HOME   PRIVILEGIA NE IRROGANTO  di Mauro Novelli    

 

Archivio Piccola Rassegna

 

1/15 Febbraio 2007

 

VAI ALLA RASSEGNA

 

VAI ALL’ARCHIVIO GENERALE

 


INDICE Archivio - 1/15 FEBBRAIO 2007”  

15-2-2007

14-2-2007

13-1-2007

12-2-2007

11-2-2007

10-2-2007

9-2-2007

8-2-2007

7-2-2007

6-2-2007

5-2-2007

4-2-2007

3-2-2007

2-2-2007

1-2-2007

 

 

Archivio    1/31  GENNAIO 2007

 


INDICE  15-2-2007

·          ++ Da Panorama 15-2-2007  Antonveneta, anche Fazio tra gli indagati 2

·          ++ Da ANSA  14-2-2007 Liberalizzazioni:pioggia emendamenti al dl, critiche da AN   2

·          ++ Da AgenParl 15-2-2007 CALCIO: COISP, PARLAMENTO PRONTO A CEDERE A LOBBY SU DECRETO ANTI VIOLENZA  3

·          + Da La Repubblica 15-2-2007 Br, scoperto arsenale nel padovano "C'erano mitra, pistole e munizioni" 3

·          + Dal Corriere della Sera 15-2-2007 E il centrodestra riabilita Ilda «la rossa» Marco Galluzzo  4

·          Da La Repubblica 15-2-2007  L'altolà di Scalfaro a Ruini "Sulla legge nessuna imposizione" Di Vittorio Ragone  5

·          Da L’Unità 15-2-2007 Appello ai vescovi: Fermatevi!  Da Alberigo a Masina a La Valle, scendono in campo gli intellettuali cattolici: Si torna al non expedit 7

·          Da Il Giornale 15-2-2007  Corte dei Conti, sanità nel mirino Di Patricia Tagliaferri 8

·          Da Italia Oggi 15-2-2007 Fondi statali, banca correa  8

·          Da La Stampa 15-2-2007  La Corte dei Conti: 150 milioni dai protagonisti di Calciopoli 9

·          Da Il Sole 24 Ore 14-2-2007  Immobiliare: prezzi freddi per le case, riparte il corporate  10

·          Da prontoconsumatori.it 15-2-2007 Assicurazioni: indennizzo diretto incostituzionale ? 10

·          Dal Corriere della Sera 14-2-2007 Ariel Toaff: «Fermo pubblicazione del libro» Lo storico chiede alla casa editrice di bloccare la diffusione del discusso «Pasqua di sangue»  «Mi scuso con quelli che sono stati offesi»  11

·          Da Il Sole 24 Ore 13-2-2007 l terzo viaggio del presidente cinese Hu Jintao in Africa. 12

·          Da La Stampa 14-2-2007 Cade un mito: Antonio e Cleopatra erano brutti 14

 


++ Da Panorama 15-2-2007  Antonveneta, anche Fazio tra gli indagati

                                                                                                            

L'inchiesta nata nel 2005 dalla fallita scalata della Bpi di Giampiero Fiorani ad Antonveneta si è conclusa con l'avviso di garanzia a 84 persone, tra cui anche l'ex governatore della Banca d'Italia
La procura di Milano ha depositato oggi l'avviso di chiusura indagini nell'inchiesta nata nel 2005 dalla
fallita scalata di Banca Popolare Italiana ad Antonveneta, inviando oggi le notifiche a 84 persone fisiche indagate e nove società. Fra gli indagati ci sono l'ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio, l'ex ad di Bpi Gianpiero Fiorani, l'ex numero uno di Unipol Giovanni Consorte, il finanziere bresciano Emilio Gnutti e l'immobiliarista romano Stefano Ricucci.
Fra le società destinatarie dell'avviso di chiusura inchiesta ci sono fra le altre Bpi, Magiste, Fingruppo e Unipol. Le ipotesi di reato a vario titolo e per i diversi indagati sono associazione per delinquere,
aggiotaggio, insider trading, ostacolo all'attività di vigilanza, abuso di informazioni privilegiate.
L'atto di chiusura indagini è il preludio alla presentazione delle richieste di rinvio a giudizio da parte della procura che, in mancanza di elementi nuovi, dopo un mese presenta a un gup le sue richieste di processo per le persone e le società che elenca nel documento di chiusura.


++ Da ANSA  14-2-2007 LIBERALIZZAZIONI:PIOGGIA EMENDAMENTI DL,CRITICHE DA AN

/ANSA
POL S0A QBXB LIBERALIZZAZIONI:PIOGGIA EMENDAMENTI DL,CRITICHE DA AN/ANSA SLITTA AL 27 L'APPRODO IN AULA;UDEUR,FI,LEGA NO A NOVITÀ SU TAV (di Chiara Scalise) (ANSA) - ROMA, 14 FEB - Pioggia di emendamenti in commissione Attività Produttive della Camera al decreto legge sulle liberalizzazioni. Sono circa 500 le proposte di modifiche, di cui poco meno di un centinaio a firma della maggioranza, anche se solo 16 sono del relatore. Alcuni, certo, potrebbero cadere sotto la scure dell'ammissibilità, che verrà comunicata domani dalla presidenza prima dell'inizio delle votazioni. E, forse non a caso, slitta anche l'inizio dell'esame in Aula: previsto per il 19, è stato fissato al 27 febbraio. Nessuna accelerazione evidente neanche per il disegno di legge sulle liberalizzazioni: non sono infatti molte le misure previste nel ddl e che i parlamentari chiedono di inserire nella corsia preferenziale del decreto: a parte la richiesta avanzata da An di introdurre le norme sui servizi pubblici locali, scorrendo il pacchetto di emendamenti spunta solo la liberalizzazione della componentistica auto (Verdi e Udc) e le misure per facilitare la nascita di un'impresa, previste tra l'altro da un provvedimento a firma del presidente della commissione Attività produttive di Montecitorio Daniele Capezzone. Governo e maggioranza non cedono, comunque, alla prova dei fatti, alle compagnie telefoniche: nessun emendamento infatti chiede lo slittamento per l'eliminazione dei costi fissi sulle ricariche dei cellulari, così come già annunciato ieri. Anzi. Il sottosegretario allo Sviluppo Economico Filippo Bubbico precisa, al termine di una riunione con il collega Paolo Giaretta e il relatore, che per i nuovi contratti il balzello non c'è già più. Diversa l'opinione della Lega, che ha presentato un emendamento per dare un pò di fiato agli operatori. Spinge, invece, sul fronte delle liberalizzazioni un'altra proposta targata Carroccio che chiede che gli utenti possano conoscere l'operatore del numero che chiamano e quello che chiede l'abolizione del canone Rai. Trasparenza sulle bollette, con l'eliminazione dei servizi non richiesti sulla fattura, e novità a misura dei più giovani sono invece gli obiettivi dei Verdi a partire dall'eliminazione della sanzione penale per chi fa uso, non a fine di lucro, di brani musicali, software e libri di testo scaricati dalla rete internet. È però la Tav a creare un fronte trasversale agli schieramenti: l'Udeur, Forza Italia e la Lega chiedono infatti all'unisono la soppressione dell'articolo che prevede la revoca di alcune concessioni rilasciate dalle Ferrovie dello Stato a Tav spa, messo a punto con l'obiettivo di garantire maggiore concorrenza. Fatto sta che il centinaio di modifiche presentate dalla maggioranza offrono gioco facile all'opposizione. A scagliarsi contro il centrosinistra è in particolare Alleanza Nazionale: «Il decreto legge Bersani - affermano infatti Urso e Saglia - si sta già strappando. Questo dimostra che agire per decreto in materie delicate e senza seguire invece il metodo Monti della consultazione, provoca solo confusione». (ANSA). SCA 14-FEB-07 21:16 NNN


++ Da AgenParl 15-2-2007 CALCIO: COISP, PARLAMENTO PRONTO A CEDERE A LOBBY SU DECRETO ANTI VIOLENZA

Roma, 15 Febbraio 2007 – AgenParl – “Sul decreto legge contro la violenza negli stadi il Parlamento è pronto a cedere ai poteri economici del calcio”. E' l'allarme lanciato dal sindacato della Polizia Coisp secondo il quale “dopo la prima unanime condivisione del provvedimento, dettata dalla necessità di esprimere una posizione di facciata davanti alla morte di un poliziotto, emergono ora preoccupanti considerazioni in sede di conversione in legge del decreto.”
Secondo Franco Maccari, segretario generale del Coisp, "quanto emerge dalla lettura dei resoconti dei lavori delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia, riunite per discutere sui contenuti del decreto legge 8 febbraio 2007 n. 8 per la successiva conversione in Legge, è seriamente preoccupante perché il gruppo di norme recanti nuovi e più incisivi strumenti sanzionatori contro il fenomeno della violenza è stato preso di mira da alcuni membri delle commissioni in questione”.
“E' stata espressa - spiega Maccari – una forte contrarietà ai nuovi ambiti di applicazione del Daspo, il divieto di accedere a manifestazioni sportive, ritenuto ingiusto nei confronti di chi ha tenuto una condotta finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza. E’ stata inoltre ritenuta da taluni eccessiva l’estensione dello stato di flagranza fino a 48 ore dal fatto ed anche l’innalzamento delle pene per le varie fattispecie di reati. In buona sostanza, la lobby dal calcio ha fatto sapere che andava bene com’era prima e che tanto “i morti fanno parte del sistema calcio”.
“Se la politica cederà ai poteri forti – conclude Maccari - snaturando il provvedimento fortemente voluto dal nostro ministro Amato e dal ministro Melandri, siamo pronti a far sentire forte la nostra protesta. Recapiteremo una bara in Parlamento così che i nostri governanti possano tenerla al caldo per il prossimo poliziotto che i delinquenti ammazzeranno. I morti dei servitori dello Stato in questo Paese vengono dimenticati con una facilità incredibile da chi dovrebbe rappresentare il popolo.”


+ Da La Repubblica 15-2-2007 Br, scoperto arsenale nel padovano "C'erano mitra, pistole e munizioni"

L'annuncio dato dal viceministro Minniti nel corso dell'audizione al Senato Sequestrate anche divise della Finanza, parrucche e giubotti antiproiettile

Dal rappresentante del governo solidarietà a Berlusconi e agli altri possibili obiettivi "Ma nessuno dei minacciati ha mai corso alcun diretto ed immediato pericolo"

 

ROMA - Un consistente deposito di armi nelle campagne padovane è stato scoperto ieri dalla polizia nell'ambito delle indagini sulla colonna veneta e milanese delle nuove Br. Lo ha rivelato il viceministro dell'Interno, Marco Minniti, riferendo al Senato. "La polizia coordinata dalla dottoressa Ilda Boccassini - ha detto Minniti - ha scoperto un consistente deposito di armi nelle campagne padovane dove durante le indagini, nel corso di pedinamenti degli indagati, gli stessi erano stati visti nell'atto di occultare materiale".
La lista delle armi. "Sono stati sequestrati - ha precisato ancora Minniti - un fucile mitragliatore kalashnikov con relativo caricatore; un mitra Uzi con caricatore; una pistola mitragliatrice Skorpion; una pistola Sig Sauer; una pistola colt calibro 38; un cannocchiale per fucile; due divise estive della Guardia di finanza; tre giubbotti antiproiettile; varie fondine; una parrucca; numeroso munizionamento di vario calibro in corso di repertazione".
"Altro che sciagurati". "Quanto sequestrato - ha sottolineato il viceministro - costituisce la dotazione delle cellule milanese e padovana della formazione terroristica. Una dotazione di tutto rilievo che testimonia da sola la pericolosità degli arrestati e il grado di efficienza operativa raggiunta. Non ci può essere alcuna sottovalutazione. Kalashinkov, mitragliatori Uzi, mitragliatrici Skorpion, pistole varie... Francamente, un po' troppo per essere soltanto l'armamentario di quattro sciagurati".
Solidarietà a Berlusconi. Minniti ha poi fornito ulteriori dettagli sulle indagini che hanno portato all'arresto dei nuovi brigatisti, precisando che gli obiettivi ipotizzati dai terroristi non hanno "mai corso alcun diretto ed immediato pericolo". "Gli appartenenti al gruppo - ha chiarito - avevano individuato un'ampia gamma di obiettivi, alcuni oggetto di sopralluoghi, inchieste embrionali, altri solamente ipotizzati in sede di conversazioni intercettate. La solidarietà del governo e mia personale non può che andare a tutte queste persone: solidarietà al presidente Berlusconi, al professsor Ichino, ai giornalisti di Libero agli altri dirigenti industriali".
Situazione sotto controllo. Minniti ha voluto però sottolineare che "nessuna delle persone o delle realtà minacciate dai piani terroristici ha mai corso alcun diretto ed immediato pericolo", anche perché l'indagine si è sempre curata di garantire la sicurezza delle persone che risultavano minacciate e questa tutela è stata poi rinforzata secondo il giudizio degli esperti. Una decisione naturale perché la nostra attenzione è altissima".
(15 febbraio 2007)


+ Dal Corriere della Sera 15-2-2007 E il centrodestra riabilita Ilda «la rossa» Marco Galluzzo

 

La Russa: è un grande investigatore. Pecorella: ma attenti a non correre

Considerata il prototipo del magistrato politicizzato per i processi contro Berlusconi, oggi i deputati della Cdl rivalutano la Boccassini

 

ROMA — In Forza Italia qualcuno azzarda i complimenti: «Un'operazione ben fatta, tanto di cappello». Ignazio La Russa si spinge più in là, parla della Boccassini come di «un grande investigatore», finalmente emendato da una stagione politica che per anni ne ha offuscato le doti. La notizia è che il centrodestra parla bene della signora Ilda Boccassini. Era una bestia nera. L'hanno chiamata bolscevica. Comunista. Asservita al pregiudizio ideologico. Capace di scegliere prima di tutto una tesi, spesso politica. Oggi in Transatlantico i due maggiori partiti d'opposizione usano altri toni. Con la massima cautela, per carità. Con accenni flebili di riabilitazione. Ma per quello che era — ai loro occhi — il prototipo del magistrato schierato, del pm che flirta con la sinistra, arrivano dopo anni di guerra parole meno forti, più misurate, in alcuni casi di encomio.

Gaetano Pecorella, deputato azzurro, avvocato del Cavaliere, più di un processo «contro» Ilda la Rossa, si esprime così: «E' una persona che non si è mai risparmiata, e questo è certamente un merito. Spesso si è anche distinta per non essere allineata con le tesi del pool di Milano. Ma stiamo attenti a non correre, a non trasformare una buona operazione in indagine del secolo. I nostri giudizi negativi su un modo di fare indagini e su un metodo che troppe volte è apparso condizionato da tesi politiche restano tutti. Dopodiché se i risultati saranno veramente quelli che oggi sembrano tanto di cappello». Argomenti simili a quelli di Maurizio Lupi, anche lui deputato, ciellino, milanese, cresciuto politicamente dentro Forza Italia: «L'ho sempre considerata come un magistrato di parte, condizionata nella sua azione dal pregiudizio ideologico. Ma poiché noi di Forza Italia siamo sempre stati pronti a riconoscere il merito degli avversari, in questo caso, se l'impianto probatorio sarà confermato, non si possono che fare i complimenti per un'indagine che appare ben fatta».

Poco distante in Transatlantico, Ignazio La Russa tiene quasi una conferenza sulla Boccassini. La conosce bene, da almeno 20 anni. Ha sostenuto più di una difesa in processi in cui la signora rappresentava l'accusa: «Erano i tempi in cui Berlusconi mi chiamava ancora avvocato, ero persino considerato amico di alcuni pm che negli anni sono diventati "nemici" del centrodestra. Su Ilda posso dire questo: finita la fase "politica" della magistratura, riemergono le doti investigative pure e Ilda ne ha da vendere, è indubbiamente un grande investigatore». E Alfredo Mantovano, senatore, magistrato in aspettativa, anche lui An, aggiunge che «le toghe si valutano volta per volta, ogni giorno. Certo, rimangono alcuni giudizi, anche la Cassazione ha detto che nel tempo sono state violate alcune regole. Ma oggi la Boccassini ha fatto solo il suo dovere e bisogna dargliene atto».

Ovviamente c'è ancora chi, soprattutto in Forza Italia, si scandalizza solo a sentir parlare di riabilitazione. La parola Boccassini per tanti è quasi ancora una parolaccia: la pronunci e i deputati scappano. E un'indagine non vale a cancellare il passato, nemmeno se ha sventato pericoli contro l'ex premier. Restano le tante inchieste giudicate politiche contro Silvio Berlusconi, gli errori che gli azzurri le imputano e che non sono disposti a perdonare. Antonio Verro, ex assessore forzista a Milano, oggi deputato, la mette così: «Per una volta si è dimostrata null'altro che un bravo pubblico ministero. Accade, per fortuna, anche a chi si è distinta per un essere un modello di magistrato politicizzato, il prototipo di una magistratura che per anni, e ancora oggi in alcuni casi, ha ritenuto di avere una funzione di supplenza rispetto alla politica. Un ruolo che in alcuni casi, troppi casi, non distingue più fra codice penale e giudizio storico o sociale; fra voglia di perseguire realmente un reato e voglia di abbinare all'azione penale il giudizio politico su una fatto, una persona, un comportamento, un partito politico. Sarebbe bello se accadesse più spesso». Osvaldo Napoli, anche lui forzista, conclude con una battuta: «Ha istruito tanti processi politici, molti conclusi con l'assoluzione degli imputati. Oggi noto con piacere che su un punto è d'accordo con Berlusconi: in Italia ci sono ancora i comunisti e sono più pericolosi che mai».


Da La Repubblica 15-2-2007  L'altolà di Scalfaro a Ruini "Sulla legge nessuna imposizione" Di Vittorio Ragone

L'ex capo dello Stato: se la Chiesa proclamasse un obbligo di scelta distruggerebbe il cattolicesimo parlamentare

 

ROMA - Un altolà senza sfumature al cardinale Ruini, se davvero vuole imbrigliare nei precetti della Chiesa la libertà di decisione politica sui Dico, un tempo noti come Pacs. Oscar Luigi Scalfaro, presidente emerito della Repubblica e padre nobile del centrosinistra, non è contrario alla mediazione Bindi-Pollastrini, e teme la "distruzione" del cattolicesimo parlamentare se la Cei dovesse lanciare diktat a chi riconosce il suo magistero. In sessant'anni - dice - questo non è mai accaduto. Prima di correre certe avventure Ruini dovrebbe avviare "un ampio esame" dentro l'assemblea dei vescovi.
Presidente Scalfaro, il Parlamento aspetta di sapere quale forma assumerà il "non possumus" di Ruini sulle unioni di fatto. Che cosa succederebbe se la Cei o il Papa avanzassero richieste "vincolanti" per i politici cattolici?
"La Chiesa, pure nella fermezza dei suoi principi, non ha mai compiuto in sessant'anni interventi che ponessero a un bivio obbligato i parlamentari cattolici. Io confido che interventi del genere non ci saranno. Se dovessero invece avvenire, distruggerebbero la possibilità stessa di una presenza dei cattolici in Parlamento in condizioni di dignità e libertà, quella libertà che consente l'assunzione individuale delle responsabilità. Ma a chi serve, oggi e domani, un gruppo di parlamentari che si limitano a eseguire gli ordini? Certo non alla Chiesa. Sarebbero una inutile pattuglia, e l'effetto sarebbe una crescita di laicismo esasperato".
Il centrosinistra non drammatizza troppo l'iperattivismo vaticano? E' vero che è stato l'Avvenire a citare Pio IX, ma dall'altra parte si invoca il Risorgimento, si tracciano scenari foschi, si ipotizza, come anche lei fa, il naufragio del cattolicesimo politico. Eppure gli scontri tra l'etica cattolica e quella laica, condivisi e alimentati dalla Chiesa, in Parlamento e fuori non sono mancati. Gli anni Settanta, il divorzio, l'aborto, i referendum. Grandi asprezze, ma alla fine siamo tutti qui, comprese le leggi soggette ad anatema.
"Vede, io sono nella vita politica da 61 anni, dalla Costituente. È vero, abbiamo attraversato come parlamentari cattolici momenti faticosi, difficili, prese di posizione delicate. Ma già dall'Assemblea costituente fu preminente in tutti la ricerca di un denominatore comune sui temi dei diritti e della dignità delle persone. Ne nacque un documento d'eccezione, la Carta, del quale dobbiamo ringraziare i grandi nomi che resero un tale servizio al popolo italiano: penso, nel mondo cattolico, a De Gasperi, a La Pira, a Dossetti, più tardi a Aldo Moro e a tantissimi altri rappresentanti del popolo. Il grande tema per noi cattolici era fare sintesi fra diritti e doveri del cittadino e diritti e doveri del cristiano, portare nella politica il pensiero filosofico che anima i principi cristiani sempre con grande rispetto per le impostazioni altrui. L'articolo 67 della Costituzione stabilisce che ogni membro del parlamento rappresenta la nazione e esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Al tempo del divorzio e dell'aborto, che lei cita, in entrambi i casi il partito mi diede incarico di parlare ufficialmente a nome del gruppo democristiano. Non dimentico, e ne ringrazio la Provvidenza, che nell'uno e nell'altro caso ebbi ascolto ampio, proprio dagli avversari politici: non condivido le tue tesi - mi fu detto - ma apprezzo lo sforzo di dialogare. Dopo la sconfitta sul divorzio qualcuno in assoluta buona fede sostenne che non potevamo collaborare a formulare gli articoli della legge perché così facendo avremmo aiutato un istituto che contestavamo. Ma giustamente vinse la tesi che quando cade l'affermazione di un principio rimane sempre il dovere di lottare per il male minore".
Insomma, lei sostiene che la capacità di ascolto reciproca non è venuta mai meno, nemmeno quando lo scontro era al massimo della tensione.
"Non solo. C'è anche un altro insegnamento. La chiarezza delle posizioni della Chiesa, e il risultato del referendum che diede ragione alle tesi contrarie a quelle sostenute da noi cattolici, non impedirono che tanti cattolici si servissero poi dell'istituto del divorzio. Ne è prova che da anni all'interno della gerarchia ecclesiastica si discute sull'ammissibilità dei divorziati ai sacramenti".
L'invito al pragmatismo, per tornare a Ruini, onestamente oggi non sembra avere grandi chance. La grandinata vaticana - da Avvenire a Sir, dall'Osservatore allo stesso Ratzinger - non lascia grandi margini alla mediazione.
"La profonda devozione e ubbidienza alla chiesa madre e maestra - e mi piace ricordare che fu la saggezza di Giovanni XXIII, oggi beato, a dare nella sua enciclica questa preminenza alla maternità della Chiesa - mi fa confidare che il richiamo che è stato annunziato, e che manifesta un diritto e anche un dovere della Chiesa di dire il suo pensiero, non abbia la forma di una imposizione".
Il fronte dei sessanta parlamentari della Margherita che difendono i Dico non ha un gran futuro, se l'intervento di Ruini dovesse trasformarsi in un vero e proprio precetto. Non crede?
"Un atteggiamento rigido della Chiesa sfascerebbe tutto. Ne sono convinto".
Lei, pur da senatore a vita, è un uomo del centrosinistra: quale potrebbe essere una contromisura per far prevalere la moderazione?
"Posizioni da parte della Chiesa che portassero a conseguenze tanto pesanti, così come non si sono verificate neanche quando furono compromessi l'indissolubilità del matrimonio e il diritto alla vita, richiederebbero a mio avviso un ampio esame nell'Assemblea dei vescovi italiani, la Cei".
Nel merito della legge, come giudica la soluzione Dico "inventata" da Bindi e Pollastrini?
"Mi piace ricordare che quando il presidente del consiglio Romano Prodi annunziò nella formulazione del programma il desiderio di riconoscere dei diritti e dei doveri a ciascun cittadino, affermò espressamente che con quel programma prendeva l'impegno di non toccare o turbare l'istituto del matrimonio così come previsto dalla Costituzione. Mi pare giusto non fare processi alle intenzioni. Le proposte di legge che sono state presentate da posizioni a mio avviso non accettabili sono giunte con non poca fatica (quanto intensa quella del ministro Bindi!), in questo necessario dialogo tra impostazioni diverse, a un testo che come tutti i testi è indubbiamente migliorabile ma che certamente non prevede - per essere chiari - il matrimonio fra gli omosessuali o una formula mascherata ma simile. Si tratta di dare eventuali, maggiori garanzie? Se ne può discutere, rimanendo chiaro un punto: se al dunque si fosse richiesti di un voto esplicito che preveda di fatto il matrimonio per gli omosessuali, allora, senza bisogno di disturbare la dottrina della chiesa cattolica, è chiaro che un voto a favore non si può dare perché in contrasto con una realtà di storia dell'umanità, che prevede per il matrimonio un maschio e una femmina".
Il matrimonio gay, per la verità, sembra essere un simbolo e uno spauracchio, anche se di prima fila. Quel che la Chiesa sembra temere nella sostanza è che il riconoscimento delle unioni civili, innanzitutto eterosessuali, sgretoli la famiglia "naturale" su cui si fonda la sua dottrina.
"È vero, c'è chi obietta che aprendo una seconda strada si dà ai cittadini con troppa facilità la possibilità di un'altra scelta. La preoccupazione della Chiesa è più che condivisibile. Ma il problema vero è rafforzare nei cattolici la fede, in modo che sappiano scegliere secondo i principi nei quali credono. Più che allo Stato, al quale si chiede di impedire una duplice strada che consentirebbe gli abusi, il tema è affidato alla evangelizzazione e alla formazione dei fedeli. Lo Stato deve pensare a tutti e, pur non tramutando speranze, desideri e sogni in diritti deve, se esistano basi certe per individuare quei diritti, riconoscerli dove e quando ci sono".
(15 febbraio 2007)


 

Da L’Unità 15-2-2007 Appello ai vescovi: Fermatevi!  Da Alberigo a Masina a La Valle, scendono in campo gli intellettuali cattolici: Si torna al non expeditStai consultando l'edizione del Appello ai vescovi: "Fermatevi" Da Alberigo a Masina a La Valle, scendono in campo gli intellettuali cattolici: "Si torna al non expedit" di Roberto Monteforte FERMATEVI. Sarebbe di "inaudita gravità" quella nota Cei sul disegno di legge sui "Di.co" annunciata dal cardinale Ruini con la quale si "imporrebbe ai parlamentari cattolici di rifiutare il progetto di legge sui "diritti delle convivenze"". Lo dicono forte ai vescovi italiani il professore Giuseppe Alberigo, fondatore dell'Istituto Giovanni XXIII di Bologna e tra i più autorevoli studiosi del Concilio Vaticano II, ricevuto recentemente in udienza privata da Papa Benedetto XVI. Insieme ad altri intellettuali cattolici tra cui Ettore Masina, Raniero La Valle, lo storico Alberto Melloni, il portavoce di "Noi siamo Chiesa" Vittorio Bellavite e il teologo Giuseppe Ruggieri, ha deciso di lanciare un appello. Si rivolgono alle direttamente alle gerarchie. Le mettono in guardia dal rischio del salto nel buio che quel pronunciamento comporterebbe. Mettono in chiaro le conseguenze gravi che ne scaturirebbero per la società italiana ma anche per la stessa Chiesa. Ne subirebbe "un'immeritata involuzione". Ricordano la storia. Quel pronunciamento sarebbe un passo indietro intollerabile, perché riaccenderebbe il rischio di "una deprecabile conflittualità tra la condizione di credente e quella di cittadino", degna dei tempi del "non expedit" di Pio IX e superata definitivamente solo con gli accordi concordatari. Per questo con "dolore, ma con fermezza" il professor Alberigo e gli altri firmatari "supplicano" i Pastori a "prenderne coscienza". Ad evitare tanta sciagura "che porterebbe la nostra Chiesa e il nostro Paese - affermano - fuori dalla storia". Non escludono che quel disegno di legge in discussione alle Camere potrebbe non essere "ottimale", ma invitano le gerarchie a tenere ben distinti i piani: una cosa "è ciò che per i credenti é obbligo, non solo di coscienza ma anche canonico", altro è quanto "deve essere regolato dallo stato laico per tutti i cittadini". È su questa distinzione che si fonda la laicità dello Stato e l'autonomia della stessa Chiesa. I firmatari, dando voce ad una preoccupazione diffusa nel mondo cattolico, rivolgono un doppio invito. Alla Conferenza Episcopale chiedono di "equilibrare le sue prese di posizione". Ai parlamentari cattolici di "restare fedeli al loro obbligo costituzionale di legislatori per tutti". Quindi a resistere alle eventuali pressioni della gerarchia. Ma vi sono domande implicite nell'appello. Domande politiche. La Cei vuole arrivare alla caduta del governo del cattolico Romano Prodi? Hanno chiari gli effetti di questa strategia? Una Chiesa "agente politico" non perderebbe di autorevolezza? E i cattolici impegnati in politica non sarebbero alla fine resi insignificanti? Con un possibile effetto: tutto si giocherebbe in un rapporto diretto tra Stato e Oltretevere. Sarebbe volgere le spalle al Concilio. È una preoccupazione che scuote un mondo cattolico disorientato, visto che è stato esplicito l'apporto di cattolici militanti a partire dalla Bindi al disegno di legge sui "Di.co". L'eco è arrivato sino all'Avvenire. Una sua "firma" autorevole, il professore Giorgio Campanini, mette pubblicamente in guardia dalle possibili lacerazioni che uno scontro frontale sui "Di.co" determinerebbero nella società, nella Chiesa e nella stessa politica, che - lo dice esplicitamente - potrebbe portare sino ad una possibile caduta del governo Prodi. Si domanda: "Ma ne vale davvero la pena?". Intanto il pressing della Chiesa italiana continua. Ieri è toccato a monsignor Cesare Nosiglia, vescovo di Vicenza e fine giurista lanciare il suo attacco al disegno di legge Bindi-Pollastrini. Per soddisfare la richiesta di nuovi diritti, sarebbe bastato il codice civile. Nosiglia assicura "rispetto verso chi compie scelte diverse dal matrimonio religioso o civile", anche se afferma di non approvarle "perchè contrarie alla fede e cultura cristiana". Ma quello che va impedito, ribadisce, è "il tentativo di introdurre nell'ordinamento nuove figure giuridiche di unione eterosessuale e omosessuale non contemplate dalla Costituzione e in aperto contrasto con il suo concetto di famiglia "società naturale fondata sul matrimonio"".

 

 

Stai consultando l'edizione del Appello ai vescovi: "Fermatevi" Da Alberigo a Masina a La Valle, scendono in campo gli intellettuali cattolici: "Si torna al non expedit" di Roberto Monteforte FERMATEVI. Sarebbe di "inaudita gravità" quella nota Cei sul disegno di legge sui "Di.co" annunciata dal cardinale Ruini con la quale si "imporrebbe ai parlamentari cattolici di rifiutare il progetto di legge sui "diritti delle convivenze"". Lo dicono forte ai vescovi italiani il professore Giuseppe Alberigo, fondatore dell'Istituto Giovanni XXIII di Bologna e tra i più autorevoli studiosi del Concilio Vaticano II, ricevuto recentemente in udienza privata da Papa Benedetto XVI. Insieme ad altri intellettuali cattolici tra cui Ettore Masina, Raniero La Valle, lo storico Alberto Melloni, il portavoce di "Noi siamo Chiesa" Vittorio Bellavite e il teologo Giuseppe Ruggieri, ha deciso di lanciare un appello. Si rivolgono alle direttamente alle gerarchie. Le mettono in guardia dal rischio del salto nel buio che quel pronunciamento comporterebbe. Mettono in chiaro le conseguenze gravi che ne scaturirebbero per la società italiana ma anche per la stessa Chiesa. Ne subirebbe "un'immeritata involuzione". Ricordano la storia. Quel pronunciamento sarebbe un passo indietro intollerabile, perché riaccenderebbe il rischio di "una deprecabile conflittualità tra la condizione di credente e quella di cittadino", degna dei tempi del "non expedit" di Pio IX e superata definitivamente solo con gli accordi concordatari. Per questo con "dolore, ma con fermezza" il professor Alberigo e gli altri firmatari "supplicano" i Pastori a "prenderne coscienza". Ad evitare tanta sciagura "che porterebbe la nostra Chiesa e il nostro Paese - affermano - fuori dalla storia". Non escludono che quel disegno di legge in discussione alle Camere potrebbe non essere "ottimale", ma invitano le gerarchie a tenere ben distinti i piani: una cosa "è ciò che per i credenti é obbligo, non solo di coscienza ma anche canonico", altro è quanto "deve essere regolato dallo stato laico per tutti i cittadini". È su questa distinzione che si fonda la laicità dello Stato e l'autonomia della stessa Chiesa. I firmatari, dando voce ad una preoccupazione diffusa nel mondo cattolico, rivolgono un doppio invito. Alla Conferenza Episcopale chiedono di "equilibrare le sue prese di posizione". Ai parlamentari cattolici di "restare fedeli al loro obbligo costituzionale di legislatori per tutti". Quindi a resistere alle eventuali pressioni della gerarchia. Ma vi sono domande implicite nell'appello. Domande politiche. La Cei vuole arrivare alla caduta del governo del cattolico Romano Prodi? Hanno chiari gli effetti di questa strategia? Una Chiesa "agente politico" non perderebbe di autorevolezza? E i cattolici impegnati in politica non sarebbero alla fine resi insignificanti? Con un possibile effetto: tutto si giocherebbe in un rapporto diretto tra Stato e Oltretevere. Sarebbe volgere le spalle al Concilio. È una preoccupazione che scuote un mondo cattolico disorientato, visto che è stato esplicito l'apporto di cattolici militanti a partire dalla Bindi al disegno di legge sui "Di.co". L'eco è arrivato sino all'Avvenire. Una sua "firma" autorevole, il professore Giorgio Campanini, mette pubblicamente in guardia dalle possibili lacerazioni che uno scontro frontale sui "Di.co" determinerebbero nella società, nella Chiesa e nella stessa politica, che - lo dice esplicitamente - potrebbe portare sino ad una possibile caduta del governo Prodi. Si domanda: "Ma ne vale davvero la pena?". Intanto il pressing della Chiesa italiana continua. Ieri è toccato a monsignor Cesare Nosiglia, vescovo di Vicenza e fine giurista lanciare il suo attacco al disegno di legge Bindi-Pollastrini. Per soddisfare la richiesta di nuovi diritti, sarebbe bastato il codice civile. Nosiglia assicura "rispetto verso chi compie scelte diverse dal matrimonio religioso o civile", anche se afferma di non approvarle "perchè contrarie alla fede e cultura cristiana". Ma quello che va impedito, ribadisce, è "il tentativo di introdurre nell'ordinamento nuove figure giuridiche di unione eterosessuale e omosessuale non contemplate dalla Costituzione e in aperto contrasto

 

 


Da Il Giornale 15-2-2007  Corte dei Conti, sanità nel mirino Di Patricia Tagliaferri

Di Patricia Tagliaferri - giovedì 15 febbraio 2007, 07:00 Soldi pubblici sprecati. Spesso perché usati senza la necessaria parsimonia, molte volte perché utilizzati per fini illeciti. Il fenomeno c'è sempre stato e continuerà ad esistere ("forse non sarà mai possibile eliminarlo del tutto", sostengono i giudici contabili). Ma la "più decisa e ferma azione" della Corte dei Conti nel perseguire i casi pervenuti al suo esame "ha certamente avuto un ruolo decisivo nelle correzioni di rotta intervenute". Certo, le difficoltà ci sono, sia per l'accresciuta carenza di organico lamentata dal presidente della sezione giurisdizionale del Lazio della Corte dei Conti, Furio Pasqualucci, nella relazione con cui ieri ha inaugurato il nuovo anno giudiziario, sia per l'ancora scarso numero delle denunce di danno erariale da parte degli organi tenuti a rispettare tale obbligo, come sottolineato dal procuratore regionale Luigi Mario Ribaudo. "L'effetto monitorio - scrive il magistrato - risulta ancora più evidente allorché, in moltissime fattispecie di illeciti dannosi per l'erario costituenti anche reato, si è potuto stabilire un proficuo e tempestivo raccordo tra il pm contabile e quello penale, consentendo così un sollecito raccordo tra le due magistrature requirenti ed una valida collaborazione nell'utilizzazione del materiale per una sollecita definizione delle istruttorie". L'importo complessivo delle richieste di risarcimento avanzate con gli atti di citazione è superiore ai 590mila euro, riguardanti tra gli altri i danni all'immagine e quelli da disservizio. Un dato, questo, che "induce a confidare in un ulteriore miglioramento dei risultati dell'azione di recupero a favore dell'Erario", osserva il procuratore regionale. Analizzando i casi venuti a conoscenza della Procura, i magistrati contabili ci tengono a sottolineare come le tangenti continuino a girare indisturbate. Ribaudo parla della "forte incidenza che, in un quadro di gestione pubblica tutt'altro che soddisfacente, continuano ad avere i casi di corruzione di pubblici funzionari ed amministratori e gli abusi nella gestione del pubblico denaro, con particolare evidenza per gli illegittimi conferimenti di incarichi e consulenze che sono stati occasione di Pagina successiva >>.

 

- giovedì 15 febbraio 2007, 07:00 Soldi pubblici sprecati. Spesso perché usati senza la necessaria parsimonia, molte volte perché utilizzati per fini illeciti. Il fenomeno c'è sempre stato e continuerà ad esistere ("forse non sarà mai possibile eliminarlo del tutto", sostengono i giudici contabili). Ma la "più decisa e ferma azione" della Corte dei Conti nel perseguire i casi pervenuti al suo esame "ha certamente avuto un ruolo decisivo nelle correzioni di rotta intervenute". Certo, le difficoltà ci sono, sia per l'accresciuta carenza di organico lamentata dal presidente della sezione giurisdizionale del Lazio della Corte dei Conti, Furio Pasqualucci, nella relazione con cui ieri ha inaugurato il nuovo anno giudiziario, sia per l'ancora scarso numero delle denunce di danno erariale da parte degli organi tenuti a rispettare tale obbligo, come sottolineato dal procuratore regionale Luigi Mario Ribaudo. "L'effetto monitorio - scrive il magistrato - risulta ancora più evidente allorché, in moltissime fattispecie di illeciti dannosi per l'erario costituenti anche reato, si è potuto stabilire un proficuo e tempestivo raccordo tra il pm contabile e quello penale, consentendo così un sollecito raccordo tra le due magistrature requirenti ed una valida collaborazione nell'utilizzazione del materiale per una sollecita definizione delle istruttorie". L'importo complessivo delle richieste di risarcimento avanzate con gli atti di citazione è superiore ai 590mila euro, riguardanti tra gli altri i danni all'immagine e quelli da disservizio. Un dato, questo, che "induce a confidare in un ulteriore miglioramento dei risultati dell'azione di recupero a favore dell'Erario", osserva il procuratore regionale. Analizzando i casi venuti a conoscenza della Procura, i magistrati contabili ci tengono a sottolineare come le tangenti continuino a girare indisturbate. Ribaudo parla della "forte incidenza che, in un quadro di gestione pubblica tutt'altro che soddisfacente, continuano ad avere i casi di corruzione di pubblici funzionari ed amministratori e gli abusi nella gestione del pubblico denaro, con particolare evidenza per gli illegittimi conferimenti di incarichi e consulenze che sono stati occasione di Pagina successiva >>.


 

Da Italia Oggi 15-2-2007 Fondi statali, banca correa

 

ItaliaOggi     ItaliaOggi  - Giustizia e Società Numero 039, pag. 35 del 15/2/2007 Autore: di Antonio G. Paladino Visualizza la pagina in PDF       Così la Corte dei conti dell'Abruzzo su chi beneficia di finanziamenti irregolari. Fondi statali, banca correa Non vale limitarsi a effettuare controlli cartolari In materia di erogazione di fondi pubblici sussiste la responsabilità finanziaria di una società beneficiaria degli stessi che, a fronte di operazione inesistente, utilizzava la documentazione contabile allo scopo di ottenere indebitamente contributi pubblici, con la consapevolezza, la coscienza e la volontà di far apparire come reali dei rapporti giuridici inesistenti. In via sussidiaria sussiste altresì la responsabilità amministrativa di un istituto di credito concessionario in presenza della carenza di controllo da parte del medesimo, con riferimento all'omissione delle verifiche e degli approfondimenti in ordine al requisito dell'effettiva novità di fabbrica dei macchinari acquistati con finanziamento pubblico, senza accertare l'attendibilità delle bolle d'accompagnamento e lo stato degli stessi macchinari.è quello che ha sancito la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Abruzzo nel testo della sentenza n. 32/2007, con la quale ha affermato le responsabilità che sorgono in capo a un istituto di credito che si assume l'onere di erogare, in convenzione e dietro corrispettivo, finanziamenti pubblici, sottolineando che le attività demandate alla medesima banca concessionaria non possono essere circoscritte a semplici controlli cartolari.I fatti oggetto del giudizio nascono da una complessa vicenda che ha avuto come epilogo l'accreditamento nel 1999 di fondi afferenti al programma operativo regionale nei confronti di una società al fine di provvedere alla costruzione di un impianto di innevamento. Gli accertamenti eseguiti dalla guardia di finanza consentivano di accertare che, mentre il progetto prevedeva l'installazione di macchinari nuovi, in realtà alcuni di questi erano già stati precedentemente acquistati dalla società convenuta sin dal 1997 avendoli questa ricevuti da altra società e successivamente, previo finalizzato ristorno, simulando il riacquisto nel novembre 1999. Se in merito alla responsabilità amministrativa della società che ha utilizzato false fatturazioni per ottenere indebiti finanziamenti pubblici, il collegio ha ampiamente dimostrato il dolo posto in essere dai vertici della società e pertanto ne ha deciso la giusta condanna alla rifusione del danno patito dalla pubblica amministrazione, interessante è stata l'analisi della condotta posta in essere dall'istituto di credito che, per convenzione, doveva effettuare i necessari controlli atti a garantire la veridicità delle operazioni poste in essere. Per il collegio, dagli atti del giudizio, è emersa la palese carenza di controllo da parte della banca, soprattutto in relazione all'omissione delle verifiche e degli approfondimenti in ordine all'effettiva novità di fabbrica delle macchine, senza che fosse accertata l'attendibilità delle bolle d'accompagnamento e lo stato degli stessi macchinari.L'attività che in tali casi viene svolta dalla banca concessionaria, rimarca il collegio, è connotata da 'una chiara e complessiva strumentalità rispetto al programma pubblico di incentivazione' confermato tanto dalla qualità formalmente assunta quanto dalla natura delle molteplici funzioni individuate dalla convenzione allora stipulata. Le attività demandate alla Banca concessionaria, in sostanza, non possono essere circoscritte a semplici controlli cartolari in quanto era necessaria l'esecuzione dei controlli previsti dalla convenzione relativi alle attività d'istruttoria e di accertamento della regolare esecuzione degli interventi. (riproduzione riservata).

-          Giustizia e Società Numero 039, pag. 35 del 15/2/2007 Autore: di Antonio G. Paladino

Così la Corte dei conti dell'Abruzzo su chi beneficia di finanziamenti irregolari.

Non vale limitarsi a effettuare controlli cartolari In materia di erogazione di fondi pubblici sussiste la responsabilità finanziaria di una società beneficiaria degli stessi che, a fronte di operazione inesistente, utilizzava la documentazione contabile allo scopo di ottenere indebitamente contributi pubblici, con la consapevolezza, la coscienza e la volontà di far apparire come reali dei rapporti giuridici inesistenti. In via sussidiaria sussiste altresì la responsabilità amministrativa di un istituto di credito concessionario in presenza della carenza di controllo da parte del medesimo, con riferimento all'omissione delle verifiche e degli approfondimenti in ordine al requisito dell'effettiva novità di fabbrica dei macchinari acquistati con finanziamento pubblico, senza accertare l'attendibilità delle bolle d'accompagnamento e lo stato degli stessi macchinari. E’ quello che ha sancito la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Abruzzo nel testo della sentenza n. 32/2007, con la quale ha affermato le responsabilità che sorgono in capo a un istituto di credito che si assume l'onere di erogare, in convenzione e dietro corrispettivo, finanziamenti pubblici, sottolineando che le attività demandate alla medesima banca concessionaria non possono essere circoscritte a semplici controlli cartolari.I fatti oggetto del giudizio nascono da una complessa vicenda che ha avuto come epilogo l'accreditamento nel 1999 di fondi afferenti al programma operativo regionale nei confronti di una società al fine di provvedere alla costruzione di un impianto di innevamento. Gli accertamenti eseguiti dalla guardia di finanza consentivano di accertare che, mentre il progetto prevedeva l'installazione di macchinari nuovi, in realtà alcuni di questi erano già stati precedentemente acquistati dalla società convenuta sin dal 1997 avendoli questa ricevuti da altra società e successivamente, previo finalizzato ristorno, simulando il riacquisto nel novembre 1999. Se in merito alla responsabilità amministrativa della società che ha utilizzato false fatturazioni per ottenere indebiti finanziamenti pubblici, il collegio ha ampiamente dimostrato il dolo posto in essere dai vertici della società e pertanto ne ha deciso la giusta condanna alla rifusione del danno patito dalla pubblica amministrazione, interessante è stata l'analisi della condotta posta in essere dall'istituto di credito che, per convenzione, doveva effettuare i necessari controlli atti a garantire la veridicità delle operazioni poste in essere. Per il collegio, dagli atti del giudizio, è emersa la palese carenza di controllo da parte della banca, soprattutto in relazione all'omissione delle verifiche e degli approfondimenti in ordine all'effettiva novità di fabbrica delle macchine, senza che fosse accertata l'attendibilità delle bolle d'accompagnamento e lo stato degli stessi macchinari. L'attività che in tali casi viene svolta dalla banca concessionaria, rimarca il collegio, è connotata da 'una chiara e complessiva strumentalità rispetto al programma pubblico di incentivazione confermato tanto dalla qualità formalmente assunta quanto dalla natura delle molteplici funzioni individuate dalla convenzione allora stipulata. Le attività demandate alla Banca concessionaria, in sostanza, non possono essere circoscritte a semplici controlli cartolari in quanto era necessaria l'esecuzione dei controlli previsti dalla convenzione relativi alle attività d'istruttoria e di accerta


 

Da La Stampa 15-2-2007  La Corte dei Conti: 150 milioni dai protagonisti di Calciopoli

 

Danno erariale ipotizzato a carico di 15 persone: da Carraro a Pairetto La Corte dei Conti: 150 milioni dai protagonisti di Calciopoli Alcuni tra i protagonisti di Calciopoli, oltre che davanti ai pm delle procure della Repubblica di mezza Italia, sono comparsi anche davanti al vice procuratore della Corte dei Conti del Lazio, Ugo Montella, che nei mesi scorsi aveva aperto un'istruttoria su Calciopoli, ipotizzando a carico di 15 persone di aver provocato un danno erariale, danno di immagine, ma anche patrimoniale quantificato in circa 100 milioni di euro. Cifra alla quale si devono aggiungere 20 milioni di euro per "il disservizio". Tale è perchè lo scandalo - ha scritto il procuratore Montella nell'invito a dedurre inviato tra gli altri all'ex numero uno della Fgic, Franco Carraro - ha "minato alla base la credibilità e la possibilità che il calcio possa essere di esempio per i giovani". Davanti al pm della magistratura contabile sono comparsi, tra gli altri, oltre a Carraro, il suo ex vice Innocenzo Mazzini, gli ex designatori arbitrali, Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto, l'ex presidente degli arbitri Tullio Lanese, nonchè due giornalisti della Rai, i cui nomi sono saltati fuori dalle intercettazioni telefoniche. Secondo la Corte dei Conti il danno alla collettività si sostanzia in quanto la Federazione gioco calcio è un ente "chiamato ad esercitare, servizi di carattere pubblico".

Danno erariale ipotizzato a carico di 15 persone: da Carraro a Pairetto La Corte dei Conti: 150 milioni dai protagonisti di Calciopoli Alcuni tra i protagonisti di Calciopoli, oltre che davanti ai pm delle procure della Repubblica di mezza Italia, sono comparsi anche davanti al vice procuratore della Corte dei Conti del Lazio, Ugo Montella, che nei mesi scorsi aveva aperto un'istruttoria su Calciopoli, ipotizzando a carico di 15 persone di aver provocato un danno erariale, danno di immagine, ma anche patrimoniale quantificato in circa 100 milioni di euro. Cifra alla quale si devono aggiungere 20 milioni di euro per "il disservizio". Tale è perchè lo scandalo - ha scritto il procuratore Montella nell'invito a dedurre inviato tra gli altri all'ex numero uno della Fgic, Franco Carraro - ha "minato alla base la credibilità e la possibilità che il calcio possa essere di esempio per i giovani". Davanti al pm della magistratura contabile sono comparsi, tra gli altri, oltre a Carraro, il suo ex vice Innocenzo Mazzini, gli ex designatori arbitrali, Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto, l'ex presidente degli arbitri Tullio Lanese, nonchè due giornalisti della Rai, i cui nomi sono saltati fuori dalle intercettazioni telefoniche. Secondo la Corte dei Conti il danno alla collettività si sostanzia in quanto la Federazione gioco calcio è un ente "chiamato ad esercitare, servizi di carattere pubblico".

 


 Da Il Sole 24 Ore 14-2-2007  Immobiliare: prezzi freddi per le case, riparte il corporate

 

prezzi delle case in Italia sono risultati stabili nel corso del 2006 ma in compenso è continuata la fase espansiva delle compravendite, trend che si confermerà anche per l'anno in corso. È il quadro, e insieme la previsione, tracciato dagli esperti dell'Ufficio studi di Gabetti Property Solutions. Nel 2006, tra vendite e acquisti, hanno cambiato proprietario 1,9 milioni di abitazioni, con una crescita del 4,8% rispetto all'anno precedente, e in linea con la variazione media annua di oltre il 5% messa a segno dal 2000 ad oggi.
Per l'anno in corso si prevede un'ulteriore espansione delle transazioni del 3,9%, anche se il residenziale, principale segmento del settore, potrebbe rallentare la propria crescita al 2,2%. Durante l'anno appena concluso, invece, il residenziale ha dimostrato il proprio buon andamento in provincia (+5,5%) e soprattutto negli hinterland metropolitani (+6,7%), «dove è stato significativo - ha spiegato il direttore dell'ufficio studi di Gabetti Property Solutions, Dario De Simone - l'apporto degli stranieri regolarmente residenti». Notevole l'incremento dei prezzi (+8,1%) nelle zone limitrofe alle grandi metropoli visto il forte aumento della domanda, con picchi addirittura del 20 per cento.
Nelle grandi città, invece, i prezzi hanno avuto una performance in linea con la media nazionale (con l'eccezione di Torino e Genova), mentre le transazioni hanno registrato un incremento pari solo allo 0,7% rispetto al 2005: il dato, ha precisato Filippo Cartareggia, amministratore delegato di Gabetti Property Solutions Agency, «risente dell'attesa per i grandi progetti immobiliari delle principali città italiane, come, ad esempio, quello relativo alla riqualificazione del vecchio polo fieristico milanese». A proposito di tempi, nel 2006 si sono allungati quelli per arrivare alla conclusione della trattativa per l'acquisto della casa (superiore a quattro mesi) in tutti i settori delle grandi città; in lieve riduzione la differenza tra il prezzo di richiesta iniziale e quello finale, pari all'11,6% per le grandi città e al 9,5% per quelle medie.
Non si sono registrate nello scorso anno significative variazioni nel mercato degli affitti. Sempre molto vivace il mercato della compravendita dei box (+5,8%), con prezzi in continua crescita, sino ad arrivare ad un massimo di 200 mila euro per un garage «di pregio» nel centro di Roma. Buone prospettive, infine, per le seconde case, sia al mare che nei piccoli comuni dell'interno.
Corporate, le locazioni riprendono quota. Il mercato corporate ha ritrovato slancio e vivacità già verso la fine del 2006. La forte liquidità disponibile sul mercato degli investitori, sempre più propensi a perseguire obiettivi di stabilità e di sicurezza dei rendimenti piuttosto che puntare alla loro massimizzazione, incontra un cronico ostacolo nella carenza di asset di qualità. Gli orizzonti operativi si sono comunque estesi ai segmenti in fase di forte espansione come l'alberghiero, la Gdo, la logistica. La domanda proveniente delle aziende private è sostenuta mentre vi è un calo di richieste da parte della Pubblica Amministrazione. In chiusura d'anno sono ripresi con intensità gli scambi che del resto, già nel primo semestre, avevano fatto registrare incrementi del +11,9% nel terziario uffici, del 3,9% nel retail ed addirittura del 22,7% nell' industriale. Milano e Roma, mercati di riferimento per operatori ed investitori nazionali ed esteri, chiudono il 2006 rendendosi protagoniste di uno slancio in avanti.
Dopo un triennio trascorso all'insegna di valori stabili se non calanti i canoni di locazione per gli uffici in prime location indicano per Milano e Roma valori in crescita rispettivamente tra il 6,9% ed il 5,0%, con redditività nell'ordine del 5,8% a Milano e del 5,3% a Roma. Al traino di tali andamenti crescono anche i valori nelle altre principali città, se pure in misura inferiore. Sullo scenario internazionale le nostre metropoli difendono bene la propria competitività con rendimenti medi comparabili a quelli di altre capitali europee, come Madrid e Berlino, anche se ancora a distanza dai mercati più performanti, come Londra e Barcellona.


Da prontoconsumatori.it 15-2-2007 Assicurazioni: indennizzo diretto incostituzionale ?

 

COMUNICATI DELLE ASSOCIAZIONI

 

Il Giudice di Pace di Montepulciano (SI) ha sollevato la questione di legittimità costituzionale sulla validità dell’indennizzo diretto previsto dagli articoli 141 e 149 del codice delle assicurazioni private, norme già in vigore dal 1° gennaio per i danni ai trasportati ed in vigore dal 1° febbraio 2007 per tutti i danni da cose e lesioni (in particolare per le microlesioni).

A renderlo noto è Confconsumatori Toscana che in una nota spiega: “Avevamo già segnalato la disinvoltura legislativa del Governo nell’anno 2005. Ed infatti per il Giudice a quo ha rilevato un palese eccesso di delega perchè la legge di delega non consentiva al Governo di introdurre una simile innovazione in materia assicurativa.

Inoltre il giudicante ha ravvisato la violazione dell’articolo 3 della Costituzione per violazione del principio di uguaglianza non ritenendo ragionevole assegnare ai soli danneggiati da microlesioni personali un sistema del tutto diverso da quello della responsabilità civile”.

Le perplessità di Confconsumatori, dunque, manifestate pubblicamente sin dal mese di novembre scorso, con la richiesta di una pausa di riflessione e di non far entrare in vigore l’indennizzo diretto per tutti i danni, appaiono fondate e valide.

“Del resto - prosegue l’associazione di tutela dei consumatori - i danneggiati si devono districare in una giungla giuridica creata dal 2005 ad oggi con il codice delle assicurazioni e la legge 102/2006 (che prevede l’applicabilità del rito lavoro per le cause da incidenti stradali), costretti a distinguere se il caso concreto rientra tra le ipotesi di indennizzo diretto o meno e quindi a rischio di perdere tempo perseguendo l’assicuratore sbagliato.

Oltre tutto il regolamento attuativo, entrato in vigore il 1° febbraio, prevede inopinatamente ed incostituzionalmente che l’assicuratore ‘diretto’ non rimborsi le spese legali del danneggiato laddove esegua un’offerta risarcitoria congrua“.

Conlude Confconsumatori: “Tutta questa confusione, anziché creare un sistema agile e snello, comporta la necessità oggettiva per i danneggiati di farsi assistere, soprattutto per i danni alla persona, da professionisti, enti od associazioni di consumatori in ogni fase della liquidazione, con costi a carico proprio. Quindi solo vantaggi per gli assicuratori. Ci auguriamo che Governo e Parlamento rivedano immediatamente tutta la materia partendo da un congelamento dell’indennizzo diretto.” Per maggiori informazioni:

www.confconsumatoritoscana.it

You must be a registered subscriber in order to view this Article.
To learn more about becoming a subscriber, please visit our
Subscription Services page.


 

Dal Corriere della Sera 14-2-2007 Ariel Toaff: «Fermo pubblicazione del libro» Lo storico chiede alla casa editrice di bloccare la diffusione del discusso «Pasqua di sangue»  «Mi scuso con quelli che sono stati offesi»

 

TEL AVIV - Ariel Toaff ha chiesto alla casa editrice «Il Mulino» di bloccare la pubblicazione del libro «Pasqua di sangue». In un comunicato diffuso dall'università Bar Ilan di Tel Aviv, lo storico si è scusato con «tutti coloro che sono stati offesi dagli articoli e dai fatti distorti attribuiti a me e al mio libro». Nel comunicato - riprodotto dall'edizione elettronica Ynet del quotidiano Yediot Ahronot - Toaff, docente di storia della Bar Ilan, ha spiegato di volere «rielaborare quei passaggi che hanno dato spunto ad alcune distorsioni». Una decisione presa dopo le numerose polemiche suscitate dalle tesi di Toaff sulle crocifissioni di infanti alla vigilia di Pesach e sull'uso di sangue cristiano quale ingrediente del pane azzimo consumato nella festa.
RINCRESCIMENTO
- Lo storico ha inoltre annunciato che devolverà i proventi della vendita del libro alla 'Anti Defamation Ligue', l'organizzazione ebraica di New York che combatte gli episodi di anti-semitismo, esprimendo «profondo rincrescimento per le interpretazioni errate attribuite a me o al mio libro che feriscono il popolo ebraico». «Ho assunto questi passi - ha scritto nel comunicato Toaff - per prevenire un ulteriore uso distorto del mio libro per la propaganda anti-semita».

14 febbraio 2007


Da Il Sole 24 Ore 13-2-2007 l terzo viaggio del presidente cinese Hu Jintao in Africa.

dove - dal 30 gennaio al 10 febbraio - ha visitato Camerun, Liberia, Sudan, Zambia, Namibia, Sud Africa, Mozambico e Seychelles, ha riproposto il tema della strategia di Pechino in quel Continente, dopo che già lo scorso novembre aveva segnato un ulteriore successo con la partecipazione a Pechino dei massimi rappresentanti di 47 paesi su 53 al Forum Cina Africa per la Cooperazione (FOCAC).
La Cooperazione Pragmatica


È una strategia che significa fare affari win-win, reciprocamente vantaggiosi, in cui Pechino applica i principi di “non ingerenza” e di “assenza di precondizioni” nella concessione di crediti, prestiti e aiuti, e nella realizzazione di progetti comuni. A differenza degli Occidentali, i cinesi non li vincolano ai parametri imperniati - secondo il FMI e la Banca Mondiale - sulla trasparenza negli affari, nei contratti, nei bilanci. E neppure al rispetto da parte africana dei diritti civili e umani o dei processi di democratizzazione. Anzi, quando questi siano violati sistematicamente (nei casi di Zimbabwe e Sudan), Pechino si oppone in sede ONU a condanne e a sanzioni nei loro confronti. A Pechino, pragmaticamente, interessa la partecipazione allo sfruttamento delle materie prime africane, segnatamente il petrolio. Seguito dai minerali indispensabili al suo impressionante sviluppo economico (rame, ferro, platino, cobalto, uranio, diamanti) e dal legname.
Ora, su diritti umani e civili, democrazia, correttezza degli affari, la Cina – monopartitica, autoritaria, segnata da pratiche non trasparenti negli affari - si trova in sintonia con i partner africani. E questo sicuramente la avvantaggia nella competizione con gli Occidentali per il controllo delle materie prime e dei mercati del Continente Nero.La Cina, ormai terzo partner dell’Africa, si avvicina sempre più agli europei in declino e agli americani in ascesa. Mentre sullo sfondo si stanno delineando i tentativi della Russia di entrare nel Great Game africano.

Alcune cifre

L’interscambio Cina-Africa è salito dai 10 miliardi di dollari del 2000 ai 39,7 del 2005. Con previsione di 100 miliardi nel 2010. Nel 2006 Pechino ha cancellato 1,38 miliardi di dollari di debiti a favore di 31 paesi. Ulteriori tagli e/o cancellazioni sono stati decisi a favore dei alcuni paesi visitati da Hu (Liberia, Camerun, Zambia e Mozambico). Il novembre scorso la Cina ha promesso di stanziare 5 miliardi di dollari per prestiti e crediti da offrire nel 2007 ai partner africani, da raddoppiare nel 2010. Un altro punto a favore della Cina sono gli interventi in settori che gli Occidentali hanno trascurato negli ultimi decenni. Nelle infrastrutture (ferrovie, strade, ponti, dighe); nell’edilizia pubblica (scuole, stadi, teatri, edifici governativi) e abitativa; nella formazione in Cina di molte migliaia di quadri tecnici, ingegneri, medici, delle banche, insegnanti; in vasti programmi di assistenza sanitaria, con costruzioni di ospedali e ambulatori (soprattutto pediatrici); nell’invio di personale sanitario, medicinali; in campagne contro la malaria. Dal 2000 al 2006 Pechino ha inviato in Africa 15 mila tra medici, paramedici, infermieri, biologi. Ha costruito 30 ospedali. Sono stati assistiti 120 milioni di pazienti. Ha formato 18 mila quadri specializzati e ha partecipato a 720 progetti (sanità e istruzione).

Il presente ha un cuore antico

Questo tipo di interventi risale ai secondi anni Cinquanta e ai due decenni successivi del secolo scorso, quando la Cina di Mao aspirava alla leadership dei processi di liberazione anticoloniale e antimperialista. Anche allora inviava medici, ingegneri e tecnici. Costruiva grandi ferrovie, come la Lusaka (Zambia) - Dar es Salama (Tanzania). E inviava armi a movimenti e paesi del “fronte anti-imperialista”. Pechino riscuote i dividendi di questa cooperazione politico-ideologica, anche ora che è passata alla cooperazione pragmatica, con al centro l’economia. Tuttavia, come ha sottolineato Hu nel suo discorso all’Università di Pretoria, la Cina anche ora tiene a differenziarsi dai concorrenti occidentali, presentandosi come “il più grande paese in via di sviluppo che coopera con l’Africa, il continente con il più alto numero di paesi in via di sviluppo”. E come il paese “che non ha mai imposto la sua volontà e pratiche inique ad altri paesi e non lo farà mai”. Questo piace a quelle élite africane che cercano di sottrarsi all’influenza degli ex-colonizzatori bianchi, ma soprattutto alle “precondizioni” che gli Occidentali pretenderebbero di imporre loro.

È tutto oro quel che luccica?

Tuttavia, si fanno strada diffidenza, critiche, persino allarmi e proteste. Nello Zambia (grande produttore mondiale di rame), Hu ha dovuto cancellare alcune visite, in cui si temevano proteste o degli operai di una grande industria tessile controllata da una società cinese per cattive condizioni di lavoro, bassi salari, massicci licenziamenti; o dei minatori della grande miniera di rame di Chambisi, anch’essa controllata dai cinesi, dove due anni fa un’esplosione provocò 50 morti. Il Sud Africa – primo partner africano della Cina – ha dovuto limitare, su pressioni di imprenditori e sindacati, l’import di beni di consumo (soprattutto del tessile, della plastica), per lo più a basso prezzo e di povera qualità di cui la Cina inonda l’Africa, rischiando di mettere in ginocchio non solo le industrie africane degli stessi settori, ma anche lo stesso piccolo commercio africano al dettaglio, in cui si moltiplica la presenza di venditori cinesi. Infine, in alcune città (come Luanda) e nelle zone economiche la cui formazione (tre o cinque) è stata annunciata da Hu nasceranno vere e proprie china-town. Separate. I cinesi non amerebbero – sembra - mescolarsi con i locali.

Il neocolonialismo cinese

I critici parlano di “neocolonialismo” cinese. L’Africa esporta materie prime e importa beni cinesi per lo più di bassa qualità. Inoltre si riversa in Africa un’immigrazione consistente di forza di lavoro qualificata (ufficialmente si contano circa 100mila cinesi), ma anche di piccoli operatori. Senza trasferimento di know how ai locali. Né con grandi vantaggi occupazionali. Tuttavia, la Cina gode ancora di un larghissimo credito. È vista da molti come generoso donatore, che fronteggia anch’essa non pochi problemi di sottosviluppo e povertà. Se non come modello di sviluppo. Hu nel suo viaggio ha annunciato programmi di cooperazione tesi a rafforzare l’agricoltura, l’industria leggera (specie alimentare e farmaceutica), le telecomunicazioni, il turismo (specie in Mozambico, dove provvederà anche a migliorare il governo delle acque).

Il petrolio africano

L’obiettivo primario della Cina è il petrolio africano. Il 25% del suo fabbisogno è fornito oltre che dai paesi del Golfo di Guinea (Guinea equatoriale, Congo Brazzaville, Nigeria, Gabon), dall’Angola e dal Sudan. L’Angola si è sostituito all’Arabia Saudita come primo fornitore di greggio della Cina, cui vende il 25% della sua produzione (1,4 milioni di barili al giorno nel 2006, destinati a diventare quest’anno 2,2). Qui la cinese Sinopec opera assieme all’angolana Sonangol. All’Angola Pechino ha destinato negli ultimi due anni crediti, sostenuti dal greggio, per oltre 3 miliardi di dollari. Ricostruisce la grande linea ferroviaria costiera che arriva fino al Congo. E costruisce aeroporti, ospedali, dighe, strade. In Nigeria si è consolidata la cooperazione tra le cinesi Petrochina e CNOOC (specializzata nell’offshore) e la nigeriana NNPC. Nel 2006 la Cina ha investito 2,3 miliardi di dollari in una joint venture sino-nigeriana per lo sfruttamento di un grande giacimento offshore, e 4 miliardi per licenze di perforazione e sfruttamento di altri quattro “blocchi” offshore. E ,come anche in Angola, è divenuta compete attivamente con le major occidentali.

Il ruolo centrale del Sudan

È stata la mèta più importante sotto il profilo energetico e quello politico, del viaggio di Hu. Il Sudan, di cui la Cina è l’unico grande partner commerciale, produce 300 mila barili al giorno, con l’obiettivo di passare quanto prima a 700 mila. L’80% del suo greggio va in Cina, presente in quel paese con CNPC e SINOPEC. Inoltre, costruisce un oleodotto di 1700 km che dovrebbe raggiungere Port Sudan, sul Mar Rosso, dove la China Petroleum Engineering sta costruendo un grande terminal. Parte del Sudan, specie la capitale Khartoum, vive un vero boom da iniezioni massicce di petrodollari. Finora Pechino non aveva dato alcun peso alle accuse rivolte al regime islamico di Omar al Bashir, considerato dagli osservatori internazionali il maggior responsabile del conflitto nella regione meridionale del Darfur. Qui, dal 2003, infuria una guerra civile che ha causato 200 mila morti e 2,5 milioni di profughi. I cinesi si sono finora opposti all’invio di un più consistente contingente di peacekeeper dell'ONU e dell’Unione Africana (UA) in Sudan e a sanzioni nei suoi confronti. Non solo: Pechino avrebbe fornito a Khartoum rilevanti quantitativi di armi, se non cooperato alla costruzione di una fabbrica di armi.

La “non ingerenza” e l’ “incondizionata” prosecuzione degli affari in Sudan sono stati di fatto un segno di complicità. Ed ecco che Hu, in questo suo viaggio, raccolti gli appelli dell’UA, dell’ONU e della comunità internazionale, ha sollecitato il riluttante al Bashir a risolvere con mezzi politici la crisi del Darfur. Si tratta di una resipiscenza di Hu sui diritti umani ? Di un abbandono del principio del “pragmatismo” ? Non diremmo. Pechino deve tener conto da una parte della crescente ostilità verso Khartoum dei suoi partner dell’Africa Nera: nel Darfur la popolazione nera, cristiana e animista è la vittima dell’esercito sudanese e delle milizie islamiche. Dall’altra, del fatto che il conflitto tocca importanti aree del petrolio che interessano direttamente Pechino. Per esplorarle e sfruttarle al meglio, la stabilità e la pace sono condizioni indubbiamente migliori della guerra. Da qui è venuta la svolta di Hu. Il quale ha capito che non sempre cinismo fa rima con pragmatismo.


 

Da La Stampa 14-2-2007 Cade un mito: Antonio e Cleopatra erano brutti

La scoperta grazie ad una moneta che li raffigura

ROMA
Antonio e Cleopatra, una delle coppie di amanti più famosa della storia, erano veramente brutti, a quanto hanno scoperto alcuni studiosi dopo un attento esame di una moneta d’argento che li raffigura.
Lo studio ha scoperto che la regina, alla quale prestò le sembiante in un celebre film Elizabeth Taylor, aveva il mento a punta, labbra sottili ed un naso grosso. Marco Antonio, interpretato nella stessa pellicola da Richard Burton, aveva occhi bovini, collo taurino e il naso a becco.
La moneta d’argento, si legge sul sito della Bbc, é stata accuratamente studiata da una equipe di esperti dell’università di Newcastle in Inghilterra. Il denario i8n argento e risalente al 32 AC, si trova in una collezione della Società antiquaria di Newcastle.
Clare Pickersgill, vice direttore del museo archeologico, ha detto che «l’immagine popolare che abbiamo di Cleopatra é quella di una donna bella e affascinante che fece girare la testa a politici e generali romani», compreso Giulio Cesare. «Tuttavia le ricerche recenti si discostano molto da tutto ciò». IL direttore didattico dei mi musei archeologici Lindsay Allason-Jones ha commentato:« le immagini sulla moneta sono ben lontane da quelle della Taylor e di Burton. Gli storici romani ci presentano una Cleopatra intelligente e carismatica con una voce seducente, ma nessuno menziona la sua bellezza».
Il denaro d’argento sarebbe stato battuto dalla zecca personale di Marco Antonio. Su un verso vi é il suo profilo con la scritta «Antoni Armenia devicta». Sul retro vi é il ritratto di Cleopatra con la scritta «per Cleopatra regina di re e di figli di re». La moneta é esposta al museo Shefton dell’università di Newcastle a partire da oggi, San Valentino.

 

 

 

 

 


INDICE  14-2-2007

++ Da La Repubblica 14.2.2007 ESTERI Voli segreti Cia in Europa "illegali" E Strasburgo bacchetta i governi."Ora gli stati promuovano inchieste giudiziarie, solo così si potranno avere le prove" 1

++ Da AgenParl. 14-2-2007 Confine orientale: una commissione bilaterale di esperti di storia  2

+ Il Riformista 14-2-2007 Evangelici contro i fondi ai cattolici <Le religioni devono autofinanziarsi>  2

+ Da La Stampa 14-2-2007 Il Presidente Napolitano a Strasburgo "Un negoziato sulla Costituzione europea sarebbe un vaso di pandora" 3  14/2/2007 (12:32) 3

+ Da La Repubblica 14-2-2007 Base Vicenza, l'allarme di Amato: "Rischio ostilità contro le forze dell'ordine" Il Prefetto: "Scuole chiuse, a rischio l'incolumità degli studenti" 3

+ Dal Corriere della sera 14-2-2007 Attentato in Iran, c'è lo zampino degli Usa? Guido Olimpio  4

Dal Corriere della Sera 14-2-2007 Capi br arrestati all'alba dopo summit segreto Paolo Biondani 4

Da La Repubblica 14-2-2007 Allarme degli inquirenti: un patto fra i terroristi e la criminalità organizzata di PIERO COLAPRICO  5

Dal Corriere della Sera 14-2-2007 «Le Br non fermeranno le riforme» Danilo Taino  6

Da La Stampa 14-2-2007 Italiani, che volete da noi?GIUSEPPE ZACCARIA  7

Dal Corriere della Sera 14-2-2007 Ricariche, il governo non fa marcia indietro Dal 5 marzo gli operatori azzereranno i costi 8

Da Il Sole 24 Ore 14-2-2007  Effetto serra, c'è anche chi ci guadagna Di Alessandro Merli 8

 

 


++ Da La Repubblica 14.2.2007 ESTERI Voli segreti Cia in Europa "illegali" E Strasburgo bacchetta i governi."Ora gli stati promuovano inchieste giudiziarie, solo così si potranno avere le prove"

Approvata a grande maggioranza dall'europarlamento la relazione presentata da Claudio Fava
Rilevata scarsa cooperazione alle indagini da Italia, Gran Bretagna ed altri paesi

 

STRASBURGO - Il Parlamento europeo riunito a
Strasburgo in sessione plenaria ha approvato definitivamente la relazione della commissione d'inchiesta sui voli Cia in Europa presentata dall'eurodeputato dei Ds Claudio Fava. Dal documento emerge una condanna "dei trasferimenti straordinari in quanto strumenti illegali utilizzati dagli Stati Uniti nella lotta al terrorismo". Il testo accusa poi numerosi governi di essere coinvolti nelle "extraordinary renditions" e sottolinea la scarsa cooperazione di Italia, Gran Bretagna e altri paesi alle indagini degli europarlamentari.

Un richiamo preciso è giunto anche dal portavoce del vicepresidente della Commissione europea con delega alla Giustizia Franco Frattini, Friso Roscam Abbing, che ha ribadito che per l'esecutivo comunitario "è auspicabile che a livello di Stati membri si continuino o si inizino le inchieste giudiziarie, in quanto solo a questo livello esiste la competenza per arrivare a delle prove". Il portavoce di Frattini ha comunque espresso "apprezzamento per il lavoro della commissione d'inchiesta parlamentare nell'accertare i fatti".

Contrariamente alle aspettative, a favore del testo ha votato una larga maggioranza di 382 parlamentari, mentre i contrari sono stati 256 e 74 gli astenuti. La relazione, che raccoglie tutte le prove delle operazioni illegali condotte dagli agenti americani in Europa nell'ambito della lotta al terrorismo, ha dovuto superare un fuoco di sbarramento di più di 250 emendamenti.

(14 febbraio 2007)


++ Da AgenParl. 14-2-2007 Confine orientale: una commissione bilaterale di esperti di storia

 

Roma, 14 Febbraio 2007 – AgenParl – Mettere di nuovo degli “esperti di storia” insieme per ricostruire una memoria condivisa tra le popolazioni che si incontrano nell’Alto Adriatico, è la contromossa del presidente croato Mesic, che trova il favore del presidente della regione Friuli - Venezia Giulia, Illy.
E’ bene che l’uso pubblico della storia torni sul terreno del discorso scientifico, piuttosto che proseguire fra polemiche astiose e strumentali.
Tuttavia, si dovrebbe ricordare che uno studio condotto da una commissione mista italo-slovena già esiste. E’ stato ratificato dal Governo sloveno, ma non da quello italiano. Lo studio è stato “accolto” nel 2000 e, da allora, aspetta ancora un’approvazione formale.
Intanto non possiamo non rimpiangere i contributi del grande storico triestino Elio Apih alla ricostruzione delle vicende terribili che seguirono la Grande Guerra e, chiederci cosa avrebbe potuto scrivere e dire, oggi. (F.Mi.)

 


+ Il Riformista 14-2-2007 Evangelici contro i fondi ai cattolici <Le religioni devono autofinanziarsi>

 ( Riformista, Il del 14/02/2007 )

 
SPAGNA. DOPO LA RIFORMA DI ZAPATERO DI SONIA ORANGES Evangelici contro i fondi ai cattolici "Le religioni devono autofinanziarsi" Eppure l'esecutivo di Madrid ha abolito la contribuzione diretta da parte dello stato Mentre la chiesa cattolica spagnola affila nuovamente le lame da lanciare contro il governo socialista per vendicare l'affronto del declassamento della religione tra le materie scolastiche e, soprattutto, per impedire il dilagare delle idee relativiste che sarebbero contenute nel neonato corso di educazione civica, il premier Zapatero si ritrova contro, a sorpresa, anche la comunità evangelica. In un recente rapporto, intitolato Libertà ed uguaglianza religiosa e di coscienza in Spagna nel 2006, gli esperti dell'Osservatorio civico indipendente (Oci), di concerto con l'Alleanza evangelica spagnola (Aee), hanno sconsigliato di applicare la riforma del sistema di finanziamento della chiesa cattolica al resto delle confessioni religiose, anche se i suoi fini fossero distinti dal culto". Lo studio, in realtà, critica l'impostazione che ha storicamente contraddistinto i rapporti tra stato spagnolo e Santa sede, a partire dagli accordi del '79, sottolineando "il grave problema di uguaglianza religiosa". Lo scorso autunno, il governo Zapatero, infatti, ha concordato con la chiesa cattolica una modifica del sistema di finanziamento, abolendo il finanziamento diretto da parte dello stato (che fino a quel momento era giustificato soprattutto dalla necessità di finanziare l'insegnamento della religione nelle scuole), ma garantendo una quota dei versamenti volontari da parte dei cittadini, un sistema assai simile a quello dell'otto per mille italiano che, in salsa spagnola, ammontava allo 0,52% dell'Irpef, ora apprezzato allo 0,7%. Una mediazione che aveva soddisfatto la chiesa cattolica, mettendo una pezza alla guerra senza quartiere sferrata dal clero iberico sin dall'indomani dell'elezione del premier socialista, con il suo coté di riforme sociali e di stampo chiaramente laico. Contestualmente, il governo ha abolito l'esenzione della chiesa dall'applicazione dell'Iva sulle operazioni mobiliari e immobiliari, come richiesto dall'Unione europea. Un'operazione che, nei progetti di Madrid, andrebbe nella direzione dell'autofinanziamento della chiesa previsto (e finora disatteso) dai precedenti accordi tra Spagna e Santa sede. E non si tratta certo di spiccioli. Basti pensare che lo scorso anno la chiesa spagnola ha pesato sul bilancio spagnolo per 145 milioni di euro, contro i 141 dell'anno precedente: 30 milioni come contributo diretto da parte dello stato, e la restante parte come anticipo dei contributi versati dai fedeli attraverso la dichiarazione dei redditi. La riforma, peraltro, allarga il beneficio del contributo volontario allo 0,7% anche alle ong e ad altre organizzazioni (come Caritas, Croce Rossa e associazione per la lotta contro il cancro) che abbiano statutariamente riconosciuti fini sociali. E gli altri culti religiosi? Non se ne parla. Di qui la presa di posizione della comunità evangelica che, sorpassando il governo sul versante laico, propone ora di abolire del tutto, nella dichiarazione dei redditi, la casella del contributo volontario. "Le confessioni religiose devono finanziare da se le proprie spese", dice il segretario generale dell'Aee Jume Llenas, proponendo al massimo sgravi fiscali sulle donazioni: "Il finanziamento da parte dello stato deve avvenire in funzione dei progetti sociali proposti da ogni confessione religiosa, che possono risultare utili per lo stato". Difficile, però, immaginare che, appena concluso l'accordo e con la chiesa di nuovo sul piede di guerra, il governo Zapatero riapra un capitolo così spinoso che era in attesa di una sintesi dal 1988, anno in cui aveva trovato applicazione il trattato del '79, imboccando la strada dell'autofinanziamento. Parole che fino ad ora coincidevano con ben più pratica e fruttuose proroghe. Ora il primo passo è fatto e il finanziamento diretto cancellato. Con buona pace della pur doverosa uguaglianza invocata dagli evangelici.

SPAGNA. DOPO LA RIFORMA DI ZAPATERO DI SONIA ORANGES

Evangelici contro i fondi ai cattolici "Le religioni devono autofinanziarsi" Eppure l'esecutivo di Madrid ha abolito la contribuzione diretta da parte dello stato Mentre la chiesa cattolica spagnola affila nuovamente le lame da lanciare contro il governo socialista per vendicare l'affronto del declassamento della religione tra le materie scolastiche e, soprattutto, per impedire il dilagare delle idee relativiste che sarebbero contenute nel neonato corso di educazione civica, il premier Zapatero si ritrova contro, a sorpresa, anche la comunità evangelica. In un recente rapporto, intitolato Libertà ed uguaglianza religiosa e di coscienza in Spagna nel 2006, gli esperti dell'Osservatorio civico indipendente (Oci), di concerto con l'Alleanza evangelica spagnola (Aee), hanno sconsigliato di applicare la riforma del sistema di finanziamento della chiesa cattolica al resto delle confessioni religiose, anche se i suoi fini fossero distinti dal culto". Lo studio, in realtà, critica l'impostazione che ha storicamente contraddistinto i rapporti tra stato spagnolo e Santa sede, a partire dagli accordi del '79, sottolineando "il grave problema di uguaglianza religiosa". Lo scorso autunno, il governo Zapatero, infatti, ha concordato con la chiesa cattolica una modifica del sistema di finanziamento, abolendo il finanziamento diretto da parte dello stato (che fino a quel momento era giustificato soprattutto dalla necessità di finanziare l'insegnamento della religione nelle scuole), ma garantendo una quota dei versamenti volontari da parte dei cittadini, un sistema assai simile a quello dell'otto per mille italiano che, in salsa spagnola, ammontava allo 0,52% dell'Irpef, ora apprezzato allo 0,7%. Una mediazione che aveva soddisfatto la chiesa cattolica, mettendo una pezza alla guerra senza quartiere sferrata dal clero iberico sin dall'indomani dell'elezione del premier socialista, con il suo coté di riforme sociali e di stampo chiaramente laico. Contestualmente, il governo ha abolito l'esenzione della chiesa dall'applicazione dell'Iva sulle operazioni mobiliari e immobiliari, come richiesto dall'Unione europea. Un'operazione che, nei progetti di Madrid, andrebbe nella direzione dell'autofinanziamento della chiesa previsto (e finora disatteso) dai precedenti accordi tra Spagna e Santa sede. E non si tratta certo di spiccioli. Basti pensare che lo scorso anno la chiesa spagnola ha pesato sul bilancio spagnolo per 145 milioni di euro, contro i 141 dell'anno precedente: 30 milioni come contributo diretto da parte dello stato, e la restante parte come anticipo dei contributi versati dai fedeli attraverso la dichiarazione dei redditi. La riforma, peraltro, allarga il beneficio del contributo volontario allo 0,7% anche alle ong e ad altre organizzazioni (come Caritas, Croce Rossa e associazione per la lotta contro il cancro) che abbiano statutariamente riconosciuti fini sociali. E gli altri culti religiosi? Non se ne parla. Di qui la presa di posizione della comunità evangelica che, sorpassando il governo sul versante laico, propone ora di abolire del tutto, nella dichiarazione dei redditi, la casella del contributo volontario. "Le confessioni religiose devono finanziare da se le proprie spese", dice il segretario generale dell'Aee Jume Llenas, proponendo al massimo sgravi fiscali sulle donazioni: "Il finanziamento da parte dello stato deve avvenire in funzione dei progetti sociali proposti da ogni confessione religiosa, che possono risultare utili per lo stato". Difficile, però, immaginare che, appena concluso l'accordo e con la chiesa di nuovo sul piede di guerra, il governo Zapatero riapra un capitolo così spinoso che era in attesa di una sintesi dal 1988, anno in cui aveva trovato applicazione il trattato del '79, imboccando la strada dell'autofinanziamento. Parole che fino ad ora coincidevano con ben più pratica e fruttuose proroghe. Ora il primo passo è fatto e il finanziamento diretto cancellato. Con buona pace della pur doverosa uguaglianza invocata dagli evangelici.


+ Da La Stampa 14-2-2007 Il Presidente Napolitano a Strasburgo "Un negoziato sulla Costituzione europea sarebbe un vaso di pandora"

BRUXELLES
«Aprire un nuovo negoziato può significare aprire un vaso di Pandora, correre il rischio di ripartire da zero, avviare un confronto dai risultati e dai tempi imprevedibili». È quanto ha dichiarato il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, intervenendo al Parlamento europeo a Strasburgo, in merito al Trattato costituzionale che per il presidente «ha costituito un felice punto di incontro», ricordando come «in un buon compromesso si tengano insieme sia l’accoglimento di certi punti di vista sia la rinuncia ad altri».
«Non lo si dimentichi - ha esortato Napolitano - nel momento in cui si parla di rimettere le mani sul testo del 2004: nessuno può pensare di spostare a vantaggio delle proprie tesi l’equilibrio del compromesso raggiunto».

La bocciatura del Trattato costituzionale da parte di due dei sei Paesi fondatori della Comunità europea, ossia Francia e Olanda, e la successiva impasse in cui si è arenata la riforma istituzionale è conseguenza «di uno scarso sforzo per associare i cittadini alle grandi scelte dell’integrazione e unificazione europea, per diffondere nelle opinioni pubbliche di tutti Paesi la consapevolezza degli straordinari risultati e progressi conseguiti in cinquant’anni e delle nuove, sempre più pressanti esigenze, di rafforzamento dell’Unione europea, della sua coesione e della sua capacità di azione».

"L'AMICA FRANCIA NON CI FARA' MANCARE IL SUO DECISIVO AIUTO"
Da Parigi «oggi attendiamo con fiducia un responsabile apporto al superamento della crisi che si è aperta con la macata ratifica del Trattato del 2004», aggiunge Napolitano. «L’amica Francia ha un senso così alto del suo ruolo nell’Europa e nel mondo che non ci farà mancare questo suo ormai decisivo apporto».

14/2/2007 (12:32)


+ Da La Repubblica 14-2-2007 Base Vicenza, l'allarme di Amato: "Rischio ostilità contro le forze dell'ordine" Il Prefetto: "Scuole chiuse, a rischio l'incolumità degli studenti"

 Camera, il ministro dell'Interno parla della manifestazione di sabato
"Chi siede in Parlamento deve esprimere solidarietà alle divise"

 

ROMA - Lo dice mentre parla in Aula dei recenti arresti che hanno sgominato il nucleo delle nuove Br. E, nel chiudere il suo intervento alla Camera il ministro dell'Interno Giuliano Amato, fa anche un riferimento alla manifestazione di sabato prossimo a Vicenza contro la costruzione della base americana. E ai rischi che possa diventare l'occasione di "saldare spezzoni di ostilità nei confronti delle forze dell'ordine". Per questo Amato lancia il suo invito: "Tutti coloro che siedono in Parlamento esprimano un sentimento opposto a quanti, invece, vorrebbero cogliere l'occasione di quella manifestazione per saldare spezzoni di ostilità verso la polizia''.

E' chiaro il riferimento alla manifestazione fatto da Amato. E che l'attenzione delle forze politiche si stia concentrando sull'appuntamento di sabato lo si capisce anche dalle parole di Anna Finocchiaro, capogruppo diessino al Senato: "Stiamo attenti a non trasformare la manifestazione di Vicenza in un luogo potenziale di cultura eversiva". Sappiamo, prosegue la Finocchiaro, che "in questo paese esiste un importante e democratico movimento pacifista ma ci sono anche delle frange che si sono infiltrate in questo movimento e possono costituire un pericolo, perchè riconoscono l'uso della violenza come un agire politico". Ma il deputato del pdci severino galante rifiuta il parallelismo tra il terrorismo e la manifestazione: "E' pericoloso evocare lo spettro di possibili incidenti".

Sul fronte dell'ordine pubblico, nel frattempo, il prefetto di Vicenza, Piero Mattei, ha annunciato che le scuole di Vicenza rimarranno chiuse sabato mattina. Potrebbero crearsi, secondo la prefettura, ''momenti di altissima tensione'', per cui e' da tutelare ''la sicurezza e l'incolumita' dei giovani studenti''.
(14 febbraio 2007)

 


+ Dal Corriere della sera 14-2-2007 Attentato in Iran, c'è lo zampino degli Usa? Guido Olimpio

 

Per ora le autorità locali accusano «i banditi legati al narcotraffico»

 

Nel Baluchistan però sono attive formazioni indipendentiste che combattono contro i pasdaran degli ayatollah

 

L’attentato al bus dei pasdaran è un nuovo episodio nella guerra segreta degli Usa contro l’Iran? Per ora le autorità locali accusano «i banditi legati al narcotraffico». Una tesi plausibile vista la situazione nella regione del Baluchistan, dove si muovono organizzazioni criminose ben radicate. Ma al tempo stesso l’attacco può essere visto sotto una luce diversa. Nella regione sono attive formazioni indipendentiste che combattono un conflitto privato contro gli ayatollah. Questi gruppi sono però considerati preziosi alleati in eventuale piano di destabilizzazione.

È da quasi un anno che si sono diffuse notizie sulle azioni clandestine in Iran, condotte da fazioni sostenute - timidamente - dagli Usa.
1) Al nord i separatisti curdi dell’Iran si stanno riorganizzando. Nemici storici degli ayatollah, sono aiutati dai curdi di Turchia (Pkk). In una fase di tensione potrebbero ricevere assistenza dalla Cia
2) Nella regione del Khuzestan sono attivi nuclei della minoranza araba. Hanno già compiuto attacchi sanguinosi. Teheran sostiene che siano ispirati dalla Gran Bretagna
3) Nel Baluchistan i ribelli, spesso mescolati ai trafficanti, danno filo da torcere ai pasdaran.

Per ora le incursioni di queste formazioni hanno avuto un profilo basso e obiettivi limitati. Molti osservatori però vedono una saldatura con la crisi irachena, vero teatro di confronto tra Stati Uniti e Iran. L’ordine di Bush di neutralizzare, a ogni costo, gli agenti iraniani potrebbe estendersi anche oltre confine. Una tensione testimoniata anche dal caso Moqtada Al Sadr. Secondo alcune fonti il leader sciita pro-iraniano si sarebbe rifugiato a Teheran: perché teme di essere colpito dagli americani (così come è accaduto con diversi suoi collaboratori) e in seguito a divisioni nate nel suo movimento, l’Esercito del Mahdi. La formazione ha smentito affermando che si trova a Najaf. Un confronto di parole che nasconde un braccio di ferro reale.

14 febbraio 2007

 

 


Dal Corriere della Sera 14-2-2007 Capi br arrestati all'alba dopo summit segreto Paolo Biondani

Durata due giorni in una villetta in provincia di Udine

Le intercettazioni dell'ultima «riunione strategica» sono ancora segrete. Per gli inquirenti ora la priorità è trovare tutte le armi

 

MILANO - I presunti capi dei neo-brigatisti sono stati arrestati poche ore dopo una segretissima «riunione strategica», durata ben due giorni. Il vertice si è tenuto sabato e domenica nella villetta di Raveo (Udine) dove da fine novembre era nascosto Alfredo Davanzo, il leader ideologico del «Partito comunista politico- militare (Pcp-m) costituito in banda armata». Con le solite «maniacali tecniche di contro- pedinamento», i tre capi dei «nuclei» di Milano, Torino e Padova - Claudio Latino, Vincenzo Sisi e Davide Bortolato - avevano raggiunto separatamente il rifugio di quel terrorista rosso, per anni latitante in Francia (che ne aveva rifiutato l'estradizione), appena rientrato clandestinamente in Italia con il documento falso di un arrestato della cellula veneta. Intercettato così il più lungo «incontro di organizzazione » mai tenuto da tutti e quattro i capi, la polizia li ha seguiti nel ritorno a casa e all'alba li ha arrestati. Le intercettazioni di quest'ultima «riunione strategica» sono ancora segrete.

 

Alcune delle armi sequestrate ai brigatisti (da Sky Tg24)

Per magistrati e polizia, che considerano i 15 arrestati «il nucleo essenziale» del gruppo, ma indagano su altri complici solo in parte identificati, la priorità assoluta ora è trovare tutte le armi. Finora sono stati sequestrati un mitra sotterrato nell'orto di Sisi - delegato Cgil che cercava proseliti tra i «giovani iscritti» (due già «schedati») e intanto progettava rapine ai portavalori del sindacato - e una pistola nello stabile del padovano Valentino Rossin, ritenuto il custode di un arsenale. All'appello ne mancano almeno due: dopo «l'esercitazione di tiro» del 19 novembre 2006 nella campagna di Rovigo, infatti, la Digos ha sequestrato quattro bossoli per ciascuna delle due armi usate da due milanesi (Latino e Ghirardi) e due padovani (Massimiliano Toschi e Rossin) guidati da Bortolato. Nella successiva «riunione strategica» con Sisi, i capi-cellula commentavano «entusiasti» che «gli strumenti suonano bene», anche se «il kalashnikov si è incastrato» e «scarrellava male», mentre la «mitraglietta Uzi» era ottima per «bilanciamento e sensibilità».

Dopo Davanzo, ieri anche Latino si è dichiarato «prigioniero politico», rifiutando di farsi interrogare, come il «tecnico» Gaeta. Gli arrestati sono stati intercettati mentre parlavano perfino di «un'autobomba» da far esplodere «nel parcheggio a San Donato Milanese della Hulliburton», la multinazionale americana «di Cheney e degli appalti in Iraq». La lista dei nemici è sterminata: dal «governo Prodi imperialista» ai «sionisti di Rifondazione». Tra i «veri progetti di attentato» gli inquirenti inseriscono un ordigno incendiario contro la sede di Libero e i lunghi sopralluoghi per «far fuori» o «gambizzare» il professor Pietro Ichino e un ex dirigente della Breda Fucine.

Gli arresti sono stati accelerati soprattutto dalle parole dell'armiere siciliano, Salvatore Scivoli, rapinatore-killer «politicizzato» in carcere. A fine gennaio Scivoli spiega di aver una relazione con la figlia di un personaggio legato «all'alta finanza bresciana e bergamasca». Subito Ghirardi, terrorista della vecchia guardia, propone «un sequestro di persona»: «Pigliamo uno, buttiamolo in un buco e chiediamo dei soldi». Sempre Scivoli dà per imminente «una rapina di autofinanziamento» a un «rappresentante di gioielli». E vanta «contatti col fratello di Mimmo Belfiore», il boss della 'ndrangheta condannato per l'omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia (1983). Con questo aggancio, che «è il riferimento a Torino di 'sti calabresi» e «sta facendo anche della droga», Scivoli spiega a Ghirardi di avere «una strada per la Croazia», dove «quando vogliamo, recuperiamo Uzi, kalashnikov, bazooka, esplosivo...». Tra i suoi compagni di carcere, Scivoli cita anche «i fratelli De Roma, Franco La Mestra e Graziano Mesina», l'ex capo dell'Anonima. La polizia sta verificando anche l'attendibilità di una telefonata anonima che, ieri alle 11.30, ha indirizzato al Corriere un «comunicato delle Brigate rosse»: «Nulla resterà impunito e la bandiera che è caduta l'abbiamo ripresa in mano. Colonna Walter Alasia».

14 febbraio 2007

 

 


 

Da La Repubblica 14-2-2007 Allarme degli inquirenti: un patto fra i terroristi e la criminalità organizzata di PIERO COLAPRICO


L'ipotesi di un viaggio in Croazia per approvvigionarsi di mitragliette

Cento kalashnikov nell'arsenale Br
e spuntano mi legami con la 'ndrangheta

Il curriculum di Latino: azioni di finanziamento con uso di armi da fuoco
Una rapina in banca utilizzando delle maschere. Bottino: 145mila euro
MILANO - Un arsenale di kalashnikov nascosti a Torino (sarebbero addirittura "un centinaio"). Un deposito di armi nel parco dei Fontanili di Rho. L'idea di un viaggio in Croazia, per approvvigionarsi di mitragliette. E soprattutto una frase: "Ci ho contatti con il fratello di Mimmo Belfiore".

È una frase che ha fatto impressione ai detective dell'antiterrorismo, perché lascia intendere la possibilità di legami piuttosto solidi tra i nuovi brigatisti e la malavita organizzata. Parla Salvatore Scivoli, rapinatore diventato irriducibile della lotta armata in carcere, ad ascoltare è Bruno Ghirardi, ex Colp, specialista in rapine e "autofinanziamento" negli anni Ottanta. Ed è ascoltando questi due cinquantenni, che hanno passato metà delle loro vita in carcere, che l'allarme cresce: i Belfiore appartengono a una potente famiglia di 'ndrangheta trapiantata dalla Calabria al Piemonte, e sono i responsabili dell'agguato mortale al procuratore capo di Torino Bruno Caccia.

Era la sera del 26 giugno 1983 quando l'alto magistrato portò il cane a passeggiare sotto casa. Un gruppo di killer, molti dei quali ancora sconosciuti, gli spararono, uno scese dall'auto e gli dette il cosiddetto colpo di grazia. All'inizio vennero incolpate le Brigate Rosse, ma poi emerse la verità - grazie a un pentito e a una serie di riscontri - e venne condannato il capofamiglia Domenico Belfiore, boss del clan di Gioiosa Jonica. "È come se alcuni di questi brigatisti cercassero la protezione dei boss, in uno scambio di favori reciproci. Ma le indagini sono appena cominciate", spiegano alla Digos.
QUANTI SONO I TERRORISTI
La Procura milanese ritiene di aver "ritirato dalla scena" i capi delle cellule individuate del Partito Comunista Politico Militare. "Sono stati seguiti per anni, i contatti erano e sono rimasti questi". C'è solo un punto da verificare. Davide Bortolato e i due che ieri si sono dichiarati "prigionieri politici", e cioè Alfredo Davanzo e Claudio Latino, il 10 dicembre 2006 fanno una "riunione strategica" e parlano dell'organizzazione: "Noi possiamo contare su un giro di circa una ventina di compagni, che possono contribuire a livello economico. Bisogna cominciare ad essere più regolari sul pagamento delle quote, cioè a essere più stabili". Sono compagni che pagano o compagni che, eventualmente, sparano? E se gli arrestati sono quindici, all'appello ne mancano almeno cinque.

Quanto a Davanzo, l'ideologo di "Seconda Posizione" era convinto che nessuno sarebbe riuscito a stanarlo a Raveo, il minuscolo villaggio di meno di 500 abitanti nel cuore delle montagne della Carnia. Incontrando alcuni dei brigatisti aveva esclamato: "Ma dove mi avete portato! Qui sono sicuro che non mi prenderanno mai!".

IL CURRICULUM DEL "BRAVO BR"

Latino, prima di essere espulso dalla formazione dei Carc, aveva inviato una specie di curriculum che è stato trovato a Giuseppe Maj, leader storico dei Carc. Dice di aver costituito nell''85-'87 "un collettivo caratterizzato dalla clandestinità associativa" impegnato in attività illegali, con esplicito riferimento a "due azioni di autofinanziamento riuscite ed altre tentate", nonché "alcune azioni politiche di attacco con l'uso di armi da fuoco". Latino afferma - continuano gli agenti della Digos, che hanno letto questa sua presentazione-autogol, di essersi "addestrato al furto di auto e di moto", di saper fare le contraffazioni e di aver "preso contatti con altri compagni, latitanti e non, con cui si è costituito un gruppo che aveva come principale obiettivo l'attuazione di azioni di autofinanziamento".

I COLPI DI SCIVOLI

Salvatore Scivoli, una lunga storia con Kathrin Otto, che secondo una scheda della polizia è una fiancheggiatrice della Raf, è spesso impegnato con le "dure", le rapine. S'è un po' "raffreddato", come dice lui, con il calabrese Francesco D'Onofrio, 52 anni, ex di Prima Linea e dei Colp (comunisti organizzati per la liberazione proletaria). Ma Franco gli può dare delle armi. Forse qualche "dritta". Un fatto è certo: in un bar ristorante di Foro Bonaparte a Milano Scivoli parla con Ghirardi, il 24 gennaio 2007, e fa "riferimento a precedenti colpi portati a compimento in prima persona accennando in particolare a una rapina, presumibilmente in una banca, perpetrata utilizzando delle maschere che gli avrebbe fruttato un bottino di 145mila euro e un ulteriore colpo in una grossa gioielleria, nel 1997, tramite la tecnica del sequestro lampo, che aveva fruttato un bottino di circa 3 miliardi e mezzo lamentandosi che altri cinque miliardi di preziosi sarebbero rimasti in cassaforte a causa dell'inesperienza di un componente della banda.

I DEPOSITI DELLE ARMI
Parla ancora Scivoli: "Bruno, io non dico tanto, ma diecimila li do a fondo perduto lì... gli uzi, quelli piccoli, bazooka ed esplosivo. Gli paghiamo a loro il trasporto, perché lì li paghiamo una cifra più il trasporto, anche se ci costa il doppio qua conviene sempre".

Ghirardi: "Ah, sì, se no ti vendono alla frontiera..." tra l'Italia e l'ex Jugoslavia.

Scivoli: "Conviene che facciamo fare tutto a loro e gli diamo un appuntamento in un posto. In quell'appuntamento ci pigliamo tutta la roba e la sotterriamo dove diciamo noi".

LA MANIA DEGLI ARSENALI NASCOSTI
Latino spesso si informava con Ghirardi "del "posto", affermando subito dopo "speriamo che si asciughi"". I brigatisti vorrebbero "scavare un buco "stando sulla riva", ma "in orizzontale", per evitare che le cose si bagnino. I due hanno quindi accennato - dicono gli agenti Digos - alla necessità di andare a fare una "bella manutenzione", parlando di olio e spray e di armi". Un altro "imbosco" per le armi volevano scavarlo verso Sesto San Giovanni, seguendo il Lambro in canotto, sino alle antenne di Sky e di Mediaset.

L'ADRENALINA

La tensione sale, quando si pensa alle azioni e Ghirardi fotografa così la situazione: "L'adrenalina è la più bella droga che esista. Non ce n'è di cocaina, di eroina, di hashish... L'adrenalina".

(14 febbraio 2007)

 


 

Dal Corriere della Sera 14-2-2007 «Le Br non fermeranno le riforme» Danilo Taino

 

BRIGATE ROSSE - LE REAZIONI

Prima uscita di Pietro Ichino, incontro con Podda della Cgil «Oggi la mia sfida resta cambiare la pubblica amministrazione»                 STRUMENTI

MILANO — Ieri sera, Pietro Ichino ha partecipato a un incontro pubblico, programmato da tempo, e ha spiegato le proposte che avanza da mesi per rendere più efficiente la pubblica amministrazione. Avanti come sempre: il riaffacciarsi delle Brigate rosse, che lo hanno messo nel mirino, alza la tensione politica ma non abbassa le ambizioni riformiste del professore di diritto del lavoro. Anzi, potrebbe aprire qualche spazio per un dibattito serio e non ideologico su un tema che egli è riuscito a spingere al centro del confronto politico-sindacale con la sua attività di studioso e di commentatore: come aprire al mondo la burocrazia italiana.

Il tema — scelto dalla Fondazione Corriere della Sera che ha organizzato la discussione nella sede milanese del giornale — era «Lavoro Avaro» e la controparte di Ichino era Carlo Podda, segretario generale nazionale della Funzione pubblica della Cgil, oppositore di una parte consistente delle proposte del professore. Beh, per la delusione dei brigatisti e non solo di loro, non ci sono state scintille. Non che Ichino e Podda abbiano abbracciato una posizione comune. Hanno però dibattuto serenamente, nonostante le proposte del giuslavorista siano piuttosto radicali e di fatto vadano a colpire il potere del sindacato nell'amministrazione pubblica. Non solo: hanno anche concordato su alcuni punti e segnalato che qualche risultato può essere raggiunto in tempi non epocali.

La questione posta da Ichino è importante ed è di quelle che proprio non piacciono al massimalismo terrorista. Dietro la famosa provocazione, lanciata l'estate scorsa, dei «fannulloni» che si nascondono nell'amministrazione dello Stato e degli enti locali, il professore propone di intervenire creando più mercato, in modo che i cittadini possano scegliere tra i servizi forniti dal pubblico e i servizi forniti da privati, e dando più voce agli utenti stessi dei servizi, coinvolgendoli nel controllo dell'amministrazione. Sull'idea di introdurre mercato nel settore, Podda non è arretrato di un centimetro: non è d'accordo. Sul dare più poteri ai cittadini ha invece concordato.

In un disegno di legge, Ichino propone una trasparenza totale che dovrebbe culminare nella creazione di un'authority in grado di individuare i punti di inefficienza della pubblica amministrazione. E critica molte parti del memorandum firmato da sindacati e ministro delle Riforme e dell'Innovazione Luigi Nicolais lo scorso 18 gennaio, che dovrebbe introdurre un po' di flessibilità nel settore: a suo parere fa addirittura qualche passo indietro, ad esempio sulla possibilità di rivolgersi a servizi privati quando questi sono vantaggiosi rispetto a quelli pubblici. Podda, ovviamente, difende l'accordo; e all'authority del settore pubblico preferisce strumenti diversi, come nuclei di valutazione: un terreno comune, però, è sembrato esserci. In fatto di trasparenza, per esempio, professore e sindacalista si sono trovati d'accordo su una semplice norma da introdurre nell'ordinamento che reciti: «È obbligatorio che dal sito Internet dell'amministrazione (ogni amministrazione pubblica ne deve avere uno, ndr) si possa accedere all'archivio digitalizzato».

Le divergenze d'opinione registrate ieri sera rimangono ampie. Ma il clima è stato di confronto: ciò sarà importante quando la questione — che tocca gli assetti organizzativi e le relazioni di lavoro nella pubblica amministrazione — arriverà in Parlamento. Ed è da subito una sconfitta per i terroristi che vorrebbero allontanare e cristallizzare le posizioni di chi vuole riforme radicali e chi è più prudente. «Il fatto che oggi si sia qui a discutere — ha detto Podda — è un modo di far vivere la democrazia, continuando a fare quello che facciamo tutti i giorni». In precedenza, d'altra parte, Ichino aveva incontrato Cgil, Cisl e Uil per parlare dei pericoli di infiltrazione terrorista nel sindacato, anche in quel caso sotto il segno della collaborazione: «Il fatto che tra gli arrestati ci fossero dei sindacalisti non vuol dire nulla».

Se a questi toni incoraggianti si aggiunge l'imbarazzo che esprimevano ieri, dopo gli arresti dei brigatisti, gli oppositori intransigenti delle riforme, c'è da pensare che tanto impegno delle Br possa finire dalla parte opposta di quella a cui puntavano: Lavoro Avaro.

14 febbraio 2007


Da La Stampa 14-2-2007 Italiani, che volete da noi?GIUSEPPE ZACCARIA

 

La polemica sulle foibe rinfocola nei croati vecchi dissapori. Lo storico Dota. "Non dimenticate i vostri campi di concentramento a Gonars e sull’isola di Molat"

INVIATO A CAPODISTRIA
A ben vedere tutta la differenza di percezione sta nella distanza fra «esule dall'Istria» e «isbeglice iz Istre» che poi significano la stessa cosa. Solo che per noi gli esuli furono quelli costretti a fuggire oppure infoibati dopo il 1943, mentre per i croati sono le persone che gli italiani obbligarono a fuggire oppure internarono negli anni precedenti.

Adesso questa distanza torna di colpo ad allargarsi come accade per tutti i problemi troppo a lungo rimossi. Stipe Mesic non rinfocola la polemica ma neppure arretra. Come al solito a Capodistria (Koper per i locali) qualche giovanotto dell «Hdz» ha scritto sui bianchi muri veneziani "italiani di merda" e altri hanno cancellato le dizioni italiane dei cartelli stradali. Però perfino il portiere d'albergo che per anni ha visto comparire lo scrivente oggi appare meno cordiale del solito e a un certo punto quasi parlando a un amico, chiede: «Ma insomma, cos'è che volete ancora?». Eccoci subito al punto: cosa vogliano dai croati e cosa la Croazia vuole da noi? Parliamo d'Europa e sembra di ritrovarsi in una sequenza di «No man's land», quel meraviglioso film di Tanovic in cui il serbo-bosniaco e il bosniaco-musulmano prigionieri della medesima trincea passano il tempo a dire «avete cominciato voi», «no siete stati voi a cominciare».

In attesa di stabilire chi abbia cominciato, le agenzie registrano dichiarazioni distensive del portavoce del governo che ribadisce la volontà croata a rispettare il trattato di Osimo e «pagare la parte di debito lasciato in eredità dalla dissoluzione della Jugoslavia». Qui si parla di appoggio o meno alle trattative per l'ingresso croato in Europa, di trattati sulle aree di pesca, risarcimenti attesi da decenni ma anche di sensibilità più profonde che scattano alla minima occasione. Chi per primo cederà sul versante storico dovrà cedere sul resto. Intanto il fossato che si è riaperto segna fra Italia e Croazia una distanza molto più ampia di una linea di frontiera larga un metro e una Slovenia. «Dopo la fine del governo Berlusconi- dice Franco Dota, storico e autore di saggi sull'occupazione italiana durante la seconda guerra mondiale - molti di noi si aspettavano un atteggiamento diverso da parte italiana mentre invece le parole del presidente Napolitano hanno creato forte disappunto».

Un osservatore superficiale potrebbe soffermarsi sulla scritta scolorita che nel pieno centro di Zagabria si distigue ancora non lontano dalla statua del Ban Jelacic e continua a ripetere «italjani stare varalitze», ovvero vecchie mignotte, però si tratta appunto di un messaggio stinto e anche quella scritta, quella polemica, risalgono a quando la Croazia voleva essere indipendente e l' Msi dell'epoca mandava strani ambasciatori che con i serbi di improbabili repubblichette trattavano impossibili restituzioni della Dalmazia. «Da voi - continua Dota - nessuno ha mai esaminato la storia dei campi di concentramento italiani di Gonars, dell'isola di Molat o di quella di Rab, che non erro in italiano di chiama Arba. Per i croati la vicenda delle foibe rimane una reazione, certo deprecabile, a violenze subìte per anni da decine di migliaia di persone in Slovenia e Croazia».

L'incidente per ora resta limitato a uno scambio di dichiarazioni fra presidenti. Mesic, vecchio navigatore, prima esponente della Jugoslavia comunista, poi oppositore incarcerato, dunque presidente della Federazione e poi ancora nazionalista con Franjo Tudjman e socialista di fronte a un governo di centro destra, in vista delle elezioni fa il padre della Patria e interpreta sentimenti diffusi. Il governo di Ivo Sanader, molto più preoccupato per le difficili trattative d'ingresso in Europa, tenta invece di stemperare le polemiche pur evitando di criticare le parole del presidente, come invece fanno alcuni giornali del mattino. Insomma la diatriba sarebbe nata essenzialmente da una questione di speranze frustrate, e come tale dovrebbe concludersi. Resta però il fatto che una distanza storica non si è mai colmata, anche una commissione mista che avrebbe dovuto cercare di stabilire «chi ha cominciato per primo» ha smesso subito di riunirsi per mancanza di fondi. Le differenze parrebbero minime eppure restano incommensurabili e di questa separazione la lingua è specchio fedele. Provate per esempio a considerare l'opposizione fra slavo e «jabar», «Krajna» e Carnia, curva e «kurva», distanze lessicali che a esplorarle hanno del grottesco.

«Slavo» è il termine con cui la nostra ignoranza raggruppa una quindicina di popoli differenti, mentre «jabar» è il modo in cui l'ignoranza di Oriente definisce noi: significa mangiatori di rane. La stessa incolmabile vicinanza si esprime in scarti lessicali che tramutano in baratri le piccole differenze, com'è quella fra «Krajna», ovvero landa di confine, e «Carnia», bastione montano di una friulanità di confine che si ostina a ritenersi pura. La questione di curva e kurva invece appartiene da sempre al novero dei giochi da osteria: ciò che per noi è semplice percorso stradale dall'altra parte del confine indica il mestiere più antico del mondo, che ove esercitato sulla strada si svolge ai bordi della «put». Qualche genio malefico deve'essersi divertito a mischiare le carte,e chissà se ha cominciato prima sul versante italiano o su quello dei croati.

 

 

 


Dal Corriere della Sera 14-2-2007 Ricariche, il governo non fa marcia indietro Dal 5 marzo gli operatori azzereranno i costi

 

Per i cellulari norme subito in vigore; ad aprile per le card multimediali

Spariranno tutti i contributi fissi attualmente applicati a schede prepagate per telefoni, internet e programmi della tv digitale

 

 

Dal 5 marzo spariscono i costi fissi per le ricariche dei telefoni cellulari (Fotogramma)

MILANO — «Nessun rinvio», aveva promesso il governo. Così, dal 5 marzo spariranno tutti i «contributi fissi» che gli operatori di telecomunicazioni mobili impongono ai consumatori quando acquistano una nuova ricarica per il telefonino. Vale a dire quel «balzello» da 5, 10 o più euro che Tim, Vodafone, Wind e 3 Italia integrano nel prezzo di ogni singola scheda.

La conferma è arrivata ieri da Andrea Lulli, relatore al decreto legge sulle liberalizzazioni messo a punto dal ministro per lo Sviluppo, Pierluigi Bersani. Con un'aggiunta: in Commissione Attività Produttive è stato presentato dallo stesso Lulli un emendamento che prevede l'azzeramento dei costi di ricarica anche sulle schede prepagate per servizi televisivi e internet. Il provvedimento interesserà dunque le smart card vendute da Mediaset per vedere le partire di calcio e i film sulla tv digitale terrestre, così come quelle emesse da Telecom Italia per i programmi pay per view su La7 e attraverso Alice Home Video. Lo stesso trattamento riguarderà anche i provider internet che offrono connessioni in Rete con carte prepagate.

Diverse saranno però le date di entrata in vigore. Mentre per lo stop agli extra-costi applicati dagli operatori telefonici è confermata la scadenza di 30 giorni prevista dal decreto (il 5 marzo, appunto), per le carte tv e internet si dovrà aspettare i 60 giorni entro i quali il provvedimento verrà convertito in legge dal Parlamento, cioè entro i primi giorni di aprile. Per le compagnie di telecomunicazioni l'impatto sarà tutt'altro che marginale. BastI pensare che nel 2005 erano attive circa 64 milioni di linee telefoniche con carte sim «prepagate» (su un totale di 67 milioni di linee) e il «contributo fisso» per l'acquisto ha assicurato a Tim, Vodafone, Wind e 3 Italia un introito di 1,714 miliardi di euro.

I conti esatti li ha fatti l'Authority per le Comunicazioni nella sua ultima indagine: tolti 601 milioni di euro per le commissioni riconosciute ai rivenditori (tabaccherie e banche che vendono le ricariche nei bancomat), 75 milioni di costi operativi e 93 milioni di ammortamenti, è rimasto in tasca ai gestori un profitto netto di 945 milioni di euro. Un guadagno facile facile. E molto gradito agli azionisti: basta pensare che nel 2004, ultimo anno prima della fusione in Telecom Italia, il «balzello» sulle carte prepagate ha contribuito per quasi il 10% agli utili di Tim.

«Le motivazione portate dagli operatori per chiedere un rinvio del provvedimento non mi hanno convinto affatto — ha spiegato Lulli —. Anzi, mi hanno convinto del contrario». E la sua decisione ha raccolto subito i consensi sia della maggioranza sia del centrodestra, oltre che delle associazioni dei consumatori. Dall'opposizione, solo il deputato di Forza Italia Benedetto Della Vedova ha parlato di un atteggiamento «dirigista». «La maggioranza approvi il mio emendamento per l'abolizione della tassa di concessione sulla telefonia mobile — ha esortato —. E' questa la vera causa della bolla sulle ricariche».

Dal 5 marzo, dunque, scompare quella che è un'autentica anomalia italiana nel panorama europeo. Tanto che a sollecitare per prima l'abolizione dei costi di ricarica era stata proprio la Commissione di Bruxelles. Resta ora da vedere come risponderanno gli operatori. Non a caso ieri alcuni parlamentari hanno chiesto al governo di «vigilare» per evitare improvvisi rincari delle tariffe telefoniche.

Giancarlo Radice

14 febbraio 2007

 

 


Da Il Sole 24 Ore 14-2-2007  Effetto serra, c'è anche chi ci guadagna Di Alessandro Merli

 

L' allarme l'ha lanciato nell'autunno scorso sir Nicholas Stern,l'economista del Tesoro britannico incaricato dal primo ministro Tony Blair di studiare le conseguenze dei cambiamenti climatici: il global warming rischia di provocare una catastrofe non solo ambientale, ma anche economica.IlPil globale potrebbe subirne una riduzione fino al 20 per cento.
Nient'affatto, sostengono alcuni economisti di mercato: nessuno contesta le implicazioni ambientali, ma il catastrofismo economico è ingiustificato. Secondo Tim Bond, di Barclays Capital,accadrà addirittura l'esatto contrario di quanto previsto da Stern:la necessità di aumentare la capacità energetica del 50% entro il 2035, e al tempo stesso ridurre la dipendenza dagli idrocarburi, darà vita a una vera e propria «rivoluzione energetica». E questo processo stimolerà la crescita economica, come sempre è avvenuto in passato con l'adozione di nuove tecnologie. Bond cita altri cambiamenti nelle fonti energetiche, dal legno al carbone e da questo al petrolio. In ognuno di questi casi, la crescita ha ricevuto un impulso dal cambiamento di tecnologia energetica.
Jim O'Neill, di Goldman Sachs, rileva che Stern usa i due termini "mitigare"e "adattarsi"ai cambiamenti climatici. E sostiene che avverrà proprio questo e darà una forte spinta ad alcune attività economiche e finanziarie: fonti alternative, tecnologie per migliorare l'efficienza energetica nell'industria, nei trasporti e nel riscaldamento, nucleare, mercati dei diritti di emissione, assicurazioni, derivati. Il che avrà importanti implicazioni anche di investimento. Tutto questo non esclude il ruolo che dovranno comunque svolgerei Governi,intermini di incentivi, tassazione, regolamentazione. Afferma O'Neill, citando l'ex presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, che si tratta di uno di quei casi in cui è importante l'adozione fin da oggi di politiche che aiutino a risolvere una crisi che potrebbe manifestarsi in tutto il suo potenziale distruttivo solo in futuro.
Aquesto proposito,uno sconsolato Tommaso Padoa Schioppa osservava dopo il vertice di Essen dello scorso fine settimana, dove il tema energia figurava in agenda, che si tratta di un dramma, se non di una tragedia, globale, cui il G7 non è finora riuscito a dare risposte globali. Certamente, anche per John Llewellyn, di Lehman Brothers, che ha appena prodotto uno studio sul "business dei cambiamenti climatici", sono leimprese che si stanno muovendo su questo fronte, e si stanno muovendo prima dei Governi. I cambiamenti climatici, sostiene Llewellyn, sono un'ulteriore sfida che le imprese devono affrontare. Ma poiché è uno di quei fenomeni che si svilupperanno appieno molto lentamente, nel corso di decenni, c'è il rischio che anche fra le imprese ce ne sia qualcuna che decide di posporre decisioni e adattamento alle nuove condizioni. Sarà chi si è mosso per tempo, dice l'economista di Lehman, ad avere le migliori chance di sopravvivenza.

 

 

 

 


INDICE 13-1-2007

 

++ Da La Stampa 13-2-2007 Sanzioni Consob per lo swap Fiat 9

++ Dal Corriere della Sera 13-2-2007  Consob: sospesi Gabetti e Grande Stevens  10

++ Dal Corriere della Sera 13-2-2007 . Foibe, Mesic insiste. Prodi «sdegnato».  Monito dall'Ue: «Si stemperino le tensioni tra i due paesi»  10

+ Dal Garante della privacy 9-2-2007  Mamme e neonati "schedati" per promuovere riviste e prodotti 11

+ Dal Corriere canadese ( corriere.com)  Ottawa ripensa l'impegno afghano  11

+ Da libertaonline.it  13-2-2007 Prosegue l'offensiva del Vaticano contro il disegno di legge sulle coppie di fatto. Maria Berlinguer 12

+ Da La Repubblica Palermo 13-2-2007. Ds e Cgil attaccano la Turco per la missione in Sicilia. Sanità, fuoco amico sul ministro.  Alberto Bonanno  13

Da La Stampa 13-2-2007 IL CASO FOIBE E' CRISI DIPLOMATICA Croazia, attacco a Napolitano Paolo Passarini 14

Dal Corriere della Sera 13-2-2007   Piani segreti, armi e rapine: arrestati 15 br.  Paolo Biondini e Cristina Marrone  14

Da La Stampa 13-2-2007 13/2/2007 (8:32)  Il Papa: la legge non sovverta la famiglia E Ruini annuncia: presto un documento impegnativo e vincolante per i cattolici . Marco Tosatti 15

Da La Repubblica 12-2-2007 Partito democratico, pronto il Manifesto. Dodici saggi dell'Ulivo hanno ultimato il documento per la nuova formazione. 16

Dal Corriere della sera 12-2-2007 Ségolène: «patto presidenziale» per la Francia  17

Da La Repubblica 13-2-2007 Londra, niente mutua per obesi e fumatori. Cinzia Sasso  17

 


++ Da La Stampa 13-2-2007 Sanzioni Consob per lo swap Fiat

13/2/2007 (14:21) - SOSPENSIONI

Arrivano le sanzioni Consob per la vicenda Fiat Exor del 2005: multe per complessivi 16 milioni di euro e sospensione per il top management di Ifi, Ifil e Giovanni Agnelli e C. Sapa

ROMA
Arrivano le sanzioni Consob per la vicenda Fiat Exor del 2005: multe per complessivi 16 milioni di euro e sospensione per il top management di Ifi, Ifil e Giovanni Agnelli e C. Sapa. Le due finanziarie di casa Agnelli annunciano ricorso e per voce di John Elkann riconfermano la propria piena fiducia nei manager coinvolti.
Nel dettaglio, la commissione ha deciso la sospensione di sei mesi per il presidente dell’Ifil Gianluigi Gabetti multato anche per un totale di 5 milioni di euro, non potrà assumere incarichi per quattro mesi il consulente legale e consigliere di amministrazione Franzo Grande Stevens a sua volta multato per complessivi 3 milioni di euro, mentre resterà congelato per due mesi l’amministratore delegato di Ifi Virgilio Marrone che dovrà sborare anche 500 mila euro. Altri 4,5 milioni di euro di multa la Consob ha comminato alla Ifil Investments Spa e 3 milioni alla Giovanni Agnelli e C. Sapa.

Nel comunicato congiunto diffuso da Ifi e Ifil al termine dei rispettivi cda, le due società prendono «atto con sorpresa e rammarico del provvedimento sanzionatorio di Consob» ed esprimono «piena solidarietà» nei confronti di Gabetti, Marrone e Franzo Stevens. Contro la decisione della commissione di Borsa, viene annunciato, sarà presentato «ricorso in opposizione e richiesta di sospensione per gravi motivi presso la Corte di Appello di Torino». Inoltre alla stessa Consob e stato consegnato «un quesito scritto per conoscere se le sanzioni amministrative accessorie non siano applicabili fino a cui sia pendente il giudizio in opposizione».

Sicuro della correttezza dei comportamenti tenuti si dice il vicepresidente vicario di Ifil, John Elkann: «Riteniamo che l’operazione effettuata da Ifil nel 2005 sia stata condotta nel pieno rispetto della legge e senza alcuna manipolazione del mercato. Come affermato in più occasioni, essa era diretta a conservare il ruolo della Società quale azionista di riferimento della Fiat, assicurando la stabilità necessaria al buon esito del suo rilancio».

Per questo, Elkann si dice «fiducioso che le ragioni della Società e delle persone coinvolte prevalgano in sede di ricorso» e auspica «una rapida conclusione del procedimento. Al presidente Luigi Gabetti», prosegue Elkann, «esprimo piena solidarietà, da parte di tutte le società del Gruppo, oltre che gratitudine per aver saputo opporsi a qualunque deriva rinunciataria, sovvertendo un destino che a molti appariva segnato con una scelta coraggiosa e, alla luce dei fatti,d determinante. Ai medesimi sentimenti», conclude l’esponente della famiglia Agnelli, «associo l’amministratore delegato dell’Ifi Virgilio Marrone e il nostro consulente legale, l’avvocato Franzo Grande Stevens, che ringrazio per il prezioso contributo che hanno sempre dato al Gruppo».

 

 


++ Dal Corriere della Sera 13-2-2007  Consob: sospesi Gabetti e Grande Stevens

Disposta anche incapacità temporanea ad incarichi amministrativi

Comminate le sanzioni per la vicenda Fiat Exor del 2005. Multe anche per 16 milioni di euro. Le società: «Faremo ricorso»

 

 

ROMA - Arrivano le sanzioni Consob per la vicenda Fiat Exor del 2005: multe per complessivi 16 milioni di euro e sospensione per il top management di Ifi, Ifil e Giovanni Agnelli e C. Sapa. Le due finanziarie di casa Agnelli annunciano ricorso e per voce di John Elkann riconfermano la propria piena fiducia nei manager coinvolti.

Nel dettaglio, la commissione ha deciso la sospensione di sei mesi per il presidente dell'Ifil Gianluigi Gabetti multato anche per un totale di 5 milioni di euro, non potrà assumere incarichi per quattro mesi il consulente legale e consigliere di amministrazione Franzo Grande Stevens a sua volta multato per complessivi 3 milioni di euro, mentre resterà congelato per due mesi l'amministratore delegato di Ifi Virgilio Marrone che dovrà sborsare anche 500 mila euro.

Altri 4,5 milioni di euro di multa la Consob ha comminato alla Ifil Investments Spa e 3 milioni alla Giovanni Agnelli e C. Sapa.

13 febbraio 2007

 


++ Dal Corriere della Sera 13-2-2007 . Foibe, Mesic insiste. Prodi «sdegnato».  Monito dall'Ue: «Si stemperino le tensioni tra i due paesi»

 

Resta alta la tensione Roma-Zagabria. Il premier croato: «Inaccettabile la revisione dei trattati di pace»

 

ROMA - Il presidente croato, Stipe Mesic, ha insistito, in un intervento alla radio croata, nella polemica con l'Italia, dopo l'attacco al presidente Giorgio Napolitano sulla questione delle foibe, tornando a definire «assolutamente inaccettabile» per la Croazia ogni ipotesi di «discussione sul trattato di pace del 1947 o di revisione degli accordi di Osimo». Frasi ancora una volta pesanti che arrivano nelle stesse ore in cui la diplomazia è al lavoro per ricucire lo strappo tra i due paesi. Prima dell'intervento di Mesic si era infatti registrato un tentativo di stemperare i toni da parte croata: il portavoce del premier aveva ribadito la volontà del suo governo di lavorare «in spirito di collaborazione» con Roma.

COMMISSIONE ITALO-CROATA - Mesic non si è comunque sottratto a un'ulteriore stilettata verso l'Italia: «Vorrei solo ricordare - ha detto - che l'Italia non ha mai pagato le riparazioni di guerra, mentre la Croazia è disposta in ogni momento a pagare quanto deve» a titolo di risarcimento dei beni abbandonati dagli esuli italiani fuggiti dal territorio croato dell'ex Jugoslavia dopo la Seconda guerra mondiale. Come unica concessione alla diplomazia, il capo dello Stato croato ha accettato di associarsi alla proposta del governo sulla istituzione di «una commissione italo-croata di esperti storici». Commissione che, ha tagliato corto Mesic, dovrà stabilire «il numero esatto delle vittime delle foibe per porre termine finalmente a questo dibattito». Riprendendo il suo commento sugli accordi di pace postbellici sottoscritti dall'Italia con l'allora Jugoslavia, Mesic ha quindi rimarcato che «chiunque pensi di poter modificare o rivedere le vecchie intese tra Italia e Jugoslavia, che la Croazia ha ereditato come Paese successore, vive di illusioni poiché noi ci atteniamo al principio secondo cui pacta sunt servanda».

SDEGNO DI PRODI - Dall'India, Romano Prodi ha espresso il suo «sdegno» per la nota con cui Mesic aveva tacciato di «aperto razzismo, revisionismo storico e revanscismo politico» il discorso del presidente della Repubblica sul dramma degli esuli istriani, giuliani e dalmati. Il presidente del Consiglio italiano ha fatto sapere di aver dato istruzione al suo consigliere diplomatico di esprimere al governo croato «sdegno» per accuse che ha definito «assolutamente ingiustificate» e non corrispondenti «allo spirito del popolo croato». «Tra l'altro arrivano dopo un grande periodo di collaborazione con la Croazia - ha aggiunto Prodi - io personalmente negli scorsi anni ho intensamente lavorato perché la Croazia entri a pieno titolo nell'Unione europea».

CONVOCATO AMBASCIATORE - Intanto l'ambasciatore croato a Roma, Tomislav Vidosevic, è stato ricevuto alla Farnesina dove gli è stata espressa la protesta del governo italiano per le «inaccettabili dichiarazioni» di Mesic. È stata anche annullata una visita a Zagabria del sottosegretario agli Esteri, Bobo Craxi, in programma mercoledì per promuovere la candidatura di Milano a ospitare l'Expo del 2015.

MONITO UE - Dall'Ue, in cui la Croazia è candidata a entrare probabilmente nel 2009 o nel 2010, è arrivato l'auspicio che le tensioni si stemperino: «Le relazioni tra l'Italia e la Croazia generalmente sono molte buone e speriamo che questo tipo di relazioni si applichino anche alle discussioni su questi eventi che sono dolorosi per entrambi le parti», è quanto ha dichiarato un portavoce della Commissione Europea Pietro Petrucci.

13 febbraio 2007

 


+ Dal Garante della privacy 9-2-2007  Mamme e neonati "schedati" per promuovere riviste e prodotti

Il Garante ha vietato ad una casa editrice di proseguire la "schedatura" di decine di migliaia di nominativi di neo mamme e neonati raccolti e utilizzati in modo illecito a fini di profilazione e marketing. La società è risultata infatti inadempiente rispetto a numerose disposizioni del Codice della privacy.

La casa editrice, che pubblica alcuni periodici su tematiche relative alla gravidanza e alla prima infanzia, è finita sotto la lente del Garante dopo la segnalazione di una coppia che lamentava di aver ricevuto, senza consenso, riviste omaggio in occasione della nascita dei figli. Per promuovere i suoi prodotti la società si avvaleva anche di "referenti" esterni alla stessa società scelti tra medici e infermieri di strutture ospedaliere pubbliche o private che avevano il compito di distribuire coupon con i quali venivano raccolti una serie di dati (nome e cognome della mamma e del bambino, professione, data di nascita, numero di telefono ecc.). Per svolgere questo compito il personale ospedaliero era remunerato con regali di valore proporzionale al numero di nominativi raccolti.

Nel corso delle ispezioni disposte dal Garante sono stati accertati numerosi illeciti.

É emerso infatti che i "referenti" svolgevano l'attività di raccolta dei dati senza esserne formalmente incaricati, senza adottare particolari cautele a protezione dei dati e, per di più, senza alcuna autorizzazione o convenzione con le strutture sanitarie. In alcuni casi compilavano direttamente  i coupon con i nominativi all'insaputa delle donne presenti in reparto.

I coupon, distribuiti anche presso studi ginecologici, pediatrici e farmacie sono risultati, tra l'altro, privi di una corretta informativa e formulati in modo da non consentire di manifestare validamente il consenso.

Il Garante, oltre all'uso dei dati, ha vietato alla casa editrice di effettuare altre operazione di raccolta e utilizzazione dei dati avvalendosi di "referenti" con modalità non conformi al Codice della privacy. La società, inoltre, dovrà riformulare l'informativa inserita nel coupon e nominare responsabili del trattamento le società di cui si avvale per la gestione del data base e la ricerca dei dati a fini di marketing. Dovrà infine adottare idonee procedure che le permettano di garantire un immediato e preciso riscontro alle richieste di accesso e cancellazione dei dati da parte degli interessati.

"Abbiamo  posto fine a questa  "caccia alle mamme"  e all'invasione della loro vita privata con pubblicità sgradita – ha commentato Giuseppe Fortunato, relatore del provvedimento. Un evento felice non deve mai trasformarsi in un'occasione per promuovere prodotti e raccogliere dati su abitudini, scelte, consumi e propensione a spendere di donne ignare".

Roma, 9 febbraio 2007


+ Dal Corriere canadese ( corriere.com)  Ottawa ripensa l'impegno afghano

 

Il Canada dovrebbe sostenere con più forza la missione dell'esercito in Afghanistan. ma, allo stesso tempo, Ottawa dovrebbe ripensare al proprio impegno nella regione se la Nato non garantisse il proprio sostegno. Sono le indicazioni contenute in Taking a hard look at a hard mission, il rapporto presentato ieri dalla commissione Esteri del Senato.
«I soldati canadesi in Afghanistan - ha detto ieri il senatore liberale Colin Kenny - affrontano un numero di problemi. Fra questi la cultura guerriera di quel popolo e la percezione che gli afghani hanno nei confronti del nostro esercito, che viene visto come un esercito invasore».
Il Canada, secondo il rapporto, dovrebbe investire altri 20 milioni di dollari, 250 soldati e 60 istruttori di polizia per migliorare il proprio impegno nella regione. Ma solo a patto che anche la Nato muova un passo. «Ci aspettiamo che i nostri alleati si comportino come tali - ha proseguito Kenny - se non arriveranno a darci una mano, noi saremo autorizzati a guardare diversamente alla vicenda».
LA RISPOSTA DELL'EUROPA - Una parziale risposta alle preoccupazioni di Ottawa è arrivata proprio ieri mattina da Bruxelles, dove i ministri degli Esteri europei hanno deciso di inviare in Afghanistan una missione per l'addestramento della polizia locale. Secondo Massimo D'Alema, responsabile della Farnesina, la decisione adottata dall'Ue rafforza e sottolinea il carattere multilaterale ed europeo della missione in quel Paese. «C'è un forte impegno dell'Unione Europea in Afghanistan e non soltanto da parte dei singoli Paesi. L'Afghanistan è anche una missione europea e una missione dell'Unione Europea», ha detto D'Alema».
ANCORA VIOLENZA A KABUL - Le forze della coalizione militare a guida Usa e militari afghani hanno ucciso molti combattenti talebani in un'operazione nel Sud dell'Afghanistan mirata contro un comandante dei talebani considerato strettamente legato al leader spirituale degli integralisti, il super ricercato Mullah Omar. Lo si legge in una nota diramata dalla coalizione da Kabul, che non precisa se il comandante sia stato ucciso o meno.

L'operazione è stata condotta nella località di Gereschk, 35 chilometri a nord di Lashkar Gah, capoluogo della travagliata provincia di Helmand.
«L'attacco - si legge nel comunicato - è stato sferrato sulla base di informazioni su un comandante talebano che opera nella vicina provincia di Kandahar. L'individuo preso di mira aveva legami con il mullah Mohammad Osmani (comandante militare dei ribelli nel sud del Paese ucciso lo scorso dicembre in un raid, ndr) e con il mullah Mohammad Omar», considerato capo spirituale dell'ex regime talebano abbattuto nel 2001 e poi dei ribelli e collaboratore di Osama bin Laden.
La nota non precisa quanti siano i talebani uccisi. Nell'attacco, si legge, è rimasto ferito anche un soldato afghano.
IL PROBLEMA DELLE FRONTIERE - Intanto, giunge notizia che almeno 700 guerriglieri talebani si sarebbero introdotti in Afghanistan attraverso il Pakistan con l'obiettivo di attaccare un'importante diga, fra le principali fonti di elettricità del Paese. Lo afferma il governatore della provincia di Helmand, Asadullah Wafa, secondo il quale i 700 infiltrati sono cittadini pakistani, uzbeki e ceceni, entrati in territorio afghano grazie a capi locali, per compiere un'operazione congiunta con Al Qaeda.
La zona della diga di Kajaki, nella zona orientale della provincia di Helmand, è stata teatro di numerosi scontri nelle ultime settimane fra i talebani e le forze Nato, soprattutto inglesi e olandesi. Wafa ha anche accusato l'agenzia di intelligence militare pachistana Isi di aver addestrato e dato supporto logistico ai guerriglieri: «Il Pakistan - afferma il governatore provinciale di Helmand - appoggia i talebani e fa in modo che continuino a combattere in Afghanistan. Non vogliono lo sviluppo e la ricostruzione del Paese».
Nonostante le continue accuse, il Pakistan ha negato di continuare a sostenere i talebani, dei quali la Nato si attende una violenta offensiva per la prossima primavera, con il disgelo. Il 2006, con circa 4mila morti, è stato l'anno più sanguinoso in Afghanistan dalla caduta del regime dei talebani, nell'autunno del 2001.


+ Da libertaonline.it  13-2-2007 Prosegue l'offensiva del Vaticano contro il disegno di legge sulle coppie di fatto. Maria Berlinguer

 

LIBERTA' di martedì 13 febbraio 2007

 

. Per la maggioranza «è un testo equilibrato»

Il Papa: «I Dico fuori dalla legge naturale»

Il cardinale Ruini preannuncia una nota "impegnativa" per i cattolici

 

ROMA - Prosegue senza sosta l'offensiva della Cei e di Benedetto XVI contro il disegno di legge del governo Prodi sulle coppie di fatto. Ieri, mentre il cardinale Camillo Ruini ha preannunciato una nota «impegnativa» per i cattolici sul tema dei Dico, il Pontefice è tornato a criticare il disegno di legge che per la Chiesa mette in discussione l'istituto della famiglia. Scatenando le reazioni della sinistra radicale e dei socialisti contro l'ennesima ingerenza vaticana. E la dura reazione del giurista Stefano Rodotà per il quale le «dichiarazioni rilasciate dal Papa e dal cardinale Ruini aprono un conflitto dichiarato con il Governo della Repubblica, il Parlamento e la Carta Costituzioale».
«Nessuna legge fatta dagli uomini può sovvertire quella norma fatta dal Creatore senza rendere precario il futuro della società, con leggi in netto contrasto con il diritto naturale», è il monito di Benedetto XVI che ieri ha aperto il Congresso internazionale sul diritto naturale della Pontifica università Lateranense.
«Non si devono trasformare in diritti quelli che sono interessi privati o doveri che stridono con la legge naturale», ha aggiunto il Pontefice, convinto che «esistano norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore o dal consenso degli Stati ma precedono la legge umana e per questo non ammettono deroghe da parte di nessuno».
Parole pesanti, destinate a surriscaldare il clima già plumbeo che aleggia sui Dico.
Romano Prodi dall'India non ha voluto commentare il nuovo affondo. «Sono molto sereno», ha replicato ai giornalisti che lo interrogavano sulle polemiche italiane sul ddl sulle coppie di fatto. «Le polemiche non mi turbano», ha assicurato il premier.
A una settimana dall'approvazione in consiglio dei ministri del testo messo a punto da Barbara Pollastrini e Rosy Bindi, il presidente della Cei ha dal canto suo anticipato una formale presa di posizione dei vescovi italiani sul tema.
Una posizione destinata a divenire vincolante per i cattolici. La presa di posizione a livello di magistero della Chiesa sarà «una parola meditata, ufficiale a accreditata», ha promesso Ruini.
Moltissime le reazioni sia nella maggioranza che nell'opposizione. La Cdl si schiera compatta in difesa dei valori cattolici. Cercando con l'Udc di richiamare all'ordine i teodem di Paola Binetti. «Il ddl sui Dico va ritirato», tuona l'ex ministro forzista Beppe Pisanu.
«L'allarme della Chiesa deve essere recepito con immediatezza e fatto proprio da tutti i cattolici», aggiunge Enrico La Loggia. E con la Chiesa si schiera anche Gianfranco Fini. «E' giusto che la Chiesa difenda i valori cattolici» dice il leader di An per il quale i Dico rappresenterabbero un matromionio di serie B.
Del tutto diversa la reazione della maggioranza. Se Massimo D'Alema ha espresso il suo stupore per l'offensiva vaticana che giudica inedita nella storia dei rapporti tra Stato e chiesa, il centrosinistra difende il suo disegno di legge.
«E' un testo equilibrato, ci sono tutte le condizioni perchè venga approvato in Parlamento», dichiara Luigi Zanda della Margherita. Seguito dalla diessina Marina Sereni che invita il Parlamento ad essere vicino al paese reale. Il centrista Marco Follini, pur riconoscendo il diritto della Chiesa di esprimere le proprie opinioni, invita la politica ad essere autonoma. Duro il commento del ministro di Rifondazione Paolo Ferraro: «Mi chiedo se la Chiesa sia in linea con il Concordato».


+ Da La Repubblica Palermo 13-2-2007. Ds e Cgil attaccano la Turco per la missione in Sicilia. Sanità, fuoco amico sul ministro.  Alberto Bonanno

Ieri a Messina blitz dei Nas per chiudere un laboratorio del Policlinico

Il sindacato dei medici "Non ha speso una parola sul malaffare"
"Così ci lascia soli nella lotta contro affari e connivenze" 
Forgione: "Il rischio è che tra una visita e l´altra ci si dimentichi dei morti in ospedale"

 

Che fosse una visita destinata a far discutere si era intuito dalla lettera indirizzata dai Ds siciliani al ministro Livia Turco, il giorno prima del suo arrivo, per avvertirla che la sanità siciliana era ben altro dai centri di eccellenza che il governo regionale le avrebbe mostrato. Ora la missione «istituzionale» del ministro in Sicilia diventa un caso politico che agita le acque a sinistra e fa insorgere la Cgil, che ha indirizzato alla Turco una lettera aperta. E dopo il segretario regionale dei Ds, Tonino Russo, nella Quercia siciliana si moltiplicano le prese di posizione contro la scelta del ministro di non spendere una parola sui casi di malasanità che hanno scosso la Sicilia negli ultimi mesi. Gli ultimi proprio ieri: a Messina i Nas hanno sequestrato il laboratorio di anatomia patologica del Policlinico per carenze igieniche e strutturali, a Catania la Procura ha aperto un´inchiesta sulla morte di una diciassettenne, avvenuta il 6 febbraio nell´astanteria del pronto soccorso dell´ospedale Garibaldi: due i medici indagati per il decesso della giovane, affetta da una malattia rara al sangue, morta dopo quattro ore dall´arrivo in ospedale.
Sono parole pesanti quelle contenute nella lettera che la segreteria regionale della Cgil medici - Renato Costa, Enzo Cirrincione, Grazia Colletto, Franco Ingrillì, Enzo Licita, Ernesto Melluso e Franca Tiralosi - ha indirizzato ieri al ministro Turco, sottolineando che «si è presentata l´occasione di poter verificare in prima persona le inefficienze e gli sprechi di un sistema sanitario che, secondo le nostre analisi derivanti da anni di esperienze e di lavoro, ha stravolto le sue finalità e i cui risultati sono di fronte agli occhi di chi sa vederli». E come se non bastasse, non una parola sulle connivenze mafiose e sugli intrecci tra politica e malaffare intessuti nel mondo a nove zeri della sanità pubblica, senza nulla togliere ai centri d´eccellenza che del sistema sanitario regionale restano «isole» in un «contesto generale che da queste è ben lontano». L´effetto della visita è stato dunque quello di «aumentare la solitudine di coloro che in Sicilia lottano per una società più giusta e, come insegna Giovanni Falcone, la solitudine è cosa pericolosa».
Perché secondo il sindacato «basta leggere le statistiche per accorgersi come per tutta una serie di malattie in questa regione ci si ammala di meno e si muore di più che altrove, basta guardare i giornali per vedere come la sanità siciliana sia diventata centro di interessi economici della mafia, basta parlare con quegli operatori che conservano una coscienza libera per sapere come il "cuffarismo" abbia orientato tutte le scelte in materia sanitaria a scapito dell´efficienza e della cura dei cittadini». Il sindacato addita alcune delle incompiute storiche, come il Polichirurgico di Villa Sofia e la struttura di via Ingegneros, le sale operatorie del Civico chiuse dai Nas (e riaperte a tempo di record), le condizioni del 118. Ma «la cosa che più ci rincresce - scrivono i sindacalisti in camice bianco - sono state le sue dichiarazioni sulla retorica della malasanità. Ci chiediamo e chiediamo a lei, signora ministra, se è retorica denunziare il malcostume, gli sprechi e le inefficienze, mettendoci sempre la faccia e rischiando sempre di persona».
«La sanità siciliana è fatta di luci e ombre - aggiunge Italo Tripi, segretario generale della Cgil siciliana - ed è un errore sottolineare solo l´uno o l´altro aspetto. I compagni della Cgil medici hanno ragione a chiedere al ministro di fare luce anche sui punti bui che da anni denunciano, spendendosi in prima persona». Accuse che un gruppo di deputati regionali Ds sottoscrivono: «C´è una sanità di facciata e propaganda - attacca Giuseppe Apprendi - e ce n´è un´altra con la quale si misura il cittadino, sporca, non accogliente e a rischio. E vedere il ministro Turco che inaugura una struttura accanto a un manager come Giancarlo Manenti, è sconcertante per chi ha votato il centrosinistra». Le riflessioni sulla visita del ministro, e su quelle precedenti del ministro Damiano e del viceministro Minniti («Senza alcun contatto con parti sociali e categorie»), Apprendi le consegnerà oggi in una lettera al leader della Quercia, Piero Fassino. «Alla segreteria della Cgil medici - aggiunge Francesco Cantafia, ex segretario della Camera del lavoro di Palermo - va tutta la solidarietà delle persone che li hanno visti battersi per una sanità migliore e libera dalla mafia. Alla ministra Turco l´appello a non fidarsi di quelli che a destra, come a sinistra, sono stati eletti sfruttando la sanità e i suoi difetti». Chiosa il capogruppo, Antonello Cracolici: «Nella sua lettera - spiega - il segretario regionale è stato il primo a esprimere un timore che poi si è rivelato fondato».
«Gli interessi mafiosi nella sanità siciliana sono un dato di fatto, come prova il ruolo di capi mandamento assunto da medici e primari dalla vicenda Guttadauro in poi - aggiunge Francesco Forgione, presidente dell´Antimafia - e questo è un aspetto che non si può tacere, che la commissione ha sottolineato in una relazione condivisa da tutto l´arco costituzionale. È vero che la sanità siciliana conta su punte di eccellenza che è giusto mettere in luce. Ma è anche vero, e lo dico con tutta la terzietà del mio ruolo, che vicende come quella di Villa Santa Teresa, centro di eccellenza che nascondeva interessi di mafia, devono fare riflettere. E c´è da chiedersi perché in Calabria, dove l´omicidio Fortugno ha dimostrato a che livello siano giunte le infiltrazioni, sono state sciolte le Asl e provvedimenti di questo genere non siano abbiano mai intaccato il sistema di potere e affari della sanità siciliana. Lo stesso in cui, qualche settimana fa, Villa Sofia aveva reintegrato in servizio andando contro la legge un infermiere che faceva il postino di Provenzano. Il rischio è che, tra una visita istituzionale e l´altra, ci si dimentichi che negli ospedali siciliani c´è il morto».

(13 febbraio 2007)


Da La Stampa 13-2-2007 IL CASO FOIBE E' CRISI DIPLOMATICA Croazia, attacco a Napolitano Paolo Passarini

13/2/2007 (8:13) -

Mesic: "Da lui parole razziste". D'Alema convoca l'ambasciatore

ROMA
Giorgio Napolitano, ieri, stupito e amareggiato, non ha potuto fare altro che allinearsi dietro le parole pronunciate dal ministro degli Esteri Massimo D’Alema. Ed è toccato poi alla Farnesina elaborare una dura risposta ufficiale alle violente espressioni usate dal presidente croato Stipe Mesic per attaccare il discorso pronunciato sabato scorso dal Presidente della Repubblica in ricordo della tragedia delle foibe. Il governo la renderà nota nei prossimi giorni. Sta di fatto che adesso non è affatto esagerato parlare di una crisi diplomatica molto seria apertasi tra Italia e Croazia.

La crisi era nell’aria dalla mattinata, quando le agenzie croate hanno cominciato a mettere in rete dichiarazioni di alti dirigenti politici contro Napolitano. Il bersaglio del fuoco erano le parole con cui il Presidente della Repubblica aveva descritto fiumani e dalmati come vittime di «un moto di odio e di furia sanguinaria e di un disegno annessionistico slavo, che prevalse nel trattato di pace del 1947 e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica».

Un deputato della destra, Tonci Tadic, ha dichiarato che «tenendo conto di tutto ciò che hanno fatto in Croazia e in altri Paesi, gli italiani sono gli ultimi che possono dare lezioni su genocidi e pulizia etnica». Ma il Presidente croato è andato ben oltre. Mesic è arrivato ad affermare che, nelle parole pronunciate da Napolitano, «è impossibile non intravedere elementi di aperto razzismo, revisionismo storico e revanscismo politico».

E, con una sfumatura di minaccia, ha aggiunto che esse «si inseriscono difficilmente nella dichiarata volontà di migliorare i nostri rapporti bilaterali». Mesic ha anche definito «inaccettabile qualsiasi tentativo di mettere in discussione gli accordi di Osimo» e ha aggiunto che «è motivo di costernazione ed è potenzialmente estremamente pericoloso mettere in discussione il trattato di pace che l’Italia ha firmato nel ’47».

Ora, oltre che per le assurde e inaccettabili accuse di razzismo e revanscismo, Napolitano, consultatosi immediatamente con il suo consigliere diplomatico Roberto Nigido, si è risentito per l’accusa di revisionismo, dal momento che - ha pensato - nè l’Italia nè personalmente lui possono essere accusati di non aver denunciato a sufficienza i crimini del nazifascismo.

E poi, si è lamentato il Presidente, lui non aveva certo messo in discussione il trattato del ’47 («Figurarsi», sembra abbia esclamato) nè tantomeno il trattato di Osimo. Insomma, le parole di Mesic erano da considerarsi gravi e irricevibili. Ma, non avendo alcun titolo istituzionale per intervenire su questioni di politica estera, al Presidente non restava altro da fare che contattare il titolare della Farnesina. D’Alema, che era a Bruxelles, non ha esitato a definire quella di Mesic «una reazione del tutto immotivata, che stupisce e addolora», riferendo, in sostanza, proprio i sentimenti di Napolitano.

Si è verificato, a questo punto, uno di quei fenomeni che molto raramente avvengono nella politica italiana: esponenti di forze politiche di tutto l’arco parlamentare sono vigorosamente scesi in campo a difesa di Napolitano.

In seguito D’Alema, sempre da Bruxelles, ha annunciato che «non appena prenderemo visione, in modo dettagliato, delle dichiarazioni di Mesic, valuteremo il da farsi». E’ probabile che il governo italiano pretenda delle scuse ufficiali, la mancanza delle quali finirebbe per influire sull’atteggiamento dell’Italia sull’ingresso della Croazia nell’Unione Europea. Il governo italiano si è sempre pronunciato a favore dell’accoglimento della Croazia, nonostante non mancassero motivi di lamentela, a cominciare dalla discriminazione che, fino all’ottobre scorso, hanno subito gli italiani nell’accesso al mercato immobiliare croato. E’ invece ancora aperto l’ormai antico problema dei risarcimenti a favore dei profughi giuliano-dalmati.

 

Dal Corriere della Sera 13-2-2007   Piani segreti, armi e rapine: arrestati 15 br.  Paolo Biondini e Cristina Marrone

 

I brigatisti erano divisi in tre cellule a Milano, Padova e Torino

Operazione nel Nord Italia, tra i capi due delegati Cgil. Il leader, Alfredo Davanzo, viveva in montagna senza riscaldamento

 

 

MILANO — Terroristi italiani. La polizia ne ha arrestati quindici, ieri all'alba, tra Lombardia, Piemonte e Triveneto. Sono accusati di aver organizzato «un'associazione terroristica costituitasi in banda armata», che sotto il nome di «Partito comunista politico- militare» (Pcpm) si richiama alla «seconda posizione», cosiddetta «movimentista», delle Brigate rosse. Divisi in tre cellule di Milano, Padova e Torino, i neo-brigatisti avevano armi, sequestrate dalla polizia, e si esercitavano a sparare nelle campagne di Rovigo e Milano. Tra gli arrestati, due sindacalisti della Cgil, tra cui il presunto capo del «nucleo di Torino». Le «riunioni strategiche», tenute ogni mese in ristoranti soprattutto cinesi (ritenendoli non intercettabili), erano guidate da un terrorista rosso della vecchia guardia, Alfredo Davanzo, latitante dagli anni '80 e rientrato in Italia nel novembre 2006 a fine pena, ma da clandestino, con un documento falso dei complici. Era nascosto a Raveo (Treviso), in montagna, in una casa senza riscaldamento, però con il computer: è l'unico che si è già dichiarato «prigioniero politico».

Nell'ordinanza d'arresto il giudice Guido Salvini definisce i 15 arrestati «il nucleo essenziale» di una «banda armata a tutti gli effetti». Come «costitutori» sono finiti in carcere il capo della cellula di Milano, Claudio Latino, 49 anni, ex dell'Autonomia veneta, il suo «allievo» e successore a Padova, Davide Bortolato, 37, e un incensurato delegato Cgil di Torino, Vincenzo Sisi, 54 anni. Tra gli arrestati a Milano spicca Bruno Ghirardi, già condannato a 22 anni come terrorista dei «Colp», scarcerato nel 2001 e riscoperto nel 2006 a parlare di rapine, ferimenti, «autobombe all'Eni» e attentati al professor Ichino e alla casa di Berlusconi. Elogiando la polizia per aver «salvato vite umane», il pm Ilda Boccassini ha spiegato la centralità delle intercettazioni ambientali nei locali pubblici, dove i quattro capi tenevano le «riunioni strategiche »: «Sono le loro stesse parole ad accusarli». I reati già compiuti sono tutti preparatori: furti di auto e targhe, documenti falsi, un colpo al Bancomat di Albignasego (Padova), la notte del 30 dicembre, sventato dalla polizia facendo suonare «per caso» l'allarme. «Stavano programmando rapine di autofinanziamento, sequestri e azioni contro obiettivi umani — sottolinea il pm —. Erano tre cellule operative, che fino a poche ore fa facevano la lotta armata».

La Digos ha filmato «un'esercitazione notturna con almeno una mitraglietta Uzi e un kalashnikov» nella frazione Beverare a San Martino di Varezze (Rovigo): «Sparavano di notte — rimarca la Boccassini — e il giorno dopo hanno recuperato tutti i bossoli». A vendere le armi era Salvatore Scivoli, 55 anni, siciliano «arrestato giovanissimo per criminalità organizzata e politicizzatosi in carcere fino a firmare gli appelli di Curcio e Franceschini». La dirigente di polizia Giuseppina Suma ha precisato che l'inchiesta era nata dalla scoperta casuale (la telefonata di un'inquilina) in una cantina di via Pepe a Milano di una strana «bicicletta con microcamera nel fanale e radiotrasmittente nel sedile». Dopo mesi di silenzio, le intercettazioni hanno portato a un condomino, Massimiliano Gaeta, risultato «il tecnico» della banda. In maggio «il Sisde del generale Mori» ha allargato le indagini a Torino e Padova. Davanzo gestiva anche «la rivista clandestina Aurora» e organizzava «corsi d'informatica in Svizzera per la sicurezza delle comunicazioni» tenuti dall'estremista Andrea Stauffacher, perquisito ieri dalla procura di Berna. Inquietanti anche gli incontri con brigatisti storici: Ghirardi era amico di Marcello Ghiringhelli, l'ergastolano che ieri si è visto revocare il permesso di lavoro fuori dal carcere.

13 febbraio 2007

 


Da La Stampa 13-2-2007 13/2/2007 (8:32)  Il Papa: la legge non sovverta la famiglia E Ruini annuncia: presto un documento impegnativo e vincolante per i cattolici . Marco Tosatti

 

CITTÀ DEL VATICANO
I vescovi diranno una parola «impegnativa» per i cattolici in tema di «Dico»: l’ha annunciato ieri il cardinale Camillo Ruini; mentre Benedetto XVI ammoniva: non si debbono «trasformare in diritti» quelli che sono «interessi privati o doveri che stridono con la legge naturale».

«Un’applicazione molto concreta di questo principio - ha spiegato il Pontefice - si trova se si fa riferimento alla famiglia, cioè all’intima comunione di vita fondata dal Creatore e regolata con leggi proprie. Essa ha la sua stabilità per Ordinamento Divino. Il bene sia dei coniugi che della società non dipende dall’arbitrio». «Nessuna legge - ha scandito - può sovvertire la norma del Creatore senza rendere precario il futuro della società con leggi in netto contrasto con il diritto naturale». Il Pontefice ha denunciato come, invece della verità, si cerchi il «compromesso tra diversi interessi che inevitabilmente si incontrano», ignorando così «norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore o dal consenso degli Stati, ma precedono la legge umana e per questo non ammettono deroghe da parte di nessuno». Il Pontefice parlava ai partecipanti a un convegno organizzato dall’Università Lateranense, il cui rettore, monsignor Rino Fisichella, ha rivolto un appello affinché i cattolici non votino il ddl sulle coppie di fatto. «Meglio essere lungimiranti oggi, piuttosto che dover chiedere scusa tra venti o trent’anni», ha detto il presule osservando che «ci sono troppi che fanno mea culpa per aver firmato, venti o trent’anni fa, leggi che non firmerebbero più».

Ma le parole più gravide di futuro le ha dette il Presidente della Cei. Uscendo da un convegno organizzato dall’Opera Romana Pellegrinaggi, e richiesto di un commento sui Dico, ha risposto: «Sulla questione sono state già dette da parte nostra tante cose importanti, credo tutto ciò che è necessario, quindi è inutile che aggiunga qualche battuta estemporanea. Potrà essere importante - ha aggiunto - una parola meditata e ufficiale che sia impegnativa per coloro che accolgono il magistero della Chiesa e possa essere chiarificatrice per tutti». E non ha voluto dire di più. I tempi di quella che probabilmente sarà una «Nota» della Cei non sono chiari; ma non sembrano imminenti. E’ probabile che si appoggi su un documento firmato da Ratzinger nel 2003 intitolato «Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali».

Il testo voleva «illuminare l’attività degli uomini politici cattolici» affinché si oppongano a qualsiasi tipo di tutela legale delle unioni omosessuali. Non farlo sarebbe un «atto gravemente immorale». Il documento definiva queste unioni «nocive per il retto sviluppo della società umana» ed esortava i politici a non legalizzare in alcun modo le coppie gay: «Concedere il suffragio del proprio voto ad un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale», ammoniva Ratzinger.

Fortissime le reazioni politiche. Per Boselli «è arrivato il momento di mettere all’ordine del giorno il superamento del Concordato», (messo in dubbio anche dal ministro Ferrero), mentre Cacciari accusa le gerarchie di «un atteggiamento teocratico». Per Gianfranco Fini «la Cei ha tutto il diritto di esprimere un giudizio», e il leghista Calderoli gioisce perché «i cattolici di sinistra sono stati scomunicati dal Santo Padre». Non c’è ingerenza, dice Marco Follini, «ma la politica deve essere autonoma». Mentre per il forzista Enrico La Loggia «l’allarme della Chiesa va recepito con immediatezza».

 

 


 

Da La Repubblica 12-2-2007 Partito democratico, pronto il Manifesto. Dodici saggi dell'Ulivo hanno ultimato il documento per la nuova formazione.


Nel testo si fissano i tempi e i punti fermi del futuro schieramento politico
"Ci impegniamo a nascere nel 2008"

Ribadito il valore della laicità e la volontà di istituzionalizzare le primarie
Sinistra Ds all'attacco: In realtà la via verso il partito nuovo è già nero su bianco

 

ROMA - Il Manifesto è pronto, per veder nascere il partito "di popolo, radicato e diffuso sul territorio, capace di rendere partecipati e condivisi i processi di riforma" bisognerà aspettare invece il 2008. E' quanto si legge nel "Manifesto per il partito democratico", scritto in tre mesi dai 12 "saggi" dell'Ulivo. "Sottoscrivendo questo Manifesto - affermano - ci impegniamo a lavorare con piena convinzione, determinazione e lealtà per fare, a tutti gli effetti, entro la fine del 2008, dell'Ulivo il Partito dei democratici, il nostro partito".

Un testo articolato. Si tratta di un documento di quindici cartelle in tutto, suddivise in tre capitoli: "Noi, i democratici"; "L'Italia, una nazione d'Europa"; "L'Ulivo, il nostro partito". All'interno si afferma che sottoscrivere il manifesto e versare una quota minima "saranno condizione per partecipare, sulla base del principio "una testa, un voto", alla formazione degli organi costituenti, secondo le regole definite in modo consensuale dal coordinamento dell'Ulivo".

L'amore per l'Italia. Il documento, che nelle intenzioni dei promotori dovrebbe essere un primo mattone nella costruzione di un nuovo sistema politico, si apre con una dichiarazione patriottica: "Noi, i democratici, amiamo l'Italia". Il manifesto affronta anche i nodi della collocazione europea, della scelta del leader e della laicità.

Né col Pse né con il Ppe. "Vogliamo contribuire a rinnovare la politica europea dando vita col Pse e le altre componenti riformiste a un nuovo vasto campo di forze, che colmi la carenza di indirizzo politico sulla scena continentale". Il Manifesto risolve così la scottante questione del collocamento del futuro partito nel Parlamento di Bruxelles. Di fronte alle sfide impegnative della contemporaneità, si legge ancora, "tutte le tradizionali famiglie politiche del centrosinistra europeo faticano a trovare da sole risposte adeguate". "Abbattiamo definitivamente - esorta il Manifesto - i muri ideologici del Novecento e cominciamo a costruire ponti, tra culture politiche e settori della società italiana, tra i generi e le generazioni".
Obbligo di primarie. Per quanto riguarda la leadership, il documento vincola il futuro partito a ricorrere allo strumento delle primarie, da utilizzare anche "nelle candidature alle massime cariche di governo, nelle Regioni e negli enti locali". Quanto al rapporto con le fedi, il Partito democratico riconosce la laicità "non come un'ideologia antireligiosa e neppure come il luogo di una presunta neutralità", bensì come "rispetto e valorizzazione del pluralismo".

L'importanza della laicità. "Abbiamo ben chiari - prosegue il testo - i limiti della politica, non crediamo nella onnipotenza dello Stato, difendiamo la sua laicità, abbiamo a cuore la difesa dei diritti civili e lottiamo contro tutte le discriminazioni. Secondo noi la politica e la legge devono intervenire con cautela sui temi che hanno a che fare con la scienza e la tecnica in riferimento alla vita umana, al suo inizio, alla sua fine e alla sua riproduzione. Si tratta di questioni che vanno acquisendo una rilevanza centrale nel dibattito pubblico, perchè sollevano inediti e radicali interrogativi di natura etica, che sfidano l'intelligenza e la coscienza".

Dignità e libertà come valori. "Noi riteniamo - prosegue ancora il Manifesto - che solo il dialogo tra diverse visioni religiose, etiche e culturali può portare a soluzioni normative ragionevoli e condivise, rispettose del criterio irrinunciabile della dignità della persona umana e capaci di far incontrare il valore della libertà di ricerca e di scelta col principio per cui non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente lecito".

Il faro della Costituzione. "In questo quadro - conclude in proposito il documento - riteniamo che i rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica siano stati validamente definiti dalla Costituzione e che ogni sviluppo di quei rapporti debba muoversi nel solco fissato dalla stessa Carta costituzionale".

I dodici "saggi". A redigere il manifesto, dopo l'abbandono di Giorgio Ruffolo, sono stati: Rita Borsellino (che però precisa di non aderire automaticamente al Pd), Liliana Cavani, Donata Gottardi, Roberto Gualtieri, Sergio Mattarella, Ermete Realacci, Virginio Rognoni, Michele Salvati, Pietro Scoppola, Giorgio Tonini, Salvatore Vassallo, Luciano Violante.

La sinistra Ds. Insorge la Sinistra Ds, già in ebollizione congressuale, contro i vertici della Quercia, colpevoli di dire "solo mezze verità" mentre in realtà la via verso il partito nuovo è già nero su bianco. Mussi e compagni sfoggiano sarcasmo contro la maggioranza ed in particolare il segretario Ds Piero Fassino. Duri Carlo Leoni e Fulvia Bandoli: il manifesto sancisce che il Pd nascerà entro il 2008 e quindi "non è una forzatura dire che entro un anno si scioglieranno sia i Ds sia la Margherita".

E l'altra verità scorta dalla minoranza ma anche dai sostenitori della terza mozione di Angius è che "il nuovo partito non aderirà al Pse". La lingua batte dove il dente duole e quindi, è l'analisi di Bandoli, "cercare di tranquillizzare gli incerti (che sono tanti), affermando come fa la mozione Fassino, che i Ds non si sciolgono dopo il congresso di aprile è solo un modo sbagliato e un pò veterocomunistà di dire agli iscritti metà della verita".

Gioca sul sarcasmo anche Cesare Salvi, che ironizzando su ideali e valori, indicati dai saggi, conclude: "Ora l'obiettivo è più ambizioso: riconciliare illuminismo e cristianesimo. Dopo il tentativo di Emanuele Kant, la palla ora passa a Fassino e Rutelli".

(12 febbraio 2007)


 

Dal Corriere della sera 12-2-2007 Ségolène: «patto presidenziale» per la Francia

 

La candidata socialista annuncia le 100 proposte per cambiare volto al Paese, elaborate in cinquemila assemblee pubbliche Massimo Nava

Salario minimo, sanità gratuita, pensioni più alte. Per una nazione «colorata e meticcia»

 

 

PARIGI — È stata la domenica di Ségolène, il lancio del programma tanto atteso dalla sinistra francese dopo gaffes e sondaggi al ribasso. Per due ore, la candidata socialista all'Eliseo, giacca rossa, gonna rossa a pois bianchi, in un tripudio di slogan e bandiere, ha spiegato il catalogo delle speranze, un centinaio di proposte elaborate in 5.000 assemblee pubbliche per portare la gauche alla vittoria, come ai tempi di Mitterrand. Mai nominato, ma presente in spirito e nella coreografia, come un viatico all'allieva prediletta. Ed è stata la domenica del primo confronto pubblico con Nicolas Sarkozy, che ha parlato quasi in contemporanea. I due sfidanti per l'Eliseo hanno scaldato le platee dei militanti e tenuto i francesi incollati a quattro ore di diretta televisiva. Nel fuoco d'artificio di proclami, visioni della Francia di domani e promesse, viene il dubbio che gli estensori dei rispettivi discorsi si siano parlati o che qualche segreto sia filtrato dai quartieri generali della campagna. Non è così, ma non è difficile trovare punti di contatto nella proposta e nella diagnosi della malattia francese. La Royal ha infatti denunciato l'estensione delle aree di povertà e ingiustizia, il fallimento dell'integrazione, il contemporaneo bisogno di rinnovamento e restaurazione, la voragine del debito pubblico. Per rimettere in sesto la Francia e tenere insieme la sinistra, la candidata socialista ha annunciato alcune proposte di carattere sociale e solidaristico (aumento del salario minimo e delle pensioni, assistenza sanitaria gratuita per i giovani, intervento pubblico per favorire l'acquisto della prima casa), senza attenuare un progetto moderno e riformista che si rifà alle socialdemocrazie del nord Europa: flessibilità, educazione permanente, ricerca, innovazione, ecologia. La sintesi è un «patto presidenziale» per una Francia «colorata e meticciata» in cui Ségolène afferma l'ordine, la restaurazione di alcuni valori nazionali, l'impegno ecologico, le riforme istituzionali, il decentramento amministrativo e un maggior potere di controllo del parlamento, l'apertura e il dialogo con l'opposizione, il negoziato con le parti sociali, la critica al Patto di stabilità e alla Bce, la fiscalità rapportata all'inquinamento e alle delocalizzazioni di imprese, la fustigazione delle speculazioni e delle rendite finanziarie. Una parte importante del discorso è stata dedicata alla politica internazionale, con l'intento di correggere l'impressione d'incertezza offerta nel corso degli ultimi viaggi all'estero. Ségolène ha parlato di diritti umani in Russia e in Cina, di aiuto allo sviluppo e di rilancio del processo costituzionale europeo. «Non voglio che l'Europa sia soltanto una zona di libero scambio», ha aggiunto.

Nel rapporto con gli Stati Uniti ha forse marcato il punto di maggiore differenza con Sarkozy. La candidata socialista vuole un rapporto senza complessi: «La taglia del Paese non ha niente a che vedere con i principi», ha detto. Con lei all'Eliseo, la politica estera della Francia ricorderà piuttosto l'ultimo Chirac: multipolarità, dialogo con il Mediterraneo, aiuti allo sviluppo, impegno per la pace, diversità culturale. «Con i nuovi giganti emergenti occorre reinventare le regole del gioco», ha aggiunto riferendosi a Brasile, India, Sud Africa. Naturalmente sono diverse le tonalità, a beneficio dei rispettivi eserciti. Nell'immaginario della sinistra, Sarkozy è la destra autoritaria che impone la legge dei padroni, il liberismo selvaggio. E per la destra, Ségolène è la sinistra arcaica che pensa di risolvere i problemi allargando assistenzialismo e spese dello Stato. Ma il primo round della campagna elettorale ci dice che entrambi hanno cominciato la corsa verso il grande centro, la piccola e media borghesia francese che — come ormai avviene in tutte le democrazie occidentali — determina la vittoria del candidato con scarti minimi. Corsa d'immagine e di comunicazione, di fascino e competenza, più che di promesse e soluzioni forzatamente pragmatiche e obbligate fra i paletti della mondializzazione e della spesa pubblica. Per entrambi, il pericolo viene dal «terzo uomo», quel François Bayrou che guadagna consensi fra i moderati dei due campi. Chi si attendeva da Ségolène una svolta a sinistra, per galvanizzare le truppe un po' disorientate dai primi passi della campagna, è rimasto deluso. La candidata socialista mantiene la rotta e rilancia le proposte più provocatorie che l'hanno resa famosa all'inizio della corsa: l'inquadramento militare dei giovani delinquenti, le giurie popolari, la responsabilizzazione dei genitori, la revisione della «carta scolastica» per consentire maggiore libertà di scelta nelle iscrizioni. L'istruzione è la priorità assoluta: «la battaglia in cui si tengono insieme famiglia, sicurezza, lavoro e sviluppo». Nello stesso tempo, Ségolène insegue Sarkozy sul terreno di valori e sentimenti nazionali che in Francia trapassano gli orientamenti politici: Rivoluzione, Nazione, Illuminismo. «Oggi vi propongo un patto presidenziale perché la Francia ritrovi ambizione, orgoglio e fratellanza. Oggi come madre penso ai figli di tutti i francesi e alle generazioni future», ha urlato con gli occhi lucidi.

12 febbraio 2007

 


 

 Da La Repubblica 13-2-2007 Londra, niente mutua per obesi e fumatori. Cinzia Sasso

 

In vari ospedali la nuova politica è già applicata. Applaudono anche i conservatori: "Basta sprechi". Ma c'è chi insorge: "E' discriminazione"

Il ministro della salute: "Inutile operarli se non cambiano stile di vita"
dal nostro inviato

 

LONDRA - Il governo del laburista Tony Blair lo aveva annunciato a gennaio: la sanità pubblica potrebbe negare le cure a quei cittadini che conducono uno stile di vita notoriamente dannoso per la salute. Obesi e fumatori, indifferenti alle martellanti campagne che per il bene loro e della società vogliono spingerli a smettere di mangiare troppo e di fumare, saranno curati per ultimi, o solo dopo che avranno intrapreso una cura dimagrante e buttato nel cestino per sempre il pacchetto di sigarette.

Ieri un'autorevole presa di posizione del ministro per la salute, Patricia Hewitt, ha solennizzato il nuovo indirizzo politico, attribuendogli un valore medico oltreché economico: "È un approccio che ha senso sotto il profilo clinico", ha detto il ministro. "È logico che un medico tenga presenti fattori importanti come il peso eccessivo o la dipendenza dal tabacco quando deve decidere se indirizzare un paziente verso la sala operatoria". Numerosi interventi, ha spiegato, hanno un tasso di riuscita molto inferiore alla media se compiuti su persone che fumano molto o che sono sovrappeso. Far spendere alle casse dello Stato tanto denaro per interventi che poi si rivelano inutili, è uno spreco che va cancellato. "Noi - ha aggiunto - vogliamo che la gente impari a prendersi cura di se stessa".

Le parole del ministro arrivano dopo che in molti ospedali gestiti dal servizio sanitario nazionale, l'Nhs, il suo "indirizzo" è già praticato: nel Suffolk, ad esempio, le operazioni al ginocchio o all'anca non vengono praticate a chi ha una massa corporea troppo superiore a quella ritenuta giusta. Mentre per i bypass cardiaci i fumatori vengono messi nelle liste per ultimi. E una circolare diffusa negli ospedali chiarisce: "Se la malattia è causata da ragioni dovute a comportamenti soggettivi sbagliati, è appropriato tenerne conto". Visitati dai medici, riconosciute le loro necessità, questi malati si sentono rispondere: "Vada a casa, dimagrisca (oppure smetta di fumare) e poi torni".
Quello che viene presentato come un nuovo approccio alla salute è dettato in realtà dalle difficoltà sempre crescenti delle casse della sanità pubblica, che non ce la fa più a far fronte a tutte le richieste e che è costretta ad operare delle scelte. Una è questa nuova politica di "discriminazione" che non raccoglie però unanimi consensi.

Se i conservatori, per una volta, apprezzano le parole del ministro di Blair, molti medici dicono che facendo così si negano a fumatori e obesi operazioni in grado di migliorare la loro qualità di vita. "L'idea - ha dichiarato il ministro-ombra della Sanità Andrew Lansley - è buona. Incoraggia la gente a perdere peso o a smetterla con un'abitudine negativa come il fumo. Ovviamente se l'operazione è urgente va fatta senza indugi".

Il dottor Colin Waine, invece, presidente del National Obesity Forum, mette in dubbio i criteri usati per calcolare quale sia il peso "giusto" per poter essere operati e spiega che un adulto su cinque supera quello che viene considerato l'indice di massa corporea ideale. Mentre Forest, un'associazione di fumatori, sale sulle barricate: "È inaccettabile. Chi ha il vizio delle sigarette è già discriminato e non deve esserlo ancora di più. Non fosse altro perché i dieci miliardi spesi per curare i fumatori sono esattamente la stessa cifra incassata dall'erario per la vendita del tabacco".

Per far digerire quella che si annuncia come una vera e propria rivoluzione, dato che fino ad oggi tra i capisaldi dell'assistenza sanitaria c'era il principio che non si può fare alcuna discriminazione tra malati e malattie, Blair ha coinvolto i cittadini formando dei focus group che a marzo renderanno note le conclusioni del loro lavoro. Curare l'obesità oggi costa 10 miliardi di euro l'anno; le malattie contratte in conseguenza del fumo costano più di 20 miliardi. Ai cittadini è stato chiesto: "Se tu fossi un ministro, che cosa faresti?"


(13 febbraio 2007)


INDICE 12-2-2007

 

+++ Dal Corriere della Sera 12-2-2007 Foibe: presidente croato attacca Napolitano. Mesic: «È impossibile non intravvedere elementi di aperto razzismo, revisionismo storico e revanscismo politico» 

+++ Da La Repubblica 12-2-2007 Operazione antiterrorismo, 15 arresti Ci sono alcuni sindacalisti Cgil, già sospesi
Dal Corriere della Sera 12-2-2007 Foibe: presidente croato attacca Napolitano. Mesic: «È impossibile non intravvedere elementi di aperto razzismo, revisionismo storico e revanscismo politico»  19

Da Il Tempo 12-2-2007. Lettera aperta a Ruini «I vescovi si facciano sentire di più» Lettera di Francesco Cossiga  20

Da La Repubblica 12-2-2007 Il Papa: "Nessuna legge può sovvertire la famiglia" E Ruini annuncia "una nota ufficiale, chiara e vincolante" della Chiesa contro i dico  21

Dal Corriere della Sera 12-2-2007  Il presidente della Cei sulle coppie di fatto: in arrivo «una parola meditata, impegnativa per i cattolici»  22

Dal Corriere della Sera 12-2-2007  Indagine Istat aggiornata al 2005. Sempre meno matrimoni, più coppie di fatto  22

Da L’Unità 12-2-2007 Coppie di fatto, sono già 500mila Baby boom fuori dal matrimonio. Ma la Cei: presto direttive vincolanti 23

Da La Repubblica 12-2-2007 Amato: "Amarezza per la Chiesa"  D'Alema: "Avanti così, il governo c'è" di Massimo Giannini 23

Da La Stampa 12-2-2007  Dico, parte la corsa ai ritocchi  di Giacomo Galeazzi 24

Da Il Sole 24 Ore 12-2-2007  Export, le Province di Reggio Emilia e Modena al top, si allarga la forbice con il Sud  25

 


 

 

 

Dal Corriere della Sera 12-2-2007 Foibe: presidente croato attacca Napolitano. Mesic: «È impossibile non intravvedere elementi di aperto razzismo, revisionismo storico e revanscismo politico»

Le parole del capo dello stato pronunciate sabato scorso

ZAGABRIA - Il presidente della Croazia, Stipe Mesic, si è detto «costernato» dalle dichiarazioni di sabato scorso del presidente italiano Giorgio Napolitano in occasione della Giornata del ricordo delle foibe e dell'esodo «nelle quali è impossibile non intravvedere elementi di aperto razzismo, revisionismo storico e revanscismo politico». Lo si legge in un comunicato dell'Ufficio della presidenza della Repubblica di Croazia. Mesic si è anche detto «spiacevolmente sorpreso dal contenuto e dal tono» di Napolitano. In precedenza Mesic aveva affermato che «la Croazia ritiene che ogni tentativo di mettere in questione gli accordi di Osimo (che regolarono definitivamente la frontiera fra Italia e l’allora Jugoslavia), ereditati dalla Croazia come uno dei successori della Jugoslavia, è assolutamente inaccettabile».

PULIZIA ETNICA - La parte del discorso di Napolitano che ha acceso più polemiche in Croazia è quella in cui il capo dello Stato ha parlato dei fiumani e dei dalmati come vittime di un «moto di odio e di furia sanguinaria e di un disegno annessionistico slavo che prevalse nel Trattato di pace del 1947 e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica». La replica di Mesic è un colpo all'incontro di riconciliazione e riappacificazione tra Italia-Slovenia-Croazia al quale sta lavorando la diplomazia italiana.

COMMENTI IN CROAZIA - Alcuni in Croazia hanno voluto vedere un'indiretta replica di Napolitano a Mesic che, in una precedente intervista alla Rai, aveva definito l'eccidio delle
foibe «una reazione ai crimini fascisti». Secondo Damir Kajin, deputato della Dieta democratica istriana (partito regionalista croato di sinistra), «preoccupa che un simile commento sia arrivato da un presidente che proviene dalla sinistra. L'esodo degli italiani dall'Istria è senz'altro l'ultimo capitolo della politica imperialista del fascismo, ma nessun crimine può essere amnistiato da un altro crimine commesso prima».
Toni Tadic, deputato del Partito del diritto (destra), sostiene che «tenendo conto di tutto ciò che hanno fatto in Croazia e in altri Paesi, gli italiani sono gli ultimi che possono dare lezioni su genocidi e pulizie etniche».
Il rappresentante del gruppo nazionale italiano in Croazia al Parlamento di Zagabria, Furio Radin, si è detto perplesso dal tono della polemica «che non è nello spirito di tolleranza che noi abbiamo costruito in Istria».

CASINI: INTERMITTENTE LA MEMORIA CROATA» - «La Croazia deve entrare in Europa, ma non può certo avere una memoria a intermittenza», ha ribattuto da Trieste Pierferdinando Casini.

12 febbraio 2007


Da La Repubblica 12-2-2007 Operazione antiterrorismo, 15 arresti Ci sono alcuni sindacalisti Cgil, già sospesi

Blitz della Digos a Milano, Padova, Trieste e Torino, 500 agenti impegnati
I membri dell'organizzazione filmati con le armi. Si autofinanziavano con rapine

Una lunga inchiesta avviata nel 2004 e coordinata da Ilda Boccassini
I militanti avevano una struttura articolata e si esercitavano a sparare nella Bassa Padana

ROMA - Quindici persone arrestate, tutti militanti di un'organizzazione dell'ala movimentista delle Brigate Rosse, la cosiddetta "Seconda posizione". Fra loro ci sono alcuni sindacalisti della Cgil, che sono stati subito sospesi. E' il primo bilancio di una vasta operazione antiterrorismo che ha impegnato le questure di Milano, Padova, Torino e Trieste con il coordinamento della Direzione centrale della Polizia di prevenzione. I militanti sono accusati, fra l'altro, di associazione sovversiva e banda armata.

Sei gli arresti e una ventina di perquisizioni a Padova, almeno un arresto a Milano e a Torino. Almeno settanta indagati. I militanti finiti in carcere, secondo i primi accertamenti, si erano dati una struttura articolata e si esercitavano a sparare nella Bassa Padana. Tali esercitazioni sarebbero state anche filmate dalla Digos. Ai quindici, secondo indiscrezioni, è stato contestato il progetto di un attentato. Anzi, il ministro dell'Interno Amato, ha dichiarato: "Probabilmente lo abbiamo sventato".

L'operazione ha origine da un'indagine, iniziata dalla Digos di Milano nell'agosto del 2004, e coordinata dal procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano Ilda Boccassini, avviata in seguito al rinvenimento, in una cantina, di documentazione di natura eversiva e materiale riconducibile ad attività illegali (passamontagna, attrezzatura tecnica per fiamma ossidrica, timer ed altra strumentazione elettronica). Il gruppo si sarebbe autofinanziato con rapine.

Una quindicina le ordinanze di custodia cautelare, firmate a Milano dal gip Guido Salvini, che la polizia ha eseguito in tutto il Nord Italia. Nel corso dell'operazione condotta dalla polizia sono state eseguite numerose perquisizioni. Oltre 500 gli agenti impegnati, con l'impiego di unità cinofile antisabotaggio, elicotteri e nuclei degli artificieri. L'annuncio del blitz è arrivato dal Direttore Centrale dell'Ucigos, Prefetto Carlo De Stefano.

I nomi. Tra gli arrestati c'è Alfredo D'Avanzo, 49 anni, ritenuto uno dei leader di 'Seconda posizione'. D'Avanzo era stato condannato nell' 82 a dieci anni di carcere per rapina a mano armata. Fermato nel '98 a Parigi su richiesta della magistratura italiana, fu rimesso in liberta' qualche giorno dopo dalla Corte d' Appello della capitale francese. E' stato preso a Raveo, un piccolo centro agricolo, settenta chilometri a Nord di Udine.

Fra i militanti fermati a Padova, ci sono attivisti del Cpo, centro popolare occupato, "Gramigna".

Risulta agli arresti anche Bruno Ghirardi, ex appartenente ai Colp (Comunisti organizzati per la liberazione del proletariato). Ghirardi era libero, dopo aver scontato una ventina d'anni di prigione per una condanna subita nel 1984. I Colp erano un gruppo attivo in Italia e collegato in Francia con Actione Directe.

L'elenco degli arrestati Per cinque giorni non potranno avere contatti con gli avvocati, secondo una norma del Codice di procedura penale viene applicato raramente. Ecco i nomi. Davide Bortolato, 36 anni; Amarilli Caprio, 26 anni; Alfredo D'Avanzo, 49 anni; Bruno Ghirardi, 50 anni; Massimiliano Gaeta, 31 anni; Claudio Latino, 49 anni; Aldredo Mazzamauro, 21 anni; Valentino Rossin, 35 anni; Davide Rotondi, 45 anni; Federico Salotto, 22 anni; Andrea Scantamburlo, 42 anni; Vincenzo Sisi, 53 anni; Alessandro Toschi, 24 anni; Massimiliano Toschi, 26 anni; Salvatore Scivoli, 54 anni.

(12 febbraio 2007)

 


Da Il Tempo 12-2-2007. Lettera aperta a Ruini «I vescovi si facciano sentire di più» Lettera di Francesco Cossiga

 

Proprio ieri, una delle figure più eminenti dell'intellettualità cattolica, il grande storico Pietro Scoppola, già senatore della Democrazia Cristiana e uno dei leader storici del "dissenso cattolico" in riferimento alle indicazioni della Gerarchia Cattolica ai tempi del referendum abrogativo della legge che introduceva il divorzio anche per i matrimoni concordatari, ha definito questo documento una testimonianza esemplare del così detto "cattolicesimo democratico". La situazione è diventata più confusa quando i laicisti e i giornali che ne sono espressione hanno violentemente attaccato il Santo Padre per le parole da lui dette, pur senza riferimento alcuno all'Italia, di difesa della famiglia tradizionale basata sul matrimonio tra un uomo e una donna e di condanna del riconoscimento di unioni basate su amori sbagliati e disordinati, giusta la tradizionale dottrina morale della Chiesa Cattolica. Si è invocata la separazione tra Stato e Chiesa, si è condannata la così detta "ingerenza del Vaticano", si è prospettata da parte di un grande giornalista, letterato, filosofo e ora anche neo-teologo "liberal" la prospettiva di una denuncia del Concordato e addirittura, con grande genialità! di una sua declaratoria di decadenza da parte della Corte Costituzionale, in forza della condizione generale che si deve intendere apposta agli accordi internazionali, la clausola "rebus sic stanti bus": cosa invero non del tutto peregrina, data la composizione ideologica e politica della Corte stessa. Il quotidiano del maggior partito della maggioranza ha oggi dedicato un'intera pagina, con fotografia, ad un arcivescovo emerito e cardinale di Santa Romana Chiesa, celebrandone le idee "progressiste", dall'eutanasia al futuro possibile sacerdozio delle donne, in opposizione a quelle "reazionarie" dell'attuale Papa Benedetto XVI. Naturalmente, non vi è stata neanche una parola di condanna di questo attacco laicista alla Chiesa, al Papa e alla Santa Sede, da parte degli zelanti "cattolici democratici" che, a stare al loro citato documento e alle loro tendenze "ecclesiali", frutto di un elaborato pensiero post-conciliare che si rifà in Italia autorevolmente a Giuseppe Dossetti e alla così detta scuola di Bologna, penso condividano queste critiche, non certo però, essendo tutti buoni cattolici, almeno nel tono. Il documento dei "cattolici democratici" ha avuto come effetto l'allineamento con le loro posizioni di una cara collega, la senatore Paola Binetti, "numeraria" dell'Opus Dei, che ha con chiarezza approvato la proposta Pollastrini-Bindi in base al criterio morale del "male minore", allineamento che, oltre ai consigli del leader del La Margherita Francesco Rutelli, quelli nel quale: "L'Episcopato tanto confida"! ha provocato il definitivo "disbandamento" della coraggiosa pattuglia dei "teodem" de La Margherita, sostenitori solitari nel centrosinistra delle "tesi reazionarie" della Chiesa. Con molta franchezza, Le debbo dire che gran parte della responsabilità dell'attuale situazione è da ascriversi all' "assordante silenzio" dei vescovi italiani, escluso il caro antico amico, amico sempre anche se da lui spesso ho dissentito, il coraggioso e sincero Mons. Bettazzi, Vescovo Emerito di Ivrea, che ha detto parole chiare a favore della proposta Pollastrini-Bindi. Io comprendo benissimo le difficoltà in cui si dibatte la Conferenza Episcopale Italiana a motivo delle chiare divisioni politiche che esistono, oltre che nel laicato, i cui esponenti cattolici di centrosinistra, dputati, già dirigenti dell'azione cattolica milanese, hanno addirittura un arcivescovo candidato alla Sua successione e in una incredibile intervista su uno dei quotidiani italiani più prestigiosi, ne palesano incredibilmente il nome e l'attuale ufficio, ma anche notoriamente nel clero e nell'Episcopato, ciò che potrebbe essere, insieme al timore di voler mutare gli attuali fragili equilibri parlamentari, la causa del silenzio dei vescovi. E non è forse una ben strana situazione della Chiesa d'Italia se un suo certamente fedele aderente che è anche un convinto cattolico-democratico e che ricopre l'ufficio di presidente del consiglio dichiara che non vi sono polemiche su i Di.Co. e che si rifiuta di commentare gli ormai dilaganti e violentissimi attacchi al Vaticano e personalmente al Papa anche da parte di alti esponenti della coalizione che lo ha espresso e lo sostiene? Mi rendo contro che la Conferenza Episcopale deve inquadrare il problema dei "pacs all'italiana" nelle più ampie problematiche che riguardano la posizione della Chiesa in Italia, Chiesa che certamente oggi gode di ampi privilegi da parte delle leggi civili dello Stato, e che non possono certo così disinvoltamente essere esposti a già da partiti di governo annunciate ritorsioni e al limite sacrificati. Studioso dilettante di storia della teologia, mi permetto di ricordarle che in materia molto più grave di quella di cui oggi si tratta, relativa ai rapporti tra Grazia, meriti e predestinazione, un Papa, nella famosa "disputatio de auxiliis" tra teologi dell'Ordine dei Predicatori e teologi della Compagnia di Gesù, Papa Paolo V nel 1607 impose che si mettesse fine alle reciproche accuse di "erroneità", e lasciò libertà di opinione. Se la Conferenza Episcopale Italiana ritiene che anche sul piano della virtù cardinale della "prudenza"-la "misura di ogni virtù'" per dirla con Tomaso d'Aquino, che permette non di affermare il falso ma di tacere il vero-, essa, proclamati i principi, possa lasciare ai laici cattolici membri del Parlamento la piena libertà di attuarli nella loro autonoma responsabilità nelle leggi civili, anche secondo il criterio del "male minore", lo dica chiaramente. Che se poi essi, i vescovi italiani, ritengano che la proposta Pollastrini-Bindi possa essere votata, magari per il criterio del "male minore", a me, da cattolico liberale che rischia ormai di apparire "teocon", "non mi sembrerà vero"! Ma fino a quel momento io obbedirò alle indicazioni del mio Vescovo, che è anche Vescovo, a quanto mi sembra, con diretta e immediata giurisdizione sulla Chiesa Universale, e quindi anche sulla Chiesa italiana, e quindi oltre che…su di me, su Romano Prodi, su Rosy Bindi e su Paola Bineti, su Franco Marini, su Francesco Rutelli e Dario Franceschini, e su i cattolici-democratici. Comunque, è giunto il momento che i vescovi italiani ormai parlino, e si pronunzino chiaramente e in prima persona, e non attraverso editoriali di pur autorevoli giornali o comunicati di agenzie di stampa cattoliche, ai cui enunciati neanche i più oltranzisti sostenitori del pur discusso anche tra i teologi e canonisti cattolici, Motu Proprio "Ad tuendam fidem" sostengono si debba dare assenso interiore ed esteriore! E non si nascondano più dietro un Papa coraggioso che, con il loro silenzio, essi stanno pericolosamente scoprendo di fronte alle forze politiche e allo Stato italiano da esse governato. Non lo chiedo certo per me, perché essendo io diocesano della Capitale, e soggetto quindi alla potestà di insegnare, giudicare e santificare del Vescovo di Roma, e avendo il mio Vescovo parlato forte e chiaro a differenza dei vescovi italiani, so bene quale è il mio dovere di cattolico membro del Parlamento, e che quindi voterà di conseguenza. Confermandole la mia stima ed amicizia, La prego di credermi, signor Cardinale,

suo affezionatissimo e devoto amico Francesco Cossiga
lunedì 12 febbraio 2007

 


Da La Repubblica 12-2-2007 Il Papa: "Nessuna legge può sovvertire la famiglia" E Ruini annuncia "una nota ufficiale, chiara e vincolante" della Chiesa contro i dico

Si intensifica l'offensiva vaticana contro la proposta di legge sulle unioni civili
Il Pontefice: "Nessuna legge degli uomini può cambiare quella naturale stabilita dal Creatore"

ROMA - Prosegue senza sosta, l'offensiva vaticana contro i Dico, la regolarizzazione delle unioni civili contenuta nel disegno di legge messo a punto dal governo. Questa mattina, il presidente della Cei, Camillo Ruini, ha annunciato una "nota ufficiale, una parola meditata, che sia impegnativa per coloro che accolgono il magistero della Chiesa e che possa essere chiarificatrice per tutti". Poco dopo è stato il Papa, in prima persona, a intervenire: "Sovvertendo il matrimonio si mette a rischio la società", ha affermato.

Il Pontefice lo ha detto ricevendo in udienza i partecipanti di un convegno dedicato al diritto naturale organizzato dall'Università del Laterano. Parole pesantissime, quelle pronunciate da Benedetto XVI. A suo giudizio, dunque, non si devono "trasformare in diritti" quelli che sono "interessi privati, o doveri che stridono con la legge naturale". "Un'applicazione molto concreta di questo principio - ha spiegato infatti il Pontefice - si trova se si fa riferimento alla famiglia, cioè all'intima comunione di vita fondata dal Creatore e regolata con leggi proprie. Essa ha la sua stabilità per ordinamento divino. Il bene sia dei coniugi che della società non dipende dall'arbitrio".

E perciò "nessuna legge - ha scandito il Papa - può sovvertire la norma del Creatore senza rendere precario il futuro della società con leggi in netto contrasto con il diritto naturale".

Quanto a Ruini, è intervenuto a margine del convegno nazionale dell'Opera romana pellegrinaggi, annunciando una nota ufficiale sul tema. Senza precisare, però, i tempi. Alla richiesta di un (ennesimo) commento sul disegno di legge sulle convivenze di fatto, Ruini ha risposto: "Se queste cose sono state già dette da parte nostra tante cose importanti e, credo, tutto ciò che è necessario. Quindi è inutile che io aggiunga qualche battuta estemporanea".
"Potrà essere importante - ha proseguito subito dopo - una parola meditata, una parola ufficiale - chiara e vincolante - che sia impegnativa per coloro che accolgono il magistero della Chiesa e che potrà essere chiarificatrice per tutti".

(12 febbraio 2007)


 

Dal Corriere della Sera 12-2-2007  Il presidente della Cei sulle coppie di fatto: in arrivo «una parola meditata, impegnativa per i cattolici»

 

Il cardinale non precisa i tempi di questo documento dei vescovi

Dico, Ruini annuncia una «nota ufficiale»

ROMA - Il presidente della Cei, Camillo Ruini, annuncia a proposito dei Dico «una parola meditata, una parola ufficiale, che sia impegnativa per coloro che accolgono il magistero della Chiesa e che possa essere chiarificatrice per tutti». Il cardinale non ha precisato i tempi di questa nota dei vescovi italiani. Lo ha detto a margine del convegno nazionale dell'Opera romana pellegrinaggi.
Alla richiesta di un commento sul disegno di legge sulle convivenze di fatto, il presidente dei vescovi ha risposto: «Su queste cose sono state già dette da parte nostra tante cose importanti e, credo, tutto ciò che è necessario. Quindi è inutile che io aggiunga qualche battuta estemporanea». «Potrà essere importante - ha proseguito subito dopo - una parola meditata, una parola ufficiale che sia impegnativa per coloro che accolgono il magistero della Chiesa e che potrà essere chiarificatrice per tutti».

12 febbraio 2007

 

Dal Corriere della Sera 12-2-2007  Indagine Istat aggiornata al 2005. Sempre meno matrimoni, più coppie di fatto

 

Le unioni non sigillate dal vincolo nuziale sono 500 mila, più del doppio rispetto a 10 anni fa. Bambini nati fuori dalle nozze: 15%

 

ROMA - In Italia ci si sposa sempre di meno mentre aumentano le famiglie al di fuori del vincolo del matrimonio. Secondo i dati Istat aggiornati al 2005 e resi noti oggi, sono infatti oltre 500 mila le coppie di fatto, un «fenomeno in rapida espansione (solo 10 anni fa erano meno della metà), anche se in Italia le libere unioni non sono ancora così frequenti come in altri paesi europei».

MATRIMONI DIMEZZATI - Nel 2005 sono stati celebrati poco più di 250mila matrimoni. Un numero in continua diminuzione dal 1972, anno in cui si sono registrate poco meno di 419mila nozze, ad eccezione di un lieve recupero nei primi anni Novanta. «Questo fenomeno - spiega l'Istat - va interpretato nel quadro più generale delle trasformazioni dei comportamenti familiari. Sono infatti sempre più numerose le coppie, ormai oltre 500mila, che scelgono di formare una famiglia al di fuori del vincolo del matrimonio». Emerge inoltre che «accanto alle convivenze prematrimoniali cresce l'accettazione sociale della convivenza come modalità di formazione della famiglia alternativa al matrimonio. La conferma di questo mutato atteggiamento arriva anche dalle informazioni sulle nascite rilevate dall'Istat, che consentono di monitorare quella che possiamo definire la «punta dell'iceberg» del fenomeno delle libere unioni, ovvero la frequenza delle coppie di fatto con figli.

RADDOPPIATI BAMBINI FUORI DAL MATRIMONIO - L'incidenza di bambini nati al di fuori del matrimonio è, attualmente, intorno al 15%, cioè quasi 80mila nati all'anno, quasi il doppio rispetto a 10 anni fa, quando questo valore era pari all'8%.

NOZZE POSTICIPATE - Insieme alla diminuzione dei matrimoni si è rafforzata la tendenza alla posticipazione delle nozze verso età più mature: gli sposi alle prime nozze hanno un'età media che è intorno 32 anni e le spose quasi 30 anni, 4 anni in più dell'età che avevano in media i loro genitori al primo matrimonio. Questi quattro anni di posticipazione sono dovuti, in molti casi, al completamento degli studi o alla ricerca di un lavoro, oppure al desiderio di trascorrere un periodo godendo di tutti i vantaggi economici, organizzativi e talvolta anche emotivi di una permanenza lunga nella famiglia di origine.

La tendenza alla diminuzione dei matrimoni e al ritardo delle nozze è diffusa in tutto il Paese, anche se il fenomeno presenta delle importanti differenze territoriali: ci si sposa più al Sud e nelle Isole (rispettivamente 4,9 e 4,6 matrimoni per 1.000 abitanti nel 2005) che al Nord (3,8 per per 1.000 abitanti). Le regioni dove si registra il massimo e il minimo dei matrimoni sono rispettivamente la Campania (5,3 nozze per 1.000 abitanti) e l'Emilia-Romagna (3,5). Laddove i matrimoni sono più frequenti, inoltre, l'età media degli sposi diminuisce: le ragazze campane, per esempio, hanno in media 27,9 anni alle prime nozze, mentre in molte regioni del Nord l'età media delle spose al primo matrimonio supera i 30 anni.

12 febbraio 2007


 

Da L’Unità 12-2-2007 Coppie di fatto, sono già 500mila Baby boom fuori dal matrimonio. Ma la Cei: presto direttive vincolanti

Continua la “guerra” del Vaticano sulle coppie di fatto. Che sia in un discorso pubblico, in un’intervista o a mezzo stampa, ogni giorno il Vaticano ribadisce il suo «no» e chiama i politici cattolici alle barricate per affondare i «Dico» che stanno per arrivare in Parlamento. Così come era avvenuto per la legge sulla fecondazione assistita, le gerarchie ecclesiastiche non ne vogliono sapere della laicità e del diritto a legiferare in piena autonomia da parte di uno stato sovrano e anzi rivendica non solo il diritto-dovere di parlare e di ribadire i propri principi, ma a interviene direttamente per condizionare il legislatore. Così l’ultima sferrata arriva lunedì dal cardinal Ruini. «Sui Dico potrà essere utile che più avanti la Chiesa si esprima in modo impegnativo per coloro che seguono il suo insegnamento e chiarificatore per tutti» dice il presidente della Cei a margine del Convegno dell'Opera Romana che annuncia: «Una parola meditata, una parola ufficiale, che sia impegnativa per coloro che accolgono il magistero della Chiesa e che possa essere chiarificatrice per tutti».
Intanto anche nel centrosinistra la componente ultracattolica del «teodem», viste le pressioni sempre crescenti delle gerarchie ecclesiastiche, già promette limature al ribasso. Mentre la destra, che purtroppo trova sponda nel ministro Mastella, si è completamente allineata alla campagna dei vescovi, anche nella componente liberale, e già annuncia imboscate, in Senato per cominciare.
La domanda che sorge spontanea è? Ma come è possibile che la Chiesa, così come le componenti ultra-teo (di destra e di sinistra) della politica non vedano l’Italia reale che dovrebbero rappresentare? Già da tempo sondaggi e statistiche ci dicono che in Italia non solo ci si sposa sempre di meno (un dato in calo dal 1972) ma si sceglie di formare una famiglia al di fuori del vincolo del matrimonio: secondo i dati Istat aggiornati al 2005 e resi noti lunedì, sono infatti oltre 500 mila le coppie di fatto, un «fenomeno in rapida espansione (solo 10 anni fa erano meno della metà), anche se in Italia le libere unioni non sono ancora così frequenti come in altri paesi europei».
Che cresca l'accettazione sociale della convivenza come modalità di formazione della famiglia alternativa al matrimonio lo confermano i dati sulle coppie di fatto con figli. L'incidenza di bambini nati al di fuori del matrimonio è, attualmente, intorno al 15%, cioè quasi 80mila nati all'anno, quasi il doppio rispetto a 10 anni fa, quando questo valore era pari all'8%.


Da La Repubblica 12-2-2007 Amato: "Amarezza per la Chiesa"  D'Alema: "Avanti così, il governo c'è" di Massimo Giannini

Il ministro dell'Interno e il vicepremier, laici ma da sempre attenti ai temi dell'etica e della famiglia, commentano l'atteggiamento vaticano sui Pacs

 

ROMA - "Amarezza, profonda amarezza per le posizioni della Chiesa...". Anche i laici più sensibili ai temi dell'etica e della famiglia, come Giuliano Amato e Massimo D'Alema, in questi giorni di dialettica aspra tra Stato e Chiesa non possono nascondere il loro rammarico. Da "cattolico adulto", Romano Prodi si limita a ripetere che quella appena approvata dal governo è "una buona legge, che andava fatta e che rispetta i principi costituzionali sulla tutela della famiglia".

Da laico non credente, eppure rispettoso dei valori religiosi e del ruolo della Chiesa, il vicepremier e ministro degli Esteri si spinge un passo più in là: "Sono stupito - dice - perché l'offensiva del Vaticano sul disegno di legge che istituisce i "Dico" è qualcosa di inedito, nella storia dei rapporti tra Stato e Chiesa".

Inedito per la forma: da venerdì in poi, le gerarchie sono scese in campo a tutti i livelli. Da Papa Ratzinger alla Cei, dalla Sir all'Osservatore Romano, dai singoli cardinali ai parroci nelle omelie di ieri. Ma inedito anche per la sostanza: in nessun'altra occasione, nemmeno ai tempi del divorzio, gli interventi vaticani avevano sconfinato, sul terreno dei diritti civili e oltre il perimetro delle materie strettamente concordatarie.

Per questo D'Alema non è solo amareggiato, ma anche sorpreso: "In altri tempi - osserva - avremmo definito questa massiccia campagna come 'clericale'. Oggi, giustamente, ci asteniamo dal farlo. Ma resta l'anomalia di un attacco così severo, allo Stato e alle sue leggi". Un attacco che, a metà della settimana che si è appena conclusa, ha prestato il fianco alle interpretazioni più diverse. C'è persino chi, anche a Palazzo Chigi, ha sospettato che un unico "filo rosso" unisse l'attacco sempre più altisonante e lacerante della Chiesa sui Dico e la pressione sempre più insistente e insidiosa degli Stati Uniti sull'Afghanistan.

Un'azione concentrica, da Oltre-Tevere e da Oltre-Atlantico. Il tentativo (o la tentazione) di assestare una spallata al governo di centrosinistra. Il vicepremier è scettico: "Personalmente - è il suo ragionamento - non credo ad alcuna teoria del "complotto" contro di noi. Ma insisto: mi resta il dubbio sul perché di questa estremizzazione delle posizioni da parte della Chiesa...".

La spiegazione più ovvia, cioè la ferma volontà della Chiesa di difendere a tutti i costi l'istituzione del matrimonio, come unione naturale tra i coniugi, e il bene primario della procreazione dei figli, continua a sfuggire ai laici, dentro e fuori dal governo. "Diciamo la verità - aggiunge ancora D'Alema - questa legge che abbiamo presentato e sottoposto al vaglio del Parlamento non sfascia proprio un bel niente. Per essere sinceri, poteva essere anche più incisiva e brillante, sul piano della legittimazione e della difesa di certi diritti civili. Ma con tutti i suoi limiti, resta una buona legge, che rispetta e non minaccia in alcun modo la famiglia. E io la considero un punto di sintesi molto positiva, perché fuori, ma anche dentro la maggioranza, c'era chi questo disegno di legge non lo voleva affatto. Per questo essere riusciti ad approvarlo, con un consenso quasi unanime, è un grande risultato".

Il disegno di legge sui Dico ha qualche difetto, che nasce proprio dall'obiettivo conclamato del governo di non irritare la sensibilità del mondo cattolico. Questo spiega, anche solo dal punto di vista puramente "estetico", l'introduzione di procedure legali e un po' curiali, come la dichiarazione "congiunta ma non contestuale" dei due contraenti davanti all'ufficiale dell'Anagrafe. Ma anche questi fastidiosi accorgimenti procedurali ruotano proprio attorno a un'esigenza di fondo: evitare che il rito dell'unione civile si possa configurare come un matrimonio, sia pure di "serie B" (secondo l'ultima definizione berlusconiana).

E dunque, ancora una volta: perché una reazione così irriducibile da parte delle alte gerarchie vaticane? A chiederselo non è solo D'Alema, ovviamente. E' prima di tutto Prodi, che pure in questi ultimi giorni, prima di partire per l'India, ha avuto diversi contatti con i più diversi esponenti del mondo ecclesiastico. Forse è lo stesso Francesco Rutelli: messo alle strette dal documento dei 60 parlamentari della Margherita abilmente ispirati da Dario Franceschini, il vicepremier alla fine ha dato via libera a un testo che immaginava come un buon compromesso tra le indicazioni del programma dell'Unione e i paletti piantati dalla Chiesa attraverso il "non possumus" gridato dal giornale dei vescovi.

Oggi la crociata di Benedetto XVI e delle sue agguerrite "divisioni" deve destare qualche sorpresa anche nel ministro e di Beni culturali, che più di ogni altro si era speso nella strategia dell'attenzione verso le alte gerarchie.

Tra coloro che adesso non nascondono un forte dispiacere, misto a una certa meraviglia, c'è anche il ministro degli Interni. Si è dedicato con la consueta cura e la solita attenzione al tema dei Dico, non lesinando i suoi consigli e le sue osservazioni a beneficio delle colleghe Bindi e Pollastrini. Ha cercato anche stavolta di non venir meno a quel suo spiccato senso dell'equilibrio, quando c'è in gioco il bilanciamento tra la politica e l'etica, tra i diritti civili e i valori religiosi.

Ma Amato, oggi, è un altro laico e non laicista che fa fatica a capire: "Vedo con amarezza presente e futura una Chiesa nel suo insieme arroccata nella paura e tanto timorosa del male da vederlo più grande di quanto non sia...". Anche il Dottor Sottile, com'è evidente dalle sue parole, considera quindi sproporzionata la reazione suscitata Oltretevere dal disegno di legge sui Dico. Anche un politico equilibrato e un intellettuale attento al profilo universale del cattolicesimo come lui, in definitiva, si aspettava e si aspetta ancora un'apertura diversa, una visione più ecumenica, misericordiosa e caritatevole, da parte dell'istituzione ecclesiastica. "Perché queste posizioni di chiusura - riflette ancora Amato - sono foriere di minorità, proprio mentre escono libri che esaltano il ruolo potenziale del cristianesimo al tempo della globalizzazione".

Questo dolente conflitto tra Stato laico e Chiesa cattolica, ad ogni modo, non può e non deve fermare l'azione del governo e la mediazione del Parlamento. Se anzi c'è una lezione politica da cogliere, in quello che è successo, sta proprio in quello che D'Alema chiama il "primato del governo". "Chi cercava la prova ora è servito - dice il ministro degli Esteri - il governo c'è, governa ed è autosufficiente. Stiamo cambiando il Paese. La legge sulle unioni civili è la conferma che, se evitiamo le polemiche e le divisioni, possiamo fare le riforme. Anche quelle più impegnative e difficili. Sta solo a noi rendercene conto, rimboccarci le maniche, superare i personalismi e lavorare tutti insieme. Fino alla fine della legislatura... ". Un altro esorcismo dalemiano, in vista del difficile dibattito parlamentare sui Dico e dell'insidiosa manifestazione di sabato prossimo sulla base Usa di Vicenza.

(12 febbraio 2007)


 

Da La Stampa 12-2-2007  Dico, parte la corsa ai ritocchi  di Giacomo Galeazzi

 

12/2/2007 (7:35) - UNIONI CIVILI VERSO IL DIBATTITO

I Teodem cercano una sponda nell'Udc. Il no della Cdl preoccupa per il Senato

ROMA
La linea dura della Cdl contro i Dico accresce le preoccupazioni di governo e maggioranza in vista del passaggio in Senato, mentre dentro l’Unione, da sinistra e dal centro, tutti vorrebbero migliorare il testo. I primi a muoversi sono i teodem che preparano la fronda e sono al lavoro per presentare emendamenti al disegno di legge Bindi-Pollastrini insieme all’Udc. «E’ un tema etico quindi non vale la logica di schieramento.

Il testo non è blindato e in Parlamento faremo di tutto per difendere il matrimonio - annuncia battaglia Paola Binetti, capofila dell’ala cattolica oltranzista dell’Unione -. In questa legislatura abbiamo già avuto maggioranze diverse sull’Afghanistan e su questioni economiche, perché non può accadere lo stesso sui valori? Di certo il testo uscirà dalla Camera molto cambiato». Anche, precisa la diellina Dorina Bianchi, con il contributo dell’Udc e dei moderati di Forza Italia: «Non si legifera sulla famiglia a colpi di maggioranza». E il deputato della Margherita Marco Calgaro avverte il coordinatore del suo partito Dario Franceschini: «O concordiamo insieme gli emendamenti o noi teodem guarderemo oltre». Intanto si attende un nuovo pronunciamento di Benedetto XVI per il convegno sulla famiglia dell’Università Lateranense.

E dopo che il leader dell’Udeur Clemente Mastella ha pronosticato che in Senato alla maggioranza mancheranno i voti, l’opposizione fa muro ed esclude qualsiasi sostegno all’approvazione del disegno di legge. «Sui Dico il governo farà harakiri al Senato perché non ha i numeri»,

sottolinea il leghista Roberto Calderoli. Il ministro delle Pari Opportunità Barbara Pollastrini, però, spera in uno «scatto di tensione morale di tutto il Parlamento» e auspica ancora che la percentuale di approvazione del Ddl sia molto alta, «altrimenti sarebbe una delusione per milioni di italiani». Ma dal centrodestra si alza un muro. «Un matrimonio di serie B che svilisce il significato della famiglia, il suo valore sociale e civile», afferma Silvio Berlusconi. «Il pasticcio delle coppie di fatto», rincara la dose il suo portavoce Paolo Bonaiuti, dimostra come il governo stia arrivando al capolinea. «È inaccettabile che per garantire diritti individuali e togliere discriminazioni si dia vita ad un matrimonio di serie B - concorda Gianfranco Fini -. Secondo la Costituzione la famiglia è un’unione fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna». Sulla stessa linea Pier Ferdinando Casini. «Io come cattolico non voterò no perché me lo dice la Chiesa, ma perché ne sono convinto - precisa il leader dell’Udc -. Questa legge è un colpo di grazia. Chi convive lo fa in base ad un principio di libertà e non sottoscrive diritti e doveri».

Intanto nella maggioranza i «Dico» riaprono la disputa sulla laicità. «Come se fossero i capi dell’esercito del Papa, i leader del centrodestra si sono lanciati in una crociata contro il riconoscimento delle coppie di fatto», attacca Roberto Villetti, capogruppo della Rosa nel Pugno a Montecitorio. Protesta anche il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio: «Dalla Cdl solo contestazioni strumentali, la destra si faccia dare consigli da Chirac e Merkel».

E Anna Finocchiaro, presidente dei senatori dell’Ulivo, intervistata dal «Corriere», vede nell’atteggiamento delle gerarchie della Chiesa una strategia mirata a «giocare in proprio una partita politica». Per il diessino Franco Grillini l’ossessione vaticana antigay rasenta il razzismo: «Il Papa e Ruini vogliono imporre per legge la morale clericale trasformando una convinzione dottrinaria in norma valida per tutti, inclusi i non credenti».

 

 

 


Da Il Sole 24 Ore 12-2-2007  Export, le Province di Reggio Emilia e Modena al top, si allarga la forbice con il Sud

 

Il boom dell’industria meccanica italiana fa il vuoto alle spalle e riscrive la mappa dell’export. Tengono il passo la nautica di lusso e l’occhialeria ma perdono contatto tessile e oreficeria. Si allarga inoltre la voragine, fino a 400 volte, tra il valore dell’export delle due province di punta (Reggio Emilia e Modena) e quelle più in ritardo (Cosenza ed Enna).
Nei primi nove mesi del 2006, nella classifica delle province Top 30 per export manifatturiero, stilata dalla Fondazione Edison su dati Istat, Reggio Emilia scalza Vicenza dal vertice mentre Modena conferma la piazza d’onore. In generale, le province a forte vocazione meccanica e siderurgica (come Reggio Emilia, Novara, Brescia, Udine, Cremona) mettono il turbo e salgono in classifica, quelle orientate prevalentemente su tessile-abbigliamento, oreficeria, calzature e mobili fanno l’ennesimo capitombolo. L’accelerazione dell’occhialeria sospinge Belluno mentre il boom prolungato dello yacthing lancia l’export di Lucca fino a sopravanzare, in valore, il business cartario.
Nelle Top 30 si fanno largo soltanto due province meridionali, Siracusa e Chieti, rispettivamente, al quarto e tredicesimo posto. Mentre nella classifica generale delle 103 province la coda è saldamente presidiata dalle siciliane e calabresi con un export manifatturiero di qualche centinaio di euro pro capite, poco rispetto ai 6/11mila delle prima 30.
«La performance della meccanica — osserva Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison - è guidata soprattutto dall’Emila Romagna. Si pensi che nei primi nove mesi 2006 la regione ha esportato macchine e apparecchi meccanici per 9,7 miliardi di euro, più dell’intero export spagnolo, 9,5 miliardi per Eurostat».
Il []2006 è stato comunque positivo per quasi tutte le principali province esportatrici, incluse quelle che hanno perso posizioni nella graduatoria. «Infatti - sostiene Fortis - solo tre province delle Top 30 hanno subìto cali dell’export: Vicenza, Prato e Gorizia. E una, Biella, ha presentato una crescita zero. Le altre 26 hanno invece tutte fatto registrare aumenti dell’export. Da notare che nei primi nove mesi del 2006 ben 12 province avevano già superato i 7.500 euro pro capite di export di beni industriali. É dunque ragionevole prevedere che sull’arco dell’intero 2006 almeno una dozzina di province superino i 10mila euro, tre ci erano addirittura già riuscite nel periodo gennaio-settembre».

 

 


INDICE  11-2-2007

Da La Stampa 11-2-2007 Gli Usa rispondono a Putin: "Una guerra fredda ci è bastata" 26

Da La Repubblica 11-2-2007  Allarme in Bolivia e Paraguay epidemia di "febbre spacca-ossa" 26

Da spoletonline.it  11-2-2007    CONVEGNO SULLA RAPINA FISCALE IN UMBRIA E IN ITALIA  26

Da L’Unità 10.2.2007   Caro-benzina, la Procura di Roma indaga  27

Dal Corriere della Sera 10-2-2007 Putin: attacca l' egemonia Usa. Dure reazioni 28

Da La Repubblica 10-2-2007  Bossi attacca, la Lega torna alle origini "L'Italia è schiavista: Parlamento del Nord". Un sacerdote benedice i lavori a Vicenza: "Il vostro Leon principio della civiltà cattolica" 28

 


Da La Stampa 11-2-2007 Gli Usa rispondono a Putin: "Una guerra fredda ci è bastata"

Così il ministro della Difesa americano Robert Gates ha reagito all'attacco di Putin

«Una Guerra Fredda credo che sia sufficiente». Così il ministro della Difesa americano, Robert Gates, ha replicato agli attacchi di Vladimir Putin che ha ieri a Monaco accusato gli Stati Uniti di «fare i padroni del mondo». Intervenendo nella stessa conferenza per la sicurezza in corso in Germania, Gates non ha mancato di scherzare sui toni usati da Putin, affermando che l’hanno «riempito di nostalgia per i vecchi tempi». Ma - ha concluso - ora Washington e Mosca devono lavorare insieme per affrontare le sfide della sicurezza del dopo Guerra Fredda.
Il segretario alla difesa americano Robert Gates ha sottolineato l’importanza della collaborazione con la Russia, presupposto fondamentale - ha detto - per affrontare e superare le sfide globali che l’umanità ha di fronte. Gates ha poi reso noto di aver accettato un invito a Mosca da parte di Putin e del ministro della Difesa, Sergei Ivanov.

 

 


Da La Repubblica 11-2-2007  Allarme in Bolivia e Paraguay epidemia di "febbre spacca-ossa"

Conseguenza dell'ondata di piogge e inondazioni nel continente sudamericano
Già 4 morti. Il virus ha colpito decine di migliaia di persone e si diffonde con le zanzare


LA PAZ - Si diffondono in Bolivia e Paraguay i casi di di "dengue" (“debolezza” in arabo antico, detta anche febbre “spacca-ossa”) dopo una lunga sequenza di inondazioni che hanno colpito il settore occidentale del Sud America. Il virus si trasmette all'uomo attraverso la puntura della zanzara Aedes aegypti, che si riproduce in pozze d'acqua, sia all'interno degli edifici che all'esterno e si nutre prevalentemente di giorno.
Il World Food Programme delle Nazioni Unite (WFP) è tuttora impegnato ad assistere oltre 60.000 persone in stato di emergenza, ma la pioggia continua incessante. Attualmente sta distribuendo cibo nei distretti di Tarija, Chuquisaca, Potosi, Cochabamba e Santa Cruz.
Solo in Paraguay i casi di "dengue" registrati, con tre morti accertati, sono a 6 mila. Il Parlamento ha convocato una sessione straordinaria per studiare misure d'emergenza. Si è calcolato che in Paraguay il virus sta contagiando una media di 400 persone al giorno, stando ai dati del ministero della Salute. Tra le vittime della "febbre spacca ossa" c'è anche l'ambasciatore di Taiwan, David Hu, che ha dovuto annullare tutti gli impegni ufficiali.
In Bolivia, la maggior parte dei casi si sono registrati nella città di Santa Cruz de la Sierra, nella zona tropicale del paese. Si sospetta che altri 804 pazienti, registrati in diverse città, abbiano contratto la malattia, la cui epidemia ha obbligato il Ministero della Salute Boliviano a dichiarare il massimo stato di allerta sanitario.
Cinque persone hanno contratto la "dengue" di tipo emorragico, tutte residenti nella capitale e tra queste si è registrato il decesso una donna. L'aumento dei casi è prevalentemente dovuto alle alluvioni che si stanno verificando nel paese e che, assieme alle alte temperature della stagione, costituiscono l'ambiente ideale per una veloce dinamica di contagio.
A Santa Cruz sono stati confermati 225 contagi, altri 16 sono stati riportati a Trinidad, capitale del distretto tropicale di Beni. Gli altri casi si trovano in diverse località. Le condizioni climatiche non faranno che peggiorare la situazione, favorendo il deposito delle uova dei mosquitos Aedes Aegypti. Oltre ai casi di "dengue", insorgono purtroppo anche la febbre gialla e la malaria.
La "dengue" esiste da secoli: la prima descrizione clinica risale al 1780, in un'epidemia a Philadelphia, in Pennsylvania. Nell'800 sono state descritte epidemie a Zanzibar, a Calcutta, Grecia, Giappone, Queensland, Sudafrica e Formosa. Nel 1906 ne è stato scoperto il vettore: la zanzara Aedes aegypti, la stessa della febbre gialla. Numerose epidemie sono state registrate nelle isole del Pacifico (persino tra i giapponesi e gli americani durante la battaglia di Okinawa).
Nel '54 nelle Filippine è stato descritto il quadro clinico della sindrome "dengue emorragica/sindrome da shock da dengue", soprattutto tra i bambini.
(11 febbraio 2007)

 


Da spoletonline.it  11-2-2007    CONVEGNO SULLA RAPINA FISCALE IN UMBRIA E IN ITALIA

 

 

LUNEDI' PRESSO SALA PARTECIPAZIONE DELLA REGIONE (h 11)

Prof. Mario Lispi

Presidente Circolo della Libertà “Imre Nagy”

Si stanno rovesciando sui giovani, sui lavoratori, sui pensionati, sulle famiglie, sui ceti medi produttivi e dinamici dell’intera nazione, gli effetti di una grande rapina statale che si protrae nel nostro Paese da decenni. Rapina in favore di vasti ceti parassitari annidati nella pubblica amministrazione, dalla Banca d’Italia agli enti locali, dall’università alla grande impresa ammanicata con la politica…E' storia di oggi che viene da lontano. La storia di una grande rapina sulla pelle della comunità nazionale, sulla socialità, sugli equilibri territoriali. Una rapina che parla di debito pubblico, di tasse, di spesa pubblica ideologica, di false liberalizzazioni, di statalismo invasivo. Sentiamo di trovarci in una fase straordinaria, con una posta in gioco molto alta. E perciò, come Circoli della Libertà, riconducendo i singoli fenomeni alle concatenazioni della macroeconomia, vogliamo intervenire con strategie, strumenti, proposte di riforme straordinarie, con il segno degli interessi veramente collettivi, per innalzare -come dice anche il Fondo Monetario Internazionale- il potenziale di crescita del Paese. Il pensiero economico e politico in Francia, Gran Bretagna. Germania, Stati Uniti sta prospettando nuove moderne strategie riformatrici, in una visione unitaria che integra e corresponsabilizza  economia e socialità in una sofisticata mobilitazione di tutte le risorse. Si profilano nuovi rapporti tra Stato ed economia. Anche per l’Italia sentiamo la necessità di farci carico di una pressione popolare per un governo delle risorse che assicuri un nuovo slancio innovativo in tutti i settori dell'economia e contemporaneamente la costruzione di un nuovo welfare, integrato in un sistema complesso e dinamico, corresponsabilizzato e compartecipe dello sviluppo, anche con nuove forme di azionariato diffuso (come indicano gli articoli 46 e 47 della Costituzione). In questo senso riteniamo di iniziare un periodo di ascolto e di dibattito per far maturare l’opportunità di una grande conferenza nazionale per la riorganizzazione complessiva veramente riformatrice dell'economia e della socialità. Questa riflessione vale anche per Umbria, regione produttrice di debito pubblico e che trascura i veri produttori, ferma in un pantano di mediocrità e di precarietà, dove si aprono negli enti pubblici grandi "buchi" finanziari, provenenti da dissesti e avventure economiche sconsiderate che stanno trasferendosi, nei loro costi, sulla collettività regionale. Anche per l'Umbria occorre una svolta di pensiero e di strategie per nuovi scenari di libera economia postindustriale socialmente corresponsabilizzata, di colto rinnovamento identitario.


 

Da L’Unità 10.2.2007   Caro-benzina, la Procura di Roma indaga

 

Chi aumenta il prezzo della benzina? E perchè è così poco sensibile a diminuire mentre è molto più automatico a seguire verso l'alto il caro-petrolio? C'è stato una turbativa di mercato o dei rialzi speculativi in occasione delle recenti serrate dei benzinai? Sono alcune delle risposte che ora proverà a dare la magistratura.

La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta sulla base di esposti presentati da alcune associazioni di consumatori sugli aumenti dei prezzi della benzina, la chiusura dei self service in concomitanza con le proteste dei benzinai e la possibilità che i petrolieri abbiano creato un "cartello" per mantenere i prezzi alti.

Prezzi alla pompa e prezzi fatti dei grandi rivenditori: su entrambi si ipotizzano delle speculazioni. E l’affaire non riguarda solo le proteste contro le liberalizzazioni del decreto Bersani, ma è molto più esteso e riguarda più in generale la libera concorrenza nel settore idrocarburi.

Il fascicolo aperto dal procuratore Giovanni Ferrara ed affidato al pool di magistrati esperti in materia economica è, per il momento, privo di ipotesi di reato e contro ignoti. Al vaglio degli inquirenti, in particolare c'è l'esposto dell' Adusbef che, prendendo spunto dalla decisione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato di avviare un accertamento su nove compagnie petrolifere italiane, chiede di indagare sull' ipotesi di «cartello» sui prezzi del carburante.

L'associazione Adusbef, presieduta da Elio Lannutti, ha analizzato le variazioni dei prezzi negli ultimi due anni e sottolinea come a fronte di un tasso di cambio euro-dollaro sostanzialmente invariato e il conseguente ribasso di un barile di Brent, «il prezzo della benzina ha avuto un irrilevante ribasso dell' 1,70%». Stesso calo «irrilevante» avrebbe subito il prezzo del gasolio da autotrazione. Rialzo fraudolento di prezzi, manovre speculative su merci, serrata per fini non contrattuali, coazione alla pubblica autorità mediante serrata, boicottaggio, turbata libertà dell'industria o del commercio, illecita concorrenza con minaccia o violenza: sono i reati ipotizzati dall'Adusbef.

L'indagine dell'Authority riguarda Eni, Esso Italiana, Kuwait Petroleum Italia, Shell Italia, Tamoil Italia, Total Italia, Erg Petroli, Ip e Api.Allo stesso tempo gli inquirenti ora vogliono verificare se dietro il recente sciopero di due giorni attuato dai benzinai per protestare contro i decreti governativi sulla cosiddetta «liberalizzazione», si siano verificate forme di interruzione di pubblico servizio, come la chiusura dei self service, che possano essere inquadrate sotto il profilo giudiziario.

Perchè i benzinai sono esercenti privati ma forniscono comunque un servizio pubblico e quindi hanno il dovere di rispettare degli standard di prestazione minima anche durante una chiusura per “sciopero”. Ma la questione è complicata dal fatto che - proprio perché molto spesso non si tratta di dipendenti ma di esercenti – la protesta non può essere definita uno sciopero e anzi, secondo le associazioni di consumatori, trattandosi di serrata, non sarebbe neanche consentita.

Il ministro Pierluigi Bersani ha comunque convocato i rappresentanti dei benzinai - come la Faib-Aisa, Fegica e Figisc-Anisa che hanno annunciato altri quattro giorni di serrata dei benzinai al 27 febbraio al 2 marzo - e i sindacati per mercoledì prossimo al ministero per avviare un tavolo di confronto sugli effetti del decreto sulle liberalizzazioni nel settore.

 Pubblicato il: 10.02.07
Modificato il: 10.02.07 alle ore 19.37


 

Dal Corriere della Sera 10-2-2007 Putin: attacca l' egemonia Usa. Dure reazioni

 

La Casa Bianca in un comunicato: sono accuse sbagliate

Il presidente russo ha accusato l'America di unilateralismo, eccessivo uso della forza, dannoso tentativo di cambiare gli equilibri strategici esistenti e scatena un caso diplomatico

 

MONACO (GERMANIA) - E così nell'agenda politica internazionale tornano parole come Guerra Fredda, alleanza transatlantica, egemonia. SOno bastate le parole, durissime, del presidente russo Putin a generare una specie di salto indietro nel tempo di 60 anni e un piccato comunicato ufficiale della Csa Bianca che recita: «gli Usa non hanno trasformato la vittoria nella Guerra Fredda in una vittoria unipolare. È stata l'alleanza transatlantica a vincere la Guerra Fredda e oggi vi sono centri di potere in ogni continente».

LA PROVOCAZIONE - A provocare queste parole sono le dichiarazioni di Putin durante la Conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera. PArole violentissime: «Siamo di fronte a un uso della forza eccessivo e quasi senza freni nelle relazioni internazionali. Uno stato, gli Stati Uniti, ha travalicato i suoi confini nazionali in ogni modo possibile - aggiunge il leader del Cremlino - questo è molto pericoloso, nessuno si sente più sicuro perché nessuno si può più riparare dietro il diritto internazionale». E non è tutto: parlando dell'installazione di un sistema di difesa antimissilistica nell'est Europa (si parla di Polonia e Repubblica ceca) ha parlato di «Piani sono del tutto superflui e inutili»,

DEMOCRAZIA - Ecco un altro passaggio del discorso di Putin, che ha seguito immediatamente quello del padrone di casa Merkel: «Che cos'è un mondo unipolare?», si è chiesto Putin, «a dispetto dei tentativi di abbellirlo, questo termine significa che vi è un solo centro di potere, un solo centro di forza e un solo padrone». Tutto ciò, ha sottolineato, «non ha niente a che vedere con la democrazia, dove l'opinione della maggioranza tiene conto del punto di vista della minoranza. Ci sono persone che ci insegnano in continuazione cos'è la democrazia poi però non vogliono impararlo a loro volta».
COLLABORAZIONE - Il comunicato di Washington ricordato sopra ha però qualche (diplomatico) segnale di apertura: «Vogliamo continuare la cooperazione con la Russia su temi importanti per la comunità internazionale come la lotta al terrorismo e la limitazione nella diffusione di armi di distruzione di massa». Poco per parlare di disgelo. Anzi, sembra proprio che ci sia uno spiffero di guerra fredda.

10 febbraio 2007

 


 

Da La Repubblica 10-2-2007  Bossi attacca, la Lega torna alle origini "L'Italia è schiavista: Parlamento del Nord". Un sacerdote benedice i lavori a Vicenza: "Il vostro Leon principio della civiltà cattolica"

l leader leghista: "Andremo avanti anche da soli, lo Stato ci porta via quello che produciamo. Maroni sarà presidente". E sui Dico appoggio al Papa

 

VICENZA - La Lega torna alle origini e Umberto Bossi, tra gli appalusi dei militanti, rilancia l'attacco allo Stato centralista dal quale affrancarsi realizzando pienamente il Parlamento del Nord i cui lavori si sono aperti a Vicenza. Anzi, il fondatore della Lega nei toni si spinge anche oltre: ''Siamo in uno Stato non solo centralista, ma schiavista, perché ci porta via quanto produciamo. Non solo ci portano via i quattrini, ma andiamo nei Tribunali e difficilmente si vince la partita se sei veneto o lombardo, perché non abbiamo un magistrato nostro''. Quindi Bossi ha concluso: "Sono disposto a mettere a disposizione la mia vita, a battermi fino in fondo per la libertà del Nord''.
Toni quasi secessionisti, anche se è Roberto Maroni a incaricarsi di delineare la strategia leghista, con un obiettivo che dichiara irrinunciabile, "far ripartire il motore del federalismo che si è inceppato". E la Lega, dice Maroni, deve capire anche con chi farlo il federalismo, se ci sono alleati affidabili "perché fino ad ora - conclude - sono state fatte solo chiacchere".
Infine da Vicenza arriva un secco stop al disegno di legge sulle coppie di fatto. "Io penso che il Papa abbia ragione. Si poteva fare una legge che dava dei vantaggi specifici, invece di creare la nuova famiglia che fa confusione con la famiglia normale, tradizionale", ha detto Bossi, concludendo che "così anche gli omosessuali avranno dei diritti".
E d'altra parte i lavori del Parlamento del Nord hanno ricevuto l'inattesa benedizione di un sacerdote, che ha aggiunto anche la sua arringa. Impugnando la croce ha affermato: "Questo è il principio della civiltà cristiana cattolica. Il vostro leon", tra gli applausi della platea.
Unica voce critica quella di Enzo Boso: ''Caro Bossi, Berlusconi sarà tuo amico, non è nostro amico. Berlusconi, Fini, Casini.. Bossi, tu frequenti una brutta compagnia''. Un passaggio sottolineato dal fragoroso applauso dei militanti leghisti.

(10 febbraio 2007)


INDICE  10-2-2007

 

+ Da La Stampa 10-2-2007  Sui Dico il Papa al contrattacco Marco Tosatti 29

+ Da La Repubblica 10-2-2007 Un negazionista dell'Olocausto ha tentato di rapire Elie Wiesel 31

+ Da Il Sole 24 Ore   9-2-200   I «big» tedeschi nel vortice-cause di Morya Longo  31

+ Dal Corriere della Sera 10-2-2007 Napolitano: «Foibe, ignorate per cecità» «Dramma scatenato da un moto di odio e di furia sanguinaria»  32

Da Europa  Il nostro metodo. Democratico di ROSY BINDI 32

Da Il Giornale 10-2-2007  Irak, gli insorti ora aprono agli Usa di Fausto Biloslavo  33

Dal Corriere della Sera 9-2-2007 Usa: la resurrezione del Ku Klux Klan  34

Da Il Sole 24 Ore 9-2-2007  Tutela Ue ai figli, neutralità sui partner di Eliana Morandi 35

 

 


 

Da La Stampa 10-2-2007  Sui Dico il Papa al contrattacco MARCO TOSATTI


Ratzinger: preoccupato per le leggi sulla famiglia

 

CITTA' DEL VATICANO
Non si placa, il giorno dopo, l’ira della Chiesa: mentre il Papa si dice «preoccupato» per leggi contro «l'identità della famiglia» il Servizio Informazione Religiosa (Sir), l’agenzia vicina alla Conferenza Episcopale, condanna il ddl approvato ieri dal Governo. In assenza - per ora, ma non è detto che non giunga presto - di una presa di posizione del vertice della Cei - è affidato alla voce del Sir il compito di esprimere l’amarezza dei vescovi: «nettamente negativo» il giudizio sulla legge. E i timori, ci spiega il vescovo Antonio Riboldi, della Commissione Famiglia della Cei, sono rivolti al futuro: «Ora che la pista è aperta, tutto questo può portare a sviluppi diversi. Potrebbe essere un cavallo di Troia, per portare avanti un’analogia con il matrimonio. C’è una forte sensazione di rischio. Che qualcuno possa dire domani: abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno».

La critica più articolata viene dal Sir, «I cosiddetti “Dico” appaiono destinati a produrre sul cruciale piano delle politiche sociali e di solidarietà problemi più gravi di quelli che ci si ripromette di affrontare»; così comincia la nota dell’agenzia dei vescovi, secondo cui il «testo normativo minaccia, infatti, di incidere pesantemente, per intenzioni palesi e per conseguenze prevedibili, sul futuro della nostra società nazionale sia dal punto di vista giuridico, sia a livello culturale e di costume sia, infine, nella concreta ricaduta sulla vita delle famiglie italiane». E’ in base a questo che si giustifica la durezza della Cei: «Per questa somma di motivi e non certo per un qualche astratto e pregiudiziale anatema, il giudizio su tale iniziativa di legge non può che essere nettamente negativo». Il Sir riconosce «il faticoso lavoro di scrittura e riscrittura che ha impegnato importanti membri del governo», ma questo sforzo per giungere a un punto di equilibrio fra le forze di maggioranza «in realtà, non assicura affatto un serio equilibrio tra l’inderogabile tutela delle persone che costituiscono una famiglia fondata sul matrimonio e le accresciute prerogative riconosciute a partire da diritti e doveri, già affermati da tempo, ai protagonisti di libere convivenze». Fra i problemi citati sono i diritti di successione, «con il groviglio di ipotesi di concorso all’eredità tra un convivente e il figlio o i figli dell’altro partner»; tutte questioni che rischiano «dolorosamente» di aprirsi. E poi c’è l’aspetto sottolineato da monsignor Riboldi: «il fortissimo impatto sull’opinione pubblica delle premesse ideologiche dell’iniziativa che è stata assunta». Il Sir chiude con una battuta: «si parla di “Dico” ma si pensa ai “Pacs”, e soprattutto si prefigura una escalation legislativa in senso in questo senso». E poi c’era il discorso di Benedetto XVI. Rivolto all’ambasciatore della Colombia, ma evidentemente traducibile in italiano. «Come Pastore della Chiesa universale - ha detto nel discorso rivolto a Juan Gomez Martinez - non posso non esprimere a vostra eccellenza la mia preoccupazione per le leggi che riguardano questioni molto delicate come la trasmissione della vita, la malattia, l’identità della famiglia e il rispetto del matrimonio». Papa Ratzinger ha chiamato alla mobilitazione i laici: «È necessario appellarsi anche alla responsabilità dei laici presenti negli organi legislativi e nel governo e nell’amministrazione della giustizia affinché le leggi siano sempre espressione di principi e di valori conformi col diritto naturale e che promuovano l’autentico bene comune». Nel coro di condanna, emerge la voce «possibilista» del vescovo Luigi Bettazzi: «Io credo che abbiano trovato una soluzione che forse scontenta tutti ma perché cerca di accontentare tutti. C’è il riconoscimento dei diritti senza arrivare a paragonare ogni convivenza con un matrimonio...credo sia una soluzione che va incontro a delle esigenze senza creare i pericoli che si temevano per la famiglia naturale». Secche le critiche dal centrodestra. La Lega annuncia barricate.

Schifani promette che nessun senatore della Cdl farà da stampella all’Unione. Quanto a Berlusconi, pur lasciando libertà di coscienza ai suoi, fa sapere che considera i Dico «un attacco alla famiglia», e aggiunge: «Da noi non arriverà mai un aiuto a Prodi». Sulla stessa linea Gianfranco Fni: «Ai parlamentari di An dirò quello che ha detto Berlusconi ai suoi, nessuno dia un sostegno al governo Prodi. Il governo è l’unico al mondo che si attribuisce l’onere, con molta presunzione, di fare una legge su questioni eticamente sensibili». Fini prevede quindi che quando il ddl arriverà alle Camere, «tra qualche mese, probabilmente» andrà incontro ad una inevitabile bocciatura, anche se ciò non porterà alla caduta del governo. «Non ci sarà nessuna conseguenza, se non l’ennesima brutta figura». Ancora più secco Pier Ferdinando Casini, che in un’intervista al Tg1 osserva: «I Dico sono un colpo di grazia alla famiglia. È stata fatta una gran confusione. C’era bisogno di risolvere i problemi delle famiglie italiane che sono abbandonate e senza tutele e, invece, si è dato loro il colpo di grazia».

 

 


 

Da La Repubblica 10-2-2007 Un negazionista dell'Olocausto ha tentato di rapire Elie Wiesel

L'aggressione nell'ascensore di un albergo di San Francisco
Il Nobel per la pace ha messo in fuga da solo l'aggressore

 

SAN FRANCISCO - Il premio Nobel per la pace e sopravvissuto all'Olocausto Elie Wiesel è sfuggito a un tentativo di rapimento dietro cui ci sarebbe un negazionista della Shoah. Lo ha raccontato lo stesso Wiesel al quotidiano israeliano "Haaretz", riferendo di essere stato aggredito da un uomo nell'ascensore dell'Hotel Argent di San Francisco in cui alloggiava.

L'uomo si era avvicinato a Wiesel chiedendogli di poterlo intervistare sul suo libro di memorie "Notte". Il Nobel ha acconsentito a parlare con lui nell'atrio dell'albergo, ma l'uomo ha insistito perché lo seguisse nella sua stanza e lo ha trascinato fuori dall'ascensore al sesto piano. A quel punto Wiesel ha iniziato a urlare e l'assalitore è fuggito.

Dopo l'episodio, la polizia ha trovato in un'auto parcheggiata vicino all'albergo una patente di guida intestata a Harry Hunt, membro di un gruppo negazionista dell'Olocausto. E martedì scorso, un uomo presentatosi come Eric Hunt ha rivendicato la responsabilità dell'aggressione su un sito web antisemita.

(10 febbraio 2007)


Da Il Sole 24 Ore   9-2-200   I «big» tedeschi nel vortice-cause di Morya Longo

 

Una transazione milionaria con 340 "paperoni" americani. Deutsche Bank ha pagato decine di milioni di dollari a un gruppo di facoltosi clienti per i quali, negli anni '90, aveva ideato un meccanismo per eludere le tasse finito poi sotto inchiesta. Lo ha scritto ieri il «New York Times». In questo modo la banca tedesca, sotto inchiesta in America per questa vicenda, ha chiuso tutte le cause civili con i suoi clienti che avevano usufruito del meccanismo di elusione fiscale in buona fede pagando elevate commissioni. Ma se le vertenze civili si sono chiuse - con «soddisfazione dei clienti» ha sottolineato il loro avvocato - per Deutsche Bank restano in piedi le inchieste penali.
La vicenda risale agli ultimi anni '90, quando Deutsche Bank (e altre case d'investimento e studi legali) idearono un meccanismo per permettere ai loro migliori clienti privati di pagare meno tasse al fisco statunitense. Il meccanismo (denominato in inglese "tax shelter") consisteva in prestiti fasulli o in compravendite finte di titoli che avevano l'unico scopo di creare minusvalenze artificiali che permettevano di non pagare le tasse. Questo "trucchetto" non è stato utilizzato solo da Deutsche Bank: anche Kpmg (che ha già chiuso la vertenza con una transazione da 465 milioni di dollari nel 2005), Ernst Young (che è ancora sotto inchiesta penale) e lo studio legale Sidley Austin Brown Wood sono rimaste coinvolte nel caso dei "tax shelter". Il problema è nato quando le autorità americane hanno scoperto il meccanismo e hanno sanzionato i facoltosi clienti di questi istituti. E loro, che avevano usufruito del "tax shelter" pagando elevate commissioni in buona fede, hanno avviato delle contro-cause nei confronti dei loro consulenti.
Così si arriva ai giorni nostri. Deutsche Bank ha deciso di realizzare con questi clienti una transazione: pagandoli, in sostanza, ha chiuso le vertenze legali. Non è però noto quanto l'istituto tedesco abbia sborsato: il «New York Times» parla di decine di milioni di dollari, ma la cifra esatta non è nota. Quello che è certo è che questo settlement con i clienti non blocca l'indagine penale. Per questo qualcuno sostiene che l'istituto tedesco possa presto chiudere una transazione anche su quel fronte: secondo alcune fonti ascoltate dal giornale americano, infatti, il rischio per Deutsche Bank è di sborsare fino a un miliardo di dollari nel caso in cui il processo andasse fino in fondo.
Restando tra i colossi tedeschi, anche Siemens si trova di fronte ai guai giudiziari. Secondo il «Wall Street Journal», infatti, un ex dirigente del gruppo tecnologico sta cooperando con le autorità tedesche per un caso di corruzione. La polizia a novembre aveva perquisito la sede della Siemens e aveva arrestato diversi sospettati. La Procura di Monaco non ha reso noto il nome del testimone, ma il giornale americano sostiene che si tratti di Juan-Carlos Stotz, un ex responsabile del settore telecomunications-equipment sospeso l'anno scorso.

 


Dal Corriere della Sera 10-2-2007 Napolitano: «Foibe, ignorate per cecità» «Dramma scatenato da un moto di odio e di furia sanguinaria»

 

Il presidente della Repubblica interviene nel giorno del ricordo delle vittime della pulizia etnica contro il popolo giuliano-dalmata

 

ROMA - Il dramma del popolo giuliano-dalmata fu scatenato «da un moto di odio e furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica». Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenendo nel Giorno del ricordo delle vittime delle foibe, le cavità carsiche nelle quali, tra il 1943 e il 1945, vennero fatti sparire migliaia di oppositori al regime di Tito ( la scheda). «Non dobbiamo tacere - ha aggiunto il presidente, che al Quirinale ha incontrato gli eredi delle vittime -, assumendoci la responsabilità di aver negato o teso ad ignorare la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica» il dramma del popolo giuliano-dalmata. Una tragedia, ha spiegato, «rimossa per calcoli dilomatici e convenienze internazionali».

«BASTA SILENZI» - «Oggi che in Italia abbiamo posto fine ad un non giustificabile silenzio, e che siamo impegnati in Europa a riconoscere nella Slovenia un'amichevole partner e nella Croazia un nuovo candidato all'ingresso nell'Unione - ha sottolineato il capo dello Stato -, dobbiamo tuttavia ripetere con forza che dovunque, in seno al popolo italiano come nei rapporti tra i popoli, parte della riconciliazione, che fermamente vogliano, è la verità. È quello del Giorno del Ricordo è precisamente un solenne impegno di ristabilimento della verità».

L'EREDITA' DI CIAMPI - Napolitano ha voluto richiamarsi esplicitamente al suo predecessore, Carlo Azeglio Ciampi, dicendo che ne raccoglie l'esempio circa «il dovere che le istituzioni della Repubblica sentono come proprio, a tutti i livelli, di un riconoscimento troppo a lungo mancato». Nell' autunno 1943, ha spiegato Napolitano citando recenti riflessioni e ricerche, «si intrecciarono giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento della presenza italiana da quella che era e cessò di essere la Venezia Giulia».

LA «NUOVA EUROPA» - «La disumana ferocia delle foibe - ha detto ancora - fu una delle barbarie del secolo scorso, in cui si intrecciarono in Europa cultura e barbarie. Non bisogna mai smarrire consapevolezza di ciò - ha sottolineato - nel valorizzare i tratti più nobili della nostra tradizione storica e nel consolidare i lineamenti di civiltà, di pace, di libertà, di tolleranza, di solidarietà della nuova Europa che stiamo costruendo da oltre 50 anni, e che è nata dal rifiuto dei nazionalismi aggressivi e oppressivi, da quello espresso nella guerra fascista a quello espresso nell' ondata di terrore jugoslavo in Venezia Giulia. La nuova Europa esclude naturalmente anche ogni revanchismo».

10 febbraio 2007

 


Da Europa  Il nostro metodo. Democratico di ROSY BINDI

 

È vero, l’approvazione della legge sui diritti delle persone conviventi è un risultato che porta la firma del Partito democratico, come ha scritto ieri Europa. Ci sono almeno tre buone ragioni per dirlo. La prima è aver dato concretezza a un’idea della politica, che non è il luogo in cui ciascuno proclama i propri valori, ma quello in cui si lavora per trasformare la realtà e, alimentati dai valori in cui si crede, si fanno le scelte possibili.
È stato detto che il riconoscimento dei diritti dei conviventi non era un argomento così “urgente” da meritare l’impegno che il governo vi ha messo in queste settimane. E invece l’importanza di questa legge sta proprio nell’idea di politica che porta con sé. Per questo è diventata, al di là di ciò di cui si occupa, una legge emblematica: perché riguarda temi profondi, dei quali la politica fa ancora fatica a occuparsi.
Non a caso essi sono stati archiviati per molti anni sotto l’etichetta della “libertà di coscienza”. Oggi non può più essere così. La buona politica ha un futuro se riesce a entrare nelle grandi questioni che riguardano i cambiamenti, le inquietudini ma anche le possibilità più vere della società, e se ne occupa dimostrando insieme mitezza e autorevolezza. E ora che abbiamo dato prova di avere questa capacità sui diritti dei conviventi, potremo farlo anche su altri, siano essi le questioni eticamente sensibili o altri argomenti su cui è può sembrare difficile accettare la responsabilità del bene possibile. Il Partito democratico sarà insomma il luogo di una politica mite e autorevole, capace di assumere responsabilità e di rischiare i valori nel crogiolo della realtà.
La seconda riflessione è che la sfi- da del Pd sarà inevitabilmente quella del dialogo tra culture diverse. Credo che le biografie mia e di Barbara Pollastrini siano quanto di più diverso si trovi nell’Ulivo. Non c’è dubbio che lei potrebbe trovare interlocutori più prossimi di me nella Margherita, come io persone più simili a me nei Ds. Eppure abbiamo lavorato insieme, perché nessuna di noi voleva vincere sull’altra e condividevamo lo stesso obiettivo: interpretare al meglio le nostre diverse culture non per imporle ma per farle vivere in una sintesi ulteriore.
La cosa bella di questo disegno di legge è che possiamo raccontarlo nello stesso modo riuscendo a parlare con interloc u t o r i c h e e s p r i - m o n o esigenze differenti.
Il Partito democratico non potrà nascere da un gioco delle parti, non avrà bisogno di dire cose diverse ai cattolici o alla sinistra, di sostenere un punto di vista contro un altro. Ma nascerà se saprà produrre una nuova cultura politica, una lingua comune, in grado di parlare a tutti. Sarà un partito onesto, senza giochi di ruolo.
Infine, il varo di questa legge è stato una prova di laicità: e la laicità, lo ha spiegato Rutelli sul Corriere della sera, è una sfida per i cattolici ma anche per i non credenti. Deve infatti confrontarsi e vincere contro due nemici, il clericalismo acquiescente e il fondamentalismo laicista.
In questa occasione, come in altre nella storia dei cattolici democratici, abbiamo affermato la nostra autonomia di cristiani laici, impegnati in politica, rispettosi dell’insegnamento della Chiesa e dei suoi autorevoli richiami, anche se a volte molto scomodi. La componente cattolica del partito laico che sarà il Partito democratico si assume questa responsabilità di autonomia laicale.
Ma anche la componente non credente deve sapersi fare carico dei valori dei cattolici, che vanno rispettati perché sono parte fondamentale della società italiana e la politica non può eludere il dovere di interpretarli.
Quello che abbiamo fatto può insomma essere riassunto in questi tre punti essenziali e può aiutarci a immaginare come sarà il Partito democratico.
È stata fatta una legge necessaria e possibile, che non mette in discussione il ruolo e i diritti della famiglia. L’abbiamo fatta mescolando le nostre culture e con un duplice obiettivo: rimuovere le discriminazioni e riconoscere, nelle scelte responsabili delle persone, il seme iniziale di valori quali la stabilità e la solidarietà.
Credo che la Margherita, tutta la Margherita, debba essere in prima fila su questa frontiera in cui si incontrano responsabilità della politica, sintesi culturale e laicità. E sono convinta che ogni suo esponente abbia il compito di far vivere queste tre dimensioni. Essenziali per il Partito democratico e il futuro del paese.

 


 

Da Il Giornale 10-2-2007  Irak, gli insorti ora aprono agli Usa di Fausto Biloslavo  

Per la prima volta gli insorti sunniti dell’Irak vengono allo scoperto ammettendo che sono pronti a negoziare con gli americani una via d’uscita. Pongono condizioni impossibili, ma curiosamente hanno deciso di scegliere un quotidiano inglese, l’Indipendent, per compiere questa mossa a metà strada fra la propaganda e il tentativo di tastare il terreno. Non a caso la notizia è sparata in prima pagina a caratteri cubitali e l’articolo porta la firma di Robert Fisk, un giornalista esperto di Medio Oriente, notoriamente antiamericano e con ottimi agganci fra gli insorti iracheni. Abu Salih al Jeelani, il nome di battaglia dietro il quale si nasconde uno dei capi del Movimento di resistenza islamica in Irak, ha inviato al giornale britannico un dettagliato comunicato in cui spiega che «se gli americani volessero negoziare il loro ritiro (...) noi saremmo pronti a trattare a certe condizioni». Il Movimento di resistenza, anche noto come Brigate della rivoluzione del 1920, è uno dei gruppi nazionalisti-islamici più forti nella galassia degli insorti e del terrorismo iracheno. Il loro nome originario si ispira alla rivolta contro gli inglesi dello scorso secolo. Al Jeelani auspica un negoziato sotto il cappello delle Nazioni Unite, oppure della Lega araba o della Conferenza islamica «che dovrebbero garantire la sicurezza dei partecipanti». Gli insorti vogliono trattare direttamente con l’ambasciatore americano a Bagdad e il comandante delle truppe Usa in Irak.
Le condizioni poste da Al Jeelani sono in gran parte inaccettabili per la Casa Bianca, ma intanto viene lanciato l’amo. La prima richiesta è la liberazione di 5mila prigionieri come «prova di buona volontà». Subito dopo si pretende il riconoscimento «della legittimità della resistenza e del suo ruolo in quanto rappresentante della volontà popolare». Per gli insorti i negoziati devono essere pubblici e gli accordi raggiunti, compreso il ritiro, rispetteranno un calendario «garantito internazionalmente».
La cosiddetta «resistenza», che si siederà al tavolo del negoziato, dovrà essere rappresentata da «un comitato che comprenda gli emissari di tutte le brigate jihadiste». Il vero scoglio è la richiesta di «invalidare le precedenti elezioni e la Costituzione». La legge fondamentale è sempre stata vista come fumo negli occhi dai sunniti, che la considerano imposta da curdi e sciiti a danno dei loro interessi.
Molti dei membri delle Brigate del 1920 sono ex ufficiali del regime di Saddam e quindi non è un caso che chiedano anche il reintegro delle loro unità nelle nuove forze armate irachene. Le brigate, assieme al partito Baath in clandestinità e all’Esercito di Maometto, sono i gruppi più forti della cosiddetta «ala del rifiuto», che si è opposta all’ingresso in Parlamento dei partiti sunniti. Nonostante ultimamente i tagliagole di Al Qaida abbiano annunciato di aver stretto un accordo con le Brigate, questa formazione è sempre stata considerata non allineata con i gruppi estremi del terrore influenzati dall’estero. Fin del 2005 ci sono stati contatti fra i «gruppi del rifiuto» e il presidente curdo dell’Irak, Jalal Talabani. I contatti segreti sono andati avanti per un certo periodo in Giordania, anche con emissari Usa, ma non è chiaro a che punto siano arrivati.


 

Dal Corriere della Sera 9-2-2007 Usa: la resurrezione del Ku Klux Klan

 

E sul confine si verificano i primi attacchi degli incappucciati ai clandestini

L'organizzazione razzista ritorna a fare proseliti sia tra chi teme gli islamici che tra chi osteggia l'immigrazione clandestina

 

 

WASHINGTON (USA) - Risorge il Ku Klux Klan, i cappucci bianchi che per quasi un secolo, a cavallo del 900, terrorizzarono la popolazione nera del profondo sud. Il Ku Klux Klan fa nuove reclute denunciando l’immigrazione clandestina o «invasione illegale messicana» come la chiama il su leader Phil Lawson.

LA RESURREZIONE DEL KLAN - Secondo il Southern poverty law center, un’associazione dei diritti civili che ne segue l’attività, i gruppi che lo compongono sono saliti da 110 nel 2000 a 150 l’anno scorso. Ammonisce la Anti defamation league, un’associazione che combatte l’antisemitismo e il razzismo: «La resurrezione del Ku Klux Klan è inquietante. Sfrutta la psicosi dell’assedio causata dalla guerra al terrorismo per seminare l’odio». William Aponte, l’agente dell’Fbi incaricato della protezione dei diritti civili nel profondo sud, definisce i reclutamenti nel Ku Klux Klan «massicci». «Per un biennio dopo la strage delle Torri gemelle di Manhattan» spiega «i cosiddetti cavalieri bianchi fecero proseliti tra chi temeva gli islamici. Ora li fa tra chi vede negli immigrati clandestini un pericolo per il proprio posto di lavoro, un fattore di inquinamento della società».

ADEPTI IN AUMENTO - Aponte non sa quanti membri abbia il Ku Klux Klan, ma ne denuncia le crescenti manifestazioni «soprattutto nel Texas, nell’Indiana e nello Iowa». Lawson, che si presenta come «il mago imperiale», parla di migliaia e migliaia di nuovi adepti, senza precisare quanti: «Con il governo che permette agli illegali di entrare negli Usa liberamente, il nostro numero cresce di giorno in giorno» afferma. L’Fbi teme che il ritorno del Ku Klux Klan, colpevole delle più orrende impiccagioni dei giovani neri della storia Usa, esasperi la guerra occulta di frontiera in corso sui clandestini. Ieri in Arizona un gruppo di 4 banditi armati e mascherati ha attaccato un furgone carico di immigrati uccidendone tre e ferendone gravemente due. Il giorno primo, lo stesso o un altro gruppo aveva aggredito e derubato altri illegali ma senza fare vittime. Stando all’Fbi, incidenti del genere sono in aumento da alcuni mesi, e non è chiaro se si tratti di bande ispaniche, di vigilantes americani – gente che vuole chiudere i confini – o di razzisti.

Ennio Caretto

09 febbraio 2007

 


 

Da Il Sole 24 Ore 9-2-2007  Tutela Ue ai figli, neutralità sui partner di Eliana Morandi

 

Le disposizioni europee non disciplinano direttamente le convivenze. La materia familiare, in senso ampio, rientra,infatti,nella competenza esclusiva degli Stati, poiché fortemente influenzata dalla tradizione e dalle radici culturali di ciascuna popolazione. Tuttavia i vari organi comunitari — la Commissione, il Consiglio, la Corte di Giustizia —hanno avuto occasione di occuparsi di questo fenomeno, in relazione alla tutela di diritti derivanti dal Trattato Ue.
Emerge una netta distinzione tra la posizione "politica" di dichiarata apertura espressa da Commissione e Consiglio —manifestata solo in risoluzioni e raccomandazioni, non vincolanti — e una posizione molto più cauta e, al limite, neutrale, assunta dalla Corte di giustizia e tradotta nelle disposizioni che effettivamente si collegano alla materia (per esempio la direttiva 2004/38).
L'argomento della convivenza è stato finora affrontato sostanzialmente in due ambiti: in primo luogo in relazione al diritto di circolazione dei lavoratori comunitari e, in secondo luogo, in relazione al divieto di discriminazioni nell'ambito lavorativo fondate sul sesso o sull'orientamento sessuale,ambito nel quale le posizioni antidiscriminatorie sono state decise e omogenee.
Sotto il primo profilo,per dare effettiva attuazione alla libertà di circolazione dei lavoratori, da tempo sono estesi ai loro familiari vari diritti considerati strumentali alla prima (quale il diritto al ricongiungimento, ma anche "vantaggi sociali" quali l'assegno di mantenimento per i figli minorati e agevolazioni sui trasporti). In quest'ottica, molteplici sono stati i tentativi di ampliare il concetto di "familiare"per estendere tali diritti anche ai conviventi e ai figli delle coppie non sposate.
Mentre nei confronti dei figli la protezione e l'estensione di diritti accordata è stata senza dubbio la più ampia possibile (in conformità alle diverse convenzioni internazionali a tutela del fanciullo), nei confronti del convivente la posizione normativa comunitaria — espressa sia nella direttiva 2004/38 sia nella giurisprudenza della Corte di giustizia — è sostanzialmente neutra, nel duplice senso che, da un lato, non vieta né obbliga gli Stati ad "ampliare" la nozione del coniuge fino a parificarla a quella del convivente e, dall'altro, esclude che questa parificazione sia o debba essere presente a livello di normativa comunitaria.
La Corte di Giustizia ha più volte sottolineato come non sia rilevabile un "comune sentire" tra i vari Stati membri e proprio per tale ragione ha ribadito la permanenza della distinzione tra coniuge e partner,rifiutando la parificazione. Nella sentenza sulle cause riunite "D" e "Svezia", la Corte ha testualmente affermato che non esiste, a livello comunitario,uniformità né di riconoscimento né di contenuti per le varie forme di unioni diverse dal matrimonio. Emerge, anzi,che tutti gli Stati considerano tali forme di convivenza proprio sulla base della loro "diversità" dal matrimonio, termine questo, rileva la Corte, che secondo la definizione generalmente accettata dagli Stati membri indica l'unione tra due persone di sesso diverso.
Quanto alla normativa scritta comunitaria in materia di circolazione dei cittadini dell'unione e dei loro familiari, la più recente espressione si trova nella direttiva 2004/38, che, sostituendo precedenti fonti, ha dettato una definizione di " familiare"che,pur richiamando il convivente, ribadisce la voluta "neutralità" rispetto alle posizioni assunte, in piena autonomia, dagli Stati.
L'articolo 2, comma 2, lett. b) della direttiva, infatti, estende al convivente la qualifica di familiare solo se si realizzano due diverse condizioni: in primo luogo, che i due abbiano contratto un'"unione registrata" in base alla normativa di uno Stato membro che le preveda; e, in secondo luogo,che la legislazione dello Stato equipari l'unione registrata al matrimonio. La direttiva recepisce la posizione consolidata della Corte, che siè sempre limitata a censurare il comportamento di uno Stato che rifiuti a cittadini di altri Stati europei i diritti che riconosce ai propri. Uno Stato deve, perciò, riconoscere ai conviventi di altri Stati europei i diritti sociali che riconosce al convivente dei propri cittadini.
Ma nessuno Stato è obbligato a dare riconoscimento a unioni civili contratte in altri Stati, qualora la propria legislazione interna non le preveda o non le equipari al matrimonio.
Si è cercato di vedere un obbligo comunitario di riconoscimento delle "famiglie di fatto" nell'articolo 9 della Carta di Vienna del 2001 che afferma il diritto dell'individuo a sposarsi e a formare una famiglia. Questa previsione, però, non è, nè sarà mai, strumento normativo comunitario vincolante. Gli stessi estensori, poi, si sono dati cura di ribadire espressamente che da essa non discendono per gli Stati né divieti né obblighi di riconoscimento per forme di convivenza diverse dalla famiglia, sottolineando così ancora una volta che la nozione di famiglia appartiene alla competenza — e prima ancora allacultura — di ciascuna nazione.

 

 

 

 

 


INDICE 9-2-2007

 

 

++ Da La Stampa 9-2-2007 INTERVISTA ALLO SCRITTORE SEMIOLOGO Eco: "In principio era la farinata" MARIO BAUDINO  36

++Dal Corriere della Sera 9-2-2007 Il Papa: preoccupato per leggi sulla famiglia. I vescovi in una nota: i Dico minaccia per la società  38

+Da La Stampa 9-2-2007 Il Vaticano: basta affari con la camorra. Caserta: annullati i contratti. Giacomo Galeazzi 38

+Dal Corriere della Sera 9-2-2007 Gea:chiesto giudizio per i Moggi e altri sette  39

+Da La Repubblica 9-2-2007 Imprenditore arrestato per frode all'erario Si tratta di Alberico Cetti Serbelloni, presidente della società Gabrius  41

Da La Stampa 9-2-2007 Iraq, scomparsi 12 miliardi di dollari Maurizio Molinari 42

Da Il Corriere della sera 9-2-2007 Con il Tatarellum di male in peggio di Giovanni Sartori 42

Da La Repubblica 8-2-2007 Economia italiana in netta ripresa  43

Da Il Sole 24 Ore 8-2-2007 Ciò che irrita gli americani: il doppio binario su Kabul 44

Da La Repubblica 9-2-2007  "Italia, impara a mangiare" Il governo contro il junk-food  di Licia Granello  44

Da La Repubblica 8-2-2007 Afghanistan, D'Alema incontra Spogli "Il testo pubblicato da Repubblica era un editoriale e non una lettera" 45

Da Corriere della sera 8-2-2007 La Bce raffredda i listini Federico De Rosa  46

 

 


 

Da La Stampa 9-2-2007 INTERVISTA ALLO SCRITTORE SEMIOLOGO Eco: "In principio era la farinata" MARIO BAUDINO

 

«Se l’esperienza del libro ancora v’intimidisce, incominciate, senza timori, a leggere libri al gabinetto. Scoprirete che anche voi avete un’anima». L’esortazione è di Umberto Eco, alla fine di uno dei saggi appena raccolti in La memoria vegetale, prezioso volume in tiratura limitata e numerata, pubblicato dalle edizioni Rovello con la Rizzoli. E al tema - la memoria vegetale, beninteso - lo scrittore semiologo dedica oggi la conferenza con cui inaugurerà la nuova biblioteca d’Alessandria. Piemonte, non Egitto. Tanto che ha chiesto, in pagamento, una fetta della tipica farinata locale.

Perché, professore?
«La faccenda ha a che vedere con la memoria. Non quella vegetale (anche se la farinata è fatta di ceci) ma quella carnale. Io ricordo quelle specie di tricicli con un vetro sopra una piastra dove apparivano le due teglie della farinata e del castagnaccio, delizia della mia infanzia. Ma ormai la farinata sta scomparendo, a Milano non si trova più, a Torino mi pare ci fosse solo un posto e non so se c'è ancora, ad Alessandria hanno chiuso... Rende di più fare la pizza. E allora ho chiesto la farinata non tanto per ingordigia quanto per spingere le autorità locali a promuovere (magari con sgravi fiscali) un ritorno della farinata (in alessandrino "belecalda") nella mia città».

Dire biblioteca di Alessandria ci rimanda irresistibilmente alla grande biblioteca di Tolomeo, all'utopia perduta di tutte le biblioteche. Possiamo prescindere dall'omonimia, o ne dobbiamo tener conto?
«Ma io ne ho tenuto conto! Nel mio libro Come si fa una tesi di laurea, per provare come si può mettere insieme una buona bibliografia anche se si vive in provincia, ho intitolato un capitolo alla Biblioteca di Alessandria, quella di Alessandria Piemonte, e ci ho passato tre giorni a lavorare come se fossi un laureando. Quanto a quella d'Egitto faccio parte di non so quale comitato. È architettonicamente molto bella ma non ha ancora tutti i libri di quella antica. Meglio la mia piemontese. A proposito della quale ho anche un altro ricordo. Quando facevo ancora il liceo, e quindi tra il ‘47 e il ‘50, accanto alla biblioteca, nella pinacoteca, avevano fatto una mostra di pittori contemporanei. Era la prima volta che vedevo dal vivo arte contemporanea, e mi ero talmente incantato su un Morandi che ci tornavo tutti i giorni. Credo che quell'esperienza abbia influito molto su alcune mie scelte culturali future».

I suoi romanzi non mancano di piemontesi: da Jacopo Belbo del Pendolo, a Yambo o Baudolino, in cui si è voluto leggere una sua proiezione metaforica - un alessandrino che ha girato il mondo. E hanno i loro tic, le loro malinconie. Che cos'è un piemontese?
«Esattamente le cose che ho raccontato. O vuole un altro romanzo?».

Magari...
«In ogni caso, nel Pendolo ho cercato di sintetizzare il carattere piemontese nell'espressione "o basta là". Dove non dico un meridionale, ma anche un lombardo o un emiliano, di fronte a una rivelazione sorprendente reagirebbero con commenti, sdegno, gioia, interrogativi a catena, un piemontese non fa una piega e dice "o basta là" - e riduce tutto a dimensioni minime. Una variazione, per esempio rispetto all'opera omnia di Kant, a un discorso del Papa, a un appello ideale, è: "lei dice?"».

E allora come guarda oggi al quadro politico italiano uno scrittore del genere? Rispetto alle tesi raccolte nel Passo del gambero, si è fatto qualche progresso?
«Lei dice?».

D’accordo, me la sono cercata. Passiamo a Edoardo Sanguineti, che dopo l’ormai famosa battuta sull'odio di classe ha ricordato di essere stato un po' scandalizzato da lei, un anno fa, per un elogio di Don Bosco come emancipatore degli operai. Conferma?
«Non ho mai detto che Don Bosco ha emancipato gli operai. A quello ci pensa Sanguineti. Ho detto che ha avuto l'intuizione giusta, per i suoi tempi, di offrire modalità di socializzazione ai ragazzi. Oggi non c'è alcuna istituzione capace di fare questo e così si hanno le tifoserie assassine».

In un recente incontro a Milano, lei ha detto - o almeno così noi della Stampa abbiamo riferito -: «Faccio a Walter (Veltroni) una domanda che è anche un invito: potrebbe per cortesia nascere un partito democratico in cui tutti i membri sostengono che l'Italia non è un protettorato vaticano?». Di questi tempi basta meno per essere accusati di laicismo fanatico...
«Attendo ancora risposta a quella domanda. E non solo da Veltroni. Ma poi, che cosa c'è di fanatico nel desiderare di essere un paese indipendente? O mandiamo all'aria tutto il Risorgimento come fa Bossi?».

Che cosa ci dice, da semiologo, della corrispondenza Lario-Berlusconi?
«Come ho risposto a un giornalista petulante che mi ha assalito giorni fa: "Sono un gentleman e non mi occupo delle questioni private altrui"».

Invece Alfonso Berardinelli, recensendo Sator arepo eccetera, il suo libro di giochi linguistici pubblicato per Nottetempo, le ha dato del «cretino, per quanto intelligente». Risponde?
«Non ho letto. Dove l'ha recensito? Ma in fondo Sator Arepo contiene divertimenti scritti proprio per indurre persone come Berardinelli ad arrabbiarsi. L'unica risposta è quella di Palazzeschi, “lasciatemi divertire”».

C’è una componente di divertimento nell’aver scelto per Alessandria un tema come la memoria vegetale?
«È il titolo del libro con tutti i miei saggi di bibliofilia, accessibili a pochi appassionati (un "worst seller"). Noi abbiamo tre memorie: quella diciamo carnale, che ha sede nel cervello, quella minerale, che una volta era rappresentata dalle incisioni su steli e obelischi, e ora dal silicio del computer, e quella vegetale, che si diffonde sui libri, una volta fatti in papiro e ora con carta di legno. Da persona che crede nel valore del libro per la nostra identità personale collettiva, e che ritiene che (malgrado i vaticini degli sciocchi) il libro non sarà rimpiazzato dal computer - peraltro utilissimo per cercarvi dei libri -, farò l'elogio di questa memoria vegetale e della passione per i libri».

 

 


Dal Corriere della Sera 9-2-2007 Il Papa: preoccupato per leggi sulla famiglia. I vescovi in una nota: i Dico minaccia per la società

 

Reazione del Vaticano dopo il sì del governo sulle coppie di fatto

 

Appello del Papa ai politici durante l'incontro con l'ambasciatore della Colombia.

CITTÀ DEL VATICANO - Dura reazione del Vaticano il giorno dopo il sì del governo alle coppie di fatto. Mentre il Papa parlando al nuovo ambasciatore colombiano non nasconde la sua grande preoccupazione per l'avanzata di leggi contro la famiglia, i vescovi in una nota definiscono «una minaccia per la società» la nuova legge «Dico».

IL PAPA - «Come Pastore della Chiesa universale - ha detto nel discorso che ha rivolto a Juan Gomez Martinez - non posso non esprimere a vostra eccellenza la mia preoccupazione per le leggi che riguardano questioni molto delicate come la trasmissione della vita, la malattia, l'identità della famiglia e il rispetto del matrimonio». Benedetto XVI ha sottolineato che «alla luce della ragione naturale e dei principi morali e spirituali che provengono dal Vangelo la Chiesa cattolica proseguirà a proclamare senza cessare la inalienabile grandezza della dignità umana».
Poi un appello: «È necessario appellarsi anche alla responsabilità dei laici presenti negli organi legislativi e nel governo e nell'amministrazione della giustizia affinchè le leggi siano sempre espressione di principi e di valori conformi col diritto naturale e che promuovano l'autentico bene comune».

I VESCOVI - «Si parla di «Dico» ma si pensa a «Pacs», e soprattutto si prefigura una escalation legislativa in questo senso». Si chiude in questo modo la nota del Sir, l'agenzia stampa dei vescovi italiani, diffusa oggi e dedicata al disegno di legge che regolarizza le unioni di fatto omosessuali e eterosessuali. Il Sir sottolinea come con la nuova normativa si delinei una «minaccia per la società sia a livello legislativo che sul piano culturale». «I cosiddetti "Dico" appaiono destinati a produrre sul cruciale piano delle politiche sociali e di solidarietà - scrive l'agenzia dei vescovi - problemi più gravi di quelli che si ci si ripromette di affrontare». «Il testo normativo a proposito dei "diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi" - prosegue il testo del Sir - definito e approvato dal Consiglio dei ministri di giovedì scorso e avviato, ora, verso l'iter parlamentare minaccia, infatti, di incidere pesantemente - per intenzioni palesi e per conseguenze prevedibili - sul futuro della nostra società nazionale sia dal punto di vista giuridico, sia a livello culturale e di costume sia, infine, nella concreta ricaduta sulla vita delle famiglie italiane».

09 febbraio 2007


Da La Stampa 9-2-2007 Il Vaticano: basta affari con la camorra. Caserta: annullati i contratti. Giacomo Galeazzi

 

9/2/2007 (8:28) - DIETROFRONT DELL'ISTITUTO PER IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO

Caserta: annullati i contratti.
Il vescovo: "Cancellata una vergognosa ingiustizia"

CITTA' DEL VATICANO
Bloccati gli «strani affari» nella diocesi di Caserta. Dopo il clamore suscitato in Vaticano e nella Conferenza episcopale dalla denuncia su «La Stampa» del vescovo Raffaele Nogaro («Ricattatori nella Chiesa»), fa retromarcia l’istituto per il sostentamento del clero che aveva affittato un terreno ecclesiastico al boss camorrista Pasquale Belforte e stava per vendere ai palazzinari un’area ex demaniale da 40 milioni di euro.

Dietrofront
E dunque è costretto a tornare precipitosamente sui suoi passi don Antonio Aragosa, il direttore dell’Idsc di Caserta che aveva ceduto in affitto per 13 euro al mese ad un camorrista della zona un terreno agricolo di 2.600 metri quadrati di proprietà della Chiesa. Lo annuncia Nogaro: «Quel contratto non esiste più, è stato sciolto come la coscienza esigeva. Credenti e laici si sono uniti per impedire che proseguisse una vergognosa ingiustizia». Una battaglia vinta dal vescovo dopo un durissimo braccio di ferro con l’Isdc e due lettere di richiamo della Cei.

«Il rapporto esistente, per noi, è virtualmente già sciolto - si adegua don Aragosa -.Auspichiamo che l’affittuario decida di lasciare spontaneamente libero l’appezzamento, ma in caso contrario siamo determinati a cogliere ogni appiglio legale e ad intraprendere la necessaria causa civile per ottenere la rescissione e rientrare nel possesso materiale del fondo». Un totale cambiamento di rotta da parte dell’Idsc casertano: inizialmente lo stesso don Aragosa aveva detto che il contratto sarebbe andato avanti «regolarmente fino al 2013, cioè la data di scadenza naturale» purché il boss Belforte avesse demolito le costruzioni che aveva abusivamente fatto edificare nel terreno che gli era stato concesso esclusivamente per uso agricolo. Altrimenti l’Istituto ecclesiale avrebbe dovuto avventurarsi «in una causa che potrebbe durare anche diversi anni».

Monsignor Nogaro ha preteso da don Aragosa la «rescissione immediata» del contratto. A sostenere la censura di Nogaro sul «sacro business» è intervenuto anche il leader di «Libera» don Luigi Ciotti che ha appoggiato la battaglia del vescovo contro le collusioni nella Chiesa «con ambienti e persone che le mani se le sono sporcate di violenza, sangue, morte e illegalità».

Maxi-speculazione
Stop immediato per decisione della Curia anche all’«affaire Macrico», una maxi-speculazione edilizia da 40 milioni di euro su una preziosissima area di 33 ettari nel centro di Caserta che l’Idsc vorrebbe vendere a un gruppo di costruttori. Di proprietà della Chiesa fin dal XVII secolo, il terreno delle polemiche serviva per mantenere la mensa vescovile. Nell’Ottocento l’area venne ceduta in affitto ai Borboni che la usarono come «Campo di Marte» per le esercitazioni militari. Poi nel 1945 passò alle Forze armate italiane che ne fecero un magazzino e una caserma logistica (la Sacchi) e costruirono capannoni in lamiera ed edifici in muratura per un totale di 500mila metri cubi, occupando circa un quarto della superficie. Negli anni ‘80 la Curia avviò una causa per ottenere la restituzione dell’area che, nel 1994, tornò all’Idsc il quale ora vorrebbe venderla per fare cassa.

Il vescovo Nogaro, alla testa di un comitato civico con 12 mila adesioni, reclama che l’intera area venga dichiarata inedificabile e acquistata dalle amministrazioni locali a un prezzo ridotto per farne un grande spazio di utilità sociale. Venerdì partiranno le prime richieste dei cittadini per poter avere in affitto piccoli appezzamenti dell’area per uso agricolo, come era stato fatto con il camorrista Belforte.

L’ex zona militare tornata alla Curia è sotto la minaccia di trasformare il verde pubblico in cemento privato. Sullo sfondo c’è la camorra che, avendo fortissimi interessi nell’edilizia, guarda con attenzione a un’operazione che potrebbe costituire una colossale fonte di introiti e di accaparramento.

 

 


Dal Corriere della Sera 9-2-2007 Gea:chiesto giudizio per i Moggi e altri sette

 

Chiesta l'archiviazione per Chiara Geronzi e Giuseppe De Mita

Oltre all'ex dg della Juventus e al figlio rinviati anche Davide Lippi, e Luciano Gaucci per presunti illeciti

 

 

ROMA - La procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio di Luciano e Alessandro Moggi, Francesco Zavaglia, Riccardo Galleri, Davide Lippi, Pasquale Gallo, Francesco Ceravolo e Luciano Gaucci, indagati nell'ambito dell'inchiesta su presunti metodi illeciti della società di procuratori sportivi Gea World. Chiesta l'archiviazione delle posizioni di Chiara Geronzi, Tommaso Cellini e Giuseppe De Mita.

«DECISIONE ANNUNCIATA» - L’avvocato Marcello Melandri, difensore di Luciano Moggi, è sicurO: è una decisione annunciata, e il procedimento a carico del suo assistito potrebbe risolversi già in udienza preliminare, con una sentenza di proscioglimento. Adesso l’importante - ripete il legale - sarà trovare un gup veramente sopra le parti, che sappia leggere gli atti e non si spaventi di far cadere il castello di carte preparato dall’accusa. «Non è vero nel modo più assoluto che abbiamo intenzione di chiedere un rito alternativo - ha detto proprio ieri il penalista - L’assoluzione completa arriverà comunque».

I RUOLI DEGLI IMPUTATI - Luciano Moggi, suo figlio Alessandro e Franco Zavaglia sono indicati come organizzatori della «Gea world Spa», societá creata per acquisire il maggior numero possibile di procure sportive e tramite essa ottenere un potere contrattuale in grado di incidere in maniera determinante sul mercato calcistico per condizionare la gestione dei calciatori e di varie squadre del campionato di calcio.
Per quanto riguarda Riccardo Calleri, Davide Lippi, Pasquale Gallo e Francesco Ceravolo si attribuisce loro, in qualitá di partecipi di aver coadiuvato i Moggi e Zavaglia nell'attivitá di procacciamento delle procure con metodi illeciti. A Luciano Gaucci i magistrati non hanno contestato il reato di associazione per delinquere. All'ex patron del Perugia infatti, entrato nell'inchiesta successivamente, vengono attribuiti soltanto alcuni episodi che, in sostanza, non escludono dall'attivitá le altre persone per le quali è stato chiesto il rinvio a giudizio per associazione per delinquere.

QUESTE LE PRESSIONI SUBITE DAI CALCIATORI - David Trezeguet, Nicola Amoruso, Ruslan Nigmatullin, Ilyas Zeytulaev, Victor Budyanskiy, Davide Baiocco, Fabio Gatti, Giovanni Tedesco, Manuele Blasi, Giorgio Chiellini, Corrado Grabbi, Salvatore Fresi. Questi i calciatori indicati nella richiesta di rinvio a giudizio sulla Gea che sarebbero stati costretti a rilasciare la procura alla società guidata da Alessandro Moggi «a danno degli altri procuratori sportivi operanti nel settore». Per i pm Luca Palamara e Maria Cristina Palaia, i due Moggi avrebbero prospettato all'attaccante francese «la possibilità di ottenere un vantaggioso rinnovo contrattuale con la Juventus, società nella quale militava, laddove avesse conferito la procura sportiva ad Alessandro Moggi e l'impossibilità, in caso di non adesione alla proposta, di ottenere il prolungamento contrattuale, che in effetti fino a quel momento Luciano Moggi continuava a negargli». Avrebbero così tentato di usare «forme di minaccia implicita e indiretta per indurre il giocatore» ad affidarsi a Moggi jr, a discapito del procuratore Antonio Caliendo, ma il progetto non trovò attuazione per il rifiuto di Trezeguet che non ebbe il rinnovo del contratto. Per le vicende Amoruso, Zeytulaev, Budyanskiy e Nigmatullin sono ritenuti responsabili i due Moggi e Francesco Ceravolo. I tre, «una volta ottenuta la rappresentanza di Amoruso, con violenza e minaccia, consistita nell'avvalersi della forza di intimidazione e nella capacità di sopraffazione di Luciano Moggi, costringevano lo stesso ad accettare il trasferimento nel Perugia», prospettandogli «la possibilità di ritornare a giocare nella stagione calcistica 2001-2002 nella più blasonata squadra di calcio della Juventus» e a dare la rappresentanza ad Alessandro Moggi, contestualmente revocando l'incarico conferito al suo precedente procuratore Antonio Caliendo». Il suo passaggio dal Napoli alla Juventus» per il 2001/2002 «si realizzò effettivamente e gli indagati costrinsero Amoruso «ad accettare il trasferimento dalla Juve al Perugia per la stagione 2002/2003, addossando peraltro a quest'ultima squadra l'onere di sostenere l'elevato ingaggio del giocatore». Il caso Baiocco, che abbandonò il suo procuratore Giovanni Allegrini, chiama in causa, oltre ai Moggi, l'ex presidente del Perugia, Luciano Gaucci, che, «al fine di ottenere vantaggi dalla Gea World, in termini di future agevolazioni nell'acquisto dei giocatori, induceva» il giocatore «a farsi rappresentare» dalla società. Come contropartita c'era »il trasferimento dal Perugia alla Juve, il cui dg era Luciano Moggi, che dapprima effettivamente si concretizzava nella stagione 2002/2003, in concomitanza con il rilascio della procura sportiva, avvenuta tra gennaio e febbraio 2002, da parte di Baiocco ad Alessando Moggi, salvo poi dimostrarsi esclusivamente finalizzato al rilascio della procura sportiva, poichè pochi mesi dopo lo stesso Luciano Moggi rappresentava al giocatore che non avrebbe avuto la possibilità di essere impiegato nella Juve e che l'unica soluzione professionale era quella di accettare un ulteriore trasferimento al Piacenza». L'intervento di Gaucci compare anche nel capo d'imputazione relativo alle pressioni su Gatti che lasciò il suo agente Claudio Orlandini per Riccardo Calleri che, assieme a Moggi jr, avrebbe avvisato il calciatore che la Gea era l'unica strada per militare in squadre «di alto livello».

INCHIESTA PM ROMA CONTINUA SU ARBITRI E OPERATO FIGC - Se da un lato l’inchiesta sulla Gea è finita con la prevista richiesta di rinvio a giudizio dei maggiori indagati, intorno agli accertamenti svolti sulla società di intermediazione e procura sportiva si sono sviluppati altri filoni. Almeno due sono quelli noti, di cui si è avuta conferma in ambienti investigativi, anche se ancora non è stato emesso - per queste due indagini - alcun avviso di garanzia: l’uno è legato ad alcune presunte omissioni da parte della Figc, (Federazione italiana giuoco calcio) rispetto alla Commissione agenti di calciatori, e l’altro è su alcuni arbitri facenti parte della famosa «combriccola romana», come la definirono i carabinieri del nucleo operativo nel primo rapporto consegnato agli inquirenti di Napoli.
In particolare si vogliono appurare le eventuali responsabilità dei designatori Bergamo e Pairetto nelle valutazioni arbitrali. Nello stesso fascicolo verranno vagliate le posizioni di Palanca, Gabriele, Farina e De Santis, i cui nomi vennero fatti ai magistrati dall’ex presidente dell’Ancona Ermanno Pieroni. Per il momento ancora non è stata prevista l’ipotesi di frode sportiva, vuoi perché non c’è stato ancora riscontro investigativo ad alcune dichiarazioni fatte ad esempio da Franco Dal Cin e Aldo Spinelli. Dall’altro per una questione legata ai tempi della Procura di Napoli. Se infatti i magistrati partenopei accelerassero la loro richiesta di rinvio a giudizio per i pm romani ci sarebbe spazio per poter andare avanti tranquillamente.

09 febbraio 2007


Da La Repubblica 9-2-2007 Imprenditore arrestato per frode all'erario Si tratta di Alberico Cetti Serbelloni, presidente della società Gabrius


Altre sei persone iscritte nel registro degli indagati, accusate di associazione a delinquere


E' accusato di aver sottratto un miliardo

Il reato perpetrato con un giro di false fatturazioni nel settore delle opere d'arte
Il provvedimento cautelare scattato per "la pericolosità sociale" degli indagati


ROMA - La Guardia di Finanza di Milano ha arrestato questa mattina l'imprenditore Alberico Cetti Serbelloni, per una presunta frode all'erario di oltre un miliardo di euro. Altre sei persone sono state inoltre iscritte nel registro degli indagati nell'ambito della stessa indagine: per tutti l'accusa è associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale ai danni dell'erario.
Cetti Serbelloni appartiene a una antica famiglia milanese, che ha anche espresso un Papa, Pio IV. Dal 1997 dirige una web publishing company (Gabrius) specializzata nel settore dell'arte contemporanea, e nel 2005 ha anche siglato un accordo con il ministero della Cultura per l'accesso alla banca dati Artindex. E' inoltre editore di libri d'arte.
Le indagini, partite nel 2002 con la direzione del procuratore di Milano Giulia Perrotti, hanno portato, si legge in una nota della Guardia di Finanza, "alla scoperta di un giro di false fatturazioni nel settore delle opere d'arte tramite una serie di società appositamente costituite sia in Italia che all'estero, in particolare in Svizzera, Usa, Danimarca e Lussemburgo. Tali società, amministrate da prestanome e da fiduciari svizzeri, mettevano in atto un imponente giro di fatture false per frodare l'Iva relativa alle compravendite fittizie secondo lo schema classico noto come 'frode carosello'.
Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, il volume delle fatture false emesse ad oggi supera i 700 milioni di euro per una frode complessiva superiore al miliardo di euro. Il flusso di denaro raccolto dalle società estere veniva poi stornato in larga misura su una società di diritto irlandese, la Neptun Continental Limited, amministrata da un fiduciario svizzero che aveva investito tra l'altro nell'acquisto di un golf club a Marina di Pietrasanta, proprietà questa che è stata già sequestrata dalle autorità giudiziarie.
Il gip Alessandra Cerreti, nel firmare l'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Cetti, ha ritenuto sussistente la "pericolosità" sociale. Il gruppo infatti, da quasi cinque anni sotto inchiesta per altre vicende simili, ha ricostituito nuove società con cui reiterare la frode ai danni della Stato.
Cetti Serbelloni è noto nei circoli finanziari di Milano per le sue attività nel mondo dell'arte e di internet. Milanese di 48 anni, oltre a dirigere la Gabrius, specializzata nel settore dell'arte contemporanea, pubblica anche libri tramite una società editrice che porta il suo nome e offre servizi per l'analisi del mercato dell'arte. A questo scopo ha anche creato Artindex, una banca dati in cui sono catalogate 600mila opere e che raccoglie le informazioni su tutte le compravendite realizzate dalle più importanti case d'asta del mondo dal 1985.
Gabrius inoltre affianca le assicurazioni e le istituzioni finanziarie per la gestione dei servizi di "art banking". Uno dei palazzi storici della famiglia Serbelloni a Milano ospita da anni il circolo della Stampa oltre che varie iniziative culturali e convegni.
(9 febbraio 2007)

 


Da La Stampa 9-2-2007 Iraq, scomparsi 12 miliardi di dollari Maurizio Molinari

 

Trecento tonnellate di biglietti da cento. Gli Usa: forse sono finiti nella guerriglia

NEW YORK
Dodici miliardi di dollari in biglietti da cento ovvero 120 milioni di banconote per un peso complessivo di 363 tonnellate. Sono questi i numeri della pioggia di denaro che il governo americano inviò a Baghdad fra il 2003 ed il 2004 affidandone la distribuzione a Paul Bremer, allora a capo dell’Autorità provvisoria della coalizione alleata con il grado di governatore dell’Iraq. Il fiume di banconote usciva dai forzieri della Federal Reserve a New York, veniva imballato, imbarcato su aerei da trasporto militare C-130 e quindi decollava - anche due volte a settimana - verso la capitale irachena dove veniva distribuito ad ufficiali americani in sacche di plastica che potevano arrivare a contenere fino a due miliardi di dollari.
L’intera operazione è divenuta di dominio pubblico grazie a Henry Waxman, il combattivo deputato democratico della California neo-presidente della commissione della Camera per il controllo del governo, che dopo aver raccolto la necessaria documentazione ha chiamato a testimoniare Paul Bremer. Le ammissioni dell’ex governatore sono state trasmesse in diretta tv e gli americani sono così venuti a sapere che prima cinque miliardi di dollari e poi altri sette vennero prelevati dal governo americano dalle proprietà irachene congelate, dai proventi della vendita di petrolio e dalle giacenze del fondo Onu sul controllo delle sanzioni all’Iraq per essere adoperati al fine di facilitare l’insediamento dell’Autorità provvisoria.
Fra le prove documentate da Waxman vi sono i documenti di trasporto di 2,4 miliardi di dollari il 22 giugno 2004, le testimonianze su un ufficiale dell’amministrazone civile sulla «pioggia di biglietti» da cento dollari, il furto di 774.300 dollari dalla cassaforte di una divisione e l’ammissione di un militare di aver ricevuto 6,75 milioni in contanti con la richiesta di spenderli in fretta prima dell’insediamento del primo governo iracheno. Stuart Bowen, ispettore generale della ricostruzione in Iraq, ha affermato alla commissione della Camera che almeno 8,8 miliardi di dollari sono stati «versati senza avere sicurezza su come sarebbero stati adoperati».
Sarà ora la commissione Waxman a continuare gli accertamenti al fine di appurare chi e perché ha ricevuto i 12 miliardi di dollari. Bremer è consapevole del rischio di essere accusato di aver favorito la corruzione - senza escludere che parte dei fondi siano poi arrivati alle milizie - e la sua difesa finora è stata nell’affermare che si trattava di «fondi iracheni e non americani», sulla cui gestione dunque il Congresso non avrebbe il potere di indagare. Waxman tuttavia vuole arrivare a scoprire la sorte dei fondi versati dal governo americano e si è affrettato a far sapere a Bremer che presto sarà chiamato ancora a deporre. «Ammetto di aver compiuto degli errori ma bisogna tener presente che eravamo nel mezzo di una guerra - si è giustificato l’ex governatore - si lavorava in condizioni molto difficili e nell’assenza di un sistema bancario dovevamo agire con velocità per far funzionare l’amministrazione». A Baghdad intanto è in pieno svolgimento l’operazione per smantellare le milizie illegali: i raid si sono concentrati nelle zone sunnite. Ieri un blitz della polizia ha portato all’arresto di Hakim al-Zamili, il viceministro della Sanità per aver finanziato le attività dei miliziani sciiti fedeli a Moqtada al Sadr.

 


 

Da Il Corriere della sera 9-2-2007 Con il Tatarellum di male in peggio di Giovanni Sartori

 

Le ipotesi sulla riforma del sistema elettorale

 

 

Come rivoteremo alle politiche? Il dibattito già infuria perché sulla riforma del sistema elettorale pende un referendum, il che irrita i partiti. Questa partita, ritengono, ci spetta, è cosa nostra. Il dibattito sarebbe noioso se non fosse innovato e vivacizzato dalle nuove stupidate che ne emergono. Fino a poco fa, toccare il maggioritario era sacrilegio perché era attentare al bipolarismo, perché chi voleva la proporzionale era un subdolo «centrista» atteso a silurare la democrazia dell’alternanza. Poi Berlusconi e Lega ci hanno imposto il Porcellum, che è un sistema proporzionale (sia pure di tipo «porcata»). Dopodiché i più sono diventati proporzionalisti. Ma come? Non vogliamo più il bipolarismo e l’alternanza? No, anzi, li vogliamo sempre più. Ma, se così, cosa è successo? Dicevamo cretinate prima (da maggioritari), oppure le diciamo ora (da proporzionalisti)? Secondo me, sia prima che ora.

Intanto il fatto è che il nostro ministro per le Riforme on. Chiti ha doverosamente fatto il giro delle sette chiese ricavandone che esiste un nuovo consenso. Che non è—figurarsi — su modelli collaudati, ma invece su «un nuovo modello italiano» che deve per forza essere nuovo (visto che i precedenti hanno fatto fiasco), ma che poi tanto nuovo non è. Difatti si ispira al cosiddetto Tatarellum, e cioè al sistema vigente per le elezioni regionali. Ne riassumo gli estremi: 1) rappresentanza proporzionale con elezione diretta del presidente della Regione; 2) divieto di ribaltone: se il presidente cade si deve rivotare; 3) premio di maggioranza alla coalizione vincente. E tanto basta per dichiarare il Tatarellum l’impasto di tutte le assurdità elettorali inventate dal genio italico negli ultimi anni. È un impasto che abbiamo digerito perché si divide per venti (tante quante sono le nostre regioni), e quindi perché funziona, maluccio, su piccola scala. Ma venti «malucci» sommati assieme ci darebbero un inaccettabile «malissimo» a livello nazionale. Prescindiamo dal fatto che per un sistema parlamentare sia l’elezione diretta (sub 1) quanto il divieto di ribaltone (sub 2) appaiono norme incostituzionali che violano il principio della sovranità del Parlamento. Resta che anche la terza proposta proprio non va.

Finché vigeva il Mattarellum le alleanze elettorali non erano tenute a includere cani e gatti. Infatti l’uninominale consentiva accordi reciproci di desistenza: io mi ritiro in questo collegio e tu ti ritiri, in compenso, in quest’altro collegio. Il primo governo Prodi vinse l’elezione con le desistenze concordate con Rifondazione comunista. Poi cadde perché Prodi è un «duro » incapace di flessibilità. Ma allora il centrosinistra continuò a governare proprio perché Bertinotti era sostituibile. Il secondo governo Prodi è caratterizzato, invece, dalla inclusione di tutte le estreme (di sinistra) nel suo governo. Risultato: in passato Prodi avrebbe potuto accettare, volendo, voti esterni alla stessa stregua con la quale accettava il voto esterno di Bertinotti. Ora non più. Ora si è incastrato: gli estremisti li ha in casa. E questo imbottigliamento verrebbe sanzionato dal Tatarellum nazionalizzato. Perché una coalizione con premio di maggioranza obbliga a mettersi in casa tutti coloro che ne dovrebbero essere lasciati fuori. Il problema italiano non è il bipolarismo a livello elettorale ma a livello di governo. È che noi stiamo fabbricando «poli » sempre più eterogenei al loro interno e blindati al loro esterno. L’esatto contrario di quel che dovrebbe essere. E le coalizioni «maggiorate» sono, appunto, il coronamento di questa distorsione.

09 febbraio 2007

 

 


 

Da La Repubblica 8-2-2007 Economia italiana in netta ripresa


MILANO - Un'economia in decisa ripresa, con il Pil che quest'anno crescerà dell'1,4%, dopo l'1,7% del 2006, a fronte di un'inflazione appena sopra il 2%. Sullo sfondo, un andamento dei conti pubblici in grado di riportare nel 2007 il deficit sotto la soglia del 3%. E' questa la fotografia dell'Italia che tra qualche giorno verrà diffusa dal Fondo monetario internazionale, che ieri ha discusso il cosiddetto rapporto annuale 'ex Articolo 4' su stato e prospettive dell'economia italiana.

La discussione del rapporto sull'Italia, secondo quanto si apprende da fonti del Fondo, ha portato alla stesura di un documento che aggiorna le prime sintetiche conclusioni, diffuse a Roma lo scorso novembre dagli ispettori dell'Fmi guidati da Alessandro Leipold, e che ricalca in gran parte la bozza anticipata già nei giorni scorsi.

"La crescita della produzione nel 2006-07 - sempre secondo la bozza - sembra essere la più forte dal 2001. La disoccupazione sta calando, l'inflazione è generalmente in linea con quella dell'area euro e ci sono i segni iniziali che indicano che una trasformazione strutturale potrebbe essere in atto".

Ma non sono da dimenticare alcuni problemi fondamentali che ancora persistono: l'insufficiente competitività interna, un mercato del lavoro ancora rigido, un 'business enviroment' scoraggiante, mercati dei capitali relativamente poco sviluppati e conti pubblici tuttora insostenibili.

Non ultimo resta sempre il fardello di un debito pubblico che quest'anno rimarrà sostanzialmente invariato, attorno al 107% del Pil. Quanto alla previdenza, l'invito è agli incentivi tali da favorire l'allungamento della permanenza media al lavoro. Sul punto, il ministro dello Sviluppo economico, Pierluigi Bersani, ha affermato nei giorni scorsi, durante la visita di tre giorni a Washington e New York, che il nodo pensioni dovrà essere affrontato puntando anche sul dialogo con il sindacato che è interessato a raggiungere un sistema "equilibrato".

Nel documento è stata inoltre ribadita l'esortazione ad accelerare sulle riforme (c'è apprezzamento per le misure sulle liberalizzazioni) per poter innalzare il potenziale di crescita, con una nuova campagna di interventi strutturali, fra i quali l'ulteriore riforma della previdenza con l'innalzamento dell'età pensionabile.

Alcuni importanti interventi sono stati avviati, secondo i contenuti della bozza dell'Art.4, nonostante "molto resti ancora da fare" con i problemi legati alla maggioranza ridotta e con alcuni partner della coalizione che oppongono resistenza "alle riforme orientate al mercato".

 


 

Da Il Sole 24 Ore 8-2-2007 Ciò che irrita gli americani: il doppio binario su Kabul

È facile prevedere che l'incontro fra il ministro degli Esteri D'Alema e l'ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, Spogli, servirà a ricordare che fra i due Paesi esistono storici rapporti d'amicizia. Formula che va bene per negare clamorose fratture o insanabili disaccordi, ma non è così convincente se l'obiettivo consiste nel diradare la nebbia delle ultime settimane. Per questo, ci vuol altro che una stretta di mano e un comunicato in linguaggio diplomatico.
Del resto, sullo sfondo di questo incontro c'è lalettera irrituale (parole di D'Alema)dei sei ambasciatori all'Italia perché si impegni in Afghanistan. Ci sono la risposta irritata della Farnesina e la replica altrettanto dura del governo americano.Soprattutto c'è la diffidenza dell'amministrazione Bush nei riguardi del centrosinistra prodiano e di una politica estera che appare a Washington ondivaga e condizionata dai militanti idelogizzati dell'estrema sinistra.
Da parte italiana si risponde con un pizzico di sufficienza. Qualche anno fa sarebbe stata impensabile. E non perché allora era al governo Silvio Berlusconi, con il suo atlantismo di ferro, ma per la buona ragione che Bush era nel pieno del suo mandato. Mentre oggi il presidente ha assunto i tratti un po'malinconici del cavallo a fine corsa, per di più sconfitto nelle ultime elezioni di "mid term". Così il governo italiano trova conveniente far mostra di autonomia in politica estera. Vuole essere una lezione data all'amministrazione Bush, nel momento in cui quest'ultima non fa più paura. Con l'idea, anzi, di entrare insintonia con il 70%circa degli americani che hanno votato indirettamente contro l'attuale presidente lo scorso novembre. La questione, s'intende, è più complessa. Da un lato, l'America non è così debole come si pretende in certi ambienti della sinistra italiana. Bush è, sì, un presidente azzoppato. Ma esistono linee strategiche,specie in materia di lotta al terrorismo, che vanno molto al dilà di un ricambio alla Casa Bianca.
Peraltro, ciò che disturba gli americani è una certa doppiezza degli interlocutori italiani. A parte il caso della base di Vicenza, dove scenderanno in piazza a protestare autorevoli membri della coalizione di governo, resta il fatto che D'Alema, pochi mesi fa a New York, aveva definito l'Afghanistan il teatro privilegiato della guerra al terrorismo. Espressione, va da sé, che era piaciuta molto a Washington e aveva contribuito a fare del ministro degli Esteri l'interlocutore preferito a Roma.
Da allora le cose sono cambiate e non in meglio. Il governo di Roma ha risposto picche alla richiesta reiterata dalla Nato di spostare i soldati italiani in Afghanistan verso Sud, in zona di combattimenti. C'è stata a questo proposito una generale freddezza della coalizione, accompagnata da un esplicito veto di Rifondazione. Quindi, ecco la contraddizione: da un lato il ministro degli Esteri che parla di lotta al terrorismo e mostra di condividere gli obiettivi strategici dell'alleanza in Afghanistan. Dall'altro i veti della sinistra radicale proprio sull'impegno afgano. Veti accolti senza batter ciglio da Prodi e D'Alema. L'Italia ama rappresentarsi come costruttrice di una viaalternativa per la pace a Kabul (la dalemiana conferenza internazionale, molto futuribile). In realtà le sue sono scelte dettate da astuzia,allo scopo di mantenere l'unità della coalizione. Ma gli Stati Uniti si muovono su un'altra scala e alla fine si arriva alla miniSigonella.Subito ricucita come la vera Sigonella, ma altrettanto foriera di successivi e inquietanti sviluppi.

 


 

Da La Repubblica 9-2-2007  "Italia, impara a mangiare" Il governo contro il junk-food  di Licia Granello


Una task force fra ministri, coordinata da Livia Turco, per una alimentazione
corretta. Campagna per l'equilibrio nelle diete e per incentivare l'addio a alcool e funmo

Italiani pigri e sovrappeso. L'ultima indagine voluta dalla Commissione Europea mette in castigo adulti e bambini, giudicati i più grassi d'Europa. Il governo corre ai ripari: il ministro della Salute Livia Turco ha attivato una task force interministeriale contro junk food, fumo, alcol e sedentarietà. "Guadagnare salute" verrà presentato a fine mese al Consiglio dei Ministri, per diventare operativo nel più breve tempo possibile.
Spiega il ministro: "Molti nemici della salute si possono prevenire non fumando, mangiando in modo sano ed equilibrato, non abusando dell'alcol e ricordando che l'organismo richiede movimento fisico. I provvedimenti puntano a migliorare conoscenza e pratica dei corretti stili di vita".
Mangiamo troppo, mangiamo male, non facciamo attività fisica, beviamo e fumiamo in abbondanza. Secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, quasi nove decessi su dieci e oltre il 75% della spesa sanitaria in Europa e in Italia sono legati alle cosiddette patologie-killer - malattie cardiovascolari, tumori, diabete, affezioni respiratorie croniche, disturbi mentali e muscoloscheletrici - che hanno come anamnesi comune stili di vita sbagliati.
L'ultima ricerca realizzata per la Commissione Europea in materia di alimentazione ci relega all'ultimo posto in Europa per attività fisica, coscienza dei pericoli legati all'obesità, tempo dedicato a sport e tempo libero all'aria aperta. In compenso, siamo in testa alla disgraziata classifica delle ore passate seduti - davanti al computer o alla tv, poco importa - e primi per numero di bambini obesi. Primati tanto più pericolosi se è vero che non ce ne rendiamo assolutamente conto: il rapporto "Food&health" svela che gli italiani non ritengono di avere figli sovrappeso, né di trascorrere troppo tempo in poltrona.
Il progetto si articola in quattro piani strategici: alimentazione, attività fisica, lotta al fumo e all'abuso di alcol e si traduce in una rete di tanti piccoli interventi virtuosi che coinvolgono una decina di ministeri. Si va dal divieto di regalare latte artificiale nei reparti di ostetricia alle agevolazioni fiscali per le pratiche sportive di bimbi e ragazzi, su su fino all'ora di salute da inserire nei programmi scolastici e agli spot per incentivare il consumo di verdura (metà degli italiani la ignora completamente). Scorrendo gli ultimi dati, la diagnosi del sottosegretario Antonio Gaglione, cardiologo interventista, tra i responsabili del progetto, è impietosa: "Mangiamo troppi carboidrati complessi, pane, pasta, dolci, e poi bistecche, fritti e bibite gassate. A consumare le benedette cinque porzioni di frutta e verdura quotidiane è il 5% degli italiani. Un disastro. E come se non bastasse, non muoviamo un passo, idem i nostri bambini. Mica bisogna fare acrobazie sportive per mantenersi in forma: la strada è palestra, il pavimento attrezzo, basta volerlo".
Se manca la buona volontà individuale, gli investimenti collettivi riescono addirittura sconfortanti. In Francia il ministero dell'Istruzione stanzia circa 77 euro per l'attività fisica di ogni studente, in Gran Bretagna il valore cala drasticamente a 14 euro. Da noi, oggi non arriviamo a 50 centesimi di euro. Risultato: bambini sempre più pigri e paffuti, che spendono 70 calorie all'ora guardando la tv contro le 250 di una passeggiata.
L'intersettorialità del progetto dovrebbe riparare a questo e altri errori clamorosi nel nostro rapporto tra cibo, movimento e salute. Così, Uisp e ministero del Lavoro hanno appena varato "Diamoci una mossa", campagna scolastica che coinvolge alunni e genitori di mille classi primarie di tutta Italia, avendo come simbolo una doppia piramide: quella alimentare e quella dell'attività fisica. "Meglio prevenire che curare", sostiene la Turco. Sembra un concetto banale, e invece è più o meno il contrario di quanto sostengono i suoi colleghi in Spagna e Inghilterra. "Paesi come la Gran Bretagna sembrano aver imboccato una via punitiva verso chi stenta ad abbandonare vizi o cattive abitudini pur essendo stati avvertiti dei rischi correlati: penalizzazioni sulle cure per un disturbo cardiaco o un cancro nei confronti di fumatori incalliti, idem per gli alcolisti o per gli obesi. Noi vogliamo mantenere intatto il principio del diritto alla cura. Ma oggi la scienza ci mette davanti a una potenziale rivoluzione nell'approccio alla tutela della salute: la prevenzione primaria diventa l'arma più importante. Questo deve diventare anche il nostro obbiettivo".
(9 febbraio 2007)


 

Da La Repubblica 8-2-2007 Afghanistan, D'Alema incontra Spogli "Il testo pubblicato da Repubblica era un editoriale e non una lettera"

 

Riunione a Palazzo Chigi con il rappresentante Usa in Italia
"Sulla lettera degli ambasciatori caso chiuso"

Riunione improntata alla "massima cordialità" e sono stati registrati "passi avanti"
Fonti americane: "Sicuramente si è parlato anche della base americana di Vicenza"

ROMA - "Il caso è chiuso". La crisi diplomatica innescata dalla lettera sull'Afghanistan indirizzata all'Italia da sei ambasciatori attraverso Repubblica, si è conclusa con il colloquio tra il ministro degli Esteri Massimo D'Alema con l'ambasciatore degli Stati Uniti, Ronald Spogli. Il capo della missione Usa è arrivato a Palazzo Chigi alle 18.30 e ha lasciato la sede del governo un'ora e 10 minuti più tardi senza rilasciare dichiarazioni.
Fonti dell'ambasciata americana hanno confermato a Repubblica che l'incontro con il ministro D'Alema è stata una buona riunione. "Abbiamo confrontato costruttivamente le nostre idee sull'editoriale pubblicato da Repubblica - dicono le fonti - che noi intendevamo come appunto un editoriale, un articolo e non una lettera aperta. Sicuramente si è parlato anche di Vicenza".
E, infatti, la nota della Farnesina sottolinea che "il colloquio ha consentito di fare il punto su vari temi dell'attualità internazionale di interesse comune di Italia e Stati Uniti". L'incontro, riferiscono fonti americane, è stato improntato alla "massima cordialità". Sono stati registrati "passi avanti" ed è stata sottolineata "l'importanza" della collaborazione tra Italia e Stati Uniti nella missione in Afghanistan.
Nel corso del colloquio, che, per stessa ammissione delle fonti Usa "è durato molto più del previsto", si è parlato in un clima di "estrema cordialità", della "estrema importanza che l'Afghanistan ricopre negli equilibri regionali e nell'impegno per la pace".
"Ne è emersa confermata - sottolinea la Farnesina - la volontà dei due governi di proseguire quella tradizionale costruttiva collaborazione nella gestione delle principali aree di crisi, che caratterizza il rapporto tra i due Paesi e tra i due governi, e che si fonda su una consolidata intesa ed amicizia e su una ampia condivisione di valori e obiettivi".
Per quanto riguarda l'Afghanistan, "il Ministro D'Alema ha confermato l'impegno del governo italiano a continuare a contribuire nell'ambito delle Nazioni Unite e dell'Alleanza Atlantica all'opera di stabilizzazione e ricostruzione del Paese. L'Ambasciatore Spogli - dice ancora la nota - ha dal canto suo confermato che l'amministrazione americana apprezza e condivide l'impegno italiano in Afghanistan".
Stamane dai microfoni di 'Radio anch'io' il segretario dei Ds Piero Fassino, si era detto certo che con questo incontro il 'caso ambasciatori', sarebbe stato definitivamente chiuso.
(8 febbraio 2007)


 

Da Corriere della sera 8-2-2007 La Bce raffredda i listini Federico De Rosa

 

Il commento

Voci di una nuova stretta monetaria in Europa mettono la marcia indietro ai titoli del comparto finanziario. Editoriali deboli, Rcs in controtendenza

 

Chiusura in calo per Piazza Affari, in linea con le altre Borse europee sulle quali ha pesato la debolezza di Wall Street. Ma anche le parole del presidente della Banca Centrale Europea, Jean Claude Trichet, che lasciano presagire una nuova stretta monetaria. Il Mibtel ha ceduto lo 0,79% e l’S&P-Mib lo 0,89%. I realizzi hanno colpito un po’ tutti i comparti, ma l’attenzione si è concentrata principalmente sui finanziari. A partire da Capitalia che arretra dell’1,32% dopo le notizie di divergenza ai vertici dell'istituto romano e le precisazioni dei soci Santander e Bollorè, secondo cui le rispettive partecipazioni non superano il 2%. L’ingresso nel capitale della banca romana di due nuovi soci, in chiave di difesa dell’indipendenza, ha creato qualche tensione in Borsa. Che si è estesa a Mediobanca, in calo dello 0,4%, e Generali che è riuscita invece a chiudere in rialzo dello 0,24% sulle attese di possibili novità nell’azionariato. Nel resto del comparto male UniCredito (-1,65%), Intesa Sanpaolo (-0,94%), Montepaschi (-0,76%) e Bpm (-1,4%). In controtendenza Finmeccanica, che tramite la joint-venture Atr tra Alenia ed Eads potrebbe vendere 150 aerei in India nei prossimi 6 anni.
Realizzi su Fiat (-1,36%), oggetto, secondo alcuni operatori, di realizzi da parte dei fondi che avevano investito a prezzi più bassi. In calo anche Ifi (-1,14%) e Ifil (-1,26%). Deboli gli editoriali, dopo il profit warning lanciato dalla britannica Emap. Mondadori è stato il peggiore delle blue chip, con un calo del 2,9%, complice un report di Morgan Stanley che ha confermato il giudizio “underweight”. Male anche L’Espresso (-1,6%), mentre hanno chiuso in controtendenza Class Editori (+6,7%), che ieri ha comunicato di aver ceduto il 3,64% di Nsr (licenze radio satellitare) a Telecom Italia per 2 milioni di euro, e Rcs MediaGroup (+0,9%) che prosegue la corsa iniziata ieri dopo la diffusione dei conti del 2006 e la notizia dell’accordo per l’acquisizione del gruppo spagnolo Recoletos. Deboli i telefonici con Fastweb che arretra del 2%, Tiscali dello 0,72% e Telecom Italia dello 0,96%.

08 febbraio 2007

 


INDICE 8-2-2007

 

 

++ Da La Repubblica 8-2-2007 Farnesina: "Sul caso Lozano si applichi il Trattato con gli Usa" 47

8/2/2007 - LA STORIA Il pirata degli Urali sfida Bill Gates Windows taroccato: un preside rischia il Gulag ANNA ZAFESOVA 48

Dal Corriere della Sera 8-2-2007 Clima torrido, a rischio Chianti e Brunello. Il riscaldamento globale avrà effetti nefasti sul clima. E nel giro di un secolo la Toscana potrebbe non produrre più i suoi vini pregiati 48

Da La Stampa 8-2-2007.  8/2/2007 (7:13) - TENSIONE ITALIA-USA Calipari, a giudizio il soldato Usa. FLAVIA AMABILE  49

Da La Stampa 8-2-2007 Vicenda Calidari. Il Pentagono: "Storia chiusa Non vi daremo il soldato" PAOLO MASTROLILLI 49

Da La Repubblica 8-2-2007   Iraq, una lunga guerra senza faccia  di BERNARDO VALLI 50

Da Il Sole 24 Ore 7-2-2007   L'informazione ancora negata ai risparmiatori. ALESSANDRO MERLI 51

Da Libero 7-2-2007 Banche: ecco perchè costano tanto Il nostro mercato è troppo indietro di Davide Giacalone  52

Da La Repubblica 7-2-2007  Capitalia: Matteo Arpe fuori dalla banca  53

Da La Repubblica 7-2-2007  La provincia di Firenze ai giovani "Contestateci, ma su internet" 53

 


 

Da La Repubblica 8-2-2007 Farnesina: "Sul caso Lozano si applichi il Trattato con gli Usa"

Il ministero degli Esteri chiede la piena applicazione
dell'accordo di assistenza giudiziaria tra Italia e Stati Uniti

Il gup oggi ha chiamato in causa il Dipartimento di Difesa degli Stati Uniti d'America
Fassino: "Verità sul caso Calipari, e chi è responsabile sia chiamato a risponderne"

 

ROMA - Sul caso del marine Usa Luis Mario Lozano, rinviato ieri a giudizio per l'omicidio del funzionario del Sismi Nicola Calipari e per il duplice tentato omicidio della giornalista Giuliana Sgrena e del maggiore Andrea Carpani, la Farnesina auspica
"la piena applicazione del Trattato di assistenza giudiziaria tra Italia e Stati Uniti". "Da parte nostra si è sempre sostenuto che tutte le potenzialità di collaborazione bilaterale offerte dal Trattato di mutua assistenza giudiziaria in vigore tra Italia e Stati Uniti devono essere pienamente colte", chiarisce il portavoce del ministero degli Esteri, Pasquale Ferrara.
"Sotto il profilo dell'accertamento dell'accaduto - ricostruisce Ferrara - a suo tempo Italia e Stati Uniti collaborarono in un'inchiesta molto approfondita. non fu possibile giungere a conclusioni concordate e l'Italia ritiene che il punto di vista che fu recepito dal rapporto è quello che per quanto ci riguarda costituisce il punto di riferimento". Fatta questa premessa, il portavoce della Farnesina, sottolinea come "altra questione sia una indipendente ed autonoma iniziata della magistratura, che è iniziata e segue i suoi canali".
Intanto con un decreto di tre pagine, oggi il gup Sante Spinaci ha accolto la richiesta dell'avvocato Alessandro Gamberini, che Giuliana Sgrena, di chiamare in causa il Dipartimento di Difesa degli Stati Uniti d'America (U.S. Department of Defence) nella persona del segretario della Difesa (secretary of Defence) pro-tempore", nell'ambito del processo che prenderà il via il 17 aprile nell'aula bunker di Rebibbia, a carico di Lozano.

"La condotta criminosa - ha spiegato il giudice - è stata posta in essere da Lozano mentre era in servizio a Baghdad alle dipendenze della Forza militare statunitense e nel corso di una operazione militare svolta per conto di tale Forza militare".
"Chiediamo che si accerti tutta la verità e che sulla base di questo accertamento chi ha responsabilità sia chiamato a rispondere", ha ribadito oggi a "Radio Anch'io" il segretario dei Ds Piero Fassino.
''Il magistrato - spiega il leader della Quercia - ha definito ieri l'omicidio di Nicola Calipari non colposo, ma volontario: se così è chiediamo sia accertata tutta la verità e chi è responsabile sia chiamato a risponderne''.
Durissimo il commento dell'Avvenire che giudica la decisione presa dagli Stati Uniti di non concedere l'estradizione per Mario Lozano "un'anomalia insolente". "Non sono qui in discussione -scrive il quotidiano dei Vescovi- i termini di un'alleanza consolidata dalla storia tra Italia e Stati Uniti. Il che non toglie che l'impunibilità pretesa dall'America in materia di diritto internazionale rappresenti un'anomalia".

(8 febbraio 2007)

 


8/2/2007 - LA STORIA Il pirata degli Urali sfida Bill Gates Windows taroccato: un preside rischia il Gulag ANNA ZAFESOVA

 

Guadagna circa 170 euro al mese, vive a 10 mila chilometri da Seattle, nella campagna sperduta degli Urali, si porta dietro un soprannome ridicolo e una barba da santone errante ortodosso, e viene accusato di aver derubato l’uomo più ricco del mondo. Avrebbe arrecato «danno particolarmente rilevante» (circa 7600 euro) violando i diritti d’autore della Microsoft. In altre parole, ha installato un Windows taroccato, e ora rischia 5 anni di carcere. In compenso, Alexandr Ponosov da sconosciuto preside di una scuola di provincia è diventato il russo del momento: in sua difesa si sono scomodati Mikhail Gorbaciov e Vladimir Putin, e Internet ribolle di solidarietà con lui, il piccolo uomo finito vittima di due colossi senz’anima, la giustizia russa e la Microsoft di Bill Gates.
Il cammino di Ponosov verso la gloria nazionale suo malgrado comincia il 1° settembre 2005, quando nel villaggio di Sepych - uno di quei luoghi sperduti della Russia che non si trovano nemmeno sulle carte geografiche, negli Urali - viene finalmente inaugurata una nuova scuola. L’avevano messa in cantiere ancora all’epoca di Brezhnev, ma dopo 30 anni il miracolo si è compiuto grazie all’energia del nuovo preside Alexandr Ponosov. L’uomo della provvidenza, dicevano di lui nel villaggio: giovane, non alcolizzato, gran lavoratore, che aveva chiesto l’assegnazione a un luogo da cui tutti scappavano, animato dalla sua fede di «starover», i vecchi credenti ortodossi che hanno un culto del lavoro da protestanti, e dal senso della missione dell’«intellighenzia» russa di istruire il popolo. E’ riuscito a trovare uno sponsor, e in mezzo alle casupole di tronchi, dove ci si riscalda ancora con le stufe a legna, è sorta la scuola modello: ben due piani, in solidi mattoni, palestra, mensa, docce e perfino computer, che i ragazzi di Sepych avevano visto solo nei film. Un dono dello sponsor, spiegava il preside orgoglioso.
Ponosov - ribattezzato nel frattempo dai suoi allievi per ovvia assonanza «Ponos», diarrea - si incaricò personalmente dell’insegnamento dell’informatica. Al ritmo dei click del mouse gli iscritti diventarono ben 380, dai 6 ai 17 anni, raccolti quotidianamente in giro per 15 villaggi circostanti da un vero scuolabus, come nei film americani. Ma quest’isola felice era un’isola dei «pirati», come ha spiegato la polizia che un bel giorno ha sequestrato i 12 Pc, incriminando il preside per aver installato il software piratato. Il calcolo del danno è stato di 266 mila rubli, 7600 euro, e patteggiare sarebbe costato 2 mila euro: una cifra che a Sepych, appare astronomica quanto i miliardi di Bill Gates.
A nulla sono valse le giustificazioni del «pirata» che aveva ricevuto i Pc con i programmi già installati: «Non sono nemmeno in grado di distinguere un Windows falso dall’originale». Per chi riempie i forum in difesa di Ponosov con il classico «Kill Bill» bisogna aggiungere un’attenuante: la Microsoft si è rifiutata di costituirsi parte civile, visto che il preside «non è un pirata incallito». Ma l’implacabile macchina della giustizia russa - peraltro spinta per anni dalla stessa Microsoft, la cui presidente russa Olga Dergunova è sulle copertine dei magazine come modello di businesswoman di successo e spietata - si è già messa in moto. Del resto, una delle condizioni per far accedere la Russia alla Wto era proprio la lotta alla pirateria, e mentre a Mosca un Windows taroccato si vende liberamente per 5 euro, il povero preside è finito in tribunale, costretto al domicilio coatto. I suoi allievi che hanno manifestato per lui sono stati prontamente trasferiti alla procura: «Ero emozionata, era il mio primo interrogatorio», dice Anja, 14 anni, torchiata dal magistrato che voleva scoprire se il preside si fosse macchiato anche di abuso d’ufficio, facendo pressioni sugli studenti perché scendessero in piazza.
Per la difesa di Ponosov si è scomodato perfino Vladimir Putin: «Minacciare uno con la prigione perché ha comprato un computer è una stupidata da cani», ha dichiarato con il suo solito linguaggio che non lascia spazio ad equivoci. Mikhail Gorbaciov invece ha provato la strada della persuasione da vip a vip, scrivendo a Bill Gates: «L’insegnante, che ha dedicato la sua vita all’educazione dei bambini e che ha uno stipendio basso, incomparabile con quelli dei dipendenti della tua compagnia, rischia la prigione siberiana. La sua responsabilità è incerta, ti chiedo di essere magnanimo». Bill non ha risposto, ma la Microsoft ha replicato auspicando una «soluzione amichevole», ma ribadendo di essere al fianco del Cremlino nella lotta alla pirateria: «Sono state le autorità russe ad aprire il procedimento penale, speriamo in un giusto verdetto del tribunale». I contadini di Sepych, senza aver capito molto di computer e diritti d’autore, l’hanno già emesso in base a quello che hanno sentito in tv: «Il preside sembrava tanto bravo, ma invece era è un ladro».

 

Dal Corriere della Sera 8-2-2007 Clima torrido, a rischio Chianti e Brunello. Il riscaldamento globale avrà effetti nefasti sul clima. E nel giro di un secolo la Toscana potrebbe non produrre più i suoi vini pregiati

 

Allarme degli esperti. Minacciato anche il vino nobile di Montepulciano

 

FIRENZE - Nel giro di neppure un secolo, a causa del clima, il Brunello di Montalcino, il Chianti Classico e il Nobile di Montepulciano rischiano di estinguersi. Potrebbero infatti non esserci più le condizioni climatiche che oggi caratterizzano quelle zone di produzione. È lo scenario apocalittico che viene fuori dallo studio «Effetto della variabilità meteoclimatica sulla qualità dei vini», realizzato dall' università di Firenze e diffuso dall'agenzia Winenews.

LO STUDIO - Lo hanno condotto Simone Orlandini, Giampiero Maracchi, Marco Mancini del Dipartimento di Scienze Agronomiche e Gestione del Territorio Agroforestale; Gaetano Zipoli e Daniele Grifoni dell'Istituto di Biometeorologia del Cnr di Firenze. Secondo quanto affermato dal World Economic Forum all'Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change), dall'Onu alla Consultative Group on International Agricultural Research (Cgiar) il progressivo aumento dell'effetto serra, accelerato da processi di antropizzazione sempre più aggressivi, provocherà gravi anomalie climatiche, facendo crescere, entro il 2100, la temperatura della terra da 1,8 a 4 gradi centigradi, sulla fine del secolo precedente. Una tendenza che, nell'ultimo secolo, ha interessato anche il nostro Paese, con un aumento termico dell'ordine di 1,2 gradi centigradi (secondo la rilevazione del gruppo di Climatologia storica dell'Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima (Isac) del Cnr di Bologna.

VINO E GLOBAL WARMING - Fra le molte conseguenze del «global warming», anche il cambiamento della geografia enologica mondiale, con un progressivo innalzamento della latitudine ideale per la pratica della viticoltura, che interesserà, inevitabilmente, anche i terroir dell'eccellenza enologica toscana. Il ragionamento vale però per tutti i vini, qualunque sia la latitudine alla quale vengono prodotti. «Già oggi, spiega il prof. Maracchi, che dirige anche l'istituto di biometeorologia del Cnr di Firenze, in alcune zone del Veneto tradizionalmente votate alla produzione di vini da tavola si registrano condizioni climatiche che sarebbero più adatte alla produzione di vini da dessert, un po' sul modello del Marsala». Non solo: lo spostamento progressivo verso nord della soglia climatica per la coltivazione della vite lascia pure spazio all'ipotesi che Paesi del centro e del Nord Europa, oggi tagliati fuori dall'attività vitivinicola, possano in futuro diventare a loro volta produttori di vino ( Ascolta l'audio) .

CALDO BUONO E CALDO CATTIVO - L'innalzamento delle temperature non è sempre stato un fattore negativo, dal punto di vista della produzione enologica. A partire, dagli anni Ottanta, infatti, il livello qualitativo dei vini delle tre grandi denominazioni toscane - sempre secondo lo studio realizzato nel 2006 dall' università di Firenze - ha fatto registrare apprezzabili incrementi, non solo imputabili ai progressi della viticoltura e dell'enologia, ma anche alle particolari condizioni climatiche, soprattutto in termini di più elevata disponibilità termica. Ma in futuro il surriscaldamento farà sì che vengano meno queste condizioni e questo, insieme alla riduzione delle precipitazioni, porterebbe ad un'eccessiva disponibilità termica, con gravi ripercussioni sulla disponibilità idrica. Il risultato sarebbe una messa a rischio della compatibilità dei tre territori toscani con una soddisfacente attività vitivinicola.

08 febbraio 2007

 

Da La Stampa 8-2-2007.  8/2/2007 (7:13) - TENSIONE ITALIA-USA Calipari, a giudizio il soldato Usa. FLAVIA AMABILE

 

È accusato di omicidio volontario. Secondo il gup "sparò per uccidere"

 

ROMA
Mario Lozano sarà processato. Se il suo nome non vi dice molto pensate al sequestro della giornalista Giuliana Sgrena e alla morte di Nicola Calipari, il funzionario del Sismi che l’aveva appena liberata. Lozano è il soldato Usa che da un check point sulla Irish Route, a Baghdad, sparò sull’auto che correva all’aeroporto per riportare la giornalista in Italia. Secondo il gup di Roma Sante Spinaci, Lozano ha violato «macroscopicamente le basilari regole di ingaggio». Il gup ha chiarito che quello di Calipari fu «un delitto oggettivamente politico», e che la giurisdizione italiana ha competenza a giudicare Lozano a dispetto di quanti, invocando l’articolo 10 del Codice Penale (presenza in Italia dello straniero che abbia commesso reati all’estero ai danni di nostri connazionali), rivendicavano lo stato di improcedibilità da parte della magistratura. Una decisione non scontata quella del gup, che ha sorpreso molti, e che oggi verrà completata con la citazione, in veste di responsabile civile, del Dipartimento della Difesa americano. L’Inpgi, che ha rimborsato la giornalista per i danni subiti, sta valutando se costituirsi parte civile.
Dunque, a partire dal 17 aprile prossimo, la terza Corte di assise di Roma sarà chiamata a pronunciarsi sulle accuse di omicidio volontario di Calipari e di duplice tentato omicidio (nei confronti di Giuliana Sgrena e del maggiore Andrea Carpani che guidava l’auto) rivolte al militare americano. Finora Lozano, e le autorità del suo Paese, hanno ignorato tutte le iniziative prese dalla magistratura romana sul caso Calipari. Ancora ieri il Pentagono ha ribadito che «il caso è chiuso» e precisato che non intende estradare l’imputato. Questo non avrà ripercussioni sul processo: si terrà comunque, che Lozano ci sia o meno.
L’intera vicenda potrebbe invece avere ripercussioni sui rapporti Italia-Usa. Il ministro di Grazia e Giustizia ha ricordato di aver «promesso» l’estradizione alla vedova Calipari e di averla poi chiesta «al ministro Gonzales a Washington». Richiesta caduta nel nulla. E da destra si sottolineano i rischi di questa fase dei rapporti fra i due Paesi. Claudio Scajola di Fi esprime la sua «preoccupazione crescente che i rapporti si complichino». Fabrizio Cardinali, l’avvocato d’ufficio di Lozano, assicura comunque che il suo cliente «verrà assolto» perché non faceva altro che adempiere a «un dovere che derivava da un ordine di un suo superiore di grado».
Ma intanto il soldato è accusato di delitto politico. Definizione che non riscuote grande consenso a destra. «No comment» è il giudizio di Scajola. Mentre la vedova Calipari, ora senatrice dei Ds, si dice pienamente soddisfatta: «Anche se non è una vittoria, solo il primo passo di quello che temo sia un lungo percorso». Soddisfatta anche Giuliana Sgrena che precisa: «Non voglio, però, un capro espiatorio in Lozano». «La condotta di Mario Lozano - scrive il gup - appare sorretta da un dolo diretto finalizzato a raggiungere l’obiettivo di bloccare l’autovettura anche mediante il ferimento o la morte dei suoi occupanti quasi certamente previsti o, alternativamente, voluti».

 


 

Da La Stampa 8-2-2007 Vicenda Calidari. Il Pentagono: "Storia chiusa Non vi daremo il soldato" PAOLO MASTROLILLI

 

NEW YORK
Il caso è chiuso e l'estradizione è esclusa. Così le autorità americane rispondono al rinvio a giudizio di Mario Lozano, mentre il soldato fa sapere che si riconosce «completamente nel rapporto degli inquirenti». A nome del Pentagono, ha parlato il comandante di Marina Joe Carpenter: «Il nostro governo ha espresso a suo tempo le condoglianze, che ribadiamo, per una morte tragica. Tuttavia noi restiamo ai risultati dell'inchiesta che fu condotta dalle forze della Coalizione nel 2005, incluse le conclusioni ufficiali che sottolineavano come nessuna ulteriore azione fosse richiesta contro i soldati di quel checkpoint». Carpenter ha detto che «non è utile aggiungere ulteriori commenti. Tocca ad altri elementi del governo Usa, in particolare il Dipartimento di Stato, discuterne con le autorità in Italia».
Ma la posizione del «ministero degli Esteri» non è diversa dal Pentagono. Secondo Terry Davidson, responsabile delle comunicazioni per l'Europa, il suo governo «è dispiaciuto per la tragica morte di Calipari, considerato un eroe dai funzionari americani che hanno lavorato con lui. Gli Stati Uniti e l'Italia hanno condotto insieme un'approfondita inchiesta congiunta su questo caso, che consideriamo chiuso». Davidson ha dichiarato di non poter commentare gli aspetti legali della vicenda, però una fonte anonima ha precisato all'Ansa che non c'è alcuna possibilità di estradizione. Il trattamento giuridico dei soldati americani all'estero, infatti, è un tema su cui Washington ha sempre avuto una posizione rigida, per evitare che possano essere portati in tribunale. Anche per questa ragione gli Usa non hanno aderito alla Corte penale internazionale dell'Aja. Il portavoce delle Casa Bianca Tony Snow ha evitato di commentare gli aspetti legali della vicenda: «Non intendo parlare di attività giudiziarie però intendo sottolineare che noi continueremo a lavorare molto strettamente con gli alleati degli Stati Uniti». Il colega del Dipartimento di Stato, Sean McCormack, ha aggiunto: «I soldati americani hanno agito in linea con le regole di ingaggio. Persone ragionevoli possono giungere a conclusioni diverse partendo dagli stessi fatti: penso che ciò sia accaduto in questo caso».
Il nome di Mario Lozano si è saputo solo per un errore nella criptazione dei documenti che lo citavano. Lui ha 35 anni, è originario del Bronx e ha due figlie, di 12 e 15 anni.
Era andato in Iraq come specialist nel 69th Infantry Regiment della New York State National Guard. Secondo il tenente colonnello Paul Fanning, portavoce del reggimento, Lozano serve ancora nella sua unità. La Guardia Nazionale fa parte della riserva, e quindi i suoi membri non sono soldati a tempo pieno. Mario vive con la famiglia e lavora, e ogni tanto si addestra. Il portavoce non è sicuro, ma sarebbe stato promosso sergente. Lozano ha sempre rifiutato di parlare in pubblico della morte di Calipari, ma ieri Fanning lo ha sentito e ha raccolto questa dichiarazione: «Il rapporto frutto dell'investigazione è accurato». Dunque l'incidente, secondo il soldato di New York, è andato come ha scritto la commissione d'inchiesta.
Qualche tempo fa un suo compagno di reparto aveva detto al giornale Daily News che Mario era «devastato» dalla morte di Calipari. Fanning conferma che «tragedie così non le superi mai, anche perché il nostro reparto ha perso undici uomini in Iraq». Il tenente colonnello descrive Lozano come «una persona normalissima», al corrente degli sviluppi legali e politici del suo caso. Proprio perciò chiede di essere lasciato in pace. La questione dei grilletti facili in Iraq, però, sta avendo un impatto negli Usa. Secondo Marla Bertagnolli, direttrice associata della Campaign for Innocent Victims in Conflict, «il Pentagono tiene una statistica di questi casi, che sono molto più numerosi di quanto ammetta. Perciò in primavera verrà presentata una legge in Congresso, per ottenere almeno che i militari rivelino i loro errori e compensino i famigliari delle vittime».

 


 

Da La Repubblica 8-2-2007   Iraq, una lunga guerra senza faccia  di BERNARDO VALLI

 

Ci sono tanti tipi di guerre. Fin dai primi passi l'uomo ne ha inventate e praticate tante. E si può dire riassumendo che le ha considerate, secondo i tempi e le ideologie, tribunali dei principi, continuazioni della politica con altri mezzi, patologie sociali.
In che categoria collocare la guerra in Iraq? Nei nostri giorni, secondo gli studiosi dell'antico fenomeno ci sono gli ultra-conflitti (armi di distruzione di massa), gli iperconflitti (guerre mondiali, '14-'18, '39-'45), i macro-conflitti (guerre internazionali o civili localizzate), i medio-conflitti (Algeria negli anni '90, Irlanda del Nord, Palestina), i micro-conflitti (guerriglia o terrorismo limitati nello spazio e nel tempo), e gli infra-conflitti (rivalità armate, guerra fredda).
E' evidente che non si tratta di una scienza esatta. I criteri sono soggettivi. La guerra in Iraq potrebbe rientrare in più categorie. Ad esempio nella quinta, quella dei micro-conflitti, alimentati da guerriglia e terrorismo. Ma sarebbe una collocazione riduttiva. Via via quella guerra, cominciata in modo classico (come un confronto armato tra forze militari di due unità politiche indipendenti) si è infatti maledettamente complicata.
La classificazione tiene conto della durata, dell'intensità e della natura. La guerra in Iraq doveva essere di breve durata ed è diventata lunga, anzi lunghissima. Non se ne intravede la fine. Sembra destinata a diventare cronica. L'intensità non è più debole ma forte. In quanto alla sua natura è difficile definirla: all'inizio era, appunto, un conflitto tra due Stati, ma poi è diventata interna (civile), pur coinvolgendo sempre forze militari straniere (quindi internazionale).
E adesso viene combattuta su quattro piani: 1) americani e governativi sciiti e curdi contro l'insurrezione armata sunnita (suddivisa in almeno due componenti: quella saddamista e quella musulmana integralista cosmopolita, ispirata da Al Qaeda); 2) gruppi terroristi sunniti autonomi contro gruppi terroristi sciiti altrettanto autonomi; 3) milizie sciite contro milizie sciite rivali; 4) americani contro milizie sciite insubordinate e legate all'Iran. Insomma si tratta di una guerra iperassimetrica, che confonde le idee degli strateghi e dei politologi.
Questo groviglio contribuisce a farne una guerra "senza faccia". Che suscita orrore, per le stragi quotidiane, ma spesso un orrore generico. Un orrore che conduce a condannare l'America di George W. Bush, all'origine di una guerra preventiva con motivazioni infondate (armi di distruzioni di massa inesistenti e altrettanto inesistente complicità tra Saddam Hussein e i terroristi dell'11 settembre), e adesso incapace di concluderla. Ma lo stesso orrore porta a condannare anche chi provoca stragi indiscriminate nella popolazione inerme.
Le immagini delle torture nel carcere di Abu Ghraib si alternano a quelle delle donne e dei loro figli dilaniati dalle autobombe in un mercato di Bagdad o davanti a una moschea di Najaf.
L'impressione che sia una guerra "senza faccia" non è certo dovuta alla mancanza di volti straziati. E' creata dal fatto che quei volti ci appaiono come elementi di una massa anonima. Così ci vengono presentati. Sono annunciati con dei numeri. Accendono la nostra attenzione quando i notiziari quotidiani ci danno l'ammontare delle vittime. A quale cifra sobbalziamo? Quale livello deve raggiungere il sangue iracheno versato per scuotere la nostra sensibilità? Cento? Più di cento? Duecento? Al giorno naturalmente e in un solo attentato. Se i corpi dilaniati in un mercato o davanti a una moschea sono soltanto alcune decine pensiamo, senza troppo riflettere, di istinto, che sia la solita routine, in quella guerra remota, che ci viene raccontata con i numeri.
Nella nostra civiltà delle immagini le guerre sono state riassunte da alcune fotografie che guardate anche dopo anni ci riportano in Algeria, in Vietnam, in Irlanda, in Bangladesh, nel Sinai, in Israele, in Palestina. O nel Ruanda, dove sui bordi delle strade, sulle piazze, nelle chiese, ci sono montagne di teschi e di varie ossa, umane ben inteso. Decine di migliaia di fotografie ci sono arrivate e ci arrivano dall'Iraq. Ma nessuna riassume la tragedia irachena. Come se, appunto, quella guerra non avesse "una faccia". Come se i corpi straziati dalle bombe non avessero una storia. Non meritassero di essere raccontati. Non avessero un nome.
I numeri che quotidianamente ci rivelano l'orrore suonano spesso falsi. Anzi lo sono. Perché a comunicarceli sono le autorità, civili e militari, che in una guerra non sono tenuti a dire tutta la verità. E i cronisti sono limitati nei movimenti.
Possono difficilmente andare "sul posto" perché oltre ai rischi cui sono esposti i civili iracheni, corrono il pericolo di essere presi come ostaggi. Non ci sono dunque testimoni diretti e obiettivi. I numerosi ammazzamenti nei quartieri contesi da sciiti e sunniti non rientrano sempre nelle statistiche. Ed è raro leggere, ad esempio, cronache dettagliate delle tragedie negli ospedali, dove i feriti o i malati sunniti non vogliono essere ricoverati, perché non si fidano dei medici, se sono sciiti. E viceversa. Tante cifre, dunque, ma spesso false.
La guerra in Iraq suscita orrore ma non passioni di parte. Anche questo contribuisce a renderla "senza faccia". La passione può avere connotati antiamericani. Come tale esiste. Si è manifestata e si manifesta. Ma anche chi si augura una sconfitta americana ("tipo Vietnam"), non si esalta all'idea di una vittoria dell'insurrezione armata, che pratica il terrorismo indiscriminato ed è imbevuta di un rudimentale fondamentalismo islamico. La guerra in Iraq è come un vicolo cieco.
Mi chiedo quanti morti siano necessari per accendere l'interesse dei cittadini occidentali. Cento? Più di cento? Duecento? Parlo delle quotidiane stragi irachene. La puntuale notizia dell'autobomba esplosa in un mercato di Bagdad o davanti a una moschea di Najaf è da tempo routine.
(8 febbraio 2007)


 

Da Il Sole 24 Ore 7-2-2007   L'informazione ancora negata ai risparmiatori. ALESSANDRO MERLI

Il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, ha molto a cuore i rapporti fra le banche e la loro clientela,cui ha dedicato una parte del suo discorso di sabato scorso al Forex di Torino. Fra l'altro, il governatore ha sottolineato l'importanza dell'educazione finanziaria dei risparmiatori: tema la cui rilevanza è sottolineata sia dai danni ingenti (alle tasche dei risparmiatori e alla reputazione delle banche) causati dagli scandali finanziari degli ultimi anni, sia dal peso delle prossime scelte dei lavoratori sulla previdenza complementare.
Si tratta però di un'area dove si fa assai poco. Lo stesso Draghi rileva che «le iniziative in questo campo sono solo agli esordi »e ha assicurato la disponibilità della Banca d'Italia a contribuire. Ma a chi tocca muoversi per assicurare che il pubblico dei risparmiatori sia "alfabetizzato"in materia finanziaria?Se n'è occupata l'Ocse, in uno studio intitolato appunto Improving financial literacy ( Migliorare l'alfabetizzazione finanziaria).
Dal quale emerge anzitutto che il livello di comprensione della finanza, secondo indagini svolte in 12 Paesi industriali, è basso, e che la crescente complessità dei prodotti finanziari e i cambiamenti nei sistemi pensionistici rendono urgente porvi riparo.
Secondo l'Ocse, un ruolo chiave spetta al mercato, cioè a banche e intermediari finanziari,che dovrebbero distinguere chiaramente fra l'educazione finanziaria data ai loro clienti, l'informazione e i "consigli per gli acquisti". In fondo, come sostiene il premio Nobel per l'Economia Robert Merton, gli intermediari hanno un incentivo a informare gli investitori, in quanto informazioni limitate frenano la domanda di attività finanziarie. Ma le recenti vicende dimostrano che questa è un'area dove i fallimenti del mercato sono molti. E quindi c'è un primo compito per il settore pubblico nell'assicurare la qualità dell'informazione fornita dagli intermediari finanziari. Al di là del monitoraggio e della vigilanza, il settore pubblico ha anche un ruolo nel fornire esso stesso informazione finanziaria, soprattutto con la crescita del risparmio gestito (in cui il risparmiatore delega le scelte a un gestore), secondo due economisti italiani,Luigi Guiso e Tullio Jappelli,e Michael Haliassos, che studiano da tempo attentamente la problematica legata al risparmio delle famiglie. Ma l'Ocse sostiene che gli sforzi dovrebbero partire ancor più da lontano, cioè dalla scuola:«Le persone dovrebbero essere educate in materia finanziaria fin da giovanissime».Poi dovrebbero essere create strutture specializzate presso le autorità esistenti per promuovere e coordinare l'educazione finanziaria. Questa può consistere, ad esempio,di campagne nazionali o locali,anche online.
Draghi ha ricordato anche che la Legge finanziaria prevede uno stanziamento per campagne informative sulla previdenza complementare. È un buon inizio, ma non può restare isolato. E soprattutto non si può aspettare un altro scandalo per alfabetizzare gli italiani sulla finanza.

alessandro.merli@ilsole24ore.co

 


Dal Corriere della sera 6-2-2007  Londra è la capitale europea più pericolosa. Lo studio commissionato dall'Unione europea. La città più sicura è Lisbona. Francesco Tortora

 

Nella capitale britannica almeno tre cittadini su 10 hanno subito un crimine.

 

BRUXELLES - Per molti è la città più "cool" e più interessante d'Europa e ogni anno tanti giovani del Vecchio Continente vi emigrano per trovare successo e ricchezza. Ma quest'anno Londra vanta un primato poco lodevole: secondo lo studio "Crimine e sicurezza nell'Unione europea" condotto dalle agenzie "Gallup Europe" e "Unicri" e commissionato dall'Unione Europea la città inglese sarebbe anche la capitale d'Europa più pericolosa
STUDIO - Le agenzie che hanno condotto questo studio hanno chiesto ai cittadini di diciotto capitale europee e di altre città minori quale fosse la percezione del crimine nelle loro città e soprattutto se avessero mai subito delle rapine o altri crimini: sono stati intervistate 1200 persone per ogni capitale europea e alla fine hanno risposto oltre 40.000 cittadini europei. I risultati non hanno tenuto conto delle cifre che ogni anno la polizia locale diffonde, ma solo delle risposte degli intervistati
CAPITALE INGLESE - Tra i cittadini di Londra intervistati, almeno 3 su 10 hanno confessato di aver subito direttamente un crimine nel 2004. Una delle cause di questo incredibile tasso di criminalità sarebbe dovuto al rapido aumento demografico vissuto dalla capitale inglese negli ultimi anni. Alla fine, dichiara lo studio, si può affermare che «Londra è più pericolosa di New York e di Istanbul». La città con meno crimini invece è Lisbona, dove solo il 10% della popolazione dichiara di aver subito una rapina o un altro crimine durante il 2004. Roma, secondo lo stesso studio, si attesta tra le capitali con il minore tasso di criminalità: solo 17 cittadini su 100 hanno dichiarato di essere stati vittime di reati recenti. Tra le altre città con un alto tasso di criminalità primeggiano Amsterdam e Belfast
STATI - Per quanto riguarda poi gli Stati, i paesi anglosassoni detengono il primato della criminalità: ai primi posti della classifica si posizionano Inghilterra e Irlanda, seguiti da Estonia, Olanda, Danimarca. I paesi con minore tasso di criminalità sono Spagna, Ungheria, Portogallo e Finlandia. I reati più comuni sono rapine, borseggi e truffe. L'Italia si attesta in una posizione intermedia, ma può vantare uno dei tassi più bassi di criminalità per quanto riguarda le violenze contro i minori dove primeggiano la Francia, la Danimarca, l'Inghilterra, il Belgio e l'Olanda
DIECI ANNI FA - Rispetto a 10 anni fa il tasso di criminalità in Europa è molto diminuito: nel 2004 solo 15% dei cittadini europei ha dichiarato di essere stato vittima di un crimine, mentre nel 1995 le vittime nel Vecchio Continente era il 25% della popolazione. Tuttavia almeno 3 cittadini su 10 in Europa affermano di non sentirsi sicuri quando camminano in strada e soprattutto gli italiani apprezzano poco il lavoro della polizia all'indomani di un crimine subito: solo 40 italiani su 100 infatti hanno dichiarato "soddisfacente" l'operato delle forze dell'ordine dopo aver subito un reato.

06 febbraio 2007

 


 

Da Libero 7-2-2007 Banche: ecco perchè costano tanto Il nostro mercato è troppo indietro di Davide Giacalone


Secondo un'indagine della Commissione Europea il costo medio per il mantenimento di un conto corrente bancario, in Italia, è di 90 euro, mentre la media europea è 14. La Commissione sbaglia, per difetto. Secondo gli accertamenti della Banca d'Italia quel costo è di 163 euro, mentre secondo la nostra Autorità antitrust è di 182. Le banche italiane sono ricche, ma poco popolari, sì da spingere a credere che la loro esosità sia sintomo della loro rapacità.

Invece la situazione è peggiore, perché quei costi fuori dal normale e dall'accettabile sono solo un sintomo dell'arretratezza del nostro mercato.
In Italia le banche sono troppe e troppo poco concentrate, il che non spinge, come teoricamente potrebbe supporsi, verso una maggiore concorrenza, quindi maggiori benefici per i clienti, ma conserva l'inefficienza del sistema e rende "naturali" le condotte collusive, con grave danno per l'economia tutta e la clientela in particolare. Già sotto la (troppo partecipe) regia del governatore Fazio si erano realizzate alcune fusioni, ma, come avverte oggi il successore, Mario Draghi, mentre nell'area dell'euro, tra il 2001 ed il 2005, gli operatori bancari sono diminuiti di 900 unità e i primi cinque hanno accresciuto di quattro punti la loro quota di mercato, in Italia è successo l'opposto, segnalandosi una concentrazione in discesa dal 46 al 44 per cento. Sale al 48 nell'ultimo anno, avverte Draghi, e quel che segue segnala il vero problema ed il velenoso riferimento alla Santintesa voluta da Bazoli e benedetta da Prodi.
Se, infatti, i dati segnalano lo spazio e l'opportunità d'ulteriori concentrazioni, il governatore ammonisce che «il consolidamento dell'industria bancaria può e deve produrre una maggiore efficienza degli intermediari, non una minore concorrenza: deve tradursi in prezzi più bassi e migliore qualità dei servizi. I gruppi nati dalle concentrazioni devono dimostrare di essere in grado di ridurre significativamente e rapidamente gli oneri per la clientela». È un avvertimento affatto banale, attenzione. La dispersione delle banche italiane ha una sua lunga storia, ma da tempo crea viscosità, alti costi e bassa concorrenza. II processo di concentrazione è una buona cosa, ma a patto che non creda di portare i difetti di oggi dentro contenitori più grandi e più forti, perché in questo caso la situazione peggiorerebbe.

Ciò è esattamente quel che sta succedendo, perché per molti protagonisti del mondo bancario quel che conta non è il mercato, e men che meno la clientela, ma il potere che si amministra gestendo la ragnatela delle partecipazioni incrociate e la dipendenza dell'industria dal credito. L'una e l'altra cosa sono segno di terribile arretratezza, mettendo in evidenza l'assenza di un modemo mercato dei capitali e del risparmio. Se vogliamo tenerci l'arretratezza, se vogliamo scivolare sulla dolce tavola del declino, non abbiamo che da continuare con la condotta avviata.
Le banche strizzeranno i risparmiatori con una mano, che se lesta può tomare a vendere loro l'invendibile, mentre con l'altra siederanno alla direzione dell'industria, scaleranno le assicurazioni e dedicheranno al Corriere un'attenzione non letteraria. Intanto il governo sequestra il tfr ai lavoratori, e non per favorire la partenza di nuovi protagonisti nel mercato, bensì per finanziare un sistema pensionistico di cui tutti conoscono la debolezza, ma cui tutti preferiscono far pagare il consenso odiemo fregando gli interessi dei pensionati futuri.
Per essere sicuri che nulla cambi ci si deve proteggere dallo straniero, e per questo ci si guarda bene dal mettere sul mercato i servizi del Bancoposta, ma se ne prendono i soldi, per il tramite della Cassa Depositi e Prestiti, e li si porta a far società con l'inefficienza del sistema bancario. A qualcuno si darà a bere che servono per le reti, ma con quelli si pagheranno i sacchi di sabbia con cui difendersi dalla piena del mercato. L'acqua entrerà dalla finestra, naturalmente.
Il ricatto con cui si tenta di cementare una tale politica d'impossibile conservazione è il seguente: e che volete, fare entrare gli stranieri? date il credito in mano loro e vi ritroverete senza politica industriale e senza la leva con cui ancora aiutare le aziende italiane, con il che saremo colonizzati. Ora, a parte che siamo dentro l'Unione Europea, il che qualcosa significa, e che, comunque, non è una bella altemativa l'essere svuotati dall'interno, una cosa è sicura: il Paese che tenta di preservare i propri difetti, finanziandoli con soldi che potrebbero andare all'innovazione ed alla produzione, ha già perso prima di competere.
Per queste ragioni l'intervento di Mario Draghi al Forex di Torino, tenutosi sabato scorso, andrebbe letto e riletto, misurando con cura la distanza fra quella consapevolezza e la confusione che regna in politica e non mancando di riflettere sulle sagge parole dedicate all'insopportabile pressione fiscale. I clienti che sperano di pagar meno il conto corrente, il fido, il mutuo, il libretto, devono sapere che è quella la dottrina nella quale sperare, senza credere che siano le bersanate a poter mettere la minestra nel loro piatto.

 


Da La Repubblica 7-2-2007  Capitalia: Matteo Arpe fuori dalla banca


MILANO - Grandi manovre su Capitalia con la regia franco-spagnola. A muovere le pedine sarebbe l'imprenditore francese, Vincent Bollorè, che avrebbe acquistato una partecipazione in Capitalia pari al 10% insieme al presidente di Santander, Emilio Botin. Un ingresso che non dispiace al presidente del gruppo romano Cesare Geronzi e che, invece, viene accolto in maniera gelida dall’amministratore delegato Matteo Arpe, che, indiscrezioni provenienti dalla City londinese (dove è stato trovato il suo sostituto), danno in imminente uscita forse già dalla prossima settimana. Evidentemente, Geronzi non vuole correre rischi. Qualche tempo fa, quando era no in corso trattative per la fusione di Capitalia con Intesa, Arpe comprò il 2 per cento di Intesa mandando a rotoli la fusione.

“Siamo soddisfatti se entità così importanti come il Santander e personalità di rilievo internazionale danno un giudizio positivo sul nostro gruppo tali da giustificare investimenti che, come detto, sono finanziari", ha dichiarato oggi il presidente dell’istituto romano, Cesare Geronzi, a margine di un convegno. Ciò non compromette - ha detto Geronzi – i rapporti con il primo socio, gli olandese di Abn Amro.: “"Rimangono buoni e non credo ci siano tensioni". Comunque - ha poi spiegato - "nei prossimi tre mesi non succederà nulla. Il settore finanziario italiano sarà caratterizzato da assoluta stabilità, e chi ha progetti - e noi li abbiamo - li realizzerà". Sicuramente - ha aggiunto "ogni progetto e ogni dossier verrà discusso con l'amministratore delegato e i soci del patto". Ad una domanda dei giornalisti su come sono i rapporti con Abn-Amro Geronzi ha risposto: E' possibile l'ingresso di Santander nel patto? Per il presidente di Capitalia "di questo si discuterà probabilmente con i membri del patto" ha detto Geronzi che potrebbe incontrare il presidente di Santander: "Sarò contento se chiederà di vedermi - ha detto - altrimenti saro ' io a cercarlo.

Ma se il presidente 'apre' l'amministratore delegato di Capitalia, Matteo Arpe, prende le distanze da eventuali manovre transalpine e giudica rischioso l'ingresso di francesi e spagnoli nell'azionariato dell'istituto di via Minghetti. "Quanto sta accadendo in questi giorni", ha detto "somiglia a quanto accaduto in Italia tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento con le signorie che litigavano tra loro e, per risolvere la situazione, chiamarono i francesi. Non vorrei che si ripetesse la storia di Ludovico il Moro e della chiamata dei francesi". A quanti poi ricordano il motto romano "Franza e Spagna basta che se magna", Arpe ha replicato: "Mi pare un detto molto attuale a Roma in questi giorni".

07/02/2007 - 17:30

 


 

Da La Repubblica 7-2-2007  La provincia di Firenze ai giovani "Contestateci, ma su internet"

 

il più giovane presidente di provincia italiano polemizza con Scalzone.  E invita la gioventù che vuole protestare ad usare le nuove armi "on line"

ROMA - Un giovane che scrive ai giovani, anzi un politico giovane - il più giovane presidente di provincia italiano - che contesta Scalzone e le sassaiole invitando invece i ragazzi a usare internet come strumento di contestazione e protesta. "La pietra di oggi si chiama internet", scrive Matteo Renzi, - Presidente della Provincia di Firenze, della Margherita - nella sua lettera aperta.
Renzi, "eletto quando non avevo nemmeno trent'anni", non ha mai pensato che "la strada per cambiare o per far sentire la mia sul futuro di questo paese sia prendere una pietra e tirarla contro qualcuno".
Perché, continua poco dopo il presidente, "sono convinto che nel XXI secolo esistano altri tipi di pietre, che possono provocare ferite più gravi o avere un impatto più forte di un sasso vero". Pietre che rimbalzano veloci, che valgono più "di migliaia di manifestazioni e proteste di piazza". Un esempio? "Un'iniziativa virale come quella del sequestro bufala del seggio di Zapatero, con tanto di video in rete, non solo ha fatto il giro del mondo in pochi istanti" ma ha avuto un'eco, un impatto fortissimo "per la sensibilizzazione sulle campagne del millennio Onu" che valgono molto di più di migliaia di proteste collettive.
Senza contare che ci sono siti come Youtube o MySpace in cui i protagonisti sono gli utenti che lì possono interagire e dialogare. O anche Wikipedia,è possibile intervenire sulle voci dell'enciclopedia online magari "arricchendo il nome di un personaggio con un particolare scabroso". Senza contare che è possibile contattare i politici attraverso le loro e-mail, sempre presenti sui siti istituzionali.
"Volete per esempio protestare contro il deputato o il senatore di turno? Ogni parlamentare ha la sua e-mail personale che viene riportata in un elenco sui siti di Camera e Senato", come quelli dei politici che lavorano nelle amministrazioni locali, nei comuni, nelle province e nelle regioni.
Quella di Renzi è sul sito della Regione e su quello personale ed è: presidente@provincia.fi.it. Si può usare per iscriversi al sito e ricevere e-news relative alle iniziative della provincia, del presidente, video con le sue interviste tv come quella delle Invasioni Barbariche, o "cancellarsi dall'invio o indicare nuovi amici o rispondere con commenti, suggerimenti, indicazioni". Perché, scrive ancora, "dobbiamo capire se stiamo facendo la cosa giusta".
Il web "è la nuova forza, il nuovo strumento per contare e per farci sentire, purché usato in maniera accorta e sensata". Il politico della Margherita continua la sua polemica con Scalzone dicendo che bisognerebbe spiegargli "che la frontiera della libertà oggi passa per internet, dove le voci dei cosiddetti cyberdissidenti vengono messe a tacere da governi che vorrebbero mettere le mani sulla rete". Insomma, le pietre non servono più per le proteste, nè le manifestazioni: "un mouse vi sarà più utile" conclude Renzi.
(7 febbraio 2007)

 


INDICE 7-2-2007

++ Da Corriere della Sera 7-2-2007 Afghanistan: si combatte anche sul web. Di Guido Olimpio  54

+ Da La Repubblica 7-2-2007 Bernheim: puntiamo a crescere, ma ci ostacolano. "Non parlo più italiano da quando Cuccia e Maranghi mi hanno mandato via nel '99". di Andrea Greco E Roberto Rho  55

+ Dal Corriere della Sera 7-2-2007 Calcio, ecco la bozza del decreto legge. Le norme penali contenute nel provvedimento del governo. 57

Da La Repubblica 6-2-2007 Fuga dai fondi, i risparmiatori  dirottati su strumenti strutturati 57

Da La Stampa 7-2-2007  - Putin avverte Bush: "Non attaccarmi". Il Cremlino si sente minacciato dallo scudo antimissile americano. Di Anna Zafesova  57

Da La Repubblica 6-2-2007 L'Olanda: "L'Italia sapeva dell'iniziativa". La Spagna: "Mai stati contattati". Lettera dei "sei", Bucarest si dissocia. La Nato: "Non è nostra iniziativa" 58

Da Europa 7-2-2007  Ma non è una vera Sigonella  58

Dal Corriere della Sera 6-2-2007 Gli Usa a D'Alema: «Nessuna interferenza». La replica dopo la dura presa di posizione del ministro degli esteri: «La lettera dell'ambasciatore Spogli è la linea di Bush»  59

Da  Il Sole 24 Ore 6-2-2007  Boom dei consumi in Cina. Nel 2014 sarà il secondo mercato mondiale di Gianluigi Torchiani 59

Da zeusnews.it 6-2-2007 Lo scandalo della formazione Telecom   60

 

 


Da Corriere della Sera 7-2-2007 Afghanistan: si combatte anche sul web. Di Guido Olimpio

 

La maggior parte dei clip ha il marchio «As Sahab»

Decine di filmati propagandistici diffusi da Al Qaeda. E gli Usa reclutano specialisti per adeguarsi al confronto mediatico

 

 

Soldati americani, inglesi, danesi attestati in remoti avamposti. Guerriglieri che preparano agguati lungo strade appena tracciate. Sparatorie, incursioni, bombe rudimentali e mezzi sofisticati. Il conflitto afghano, così come quello in Iraq, va in rete. Su Internet circolano decine di video girati dai protagonisti della battaglia. Alcuni sono davvero amatoriali, altri più sofisticati. Molti dei filmati dei ribelli recano il logo di «As Sahab» (la nuvola), la società di distribuzione qaedista. Il marchio si è fatto un nome rilanciando i video dei capi di Al Qaeda, ma la vera specialità sono i brevi documentari su talebani e combattenti arabi. Diverse clip hanno anche i sottotitoli in inglese in quanto devono raggiungere spettatori (soprattutto in Europa) che sono di fede islamica però conoscono poco l’arabo.

I filmati dei mujaheddin hanno a volte una colonna sonora con canti guerreschi o invocazioni religiose. I soldati alleati, invece, inseriscono musica rock, temi dei rapper. Le formazioni che si ispirano al qaedismo e quelle jihadiste mediorientali hanno deciso da tempo di investire nella propaganda. Già nel 2000 Osama Bin Laden, in una lettera al mullah Omar, capo dei talebani, sottolineava come la battaglia con il nemico dovesse concentrarsi sull’informazione. In netto ritardo gli americani. Il Pentagono è ricorso all’arma della propaganda ma secondo molti esperti non è stata efficace. Per tanto negli ultimi mesi si è deciso di investire maggiori risorse e inserire sul campo personale più preparato. Sociologi, antropologi ed uomini di comunicazione dovranno aiutare i soldati a contrastare l’influenza della guerriglia. In Iraq come in Afghanistan.

07 febbraio 2007

 

 


Da La Repubblica 7-2-2007 Bernheim: puntiamo a crescere, ma ci ostacolano. "Non parlo
più italiano da quando Cuccia e Maranghi mi hanno mandato via nel '99".
di Andrea Greco E Roberto Rho

Intervista al presidente della compagnia triestina. "Il governo e l'Antitrust vogliono punire le Generali"


MILANO - "Vi chiedo scusa, ma in questa intervista parlerò in francese. Stavo imparando l'italiano quando, nel '99, sono stato allontanato dalle Generali - che durante la mia presidenza avevano triplicato la capitalizzazione - semplicemente perché Gerardo Braggiotti aveva deciso di trasferirsi da Mediobanca alla Lazard. Ero così indignato che non ho avuto più il coraggio di parlare la vostra lingua, anche quando, nel 2002, sono tornato al vertice della compagnia".

Antoine Bernheim è in gran forma, nonostante gli 82 anni e la lunga serata di festeggiamenti per il 175esimo anniversario delle Generali. Scherza e sorride, ma quell'affronto di otto anni orsono, perpetrato da Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi, non lo ha ancora digerito. "Quando sono tornato, la situazione era difficile. Le azioni Generali, che avevo lasciato oltre 40 euro, erano precipitate a 14". Oggi, dopo cinque anni di presidenza, le quotazioni del Leone sono vicine ai valori di allora. E il finanziere francese si appresta a una probabile riconferma alla presidenza, se il "listone" unico per il nuovo consiglio, in preparazione da qui a fine aprile, esprimerà quell'accordo tra i grandi soci che sembra vicino.


Allora, presidente, è pronto per un altro triennio al vertice?
"Lo saprò solo ad aprile. Ci sarà un consiglio nuovo o modificato, eletto dall'assemblea, e all'interno del consiglio sarà nominato il presidente. Certo, per molto tempo ho letto sui giornali il mio nome accostato alla mia età... Ora capita più di rado. La compagnia va bene, i risultati sono positivi, ma le sfide per i prossimi anni sono difficili".

Mettiamola così: se dovesse fare "campagna elettorale" e indicare un obiettivo, cosa direbbe?

"Che le Generali devono diventare una compagnia più forte e restare indipendenti, autonome e italiane".

Vuole dire che non siete abbastanza grandi?

"Abbiamo una capitalizzazione tra 42 e 44 miliardi, Axa e Allianz intorno ai 65 miliardi. Dobbiamo cercare di avvicinarci alle loro dimensioni. In Italia ci sono troppe piccole e medie imprese e invece, in tutti i settori, si dovrebbero concentrare le attività per formare gruppi più forti e competitivi".

Come pensa di raggiungere questo obiettivo?

"Dobbiamo fare acquisizioni, è ovvio. Ma in Italia c'è un'Authority Antitrust che ritiene necessario sviluppare la concorrenza e privilegiare esclusivamente gli interessi dei consumatori, senza riconoscere i contributi che le aziende di successo possono dare al mercato. Ogni volta che c'è l'opportunità di crescere ci si scontra con l'Antitrust. Ma perché una società italiana sia forte all'estero, è indispensabile che prima di tutto sia forte in Italia".

Se si riferisce ai casi Toro e Intesa-Sanpaolo, la questione era la costituzione, o il rafforzamento, di una posizione dominante nei Danni e nella bancassurance. Non è normale che un'autorità Antitrust intervenga?

"Abbiamo deciso di acquistare Toro perché la nostra quota nel ramo Danni era insufficiente rispetto a quella che già abbiamo nel Vita. E perché volevamo impedire che finisse nelle mani di qualche concorrente, non solo straniero. Per quanto riguarda Intesa-Sanpaolo, come azionisti abbiamo appoggiato la fusione, perché riteniamo che sia nell'interesse del paese. Ma i risultati non sono stati per noi soddisfacenti: avevamo un accordo di esclusiva con Intesa per distribuire polizze in 2.600 sportelli, ne abbiamo persi circa un terzo. Aggiungo che il Banco di Napoli, controllato dal Sanpaolo, quasi mille sportelli, può trattare con tutti tranne che con Generali. Queste sono decisioni del tutto incomprensibili. E poi c'è il decreto Bersani..."

Sì, il decreto che trasforma l'agente in esclusiva in broker assicurativo che può vendere le polizze di tutte le compagnie. A vantaggio dei consumatori, che possono scegliere la più conveniente.

"Lei crede davvero che andrà così? Per quello che so del mercato assicurativo finirà invece che i broker venderanno ai clienti non le polizze più convenienti, ma quelle delle compagnie che assicurano loro le commissioni più alte. Nessun vantaggio per i consumatori, dunque. Non solo, il decreto Bersani danneggia pesantemente le Generali: per noi la rete di agenti è lo zoccolo duro dell'attività, è una parte importantissima del patrimonio della compagnia. Trasformare gli agenti in broker significa distruggere parte della nostra ricchezza".

Non vorrà dire che Antitrust e governo hanno un intento punitivo nei confronti delle Generali.
"Io non avrei osato parlare di intenzioni punitive, ma visto che l'ha fatto lei... Sì, quello che è accaduto somiglia molto a una punizione. Certamente i verdetti dell'Antitrust e il provvedimento del governo sono un freno alla nostra crescita. Questo è contro gli interessi delle Generali, ma è anche contro gli interessi del paese".

Se non potrete crescere ancora in Italia, come avvicinerete le dimensioni di Axa e Allianz? Acquisizioni piccole e medie o c'è alle viste la grande fusione transnazionale?

"Dipenderà tutto dalle opportunità che si presenteranno. Certo è che bisogna evitare appetiti eccessivi. Perseguiremo operazioni che ci consentano di conservare il controllo, mai operazioni che ci mettano in minoranza. Guardi, per me le Generali sono importantissime. Ho grandi ambizioni, la compagnia deve diventare portabandiera dell'Italia nel mondo. Non so se sarò io a guidarla, né se avrò il tempo per realizzare questo obiettivo, ma spero almeno che chi verrà dopo di me ne condivida l'importanza".

Tornando all'Antitrust, in due recenti sentenze l'Authority sostiene che le Generali sono di fatto gestite da Mediobanca.

"Questo lo giudico falso e offensivo. Forse conoscete la mia storia: pensate che io possa fare il dipendente di Mediobanca? La compagnia è diretta dal cda e dal suo management. Mediobanca è un importante azionista e noi siamo felici che lo sia. E noi contribuiamo in misura significativa agli utili di Mediobanca. Ma loro fanno i loro interessi, noi i nostri. Quello dell'Antitrust è un attacco frontale, senza prove, offensivo per me e per i manager delle Generali".

L'Antitrust denuncia anche gli intrecci perversi tra Generali e Fonsai.

"Fonsai è un concorrente accanito e un investitore finanziario, e per noi è normale che sia azionista delle Generali. Punto".

Sì, ma il presidente di Fonsai ha ripetutamente chiesto di entrare nel cda delle Generali.

"E noi gli abbiamo risposto che questo è impossibile, perché darebbe luogo a un conflitto di interesse".

Zaleski e De Agostini entreranno nel nuovo consiglio?
"Sono azionisti importanti, ne avrebbero il diritto. Per quanto riguarda Zaleski, da trent'anni mio amico personale, sarebbe forse meglio aspettare che le acque si siano un po' calmate, considerando che è uno dei soci più importanti di Intesa Sanpaolo e che la sua presenza in consiglio potrebbe sollevare nuove obiezioni dell'Antitrust. Il comitato nomine di Mediobanca farà le sue proposte, ma saranno i maggiori azionisti delle Generali a indicare il nuovo cda, che dovrà esprimere il consenso dei soci ed evitare i conflitti d'interesse".

Le Generali resteranno azioniste di Intesa Sanpaolo, nonostante il risultato della fusione che lei e Perissinotto avete definito "non soddisfacente"?

"Nella mia visione non è contemplata l'idea di cedere la quota in Intesa-Sanpaolo. Noi abbiamo bisogno di importanti azionisti italiani per restare italiani, e per Intesa Sanpaolo vale lo stesso. E poi abbiamo con Intesa un accordo di bancassurance cui teniamo molto. Certo, speriamo che le difficoltà antitrust possano attenuarsi".

E la presenza nel patto di consultazione vi interessa?

"Finora non ci è stato chiesto di entrare, vedremo. A me sembrerebbe del tutto normale farne parte, come nel vecchio patto di Intesa. Comunque io non chiedo niente".

Vede anche lei, come molti osservatori, due blocchi contrapposti tra gli azionisti delle Generali? L'uno raccolto intorno a Mediobanca, l'altro intorno a Intesa-Zaleski?
"Le Generali sono e devono restare indipendenti. Abbiamo relazioni ottime sia con Mediobanca che con Intesa, ma la gestione della compagnia è autonoma. Le Generali non fanno politica e non devono appartenere a nessuno schieramento, solo all'Italia".

Il modello di governance duale, adottato da Intesa Sanpaolo, è criticato da Draghi e Profumo. Cosa ne pensa?

"Per me il duale è una novità. Non ho ancora partecipato al Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, e mi sento umiliato dalla disposizione che impone che io mi alzi ed esca quando si affrontano temi assicurativi. Ma nell'interesse supremo delle Generali bisognerà che mi abitui. Spero che quel modello di governance funzioni. La fusione Intesa Sanpaolo non è stata facile, si sono dovute far coesistere strutture e personalità di grande calibro. Evidentemente è stato necessario fare concessioni per arrivare al risultato".


(7 febbraio 2007)

 


Dal Corriere della Sera 7-2-2007 Calcio, ecco la bozza del decreto legge. Le norme penali contenute nel provvedimento del governo.

 

Diffida preventiva e pene più severe, stop alla vendita di biglietti in blocco a tifosi in trasferta e partite porte chiuse

 

Divieto di accesso alle manifestazioni sportive preventivo (Daspo) innalzato a sette anni ed esteso a coloro che sono sospettati di aver preso parte a episodi di violenza durante le partite; arresto in flagranza di reato differita da 36 a 48 ore; giudizio per direttissima anche per chi viene trovato in possesso di razzi, bengala e «fuochi» pirotecnici in genere; pene da 5 a 15 anni (anziché da 3 a 15) per chi commette violenza e resistenza a pubblico ufficiale con armi ma anche con il «lancio di corpi contundenti e altri oggetti, compresi gli artifici pirotecnici». Sono queste alcune delle principali misure contenute nella bozza di decreto legge in vista del consiglio dei ministri straordinario di mercoledì.

SETTE ARTICOLI - La bozza del decreto legge è di sette articoli e potrebbe subire modifiche dell'ultima ora. Anche perché - secondo quanto si è appreso - il disegno di legge delega, che dovrebbe contenere ulteriori misure sul funzionamento degli stadi e sull'inasprimento di altre pene, ancora non è pronto: gli uffici tecnici dei ministeri dell'Interno, della Giustizia e dello Sport ci stanno ancora lavorando.
Ecco, in sintesi, cosa prevede la bozza di decreto legge:
PARTITE A PORTE CHIUSE
- «Fino all'esecuzione degli interventi strutturali e organizzativi richiesti» per attuare quanto previsto dai decreti Pisanu, le partite di calcio «possono essere svolte esclusivamente a porte chiuse».
STOP A VENDITA BIGLIETTI IN BLOCCO A SQUADRE OSPITI - Le società che organizzano le competizioni non possono più vendere ,«direttamente o indirettamente», alla squadra ospitata, biglietti in blocco. È vietato inoltre «vendere o cedere» alla stessa persona un numero di biglietti superiore a dieci. In caso di violazione si rischia da 10 mila a 150 mila euro di multa. Il divieto è immediato per cui i biglietti ceduti o venduti prima dell'entrata in vigore del decreto «non possono essere utilizzati».
DASPO PREVENTIVO FINO A 7 ANNI - Il divieto di accesso negli stadi viene innalzato fino a sette anni e presuppone non più soltanto l'accertamento di un reato, ma «può essere altresì disposto nei confronti di chi, sulla base di elementi oggettivi (come ad esempio un rapporto di polizia pure su minorenni, ndr), risulta avere tenuto una condotta finalizzata alla partecipazione attiva a episodi di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive o tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa delle manifestazioni stesse». Previsto l'obbligo di firma in un comando di polizia durante la partita. Chi viola il 'Daspò rischia da 6 mesi a tre anni di reclusione e una multa fino a 10 mila euro.

07 febbraio 2007


Da La Repubblica 6-2-2007 Fuga dai fondi, i risparmiatori  dirottati su strumenti strutturati


MILANO - Gennaio fotografa senza possibilità di appello la fuga in corso già da diverso tempo dai fondi d'investimento. A quanto pare, con il nuovo anno sono molti i risparmiatori usciti dall'industria del risparmio gestito. Molto probabilmente, gli italiani sono stati dirottati verso prodotti strutturati o altri tipi di obbligazioni. Prodotti, si fa osservare, a volte meno trasparenti e meno liquidi (i fondi hanno una quotazione giornaliera e possono essere venduti in ogni momento) e anche più costosi dei fondi, ma da cui forse le banche possono trarre maggiori commissioni.

Questa la lettura che alcuni esperti danno dell'inatteso tracollo dell'industria dei fondi visto a gennaio. Una lettura che punta il dito sulle stesse banche quali responsabili dirette dell'uscita degli italiani dai fondi. La sfavorevole tassazione sui fondi italiani spiega infatti solo in parte la disaffezione dei risparmiatori, visto che sono stati colpiti dai riscatti anche i fondi cosiddetti roundtrip, ossia "esterovestiti" per ragioni fiscali. Inoltre appare riduttivo anche la fuoriuscita dagli obbligazionari con il ribasso dei prezzi, dal momento che i riscatti hanno interessato anche i fondi azionari, che in questo momento stanno ritoccando i nuovi massimi.

In dettaglo, le cifre indicano una tendenza che inizia a diventare preoccupante. I dati provvisori di gennaio diffusi da Assogestioni mettono in evidenza una raccolta negativa per circa 6,2 miliardi di euro. Si tratta del secondo peggior risultato di sempre. Solo nel settembre 2001, dopo l'attacco alle torri gemelle, i deflussi dai fondi erano stati più robusti, con un rosso record per quasi 9 miliardi. In un mese, in pratica, il deflusso è stato pari a un terzo di quello visto complessivamente nell'intero 2006. E nonostante l'andamento positivo dei mercati, il deflusso è stato così' violento da impattare sul patrimonio, sceso provvisoriamente a 601 miliardi di euro, dai 608 miliardi di fine dicembre.

Gli unici che se la sono cavata sono i fondi Flessibili, che hanno messo a segno una raccolta di oltre 1,5 miliardi. Bilancio negativo per 2,435 miliardi, invece, per i fondi di liquidità. Proseguono ininterrotti i deflussi dai fondi obbligazionari (-3,986 miliardi). Male anche gli azionari che con uno sbilancio negativo per 494 milioni e i bilanciati per 392 milioni. Per la prima volta dopo due anni, passano in territorio negativo anche i fondi hedge, che registrano riscatti netti per 409 milioni.

Inoltre, ancora una volta i deflussi hanno investito in primo luogo i fondi di diritto italiano, che chiudono gennaio con deflussi netti per 6,24 miliardi. Appena sotto la parità (meno 92 milioni) i fondi roundtrip (di diritto estero, ma istituiti da intermediari italiani) e modesto attivo per i fondi esteri (più 141 milioni).

 


 

Da La Stampa 7-2-2007  - Putin avverte Bush: "Non attaccarmi". Il Cremlino si sente minacciato dallo scudo antimissile americano. Di Anna Zafesova

 

La diplomazia russa propone a Washington un "patto di non aggressione" militare

Qualche giorno fa era stato il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov a fare, di ritorno da Washington dopo una trattativa inconcludente sul Kosovo, la diagnosi: «Le posizioni della Russia e degli Stati Uniti non sono mai state così lontane». Espressione lontana dal cauto linguaggio diplomatico, e probabilmente Mosca considera la rottura ormai inguaribile, perché ieri il ministero degli Esteri russo ha proposto agli Usa di firmare addirittura un «patto di non aggressione». L’idea è stata annunciata da Alexandr Kramarenko, capo del dipartimento di «pianificazione della politica estera», che ritiene necessario imporre a Washington «accordi vincolanti per garantire che i rispettivi potenziali militari non siano indirizzati gli uni contro gli altri».
In altre parole, un patto di non aggressione appunto, che di solito si stringe tra due Paesi che hanno seri motivi di ritenere che si va alla guerra, come aveva fatto l’Urss di Stalin con la Germania di Hitler nel 1939. La richiesta è dettata - spiegano i diplomatici russi - dai progetti americani di sistema antimissile globale. Ma nemmeno all’epoca sovietica, quando il mondo viveva nell’incubo di un’apocalisse atomica prodotta dallo scontro tra Urss e Usa, il Cremlino e la Casa Bianca avevano ritenuto necessario chiedere garanzie reciproche così pesanti. E certo non sembrava possibile dopo che i presidenti dei due Paesi avevano ridotto gli arsenali, si erano dati pacche sulle spalle ed erano perfino diventati «alleati» dopo l’11 settembre.
Ma ora l’orologio del Cremlino sembra girare a ritroso. Il pretesto è il piano di Bush di costruire uno scudo che dovrebbe proteggere gli Usa, nell’ambito del quale Washington ha proposto alla Repubblica Ceca di ospitare una stazione radar, e alla Polonia postazioni missilistiche. Per Vladimir Popovkin, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica russa, si tratta di «una minaccia evidente» alla sicurezza della Russia. Lo stesso Vladimir Putin qualche giorno fa ha promesso «risposte asimmetriche ma estremamente efficaci» al progetto americano.
Nonostante la dottrina di Bush insista che lo scudo serve contro eventuali attacchi missilistici dell’«asse del male», i militari e i politici di Mosca ritengono che il vero bersaglio rimanga, come 30 anni fa, la Russia. Per il capo dello Stato Maggiore Jurij Baluevskij le minacce principali alla Russia restano «l’ambizione degli Usa al dominio mondiale, il tentativo americano di insediarsi in zone di nostra tradizionale presenza e l’allargamento della Nato». E a Mosca continuano a girare voci sulla preparazione di una nuova «dottrina difensiva» che resusciterà gli Usa come nemico numero uno, e punterà a una «guerra su larga scala», in altre parole mondiale, in altre parole contro gli Usa.
Per Alexandr Golz, esperto militare moscovita, si tratta solo di un «ricatto dei generali» al Cremlino. Ma se è così, i politici sembrano incoraggiarlo. I tempi quando Putin accarezzava l’idea di aderire alla Nato sembrano non essere mai esistiti, e lo zar del Cremlino avverte minacciosamente la Finlandia che la sua entrata nell’Alleanza Atlantica «non sarà un gesto amichevole». Ora arriva il «patto di non aggressione», con il quale i russi finiscono in compagnia della Corea del Nord, unico altro Paese ad aver fatto una proposta simile agli Usa, ponendo l’impegno a non attaccarla come condizione per rinunciare alla propria bomba atomica.


 

Da La Repubblica 6-2-2007 L'Olanda: "L'Italia sapeva dell'iniziativa". La Spagna: "Mai stati contattati". Lettera dei "sei", Bucarest si dissocia. La Nato: "Non è nostra iniziativa"

 

 

Il governo romeno sconfessa l'iniziativa dei sei ambasciatori


BUCAREST - La Nato dice che non si è trattato "di una sua iniziativa". E il governo di Bucarest precisa che "non era stato informato" dell'iniziativa dell'ambasciatore romeno in Italia. Si parla della ormai famosa
lettera dei "sei" sull'Afghanistan. Quella inviata a Repubblica dagli ambasciatori di alcuni paesi impegnati sul fronte afgano (Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia, Romania e Olanda) in cui si esortava il nostro esecutivo a confermare al più presto la presenza militare a Kabul. Un'iniziativa che ha provocato il plauso del dipartimento di Stato americano; e, invece, la reazione di protesta del ministro degli Esteri Massimo D'Alema.
Ma adesso, uno dei "sei" si dissocia. A precisarlo è il premier romeno Calin Popescu Tariceanu: "Il gesto del nostro ambasciatore n Italia di firmare la lettera sull'Afghanistan rappresenta una pratica insolita, fuori dalle consuetudini diplomatiche e che sarà difficile spiegare al premier italiano" Romano Prodi, ha spiegato il primo ministro. Tariceanu ha quindi trasmesso un messaggio a Prodi in cui esprime il proprio rammarico per la situazione creata dall'adesione del suo ambasciatore alla lettera.
Quanto alla Spagna, altro paese coinvolto a Kabul, il portavoce dell'ambasciata in Italia, Pedro Jesus Fernandez, riferisce che sull'iniziativa "non siamo stati contattati".


 

Da Europa 7-2-2007  Ma non è una vera Sigonella

Come è giusto che sia, ieri Berlusconi era a Monza a fare battutacce da omosessuale represso (modello Storace) e i governanti dell’Unione si occupavano di cose serie. Addirittura, chiudendo il cerchio con il suo battesimo del fuoco in Kosovo, il ministro degli esteri cercava una sua Sigonella, nel richiamare alcuni fra i nostri più importanti alleati a un maggiore rispetto internazionale dell’Italia e della sua autonomia.
Non può esserci immagine più limpida dei diversi modi di intendere la politica. Assai significativo, tra l’altro, che colui che più ha goduto dell’identi ficazione fra uomo di calcio e uomo politico non trovi nulla di utile da dire sull’emergenza che ha travolto lo sport nazionale. Anche qui: il governo dell’Unione cerca faticose soluzioni e l’uomo che coi guai del pallone ha molto a che fare scherza sui suoi problemi di coppia. Pazienza, sappiamo che l’attuale leader della Cdl non porterà nulla di buono sui temi sui quali anche l’opposizione avrebbe un ruolo da svolgere.
Questo però non può far dimenticare le difficoltà della maggioranza.
Guardiamo a quanto avvenuto ieri, al più significativo incidente diplomatico fin qui verificatosi fra l’Italia del centrosinistra e gli alleati atlantici.
D’Alema ha compiuto con la lettera ai ministri degli esteri un atto sacrosanto, in linea con la reazione a caldo di Parisi. Prodi in serata ha rivolto un invito orgoglioso ai suoi, condito dal consueto indifferenziato appello a non dividersi. Non possiamo però nasconderci che la dinamica della vicenda chiama in causa proprio le contraddizioni del centrosinistra.
Noi sappiamo, perché frequentiamo morbosamente i corridoi dei Palazzi romani, che tra Vicenza e l’Afghanistan s’era imbastita una mezza commedia. La sinistra antagonista, messa in difficoltà sulla base Usa, aveva alzato la voce, aveva minacciato, aveva favorito un cortocircuito con la missione a Kabul. Una vicenda non difficile da ricomporre: come si capiva ieri da Liberazione, bastava dare ai dirigenti rosso-verdi il permesso di manifestare tra due sabati a Vicenza e cambiare qualche riga al decreto afgano, e la crisi si sarebbe sciolta (in attesa della prossima, però).
Il problema è che noi possiamo apprezzare la vacuità dei falsi movimenti della nostra politica. Da fuori s’era vista solo l’assenza di una maggioranza parlamentare al senato sulla politica estera, circostanza che del resto aveva allarmato anche il capo dello stato. Gli ambasciatori ne hanno tratto conseguenze sbagliate e con l’appoggio di Washington si sono mossi peggio. Giusto richiamarli.
A patto di ricordarci che il Craxi del 1985 aveva le spalle forti di un’ampia maggioranza e di un più largo consenso su una linea molto nitida.
Sperando che dal vertice di ieri sera qualcosa sia cominciato a cambiare, l’Unione non è ancora esattamente nella stessa felice condizione.

Copyright © 2002 Edizioni DLM Europa srl. P. IVA 07255051123

 


 

Dal Corriere della Sera 6-2-2007 Gli Usa a D'Alema: «Nessuna interferenza». La replica dopo la dura presa di posizione del ministro degli esteri: «La lettera dell'ambasciatore Spogli è la linea di Bush»

 

Il commento del portavoce del Dipartimento di Stato

 

WASHINGTON - Gli Stati Uniti «non cercano di interferire» nel dibattito politico italiano, ma vogliono ribadire una posizione sull'Afghanistan già espressa in sede Nato e continueranno a farlo. Non potrebbe essere più secca ed immediata la risposta del portavoce del Dipartimento di Stato, Sean McCormack a proposito della lettera di D'Alema sulla questione afgana. Aggiunge poi McCormack: la lettera dell'ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, Ronald Spogli, «è pienamente in linea» con ciò che hanno affermato sull'Afghanistan il presidente George W.Bush, il segretario di Stato Condoleezza Rice e il capo del Pentagono Robert Gates

PREMIER ROMANIA SI SCUSA - Intanto il premier rumeno, Calin Popescu Tariceanu, ha trasmesso un messaggio a Romano Prodi in cui esprime il rammarico per la situazione creata dal proprio ambasciatore. Tariceanu precisa che ha chiesto al ministero degli Esteri di indagare sui motivi per i quali l'ambasciatore ha preso l'iniziativa personale che esula dalle consuetudini dei rapporti diplomatici.

SPAGNA: «NON CI HANNO CONTATTATO» - «Non siamo stati contattati». Lo ha precisato il portavoce dell'ambasciata di Spagna in Italia.
NATO
- Anche la Nato ha sentito l'esigenza di chiarire che l'Alleanza atlantica «non ha niente a che fare con la lettera». Anzi, secondo fonti diplomatiche, la lettera non sarebbe stata accolta favorevolmente dai vertici della Nato.

06 febbraio 2007

 


 

Da  Il Sole 24 Ore 6-2-2007  Boom dei consumi in Cina. Nel 2014 sarà il secondo mercato mondiale di Gianluigi Torchiani

 

Entro il 2014 il livello di consumi in Cina sarà il secondo del mondo, ma già a partire da quest’anno le possibilità di spesa cresceranno anche per gli abitanti delle piccole città e delle zone rurali. Lo sottolinea “China trend Watch 2007”, un rapporto della società d’analisi Nielsen sui comportamenti dei consumatori del gigante asiatico, che mette però in allarme i possibili investitori dai facili ottimismi. L’indice di fiducia dei consumatori della Repubblica popolare per il nuovo anno, ad esempio, è più alto della media asiatica, ma rimane al di sotto di quello indiano o vietnamita. Questo perché, nonostante l’ottimismo dei giovani cinesi in carriera, le generazioni più anziane e gli studenti sono più caute e preoccupate per le loro prospettive occupazionali. Per quanto riguarda invece la propensione al risparmio, la media cinese rimane più alta rispetto a quella globale (42% contro 40%), ma le spese nel settore tecnologico, nell’abbigliamento e nelle vacanze dovrebbero conoscere un buon incremento. In particolare, entro il 2010 i turisti cinesi dovrebbero passare dagli attuali 34 milioni a 100, per arrivare a 200 milioni nel 2020. Il rapporto Nielsen sottolinea curiosamente come, forse a causa della passione suscitata dalle Olimpiadi del 2008, i viaggiatori cinesi esprimeranno una preferenza per quelle località che permetteranno di praticare i loro sport preferiti. Più in generale, a guidare gli acquisti dei consumatori sarà, come nelle economie mature, il criterio della convenienza, giudicato dai cinesi ormai più importante di altri fattori come la vicinanza al proprio luogo di residenza o della varietà e della qualità dei prodotti. La vera novità del 2007 sarà però rappresentata dagli abitanti delle città minori della Cina interna, che nonostante abbiano oggi un reddito pro capite pari al 20% di quelli dei centri maggiori, inizieranno a incrementare in modo consistente il proprio reddito (circa 10% l’anno). Secondo lo studio Nielsen, il fenomeno rappresenta un’immensa opportunità per gli investitori, ma esistono dei rischi di cui occorre tenere conto: a dispetto delle apparenze, la Cina è tutt’altro che un monolite uniforme, e le aziende dovranno perciò studiare campagne pubblicitarie e di branding diversificate per ogni regione o distretto. In questo senso sarà importante sfruttare le potenzialità offerte da Internet, sempre più diffusa nel Paese. Buone notizie sono segnalate anche per il mercato automobilistico: nel 2007 i cinesi dovrebbero continuare ad acquistare autovetture, anche se i recenti impegni presi dal governo di Pechino per la riduzione delle emissioni inquinanti, potrebbero incoraggiare soprattutto l’acquisto di macchine di piccola e media taglia.

 


 

 

Da zeusnews.it 6-2-2007 Lo scandalo della formazione Telecom

 

L'ex monopolista prosegue i suoi corsi di formazione in campeggio, tra trekking e canti di montagna, mentre diventa sempre più intollerabile la situazione dell'Adsl e dei guasti.

[ZEUS News - www.zeusnews.it - 06-02-2007]

La situazione degli utenti che attendono l'attivazione di un'Adsl

 o la riparazione di un guasto da giorni diventa sempre più grave: è evidente che il boom dell'Adsl, in termini di sottoscrizione di abbonamenti, non è stato accompagnato da una adeguata politica di aumento degli organici.

In realtà, ai vertici di Telecom Italia, in primis al vicepresidente Carlo Buora (rappresentante dell'azionista di maggioranza Tronchetti), interessa solo tagliare ancora i costi e ridurre il debito.

In questo quadro non si comprende perché l'azienda continua a organizzare dei corsi di formazione per i supervisor del servizio clienti di ben cinque giorni outdoor, cioè di campeggio all'aperto in cui questi responsabili, distaccati dalle loro attività quotidiane, si divertono a fare trekking, ad accendere fuochi e a cantare canzoni di montagna.

Sarebbe interessante che alla prossima assemblea degli azionisti si discuta anche di come viene fatta la formazione, di quanti soldi vengono spesi e a quali società specializzate nella formazione vanno, dopo che la società di formazione interna al gruppo è stata venduta (con conseguente cessione del personale) e se le finalità formative perseguite siano coerenti o meno con le necessità organizzative e di miglioramento dei rapporti con l'utenza.

 

 

 

 


INDICE 6-2-2007

 

++ Da La Repubblica 6-2-2007 Liberation, petizione della sinistra "Viva le tasse, basta demagogia"

++ Dal Corriere della Sera 6-2-2007 Obesita': scoperto un gene che regola i normopesi

+ Dal Corriere della Sera 6-2-2007 «Il Sismi autorizzò il sequestro Abu Omar» Lo ha detto il pm all'udienza preliminare ribadendo la richiesta di rinvio a giudizio per Pollari e per tutti gli altri 34 imputati

+ Da Il Sole 24 Ore 6-2-2007  Capitalia, Botin pronto a salire nell'asse con Geronzi di Alessandro Graziani

Dal Corriere della Sera 6-2-2007 La missiva di sei ambasciatori Nato invitava l'Italia a restare Afghanistan, la lettera e la rabbia di D'alema  61

Dal Corriere della Sera 6-2-2007 Le radici del malumore di  Massimo Franco  62

Da La Repubblica 6-2-2007 Afghanistan, tensione Italia-Usa Washington elogia gli ambasciatori 63

Da La Stampa 6-2-2007 - Kabul, sale la tensione Italia-Usa Di Maurizio Molinari 64

Da Il Sole 24 Ore 5-2-2007 Antitrust contro le banche: costi troppo alti, poca trasparenza di Alberto Annicchiarico  64

Da La Repubblica 5-2-2007 Assicurazioni e istituti di credito, il secondo capitolo dell’integrazione  65

Da Il Sole 24 Ore 5-2-2007  Inflazione in ribasso all'1,7% annuo in gennaio di Michele De Gaspari 66

Da La Repubblica 5-2-2007 "Ecco come una molecola naturale protegge dall'assalto dell'Aids" di Alessia Manfredi 66

 


 

Da La Repubblica 6-2-2007 Liberation, petizione della sinistra "Viva le tasse, basta demagogia"

Il quotidiano aderisce e rilancia una campagna del mensile Alternatives economiques
contro la promessa del candidato presidenziale Sarkozy di ridurre la pressione fiscale

 

 

PARIGI - In Italia, di questi tempi, rischierebbero di passare per matti. Ma in Francia si può. E con clamore. "Per una campagna senza demagogia fiscale" è l'appello del quotidiano francese Liberation a favore delle tasse. Si tratta di un'adesione convinta alla petizione lanciata dal mensile Alternatives economiques, al quale hanno già aderito economisti, industriali e varie personalità, fra le quali l'ex presidente della Commissione europea Jacques Delors.
A essere sotto accusa è l'annuncio del candidato della destra all'Eliseo, Nicolas Sarkozy, di ridurre la pressione fiscale. "Noi siamo d'accordo con le tasse e rifiutiamo delle diminuzioni della pressione fiscale la cui contropartita - si legge nella petizione - sarebbe l'insufficienza dei mezzi dati alla protezione sociale dei più poveri, all'educazione, alla ricerca, alla salute, alla casa o all'ambiente".
"Vedere - si legge ancora nella petizione, pubblicata sul sito Internet del mensile - dei candidati alla magistratura suprema proporre delle misure demagogiche in materia fiscale e giustificare la secessione sociale dei più ricchi ci costerna".
"La spesa pubblica - viene spiegato - non è soltanto un costo, è anche un investimento, diretto allo sviluppo della giustizia e del dinamismo".
Sarkozy ha annunciato la riduzione della pressione fiscale di quattro punti in dieci anni e ha anche assicurato che avrebbe trovato un dispositivo per ridurre l'impatto dell'Isf, la patrimoniale.


Dal Corriere della Sera 6-2-2007 Obesita': scoperto un gene che regola i normopesi

ROMA - Uno studio del gruppo di ricerca dell'Universita' di Salerno e dell'Istituto di Endocrinologia di Napoli ha scoperto il gene responsabile della predisposizione a ingrassare. Il gene del recettore degli endocannabinoidi CB1 puo' aiutare a prevedere la predisposizione a raggiungere quello che viene chiamato un 'elevato indice di massa corporea', il cosiddetto BMI. Gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista International Journal of Obesity, hanno tenuto sotto osservazione per quattordici anni soggetti sani, controllandone periodicamente le abitudini alimentari, l'attivita' fisica svolta, alcuni parametri clinici e l'aumento del peso. "I risultati ottenuti hanno dimostrato che i soggetti normopeso, che sono rimasti tali durante gli anni di osservazione, hanno una forma variante del recettore CB1", afferma Chiara Laezza dell'IEOS-CNR. La scoperta apre nuove possibilita' terapeutiche per combattere l'obesita'. Attualmente sono molti i nuovi farmaci anti-obesita' in fase di sperimentazione clinica e alcuni di essi, pur se efficaci nella riduzione del peso, hanno una serie di risposte indesiderate come depressione, ansia, insonnia, che limitano spesso un loro impiego sicuro. "L'interesse dei risultati ottenuti e' rappresentato quindi anche dalla possibilita' di poter valutare in un immediato futuro, negli studi di farmaco-genomica, la presenza di quelle varianti genetiche che caratterizzano ciascuno di noi". (Agr)


Dal Corriere della Sera 6-2-2007 «Il Sismi autorizzò il sequestro Abu Omar» Lo ha detto il pm all'udienza preliminare ribadendo la richiesta di rinvio a giudizio per Pollari e per tutti gli altri 34 imputati

 L'avvocato Madia: «La difesa valuterà se violare il segreto di Stato»

MILANO - Il procuratore aggiunto di Milano Ferdinando Pomarici ha parlato di «autorizzazione esplicita» del Sismi, il servizio segreto militare, in relazione al rapimento dell'ex imam di Milano, Abu Omar, nel 2003.
Lo hanno riferito fonti giudiziarie aggiungendo che Pomarici nel corso dell'udienza preliminare per il rapimento di Omar ha ribadito la richiesta di rinvio a giudizio per Pollari e per tutti gli altri 34 imputati per sequestro.

Intanto Titta Madia, legale di Pollari, ha detto che ora la difesa valuterà se violare il segreto di stato. «L'ordinanza è chiara perché manda un messaggio a Pollari per cui egli per difendersi deve violare il segreto di Stato», ha detto Madia oggi. «Valuteremo questo messaggio, lo dovrà valutare Pollari e lo dovranno valutare le autorità istituzionali deputate alla tutela del segreto di stato e della sicurezza nei rapporti internazionali. Noi rispettiamo l'ordinanza del giudice ma non la condividiamo anche perché contraddice la bozza di legge approvata all'unanimità dalla Commissione Affari costituzionali alla Camera, secondo la quale viene ammessa anche per l'imputato la possibilità di opporre il segreto di stato».

In precedenza il gup Caterina Interlandi ha dichiarato infondata e irrilevante la questione di costituzionalità sollevata dalla difesa di Niccolò Pollari, decidendo di non inviare alla Corte Costituzionale gli atti del procedimento. La questione di costituzionalità - sollevata nel corso dell'udienza preliminare a porte chiuse dello scorso 29 gennaio dal legale di Pollari - era relativa all'articolo 202 del codice di procedura penale, in base al quale l'imputato, a differenza del testimone, non può invocare il segreto di stato perché, come aveva affermato il legale di Pollari, il diritto alla difesa prevale sul diritto di stato. Il gup Interlandi, inoltre, ha rigettato anche la richiesta presentata dalla difesa dell'ex direttore del Sismi di ammettere le testimonianze di Romano Prodi, Silvio Berlusconi e altri, che la difesa dell'imputato aveva effettuato nelle settimane scorse, ma che era stata definita dalla pubblica accusa non determinante ai fini di un eventuale proscioglimento di Pollari. ll gup ha respinto anche tutte le altre eccezioni sollevate dalle altre difese, tra cui quella della difesa di Marco Mancini di trasferire il procedimento a Brescia.

06 febbraio 2007


Da Il Sole 24 Ore 6-2-2007  Capitalia, Botin pronto a salire nell'asse con Geronzi di Alessandro Graziani

Le grandi manovre sull'asse Capitalia Mediobanca Generali, anche e forse soprattutto in chiave di argine alla crescente influenza di Intesa Sanpaolo e del suo presidente Giovanni Bazoli, entrano nel vivo con una serie di mosse destinate a condizionare l'immediato riassetto del sistema finanziario. Il punto di partenza è l'equilibrio azionario di Capitalia, con il presidente Cesare Geronzi molto attivo nel dialogo (in chiave anti Abn Amro)
con gli spagnoli del Santander Central Hispano. La «difesa» di Capitalia sarebbe solo il primo passo di una strategia più ampia, destinata a blindare — o comunque a non rivoluzionare — l'assetto azionario di Mediobanca, dove in sede di rinnovo del patto di sindacato potrebbero aumentare le quote di Ennio Doris e della famiglia veneta Amenduni. Corollario dell'arrocco antiIntesa sull'asse CapitaliaMediobanca, gradito in questa fase anche all'UniCredit di Alessandro Profumo,sarebbe poi il mantenimento temporaneo dello status quo al vertice delle Generali almeno per un anno.
Da almeno un mese in ambienti finanziari circolavano indiscrezioni su un rastrellamento di azioni Capitalia da parte del Santander di Emilio Botin (da poco «sfrattato» da IntesaSanpaolo).Pochi giorni fa, Botin è uscito allo scoperto ammettendo —senza che avesse alcun obbligo di farlo e dunque con una dichiarazione «segnaletica » — di possedere una partecipazione inferiore al 2% in Capitalia, oltre a quelle già note in Mediobanca, Generali e IntesaSanpaolo. Un segnale che il presidente di Capitalia Cesare Geronzi ha mostrato di gradire commentando in modo benevolo («siamo persone educate, parliamo con tutti»), a differenza di quanto fece a settembre nei confronti delle avances del socio olandese Abn Amro. Si sta creando davvero un asse tattico Geronzi Botin? Se così fosse, le conseguenze sarebbero su due fronti. Quello degli assetti di Mediobanca e Generali, di cui sia Capitalia che Santander sono azionisti di rilievo a fianco dei francesi capitanati da Vincent Bolloré e all'UniCredit. Ma per Geronzi l'asse con Botin— che ha risorse per incrementare in modo sensibile la sua quota e che secondo alcune indiscrezioni avrebbe già posizioni in derivati per arrivare al 5% —è anche un modo per contrastare le ambizioni di Abn Amro schierando, in uno scenario da «guerra fredda finanziaria »,un alleato pronto a contrastare le mire olandesi. E forse è anche un modo per rivendicare il ruolo di indiscusso numero uno del gruppo, inviando un messaggio neanche troppo indiretto all'amministratore delegato Matteo Arpe con cui i rapporti non sono più di grande collaborazione.
Manovre che non trovano alcuna conferma presso le fonti ufficiali, ma che testimoniano il clima di tensione che aleggia negli ambienti finanziari sull'asse CapitaliaMediobanca Generali. Asse che, tatticamente, gode dell'appoggio esterno di UniCredit,anch'esso interessato ad arginare «l'allargamento» di Intesa Sanpaolo a due santuari della finanza laica come Mediobanca e Generali. Una marcatura stretta, quella di UniCredit nei confronti di IntesaSanpaolo, già avviata con la competizione per Alitalia e con l'ingresso nel fondo per le infrastrutture. E quasi esibita ieri da Profumo con la critica alla «governance duale all'italiana » che caratterizza proprio la nuova IntesaSanpaolo. Critiche già avanzate sabato scorso al Forex dal Governatore della Banca d'Italia, probabilmente destinate anche a quelle società che stanno meditandone l'introduzione. E' il caso della stessa Mediobanca, in cui il duale sembra aver subito una netta battuta d'arresto.
Probabilmente non se ne parlerà prima del rinnovo del patto di sindacato, atteso per fine marzo, dopo aver verificato le eventuali defezioni dall'accordo. La Fiat, che ha poco meno del 2%,potrebbe uscire. E il management di Mediobanca gradirebbe una riduzione del peso del sindacato. Ma se così non fosse, l'asse Bolloré Geronzi (cui si aggiunge sempre più spesso Botin) sembra aver già pronta una soluzione che non prevede scossoni, con l'incremento delle quote da parte della famiglia Amenduni e forse di Ennio Doris, vicino alla Fininvest di Silvio Berlusconi. Fininvest che, secondo voci di mercato, starebbe guardando con interesse a Mediobanca anche per conto proprio. Per ora, avrebbe solo un piccolo pacchetto inferiore ai 20milioni di euro. Ma c'è chi dice che la holding del Biscione punti ad arrotondare la quota, solo con un'ottica d'investimento finanziario, fino all'uno per cento.

 

 


Dal Corriere della Sera 6-2-2007 La missiva di sei ambasciatori Nato invitava l'Italia a restare Afghanistan, la lettera e la rabbia di D'alema

Il portavoce del Dipartimento: «Inizativa lodevole». Il ministro: «Usata una sede impropria»

 

 

WASHINGTON - Continua a tenere banco la vicenda della lettera con cui sei ambasciatori di paesi Nato Usa, Gran Bretagna, Australia, Romania, Canada e Paesi Bassi) hanno esortato il governo italiano a non disimpegnarsi dall'Afghanistan, dove un contingente militare di circa 3 mila soldati è impegnato nell'ambito dell'operazione Isaf per il controllo del territorio e il contrasto alla guerriglia talebana. La missiva, firmata per gli Stati Uniti dall'ambasciatore Ronald Spogli, viene ora definita dal Dipartimento di Stato americano «una iniziativa lodevole». Il ministro Parisi l'aveva definita "irrituale" ma il portavoce del Dipartimento di Stato ha ribadito che la lettera di Spogli è «perfettamente in linea» con il pensiero del segretario di stato Condoleezza Rice al riguardo. «Gli ambasciatori americani erano stati sollecitati dalla Rice ad attivarsi per cercare di far capire, con lettere o interviste televisive, quando fosse importante continuare a perseguire la missione in Afghanistan», ha affermato il portavoce, Terry Davidson.

LA REPLICA DI D'ALEMA - Il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, aveva preso posizione sulla vicenda con un secco commento da Seul, dove si trova in visita ufficiale: «Penso che per discutere queste questioni ci sono delle sedi proprie». Un giudizio da ministro degli Esteri, diplomatico, che non cela del tutto però una certa irritazione per l'iniziativa che travalica «le forme normali in cui si discutono questi problemi tra gli alleati». Alla vigilia infatti di una delicata riunione di maggioranza tutta dedicata alle linee di politica estera la parola irrituale vuol dire qualcosa di più. Alla Farnesina la lettera viene giudicata non solo irrituale ma anche «inopportuna». Sicuramente la missiva era animata dalle migliori intenzioni ma, è il ragionamento che si fa al ministero degli Esteri, «non ha colto la sensibilità del quadro contingente della politica italiana».

Comprensibile così che nascano alcuni interrogativi: perchè proprio in questi giorni una lettera aperta?. E come mai questa lettera aperta, di «ringraziamento», è stata firmata solo da sei Paesi tra i 36 che hanno soldati in Afghanistan? Domande che si leggono tra le righe, come quando il vicepremier sottolinea: «la lettera deve essere stata giudicata irrituale anche da tutti gli altri ambasciatori di Paesi che hanno soldati in Afghanistan i quali sono 36 e non sei, il chè - ha chiosato - già aumenta l'irritualità del ringraziamento».

Gli ambasciatori quindi non hanno forse tenuto conto di quanto sensibile sia il confronto politico in seno alla maggioranza? Nell'entourage del capo della diplomazia italiana si coglie quindi il significato politico della lettera e ci si interroga sul livello di questa missiva che normalmente viene veicolato attraverso gli ortodossi canali diplomatici e non a mezzo stampa. Interrogativi che per oggi restano senza risposta visto che il titolare della Farnesina è in volo dall'Asia per fare rientro a Roma dopo una lunga missione tra Giappone e Corea del sud. Nella capitale si troverà subito ad affrontare la riunione di maggioranza che avrà tra i suoi piatti forti proprio l'Afghanistan e l'ampliamento della base americana di Vicenza; quindi, più in generale, le relazioni con gli Stati Uniti. E la lettera aperta proprio non aiuta a svelenire il clima.

06 febbraio 2007

 


 

Dal Corriere della Sera 6-2-2007 Le radici del malumore di  Massimo Franco

 

 

Il governo italiano aveva sperato, o finto di credere in una mezza gaffe dell’ambasciatore Usa in Italia, Ronald Spogli. Era lui a essere considerato il regista politico della lettera-appello scritta dai 6 diplomatici dei governi più impegnati in Afghanistan. E nelle ultime ore, prima il ministro della Difesa, Arturo Parisi, e poi la Farnesina avevano lasciato trapelare la propria irritazione. Di più: si accreditava l’iniziativa come una mossa personale di Spogli, destinata a essere corretta, se non smentita, dal Dipartimento di Stato. La precisazione arrivata ieri sera da un portavoce statunitense smonta invece questa illusione.

Al governo italiano che aveva parlato comprensibilmente di un gesto «irrituale », si replica definendo «lodevole» la lettera promossa e firmata da Spogli. E si precisa che «è perfettamente in linea» con le convinzioni di Condoleezza Rice. Anzi, rientrerebbe in una sorta di campagna di persuasione additata agli ambasciatori americani «per cercare di far capire, con lettere o interviste televisive», quanto sia importante continuare la missione afghana. È a questo, spiega il portavoce del dipartimento di Stato, che i diplomatici sono stati «sollecitati» dalla Rice.

Se non è una crisi nei rapporti Italia- Usa, comunque le somiglia. Sottolinea come minimo un difetto di comunicazione e un’incomprensione fra l’amministrazione Bush e il governo Prodi. Ridimensiona di colpo la saga delle buone relazioni fra la Rice e il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema. Ma soprattutto, non importa se in modo calcolato o meno, inserisce un cuneo pesante all’interno dell’Unione. La copertura totale offerta a Spogli sull’Afghanistan alla vigilia della riunione odierna convocata da Prodi a Palazzo Chigi, può rivelarsi un intralcio fastidioso.

Il presidente del Consiglio l’ha preparata cercando di annacquare le tensioni con un antagonismo pacifista ostile all’allargamento della base Usa a Vicenza e insieme convinto che occorra cominciare a discutere su un possibile ritiro dei soldati italiani da Kabul. E le sue dichiarazioni di ieri hanno incorniciato il vertice in un «clima di accordo» che, nonostante tutto, sembrava a portata di mano; e forse lo è tuttora. L’unico elemento di nervosismo, palpabile, era l’eco della lettera dei 6 ambasciatori. Un’iniziativa definita «irrituale»: aggettivo diplomatico che equivale a «fuori luogo».

È stata considerata sia dal ministro della Difesa che da quello degli Esteri una caduta di stile; ma soprattutto un atto che, dietro la lode agli sforzi italiani in Afghanistan, nasconde un’insidia politica. In un momento di tensioni nell’Unione, sembra quasi che i promotori «abbiano sottovalutato le conseguenze» del loro gesto, ha fatto sapere ufficiosamente la Farnesina. Il malumore italiano è stato accentuato dal fatto che l’appello era rivolto all’Italia, ma non ad altre nazioni europee impegnate in modo simile al nostro.

Per questo, tornando dal suo viaggio in Asia, D’Alema ha voluto puntualizzare che la lettera è ritenuta irrituale «dagli ambasciatori di tutti gli altri Paesi — e sono 36, non 6—con soldati in Afghanistan ». Si tratta di un’autodifesa inevitabile. E giustificata dall’esigenza di mostrare alla comunità internazionale e forse anche agli alleati dell’Unione un governo italiano autonomo; e pronto a rispedire al mittente pressioni considerate indebite. È una preoccupazione alla quale non può essere estranea la prospettiva a breve termine del rifinanziamento della missione italiana.

Il tentativo di esorcizzare l’accerchiamento «irrituale» dei 6 ambasciatori firmatari, tuttavia, sta avendo come conseguenza una tensione imprevista e plateale con gli Stati Uniti. E finisce per sottolineare le perplessità che alcuni Paesi alleati, Usa in testa, sembrano nutrire verso la politica estera dell’Unione. Le parole arrivate da Washington tradiscono non uno scarto improvviso, ma un malumore cresciuto nelle ultime settimane: con le manifestazioni antiamericane a Vicenza, e con le contorsioni dell’estrema sinistra sull’Afghanistan. «Pensavo fosse una questione di forma, e invece è di sostanza... ». Lo stupore attribuito al ministro Parisi riflette la distanza politica che, nella disattenzione quasi generale, oggi divide Roma e Washington.

06 febbraio 2007

 


 

Da La Repubblica 6-2-2007 Afghanistan, tensione Italia-Usa Washington elogia gli ambasciatori

D'Alema aveva criticato la lettera dei diplomatici che chiedevano
all'Italia di mantenere il suo impegno militare nel paese asiatico

 

 

WASHINGTON - Il Dipartimento di Stato ha definito oggi "una iniziativa lodevole" la lettera inviata dall'ambasciatore Usa in Italia Ronald Spogli, insieme con altri ambasciatori, in cui si esorta l'Italia a confermare il suo impegno in Afghanistan. Un portavoce del Dipartimento di Stato ha detto oggi che la lettera di Spogli "è una iniziativa lodevole" ed è "perfettamente in linea" con il pensiero del segretario di stato Condoleezza Rice al riguardo.

Alcuni esponenti del governo italiano hanno definito, in questi giorni, "irrituale" l'iniziativa portata avanti da sei ambasciatori. Sulla questione è oggi intervenuto, da Seul, anche il ministro degli Esteri Massimo D'Alema, il quale, oltre a definire "abbastanza irrituale" la lettera, ha aggiunto di ritenere che "per discutere queste questioni ci sono delle sedi proprie".

Il titolare della Farnesina ha ricordato che dell'Afghanistan si è discusso "nella riunione dei ministri degli Esteri della Nato e poi in quella allargata con gli altri ministri degli Esteri non-Nato impegnati" nel Paese. Quindi, è opinione del capo della diplomazia italiana che sia giusto "attenersi alle forme normali in cui si discutono questi problemi tra alleati".

Il portavoce del Dipartimento di Stato Terry Anderson ha dichiarato oggi che "gli ambasciatori americani nel mondo erano stati sollecitati dal ministro Rice ad attivarsi per cercare di fare capire, con lettere o interviste televisive, quanto fosse importante continuare a perseguire la missione in Afghanistan".

Il portavoce ha sottolineato il fatto che la lettera, oltre ad essere firmata dall'ambasciatore americano Spogli, è stata firmata dagli ambasciatori di altri paesi della Nato.

"Quella dell'Afghanistan è una questione che non riguarda solo gli Stati Uniti ma concerne molti altri paesi della Nato ed è quindi di interesse comune - ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato - ed è questo il concetto che ci premeva sottolineare".
La lettera è stata firmata dagli ambasciatori di Stati Uniti, Australia, Canada, Gran Bretagna, Olanda e Romania.

Il portavoce del Dipartimento di Stato ha definito "irrilevante" il fatto che la lettera non sia stata firmata da tutti gli ambasciatori degli altri paesi Nato coinvolti nella missione in Afghanistan.

"Spogli ha agito reagendo a direttive ricevute - ha sottolineato Terry Davidson - è chiaro che il ministro Rice non può controllare personalmente parola per parola quello che viene detto o scritto. Ma il punto è che riteniamo, qui a Washington, lodevole l' iniziativa dell'ambasciatore Spogli e in linea con le disposizioni ricevute dagli ambasciatori americani nel mondo".

(6 febbraio 2007)


 

Da La Stampa 6-2-2007 - Kabul, sale la tensione Italia-Usa Di MAURIZIO MOLINARI

 

UNA NOTA DEL GOVERNO AMERICANO A SOSTEGNO DELL’INIZIATIVA DI SPOGLI

Il Dipartimento di Stato: lodevole la lettera dei 6 ambasciatori. Ma D'Alema: irrituale

INVIATO A WASHINGTON
«E’ un’iniziativa lodevole». Il Dipartimento di Stato fa conoscere in maniera formale il proprio sostegno alla decisione dell’ambasciatore in Italia, Ronald Spogli, di firmare assieme a cinque colleghi della Nato la lettera aperta agli italiani sulla richiesta di impegno in Afghaistan. A parlare è Terry Davidson, responsabile della comunicazione all’Ufficio Europa del Dipartimento di Stato, e il linguaggio punta ad allontanare ogni ipotesi di incompresioni con Via Veneto: «Firmare la lettera è stata da parte di Spogli un’iniziativa lodevole e perfettamente in linea con il pensiero del Segretario di Stato, Condoleezza Rice».

Davidson esclude che la lettera (che D’Alema ha definito «irrituale») abbia nulla a che vedere con la situazione politica in Italia, mentre sottolinea come il passo di Spogli esprima le posizioni di Washington tanto per quanto riguarda la strategia di comunicazione sulla guerra a terrorismo che i contenuti relativi alla campagna in Afghanistan. Nel primo caso infatti l’ambasciatore Usa ha messo in atto le raccomandazione di Karyn Hughes, sottosegretario di Stato e stretto consigliere del presidente George W. Bush, che da tempo chiede ai diplomatici americani all’estero di «comunicare direttamente con le opinioni pubbliche dei Paesi dove risiedono» ricorrendo a metodi del «XXI e non XVIII secolo». Si tratta di una strategia di «Public Diplomacy» che l’amministrazione Usa si è data per far conoscere le prprie posizioni sulla guerra al terrorismo e lasciarsi alle spalle il metodo di comunicazione pre-11 settembre considerato paludato, ingessato e nel complesso inefficace.

Ma anche per quanto riguarda i contenuti relativi alla situazione in Afghanistan la decisione di firmare la lettera rientra nei criteri del Dipartimento di Stato perché il contenuto del testo è stato modellato su quanto concordato dai leader della Nato al summit autunnale di Riga e poi ribadito dai ministri degli Esteri nell’ultimo summit di Bruxelles, dove si è parlato proprio della necessità di inviare più truppe e mezzi in Afghanistan. «Gli ambasciatori americani erano stati sollecitati dal Segretario Rice - ha spiegato Davidson - ad attivarsi per far capire, con lettere o interviste televisive, quanto fosse importante continuare a perseguire la missione in Afghanistan».

In ambienti diplomatici a Washington si indica inoltre proprio in Ronald Spogli l’ambasciatore che ha preso l’iniziativa delle lettera poi condivisa dai colleghi di Gran Bretagna, Canada, Australia, Olanda e Romania, senza escludere che simili passi possano avvenire in tempi brevi anche in Spagna e Germania ovvero gli altri due Paesi della Nato che da un lato hanno truppe in Afghanistan e dall’altro rifiutano di impiegarle in azioni di combattimento contro i taleban nelle regioni del Sud. Ma cè dell’altro: la lettera dei sei ambasciatori coincide con il passaggio delle consegne a Kabul alla guida dei 32 mila uomini della Nato e l’assunzione di comando da parte del generale americano Dan McNeill. Questo significa che ricade sul Pentagono la responsabilità delle operazioni militari in preparazione per la primavera ovvero un’offensiva in grande stile tesa necessaria, secondo il Segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer, a sradicare la presenza di cellule taleban soprattutto ai confini con il Pakistan. Per i comandi americani impegnati a preparare la logistica dell’offensiva il contributo italiano, auspicato dalla lettera degli ambasciatori, sarebbe molto utile. Non a caso i sei Paesi firmatari della lettera sono proprio quelli che schierano soldati in operazioni di combattimento ed hanno sostenuto perdite negli ultimi mesi, con conseguenti e ripetuti attriti diplomatici con gli altri alleati che invece hanno scelto di non spostare i soldati dalle basi nell’Ovest e nel Nord.

 

 


Da Il Sole 24 Ore 5-2-2007 Antitrust contro le banche: costi troppo alti, poca trasparenza di Alberto Annicchiarico

 

L'Antitrust torna a fare arrabbiare le banche. Soltanto la settimana scorsa era stata l'Unione europea a prendersela con i costi dei conti correnti e le commissioni delle carte di credito. Adesso tocca anche all'autorità italiana, guidata da Antonio Catricalà, che ha concluso l'indagine conoscitiva avviata il 1 febbraio 2006, subito dopo l'entrata in vigore della Legge sul Risparmio.

Famiglie monoreddito più penalizzate, online forti risparmi. Risultato choc: dai dati raccolti su un campione di 72 banche (68% degli sportelli in Italia) emerge una «enorme variabilità» dei prezzi dei conti correnti, fino a dieci volte per lo stesso tipo di conto: a seconda del profilo dei correntisti (si veda tabella 1) si va da 76,30 euro a 208,80 euro, con un valore medio di 182 euro. A rimetterci, ironia della sorte, sono soprattutto le famiglie monoreddito, penalizzate più dei tentenni single e senza figli. Va meglio per giovani a caccia di primo impiego e pensionati. L'indagine evidenzia inoltre l’esistenza di politiche commerciali da parte delle banche che «aggiungono elementi di ulteriore fidelizzazione “forzosa” del correntista». Non manca l'accusa di scarsa trasparenza, che ostacola le scelte dei consumatori. In compenso i conti online possono dare grandi soddisfazioni: attraverso il canale internet si può ridurre mediamente di circa il 60% la spesa anche se non si tratta di prodotti perfettamente sostituibili per tutti i correntisti (si veda tabella a pagina 59 del testo dell'indagine completa).

Conti più cari che in Europa. Altra conferma attesa: in Italia il costo medio di tenuta e movimentazione del conto corrente è molto alto rispetto agli altri principali paesi dell'Unione (si veda la tabella 3.7 a pagina 61 del testo completo dell'indagine). «La spesa totale annua media (ponderata) di sistema rilevata in Italia - fa sapere l'Autorità - è pari a circa 182 euro all’anno; contro un dato europeo molto inferiore (in Olanda è meno di 35 euro, in Belgio e Uk meno di 65, in Francia meno di 99, in Spagna circa 108)». Cifre che «confermano la maggiore debolezza del processo competitivo nel nostro settore bancario rispetto agli altri Paesi e l’assenza di incentivi allo sviluppo di un reale gioco concorrenziale».

Popolari e Bcc in cima alla lista nera. Sono le Popolari a guidare la non invidiabile classifica della spesa annua più alta, con costi più alti rispetto alle Spa e alle Banche di Credito Cooperativo (Bcc) per quattro tipologie di clientela su dieci (si veda la tabella 3.13 a pagina 56 nel testo completo dell'indagine). Le altre due categorie di banche, invece, hanno la leadership in tre casi su dieci. Le Bcc risultano le più care sia per la famiglia monoreddito artigiana (322,9 euro l'anno) che per quella che può contare su una libera professione. Il conto corrente presso le Bcc è più caro rispetto a quello ottimale offerto da Popolari e banche Spa anche per il trentenne single. La spesa annua calcolata dall'Antitrust non tiene conto dell'effetto dei tassi d'interesse attivi e passivi.

Le otto regole d'oro. Otto i suggerimenti di Piazza Verdi per introdurre una maggiore trasparenza e una riduzione degli ostacoli alla mobilità dei consumatori sui conti correnti. Tra le misure proposte, fogli informativi sintetici, lo sviluppo di fonti informative indipendenti e di meccanismi che consentano la portabilità del conto. Ecco la lista delle novità da introdurre, secondo l'Antitrust:
1) Redazione di fogli informativi sintetici con una chiara indicazione delle spese anche in una sola voce di costo.
2) Garanzia di stabilità, almeno per un arco temporale minimo, delle voci di costo di tenuta e movimentazione del conto corrente.
3) Piena comparabilità dei costi secondo le esigenze del singolo consumatore attraverso lo sviluppo di fonti informative, indipendenti dal sistema bancario, con la costruzione di motori di ricerca.
4) Informazione annuale sintetica al correntista della spesa effettivamente sostenuta per la tenuta del conto.
5) Indicazione della sua variazione rispetto all'anno precedente.
6) Individuazione di modalità in grado di mantenere in vita i servizi connessi al c/c per il tempo necessario a completare il trasferimento, per evitare duplicazioni di costo per il correntista.
7) Definizione di una durata temporale massima per l'esecuzione delle operazioni di trasferimento del c/c.
8) Eliminazione di tutti i vincoli, contrattuali o di fatto, non necessari tra c/c e altri servizi e lo sviluppo di meccanismi che consentano la portabilità del conto corrente.

I consumatori: «Servono sanzioni». Per il presidente del Codacons Carlo Rienzi «occorre ora accertare se vi sia o meno un cartello tra istituti di credito per mantenere elevate le tariffe e, nel caso, irrogare pesanti sanzioni verso i responsabili. In attesa di ciò chiediamo all'Antitrust di pubblicare i nomi delle banche che praticano le tariffe più convenienti, in modo tale da consentire ai correntisti risparmi seppur minimi». Anche per l'Adusbef è tempo di sanzioni. Secondo l'associazione è arrivato il momento di «punire usi ed abusi perpetrati dalle banche per oltre mezzo secolo, dall'anatocismo illegale, alla commissione di massimo scoperto, al mancato adeguamento dei tassi sui depositi,a condizioni capestro nella gestione del risparmio che hanno permesso agli istituti di credito di taglieggiare i cittadini con il diretto concorso e la collusione dell'Autorità di vigilanza». E se, invece, non succedesse nulla? «Per i clienti oltre al danno ci sarebbe la beffa».


 

Da La Repubblica 5-2-2007 Assicurazioni e istituti di credito, il secondo capitolo dell’integrazione


Da un lato sono una "zavorra" perché assorbono molto capitale, soprattutto con i nuovi criteri di Basilea sul patrimonio di vigilanza bloccato dalle attività assicurative dall’altro sono considerate la nuova frontiera del business o quasi: sotto il doppio profilo dei danni e del vita, in particolare in versione previdenziale.
Sono questi i due corni dei molti accordi tra assicurazioni e banche di cui si parla in questi giorni e, in parte come fattore di novità, sono sempre più spesso intese strutturate ma esterne, per non pesare appunto sui ratio patrimoniali delle banche. Inoltre, e anche questo è un elemento nuovo, sono sempre più frequenti i corteggiamenti reciproci tra banca e assicurazione nel ramo danni, segmento che finora non si era particolarmente affacciato in banca.
Le operazioni attualmente sul tappeto sono soprattutto tre: il corteggiamento reciproco tra Italease e FondiariaSai, che dovrebbe prevedere l’ingresso della banca guidata da Massimo Faenza in Banca Sai (ma in un secondo momento l’intesa potrebbe allargarsi) e che vede la messa a fattor comune di pezzi dei canali distributivi; il processo di selezione di un partner assicurativo estero cui cedere il 50% di Mps vita (sono cinque i candidati rimasti in campo e si punta a chiudere per la fine di marzo) e, infine, il doppio accordo distributivo nel settore vita e in quello danni della Popolare di Verona, ormai prossima al matrimonio con la LodiBpi.
Quest’ultima realtà, che dal 10 marzo sarà un dato acquisito anche sotto il profilo formale, occupa il terzo posto nella graduatoria nazionale per numero di sportelli (ben distanziata, ma subito dopo come posto in classifica rispetto ai due campioni nazionali Intesa Sanpaolo e Unicredit) e il quarto per capitalizzazione (in questo caso, preceduta anche da Capitalia). Dimensioni che spiegano quanto sia stato ambito il gruppo, per stringere un accordo (che vede in pole position Fondiaria e Aviva). Ma a quanto è dato di capire, gli accordi di distribuzione non saranno molto prolungati nel tempo: è possibile infatti che il gruppo veroneselodigiano aspetti di aver formalizzato tutte le pratiche di matrimonio, con il relativo periodo di assestamento, per poi verificare le strategie durature di accordi assicurativi.
Sta di fatto, e la dice lunga sull’importanza ormai attribuita al settore, che praticamente la prima mossa decisa dal neonato gruppo bancario è stata quella di cercarsi accordi di partnership assicurativa; prima di qualsiasi altro accordo commerciale e quasi prima di aver persino consumato il matrimonio.
Tra l’altro, la partnership sarà un’occasione per verificare sul campo le potenzialità di sviluppo delle polizze sul ramo danni vendute allo sportello: le aspettative sono per un grande sviluppo di quelle polizze accessorie, variamente legate ai prodotti bancari tipici (tipo i mutui o i prestiti personali). La vera frontiera sarà invece vendere polizze di tutt’altro genere, a partire per esempio da quelle sanitarie. Per fare questo occorre uno sforzo di formazione molto grande, sulla rete bancaria; e probabilmente anche il superamento di steccati culturali, tra il mondo bancario e quello assicurativo. Ma chi riuscirà a fare il salto potrebbe portare a casa bei risultati.
(vi.p.)


Da Il Sole 24 Ore 5-2-2007  Inflazione in ribasso all'1,7% annuo in gennaio di Michele De Gaspari

Inflazione in ribasso all'1,7% annuo in gennaio

di Michele De Gaspari

La stima provvisoria dell'Istat: è pari a +0,1% la variazione mensile a gennaio dei prezzi al consumo e all'1,7% quella tendenziale, la più bassa dall'estate 1999.

La crescita media annua dei prezzi calcolata per il 2006 è del 2,1%, in contenuto rialzo sull'1,9% del 2005. I rincari di inizio anno per alimentari e alcune categorie di servizi (comunicazioni, alberghi e ristoranti) si accompagnano alla stabilità di quasi tutti gli altri capitoli di spesa, in un contesto di scarsa vivacità della domanda, mentre resta leggermente sfavorevole il divario dell'Italia con la media di Eurolandia.
Si attenua l'effetto petrolio sull'inflazione, legato anche al ritardo (e alla gradualità) con cui le variazioni dei prezzi all'origine si trasferiscono sui beni finali. Le fluttuazioni dei carburanti, i rincari delle tariffe energetiche (elettricità e gas) e di altri significativi capitoli di spesa (alimentari e tabacchi, alberghi e ristoranti, tempo libero e cultura) hanno condizionato l'evoluzione dei prezzi nel corso del 2006, con le conseguenti oscillazioni intorno al 2% nella dinamica annua dell'inflazione, già ripiegata al 2,0% a fine 2005. Negli anni precedenti l'evoluzione dei prezzi al consumo non si era presentata granché tranquilla, quando una serie di voci del paniere sono state in tensione, in un periodo già per consuetudine caratterizzato dai ritocchi dei prezzi amministrati o regolamentati e di numerosi listini aziendali. Il rafforzamento dell'euro e la conseguente moderazione dei prezzi dei beni importati hanno richiesto, poi, qualche tempo per trasferirsi nelle fasi distributive a valle.

La crescita annua, a sua volta, risente dell'effetto statistico del confronto con periodi di altalenanti tensioni per i prezzi, com'è accaduto negli ultimi anni. Diventa probabile pertanto, nell'orizzonte del 2007, il risultato di un graduale assestamento dell'inflazione sotto il 2% tendenziale annuo, peraltro favorito dalla modesta dinamica dei consumi delle famiglie. La marcia di avvicinamento al 2% ha avuto tempi non brevi, ma l'alta volatilità delle quotazioni petrolifere non esclude nei prossimi mesi ulteriori oscillazioni del dato tendenziale, a seguito dei prevedibili ritocchi per alcuni prezzi e tariffe (elettricità e gas, per esempio, vengono aggiornati a cadenza trimestrale e incorporano solo gradualmente le fluttuazioni del petrolio nei periodi precedenti).

L'indice dei prezzi al consumo - secondo la stima provvisoria dell'Istat, che dal gennaio 2005 coincide con rilevazioni delle grandi città - ha messo in evidenza a gennaio una variazione mensile pari a +0,1% e all'1,7% rispetto a un anno prima, a fronte di una variazione di +0,1% e dell'1,9% a dicembre. L'aumento annuo non è, dunque, più influenzato dallo scalino dei rialzi del 2003-2004, che si è riflesso nella dinamica tendenziale fino all'estate del 2006.

Con i risultati degli ultimi mesi è inoltre ripresa, dopo prolungate battute d'arresto, la lenta marcia di rientro della spinta inflattiva, che ha caratterizzato la seconda metà del 2003-2004 e la prima parte del 2005, arrivando dopo un periodo già tradizionalmente caldo per i prezzi, come del resto erano stati i mesi iniziali del 2001 e del 2002. Essi avevano, infatti, risentito negativamente dell'effetto euro, dei rincari tariffari (trasporti e servizi pubblici locali), di una serie di aumenti nel settore terziario (assicurazioni, banche, sanità, alberghi e pubblici esercizi) e di altre componenti regolamentate (canoni, lotterie).

Le prospettive dell'inflazione per i prossimi mesi mostrano, tuttavia, un quadro ancora incerto, perché occorre fare i conti con l'incognita del petrolio. Nell'immediato futuro essa è prevista stabilizzarsi sugli attuali ritmi poco sotto al 2%, con un possibile riaccendersi di qualche tensione sui listini delle imprese. La crescita tendenziale dei prezzi si è confermata, in particolare, sopra il 2% anche nella media del 2006 (pari al 2,1%), così come nel quinquennio 2000-2004 e a fronte dell'1,9% registrato nel 2005. L'inflazione media annua si è attestata al 2,2% nel 2004, al 2,7% nel 2003, al 2,5% nel 2002, al 2,7% nel 2001 e al 2,5% nel 2000. I dati definitivi e completi dei prezzi al consumo di gennaio (intera collettività, armonizzato, famiglie di operai e impiegati) saranno resi noti dall'Istat il prossimo 21 febbraio.


Da La Repubblica 5-2-2007 "Ecco come una molecola naturale protegge dall'assalto dell'Aids" di ALESSIA MANFREDI

Si chiama IL-7, come funziona l'hanno scoperto i ricercatori italiani del S. Raffaele di Milano nel laboratorio di Antony Fauci

Lussu: "Aumenta la sopravvivenza delle cellule CD4 e CD8"

 

 

ROMA - Una molecola naturale è in grado di proteggere le cellule immunitarie bersaglio dell'Aids, prevenendone la morte. E proprio da questa molecola, battezzata dagli scienziati interleuchina 7 (IL-7), arriva la speranza di una nuova terapia - a sostegno di quella farmacologica - per consentire alle difese naturali di combattere l'Hiv. Il virus, infatti, attacca l'organismo nascondendosi nelle cellule del sistema immunitario, che muoiono in grandi quantità quando vengono attaccate dalla malattia. Ma impedendo - proprio grazie a questa molecola - la morte cellulare, il sistema di difesa dell'organismo si rafforza.

A scoprire come agisce IL-7 è stato un gruppo di ricercatori guidato dall'italiano Paolo Lusso, direttore del laboratorio di Virologia del San Raffaele di Milano. La ricerca, condotta insieme a un'altra italiana, la dottoressa Lia Vassena, è stata realizzata nel laboratorio di Anthony Fauci, all'istituto statunitense per le allergie e malattie infettive (NIAID) del NIH di Bethesda, e lo studio è stato pubblicato sulla rivista dell'Academy of Sciences statunitense.

 


"Già da tempo l'attenzione è concentrata su questa molecola", spiega dagli Stati Uniti a Repubblica.it il professor Lusso, "perché potrebbe essere di beneficio per i pazienti con l'Aids. E' una citochina: una sorta di messaggero che scambia informazioni fra le varie cellule per gestire le difese immunitarie dell'organismo".

Qual è la novità del vostro studio?
"Siamo riusciti a scoprire come agisce IL-7, impedendo alle cellule di suicidarsi. Il virus Hiv colpisce il sistema immunitario, uccidendo cellule molto importanti, i linfociti CD4. In 25 anni di ricerche ancora non sappiamo con precisione come l'Hiv li uccida. Ma sicuramente il meccanismo principale è l'apoptosi, la morte programmata delle cellule. Quello che in condizioni normali è un meccanismo buono, che permette alle cellule invecchiate o malate di morire e di essere sostituite da cellule nuove, con l'Aids diventa patologico, abnorme. E porta alla morte di tantissime cellule, comprese quelle che sono davvero malate".

IL-7 riesce a bloccare questo suicidio collettivo?
"Sì. l'Interleuchina -7 blocca l'apoptosi nei pazienti affetti da Hiv, impedendo che vengano distrutte le cellule sane, che non devono morire".

Questo può far sperare in una nuova cura contro la malattia?
"Nell'esperimento si è visto che l'Interluchina 7 aumenta la sopravvivenza delle cellule immunitarie CD4 e CD8. La risposta è diversa da caso a caso, ma la molecola riesce sempre a rafforzare le difese naturali contro l'Aids. Potrà diventare una terapia di supporto, da usare a fianco dei farmaci, per aumentare le difese naturali che a loro volta potranno ridurre la quantità di virus nell'organismo".

Con quali tempi?
"La prima sperimentazione per accertare che non fosse tossica è già stata fatta, sono stati fatti anche studi sugli animali. Nel giro di un paio d'anni potremo avere il quadro completo per decidere se farla diventare una terapia di routine".

Come vive oggi una persona affetta da Hiv?
"Negli ultimi anni, i progressi sui farmaci sono stati straordinari. Oggi si vive molto più a lungo e chi ha l'Hiv può tenerlo sotto controllo per moltissimo tempo con la terapia farmacologica. Se prima avevamo solo una classe di farmaci per combattere la malattia, dal '95 con gli inibitori della proteasi - il famoso 'cocktail' - si è riusciti ad attaccare il virus da più punti, avendo più armi per combatterlo e ridicendo il problema delle resistenze. Questo ha fatto la vera differenza. E se il paziente riesce ad assumere i farmaci in modo regolare, il virus è totalmente sotto controllo".

Però di Aids non si guarisce.
"No. Al mondo, non c'è stato alcun caso di paziente guarito, cioè, in cui il virus sia scomparso. E se si sospendono i farmaci, nel giro di qualche settimana il virus torna a crescere come prima".

Alla lunga, i farmaci possono avere effetti negativi?
"Non tutti riescono a prendere i farmaci regolarmente perché possono diventare tossici. Ad esempio, gli inibitori della proteasi alterano il metabolismo dei grassi, col rischio di complicazioni vascolari. Magari un paziente ha perfettamente sotto controllo il virus e poi improvvisamente muore di infarto".

C'è un modo per eliminare questi rischi?
"Intanto, ci sono diversi farmaci tra cui scegliere e si usano sempre i meno tossici. Ma ci vuole uno sforzo ulteriore per produrne dei nuovi, sempre più efficaci che attacchino il virus da più punti".

Quali sono le linee di ricerca più promettenti oggi per lo sviluppo di nuove terapie?
"Ci sono due strade che fanno ben sperare: una è quella degli inibitori dell'integrasi, un enzima che permette al virus di integrarsi nel genoma. Bloccandone l'integrazione nelle cellule, c'è la speranza di fermarlo. L'altra via è quella delle chemiochine, delle sostanze naturali che bloccano la porta di ingresso al virus nell'organismo. Proprio su questa linea stiamo lavorando a Milano".

Quanto siamo ancora lontani un vaccino contro l'Aids? Ci arriveremo mai?
"Io sono ottimista e credo che prima o poi ci arriveremo. Ma è una delle sfide più grandi per la scienza, perché questo è un virus estremamente mutevole, che fa 'impazzire' il sistema immunitario. Per essere davvero efficace contro l'Aids ci vuole un vaccino 'protettivo' al 100%, una performance difficilissima da ottenere, che per gli altri vaccini più tradizionali non si richiede. In linea di principio, però, è possibile, anche se molto difficile".

In quale direzione si muove la ricerca?
"Si stanno cercando vie nuove. Recentemente, ad esempio, il mio gruppo ha iniziato ad esplorare approcci innovativi, per sviluppare un vaccino protettivo anti Hiv in grado di indurre anticorpi ad ampio spettro d'azione. Il virus è molto subdolo, e si tratta di trovare il modo per evitare che il sistema immunitario sia confuso da questa sua estrema variabilità. Quello che stiamo facendo è una specie di 'taglia e cuci' certosino per 'eliminare' in modo intelligente gli elementi variabili che distraggono il sistema immunitario, facendolo concentrare invece su quelli comuni, su cui può agire".

(5 febbraio 2007)

 

 

 

 

 


INDICE 5-2-2007

Da La Stampa 5-2-2007  Fioroni "Smonta il bullo" contro la violenza in scuole e stadi 68

Da La Stampa 5-2-2007 A Gennaio l'inflazione è scesa all'1,7% Nel paniere entra il digitale. 68

Dal Corriere della Sera 5-2-2007 Rischio di inaffidabilità di  Angelo Panebianco  68

Da La Repubblica 4-2-2007 Benzinai, 48 ore di serrata a partire da martedì sera  69

Da zeusnews.it 4-2-2007 Telecom spara contro la legge Gentiloni 70

Da La Stampa 4-2-2007  Carlo, il rompiscatole fa disperare la Regina MARCELLO SORGI 70

 

 


Da La Stampa 5-2-2007  Fioroni "Smonta il bullo" contro la violenza in scuole e stadi

 

Le linee di indirizzo elaborate dal dicastero di viale Trastevere sono anche il frutto delle proposte delle scuole stesse

 

 

ROMA
Venti osservatori permanenti, un numero verde nazionale, un sito internet, una campagna nazionale di informazione e sensibilizzazione, sanzioni più severe e percorsi di recupero. Sono molti i punti sui quali si articola la campagna nazionale del ministero dell’Istruzione contro la violenza a scuola. Si intitola «Smonta il bullo» ed è costata due milioni di euro. E dunque: presso ogni regione ci sarà un osservatorio permanente con il compito di lavorare in stretta collaborazione con le istituzioni locali per valorizzare buone pratiche e competenze; il numero verde nazionale 800669696 funzionerà con dieci postazioni di ascolto alle quali segnalare casi, chiedere informazioni generali e consigli su come comportarsi in situazioni critiche. Una task force di psicologi, insegnanti, genitori e personale del ministero si farà carico di fornire pareri e consigli.

Parte poi il sito internet www.smontailbullo.it che sarà punto di raccordo, raccolta e divulgazione delle informazioni utili provenienti dagli osservatori e dagli operatori del numero verde, nonchè una vetrina per le azioni e le campagne promosse dalle singole scuole. Quanto alle sanzioni, il principio sarà quello di grande attenzione e severità, ma soprattutto di attuare percorsi di recupero. Una serie di sanzioni, commmisurate alla gravità del gesto, culminerà con la più grave, la sospensione che dovrà durare non più di quindici giorni, tranne casi di particolare gravità. Il ministero promuoverà poi una serie di azioni tese ad educare gli studenti sul corretto utilizzo della rete internet e delle nuove tecnologie, soprattutto in relazione all’esigenza di far acquisire agli studenti il significato e il rispetto del diritto alla privacy propria e altrui.

Niente affatto casuale, dunque, che nella presentazione del piano antibullismo il ministro Giuseppe Fioroni fosse affiancato dal garante della privacy, Luigi Pizzetti. «Il modo per vincere la violenza nelle nostre scuole, come negli stadi - ha spiegato Fioroni - sta nell’educare i nostri ragazzi al rispetto della dignità delle persone e al rispetto dell’altro. Per questo docenti e studenti hanno una straordinaria opportunità, quella di non lasciare solo nessuno di fronte alla violenza e soprattutto di far sentire parte della comunità educante sia il diversamente abile che il più debole».

Secondo quanto spiegato da Fioroni, le iniziative della campagna serviranno «a monitorare, informare, trasmettere buone pratiche, dare indicazioni, supportare l’autonomia scolastica, sapendo che le azioni educative spettano ai singoli piani dell’offerta formativa nelle scuole e partono da una straordinaria campagna di cittadinanza attiva fatta dai docenti e dagli studenti che si propongono di sostituire il "me ne frego" con il "mi interessa"».

Da La Stampa 5-2-2007 A Gennaio l'inflazione è scesa all'1,7% Nel paniere entra il digitale.

Cali maggiori per il gasolio il cui prezzo и diminuito dello 0,5% su base mensile e del 2,4% su base annua

ROMA
In un calcolo in base al nuovo impianto del paniere utilizzato dall’Istat, l’inflazione armonizzata a gennaio и scesa dell’1% rispetto a dicembre e aumentata del 2% rispetto a gennaio 2006. A dicembre la crescita annuale del dato armonizzato era stata pari al 2,1%.

La core inflation si и attestata all’1,6% su base annuale mentre l’inflazione relativa ai soli prodotti energetici и stata pari all’1,7%; entrambi i dati sono uguali a quelli rilevati a dicembre. Sempre piщ presenti nei consumi delle famiglie gelato multipack (sostituisce la torta gelato), sughi pronti, sandalo da donna (al posto delle pantofole), multipresa (sostituisce il cavo elettrico), riparazione di moto, scheda di memoria per macchine fotografiche digitali (al posto della pellicola) e stampa di foto digitale. Escono, invece, perchи poco rappresentativi, calcolatrice tascabile, videocassetta e sveglia a pile.

Il numero delle posizioni nel nuovo paniere si и ridotto a 540 dalle 562 del 2006, grazie all’accorpamento di diverse voci in un’unica posizione, soprattutto diversi tipi di pesci, tessuti per la casa, articoli sportivi e sport, sigarette. H salito il peso di alcuni capitoli di spesa rispetto al 2006: alimentari (soprattutto lavorati), bevande alcoliche e tabacchi, casa, acqua ed elettricitа, salute, trasporti (a causa dell’aumento dei prezzi energetici).
Il contributo all’inflazione dei beni energetici и cresciuto dal 6,2675 del 2006 a 8,2. I comuni che concorrono al calcolo dell’indice nazionale sono 85 e la copertura in termini di popolazione provinciale и dell’88,9%; 40mila i punti vendita coinvolti e 10mila abitazioni per la rilevazione degli affitti: in totale l’istat raccoglie 400mila quotazioni di prezzo.

 

 


Dal Corriere della Sera 5-2-2007 Rischio di inaffidabilità di  Angelo Panebianco

 

 

Ha ragione il ministro della Difesa Arturo Parisi a giudicare irrituale la lettera aperta dei sei ambasciatori di Paesi aderenti alla Nato sul nostro ruolo in Afghanistan: un passo diplomatico anomalo con cui gli alleati, pur nella prudenza del linguaggio, ci hanno notificato di essere consapevoli che la politica estera sia il maggior elemento di debolezza del governo Prodi. Dopo il risultato sbalorditivo (con pochi precedenti nella storia delle democrazie parlamentari) della votazione su Vicenza, Parisi ha chiesto con forza che la coalizione di governo esca finalmente dall'ambiguità sulla politica estera e di difesa. Ma è difficile che ciò possa accadere. Non solo perché il problema va al di là della contrapposizione massimalisti/moderati: come Parisi ha rilevato in una intervista esemplare per chiarezza e rigore ( La Stampa, 4 febbraio), pesa anche, per ragioni storiche, una più generale carenza di «cultura della difesa» che attraversa l'intera coalizione. L'ambiguità non è però superabile anche per altre e più profonde ragioni. Soprattutto perché senza equilibrismi, furbizie tattiche e giochi di parole, in tema di scelte di fondo sulla collocazione internazionale dell'Italia, non sarebbe mai stato possibile mettere insieme la coalizione antiberlusconiana che vinse di stretta misura le elezioni. Basta aver letto il sempre citato «programma dell'Unione» per saperlo: quel programma, mentre dedicava enfaticamente pagine su pagine alla questione dell'Europa e dell'europeismo del centrosinistra, liquidava invece con stringatissime parole (ove il «non detto» appariva molto più importante del detto) il nostro ruolo nella Nato e l'alleanza con gli Stati Uniti. Era l'ambiguità in azione, appunto, frutto della necessità, per i partiti moderati del centrosinistra, di fare un cartello elettorale, e un'alleanza di governo, con forze politiche anti- Nato e antiamericane.

Del resto, lo stesso premier Romano Prodi appare consapevole dell'impossibilità di arrivare a un vero chiarimento. Nello stesso momento in cui usa parole dure, mai usate prima, nei confronti della sinistra massimalista per l'episodio di Vicenza, continua a concedere molto, almeno sul piano retorico, a quella stessa sinistra massimalista, rimarcando più del dovuto (in materie che riguardano la collocazione internazionale del Paese non si dovrebbe fare) tutte le discontinuità esistenti fra le scelte del suo governo e quelle del governo precedente, e nascondendo dietro il paravento verbale della «politica di pace» in cui il governo sarebbe oggi impegnato il ruolo dei nostri militari nella guerra (perché di guerra, al di là dei giri di parole, si tratta) in Afghanistan. Tra il governo Prodi e il precedente governo Berlusconi ci sono ovviamente grandi differenze. Alcune vanno a vantaggio del governo Prodi, altre a vantaggio del governo Berlusconi. Ma certo la differenza più importante riguarda proprio la politica internazionale. Nei cinque anni di governo di Berlusconi la politica estera e la collocazione internazionale dell'Italia non furono mai oggetto di veri conflitti all'interno della coalizione. Di divisioni naturalmente ce n'erano tante, ma riguardavano la politica interna. Anche la Lega di Umberto Bossi, che quando stava all'opposizione era pronta ad assumere atteggiamenti eterodossi (nel 1999 Bossi fu, con Armando Cossutta, uno degli esponenti politici italiani che andarono a Belgrado per solidarizzare con il serbo Milosevic sulla questione del Kosovo), rimase per lo più allineatissima alle posizioni del governo di cui era parte.

Anche le sue sparate contro l'Europa (come le invettive contro «forcolandia») non avevano conseguenze pratiche, non erano tali da destabilizzare un esecutivo che, per parte sua, intratteneva all'epoca rapporti alquanto travagliati e freddi con l'asse franco-tedesco di Chirac e Schroeder. Persino quando la Lega (insieme a Rifondazione) diede in Parlamento «un voto di bandiera» contro il trattato costituzionale europeo, il governo non ne fu minimamente toccato. Da cosa nasce la differenza? Perché la presenza della Lega (pur ideologicamente contraria a quello che essa chiamava il «Superstato europeo») nella coalizione di Berlusconi non fu altrettanto destabilizzante per la politica estera di quanto si stia rivelando la sinistra massimalista nella coalizione di Prodi? La ragione ha a che fare con le identità. Il cruciale elemento identitario della Lega era e resta il «federalismo». Era quindi sufficiente, per il governo Berlusconi, offrire alla Lega garanzie in tema di riforma federalista perché essa accettasse, nonostante il suo antieuropeismo, di non destabilizzare la politica estera del governo. Il caso della sinistra massimalista è diverso: antiamericanismo e pacifismo sono parti integranti della sua identità. Sono il suo nervo scoperto, come si è visto a Vicenza e come si vede nella questione del rifinanziamento della missione in Afghanistan.

E come si vedrà ancor di più fra pochi mesi, se risulteranno esatte le previsioni dei comandi americani che annunciano, per primavera, una grande offensiva militare dei talebani contro la coalizione Nato in Afghanistan. Se nel centrodestra fu facile per la Lega accettare i termini dello «scambio» (federalismo contro sostegno al governo anche sulla politica estera), nel centrosinistra lo scambio fra moderati e sinistra massimalista è assai più difficile da assicurare man mano che passa il tempo. E infatti, finita la (brevissima) luna di miele del governo, sinistra massimalista e moderati sono ormai ai ferri corti su tutto, dalla politica estera ai Pacs, alle liberalizzazioni. Le divisioni delle maggioranze sulla politica estera vanno in scena davanti a una platea mondiale. Quando poi a scontrarsi sono «visioni del mondo» da cui discendono idee opposte sulla collocazione internazionale del Paese, la sensazione che gli altri (la comunità internazionale) ne ricavano, a volte anche al di là della sostanza, è che a regnare sia la confusione, se non addirittura l'inaffidabilità. Il problema che ha il governo Prodi è come evitare di pagare un prezzo internazionale così alto senza rimuovere quell'ambiguità di fondo grazie alla quale il centrosinistra si è formato e tuttora vive. Prodi deve fare i conti con il Dna della sinistra massimalista

05 febbraio 2007

 

 

Da La Repubblica 4-2-2007 Benzinai, 48 ore di serrata a partire da martedì sera

Confermata la protesta dei gestori contro le liberalizzazioni
Respinto il tentativo di dialogo del ministro Bersani

In Sicilia la chiusura scatterà lunedì, con 24 ore di anticipo

 

 

ROMA - Distributori chiusi dalle 19 di martedì 6 febbraio fino alle 7 di venerdì 9 per la serrata di 48 ore indetta da Fegica, Faib e Figisc per protestare contro il 'pacchetto' Bersani, che di fatto liberalizza la vendita della benzina. Si tratta solo dei primi due dei 14 giorni di sciopero annunciati dai benzinai, che si sono scagliati contro il governo e in particolare contro il ministro dello Sviluppo Economico accusandolo di comportarsi "come Pilato".

Tecnicamente lo sciopero è stato indetto per due giorni, il 7 e l'8. Ma, tenendo conto dell'orario in cui gli impianti aprono e chiudono quotidianamente, il 'blackout' dei distributori durerà dalle 19.00 di martedì 6 alle 7.00 di venerdì 9 febbraio sulla viabilità stradale e dalle 22.00 del 6 alle 22.00 di giovedì 8 febbraio sulla rete autostradale.

In Sicilia le pompe di benzina chiuderanno (sempre per due giorni) con 24 ore di anticipo, a partire dalle 19.00 di lunedì 5 febbraio.

La liberalizzazione della vendita della benzina fa parte della serie di norme varate alcuni giorni fa dal Consiglio dei ministri. A moderare le proteste dei benzinai non è servito venerdì neanche l'intervento di Bersani, che si è detto pronto a un incontro con le tre sigle della categoria.

"Sono a disposizione per concordare la data di un eventuale incontro e confermarvi la disponibilità ad aprire un confronto", ha scritto Bersani nella missiva inviata alle tre organizzazioni di settore in vista dello sciopero. "Sono disponibile - si legge ancora nel testo - ad aprire un confronto sulle prospettive che la nuova legislazione, affidata alle decisioni del Parlamento, potrà comportare". Ma proprio il passaggio sulle "prospettive" e sull'iter parlamentare ha sollevato l'ira dei benzinai.

"Bersani sta facendo un po' come Pilato - ha replicato Franco Bertini, presidente della Faib - si sottrae e scarica le responsabilità sul Parlamento. Se Bersani voleva aprire un tavolo, doveva farlo prima di emanare il ddl. Invece prima ha varato il provvedimento e poi ci ha detto: vedetevela col Parlamento".

Nessuno scaricabarile nei confronti del Parlamento, ha replicato il ministero: "E' costituzionalmente previsto che un ddl sia esaminato dalle Camere ed è un diritto-dovere del Parlamento esaminarlo e approvarlo".

Il tentativo di dialogo del ministero dello Sviluppo Economico non è comunque approdato a nulla, e pertanto la serrata avrà luogo come annunciato. Anche oggi i rappresentanti sindacali dei benzinai hanno ribadito "che la categoria ha già pagato il prezzo della liberalizzazione negli anni scorsi", e si sono detti pronti ad attuare tutti e 14 i giorni di sciopero già indetti.

(4 febbraio 2007)

 


 

Da zeusnews.it 4-2-2007 Telecom spara contro la legge Gentiloni

Mentre fanno notizia gli attacchi di Berlusconi contro la legge sulle Tv, Telecom Italia prepara l'offensiva.

[ZEUS News - www.zeusnews.it - 04-02-2007]

Le prime pagine dei giornali(oltre che delle vicende matrimoniali dell'ex Premier) sono piene degli attacchi di Berlusconi alla legge Gentiloni sul riassetto delle Tv: dalla minaccia dei 5 milioni di persone in piazza contro la legge, fatta, secondo Berlusconi, "contro i suoi interessi personali", all'ipotesi ventilata nella famosa cena post-telegatti che siano gli stessi protagonisti delle tv Mediaset, da Mike a Bonolis, a scendere in campo per mobilitare l'opinione pubblica contro la legge Gentiloni.

Rischia così di passare sotto silenzio il lavoro, che sarà più di pressing dei lobbisti sui partiti, sui gruppi parlamentari e sui singoli deputati e senatori, da parte di Telecom Italia.

Infatti Telecom chiede ufficialmente che venga abolita ora una norma contenuta del decreto Gentiloni secondo cui l'ex monopolista deve aprire la rete broadband ai concorrenti per la fornitura di IPTV.

Sergio Giovanni Fogli, responsabile degli Affari regolamentari di Telecom, ha dichiarato: "Questa norma dovrebbe quindi essere abrogata perché si sovrappone alla regolamentazione europea e nazionale di settore, rischiando di limitare l'indipendenza ed autonomia dell'Autorità, unica titolare delle competenze in materia".

In pratica, Telecom preferisce giocarsi la questione in un'eterna dialettica con l'Authority, fatta di ricorsi al Tar e di discussioni, senza punti fermi che condizionino la sua nuova rete a banda larga, i cui relativi investimenti dovrebbero essere formalizzati dal nuovo piano industriale, previsto per marzo, nella speranza che magari l'Authority italiana si comporti come quella tedesca, riconoscendo a Telecom un diritto di esclusiva sulla propria rete a banda larga.


Da La Stampa 4-2-2007  Carlo, il rompiscatole fa disperare la Regina MARCELLO SORGI

 

 

LONDRA
Chi l'avrebbe mai detto, anche la Regina ha problemi di radicalismo! A sorpresa, infatti, la Casa Reale ha fatto filtrare ieri la sua «preoccupazione» per la svolta verde del Principe Carlo, che negli ultimi tempi ha assunto toni da crociata. «La lotta contro il cambio climatico è come una guerra che deve essere vinta», ha dichiarato il Principe nella sua recente visita a New York, con toni più da leader politico che non da erede al trono.

Ed è quest’atteggiamento militante, unito a una serie di nuovi atteggiamenti piuttosto ostentati, come quello di aver deciso di usare aerei di linea per i suoi spostamenti, e quand’è possibile i treni, che stanno creando una certa irritazione all’interno della Famiglia Reale. Un conto, infatti, è il tradizionale amore per la campagna della nobiltà inglese, recentemente descritto anche nel film «The Queen», che raffigurava la Regina Elisabetta sullo sfondo dei dolci paesaggi delle famose tenute reali. E un conto è il fondamentalismo che ha improvvisamente ricollocato Carlo a sinistra di Tony Blair, che ha fatto della campagna contro il «climate change» il cavallo di battaglia del suo gran finale. I termini usati dalla Casa Reale, ovviamente, sono cauti. Ma un’alta fonte ha confermato all’Evening Standard l’«ansia» e l’«imbarazzo» per le ultime uscite di Carlo dei suoi familiari. A giudizio dei quali, Regina compresa, la «pur rispettabile» determinazione del Principe in campo ecologico potrebbe avere un «impatto dannoso» sugli altri membri della Famiglia Reale, facendoli apparire o in disaccordo o meno sensibili ai problemi dell’ambiente. Soprattutto, finchè la Regina rimane al suo posto, è a lei che toccano eventuali aggiustamenti di linea, non all’erede, che, in questo modo, rischia di apparire impaziente e instabile.

Che Carlo abbia sempre vissuto in modo meno aristocratico, più campagnolo, se così si può dire, la passione per la natura, il mondo agricolo, i cibi naturali e il buon vino, è noto. Tre anni fa, alla prima edizione di «Terra nostra», il grande happening globale organizzato da Carlin Petrini, il Principe era la star, e per tre giorni, ospite del guru di Slow food, si trattenne incuriosito dai cinquemila contadini di tutte le razze e di tutto il mondo piovuti a Torino e in Piemonte. Più di recente, qui in Inghilterra, testimone della passione verde di Carlo è diventato Antonio Carluccio, piemontese di Ivrea, da 35 anni a Londra, dove ha fondato una catena di ristoranti e per questo, due sere fa, ha ricevuto un premio come esempio di imprenditore dal ministro della Cultura Tessa Jowell. Carluccio è diventato famoso per aver introdotto nel panorama gastronomico internazionale inglese i funghi: ma quel che non si sapeva, e che l’altra sera lui stesso ha raccontato divertito, è che a cercarli, di tanto in tanto, va in compagnia del Principe Carlo. Il vero punto di dissenso tra il Principe e i reali riguarda gli aerei. Abituati, anche per ragioni di sicurezza, a muoversi con i mezzi della flotta reale o con aerei privati, e a fare un certo uso di elicotteri per piccoli spostamenti, i membri della famiglia non hanno visto bene che Carlo, nel suo recente viaggio in Usa, abbia deciso di usare la British Airways, occupando l’intera cabina di prima classe di un jet di linea con un seguito di venti persone, e procurando una spesa all’Erario di oltre 150 mila sterline, più di 225 mila euro. Che questo possa essere presentato come contributo alla limitazione delle emissioni, francamente, è un po’ troppo.

Ma Carlo insiste, annuncia che ha intenzione di sostituire, in tutte le occasioni possibili, gli elicotteri con i treni, e lascia trapelare, ad arte, di aver ordinato ai suoi autisti di lasciare le auto in garage e servirsi delle biciclette per sbrigare le piccole commissioni. A parte i problemi familiari, aggravati dal fatto che la Regina è convinta che dietro il cambio di passo del figlio ci sia un incoraggiamento, neppure tanto nascosto, della nuova moglie Camilla Parker Bowles, la svolta verde del Principe sta già determinando conseguenze politiche. Carlo è al centro dell’attenzione del Parlamento e bersaglio di interrogazioni che vogliono conoscere i costi delle residenze di campagna, recentemente ristrutturate, riadattate e rese più idonee all’uso intenso che l'erede al trono ne fa. Il principe finora ha evitato di rispondere formalmente sostenendo che i costi non pesano sui cittadini. Ma la campagna parlamentare continua, e la sensibilità dei sudditi di Sua Maestà su questo terreno è molto forte, anche se i costi della Casa Reale, grosso modo, sono calcolati in 62 pences, meno di una sterlina all’anno per ogni cittadino.

La vera prova del nove è attesa per maggio, quando la Regina Elisabetta e il Principe Consorte Filippo partiranno per Washington, attesi da Bush alla Casa Bianca, per quella che è ufficiosamente considerata l’ultima visita della sovrana negli Stati Uniti. E’ praticamente scontato che i Reali d’Inghilterra viaggeranno con l’aereo di Stato: ma è altrettanto chiaro, come dimostra l’imbarazzo fatto filtrare nei giorni scorsi, che si sarebbero volentieri risparmiati di diffondere la sensazione che la scelta, assolutamente ovvia, di due anziani monarchi, di non volare con gli aerei di linea, possa suonare come di dissenso rispetto alla novità introdotta dall’erede al trono.

 

 


INDICE  4-2-2007

 

Da La Repubblica 4-2-2007   "Aziende, giornalisti e politici così spiavo per conto della Pirelli" 71 DI P. COLAPRICO, G. D'AVANZO ed E. RANDACIO  71

Dal Corriere della Sera  4-2-2007 Polemiche sull'appello dei diplomatici. Ambasciatori sull'Afghanistan, gelo di Parisi La Cdl insiste: Prodi si dimetta. Di Paola Di Caro  74

Da crimelist.it 3-2-2007  “Internet, l’altra guerra di Al Qaeda”di Giovanni Ricci 74

Da comincialitalia.net  3-2-2007 Un italiano guadagna il 42,1% in meno di un coreano di Alessandro Bellotti 80

Da La Stampa 3-2-2007  Perchè siamo indulgenti sulla cocaGIANCARLO DOTTO  81

Da La Stampa 3-2-2007 NÉ COL PAPA NÉ CON LUTERO . La terza via di Giordano Bruno ANNA FOA  81

Da La Repubblica 2-2-2007  Bce alzerà i tassi a marzo poi probabile pausa  82

 


Da La Repubblica 4-2-2007   "Aziende, giornalisti e politici così spiavo per conto della Pirelli"

DI P. COLAPRICO, G. D'AVANZO ed E. RANDACIO

L'inchiesta Telecom, parla il teste chiave Marco Bernardini
"Bove è stato ucciso oppure indotto a togliersi la vita"


MARCO Bernardini è il testimone chiave dell'inchiesta sui dossier illegali raccolti dalla Security Pirelli/Telecom. Dal 5 agosto dello scorso anno a oggi, è stato interrogato quattordici volte dai pubblici ministeri di Milano. Quarantanove anni, romano, per dodici anni - racconta - ha lavorato nel Sisde come collaboratore "a contratto" prima di esserne espulso e di avviare un'agenzia privata di investigazioni, filiale italiana della Global security dell'ex agente Cia Spinelli. Per i giudici milanesi le sue dichiarazioni "sono risultate puntualmente riscontrate da dati oggettivi e documentali".

Signor Bernardini, quando ha conosciuto Giuliano Tavaroli, l'ex capo della security Telecom?
"A Barcellona, nell'autunno del 2000, durante una convention della Pirelli al Hotel rey Juan Carlos. Ero incaricato della sicurezza "esterna" di Marco Tronchetti Provera. In quell'occasione, il capo della sicurezza personale del dottore, Tiziano Casali, mi presentò Giuliano. A gennaio del 2001, il legame professionale si fece più stretto e l'attività più intensa. Giuliano organizza una propria squadra antiterrorismo, dopo che allo stabilimento della Bicocca erano stati fatti trovare dei volantini di minaccia delle Brigate rosse a dirigenti della Pirelli. Io entro a far parte di quel gruppo, e da allora comincio a ricevere altri incarichi con un'attività a 360 gradi delle problematiche Telecom".

Ci può fare qualche esempio delle sue attività e delle "problematiche"?
"A quel tempo, lavoravo soprattutto all'estero. Balcani, Est Europa e Nord Africa. Dovevo valutare, per Pirelli, i rischi delle turbolenze politiche, o di possibili aggressioni criminali. All'epoca, rendevo conto a Gianpaolo Spinelli che da Washington fatturava il lavoro o alla Polis d'Istinto di Emanuele Cipriani o direttamente a Pirelli . E' in questo primo arco di tempo, primi mesi del 2001, che mi occupai di Telekom Serbjia".

Ma Pirelli non aveva ancora conquistato Telecom Italia, che interessa aveva a sapere di Telekom Serbija?
"Non lo so. Evidentemente avevano già deciso l'acquisizione perché mi chiesero di capire come erano girati i soldi nell'acquisto dell'azienda di Belgrado".

Lei, a Matrix, ha detto che sarebbe stato Marco De Benedetti a soffiare le informazioni a Repubblica per l'inchiesta Telekom Serbija...
"In realtà quella era una voce, un gossip che girava in azienda. Mi chiesero di controllarla e conclusi che si trattava, appunto, soltanto di una voce".

Quali furono gli ulteriori incarichi ricevuti in quel periodo?
"Mi chiesero di monitorare i dirigenti che la Pirelli intendeva allontanare da Telecom".

Può farci dei nomi?
"Vittorio Nola (segretario generale) e Piero Gallina (capo della Security) e persone a loro collegate. Un altro incarico, invece, mi fu affidato da Adamo Bove. Mi chiese di indagare sui dipendenti che vendevano i tabulati della società e sul traffico di e-mail strategiche che venivano trasmesse da funzionari infedeli ai concorrenti. Dopo la sua morte alcuni testimoni hanno raccontato che Bove, nel suo ufficio, a tarda ora, incontrava un uomo. Lo hanno ribattezzato "l'uomo dei misteri". Quel signore ero io. Era l'unico modo per riferirgli, senza essere visto, gli esiti delle mie indagini.
Per il resto si trattava di routine".

Per esempio?
"Una volta, in Turchia, abbiamo scoperto una fabbrica di testine contraffate per Olivetti. Allora ci siamo finti clienti e, una volta riscontrato che la truffa era vera, li abbiamo fregati noi e abbiamo fatto intervenire la finanza. Si chiamano operazioni "Sting", pungiglione. Ma altre volte dovevo valutare gli effetti in Venezuela della presa del potere di Chavez, oppure di dare conto delle manifestazioni in Egitto che si svolgevano davanti alla Pirelli. A volte, i controlli potevano riguardare più semplicemente operatori infedeli che, manipolando le tariffe sui telefoni, baravano per far ottenere bollette più leggere agli amici che, poi, li ricompensavano".

Queste erano operazioni di difesa degli interessi della società, ma ci sono state anche operazioni di "attacco" agli interessi di concorrenti o contro gli avversari economici, finanziari, politici?
"Certo, le sting operation di cui parlavo prima".

Lei vi ha partecipato?
"A qualcuna, sì".

Contro chi, per esempio?
"Io ho indagato Emilio Gnutti e Carlo De Benedetti".

Dove ha raccolto il materiale?
"Sostanzialmente mi sono affidato a miei contatti nel Sisde che mi hanno permesso di entrare in possesso di fascicoli raccolti dal Servizio sui miei obiettivi".

Come erano formati questi fascicoli, e soprattutto perché venivano raccolti?
"Preferisco non dare dettagli. Quel che posso dire è che i miei contatti al Sisde mi consegnavano informazioni e notizie non protocollate che io penso fossero a disposizione o dell'archivio centrale del Servizio o degli archivi periferici.

Chi le ordinava questo lavoro di dossieraggio?
"Giuliano Tavaroli per conto della Pirelli".

Lei ha mai chiesto a Tavaroli perché Pirelli aveva bisogno di queste informazioni e quale fosse poi il loro utilizzo?
"Sentite, non usa tra di noi fare queste domande. La sola domanda legittima è sapere quanto costa. Non si discute nemmeno di come verrà fatto il lavoro. Nessuno vuole saperlo. Conta l'esito. All'inizio della mia collaborazione, il lavoro veniva distribuito da Pirelli e Telecom alla Polis d'Istinto di Cipriani. Quando la Polis finisce sotto inchiesta e non offre più le necessarie garanzie, l'attività è stata diciamo "compartimentata" per settori. Non c'era soltanto la mia Global al lavoro, ma altre agenzie di Roma, e del Nord Italia..... La Wolf 121 di Santarelli, l'agenzia di Nicolò Rizzo la Althon di Novara, l'agenzia di Londra. Ognuno aveva un campo. Io penso che c'era chi si occupava di politici, chi della gente di spettacolo, chi delle banche, chi dei fornitori e dei dipendenti".

Altre "operations"?
"Ci sono state su Brancher (Forza Italia) e Cesa (Udc), io mi sono occupato dei fratelli Bisignani, dell'ex marito di Afef, Marco Squatriti. E di Tremonti e Bossi. Su questi ultimi, avevo il compito di trovare un contratto dal notaio, ma non venni a capo della questione. E ancora. Nel corso dell'inchiesta che mi fu commissionata su Calisto Tanzi e il crac della Parmalat, mi chiesero di indagare su Diego Della Valle. Mi rivolsi a un ufficiale dell'ufficio informazioni della Guardia di Finanza di Firenze al quale girai alcune informazioni bancarie che lui verificò. Il dossier su Della Valle mi venne pagato 10 mila euro".

Lei c'entra con le indagini illegali ai danni del vicedirettore della Corriere della Sera, Massimo Mucchetti?
"Si".

Com'è andata?
"Le cose andarono così: Fabio Ghioni (il responsabile della Information security, la sicurezza elettronica di Telecom, ndr) mi portò fuori dall'ufficio di via Victor Hugo, in un baretto. Sospettavamo che le nostre stanze potessero essere "microfonate" e mi chiese di muovermi su Massimo Mucchetti e Rosalba Casiraghi, del collegio sindacale. Il giornalista scriveva degli articoli dove si anticipavano le strategie del gruppo e non si riusciva a capire da chi ricevesse informazioni così sensibili. Ghioni mi chiese di individuare le fonti e l'indirizzo e-mail, mi assicurò che non c'erano problemi per il compenso. Credo di aver utilizzato per lo meno 20 uomini. Seguivano Mucchetti dalla mattina alla sera. Dovevo controllare le due entrate del Corsera di via Solferino e via San Marco, la sua casa di Brescia, i suoi viaggi in treno. Ricordo che affollai il suo vagone con extracomunitari che dovevano osservare se magari sul treno Mucchetti scambiasse documenti con qualcuno. Poi ingaggiai una ragazza che magari lo poteva incuriosire fino al punto da cominciare una corrispondenza via e-mail. A quel punto ci avrebbe pensato Ghioni all'intercettazione telematica. Ci siamo informati anche degli spostamenti aerei. Quando Mucchetti doveva volare, andavamo al check in e facevamo sedere Mucchetti a fianco della ragazza in modo che lei gli rubasse qualche informazione. Alla fine, credo di aver mosso intorno a Mucchetti una cinquantina di persone. Ma, lo ripeto, non avevo problemi di budget, come avvenne anche in un'altra occasione, quando attraverso le telecamere interne scoprimmo che una donna delle pulizie, di origini cubane, fotocopiava i documenti nell'ufficio di Giuliano. La seguimmo a lungo scoprendo che era pedinata anche da altre persone, probabilmente uomini delle forze dell'ordine in borghese. Utilizzavano auto italiane con targhe che risultarono sconosciute. La donna portava i documenti nella sede milanese del Coni a un uomo. Ma non abbiamo mai scoperto la sua identità. Era un vero professionista. Riusciva a depistarci. Mai in auto o in moto, usava soltanto trasporto pubblico e, in metropolitana, cambiava ripetutamente vettura, linea e direzione".

Ha spiato altri giornalisti?
"Una collaboratrice di Panorama".

Che cosa era accaduto?
"La ragazza si era presentata da Gad Lerner con il cd che, in codice, chiamavamo "Tokio". Era l'operazione che avevano fatto in Brasile su Dantas e la Chico. Di quel cd c'era una sola copia nella cassaforte di Tavaroli. Come diavolo aveva fatto la collaboratrice di Panorama ad averne un'altra? Questo era il nostro problema. Dunque, la ragazza va da Lerner e le propone il cd. Lerner va da Marco Tronchetti Provera a dire che in giro c'è quel cd e a quel punto Giuliano Tavaroli volle conoscere i movimenti e i contatti della ragazza".

Ha spiato anche i magistrati Gerardo D'Ambrosio e Gherardo Colombo?
"Mi arrivò la richiesta per fax da Pirelli di interessarmi a un Colombo e a un D'Ambrosio. Francamente non penso che si trattasse dei due magistrati. Perché una richiesta così delicata non mi sarebbe arrivata per fax. Ma comunque, della cosa non mi occupai io, ma Tega, uno dei miei, e non so dire l'esito di quel lavoro. E quanto dico a voi l'ho detto in questi giorni ai magistrati".

Che tipo di rapporto aveva la sua agenzia investigativa fondata con l'ex agente Cia, Gianpaolo Spinelli, con organi istituzionali, intelligence, forze di polizia?
"Vi posso raccontare solo un episodio. Un giorno di gennaio del 2005 Spinelli ritorna in ufficio furibondo. Mi spiega che una sua fonte istituzionale gli ha svelato che l'ufficio e tutte le auto usate in servizio erano piene di roba. Avevano messo cimici e telecamere dappertutto. Siamo andati a verificare sul computer dell'entrata degli uffici, dove risultava che effettivamente alcuni giorni prima, alle 3 di notte, c'era stato un ingresso anomalo".

Che rapporti la "struttura Telecom", e le agenzie investigative legate a quella struttura, avevano con il Sismi?
"Prima che me lo chiediate, vi dico che io Marco Mancini (ex-capo del controspionaggio) l'ho visto una sola volta e non mi è stato nemmeno presentato. Per quello che ho capito io, non c'era un rapporto diretto tra Giuliano Tavaroli e il Sismi, ma credo che questo rapporto passasse attraverso i contatti del dottor Marco Tronchetti Provera con Palazzo Chigi, dove io spesso l'ho accompagnato in qualità di responsabile della sua scorta. Guardate per esempio, il caso Pironi. Luciano Pironi è quel carabiniere dei Ros che partecipa al sequestro di Abu Omar. E' una collaborazione con la Cia che dovrebbe permettergli di entrare nel Sismi. Ma, per entrare nel Sismi, Pironi non si rivolge al suo amico di lunga data Marco Mancini, ma a Tavaroli".

E per i rapporti con il Sisde?
"Anche in questo caso, le cose sono chiare con un episodio. So per certo che Giuliano venne contattato dal Servizio che gli offrì del denaro in cambio di intercettazioni telefoniche. Giuliano rifiutò. A differenza di un altro responsabile di una società concorrente al quale, secondo quanto ci risultava, venivano passati 10 mila euro al mese per la sua collaborazione".

Un agente vicino al direttore del Sismi dice che anche Tavaroli fosse pagato dalla Cia...
"Era una voce che girava nel Sismi, ma non so se fosse vera".

Che rapporto ha avuto con Adamo Bove?
"Io penso che Bove sia diventato, in questa storia, una sorta di capro espiatorio che non si può difendere. Ora, sia Ghioni sia Caterina Plateo dicono che fosse Bove a commissionare le intercettazioni abusive. Però, vedete, io so soltanto che Bove non sopportava la Plateo e anche la Plateo non amava Bove. Non riesco a immaginarlo chiedere un'attività non del tutto lecita a una persona che gli era ostile. Anzi, sono portato ad escluderlo".

Che cosa pensa del suicidio di Bove?
"La mia opinione è che sia stato ammazzato, o indotto al suicidio. I testimoni della sua morte hanno riferito della presenza di un furgone bianco in zona. Se così fosse, la tecnica è tipica dei professionisti. Di un'auto che insegue la sua "preda". L'affianca. La costringe a fermarsi. Poi si apre il portellone del furgone. Non ci vuole molto tempo. Pochi secondi... So, comunque, che un uomo, come Bove, che soffre di vertigini non si getta da un ponte quando, armato com'è, può spararsi in testa. Era stato indicato da Giuliano come il suo successore, ma c'erano anche altri pretendenti. Lui, nella Security di Telecom, certi strumenti non li avrebbe utilizzati".

Quale è oggi la sua opinione su Giuliano Tavaroli?
"Quando sono stato in difficoltà, Giuliano mi ha dato del lavoro. Mi ha permesso di sostenermi. Anche quando è caduto in disgrazia ed è stato trasferito in Romania, mi ha portato con sé. In quel periodo, Giuliano era molto amareggiato. Mi diceva "dopo tutto quello che ho fatto, l'azienda mi ha lasciato solo... E fanno finta di non conoscermi"".

(4 febbraio 2007)


 

Dal Corriere della Sera  4-2-2007 Polemiche sull'appello dei diplomatici. Ambasciatori sull'Afghanistan, gelo di Parisi La Cdl insiste: Prodi si dimetta. Di Paola Di Caro

 

Il titolare della Difesa: «Lettera irrituale». Prc, Verdi e comunisti si schierano con il ministro: «Ha ragione, è una interferenza»

 

ROMA — Non dovevano farlo. Non dovevano entrare in quello che è un dibattito interno su una questione delicatissima. Non dovevano insomma - gli ambasciatori di Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, Canada, Olanda e Romania - rivolgersi agli italiani, con una lettera, per chiedere di restare in Afghanistan. Lo pensano nei partiti che da Kabul se ne vogliono andare - Rifondazione, Pdci, Verdi - ma lo pensa anche il ministro della Difesa, Arturo Parisi. Ed al momento, in vista del vertice di maggioranza annunciato da Prodi per la prossima settimana, è uno dei pochi punti su cui nella coalizione si registra un deciso accordo tra sinistra estrema e centristi. Perché i sospetti reciproci sono ancora forti, le idee su cosa fare sia in Afghanistan che sulla base Usa di Vicenza continuano a divergere. E l'opposizione incalza: «Prodi si dovrebbe dimettere», dice l'azzurro Fabrizio Cicchitto, richiesta «giusta» secondo Pier Ferdinando Casini ma anche «destinata a rimanere tale, perché Prodi non lo farà», e comunque l'esecutivo non può essere considerato al capolinea, ritiene Gianfranco Fini: «Questo governo è politicamente debolissimo, e proprio per questo non è detto che cada domani...».

AMBASCIATORI «RESPINTI» — Sono dure le parole di Parisi, che premette di parlare da «uomo politico» prima ancora che da ministro: «Pur totalmente condivisibile negli argomenti, una "lettera aperta agli italiani" da parte di ambasciatori mi sembra una iniziativa inusuale e, se si guarda al rispetto della nostra sovranità, come minimo irrituale». Infatti, prosegue il ministro della Difesa «gli ambasciatori sono rappresentanti di Stati accreditati presso il nostro Stato che hanno il compito di rappresentare i loro Stati su mandato delle loro autorità». Il rapporto con gli italiani «è invece compito delle autorità, delle forze politiche italiane». E comunque, conclude Parisi, per quanto gli argomenti della lettera siano «condivisibili» lo sono «a partire da un giudizio che resta autonomo, e non trae perciò vantaggio da sollecitazioni esterne» e «la fedeltà alle alleanze non è e non può essere dissociata dalla autonomia delle scelte». Insomma, niente ingerenze. Naturalmente, d'accordissimo con Parisi si dicono gli esponenti della sinistra radicale: parla di una «inedita, inaudita e indebita interferenza esercitata tramite pressione sull'opinione pubblica» il capogruppo del Pdci Pino Sgobio, mentre il collega capogruppo del Prc Gennaro Migliore si dichiara «d'accordo con Parisi con questa contestazione di metodo», e il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio è altrettanto critico: «Se quella lettera è un tentativo di influenzare il dibattito italiano allora è sbagliato: noi non scappiamo ma puntiamo a costruire una strategia di pace».

CDL ALL'ATTACCO — Tutt'altro, come è ovvio, l'atteggiamento dell'opposizione: «Figuriamoci cosa sarebbe successo se una lettera come quella fosse stata recapitata a noi quando governavamo: sarebbero saltati tutti addosso a Berlusconi a gridargli "vergogna!"...», scuote la testa amaro il portavoce dell'ex premier, Paolo Bonaiuti. «Il fatto è che - spiega il capogruppo al Senato di An Altero Matteoli - quella lettera è davvero imbarazzante», perché come aggiunge il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa «è il segno che le liti politiche sull'Afghanistan stanno suscitando scalpore a livello internazionale», e dunque, riprende Matteoli «è sempre più urgente un chiarimento politico di Prodi davanti alle Camere». Già, ma per ottenere cosa? Silvio Berlusconi, mentre chiede le dimissioni di Prodi, ai suoi continua a ripetere che «un governo così debole non è detto che cada, perché il fatto che non siano d'accordo nemmeno su un'alternativa al premier o su una formula di passaggio, li tiene uniti: se si andasse alle elezioni oggi, sarebbero spazzati via». E però «così, lontano non vanno: si stanno logorando sempre più ».

VERSO IL VERTICE — Eieri è stata una giornata ancora tesa nella maggioranza, nonostante l'invito lanciato da Romano Prodi alla «responsabilità» perché la «via della pace» sarà trovata. Restano infatti i sospetti incrociati tra Margherita e sinistra, come dimostrano le parole del ministro Paolo Ferrero: «Rutelli ha operato un completo rovesciamento dei fatti, lo strappo in Senato non è stato da parte della sinistra. Forse dovrebbe guardare a casa sua», rintuzzate dal ministro centrista Beppe Fioroni: «Invece di perseguire ipotesi fantapolitiche o logiche da "dagli all'untore", è bene che tutti noi si abbia forte la consapevolezza che la responsabilità e la coesione si costruiscono nella reciprocità e non fidando sullo sforzo e l'impegno unilaterale dei più». Si capisce così come il dipietrista Nello Formisano abbia una sola cosa da consigliare a tutti in attesa del chiarimento politico: «Sarebbe opportuna una moratoria delle dichiarazioni».

04 febbraio 2007

 

 

 


Da crimelist.it 3-2-2007  “Internet, l’altra guerra di Al Qaeda”di Giovanni Ricci

Parte 1^

I.1 – Internet e Terrorismo; I.2 – Definizione di cyberterrorismo; I.3 –  La rete terroristica internazionale.

I.1. Internet e Terrorismo

Le vulnerabilità nel mondo dell’ICT (Information Communication and Technology) sono ormai ampiamente documentate dalla letteratura specialistica[1]. Le organizzazioni che fino ad oggi hanno potuto godere di una apparente sicurezza, basata su una conoscenza delle loro vulnerabilità piuttosto limitata e su un ridotto numero di accessi esterni della loro struttura informatica, devono fare adesso i conti, oltre che con “insider infedeli e “hacker” che si intrufolano sfruttando insospettabili “backdoor[2] e “trapdoor[3] (utilizzate solitamente dagli stessi programmatori per muoversi nei software da loro realizzati senza dover seguire i passaggi previsti ed essere soggetti a controlli[4], anche con gruppi terroristici che hanno individuato nell’ICT un possibile target e uno strumento operativo. La connettività costituisce in effetti il maggior punto debole in termini di sicurezza informatica. Come sottolinea in merito Corrado Giustozzi, giornalista scientifico ed esperto di sicurezza informatica: “…fino a quando i computer sono stati utilizzati solo in modo “stand-alone” all'interno delle organizzazioni, i problemi di sicurezza sono stati tutto sommato pochi e di tipo ben determinato, legato essenzialmente ad episodi di provenienza interna e di matrice ben nota (ad esempio infedeltà dei dipendenti e così via). Ma la vera rivoluzione nel modo di utilizzare i computer, che ha poi dato origine a tutti i problemi di sicurezza che oggigiorno ci troviamo a dover fronteggiare, è stata l'introduzione di Internet e delle reti globali di comunicazione digitale…”[5]

La capillare diffusione di Internet e dei sistemi telematici tra i privati cittadini, nelle aziende e nella pubblica amministrazione, ha infatti da tempo messo in evidenza le problematiche legate all’integrità, alla riservatezza dei dati e alla certezza della fonte informativa. Le nuove tecnologie, di fatto, evidenziano problemi non comuni di difesa degli interessi dei privati e dello Stato. La società moderna ha raggiunto, attraverso l’Information Tecnology, dei livelli di organizzazione elevatissimi, specie nell'ambito del terziario avanzato e della finanza[6], ma è diventata vulnerabile a un nuovo genere di terrorismo, consumato non più con le armi da fuoco ma con le tastiere dei computer. In questo scenario si comincia a delineare l'inizio di una nuova forma di antagonismo violento in grado di minacciare le Nazioni più avanzate tecnologicamente. Una modalità terroristica che non mira più, principalmente, all'eliminazione fisica degli avversari politici solo attraverso operazioni militari (bombe, esecuzioni, stragi eccetera) ma che punta anche sulla guerra dell'informazione e individua nei sistemi informatici “critici” della società tecnologica i possibili obbiettivi di attacco. Per numerosi esperti internazionali si tratta di una nuova generazione di terroristi, per certi versi molto più pericolosa di quelle del passato, in grado di sfruttare le nuove opportunità di comunicazione e organizzative offerte dalla telematica, da utilizzare poi con finalità eversive. L'accesso alla telematica da parte delle compagini terroristiche sembra indurre in esse anche delle modifiche strutturali ed organizzative soprattutto per quanto riguarda le modalità di compartimentazione, comunicazione e proselitismo. La correlazione tra terrorismo e telematica si può manifestare in pratica attraverso quattro dinamiche fondamentali[7]:

1.    la distruzione di sistemi informatici critici (es. siti web o archivi elettronici);

2.   attività distruttive che sfruttano un sistema telematico (es. scambi ferroviari,  impianti idrici e termici, torri di controllo aereo eccetera);

3.    attività logistiche del gruppo;

4.    attività di acquisizione di informazioni sensibili attraverso le reti telematiche.

La produzione internazionale di studi attinenti il cyberterrorismo è prevalentemente orientata su ipotesi di possibili attività di tipo offensivo-distruttivo di strutture informatiche e telematiche vitali, individuando, nello stesso momento, compagini cyberterroristiche che utilizzano la telematica come  supporto della loro organizzazione e come strumento di comunicazione riservato. Da quanto sembra delinearsi nel panorama mondiale (e i fatti dall’11 settembre vanno in questa direzione), per molte formazioni terroristiche le attività di supporto offerte dalla telematica assumono quindi un ruolo ben più importante di quello rivestito dalle attività offensive-distruttive “Old Style”.

Nel 1997, il Gabinetto di Guerra degli Stati Uniti organizzò una di quelle esercitazioni definite “senza preavviso” per verificare la capacità del Pentagono di rilevare e contrastare un attacco informatico coordinato, scatenato contro varie installazioni militari e reti critiche di computer. Una simulazione è vero, ma mirata alla verifica dello stato di sicurezza. L’operazione ebbe il nome in codice di “Eligible Receiver[8]. La direzione strategica dell’operazione fu lasciata ai dirigenti della  National Security Agency – N.S.A., loro il compito di reclutare gli hackers che una volta dispersi nel Paese avrebbero portato a termine gli attacchi D.o.S. (Denial of Service). Il risultato fu sbalorditivo, il “Red Team” (così vennero soprannominati gli hackers) usando solo strumenti di pirateria informatica disponibili a chiunque su Internet, avrebbero potuto rendere inefficiente una buona parte del sistema di controllo militare dell’America. Ben presto, fu chiaro come l’esercitazione aveva rivelato vulnerabilità nel sistema informatico americano che avrebbe potuto avere implicazioni catastrofiche per l’intera infrastruttura nazionale.

La President’s Commission on Critical Infrastructure Protection era stata costituita solo un anno prima dell’esercitazione Eligible Receiver. Suo scopo era lo studio delle implicazioni legate alla sicurezza nazionale indotte dall’incredibile velocità di sviluppo della tecnologia dell’informazione e, in particolare, della grande velocità alla quale tutte le infrastrutture critiche statunitensi stavano migrando verso internet. Nel mese di ottobre 1997 la Commissione fornì al Presidente un rapporto che descriveva in dettaglio, l’impatto potenzialmente devastante che la mancanza di attenzione alla sicurezza informatica avrebbe potuto avere sulla sicurezza globale della nazione e sulla sua stabilità economica, come poi sarebbe accaduto l’11 settembre 2001.

 

I.2. Definizione di cyberterrorismo

Se gli USA sono il paese più avanzato dal punto di vista dell'utilizzazione di tecnologie informatiche e se è vero che sono in grado di sfruttare appieno un potenziale notevole di “cyberarmamenti” è anche vero che al momento dell’11 settembre erano il paese maggiormente vulnerabile ad attacchi informatici. Da tempo gli Stati Uniti erano coscienti di questo e molti studiosi si sono occupati di tale problematica. Già nel 1977 Robert Kupperman[9], esperto statunitense di terrorismo, ammoniva sulla crescente vulnerabilità derivante da attacchi portati a sistemi di gestione informatizzata delle informazioni in agenzie governative e realtà aziendali e tali previsioni sono state ribadite da numerosi altri studiosi statunitensi. Le più verosimili definizioni delle strutture e della azioni di cyberterrorismo vengono quindi dal panorama scientifico U.S.A. Il termine cyberterrorismo viene coniato nel 1980 da Barry Collin, ricercatore dell’Institute for Security and Intelligence della California e definito come la convergenza dei termini cyberspazio e terrorismo[10]. Nel 1997 Mark Pollitt, agente speciale dell'F.B.I., elabora una definizione di cyberterrorismo che tende ad associare il termine ad attacchi premeditati e con scopi “politici” portati alle informazioni o a sistemi informatici di gestione dell'informazione che possano determinare conseguenze “violente” contro obiettivi che non siano in stato di guerra[11]. Denning[12] estende la definizione di Pollitt includendo nella categoria degli atti cyberterroristici anche attacchi politicamente motivati che possano causare gravi perdite economiche, di elettricità o acqua. Per altri autori, infine, il cyberterrorismo è un sottoinsieme della più ampia categoria detta Infowar (Information Warfare[13]). L'Infowar è caratterizzata dallo studio di metodologie di attacco/difesa di strutture di gestione delle informazioni e/o delle informazioni stesse. Occorre  sottolineare che il problema del corretto inquadramento (anche in termini di definizione) di attività terroristiche nell’ambito della Infowar (nonché la definizione stessa di Infowar) non sembra essere stato completamente chiarito e in alcuni casi devono rilevarsi delle  classificazioni  discutibili sia per contenuti sia relativamente all'utilità operativa (cioè “sul campo”)[14]. La classificazione del terrorismo informatico è resa  talvolta difficoltosa anche dalla generale poca attenzione prestata a specifiche tipologie terroristiche e/o eversive (tradizionali) e si consideri, ad esempio, che una maggiore definizione di terrorismo è comparsa in maniera specifica, in Italia, solo ultimamente[15]. Il terrorismo informatico (o cyberterrorismo, termine che utilizzeremo in questa sede come equivalente) potrebbe essere definito come “l'utilizzo di tecnologie informatiche (computer; network informatici, software, ecc.) al fine di procurare un vantaggio in una azione o strategia terroristica”. La definizione proposta, quindi, prevede sia un utilizzo non previsto dai progettisti di un determinato strumento (ad es. sfruttare una vulnerabilità di un programma per computer) sia un uso che, seppur perfettamente in linea con le finalità progettuali[16], è sfruttato come supporto alla strategia terroristica. In questo contesto, come si evidenzierà in seguito, le possibilità offensive distruttive su obiettivi logico-fisici di una operazione cyberterroristica, come quelle condotte dal terrorismo islamico, sono l'aspetto più difficile da prevedere per tutte le agenzie governative di sicurezza. 

I.3. La rete terroristica internazionale

È cosa nota che ci siano state, ed esistano tuttora, delle forti problematiche nella definizione esatta di che cosa sia il terrorismo, causate proprio dalla complessità del concetto[17] e dalle prospettive ideologiche.[18]

Si può ragionevolmente dire che il terrorismo è essenzialmente una modalità violenta e spettacolare di lotta e/o rivendicazione politica non solo a scapito dell’avversario formale ma, soprattutto, a scapito della popolazione civile al fine di poter ricattare le autorità politiche. Il terrorismo si manifesta in tante forme diverse, ma con la comune finalità di utilizzare la violenza in modo così imprevedibile e spettacolare, senza limiti morali e umani, da riuscire a creare uno stato di terrore che porta allo shock, alla completa paralisi. Oltre alle sporadiche azioni talvolta definibili come atti terroristici da parte delle organizzazioni localmente circoscritte, etichettate come “terrorismo convenzionale interno” (ad es. Brigate Rosse in Italia, Rote Armee Fraktion in Germania noto anche come Gruppo Baader-Meinhof, Red Army in Giappone, Action Directe in Francia, ETA in Spagna, alcuni gruppi anarco-insurrezionalisti e/o neo-nazisti in vari paesi europei, gruppi fondamentalisti islamici operativi solo nell’area di loro interesse, o alcuni gruppi separatisti etnici e territoriali), esiste il terrorismo di scala planetaria etichettato come “internazionale” ed è ritenuto il più insidioso e pericoloso per la convivenza civile o addirittura per la sopravvivenza stessa delle istituzioni democratiche, il cd. terrorismo islamico globale.

È proprio la natura globale endemica di questo terrorismo islamico che sta condizionando l’assetto della politica internazionale di quasi tutti i paesi dell’Occidente, del Medio Oriente e dell’Asia orientale durante gli ultimi anni. La portata globale del terrorismo islamico internazionale è determinata da:

la disponibilità di mezzi finanziari dei gruppi islamici basati nei paesi ricchi di petro-dollari (area del Golfo Persico e del Medio Oriente); il numero di fedeli musulmani (più di un sesto dell’umanità), e la loro presenza in tutti i continenti, tra cui l’estremismo ed il fondamentalismo trova l’humus culturale;

la religione islamica (Islam) come unico super fattore-collante (the paramount factor) sopra le divisioni etniche, territoriali o settarie nei numerosi stati post-coloniali del Medio Oriente (i cui confini sono stati arbitrariamente tracciati dalle potenze coloniali egemoni nel XX secolo).

Questo terrorismo sembra trovarsi perfettamente a suo agio nell’attuale scenario geopolitico e nell’attuale sistema della rete di tecnologia informatica e mediatica, riuscendo negli ultimi anni a concretizzarsi in una vera e propria multinazionale del terrore, come è successo con il movimento di Al-Qaeda[19]. Questa formazione terroristica non sembra un’organizzazione strutturata, ma piuttosto un nodo di una vasta rete capillarmente ramificata dove, anche senza contatti diretti, le varie cellule sono in grado di comunicare tra di loro e di supportare le azioni terroristiche da una parte all’altra del mondo.

Con la natura non specificamente territoriale delle rivendicazioni (conflitto di civiltà piuttosto che di confini o risorse) e con la base di classe medio-alta (istruita, agiata, con esperienze di studi e/o lavori in Occidente) delle reclute, Al-Qaeda è in perfetta sintonia con le linee evolutive della società moderna. Da qui una sua naturale propensione a predisporre la propria ideologia e le proprie modalità operative in un network globale, a dislocare in differenti zone del pianeta i propri campi di reclutamento e addestramento, ad avere perfetta familiarità con le nuove tecnologie (comunicazioni satellitari, Internet, crittografia, armi ed esplosivi) e a gestire le proprie risorse finanziarie attraverso società regolarmente operative negli snodi finanziari più importanti del mondo.

Il network del terrore evade qualsiasi inquadratura, è invasivo ed ottiene i migliori risultati da quello che dovrebbe essere il processo di comunicazione e democratizzazione globale (grazie alle tecnologie di informazione, ai mass media) e, nel contempo, esso tende a minare inesorabilmente dal suo interno il processo di democratizzazione e comunicazione tra i popoli. È proprio all’interno dei paesi democratici che il terrore è amplificato nel suo effetto, sfruttando la libertà d’informazione e i molteplici mezzi mediatici a disposizione. In questo panorama complesso e vulnerabile, il terrorismo fondamentalista islamico sta dimostrando, giorno dopo giorno, tutta la sua forza. L’utilizzo dei mezzi avanzati di comunicazione, i conflitti a “bassa intensità” e la sindrome dell’attesa di attentati, stanno di fatto svelando a tutti noi quale sia il potere del terrore.

Parte II^

SOMMARIO: II.1 - La rete terroristica internazionale di Al-Qaeda; II.2 - La rete ICT e loro utilizzo da parte della rete terroristica; II.3 - La “eletronic-jihad”: strategia mediatica di Al-Qaeda.

 

II.1. La rete terroristica internazionale di Al-Qaeda

Pare che l’obiettivo primario di Al-Qaeda fosse quello di elevarsi a punto di riferimento centrale per l’ideologia e per le modalità operative di molti gruppi islamici, nonché da ombrello organizzativo per numerose cellule e gruppi terroristici presenti in più di sessanta paesi del mondo. La presenza di gruppi islamici combattenti in vari paesi, anche fuori dall’area medio-orientale, come in Kashmir (India), Cecenia (Russia), Xinjiang (Cina), Mindanao (Filippine), in paesi di popolazione islamica del sud-est asiatico (Indonesia, Malayasia), nella parte settentrionale dell’Africa sub-sahariana, in Kosovo, Bosnia-Erzegovina ecc. e la presenza di cellule clandestine in Europa e Nord America ha fornito a questo movimento la possibilità di gestire e comandare un vero e proprio network terroristico globale dotato di capacità letali e risorse dislocate su scala planetaria. Al vertice di Al-Qaeda vi è lo “Sheikh” (“maestro nobile”) Osama Bin Laden (detto anche “l’Emiro”, il “Principe”), l’indiscusso capo ispiratore nonché fornitore di risorse finanziarie, mezzi e istruzioni operative. Un consiglio direttivo denominato “Shura Majlis presieduto da Bin Laden e composto da quattro comitati (militare, religioso-giuridico, finanziario e di media/comunicazione) svolge le funzioni direttive e politiche dell’intera rete. È noto che dal comitato militare vengono supportati i quadri per portare a compimento operativo gli attacchi terroristici. Al-Qaeda è riuscita a raggiungere un’eccellente efficacia esecutiva grazie all’elevata diversità della natura dei gruppi che la costituiscono e l’assoluta cura per la segretezza delle proprie comunicazioni interne. L’utilizzo dell’alta tecnologia per le comunicazioni, permettono ai quadri direttivi di monitorare e gestire i diversi gruppi affiliati.

Al-Qaeda, a differenza di altre formazioni terroristiche, non è un piccolo gruppo fortemente saldato e con una chiara struttura di comando, piuttosto essa è una sorta di confederazione (coalizione) snodata, una rete a “maglia larga” di molteplici gruppi terroristici connessi a loro volta in una catena di reti autonome e dedite a un comune obiettivo. Pare che le singole cellule si occupino autonomamente delle loro operazioni in loco (identificazione di bersagli, reperimento dei mezzi, pianificazione ecc.). Sembra che esse svolgono attività culturali e caritatevoli (che servono per raccolta fondi e reclutamento), ma anche speculative (giochi in borse valori di mezzo mondo, prima e dopo determinati attentati) e criminali (traffico di armi e droga), limitando all’indispensabile e “crittando” bene qualsiasi comunicazione con le altre cellule appartenenti alla rete.

Le azioni terroristiche simili, o addirittura simultanee, in diverse parti sono il risultato di una intesa tra più gruppi che sono ispirati, supportati e guidati da i leaders di Al-Qaeda senza essere necessariamente i membri della stessa organizzazione. Le cellule dislocate in varie parti del mondo rimangono inattive (sleeper cells), anche per lunghi periodi, in cui operano solo dal punto di vista propagandistico, finanziario e di reclutamento. Improvvisamente le cellule possono essere “chiamate” ad agire (seguendo le necessità dell’impatto politico di un determinato tempo e contesto). La struttura organizzativa estremamente flessibile permette loro di essere pronte all’azione in tempi brevissimi. Al contrario delle organizzazioni terroristiche convenzionali i gruppi operativi di Al-Qaeda, essendo privi di una catena di comando diretta, sviluppano un’eccellente resistenza ad eventuali perdite, anche critiche, senza compromettere le restanti risorse e le funzionalità dell’intera rete.

 II.2. La rete ICT e loro utilizzo da parte della rete terroristica

Sicuramente non possiamo trovare delle correlazioni, in maniera scientifica, tra l’aumento delle capacità di comunicazione offerte dalle tecnologie e l’aumento o la diminuzione degli atti terroristici. È comunque certo che le opportunità offerte dal mondo dell’ICT sembrano ben colte da alcuni gruppi terroristici per raccogliere fondi, per coordinare le operazioni terroristiche, per attirare nuovi fedeli seguaci e per diffondere i propri messaggi ad un vastissimo pubblico. Si pensi che alcuni siti web di gruppi islamici armati attraggono decine di migliaia di visitatori al mese e che l’esistenza dei loro siti (ad es. Hezbollah[20] del Libano, Hamas[21] della Palestina, ambedue sospettati di avere legami con Al-Qaeda) è nota fin dal lontano 1996. Anche il content managment è studiato nei dettagli: il sito di Hamas presenta possibilità di scaricare in streaming video sia cartoni animati di satira politica sia video, fotogrammi e registrazioni audio di morti violente causate dalle operazioni militari di Israele. Sul sito del GIA (Gruppo Islamico Armato con la base in Algeria e probabilmente con delle cellule sparse per l’Europa, un’altra organizzazione sospettata di avere legami con Al-Qaeda) è stato addirittura messo a disposizione un manuale per la costruzione artigianale di bombe e istruzioni per compiere attentati.

Tutti i siti dei gruppi terroristici di riferimento sono consultabili in più lingue, tra le quali vi sono sempre Inglese e Arabo. La tecnologia offre possibilità di de-localizzazione eccezionali tanto da generare delle situazioni imbarazzanti e paradossali, come quella generata dalla scoperta che il sito di Hamas è stato ospitato fino al 2000 su un server statunitense, in Connecticut, da un Internet Service Provider regolarmente operante negli Stati Uniti. Altra situazione scomoda fu lo scandalo che nel 1997 scoppiò a causa della scoperta che il sito delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – F.A.R.C. (organizzazione di ispirazione marxista-leninista con le basi nelle aree interne rurali della Colombia) era ospitato dall’Università di Stato di New York.

Le operazioni di controllo a tappeto che dopo l’11 settembre 2001 (attentati alle Tori Gemelle di New York) hanno investito Internet non sembrano essere state sufficienti ad arginare la propaganda e la comunicazione dei terroristi attraverso la rete ICT. A questo proposito un’indagine congiunta di FBI[22] e CIA[23] ha determinato che i terroristi di Al-Qaeda utilizzano la steganografia per nascondere mappe, fotografie di obiettivi terroristici e istruzioni all’interno di immagini caricate su insospettabili siti Web (tra cui il famosissimo e-Bay)[24], in chat-line sportive, piuttosto che nei newsgroup di interesse comune. La prassi consiste nell’utilizzare dei dead drops digitali[25], inserendo files (di immagini, video o audio) con nascoste informazioni riservate e segrete, evitando così ogni contatto diretto. I vantaggi sono indiscutibili, le persone non vengono mai viste assieme, non devono determinare un appuntamento, possono comunicare agevolmente da una parte all’altra del mondo istantaneamente senza che il mittente conosca l’identità del destinatario. Si instaura così una perfetta comunicazione asincrona, anonima e sicura.

Quando vi è la necessità di comunicazione diretta la scelta cade sicuramente su strumenti di crittografia digitale, applicabili sia a flussi di dati sia a file d’archivio. Il caso più scottante risulta essere la scelta del VoIP[26]. VoIP descrive un protocollo di comunicazione capace di digitalizzare un flusso di voce in pacchetti di dati che vengono poi trasmessi ad una serie di networks e successivamente ri-accorpati a destinazione nuovamente in un flusso vocale. Le comunicazioni vocali non passano più come flusso continuo e in “chiaro” sulla normale rete telefonica, dunque le difficoltà d’intercettazione aumentano se non addirittura risultano impossibili in determinate circostanze. Una soluzione tecnologica di questo tipo fa gola a chiunque svolga attività illecite e abbia il bisogno di proteggere le proprie informazioni. Questa soluzione tecnologica è probabilmente utilizzata da terroristi, organizzazioni mafiose e trafficanti di droga, sia perché viene impiegata la crittografia dei pacchetti, sia perché le attuali legislazioni non consentono sistemi di intercettazione (come il Carnivore - DCS 1000[27]) di connettersi ai fornitori di servizi VoIP per captare le comunicazioni.

Altra soluzione molto apprezzata da chi deve garantire a tutti i costi la riservatezza delle proprie informazioni è l’adozione di software specifici (PGP[28]) per “crittare” non solo un dato messaggio, ma interi files dell’archivio o tutto l’hard disk. In questo modo se i dispositivi dovessero essere sequestrati, non si avrebbe la possibilità di leggerne il contenuto.

 

II.3. La “eletronic-jihad”: strategia mediatica di Al-Qaeda

Sicuramente l' investimento maggiore dei gruppi islamici è stato l’utilizzo e la comprensione del ruolo strategico del “World Wide Web”. Il successo maggiore di Osama Bin Laden essere riuscito a scatenare una vera e propria guerra tra le televisioni del mondo per aggiudicarsi i suoi proclami. La prova della vittoria della strategia mediatica di Al Qaeda: le centinaia di giovani musulmani che vengono reclutati online e vanno in Iraq per immolarsi come martiri. Omar Bakri, “ambasciatore” ufficioso di Bin Laden in Europa, parla con sicurezza e soddisfazione di quanto accaduto. Basta un rapido giro d' orizzonte nel mondo dell' informazione araba per constatare il livello esplicito o implicito di contiguità con il terrorismo di matrice islamica. Le rivendicazioni delle stragi dei militari italiani a Nassiriya e degli attentati alle sinagoghe di Istanbul sono arrivate tramite dei siti islamici. Le principali tv del mondo arabo, Al Jazira, Al Arabiya e Abu Dhabi - TV, si astengono dal definire “terrorismo” le stragi di Istanbul. I grandi giornali, Asharq al Awsat, Al Hayat e Al Ahram, parlano di “resistenza” irachena anche quando vengono massacrati i funzionari dell' Onu e i civili innocenti. La guerra del terrore di Bin Laden mira principalmente a condizionare la psiche umana. Per conquistare l' animo degli aspiranti combattenti islamici e per terrorizzare la mente dei nemici. Bin Laden ha capito che la guerra contro “gli infedeli, gli ebrei e i crociati” la si può vincere prima ancora di far esplodere le bombe. Una delle ultime novità è l’annuncio dell' inaugurazione dell' “Università on line di Al Qaeda per le Scienze della Jihad”. Offre specializzazioni in “Jihad elettronica, Jihad psicologica, tecnologia degli esplosivi, tecnologia delle autobombe[29]. Spiega loro come diventare “invisibili”, come fare ricognizioni degli obiettivi senza farsi notare, come non essere registrati dalle telecamere nei luoghi pubblici. Insegnano come essere anonimi, utilizzare codici criptati, evitare messaggi e-mail facilmente tracciabili (uno dei sistemi è creare un account anonimo, del quale solo il team ha la password, ma nelle e-mail compaiono solo algoritmi, ovvero i codici numerici per accedere ai siti nascosti e non indicizzati)[30]. Per accedervi è richiesto un unico requisito: “…noi accettiamo i figli della Nazione islamica orgogliosi e leali nei confronti dell' islam. Senza queste caratteristiche non è possibile fare la Jihad…”. Intesa come Guerra Santa da combattere anche davanti al computer o manipolando il flusso di informazioni destinate ai mass-media. “Il terrorismo di Al Qaeda è benedetto e legittimo - ha assicurato il portavoce - perché è nostro diritto terrorizzare i nemici, incutendo nei loro cuori la paura e l' angoscia. Ciò è quanto sta accadendo con l' aiuto e la grazia di Allah[31]. Gli stessi gestori del sito www.almuhajiroun.com, che prende il nome dal gruppo islamico di Londra fondato dallo sceicco Bakri, passano le giornate davanti al computer “…se confrontiamo l' utilizzo di Internet tra i militanti delle varie religioni, vediamo che oggi gli islamici sono i principali fruitori e navigatori on-line. Siamo stati i primi a rinvenire la rivendicazione della strage dei militari italiani a Nassiriya, fatta a nome di Saif al Adl, alias Abu Omar, il responsabile militare di Al Qaeda. Basta registrarsi e sapere come muoversi nel sito www.paltalk.com. Vi si trovano oltre 600 forum islamici. Non riusciremmo a svolgere la nostra attività di militanza islamica senza Internet. Tramite la rete, ogni giorno diffondiamo quattro conferenze che raggiungono i militanti islamici in tutto il mondo, stando tranquilli a casa nostra”. Internet è la nuova frontiera del terrorismo islamico. Prima privatizzato grazie all' ingente fortuna del miliardario saudita Bin Laden, che ha deciso di investire sull' arma del terrore per conquistare il potere politico ed economico in Arabia Saudita e nel resto del mondo islamico. Poi globalizzato sponsorizzando in una sorta di franchising del terrore una miriade di cellule attive e dormienti ai quattro angoli della terra. Ed ora scatenato nell' assalto frontale e generale al “nemico” per portare a termine la strategia di annientamento inaugurata l' 11 settembre 2001 con le stragi delle Torri gemelle e del Pentagono. Una strategia in cui la guerra dell' informazione assume un ruolo sempre più centrale. “Si pensi solo al fatto che la gran parte dei giovani musulmani che affluiscono alle frontiere con l' Iraq in attesa di potervi entrare sotto le sembianze di contadini, artigiani o turisti, hanno un' età media tra i 20 e i 22 anni. Nessuno di loro è mai stato in Afghanistan ai tempi dei mujaheddin né ha frequentato un campo di addestramento di Al Qaeda – continua lo sceicco Bakri -. Ebbene, sono stati indottrinati e arruolati tra le fila di Al Qaeda tramite Internet. Bin Laden sta vincendo la sua guerra contro l' Occidente grazie a Internet”. È indubbio che ai più appaia inverosimile che i feroci burattinai del terrore e i sanguinari kamikaze possano essere figli della più sofisticata tecnologia informatica. Si tratta purtroppo di un dato di fatto che smentisce il luogo comune secondo cui il fanatismo religioso e la modernità sarebbero incompatibili. Il successo della strategia mediatica di Bin Laden lo si coglie anche nell' analisi critica dei messaggi trasmessi dai mass media arabi. Ad esempio “Al Jazira”, nella corrispondenza da Londra sulla reazione alla nuova strage di Istanbul, ha detto testualmente: “Bush e Blair hanno ribadito l' impegno a fronteggiare ciò che loro definiscono terrorismo”. Si dovrebbe dedurre che per Al Jazira la catena di attentati che ha provocato centinaia di vittime non sarebbe terrorismo. Nel 2003 il network Al Arabiya ha trasmesso in esclusiva l' ultimo discorso di Saddam Hussein, presentandolo come il presidente iracheno. Difficile non ipotizzare che si sia trattato di un costo pagato per aggiudicarsi l' esclusiva. Dice al riguardo Bakri: “Le televisioni arabe sono disposte a pagare qualsiasi prezzo per poter diffondere in esclusiva i discorsi di Bin Laden o di Saddam. Non gliene importa niente dei contenuti. È una competizione esclusivamente commerciale. Ebbene per Bin Laden e per il movimento islamico jihadista è un' enorme opportunità, un grande successo”. Più in generale Internet consente ai militanti islamici di infrangere le barriere che ostacolerebbero il loro movimento fisico qualora dovessero spostarsi da un paese all' altro. “Ormai tutti i segreti di Al Qaeda navigano in Internet. Se ci sapete fare e se avete pazienza, potreste sapere tutto di Al Qaeda monitorando Internet”. Nel nostro mondo globalizzato anche il terrorismo islamico si è emancipato, appropriandosi degli strumenti propri della globalizzazione.

E' un sistema innovativo ed inusuale per la gestione di una rete terroristica, ma adeguato all’atipicità dei parametri organizzativi di Al Qaeda, nella quale la “centrale” comunica le strategie operative (attacchi suicida, auto-bomba, mine, rapimenti), sollecitando la formazione di cellule autonome (che possono trovare nei numerosi manuali jihadisti on line i necessari riferimenti addestrativi) ed orientandone le priorità in relazione alle aree. Si va dall’Iraq, indicato come la “prima linea per difendere l’identità islamica nel mondo”, alla Palestina, ai Paesi arabi governati da regimi “corrotti”, primo fra tutti l'Arabia Saudita ed il suo oro nero “messo in saldi” per gli Americani, al resto del mondo dove ogni attentato - non importa se raro - deve essere sempre spettacolare e “ad effetto sorpresa” (come a New York o come a Madrid)[32].

Di tutto questo meccanismo, il network costituisce la chiave di volta ed insieme il collante. Non per niente, il vocabolo “Al Qaeda” che in arabo significa “la base”, intesa come originario campo di addestramento dei moujiaheddin accorsi in Afghanistan nel decennio ('79/'89) della resistenza anti-sovietica, può essere reintepretata in chiave mediatica come un “database” che salda i militanti dei preesistenti gruppi estremisti su base nazionalista e le nuove leve del jihad globale in un’unica identità circolare, pescando tra le pieghe del comune risentimento contro l’Occidente.

Per dirla con un linguaggio televisivo, i messaggi di Bin Laden ed i suoi videotape (tipici strumenti della cultura mediatica occidentale) sanno sintonizzarsi su differenti fasce di audience, con una scelta strategica dei tempi di diffusione per catturare il massimo dello share ed assicurarsi le prime copertine dei media internazionali.

 



[1] Walter Laquer, grande esperto di terrorismo, così si è espresso nel 1999 in un'intervista per la rivista “The Futurist”: “.. la società sta diventando sempre più dipendente dalle “memorie elettroniche” dall'analisi e trasmissione delle informazioni, dando alla nuova generazione di terroristi un nuovo target,… Qualsiasi fondamentale attività nazionale come la difesa delle banche, il trasporto, la ricerca scientifica e tutto il commercio on-line potrebbe essere sabotata da un attacco cyberterrorista  e tale sabotaggio potrebbe rendere un paese incapace di funzionare…

[2] Termine che letteralmente allude alla porta di servizio sul retro di un edificio. Backdoor: è un sistema di accesso "non ufficiale" alle risorse di un sistema. Spesso è costituito da un piccolo software nascosto nel PC, a volte può trattarsi anche di una configurazione del sistema operativo tale da consentire un accesso amministrativo non controllato. Le backdoor più sofisticate conosciute integrano meccanismi di cancellazione delle tracce dell'utente maligno che le utilizza, occultazione dei processi avviati illegittimamente e altre utility, a volte anche definite collettivamente "rootkit" (da "root" che è il nome dell'account da amministratore del sistema in UNIX).

[3] Letteralmente botola.

[4] Rapetto U., Minaccia Virtuale, pericolo concreto, su www.sisde.it.

[5] Strano M., Cyberterrorismo, su www.criminologia.org, pag. 1.

[6] In particolare, il mondo della finanza presenta ormai le quattro caratteristiche necessarie per essere un modello perfettamente adeguato al nuovo codice tecnologico: immaterialità, immediatezza, permanenza e dimensione planetaria. Lo ha constatato anche Boutros-Ghali, Segretario Generale dello Nazioni unite: "La realtà del potere mondiale sfugge in larga misura agli stati. La globalizzazione fa emergere infatti nuovi poteri che trascendono le strutture statuali”. (Le Figarò, 28 gennaio1995).

[7] Strano M., op. cit., pag. 2.

[8] Verton Dan, Ghiaccio Sporco, pag 31.

[9] Strano M., op. cit., pag.2.

[10] Barry Collin, The future of cyberterrorism, su www.cs.georgetown.edu.

[11] Pollitt M., Cyberterrorism Fact or Fancy?, su www.cs.georgetown.edu.

[12] Denning D., Activism, Hacktivism and Cyberterrorism: the internet as a tool for influencing foreign policy, su www.crime-research.org.

[13] Guerra delle (o "con le") informazioni.

[14] I ricercatori che si sono occupati di terrorismo, come subset della Infowar, provengono spesso dall'ambiente dell'analisi militare e sono fortemente condizionati da categorizzazioni tipiche di conflitti in scenari di guerra convenzionale.

[15] Vds. Legge 155/2005 e decreto attuativo del 16 agosto 2005, su www.interno.it.

[16] Ad es., l'uso di strumenti crittogratici non è un "abuso" di strumenti informatici ma se questo serve all'organizzazione di un attentato dinamitardo è quantomeno opportuno che diventi oggetto di studio.

[17]All criminal acts directed against a State and intended or calculated to create a state of terror in the minds of particular persons or a group of persons or the general public”, League of Nations, 1937.

[18] In molti casi delle organizzazioni armate che si oppongono al potere istituzionale, per dei motivi ritenuti (localmente) nazionalisti od autonomisti o di rivendicazione dei diritti (presumibilmente) negati. E’ difficile stabilire il confine tra il terrorismo e militanza violenta ed irredentista (ad es. Liberation Tigers of Tamil Eilam dello Sri-Lanka, Hezbollah in Libano meridionale, vari gruppi militanti palestinesi, repubblicanisti-cattolici od estremisti protestanti nord-irlandesi…). In genere si potrebbe affermare che alcune azioni di questi gruppi possono essere considerate terroristiche se queste azioni bersagliano i non-combattenti o le infrastrutture civili pubbliche anche se i gruppi o le organizzazioni, per sé, non sono considerate terroriste. A tal proposito in Italia nel 2005 è stata emessa la sentenza con la quale il G.U.P. milanese Clementina Forleo ha assolto tre islamici dall’accusa di terrorismo internazionale.

[19] Al-Qaeda in arabo potrebbe significare una varietà di cose: “le fondamenta”, o “la fondazione”, o “la base”, o “la disciplina di base”, oppure “la base di tutte le azioni mirate e disciplinate”. All’inizio (1997-1998), Al-Qaeda fu fondata come una grande organizzazione-raccordo chiamata “Il fronte islamico per la lotta contro gli ebrei e contro i crociati” (Al-Jabhah al-Islamiyah al-‘Alamiyyah li-Qital al-Yahud wal- Salibiyyin) da Osama Bin Laden. Un uomo d’affari multi-miliardario, originario dell’Arabia Saudita, insieme con il Dr. Ayman Al-Jawahiri, un chirurgo di origini egiziane, e con Mohammed Atef, un ex-ufficiale della polizia egiziana (ambedue leaders della Jihaad Islamica che, a sua volta, veniva considerata responsabile dei massacri di turisti stranieri negli anni novanta in Egitto). Pare che Al-Qaeda abbia iniziato ad essere il nucleo centrale e la fonte di ispirazione, istruzione operativa (uso di armi ed esplosivi, tecnologie informatiche) ed aiuti finanziari dopo essere stato trasformato in raccordo delle organizzazioni islamiche dei veterani di vari paesi islamici, non solo arabi, che combatterono in Afghanistan negli anni ottanta, contro il regime afgano di allora, che era appoggiato dall’URSS. I combattenti islamici di varie provenienze della campagna afgana, che negli anni novanta si affiliarono nella rete di Al-Qaeda in vari paesi, furono armati e lautamente finanziati dai governi USA e Arabia Saudita ed assistiti logisticamente dal governo del Pakistan per più di un decennio. Fino alla caduta del regime talebano (islamico fondamentalista) in Afghanistan nell’inverno 2001-2002, provocato dalle azioni militari USA, Al-Qaeda ebbe vere e proprie basi logistiche e centri di addestramento dentro il territorio afgano con l’effettiva presenza di istruttori esperti del servizio segreto pakistano (Inter-Services Intelligence, il famigerato ISI). Tuttora l’area di confine tra Afghanistan e Pakistan, area impervia popolata dalle tribù Pashtun e Baluch, tra le più fondamentaliste e con uno dei più bassi tassi di sviluppo umano nel mondo (per alfabetismo, sanità, infrastrutture, servizi…), è considerata la zona di riparo/rifugio dei fuggitivi dell’ex-regime talebano afgano e degli elementi di Al-Qaeda.

[20] www.hizbollah.org: sito dell’organizzazione shiita del Libano meridionale, in decennale conflitto con lo stato di Israele; è stato indicato come uno dei gruppi terroristici da parte dei governi USA e Israele, però non vi sono indizi che il movimento degli Hezbollah abbia agito fuori dalla propria area d’interesse (confine meridionale del Libano che è stato occupato militarmente dallo stato di Israele dal 1983 fino a qualche anno fa).

[21] www.hamasonline.com: sito del movimento di resistenza palestinese di ispirazione islamica, in aperta rivalità con l’Organizzazione per la Liberazione di Palestina (di ispirazione laica) di Yasser Arafat prima e di Abu Mazen oggi; Hamas è considerato un gruppo terroristico da parte dei governi USA e Israele per gli attentati contro i civili dentro Israele e nei Territori Occupati (Palestina); anche nel caso di Hamas non vi sono casi di attentati terroristiche al di fuori del loro area di conflitto e d’interesse (Israele, Striscia di Gaza, Territori Occupati di West Bank). Attualmente ha vinto le elezioni per il rinnovo del parlamento palestinese.

[22] Federal Bureau of Investigation (ufficio federale di investigazioni con funzioni anti-crimine), organo sotto comando del Dipartimento (ministero) di Giustizia e del Presidente degli Stati Uniti d’America.

[23] Central Intelligence Agency (agenzia centrale di servizi di informazione ed analisi) organo di servizi segreti sotto diretto comando del Presidente USA.

[24] Attraverso l’utilizzo di programmi dedicati come Camufage che permette il criptamento dei foto sensibili, files, o  messaggi audio all’interno di insospettabili foto.

[25] Un angolo virtuale nella rete dove si può mettere di nascosto del materiale in modo da permettere ad un’altra persona di prelevarlo, evitando contatti diretti tra le parti.

[26] Acronimo di Voice on Internet Protocol.

[27] Carnivore (DCS 1000) è un sistema sniffer (“fiutatore”) utilizzato dai servizi segreti USA per l’intercettazione di dati trasmessi su Internet. Il sistema è composto da alcune decine di potenti computers, dotati di capacità di filtraggio dei contenuti in transito. Se un flusso di contenuti corrisponde a qualche caratteristica del filtro applicato, Carnivore lo intercetta e lo registra in una banca dati da poter analizzare in seguito.

[28] Il sistema PGP o crittografia a chiave pubblica non fa uso di un’unica chiave comune a tutti i partecipanti, bensì di una coppia di chiavi personali specifiche per ciascun individuo. Ognuno genera in privato la propria coppia: una è la chiave privata che andrà tenuta segreta, l’altra è la chiave pubblica vera e propria che andrà diffusa in rete. Le due chiavi sono legate da una relazione algebrica, ma conoscendo la chiave pubblica non è in alcun modo possibile risalire a quella privata in tempi computazionali ragionevoli (diverse decine di anni di calcolo con la migliore tecnologia attuale).

[29] Agenzia ApCom, Video, bollettini jihadisti e manuali di autodifesa elettronica, Roma, ottobre 2005

[30] Negri A., Al Qaeda un marchio globale, su il Sole 24 ore, pag 2.

[31] Allam M., Guerra santa su tv e Internet. Al Qaeda dà lezioni nei forum, su Corriere della Sera.

[32] AA.VV., Maschera e volto di Bin Laden nella strategia mediatica di Al Qaeda, su www.sisde.it.

 

 


 

Da comincialitalia.net  3-2-2007 Un italiano guadagna il 42,1% in meno di un coreano di Alessandro Bellotti

Fonte OCSE 2 aprile 2006.
Crolla il potere di acquisto degli stipendi degli italiani: nella classifica Ocse, il livello delle nostre buste-paga scivola quasi in coda alla classifica. Siamo al 23mo posto tra i 30 paesi industrializzati, dietro non solo a Germania, Francia, Giappone, Usa ma anche Spagna e Grecia. Un italiano guadagna il 42,1% in meno di un coreano, il 23,5% in meno di un tedesco e il 17,6% in meno di un francese.
I soli sette Paesi dove, a parità di potere d’acquisto, i salari risultano inferiori a quelli del nostro Paese sono: Portogallo, Turchia, Repubblica Ceca, Polonia, Messico, Slovacchia, Ungheria. Nella media dei Paesi Ocse lo stipendio è maggiore del 12,4% rispetto a quello di un italiano; la differenza sale se si considera l’Europa a 15. In questo caso le nostre buste-paga sono mediamente piu’ basse del 18,7%.

Da questi dati, (numeri e quindi dati non manipolabili), si evince che un politico italiano deve avere una indennità non superiore a quella di un pari grado greco o spagnolo.
Quindi il sindaco di Modena, non può avere uno stipendio superiore a quello di sindaco di una città greca o spagnola simile a Modena.

Propongo quindi di controllare localmente le indennità di assessori, sindaci, presidenti di provincie e di regioni, per poi passare ai parlamentari. Per fare ciò cominciamo a richiedere via mail prospetti di tali indennità, comprensive di tutti i benefit (auto, accessi gratuiti a cinema, teatri etcc.). Se otteniamo rifiuti sputtaniamo in rete chi non ci concede l'accesso a questi dati. Pretendiamo nome e cognome dell'addetto comunale che non ci invia i dati o dell'assessore che non dichiara la sua indennità. Scriviamo direttamente ad ogni consiglio comunale (di solito ogni assessore ha la sua mail).
Sicuramente troveremo dati sconcertanti, uno schiaffo a chi guadagna mille euro al mese. Dobbiamo quindi ottenere che la classe politica italiana sia remunerata in modo equo.

Oltre a 'normalizzare' le indennità, dobbiamo pretendere che la classe politica italiana faccia bene il proprio lavoro e quindi dobbiamo pretendere servizi allineati almeno a quelli spagnoli.
A me non basta equipararmi alla Spagna, vorrei avere come riferimento almeno la Francia dove ad esempio le politiche per la famiglia sono davvero una priorità.

Da Il Sole 24 Ore di lunedì 15 Gennaio 2007, si legge che una famiglia monoreddito francese con coniuge e 2 figli a carico, con reddito di 25.000 euro lordi annui non paga tasse (52 Euro annui contro 1725 Euro di una famiglia simile italiana). Se si alza il reddito a 50.000 euro lordi annui le tasse pagate dalla famiglia francese sono 2.518 Euro contro 13.217 di quelle pagate da una famiglia italiana. Se confrontiamo i servizi che ci sono in Francia con quelli italiani, nonostante in pratica le famiglie monoreddito (fino a 50.000 Euro) non paghino tasse, viene davvero voglia di emigrare.
In Francia non pagano tasse, in pratica in Francia è come se ci fosse una specie di evasione fiscale legalizzata.

Queste considerazioni mi fanno nascere il dubbio atroce che il vero problema italiano non sia l'evasione fiscale, ma sia il cattivo utilizzo delle entrate fiscali stesse. Abbiamo quindi una classe politica costosissima e incapace. Una classe politica che sperpera denaro pubblico in realizzazione di strade, ferrovie, opere pubbliche in genere a costi nettamente più elevati che in altri paesi, nonostante i lavoratori utilizzati per realizzare queste opere costino decisamente poco, rispetto ai colleghi tedeschi o francesi.
Quindi sacrosanta lotta all'evasione fiscale ma prima di tutto sacrosanta lotta agli sprechi e agli stipendi faraonici degli addetti alla 'cosa' pubblica.

 

 

 


 

Da La Stampa 3-2-2007  Perchè siamo indulgenti sulla cocaGIANCARLO DOTTO

 

L’llarme di Giuliano Amato, gli italiani sono golosi di neve bianca, suscita scalpore, forse stupore, non certo scandalo e meno che mai esecrazione. Spesso indulgenza. In termini più coloriti lo ha detto di recente Carlo Fruttero: «Il Po è pieno di piscio e di cocaina». Ma l’avrebbero potuto dire oggi Alberto Moravia del Tevere, Aldo Palazzeschi dell’Arno o Carlo Emilio Gadda dei Navigli.

Lo dicono le cifre, si trova più cocaina in Italia di cannabis, ecstasy ed eroina messe insieme.

Sono cifre spaventose che non spaventano. L’abisso della cocaina non è lo stesso dell’eroina, che è fangoso, repellente, villano. Mentre quello della cocaina è modaiolo, compiaciuto. Della coca non ci si vergogna, anzi. Non devi strisciare come un ladro fino al banco del farmacista per chiedere il laccio emostatico e la siringa. La cocaina non evoca, chissà perché, il fantasma umiliante della dipendenza. È una droga narcisista, facilita l’iscrizione nel delirante mondo della performance, ti senti un dio e non una merda. Un mix tra Rambo e Pico della Mirandola.

La cocaina è cool anche nel cinema. «Vado a incipriarmi il naso», ammicca una lasciva Uma Thurman a uno sfessato John Travolta, prima di chiudersi in bagno a inalare etti di coca. Nei romanzi di Irvin Welsh, in film come Trainspotting, i tossici sono avanzi umani da gettare nel water. Suscita ribrezzo la biografia filmata dell’eroinomane punk Sid Vicious, mentre sono tutti lì in estasi a citare John Lennon che parla della coca come di una necessaria «droga da lavoro», quando lui e gli scarafaggi suonavano anche dieci ore di seguito.

Nel passaggio da droga a moda, la coca diventa prodotto di massa, accessibile a chiunque. Non è più lo champagne degli stupefacenti da inalare nei vassoi esclusivi delle aristocrazie del naso. Gli artisti maledetti della Babilonia di Hollywood o del rock, le facoltose tribù dei jet set e della finanza arrembante, fino ai festini anoressizzanti dell’alta moda, da Terry Broome a Kate Moss, moderna dark lady, tutta coca, pallori e sguardi felini. Più che mai genialmente votata al make-up della propria icona trasgressiva.

L’eroina invece non si confessa. Si nasconde. L’eroinomane è bugiardo per definizione e vocazione. Un passato da cocainomane è quasi edificante, non si nega a nessuno. Da Fiorello a Califano o Calissano. «Ho buttato la vita nel cesso», meglio se raccontato in diretta da Bruno Vespa. La banalizzazione dell’uso fa sì che la coca sia diventata una psicopatologia della vita quotidiana. La più subdola che c’è perché ti dà l’illusione di controllarla.

Nei dipartimenti di emergenza degli ospedali arrivano sempre più professionisti anonimi in overdose da dipendenza di cocaina, sportivi che nasano per fare i fenomeni al circolo nelle partite di calcio a cinque. Si festeggia a polvere bianca l’addio al celibato. Basta guardarsi intorno, nel condominio o nel ristorante sotto casa. Non ci vuole un semiologo esperto di diagnosi a vista. Si moltiplicano le pupille spalancate, le mucose infiammate, i setti necrotici, tutti i tic della coca, addosso a facce che non diresti mai facce da coca, che non hanno o non dovrebbero avere lo stress da prestazione e nemmeno quello da perdizione. I divi del rock erano almeno delle divinità, lo sono e lo erano Maradona e Charlie Parker, urgenze infernali, l’autodistruzione come metodo. La cocaina oggi è la parodia della trasgressione. Ci si eccita di niente e per niente.

 

 

 


 

Da La Stampa 3-2-2007 NÉ COL PAPA NÉ CON LUTERO . La terza via di Giordano Bruno ANNA FOA

 

Il filosofo arso vivo per eresia nel febbraio 1600 aveva un progetto per la pace religiosa

«Di Roma, li 19 febraro 1600 [...] Giovedì fu abbrugiato vivo in Campo di Fiore quel frate di san Domenico, da Nolla, eretico pertinace, con la lingua in giova per le bruttissime parole che diceva, senza voler ascoltar né confortatori né altri. Sendo stato dodici anni in prigione al S. Officio, dal quale fu un'altra volta liberato».
È una delle scarsissime testimonianze dell'epoca che ci descrivono il rogo di Giordano Bruno. Il filosofo venne arso vivo in piazza Campo de’ Fiori il 17 febbraio dell'anno santo 1600. A Roma è Papa dal 1592 - e lo sarà fino al 1605 - Clemente VIII, il fiorentino Aldobrandini, un pontefice che unisce a una rigorosa pietà controriformistica, testimoniata anche dall'intensa attività repressiva, un senso della misura politica che lo ha appena spinto, nel 1598, a riconoscere come re di Francia Enrico IV di Borbone, e con lui, sia pur con non poche difficoltà, l'editto di Nantes, cioè l'editto di tolleranza del calvinismo in Francia. L'anno giubilare 1600 rappresenta l'apice del successo del suo pontificato, e la Roma in cui arde il rogo di Bruno è una città fastosa in cui si erge nuova la cupola michelangiolesca di San Pietro, una città affollata all'inverosimile di pellegrini, i «romei», che visitano le sue chiese per lucrare indulgenze. Il perdono concesso durante gli anni giubilari, naturalmente, non aveva conseguenze sull'amministrazione quotidiana della giustizia. Le esecuzioni capitali, tanto di criminali comuni quanto di eretici, continuavano a svolgersi anche durante il giubileo. Quello della Roma giubilare era un teatro dove tra le processioni e le cerimonie religiose i roghi e gli atti repressivi della Chiesa della Controriforma non rappresentavano una nota discorde.
A Roma le esecuzioni capitali sono un evento normale, abituale se non proprio quotidiano, un evento a cui la gente si reca come a uno spettacolo. In questo, l’Urbe non si differenzia in nulla dal resto delle società d'ancien régime.
Qui, fin dalla metà del Cinquecento, gli eretici condannati dovevano sottoporsi all'autodafé, il famoso atto di fede, cioè una pubblica abiura. I condannati dovevano presentarsi in pubblico, rivestiti di un abito penitenziale, detto «abitello», e recitare una formula di abiura. Solo dopo l'abiura formale dei loro errori avrebbero ascoltato la condanna emanata dal tribunale. Non tutti coloro che erano condannati per eresia venivano condannati a morte (nei periodi di più dura repressione la percentuale arrivò fino al 20%). Quelli che lo erano - eretici impenitenti o relapsi (cioè ricaduti nell'errore) anche se pentiti, o anche altri casi considerati particolarmente gravi - venivano rilasciati, cioè consegnati al braccio secolare perché si occupasse dell'esecuzione. In teoria, infatti, la Chiesa non poteva spargere sangue; di qui l'ipocrita formula adoperata nel caso del rilascio al braccio secolare, che fu usata anche nel caso di Bruno: «come ti rilasciamo alla Corte di voi monsignor Governatore di Roma qui presente, per punirti delle debite pene, pregandolo però efficacemente che voglia mitigare il rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che sia senza pericolo di morte o mutilatione di membro»...
Ma chi era Giordano Bruno? Era indubitabilmente un filosofo di fama europea, ben consapevole del valore eversivo del suo pensiero. Ma allora: come mai nel 1592 pose fine al suo peregrinare in terra europea fermandosi a Venezia, e consegnandosi di fatto nelle mani dell'Inquisizione? Secondo alcuni studiosi - Corsano ma anche Garin e Luigi Firpo, il dottissimo editore dei testi processuali di Bruno - tra i progetti di Bruno era anche un progetto politico religioso volto a instaurare in Europa una pace religiosa fondata sulla riduzione dell'Europa a una sola religione. Ma quale doveva essere quella religione?
Per Bruno, che allora aveva trovato rifugio nella Germania protestante, questa religione non poteva essere il protestantesimo. Se mai per un momento egli davvero pensò ad attuare i suoi progetti politici sotto l'ombrello riformato, troppe erano le ragioni filosofiche e teologiche della sua ostilità di fondo ai luterani e ai calvinisti, in primo luogo la dottrina della giustificazione per fede, come risulta dalle testimonianze degli atti processuali oltre che dai suoi scritti, in particolare dallo Spaccio della bestia trionfante. Dunque, non poteva essere che sotto l'ombrello del cattolicesimo, un cattolicesimo che poco però aveva a che fare con quello esistente: un cattolicesimo riformato, in un'ottica politica legata non allo scontro confessionale ma alla pacificazione politica, come nell'ideologia della «terza via» nel conflitto tra protestanti e cattolici.
Bruno pensava che il contesto generale fosse favorevole per tornare e tentare di prendere a Roma un ruolo politico di primo piano, fors'anche di consigliere del Papa. Era stato, però, preceduto - in questa che potremmo chiamare illusione in un papato illuminato e riformatore - da Francesco Pucci, personaggio per molti versi a lui simile, intriso della stessa utopia pacificatrice e fiducioso nella protezione di Clemente VIII. Già calvinista e poi sociniano e poi di nuovo ritornato al cattolicesimo ma sempre in odore di eresia, Pucci tornò a Roma nel 1594, fu rinchiuso nelle carceri dell'Inquisizione (vi conobbe Campanella ma non Bruno) e fu decapitato e poi bruciato nel 1597.
Come è a tutti noto, Bruno non ebbe sorte migliore. Nel settembre 1599 il tribunale gli chiese una ritrattazione ampia e esauriente delle sue posizioni. Se avesse abiurato, avrebbe avuto salva la vita (dal momento che non aveva avuto condanne precedenti, non era relapso) e avrebbe potuto probabilmente finire la sua vita in qualche convento, e forse anche riprendere a scrivere. Se avesse rifiutato l'abiura, sarebbe divenuto un eretico impenitente, e quindi passibile di essere rilasciato al braccio secolare (la formula eufemistica dalla Chiesa usata per la condanna a morte, che doveva essere eseguita dalle autorità secolari). L'abiura era quanto il tribunale voleva ottenere, la vittoria della verità sull'errore, della fede sull'eresia. Senza abiura, il tribunale era sconfitto.
Ma Giordano Bruno, dopo alcune esitazioni, rifiutò l'abiura e la mattina del 17 febbraio, un giovedì, salì sul patibolo di Campo de' Fiori.


 

Da La Repubblica 2-2-2007  Bce alzerà i tassi a marzo poi probabile pausa


MILANO - La conferenza stampa che la Bce ha in programma giovedì prossimo, 8 febbraio, dopo la consueta riunione del consiglio direttivo, servirà, secondo gli analisti, a preparare la strada all'aumento di un quarto di punto, al 3,75%, del tasso di rifinanziamento che viene ormai dato per scontato per marzo. Dopo di che, se ne riparlerà a settembre, o forse mai. Il presidente della Bce, Jean-Caude Trichet, ha già detto dopo la riunione dell'11 gennaio scorso, di "non volere in alcun modo contraddire le attese del mercato di una nostra mossa verso la fine del primo trimestre", segnalando così lo status quo per febbraio e la successiva stretta in marzo.

Giovedì prossimo, dicono gli esperti, Trichet dirà che la Bce esercita "una forte vigilanza" sui rischi per i prezzi, espressione accuratamente evitata in febbraio, per rendere ancora più sicura la stretta di un quarto di punto il mese dopo. Su un poll di 30 economisti, interpellati dalle agenzie di stampa afx news e France presse, tutti davano, infatti, per scontato un aumento di un quarto di punto al 3,75% nella riunione dell'8 marzo, portando così a un totale di 150 punti base la stretta attuata dal dicembre 2005. La maggior parte degli economisti prevede, inoltre, che la Bce manterrà un orientamento al rialzo dei tassi, continuando la serie anche dopo marzo. 17 su 30 prevedono un tasso di rifinanziamento al 4% a fine anno e uno lo stima al 4,25%, mentre 5 prevedono che il tasso avrà raggiunto al 3,75% il tetto massimo per questo ciclo economico. Alcuni, 6 in totale, prevedono addirittura un'inversione di tendenza entro fine anno (5 prevedono un tasso al 3,5% a fine 2007 e uno al 3,25%). A parlare a favore di una lunga pausa, o addirittura di un'interruzione della stretta, sono gli ultimi dati economici dall'eurozona, dai quali emerge un quadro un pò più contradditorio rispetto a fine 2006, a livello di crescita, inflazione, andamento degli indicatori monetari e del settore immobiliare.

L'inflazione nell'Eurozona, ricordano gli analisti, è rimasta invariata all'1,9% in gennaio malgrado il temuto aumento dell'Iva in germania e i dati prospettici indicano un possibile rallentamento della congiuntura nel primo trimestre. I fattori monetari, tuttavia, mantengono un andamento molto vivace (+9,7% annuo la massa monetaria m3 in dicembre, un nuovo massimo dal febbraio 1990), un elemento questo di recente indicato come preoccupante da diversi consiglieri della Bce.

"Siamo dell'idea che la congiuntura europea, a causa di una serie di elementi di disturbo, registrerà nei prossimi mesi una crescita minore rispetto alla media di lungo periodo", dice Christoph Weil di Commerzbank, citando l'indice europeo Esi sulla fiducia, sceso a 109,2 punti in gennaio da 109,9 in dicembre. Con un'inflazione prevista in continuo calo verso quota 1,5%, Weil ritiene che il 3,75% di marzo sarà il massimo possibile per i tassi europei in questa fase. Per Holger Schmieding di Bank of America, invece, la crescita europea si manterrà almeno al 2%, quindi intorno al potenziale, mentre sull'inflazione potrebbero pesare i prossimi rinnovi salariali. Non si può dimenticare, poi, il ritmo veloce del mercato del lavoro: con un tasso di disoccupazione nell'Eurozona al 7,5% in dicembre, un nuovo minimo dal 1993, è possibile una pausa da parte della bce nel secondo trimestre dall'anno, ma "per inizio 2008 il tasso di rifinanziamento potrebbe essere al 4,25%".

Anche Silvia Pepino di Jp Morgan parla dell'andamento del mercato del lavoro che, a questi ritmi, potrebbe portare a qualche strozzatura entro i primi sei mesi dell'anno e del rallentamento accusato dai mutui ipotecari, un segnale questo che i passati aumenti dei tassi di interesse cominciano a farsi sentire. Il tutto rende probabile una lunga pausa dopo marzo, seguita da un probabile aumento dei tassi al 4% in settembre. In ogni caso, dice l'analista, la Bce, pur mantenendosi orientata al rialzo dei tassi, si mostrerà "sempre più dipendente dall'andamento dei dati economici" a partire dalla conferenza stampa di marzo.

02/02/2007 - 17:00

 

 

 

 

 

 

 


INDICE 3-2-2007

 

++ Dal Corriere della Sera 3-2-2007 Intervista a Vittorio Sgarbi  «Sniffano tutti: dagli attori ai politici» Aldo Cazzullo

++ Da Repubblica 3-2-2007 E' confermato: virus dell'aviaria in un allevamento inglese

++ Dal Corriere della Sera 3-2-2007  Draghi: «Tasse alte, penalizzate le famiglie» Crescita interna: «L'economia italiana è trainata dall'Europa»  83

+ Da La Repubblica 3-2-2007  RC AUTO: BERSANI, TARIFFE DEVONO SCENDERE  85

+ Da comincialitalia.net 1-2-2007 Gli inceneritori e il mistero Cip6 di Robert Allen  85

Da lanuovatecnologia.it 2-2-2007 The Guardian: «10.000 dollari offerti dalla Exxon per negare l'effetto serra»  86

Da online-news.it  2-2-2007 Petrolio ciociaro, chiesto il “VIA” alla Regione  86

Da Il Sole 24 Ore 2-2-2007  Banche e finanza: dove l'Europa ancora non c'è  di Piero Fornara  86

 


Dal Corriere della Sera 3-2-2007 Intervista a Vittorio Sgarbi  «Sniffano tutti: dagli attori ai politici» Aldo Cazzullo

 

Il critico d’arte: gli intellettuali sono convinti che dia lucidità. In qualche hotel offrono una bustina al posto del dolce

 

 

ROMA — Premessa: «La cocaina sono io»; quindi non ne ha bisogno. «Mai presa. Se la cocaina mi vede, si eccita lei». Però nessuno come Vittorio Sgarbi incrocia politica, arte, spettacolo, finanza, cultura. «Tutti ambienti in cui la prendono. Eccome ».

«Devo dire che con me ci stanno attenti, a tirare o a offrire. Mi temono per via di un precedente, una storia di dieci anni fa. In casa mia mi avvicinò un tizio particolarmente sfrontato. Lo feci arrestare». Arrestare? «Era il rampollo di una famiglia aristocratica, figlio di un mio amico. Come ogni lunedì, avevo dato una festa a Roma in via dell’Anima, e lui si era imbucato. Con me c’era una ragazza di Faenza, una nuova acquisizione, che a un tratto mi invita a seguirla in bagno e mi fa: questo ragazzo deve darti una cosa. Rifiuto, come sempre. Quello però insiste, si offende, fa l’arrogante. Ho chiamato i carabinieri. L’hanno portato via in manette. Da allora in casa mia nessuno è più venuto con la droga, tranne un ministro del precedente governo che proprio non poteva farne a meno, vista la frequenza con cui andava e veniva dal bagno».

Gli aristocratici in particolare, sostiene Sgarbi, «fiutano come diavoli. Ricordo quando molto tempo fa ero fidanzato con la contessa Agusta: la villa di Portofino pareva avvolta da una nuvola di cocaina, si viveva in un’atmosfera di eccitazione perenne. Ma negli ultimi anni il livello del consumo si è abbassato. Mi dicono che siano scesi i prezzi. Ogni pretesto è buono. Gli intellettuali sono convinti che la coca dia lucidità per scrivere e pensare. I calciatori ne vanno ghiotti ma devono limitarsi al lunedì, massimo al martedì, per sfuggire ai controlli antidoping la domenica successiva. Gli attori la usano spesso prima di salire in teatro, per reggere due ore di fila; quando finisce l’effetto però arriva la fase di down, che induce a ricominciare. Si spiega così la dipendenza. Unita alla convinzione che la cocaina non faccia male, come del resto pare dimostrare la tenuta ultradecennale del senatore a vita Colombo, si capisce che forse l’allarme di Amato non è privo di fondamento ».

La cocaina come rito sociale. Da quotidianità, da weekend, da party. «Capita che si sentano quasi in dovere di offrirtela. L’altra sera ero a Firenze, ospite di un albergatore gentilissimo, mi ha pure preparato la cena alle 3—Firenze è una città senza notte, è tutto maproprio tutto chiuso —, e al posto del dolce mi ha proposto una sniffata. Mi dicono che in effetti alle feste è normale; e ovviamente nessuno si sogna di comprare o vendere ma solo di regalare, altrimenti sarebbe spaccio. Il mercato comunque me lo raccontano come florido. A Milano e a Roma tutti sanno in quale bar o in quale locale rifornirsi. Io non li so distinguere, ma il mio assistente talvolta riconosce i pusher a occhio nudo eme li indica: giovane, ben vestito; il cliente spesso è un habitué, o magari uno di passaggio che ha verificato di non avere di fronte un agente di polizia. La cocaina non è più né mistero né peccato; solo un reato. Per nulla attraente quindi ai miei occhi. Non a quelli di altri».

Spiega Sgarbi che anche sotto questo aspetto il Palazzo è specchio della società civile. «La politica non ne è immune. Negli Anni Ottanta frequentavo Palermo, in particolare una casa dove ogni tanto gli ospiti sparivano, passavano in bagno e tornavano con le pupille dilatate, il sorriso eccitato, il tratto scomposto. Nella mia ingenuità, non capivo. Mi spiegarono. Una volta, in un salotto di nobiluomini e magistrati, mi trovai in grave imbarazzo. Gli invitati si passavano tra loro una busta di polvere bianca. Io rifiutai, e la padrona di casa mi rimproverò: ero un maleducato che aveva infranto un rito sociale. Quando in Parlamento ho ritrovato uno degli ospiti, divenuto sottosegretario del centrosinistra, gliel’ho detto: "Lei ha perseguitato un ministro democristiano per una busta chiusa che forse conteneva denaro, ma che lei non ha mai aperto; ha mai fatto un’indagine su quell’altra busta a Palermo?". È tutto agli atti di Montecitorio ».

«Mi dicono che molti la prendano nella convinzione che giovi all’amore. Sembra però che sull’uomo abbia un effetto opposto, inibente. La combinazione più frequente sarebbe tra la donna che ha preso cocaina e l’uomo che ha fumato una canna, che rallentando gli impulsi maschili prolunga l’atto. Non so se sia davvero un’epidemia. So che si comincia sempre più presto. L’altro giorno ho fermato per strada un gruppo di ragazzi, avranno avuto al massimo 17 anni, e ho chiesto: "La droga dove la prendete?". Mi hanno risposto in coro: "A scuola!". Non ci credevo, ma mi hanno assicurato che tutti conoscono gli spacciatori e i consumatori. Quand’ero ragazzo, la cocaina non la vedevamo mai; allora la droga era l’ideologia. Oggi cominciano in classe, uno dopo l’altro, per emulazione. Il che mi conforta nella mia teoria: la scuola fa malissimo ».

03 febbraio 2007

 

 


Da Repubblica 3-2-2007 E' confermato: virus dell'aviaria in un allevamento inglese

Il focolaio di H5N1 si è diffuso fra i tacchini della contea del Suffolk
Ne sono morti circa 2.500, su un totale di 159 mila capi

 

 

LONDRA - La Commissione europea ha confermato l'esistenza di un focolaio di H5N1, il ceppo virale più pericoloso tra quanti sono responsabili dell'influenza aviaria, in un allevamento di tacchini della contea orientale inglese del Suffolk: su un totale di 159 mila volatili presenti nell'impianto, ne sono morti circa 2.500. La notizia è stata diffusa dalle autorità sanitarie britanniche, che stanno isolando la zona del contagio con cordoni sanitari, in applicazione della normativa comunitaria di prevenzione.

Ulteriori test di laboratorio saranno eseguiti su campioni organici prelevati dai volatili, per stabilire se il virus sia di provenienza asiatica.

Il contagio è stato accertato da veterinari e altri esperti governativi britannici, che hanno quindi dato ordine di creare intorno all'allevamento un'area di protezione dal raggio di 3 chilometri, e una di sorveglianza ampia 10. Sono inoltre state introdotte restrizioni agli spostamenti: il pollame deve essere tenuto al chiuso, e vanno evitate concentrazioni troppo elevate di capi. L'H5N1 è stato comunque localizzato in uno soltanto dei 22 capannoni nei quali sono tenuti i tacchini.

E' il secondo caso di aviaria registrato in Europa dall'inizio dell'anno, esclusivamente tra animali; il precedente era stato scoperto in Ungheria. Nel maggio 2006 un focolaio più ampio fu individuato in un'altra contea nell'est dell'Inghilterra confinante con il Suffolk, quella del Norfolk: si trattava però di H7N3, ceppo assai meno aggressivo. Furono comunque soppressi cinquantamila polli di tre diversi allevamenti.

<hr size=3 width="100%" noshade color=green align=center>

Dal Corriere della Sera 3-2-2007  Draghi: «Tasse alte, penalizzate le famiglie» Crescita interna: «L'economia italiana è trainata dall'Europa»

 

L'intervento del governatore di Bankitalia al Forex di Torino: ««Ridurre le aliquote con i proventi della lotta all'evasione»

 

 

TORINO - L'economia italiana che va bene ma solo grazie al traino dell'Europa, le tasse troppo alte che penalizzano famiglie e imprese, la riforma delle pensioni e la scelta di destinare il proprio Tfr alla previdenza complementare. Sono alcuni dei punti toccati dal governatore della Banca d'Italia Mario Draghi nel suo intervento al Forex di Torino, la tredicesima edizione del congresso per gli operatori finanziari.

CRESCITA - L'economia italiana cresce, ma è solo grazie al buon andamento dell'Europa, trainata dalla Germania: occorre ora spingere la crescita interna. Questa la strada indicata da Draghi. Nel 2006 l'aumento del pil del Paese è stato di poco inferiore al 2%. Ma non basta: per il governatore «è necessario che alla crescita, finora per lo più indotta dal buon andamento delle economie europee e di quella tedesca in particolare, si sostituisca via via una crescita interna». Davanti alla platea del 13° congresso dell’Aiaf, Assiom, Atic-Forex, Draghi sprona, ancora una volta, ad avviare «un processo di aumento duraturo della produttività», che ristagna da metà anni Novanta. Occorre liberare le risorse materiali e soprattutto di capitale umano, in particolare giovane. Ci sono già segnali positivi, dice il governatore, «soprattutto nelle imprese più esposte alla concorrenza internazionale, ma è ancora difficile discernere con sicurezza l'effetto di cambiamento di natura strutturale da quello dei fattori» che si osservano normalmente nelle fasi di ripresa dell’economia.

DEBITO - «Il debito pubblico può essere ridotto significativamente in tempi brevi. Si deve puntare a un bilancio strutturalmente in pareggio» ha quindi sottolineato Draghi, aggiungendo che «una riduzione stabile del rapporto fra debito e prodotto interno lordo richiede due condizioni: crescita e riduzione della spesa». La ripresa in atto «crea condizioni anche per proseguire nel risanamento della finanza pubblica. Si deve resistere alla tentazione di spendere con leggerezza l'inatteso aumento del gettito fiscale».

TASSE ALTE - Un altro punto importante toccato da Draghi è stato quello delle tasse. «Il livello dell'imposizione tributaria in Italia è elevato - ha detto -. Penalizza le imprese e le famiglie che compiono il proprio dovere fiscale». Un livello che «in prospettiva va moderato» con i proventi della lotta all'evasione: «I frutti della lotta all'evasione devono trovare compensazione nella riduzione delle aliquote». Secondo Draghi inoltre «si può stimare che nel 2006 le entrate delle amministrazioni pubbliche siano cresciute di circa un punto percentuale del pil; aumenteranno ancora, secondo le previsioni, nel 2007».

PENSIONI E TFR - Per arrivare a una riforma delle pensioni «occorre uno sforzo di consapevolezza collettiva simile a quello che alla metà degli anni Ottanta e successivamente con gli accordi del 1992-93 portò il Paese, con decisioni sofferte ma lungimiranti sulla scala mobile, a infrangere la rigida spirale dei prezzi e dei salari» ha detto Draghi. Il governatore ha poi parlato della scelta da parte dei lavoratori circa la destinazione del proprio trattamento di fine rapporto. «L'impiego del Tfr nella previdenza complementare può comportare benefici considerevoli per i lavoratori - ha detto -. Il raggiungimento di pensioni adeguate richiede un'accumulazione su un ampio orizzonte temporale». In base a indagini recenti, dice il numero uno di Bankitalia, «i lavoratori continuano a sovrastimare ampiamente l'entità delle future pensioni; resta basso il grado di conoscenza degli strumenti della previdenza complementare».

BANCHE - Draghi ha poi parlato delle recenti operazioni di fusione tra istituti bancari. Le banche, ha detto, «sono oggi più forti in Italia e all'estero, ma vi è ancora spazio per operazioni di concentrazione che sprigionino sinergie con benefici per gli azionisti e per i clienti». Draghi ha auspicato che le fusioni portino vantaggi per i clienti: «Prezzi più bassi e migliore qualità dei servizi». «I gruppi nati dalle concentrazioni devono dimostrare di essere in grado di ridurre significativamente e rapidamente gli oneri per la clientela accelerando l'integrazione di strutture prima distinte - ha detto -. Il consolidamento dell'industria bancaria può e deve produrre una maggiore efficienza degli intermediari, non una minore concorrenza: deve tradursi in prezzi più bassi e migliore qualità dei servizi».

03 febbraio 2007

 

Da La Repubblica 3-2-2007  RC AUTO: BERSANI, TARIFFE DEVONO SCENDERE

"Non mi aspetto che domani mattina si abbassino le tariffe. Ma se nel medio periodo i prezzi non si abbasseranno ne inventeremo delle altre". Lo ha detto il ministro dello Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, a RadioAnch'io, intervenendo sugli effetti dell'introduzione dell'indennizzo diretto nell'RC Auto, contenuto nel pacchetto di liberalizzazioni. "Abbiamo un sistema Rc auto che costa troppo. Non e' una situazione accettabile", ha spiegato il ministro. "Se con l'introduzione dell'indennizzo diretto le tariffe dell'Rc auto non scenderanno il governo studiera' altre soluzioni perche' il sistema costa troppo". Secondo Bersani in Italia resta forte la resistenza a ogni cambiamento: "Noi facciamo tutto questo per rendere la vita piu' facile al cittadino e per abbassare i prezzi. Se nel medio periodo i prezzi non sia abbasseranno - avverte Bersani - ne inventeremo delle altre perche' noi abbiamo un sistema dell'Rc auto che costa troppo". Certo, ha concluso, "non abbiamo la bacchetta magica e non crediamo che gia' domani mattina si abbasseranno i prezzi".

<hr size=3 width="100%" noshade color=green align=center>

 

Da comincialitalia.net 1-2-2007 Gli inceneritori e il mistero Cip6 di Robert Allen

Verona 1 Febbraio 2007

 

Ci risiamo, EH SI! CI RISIAMO. Mentre tutti i media sono interessati alla "straziante vicenda di Silvio e Veronica, noi non perdiamo di vista le necessità primarie che i nostri cari "onorevoli" discutono giornalmente. Gli inceneritori devono essere una condanna, o qualcosa del genere. O meglio il Cip6, questo provvedimento dal nome tra un cartone animato e un sapore vagamente fantascientifico, ma che in realtà è un classico maldestro "aiuto di stato" all'italiana, agli "Imprenditori del petrolio", vedi Moratti, Garrone & C. Non riusciamo a toglierceli di mezzo.

Dal 1992 paghiamo una fetta della bolletta elettrica (la terza voce) per incentivare, le fonti rinnovabili (eolico, fotovoltaico, etc.). RICORDATE!!! Nella formulazione della norma, accanto all'espressione "energie rinnovabili" fu aggiunta l'estensione "o assimilate" e come in un incantesimo le quote andarono anche a "sostegno" delle cosiddette "assimilate", carbone e rifiuti su tutte. Circa l'80% degli investimenti si spostarono verso gli inceneritori..in tutti i sensi!.
Si era provato ad eliminare il tutto in Finanziaria: niente da fare, l'assalto alla diligenza dell'ultima notte lo ha reinserito. Si era fatto un provvedimento ad hoc, dopo. L'ultima novità è il veto all'abolizione arrivato dall'Ufficio di presidenza della Camera. Il tutto per una questione tecnica, pare sia stato inserito come emendamento in una legge che recepiva una direttiva comunitaria, lo ha respinto. Tutto da rifare. Ma come?.

Il Cip6 è la classica anomalia italiana, finito più volte nel mirino dell'Unione europea: è stato già protagonista di quattro procedure d'infrazione (2004/43/46, 2005/50/61, 2005/40/51 e 2005/23/29) e di una lettera di messa in mora relativa alla prima procedura d'infrazione da parte. È una sanguisuga per i consumatori italiani. Dati Confartigianato: dal 1992 al 2005 è costato oltre 23 miliardi, di cui 10,8 solo dal 2001 al 2005. Ma il problema, è che dei soldi che hanno costituito l'incentivo solo il 19,6 per cento sono andati a finanziare fonti rinnovabili (eolico, fotovoltaico). Altri numeri, altrettanto significativi, li ha forniti l'Autorità per l'energia, nel suo rapporto annuale: dei 2,5 miliardi raggranellati nel 2005 grazie alla terza voce della bolletta elettrica, 1,8 hanno "incentivato" gli investimenti in fonti assimilate, come gli inceneritori.

Queste le reazioni. il ministro dell'Ambiente Pecoraro Scanio: "Mi permetto di dissentire nei confronti dell'Ufficio di presidenza della Camera per un'interpretazione eccessivamente formalistica. Bisogna porre il problema che c'è il diritto del Parlamento all'emendabilità, chi pensa di approfittare di un vuoto legislativo per metterci di fronte a un fatto compiuto ha sbagliato".
"I fondi delle rinnovabili lautamente versati dai cittadini con la bolletta elettrica vadano alle rinnovabili, e se qualche amministratore locale vuole un inceneritore, lascino stare i soldi per le energie pulite e cessino le pressioni. Se alcune province o alcune regioni hanno interesse a fare alcuni impianti almeno non chiedano siano sostenuti col danaro delle energie rinnovabili".

"C'è chi sui fondi Cip6 già faceva affidamento, sulla base di progetti semplicemente autorizzati, niente più. Ora si parla di crisi del sistema rifiuti in alcune province, per la chiusura dei rubinetti del Cip6. Naturale che vi sia quindi un'azione di lobby in corso. Lo dico con chiarezza: la finiscano con questa pressione indebita, i fondi per le rinnovabili vadano alle rinnovabili".
È oramai chiaro che i cittadini pagano con la tassa sui rifiuti un sistema imprenditoriale marcio: gli "imprenditori facciano gli imprenditori".
Significativo l'esempio: Un impianto che tratti 160.000 tonnellate di rifiuti l'anno lavorando per 5.000 ore prende 20 milioni di euro ogni anno per 8 anni grazie al Cip6.
Così saremmo in grado tutti di fare gli imprenditori.

 

 


Da lanuovatecnologia.it 2-2-2007 The Guardian: «10.000 dollari offerti dalla Exxon per negare l'effetto serra»

 

 

L CASO| Sono 435 le censure degli ultimi 5anni Clima, bustarelle per mentire

                    L'Union of concerned scientists denuncia pressioni sugli scienziati americani per eliminare le parole "surriscaldamento globale" e "cambiamenti climatici" dai loro studi.
LINK:
The Guardian/ l'Ucs

Bustarelle agli scienziati americani per negare le responsabilità umane sull'effetto serra. È quanto denunciano il quotidiano britannico The Guardian e l'Unione of concerned scientists (Ucs) che parlano di pressioni delle lobby del petrolio affinchè dai documenti scientifici fossero rimosse le parole "surriscaldamento globale" e "cambiamenti climatici". Sospettato anche un forte coinvolgimento della compagnia petrolifera Exxon.

Un rapporto dell’Ucs reso pubblico martedì 30 gennaio rivela che le considerazioni politiche hanno interferito con il lavoro di numerosi ricercatori statunitensi impegnati sulla climatologia. L'associazione ha indirizzato un questionario a più di 1.600 scienziati impegnati su programmi di ricerca federali. Più del 45% di loro sono a conoscenza o sono stati personalmente oggetto di pressioni per eliminare alcune pubblicazioni a carattere scientifico da termini come “cambiamenti climatici” e “riscaldamento globale”. L’Ucs ha identificato 435 casi di questo tipo di censura negli ultimi cinque anni.

L'organizzazione punta sulla «porosità» fra l’amministrazione Bush e le compagnie petrolifere, in particolare la Exxon Mobil. Secondo The Guardian di oggi, la società ha proposto una busta di 10mila dollari a parecchi scienziati affinchè questi rifiutassero le conclusioni dell’Ipcc sui cambiamenti climatici.

2 febbraio 2007

 


 

Da online-news.it  2-2-2007 Petrolio ciociaro, chiesto il “VIA” alla Regione

 

Valutazione d’Impatto Ambientale per 32 Comuni del frusinate

Ascent Resources e Pentex Italia hanno chiesto alla Regione Lazio la Valutazione d’Impatto Ambientale per 32 cittadine ciociare. Si tratta di un passo necessario per procedere alla ricerca di idrocarburi nel frusinate. La richiesta è in fase di elaborazione presso il Dipartimento ambientale protezione civile della Regione, ma già dal 2008 la joint-venture italo-inglese potrebbe cominciare i sondaggi petroliferi nei piccoli Comuni della provincia di Frosinone, Strangolagalli in primis.

Secondo Jeremy Eng (nella foto, ndr), amministratore delegato della Ascent, la scoperta di carbonati mineralizzati a 1.000 m di profondità presso Anagni, lascerebbe supporre la presenza di una vena petrolifera in Ciociaria. «La conformazione geologica incontrata – ha precisato Eng – unita ai primi campioni estratti di carbonati porosi intrisi di olio fa sperare in una scoperta che potrebbe essere definita molto interessante».

Intanto i cittadini di Anagni sono in rivolta: «I sondaggi vanno avanti notte e giorno – spiegano i residenti di Colle del Signore, il quartiere interessato dagli scavi – e non siamo stati neanche avvertiti. Che succederà se il petrolio dovesse effettivamente essere trovato?». 

 


 

Da Il Sole 24 Ore 2-2-2007  Banche e finanza: dove l'Europa ancora non c'è  di Piero Fornara

ll 13° congresso annuale degli operatori dei mercati finanziari – Aiaf, Assiom, Atic Forex – in programma quest'anno al Lingotto di Torino, non dovrà attendere il discorso ufficiale del governatore della Banca d'Italia Mario Draghi (in programma sabato 3 febbraio alle ore 11) per entrare nel vivo del dibattito: già nella tavola rotonda d’apertura, oggi pomeriggio, il tema della «direttiva Mifid» non è un semplice riempitivo. Sigla finora quasi sconosciuta ai non addetti ai lavori, la Mifid (Markets in Financial Instruments Directive), che entrerà in vigore dal prossimo novembre nei 27 Stati membri dell’Unione europea, fissa nuove regole per i mercati degli strumenti finanziari e le banche ne sono le prime destinatarie, ma riguarderà anche i risparmiatori.

Bene la «Mifid», però... Secondo la Commissione Ue la direttiva avrà un ruolo essenziale nella realizzazione di un mercato dei capitali più integrato e più efficiente, di cui l'Europa ha bisogno per ridurre il costo del capitale, favorire la crescita e rafforzare la propria competitività sul piano internazionale. Intervistato da Radiocor, il presidente dell’Assiom Luigi Belluti, ha spiegato che «la Mifid costituisce una rivoluzione copernicana per gli operatori, porterà una maggiore competizione tra Borse e intermediari e darà vantaggi anche ai clienti». Ma anche fra le tre associazioni che si riuniscono a Torino non mancano le preoccupazioni per il rischio di una complicazione delle regole (quasi un paradosso, dunque). In un mercato unico europeo dove operano in piena concorrenza Borse e intermediari, i risparmiatori si troveranno infatti a dover scegliere fra tanti operatori alternativi, pur con la garanzia della «best execution» (cioè del miglior prezzo disponibile in quel momento).

Sulla direttiva Mifid il Governo intende spostare i termini per il recepimento al 31 luglio: lo schema di disegno di legge è all'esame del consiglio dei ministri. La delega legislativa era scaduta lo scorso 12 novembre ed era stata prorogata al 31 gennaio dalla legge comunitaria 2006, già approvata in via definitiva, ma non ancora pubblicata in Gazzetta.

Sabato l'intervento di Mario Draghi. Il 2006 è stato un anno di trasformazione per le banche italiane e il governatore Mario Draghi, atteso sabato a Torino, non potrà che tenerne conto nel suo intervento (il secondo al Forex dopo quello del marzo 2006 a Cagliari), tanto più che il congresso è organizzato da San Paolo Imi, come dire dalla nuova superbanca Intesa-Sanpaolo, nata anche grazie al nuovo clima instraurato dall'arrivo di Draghi in Banca d’Italia. L'anno scorso a Cagliari, in un inatteso quanto irrituale (almeno durante l'era Fazio) fuori testo, Draghi aveva invitato i banchieri a superare campanilismi e personalismi, favorendo le integrazioni tra istituti di credito. Un invito che, in effetti, non è caduto nel vuoto: Intesa ha infatti portato a casa l'aggregazione con SanPaolo; nel frattempo anche il fermento nel mondo delle popolari ha prodotto l'accordo Bpi-Bpvn e quello Bpi-Banca Lombarda.

In passato il Forex non era un appuntamento dove si approfondivano anche i temi della congiuntura o dei conti pubblici, ma a Torino Draghi potrebbe scegliere di parlarne, per assicurare ancora una volta che la ripresa è in atto in Europa, trascinata dalla Germania e che l'Italia può approfittare di questo momento favorevole per continuare nell’opera di risanamento dei conti. Le prospettive di crescita sono infatti favorevoli e le condizioni finanziarie a livello globale paiono rassicuranti. Il congresso del Lingotto si conclude domenica mattina, 4 febbraio, con un seminario dedicato al mercato delle materie prime.

2 febbraio 2007

 

 

 

 

 


INDICE  2-2-2007

+ Da Il Sole 24 Ore 2-2-2007  Energia, trasporti e tlc: via al riordino delle Authority per la tutela dei consumatori di N. Cottone  87

+ Da La Repubblica 2-2-2007  Maggioranza ipotetica in politica estera di Massimo Giannini 87

Da Il Sole 24 Ore 1-2-2007  88Ue: in Italia numero piu' alto di procedure di infrazione norme europee 88

Da Repubblica 1-2-2007  Borse in odore di bolla ... e sarà peggio del 2000  89

Da L’Unità 31-1-2007 Partito Democratico, ecco la "mozione Fassino" 89

Da La Repubblica 1-2-2007 Cibi spazzatura e sanità solo per ricchi: gli Usa perdono il record dei più alti 91

 


 

Da Il Sole 24 Ore 2-2-2007  Energia, trasporti e tlc: via al riordino delle Authority per la tutela dei consumatori di N. Cottone

Via libera del Consiglio dei ministri al riordino delle Authority. Semaforo verde, dunque, al disegno di legge che sarà ora esaminato dal Parlamento. «La riforma delle autorità indipendenti - sottolinea Enrico Letta, sottosegretario alla Presidenza del consiglio dei ministri - è un tassello molto importante dell’agenda di Caserta».
Letta ha precisato che il sistema di regolazione in vigore è incompleto nei campi dei servizi a rete, troppo frammentato con troppe autorità indipendenti, debole soprattutto nella capacità dell’Autorità di essere efficaci per il cittadino consumatore. «Con il provvedimento - spiega Letta - si intende dare più forza al cittadino consumatore».
I capisaldi dell’intervento che sarà presentato in Parlamento punta a una razionalizzazione del sistema dei servizi: tre le Autorità indipendenti in materia di energia, gas e servizi idrici, la seconda e nuova autorità si occuperà di Trasporti e infrastrutture terrestri e la terza che avrà competenze in campo di telecomunicazioni e poste.
Il disegno di legge propone anche l’abolizione del Cicr, che sarà rimpiazzato dal Comitato per la stabilità finanziaria. Previsto anche lo scioglimento della Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) che avverrà il primo luglio del 2008 per accompagnare la riforma del Tfr. Le sue competenze, come quelle dell'Isvap - anch'essa disciolta - saranno divise tra la Banca d'Italia, la Consob e l'Antitrust.

Novità anche sul criterio di nomina delle Autorità (tranne la Banca d’Italia): proposta del Governo, con successivo voto di consenso di una commissione bicamerale che dovrà esprimersi in favore della candidatura con almeno due terzi dei voti. Inserito anche un criterio di trasparenza e professionalità dei candidati (bando pubblico), durata di 7 anni dell’incarico, senza possibilità di nuova nomina (nemmeno in altre Autorità). Annunciando la nascita della nuova Autorità per l'energia, il gas e i servizi idrici il sottosegretario Letta ha sottolineato che «il Governo assume l'impegno di mantenere la proprietà pubblica dell'acqua». Nelle prossime settimane un gruppo di ministri si occuperà di predisporre un provvedimento ad hoc sui servizi idrici con particolare attenzione al Mezzogiorno.

Da La Repubblica 2-2-2007  Maggioranza ipotetica in politica estera di Massimo Giannini


"QUANDO torno dal Giappone fatemi almeno ritrovare il governo...". Riletta oggi, la battuta pronunciata da Massimo D'Alema lunedì scorso fa un certo effetto. Dopo quello che è successo al Senato nel dibattito sulla base Usa di Vicenza, le parole del ministro degli Esteri assumono un altro significato. Il sarcasmo nascondeva un esorcismo. L'ironia che si autocelebra diventa quasi una profezia che si autoavvera. Avrà anche ragione Romano Prodi, a dire che il centrodestra banchetta sui guai del centrosinistra con un eccesso di "toni apocalittici". Avrà altrettanta ragione Anna Finocchiaro, ad aggiungere che lo smacco subito dall'Unione "non incide sulla tenuta del governo".

Ma la sconfitta di ieri resta agli atti, in tutta la sua gravità. Lo prova il preoccupato intervento del Capo dello Stato, che chiede un serio "chiarimento politico" sull'intera vicenda. Lo conferma l'immediata reazione del presidente del Consiglio, che annuncia un urgente "vertice di maggioranza" sulla politica estera. Il timore di Napolitano, oggi, riflette quello del D'Alema di quattro giorni fa: la tensione tangibile che cresce sul via libera agli Stati Uniti per la base di Vicenza rischia di precipitare in un conflitto insanabile sul decreto di rifinanziamento della missione in Afghanistan.

Non è una novità: il centrosinistra, al Senato, viaggia a fari spenti. Ha una maggioranza ipotetica, non più aritmetica. Conta sui senatori a vita, sulle assenze di giornata, sui colpi di fiducia. Tra alterne fortune, finora ha funzionato. In forza di questa debolezza, potrebbe funzionare persino fino al termine della legislatura. Ma oggi il punto non è questo. C'è in gioco la politica, più che la matematica. Qual è il profilo internazionale che il governo è in grado di dare all'Italia? Che grado di affidabilità può garantire, su questioni vitali come la ridefinizione delle relazioni transatlantiche o la partecipazione agli organismi sovranazionali?

La politica estera di un Paese (come e forse anche più di qualunque altra politica) esige coerenza e continuità. Non può essere sottoposta a una quotidiana, contraddittoria ed estenuante rinegoziazione interna. Così un governo si logora. Così un governo dissipa la sua credibilità. Così un governo può anche cadere.

All'apparenza, lo stesso intrigo kafkiano che ieri ha portato all'approvazione dell'ordine del giorno del centrodestra sembra di natura tecnica, quasi procedurale. Nella sostanza, è anch'esso il frutto di un cortocircuito logico, tutto politico. Tradisce un malessere molto più esteso, rispetto al "dissenso noto e circoscritto" di cui parla il premier. L'ala radicale della coalizione non voleva un ordine del giorno che approvasse la relazione del ministro della Difesa sull'allargamento della struttura militare americana al Del Molin. Per questo ha costretto l'ala moderata all'ennesimo compromesso al ribasso: un ordine del giorno che si limitava a "prendere atto" di quella relazione. Il centrodestra si è infilato in questa contraddizione, con un suo ordine del giorno che invece approva esplicitamente il documento di Arturo Parisi.

L'Unione è andata in tilt. De Gregorio, mina vagante dipietrista, ha votato col Polo. Alcuni senatori della Margherita, per non votare contro il proprio ministro, si sono assentati. Altri non hanno capito. Così è passato l'ordine del giorno del centrodestra.
Questa volta, per coprirsi a sinistra, la maggioranza ha finito per scoprirsi al centro. In altre occasioni, a partire dalla Legge Finanziaria, è successo l'esatto contrario. Ma il risultato politico che emerge è lo stesso: la coperta dell'Unione è sempre più corta.

Eppure, almeno sulla politica estera, è il tempo delle decisioni nette, non più delle mediazioni ambigue. Un conto è studiare insieme al Dipartimento di Stato una soluzione che riduca l'impatto ambientale della base vicentina, tutt'altro conto è dare spazio a chi urla "Yankee go home", rispolverando l'armamentario ideologico di un anti-americanismo pietrificato dagli anni '70. Un conto è adoperarsi per rafforzare la presenza civile e per rilanciare l'iniziativa diplomatica in Afghanistan, tutt'altro conto è pretendere il ritiro completo delle nostre truppe, rinnegando l'ancoraggio storico del nostro Paese ai principi del diritto internazionale garantiti dalle Nazioni Unite.

La minaccia più inquietante, per il governo, viene da qui. Non dalla "strategia della distinzione" dei gruppi dirigenti, ma dalla "dottrina dell'irresponsabilità" dei gruppi parlamentari. Bertinotti sa bene quale impensabile miracolo è presiedere la terza carica dello Stato, per il leader dell'unico partito capace di chiamarsi ancora "comunista" nell'Europa novecentesca insanguinata non solo dai lager, ma anche dall'orrore dei gulag. Pecoraro Scanio sa altrettanto bene quale irripetibile opportunità è guidare il ministro dell'Ambiente, per il leader di un partito verde che ha resistito alle crisi dei movimenti ambientalisti nel resto del mondo.

È inutile fingere di non vederlo. Nell'Unione c'è uno zoccolo duro e puro, estremo e irriducibile, che rischia di sfuggire a ogni controllo. Non considera il governo come un "valore", e forse continua a rimpiangere le praterie libere e irresponsabili di un'opposizione bellissima e perennemente minoritaria. In Parlamento c'è un manipolo di una decina di eletti che non sembra rispondere al vincolo di coalizione e che rifiuta l'adesione a qualunque "linea di partito". Danza beatamente intorno al totem del "Programma", manipolandone le tante zone grigie e rifiutandone le poche indicazioni certe.

A questo punto, Prodi non può e non deve più sottovalutare il pericolo rappresentato da questa agguerrita pattuglia di anime belle, pronte a sacrificare il tutto per la parte. Qualche anno fa un infelice governo nacque grazie al voto di pochi, spregiudicati "straccioni di Valmy" guidati da Francesco Cossiga. Disposti a svendere un'identità per il semplice gusto del potere. Oggi, purtroppo, niente può più escludere che un altro governo muoia per mano di pochi, visionari "kabulisti" ispirati da Gino Strada. Disposti a riconsegnare l'Italia alla destra, pur di difendere una loro "idea" di sinistra.

(2 febbraio 2007)

 

Da Il Sole 24 Ore 1-2-2007 

Ue: in Italia numero piu' alto di procedure di infrazione norme europee                  01/02 - 12:55

 

 

 

 

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Bruxelles, 01 feb - E' in Italia il numero piu' alto in Europa di procedure di infrazione delle norme europee attualmente aperte (dati al primo novembre 2006). E' questo uno dei risultati dello "score board" sulla trasposizione delle norme europee nelle legislazioni nazionali e sulle procedure aperte presentato oggi dalla Commissione Europea. L'Italia ha un deficit di trasposizione pari al 2,2% contro una media europea dell'1,2%. Si tratta della 22esima posizione. Aps-rd

 


 

Da Repubblica 1-2-2007  Borse in odore di bolla ... e sarà peggio del 2000

 

E' la tesi di un lettore, secondo cui questa volta, a differenza del passato, a gonfiare i prezzi dei listini sono i titoli della old economy.

 

 

 

Dal blog di Giuseppe Turani

MILANO - A mio avviso sulle Borse vi è una bolla più grave di quella del 2.000. Infatti, se quella fu generata, essenzialmente, dalle quotazioni della new-economy, quella attuale è dovuta, al contrario, principalmente, all'old-economy. Sarebbe sufficiente analizzare l'andamento, sul Dow Jones, di un titolo come General Motors che e' salito dai minimi del 2006 di un 130/140% senza alcuna seria motivazione e senza che i problemi siano stati mnimamente risolti. Basterebbe pensare che la Ford, alcuni giorni fa, dopo aver riportato il maggior disavanzo della sua storia, fu premiata dalla Borsa perchè annunciò dei licenziamenti!

Oppure potremmo prendere in considerazione un titolo quale Intel che, all'annuncio delle trimestrali (è accaduto per gli ultimi due trimestri) perde oltre il 4% e, sucessivamente, in maniera "miracolistica" li recupera come se le trimestrali non fossero uscite. Le medesime considerazioni le potremmo

fare per Citigroup che pur riportando utili in contrazione del 28%, anzichè scendere notevolmente, è rimasto pressocchè immobile. Cio' si e' ripetuto per Ibm, Microsoft che si è salvata per le previsioni oltremodo ottimistiche sul lancio del nuovo programma che potrebbe rivelarsi anche un flop per via dei costi e della eccessiva memoria che il nuovo programma andrebbe ad impegnare in ogni PC.

Restando, per un attimo ancora, in America, abbiamo visto ieri il dato sul Pil cresciuto, oltre ogni previsione, al 3,5%. Al contrario l'indice PMI di Chicago di gennaio è sceso a 48,8 punti contro una previsione di 52, e ha quindi indicato una contrazione netta, se è vero, come sempre è stato affermato, che un valore sotto i 50 punti segnala una contrazione.

La differenza tra i due dati è che quello sul Pil si riferisce al trimestre già concluso, mentre quello sul PMI si riferisce al mese di gennaio. All'uscta dei dati i mercati erano tutti negativi ed il Nasdaq, ad esempio, era arrivato a perdere lo 0,60%. Dopo il laconico comunicato della Fed che, come sempre, diceva e non diceva, i mercati sono scattati al rialzo come se i tassi d'interesse anzichè restare fermi al 5,25%, dopo ben diciassette rialzi consecutivi, fossero stati abbassati. Non solo non sono stati abbassati, ma nessuno ha detto o fatto intuire che ciò avverrà.

Questo tipo di comportamento dei mercati si è verificato SEMPRE da quando si è insediato l'enigmatico Bernanke a capo della Fed. E' un chiarissimo sintomo di bolla. I mercati crescono in base alle chiacchiere e non ai dati reali. Ieri, inolte, per il quinto trimestre consecutivo, è scesa la spesa per le costruzioni (-0,40%) contro il "consensus" che la dava invariata. Probabilmente, come quasi sempre accaduto, oggi stesso si potrebbe avere il primo ripiegamento.

In Europa, ove i tassi d'interesse sono ancora ben al di sotto di quelli americani, è arrivato, ancora una volta, l'effetto leva che, al contrario, quando W. Street scende, stranamente, non si manifesta. Vengono dimenticati gli allarmi utili di D.Telekom o la vistosa contrazione degli utili e ricavi di France Telecom. Ogni giorno assistiamo alla crescita di un titolo quale Enel, spinto quotidianamente da giudizi sempre più positivi come se un multiplo di circa 17 volte gli utili, per una utility fosse poco!! Sarebbe suficiente pensare che i titoli del settore oil con utili ben maggiori scambiano a un P/E di 10(Eni scambia a 9,15 ).

Il ragionamento della crescita dal Lunedi al Giovedì è validissimo perchè attualmente si va a caccia di un guadagno settimanale liberandosene poi il Venerdì per rincominciare il Lunedì successivo. Questo giochetto fu fatto, in maniera più evidente, proprio nel 2.000. Quando poi, improvvisamente scompariranno, come a quei tempi, gli acquirenti, inizierà lo scoppio, che non mi sembra poi tanto lontano. Per non parlare del Giappone ove i tassi sono ancora allo 0,25% e non si ha ancora il coraggio di portarli almeno all'1% pur di sostenere la debolezza dello yen e di favorire l'export!!!

Tornando al mercato italiano, sorge il dubbio sui giudizi oltremodo positivi che negli ultimi tempi si stanno susseguendo su Snam R.Gas, Terna e Saipem che scambiano ai seguenti P/E:
Snam R.Gas: 19,64
Terna: 16,54
Saipem: 22,88
Viene logico chiedersi se non vi sia in giro qualche giudizio oltremodo interessato da parte di qualche banca d'affari per le dismissioni che dovranno essere fatte da Eni ed Enel con laute prebende per quelle banche che riceveranno l'incarico, altrimenti non si potrebbero assolutamente giustificare tali multipli assurdi. Eni è in linea con i P/E delle consorelle. Sono Enel, Terna, Saipem, Snam R.Gas che scambiano a un rapporto prezzo utili innaturale per il settore a cui appartengono, così come lo sono i bancari nostrani e gli assicurativi nei confronti delle loro "consorelle europee". Nessuno ha ancora considerato che con l'abolizione dell'assurdo balzello trimestrale che esisteva sul massimo scoperto di ogni c.c. con affidamento, le banche perderanno circa quarantamiliardi di euro!! Altra bolla in giro!.Che dire infine del premio innaturale al quale scambiano ancora (nonostante una correzione apparente gia' avvenuta) titoli quali Generali, Alleanza, Mediobanca!

Bonifacio

 

(01 febbraio 2007)

 


 

Da L’Unità 31-1-2007 Partito Democratico, ecco la "mozione Fassino"

 

Il percorso verso il Partito Democratico va avanti. Ed è già pronta la "mozione Fassino", quella che il segretario Ds presenterà a nome della maggioranza al VI congresso della Quercia chiamata a dare il via libera appunto al Partito democratico. La mozione sarà presentata ufficialmente il 6 febbraio, ma già da giovedì sarà disponibile online sul sito del partito.

Diciannove paragrafi, da "Inizia una nuova storia" a "Un dibattito libero per unire, non per dividere", 31 cartelle per illustrare la «missione storica» al quale il nuovo partito riformista sarà chiamato per guidare «una nuova tappa della "rivoluzione democratica" italiana». Ed è «sfida» la parola che più volte ricorre nel testo con il quale il leader della Quercia chiederà agli iscritti il sì ad aprire il cantiere del Pd e la riconferma della sua segreteria.

«L´Italia è a un passaggio cruciale della sua storia - dice Fassino nella bozza -. È in discussione il suo futuro nel mondo nuovo che si sta formando. Questo è il compito del prossimo congresso: costruire una più grande e nuova forza riformista, di rango europeo: il Partito Democratico. Una svolta non solo necessaria. Possibile!». «Il mondo, relativamente piccolo, della guerra fredda - è l'analisi da cui parte Fassino - non esiste più. È un mondo nuovo e niente sarà più come prima. Tutto ciò che ci fece grandi nel piccolo mondo non serve più, è senza prospettive».

Fallito il progetto di Berlusconi, tocca al centrosinistra aprire «un ciclo nuovo nella vita dell'Italia». Perché, e qui il leader Ds cita Antonio Gramsci, «il problema italiano è più che mai quello di una "riforma intellettuale e morale", potremmo dire di una 'autoriforma civilè». Il Pd serve dunque «per dare all'Italia una nuova stagione della democrazia» e al tempo stesso, aggiungerà più avanti il leader della Quercia, per portare a termine «la lunga transizione italiana che ha preso le mosse nell´89». «Un nuovo pensiero per un nuovo secolo» è il paragrafo nel quale il leader della Quercia afferma che «sono i tratti intorno a cui si è costruita l'esperienza della sinistra e del riformismo del Novecento ad essere messi in discussione». Quindi, «abbiamo bisogno non di rinnegare il passato ma reinventare i suoi valori, elaborando un pensiero nuovo», che non è «solo l'assemblaggio di pensieri vecchi», ma può nascere solo se «le diverse culture riformiste italiane, socialista, cattolico democratica, liberaldemocratica, ambientalista, vanno oltre la parzialità delle loro singole esperienze per incontrarsi e insieme, con il Pd, dare rappresentanza politica unitaria al riformismo». Il segretario Ds ricorda il cammino compiuto dalla nascita dell'Ulivo ed invita a «compiere l'ultimo tratto di strada». Perché l'intesa tra Ds e Dl «è indispensabile ma non basta».

La "questione socialista"

Fassino vede nell'apertura del Pd alle forze socialiste, come lo Sdi, «la soluzione alla "questione socialista" apertasi con la crisi dell'inizio anni '90». Perché «non si può pensare di unire il riformismo italiano senza l'apporto di quella grande storia politica che - da Matteotti a Buozzi, da Saragat a Nenni, da Morandi a Lombardi, da De Martino a Craxi - ha rappresentato un filone culturale e politico essenziale della sinistra riformista italiana». Anzi, «una forte "unità socialista" irrobustirebbe il ruolo della sinistra nella costruzione del Pd».

Il sistema elettorale

«Per noi il sistema ottimale per l'Italia resta il collegio uninominale a doppio turno», scrive Fassino. «Siamo disponibili senza pregiudizi a discutere anche soluzioni diverse purché rafforzino il bipolarismo e la coesione delle coalizioni, favoriscano una minore frammentazione politica, recuperino il necessario radicamento territoriale degli eletti e assicurino l'applicazione dell'articolo 51 sull'equilibrio di rappresentanza di uomini e donne».

Ai paragrafi 10 e 11 Fassino prende posizione sui nodi della laicità e della collocazione europea. «Il Pd sarà un partito laico, che non si sottrarrà ad affrontare quei temi (coppie di fatto, testamento biologico, fecondazione assistita) sui cui vi è una nuova e più matura sensibilità nella società di oggi», anche perché «su questi temi noi non ci rassegniamo alla coabitazione di diversità inconciliabili nel nome della libertà di coscienza», ma «continueremo ad impegnarci nella ricerca di incontro e sintesi condivise». Quanto al Pse, la posizione del segretario resta la stessa: «È con il Pse che il Pd dovrà operare per il comune obiettivo di dar vita ad un campo riformista più ampio e giocare così un ruolo rilevante sullo scenario europeo ed internazionale». Fassino elenca gli esempi della «coraggiosa innovazione» del socialismo europeo «forte», come Tony Blair e Zapatero, e dimostra che anche «l'Internazionale socialista è da tempo un'organizzazione aperta e plurale». Da lì l'invito ai Dl non «a riconoscersi ideologicamente e astrattamente alla socialdemocrazia», ma ad un impegno comune con il Pse «per una nuova stagione del riformismo anche in Europa». Nel paragrafo dedicato alla forma partito (un partito «vero» ma anche «aperto e democratico») Fassino sollecita alla «radicale innovazione» della politica per affermare «il rigore etico e civile, la coerenza, la trasparenza e la sobrietà dei costi della politica». Ed il pensiero corre all´«alta lezione morale» di Enrico Berlinguer.

L´apertura alle minoranze

Dopo 30 pagine di ragioni e la puntualizzazione sul fatto che il futuro sarà ben saldo a sinistra, il leader Ds chiede agli iscritti il mandato per fare un partito che non sia «una semplice federazione», ed elenca le tappe del processo costituente: dopo il congresso «si avviino subito le procedure per la convocazione dell'Assemblea Costituente in cui definire Manifesto e Statuto». E l'orizzonte temporale «massimo» restano le europee del 2009. Alcune frasi sono dedicate alle perplessità di Mussi. Pur cosciente di «interrogativi, dubbi, inquietudini e contrarietà, che muovono da sentimenti sinceri», l'appello finale di Fassino è a «una discussione unitaria e aperta». «Tutti - afferma il segretario Ds - siamo orgogliosi della nostra storia e tutti siamo mossi dalla volontà di dare alla sinistra, ai suoi valori, il più grande slancio». Ma è proprio dalla consapevolezza del «nuovo viaggio» perché nel Pd «i Ds non solo non smarriscono la loro identità ed il senso del loro esistere ma possono ambire ad un riformismo alto e nuovo».

Pubblicato il 31.01.07

 

 


 

Da La Repubblica 1-2-2007 Cibi spazzatura e sanità solo per ricchi: gli Usa perdono il record dei più alti

Sono gli olandesi i "giganti" del mondo, seguiti da norvegesi, danesi e tedeschi
Migliori sistemi sanitari e alimentazione più sana avvantaggiano gli europei

ROMA - Abituati da duecento anni ad essere considerati il popolo più alto del pianeta, gli americani si trovano ora scavalcati dagli europei. Non solo il primato gli è stato strappato dagli olandesi - più alti di ben 4,7 centimetri i maschi e 5,7 le donne - ma sono anche scivolati al quinto posto, dietro a norvegesi, danesi e tedeschi.

Cosa è successo? La statura ha uno stretto legame con il benessere e con le sane abitudini alimentari, dicono gli autori dello studio pubblicato sulla rivista Annals of Human Biology. John Komlos, professore di storia economica all'università di Monaco e Benjamin Lauderdale, politico all'università di Princeton, imputano alla enorme diffusione del "cibo spazzatura" dei fast food il rallentamento della crescita dei cittadini statunitensi. Una moda che sta uniformando la scala sociale: per motivi diversi, sia i milioni di americani al di sotto della soglia della povertà che i ricchi tendono a diventare più larghi che alti.

Resterebbe da spiegare perché, al contrario, gli olandesi siano oggi i più alti del pianeta, con i loro 184,2 centimetri di media. Il professor Komslos, una delle massime autorità in materia di storia antropometrica - una disciplina che studia le variazioni della statura in relazione a fattori sociali, economici e ambientali. - pensa che il fenomeno sia da attribuire agli ottimi sistemi sanitari dei Paesi del Nord Europa. Al contrario, dice il professore, negli States solo i più ricchi possono permettersi una sanità migliore.
Dai dati statistici risulta infatti che il ritmo di crescita degli americani nati a partire dagli anni Cinquanta sia inferiore a quello delle precedenti generazioni. E non solo per i bianchi: anche la popolazione di colore si è fermata nella crescita. Durante la prima guerra mondiale, il soldato americano medio era più alto di qualche centimetro del tedesco, ma in un momento imprecisato intorno al 1955 la situazione ha cominciato a capovolgersi.

(1 febbraio 2007)

 

 

 

 


INDICE 1-2-2007

Da La Repubblica 1-2-2007 L'allarme della Corte dei Conti "Ancora troppi casi di corruzione" Francesco Staderini 91

Le relazioni del presidente Staderini e del Pg De Rose all'inaugurazione dell'anno giudiziario. Critiche ai tentativi di "sanatorie contabili improvvisate" 91

Da La Repubblica 31-1-2007 Ambiente, Ubs analizza "l'economia dell'effetto serra" 93

Da La Repubblica 1-2-2007 Banche, in Italia le carte  costano quattro volte in più  94

Da Il Sole 24 ore 31-1-2007 Ue: troppo alti i costi dei cc e poca concorrenza nel mercato delle carte di pagamento di Antonio Pollio Salimbeni 94

Dal Sole 24 Ore 31-1-2007 Sotto l'occhio del Kgb gli investimenti stranieri in Russia nei settori strategici di Piero Sinatti 95

 

 

 

Da La Repubblica 1-2-2007 L'allarme della Corte dei Conti "Ancora troppi casi di corruzione" Francesco Staderini

Le relazioni del presidente Staderini e del Pg De Rose all'inaugurazione
dell'anno giudiziario. Critiche ai tentativi di "sanatorie contabili improvvisate"

Coperture incerte per il contratto degli statali
Rischi di squilibrio per la spesa sanitaria

 


ROMA - La corruzione nella pubblica amministrazione non sembra "attenuarsi" e sarebbe grave procedere a sanatorie contabili "improvvisate". All'inaugurazione dell'anno giudiziario è doppio l'appello che arriva dai vertici della Corte dei Conti. Con il procuratore generale Claudio De Rose che si sofferma, per criticarlo, sul cosidetto comma Fuda, la modifica (poi corretta) in Finanziaria che avrebbe decurtato i termini di prescrizione per l'azione di responsabilità da illecito contabile. Mentre il presidente Francesco Staderini sottolinea l'ampiezza del fenomeno corruttivo nella pubblica amministrazione e mette nel mirino "la rilevanza numerica che hanno assunto i giudizi di responsabilità riguardanti fatti già oggetto di accertamenti da parte del giudice penale in materia di peculato, di fatti corruttivi, di appropriazione indebita, spesso connessi ad attività di verifica fiscale o appalto di opere pubbliche o pubbliche forniture".

"Stop a provvedimenti estemporanei".
Nella relazione De Rose invita il governo a evitare "provvedimenti normativi estemporanei, se non addirittura improvvisati". "Se governo e Parlamento intendono modificare le norme che regolano l'attività e le competenze della magistratura contabile - prosegue De Rose mentre ad ascoltarlo ci sono il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e i vertici delle istituzioni - vi si pervenga con disegni di legge organici supportati da un'adeguata analisi della realtà di fatto e di diritto su cui vanno ad incidere". Il pg riconosce comunque al governo di aver "prontamente corrisposto alla necessità di impedire, con decreto legge, l'efficacia" del cosiddetto comma Fuda. E, per evitare che si ripetano 'incidenti' come quello del maxiemendamento alla Finanziaria 2007 o norme con "effetti dirompenti" come il condono erariale del 2006, De Rose propone di ripristinare il parere preventivo della Corte dei Conti sui provvedimenti legislativi che la riguardano.

Processi più lenti.
Il condono erariale inserito con la Finanziaria 2006 che consentiva ai condannati in primo grado di definire il giudizio d'appello pagando una percentuale (tra il 10 e il 30%) delle somme indicate nella sentenza impugnata "ha reso più difficoltosa la gestione dei processi d'appello". E' severo il giudizio di Francesco Staderini, che trova sponda nelle parole di De Rose, che ha parlato di "sfasature e anomalie processuali". "Il condono - prosegue Staderini - ha comportato sovente il rinvio delle udienze di trattazione nel merito finendo con il determinare un aggravamento, anzichè un'accelerazione, dei tempi processuali".

Il presidente della Corte dei Conti ha poi fornito i dati delle richieste di condono erariale: nel 2006 sono state presentate 171 istanze di definizione anticipata del giudizio rispetto ad appelli già pendenti al 31 dicembre 2005. Per gli appelli nuovi, a fronte dei 620 presentati nel 2006, sono state prodotte 216 istanze: 82 le accolte e 121 quelle respinte avendo i giudici escluso, in via interpretativa l'ammissibilità al beneficio dei soggetti condannati in primo grado a titolo di dolo e di illecito arricchimento".

Sanzioni e dipendenti.
La pubblica amministrazione può fare veramente poco contro i dipendenti infedeli e le sanzioni sono inefficaci. La Corte dei Conti punta il dito contro i condannati per reati contro l'amministrazione. "La lunghezza dei procedimenti penali - dice Staderini- la pregiudiziale penale all'esercizio della funzione disciplinare, le difficoltà alla utilizzazione, nel procedimento disciplinare, degli accertamenti compiuti dal giudice, allontanano poi nel tempo, svuotandole anche della loro efficacia deterrente le sanzioni ai dipendenti infedeli".

 

 


Anomalie nei ministeri.
Le spese dei Ministeri non sfuggono al controllo della Corte dei Conti che segnala anomalie procedurali e contabili. Il presidente della Corte dei Conti, nella sua relazione spiega che nel 2006 "l'ambito delle verifiche è tuttavia ancora circoscritto, se comparato all'universo dei titoli di spesa, oltre cinque milioni, annualmente emessi".

Spesa sanitaria.
Attenzione ai rischi di squilibrio per la spesa sanitaria. Questo in sostanza uno degli 'inviti' del presidente della Corte dei Conti, che segnala alcune tra le cause più ricorrenti di rischio per le Regioni e gli organi delle aziende sanitarie: dal mancato rispetto dei criteri di rilevazione e valutazione stabiliti dal codice civile e dai principi contabili nazionali alla sistematica sottovalutazione dei costi relativi alle prestazioni acquisite da strutture esterne.

Cumulo pensionistico.
E' "auspicabile un intervento del legislatore" per fare chiarezza sui "limiti entro i quali possa essere consentito il cumulo delle indennità integrative speciali o delle indennità similari" dice De Rose, che sollecita un intervento da parte del Parlamento.

Spesa e bilancio. Il costo del lavoro e il rinnovo di alcuni contatti del pubblico impiego finiscono sotto la lente della Corte dei Conti. Il presidente Staderini sottolinea che "la spesa per il personale è, infatti, tra quelle che incidono più fortemente sui bilanci pubblici, circostanza questa, che ha orientato il legislatore nella scelta di affidare alla Corte il compito di elaborare una specifica relazione sulla gestione delle complessive risorse finanziarie destinate al personale pubblico".

Ministeri e immobili.
La Corte dei Conti si dice allarmata per alcuni casi di 'occupazione' irregolare di immobili da parte di alcuni Ministeri. Alcuni Ministeri, ha ricordato De Rose, "effettuano da anni dichiarazioni di debito perché occupano senza contratto, immobili a fini d'ufficio, sottostando quindi alle condizioni del proprietario e senza porsi neppure il problema di regolarizzare la situazione o di verificare la convenienza a protrarre l'occupazione irregolare".

(1 febbraio 2007)Dal Sole 24 Ore 30-1-2007 Varata la riforma dei servizi segreti, Sie e Sin al posto di Sismi e Sisde


I servizi segreti cambiano. E cambiano in maniera epocale. Al posto di Sismi e Sisde arrivano il Sie (Servizio di informazione per la sicurezza esterna) e il Sin (per la sicurezza interna). Aumenta il numero dei componenti del Comitato parlamentare
di controllo sui Servizi (Copaco) che passano da 8 a 10. Almeno stando al testo licenziato stanotte dalla commissione Affari Costituzionali della Camera che dovrà ora essere analizzato dalle commisioni Esteri, Giustizia, Difesa, Lavoro e Bilancio per il parere definitivo. Lunedì il testo sarà discusso in Aula. Per le operazioni «sporche», vale a dire quelle che prevedono dei possibili reati gli agenti segreti dovranno avere l'autorizzazione dal Presidente del Consiglio. Questi reati non potranno comunque mettere in pericolo o ledere la vita, l'integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la salute o l'incolumità delle persone. In ogni caso nessuna operazione «sporca» potrà riguardare partiti politici, sindacati e giornalisti iscritti nell'albo dei professionisti.

La responsabilità politica dei servizi segreti è e rimane del Presidente del Consiglio mentre il Comitato parlamentare di controllo sui servzi segreti passa da otto a dieci componenti ed aumentano i suoi poteri di controllo -, ma non d'inchiesta -, anche per quel che riguarda la contabilità. Se un membro del Copaco viola il segreto e viene individuato, decade. Il segreto di Stato durerà 15 anni, rinnovabili per altri 15 e dunque per un massimo di 30. I parenti degli agenti segreti possono entrare nel servizio solo attraverso un concorso mentre i familiari dei direttori non possono entrare comunque.

Il Presidente del Consiglio comunica in anticipo al Copaco i nomi scelti per i vertici dei servizi il cui presidente è sempre un rappresentante della minoranza. Vietate operazioni improprie nei confronti di sedi di partito o sindacato e di giornalisti professionisti. Il premier potrà scegliere: o si tiene lui tutte le competenze o le può delegare a due autorità, o ad un ministro senza portafoglio o ad un sottosegretario.

Il Sin e il Sie saranno le due nuove strutture di intelligence. Il primo si dovrà occupare della sicurezza interna, il secondo di quella esterna. Entrambi dovranno rispondere al presidente del Consiglio. Ma il Sin avrà come referente il ministro dell'Interno, mentre il Sie quelli della Difesa e degli Affari Esteri. Coordinerà l'attività delle due strutture il DIS (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza) che avrà anche il compito di controllare che Sin e Sie rispettino leggi e regolamenti. Il Sie potrà operare in Italia solo in collaborazione con il Sin e solo quando si tratti di operazioni in stretto collegamento con l'attività che il Sie svolge all'estero.

Presso il Dis verrà istituito un ufficio ispettivo che potrà svolgere anche inchieste
interne. Ma il Dis dovrà anche vigilare sul rispetto delle disposizioni del premier in tema di segreto di Stato. E a questo compito sarà preposto l'Ucse (l'Ufficio centrale per la segretezza) istituito sempre nell'ambito del Dis che dovrà anche occuparsi dei Nos (Nulla osta di sicurezza). Poi, sempre all'interno del Dis è istituito l'Ufficio centrale degli Archivi (Uca) che diventerà il custode dei segreti archiviati. Sarà creata anche una Scuola per la formazione del personale. Nomina e revoca del direttore generale spettano al premier. Quanto al Cisr prenderà il posto dell'attuale Cesis e sarà composto da premier, eventuale autorità delegata (ministro o sottosegretario) e da ministri dell'Interno, della Difesa e degli Esteri. Il direttore del Dis svolgerà le funzioni di segretario del Comitato. Tra i compiti del Cisr: elaborare gli indirizzi generali dell'azione di intelligence e deliberare sui bilanci preventivi e consultivi.
Il presidente del Consiglio può ottenere qualsiasi documento dall'autorità giudiziaria utile all'attività di intelligence. Anche il magistrato può chiedere di acquisire atti agli '007'. In caso di rifiuto od omissione, il premier potrà ordinare l'immediata consegna di ciò che manca oppure confermare l'inesistenza dei dati richiesti. Se poi questi sono segreti, sempre il premier dovrà confermare entro 60 giorni l' apposizione del segreto di Stato. In caso di silenzio, i dati dovranno essere acquisiti.
L'agente potrà commettere reati, ma dovrà essere autorizzato di volta in volta. Questa causa di giustificazione enon potrà essere applicata nel caso di delitti «specificamente diretti a mettere in pericolo o a ledere» vita, integrità fisica, personalità, libertà (personale e morale), salute o incolumità delle persone. Nè quando si tratta di attentati contro organi costituzionali, assemblee regionali, diritti politici del cittadino. Salvo «che si tratti di condotte di favoreggiamento personale o reale» necessarie. L'autorizzazione dovrà essere data dal premier che potrà anche revocarla. Non si potranno mai condurre 'operazioni improprie «nei confronti di sedi di partiti e sindacati o di giornalisti iscritti all'albo. In caso di particolare urgenza, il permesso potrà essere dato anche del capo del Servizio che però dovrà comunicarlo entro 24 ore al premier. Se l'agente andrà oltre il permesso ottenuto, il capo del governo dovrà informarne l' autorità giudiziaria; se invece bara per avere il via libera rischia il carcere da 2 a 5 anni. Chiunque utilizzi illegittimamente archivi riservati dei Servizi o ne istituisca di alternativi potrà essere condannato dai 3 ai 10 anni. Se il magistrato viene a conoscenza di operazioni di intelligence attraverso delle intercettazioni, ne dovrà informare il presidente del Consiglio per sapere se sono coperte da segreto. Se il premier entro 10 giorni non risponde, significa che il segreto non c'è. Per quanto riguarda il Copaco aumentano i componenti, da 8 a 10. Il premier dovrà informarlo delle nomine dei vertici dei Servizi. Potrà audire senza autorizzazione preventiva il premier e i vertici dei Servizi, ma per sentire gli agenti dovrà comunicarlo prima al capo del governo che dovrà motivare il suo diniego. Può chiedere qualsiasi atto. In caso di rifiuto per particolare segretezza della questione (che non potrà mai esserci nel caso di fatti eversivi dell'ordine costituzionale), il Copaco potrà rivolgersi al premier che dovrà pronunciarsi entro 30 giorni. In caso di silenzio o di nuovo no da parte di quest'ultimo, il Copaco potrà riferirne ai presidenti delle Camere. Il Comitato potrà anche controllare le spese sostenute per operazioni concluse. Chi viola il segreto sarà revocato dal Copaco.

Il segreto di stato dura 15 anni, ma si può rinnovare per altri 15. E ci sono 4 classifiche attribuibili: segretissimo, segreto, riservatissimo e riservato (hanno tolto la quinta vietata la divulgazione). Non potrà mai essere opposto alla Consulta.


 

Da La Repubblica 31-1-2007 Ambiente, Ubs analizza "l'economia dell'effetto serra"


MILANO - IL cambiamento rappresenta "una realtà indiscutibile" e occorre riflettere su "un'economia dell'effetto serra". Così sottolinea uno studio di Ubs che analizza i possibili rischi cui sono esposte le imprese, ma dice anche che "è difficile stabilire chi vince e chi perde". Lo studio individua comunque i settori più vulnerabili al mutare delle condizioni meteo, tra cui pesca, agricoltura, selvicoltura, centrali idriche.

Tra gli altri settori particolarmente influenzabili dalle condizioni climatiche estreme individuati dagli esperti di Ubs ci sono anche "le attività ad alto consumo idrico, ma anche il turismo, la sanità, le assicurazioni e le attività influenzate dalle tempeste quali l'estrazione di petrolio offshore". Uno scenario che, sostiene il rapporto, comporta una serie di rischi per le imprese, che potrebbero infatti essere esposte a "normative più severe, un maggiore deterioramento delle proprietà materiali, il calo di entrate, i danni alla reputazione". Non di meno tale prospettiva presenta anche alcune opportunità. Più le persone saranno incoraggiate a limitare le emissioni di gas serra, "maggiori - secondo lo studio - saranno le opportunità d'investimento legate al contenimento degli effetti del cambiamento climatico". Tale occasioni sono suddivise in due categorie distinte: quella che comprende i prodotti e processi caratterizzati da una maggiore efficienza energetica e quello che riguarda lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili, a basso contenuto di carbonio. "Questi settori e le aree d'investimento al loro interno - conclude il rapporto - sono ben posizionati per beneficiare delle condizioni climatiche in mutamento e delle nuove normative".

L'economia da effetto serra nasce, secondo l'analisi di Ubs, dal fatto che sono sì "già disponibili le soluzioni tecnologiche per contenere le emissioni di gas serra", ma "le misure prese a livello globale per creare incentivi alla loro riduzione sono praticamente inesistenti". La variabile principale per determinare le conseguenze del cambiamento climatico è quindi rappresentata dal futuro quadro normativo. Un'analisi che scaturisce soprattutto da tre elementi: le emissioni di gas serra non comportano ancora dei costi", vi sono poche alternative concorrenziali ai combustibili fossili e, infine, l'energia riveste una grande importanza strategica a livello nazionale. Gli esperti di ubs, scendendo nei dettagli dei singoli settori di attività, ritengono che tra i settori direttamente esposti alle emissioni di gas troviamo alluminio, cemento, chimica, naturalmente petrolio e gas, servizi e acciaio. Tra quelli indiretti auto, aviazione, costruzioni, attrezzature elettroniche e ancora petrolio e gas. A livello operativo risentiranno dei mutamenti del clima anche agricoltura, pesca, selvicoltura, assicurazioni, immobiliare, turismo e servizi idrici. Le migliori opportunità, sempre secondo lo studio della banca, potrebbero risiedere nelle fonti rinnovabili (bio-carburanti, energia geotermica, fotovoltaica, solare e eolica) e anche in una migliore efficienza nel processo e nei prodotti legati all'energia (propulsione ibrida per l'auto, applicativi più parsimoniosi), infrastrutture più high tech, isolamento termico, illuminazione più economica.

31/01/2007 - 17:45


 

Da La Repubblica 1-2-2007 Banche, in Italia le carte  costano quattro volte in più


MILANO - "Per accettare la stessa carta di credito, un commerciante può pagare una cifra di quattro volte superiore a quella pagata in altri paesi europei". A rilevarlo è stata la commissaria europea responsabile della Concorrenza, Neelie Kroes che, nel corso di una conferenza stampa, ha inserito tra i paesi nel mirino l'Italia. La Kroes, sulle carte di pagamento transfrontaliere denuncia "l'esistenza di un duopolio di fatto". "Noi sappiamo che in Belgio - spiega la commissaria, a titolo di esempio - il passaggio da Bancomat a Maestro comporterà un aumento dei prezzi e seguiamo attentamente". In generale i costi sono spesso molto alti, ed "a pagare le spese è in definitiva il consumatore - avverte la Kroes - perchè il commerciante ripercuote i costi delle carte di pagamento sui prezzi al dettaglio, quindi su tutti i consumatori, che utilizzino le carte o paghino in contanti".

Il settore bancario al dettaglio europeo è caratterizzato da elevate barriere alla concorrenza, che penalizzano allo stesso tempo le aziende e i consumatori dell'Unione. Ne è convinta la Commissione Ue, che ha pubblicato oggi le conclusioni dell'indagine settoriale avviata dalla numero uno dell'Antitrust, Neelie Kroes, nel giugno del 2005. Il rapporto sottolinea le "preoccupazioni" dell'Esecutivo comunitario riguardo ai mercati delle carte di pagamento, ai sistemi di pagamento nonchè ai prodotti offerti alla clientela al dettaglio dagli istituti di credito.

"L'indagine ha riscontrato diffuse barriere alla concorrenza che aumentano inutilmente i costi dei servizi nel settore bancario al dettaglio per le imprese ed i consumatori europei - ha dichiarato la Commissaria Kroes -. La Commissione applicherà appieno i suoi poteri nell'ambito della legislazione sulla concorrenza per far fronte a queste barriere, nel mercato delle carte di pagamento e altrove, quando risultano da comportamenti anticompetitivi". In particolare, l'indagine rileva tra l'altro forti differenze nelle commissioni sulle carte di pagamento, barriere all'ingresso nei mercati per i sistemi di pagamento nonchè ostacoli alla mobilità dei clienti.

Ostacoli elevati a chi vuol trasferire il proprio conto bancario in un altro istituto di credito, una forte concentrazione del mercato, alte redditività delle banche, barriere all'ingresso di altri concorrenti. Sono solo alcuni sei segnali che denunciano in Europa "la presenza di numerosi ostacoli alla concorrenza nel mercato dei servizi bancari al dettaglio". Secondo il rapporto definitivo adottato oggi dalla Commissione Europea sui servizi bancari al dettaglio, Neelie Kroes, commissaria responsabile della concorrenza, si ripromette di "fare pieno uso dei suoi poteri per combatterli". Il settore delle carte di pagamento è importante e muove 1.350 miliardi di euro l'anno con commissioni bancarie per 25 miliardi. Nel suo insieme, il produce un reddito lordo annuo di 250-275 miliardi l'anno pari al 2% del PIL dell'UE. Ed i mercati, secondo lo studio settoriale lanciato nel giugno 2005, che ha già pubblicato due analisi intermedie, sono generalmente già frammentati dalle frontiere nazionali, da differenze di carattere regolamentare, giuridico e culturale. L'esempio di Austria, Finlandia e Portogallo secondo i servizi della concorrenza della Commissione Europea, dimostra tuttavia come sia possibile ottenere alcuni risultati attraverso l'autoregolamentazione. Si tratta di alcuni paesi ai quali la Commissione Europea si è rivolta dopo la pubblicazione del primo rapporto intermedio sulle carte di pagamento.

31/01/2007 - 17:15

 

 


 

Da Il Sole 24 ore 31-1-2007 Ue: troppo alti i costi dei cc e poca concorrenza nel mercato delle carte di pagamento di Antonio Pollio Salimbeni

«La Commissione europea farà pieno uso dei propri poteri per contrastare le barriere alla concorrenza nel mercato delle carte di pagamento e là dove sono dovute a comportamenti anticoncorrenziali». Presentando il rapporto finale sul settore retail bancario, la commissaria all'Antitrust europeo Neelie Kroes ha confermato di non avere alcuna intenzione di procedere con il guanto di velluto nel comparto. L'inchiesta ha confermato che «esistono barriere alla concorrenza diffuse con un aumento non necessario dei costi dei servizi al dettaglio per le imprese europee e i consumatori», ha aggiunto Kroes.

Diversi i rilievi dell'Antitrust contenuti nel rapporto: l'alta concentrazione dei mercati in molti stati particolarmente per le carte di pagamento può permettere alle banche "incumbent"(che detengono posizioni forti nel mercato) di ostacolare i nuovi entranti e caricare alte tariffe; preoccupano l'ampia variazione delle tariffe nella Ue, le ampie variazioni nelle tariffe di interscambio tra banche cross-border che non si traducono pienamente i tariffe più basse per chi possiede le carte. Bruxelles, in ogni caso, «non chiede tariffe zero» di interscambio. Inoltre nel mirino sono l'elevata e sostenuta profittabilità particolarmente nell'emissione di carte: «Ciò indica che le banche in alcuni stati godono in misura significativa di un potere di mercato e possono imporre alte tariffe alle imprese e ai consumatori»; le regole e le pratiche che indeboliscono la concorrenza a livello del dettaglio e la divergenza degli standard tecnici che impedisce a molti fornitori di servizi di agire con efficacia su scala paneuropea.

Bruxelles rileva che in Austria, Finlandia e Portogallo le imprese hanno cominciato ad affrontare tali temi sulla base delle preoccupazioni della Commissione europea. «Diverse barriere esistono anche nel settore dei pagamenti»: Bruxelles ritiene che l'efficienza debba essere migliorata e deve ridursi il costo dei pagamenti al dettaglio per i servizi resi al consumatore. Il mercato retail è frammentato in spazi nazionali, diviso da diversi fattori: barriere alla concorrenza, diversità nella regolazione, nella tradizione legale e culturale. Cinque i motivi di preoccupazione: in alcuni stati la congiunzione di alta profittabilità, alta concentrazione del mercato ed evidenza di barriere alla concorrenza rendono possibile alle banche di influenzare il livello dei prezzi; alcuni registri dei crediti, conservando dati confidenziali, possono essere utilizzati per escludere nuovi entranti; alcuni aspetti della cooperazione tra banche, incluse le casse di risparmio e le banche cooperative, possono ridurre la concorrenza e impedire l'ingresso di concorrenti; il legame tra prodotti, per esempio forzare un cliente ad acquistare una assicurazione extra o aprire un conto corrente, è largamente diffuso. «Ciò riduce la scelta dei consumatori e aumenta il potere della banca di influenzare i prezzi e ostacola la mobilità del cliente. Tali rischi sono «alti». L'inchiesta indica chiaramente «che i margini di profitto delle banche sono più bassi se il cliente è più mobile».

La Commissione ritiene che «l'applicazione della legge di concorrenza può migliorare l'operatività dei mercati: in alcuni casi raccomanda che sia l'industria a prendere misure per risolvere i problemi individuati dall'inchiesta». In ogni caso al momento non ha considerato «se sia necessaria una regolazione ulteriore nel settore retail». Quanto ai livelli di redditività, Bruxelles tiene a precisare che «l'inchiesta non affronta il problema se nelle banche europee è troppo alta o bassa» limitandosi a rilevare l'esistenza di una correlazione tra elevata concentrazione dei mercati, alta profittabilità ed evidenza di barriere all'entrata erette dalle banche "incumbent". Così come Bruxelles conferma la propria «neutralità» rispetto ai modelli di business, alla struttura delle banche e alla proprietà. Né viene proposta l'abolizione della tariffa di interscambio (la tariffa pagata all'emittente di carta di pagamento per ogni transazione al punto di vendita): Bruxelles si limita «ad assicurare che sia a un livello equo come risultato di una transazione che avviene in un contesto concorrenziale e sia sufficientemente trasparente per i partecipanti al mercato».

I costi dei conti correnti
Sono in Italia e Lussemburgo i costi più elevati per la clientela rispettivamente per mantenere e chiudere un conto corrente. È una delle indicazioni contenute nel rapporto tecnico finale della Commissione europea sulla concorrenza nel settore bancario retail in Europa. Il costo di gestione del conto in Italia è di 90 euro all'anno (40 euro in Germania); per chiuderlo 100 euro in Lussemburgo (in Italia 60 euro). In Italia e Germania nota però Bruxelles «la tariffa annuale per la gestione include un pacchetto di servizi gratuiti».
Nel rapporto si segnala che «in conseguenza di una decisione dell'Autorità nazionale del settembre 2006, i membri dell'Associazione Bancaria Italiana devono eliminare le
tariffe di chiusura» dei conti correnti. Nel corso di un briefing tecnico sul rapporto presentato oggi, la responsabile dell'unità servizi finanziari Irmfried Schwimann ha dichiarato che l'argomento dell'Abi secondo cui l'alto costo di mantenimento dei conti correnti in Italia dipende dalla quantità elevata di cointestazioni «va preso con molta prudenza, è ridicolo, perchè si può sostenere che ci sono molte cointestazioni proprio in quanto i costi sono elevati». Nello stesso rapporto tecnico della Commissione europea si afferma che «le caratteristiche dell'industria bancaria retail rendono difficile comparare prodotti simili e definire indicatori affidabili che permettano una valutazione della struttura competitiva». «Cionostante -prosegue il rapporto - il comportamento di prezzo delle banche fornisce alcune indicazioni iniziali del grado di concorrenza nel mercato».

La reazione delle banche
La Commissione europea sbaglia analisi, conclusioni e tempi. Pur dichiarandosi disponibile a «un dialogo costruttivo», la Federazione bancaria europea giudica sbagliato nelle conclusioni e nei tempi il rapporto finale sulle barriere alla concorrenza nel settore bancario retail. In un comunicato, la Fbe esprime «molte riserve su molti aspetti del rapporto, sulla metodologia seguita e si alcune delle conclusioni sui conti correnti e sui pagamenti in particolare sulle carte».
(agenzia radiocor)

Dal Sole 24 Ore 31-1-2007 Sotto l'occhio del Kgb gli investimenti stranieri in Russia nei settori strategici di Piero Sinatti

Nella seduta del governo di mercoledì, il premier russo Mikhajl Fradkov ha affermato che la partecipazione di investitori stranieri in industrie e società strategiche, in forma di acquisto di pacchetti di controllo e/o di gestione, sarà nell’immediato futuro regolamentata grazie alle misure previste da un ampio pacchetto di leggi, approvate dal governo dopo un lavoro di elaborazione di apposite commissioni durato circa un mese. Il ministro dell’industria e dell’energia Khristenko ha già indicato i settori da regolamentare. Essi riguardano direttamente la sicurezza del Paese: si tratta di industria e tecnologia bellica; produzione ed uso di tecnologie speciali; tecnologia aeronautica; produzione, uso e conservazione di materiale nucleare; costruzione di strutture nucleari; sottosuolo (gas, petrolio, minerali); monopoli naturali; materiali speciali e leghe destinate all’industrie bellica; biologia e malattie infettive.
Il campo è delimitato, ma significativo. Si tratta dei settori in cui la Russia è competitiva sui mercati internazionali e in cui presenta un elevato livello tecnologico. Alcuni di essi (nucleare, armamenti, materie prime ed energia) sono voci fondamentali del suo export.
«Se gli investitori esteri vogliono prendere parte allo sviluppo delle società e industrie di questo settore, la Russia non ha nei loro confronti preclusioni di principio – ha affermato il premier Fradkov. Tuttavia - ha precisato – non ci prepariamo ad aprire automaticamente agli stranieri che desiderano investirvi quelle imprese che hanno un significativo potenziale di competitività, non solo per il loro proprio sviluppo, ma più in generale per lo sviluppo dell’intera economia della Federazione russa ».
Da una parte ci sono i problemi legati al segreto di stato o se si vuole al segreto industriale. Dall’altro ci sono quelli legati all’interessi che la Russia ha nell’attirare anche in questi settori capitali e risorse stranieri. In altre parole, si potrebbe dire, il mercato e le necessità dell’economia

Contraddizioni nei settori strategici
L’ultimo esempio sono gli accordi siglati appena una settimana fa dal presidente Putin in India che riguardano in primo luogo le industrie belliche, l’aeronautica, il settore spaziale (“tecnologie speciali”) e quello nucleare. Essi implicano, chiaramente, un forte scambio di informazioni a livello scientifico e tecnico, oltre che a quello costruttivo. Lo stesso si può dire per le avances del settore aeronautico russo (in via di unificazione grazie alla holding OAK, Consorzio Aerei Riuniti, che comprende le società costruttrici di Sukhoi, Tupolev, Mig, Tupolev, Irkut) per incrementare la cooperazione e la partecipazione diretta russa in grandi imprese europee del settore, come l’EADS, il gruppo franco-tedesco-spagnolo che detiene l’80% di Airbus Industrie. Ci fu la proposta russa di portare al 10% (e perfino a un potere di blocco) la propria quota azionaria (per ora al 5%). Di questo si parlò, in particolare, durante i colloqui di Compiègne, lo scorso settembre tra i presidenti Chirac e Putin e la cancelliera tedesca Merkel. Quindi, la preoccupazione russa di controllare la destinazione e i fini degli investimenti stranieri, in sé legittima – specie se si considerano i contratti firmati da Mosca con le grandi società petrolifere straniere nei critici Anni Novanta di crisi di quegli stessi settori (a cominciare dal greggio), concedendo a queste ultime forti e varie agevolazioni – contrasta con le aperture della Russia verso l’esterno, in cui obiettivamente, viene meno la tradizionale “segreto-mania” russa (e a suo tempo sovietica, molto più radicale). A meno che nella cooperazione con settori high tech stranieri Mosca conti di acquisire tecnologie e risultati che da sola non potrebbe ottenere nel breve periodo. C’è anche da aggiungere che non poche sono state le obiezioni di settori politici tedeschi e francesi all’ingresso russo in un settore strategico, come quello dell’aeronautica.

A chi l’ultima parola
Nei meccanismi appena creati per controllare sia gli inviti alle società straniere perché partecipino a settori strategicamente importanti dell’economia, sia le quote azionarie che possono essere loro vendute, avrà fondamentale importanza una commissione governativa, presieduta dal premier, che sarà di fatto un organismo plenipotenziario per trattare con le società investitrici.
Tuttavia, accanto a questa Commissione governativa ci saranno strutture del Servizio federale di sicurezza (FSB), la cui presenza e il cui parere vincolerà le decisioni della Commissione governativa.
In una parola, la partecipazione dell’FSB alle decisioni riguardanti gli investimenti stranieri nei settori sopra indicati viene oltre che formalizzata , resa decisiva.
Quindi l’FSB avrà una funzione determinante nella politica degli IDE proposti a Mosca dalle società straniere. Sarà l’FSB a raccogliere i materiali e i dati sufficienti per il rifiuto o per l’accettazione. Anche se formalmente dovrebbe essere il premier a dire la parola decisiva e “in casi eccezionali” il Presidente.

I siloviki
Le comunicazioni di Fradkov e di Khristenko rimandano a un tema inevitabile. Quello del ruolo crescente che i siloviki , gli uomini degli “apparati della forza” (esercito, interni, procura, Servizi di sicurezza – FSB) , svolgono nell’economia russa, segnatamente nei settori strategici. Bastano due nomi soltanto a indicare la tendenza: quello del presidente del potente Rosoboronexport Chemezov – l’esportatore monopolista della produzione bellica – e quello del vicecapo dell’amministrazione del Cremlino Sechin che è stato chiamato a presiedere l’industria petrolifera statale Rosneft’, più di due anni fa ingranditasi grazie allo smembramento di Yukos. Entrambi provengono dal KGB, come del resto un altro silovik, il ministro della difesa e primo vicepremier Sergej Ivanov, che nel governo patrocina gli interessi, oltre che dell’esercito, del Complesso militare-industriale. Che l’FSB acquisisca un ruolo crescente nell’economia russa, lo dimostra il discorso che, non a caso nello stesso giorno delle dichiarazioni di Fradkov sul controllo degli investimenti stranieri, ha pronunciato il presidente Putin di fronte al Collegio (Consiglio) dell’FSB.
Dopo aver elogiato i Servizi di sicurezza per aver evitato allo stato una perdita di 47 miliardi di rubli nella lotta contro la corruzione e i crimini in campo economico, Putin ha indicato ai “cekisti” la necessità di impedire le fughe di informazioni tecnologiche, scientifiche e industriali dal Paese. «Informazioni cui è legata la capacità di concorrenza russa nei mercati mondiali».
Per questo, dopo aver detto che il budget 2006 ha visto un aumento del 27% del bilancio destinato all’FSB, Putin ha annunciato che anche nel 2007 la percentuale di crescita delle spese destinate ai “Servizi” sarà la stessa. Molto di più dell’incremento medio del bilancio complessivo. Aumento dei quadri ufficiali, delle dotazioni di armi, sedi e strutture sarà una priorità del governo.
Come si vede, il legame tra queste dichiarazioni e il ruolo che l’FSB avrà in un campo così sensibile come gli IDE potrebbe attestare un fatto politico di notevole importanza. La crescita dell’influenza dei siloviki nell’anno in cui si apre la grande stagione elettorale russa, dalle politiche di dicembre alle presidenziali della successione a Putin nel marzo 2008. Difficile dire se si tratti di un segno positivo per la Russia.