più prestigiose di Haaretz, Aluf Benn e Amos Harel.
Il Dipartimento di Stato non l’ha presa molto bene. A sentire loro, quelle di Haaretz sarebbero state tutte veline lanciate dal Mossad per fare pressione sul governo Olmert. «Tanto per cominciare, noi non abbiamo mai impedito al governo israeliano di trattare con nessuno», racconta un senior official del Dipartimento di Stato. Non risulta, del resto, che Olmert sia così smanioso di aprire a Damasco. «Il dibattito sui negoziati siriani è molto vivace sia negli States che in Israele», racconta l’official. «Alcuni elementi dell’intelligence israeliana stanno premendo molto per i negoziati. Nel Mossad, poi, è rimasta una certa simpatia per la leadership di Assad padre, che era visto come un uomo forte ideale per mantenere gli equilibri» e che si riflette in parte sull’attuale presidente, Assad junior. «E’ da un po’ che circola questa vulgata secondo cui noi staremmo frenando Olmert sui negoziati, ma non è vero». Tesi giudicata dal Dipartimento di Stato falsa e, soprattutto, tendenziosa: «Se vogliamo parlare di quello che scrive Amos Harel, poi, bisogna anche ricordare che tutte le sue fonti sono nei servizi». Certo, alla Casa Bianca non credono all’utilità di negoziati tra Siria e Israele perché «la priorità di Bashir Assad è riavere il Libano, non le alture del Golan», quindi non è nel suo interesse intavolare un dialogo con Gerusalemme. Gli israeliani, insomma, farebbero bene a non fidarsi. Un consiglio che, a sentire il Dipartimento di Stato, di cui avrebbero bisogno Shin Bet e Mossad, molto più di Ehud Olmert. Nonostante questo tira e molla, tuttavia, alla fine Washington ha accettato di negoziare con Assad, almeno sulla questione irachena. Sarà tutto merito del Mossad?

 


 Il Secolo XIX    1-3-2007 "Città partecipata" contro i politici che mentono

 

 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 

  
 
 
 
 
Liste indipendenti Alleanza fra Il Cantiere e il Partito Umanista: Stefano Budria, operaio, candidato sindaco. Naufraga la lista unitaria Pdci-Prc-Us 01/03/2007 PARTECIPAZIONE, utilizzo di energie alternative, lotta al lavoro nero, cancellazione dei privilegi per i politici e voto agli immigrati residenti. E lotta a "un ceto politico che mente su ogni cosa, dall'inceneritore al Terzo Valico e che tiene fuori dalle istituzioni i cittadini". Questo, in sintesi, il programma della lista "Città partecipata" che correrà alle elezioni amministrative di Genova, candidando alla carica di sindaco Stefano Budria. La lista unisce "Il Cantiere" e il Partito Umanista. Budria, 38 anni, operaio, da sempre è impeganto in politica e nell'associazionismo, specie sul tema dell'integrazione degli extracomunitari. Con lui correranno il capolista Pino Cosentino, già militante nel Pci, Davide Cervi candidato alla presidenza del municipio Centro-Ovest, Patrizia Sassanelli, candidata presidente nel municipio Centro-Est e Laura Tamiro, candidata al municipio del Medio Ponente. E' una lista che si ispira a valori di sinistra, ma che dall'Unione prende le distanze su ogni punto, come ha spiegato ieri mattina il portavoce Fabrizio Tringali. Il programma è stato sintetizzato in questi punti: bilancio partecipativo, uso del dibattito e del referendum per le scelte strategiche, trasparenza, limitazione dei costi della politica e legalità, solidarietà, lavoro e ambiente. Gli eventuali eletti di "Città partecipata" rinunceranno a emolumenti e benefit e prenderanno le loro decisioni solo sulla base di assemblee aperte alla cittadinanza. Sul fronte dell'Unione, invece, ieri c'è stato un vertice del Forum delle sinistre, con i segretari del Pdci, di Rifondazione e Unione a sinistra e con il candidato alle primarie Edoardo Sanguineti. La lista unitaria alle prossime elezioni comunali non ci sarà, anche se ieri gli ex Ds di Unione a sinistra hanno ribadito la loro proposta. Resta in ogni caso la collaborazione fra le tre sigle e dopo quella che Sanguineti ha chiamato "pausa di riflessione" (il voto) il progetto del Forum unitario proverà a riavviare la marcia "verso un nuovo laboratorio della politica". 01/03/2007.

Liste indipendenti Alleanza fra Il Cantiere e il Partito Umanista: Stefano Budria, operaio, candidato sindaco. Naufraga la lista unitaria Pdci-Prc-Us 01/03/2007 PARTECIPAZIONE, utilizzo di energie alternative, lotta al lavoro nero, cancellazione dei privilegi per i politici e voto agli immigrati residenti. E lotta a "un ceto politico che mente su ogni cosa, dall'inceneritore al Terzo Valico e che tiene fuori dalle istituzioni i cittadini". Questo, in sintesi, il programma della lista "Città partecipata" che correrà alle elezioni amministrative di Genova, candidando alla carica di sindaco Stefano Budria. La lista unisce "Il Cantiere" e il Partito Umanista. Budria, 38 anni, operaio, da sempre è impeganto in politica e nell'associazionismo, specie sul tema dell'integrazione degli extracomunitari. Con lui correranno il capolista Pino Cosentino, già militante nel Pci, Davide Cervi candidato alla presidenza del municipio Centro-Ovest, Patrizia Sassanelli, candidata presidente nel municipio Centro-Est e Laura Tamiro, candidata al municipio del Medio Ponente. E' una lista che si ispira a valori di sinistra, ma che dall'Unione prende le distanze su ogni punto, come ha spiegato ieri mattina il portavoce Fabrizio Tringali. Il programma è stato sintetizzato in questi punti: bilancio partecipativo, uso del dibattito e del referendum per le scelte strategiche, trasparenza, limitazione dei costi della politica e legalità, solidarietà, lavoro e ambiente. Gli eventuali eletti di "Città partecipata" rinunceranno a emolumenti e benefit e prenderanno le loro decisioni solo sulla base di assemblee aperte alla cittadinanza. Sul fronte dell'Unione, invece, ieri c'è stato un vertice del Forum delle sinistre, con i segretari del Pdci, di Rifondazione e Unione a sinistra e con il candidato alle primarie Edoardo Sanguineti. La lista unitaria alle prossime elezioni comunali non ci sarà, anche se ieri gli ex Ds di Unione a sinistra hanno ribadito la loro proposta. Resta in ogni caso la collaborazione fra le tre sigle e dopo quella che Sanguineti ha chiamato "pausa di riflessione" (il voto) il progetto del Forum unitario proverà a riavviare la marcia "verso un nuovo laboratorio della politica". 01/03/2007.


Il Corriere della Sera 1-3-2007 Non ha la mutua: muore per ascesso ai denti. La vittima è un bambino di 12 anni abitante nel Maryland (Usa).

 

Per salvarsi gli sarebbe bastata una visita dal dentista, ma sua madre non aveva nessuna assicurazione sanitaria

 

Di mal di denti, a volte, si muore. È accaduto a Deamonte Driver, un bimbo di dodici anni del Maryland, a cui per salvarsi sarebbe bastata una visita dal dentista del costo di 80 dollari, se solo sua madre Alyce avesse avuto un'assicurazione sanitaria. Quando il dolore di Deamonte si è fatto insopportabile era ormai troppo tardi: i batteri proliferati con l'ascesso avevano raggiunto il cervello, ha raccontato oggi l'incredibile vicenda a cavallo tra miseria, ignoranza e caro-sanità il Washington Post.
Alla fine, dopo due interventi e oltre sei settimane di vane terapie presso l'ospedale della contea di Prince George, nel Maryland, il ragazzo è morto. «Mi auguro che lo Stato faccia qualcosa per assicurare adeguate cure dentistiche a questi bambini, affinchè Deamonte non sia morto invano», ha affermato Laurie Norris, avvocato del Centro Pubblico di Giustizia di Baltimora, che ha assistito la famiglia Driver.
La morte inutile di Deamonte e il costo finale delle sue cure - che ammontano adesso a circa 250 mila dollari - hanno riacceso il dibattito sul sistema sanitario degli Stati Uniti. Molte famiglie non hanno alcuna copertura per quanto riguarda i problemi dentali, che negli Stati Uniti sono la prima causa di disagi dell'infanzia e colpiscono i bambini meno abbienti due volte di più dei loro coetanei benestanti. Per i cittadini al di sotto della soglia di povertà è previsto il Medicaid, un programma federale che garantisce un livello base di copertura sanitaria. Ma gli studi dentistici convenzionati sono pochissimi - 900 su 5.500 nel solo Maryland - e costringono chi ha bisogno di un dentista a viaggiare per ore prima di raggiungerne uno.

28 febbraio 2007