HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli
Archivio Piccola Rassegna
1/15 Febbraio 2007
INDICE Archivio - 1/15 FEBBRAIO
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++ Da Panorama 15-2-2007 Antonveneta, anche Fazio tra gli indagati
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++ Da ANSA 14-2-2007 Liberalizzazioni:pioggia emendamenti al dl,
critiche da AN
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++ Da AgenParl 15-2-2007 CALCIO:
COISP, PARLAMENTO PRONTO A CEDERE A LOBBY SU DECRETO ANTI VIOLENZA
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+ Da La Repubblica 15-2-2007 Br,
scoperto arsenale nel padovano "C'erano mitra, pistole e munizioni"
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+ Dal Corriere
della Sera 15-2-2007 E il
centrodestra riabilita Ilda «la rossa» Marco Galluzzo
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Da Il Giornale 15-2-2007 Corte dei Conti, sanità nel mirino Di
Patricia Tagliaferri
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Da Italia Oggi 15-2-2007 Fondi
statali, banca correa
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Da La Stampa 15-2-2007 La Corte dei Conti: 150 milioni dai
protagonisti di Calciopoli
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Da Il Sole 24 Ore 14-2-2007 Immobiliare: prezzi freddi per le case,
riparte il corporate
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Da prontoconsumatori.it 15-2-2007
Assicurazioni: indennizzo diretto incostituzionale ?
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Da Il Sole 24 Ore 13-2-2007 l terzo
viaggio del presidente cinese Hu Jintao in Africa.
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Da La Stampa 14-2-2007 Cade un mito:
Antonio e Cleopatra erano brutti
L'inchiesta nata nel 2005 dalla
fallita scalata della Bpi di Giampiero Fiorani ad Antonveneta si è
conclusa con l'avviso di garanzia a 84 persone, tra cui anche l'ex governatore
della Banca d'Italia
La procura di Milano ha depositato oggi l'avviso di chiusura indagini
nell'inchiesta nata nel 2005 dalla fallita scalata di Banca Popolare Italiana ad Antonveneta,
inviando oggi le notifiche a 84 persone fisiche indagate e nove società.
Fra gli indagati ci sono l'ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio, l'ex ad di Bpi Gianpiero
Fiorani, l'ex numero uno di Unipol Giovanni Consorte, il finanziere bresciano Emilio Gnutti
e l'immobiliarista romano Stefano Ricucci.
Fra le società destinatarie dell'avviso di chiusura inchiesta ci sono
fra le altre Bpi, Magiste, Fingruppo e Unipol. Le ipotesi di reato a
vario titolo e per i diversi indagati sono associazione per delinquere, aggiotaggio, insider trading, ostacolo all'attività di
vigilanza, abuso di informazioni privilegiate.
L'atto di chiusura indagini è il preludio alla presentazione delle
richieste di rinvio a giudizio da parte della procura che, in mancanza di
elementi nuovi, dopo un mese presenta a un gup le sue richieste di processo per
le persone e le società che elenca nel documento di chiusura.
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POL S0A QBXB LIBERALIZZAZIONI:PIOGGIA EMENDAMENTI DL,CRITICHE DA AN/
Roma, 15 Febbraio 2007 – AgenParl
– “Sul decreto legge contro la violenza negli stadi il Parlamento è
pronto a cedere ai poteri economici del calcio”. E' l'allarme lanciato dal
sindacato della Polizia Coisp
secondo il quale “dopo la prima unanime condivisione del provvedimento, dettata
dalla necessità di esprimere una posizione di facciata davanti alla
morte di un poliziotto, emergono ora preoccupanti considerazioni in sede di
conversione in legge del decreto.”
Secondo Franco Maccari, segretario
generale del Coisp, "quanto emerge dalla lettura dei resoconti dei lavori
delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia, riunite per discutere sui
contenuti del decreto legge 8 febbraio 2007 n. 8 per la successiva conversione
in Legge, è seriamente preoccupante perché il gruppo di norme
recanti nuovi e più incisivi strumenti sanzionatori contro il fenomeno
della violenza è stato preso di mira da alcuni membri delle commissioni
in questione”.
“E' stata espressa - spiega Maccari – una forte contrarietà ai nuovi
ambiti di applicazione del Daspo, il divieto di accedere a manifestazioni
sportive, ritenuto ingiusto nei confronti di chi ha tenuto una condotta
finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza. E’ stata inoltre
ritenuta da taluni eccessiva l’estensione dello stato di flagranza fino a 48
ore dal fatto ed anche l’innalzamento delle pene per le varie fattispecie di
reati. In buona sostanza, la lobby dal calcio ha fatto sapere che andava bene
com’era prima e che tanto “i morti fanno parte del sistema calcio”.
“Se la politica cederà ai poteri forti – conclude Maccari - snaturando
il provvedimento fortemente voluto dal nostro ministro Amato e dal ministro
Melandri, siamo pronti a far sentire forte la nostra protesta. Recapiteremo una
bara in Parlamento così che i nostri governanti possano tenerla al caldo
per il prossimo poliziotto che i delinquenti ammazzeranno. I morti dei
servitori dello Stato in questo Paese vengono dimenticati con una
facilità incredibile da chi dovrebbe rappresentare il popolo.”
ROMA - Un consistente deposito di armi nelle
campagne padovane è stato scoperto ieri dalla polizia nell'ambito delle
indagini sulla colonna veneta e milanese delle nuove Br. Lo ha rivelato il
viceministro dell'Interno, Marco Minniti, riferendo al Senato. "La polizia
coordinata dalla dottoressa Ilda Boccassini - ha detto Minniti - ha scoperto un
consistente deposito di armi nelle campagne padovane dove durante le indagini,
nel corso di pedinamenti degli indagati, gli stessi erano stati visti nell'atto
di occultare materiale".
La lista delle armi. "Sono stati sequestrati - ha precisato ancora
Minniti - un fucile mitragliatore kalashnikov con relativo caricatore; un mitra
Uzi con caricatore; una pistola mitragliatrice Skorpion; una pistola Sig Sauer;
una pistola colt calibro 38; un cannocchiale per fucile; due divise estive
della Guardia di finanza; tre giubbotti antiproiettile; varie fondine; una
parrucca; numeroso munizionamento di vario calibro in corso di
repertazione".
"Altro che sciagurati". "Quanto sequestrato - ha
sottolineato il viceministro - costituisce la dotazione delle cellule milanese
e padovana della formazione terroristica. Una dotazione di tutto rilievo che
testimonia da sola la pericolosità degli arrestati e il grado di
efficienza operativa raggiunta. Non ci può essere alcuna
sottovalutazione. Kalashinkov, mitragliatori Uzi, mitragliatrici Skorpion,
pistole varie... Francamente, un po' troppo per essere soltanto l'armamentario
di quattro sciagurati".
Solidarietà a Berlusconi. Minniti ha poi fornito ulteriori
dettagli sulle indagini che hanno portato all'arresto dei nuovi brigatisti,
precisando che gli obiettivi ipotizzati dai terroristi non hanno "mai
corso alcun diretto ed immediato pericolo". "Gli appartenenti al
gruppo - ha chiarito - avevano individuato un'ampia gamma di obiettivi, alcuni
oggetto di sopralluoghi, inchieste embrionali, altri solamente ipotizzati in
sede di conversazioni intercettate. La solidarietà del governo e mia
personale non può che andare a tutte queste persone: solidarietà
al presidente Berlusconi, al professsor Ichino, ai giornalisti di Libero agli
altri dirigenti industriali".
Situazione sotto controllo. Minniti ha voluto però sottolineare
che "nessuna delle persone o delle realtà minacciate dai piani
terroristici ha mai corso alcun diretto ed immediato pericolo", anche
perché l'indagine si è sempre curata di garantire la sicurezza delle persone
che risultavano minacciate e questa tutela è stata poi rinforzata
secondo il giudizio degli esperti. Una decisione naturale perché la nostra
attenzione è altissima".
(15 febbraio 2007)
La
Russa: è un grande investigatore. Pecorella: ma attenti a non correre
Considerata
il prototipo del magistrato politicizzato per i processi contro Berlusconi,
oggi i deputati della Cdl rivalutano la Boccassini
ROMA
— In
Forza Italia qualcuno azzarda i complimenti: «Un'operazione ben fatta, tanto di
cappello». Ignazio La Russa si spinge più in là, parla della
Boccassini come di «un grande investigatore», finalmente emendato da una
stagione politica che per anni ne ha offuscato le doti. La notizia è che
il centrodestra parla bene della signora Ilda Boccassini. Era una bestia nera.
L'hanno chiamata bolscevica. Comunista. Asservita al pregiudizio ideologico.
Capace di scegliere prima di tutto una tesi, spesso politica. Oggi in
Transatlantico i due maggiori partiti d'opposizione usano altri toni. Con la
massima cautela, per carità. Con accenni flebili di riabilitazione. Ma
per quello che era — ai loro occhi — il prototipo del magistrato schierato, del
pm che flirta con la sinistra, arrivano dopo anni di guerra parole meno forti,
più misurate, in alcuni casi di encomio.
Gaetano
Pecorella,
deputato azzurro, avvocato del Cavaliere, più di un processo «contro»
Ilda la Rossa, si esprime così: «E' una persona che non si è mai
risparmiata, e questo è certamente un merito. Spesso si è anche
distinta per non essere allineata con le tesi del pool di Milano. Ma stiamo
attenti a non correre, a non trasformare una buona operazione in indagine del
secolo. I nostri giudizi negativi su un modo di fare indagini e su un metodo
che troppe volte è apparso condizionato da tesi politiche restano tutti.
Dopodiché se i risultati saranno veramente quelli che oggi sembrano tanto di
cappello». Argomenti simili a quelli di Maurizio Lupi, anche lui
deputato, ciellino, milanese, cresciuto politicamente dentro Forza Italia:
«L'ho sempre considerata come un magistrato di parte, condizionata nella sua
azione dal pregiudizio ideologico. Ma poiché noi di Forza Italia siamo sempre
stati pronti a riconoscere il merito degli avversari, in questo caso, se
l'impianto probatorio sarà confermato, non si possono che fare i
complimenti per un'indagine che appare ben fatta».
Poco
distante in Transatlantico, Ignazio La Russa tiene quasi una conferenza
sulla Boccassini. La conosce bene, da almeno 20 anni. Ha sostenuto più
di una difesa in processi in cui la signora rappresentava l'accusa: «Erano i
tempi in cui Berlusconi mi chiamava ancora avvocato, ero persino considerato
amico di alcuni pm che negli anni sono diventati "nemici" del centrodestra.
Su Ilda posso dire questo: finita la fase "politica" della
magistratura, riemergono le doti investigative pure e Ilda ne ha da vendere,
è indubbiamente un grande investigatore». E Alfredo Mantovano,
senatore, magistrato in aspettativa, anche lui An, aggiunge che «le toghe si
valutano volta per volta, ogni giorno. Certo, rimangono alcuni giudizi, anche
la Cassazione ha detto che nel tempo sono state violate alcune regole. Ma oggi
la Boccassini ha fatto solo il suo dovere e bisogna dargliene atto».
Ovviamente
c'è ancora chi, soprattutto in Forza Italia, si scandalizza solo a
sentir parlare di riabilitazione. La parola Boccassini per tanti è quasi
ancora una parolaccia: la pronunci e i deputati scappano. E un'indagine non
vale a cancellare il passato, nemmeno se ha sventato pericoli contro l'ex
premier. Restano le tante inchieste giudicate politiche contro Silvio
Berlusconi, gli errori che gli azzurri le imputano e che non sono disposti a
perdonare. Antonio Verro, ex assessore forzista a Milano, oggi deputato,
la mette così: «Per una volta si è dimostrata null'altro che un
bravo pubblico ministero. Accade, per fortuna, anche a chi si è distinta
per un essere un modello di magistrato politicizzato, il prototipo di una
magistratura che per anni, e ancora oggi in alcuni casi, ha ritenuto di avere
una funzione di supplenza rispetto alla politica. Un ruolo che in alcuni casi,
troppi casi, non distingue più fra codice penale e giudizio storico o
sociale; fra voglia di perseguire realmente un reato e voglia di abbinare all'azione
penale il giudizio politico su una fatto, una persona, un comportamento, un
partito politico. Sarebbe bello se accadesse più spesso». Osvaldo
Napoli, anche lui forzista, conclude con una battuta: «Ha istruito tanti
processi politici, molti conclusi con l'assoluzione degli imputati. Oggi noto
con piacere che su un punto è d'accordo con Berlusconi: in Italia ci
sono ancora i comunisti e sono più pericolosi che mai».
ROMA - Un altolà senza sfumature al
cardinale Ruini, se davvero vuole imbrigliare nei precetti della Chiesa la
libertà di decisione politica sui Dico, un tempo noti come Pacs. Oscar
Luigi Scalfaro, presidente emerito della Repubblica e padre nobile del
centrosinistra, non è contrario alla mediazione Bindi-Pollastrini, e
teme la "distruzione" del cattolicesimo parlamentare se la Cei
dovesse lanciare diktat a chi riconosce il suo magistero. In sessant'anni -
dice - questo non è mai accaduto. Prima di correre certe avventure Ruini
dovrebbe avviare "un ampio esame" dentro l'assemblea dei vescovi.
Presidente Scalfaro, il Parlamento aspetta di sapere quale forma
assumerà il "non possumus" di Ruini sulle unioni di fatto. Che
cosa succederebbe se la Cei o il Papa avanzassero richieste
"vincolanti" per i politici cattolici?
"La Chiesa, pure nella fermezza dei suoi principi, non ha mai compiuto in
sessant'anni interventi che ponessero a un bivio obbligato i parlamentari
cattolici. Io confido che interventi del genere non ci saranno. Se dovessero
invece avvenire, distruggerebbero la possibilità stessa di una presenza
dei cattolici in Parlamento in condizioni di dignità e libertà,
quella libertà che consente l'assunzione individuale delle
responsabilità. Ma a chi serve, oggi e domani, un gruppo di parlamentari
che si limitano a eseguire gli ordini? Certo non alla Chiesa. Sarebbero una
inutile pattuglia, e l'effetto sarebbe una crescita di laicismo
esasperato".
Il centrosinistra non drammatizza troppo l'iperattivismo vaticano? E' vero
che è stato l'Avvenire a citare Pio IX, ma dall'altra parte si invoca il
Risorgimento, si tracciano scenari foschi, si ipotizza, come anche lei fa, il
naufragio del cattolicesimo politico. Eppure gli scontri tra l'etica cattolica
e quella laica, condivisi e alimentati dalla Chiesa, in Parlamento e fuori non
sono mancati. Gli anni Settanta, il divorzio, l'aborto, i referendum. Grandi
asprezze, ma alla fine siamo tutti qui, comprese le leggi soggette ad anatema.
"Vede, io sono nella vita politica da 61 anni, dalla Costituente. È
vero, abbiamo attraversato come parlamentari cattolici momenti faticosi,
difficili, prese di posizione delicate. Ma già dall'Assemblea
costituente fu preminente in tutti la ricerca di un denominatore comune sui
temi dei diritti e della dignità delle persone. Ne nacque un documento
d'eccezione, la Carta, del quale dobbiamo ringraziare i grandi nomi che resero
un tale servizio al popolo italiano: penso, nel mondo cattolico, a De Gasperi,
a La Pira, a Dossetti, più tardi a Aldo Moro e a tantissimi altri
rappresentanti del popolo. Il grande tema per noi cattolici era fare sintesi
fra diritti e doveri del cittadino e diritti e doveri del cristiano, portare
nella politica il pensiero filosofico che anima i principi cristiani sempre con
grande rispetto per le impostazioni altrui. L'articolo 67 della Costituzione
stabilisce che ogni membro del parlamento rappresenta la nazione e esercita le
sue funzioni senza vincolo di mandato. Al tempo del divorzio e dell'aborto, che
lei cita, in entrambi i casi il partito mi diede incarico di parlare
ufficialmente a nome del gruppo democristiano. Non dimentico, e ne ringrazio la
Provvidenza, che nell'uno e nell'altro caso ebbi ascolto ampio, proprio dagli
avversari politici: non condivido le tue tesi - mi fu detto - ma apprezzo lo
sforzo di dialogare. Dopo la sconfitta sul divorzio qualcuno in assoluta buona
fede sostenne che non potevamo collaborare a formulare gli articoli della legge
perché così facendo avremmo aiutato un istituto che contestavamo. Ma
giustamente vinse la tesi che quando cade l'affermazione di un principio rimane
sempre il dovere di lottare per il male minore".
Insomma, lei sostiene che la capacità di ascolto reciproca non
è venuta mai meno, nemmeno quando lo scontro era al massimo della
tensione.
"Non solo. C'è anche un altro insegnamento. La chiarezza delle
posizioni della Chiesa, e il risultato del referendum che diede ragione alle
tesi contrarie a quelle sostenute da noi cattolici, non impedirono che tanti
cattolici si servissero poi dell'istituto del divorzio. Ne è prova che
da anni all'interno della gerarchia ecclesiastica si discute sull'ammissibilità
dei divorziati ai sacramenti".
L'invito al pragmatismo, per tornare a Ruini, onestamente oggi non sembra
avere grandi chance. La grandinata vaticana - da Avvenire a Sir,
dall'Osservatore allo stesso Ratzinger - non lascia grandi margini alla mediazione.
"La profonda devozione e ubbidienza alla chiesa madre e maestra - e mi
piace ricordare che fu la saggezza di Giovanni XXIII, oggi beato, a dare nella
sua enciclica questa preminenza alla maternità della Chiesa - mi fa
confidare che il richiamo che è stato annunziato, e che manifesta un
diritto e anche un dovere della Chiesa di dire il suo pensiero, non abbia la
forma di una imposizione".
Il fronte dei sessanta parlamentari della Margherita che difendono i Dico
non ha un gran futuro, se l'intervento di Ruini dovesse trasformarsi in un vero
e proprio precetto. Non crede?
"Un atteggiamento rigido della Chiesa sfascerebbe tutto. Ne sono
convinto".
Lei, pur da senatore a vita, è un uomo del centrosinistra: quale
potrebbe essere una contromisura per far prevalere la moderazione?
"Posizioni da parte della Chiesa che portassero a conseguenze tanto
pesanti, così come non si sono verificate neanche quando furono
compromessi l'indissolubilità del matrimonio e il diritto alla vita,
richiederebbero a mio avviso un ampio esame nell'Assemblea dei vescovi
italiani, la Cei".
Nel merito della legge, come giudica la soluzione Dico "inventata"
da Bindi e Pollastrini?
"Mi piace ricordare che quando il presidente del consiglio Romano Prodi
annunziò nella formulazione del programma il desiderio di riconoscere
dei diritti e dei doveri a ciascun cittadino, affermò espressamente che
con quel programma prendeva l'impegno di non toccare o turbare l'istituto del
matrimonio così come previsto dalla Costituzione. Mi pare giusto non
fare processi alle intenzioni. Le proposte di legge che sono state presentate
da posizioni a mio avviso non accettabili sono giunte con non poca fatica
(quanto intensa quella del ministro Bindi!), in questo necessario dialogo tra
impostazioni diverse, a un testo che come tutti i testi è indubbiamente
migliorabile ma che certamente non prevede - per essere chiari - il matrimonio
fra gli omosessuali o una formula mascherata ma simile. Si tratta di dare
eventuali, maggiori garanzie? Se ne può discutere, rimanendo chiaro un
punto: se al dunque si fosse richiesti di un voto esplicito che preveda di
fatto il matrimonio per gli omosessuali, allora, senza bisogno di disturbare la
dottrina della chiesa cattolica, è chiaro che un voto a favore non si
può dare perché in contrasto con una realtà di storia
dell'umanità, che prevede per il matrimonio un maschio e una
femmina".
Il matrimonio gay, per la verità, sembra essere un simbolo e uno
spauracchio, anche se di prima fila. Quel che la Chiesa sembra temere nella
sostanza è che il riconoscimento delle unioni civili, innanzitutto
eterosessuali, sgretoli la famiglia "naturale" su cui si fonda la sua
dottrina.
"È vero, c'è chi obietta che aprendo una seconda strada si
dà ai cittadini con troppa facilità la possibilità di
un'altra scelta. La preoccupazione della Chiesa è più che
condivisibile. Ma il problema vero è rafforzare nei cattolici la fede,
in modo che sappiano scegliere secondo i principi nei quali credono. Più
che allo Stato, al quale si chiede di impedire una duplice strada che
consentirebbe gli abusi, il tema è affidato alla evangelizzazione e alla
formazione dei fedeli. Lo Stato deve pensare a tutti e, pur non tramutando
speranze, desideri e sogni in diritti deve, se esistano basi certe per individuare
quei diritti, riconoscerli dove e quando ci sono".
(15 febbraio 2007)
Stai consultando
l'edizione del Appello ai vescovi: "Fermatevi" Da Alberigo a Masina a
La Valle, scendono in campo gli intellettuali cattolici: "Si torna al non
expedit" di Roberto Monteforte FERMATEVI. Sarebbe di "inaudita
gravità" quella nota Cei sul disegno di legge sui "Di.co"
annunciata dal cardinale Ruini con la quale si "imporrebbe ai parlamentari
cattolici di rifiutare il progetto di legge sui "diritti delle
convivenze"". Lo dicono forte ai vescovi italiani il professore
Giuseppe Alberigo, fondatore dell'Istituto Giovanni XXIII di Bologna e tra i
più autorevoli studiosi del Concilio Vaticano II, ricevuto recentemente
in udienza privata da Papa Benedetto XVI. Insieme ad altri intellettuali
cattolici tra cui Ettore Masina, Raniero La Valle, lo storico Alberto Melloni,
il portavoce di "Noi siamo Chiesa" Vittorio Bellavite e il teologo
Giuseppe Ruggieri, ha deciso di lanciare un appello. Si rivolgono alle
direttamente alle gerarchie. Le mettono in guardia dal rischio del salto nel
buio che quel pronunciamento comporterebbe. Mettono in chiaro le conseguenze
gravi che ne scaturirebbero per la società italiana ma anche per la
stessa Chiesa. Ne subirebbe "un'immeritata involuzione". Ricordano la
storia. Quel pronunciamento sarebbe un passo indietro intollerabile, perché
riaccenderebbe il rischio di "una deprecabile conflittualità tra la
condizione di credente e quella di cittadino", degna dei tempi del
"non expedit" di Pio IX e superata definitivamente solo con gli
accordi concordatari. Per questo con "dolore, ma con fermezza" il
professor Alberigo e gli altri firmatari "supplicano" i Pastori a
"prenderne coscienza". Ad evitare tanta sciagura "che porterebbe
la nostra Chiesa e il nostro Paese - affermano - fuori dalla storia". Non
escludono che quel disegno di legge in discussione alle Camere potrebbe non
essere "ottimale", ma invitano le gerarchie a tenere ben distinti i
piani: una cosa "è ciò che per i credenti é obbligo, non
solo di coscienza ma anche canonico", altro è quanto "deve
essere regolato dallo stato laico per tutti i cittadini". È su
questa distinzione che si fonda la laicità dello Stato e l'autonomia
della stessa Chiesa. I firmatari, dando voce ad una preoccupazione diffusa nel
mondo cattolico, rivolgono un doppio invito. Alla Conferenza Episcopale
chiedono di "equilibrare le sue prese di posizione". Ai parlamentari
cattolici di "restare fedeli al loro obbligo costituzionale di legislatori
per tutti". Quindi a resistere alle eventuali pressioni della gerarchia.
Ma vi sono domande implicite nell'appello. Domande politiche. La Cei vuole
arrivare alla caduta del governo del cattolico Romano Prodi? Hanno chiari gli
effetti di questa strategia? Una Chiesa "agente politico" non
perderebbe di autorevolezza? E i cattolici impegnati in politica non sarebbero
alla fine resi insignificanti? Con un possibile effetto: tutto si giocherebbe in
un rapporto diretto tra Stato e Oltretevere. Sarebbe volgere le spalle al
Concilio. È una preoccupazione che scuote un mondo cattolico
disorientato, visto che è stato esplicito l'apporto di cattolici
militanti a partire dalla Bindi al disegno di legge sui "Di.co".
L'eco è arrivato sino all'Avvenire. Una sua "firma"
autorevole, il professore Giorgio Campanini, mette pubblicamente in guardia
dalle possibili lacerazioni che uno scontro frontale sui "Di.co"
determinerebbero nella società, nella Chiesa e nella stessa politica,
che - lo dice esplicitamente - potrebbe portare sino ad una possibile caduta
del governo Prodi. Si domanda: "Ma ne vale davvero la pena?". Intanto
il pressing della Chiesa italiana continua. Ieri è toccato a monsignor Cesare
Nosiglia, vescovo di Vicenza e fine giurista lanciare il suo attacco al disegno
di legge Bindi-Pollastrini. Per soddisfare la richiesta di nuovi diritti,
sarebbe bastato il codice civile. Nosiglia assicura "rispetto verso chi
compie scelte diverse dal matrimonio religioso o civile", anche se afferma
di non approvarle "perchè contrarie alla fede e cultura
cristiana". Ma quello che va impedito, ribadisce, è "il
tentativo di introdurre nell'ordinamento nuove figure giuridiche di unione eterosessuale
e omosessuale non contemplate dalla Costituzione e in aperto contrasto
- giovedì 15 febbraio 2007, 07:00 Soldi pubblici sprecati.
Spesso perché usati senza la necessaria parsimonia, molte volte perché
utilizzati per fini illeciti. Il fenomeno c'è sempre stato e
continuerà ad esistere ("forse non sarà mai possibile
eliminarlo del tutto", sostengono i giudici contabili). Ma la
"più decisa e ferma azione" della Corte dei Conti nel perseguire
i casi pervenuti al suo esame "ha certamente avuto un ruolo decisivo nelle
correzioni di rotta intervenute". Certo, le difficoltà ci sono, sia
per l'accresciuta carenza di organico lamentata dal presidente della sezione
giurisdizionale del Lazio della Corte dei Conti, Furio Pasqualucci, nella relazione
con cui ieri ha inaugurato il nuovo anno giudiziario, sia per l'ancora scarso
numero delle denunce di danno erariale da parte degli organi tenuti a
rispettare tale obbligo, come sottolineato dal procuratore regionale Luigi
Mario Ribaudo. "L'effetto monitorio - scrive il magistrato - risulta
ancora più evidente allorché, in moltissime fattispecie di illeciti
dannosi per l'erario costituenti anche reato, si è potuto stabilire un
proficuo e tempestivo raccordo tra il pm contabile e quello penale, consentendo
così un sollecito raccordo tra le due magistrature requirenti ed una
valida collaborazione nell'utilizzazione del materiale per una sollecita
definizione delle istruttorie". L'importo complessivo delle richieste di
risarcimento avanzate con gli atti di citazione è superiore ai 590mila
euro, riguardanti tra gli altri i danni all'immagine e quelli da disservizio.
Un dato, questo, che "induce a confidare in un ulteriore miglioramento dei
risultati dell'azione di recupero a favore dell'Erario", osserva il
procuratore regionale. Analizzando i casi venuti a conoscenza della Procura, i
magistrati contabili ci tengono a sottolineare come le tangenti continuino a
girare indisturbate. Ribaudo parla della "forte incidenza che, in un
quadro di gestione pubblica tutt'altro che soddisfacente, continuano ad avere i
casi di corruzione di pubblici funzionari ed amministratori e gli abusi nella
gestione del pubblico denaro, con particolare evidenza per gli illegittimi
conferimenti di incarichi e consulenze che sono stati occasione di Pagina
successiva >>.
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Giustizia e Società Numero 039, pag. 35 del 15/2/2007
Autore: di Antonio G. Paladino
Così la Corte dei conti dell'Abruzzo
su chi beneficia di finanziamenti irregolari.
Non vale limitarsi a effettuare controlli
cartolari In materia di erogazione di fondi pubblici sussiste la
responsabilità finanziaria di una società beneficiaria degli
stessi che, a fronte di operazione inesistente, utilizzava la documentazione
contabile allo scopo di ottenere indebitamente contributi pubblici, con la
consapevolezza, la coscienza e la volontà di far apparire come reali dei
rapporti giuridici inesistenti. In via sussidiaria sussiste altresì la
responsabilità amministrativa di un istituto di credito concessionario
in presenza della carenza di controllo da parte del medesimo, con riferimento
all'omissione delle verifiche e degli approfondimenti in ordine al requisito
dell'effettiva novità di fabbrica dei macchinari acquistati con
finanziamento pubblico, senza accertare l'attendibilità delle bolle
d'accompagnamento e lo stato degli stessi macchinari. E’ quello che ha sancito
la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Abruzzo nel
testo della sentenza n. 32/2007, con la quale ha affermato le responsabilità
che sorgono in capo a un istituto di credito che si assume l'onere di erogare,
in convenzione e dietro corrispettivo, finanziamenti pubblici, sottolineando
che le attività demandate alla medesima banca concessionaria non possono
essere circoscritte a semplici controlli cartolari.I fatti oggetto del giudizio
nascono da una complessa vicenda che ha avuto come epilogo l'accreditamento nel
1999 di fondi afferenti al programma operativo regionale nei confronti di una
società al fine di provvedere alla costruzione di un impianto di
innevamento. Gli accertamenti eseguiti dalla guardia di finanza consentivano di
accertare che, mentre il progetto prevedeva l'installazione di macchinari
nuovi, in realtà alcuni di questi erano già stati precedentemente
acquistati dalla società convenuta sin dal 1997 avendoli questa ricevuti
da altra società e successivamente, previo finalizzato ristorno,
simulando il riacquisto nel novembre 1999. Se in merito alla
responsabilità amministrativa della società che ha utilizzato
false fatturazioni per ottenere indebiti finanziamenti pubblici, il collegio ha
ampiamente dimostrato il dolo posto in essere dai vertici della società
e pertanto ne ha deciso la giusta condanna alla rifusione del danno patito
dalla pubblica amministrazione, interessante è stata l'analisi della
condotta posta in essere dall'istituto di credito che, per convenzione, doveva
effettuare i necessari controlli atti a garantire la veridicità delle
operazioni poste in essere. Per il collegio, dagli atti del giudizio, è
emersa la palese carenza di controllo da parte della banca, soprattutto in
relazione all'omissione delle verifiche e degli approfondimenti in ordine
all'effettiva novità di fabbrica delle macchine, senza che fosse
accertata l'attendibilità delle bolle d'accompagnamento e lo stato degli
stessi macchinari. L'attività che in tali casi viene svolta dalla banca
concessionaria, rimarca il collegio, è connotata da 'una chiara e
complessiva strumentalità rispetto al programma pubblico di
incentivazione confermato tanto dalla qualità formalmente assunta quanto
dalla natura delle molteplici funzioni individuate dalla convenzione allora
stipulata. Le attività demandate alla Banca concessionaria, in sostanza,
non possono essere circoscritte a semplici controlli cartolari in quanto era
necessaria l'esecuzione dei controlli previsti dalla convenzione relativi alle
attività d'istruttoria e di accerta
Danno erariale ipotizzato a carico di 15
persone: da Carraro a Pairetto La Corte dei Conti: 150 milioni dai protagonisti
di Calciopoli Alcuni tra i protagonisti di Calciopoli, oltre che davanti ai pm
delle procure della Repubblica di mezza Italia, sono comparsi anche davanti al
vice procuratore della Corte dei Conti del Lazio, Ugo Montella, che nei mesi
scorsi aveva aperto un'istruttoria su Calciopoli, ipotizzando a carico di 15
persone di aver provocato un danno erariale, danno di immagine, ma anche
patrimoniale quantificato in circa 100 milioni di euro. Cifra alla quale si
devono aggiungere 20 milioni di euro per "il disservizio". Tale
è perchè lo scandalo - ha scritto il procuratore Montella
nell'invito a dedurre inviato tra gli altri all'ex numero uno della Fgic,
Franco Carraro - ha "minato alla base la credibilità e la
possibilità che il calcio possa essere di esempio per i giovani".
Davanti al pm della magistratura contabile sono comparsi, tra gli altri, oltre
a Carraro, il suo ex vice Innocenzo Mazzini, gli ex designatori arbitrali,
Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto, l'ex presidente degli arbitri Tullio
Lanese, nonchè due giornalisti della Rai, i cui nomi sono saltati fuori
dalle intercettazioni telefoniche. Secondo la Corte dei Conti il danno alla
collettività si sostanzia in quanto la Federazione gioco calcio è
un ente "chiamato ad esercitare, servizi di carattere pubblico".
prezzi delle case in Italia sono risultati
stabili nel corso del 2006 ma in compenso è continuata la fase espansiva
delle compravendite, trend che si confermerà anche per l'anno in corso.
È il quadro, e insieme la previsione, tracciato dagli esperti
dell'Ufficio studi di Gabetti Property Solutions. Nel 2006, tra vendite e
acquisti, hanno cambiato proprietario 1,9 milioni di abitazioni, con una
crescita del 4,8% rispetto all'anno precedente, e in linea con la variazione
media annua di oltre il 5% messa a segno dal 2000 ad oggi.
Per l'anno in corso si prevede un'ulteriore espansione delle transazioni del
3,9%, anche se il residenziale, principale segmento del settore, potrebbe
rallentare la propria crescita al 2,2%. Durante l'anno appena concluso, invece,
il residenziale ha dimostrato il proprio buon andamento in provincia (+5,5%) e
soprattutto negli hinterland metropolitani (+6,7%), «dove è stato
significativo - ha spiegato il direttore dell'ufficio studi di Gabetti Property
Solutions, Dario De Simone - l'apporto degli stranieri regolarmente residenti».
Notevole l'incremento dei prezzi (+8,1%) nelle zone limitrofe alle grandi
metropoli visto il forte aumento della domanda, con picchi addirittura del 20
per cento.
Nelle grandi città, invece, i prezzi hanno avuto una performance in
linea con la media nazionale (con l'eccezione di Torino e Genova), mentre le
transazioni hanno registrato un incremento pari solo allo 0,7% rispetto al
2005: il dato, ha precisato Filippo Cartareggia, amministratore delegato di
Gabetti Property Solutions Agency, «risente dell'attesa per i grandi progetti
immobiliari delle principali città italiane, come, ad esempio, quello
relativo alla riqualificazione del vecchio polo fieristico milanese». A
proposito di tempi, nel 2006 si sono allungati quelli per arrivare alla
conclusione della trattativa per l'acquisto della casa (superiore a quattro
mesi) in tutti i settori delle grandi città; in lieve riduzione la
differenza tra il prezzo di richiesta iniziale e quello finale, pari all'11,6%
per le grandi città e al 9,5% per quelle medie.
Non si sono registrate nello scorso anno significative variazioni nel mercato
degli affitti. Sempre molto vivace il mercato della compravendita dei box
(+5,8%), con prezzi in continua crescita, sino ad arrivare ad un massimo di 200
mila euro per un garage «di pregio» nel centro di Roma. Buone prospettive,
infine, per le seconde case, sia al mare che nei piccoli comuni dell'interno.
Corporate, le locazioni riprendono quota. Il mercato corporate ha
ritrovato slancio e vivacità già verso la fine del 2006. La forte
liquidità disponibile sul mercato degli investitori, sempre più
propensi a perseguire obiettivi di stabilità e di sicurezza dei rendimenti
piuttosto che puntare alla loro massimizzazione, incontra un cronico ostacolo
nella carenza di asset di qualità. Gli orizzonti operativi si sono
comunque estesi ai segmenti in fase di forte espansione come l'alberghiero, la
Gdo, la logistica. La domanda proveniente delle aziende private è
sostenuta mentre vi è un calo di richieste da parte della Pubblica
Amministrazione. In chiusura d'anno sono ripresi con intensità gli
scambi che del resto, già nel primo semestre, avevano fatto registrare
incrementi del +11,9% nel terziario uffici, del 3,9% nel retail ed addirittura
del 22,7% nell' industriale. Milano e Roma, mercati di riferimento per
operatori ed investitori nazionali ed esteri, chiudono il 2006 rendendosi
protagoniste di uno slancio in avanti.
Dopo un triennio trascorso all'insegna di valori stabili se non calanti i
canoni di locazione per gli uffici in prime location indicano per Milano e Roma
valori in crescita rispettivamente tra il 6,9% ed il 5,0%, con
redditività nell'ordine del 5,8% a Milano e del 5,3% a Roma. Al traino
di tali andamenti crescono anche i valori nelle altre principali città,
se pure in misura inferiore. Sullo scenario internazionale le nostre metropoli
difendono bene la propria competitività con rendimenti medi comparabili
a quelli di altre capitali europee, come Madrid e Berlino, anche se ancora a
distanza dai mercati più performanti, come Londra e Barcellona.
Il Giudice di Pace di Montepulciano (SI) ha
sollevato la questione di legittimità costituzionale sulla
validità dell’indennizzo diretto previsto dagli articoli 141 e 149 del
codice delle assicurazioni private, norme già in vigore dal 1° gennaio
per i danni ai trasportati ed in vigore dal 1° febbraio 2007 per tutti i danni
da cose e lesioni (in particolare per le microlesioni).
A renderlo noto è Confconsumatori
Toscana che in una nota spiega: “Avevamo già segnalato la disinvoltura
legislativa del Governo nell’anno 2005. Ed infatti per il Giudice a quo ha
rilevato un palese eccesso di delega perchè la legge di delega non
consentiva al Governo di introdurre una simile innovazione in materia
assicurativa.
Inoltre il giudicante ha ravvisato la
violazione dell’articolo 3 della Costituzione per violazione del principio di
uguaglianza non ritenendo ragionevole assegnare ai soli danneggiati da
microlesioni personali un sistema del tutto diverso da quello della
responsabilità civile”.
Le perplessità di Confconsumatori,
dunque, manifestate pubblicamente sin dal mese di novembre scorso, con la
richiesta di una pausa di riflessione e di non far entrare in vigore
l’indennizzo diretto per tutti i danni, appaiono fondate e valide.
“Del resto - prosegue l’associazione di
tutela dei consumatori - i danneggiati si devono districare in una giungla
giuridica creata dal 2005 ad oggi con il codice delle assicurazioni e la legge
102/2006 (che prevede l’applicabilità del rito lavoro per le cause da
incidenti stradali), costretti a distinguere se il caso concreto rientra tra le
ipotesi di indennizzo diretto o meno e quindi a rischio di perdere tempo
perseguendo l’assicuratore sbagliato.
Oltre tutto il regolamento attuativo,
entrato in vigore il 1° febbraio, prevede inopinatamente ed incostituzionalmente
che l’assicuratore ‘diretto’ non rimborsi le spese legali del danneggiato
laddove esegua un’offerta risarcitoria congrua“.
Conlude Confconsumatori: “Tutta questa
confusione, anziché creare un sistema agile e snello, comporta la
necessità oggettiva per i danneggiati di farsi assistere, soprattutto
per i danni alla persona, da professionisti, enti od associazioni di
consumatori in ogni fase della liquidazione, con costi a carico proprio. Quindi
solo vantaggi per gli assicuratori. Ci auguriamo che Governo e Parlamento
rivedano immediatamente tutta la materia partendo da un congelamento
dell’indennizzo diretto.” Per maggiori informazioni:
www.confconsumatoritoscana.it
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TEL AVIV - Ariel Toaff ha chiesto alla casa editrice
«Il Mulino» di bloccare la pubblicazione del libro «Pasqua di sangue». In un
comunicato diffuso dall'università Bar Ilan di Tel Aviv, lo storico si
è scusato con «tutti coloro che sono stati offesi dagli articoli e dai
fatti distorti attribuiti a me e al mio libro». Nel comunicato - riprodotto
dall'edizione elettronica Ynet del quotidiano Yediot Ahronot - Toaff, docente
di storia della Bar Ilan, ha spiegato di volere «rielaborare quei passaggi che
hanno dato spunto ad alcune distorsioni». Una decisione presa dopo le numerose
polemiche suscitate dalle tesi di Toaff sulle crocifissioni di infanti alla
vigilia di Pesach e sull'uso di sangue cristiano quale ingrediente del pane
azzimo consumato nella festa.
RINCRESCIMENTO - Lo storico ha inoltre
annunciato che devolverà i proventi della vendita del libro alla 'Anti
Defamation Ligue', l'organizzazione ebraica di New York che combatte gli
episodi di anti-semitismo, esprimendo «profondo rincrescimento per le
interpretazioni errate attribuite a me o al mio libro che feriscono il popolo
ebraico». «Ho assunto questi passi - ha scritto nel comunicato Toaff - per
prevenire un ulteriore uso distorto del mio libro per la propaganda
anti-semita».
14 febbraio 2007
dove - dal 30
gennaio al 10 febbraio - ha visitato Camerun, Liberia, Sudan, Zambia, Namibia,
Sud Africa, Mozambico e Seychelles, ha riproposto il tema della strategia di
Pechino in quel Continente, dopo che già lo scorso novembre aveva
segnato un ulteriore successo con la partecipazione a Pechino dei massimi
rappresentanti di 47 paesi su 53 al Forum Cina Africa per la Cooperazione
(FOCAC).
La Cooperazione Pragmatica
È una strategia che significa fare affari win-win, reciprocamente
vantaggiosi, in cui Pechino applica i principi di “non ingerenza” e di “assenza
di precondizioni” nella concessione di crediti, prestiti e aiuti, e nella
realizzazione di progetti comuni. A differenza degli Occidentali, i cinesi non
li vincolano ai parametri imperniati - secondo il FMI e la Banca Mondiale -
sulla trasparenza negli affari, nei contratti, nei bilanci. E neppure al
rispetto da parte africana dei diritti civili e umani o dei processi di
democratizzazione. Anzi, quando questi siano violati sistematicamente (nei casi
di Zimbabwe e Sudan), Pechino si oppone in sede ONU a condanne e a sanzioni nei
loro confronti. A Pechino, pragmaticamente, interessa la partecipazione allo
sfruttamento delle materie prime africane, segnatamente il petrolio. Seguito
dai minerali indispensabili al suo impressionante sviluppo economico (rame,
ferro, platino, cobalto, uranio, diamanti) e dal legname.
Ora, su diritti umani e civili, democrazia, correttezza degli affari, la Cina –
monopartitica, autoritaria, segnata da pratiche non trasparenti negli affari -
si trova in sintonia con i partner africani. E questo sicuramente la
avvantaggia nella competizione con gli Occidentali per il controllo delle
materie prime e dei mercati del Continente Nero.La Cina, ormai terzo partner
dell’Africa, si avvicina sempre più agli europei in declino e agli
americani in ascesa. Mentre sullo sfondo si stanno delineando i tentativi della
Russia di entrare nel Great Game africano.
Alcune cifre
L’interscambio Cina-Africa è salito dai 10 miliardi di dollari del 2000
ai 39,7 del 2005. Con previsione di 100 miliardi nel 2010. Nel 2006 Pechino ha
cancellato 1,38 miliardi di dollari di debiti a favore di 31 paesi. Ulteriori
tagli e/o cancellazioni sono stati decisi a favore dei alcuni paesi visitati da
Hu (Liberia, Camerun, Zambia e Mozambico). Il novembre scorso la Cina ha
promesso di stanziare 5 miliardi di dollari per prestiti e crediti da offrire
nel 2007 ai partner africani, da raddoppiare nel 2010. Un altro punto a favore
della Cina sono gli interventi in settori che gli Occidentali hanno trascurato
negli ultimi decenni. Nelle infrastrutture (ferrovie, strade, ponti, dighe);
nell’edilizia pubblica (scuole, stadi, teatri, edifici governativi) e
abitativa; nella formazione in Cina di molte migliaia di quadri tecnici,
ingegneri, medici, delle banche, insegnanti; in vasti programmi di assistenza
sanitaria, con costruzioni di ospedali e ambulatori (soprattutto pediatrici);
nell’invio di personale sanitario, medicinali; in campagne contro la malaria.
Dal 2000 al 2006 Pechino ha inviato in Africa 15 mila tra medici, paramedici,
infermieri, biologi. Ha costruito 30 ospedali. Sono stati assistiti 120 milioni
di pazienti. Ha formato 18 mila quadri specializzati e ha partecipato a 720
progetti (sanità e istruzione).
Il presente ha un cuore antico
Questo tipo di interventi risale ai secondi anni Cinquanta e ai due decenni
successivi del secolo scorso, quando la Cina di Mao aspirava alla leadership
dei processi di liberazione anticoloniale e antimperialista. Anche allora
inviava medici, ingegneri e tecnici. Costruiva grandi ferrovie, come la Lusaka
(Zambia) - Dar es Salama (Tanzania). E inviava armi a movimenti e paesi del
“fronte anti-imperialista”. Pechino riscuote i dividendi di questa cooperazione
politico-ideologica, anche ora che è passata alla cooperazione
pragmatica, con al centro l’economia. Tuttavia, come ha sottolineato Hu nel suo
discorso all’Università di Pretoria, la Cina anche ora tiene a
differenziarsi dai concorrenti occidentali, presentandosi come “il più
grande paese in via di sviluppo che coopera con l’Africa, il continente con il
più alto numero di paesi in via di sviluppo”. E come il paese “che non
ha mai imposto la sua volontà e pratiche inique ad altri paesi e non lo
farà mai”. Questo piace a quelle élite africane che cercano di sottrarsi
all’influenza degli ex-colonizzatori bianchi, ma soprattutto alle
“precondizioni” che gli Occidentali pretenderebbero di imporre loro.
È tutto oro quel che luccica?
Tuttavia, si fanno strada diffidenza, critiche, persino allarmi e proteste.
Nello Zambia (grande produttore mondiale di rame), Hu ha dovuto cancellare
alcune visite, in cui si temevano proteste o degli operai di una grande
industria tessile controllata da una società cinese per cattive
condizioni di lavoro, bassi salari, massicci licenziamenti; o dei minatori
della grande miniera di rame di Chambisi, anch’essa controllata dai cinesi,
dove due anni fa un’esplosione provocò 50 morti. Il Sud Africa – primo
partner africano della Cina – ha dovuto limitare, su pressioni di imprenditori
e sindacati, l’import di beni di consumo (soprattutto del tessile, della
plastica), per lo più a basso prezzo e di povera qualità di cui
la Cina inonda l’Africa, rischiando di mettere in ginocchio non solo le
industrie africane degli stessi settori, ma anche lo stesso piccolo commercio
africano al dettaglio, in cui si moltiplica la presenza di venditori cinesi.
Infine, in alcune città (come Luanda) e nelle zone economiche la cui
formazione (tre o cinque) è stata annunciata da Hu nasceranno vere e
proprie china-town. Separate. I cinesi non amerebbero – sembra - mescolarsi con
i locali.
Il neocolonialismo cinese
I critici parlano di “neocolonialismo” cinese. L’Africa esporta materie prime e
importa beni cinesi per lo più di bassa qualità. Inoltre si
riversa in Africa un’immigrazione consistente di forza di lavoro qualificata
(ufficialmente si contano circa 100mila cinesi), ma anche di piccoli operatori.
Senza trasferimento di know how ai locali. Né con grandi vantaggi
occupazionali. Tuttavia, la Cina gode ancora di un larghissimo credito.
È vista da molti come generoso donatore, che fronteggia anch’essa non
pochi problemi di sottosviluppo e povertà. Se non come modello di
sviluppo. Hu nel suo viaggio ha annunciato programmi di cooperazione tesi a
rafforzare l’agricoltura, l’industria leggera (specie alimentare e
farmaceutica), le telecomunicazioni, il turismo (specie in Mozambico, dove
provvederà anche a migliorare il governo delle acque).
Il petrolio africano
L’obiettivo primario della Cina è il petrolio africano. Il 25% del suo
fabbisogno è fornito oltre che dai paesi del Golfo di Guinea (Guinea
equatoriale, Congo Brazzaville, Nigeria, Gabon), dall’Angola e dal Sudan.
L’Angola si è sostituito all’Arabia Saudita come primo fornitore di
greggio della Cina, cui vende il 25% della sua produzione (1,4 milioni di
barili al giorno nel 2006, destinati a diventare quest’anno 2,2). Qui la cinese
Sinopec opera assieme all’angolana Sonangol. All’Angola Pechino ha destinato
negli ultimi due anni crediti, sostenuti dal greggio, per oltre 3 miliardi di
dollari. Ricostruisce la grande linea ferroviaria costiera che arriva fino al
Congo. E costruisce aeroporti, ospedali, dighe, strade. In Nigeria si è
consolidata la cooperazione tra le cinesi Petrochina e CNOOC (specializzata
nell’offshore) e la nigeriana NNPC. Nel 2006 la Cina ha investito 2,3 miliardi
di dollari in una joint venture sino-nigeriana per lo sfruttamento di un grande
giacimento offshore, e 4 miliardi per licenze di perforazione e sfruttamento di
altri quattro “blocchi” offshore. E ,come anche in Angola, è divenuta
compete attivamente con le major occidentali.
Il ruolo centrale del Sudan
È stata la mèta più importante sotto il profilo energetico
e quello politico, del viaggio di Hu. Il Sudan, di cui la Cina è l’unico
grande partner commerciale, produce 300 mila barili al giorno, con l’obiettivo
di passare quanto prima a 700 mila. L’80% del suo greggio va in Cina, presente
in quel paese con CNPC e SINOPEC. Inoltre, costruisce un oleodotto di
La “non
ingerenza” e l’ “incondizionata” prosecuzione degli affari in Sudan sono stati
di fatto un segno di complicità. Ed ecco che Hu, in questo suo viaggio,
raccolti gli appelli dell’UA, dell’ONU e della comunità internazionale,
ha sollecitato il riluttante al Bashir a risolvere con mezzi politici la crisi
del Darfur. Si tratta di una resipiscenza di Hu sui diritti umani ? Di un
abbandono del principio del “pragmatismo” ? Non diremmo. Pechino deve tener
conto da una parte della crescente ostilità verso Khartoum dei suoi
partner dell’Africa Nera: nel Darfur la popolazione nera, cristiana e animista
è la vittima dell’esercito sudanese e delle milizie islamiche.
Dall’altra, del fatto che il conflitto tocca importanti aree del petrolio che
interessano direttamente Pechino. Per esplorarle e sfruttarle al meglio, la
stabilità e la pace sono condizioni indubbiamente migliori della guerra.
Da qui è venuta la svolta di Hu. Il quale ha capito che non sempre
cinismo fa rima con pragmatismo.
La
scoperta grazie ad una moneta che li raffigura
ROMA
Antonio e Cleopatra, una delle coppie di amanti più famosa della storia,
erano veramente brutti, a quanto hanno scoperto alcuni studiosi dopo un attento
esame di una moneta d’argento che li raffigura.
Lo studio ha scoperto che la regina, alla quale prestò le sembiante in
un celebre film Elizabeth Taylor, aveva il mento a punta, labbra sottili ed un
naso grosso. Marco Antonio, interpretato nella stessa pellicola da Richard
Burton, aveva occhi bovini, collo taurino e il naso a becco.
La moneta d’argento, si legge sul sito della Bbc, é stata accuratamente
studiata da una equipe di esperti dell’università di Newcastle in
Inghilterra. Il denario i8n argento e risalente al
Clare Pickersgill, vice direttore del museo archeologico, ha detto che
«l’immagine popolare che abbiamo di Cleopatra é quella di una donna bella e
affascinante che fece girare la testa a politici e generali romani», compreso
Giulio Cesare. «Tuttavia le ricerche recenti si discostano molto da tutto ciò».
IL direttore didattico dei mi musei archeologici Lindsay Allason-Jones ha
commentato:« le immagini sulla moneta sono ben lontane da quelle della Taylor e
di Burton. Gli storici romani ci presentano una Cleopatra intelligente e
carismatica con una voce seducente, ma nessuno menziona la sua bellezza».
Il denaro d’argento sarebbe stato battuto dalla zecca personale di Marco
Antonio. Su un verso vi é il suo profilo con la scritta «Antoni Armenia
devicta». Sul retro vi é il ritratto di Cleopatra con la scritta «per Cleopatra
regina di re e di figli di re». La moneta é esposta al museo Shefton
dell’università di Newcastle a partire da oggi, San Valentino.
++ Da
AgenParl. 14-2-2007 Confine orientale: una commissione bilaterale di esperti di
storia
+ Da La
Stampa 14-2-2007 Il Presidente Napolitano a Strasburgo "Un negoziato sulla
Costituzione europea sarebbe un vaso di pandora" 14/2/2007 (12:32)
+ Dal
Corriere della sera 14-2-2007 Attentato in Iran, c'è lo zampino degli
Usa? Guido
Olimpio
Dal
Corriere della Sera 14-2-2007 Capi
br arrestati all'alba dopo summit segreto Paolo Biondani
Dal
Corriere della Sera 14-2-2007 «Le Br non fermeranno le riforme» Danilo Taino
Da La
Stampa 14-2-2007 Italiani, che volete da noi?GIUSEPPE ZACCARIA
Da Il Sole
24 Ore 14-2-2007 Effetto serra,
c'è anche chi ci guadagna Di Alessandro Merli
STRASBURGO - Il Parlamento europeo riunito a
Strasburgo in sessione plenaria ha approvato definitivamente la relazione della
commissione d'inchiesta sui voli Cia in Europa presentata dall'eurodeputato dei
Ds Claudio Fava. Dal documento emerge una condanna "dei trasferimenti
straordinari in quanto strumenti illegali utilizzati dagli Stati Uniti nella
lotta al terrorismo". Il testo accusa poi numerosi governi di essere
coinvolti nelle "extraordinary renditions" e sottolinea la scarsa
cooperazione di Italia, Gran Bretagna e altri paesi alle indagini degli
europarlamentari.
Un richiamo preciso è giunto anche dal portavoce del vicepresidente
della Commissione europea con delega alla Giustizia Franco Frattini, Friso Roscam
Abbing, che ha ribadito che per l'esecutivo comunitario "è
auspicabile che a livello di Stati membri si continuino o si inizino le
inchieste giudiziarie, in quanto solo a questo livello esiste la competenza per
arrivare a delle prove". Il portavoce di Frattini ha comunque espresso
"apprezzamento per il lavoro della commissione d'inchiesta parlamentare
nell'accertare i fatti".
Contrariamente alle aspettative, a favore del testo ha votato una larga
maggioranza di 382 parlamentari, mentre i contrari sono stati 256 e 74 gli
astenuti. La relazione, che raccoglie tutte le prove delle operazioni illegali
condotte dagli agenti americani in Europa nell'ambito della lotta al
terrorismo, ha dovuto superare un fuoco di sbarramento di più di 250
emendamenti.
(14 febbraio 2007)
Roma, 14
Febbraio 2007 – AgenParl – Mettere di nuovo degli “esperti di storia” insieme
per ricostruire una memoria condivisa tra le popolazioni che si incontrano
nell’Alto Adriatico, è la contromossa del presidente croato Mesic, che
trova il favore del presidente della regione Friuli - Venezia Giulia, Illy.
E’ bene che l’uso pubblico della storia torni sul terreno del discorso
scientifico, piuttosto che proseguire fra polemiche astiose e strumentali.
Tuttavia, si dovrebbe ricordare che uno studio condotto da una commissione
mista italo-slovena già esiste. E’ stato ratificato dal Governo sloveno,
ma non da quello italiano. Lo studio è stato “accolto” nel 2000 e, da
allora, aspetta ancora un’approvazione formale.
Intanto non possiamo non rimpiangere i contributi del grande storico triestino
Elio Apih alla ricostruzione delle vicende terribili che seguirono la Grande
Guerra e, chiederci cosa avrebbe potuto scrivere e dire, oggi. (F.Mi.)
( Riformista, Il del 14/02/2007 )
SPAGNA. DOPO LA RIFORMA DI ZAPATERO DI SONIA
ORANGES
Evangelici contro i fondi ai cattolici
"Le religioni devono autofinanziarsi" Eppure l'esecutivo di Madrid ha
abolito la contribuzione diretta da parte dello stato Mentre la chiesa
cattolica spagnola affila nuovamente le lame da lanciare contro il governo
socialista per vendicare l'affronto del declassamento della religione tra le
materie scolastiche e, soprattutto, per impedire il dilagare delle idee
relativiste che sarebbero contenute nel neonato corso di educazione civica, il
premier Zapatero si ritrova contro, a sorpresa, anche la comunità
evangelica. In un recente rapporto, intitolato Libertà ed uguaglianza
religiosa e di coscienza in Spagna nel 2006, gli esperti dell'Osservatorio
civico indipendente (Oci), di concerto con l'Alleanza evangelica spagnola
(Aee), hanno sconsigliato di applicare la riforma del sistema di finanziamento
della chiesa cattolica al resto delle confessioni religiose, anche se i suoi
fini fossero distinti dal culto". Lo studio, in realtà, critica
l'impostazione che ha storicamente contraddistinto i rapporti tra stato
spagnolo e Santa sede, a partire dagli accordi del '79, sottolineando "il
grave problema di uguaglianza religiosa". Lo scorso autunno, il governo
Zapatero, infatti, ha concordato con la chiesa cattolica una modifica del
sistema di finanziamento, abolendo il finanziamento diretto da parte dello
stato (che fino a quel momento era giustificato soprattutto dalla
necessità di finanziare l'insegnamento della religione nelle scuole), ma
garantendo una quota dei versamenti volontari da parte dei cittadini, un
sistema assai simile a quello dell'otto per mille italiano che, in salsa
spagnola, ammontava allo 0,52% dell'Irpef, ora apprezzato allo 0,7%. Una
mediazione che aveva soddisfatto la chiesa cattolica, mettendo una pezza alla
guerra senza quartiere sferrata dal clero iberico sin dall'indomani
dell'elezione del premier socialista, con il suo coté di riforme sociali e di
stampo chiaramente laico. Contestualmente, il governo ha abolito l'esenzione
della chiesa dall'applicazione dell'Iva sulle operazioni mobiliari e
immobiliari, come richiesto dall'Unione europea. Un'operazione che, nei
progetti di Madrid, andrebbe nella direzione dell'autofinanziamento della
chiesa previsto (e finora disatteso) dai precedenti accordi tra Spagna e Santa
sede. E non si tratta certo di spiccioli. Basti pensare che lo scorso anno la
chiesa spagnola ha pesato sul bilancio spagnolo per 145 milioni di euro, contro
i 141 dell'anno precedente: 30 milioni come contributo diretto da parte dello stato,
e la restante parte come anticipo dei contributi versati dai fedeli attraverso
la dichiarazione dei redditi. La riforma, peraltro, allarga il beneficio del
contributo volontario allo 0,7% anche alle ong e ad altre organizzazioni (come
Caritas, Croce Rossa e associazione per la lotta contro il cancro) che abbiano
statutariamente riconosciuti fini sociali. E gli altri culti religiosi? Non se
ne parla. Di qui la presa di posizione della comunità evangelica che,
sorpassando il governo sul versante laico, propone ora di abolire del tutto,
nella dichiarazione dei redditi, la casella del contributo volontario. "Le
confessioni religiose devono finanziare da se le proprie spese", dice il
segretario generale dell'Aee Jume Llenas, proponendo al massimo sgravi fiscali
sulle donazioni: "Il finanziamento da parte dello stato deve avvenire in
funzione dei progetti sociali proposti da ogni confessione religiosa, che
possono risultare utili per lo stato". Difficile, però, immaginare
che, appena concluso l'accordo e con la chiesa di nuovo sul piede di guerra, il
governo Zapatero riapra un capitolo così spinoso che era in attesa di
una sintesi dal 1988, anno in cui aveva trovato applicazione il trattato del
'79, imboccando la strada dell'autofinanziamento. Parole che fino ad ora
coincidevano con ben più pratica e fruttuose proroghe. Ora il primo
passo è fatto e il finanziamento diretto cancellato. Con buona pace
della pur doverosa uguaglianza invocata dagli evangelici.
BRUXELLES
«Aprire un nuovo negoziato può significare aprire un vaso di Pandora,
correre il rischio di ripartire da zero, avviare un confronto dai risultati e
dai tempi imprevedibili». È quanto ha dichiarato il Capo dello Stato,
Giorgio Napolitano, intervenendo al Parlamento europeo a Strasburgo, in merito
al Trattato costituzionale che per il presidente «ha costituito un felice punto
di incontro», ricordando come «in un buon compromesso si tengano insieme sia
l’accoglimento di certi punti di vista sia la rinuncia ad altri».
«Non lo si dimentichi - ha esortato Napolitano - nel momento in cui si parla di
rimettere le mani sul testo del 2004: nessuno può pensare di spostare a
vantaggio delle proprie tesi l’equilibrio del compromesso raggiunto».
La bocciatura del Trattato costituzionale da parte di due dei sei Paesi
fondatori della Comunità europea, ossia Francia e Olanda, e la
successiva impasse in cui si è arenata la riforma istituzionale è
conseguenza «di uno scarso sforzo per associare i cittadini alle grandi scelte
dell’integrazione e unificazione europea, per diffondere nelle opinioni
pubbliche di tutti Paesi la consapevolezza degli straordinari risultati e
progressi conseguiti in cinquant’anni e delle nuove, sempre più
pressanti esigenze, di rafforzamento dell’Unione europea, della sua coesione e
della sua capacità di azione».
"L'AMICA FRANCIA NON CI FARA' MANCARE IL SUO DECISIVO AIUTO"
Da Parigi «oggi attendiamo con fiducia un responsabile apporto al
superamento della crisi che si è aperta con la macata ratifica del
Trattato del 2004», aggiunge Napolitano. «L’amica Francia ha un senso
così alto del suo ruolo nell’Europa e nel mondo che non ci farà
mancare questo suo ormai decisivo apporto».
ROMA - Lo dice mentre parla in Aula dei recenti arresti che hanno
sgominato il nucleo delle nuove Br. E, nel chiudere il suo intervento alla
Camera il ministro dell'Interno Giuliano Amato, fa anche un riferimento alla
manifestazione di sabato prossimo a Vicenza contro la costruzione della base
americana. E ai rischi che possa diventare l'occasione di "saldare
spezzoni di ostilità nei confronti delle forze dell'ordine". Per
questo Amato lancia il suo invito: "Tutti coloro che siedono in Parlamento
esprimano un sentimento opposto a quanti, invece, vorrebbero cogliere
l'occasione di quella manifestazione per saldare spezzoni di ostilità
verso la polizia''.
E' chiaro il riferimento alla manifestazione fatto da Amato. E che l'attenzione
delle forze politiche si stia concentrando sull'appuntamento di sabato lo si
capisce anche dalle parole di Anna Finocchiaro, capogruppo diessino al Senato:
"Stiamo attenti a non trasformare la manifestazione di Vicenza in un luogo
potenziale di cultura eversiva". Sappiamo, prosegue la Finocchiaro, che
"in questo paese esiste un importante e democratico movimento pacifista ma
ci sono anche delle frange che si sono infiltrate in questo movimento e possono
costituire un pericolo, perchè riconoscono l'uso della violenza come un
agire politico". Ma il deputato del pdci severino galante rifiuta il
parallelismo tra il terrorismo e la manifestazione: "E' pericoloso evocare
lo spettro di possibili incidenti".
Sul fronte dell'ordine pubblico, nel frattempo, il prefetto di Vicenza, Piero
Mattei, ha annunciato che le scuole di Vicenza rimarranno chiuse sabato
mattina. Potrebbero crearsi, secondo la prefettura, ''momenti di altissima
tensione'', per cui e' da tutelare ''la sicurezza e l'incolumita' dei giovani
studenti''.
(14 febbraio 2007)
Per ora le autorità locali accusano «i banditi legati al
narcotraffico»
Nel Baluchistan però sono attive formazioni indipendentiste
che combattono contro i pasdaran degli ayatollah
L’attentato al bus dei pasdaran è un nuovo episodio nella
guerra segreta degli Usa contro l’Iran? Per ora le autorità locali
accusano «i banditi legati al narcotraffico». Una tesi plausibile vista la
situazione nella regione del Baluchistan, dove si muovono organizzazioni
criminose ben radicate. Ma al tempo stesso l’attacco può essere visto
sotto una luce diversa. Nella regione sono attive formazioni indipendentiste
che combattono un conflitto privato contro gli ayatollah. Questi gruppi sono
però considerati preziosi alleati in eventuale piano di
destabilizzazione.
È da quasi un anno che si sono diffuse notizie sulle azioni clandestine
in Iran, condotte da fazioni sostenute - timidamente - dagli Usa.
1) Al nord i separatisti curdi dell’Iran si stanno riorganizzando. Nemici
storici degli ayatollah, sono aiutati dai curdi di Turchia (Pkk). In una fase
di tensione potrebbero ricevere assistenza dalla Cia
2) Nella regione del Khuzestan sono attivi nuclei della minoranza araba. Hanno
già compiuto attacchi sanguinosi. Teheran sostiene che siano ispirati
dalla Gran Bretagna
3) Nel Baluchistan i ribelli, spesso mescolati ai trafficanti, danno filo da
torcere ai pasdaran.
Per ora le incursioni di queste formazioni hanno avuto un profilo basso e
obiettivi limitati. Molti osservatori però vedono una saldatura con la
crisi irachena, vero teatro di confronto tra Stati Uniti e Iran. L’ordine di
Bush di neutralizzare, a ogni costo, gli agenti iraniani potrebbe estendersi
anche oltre confine. Una tensione testimoniata anche dal caso Moqtada Al Sadr.
Secondo alcune fonti il leader sciita pro-iraniano si sarebbe rifugiato a
Teheran: perché teme di essere colpito dagli americani (così come
è accaduto con diversi suoi collaboratori) e in seguito a divisioni nate
nel suo movimento, l’Esercito del Mahdi. La formazione ha smentito affermando
che si trova a Najaf. Un confronto di parole che nasconde un braccio di ferro
reale.
14 febbraio 2007
Durata
due giorni in una villetta in provincia di Udine
Le
intercettazioni dell'ultima «riunione strategica» sono ancora segrete. Per gli
inquirenti ora la priorità è trovare tutte le armi
M
Alcune delle
armi sequestrate ai brigatisti (da Sky Tg24)
Per
magistrati e polizia, che considerano i 15 arrestati «il
nucleo essenziale» del gruppo, ma indagano su altri complici solo in parte
identificati, la priorità assoluta ora è trovare tutte le armi.
Finora sono stati sequestrati un mitra sotterrato nell'orto di Sisi - delegato
Cgil che cercava proseliti tra i «giovani iscritti» (due già «schedati»)
e intanto progettava rapine ai portavalori del sindacato - e una pistola nello
stabile del padovano Valentino Rossin, ritenuto il custode di un arsenale.
All'appello ne mancano almeno due: dopo «l'esercitazione di tiro» del 19
novembre 2006 nella campagna di Rovigo, infatti, la Digos ha sequestrato
quattro bossoli per ciascuna delle due armi usate da due milanesi (Latino e
Ghirardi) e due padovani (Massimiliano Toschi e Rossin) guidati da Bortolato.
Nella successiva «riunione strategica» con Sisi, i capi-cellula commentavano
«entusiasti» che «gli strumenti suonano bene», anche se «il kalashnikov si
è incastrato» e «scarrellava male», mentre la «mitraglietta Uzi» era
ottima per «bilanciamento e sensibilità».
Dopo
Davanzo, ieri anche Latino si è dichiarato «prigioniero politico»,
rifiutando di farsi interrogare, come il «tecnico» Gaeta. Gli arrestati sono
stati intercettati mentre parlavano perfino di «un'autobomba» da far esplodere
«nel parcheggio a San Donato Milanese della Hulliburton», la multinazionale
americana «di Cheney e degli appalti in Iraq». La lista dei nemici è
sterminata: dal «governo Prodi imperialista» ai «sionisti di Rifondazione». Tra
i «veri progetti di attentato» gli inquirenti inseriscono un ordigno
incendiario contro la sede di Libero e i lunghi sopralluoghi per «far fuori» o
«gambizzare» il professor Pietro Ichino e un ex dirigente della Breda Fucine.
Gli arresti sono stati accelerati soprattutto dalle parole dell'armiere
siciliano, Salvatore Scivoli, rapinatore-killer «politicizzato» in carcere. A
fine gennaio Scivoli spiega di aver una relazione con la figlia di un
personaggio legato «all'alta finanza bresciana e bergamasca». Subito Ghirardi,
terrorista della vecchia guardia, propone «un sequestro di persona»: «Pigliamo
uno, buttiamolo in un buco e chiediamo dei soldi». Sempre Scivoli dà per
imminente «una rapina di autofinanziamento» a un «rappresentante di gioielli».
E vanta «contatti col fratello di Mimmo Belfiore», il boss della 'ndrangheta
condannato per l'omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia (1983). Con
questo aggancio, che «è il riferimento a Torino di 'sti calabresi» e
«sta facendo anche della droga», Scivoli spiega a Ghirardi di avere «una strada
per la Croazia», dove «quando vogliamo, recuperiamo Uzi, kalashnikov, bazooka,
esplosivo...». Tra i suoi compagni di carcere, Scivoli cita anche «i fratelli
De Roma, Franco La Mestra e Graziano Mesina», l'ex capo dell'Anonima. La
polizia sta verificando anche l'attendibilità di una telefonata anonima
che, ieri alle 11.30, ha indirizzato al Corriere un «comunicato delle Brigate
rosse»: «Nulla resterà impunito e la bandiera che è caduta
l'abbiamo ripresa in mano. Colonna Walter Alasia».
14
febbraio 2007
L'ipotesi di un viaggio in Croazia per approvvigionarsi di mitragliette
Cento kalashnikov nell'arsenale Br
e spuntano mi legami con la 'ndrangheta
Il curriculum di Latino: azioni di
finanziamento con uso di armi da fuoco
Una rapina in banca utilizzando delle maschere. Bottino: 145mila euro
M
È una frase che ha fatto impressione ai detective dell'antiterrorismo,
perché lascia intendere la possibilità di legami piuttosto solidi tra i
nuovi brigatisti e la malavita organizzata. Parla Salvatore Scivoli, rapinatore
diventato irriducibile della lotta armata in carcere, ad ascoltare è
Bruno Ghirardi, ex Colp, specialista in rapine e "autofinanziamento"
negli anni Ottanta. Ed è ascoltando questi due cinquantenni, che hanno
passato metà delle loro vita in carcere, che l'allarme cresce: i
Belfiore appartengono a una potente famiglia di 'ndrangheta trapiantata dalla
Calabria al Piemonte, e sono i responsabili dell'agguato mortale al procuratore
capo di Torino Bruno Caccia.
Era la sera del 26 giugno 1983 quando l'alto magistrato portò il cane a
passeggiare sotto casa. Un gruppo di killer, molti dei quali ancora
sconosciuti, gli spararono, uno scese dall'auto e gli dette il cosiddetto colpo
di grazia. All'inizio vennero incolpate le Brigate Rosse, ma poi emerse la
verità - grazie a un pentito e a una serie di riscontri - e venne
condannato il capofamiglia Domenico Belfiore, boss del clan di Gioiosa Jonica.
"È come se alcuni di questi brigatisti cercassero la protezione dei
boss, in uno scambio di favori reciproci. Ma le indagini sono appena
cominciate", spiegano alla Digos.
QUANTI SONO I TERRORISTI
La Procura milanese ritiene di aver "ritirato dalla scena" i capi
delle cellule individuate del Partito Comunista Politico Militare. "Sono
stati seguiti per anni, i contatti erano e sono rimasti questi".
C'è solo un punto da verificare. Davide Bortolato e i due che ieri si
sono dichiarati "prigionieri politici", e cioè Alfredo Davanzo
e Claudio Latino, il 10 dicembre 2006 fanno una "riunione strategica"
e parlano dell'organizzazione: "Noi possiamo contare su un giro di circa
una ventina di compagni, che possono contribuire a livello economico. Bisogna
cominciare ad essere più regolari sul pagamento delle quote, cioè
a essere più stabili". Sono compagni che pagano o compagni che,
eventualmente, sparano? E se gli arrestati sono quindici, all'appello ne
mancano almeno cinque.
Quanto a Davanzo, l'ideologo di "Seconda Posizione" era convinto che
nessuno sarebbe riuscito a stanarlo a Raveo, il minuscolo villaggio di meno di
500 abitanti nel cuore delle montagne della Carnia. Incontrando alcuni dei
brigatisti aveva esclamato: "Ma dove mi avete portato! Qui sono sicuro che
non mi prenderanno mai!".
IL CURRICULUM DEL "BRAVO BR"
Latino, prima di essere espulso dalla formazione dei Carc, aveva inviato una
specie di curriculum che è stato trovato a Giuseppe Maj, leader storico
dei Carc. Dice di aver costituito nell''85-'87 "un collettivo
caratterizzato dalla clandestinità associativa" impegnato in
attività illegali, con esplicito riferimento a "due azioni di
autofinanziamento riuscite ed altre tentate", nonché "alcune azioni
politiche di attacco con l'uso di armi da fuoco". Latino afferma - continuano
gli agenti della Digos, che hanno letto questa sua presentazione-autogol, di
essersi "addestrato al furto di auto e di moto", di saper fare le
contraffazioni e di aver "preso contatti con altri compagni, latitanti e
non, con cui si è costituito un gruppo che aveva come principale obiettivo
l'attuazione di azioni di autofinanziamento".
I COLPI DI SCIVOLI
Salvatore Scivoli, una lunga storia con Kathrin Otto, che secondo una scheda
della polizia è una fiancheggiatrice della Raf, è spesso
impegnato con le "dure", le rapine. S'è un po' "raffreddato",
come dice lui, con il calabrese Francesco D'Onofrio, 52 anni, ex di Prima Linea
e dei Colp (comunisti organizzati per la liberazione proletaria). Ma Franco gli
può dare delle armi. Forse qualche "dritta". Un fatto è
certo: in un bar ristorante di Foro Bonaparte a Milano Scivoli parla con
Ghirardi, il 24 gennaio 2007, e fa "riferimento a precedenti colpi portati
a compimento in prima persona accennando in particolare a una rapina,
presumibilmente in una banca, perpetrata utilizzando delle maschere che gli
avrebbe fruttato un bottino di 145mila euro e un ulteriore colpo in una grossa
gioielleria, nel 1997, tramite la tecnica del sequestro lampo, che aveva
fruttato un bottino di circa 3 miliardi e mezzo lamentandosi che altri cinque
miliardi di preziosi sarebbero rimasti in cassaforte a causa dell'inesperienza
di un componente della banda.
I DEPOSITI DELLE ARMI
Parla ancora Scivoli: "Bruno, io non dico tanto, ma diecimila li do a
fondo perduto lì... gli uzi, quelli piccoli, bazooka ed esplosivo. Gli
paghiamo a loro il trasporto, perché lì li paghiamo una cifra più
il trasporto, anche se ci costa il doppio qua conviene sempre".
Ghirardi: "Ah, sì, se no ti vendono alla frontiera..." tra
l'Italia e l'ex Jugoslavia.
Scivoli: "Conviene che facciamo fare tutto a loro e gli diamo un
appuntamento in un posto. In quell'appuntamento ci pigliamo tutta la roba e la
sotterriamo dove diciamo noi".
LA MANIA DEGLI ARSENALI NASCOSTI
Latino spesso si informava con Ghirardi "del "posto", affermando
subito dopo "speriamo che si asciughi"". I brigatisti vorrebbero
"scavare un buco "stando sulla riva", ma "in
orizzontale", per evitare che le cose si bagnino. I due hanno quindi
accennato - dicono gli agenti Digos - alla necessità di andare a fare
una "bella manutenzione", parlando di olio e spray e di armi".
Un altro "imbosco" per le armi volevano scavarlo verso Sesto San
Giovanni, seguendo il Lambro in canotto, sino alle antenne di Sky e di
Mediaset.
L'ADRENALINA
La tensione sale, quando si pensa alle azioni e Ghirardi fotografa così
la situazione: "L'adrenalina è la più bella droga che
esista. Non ce n'è di cocaina, di eroina, di hashish...
L'adrenalina".
(14 febbraio 2007)
BRIGATE
ROSSE - LE REAZIONI
Prima
uscita di Pietro Ichino, incontro con Podda della Cgil «Oggi la mia sfida resta
cambiare la pubblica amministrazione» STRUMENTI
M
Il tema — scelto dalla Fondazione Corriere della Sera che ha organizzato
la discussione nella sede milanese del giornale — era «Lavoro Avaro» e la
controparte di Ichino era Carlo Podda, segretario generale nazionale della
Funzione pubblica della Cgil, oppositore di una parte consistente delle
proposte del professore. Beh, per la delusione dei brigatisti e non solo di
loro, non ci sono state scintille. Non che Ichino e Podda abbiano abbracciato
una posizione comune. Hanno però dibattuto serenamente, nonostante le
proposte del giuslavorista siano piuttosto radicali e di fatto vadano a colpire
il potere del sindacato nell'amministrazione pubblica. Non solo: hanno anche
concordato su alcuni punti e segnalato che qualche risultato può essere
raggiunto in tempi non epocali.
La questione posta da Ichino è importante ed è di quelle
che proprio non piacciono al massimalismo terrorista. Dietro la famosa
provocazione, lanciata l'estate scorsa, dei «fannulloni» che si nascondono
nell'amministrazione dello Stato e degli enti locali, il professore propone di
intervenire creando più mercato, in modo che i cittadini possano
scegliere tra i servizi forniti dal pubblico e i servizi forniti da privati, e
dando più voce agli utenti stessi dei servizi, coinvolgendoli nel
controllo dell'amministrazione. Sull'idea di introdurre mercato nel settore,
Podda non è arretrato di un centimetro: non è d'accordo. Sul dare
più poteri ai cittadini ha invece concordato.
In un disegno di legge, Ichino propone una trasparenza totale che
dovrebbe culminare nella creazione di un'authority in grado di individuare i
punti di inefficienza della pubblica amministrazione. E critica molte parti del
memorandum firmato da sindacati e ministro delle Riforme e dell'Innovazione
Luigi Nicolais lo scorso 18 gennaio, che dovrebbe introdurre un po' di
flessibilità nel settore: a suo parere fa addirittura qualche passo
indietro, ad esempio sulla possibilità di rivolgersi a servizi privati
quando questi sono vantaggiosi rispetto a quelli pubblici. Podda, ovviamente,
difende l'accordo; e all'authority del settore pubblico preferisce strumenti
diversi, come nuclei di valutazione: un terreno comune, però, è
sembrato esserci. In fatto di trasparenza, per esempio, professore e sindacalista
si sono trovati d'accordo su una semplice norma da introdurre nell'ordinamento
che reciti: «È obbligatorio che dal sito Internet dell'amministrazione
(ogni amministrazione pubblica ne deve avere uno, ndr) si possa accedere
all'archivio digitalizzato».
Le divergenze d'opinione registrate ieri sera rimangono ampie. Ma il
clima è stato di confronto: ciò sarà importante quando la
questione — che tocca gli assetti organizzativi e le relazioni di lavoro nella
pubblica amministrazione — arriverà in Parlamento. Ed è da subito
una sconfitta per i terroristi che vorrebbero allontanare e cristallizzare le
posizioni di chi vuole riforme radicali e chi è più prudente. «Il
fatto che oggi si sia qui a discutere — ha detto Podda — è un modo di
far vivere la democrazia, continuando a fare quello che facciamo tutti i
giorni». In precedenza, d'altra parte, Ichino aveva incontrato Cgil, Cisl e Uil
per parlare dei pericoli di infiltrazione terrorista nel sindacato, anche in
quel caso sotto il segno della collaborazione: «Il fatto che tra gli arrestati
ci fossero dei sindacalisti non vuol dire nulla».
Se a questi toni incoraggianti si aggiunge l'imbarazzo che esprimevano
ieri, dopo gli arresti dei brigatisti, gli oppositori intransigenti delle
riforme, c'è da pensare che tanto impegno delle Br possa finire dalla
parte opposta di quella a cui puntavano: Lavoro Avaro.
14
febbraio 2007
La
polemica sulle foibe rinfocola nei croati vecchi dissapori. Lo storico Dota.
"Non dimenticate i vostri campi di concentramento a Gonars e sull’isola di
Molat"
INVIATO
A CAPODISTRIA
A ben vedere tutta la differenza di percezione sta nella distanza fra «esule
dall'Istria» e «isbeglice iz Istre» che poi significano la stessa cosa. Solo
che per noi gli esuli furono quelli costretti a fuggire oppure infoibati dopo
il 1943, mentre per i croati sono le persone che gli italiani obbligarono a
fuggire oppure internarono negli anni precedenti.
Adesso questa distanza torna di colpo ad allargarsi come accade per tutti i
problemi troppo a lungo rimossi. Stipe Mesic non rinfocola la polemica ma
neppure arretra. Come al solito a Capodistria (Koper per i locali) qualche
giovanotto dell «Hdz» ha scritto sui bianchi muri veneziani "italiani di
merda" e altri hanno cancellato le dizioni italiane dei cartelli stradali.
Però perfino il portiere d'albergo che per anni ha visto comparire lo
scrivente oggi appare meno cordiale del solito e a un certo punto quasi
parlando a un amico, chiede: «Ma insomma, cos'è che volete ancora?».
Eccoci subito al punto: cosa vogliano dai croati e cosa la Croazia vuole da
noi? Parliamo d'Europa e sembra di ritrovarsi in una sequenza di «No man's
land», quel meraviglioso film di Tanovic in cui il serbo-bosniaco e il
bosniaco-musulmano prigionieri della medesima trincea passano il tempo a dire
«avete cominciato voi», «no siete stati voi a cominciare».
In attesa di stabilire chi abbia cominciato, le agenzie registrano
dichiarazioni distensive del portavoce del governo che ribadisce la
volontà croata a rispettare il trattato di Osimo e «pagare la parte di
debito lasciato in eredità dalla dissoluzione della Jugoslavia». Qui si
parla di appoggio o meno alle trattative per l'ingresso croato in Europa, di
trattati sulle aree di pesca, risarcimenti attesi da decenni ma anche di
sensibilità più profonde che scattano alla minima occasione. Chi
per primo cederà sul versante storico dovrà cedere sul resto.
Intanto il fossato che si è riaperto segna fra Italia e Croazia una distanza
molto più ampia di una linea di frontiera larga un metro e una Slovenia.
«Dopo la fine del governo Berlusconi- dice Franco Dota, storico e autore di
saggi sull'occupazione italiana durante la seconda guerra mondiale - molti di
noi si aspettavano un atteggiamento diverso da parte italiana mentre invece le
parole del presidente Napolitano hanno creato forte disappunto».
Un osservatore superficiale potrebbe soffermarsi sulla scritta scolorita che
nel pieno centro di Zagabria si distigue ancora non lontano dalla statua del
Ban Jelacic e continua a ripetere «italjani stare varalitze», ovvero vecchie
mignotte, però si tratta appunto di un messaggio stinto e anche quella
scritta, quella polemica, risalgono a quando la Croazia voleva essere indipendente
e l' Msi dell'epoca mandava strani ambasciatori che con i serbi di improbabili
repubblichette trattavano impossibili restituzioni della Dalmazia. «Da voi -
continua Dota - nessuno ha mai esaminato la storia dei campi di concentramento
italiani di Gonars, dell'isola di Molat o di quella di Rab, che non erro in
italiano di chiama Arba. Per i croati la vicenda delle foibe rimane una
reazione, certo deprecabile, a violenze subìte per anni da decine di
migliaia di persone in Slovenia e Croazia».
L'incidente per ora resta limitato a uno scambio di dichiarazioni fra
presidenti. Mesic, vecchio navigatore, prima esponente della Jugoslavia
comunista, poi oppositore incarcerato, dunque presidente della Federazione e
poi ancora nazionalista con Franjo Tudjman e socialista di fronte a un governo
di centro destra, in vista delle elezioni fa il padre della Patria e interpreta
sentimenti diffusi. Il governo di Ivo Sanader, molto più preoccupato per
le difficili trattative d'ingresso in Europa, tenta invece di stemperare le polemiche
pur evitando di criticare le parole del presidente, come invece fanno alcuni
giornali del mattino. Insomma la diatriba sarebbe nata essenzialmente da una
questione di speranze frustrate, e come tale dovrebbe concludersi. Resta
però il fatto che una distanza storica non si è mai colmata,
anche una commissione mista che avrebbe dovuto cercare di stabilire «chi ha
cominciato per primo» ha smesso subito di riunirsi per mancanza di fondi. Le
differenze parrebbero minime eppure restano incommensurabili e di questa
separazione la lingua è specchio fedele. Provate per esempio a
considerare l'opposizione fra slavo e «jabar», «Krajna» e Carnia, curva e
«kurva», distanze lessicali che a esplorarle hanno del grottesco.
«Slavo» è il termine con cui la nostra ignoranza raggruppa una
quindicina di popoli differenti, mentre «jabar» è il modo in cui
l'ignoranza di Oriente definisce noi: significa mangiatori di rane. La stessa
incolmabile vicinanza si esprime in scarti lessicali che tramutano in baratri
le piccole differenze, com'è quella fra «Krajna», ovvero landa di
confine, e «Carnia», bastione montano di una friulanità di confine che
si ostina a ritenersi pura. La questione di curva e kurva invece appartiene da
sempre al novero dei giochi da osteria: ciò che per noi è
semplice percorso stradale dall'altra parte del confine indica il mestiere
più antico del mondo, che ove esercitato sulla strada si svolge ai bordi
della «put». Qualche genio malefico deve'essersi divertito a mischiare le
carte,e chissà se ha cominciato prima sul versante italiano o su quello
dei croati.
Per
i cellulari norme subito in vigore; ad aprile per le card multimediali
Spariranno
tutti i contributi fissi attualmente applicati a schede prepagate per telefoni,
internet e programmi della tv digitale
Dal 5 marzo
spariscono i costi fissi per le ricariche dei telefoni cellulari (Fotogramma)
M
La
conferma è arrivata ieri da Andrea Lulli, relatore
al decreto legge sulle liberalizzazioni messo a punto dal ministro per lo
Sviluppo, Pierluigi Bersani. Con un'aggiunta: in Commissione Attività
Produttive è stato presentato dallo stesso Lulli un emendamento che
prevede l'azzeramento dei costi di ricarica anche sulle schede prepagate per
servizi televisivi e internet. Il provvedimento interesserà dunque le
smart card vendute da Mediaset per vedere le partire di calcio e i film sulla
tv digitale terrestre, così come quelle emesse da Telecom Italia per i
programmi pay per view su La7 e attraverso Alice Home Video. Lo stesso
trattamento riguarderà anche i provider internet che offrono connessioni
in Rete con carte prepagate.
Diverse
saranno però le date di entrata in vigore.
Mentre per lo stop agli extra-costi applicati dagli operatori telefonici
è confermata la scadenza di 30 giorni prevista dal decreto (il 5 marzo,
appunto), per le carte tv e internet si dovrà aspettare i 60 giorni
entro i quali il provvedimento verrà convertito in legge dal Parlamento,
cioè entro i primi giorni di aprile. Per le compagnie di
telecomunicazioni l'impatto sarà tutt'altro che marginale. BastI pensare
che nel 2005 erano attive circa 64 milioni di linee telefoniche con carte sim
«prepagate» (su un totale di 67 milioni di linee) e il «contributo fisso» per
l'acquisto ha assicurato a Tim, Vodafone, Wind e 3 Italia un introito di 1,714
miliardi di euro.
I
conti esatti li ha fatti l'Authority per le Comunicazioni
nella sua ultima indagine: tolti 601 milioni di euro per le commissioni
riconosciute ai rivenditori (tabaccherie e banche che vendono le ricariche nei
bancomat), 75 milioni di costi operativi e 93 milioni di ammortamenti, è
rimasto in tasca ai gestori un profitto netto di 945 milioni di euro. Un
guadagno facile facile. E molto gradito agli azionisti: basta pensare che nel
2004, ultimo anno prima della fusione in Telecom Italia, il «balzello» sulle
carte prepagate ha contribuito per quasi il 10% agli utili di Tim.
«Le
motivazione portate dagli operatori per chiedere un rinvio del
provvedimento non mi hanno convinto affatto — ha spiegato Lulli —. Anzi, mi
hanno convinto del contrario». E la sua decisione ha raccolto subito i consensi
sia della maggioranza sia del centrodestra, oltre che delle associazioni dei
consumatori. Dall'opposizione, solo il deputato di Forza Italia Benedetto Della
Vedova ha parlato di un atteggiamento «dirigista». «La maggioranza approvi il
mio emendamento per l'abolizione della tassa di concessione sulla telefonia
mobile — ha esortato —. E' questa la vera causa della bolla sulle ricariche».
Dal
5 marzo, dunque, scompare quella che è un'autentica anomalia
italiana nel panorama europeo. Tanto che a sollecitare per prima l'abolizione
dei costi di ricarica era stata proprio la Commissione di Bruxelles. Resta ora
da vedere come risponderanno gli operatori. Non a caso ieri alcuni parlamentari
hanno chiesto al governo di «vigilare» per evitare improvvisi rincari delle
tariffe telefoniche.
Giancarlo
Radice
14
febbraio 2007
L' allarme l'ha lanciato nell'autunno
scorso sir Nicholas Stern,l'economista del Tesoro britannico incaricato dal
primo ministro Tony Blair di studiare le conseguenze dei cambiamenti climatici:
il global warming rischia di provocare una catastrofe non solo ambientale, ma
anche economica.IlPil globale potrebbe subirne una riduzione fino al 20 per
cento.
Nient'affatto, sostengono alcuni economisti di mercato: nessuno contesta le
implicazioni ambientali, ma il catastrofismo economico è ingiustificato.
Secondo Tim Bond, di Barclays Capital,accadrà addirittura l'esatto
contrario di quanto previsto da Stern:la necessità di aumentare la
capacità energetica del 50% entro il 2035, e al tempo stesso ridurre la
dipendenza dagli idrocarburi, darà vita a una vera e propria
«rivoluzione energetica». E questo processo stimolerà la crescita economica,
come sempre è avvenuto in passato con l'adozione di nuove tecnologie.
Bond cita altri cambiamenti nelle fonti energetiche, dal legno al carbone e da
questo al petrolio. In ognuno di questi casi, la crescita ha ricevuto un
impulso dal cambiamento di tecnologia energetica.
Jim O'Neill, di Goldman Sachs, rileva che Stern usa i due termini
"mitigare"e "adattarsi"ai cambiamenti climatici. E sostiene
che avverrà proprio questo e darà una forte spinta ad alcune
attività economiche e finanziarie: fonti alternative, tecnologie per
migliorare l'efficienza energetica nell'industria, nei trasporti e nel
riscaldamento, nucleare, mercati dei diritti di emissione, assicurazioni,
derivati. Il che avrà importanti implicazioni anche di investimento.
Tutto questo non esclude il ruolo che dovranno comunque svolgerei
Governi,intermini di incentivi, tassazione, regolamentazione. Afferma O'Neill,
citando l'ex presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, che si tratta di
uno di quei casi in cui è importante l'adozione fin da oggi di politiche
che aiutino a risolvere una crisi che potrebbe manifestarsi in tutto il suo
potenziale distruttivo solo in futuro.
Aquesto proposito,uno sconsolato Tommaso Padoa Schioppa osservava dopo il
vertice di Essen dello scorso fine settimana, dove il tema energia figurava in
agenda, che si tratta di un dramma, se non di una tragedia, globale, cui il G7
non è finora riuscito a dare risposte globali. Certamente, anche per
John Llewellyn, di Lehman Brothers, che ha appena prodotto uno studio sul
"business dei cambiamenti climatici", sono leimprese che si stanno
muovendo su questo fronte, e si stanno muovendo prima dei Governi. I
cambiamenti climatici, sostiene Llewellyn, sono un'ulteriore sfida che le
imprese devono affrontare. Ma poiché è uno di quei fenomeni che si
svilupperanno appieno molto lentamente, nel corso di decenni, c'è il
rischio che anche fra le imprese ce ne sia qualcuna che decide di posporre
decisioni e adattamento alle nuove condizioni. Sarà chi si è mosso
per tempo, dice l'economista di Lehman, ad avere le migliori chance di
sopravvivenza.
++ Da La Stampa 13-2-2007 Sanzioni
Consob per lo swap Fiat
++ Dal
Corriere della Sera 13-2-2007 Consob:
sospesi Gabetti e Grande Stevens
+ Dal
Garante della privacy 9-2-2007 Mamme e
neonati "schedati" per promuovere riviste e prodotti
+ Dal
Corriere canadese ( corriere.com) Ottawa
ripensa l'impegno afghano
Dal
Corriere della sera 12-2-2007 Ségolène: «patto presidenziale» per la
Francia
Da La
Repubblica 13-2-2007 Londra, niente mutua per obesi e fumatori. Cinzia Sasso
13/2/2007
(14:21) - SOSPENSIONI
Arrivano
le sanzioni Consob per la vicenda Fiat Exor del 2005: multe per complessivi 16
milioni di euro e sospensione per il top management di Ifi, Ifil e Giovanni
Agnelli e C. Sapa
ROMA
Arrivano le sanzioni Consob per la vicenda Fiat Exor del 2005: multe per complessivi
16 milioni di euro e sospensione per il top management di Ifi, Ifil e Giovanni
Agnelli e C. Sapa. Le due finanziarie di casa Agnelli annunciano ricorso e per
voce di John Elkann riconfermano la propria piena fiducia nei manager
coinvolti.
Nel dettaglio, la commissione ha deciso la sospensione di sei mesi per il
presidente dell’Ifil Gianluigi Gabetti multato anche per un totale di 5 milioni
di euro, non potrà assumere incarichi per quattro mesi il consulente
legale e consigliere di amministrazione Franzo Grande Stevens a sua volta
multato per complessivi 3 milioni di euro, mentre resterà congelato per
due mesi l’amministratore delegato di Ifi Virgilio Marrone che dovrà
sborare anche 500 mila euro. Altri 4,5 milioni di euro di multa la Consob ha
comminato alla Ifil Investments Spa e 3 milioni alla Giovanni Agnelli e C.
Sapa.
Nel comunicato congiunto diffuso da Ifi e Ifil al termine dei rispettivi cda,
le due società prendono «atto con sorpresa e rammarico del provvedimento
sanzionatorio di Consob» ed esprimono «piena solidarietà» nei confronti
di Gabetti, Marrone e Franzo Stevens. Contro la decisione della commissione di
Borsa, viene annunciato, sarà presentato «ricorso in opposizione e
richiesta di sospensione per gravi motivi presso la Corte di Appello di
Torino». Inoltre alla stessa Consob e stato consegnato «un quesito scritto per
conoscere se le sanzioni amministrative accessorie non siano applicabili fino a
cui sia pendente il giudizio in opposizione».
Sicuro della correttezza dei comportamenti tenuti si dice il vicepresidente
vicario di Ifil, John Elkann: «Riteniamo che l’operazione effettuata da Ifil
nel 2005 sia stata condotta nel pieno rispetto della legge e senza alcuna
manipolazione del mercato. Come affermato in più occasioni, essa era
diretta a conservare il ruolo della Società quale azionista di
riferimento della Fiat, assicurando la stabilità necessaria al buon
esito del suo rilancio».
Per questo, Elkann si dice «fiducioso che le ragioni della Società e
delle persone coinvolte prevalgano in sede di ricorso» e auspica «una rapida
conclusione del procedimento. Al presidente Luigi Gabetti», prosegue Elkann,
«esprimo piena solidarietà, da parte di tutte le società del
Gruppo, oltre che gratitudine per aver saputo opporsi a qualunque deriva rinunciataria,
sovvertendo un destino che a molti appariva segnato con una scelta coraggiosa
e, alla luce dei fatti,d determinante. Ai medesimi sentimenti», conclude
l’esponente della famiglia Agnelli, «associo l’amministratore delegato dell’Ifi
Virgilio Marrone e il nostro consulente legale, l’avvocato Franzo Grande
Stevens, che ringrazio per il prezioso contributo che hanno sempre dato al
Gruppo».
Disposta anche
incapacità temporanea ad incarichi amministrativi
Comminate le sanzioni per la
vicenda Fiat Exor del 2005. Multe anche per 16 milioni di euro. Le
società: «Faremo ricorso»
ROMA - Arrivano le
sanzioni Consob per la vicenda Fiat Exor del 2005: multe per complessivi 16 milioni di euro
e sospensione per il top management di Ifi, Ifil e Giovanni Agnelli e C. Sapa.
Le due finanziarie di casa Agnelli annunciano ricorso e per voce di John Elkann
riconfermano la propria piena fiducia nei manager coinvolti.
Nel dettaglio, la commissione ha deciso la sospensione di
sei mesi per il presidente dell'Ifil Gianluigi Gabetti multato anche
per un totale di 5 milioni di euro, non potrà assumere incarichi per
quattro mesi il consulente legale e consigliere di amministrazione Franzo Grande
Stevens a sua volta multato per complessivi 3 milioni di euro, mentre
resterà congelato per due mesi l'amministratore delegato di Ifi Virgilio
Marrone che dovrà sborsare anche 500 mila euro.
Altri 4,5 milioni di euro di multa la Consob ha comminato
alla Ifil Investments Spa e 3 milioni alla Giovanni Agnelli e C.
Sapa.
13 febbraio 2007
Resta alta la tensione
Roma-Zagabria. Il premier croato: «Inaccettabile la revisione dei trattati di
pace»
ROMA - Il presidente croato, Stipe Mesic, ha
insistito, in un intervento alla radio croata, nella polemica con l'Italia,
dopo l'attacco al presidente Giorgio Napolitano sulla questione delle foibe,
tornando a definire «assolutamente inaccettabile» per la Croazia ogni ipotesi
di «discussione sul trattato di pace del 1947 o di revisione degli accordi di
Osimo». Frasi ancora una volta pesanti che arrivano nelle stesse ore in cui la
diplomazia è al lavoro per ricucire lo strappo tra i due paesi. Prima
dell'intervento di Mesic si era infatti registrato un tentativo di stemperare i
toni da parte croata: il portavoce del premier aveva ribadito la volontà
del suo governo di lavorare «in spirito di collaborazione» con Roma.
COMMISSIONE ITALO-CROATA - Mesic non si è
comunque sottratto a un'ulteriore stilettata verso l'Italia: «Vorrei solo
ricordare - ha detto - che l'Italia non ha mai pagato le riparazioni di guerra,
mentre la Croazia è disposta in ogni momento a pagare quanto deve» a
titolo di risarcimento dei beni abbandonati dagli esuli italiani fuggiti dal
territorio croato dell'ex Jugoslavia dopo la Seconda guerra mondiale. Come
unica concessione alla diplomazia, il capo dello Stato croato ha accettato di
associarsi alla proposta del governo sulla istituzione di «una commissione
italo-croata di esperti storici». Commissione che, ha tagliato corto Mesic,
dovrà stabilire «il numero esatto delle vittime delle foibe per porre
termine finalmente a questo dibattito». Riprendendo il suo commento sugli
accordi di pace postbellici sottoscritti dall'Italia con l'allora Jugoslavia,
Mesic ha quindi rimarcato che «chiunque pensi di poter modificare o rivedere le
vecchie intese tra Italia e Jugoslavia, che la Croazia ha ereditato come Paese
successore, vive di illusioni poiché noi ci atteniamo al principio secondo cui
pacta sunt servanda».
SDEGNO DI PRODI - Dall'India, Romano Prodi ha espresso il
suo «sdegno» per la nota con cui Mesic aveva tacciato di «aperto razzismo,
revisionismo storico e revanscismo politico» il discorso del presidente della
Repubblica sul dramma degli esuli istriani, giuliani e dalmati. Il presidente
del Consiglio italiano ha fatto sapere di aver dato istruzione al suo consigliere
diplomatico di esprimere al governo croato «sdegno» per accuse che ha definito
«assolutamente ingiustificate» e non corrispondenti «allo spirito del popolo
croato». «Tra l'altro arrivano dopo un grande periodo di collaborazione con la
Croazia - ha aggiunto Prodi - io personalmente negli scorsi anni ho
intensamente lavorato perché la Croazia entri a pieno titolo nell'Unione
europea».
CONVOCATO AMBASCIATORE - Intanto l'ambasciatore
croato a Roma, Tomislav Vidosevic, è stato ricevuto alla Farnesina dove
gli è stata espressa la protesta del governo italiano per le
«inaccettabili dichiarazioni» di Mesic. È stata anche annullata una
visita a Zagabria del sottosegretario agli Esteri, Bobo Craxi, in programma
mercoledì per promuovere la candidatura di Milano a ospitare l'Expo del
2015.
MONITO UE - Dall'Ue, in cui la Croazia è
candidata a entrare probabilmente nel 2009 o nel 2010, è arrivato
l'auspicio che le tensioni si stemperino: «Le relazioni tra l'Italia e la
Croazia generalmente sono molte buone e speriamo che questo tipo di relazioni
si applichino anche alle discussioni su questi eventi che sono dolorosi per
entrambi le parti», è quanto ha dichiarato un portavoce della
Commissione Europea Pietro Petrucci.
13 febbraio 2007
Il Garante ha
vietato ad una casa editrice di proseguire la "schedatura" di decine
di migliaia di nominativi di neo mamme e neonati raccolti e utilizzati in
modo illecito a fini di profilazione e marketing.
La società è risultata infatti inadempiente rispetto a numerose
disposizioni del Codice della privacy.
La casa
editrice, che pubblica alcuni periodici su tematiche relative alla gravidanza e
alla prima infanzia, è finita sotto la lente del Garante dopo la
segnalazione di una coppia che lamentava di aver ricevuto, senza consenso,
riviste omaggio in occasione della nascita dei figli. Per promuovere i suoi
prodotti la società si avvaleva anche di "referenti" esterni
alla stessa società scelti tra medici e infermieri di strutture
ospedaliere pubbliche o private che avevano il compito di distribuire coupon con i quali venivano
raccolti una serie di dati (nome e cognome della mamma e del bambino,
professione, data di nascita, numero di telefono ecc.). Per svolgere questo
compito il personale ospedaliero era remunerato con regali di valore
proporzionale al numero di nominativi raccolti.
Nel corso delle
ispezioni disposte dal Garante sono stati accertati numerosi illeciti.
É emerso infatti
che i "referenti" svolgevano l'attività di raccolta dei dati
senza esserne formalmente incaricati, senza adottare particolari cautele a
protezione dei dati e, per di più, senza alcuna autorizzazione o
convenzione con le strutture sanitarie. In alcuni casi compilavano
direttamente i coupon
con i nominativi all'insaputa delle donne presenti in reparto.
I coupon, distribuiti anche presso
studi ginecologici, pediatrici e farmacie sono risultati, tra l'altro, privi di
una corretta informativa e formulati in modo da non consentire di manifestare
validamente il consenso.
Il Garante,
oltre all'uso dei dati, ha vietato alla casa editrice di effettuare altre
operazione di raccolta e utilizzazione dei dati avvalendosi di
"referenti" con modalità non conformi al Codice della privacy.
La società, inoltre, dovrà riformulare l'informativa inserita nel
coupon e nominare
responsabili del trattamento le società di cui si avvale per la gestione
del data base e la ricerca dei dati a fini di marketing. Dovrà infine adottare idonee
procedure che le permettano di garantire un immediato e preciso riscontro alle
richieste di accesso e cancellazione dei dati da parte degli interessati.
"Abbiamo
posto fine a questa "caccia alle mamme" e all'invasione
della loro vita privata con pubblicità sgradita – ha commentato Giuseppe
Fortunato, relatore del provvedimento. Un evento felice non deve mai
trasformarsi in un'occasione per promuovere prodotti e raccogliere dati su
abitudini, scelte, consumi e propensione a spendere di donne ignare".
Roma, 9 febbraio
2007
Il Canada dovrebbe
sostenere con più forza la missione dell'esercito in Afghanistan. ma,
allo stesso tempo, Ottawa dovrebbe ripensare al proprio impegno nella regione
se la Nato non garantisse il proprio sostegno. Sono le indicazioni contenute in
Taking a hard look at a hard mission, il rapporto presentato ieri dalla
commissione Esteri del Senato.
«I soldati canadesi in Afghanistan - ha detto ieri il senatore liberale Colin
Kenny - affrontano un numero di problemi. Fra questi la cultura guerriera di
quel popolo e la percezione che gli afghani hanno nei confronti del nostro
esercito, che viene visto come un esercito invasore».
Il Canada, secondo il rapporto, dovrebbe investire altri 20 milioni di dollari,
250 soldati e 60 istruttori di polizia per migliorare il proprio impegno nella
regione. Ma solo a patto che anche la Nato muova un passo. «Ci aspettiamo che i
nostri alleati si comportino come tali - ha proseguito Kenny - se non
arriveranno a darci una mano, noi saremo autorizzati a guardare diversamente
alla vicenda».
LA RISPOSTA DELL'EUROPA - Una parziale risposta alle preoccupazioni di Ottawa
è arrivata proprio ieri mattina da Bruxelles, dove i ministri degli Esteri
europei hanno deciso di inviare in Afghanistan una missione per l'addestramento
della polizia locale. Secondo Massimo D'Alema, responsabile della Farnesina, la
decisione adottata dall'Ue rafforza e sottolinea il carattere multilaterale ed
europeo della missione in quel Paese. «C'è un forte impegno dell'Unione
Europea in Afghanistan e non soltanto da parte dei singoli Paesi. L'Afghanistan
è anche una missione europea e una missione dell'Unione Europea», ha
detto D'Alema».
ANCORA VIOLENZA A KABUL - Le forze della coalizione militare a guida Usa e
militari afghani hanno ucciso molti combattenti talebani in un'operazione nel
Sud dell'Afghanistan mirata contro un comandante dei talebani considerato
strettamente legato al leader spirituale degli integralisti, il super ricercato
Mullah Omar. Lo si legge in una nota diramata dalla coalizione da Kabul, che
non precisa se il comandante sia stato ucciso o meno.
L'operazione è
stata condotta nella località di Gereschk,
«L'attacco - si legge nel comunicato - è stato sferrato sulla base di
informazioni su un comandante talebano che opera nella vicina provincia di
Kandahar. L'individuo preso di mira aveva legami con il mullah Mohammad Osmani
(comandante militare dei ribelli nel sud del Paese ucciso lo scorso dicembre in
un raid, ndr) e con il mullah Mohammad Omar», considerato capo spirituale
dell'ex regime talebano abbattuto nel 2001 e poi dei ribelli e collaboratore di
Osama bin Laden.
La nota non precisa quanti siano i talebani uccisi. Nell'attacco, si legge,
è rimasto ferito anche un soldato afghano.
IL PROBLEMA DELLE FRONTIERE - Intanto, giunge notizia che almeno 700
guerriglieri talebani si sarebbero introdotti in Afghanistan attraverso il
Pakistan con l'obiettivo di attaccare un'importante diga, fra le principali
fonti di elettricità del Paese. Lo afferma il governatore della
provincia di Helmand, Asadullah Wafa, secondo il quale i 700 infiltrati sono
cittadini pakistani, uzbeki e ceceni, entrati in territorio afghano grazie a
capi locali, per compiere un'operazione congiunta con Al Qaeda.
La zona della diga di Kajaki, nella zona orientale della provincia di Helmand,
è stata teatro di numerosi scontri nelle ultime settimane fra i talebani
e le forze Nato, soprattutto inglesi e olandesi. Wafa ha anche accusato
l'agenzia di intelligence militare pachistana Isi di aver addestrato e dato
supporto logistico ai guerriglieri: «Il Pakistan - afferma il governatore
provinciale di Helmand - appoggia i talebani e fa in modo che continuino a
combattere in Afghanistan. Non vogliono lo sviluppo e la ricostruzione del
Paese».
Nonostante le continue accuse, il Pakistan ha negato di continuare a sostenere
i talebani, dei quali la Nato si attende una violenta offensiva per la prossima
primavera, con il disgelo. Il 2006, con circa 4mila morti, è stato
l'anno più sanguinoso in Afghanistan dalla caduta del regime dei
talebani, nell'autunno del 2001.
LIBERTA'
di martedì 13 febbraio 2007
.
Per la maggioranza «è un testo equilibrato»
Il
Papa: «I Dico fuori dalla legge naturale»
Il
cardinale Ruini preannuncia una nota "impegnativa" per i cattolici
ROMA
- Prosegue senza sosta l'offensiva della Cei e di Benedetto XVI contro
il disegno di legge del governo Prodi sulle coppie di fatto. Ieri, mentre il
cardinale Camillo Ruini ha preannunciato una nota «impegnativa» per i
cattolici sul tema dei Dico, il Pontefice è tornato a criticare il
disegno di legge che per la Chiesa mette in discussione l'istituto della
famiglia. Scatenando le reazioni della sinistra radicale e dei socialisti
contro l'ennesima ingerenza vaticana. E la dura reazione del giurista Stefano
Rodotà per il quale le «dichiarazioni rilasciate dal Papa e dal
cardinale Ruini aprono un conflitto dichiarato con il Governo della Repubblica,
il Parlamento e la Carta Costituzioale».
«Nessuna legge fatta dagli uomini può sovvertire quella norma fatta dal
Creatore senza rendere precario il futuro della società, con leggi in
netto contrasto con il diritto naturale», è il monito di Benedetto XVI
che ieri ha aperto il Congresso internazionale sul diritto naturale della Pontifica
università Lateranense.
«Non si devono trasformare in diritti quelli che sono interessi privati o
doveri che stridono con la legge naturale», ha aggiunto il Pontefice, convinto
che «esistano norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà
del legislatore o dal consenso degli Stati ma precedono la legge umana e per
questo non ammettono deroghe da parte di nessuno».
Parole pesanti, destinate a surriscaldare il clima già plumbeo che
aleggia sui Dico.
Romano Prodi dall'India non ha voluto commentare il nuovo affondo. «Sono
molto sereno», ha replicato ai giornalisti che lo interrogavano sulle polemiche
italiane sul ddl sulle coppie di fatto. «Le polemiche non mi turbano», ha
assicurato il premier.
A una settimana dall'approvazione in consiglio dei ministri del testo messo a
punto da Barbara Pollastrini e Rosy Bindi, il presidente della
Cei ha dal canto suo anticipato una formale presa di posizione dei vescovi
italiani sul tema.
Una posizione destinata a divenire vincolante per i cattolici. La presa di
posizione a livello di magistero della Chiesa sarà «una parola meditata,
ufficiale a accreditata», ha promesso Ruini.
Moltissime le reazioni sia nella maggioranza che nell'opposizione. La Cdl si
schiera compatta in difesa dei valori cattolici. Cercando con l'Udc di
richiamare all'ordine i teodem di Paola Binetti. «Il ddl sui Dico va
ritirato», tuona l'ex ministro forzista Beppe Pisanu.
«L'allarme della Chiesa deve essere recepito con immediatezza e fatto proprio
da tutti i cattolici», aggiunge Enrico La Loggia. E con la Chiesa si
schiera anche Gianfranco Fini. «E' giusto che la Chiesa difenda i valori
cattolici» dice il leader di An per il quale i Dico rappresenterabbero un
matromionio di serie B.
Del tutto diversa la reazione della maggioranza. Se Massimo D'Alema ha
espresso il suo stupore per l'offensiva vaticana che giudica inedita nella
storia dei rapporti tra Stato e chiesa, il centrosinistra difende il suo
disegno di legge.
«E' un testo equilibrato, ci sono tutte le condizioni perchè venga approvato
in Parlamento», dichiara Luigi Zanda della Margherita. Seguito dalla
diessina Marina Sereni che invita il Parlamento ad essere vicino al
paese reale. Il centrista Marco Follini, pur riconoscendo il diritto
della Chiesa di esprimere le proprie opinioni, invita la politica ad essere
autonoma. Duro il commento del ministro di Rifondazione Paolo Ferraro:
«Mi chiedo se la Chiesa sia in linea con il Concordato».
Ieri a Messina blitz dei Nas per chiudere
un laboratorio del Policlinico
Il sindacato dei medici "Non ha speso
una parola sul malaffare"
"Così ci lascia soli nella lotta contro affari e
connivenze"
Forgione: "Il rischio è che tra una visita e l´altra ci si
dimentichi dei morti in ospedale"
Che fosse una visita destinata a far
discutere si era intuito dalla lettera indirizzata dai Ds siciliani al ministro
Livia Turco, il giorno prima del suo arrivo, per avvertirla che la
sanità siciliana era ben altro dai centri di eccellenza che il governo
regionale le avrebbe mostrato. Ora la missione «istituzionale» del ministro in
Sicilia diventa un caso politico che agita le acque a sinistra e fa insorgere
la Cgil, che ha indirizzato alla Turco una lettera aperta. E dopo il segretario
regionale dei Ds, Tonino Russo, nella Quercia siciliana si moltiplicano le
prese di posizione contro la scelta del ministro di non spendere una parola sui
casi di malasanità che hanno scosso la Sicilia negli ultimi mesi. Gli
ultimi proprio ieri: a Messina i Nas hanno sequestrato il laboratorio di
anatomia patologica del Policlinico per carenze igieniche e strutturali, a
Catania la Procura ha aperto un´inchiesta sulla morte di una diciassettenne,
avvenuta il 6 febbraio nell´astanteria del pronto soccorso dell´ospedale
Garibaldi: due i medici indagati per il decesso della giovane, affetta da una
malattia rara al sangue, morta dopo quattro ore dall´arrivo in ospedale.
Sono parole pesanti quelle contenute nella lettera che la segreteria regionale
della Cgil medici - Renato Costa, Enzo Cirrincione, Grazia Colletto, Franco
Ingrillì, Enzo Licita, Ernesto Melluso e Franca Tiralosi - ha
indirizzato ieri al ministro Turco, sottolineando che «si è presentata
l´occasione di poter verificare in prima persona le inefficienze e gli sprechi
di un sistema sanitario che, secondo le nostre analisi derivanti da anni di
esperienze e di lavoro, ha stravolto le sue finalità e i cui risultati sono
di fronte agli occhi di chi sa vederli». E come se non bastasse, non una parola
sulle connivenze mafiose e sugli intrecci tra politica e malaffare intessuti
nel mondo a nove zeri della sanità pubblica, senza nulla togliere ai
centri d´eccellenza che del sistema sanitario regionale restano «isole» in un
«contesto generale che da queste è ben lontano». L´effetto della visita
è stato dunque quello di «aumentare la solitudine di coloro che in
Sicilia lottano per una società più giusta e, come insegna
Giovanni Falcone, la solitudine è cosa pericolosa».
Perché secondo il sindacato «basta leggere le statistiche per accorgersi come
per tutta una serie di malattie in questa regione ci si ammala di meno e si
muore di più che altrove, basta guardare i giornali per vedere come la sanità
siciliana sia diventata centro di interessi economici della mafia, basta
parlare con quegli operatori che conservano una coscienza libera per sapere
come il "cuffarismo" abbia orientato tutte le scelte in materia
sanitaria a scapito dell´efficienza e della cura dei cittadini». Il sindacato
addita alcune delle incompiute storiche, come il Polichirurgico di Villa Sofia
e la struttura di via Ingegneros, le sale operatorie del Civico chiuse dai Nas
(e riaperte a tempo di record), le condizioni del 118. Ma «la cosa che
più ci rincresce - scrivono i sindacalisti in camice bianco - sono state
le sue dichiarazioni sulla retorica della malasanità. Ci chiediamo e
chiediamo a lei, signora ministra, se è retorica denunziare il
malcostume, gli sprechi e le inefficienze, mettendoci sempre la faccia e
rischiando sempre di persona».
«La sanità siciliana è fatta di luci e ombre - aggiunge Italo
Tripi, segretario generale della Cgil siciliana - ed è un errore
sottolineare solo l´uno o l´altro aspetto. I compagni della Cgil medici hanno
ragione a chiedere al ministro di fare luce anche sui punti bui che da anni
denunciano, spendendosi in prima persona». Accuse che un gruppo di deputati
regionali Ds sottoscrivono: «C´è una sanità di facciata e
propaganda - attacca Giuseppe Apprendi - e ce n´è un´altra con la quale
si misura il cittadino, sporca, non accogliente e a rischio. E vedere il
ministro Turco che inaugura una struttura accanto a un manager come Giancarlo
Manenti, è sconcertante per chi ha votato il centrosinistra». Le
riflessioni sulla visita del ministro, e su quelle precedenti del ministro
Damiano e del viceministro Minniti («Senza alcun contatto con parti sociali e
categorie»), Apprendi le consegnerà oggi in una lettera al leader della
Quercia, Piero Fassino. «Alla segreteria della Cgil medici - aggiunge Francesco
Cantafia, ex segretario della Camera del lavoro di Palermo - va tutta la
solidarietà delle persone che li hanno visti battersi per una
sanità migliore e libera dalla mafia. Alla ministra Turco l´appello a non
fidarsi di quelli che a destra, come a sinistra, sono stati eletti sfruttando
la sanità e i suoi difetti». Chiosa il capogruppo, Antonello Cracolici:
«Nella sua lettera - spiega - il segretario regionale è stato il primo a
esprimere un timore che poi si è rivelato fondato».
«Gli interessi mafiosi nella sanità siciliana sono un dato di fatto,
come prova il ruolo di capi mandamento assunto da medici e primari dalla
vicenda Guttadauro in poi - aggiunge Francesco Forgione, presidente
dell´Antimafia - e questo è un aspetto che non si può tacere, che
la commissione ha sottolineato in una relazione condivisa da tutto l´arco
costituzionale. È vero che la sanità siciliana conta su punte di
eccellenza che è giusto mettere in luce. Ma è anche vero, e lo
dico con tutta la terzietà del mio ruolo, che vicende come quella di
Villa Santa Teresa, centro di eccellenza che nascondeva interessi di mafia,
devono fare riflettere. E c´è da chiedersi perché in Calabria, dove
l´omicidio Fortugno ha dimostrato a che livello siano giunte le infiltrazioni,
sono state sciolte le Asl e provvedimenti di questo genere non siano abbiano
mai intaccato il sistema di potere e affari della sanità siciliana. Lo
stesso in cui, qualche settimana fa, Villa Sofia aveva reintegrato in servizio
andando contro la legge un infermiere che faceva il postino di Provenzano. Il
rischio è che, tra una visita istituzionale e l´altra, ci si dimentichi
che negli ospedali siciliani c´è il morto».
(13 febbraio 2007)
13/2/2007 (8:13) -
Mesic: "Da lui parole razziste".
D'Alema convoca l'ambasciatore
ROMA
Giorgio Napolitano, ieri, stupito e amareggiato, non ha potuto fare altro che
allinearsi dietro le parole pronunciate dal ministro degli Esteri Massimo
D’Alema. Ed è toccato poi alla Farnesina elaborare una dura risposta
ufficiale alle violente espressioni usate dal presidente croato Stipe Mesic per
attaccare il discorso pronunciato sabato scorso dal Presidente della Repubblica
in ricordo della tragedia delle foibe. Il governo la renderà nota nei
prossimi giorni. Sta di fatto che adesso non è affatto esagerato parlare
di una crisi diplomatica molto seria apertasi tra Italia e Croazia.
La crisi era nell’aria dalla mattinata, quando le agenzie croate hanno
cominciato a mettere in rete dichiarazioni di alti dirigenti politici contro
Napolitano. Il bersaglio del fuoco erano le parole con cui il Presidente della
Repubblica aveva descritto fiumani e dalmati come vittime di «un moto di odio e
di furia sanguinaria e di un disegno annessionistico slavo, che prevalse nel
trattato di pace del 1947 e che assunse i sinistri contorni di una pulizia
etnica».
Un deputato della destra, Tonci Tadic, ha dichiarato che «tenendo conto di
tutto ciò che hanno fatto in Croazia e in altri Paesi, gli italiani sono
gli ultimi che possono dare lezioni su genocidi e pulizia etnica». Ma il
Presidente croato è andato ben oltre. Mesic è arrivato ad
affermare che, nelle parole pronunciate da Napolitano, «è impossibile
non intravedere elementi di aperto razzismo, revisionismo storico e revanscismo
politico».
E, con una sfumatura di minaccia, ha aggiunto che esse «si inseriscono
difficilmente nella dichiarata volontà di migliorare i nostri rapporti
bilaterali». Mesic ha anche definito «inaccettabile qualsiasi tentativo di
mettere in discussione gli accordi di Osimo» e ha aggiunto che «è motivo
di costernazione ed è potenzialmente estremamente pericoloso mettere in
discussione il trattato di pace che l’Italia ha firmato nel ’47».
Ora, oltre che per le assurde e inaccettabili accuse di razzismo e revanscismo,
Napolitano, consultatosi immediatamente con il suo consigliere diplomatico
Roberto Nigido, si è risentito per l’accusa di revisionismo, dal momento
che - ha pensato - nè l’Italia nè personalmente lui possono
essere accusati di non aver denunciato a sufficienza i crimini del
nazifascismo.
E poi, si è lamentato il Presidente, lui non aveva certo messo in
discussione il trattato del ’47 («Figurarsi», sembra abbia esclamato) nè
tantomeno il trattato di Osimo. Insomma, le parole di Mesic erano da
considerarsi gravi e irricevibili. Ma, non avendo alcun titolo istituzionale
per intervenire su questioni di politica estera, al Presidente non restava altro
da fare che contattare il titolare della Farnesina. D’Alema, che era a
Bruxelles, non ha esitato a definire quella di Mesic «una reazione del tutto
immotivata, che stupisce e addolora», riferendo, in sostanza, proprio i
sentimenti di Napolitano.
Si è verificato, a questo punto, uno di quei fenomeni che molto
raramente avvengono nella politica italiana: esponenti di forze politiche di
tutto l’arco parlamentare sono vigorosamente scesi in campo a difesa di
Napolitano.
In seguito D’Alema, sempre da Bruxelles, ha annunciato che «non appena
prenderemo visione, in modo dettagliato, delle dichiarazioni di Mesic,
valuteremo il da farsi». E’ probabile che il governo italiano pretenda delle
scuse ufficiali, la mancanza delle quali finirebbe per influire sull’atteggiamento
dell’Italia sull’ingresso della Croazia nell’Unione Europea. Il governo
italiano si è sempre pronunciato a favore dell’accoglimento della
Croazia, nonostante non mancassero motivi di lamentela, a cominciare dalla
discriminazione che, fino all’ottobre scorso, hanno subito gli italiani
nell’accesso al mercato immobiliare croato. E’ invece ancora aperto l’ormai
antico problema dei risarcimenti a favore dei profughi giuliano-dalmati.
I brigatisti erano divisi in tre cellule a
Milano, Padova e Torino
Operazione nel Nord Italia, tra i capi due
delegati Cgil. Il leader, Alfredo Davanzo, viveva in montagna senza
riscaldamento
M
Nell'ordinanza d'arresto il giudice Guido
Salvini definisce i 15 arrestati «il nucleo essenziale» di una «banda armata a
tutti gli effetti». Come «costitutori» sono finiti in carcere il capo della
cellula di Milano, Claudio Latino, 49 anni, ex dell'Autonomia veneta, il suo
«allievo» e successore a Padova, Davide Bortolato, 37, e un incensurato
delegato Cgil di Torino, Vincenzo Sisi, 54 anni. Tra gli arrestati a Milano spicca
Bruno Ghirardi, già condannato a 22 anni come terrorista dei «Colp»,
scarcerato nel 2001 e riscoperto nel
La Digos ha filmato «un'esercitazione
notturna con almeno una mitraglietta Uzi e un kalashnikov» nella frazione
Beverare a San Martino di Varezze (Rovigo): «Sparavano di notte — rimarca la
Boccassini — e il giorno dopo hanno recuperato tutti i bossoli». A vendere le
armi era Salvatore Scivoli, 55 anni, siciliano «arrestato giovanissimo per
criminalità organizzata e politicizzatosi in carcere fino a firmare gli
appelli di Curcio e Franceschini». La dirigente di polizia Giuseppina Suma ha
precisato che l'inchiesta era nata dalla scoperta casuale (la telefonata di
un'inquilina) in una cantina di via Pepe a Milano di una strana «bicicletta con
microcamera nel fanale e radiotrasmittente nel sedile». Dopo mesi di silenzio,
le intercettazioni hanno portato a un condomino, Massimiliano Gaeta, risultato
«il tecnico» della banda. In maggio «il Sisde del generale Mori» ha allargato
le indagini a Torino e Padova. Davanzo gestiva anche «la rivista clandestina
Aurora» e organizzava «corsi d'informatica in Svizzera per la sicurezza delle
comunicazioni» tenuti dall'estremista Andrea Stauffacher, perquisito ieri dalla
procura di Berna. Inquietanti anche gli incontri con brigatisti storici:
Ghirardi era amico di Marcello Ghiringhelli, l'ergastolano che ieri si è
visto revocare il permesso di lavoro fuori dal carcere.
13 febbraio 2007
CITTÀ DEL VATICANO
I vescovi diranno una parola «impegnativa» per i cattolici in tema di «Dico»:
l’ha annunciato ieri il cardinale Camillo Ruini; mentre Benedetto XVI ammoniva:
non si debbono «trasformare in diritti» quelli che sono «interessi privati o
doveri che stridono con la legge naturale».
«Un’applicazione molto concreta di questo principio - ha spiegato il Pontefice
- si trova se si fa riferimento alla famiglia, cioè all’intima comunione
di vita fondata dal Creatore e regolata con leggi proprie. Essa ha la sua
stabilità per Ordinamento Divino. Il bene sia dei coniugi che della
società non dipende dall’arbitrio». «Nessuna legge - ha scandito -
può sovvertire la norma del Creatore senza rendere precario il futuro
della società con leggi in netto contrasto con il diritto naturale». Il
Pontefice ha denunciato come, invece della verità, si cerchi il
«compromesso tra diversi interessi che inevitabilmente si incontrano»,
ignorando così «norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla
volontà del legislatore o dal consenso degli Stati, ma precedono la
legge umana e per questo non ammettono deroghe da parte di nessuno». Il Pontefice
parlava ai partecipanti a un convegno organizzato dall’Università
Lateranense, il cui rettore, monsignor Rino Fisichella, ha rivolto un appello
affinché i cattolici non votino il ddl sulle coppie di fatto. «Meglio essere
lungimiranti oggi, piuttosto che dover chiedere scusa tra venti o trent’anni»,
ha detto il presule osservando che «ci sono troppi che fanno mea culpa per aver
firmato, venti o trent’anni fa, leggi che non firmerebbero più».
Ma le parole più gravide di futuro le ha dette il Presidente della Cei.
Uscendo da un convegno organizzato dall’Opera Romana Pellegrinaggi, e richiesto
di un commento sui Dico, ha risposto: «Sulla questione sono state già
dette da parte nostra tante cose importanti, credo tutto ciò che
è necessario, quindi è inutile che aggiunga qualche battuta
estemporanea. Potrà essere importante - ha aggiunto - una parola
meditata e ufficiale che sia impegnativa per coloro che accolgono il magistero
della Chiesa e possa essere chiarificatrice per tutti». E non ha voluto dire di
più. I tempi di quella che probabilmente sarà una «Nota» della
Cei non sono chiari; ma non sembrano imminenti. E’ probabile che si appoggi su
un documento firmato da Ratzinger nel 2003 intitolato «Considerazioni circa i
progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali».
Il testo voleva «illuminare l’attività degli uomini politici cattolici»
affinché si oppongano a qualsiasi tipo di tutela legale delle unioni
omosessuali. Non farlo sarebbe un «atto gravemente immorale». Il documento
definiva queste unioni «nocive per il retto sviluppo della società
umana» ed esortava i politici a non legalizzare in alcun modo le coppie gay:
«Concedere il suffragio del proprio voto ad un testo legislativo così
nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale»,
ammoniva Ratzinger.
Fortissime le reazioni politiche. Per Boselli «è arrivato il momento di
mettere all’ordine del giorno il superamento del Concordato», (messo in dubbio
anche dal ministro Ferrero), mentre Cacciari accusa le gerarchie di «un atteggiamento
teocratico». Per Gianfranco Fini «la Cei ha tutto il diritto di esprimere un
giudizio», e il leghista Calderoli gioisce perché «i cattolici di sinistra sono
stati scomunicati dal Santo Padre». Non c’è ingerenza, dice Marco
Follini, «ma la politica deve essere autonoma». Mentre per il forzista Enrico
La Loggia «l’allarme della Chiesa va recepito con immediatezza».
Nel testo si fissano i tempi e i punti fermi del futuro schieramento politico
"Ci impegniamo a nascere nel 2008"
Ribadito il valore della laicità e
la volontà di istituzionalizzare le primarie
Sinistra Ds all'attacco: In realtà la via verso il partito nuovo
è già nero su bianco
ROMA - Il Manifesto è pronto, per
veder nascere il partito "di popolo, radicato e diffuso sul territorio,
capace di rendere partecipati e condivisi i processi di riforma"
bisognerà aspettare invece il 2008. E' quanto si legge nel
"Manifesto per il partito democratico", scritto in tre mesi dai 12
"saggi" dell'Ulivo. "Sottoscrivendo questo Manifesto - affermano
- ci impegniamo a lavorare con piena convinzione, determinazione e
lealtà per fare, a tutti gli effetti, entro la fine del 2008, dell'Ulivo
il Partito dei democratici, il nostro partito".
Un testo articolato. Si tratta di un documento di quindici cartelle in tutto,
suddivise in tre capitoli: "Noi, i democratici"; "L'Italia, una
nazione d'Europa"; "L'Ulivo, il nostro partito". All'interno si
afferma che sottoscrivere il manifesto e versare una quota minima "saranno
condizione per partecipare, sulla base del principio "una testa, un
voto", alla formazione degli organi costituenti, secondo le regole
definite in modo consensuale dal coordinamento dell'Ulivo".
L'amore per l'Italia. Il documento, che nelle intenzioni dei promotori dovrebbe
essere un primo mattone nella costruzione di un nuovo sistema politico, si apre
con una dichiarazione patriottica: "Noi, i democratici, amiamo
l'Italia". Il manifesto affronta anche i nodi della collocazione europea,
della scelta del leader e della laicità.
Né col Pse né con il Ppe. "Vogliamo contribuire a rinnovare la politica
europea dando vita col Pse e le altre componenti riformiste a un nuovo vasto
campo di forze, che colmi la carenza di indirizzo politico sulla scena
continentale". Il Manifesto risolve così la scottante questione del
collocamento del futuro partito nel Parlamento di Bruxelles. Di fronte alle sfide
impegnative della contemporaneità, si legge ancora, "tutte le
tradizionali famiglie politiche del centrosinistra europeo faticano a trovare
da sole risposte adeguate". "Abbattiamo definitivamente - esorta il
Manifesto - i muri ideologici del Novecento e cominciamo a costruire ponti, tra
culture politiche e settori della società italiana, tra i generi e le
generazioni".
Obbligo di primarie. Per quanto riguarda la leadership, il documento
vincola il futuro partito a ricorrere allo strumento delle primarie, da
utilizzare anche "nelle candidature alle massime cariche di governo, nelle
Regioni e negli enti locali". Quanto al rapporto con le fedi, il Partito
democratico riconosce la laicità "non come un'ideologia
antireligiosa e neppure come il luogo di una presunta neutralità",
bensì come "rispetto e valorizzazione del pluralismo".
L'importanza della laicità. "Abbiamo ben chiari - prosegue il testo
- i limiti della politica, non crediamo nella onnipotenza dello Stato,
difendiamo la sua laicità, abbiamo a cuore la difesa dei diritti civili
e lottiamo contro tutte le discriminazioni. Secondo noi la politica e la legge
devono intervenire con cautela sui temi che hanno a che fare con la scienza e
la tecnica in riferimento alla vita umana, al suo inizio, alla sua fine e alla
sua riproduzione. Si tratta di questioni che vanno acquisendo una rilevanza
centrale nel dibattito pubblico, perchè sollevano inediti e radicali
interrogativi di natura etica, che sfidano l'intelligenza e la coscienza".
Dignità e libertà come valori. "Noi riteniamo - prosegue
ancora il Manifesto - che solo il dialogo tra diverse visioni religiose, etiche
e culturali può portare a soluzioni normative ragionevoli e condivise,
rispettose del criterio irrinunciabile della dignità della persona umana
e capaci di far incontrare il valore della libertà di ricerca e di
scelta col principio per cui non tutto ciò che è tecnicamente
possibile è moralmente lecito".
Il faro della Costituzione. "In questo quadro - conclude in proposito il
documento - riteniamo che i rapporti fra lo Stato e la Chiesa cattolica siano
stati validamente definiti dalla Costituzione e che ogni sviluppo di quei
rapporti debba muoversi nel solco fissato dalla stessa Carta
costituzionale".
I dodici "saggi". A redigere il manifesto, dopo l'abbandono di
Giorgio Ruffolo, sono stati: Rita Borsellino (che però precisa di non
aderire automaticamente al Pd), Liliana Cavani, Donata Gottardi, Roberto
Gualtieri, Sergio Mattarella, Ermete Realacci, Virginio Rognoni, Michele
Salvati, Pietro Scoppola, Giorgio Tonini, Salvatore Vassallo, Luciano Violante.
La sinistra Ds. Insorge la Sinistra Ds, già in ebollizione congressuale,
contro i vertici della Quercia, colpevoli di dire "solo mezze
verità" mentre in realtà la via verso il partito nuovo
è già nero su bianco. Mussi e compagni sfoggiano sarcasmo contro
la maggioranza ed in particolare il segretario Ds Piero Fassino. Duri Carlo
Leoni e Fulvia Bandoli: il manifesto sancisce che il Pd nascerà entro il
2008 e quindi "non è una forzatura dire che entro un anno si
scioglieranno sia i Ds sia la Margherita".
E l'altra verità scorta dalla minoranza ma anche dai sostenitori della
terza mozione di Angius è che "il nuovo partito non aderirà
al Pse". La lingua batte dove il dente duole e quindi, è l'analisi
di Bandoli, "cercare di tranquillizzare gli incerti (che sono tanti),
affermando come fa la mozione Fassino, che i Ds non si sciolgono dopo il
congresso di aprile è solo un modo sbagliato e un pò
veterocomunistà di dire agli iscritti metà della verita".
Gioca sul sarcasmo anche Cesare Salvi, che ironizzando su ideali e valori,
indicati dai saggi, conclude: "Ora l'obiettivo è più
ambizioso: riconciliare illuminismo e cristianesimo. Dopo il tentativo di
Emanuele Kant, la palla ora passa a Fassino e Rutelli".
(12 febbraio 2007)
La candidata socialista annuncia le 100
proposte per cambiare volto al Paese, elaborate in cinquemila assemblee
pubbliche Massimo Nava
Salario minimo, sanità gratuita,
pensioni più alte. Per una nazione «colorata e meticcia»
PARIGI — È stata la domenica di
Ségolène, il lancio del programma tanto atteso dalla sinistra francese
dopo gaffes e sondaggi al ribasso. Per due ore, la candidata socialista
all'Eliseo, giacca rossa, gonna rossa a pois bianchi, in un tripudio di slogan
e bandiere, ha spiegato il catalogo delle speranze, un centinaio di proposte
elaborate in 5.000 assemblee pubbliche per portare la gauche alla vittoria,
come ai tempi di Mitterrand. Mai nominato, ma presente in spirito e nella
coreografia, come un viatico all'allieva prediletta. Ed è stata la
domenica del primo confronto pubblico con Nicolas Sarkozy, che ha parlato quasi
in contemporanea. I due sfidanti per l'Eliseo hanno scaldato le platee dei
militanti e tenuto i francesi incollati a quattro ore di diretta televisiva.
Nel fuoco d'artificio di proclami, visioni della Francia di domani e promesse,
viene il dubbio che gli estensori dei rispettivi discorsi si siano parlati o
che qualche segreto sia filtrato dai quartieri generali della campagna. Non
è così, ma non è difficile trovare punti di contatto nella
proposta e nella diagnosi della malattia francese. La Royal ha infatti
denunciato l'estensione delle aree di povertà e ingiustizia, il fallimento
dell'integrazione, il contemporaneo bisogno di rinnovamento e restaurazione, la
voragine del debito pubblico. Per rimettere in sesto la Francia e tenere
insieme la sinistra, la candidata socialista ha annunciato alcune proposte di
carattere sociale e solidaristico (aumento del salario minimo e delle pensioni,
assistenza sanitaria gratuita per i giovani, intervento pubblico per favorire
l'acquisto della prima casa), senza attenuare un progetto moderno e riformista
che si rifà alle socialdemocrazie del nord Europa: flessibilità,
educazione permanente, ricerca, innovazione, ecologia. La sintesi è un
«patto presidenziale» per una Francia «colorata e meticciata» in cui
Ségolène afferma l'ordine, la restaurazione di alcuni valori nazionali,
l'impegno ecologico, le riforme istituzionali, il decentramento amministrativo
e un maggior potere di controllo del parlamento, l'apertura e il dialogo con
l'opposizione, il negoziato con le parti sociali, la critica al Patto di
stabilità e alla Bce, la fiscalità rapportata all'inquinamento e
alle delocalizzazioni di imprese, la fustigazione delle speculazioni e delle
rendite finanziarie. Una parte importante del discorso è stata dedicata
alla politica internazionale, con l'intento di correggere l'impressione d'incertezza
offerta nel corso degli ultimi viaggi all'estero. Ségolène ha parlato di
diritti umani in Russia e in Cina, di aiuto allo sviluppo e di rilancio del
processo costituzionale europeo. «Non voglio che l'Europa sia soltanto una zona
di libero scambio», ha aggiunto.
Nel rapporto con gli Stati Uniti ha forse
marcato il punto di maggiore differenza con Sarkozy. La candidata socialista
vuole un rapporto senza complessi: «La taglia del Paese non ha niente a che
vedere con i principi», ha detto. Con lei all'Eliseo, la politica estera della
Francia ricorderà piuttosto l'ultimo Chirac: multipolarità,
dialogo con il Mediterraneo, aiuti allo sviluppo, impegno per la pace,
diversità culturale. «Con i nuovi giganti emergenti occorre reinventare
le regole del gioco», ha aggiunto riferendosi a Brasile, India, Sud Africa.
Naturalmente sono diverse le tonalità, a beneficio dei rispettivi
eserciti. Nell'immaginario della sinistra, Sarkozy è la destra
autoritaria che impone la legge dei padroni, il liberismo selvaggio. E per la destra,
Ségolène è la sinistra arcaica che pensa di risolvere i problemi
allargando assistenzialismo e spese dello Stato. Ma il primo round della
campagna elettorale ci dice che entrambi hanno cominciato la corsa verso il
grande centro, la piccola e media borghesia francese che — come ormai avviene
in tutte le democrazie occidentali — determina la vittoria del candidato con
scarti minimi. Corsa d'immagine e di comunicazione, di fascino e competenza,
più che di promesse e soluzioni forzatamente pragmatiche e obbligate fra
i paletti della mondializzazione e della spesa pubblica. Per entrambi, il
pericolo viene dal «terzo uomo», quel François Bayrou che guadagna consensi fra
i moderati dei due campi. Chi si attendeva da Ségolène una svolta a
sinistra, per galvanizzare le truppe un po' disorientate dai primi passi della
campagna, è rimasto deluso. La candidata socialista mantiene la rotta e
rilancia le proposte più provocatorie che l'hanno resa famosa all'inizio
della corsa: l'inquadramento militare dei giovani delinquenti, le giurie
popolari, la responsabilizzazione dei genitori, la revisione della «carta
scolastica» per consentire maggiore libertà di scelta nelle iscrizioni.
L'istruzione è la priorità assoluta: «la battaglia in cui si tengono
insieme famiglia, sicurezza, lavoro e sviluppo». Nello stesso tempo,
Ségolène insegue Sarkozy sul terreno di valori e sentimenti nazionali
che in Francia trapassano gli orientamenti politici: Rivoluzione, Nazione,
Illuminismo. «Oggi vi propongo un patto presidenziale perché la Francia ritrovi
ambizione, orgoglio e fratellanza. Oggi come madre penso ai figli di tutti i
francesi e alle generazioni future», ha urlato con gli occhi lucidi.
12 febbraio 2007
In vari ospedali la nuova politica è
già applicata. Applaudono anche i conservatori: "Basta
sprechi". Ma c'è chi insorge: "E' discriminazione"
Il ministro della salute: "Inutile
operarli se non cambiano stile di vita"
dal nostro inviato
LONDRA - Il governo del laburista Tony
Blair lo aveva annunciato a gennaio: la sanità pubblica potrebbe negare
le cure a quei cittadini che conducono uno stile di vita notoriamente dannoso
per la salute. Obesi e fumatori, indifferenti alle martellanti campagne che per
il bene loro e della società vogliono spingerli a smettere di mangiare
troppo e di fumare, saranno curati per ultimi, o solo dopo che avranno
intrapreso una cura dimagrante e buttato nel cestino per sempre il pacchetto di
sigarette.
Ieri un'autorevole presa di posizione del ministro per la salute, Patricia
Hewitt, ha solennizzato il nuovo indirizzo politico, attribuendogli un valore
medico oltreché economico: "È un approccio che ha senso sotto il
profilo clinico", ha detto il ministro. "È logico che un
medico tenga presenti fattori importanti come il peso eccessivo o la dipendenza
dal tabacco quando deve decidere se indirizzare un paziente verso la sala
operatoria". Numerosi interventi, ha spiegato, hanno un tasso di riuscita
molto inferiore alla media se compiuti su persone che fumano molto o che sono
sovrappeso. Far spendere alle casse dello Stato tanto denaro per interventi che
poi si rivelano inutili, è uno spreco che va cancellato. "Noi - ha
aggiunto - vogliamo che la gente impari a prendersi cura di se stessa".
Le parole del ministro arrivano dopo che in molti ospedali gestiti dal servizio
sanitario nazionale, l'Nhs, il suo "indirizzo" è già
praticato: nel Suffolk, ad esempio, le operazioni al ginocchio o all'anca non
vengono praticate a chi ha una massa corporea troppo superiore a quella
ritenuta giusta. Mentre per i bypass cardiaci i fumatori vengono messi nelle
liste per ultimi. E una circolare diffusa negli ospedali chiarisce: "Se la
malattia è causata da ragioni dovute a comportamenti soggettivi
sbagliati, è appropriato tenerne conto". Visitati dai medici,
riconosciute le loro necessità, questi malati si sentono rispondere:
"Vada a casa, dimagrisca (oppure smetta di fumare) e poi torni".
Quello che viene presentato come un nuovo approccio alla salute è
dettato in realtà dalle difficoltà sempre crescenti delle casse
della sanità pubblica, che non ce la fa più a far fronte a tutte
le richieste e che è costretta ad operare delle scelte. Una è
questa nuova politica di "discriminazione" che non raccoglie
però unanimi consensi.
Se i conservatori, per una volta, apprezzano le parole del ministro di Blair,
molti medici dicono che facendo così si negano a fumatori e obesi
operazioni in grado di migliorare la loro qualità di vita. "L'idea
- ha dichiarato il ministro-ombra della Sanità Andrew Lansley - è
buona. Incoraggia la gente a perdere peso o a smetterla con un'abitudine
negativa come il fumo. Ovviamente se l'operazione è urgente va fatta
senza indugi".
Il dottor Colin Waine, invece, presidente del National Obesity Forum, mette in
dubbio i criteri usati per calcolare quale sia il peso "giusto" per
poter essere operati e spiega che un adulto su cinque supera quello che viene
considerato l'indice di massa corporea ideale. Mentre Forest, un'associazione
di fumatori, sale sulle barricate: "È inaccettabile. Chi ha il
vizio delle sigarette è già discriminato e non deve esserlo
ancora di più. Non fosse altro perché i dieci miliardi spesi per curare
i fumatori sono esattamente la stessa cifra incassata dall'erario per la
vendita del tabacco".
Per far digerire quella che si annuncia come una vera e propria rivoluzione,
dato che fino ad oggi tra i capisaldi dell'assistenza sanitaria c'era il
principio che non si può fare alcuna discriminazione tra malati e
malattie, Blair ha coinvolto i cittadini formando dei focus group che a marzo
renderanno note le conclusioni del loro lavoro. Curare l'obesità oggi
costa 10 miliardi di euro l'anno; le malattie contratte in conseguenza del fumo
costano più di 20 miliardi. Ai cittadini è stato chiesto:
"Se tu fossi un ministro, che cosa faresti?"
(13 febbraio 2007)
Da La Stampa 12-2-2007
Dico, parte la corsa ai ritocchi
di Giacomo Galeazzi
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12-2-2007 Da Asca.it - DICO.
Ceccanti, non e' un similmatrimonio - Ecco come funziona |
10-2-2007
Il
PuntO n° 99. (10-2-2007) Da pescatore
di anime a correttore di commi. Un successone! |
Le
parole del capo dello stato pronunciate sabato scorso
ZAGABRIA
- Il presidente della Croazia, Stipe Mesic, si è detto
«costernato» dalle dichiarazioni
di sabato scorso del presidente italiano Giorgio Napolitano in occasione della
Giornata del ricordo delle foibe e dell'esodo
«nelle quali è impossibile non intravvedere elementi di aperto razzismo,
revisionismo storico e revanscismo politico». Lo si
legge in un comunicato dell'Ufficio della presidenza della Repubblica di
Croazia. Mesic si è anche detto «spiacevolmente sorpreso dal contenuto e
dal tono» di Napolitano. In precedenza Mesic aveva affermato che «la Croazia
ritiene che ogni tentativo di mettere in questione gli accordi di Osimo (che
regolarono definitivamente la frontiera fra Italia e l’allora Jugoslavia),
ereditati dalla Croazia come uno dei successori della Jugoslavia, è
assolutamente inaccettabile».
PULIZIA
ETNICA - La parte del discorso di Napolitano che ha acceso più
polemiche in Croazia è quella in cui il capo dello Stato ha parlato dei fiumani
e dei dalmati come vittime di un «moto di odio e di furia sanguinaria e di
un disegno annessionistico slavo che prevalse nel Trattato di pace del 1947 e
che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica». La replica di Mesic
è un colpo all'incontro di riconciliazione e riappacificazione tra
Italia-Slovenia-Croazia al quale sta lavorando la diplomazia italiana.
COMMENTI IN CROAZIA - Alcuni in Croazia hanno voluto vedere un'indiretta
replica di Napolitano a Mesic che, in una precedente intervista alla Rai, aveva definito l'eccidio delle foibe
«una reazione ai crimini fascisti». Secondo Damir Kajin, deputato
della Dieta democratica istriana (partito regionalista croato di sinistra),
«preoccupa che un simile commento sia arrivato da un presidente che proviene
dalla sinistra. L'esodo degli italiani dall'Istria è senz'altro l'ultimo
capitolo della politica imperialista del fascismo, ma nessun crimine può
essere amnistiato da un altro crimine commesso prima».
Toni Tadic, deputato del Partito del diritto (destra), sostiene che «tenendo
conto di tutto ciò che hanno fatto in Croazia e in altri Paesi, gli
italiani sono gli ultimi che possono dare lezioni su genocidi e pulizie
etniche».
Il rappresentante del gruppo nazionale italiano in Croazia al Parlamento di
Zagabria, Furio Radin, si è detto perplesso dal tono della polemica «che
non è nello spirito di tolleranza che noi abbiamo costruito in Istria».
CASINI:
INTERMITTENTE LA MEMORIA CROATA» - «La Croazia deve entrare
in Europa, ma non può certo avere una memoria a intermittenza», ha
ribattuto da Trieste Pierferdinando Casini.
12
febbraio 2007
ROMA - Quindici persone arrestate, tutti militanti di
un'organizzazione dell'ala movimentista delle Brigate Rosse, la cosiddetta
"Seconda posizione". Fra loro ci sono alcuni sindacalisti della Cgil,
che sono stati subito sospesi. E' il primo bilancio di una vasta operazione
antiterrorismo che ha impegnato le questure di Milano, Padova, Torino e Trieste
con il coordinamento della Direzione centrale della Polizia di prevenzione. I
militanti sono accusati, fra l'altro, di associazione sovversiva e banda
armata.
Sei gli arresti e una ventina di perquisizioni a Padova, almeno un arresto a
Milano e a Torino. Almeno settanta indagati. I militanti finiti in carcere, secondo
i primi accertamenti, si erano dati una struttura articolata e si esercitavano
a sparare nella Bassa Padana. Tali esercitazioni sarebbero state anche filmate
dalla Digos. Ai quindici, secondo indiscrezioni, è stato contestato il
progetto di un attentato. Anzi, il ministro dell'Interno Amato, ha dichiarato:
"Probabilmente lo abbiamo sventato".
L'operazione ha origine da un'indagine, iniziata dalla Digos di Milano
nell'agosto del 2004, e coordinata dal procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Milano Ilda Boccassini, avviata in seguito al rinvenimento, in una
cantina, di documentazione di natura eversiva e materiale riconducibile ad
attività illegali (passamontagna, attrezzatura tecnica per fiamma
ossidrica, timer ed altra strumentazione elettronica). Il gruppo si sarebbe
autofinanziato con rapine.
Una quindicina le ordinanze di custodia cautelare, firmate a Milano dal gip
Guido Salvini, che la polizia ha eseguito in tutto il Nord Italia. Nel corso
dell'operazione condotta dalla polizia sono state eseguite numerose
perquisizioni. Oltre 500 gli agenti impegnati, con l'impiego di unità
cinofile antisabotaggio, elicotteri e nuclei degli artificieri. L'annuncio del
blitz è arrivato dal Direttore Centrale dell'Ucigos, Prefetto Carlo De
Stefano.
I nomi. Tra gli arrestati c'è Alfredo D'Avanzo, 49 anni,
ritenuto uno dei leader di 'Seconda posizione'. D'Avanzo era stato condannato
nell'
Fra i militanti fermati a Padova, ci sono attivisti del Cpo, centro popolare
occupato, "Gramigna".
Risulta agli arresti anche Bruno Ghirardi, ex appartenente ai Colp
(Comunisti organizzati per la liberazione del proletariato). Ghirardi era
libero, dopo aver scontato una ventina d'anni di prigione per una condanna
subita nel 1984. I Colp erano un gruppo attivo in Italia e collegato in Francia
con Actione Directe.
L'elenco degli arrestati Per cinque giorni non potranno avere contatti
con gli avvocati, secondo una norma del Codice di procedura penale viene
applicato raramente. Ecco i nomi. Davide Bortolato, 36 anni; Amarilli Caprio,
26 anni; Alfredo D'Avanzo, 49 anni; Bruno Ghirardi, 50 anni; Massimiliano
Gaeta, 31 anni; Claudio Latino, 49 anni; Aldredo Mazzamauro, 21 anni; Valentino
Rossin, 35 anni; Davide Rotondi, 45 anni; Federico Salotto, 22 anni; Andrea
Scantamburlo, 42 anni; Vincenzo Sisi, 53 anni; Alessandro Toschi, 24 anni;
Massimiliano Toschi, 26 anni; Salvatore Scivoli, 54 anni.
(12 febbraio 2007)
Proprio
ieri, una delle figure più eminenti dell'intellettualità
cattolica, il grande storico Pietro Scoppola, già senatore della
Democrazia Cristiana e uno dei leader storici del "dissenso
cattolico" in riferimento alle indicazioni della Gerarchia Cattolica ai
tempi del referendum abrogativo della legge che introduceva il divorzio anche
per i matrimoni concordatari, ha definito questo documento una testimonianza
esemplare del così detto "cattolicesimo democratico". La
situazione è diventata più confusa quando i laicisti e i giornali
che ne sono espressione hanno violentemente attaccato il Santo Padre per le
parole da lui dette, pur senza riferimento alcuno all'Italia, di difesa della famiglia
tradizionale basata sul matrimonio tra un uomo e una donna e di condanna del
riconoscimento di unioni basate su amori sbagliati e disordinati, giusta la
tradizionale dottrina morale della Chiesa Cattolica. Si è invocata la
separazione tra Stato e Chiesa, si è condannata la così detta
"ingerenza del Vaticano", si è prospettata da parte di un
grande giornalista, letterato, filosofo e ora anche neo-teologo
"liberal" la prospettiva di una denuncia del Concordato e
addirittura, con grande genialità! di una sua declaratoria di decadenza
da parte della Corte Costituzionale, in forza della condizione generale che si
deve intendere apposta agli accordi internazionali, la clausola "rebus sic
stanti bus": cosa invero non del tutto peregrina, data la composizione
ideologica e politica della Corte stessa. Il quotidiano del maggior partito
della maggioranza ha oggi dedicato un'intera pagina, con fotografia, ad un
arcivescovo emerito e cardinale di Santa Romana Chiesa, celebrandone le idee
"progressiste", dall'eutanasia al futuro possibile sacerdozio delle
donne, in opposizione a quelle "reazionarie" dell'attuale Papa
Benedetto XVI. Naturalmente, non vi è stata neanche una parola di
condanna di questo attacco laicista alla Chiesa, al Papa e alla Santa Sede, da
parte degli zelanti "cattolici democratici" che, a stare al loro
citato documento e alle loro tendenze "ecclesiali", frutto di un
elaborato pensiero post-conciliare che si rifà in Italia autorevolmente
a Giuseppe Dossetti e alla così detta scuola di Bologna, penso
condividano queste critiche, non certo però, essendo tutti buoni
cattolici, almeno nel tono. Il documento dei "cattolici democratici"
ha avuto come effetto l'allineamento con le loro posizioni di una cara collega,
la senatore Paola Binetti, "numeraria" dell'Opus Dei, che ha con
chiarezza approvato la proposta Pollastrini-Bindi in base al criterio morale
del "male minore", allineamento che, oltre ai consigli del leader del
La Margherita Francesco Rutelli, quelli nel quale: "L'Episcopato tanto
confida"! ha provocato il definitivo "disbandamento" della
coraggiosa pattuglia dei "teodem" de La Margherita, sostenitori
solitari nel centrosinistra delle "tesi reazionarie" della Chiesa.
Con molta franchezza, Le debbo dire che gran parte della responsabilità
dell'attuale situazione è da ascriversi all' "assordante
silenzio" dei vescovi italiani, escluso il caro antico amico, amico sempre
anche se da lui spesso ho dissentito, il coraggioso e sincero Mons. Bettazzi,
Vescovo Emerito di Ivrea, che ha detto parole chiare a favore della proposta
Pollastrini-Bindi. Io comprendo benissimo le difficoltà in cui si
dibatte la Conferenza Episcopale Italiana a motivo delle chiare divisioni
politiche che esistono, oltre che nel laicato, i cui esponenti cattolici di
centrosinistra, dputati, già dirigenti dell'azione cattolica milanese,
hanno addirittura un arcivescovo candidato alla Sua successione e in una
incredibile intervista su uno dei quotidiani italiani più prestigiosi,
ne palesano incredibilmente il nome e l'attuale ufficio, ma anche notoriamente
nel clero e nell'Episcopato, ciò che potrebbe essere, insieme al timore
di voler mutare gli attuali fragili equilibri parlamentari, la causa del
silenzio dei vescovi. E non è forse una ben strana situazione della
Chiesa d'Italia se un suo certamente fedele aderente che è anche un
convinto cattolico-democratico e che ricopre l'ufficio di presidente del
consiglio dichiara che non vi sono polemiche su i Di.Co. e che si rifiuta di
commentare gli ormai dilaganti e violentissimi attacchi al Vaticano e personalmente
al Papa anche da parte di alti esponenti della coalizione che lo ha espresso e
lo sostiene? Mi rendo contro che la Conferenza Episcopale deve inquadrare il
problema dei "pacs all'italiana" nelle più ampie problematiche
che riguardano la posizione della Chiesa in Italia, Chiesa che certamente oggi
gode di ampi privilegi da parte delle leggi civili dello Stato, e che non
possono certo così disinvoltamente essere esposti a già da
partiti di governo annunciate ritorsioni e al limite sacrificati. Studioso dilettante
di storia della teologia, mi permetto di ricordarle che in materia molto
più grave di quella di cui oggi si tratta, relativa ai rapporti tra
Grazia, meriti e predestinazione, un Papa, nella famosa "disputatio de
auxiliis" tra teologi dell'Ordine dei Predicatori e teologi della
Compagnia di Gesù, Papa Paolo V nel 1607 impose che si mettesse fine
alle reciproche accuse di "erroneità", e lasciò
libertà di opinione. Se la Conferenza Episcopale Italiana ritiene che
anche sul piano della virtù cardinale della "prudenza"-la
"misura di ogni virtù'" per dirla con Tomaso d'Aquino, che
permette non di affermare il falso ma di tacere il vero-, essa, proclamati i
principi, possa lasciare ai laici cattolici membri del Parlamento la piena
libertà di attuarli nella loro autonoma responsabilità nelle
leggi civili, anche secondo il criterio del "male minore", lo dica
chiaramente. Che se poi essi, i vescovi italiani, ritengano che la proposta
Pollastrini-Bindi possa essere votata, magari per il criterio del "male
minore", a me, da cattolico liberale che rischia ormai di apparire
"teocon", "non mi sembrerà vero"! Ma fino a quel
momento io obbedirò alle indicazioni del mio Vescovo, che è anche
Vescovo, a quanto mi sembra, con diretta e immediata giurisdizione sulla Chiesa
Universale, e quindi anche sulla Chiesa italiana, e quindi oltre che…su di me,
su Romano Prodi, su Rosy Bindi e su Paola Bineti, su Franco Marini, su
Francesco Rutelli e Dario Franceschini, e su i cattolici-democratici. Comunque,
è giunto il momento che i vescovi italiani ormai parlino, e si
pronunzino chiaramente e in prima persona, e non attraverso editoriali di pur
autorevoli giornali o comunicati di agenzie di stampa cattoliche, ai cui
enunciati neanche i più oltranzisti sostenitori del pur discusso anche
tra i teologi e canonisti cattolici, Motu Proprio "Ad tuendam fidem"
sostengono si debba dare assenso interiore ed esteriore! E non si nascondano
più dietro un Papa coraggioso che, con il loro silenzio, essi stanno
pericolosamente scoprendo di fronte alle forze politiche e allo Stato italiano
da esse governato. Non lo chiedo certo per me, perché essendo io diocesano
della Capitale, e soggetto quindi alla potestà di insegnare, giudicare e
santificare del Vescovo di Roma, e avendo il mio Vescovo parlato forte e chiaro
a differenza dei vescovi italiani, so bene quale è il mio dovere di
cattolico membro del Parlamento, e che quindi voterà di conseguenza.
Confermandole la mia stima ed amicizia, La prego di credermi, signor Cardinale,
suo
affezionatissimo e devoto amico Francesco Cossiga
lunedì 12 febbraio 2007
ROMA - Prosegue senza sosta, l'offensiva vaticana contro i Dico, la
regolarizzazione delle unioni civili contenuta nel disegno di legge messo a
punto dal governo. Questa mattina, il presidente della Cei, Camillo Ruini, ha
annunciato una "nota ufficiale, una parola meditata, che sia impegnativa
per coloro che accolgono il magistero della Chiesa e che possa essere
chiarificatrice per tutti". Poco dopo è stato il Papa, in prima
persona, a intervenire: "Sovvertendo il matrimonio si mette a rischio la
società", ha affermato.
Il Pontefice lo ha detto ricevendo in udienza i partecipanti di un convegno
dedicato al diritto naturale organizzato dall'Università del Laterano.
Parole pesantissime, quelle pronunciate da Benedetto XVI. A suo giudizio,
dunque, non si devono "trasformare in diritti" quelli che sono
"interessi privati, o doveri che stridono con la legge naturale".
"Un'applicazione molto concreta di questo principio - ha spiegato infatti
il Pontefice - si trova se si fa riferimento alla famiglia, cioè
all'intima comunione di vita fondata dal Creatore e regolata con leggi proprie.
Essa ha la sua stabilità per ordinamento divino. Il bene sia dei coniugi
che della società non dipende dall'arbitrio".
E perciò "nessuna legge - ha scandito il Papa - può
sovvertire la norma del Creatore senza rendere precario il futuro della
società con leggi in netto contrasto con il diritto naturale".
Quanto a Ruini, è intervenuto a margine del convegno nazionale
dell'Opera romana pellegrinaggi, annunciando una nota ufficiale sul tema. Senza
precisare, però, i tempi. Alla richiesta di un (ennesimo) commento sul
disegno di legge sulle convivenze di fatto, Ruini ha risposto: "Se queste
cose sono state già dette da parte nostra tante cose importanti e,
credo, tutto ciò che è necessario. Quindi è inutile che io
aggiunga qualche battuta estemporanea".
"Potrà essere importante - ha proseguito subito dopo - una parola
meditata, una parola ufficiale - chiara e vincolante - che sia impegnativa per
coloro che accolgono il magistero della Chiesa e che potrà essere
chiarificatrice per tutti".
(12 febbraio 2007)
Il cardinale non
precisa i tempi di questo documento dei vescovi
Dico, Ruini annuncia una «nota
ufficiale»
ROMA - Il presidente della Cei, Camillo
Ruini, annuncia a proposito dei Dico «una parola meditata, una parola
ufficiale, che sia impegnativa per coloro che accolgono il magistero della
Chiesa e che possa essere chiarificatrice per tutti». Il cardinale non ha
precisato i tempi di questa nota dei vescovi italiani. Lo ha detto a margine
del convegno nazionale dell'Opera romana pellegrinaggi.
Alla richiesta di un commento sul disegno di legge sulle convivenze di fatto,
il presidente dei vescovi ha risposto: «Su queste cose sono state già
dette da parte nostra tante cose importanti e, credo, tutto ciò che
è necessario. Quindi è inutile che io aggiunga qualche battuta
estemporanea». «Potrà essere importante - ha proseguito subito dopo -
una parola meditata, una parola ufficiale che sia impegnativa per coloro che
accolgono il magistero della Chiesa e che potrà essere chiarificatrice
per tutti».
12 febbraio 2007
Le unioni non sigillate dal
vincolo nuziale sono 500 mila, più del doppio rispetto a 10 anni fa.
Bambini nati fuori dalle nozze: 15%
ROMA - In Italia ci si sposa sempre di meno
mentre aumentano le famiglie al di fuori del vincolo del matrimonio. Secondo i
dati Istat aggiornati al 2005 e resi noti oggi, sono infatti oltre 500 mila le
coppie di fatto, un «fenomeno in rapida espansione (solo 10 anni fa erano meno
della metà), anche se in Italia le libere unioni non sono ancora
così frequenti come in altri paesi europei».
MATRIMONI DIMEZZATI - Nel 2005 sono stati celebrati poco
più di 250mila matrimoni. Un numero in continua diminuzione dal 1972,
anno in cui si sono registrate poco meno di 419mila nozze, ad eccezione di un
lieve recupero nei primi anni Novanta. «Questo fenomeno - spiega l'Istat - va
interpretato nel quadro più generale delle trasformazioni dei
comportamenti familiari. Sono infatti sempre più numerose le coppie,
ormai oltre 500mila, che scelgono di formare una famiglia al di fuori del
vincolo del matrimonio». Emerge inoltre che «accanto alle convivenze
prematrimoniali cresce l'accettazione sociale della convivenza come
modalità di formazione della famiglia alternativa al matrimonio. La
conferma di questo mutato atteggiamento arriva anche dalle informazioni sulle
nascite rilevate dall'Istat, che consentono di monitorare quella che possiamo
definire la «punta dell'iceberg» del fenomeno delle libere unioni, ovvero la
frequenza delle coppie di fatto con figli.
RADDOPPIATI BAMBINI FUORI DAL MATRIMONIO -
L'incidenza di bambini nati al di fuori del matrimonio è, attualmente,
intorno al 15%, cioè quasi 80mila nati all'anno, quasi il doppio
rispetto a 10 anni fa, quando questo valore era pari all'8%.
NOZZE POSTICIPATE - Insieme alla diminuzione dei
matrimoni si è rafforzata la tendenza alla posticipazione delle nozze
verso età più mature: gli sposi alle prime nozze hanno
un'età media che è intorno 32 anni e le spose quasi 30 anni, 4
anni in più dell'età che avevano in media i loro genitori al
primo matrimonio. Questi quattro anni di posticipazione sono dovuti, in molti
casi, al completamento degli studi o alla ricerca di un lavoro, oppure al
desiderio di trascorrere un periodo godendo di tutti i vantaggi economici,
organizzativi e talvolta anche emotivi di una permanenza lunga nella famiglia
di origine.
La tendenza alla diminuzione dei matrimoni e al ritardo delle nozze è
diffusa in tutto il Paese, anche se il fenomeno presenta delle importanti
differenze territoriali: ci si sposa più al Sud e nelle Isole
(rispettivamente 4,9 e 4,6 matrimoni per 1.000 abitanti nel 2005) che al Nord
(3,8 per per 1.000 abitanti). Le regioni dove si registra il massimo e il
minimo dei matrimoni sono rispettivamente la Campania (5,3 nozze per 1.000
abitanti) e l'Emilia-Romagna (3,5). Laddove i matrimoni sono più
frequenti, inoltre, l'età media degli sposi diminuisce: le ragazze
campane, per esempio, hanno in media 27,9 anni alle prime nozze, mentre in
molte regioni del Nord l'età media delle spose al primo matrimonio
supera i 30 anni.
12 febbraio 2007
Continua la
“guerra” del Vaticano sulle coppie di fatto. Che sia in un discorso pubblico,
in un’intervista o a mezzo stampa, ogni giorno il Vaticano ribadisce il suo
«no» e chiama i politici cattolici alle barricate per affondare i «Dico» che
stanno per arrivare in Parlamento. Così come era avvenuto per la legge
sulla fecondazione assistita, le gerarchie ecclesiastiche non ne vogliono
sapere della laicità e del diritto a legiferare in piena autonomia da
parte di uno stato sovrano e anzi rivendica non solo il diritto-dovere di
parlare e di ribadire i propri principi, ma a interviene direttamente per
condizionare il legislatore. Così l’ultima sferrata arriva lunedì
dal cardinal Ruini. «Sui Dico potrà essere utile che più avanti
la Chiesa si esprima in modo impegnativo per coloro che seguono il suo
insegnamento e chiarificatore per tutti» dice il presidente della Cei a margine
del Convegno dell'Opera Romana che annuncia: «Una parola meditata, una parola
ufficiale, che sia impegnativa per coloro che accolgono il magistero della
Chiesa e che possa essere chiarificatrice per tutti».
Intanto anche nel centrosinistra la componente ultracattolica del «teodem»,
viste le pressioni sempre crescenti delle gerarchie ecclesiastiche, già
promette limature al ribasso. Mentre la destra, che purtroppo trova sponda nel
ministro Mastella, si è completamente allineata alla campagna dei
vescovi, anche nella componente liberale, e già annuncia imboscate, in
Senato per cominciare.
La domanda che sorge spontanea è? Ma come è possibile che la
Chiesa, così come le componenti ultra-teo (di destra e di sinistra)
della politica non vedano l’Italia reale che dovrebbero rappresentare?
Già da tempo sondaggi e statistiche ci dicono che in Italia non solo ci
si sposa sempre di meno (un dato in calo dal 1972) ma si sceglie di formare una
famiglia al di fuori del vincolo del matrimonio: secondo i dati Istat aggiornati
al 2005 e resi noti lunedì, sono infatti oltre 500 mila le coppie di
fatto, un «fenomeno in rapida espansione (solo 10 anni fa erano meno della
metà), anche se in Italia le libere unioni non sono ancora così
frequenti come in altri paesi europei».
Che cresca l'accettazione sociale della convivenza come modalità di
formazione della famiglia alternativa al matrimonio lo confermano i dati sulle
coppie di fatto con figli. L'incidenza di bambini nati al di fuori del
matrimonio è, attualmente, intorno al 15%, cioè quasi 80mila nati
all'anno, quasi il doppio rispetto a 10 anni fa, quando questo valore era pari
all'8%.
ROMA - "Amarezza, profonda amarezza per le posizioni della
Chiesa...". Anche i laici più sensibili ai temi dell'etica e della famiglia,
come Giuliano Amato e Massimo D'Alema, in questi giorni di dialettica aspra tra
Stato e Chiesa non possono nascondere il loro rammarico. Da "cattolico
adulto", Romano Prodi si limita a ripetere che quella appena approvata dal
governo è "una buona legge, che andava fatta e che rispetta i
principi costituzionali sulla tutela della famiglia".
Da laico non credente, eppure rispettoso dei valori religiosi e del ruolo della
Chiesa, il vicepremier e ministro degli Esteri si spinge un passo più in
là: "Sono stupito - dice - perché l'offensiva del Vaticano sul
disegno di legge che istituisce i "Dico" è qualcosa di
inedito, nella storia dei rapporti tra Stato e Chiesa".
Inedito per la forma: da venerdì in poi, le gerarchie sono scese in
campo a tutti i livelli. Da Papa Ratzinger alla Cei, dalla Sir all'Osservatore
Romano, dai singoli cardinali ai parroci nelle omelie di ieri. Ma inedito anche
per la sostanza: in nessun'altra occasione, nemmeno ai tempi del divorzio, gli
interventi vaticani avevano sconfinato, sul terreno dei diritti civili e oltre
il perimetro delle materie strettamente concordatarie.
Per questo D'Alema non è solo amareggiato, ma anche sorpreso: "In
altri tempi - osserva - avremmo definito questa massiccia campagna come
'clericale'. Oggi, giustamente, ci asteniamo dal farlo. Ma resta l'anomalia di
un attacco così severo, allo Stato e alle sue leggi". Un attacco
che, a metà della settimana che si è appena conclusa, ha prestato
il fianco alle interpretazioni più diverse. C'è persino chi, anche
a Palazzo Chigi, ha sospettato che un unico "filo rosso" unisse
l'attacco sempre più altisonante e lacerante della Chiesa sui Dico e la
pressione sempre più insistente e insidiosa degli Stati Uniti
sull'Afghanistan.
Un'azione concentrica, da Oltre-Tevere e da Oltre-Atlantico. Il tentativo (o la
tentazione) di assestare una spallata al governo di centrosinistra. Il
vicepremier è scettico: "Personalmente - è il suo
ragionamento - non credo ad alcuna teoria del "complotto" contro di
noi. Ma insisto: mi resta il dubbio sul perché di questa estremizzazione delle
posizioni da parte della Chiesa...".
La spiegazione più ovvia, cioè la ferma volontà della
Chiesa di difendere a tutti i costi l'istituzione del matrimonio, come unione
naturale tra i coniugi, e il bene primario della procreazione dei figli,
continua a sfuggire ai laici, dentro e fuori dal governo. "Diciamo la
verità - aggiunge ancora D'Alema - questa legge che abbiamo presentato e
sottoposto al vaglio del Parlamento non sfascia proprio un bel niente. Per
essere sinceri, poteva essere anche più incisiva e brillante, sul piano
della legittimazione e della difesa di certi diritti civili. Ma con tutti i
suoi limiti, resta una buona legge, che rispetta e non minaccia in alcun modo
la famiglia. E io la considero un punto di sintesi molto positiva, perché
fuori, ma anche dentro la maggioranza, c'era chi questo disegno di legge non lo
voleva affatto. Per questo essere riusciti ad approvarlo, con un consenso quasi
unanime, è un grande risultato".
Il disegno di legge sui Dico ha qualche difetto, che nasce proprio
dall'obiettivo conclamato del governo di non irritare la sensibilità del
mondo cattolico. Questo spiega, anche solo dal punto di vista puramente
"estetico", l'introduzione di procedure legali e un po' curiali, come
la dichiarazione "congiunta ma non contestuale" dei due contraenti
davanti all'ufficiale dell'Anagrafe. Ma anche questi fastidiosi accorgimenti
procedurali ruotano proprio attorno a un'esigenza di fondo: evitare che il rito
dell'unione civile si possa configurare come un matrimonio, sia pure di
"serie B" (secondo l'ultima definizione berlusconiana).
E dunque, ancora una volta: perché una reazione così irriducibile da
parte delle alte gerarchie vaticane? A chiederselo non è solo D'Alema, ovviamente.
E' prima di tutto Prodi, che pure in questi ultimi giorni, prima di partire per
l'India, ha avuto diversi contatti con i più diversi esponenti del mondo
ecclesiastico. Forse è lo stesso Francesco Rutelli: messo alle strette
dal documento dei 60 parlamentari della Margherita abilmente ispirati da Dario
Franceschini, il vicepremier alla fine ha dato via libera a un testo che
immaginava come un buon compromesso tra le indicazioni del programma
dell'Unione e i paletti piantati dalla Chiesa attraverso il "non
possumus" gridato dal giornale dei vescovi.
Oggi la crociata di Benedetto XVI e delle sue agguerrite "divisioni"
deve destare qualche sorpresa anche nel ministro e di Beni culturali, che
più di ogni altro si era speso nella strategia dell'attenzione verso le
alte gerarchie.
Tra coloro che adesso non nascondono un forte dispiacere, misto a una certa
meraviglia, c'è anche il ministro degli Interni. Si è dedicato
con la consueta cura e la solita attenzione al tema dei Dico, non lesinando i
suoi consigli e le sue osservazioni a beneficio delle colleghe Bindi e
Pollastrini. Ha cercato anche stavolta di non venir meno a quel suo spiccato
senso dell'equilibrio, quando c'è in gioco il bilanciamento tra la
politica e l'etica, tra i diritti civili e i valori religiosi.
Ma Amato, oggi, è un altro laico e non laicista che fa fatica a capire:
"Vedo con amarezza presente e futura una Chiesa nel suo insieme arroccata
nella paura e tanto timorosa del male da vederlo più grande di quanto
non sia...". Anche il Dottor Sottile, com'è evidente dalle sue
parole, considera quindi sproporzionata la reazione suscitata Oltretevere dal
disegno di legge sui Dico. Anche un politico equilibrato e un intellettuale
attento al profilo universale del cattolicesimo come lui, in definitiva, si
aspettava e si aspetta ancora un'apertura diversa, una visione più
ecumenica, misericordiosa e caritatevole, da parte dell'istituzione
ecclesiastica. "Perché queste posizioni di chiusura - riflette ancora
Amato - sono foriere di minorità, proprio mentre escono libri che
esaltano il ruolo potenziale del cristianesimo al tempo della
globalizzazione".
Questo dolente conflitto tra Stato laico e Chiesa cattolica, ad ogni modo, non
può e non deve fermare l'azione del governo e la mediazione del Parlamento.
Se anzi c'è una lezione politica da cogliere, in quello che è
successo, sta proprio in quello che D'Alema chiama il "primato del
governo". "Chi cercava la prova ora è servito - dice il
ministro degli Esteri - il governo c'è, governa ed è autosufficiente.
Stiamo cambiando il Paese. La legge sulle unioni civili è la conferma
che, se evitiamo le polemiche e le divisioni, possiamo fare le riforme. Anche
quelle più impegnative e difficili. Sta solo a noi rendercene conto,
rimboccarci le maniche, superare i personalismi e lavorare tutti insieme. Fino
alla fine della legislatura... ". Un altro esorcismo dalemiano, in vista
del difficile dibattito parlamentare sui Dico e dell'insidiosa manifestazione
di sabato prossimo sulla base Usa di Vicenza.
(12 febbraio 2007)
12/2/2007 (7:35) - UNIONI CIVILI VERSO IL
DIBATTITO
I Teodem cercano una sponda nell'Udc. Il no
della Cdl preoccupa per il Senato
ROMA
La linea dura della Cdl contro i Dico accresce le preoccupazioni di governo e
maggioranza in vista del passaggio in Senato, mentre dentro l’Unione, da
sinistra e dal centro, tutti vorrebbero migliorare il testo. I primi a muoversi
sono i teodem che preparano la fronda e sono al lavoro per presentare
emendamenti al disegno di legge Bindi-Pollastrini insieme all’Udc. «E’ un tema
etico quindi non vale la logica di schieramento.
Il testo non è blindato e in Parlamento faremo di tutto per difendere il
matrimonio - annuncia battaglia Paola Binetti, capofila dell’ala cattolica
oltranzista dell’Unione -. In questa legislatura abbiamo già avuto
maggioranze diverse sull’Afghanistan e su questioni economiche, perché non
può accadere lo stesso sui valori? Di certo il testo uscirà dalla
Camera molto cambiato». Anche, precisa la diellina Dorina Bianchi, con il
contributo dell’Udc e dei moderati di Forza Italia: «Non si legifera sulla
famiglia a colpi di maggioranza». E il deputato della Margherita Marco Calgaro
avverte il coordinatore del suo partito Dario Franceschini: «O concordiamo
insieme gli emendamenti o noi teodem guarderemo oltre». Intanto si attende un
nuovo pronunciamento di Benedetto XVI per il convegno sulla famiglia
dell’Università Lateranense.
E dopo che il leader dell’Udeur Clemente Mastella ha pronosticato che in Senato
alla maggioranza mancheranno i voti, l’opposizione fa muro ed esclude qualsiasi
sostegno all’approvazione del disegno di legge. «Sui Dico il governo
farà harakiri al Senato perché non ha i numeri»,
sottolinea il leghista Roberto Calderoli. Il ministro delle Pari
Opportunità Barbara Pollastrini, però, spera in uno «scatto di
tensione morale di tutto il Parlamento» e auspica ancora che la percentuale di
approvazione del Ddl sia molto alta, «altrimenti sarebbe una delusione per
milioni di italiani». Ma dal centrodestra si alza un muro. «Un matrimonio di
serie B che svilisce il significato della famiglia, il suo valore sociale e
civile», afferma Silvio Berlusconi. «Il pasticcio delle coppie di fatto»,
rincara la dose il suo portavoce Paolo Bonaiuti, dimostra come il governo stia
arrivando al capolinea. «È inaccettabile che per garantire diritti
individuali e togliere discriminazioni si dia vita ad un matrimonio di serie B
- concorda Gianfranco Fini -. Secondo la Costituzione la famiglia è
un’unione fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna». Sulla stessa linea
Pier Ferdinando Casini. «Io come cattolico non voterò no perché me lo
dice la Chiesa, ma perché ne sono convinto - precisa il leader dell’Udc -.
Questa legge è un colpo di grazia. Chi convive lo fa in base ad un
principio di libertà e non sottoscrive diritti e doveri».
Intanto nella maggioranza i «Dico» riaprono la disputa sulla laicità.
«Come se fossero i capi dell’esercito del Papa, i leader del centrodestra si
sono lanciati in una crociata contro il riconoscimento delle coppie di fatto»,
attacca Roberto Villetti, capogruppo della Rosa nel Pugno a Montecitorio.
Protesta anche il ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio: «Dalla Cdl
solo contestazioni strumentali, la destra si faccia dare consigli da Chirac e
Merkel».
E Anna Finocchiaro, presidente dei senatori dell’Ulivo, intervistata dal
«Corriere», vede nell’atteggiamento delle gerarchie della Chiesa una strategia
mirata a «giocare in proprio una partita politica». Per il diessino Franco
Grillini l’ossessione vaticana antigay rasenta il razzismo: «Il Papa e Ruini
vogliono imporre per legge la morale clericale trasformando una convinzione
dottrinaria in norma valida per tutti, inclusi i non credenti».
Il boom dell’industria meccanica italiana
fa il vuoto alle spalle e riscrive la mappa dell’export. Tengono il passo la
nautica di lusso e l’occhialeria ma perdono contatto tessile e oreficeria. Si
allarga inoltre la voragine, fino a 400 volte, tra il valore dell’export delle
due province di punta (Reggio Emilia e Modena) e quelle più in ritardo
(Cosenza ed Enna).
Nei primi nove mesi del 2006, nella classifica delle province Top 30 per export
manifatturiero, stilata dalla Fondazione Edison su dati Istat, Reggio Emilia
scalza Vicenza dal vertice mentre Modena conferma la piazza d’onore. In
generale, le province a forte vocazione meccanica e siderurgica (come Reggio
Emilia, Novara, Brescia, Udine, Cremona) mettono il turbo e salgono in
classifica, quelle orientate prevalentemente su tessile-abbigliamento,
oreficeria, calzature e mobili fanno l’ennesimo capitombolo. L’accelerazione
dell’occhialeria sospinge Belluno mentre il boom prolungato dello yacthing
lancia l’export di Lucca fino a sopravanzare, in valore, il business cartario.
Nelle Top 30 si fanno largo soltanto due province meridionali, Siracusa e
Chieti, rispettivamente, al quarto e tredicesimo posto. Mentre nella classifica
generale delle 103 province la coda è saldamente presidiata dalle
siciliane e calabresi con un export manifatturiero di qualche centinaio di euro
pro capite, poco rispetto ai 6/11mila delle prima 30.
«La performance della meccanica — osserva Marco Fortis, vicepresidente della
Fondazione Edison - è guidata soprattutto dall’Emila Romagna. Si pensi
che nei primi nove mesi 2006 la regione ha esportato macchine e apparecchi
meccanici per 9,7 miliardi di euro, più dell’intero export spagnolo, 9,5
miliardi per Eurostat».
Il []2006 è stato comunque positivo per quasi tutte le principali
province esportatrici, incluse quelle che hanno perso posizioni nella
graduatoria. «Infatti - sostiene Fortis - solo tre province delle Top 30 hanno
subìto cali dell’export: Vicenza, Prato e Gorizia. E una, Biella, ha
presentato una crescita zero. Le altre 26 hanno invece tutte fatto registrare
aumenti dell’export. Da notare che nei primi nove mesi del 2006 ben 12 province
avevano già superato i 7.500 euro pro capite di export di beni
industriali. É dunque ragionevole prevedere che sull’arco dell’intero 2006
almeno una dozzina di province superino i 10mila euro, tre ci erano addirittura
già riuscite nel periodo gennaio-settembre».
Da La Stampa 11-2-2007 Gli Usa
rispondono a Putin: "Una guerra fredda ci è bastata"
Da La
Repubblica 11-2-2007 Allarme in Bolivia
e Paraguay epidemia di "febbre spacca-ossa"
Da
spoletonline.it 11-2-2007 CONVEGNO SULLA RAPINA FISCALE IN UMBRIA E
IN ITALIA
Da
L’Unità 10.2.2007 Caro-benzina,
la Procura di Roma indaga
Dal
Corriere della Sera 10-2-2007 Putin: attacca l' egemonia Usa. Dure reazioni
Così il ministro della Difesa americano Robert Gates ha
reagito all'attacco di Putin
«Una Guerra Fredda credo che sia sufficiente». Così il
ministro della Difesa americano, Robert Gates, ha replicato agli attacchi di
Vladimir Putin che ha ieri a Monaco accusato gli Stati Uniti di «fare i padroni
del mondo». Intervenendo nella stessa conferenza per la sicurezza in corso in
Germania, Gates non ha mancato di scherzare sui toni usati da Putin, affermando
che l’hanno «riempito di nostalgia per i vecchi tempi». Ma - ha concluso - ora
Washington e Mosca devono lavorare insieme per affrontare le sfide della
sicurezza del dopo Guerra Fredda.
Il segretario alla difesa americano Robert Gates ha sottolineato l’importanza
della collaborazione con la Russia, presupposto fondamentale - ha detto - per
affrontare e superare le sfide globali che l’umanità ha di fronte. Gates
ha poi reso noto di aver accettato un invito a Mosca da parte di Putin e del
ministro della Difesa, Sergei Ivanov.
LA PAZ - Si diffondono in Bolivia e Paraguay i casi di di
"dengue" (“debolezza” in arabo antico, detta anche febbre
“spacca-ossa”) dopo una lunga sequenza di inondazioni che hanno colpito il
settore occidentale del Sud America. Il virus si trasmette all'uomo attraverso
la puntura della zanzara Aedes aegypti, che si riproduce in pozze d'acqua, sia
all'interno degli edifici che all'esterno e si nutre prevalentemente di giorno.
Il World Food Programme delle Nazioni Unite (WFP) è tuttora impegnato ad
assistere oltre 60.000 persone in stato di emergenza, ma la pioggia continua
incessante. Attualmente sta distribuendo cibo nei distretti di Tarija,
Chuquisaca, Potosi, Cochabamba e Santa Cruz.
Solo in Paraguay i casi di "dengue" registrati, con tre morti
accertati, sono a 6 mila. Il Parlamento ha convocato una sessione straordinaria
per studiare misure d'emergenza. Si è calcolato che in Paraguay il virus
sta contagiando una media di 400 persone al giorno, stando ai dati del
ministero della Salute. Tra le vittime della "febbre spacca ossa"
c'è anche l'ambasciatore di Taiwan, David Hu, che ha dovuto annullare
tutti gli impegni ufficiali.
In Bolivia, la maggior parte dei casi si sono registrati nella città di
Santa Cruz de la Sierra, nella zona tropicale del paese. Si sospetta che altri
804 pazienti, registrati in diverse città, abbiano contratto la
malattia, la cui epidemia ha obbligato il Ministero della Salute Boliviano a dichiarare
il massimo stato di allerta sanitario.
Cinque persone hanno contratto la "dengue" di tipo emorragico, tutte
residenti nella capitale e tra queste si è registrato il decesso una
donna. L'aumento dei casi è prevalentemente dovuto alle alluvioni che si
stanno verificando nel paese e che, assieme alle alte temperature della
stagione, costituiscono l'ambiente ideale per una veloce dinamica di contagio.
A Santa Cruz sono stati confermati 225 contagi, altri 16 sono stati riportati a
Trinidad, capitale del distretto tropicale di Beni. Gli altri casi si trovano
in diverse località. Le condizioni climatiche non faranno che peggiorare
la situazione, favorendo il deposito delle uova dei mosquitos Aedes Aegypti.
Oltre ai casi di "dengue", insorgono purtroppo anche la febbre gialla
e la malaria.
La "dengue" esiste da secoli: la prima descrizione clinica risale al
Nel '54 nelle Filippine è stato descritto il quadro clinico della
sindrome "dengue emorragica/sindrome da shock da dengue", soprattutto
tra i bambini.
(11
febbraio 2007)
LUNEDI'
PRESSO SALA PARTECIPAZIONE DELLA REGIONE (h 11)
Prof.
Mario Lispi
Presidente
Circolo della Libertà “Imre Nagy”
Si
stanno rovesciando sui giovani, sui lavoratori, sui pensionati, sulle famiglie,
sui ceti medi produttivi e dinamici dell’intera nazione, gli effetti di una
grande rapina statale che si protrae nel nostro Paese da decenni. Rapina in
favore di vasti ceti parassitari annidati nella pubblica amministrazione, dalla
Banca d’Italia agli enti locali, dall’università alla grande impresa
ammanicata con la politica…E' storia di oggi che viene da lontano. La storia di
una grande rapina sulla pelle della comunità nazionale, sulla
socialità, sugli equilibri territoriali. Una rapina che parla di debito
pubblico, di tasse, di spesa pubblica ideologica, di false liberalizzazioni, di
statalismo invasivo. Sentiamo di trovarci in una fase straordinaria, con una
posta in gioco molto alta. E perciò, come Circoli della Libertà,
riconducendo i singoli fenomeni alle concatenazioni della macroeconomia, vogliamo
intervenire con strategie, strumenti, proposte di riforme straordinarie, con il
segno degli interessi veramente collettivi, per innalzare -come dice anche il
Fondo Monetario Internazionale- il potenziale di crescita del Paese. Il
pensiero economico e politico in Francia, Gran Bretagna. Germania, Stati Uniti
sta prospettando nuove moderne strategie riformatrici, in una visione unitaria
che integra e corresponsabilizza economia e socialità in una
sofisticata mobilitazione di tutte le risorse. Si profilano nuovi rapporti tra
Stato ed economia. Anche per l’Italia sentiamo la necessità di farci
carico di una pressione popolare per un governo delle risorse che assicuri un
nuovo slancio innovativo in tutti i settori dell'economia e contemporaneamente
la costruzione di un nuovo welfare, integrato in un sistema complesso e
dinamico, corresponsabilizzato e compartecipe dello sviluppo, anche con nuove
forme di azionariato diffuso (come indicano gli articoli 46 e 47 della
Costituzione). In questo senso riteniamo di iniziare un periodo di ascolto e di
dibattito per far maturare l’opportunità di una grande conferenza
nazionale per la riorganizzazione complessiva veramente riformatrice
dell'economia e della socialità. Questa riflessione vale anche per
Umbria, regione produttrice di debito pubblico e che trascura i veri
produttori, ferma in un pantano di mediocrità e di precarietà,
dove si aprono negli enti pubblici grandi "buchi" finanziari,
provenenti da dissesti e avventure economiche sconsiderate che stanno trasferendosi,
nei loro costi, sulla collettività regionale. Anche per l'Umbria occorre
una svolta di pensiero e di strategie per nuovi scenari di libera economia
postindustriale socialmente corresponsabilizzata, di colto rinnovamento
identitario.
Chi aumenta il prezzo della benzina? E
perchè è così poco sensibile a diminuire mentre è
molto più automatico a seguire verso l'alto il caro-petrolio? C'è
stato una turbativa di mercato o dei rialzi speculativi in occasione delle
recenti serrate dei benzinai? Sono alcune delle risposte che ora proverà
a dare la magistratura.
La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta
sulla base di esposti presentati da alcune associazioni di consumatori sugli
aumenti dei prezzi della benzina, la chiusura dei self service in concomitanza
con le proteste dei benzinai e la possibilità che i petrolieri abbiano
creato un "cartello" per mantenere i prezzi alti.
Prezzi alla pompa e prezzi fatti dei grandi
rivenditori: su entrambi si ipotizzano delle speculazioni. E l’affaire
non riguarda solo le proteste contro le liberalizzazioni del decreto Bersani,
ma è molto più esteso e riguarda più in generale la libera
concorrenza nel settore idrocarburi.
Il fascicolo aperto dal procuratore
Giovanni Ferrara ed affidato al pool di magistrati esperti in materia
economica è, per il momento, privo di ipotesi di reato e contro ignoti.
Al vaglio degli inquirenti, in particolare c'è l'esposto dell' Adusbef
che, prendendo spunto dalla decisione dell'Autorità garante della
concorrenza e del mercato di avviare un accertamento su nove compagnie
petrolifere italiane, chiede di indagare sull' ipotesi di «cartello» sui prezzi
del carburante.
L'associazione Adusbef, presieduta da Elio
Lannutti, ha analizzato le variazioni dei prezzi negli ultimi due anni e
sottolinea come a fronte di un tasso di cambio euro-dollaro sostanzialmente
invariato e il conseguente ribasso di un barile di Brent, «il prezzo della
benzina ha avuto un irrilevante ribasso dell' 1,70%». Stesso calo «irrilevante»
avrebbe subito il prezzo del gasolio da autotrazione. Rialzo fraudolento di
prezzi, manovre speculative su merci, serrata per fini non contrattuali,
coazione alla pubblica autorità mediante serrata, boicottaggio, turbata
libertà dell'industria o del commercio, illecita concorrenza con
minaccia o violenza: sono i reati ipotizzati dall'Adusbef.
L'indagine dell'Authority riguarda Eni,
Esso Italiana, Kuwait Petroleum Italia, Shell Italia, Tamoil Italia, Total
Italia, Erg Petroli, Ip e Api.Allo stesso tempo gli inquirenti ora vogliono
verificare se dietro il recente sciopero di due giorni attuato dai benzinai per
protestare contro i decreti governativi sulla cosiddetta «liberalizzazione», si
siano verificate forme di interruzione di pubblico servizio, come la chiusura
dei self service, che possano essere inquadrate sotto il profilo giudiziario.
Perchè i benzinai sono esercenti
privati ma forniscono comunque un servizio pubblico e quindi hanno il dovere di
rispettare degli standard di prestazione minima anche durante una chiusura per
“sciopero”. Ma la questione è complicata dal fatto che - proprio perché
molto spesso non si tratta di dipendenti ma di esercenti – la protesta non
può essere definita uno sciopero e anzi, secondo le associazioni di
consumatori, trattandosi di serrata, non sarebbe neanche consentita.
Il ministro Pierluigi Bersani ha comunque
convocato i rappresentanti dei benzinai - come la Faib-Aisa, Fegica e
Figisc-Anisa che hanno annunciato altri quattro giorni di serrata dei benzinai
al 27 febbraio al 2 marzo - e i sindacati per mercoledì prossimo al
ministero per avviare un tavolo di confronto sugli effetti del decreto sulle
liberalizzazioni nel settore.
Pubblicato il: 10.02.07
Modificato il: 10.02.07 alle ore 19.37
La Casa Bianca in un comunicato: sono
accuse sbagliate
Il presidente russo ha accusato l'America
di unilateralismo, eccessivo uso della forza, dannoso tentativo di cambiare gli
equilibri strategici esistenti e scatena un caso diplomatico
MONACO (GERMANIA) - E così nell'agenda politica
internazionale tornano parole come Guerra Fredda, alleanza transatlantica,
egemonia. SOno bastate le parole, durissime, del presidente russo Putin a
generare una specie di salto indietro nel tempo di 60 anni e un piccato
comunicato ufficiale della Csa Bianca che recita: «gli Usa non hanno
trasformato la vittoria nella Guerra Fredda in una vittoria unipolare. È
stata l'alleanza transatlantica a vincere la Guerra Fredda e oggi vi sono
centri di potere in ogni continente».
LA PROVOCAZIONE - A provocare queste parole sono le
dichiarazioni di Putin durante la Conferenza sulla sicurezza a Monaco di
Baviera. PArole violentissime: «Siamo di fronte a un uso della forza eccessivo
e quasi senza freni nelle relazioni internazionali. Uno stato, gli Stati Uniti,
ha travalicato i suoi confini nazionali in ogni modo possibile - aggiunge il
leader del Cremlino - questo è molto pericoloso, nessuno si sente
più sicuro perché nessuno si può più riparare dietro il
diritto internazionale». E non è tutto: parlando dell'installazione di
un sistema di difesa antimissilistica nell'est Europa (si parla di Polonia e
Repubblica ceca) ha parlato di «Piani sono del tutto superflui e inutili»,
DEMOCRAZIA - Ecco un altro passaggio del discorso di
Putin, che ha seguito immediatamente quello del padrone di casa Merkel: «Che
cos'è un mondo unipolare?», si è chiesto Putin, «a dispetto dei
tentativi di abbellirlo, questo termine significa che vi è un solo
centro di potere, un solo centro di forza e un solo padrone». Tutto ciò,
ha sottolineato, «non ha niente a che vedere con la democrazia, dove l'opinione
della maggioranza tiene conto del punto di vista della minoranza. Ci sono persone
che ci insegnano in continuazione cos'è la democrazia poi però
non vogliono impararlo a loro volta».
COLLABORAZIONE - Il comunicato di Washington ricordato sopra ha
però qualche (diplomatico) segnale di apertura: «Vogliamo continuare la
cooperazione con la Russia su temi importanti per la comunità
internazionale come la lotta al terrorismo e la limitazione nella diffusione di
armi di distruzione di massa». Poco per parlare di disgelo. Anzi, sembra
proprio che ci sia uno spiffero di guerra fredda.
10 febbraio 2007
VICENZA - La Lega torna alle origini e Umberto Bossi, tra gli
appalusi dei militanti, rilancia l'attacco allo Stato centralista dal quale affrancarsi
realizzando pienamente il Parlamento del Nord i cui lavori si sono aperti a
Vicenza. Anzi, il fondatore della Lega nei toni si spinge anche oltre: ''Siamo
in uno Stato non solo centralista, ma schiavista, perché ci porta via quanto
produciamo. Non solo ci portano via i quattrini, ma andiamo nei Tribunali e
difficilmente si vince la partita se sei veneto o lombardo, perché non abbiamo
un magistrato nostro''. Quindi Bossi ha concluso: "Sono disposto a mettere
a disposizione la mia vita, a battermi fino in fondo per la libertà del
Nord''.
Toni quasi secessionisti, anche se è Roberto Maroni a incaricarsi di
delineare la strategia leghista, con un obiettivo che dichiara irrinunciabile,
"far ripartire il motore del federalismo che si è inceppato".
E la Lega, dice Maroni, deve capire anche con chi farlo il federalismo, se ci
sono alleati affidabili "perché fino ad ora - conclude - sono state fatte
solo chiacchere".
Infine da Vicenza arriva un secco stop al disegno di legge sulle coppie di
fatto. "Io penso che il Papa abbia ragione. Si poteva fare una legge che
dava dei vantaggi specifici, invece di creare la nuova famiglia che fa
confusione con la famiglia normale, tradizionale", ha detto Bossi,
concludendo che "così anche gli omosessuali avranno dei diritti".
E d'altra parte i lavori del Parlamento del Nord hanno ricevuto l'inattesa
benedizione di un sacerdote, che ha aggiunto anche la sua arringa. Impugnando
la croce ha affermato: "Questo è il principio della civiltà
cristiana cattolica. Il vostro leon", tra gli applausi della platea.
Unica voce critica quella di Enzo Boso: ''Caro Bossi, Berlusconi sarà
tuo amico, non è nostro amico. Berlusconi, Fini, Casini.. Bossi, tu
frequenti una brutta compagnia''. Un passaggio sottolineato dal fragoroso
applauso dei militanti leghisti.
(10 febbraio 2007)
+ Da La
Stampa 10-2-2007 Sui Dico il Papa al
contrattacco Marco Tosatti
+ Da La
Repubblica 10-2-2007 Un negazionista dell'Olocausto ha tentato di rapire Elie
Wiesel
+ Da Il Sole
24 Ore 9-2-200 I «big» tedeschi nel vortice-cause di Morya
Longo
Da
Europa Il nostro metodo. Democratico di
ROSY BINDI
Da Il
Giornale 10-2-2007 Irak, gli insorti ora
aprono agli Usa di Fausto Biloslavo
Dal
Corriere della Sera 9-2-2007 Usa: la resurrezione del Ku Klux Klan
Da Il Sole
24 Ore 9-2-2007 Tutela Ue ai figli,
neutralità sui partner di Eliana Morandi
Ratzinger: preoccupato per le leggi sulla
famiglia
CITTA' DEL VATICANO
Non si placa, il giorno dopo, l’ira della Chiesa: mentre il Papa si dice
«preoccupato» per leggi contro «l'identità della famiglia» il Servizio
Informazione Religiosa (Sir), l’agenzia vicina alla Conferenza Episcopale,
condanna il ddl approvato ieri dal Governo. In assenza - per ora, ma non
è detto che non giunga presto - di una presa di posizione del vertice
della Cei - è affidato alla voce del Sir il compito di esprimere
l’amarezza dei vescovi: «nettamente negativo» il giudizio sulla legge. E i
timori, ci spiega il vescovo Antonio Riboldi, della Commissione Famiglia della
Cei, sono rivolti al futuro: «Ora che la pista è aperta, tutto questo
può portare a sviluppi diversi. Potrebbe essere un cavallo di Troia, per
portare avanti un’analogia con il matrimonio. C’è una forte sensazione
di rischio. Che qualcuno possa dire domani: abbiamo fatto trenta, facciamo
trentuno».
La critica
più articolata viene dal Sir, «I cosiddetti “Dico” appaiono destinati a
produrre sul cruciale piano delle politiche sociali e di solidarietà
problemi più gravi di quelli che ci si ripromette di affrontare»;
così comincia la nota dell’agenzia dei vescovi, secondo cui il «testo
normativo minaccia, infatti, di incidere pesantemente, per intenzioni palesi e
per conseguenze prevedibili, sul futuro della nostra società nazionale sia
dal punto di vista giuridico, sia a livello culturale e di costume sia, infine,
nella concreta ricaduta sulla vita delle famiglie italiane». E’ in base a
questo che si giustifica la durezza della Cei: «Per questa somma di motivi e
non certo per un qualche astratto e pregiudiziale anatema, il giudizio su tale
iniziativa di legge non può che essere nettamente negativo». Il Sir
riconosce «il faticoso lavoro di scrittura e riscrittura che ha impegnato
importanti membri del governo», ma questo sforzo per giungere a un punto di
equilibrio fra le forze di maggioranza «in realtà, non assicura affatto
un serio equilibrio tra l’inderogabile tutela delle persone che costituiscono
una famiglia fondata sul matrimonio e le accresciute prerogative riconosciute a
partire da diritti e doveri, già affermati da tempo, ai protagonisti di
libere convivenze». Fra i problemi citati sono i diritti di successione, «con
il groviglio di ipotesi di concorso all’eredità tra un convivente e il
figlio o i figli dell’altro partner»; tutte questioni che rischiano
«dolorosamente» di aprirsi. E poi c’è l’aspetto sottolineato da
monsignor Riboldi: «il fortissimo impatto sull’opinione pubblica delle premesse
ideologiche dell’iniziativa che è stata assunta». Il Sir chiude con una
battuta: «si parla di “Dico” ma si pensa ai “Pacs”, e soprattutto si prefigura
una escalation legislativa in senso in questo senso». E poi c’era il discorso
di Benedetto XVI. Rivolto all’ambasciatore della Colombia, ma evidentemente
traducibile in italiano. «Come Pastore della Chiesa universale - ha detto nel
discorso rivolto a Juan Gomez Martinez - non posso non esprimere a vostra
eccellenza la mia preoccupazione per le leggi che riguardano questioni molto
delicate come la trasmissione della vita, la malattia, l’identità della
famiglia e il rispetto del matrimonio». Papa Ratzinger ha chiamato alla
mobilitazione i laici: «È necessario appellarsi anche alla
responsabilità dei laici presenti negli organi legislativi e nel governo
e nell’amministrazione della giustizia affinché le leggi siano sempre
espressione di principi e di valori conformi col diritto naturale e che
promuovano l’autentico bene comune». Nel coro di condanna, emerge la voce
«possibilista» del vescovo Luigi Bettazzi: «Io credo che abbiano trovato una
soluzione che forse scontenta tutti ma perché cerca di accontentare tutti.
C’è il riconoscimento dei diritti senza arrivare a paragonare ogni
convivenza con un matrimonio...credo sia una soluzione che va incontro a delle
esigenze senza creare i pericoli che si temevano per la famiglia naturale».
Secche le critiche dal centrodestra. La Lega annuncia barricate.
Schifani
promette che nessun senatore della Cdl farà da stampella all’Unione.
Quanto a Berlusconi, pur lasciando libertà di coscienza ai suoi, fa
sapere che considera i Dico «un attacco alla famiglia», e aggiunge: «Da noi non
arriverà mai un aiuto a Prodi». Sulla stessa linea Gianfranco Fni: «Ai
parlamentari di An dirò quello che ha detto Berlusconi ai suoi, nessuno
dia un sostegno al governo Prodi. Il governo è l’unico al mondo che si
attribuisce l’onere, con molta presunzione, di fare una legge su questioni
eticamente sensibili». Fini prevede quindi che quando il ddl arriverà
alle Camere, «tra qualche mese, probabilmente» andrà incontro ad una
inevitabile bocciatura, anche se ciò non porterà alla caduta del
governo. «Non ci sarà nessuna conseguenza, se non l’ennesima brutta
figura». Ancora più secco Pier Ferdinando Casini, che in un’intervista
al Tg1 osserva: «I Dico sono un colpo di grazia alla famiglia. È stata
fatta una gran confusione. C’era bisogno di risolvere i problemi delle famiglie
italiane che sono abbandonate e senza tutele e, invece, si è dato loro
il colpo di grazia».
SAN FRANCISCO - Il premio Nobel per la pace e
sopravvissuto all'Olocausto Elie Wiesel è sfuggito a un tentativo di
rapimento dietro cui ci sarebbe un negazionista della Shoah. Lo ha raccontato
lo stesso Wiesel al quotidiano israeliano "Haaretz", riferendo di
essere stato aggredito da un uomo nell'ascensore dell'Hotel Argent di San
Francisco in cui alloggiava.
L'uomo si era avvicinato a Wiesel chiedendogli di poterlo intervistare sul suo
libro di memorie "Notte". Il Nobel ha acconsentito a parlare con lui
nell'atrio dell'albergo, ma l'uomo ha insistito perché lo seguisse nella sua
stanza e lo ha trascinato fuori dall'ascensore al sesto piano. A quel punto
Wiesel ha iniziato a urlare e l'assalitore è fuggito.
Dopo l'episodio, la polizia ha trovato in un'auto parcheggiata vicino
all'albergo una patente di guida intestata a Harry Hunt, membro di un gruppo
negazionista dell'Olocausto. E martedì scorso, un uomo presentatosi come
Eric Hunt ha rivendicato la responsabilità dell'aggressione su un sito
web antisemita.
(10 febbraio 2007)
Una transazione milionaria con 340
"paperoni" americani. Deutsche Bank ha pagato decine di milioni di
dollari a un gruppo di facoltosi clienti per i quali, negli anni '90, aveva
ideato un meccanismo per eludere le tasse finito poi sotto inchiesta. Lo ha
scritto ieri il «New York Times». In questo modo la banca tedesca, sotto
inchiesta in America per questa vicenda, ha chiuso tutte le cause civili con i
suoi clienti che avevano usufruito del meccanismo di elusione fiscale in buona
fede pagando elevate commissioni. Ma se le vertenze civili si sono chiuse - con
«soddisfazione dei clienti» ha sottolineato il loro avvocato - per Deutsche
Bank restano in piedi le inchieste penali.
La vicenda risale agli ultimi anni '90, quando Deutsche Bank (e altre case
d'investimento e studi legali) idearono un meccanismo per permettere ai loro
migliori clienti privati di pagare meno tasse al fisco statunitense. Il
meccanismo (denominato in inglese "tax shelter") consisteva in
prestiti fasulli o in compravendite finte di titoli che avevano l'unico scopo di
creare minusvalenze artificiali che permettevano di non pagare le tasse. Questo
"trucchetto" non è stato utilizzato solo da Deutsche Bank:
anche Kpmg (che ha già chiuso la vertenza con una transazione da 465
milioni di dollari nel 2005), Ernst Young (che è ancora sotto inchiesta
penale) e lo studio legale Sidley Austin Brown Wood sono rimaste coinvolte nel
caso dei "tax shelter". Il problema è nato quando le
autorità americane hanno scoperto il meccanismo e hanno sanzionato i
facoltosi clienti di questi istituti. E loro, che avevano usufruito del
"tax shelter" pagando elevate commissioni in buona fede, hanno
avviato delle contro-cause nei confronti dei loro consulenti.
Così si arriva ai giorni nostri. Deutsche Bank ha deciso di realizzare
con questi clienti una transazione: pagandoli, in sostanza, ha chiuso le
vertenze legali. Non è però noto quanto l'istituto tedesco abbia
sborsato: il «New York Times» parla di decine di milioni di dollari, ma la
cifra esatta non è nota. Quello che è certo è che questo
settlement con i clienti non blocca l'indagine penale. Per questo qualcuno
sostiene che l'istituto tedesco possa presto chiudere una transazione anche su
quel fronte: secondo alcune fonti ascoltate dal giornale americano, infatti, il
rischio per Deutsche Bank è di sborsare fino a un miliardo di dollari
nel caso in cui il processo andasse fino in fondo.
Restando tra i colossi tedeschi, anche Siemens si trova di fronte ai guai
giudiziari. Secondo il «Wall Street Journal», infatti, un ex dirigente del
gruppo tecnologico sta cooperando con le autorità tedesche per un caso
di corruzione. La polizia a novembre aveva perquisito la sede della Siemens e
aveva arrestato diversi sospettati. La Procura di Monaco non ha reso noto il
nome del testimone, ma il giornale americano sostiene che si tratti di
Juan-Carlos Stotz, un ex responsabile del settore telecomunications-equipment
sospeso l'anno scorso.
Il presidente della
Repubblica interviene nel giorno del ricordo delle vittime della pulizia etnica
contro il popolo giuliano-dalmata
ROMA - Il dramma del popolo giuliano-dalmata fu scatenato «da un
moto di odio e furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che
prevalse innanzitutto nel trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri
contorni di una pulizia etnica». Lo ha detto il presidente della Repubblica,
Giorgio Napolitano, intervenendo nel Giorno del ricordo delle vittime delle
foibe, le cavità carsiche nelle quali, tra il 1943 e il 1945, vennero fatti sparire migliaia di oppositori al regime di
Tito (■ la scheda). «Non dobbiamo tacere - ha aggiunto il
presidente, che al Quirinale ha incontrato gli eredi delle vittime -,
assumendoci la responsabilità di aver negato o teso ad ignorare la
verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica» il dramma
del popolo giuliano-dalmata. Una tragedia, ha spiegato, «rimossa per calcoli
dilomatici e convenienze internazionali».
«BASTA SILENZI» - «Oggi che in Italia abbiamo posto fine ad
un non giustificabile silenzio, e che siamo impegnati in Europa a riconoscere nella
Slovenia un'amichevole partner e nella Croazia un nuovo candidato all'ingresso
nell'Unione - ha sottolineato il capo dello Stato -, dobbiamo tuttavia ripetere
con forza che dovunque, in seno al popolo italiano come nei rapporti tra i
popoli, parte della riconciliazione, che fermamente vogliano, è la
verità. È quello del Giorno del Ricordo è precisamente un
solenne impegno di ristabilimento della verità».
L'EREDITA' DI CIAMPI - Napolitano ha voluto richiamarsi esplicitamente al suo
predecessore, Carlo Azeglio Ciampi, dicendo che ne raccoglie l'esempio circa «il dovere che le
istituzioni della Repubblica sentono come proprio, a tutti i livelli, di un
riconoscimento troppo a lungo mancato». Nell' autunno
LA «NUOVA EUROPA» - «La disumana ferocia delle foibe - ha detto
ancora - fu una delle barbarie del secolo scorso, in cui si intrecciarono in
Europa cultura e barbarie. Non bisogna mai smarrire consapevolezza di
ciò - ha sottolineato - nel valorizzare i tratti più nobili della
nostra tradizione storica e nel consolidare i lineamenti di civiltà, di
pace, di libertà, di tolleranza, di solidarietà della nuova Europa
che stiamo costruendo da oltre 50 anni, e che è nata dal rifiuto dei
nazionalismi aggressivi e oppressivi, da quello espresso nella guerra fascista
a quello espresso nell' ondata di terrore jugoslavo in Venezia Giulia. La nuova
Europa esclude naturalmente anche ogni revanchismo».
10 febbraio 2007
È
vero, l’approvazione della legge sui diritti delle persone conviventi è
un risultato che porta la firma del Partito democratico, come ha scritto
ieri Europa. Ci sono almeno tre buone ragioni per dirlo. La prima è aver
dato concretezza a un’idea della politica, che non è il luogo in cui
ciascuno proclama i propri valori, ma quello in cui si lavora per trasformare
la realtà e, alimentati dai valori in cui si crede, si fanno le scelte
possibili.
È stato detto che il riconoscimento dei diritti dei conviventi non era
un argomento così “urgente” da meritare l’impegno che il governo vi ha
messo in queste settimane. E invece l’importanza di questa legge sta proprio
nell’idea di politica che porta con sé. Per questo è diventata, al di
là di ciò di cui si occupa, una legge emblematica: perché
riguarda temi profondi, dei quali la politica fa ancora fatica a occuparsi.
Non a caso essi sono stati archiviati per molti anni sotto l’etichetta della
“libertà di coscienza”. Oggi non può più essere
così. La buona politica ha un futuro se riesce a entrare nelle grandi
questioni che riguardano i cambiamenti, le inquietudini ma anche le
possibilità più vere della società, e se ne occupa
dimostrando insieme mitezza e autorevolezza. E ora che abbiamo dato prova di
avere questa capacità sui diritti dei conviventi, potremo farlo anche su
altri, siano essi le questioni eticamente sensibili o altri argomenti su cui
è può sembrare difficile accettare la responsabilità del
bene possibile. Il Partito democratico sarà insomma il luogo di una
politica mite e autorevole, capace di assumere responsabilità e di
rischiare i valori nel crogiolo della realtà.
La seconda riflessione è che la sfi- da del Pd sarà
inevitabilmente quella del dialogo tra culture diverse. Credo che le
biografie mia e di Barbara Pollastrini siano quanto di più diverso
si trovi nell’Ulivo. Non c’è dubbio che lei potrebbe trovare
interlocutori più prossimi di me nella Margherita, come io persone
più simili a me nei Ds. Eppure abbiamo lavorato insieme, perché nessuna
di noi voleva vincere sull’altra e condividevamo lo stesso obiettivo:
interpretare al meglio le nostre diverse culture non per imporle ma per farle
vivere in una sintesi ulteriore.
La cosa bella di questo disegno di legge è che possiamo raccontarlo
nello stesso modo riuscendo a parlare con interloc u t o r i c h e e s p r i -
m o n o esigenze differenti.
Il Partito democratico non potrà nascere da un gioco delle parti, non
avrà bisogno di dire cose diverse ai cattolici o alla sinistra, di
sostenere un punto di vista contro un altro. Ma nascerà se saprà
produrre una nuova cultura politica, una lingua comune, in grado di parlare a
tutti. Sarà un partito onesto, senza giochi di ruolo.
Infine, il varo di questa legge è stato una prova di laicità: e
la laicità, lo ha spiegato Rutelli sul Corriere della sera, è una
sfida per i cattolici ma anche per i non credenti. Deve infatti confrontarsi e
vincere contro due nemici, il clericalismo acquiescente e il fondamentalismo
laicista.
In questa occasione, come in altre nella storia dei cattolici democratici,
abbiamo affermato la nostra autonomia di cristiani laici, impegnati in
politica, rispettosi dell’insegnamento della Chiesa e dei suoi autorevoli
richiami, anche se a volte molto scomodi. La componente cattolica del partito
laico che sarà il Partito democratico si assume questa
responsabilità di autonomia laicale.
Ma anche la componente non credente deve sapersi fare carico dei valori dei
cattolici, che vanno rispettati perché sono parte fondamentale della
società italiana e la politica non può eludere il dovere di
interpretarli.
Quello che abbiamo fatto può insomma essere riassunto in questi tre
punti essenziali e può aiutarci a immaginare come sarà il Partito
democratico.
È stata fatta una legge necessaria e possibile, che non mette in
discussione il ruolo e i diritti della famiglia. L’abbiamo fatta mescolando le
nostre culture e con un duplice obiettivo: rimuovere le discriminazioni e
riconoscere, nelle scelte responsabili delle persone, il seme iniziale di
valori quali la stabilità e la solidarietà.
Credo che la Margherita, tutta la Margherita, debba essere in prima fila su
questa frontiera in cui si incontrano responsabilità della politica,
sintesi culturale e laicità. E sono convinta che ogni suo esponente
abbia il compito di far vivere queste tre dimensioni. Essenziali per il Partito
democratico e il futuro del paese.
Per la prima volta gli insorti sunniti dell’Irak vengono allo
scoperto ammettendo che sono pronti a negoziare con gli americani una via d’uscita.
Pongono condizioni impossibili, ma curiosamente hanno deciso di scegliere un
quotidiano inglese, l’Indipendent, per compiere questa mossa a metà
strada fra la propaganda e il tentativo di tastare il terreno. Non a caso la
notizia è sparata in prima pagina a caratteri cubitali e l’articolo
porta la firma di Robert Fisk, un giornalista esperto di Medio Oriente,
notoriamente antiamericano e con ottimi agganci fra gli insorti iracheni. Abu
Salih al Jeelani, il nome di battaglia dietro il quale si nasconde uno dei capi
del Movimento di resistenza islamica in Irak, ha inviato al giornale britannico
un dettagliato comunicato in cui spiega che «se gli americani volessero
negoziare il loro ritiro (...) noi saremmo pronti a trattare a certe
condizioni». Il Movimento di resistenza, anche noto come Brigate della
rivoluzione del 1920, è uno dei gruppi nazionalisti-islamici più
forti nella galassia degli insorti e del terrorismo iracheno. Il loro nome
originario si ispira alla rivolta contro gli inglesi dello scorso secolo. Al
Jeelani auspica un negoziato sotto il cappello delle Nazioni Unite, oppure
della Lega araba o della Conferenza islamica «che dovrebbero garantire la
sicurezza dei partecipanti». Gli insorti vogliono trattare direttamente con
l’ambasciatore americano a Bagdad e il comandante delle truppe Usa in Irak.
Le condizioni poste da Al Jeelani sono in gran parte
inaccettabili per la Casa Bianca, ma intanto viene lanciato l’amo. La prima
richiesta è la liberazione di 5mila prigionieri come «prova di buona volontà».
Subito dopo si pretende il riconoscimento «della legittimità della
resistenza e del suo ruolo in quanto rappresentante della volontà
popolare». Per gli insorti i negoziati devono essere pubblici e gli accordi
raggiunti, compreso il ritiro, rispetteranno un calendario «garantito
internazionalmente».
La cosiddetta «resistenza», che si siederà al
tavolo del negoziato, dovrà essere rappresentata da «un comitato che
comprenda gli emissari di tutte le brigate jihadiste». Il vero scoglio è
la richiesta di «invalidare le precedenti elezioni e la Costituzione». La legge
fondamentale è sempre stata vista come fumo negli occhi dai sunniti, che
la considerano imposta da curdi e sciiti a danno dei loro interessi.
Molti dei membri delle Brigate del 1920 sono ex ufficiali
del regime di Saddam e quindi non è un caso che chiedano anche il
reintegro delle loro unità nelle nuove forze armate irachene. Le
brigate, assieme al partito Baath in clandestinità e all’Esercito di
Maometto, sono i gruppi più forti della cosiddetta «ala del rifiuto»,
che si è opposta all’ingresso in Parlamento dei partiti sunniti.
Nonostante ultimamente i tagliagole di Al Qaida abbiano annunciato di aver
stretto un accordo con le Brigate, questa formazione è sempre stata
considerata non allineata con i gruppi estremi del terrore influenzati
dall’estero. Fin del 2005 ci sono stati contatti fra i «gruppi del rifiuto» e
il presidente curdo dell’Irak, Jalal Talabani. I contatti segreti sono andati
avanti per un certo periodo in Giordania, anche con emissari Usa, ma non
è chiaro a che punto siano arrivati.
E sul confine si verificano i
primi attacchi degli incappucciati ai clandestini
L'organizzazione
razzista ritorna a fare proseliti sia tra chi teme gli islamici che tra chi
osteggia l'immigrazione clandestina
WASHINGTON (USA) - Risorge il Ku Klux Klan, i cappucci
bianchi che per quasi un secolo, a cavallo del 900, terrorizzarono la
popolazione nera del profondo sud. Il Ku Klux Klan fa nuove reclute denunciando
l’immigrazione clandestina o «invasione illegale messicana» come la chiama il
su leader Phil Lawson.
LA RESURREZIONE DEL
KLAN - Secondo il
Southern poverty law center, un’associazione dei diritti civili che ne segue
l’attività, i gruppi che lo compongono sono saliti da 110 nel
ADEPTI IN AUMENTO - Aponte non sa quanti membri abbia il Ku
Klux Klan, ma ne denuncia le crescenti manifestazioni «soprattutto nel Texas,
nell’Indiana e nello Iowa». Lawson, che si presenta come «il mago imperiale»,
parla di migliaia e migliaia di nuovi adepti, senza precisare quanti: «Con il
governo che permette agli illegali di entrare negli Usa liberamente, il nostro
numero cresce di giorno in giorno» afferma. L’Fbi teme che il ritorno del Ku
Klux Klan, colpevole delle più orrende impiccagioni dei giovani neri della
storia Usa, esasperi la guerra occulta di frontiera in corso sui clandestini.
Ieri in Arizona un gruppo di 4 banditi armati e mascherati ha attaccato un
furgone carico di immigrati uccidendone tre e ferendone gravemente due. Il
giorno primo, lo stesso o un altro gruppo aveva aggredito e derubato altri
illegali ma senza fare vittime. Stando all’Fbi, incidenti del genere sono in
aumento da alcuni mesi, e non è chiaro se si tratti di bande ispaniche,
di vigilantes americani – gente che vuole chiudere i confini – o di razzisti.
Ennio Caretto
09 febbraio 2007
Le disposizioni europee non disciplinano
direttamente le convivenze. La materia familiare, in senso ampio,
rientra,infatti,nella competenza esclusiva degli Stati, poiché fortemente
influenzata dalla tradizione e dalle radici culturali di ciascuna popolazione.
Tuttavia i vari organi comunitari — la Commissione, il Consiglio, la Corte di
Giustizia —hanno avuto occasione di occuparsi di questo fenomeno, in relazione
alla tutela di diritti derivanti dal Trattato Ue.
Emerge una netta distinzione tra la posizione "politica" di
dichiarata apertura espressa da Commissione e Consiglio —manifestata solo in
risoluzioni e raccomandazioni, non vincolanti — e una posizione molto
più cauta e, al limite, neutrale, assunta dalla Corte di giustizia e
tradotta nelle disposizioni che effettivamente si collegano alla materia (per
esempio la direttiva 2004/38).
L'argomento della convivenza è stato finora affrontato sostanzialmente
in due ambiti: in primo luogo in relazione al diritto di circolazione dei
lavoratori comunitari e, in secondo luogo, in relazione al divieto di
discriminazioni nell'ambito lavorativo fondate sul sesso o sull'orientamento
sessuale,ambito nel quale le posizioni antidiscriminatorie sono state decise e
omogenee.
Sotto il primo profilo,per dare effettiva attuazione alla libertà di
circolazione dei lavoratori, da tempo sono estesi ai loro familiari vari
diritti considerati strumentali alla prima (quale il diritto al
ricongiungimento, ma anche "vantaggi sociali" quali l'assegno di
mantenimento per i figli minorati e agevolazioni sui trasporti). In
quest'ottica, molteplici sono stati i tentativi di ampliare il concetto di
"familiare"per estendere tali diritti anche ai conviventi e ai figli
delle coppie non sposate.
Mentre nei confronti dei figli la protezione e l'estensione di diritti
accordata è stata senza dubbio la più ampia possibile (in
conformità alle diverse convenzioni internazionali a tutela del
fanciullo), nei confronti del convivente la posizione normativa comunitaria —
espressa sia nella direttiva 2004/38 sia nella giurisprudenza della Corte di
giustizia — è sostanzialmente neutra, nel duplice senso che, da un lato,
non vieta né obbliga gli Stati ad "ampliare" la nozione del coniuge
fino a parificarla a quella del convivente e, dall'altro, esclude che questa
parificazione sia o debba essere presente a livello di normativa comunitaria.
La Corte di Giustizia ha più volte sottolineato come non sia rilevabile
un "comune sentire" tra i vari Stati membri e proprio per tale
ragione ha ribadito la permanenza della distinzione tra coniuge e
partner,rifiutando la parificazione. Nella sentenza sulle cause riunite
"D" e "Svezia", la Corte ha testualmente affermato che non
esiste, a livello comunitario,uniformità né di riconoscimento né di
contenuti per le varie forme di unioni diverse dal matrimonio. Emerge, anzi,che
tutti gli Stati considerano tali forme di convivenza proprio sulla base della
loro "diversità" dal matrimonio, termine questo, rileva la
Corte, che secondo la definizione generalmente accettata dagli Stati membri
indica l'unione tra due persone di sesso diverso.
Quanto alla normativa scritta comunitaria in materia di circolazione dei
cittadini dell'unione e dei loro familiari, la più recente espressione
si trova nella direttiva 2004/38, che, sostituendo precedenti fonti, ha dettato
una definizione di " familiare"che,pur richiamando il convivente,
ribadisce la voluta "neutralità" rispetto alle posizioni
assunte, in piena autonomia, dagli Stati.
L'articolo 2, comma 2, lett. b) della direttiva, infatti, estende al convivente
la qualifica di familiare solo se si realizzano due diverse condizioni: in
primo luogo, che i due abbiano contratto un'"unione registrata" in
base alla normativa di uno Stato membro che le preveda; e, in secondo luogo,che
la legislazione dello Stato equipari l'unione registrata al matrimonio. La
direttiva recepisce la posizione consolidata della Corte, che siè sempre
limitata a censurare il comportamento di uno Stato che rifiuti a cittadini di
altri Stati europei i diritti che riconosce ai propri. Uno Stato deve,
perciò, riconoscere ai conviventi di altri Stati europei i diritti sociali
che riconosce al convivente dei propri cittadini.
Ma nessuno Stato è obbligato a dare riconoscimento a unioni civili
contratte in altri Stati, qualora la propria legislazione interna non le
preveda o non le equipari al matrimonio.
Si è cercato di vedere un obbligo comunitario di riconoscimento delle
"famiglie di fatto" nell'articolo 9 della Carta di Vienna del 2001
che afferma il diritto dell'individuo a sposarsi e a formare una famiglia.
Questa previsione, però, non è, nè sarà mai,
strumento normativo comunitario vincolante. Gli stessi estensori, poi, si sono
dati cura di ribadire espressamente che da essa non discendono per gli Stati né
divieti né obblighi di riconoscimento per forme di convivenza diverse dalla
famiglia, sottolineando così ancora una volta che la nozione di famiglia
appartiene alla competenza — e prima ancora allacultura — di ciascuna nazione.
+Dal Corriere
della Sera 9-2-2007 Gea:chiesto giudizio per i Moggi e altri sette
Da La
Stampa 9-2-2007 Iraq, scomparsi 12 miliardi di dollari Maurizio Molinari
Da Il Corriere
della sera 9-2-2007 Con il Tatarellum di male in peggio di Giovanni
Sartori
Da La
Repubblica 8-2-2007 Economia italiana in netta ripresa
Da Il Sole
24 Ore 8-2-2007 Ciò che irrita gli americani: il doppio binario su Kabul
Da
Corriere della sera 8-2-2007 La Bce raffredda i listini Federico De Rosa
«Se
l’esperienza del libro ancora v’intimidisce, incominciate, senza timori, a
leggere libri al gabinetto. Scoprirete che anche voi avete un’anima».
L’esortazione è di Umberto Eco, alla fine di uno dei saggi appena
raccolti in La memoria vegetale, prezioso volume in tiratura limitata e
numerata, pubblicato dalle edizioni Rovello con la Rizzoli. E al tema - la
memoria vegetale, beninteso - lo scrittore semiologo dedica oggi la conferenza
con cui inaugurerà la nuova biblioteca d’Alessandria. Piemonte, non
Egitto. Tanto che ha chiesto, in pagamento, una fetta della tipica farinata
locale.
Perché,
professore?
«La faccenda ha a che vedere con la memoria. Non quella vegetale (anche se la
farinata è fatta di ceci) ma quella carnale. Io ricordo quelle specie di
tricicli con un vetro sopra una piastra dove apparivano le due teglie della
farinata e del castagnaccio, delizia della mia infanzia. Ma ormai la farinata
sta scomparendo, a Milano non si trova più, a Torino mi pare ci fosse
solo un posto e non so se c'è ancora, ad Alessandria hanno chiuso...
Rende di più fare la pizza. E allora ho chiesto la farinata non tanto
per ingordigia quanto per spingere le autorità locali a promuovere
(magari con sgravi fiscali) un ritorno della farinata (in alessandrino
"belecalda") nella mia città».
Dire
biblioteca di Alessandria ci rimanda irresistibilmente alla grande biblioteca
di Tolomeo, all'utopia perduta di tutte le biblioteche. Possiamo prescindere
dall'omonimia, o ne dobbiamo tener conto?
«Ma io ne ho tenuto conto! Nel mio libro Come si fa una tesi di laurea, per
provare come si può mettere insieme una buona bibliografia anche se si
vive in provincia, ho intitolato un capitolo alla Biblioteca di Alessandria,
quella di Alessandria Piemonte, e ci ho passato tre giorni a lavorare come se
fossi un laureando. Quanto a quella d'Egitto faccio parte di non so quale
comitato. È architettonicamente molto bella ma non ha ancora tutti i
libri di quella antica. Meglio la mia piemontese. A proposito della quale ho
anche un altro ricordo. Quando facevo ancora il liceo, e quindi tra il ‘47 e il
‘50, accanto alla biblioteca, nella pinacoteca, avevano fatto una mostra di
pittori contemporanei. Era la prima volta che vedevo dal vivo arte
contemporanea, e mi ero talmente incantato su un Morandi che ci tornavo tutti i
giorni. Credo che quell'esperienza abbia influito molto su alcune mie scelte
culturali future».
I
suoi romanzi non mancano di piemontesi: da Jacopo Belbo del Pendolo, a Yambo o
Baudolino, in cui si è voluto leggere una sua proiezione metaforica - un
alessandrino che ha girato il mondo. E hanno i loro tic, le loro malinconie.
Che cos'è un piemontese?
«Esattamente le cose che ho raccontato. O vuole un altro romanzo?».
Magari...
«In ogni caso, nel Pendolo ho cercato di sintetizzare il carattere piemontese
nell'espressione "o basta là". Dove non dico un meridionale,
ma anche un lombardo o un emiliano, di fronte a una rivelazione sorprendente
reagirebbero con commenti, sdegno, gioia, interrogativi a catena, un piemontese
non fa una piega e dice "o basta là" - e riduce tutto a
dimensioni minime. Una variazione, per esempio rispetto all'opera omnia di Kant,
a un discorso del Papa, a un appello ideale, è: "lei dice?"».
E
allora come guarda oggi al quadro politico italiano uno scrittore del genere?
Rispetto alle tesi raccolte nel Passo del gambero, si è fatto qualche
progresso?
«Lei dice?».
D’accordo,
me la sono cercata. Passiamo a Edoardo Sanguineti, che dopo l’ormai famosa
battuta sull'odio di classe ha ricordato di essere stato un po' scandalizzato
da lei, un anno fa, per un elogio di Don Bosco come emancipatore degli operai.
Conferma?
«Non ho mai detto che Don Bosco ha emancipato gli operai. A quello ci pensa
Sanguineti. Ho detto che ha avuto l'intuizione giusta, per i suoi tempi, di
offrire modalità di socializzazione ai ragazzi. Oggi non c'è
alcuna istituzione capace di fare questo e così si hanno le tifoserie
assassine».
In
un recente incontro a Milano, lei ha detto - o almeno così noi della
Stampa abbiamo riferito -: «Faccio a Walter (Veltroni) una domanda che è
anche un invito: potrebbe per cortesia nascere un partito democratico in cui
tutti i membri sostengono che l'Italia non è un protettorato vaticano?».
Di questi tempi basta meno per essere accusati di laicismo fanatico...
«Attendo ancora risposta a quella domanda. E non solo da Veltroni. Ma poi, che
cosa c'è di fanatico nel desiderare di essere un paese indipendente? O
mandiamo all'aria tutto il Risorgimento come fa Bossi?».
Che
cosa ci dice, da semiologo, della corrispondenza Lario-Berlusconi?
«Come ho risposto a un giornalista petulante che mi ha assalito giorni fa:
"Sono un gentleman e non mi occupo delle questioni private altrui"».
Invece
Alfonso Berardinelli, recensendo Sator arepo eccetera, il suo libro di giochi
linguistici pubblicato per Nottetempo, le ha dato del «cretino, per quanto
intelligente». Risponde?
«Non ho letto. Dove l'ha recensito? Ma in fondo Sator Arepo contiene
divertimenti scritti proprio per indurre persone come Berardinelli ad
arrabbiarsi. L'unica risposta è quella di Palazzeschi, “lasciatemi
divertire”».
C’è
una componente di divertimento nell’aver scelto per Alessandria un tema come la
memoria vegetale?
«È il titolo del libro con tutti i miei saggi di bibliofilia,
accessibili a pochi appassionati (un "worst seller"). Noi abbiamo tre
memorie: quella diciamo carnale, che ha sede nel cervello, quella minerale, che
una volta era rappresentata dalle incisioni su steli e obelischi, e ora dal
silicio del computer, e quella vegetale, che si diffonde sui libri, una volta
fatti in papiro e ora con carta di legno. Da persona che crede nel valore del
libro per la nostra identità personale collettiva, e che ritiene che
(malgrado i vaticini degli sciocchi) il libro non sarà rimpiazzato dal
computer - peraltro utilissimo per cercarvi dei libri -, farò l'elogio
di questa memoria vegetale e della passione per i libri».
Reazione del Vaticano dopo il sì del governo sulle coppie di fatto
Appello del Papa ai politici durante l'incontro con l'ambasciatore della Colombia.
CITTÀ DEL VATICANO - Dura reazione
del Vaticano il giorno dopo il sì del governo alle coppie di
fatto. Mentre il Papa
parlando al nuovo ambasciatore colombiano non nasconde la sua grande
preoccupazione per l'avanzata di leggi contro la famiglia, i vescovi in una
nota definiscono «una minaccia per la società» la nuova legge «Dico».
IL PAPA - «Come Pastore della Chiesa universale
- ha detto nel discorso che ha rivolto a Juan Gomez Martinez - non posso non
esprimere a vostra eccellenza la mia preoccupazione per le leggi che riguardano
questioni molto delicate come la trasmissione della vita, la malattia,
l'identità della famiglia e il rispetto del matrimonio». Benedetto XVI
ha sottolineato che «alla luce della ragione naturale e dei principi morali e
spirituali che provengono dal Vangelo la Chiesa cattolica proseguirà a
proclamare senza cessare la inalienabile grandezza della dignità umana».
Poi un appello: «È necessario appellarsi anche alla
responsabilità dei laici presenti negli organi legislativi e nel governo
e nell'amministrazione della giustizia affinchè le leggi siano sempre
espressione di principi e di valori conformi col diritto naturale e che promuovano
l'autentico bene comune».
I VESCOVI - «Si parla di «Dico» ma si pensa a «Pacs»,
e soprattutto si prefigura una escalation legislativa in questo senso». Si
chiude in questo modo la nota del Sir, l'agenzia stampa dei vescovi italiani,
diffusa oggi e dedicata al disegno di legge che regolarizza le unioni di fatto
omosessuali e eterosessuali. Il Sir sottolinea come con la nuova normativa si
delinei una «minaccia per la società sia a livello legislativo che sul
piano culturale». «I cosiddetti "Dico" appaiono destinati a produrre
sul cruciale piano delle politiche sociali e di solidarietà - scrive
l'agenzia dei vescovi - problemi più gravi di quelli che si ci si
ripromette di affrontare». «Il testo normativo a proposito dei "diritti e
doveri delle persone stabilmente conviventi" - prosegue il testo del Sir -
definito e approvato dal Consiglio dei ministri di giovedì scorso e
avviato, ora, verso l'iter parlamentare minaccia, infatti, di incidere
pesantemente - per intenzioni palesi e per conseguenze prevedibili - sul futuro
della nostra società nazionale sia dal punto di vista giuridico, sia a
livello culturale e di costume sia, infine, nella concreta ricaduta sulla vita
delle famiglie italiane».
09 febbraio 2007
9/2/2007
(8:28) - DIETROFRONT DELL'ISTITUTO PER IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO
Caserta:
annullati i contratti.
Il vescovo: "Cancellata una vergognosa ingiustizia"
CITTA'
DEL VATICANO
Bloccati gli «strani affari» nella diocesi di Caserta. Dopo il clamore
suscitato in Vaticano e nella Conferenza episcopale dalla denuncia su «La
Stampa» del vescovo Raffaele Nogaro («Ricattatori nella Chiesa»), fa
retromarcia l’istituto per il sostentamento del clero che aveva affittato un
terreno ecclesiastico al boss camorrista Pasquale Belforte e stava per vendere
ai palazzinari un’area ex demaniale da 40 milioni di euro.
Dietrofront
E dunque è costretto a tornare precipitosamente sui suoi passi don
Antonio Aragosa, il direttore dell’Idsc di Caserta che aveva ceduto in affitto
per 13 euro al mese ad un camorrista della zona un terreno agricolo di
«Il rapporto esistente, per noi, è virtualmente già sciolto - si
adegua don Aragosa -.Auspichiamo che l’affittuario decida di lasciare
spontaneamente libero l’appezzamento, ma in caso contrario siamo determinati a
cogliere ogni appiglio legale e ad intraprendere la necessaria causa civile per
ottenere la rescissione e rientrare nel possesso materiale del fondo». Un
totale cambiamento di rotta da parte dell’Idsc casertano: inizialmente lo
stesso don Aragosa aveva detto che il contratto sarebbe andato avanti
«regolarmente fino al 2013, cioè la data di scadenza naturale» purché il
boss Belforte avesse demolito le costruzioni che aveva abusivamente fatto
edificare nel terreno che gli era stato concesso esclusivamente per uso
agricolo. Altrimenti l’Istituto ecclesiale avrebbe dovuto avventurarsi «in una
causa che potrebbe durare anche diversi anni».
Monsignor Nogaro ha preteso da don Aragosa la «rescissione immediata» del
contratto. A sostenere la censura di Nogaro sul «sacro business» è
intervenuto anche il leader di «Libera» don Luigi Ciotti che ha appoggiato la
battaglia del vescovo contro le collusioni nella Chiesa «con ambienti e persone
che le mani se le sono sporcate di violenza, sangue, morte e
illegalità».
Maxi-speculazione
Stop immediato per decisione della Curia anche all’«affaire Macrico», una
maxi-speculazione edilizia da 40 milioni di euro su una preziosissima area di
Il vescovo Nogaro, alla testa di un comitato civico con 12 mila adesioni,
reclama che l’intera area venga dichiarata inedificabile e acquistata dalle
amministrazioni locali a un prezzo ridotto per farne un grande spazio di
utilità sociale. Venerdì partiranno le prime richieste dei
cittadini per poter avere in affitto piccoli appezzamenti dell’area per uso
agricolo, come era stato fatto con il camorrista Belforte.
L’ex zona militare tornata alla Curia è sotto la minaccia di trasformare
il verde pubblico in cemento privato. Sullo sfondo c’è la camorra che,
avendo fortissimi interessi nell’edilizia, guarda con attenzione a
un’operazione che potrebbe costituire una colossale fonte di introiti e di
accaparramento.
Chiesta
l'archiviazione per Chiara Geronzi e Giuseppe De Mita
Oltre
all'ex dg della Juventus e al figlio rinviati anche Davide Lippi, e Luciano
Gaucci per presunti illeciti
ROMA
- La procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio di Luciano e
Alessandro Moggi, Francesco Zavaglia, Riccardo Galleri, Davide Lippi, Pasquale
Gallo, Francesco Ceravolo e Luciano Gaucci, indagati nell'ambito dell'inchiesta
su presunti metodi illeciti della società di procuratori sportivi Gea
World. Chiesta l'archiviazione delle posizioni di Chiara Geronzi, Tommaso
Cellini e Giuseppe De Mita.
«DECISIONE
ANNUNCIATA» - L’avvocato Marcello Melandri, difensore di Luciano Moggi,
è sicurO: è una decisione annunciata, e il procedimento a carico
del suo assistito potrebbe risolversi già in udienza preliminare, con
una sentenza di proscioglimento. Adesso l’importante - ripete il legale -
sarà trovare un gup veramente sopra le parti, che sappia leggere gli
atti e non si spaventi di far cadere il castello di carte preparato
dall’accusa. «Non è vero nel modo più assoluto che abbiamo
intenzione di chiedere un rito alternativo - ha detto proprio ieri il penalista
- L’assoluzione completa arriverà comunque».
I
RUOLI DEGLI IMPUTATI - Luciano Moggi, suo figlio Alessandro e Franco
Zavaglia sono indicati come organizzatori della «Gea world Spa», societá creata
per acquisire il maggior numero possibile di procure sportive e tramite essa
ottenere un potere contrattuale in grado di incidere in maniera determinante
sul mercato calcistico per condizionare la gestione dei calciatori e di varie
squadre del campionato di calcio.
Per quanto riguarda Riccardo Calleri, Davide Lippi, Pasquale Gallo e Francesco
Ceravolo si attribuisce loro, in qualitá di partecipi di aver coadiuvato i
Moggi e Zavaglia nell'attivitá di procacciamento delle procure con metodi
illeciti. A Luciano Gaucci i magistrati non hanno contestato il reato di
associazione per delinquere. All'ex patron del Perugia infatti, entrato
nell'inchiesta successivamente, vengono attribuiti soltanto alcuni episodi che,
in sostanza, non escludono dall'attivitá le altre persone per le quali è
stato chiesto il rinvio a giudizio per associazione per delinquere.
QUESTE
LE PRESSIONI SUBITE DAI CALCIATORI - David Trezeguet, Nicola
Amoruso, Ruslan Nigmatullin, Ilyas Zeytulaev, Victor Budyanskiy, Davide
Baiocco, Fabio Gatti, Giovanni Tedesco, Manuele Blasi, Giorgio Chiellini,
Corrado Grabbi, Salvatore Fresi. Questi i calciatori indicati nella richiesta
di rinvio a giudizio sulla Gea che sarebbero stati costretti a rilasciare la
procura alla società guidata da Alessandro Moggi «a danno degli altri
procuratori sportivi operanti nel settore». Per i pm Luca Palamara e Maria
Cristina Palaia, i due Moggi avrebbero prospettato all'attaccante francese «la
possibilità di ottenere un vantaggioso rinnovo contrattuale con la
Juventus, società nella quale militava, laddove avesse conferito la
procura sportiva ad Alessandro Moggi e l'impossibilità, in caso di non
adesione alla proposta, di ottenere il prolungamento contrattuale, che in
effetti fino a quel momento Luciano Moggi continuava a negargli». Avrebbero
così tentato di usare «forme di minaccia implicita e indiretta per
indurre il giocatore» ad affidarsi a Moggi jr, a discapito del procuratore
Antonio Caliendo, ma il progetto non trovò attuazione per il rifiuto di
Trezeguet che non ebbe il rinnovo del contratto. Per le vicende Amoruso,
Zeytulaev, Budyanskiy e Nigmatullin sono ritenuti responsabili i due Moggi e
Francesco Ceravolo. I tre, «una volta ottenuta la rappresentanza di Amoruso,
con violenza e minaccia, consistita nell'avvalersi della forza di intimidazione
e nella capacità di sopraffazione di Luciano Moggi, costringevano lo
stesso ad accettare il trasferimento nel Perugia», prospettandogli «la
possibilità di ritornare a giocare nella stagione calcistica 2001-2002
nella più blasonata squadra di calcio della Juventus» e a dare la
rappresentanza ad Alessandro Moggi, contestualmente revocando l'incarico
conferito al suo precedente procuratore Antonio Caliendo». Il suo passaggio dal
Napoli alla Juventus» per il 2001/2002 «si realizzò effettivamente e gli
indagati costrinsero Amoruso «ad accettare il trasferimento dalla Juve al
Perugia per la stagione 2002/2003, addossando peraltro a quest'ultima squadra
l'onere di sostenere l'elevato ingaggio del giocatore». Il caso Baiocco,
che abbandonò il suo procuratore Giovanni Allegrini, chiama in causa,
oltre ai Moggi, l'ex presidente del Perugia, Luciano Gaucci, che, «al
fine di ottenere vantaggi dalla Gea World, in termini di future agevolazioni
nell'acquisto dei giocatori, induceva» il giocatore «a farsi rappresentare»
dalla società. Come contropartita c'era »il trasferimento dal Perugia
alla Juve, il cui dg era Luciano Moggi, che dapprima effettivamente si
concretizzava nella stagione 2002/2003, in concomitanza con il rilascio della
procura sportiva, avvenuta tra gennaio e febbraio 2002, da parte di Baiocco ad
Alessando Moggi, salvo poi dimostrarsi esclusivamente finalizzato al rilascio
della procura sportiva, poichè pochi mesi dopo lo stesso Luciano Moggi
rappresentava al giocatore che non avrebbe avuto la possibilità di
essere impiegato nella Juve e che l'unica soluzione professionale era quella di
accettare un ulteriore trasferimento al Piacenza». L'intervento di Gaucci
compare anche nel capo d'imputazione relativo alle pressioni su Gatti
che lasciò il suo agente Claudio Orlandini per Riccardo Calleri che,
assieme a Moggi jr, avrebbe avvisato il calciatore che la Gea era l'unica
strada per militare in squadre «di alto livello».
INCHIESTA
PM ROMA CONTINUA SU ARBITRI E OPERATO FIGC - Se da un lato
l’inchiesta sulla Gea è finita con la prevista richiesta di rinvio a
giudizio dei maggiori indagati, intorno agli accertamenti svolti sulla
società di intermediazione e procura sportiva si sono sviluppati altri
filoni. Almeno due sono quelli noti, di cui si è avuta conferma in
ambienti investigativi, anche se ancora non è stato emesso - per queste
due indagini - alcun avviso di garanzia: l’uno è legato ad alcune
presunte omissioni da parte della Figc, (Federazione italiana giuoco calcio)
rispetto alla Commissione agenti di calciatori, e l’altro è su alcuni
arbitri facenti parte della famosa «combriccola romana», come la definirono i
carabinieri del nucleo operativo nel primo rapporto consegnato agli inquirenti
di Napoli.
In particolare si vogliono appurare le eventuali responsabilità dei
designatori Bergamo e Pairetto nelle valutazioni arbitrali. Nello stesso
fascicolo verranno vagliate le posizioni di Palanca, Gabriele, Farina e De
Santis, i cui nomi vennero fatti ai magistrati dall’ex presidente dell’Ancona
Ermanno Pieroni. Per il momento ancora non è stata prevista l’ipotesi di
frode sportiva, vuoi perché non c’è stato ancora riscontro investigativo
ad alcune dichiarazioni fatte ad esempio da Franco Dal Cin e Aldo Spinelli.
Dall’altro per una questione legata ai tempi della Procura di Napoli. Se
infatti i magistrati partenopei accelerassero la loro richiesta di rinvio a
giudizio per i pm romani ci sarebbe spazio per poter andare avanti
tranquillamente.
09
febbraio 2007
ROMA - La Guardia di Finanza di Milano ha arrestato questa mattina
l'imprenditore Alberico Cetti Serbelloni, per una presunta frode all'erario di
oltre un miliardo di euro. Altre sei persone sono state inoltre iscritte nel
registro degli indagati nell'ambito della stessa indagine: per tutti l'accusa
è associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale ai danni
dell'erario.
Cetti Serbelloni appartiene a una antica famiglia milanese, che ha anche
espresso un Papa, Pio IV. Dal 1997 dirige una web publishing company (Gabrius)
specializzata nel settore dell'arte contemporanea, e nel
Le indagini, partite nel 2002 con la direzione del procuratore di Milano Giulia
Perrotti, hanno portato, si legge in una nota della Guardia di Finanza,
"alla scoperta di un giro di false fatturazioni nel settore delle opere
d'arte tramite una serie di società appositamente costituite sia in
Italia che all'estero, in particolare in Svizzera, Usa, Danimarca e
Lussemburgo. Tali società, amministrate da prestanome e da fiduciari
svizzeri, mettevano in atto un imponente giro di fatture false per frodare
l'Iva relativa alle compravendite fittizie secondo lo schema classico noto come
'frode carosello'.
Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, il volume delle fatture false emesse
ad oggi supera i 700 milioni di euro per una frode complessiva superiore al
miliardo di euro. Il flusso di denaro raccolto dalle società estere
veniva poi stornato in larga misura su una società di diritto irlandese,
la Neptun Continental Limited, amministrata da un fiduciario svizzero che aveva
investito tra l'altro nell'acquisto di un golf club a Marina di Pietrasanta,
proprietà questa che è stata già sequestrata dalle
autorità giudiziarie.
Il gip Alessandra Cerreti, nel firmare l'ordinanza di custodia cautelare in
carcere nei confronti di Cetti, ha ritenuto sussistente la
"pericolosità" sociale. Il gruppo infatti, da quasi cinque
anni sotto inchiesta per altre vicende simili, ha ricostituito nuove
società con cui reiterare la frode ai danni della Stato.
Cetti Serbelloni è noto nei circoli finanziari di Milano per le sue
attività nel mondo dell'arte e di internet. Milanese di 48 anni, oltre a
dirigere la Gabrius, specializzata nel settore dell'arte contemporanea,
pubblica anche libri tramite una società editrice che porta il suo nome
e offre servizi per l'analisi del mercato dell'arte. A questo scopo ha anche
creato Artindex, una banca dati in cui sono catalogate 600mila opere e che
raccoglie le informazioni su tutte le compravendite realizzate dalle più
importanti case d'asta del mondo dal 1985.
Gabrius inoltre affianca le assicurazioni e le istituzioni finanziarie per la
gestione dei servizi di "art banking". Uno dei palazzi storici della
famiglia Serbelloni a Milano ospita da anni il circolo della Stampa oltre che
varie iniziative culturali e convegni.
(9 febbraio 2007)
Trecento
tonnellate di biglietti da cento. Gli Usa: forse sono finiti nella guerriglia
NEW
YORK
Dodici miliardi di dollari in biglietti da cento ovvero 120 milioni di
banconote per un peso complessivo di 363 tonnellate. Sono questi i numeri della
pioggia di denaro che il governo americano inviò a Baghdad fra il 2003
ed il 2004 affidandone la distribuzione a Paul Bremer, allora a capo dell’Autorità
provvisoria della coalizione alleata con il grado di governatore dell’Iraq. Il
fiume di banconote usciva dai forzieri della Federal Reserve a New York, veniva
imballato, imbarcato su aerei da trasporto militare C-130 e quindi decollava -
anche due volte a settimana - verso la capitale irachena dove veniva
distribuito ad ufficiali americani in sacche di plastica che potevano arrivare
a contenere fino a due miliardi di dollari.
L’intera operazione è divenuta di dominio pubblico grazie a Henry
Waxman, il combattivo deputato democratico della California neo-presidente
della commissione della Camera per il controllo del governo, che dopo aver
raccolto la necessaria documentazione ha chiamato a testimoniare Paul Bremer.
Le ammissioni dell’ex governatore sono state trasmesse in diretta tv e gli
americani sono così venuti a sapere che prima cinque miliardi di dollari
e poi altri sette vennero prelevati dal governo americano dalle
proprietà irachene congelate, dai proventi della vendita di petrolio e
dalle giacenze del fondo Onu sul controllo delle sanzioni all’Iraq per essere
adoperati al fine di facilitare l’insediamento dell’Autorità
provvisoria.
Fra le prove documentate da Waxman vi sono i documenti di trasporto di 2,4
miliardi di dollari il 22 giugno 2004, le testimonianze su un ufficiale
dell’amministrazone civile sulla «pioggia di biglietti» da cento dollari, il
furto di 774.300 dollari dalla cassaforte di una divisione e l’ammissione di un
militare di aver ricevuto 6,75 milioni in contanti con la richiesta di
spenderli in fretta prima dell’insediamento del primo governo iracheno. Stuart
Bowen, ispettore generale della ricostruzione in Iraq, ha affermato alla
commissione della Camera che almeno 8,8 miliardi di dollari sono stati «versati
senza avere sicurezza su come sarebbero stati adoperati».
Sarà ora la commissione Waxman a continuare gli accertamenti al fine di
appurare chi e perché ha ricevuto i 12 miliardi di dollari. Bremer è
consapevole del rischio di essere accusato di aver favorito la corruzione -
senza escludere che parte dei fondi siano poi arrivati alle milizie - e la sua
difesa finora è stata nell’affermare che si trattava di «fondi iracheni
e non americani», sulla cui gestione dunque il Congresso non avrebbe il potere
di indagare. Waxman tuttavia vuole arrivare a scoprire la sorte dei fondi
versati dal governo americano e si è affrettato a far sapere a Bremer
che presto sarà chiamato ancora a deporre. «Ammetto di aver compiuto
degli errori ma bisogna tener presente che eravamo nel mezzo di una guerra - si
è giustificato l’ex governatore - si lavorava in condizioni molto
difficili e nell’assenza di un sistema bancario dovevamo agire con
velocità per far funzionare l’amministrazione». A Baghdad intanto
è in pieno svolgimento l’operazione per smantellare le milizie illegali:
i raid si sono concentrati nelle zone sunnite. Ieri un blitz della polizia ha
portato all’arresto di Hakim al-Zamili, il viceministro della Sanità per
aver finanziato le attività dei miliziani sciiti fedeli a Moqtada al
Sadr.
Le ipotesi sulla riforma del sistema
elettorale
Come rivoteremo alle politiche? Il
dibattito già infuria perché sulla riforma del sistema elettorale pende
un referendum, il che irrita i partiti. Questa partita, ritengono, ci spetta,
è cosa nostra. Il dibattito sarebbe noioso se non fosse innovato e
vivacizzato dalle nuove stupidate che ne emergono. Fino a poco fa, toccare il
maggioritario era sacrilegio perché era attentare al bipolarismo, perché chi
voleva la proporzionale era un subdolo «centrista» atteso a silurare la
democrazia dell’alternanza. Poi Berlusconi e Lega ci hanno imposto il
Porcellum, che è un sistema proporzionale (sia pure di tipo «porcata»).
Dopodiché i più sono diventati proporzionalisti. Ma come? Non vogliamo
più il bipolarismo e l’alternanza? No, anzi, li vogliamo sempre
più. Ma, se così, cosa è successo? Dicevamo cretinate
prima (da maggioritari), oppure le diciamo ora (da proporzionalisti)? Secondo
me, sia prima che ora.
Intanto il fatto è che il nostro
ministro per le Riforme on. Chiti ha doverosamente fatto il giro delle sette
chiese ricavandone che esiste un nuovo consenso. Che non è—figurarsi —
su modelli collaudati, ma invece su «un nuovo modello italiano» che deve per
forza essere nuovo (visto che i precedenti hanno fatto fiasco), ma che poi
tanto nuovo non è. Difatti si ispira al cosiddetto Tatarellum, e
cioè al sistema vigente per le elezioni regionali. Ne riassumo gli
estremi: 1) rappresentanza proporzionale con elezione diretta del presidente
della Regione; 2) divieto di ribaltone: se il presidente cade si deve rivotare;
3) premio di maggioranza alla coalizione vincente. E tanto basta per dichiarare
il Tatarellum l’impasto di tutte le assurdità elettorali inventate dal
genio italico negli ultimi anni. È un impasto che abbiamo digerito
perché si divide per venti (tante quante sono le nostre regioni), e quindi
perché funziona, maluccio, su piccola scala. Ma venti «malucci» sommati assieme
ci darebbero un inaccettabile «malissimo» a livello nazionale. Prescindiamo dal
fatto che per un sistema parlamentare sia l’elezione diretta (sub 1) quanto il
divieto di ribaltone (sub 2) appaiono norme incostituzionali che violano il
principio della sovranità del Parlamento. Resta che anche la terza
proposta proprio non va.
Finché vigeva il Mattarellum le alleanze
elettorali non erano tenute a includere cani e gatti. Infatti l’uninominale
consentiva accordi reciproci di desistenza: io mi ritiro in questo collegio e
tu ti ritiri, in compenso, in quest’altro collegio. Il primo governo Prodi
vinse l’elezione con le desistenze concordate con Rifondazione comunista. Poi
cadde perché Prodi è un «duro » incapace di flessibilità. Ma
allora il centrosinistra continuò a governare proprio perché Bertinotti
era sostituibile. Il secondo governo Prodi è caratterizzato, invece,
dalla inclusione di tutte le estreme (di sinistra) nel suo governo. Risultato:
in passato Prodi avrebbe potuto accettare, volendo, voti esterni alla stessa
stregua con la quale accettava il voto esterno di Bertinotti. Ora non
più. Ora si è incastrato: gli estremisti li ha in casa. E questo
imbottigliamento verrebbe sanzionato dal Tatarellum nazionalizzato. Perché una
coalizione con premio di maggioranza obbliga a mettersi in casa tutti coloro
che ne dovrebbero essere lasciati fuori. Il problema italiano non è il
bipolarismo a livello elettorale ma a livello di governo. È che noi
stiamo fabbricando «poli » sempre più eterogenei al loro interno e blindati
al loro esterno. L’esatto contrario di quel che dovrebbe essere. E le
coalizioni «maggiorate» sono, appunto, il coronamento di questa distorsione.
09 febbraio 2007
M
La discussione del rapporto sull'Italia,
secondo quanto si apprende da fonti del Fondo, ha portato alla stesura di un
documento che aggiorna le prime sintetiche conclusioni, diffuse a Roma lo
scorso novembre dagli ispettori dell'Fmi guidati da Alessandro Leipold, e che
ricalca in gran parte la bozza anticipata già nei giorni scorsi.
"La crescita della produzione nel
2006-07 - sempre secondo la bozza - sembra essere la più forte dal 2001.
La disoccupazione sta calando, l'inflazione è generalmente in linea con
quella dell'area euro e ci sono i segni iniziali che indicano che una
trasformazione strutturale potrebbe essere in atto".
Ma non sono da dimenticare alcuni
problemi fondamentali che ancora persistono: l'insufficiente
competitività interna, un mercato del lavoro ancora rigido, un 'business
enviroment' scoraggiante, mercati dei capitali relativamente poco sviluppati e
conti pubblici tuttora insostenibili.
Non ultimo resta sempre il fardello di un debito
pubblico che quest'anno rimarrà sostanzialmente invariato, attorno
al 107% del Pil. Quanto alla previdenza, l'invito è agli incentivi tali
da favorire l'allungamento della permanenza media al lavoro. Sul punto, il
ministro dello Sviluppo economico, Pierluigi Bersani, ha affermato nei giorni scorsi, durante la visita
di tre giorni a Washington e New York, che il nodo pensioni dovrà essere
affrontato puntando anche sul dialogo con il sindacato che è interessato
a raggiungere un sistema "equilibrato".
Nel documento è stata inoltre
ribadita l'esortazione ad accelerare sulle riforme (c'è apprezzamento
per le misure sulle liberalizzazioni) per poter innalzare il potenziale di
crescita, con una nuova campagna di interventi strutturali, fra i quali
l'ulteriore riforma della previdenza con l'innalzamento dell'età
pensionabile.
Alcuni importanti interventi sono stati
avviati, secondo i contenuti della bozza dell'Art.4, nonostante "molto
resti ancora da fare" con i problemi legati alla maggioranza ridotta e con
alcuni partner della coalizione che oppongono resistenza "alle riforme
orientate al mercato".
Da
Il Sole 24 Ore 8-2-2007 Ciò che irrita gli americani: il doppio binario
su Kabul
È facile prevedere che l'incontro fra il ministro degli Esteri D'Alema e
l'ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, Spogli, servirà a ricordare che
fra i due Paesi esistono storici rapporti d'amicizia. Formula che va bene per
negare clamorose fratture o insanabili disaccordi, ma non è così
convincente se l'obiettivo consiste nel diradare la nebbia delle ultime
settimane. Per questo, ci vuol altro che una stretta di mano e un comunicato in
linguaggio diplomatico.
Del resto, sullo sfondo di questo incontro c'è lalettera irrituale
(parole di D'Alema)dei sei ambasciatori all'Italia perché si impegni in
Afghanistan. Ci sono la risposta irritata della Farnesina e la replica altrettanto
dura del governo americano.Soprattutto c'è la diffidenza
dell'amministrazione Bush nei riguardi del centrosinistra prodiano e di una
politica estera che appare a Washington ondivaga e condizionata dai militanti
idelogizzati dell'estrema sinistra.
Da parte italiana si risponde con un pizzico di sufficienza. Qualche anno fa
sarebbe stata impensabile. E non perché allora era al governo Silvio
Berlusconi, con il suo atlantismo di ferro, ma per la buona ragione che Bush
era nel pieno del suo mandato. Mentre oggi il presidente ha assunto i tratti un
po'malinconici del cavallo a fine corsa, per di più sconfitto nelle
ultime elezioni di "mid term". Così il governo italiano trova
conveniente far mostra di autonomia in politica estera. Vuole essere una lezione
data all'amministrazione Bush, nel momento in cui quest'ultima non fa
più paura. Con l'idea, anzi, di entrare insintonia con il 70%circa degli
americani che hanno votato indirettamente contro l'attuale presidente lo scorso
novembre. La questione, s'intende, è più complessa. Da un lato,
l'America non è così debole come si pretende in certi ambienti
della sinistra italiana. Bush è, sì, un presidente azzoppato. Ma
esistono linee strategiche,specie in materia di lotta al terrorismo, che vanno
molto al dilà di un ricambio alla Casa Bianca.
Peraltro, ciò che disturba gli americani è una certa doppiezza
degli interlocutori italiani. A parte il caso della base di Vicenza, dove
scenderanno in piazza a protestare autorevoli membri della coalizione di
governo, resta il fatto che D'Alema, pochi mesi fa a New York, aveva definito
l'Afghanistan il teatro privilegiato della guerra al terrorismo. Espressione,
va da sé, che era piaciuta molto a Washington e aveva contribuito a fare del
ministro degli Esteri l'interlocutore preferito a Roma.
Da allora le cose sono cambiate e non in meglio. Il governo di Roma ha risposto
picche alla richiesta reiterata dalla Nato di spostare i soldati italiani in
Afghanistan verso Sud, in zona di combattimenti. C'è stata a questo
proposito una generale freddezza della coalizione, accompagnata da un esplicito
veto di Rifondazione. Quindi, ecco la contraddizione: da un lato il ministro
degli Esteri che parla di lotta al terrorismo e mostra di condividere gli
obiettivi strategici dell'alleanza in Afghanistan. Dall'altro i veti della
sinistra radicale proprio sull'impegno afgano. Veti accolti senza batter ciglio
da Prodi e D'Alema. L'Italia ama rappresentarsi come costruttrice di una
viaalternativa per la pace a Kabul (la dalemiana conferenza internazionale,
molto futuribile). In realtà le sue sono scelte dettate da astuzia,allo
scopo di mantenere l'unità della coalizione. Ma gli Stati Uniti si
muovono su un'altra scala e alla fine si arriva alla miniSigonella.Subito
ricucita come la vera Sigonella, ma altrettanto foriera di successivi e
inquietanti sviluppi.
Una task force fra ministri, coordinata da Livia Turco, per una alimentazione
corretta. Campagna per l'equilibrio nelle diete e per incentivare l'addio a
alcool e funmo
Italiani pigri e sovrappeso. L'ultima
indagine voluta dalla Commissione Europea mette in castigo adulti e bambini,
giudicati i più grassi d'Europa. Il governo corre ai ripari: il ministro
della Salute Livia Turco ha attivato una task force interministeriale contro
junk food, fumo, alcol e sedentarietà. "Guadagnare salute"
verrà presentato a fine mese al Consiglio dei Ministri, per diventare
operativo nel più breve tempo possibile.
Spiega il ministro: "Molti nemici della salute si possono prevenire non
fumando, mangiando in modo sano ed equilibrato, non abusando dell'alcol e
ricordando che l'organismo richiede movimento fisico. I provvedimenti puntano a
migliorare conoscenza e pratica dei corretti stili di vita".
Mangiamo troppo, mangiamo male, non facciamo attività fisica, beviamo e
fumiamo in abbondanza. Secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della
Sanità, quasi nove decessi su dieci e oltre il 75% della spesa sanitaria
in Europa e in Italia sono legati alle cosiddette patologie-killer - malattie
cardiovascolari, tumori, diabete, affezioni respiratorie croniche, disturbi
mentali e muscoloscheletrici - che hanno come anamnesi comune stili di vita
sbagliati.
L'ultima ricerca realizzata per la Commissione Europea in materia di
alimentazione ci relega all'ultimo posto in Europa per attività fisica,
coscienza dei pericoli legati all'obesità, tempo dedicato a sport e
tempo libero all'aria aperta. In compenso, siamo in testa alla disgraziata
classifica delle ore passate seduti - davanti al computer o alla tv, poco
importa - e primi per numero di bambini obesi. Primati tanto più
pericolosi se è vero che non ce ne rendiamo assolutamente conto: il
rapporto "Food&health" svela che gli italiani non ritengono di
avere figli sovrappeso, né di trascorrere troppo tempo in poltrona.
Il progetto si articola in quattro piani strategici: alimentazione,
attività fisica, lotta al fumo e all'abuso di alcol e si traduce in una
rete di tanti piccoli interventi virtuosi che coinvolgono una decina di
ministeri. Si va dal divieto di regalare latte artificiale nei reparti di
ostetricia alle agevolazioni fiscali per le pratiche sportive di bimbi e
ragazzi, su su fino all'ora di salute da inserire nei programmi scolastici e
agli spot per incentivare il consumo di verdura (metà degli italiani la
ignora completamente). Scorrendo gli ultimi dati, la diagnosi del
sottosegretario Antonio Gaglione, cardiologo interventista, tra i responsabili
del progetto, è impietosa: "Mangiamo troppi carboidrati complessi,
pane, pasta, dolci, e poi bistecche, fritti e bibite gassate. A consumare le
benedette cinque porzioni di frutta e verdura quotidiane è il 5% degli
italiani. Un disastro. E come se non bastasse, non muoviamo un passo, idem i
nostri bambini. Mica bisogna fare acrobazie sportive per mantenersi in forma:
la strada è palestra, il pavimento attrezzo, basta volerlo".
Se manca la buona volontà individuale, gli investimenti collettivi
riescono addirittura sconfortanti. In Francia il ministero dell'Istruzione
stanzia circa 77 euro per l'attività fisica di ogni studente, in Gran
Bretagna il valore cala drasticamente a 14 euro. Da noi, oggi non arriviamo a
50 centesimi di euro. Risultato: bambini sempre più pigri e paffuti, che
spendono 70 calorie all'ora guardando la tv contro le 250 di una passeggiata.
L'intersettorialità del progetto dovrebbe riparare a questo e altri
errori clamorosi nel nostro rapporto tra cibo, movimento e salute. Così,
Uisp e ministero del Lavoro hanno appena varato "Diamoci una mossa",
campagna scolastica che coinvolge alunni e genitori di mille classi primarie di
tutta Italia, avendo come simbolo una doppia piramide: quella alimentare e
quella dell'attività fisica. "Meglio prevenire che curare",
sostiene la Turco. Sembra un concetto banale, e invece è più o
meno il contrario di quanto sostengono i suoi colleghi in Spagna e Inghilterra.
"Paesi come la Gran Bretagna sembrano aver imboccato una via punitiva
verso chi stenta ad abbandonare vizi o cattive abitudini pur essendo stati
avvertiti dei rischi correlati: penalizzazioni sulle cure per un disturbo
cardiaco o un cancro nei confronti di fumatori incalliti, idem per gli
alcolisti o per gli obesi. Noi vogliamo mantenere intatto il principio del diritto
alla cura. Ma oggi la scienza ci mette davanti a una potenziale rivoluzione
nell'approccio alla tutela della salute: la prevenzione primaria diventa l'arma
più importante. Questo deve diventare anche il nostro obbiettivo".
(9 febbraio 2007)
Riunione a Palazzo Chigi con il
rappresentante Usa in Italia
"Sulla lettera degli ambasciatori caso chiuso"
Riunione improntata alla "massima
cordialità" e sono stati registrati "passi avanti"
Fonti americane: "Sicuramente si è parlato anche della base
americana di Vicenza"
ROMA - "Il caso è chiuso". La crisi diplomatica
innescata dalla lettera sull'Afghanistan indirizzata all'Italia da sei ambasciatori
attraverso Repubblica, si è conclusa con il colloquio tra il
ministro degli Esteri Massimo D'Alema con l'ambasciatore degli Stati Uniti,
Ronald Spogli. Il capo della missione Usa è arrivato a Palazzo Chigi
alle 18.30 e ha lasciato la sede del governo un'ora e 10 minuti più
tardi senza rilasciare dichiarazioni.
Fonti dell'ambasciata americana hanno confermato a Repubblica che l'incontro
con il ministro D'Alema è stata una buona riunione. "Abbiamo
confrontato costruttivamente le nostre idee sull'editoriale pubblicato da Repubblica
- dicono le fonti - che noi intendevamo come appunto un editoriale,
un articolo e non una lettera aperta. Sicuramente si è parlato anche di
Vicenza".
E, infatti, la nota della Farnesina sottolinea che "il colloquio ha
consentito di fare il punto su vari temi dell'attualità internazionale
di interesse comune di Italia e Stati Uniti". L'incontro, riferiscono
fonti americane, è stato improntato alla "massima
cordialità". Sono stati registrati "passi avanti" ed
è stata sottolineata "l'importanza" della collaborazione tra
Italia e Stati Uniti nella missione in Afghanistan.
Nel corso del colloquio, che, per stessa ammissione delle fonti Usa
"è durato molto più del previsto", si è parlato
in un clima di "estrema cordialità", della "estrema
importanza che l'Afghanistan ricopre negli equilibri regionali e nell'impegno
per la pace".
"Ne è emersa confermata - sottolinea la Farnesina - la
volontà dei due governi di proseguire quella tradizionale costruttiva
collaborazione nella gestione delle principali aree di crisi, che caratterizza
il rapporto tra i due Paesi e tra i due governi, e che si fonda su una
consolidata intesa ed amicizia e su una ampia condivisione di valori e
obiettivi".
Per quanto riguarda l'Afghanistan, "il Ministro D'Alema ha confermato
l'impegno del governo italiano a continuare a contribuire nell'ambito delle
Nazioni Unite e dell'Alleanza Atlantica all'opera di stabilizzazione e
ricostruzione del Paese. L'Ambasciatore Spogli - dice ancora la nota - ha dal
canto suo confermato che l'amministrazione americana apprezza e condivide
l'impegno italiano in Afghanistan".
Stamane dai microfoni di 'Radio anch'io' il segretario dei Ds Piero Fassino, si
era detto certo che con questo incontro il 'caso ambasciatori', sarebbe stato
definitivamente chiuso.
(8 febbraio 2007)
Il commento
Voci di una nuova stretta
monetaria in Europa mettono la marcia indietro ai titoli del comparto
finanziario. Editoriali deboli, Rcs in controtendenza
Chiusura in calo per
Piazza Affari, in
linea con le altre Borse europee sulle quali ha pesato la debolezza di Wall
Street. Ma anche le parole del presidente della Banca Centrale Europea, Jean
Claude Trichet, che lasciano presagire una nuova stretta monetaria. Il Mibtel
ha ceduto lo 0,79% e l’S&P-Mib lo 0,89%. I realizzi hanno colpito un po’
tutti i comparti, ma l’attenzione si è concentrata principalmente sui
finanziari. A partire da Capitalia che arretra dell’1,32% dopo le notizie di
divergenza ai vertici dell'istituto romano e le precisazioni dei soci Santander
e Bollorè, secondo cui le rispettive partecipazioni non superano il 2%.
L’ingresso nel capitale della banca romana di due nuovi soci, in chiave di
difesa dell’indipendenza, ha creato qualche tensione in Borsa. Che si è
estesa a Mediobanca, in calo dello 0,4%, e Generali che è riuscita
invece a chiudere in rialzo dello 0,24% sulle attese di possibili novità
nell’azionariato. Nel resto del comparto male UniCredito (-1,65%), Intesa
Sanpaolo (-0,94%), Montepaschi (-0,76%) e Bpm (-1,4%). In controtendenza
Finmeccanica, che tramite la joint-venture Atr tra Alenia ed Eads potrebbe
vendere 150 aerei in India nei prossimi 6 anni.
Realizzi su Fiat (-1,36%), oggetto, secondo
alcuni operatori, di realizzi da parte dei fondi che avevano investito a prezzi
più bassi. In calo anche Ifi (-1,14%) e Ifil (-1,26%). Deboli gli
editoriali, dopo il profit warning lanciato dalla britannica Emap. Mondadori
è stato il peggiore delle blue chip, con un calo del 2,9%, complice un
report di Morgan Stanley che ha confermato il giudizio “underweight”. Male anche
L’Espresso (-1,6%), mentre hanno chiuso in controtendenza Class Editori
(+6,7%), che ieri ha comunicato di aver ceduto il 3,64% di Nsr (licenze radio
satellitare) a Telecom Italia per 2 milioni di euro, e Rcs MediaGroup (+0,9%)
che prosegue la corsa iniziata ieri dopo la diffusione dei conti del 2006 e la
notizia dell’accordo per l’acquisizione del gruppo spagnolo Recoletos. Deboli i
telefonici con Fastweb che arretra del 2%, Tiscali dello 0,72% e Telecom Italia
dello 0,96%.
08 febbraio 2007
++ Da La Repubblica 8-2-2007 Farnesina:
"Sul caso Lozano si applichi il Trattato con gli Usa"
Da La
Repubblica 8-2-2007 Iraq, una lunga
guerra senza faccia di BERNARDO VALLI
Da Il Sole
24 Ore 7-2-2007 L'informazione ancora
negata ai risparmiatori. ALESSANDRO MERLI
Da La
Repubblica 7-2-2007 Capitalia: Matteo
Arpe fuori dalla banca
Da La
Repubblica 7-2-2007 La provincia di
Firenze ai giovani "Contestateci, ma su internet"
Da
La Repubblica 8-2-2007 Farnesina: "Sul caso Lozano si applichi il
Trattato con gli Usa"
Il ministero degli Esteri chiede la piena
applicazione
dell'accordo di assistenza giudiziaria tra Italia e Stati Uniti
ROMA - Sul caso del marine Usa Luis Mario Lozano, rinviato ieri a
giudizio per l'omicidio del funzionario del Sismi Nicola Calipari e per il
duplice tentato omicidio della giornalista Giuliana Sgrena e del maggiore
Andrea Carpani, la Farnesina auspica
"la piena applicazione del Trattato di assistenza giudiziaria tra Italia e
Stati Uniti". "Da parte nostra si è sempre sostenuto che tutte
le potenzialità di collaborazione bilaterale offerte dal Trattato di
mutua assistenza giudiziaria in vigore tra Italia e Stati Uniti devono essere
pienamente colte", chiarisce il portavoce del ministero degli Esteri,
Pasquale Ferrara.
"Sotto il profilo dell'accertamento dell'accaduto - ricostruisce Ferrara -
a suo tempo Italia e Stati Uniti collaborarono in un'inchiesta molto
approfondita. non fu possibile giungere a conclusioni concordate e l'Italia
ritiene che il punto di vista che fu recepito dal rapporto è quello che
per quanto ci riguarda costituisce il punto di riferimento". Fatta questa
premessa, il portavoce della Farnesina, sottolinea come "altra questione
sia una indipendente ed autonoma iniziata della magistratura, che è
iniziata e segue i suoi canali".
Intanto con un decreto di tre pagine, oggi il gup Sante Spinaci ha accolto la
richiesta dell'avvocato Alessandro Gamberini, che Giuliana Sgrena, di chiamare
in causa il Dipartimento di Difesa degli Stati Uniti d'America (U.S. Department
of Defence) nella persona del segretario della Difesa (secretary of Defence)
pro-tempore", nell'ambito del processo che prenderà il via il 17
aprile nell'aula bunker di Rebibbia, a carico di Lozano.
"La condotta criminosa - ha spiegato
il giudice - è stata posta in essere da Lozano mentre era in servizio a
Baghdad alle dipendenze della Forza militare statunitense e nel corso di una
operazione militare svolta per conto di tale Forza militare".
"Chiediamo che si accerti tutta la verità e che sulla base di
questo accertamento chi ha responsabilità sia chiamato a
rispondere", ha ribadito oggi a "Radio Anch'io" il segretario
dei Ds Piero Fassino.
''Il magistrato - spiega il leader della Quercia - ha definito ieri l'omicidio
di Nicola Calipari non colposo, ma volontario: se così è
chiediamo sia accertata tutta la verità e chi è responsabile sia
chiamato a risponderne''.
Durissimo il commento dell'Avvenire che giudica la decisione presa dagli
Stati Uniti di non concedere l'estradizione per Mario Lozano "un'anomalia
insolente". "Non sono qui in discussione -scrive il quotidiano dei
Vescovi- i termini di un'alleanza consolidata dalla storia tra Italia e Stati
Uniti. Il che non toglie che l'impunibilità pretesa dall'America in
materia di diritto internazionale rappresenti un'anomalia".
(8 febbraio 2007)
8/2/2007
- LA STORIA Il
pirata degli Urali sfida Bill Gates Windows
taroccato: un preside rischia il Gulag
ANNA
ZAFESOVA
Guadagna circa 170 euro al mese, vive a 10
mila chilometri da Seattle, nella campagna sperduta degli Urali, si porta
dietro un soprannome ridicolo e una barba da santone errante ortodosso, e viene
accusato di aver derubato l’uomo più ricco del mondo. Avrebbe arrecato
«danno particolarmente rilevante» (circa 7600 euro) violando i diritti d’autore
della Microsoft. In altre parole, ha installato un Windows taroccato, e ora
rischia 5 anni di carcere. In compenso, Alexandr Ponosov da sconosciuto preside
di una scuola di provincia è diventato il russo del momento: in sua
difesa si sono scomodati Mikhail Gorbaciov e Vladimir Putin, e Internet ribolle
di solidarietà con lui, il piccolo uomo finito vittima di due colossi
senz’anima, la giustizia russa e la Microsoft di Bill Gates.
Il cammino di Ponosov verso la gloria nazionale suo malgrado comincia il 1°
settembre 2005, quando nel villaggio di Sepych - uno di quei luoghi sperduti
della Russia che non si trovano nemmeno sulle carte geografiche, negli Urali -
viene finalmente inaugurata una nuova scuola. L’avevano messa in cantiere
ancora all’epoca di Brezhnev, ma dopo 30 anni il miracolo si è compiuto
grazie all’energia del nuovo preside Alexandr Ponosov. L’uomo della
provvidenza, dicevano di lui nel villaggio: giovane, non alcolizzato, gran
lavoratore, che aveva chiesto l’assegnazione a un luogo da cui tutti
scappavano, animato dalla sua fede di «starover», i vecchi credenti ortodossi
che hanno un culto del lavoro da protestanti, e dal senso della missione
dell’«intellighenzia» russa di istruire il popolo. E’ riuscito a trovare uno
sponsor, e in mezzo alle casupole di tronchi, dove ci si riscalda ancora con le
stufe a legna, è sorta la scuola modello: ben due piani, in solidi
mattoni, palestra, mensa, docce e perfino computer, che i ragazzi di Sepych
avevano visto solo nei film. Un dono dello sponsor, spiegava il preside
orgoglioso.
Ponosov - ribattezzato nel frattempo dai suoi allievi per ovvia assonanza
«Ponos», diarrea - si incaricò personalmente dell’insegnamento
dell’informatica. Al ritmo dei click del mouse gli iscritti diventarono ben
380, dai 6 ai 17 anni, raccolti quotidianamente in giro per 15 villaggi
circostanti da un vero scuolabus, come nei film americani. Ma quest’isola
felice era un’isola dei «pirati», come ha spiegato la polizia che un bel giorno
ha sequestrato i 12 Pc, incriminando il preside per aver installato il software
piratato. Il calcolo del danno è stato di 266 mila rubli, 7600 euro, e
patteggiare sarebbe costato 2 mila euro: una cifra che a Sepych, appare
astronomica quanto i miliardi di Bill Gates.
A nulla sono valse le giustificazioni del «pirata» che aveva ricevuto i Pc con
i programmi già installati: «Non sono nemmeno in grado di distinguere un
Windows falso dall’originale». Per chi riempie i forum in difesa di Ponosov con
il classico «Kill Bill» bisogna aggiungere un’attenuante: la Microsoft si
è rifiutata di costituirsi parte civile, visto che il preside «non
è un pirata incallito». Ma l’implacabile macchina della giustizia russa
- peraltro spinta per anni dalla stessa Microsoft, la cui presidente russa Olga
Dergunova è sulle copertine dei magazine come modello di businesswoman
di successo e spietata - si è già messa in moto. Del resto, una
delle condizioni per far accedere la Russia alla Wto era proprio la lotta alla
pirateria, e mentre a Mosca un Windows taroccato si vende liberamente per 5
euro, il povero preside è finito in tribunale, costretto al domicilio
coatto. I suoi allievi che hanno manifestato per lui sono stati prontamente
trasferiti alla procura: «Ero emozionata, era il mio primo interrogatorio»,
dice Anja, 14 anni, torchiata dal magistrato che voleva scoprire se il preside
si fosse macchiato anche di abuso d’ufficio, facendo pressioni sugli studenti
perché scendessero in piazza.
Per la difesa di Ponosov si è scomodato perfino Vladimir Putin:
«Minacciare uno con la prigione perché ha comprato un computer è una
stupidata da cani», ha dichiarato con il suo solito linguaggio che non lascia
spazio ad equivoci. Mikhail Gorbaciov invece ha provato la strada della
persuasione da vip a vip, scrivendo a Bill Gates: «L’insegnante, che ha
dedicato la sua vita all’educazione dei bambini e che ha uno stipendio basso,
incomparabile con quelli dei dipendenti della tua compagnia, rischia la
prigione siberiana. La sua responsabilità è incerta, ti chiedo di
essere magnanimo». Bill non ha risposto, ma la Microsoft ha replicato
auspicando una «soluzione amichevole», ma ribadendo di essere al fianco del
Cremlino nella lotta alla pirateria: «Sono state le autorità russe ad
aprire il procedimento penale, speriamo in un giusto verdetto del tribunale». I
contadini di Sepych, senza aver capito molto di computer e diritti d’autore,
l’hanno già emesso in base a quello che hanno sentito in tv: «Il preside
sembrava tanto bravo, ma invece era è un ladro».
Allarme degli esperti. Minacciato anche il vino nobile di Montepulciano
FIRENZE - Nel giro di neppure un secolo, a causa del clima, il
Brunello di Montalcino, il Chianti Classico e il Nobile di Montepulciano
rischiano di estinguersi. Potrebbero infatti non esserci più le
condizioni climatiche che oggi caratterizzano quelle zone di produzione.
È lo scenario apocalittico che viene fuori dallo studio «Effetto della
variabilità meteoclimatica sulla qualità dei vini», realizzato
dall' università di Firenze e diffuso dall'agenzia Winenews.
LO STUDIO - Lo hanno condotto Simone Orlandini,
Giampiero Maracchi, Marco Mancini del Dipartimento di Scienze Agronomiche e
Gestione del Territorio Agroforestale; Gaetano Zipoli e Daniele Grifoni
dell'Istituto di Biometeorologia del Cnr di Firenze. Secondo quanto affermato
dal World Economic Forum all'Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change),
dall'Onu alla Consultative Group on International Agricultural Research (Cgiar)
il progressivo aumento dell'effetto serra, accelerato da processi di
antropizzazione sempre più aggressivi, provocherà gravi anomalie
climatiche, facendo crescere, entro il 2100, la temperatura della terra da
VINO E GLOBAL WARMING - Fra le molte conseguenze del «global
warming», anche il cambiamento della geografia enologica mondiale, con un
progressivo innalzamento della latitudine ideale per la pratica della
viticoltura, che interesserà, inevitabilmente, anche i terroir
dell'eccellenza enologica toscana. Il ragionamento vale però per tutti i
vini, qualunque sia la latitudine alla quale vengono prodotti. «Già
oggi, spiega il prof. Maracchi, che dirige anche l'istituto di biometeorologia
del Cnr di Firenze, in alcune zone del Veneto tradizionalmente votate alla
produzione di vini da tavola si registrano condizioni climatiche che sarebbero
più adatte alla produzione di vini da dessert, un po' sul modello del
Marsala». Non solo: lo spostamento progressivo verso nord della soglia
climatica per la coltivazione della vite lascia pure spazio all'ipotesi che
Paesi del centro e del Nord Europa, oggi tagliati fuori dall'attività
vitivinicola, possano in futuro diventare a loro volta produttori di vino (■ Ascolta l'audio) .
CALDO BUONO E CALDO CATTIVO - L'innalzamento delle temperature non
è sempre stato un fattore negativo, dal punto di vista della produzione
enologica. A partire, dagli anni Ottanta, infatti, il livello qualitativo dei
vini delle tre grandi denominazioni toscane - sempre secondo lo studio
realizzato nel 2006 dall' università di Firenze - ha fatto registrare
apprezzabili incrementi, non solo imputabili ai progressi della viticoltura e
dell'enologia, ma anche alle particolari condizioni climatiche, soprattutto in
termini di più elevata disponibilità termica. Ma in futuro il
surriscaldamento farà sì che vengano meno queste condizioni e
questo, insieme alla riduzione delle precipitazioni, porterebbe ad un'eccessiva
disponibilità termica, con gravi ripercussioni sulla
disponibilità idrica. Il risultato sarebbe una messa a rischio della
compatibilità dei tre territori toscani con una soddisfacente
attività vitivinicola.
08 febbraio 2007
È
accusato di omicidio volontario. Secondo il gup "sparò per
uccidere"
ROMA
Mario Lozano sarà processato. Se il suo nome non vi dice molto pensate
al sequestro della giornalista Giuliana Sgrena e alla morte di Nicola Calipari,
il funzionario del Sismi che l’aveva appena liberata. Lozano è il
soldato Usa che da un check point sulla Irish Route, a Baghdad, sparò
sull’auto che correva all’aeroporto per riportare la giornalista in Italia.
Secondo il gup di Roma Sante Spinaci, Lozano ha violato «macroscopicamente le
basilari regole di ingaggio». Il gup ha chiarito che quello di Calipari fu «un
delitto oggettivamente politico», e che la giurisdizione italiana ha competenza
a giudicare Lozano a dispetto di quanti, invocando l’articolo 10 del Codice
Penale (presenza in Italia dello straniero che abbia commesso reati all’estero
ai danni di nostri connazionali), rivendicavano lo stato di
improcedibilità da parte della magistratura. Una decisione non scontata
quella del gup, che ha sorpreso molti, e che oggi verrà completata con
la citazione, in veste di responsabile civile, del Dipartimento della Difesa
americano. L’Inpgi, che ha rimborsato la giornalista per i danni subiti, sta
valutando se costituirsi parte civile.
Dunque, a partire dal 17 aprile prossimo, la terza Corte di assise di Roma
sarà chiamata a pronunciarsi sulle accuse di omicidio volontario di
Calipari e di duplice tentato omicidio (nei confronti di Giuliana Sgrena e del
maggiore Andrea Carpani che guidava l’auto) rivolte al militare americano.
Finora Lozano, e le autorità del suo Paese, hanno ignorato tutte le
iniziative prese dalla magistratura romana sul caso Calipari. Ancora ieri il
Pentagono ha ribadito che «il caso è chiuso» e precisato che non intende
estradare l’imputato. Questo non avrà ripercussioni sul processo: si
terrà comunque, che Lozano ci sia o meno.
L’intera vicenda potrebbe invece avere ripercussioni sui rapporti Italia-Usa.
Il ministro di Grazia e Giustizia ha ricordato di aver «promesso»
l’estradizione alla vedova Calipari e di averla poi chiesta «al ministro
Gonzales a Washington». Richiesta caduta nel nulla. E da destra si sottolineano
i rischi di questa fase dei rapporti fra i due Paesi. Claudio Scajola di Fi
esprime la sua «preoccupazione crescente che i rapporti si complichino».
Fabrizio Cardinali, l’avvocato d’ufficio di Lozano, assicura comunque che il
suo cliente «verrà assolto» perché non faceva altro che adempiere a «un
dovere che derivava da un ordine di un suo superiore di grado».
Ma intanto il soldato è accusato di delitto politico. Definizione che
non riscuote grande consenso a destra. «No comment» è il giudizio di
Scajola. Mentre la vedova Calipari, ora senatrice dei Ds, si dice pienamente
soddisfatta: «Anche se non è una vittoria, solo il primo passo di quello
che temo sia un lungo percorso». Soddisfatta anche Giuliana Sgrena che precisa:
«Non voglio, però, un capro espiatorio in Lozano». «La condotta di Mario
Lozano - scrive il gup - appare sorretta da un dolo diretto finalizzato a
raggiungere l’obiettivo di bloccare l’autovettura anche mediante il ferimento o
la morte dei suoi occupanti quasi certamente previsti o, alternativamente,
voluti».
NEW
YORK
Il caso è chiuso e l'estradizione è esclusa. Così le
autorità americane rispondono al rinvio a giudizio di Mario Lozano,
mentre il soldato fa sapere che si riconosce «completamente nel rapporto degli
inquirenti». A nome del Pentagono, ha parlato il comandante di Marina Joe
Carpenter: «Il nostro governo ha espresso a suo tempo le condoglianze, che
ribadiamo, per una morte tragica. Tuttavia noi restiamo ai risultati
dell'inchiesta che fu condotta dalle forze della Coalizione nel 2005, incluse
le conclusioni ufficiali che sottolineavano come nessuna ulteriore azione fosse
richiesta contro i soldati di quel checkpoint». Carpenter ha detto che «non
è utile aggiungere ulteriori commenti. Tocca ad altri elementi del
governo Usa, in particolare il Dipartimento di Stato, discuterne con le
autorità in Italia».
Ma la posizione del «ministero degli Esteri» non è diversa dal
Pentagono. Secondo Terry Davidson, responsabile delle comunicazioni per
l'Europa, il suo governo «è dispiaciuto per la tragica morte di
Calipari, considerato un eroe dai funzionari americani che hanno lavorato con
lui. Gli Stati Uniti e l'Italia hanno condotto insieme un'approfondita
inchiesta congiunta su questo caso, che consideriamo chiuso». Davidson ha
dichiarato di non poter commentare gli aspetti legali della vicenda,
però una fonte anonima ha precisato all'Ansa che non c'è alcuna
possibilità di estradizione. Il trattamento giuridico dei soldati
americani all'estero, infatti, è un tema su cui Washington ha sempre
avuto una posizione rigida, per evitare che possano essere portati in
tribunale. Anche per questa ragione gli Usa non hanno aderito alla Corte penale
internazionale dell'Aja. Il portavoce delle Casa Bianca Tony Snow ha evitato di
commentare gli aspetti legali della vicenda: «Non intendo parlare di
attività giudiziarie però intendo sottolineare che noi
continueremo a lavorare molto strettamente con gli alleati degli Stati Uniti».
Il colega del Dipartimento di Stato, Sean McCormack, ha aggiunto: «I soldati
americani hanno agito in linea con le regole di ingaggio. Persone ragionevoli
possono giungere a conclusioni diverse partendo dagli stessi fatti: penso che
ciò sia accaduto in questo caso».
Il nome di Mario Lozano si è saputo solo per un errore nella criptazione
dei documenti che lo citavano. Lui ha 35 anni, è originario del Bronx e
ha due figlie, di 12 e 15 anni. Era
andato in
Qualche tempo fa un suo compagno di reparto aveva detto al giornale Daily News
che Mario era «devastato» dalla morte di Calipari. Fanning conferma che «tragedie
così non le superi mai, anche perché il nostro reparto ha perso undici
uomini in Iraq». Il tenente colonnello descrive Lozano come «una persona
normalissima», al corrente degli sviluppi legali e politici del suo caso.
Proprio perciò chiede di essere lasciato in pace. La questione dei
grilletti facili in Iraq, però, sta avendo un impatto negli Usa. Secondo
Marla Bertagnolli, direttrice associata della Campaign for Innocent Victims in
Conflict, «il Pentagono tiene una statistica di questi casi, che sono molto
più numerosi di quanto ammetta. Perciò in primavera verrà
presentata una legge in Congresso, per ottenere almeno che i militari rivelino
i loro errori e compensino i famigliari delle vittime».
Da La Repubblica
8-2-2007 Iraq, una lunga guerra senza
faccia di BERNARDO
VALLI
Ci sono tanti tipi di guerre. Fin dai primi passi l'uomo ne ha
inventate e praticate tante. E si può dire riassumendo che le ha
considerate, secondo i tempi e le ideologie, tribunali dei principi,
continuazioni della politica con altri mezzi, patologie sociali.
In che categoria collocare la guerra in Iraq? Nei nostri giorni, secondo gli
studiosi dell'antico fenomeno ci sono gli ultra-conflitti (armi di distruzione
di massa), gli iperconflitti (guerre mondiali, '14-'18, '39-'45), i
macro-conflitti (guerre internazionali o civili localizzate), i medio-conflitti
(Algeria negli anni '90, Irlanda del Nord, Palestina), i micro-conflitti
(guerriglia o terrorismo limitati nello spazio e nel tempo), e gli
infra-conflitti (rivalità armate, guerra fredda).
E' evidente che non si tratta di una scienza esatta. I criteri sono soggettivi.
La guerra in Iraq potrebbe rientrare in più categorie. Ad esempio nella
quinta, quella dei micro-conflitti, alimentati da guerriglia e terrorismo. Ma
sarebbe una collocazione riduttiva. Via via quella guerra, cominciata in modo
classico (come un confronto armato tra forze militari di due unità
politiche indipendenti) si è infatti maledettamente complicata.
La classificazione tiene conto della durata, dell'intensità e della
natura. La guerra in Iraq doveva essere di breve durata ed è diventata
lunga, anzi lunghissima. Non se ne intravede la fine. Sembra destinata a
diventare cronica. L'intensità non è più debole ma forte.
In quanto alla sua natura è difficile definirla: all'inizio era,
appunto, un conflitto tra due Stati, ma poi è diventata interna
(civile), pur coinvolgendo sempre forze militari straniere (quindi
internazionale).
E adesso viene combattuta su quattro piani: 1) americani e governativi sciiti e
curdi contro l'insurrezione armata sunnita (suddivisa in almeno due componenti:
quella saddamista e quella musulmana integralista cosmopolita, ispirata da Al
Qaeda); 2) gruppi terroristi sunniti autonomi contro gruppi terroristi sciiti
altrettanto autonomi; 3) milizie sciite contro milizie sciite rivali; 4)
americani contro milizie sciite insubordinate e legate all'Iran. Insomma si
tratta di una guerra iperassimetrica, che confonde le idee degli strateghi e
dei politologi.
Questo groviglio contribuisce a farne una guerra "senza faccia". Che
suscita orrore, per le stragi quotidiane, ma spesso un orrore generico. Un
orrore che conduce a condannare l'America di George W. Bush, all'origine di una
guerra preventiva con motivazioni infondate (armi di distruzioni di massa
inesistenti e altrettanto inesistente complicità tra Saddam Hussein e i
terroristi dell'11 settembre), e adesso incapace di concluderla. Ma lo stesso
orrore porta a condannare anche chi provoca stragi indiscriminate nella
popolazione inerme.
Le immagini delle torture nel carcere di Abu Ghraib si alternano a quelle delle
donne e dei loro figli dilaniati dalle autobombe in un mercato di Bagdad o
davanti a una moschea di Najaf.
L'impressione che sia una guerra "senza faccia" non è certo
dovuta alla mancanza di volti straziati. E' creata dal fatto che quei volti ci
appaiono come elementi di una massa anonima. Così ci vengono presentati.
Sono annunciati con dei numeri. Accendono la nostra attenzione quando i
notiziari quotidiani ci danno l'ammontare delle vittime. A quale cifra
sobbalziamo? Quale livello deve raggiungere il sangue iracheno versato per
scuotere la nostra sensibilità? Cento? Più di cento? Duecento? Al
giorno naturalmente e in un solo attentato. Se i corpi dilaniati in un mercato
o davanti a una moschea sono soltanto alcune decine pensiamo, senza troppo
riflettere, di istinto, che sia la solita routine, in quella guerra remota, che
ci viene raccontata con i numeri.
Nella nostra civiltà delle immagini le guerre sono state riassunte da
alcune fotografie che guardate anche dopo anni ci riportano in Algeria, in
Vietnam, in Irlanda, in Bangladesh, nel Sinai, in Israele, in Palestina. O nel
Ruanda, dove sui bordi delle strade, sulle piazze, nelle chiese, ci sono
montagne di teschi e di varie ossa, umane ben inteso. Decine di migliaia di
fotografie ci sono arrivate e ci arrivano dall'Iraq. Ma nessuna riassume la
tragedia irachena. Come se, appunto, quella guerra non avesse "una
faccia". Come se i corpi straziati dalle bombe non avessero una storia.
Non meritassero di essere raccontati. Non avessero un nome.
I numeri che quotidianamente ci rivelano l'orrore suonano spesso falsi. Anzi lo
sono. Perché a comunicarceli sono le autorità, civili e militari, che in
una guerra non sono tenuti a dire tutta la verità. E i cronisti sono
limitati nei movimenti.
Possono difficilmente andare "sul posto" perché oltre ai rischi cui
sono esposti i civili iracheni, corrono il pericolo di essere presi come
ostaggi. Non ci sono dunque testimoni diretti e obiettivi. I numerosi
ammazzamenti nei quartieri contesi da sciiti e sunniti non rientrano sempre
nelle statistiche. Ed è raro leggere, ad esempio, cronache dettagliate
delle tragedie negli ospedali, dove i feriti o i malati sunniti non vogliono
essere ricoverati, perché non si fidano dei medici, se sono sciiti. E
viceversa. Tante cifre, dunque, ma spesso false.
La guerra in Iraq suscita orrore ma non passioni di parte. Anche questo
contribuisce a renderla "senza faccia". La passione può avere
connotati antiamericani. Come tale esiste. Si è manifestata e si
manifesta. Ma anche chi si augura una sconfitta americana ("tipo
Vietnam"), non si esalta all'idea di una vittoria dell'insurrezione
armata, che pratica il terrorismo indiscriminato ed è imbevuta di un
rudimentale fondamentalismo islamico. La guerra in Iraq è come un vicolo
cieco.
Mi chiedo quanti morti siano necessari per accendere l'interesse dei cittadini
occidentali. Cento? Più di cento? Duecento? Parlo delle quotidiane
stragi irachene. La puntuale notizia dell'autobomba esplosa in un mercato di
Bagdad o davanti a una moschea di Najaf è da tempo routine.
(8 febbraio 2007)
Da Il Sole 24 Ore
7-2-2007 L'informazione ancora negata
ai risparmiatori. ALESSANDRO MERLI
Il governatore della Banca d'Italia, Mario
Draghi, ha molto a cuore i rapporti fra le banche e la loro clientela,cui ha
dedicato una parte del suo discorso di sabato scorso al Forex di Torino. Fra
l'altro, il governatore ha sottolineato l'importanza dell'educazione
finanziaria dei risparmiatori: tema la cui rilevanza è sottolineata sia
dai danni ingenti (alle tasche dei risparmiatori e alla reputazione delle
banche) causati dagli scandali finanziari degli ultimi anni, sia dal peso delle
prossime scelte dei lavoratori sulla previdenza complementare.
Si tratta però di un'area dove si fa assai poco. Lo stesso Draghi rileva
che «le iniziative in questo campo sono solo agli esordi »e ha assicurato la
disponibilità della Banca d'Italia a contribuire. Ma a chi tocca
muoversi per assicurare che il pubblico dei risparmiatori sia
"alfabetizzato"in materia finanziaria?Se n'è occupata l'Ocse,
in uno studio intitolato appunto Improving financial literacy ( Migliorare
l'alfabetizzazione finanziaria).
Dal quale emerge anzitutto che il livello di comprensione della finanza,
secondo indagini svolte in 12 Paesi industriali, è basso, e che la
crescente complessità dei prodotti finanziari e i cambiamenti nei
sistemi pensionistici rendono urgente porvi riparo.
Secondo l'Ocse, un ruolo chiave spetta al mercato, cioè a banche e intermediari
finanziari,che dovrebbero distinguere chiaramente fra l'educazione finanziaria
data ai loro clienti, l'informazione e i "consigli per gli acquisti".
In fondo, come sostiene il premio Nobel per l'Economia Robert Merton, gli
intermediari hanno un incentivo a informare gli investitori, in quanto
informazioni limitate frenano la domanda di attività finanziarie. Ma le
recenti vicende dimostrano che questa è un'area dove i fallimenti del
mercato sono molti. E quindi c'è un primo compito per il settore
pubblico nell'assicurare la qualità dell'informazione fornita dagli
intermediari finanziari. Al di là del monitoraggio e della vigilanza, il
settore pubblico ha anche un ruolo nel fornire esso stesso informazione
finanziaria, soprattutto con la crescita del risparmio gestito (in cui il
risparmiatore delega le scelte a un gestore), secondo due economisti
italiani,Luigi Guiso e Tullio Jappelli,e Michael Haliassos, che studiano da
tempo attentamente la problematica legata al risparmio delle famiglie. Ma l'Ocse
sostiene che gli sforzi dovrebbero partire ancor più da lontano,
cioè dalla scuola:«Le persone dovrebbero essere educate in materia
finanziaria fin da giovanissime».Poi dovrebbero essere create strutture
specializzate presso le autorità esistenti per promuovere e coordinare
l'educazione finanziaria. Questa può consistere, ad esempio,di campagne
nazionali o locali,anche online.
Draghi ha ricordato anche che la Legge finanziaria prevede uno stanziamento per
campagne informative sulla previdenza complementare. È un buon inizio,
ma non può restare isolato. E soprattutto non si può aspettare un
altro scandalo per alfabetizzare gli italiani sulla finanza.
alessandro.merli@ilsole24ore.co
Dal Corriere della sera 6-2-2007 Londra è la
capitale europea più pericolosa. Lo studio commissionato dall'Unione europea. La città più sicura è Lisbona. Francesco Tortora
Nella capitale britannica almeno tre cittadini su 10 hanno subito un crimine.
BRUXELLES - Per molti è la
città più "cool" e più interessante d'Europa e
ogni anno tanti giovani del Vecchio Continente vi emigrano per trovare successo
e ricchezza. Ma quest'anno Londra vanta un primato poco lodevole: secondo lo
studio "Crimine e sicurezza nell'Unione europea" condotto dalle
agenzie "Gallup Europe" e "Unicri" e commissionato
dall'Unione Europea la città inglese sarebbe anche la capitale d'Europa
più pericolosa
STUDIO - Le agenzie che hanno condotto questo
studio hanno chiesto ai cittadini di diciotto capitale europee e di altre
città minori quale fosse la percezione del crimine nelle loro
città e soprattutto se avessero mai subito delle rapine o altri crimini:
sono stati intervistate 1200 persone per ogni capitale europea e alla fine
hanno risposto oltre 40.000 cittadini europei. I risultati non hanno tenuto
conto delle cifre che ogni anno la polizia locale diffonde, ma solo delle
risposte degli intervistati
CAPITALE INGLESE - Tra i cittadini di Londra
intervistati, almeno 3 su 10 hanno confessato di aver subito direttamente un
crimine nel 2004. Una delle cause di questo incredibile tasso di
criminalità sarebbe dovuto al rapido aumento demografico vissuto dalla
capitale inglese negli ultimi anni. Alla fine, dichiara lo studio, si
può affermare che «Londra è più pericolosa di New York e
di Istanbul». La città con meno crimini invece è Lisbona, dove
solo il 10% della popolazione dichiara di aver subito una rapina o un altro
crimine durante il 2004. Roma, secondo lo stesso studio, si attesta tra le
capitali con il minore tasso di criminalità: solo 17 cittadini su 100
hanno dichiarato di essere stati vittime di reati recenti. Tra le altre
città con un alto tasso di criminalità primeggiano Amsterdam e
Belfast
STATI - Per quanto riguarda poi gli Stati, i
paesi anglosassoni detengono il primato della criminalità: ai primi
posti della classifica si posizionano Inghilterra e Irlanda, seguiti da
Estonia, Olanda, Danimarca. I paesi con minore tasso di criminalità sono
Spagna, Ungheria, Portogallo e Finlandia. I reati più comuni sono
rapine, borseggi e truffe. L'Italia si attesta in una posizione intermedia, ma
può vantare uno dei tassi più bassi di criminalità per
quanto riguarda le violenze contro i minori dove primeggiano la Francia, la
Danimarca, l'Inghilterra, il Belgio e l'Olanda
DIECI ANNI FA - Rispetto a 10 anni fa il tasso
di criminalità in Europa è molto diminuito: nel 2004 solo 15% dei
cittadini europei ha dichiarato di essere stato vittima di un crimine, mentre
nel 1995 le vittime nel Vecchio Continente era il 25% della popolazione.
Tuttavia almeno 3 cittadini su
06 febbraio 2007
Da Libero 7-2-2007 Banche:
ecco perchè costano tanto Il nostro mercato è troppo indietro di Davide Giacalone
Secondo un'indagine della Commissione Europea il costo medio per il
mantenimento di un conto corrente bancario, in Italia, è di 90 euro,
mentre la media europea è 14. La Commissione sbaglia, per difetto.
Secondo gli accertamenti della Banca d'Italia quel costo è di 163 euro,
mentre secondo la nostra Autorità antitrust è di 182. Le banche
italiane sono ricche, ma poco popolari, sì da spingere a credere che la
loro esosità sia sintomo della loro rapacità.
Invece la
situazione è peggiore, perché quei costi fuori dal normale e
dall'accettabile sono solo un sintomo dell'arretratezza del nostro mercato.
In Italia le banche sono troppe e troppo poco concentrate, il che non spinge,
come teoricamente potrebbe supporsi, verso una maggiore concorrenza, quindi
maggiori benefici per i clienti, ma conserva l'inefficienza del sistema e rende
"naturali" le condotte collusive, con grave danno per l'economia
tutta e la clientela in particolare. Già sotto la (troppo partecipe)
regia del governatore Fazio si erano realizzate alcune fusioni, ma, come
avverte oggi il successore, Mario Draghi, mentre nell'area dell'euro, tra il
2001 ed il 2005, gli operatori bancari sono diminuiti di 900 unità e i
primi cinque hanno accresciuto di quattro punti la loro quota di mercato, in
Italia è successo l'opposto, segnalandosi una concentrazione in discesa
dal 46 al 44 per cento. Sale al 48 nell'ultimo anno, avverte Draghi, e quel che
segue segnala il vero problema ed il velenoso riferimento alla Santintesa
voluta da Bazoli e benedetta da Prodi.
Se, infatti, i dati segnalano lo spazio e l'opportunità d'ulteriori
concentrazioni, il governatore ammonisce che «il consolidamento dell'industria
bancaria può e deve produrre una maggiore efficienza degli intermediari,
non una minore concorrenza: deve tradursi in prezzi più bassi e migliore
qualità dei servizi. I gruppi nati dalle concentrazioni devono
dimostrare di essere in grado di ridurre significativamente e rapidamente gli
oneri per la clientela». È un avvertimento affatto banale, attenzione.
La dispersione delle banche italiane ha una sua lunga storia, ma da tempo crea
viscosità, alti costi e bassa concorrenza. II processo di concentrazione
è una buona cosa, ma a patto che non creda di portare i difetti di oggi
dentro contenitori più grandi e più forti, perché in questo caso
la situazione peggiorerebbe.
Ciò
è esattamente quel che sta succedendo, perché per molti protagonisti del
mondo bancario quel che conta non è il mercato, e men che meno la
clientela, ma il potere che si amministra gestendo la ragnatela delle
partecipazioni incrociate e la dipendenza dell'industria dal credito. L'una e
l'altra cosa sono segno di terribile arretratezza, mettendo in evidenza
l'assenza di un modemo mercato dei capitali e del risparmio. Se vogliamo
tenerci l'arretratezza, se vogliamo scivolare sulla dolce tavola del declino,
non abbiamo che da continuare con la condotta avviata.
Le banche strizzeranno i risparmiatori con una mano, che se lesta può
tomare a vendere loro l'invendibile, mentre con l'altra siederanno alla
direzione dell'industria, scaleranno le assicurazioni e dedicheranno al
Corriere un'attenzione non letteraria. Intanto il governo sequestra il tfr ai
lavoratori, e non per favorire la partenza di nuovi protagonisti nel mercato,
bensì per finanziare un sistema pensionistico di cui tutti conoscono la
debolezza, ma cui tutti preferiscono far pagare il consenso odiemo fregando gli
interessi dei pensionati futuri.
Per essere sicuri che nulla cambi ci si deve proteggere dallo straniero, e per
questo ci si guarda bene dal mettere sul mercato i servizi del Bancoposta, ma
se ne prendono i soldi, per il tramite della Cassa Depositi e Prestiti, e li si
porta a far società con l'inefficienza del sistema bancario. A qualcuno
si darà a bere che servono per le reti, ma con quelli si pagheranno i
sacchi di sabbia con cui difendersi dalla piena del mercato. L'acqua
entrerà dalla finestra, naturalmente.
Il ricatto con cui si tenta di cementare una tale politica d'impossibile
conservazione è il seguente: e che volete, fare entrare gli stranieri?
date il credito in mano loro e vi ritroverete senza politica industriale e
senza la leva con cui ancora aiutare le aziende italiane, con il che saremo
colonizzati. Ora, a parte che siamo dentro l'Unione Europea, il che qualcosa
significa, e che, comunque, non è una bella altemativa l'essere svuotati
dall'interno, una cosa è sicura: il Paese che tenta di preservare i
propri difetti, finanziandoli con soldi che potrebbero andare all'innovazione
ed alla produzione, ha già perso prima di competere.
Per queste ragioni l'intervento di Mario Draghi al Forex di Torino, tenutosi
sabato scorso, andrebbe letto e riletto, misurando con cura la distanza fra
quella consapevolezza e la confusione che regna in politica e non mancando di
riflettere sulle sagge parole dedicate all'insopportabile pressione fiscale. I
clienti che sperano di pagar meno il conto corrente, il fido, il mutuo, il
libretto, devono sapere che è quella la dottrina nella quale sperare,
senza credere che siano le bersanate a poter mettere la minestra nel loro piatto.
Da La Repubblica
7-2-2007 Capitalia: Matteo Arpe fuori
dalla banca
M
“Siamo soddisfatti se entità
così importanti come il Santander e personalità di rilievo
internazionale danno un giudizio positivo sul nostro gruppo tali da giustificare
investimenti che, come detto, sono finanziari", ha dichiarato oggi il
presidente dell’istituto romano, Cesare Geronzi, a margine di un convegno.
Ciò non compromette - ha detto Geronzi – i rapporti con il primo socio,
gli olandese di Abn Amro.: “"Rimangono buoni e non credo ci siano
tensioni". Comunque - ha poi spiegato - "nei prossimi tre mesi non
succederà nulla. Il settore finanziario italiano sarà
caratterizzato da assoluta stabilità, e chi ha progetti - e noi li abbiamo
- li realizzerà". Sicuramente - ha aggiunto "ogni progetto e
ogni dossier verrà discusso con l'amministratore delegato e i soci del
patto". Ad una domanda dei giornalisti su come sono i rapporti con
Abn-Amro Geronzi ha risposto: E' possibile l'ingresso di Santander nel patto?
Per il presidente di Capitalia "di questo si discuterà
probabilmente con i membri del patto" ha detto Geronzi che potrebbe
incontrare il presidente di Santander: "Sarò contento se
chiederà di vedermi - ha detto - altrimenti saro ' io a cercarlo.
Ma se il presidente 'apre' l'amministratore
delegato di Capitalia, Matteo Arpe, prende le distanze da eventuali manovre
transalpine e giudica rischioso l'ingresso di francesi e spagnoli
nell'azionariato dell'istituto di via Minghetti. "Quanto sta accadendo in
questi giorni", ha detto "somiglia a quanto accaduto in Italia tra la
fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento con le signorie che litigavano
tra loro e, per risolvere la situazione, chiamarono i francesi. Non vorrei che
si ripetesse la storia di Ludovico il Moro e della chiamata dei francesi".
A quanti poi ricordano il motto romano "Franza e Spagna basta che se
magna", Arpe ha replicato: "Mi pare un detto molto attuale a Roma in
questi giorni".
07/02/2007 - 17:30
Da La Repubblica
7-2-2007 La provincia di Firenze ai
giovani "Contestateci, ma su internet"
il più giovane presidente di
provincia italiano polemizza con Scalzone.
E invita la gioventù che vuole protestare ad usare le nuove armi
"on line"
ROMA - Un giovane che scrive ai giovani, anzi un politico giovane - il
più giovane presidente di provincia italiano - che contesta Scalzone e
le sassaiole invitando invece i ragazzi a usare internet come strumento di
contestazione e protesta. "La pietra di oggi si chiama internet",
scrive Matteo Renzi, - Presidente della Provincia di Firenze, della Margherita
- nella sua lettera aperta.
Renzi, "eletto quando non avevo nemmeno trent'anni", non ha mai
pensato che "la strada per cambiare o per far sentire la mia sul futuro di
questo paese sia prendere una pietra e tirarla contro qualcuno".
Perché, continua poco dopo il presidente, "sono convinto che nel XXI
secolo esistano altri tipi di pietre, che possono provocare ferite più
gravi o avere un impatto più forte di un sasso vero". Pietre che
rimbalzano veloci, che valgono più "di migliaia di manifestazioni e
proteste di piazza". Un esempio? "Un'iniziativa virale come quella
del sequestro bufala del seggio di Zapatero, con tanto di video in rete, non
solo ha fatto il giro del mondo in pochi istanti" ma ha avuto un'eco, un
impatto fortissimo "per la sensibilizzazione sulle campagne del millennio
Onu" che valgono molto di più di migliaia di proteste collettive.
Senza contare che ci sono siti come Youtube o MySpace in cui i protagonisti
sono gli utenti che lì possono interagire e dialogare. O anche
Wikipedia,è possibile intervenire sulle voci dell'enciclopedia online
magari "arricchendo il nome di un personaggio con un particolare
scabroso". Senza contare che è possibile contattare i politici attraverso
le loro e-mail, sempre presenti sui siti istituzionali.
"Volete per esempio protestare contro il deputato o il senatore di turno?
Ogni parlamentare ha la sua e-mail personale che viene riportata in un elenco
sui siti di Camera e Senato", come quelli dei politici che lavorano nelle
amministrazioni locali, nei comuni, nelle province e nelle regioni.
Quella di Renzi è sul sito della Regione e su quello personale ed
è: presidente@provincia.fi.it. Si può usare per iscriversi al
sito e ricevere e-news relative alle iniziative della provincia, del
presidente, video con le sue interviste tv come quella delle Invasioni
Barbariche, o "cancellarsi dall'invio o indicare nuovi amici o rispondere
con commenti, suggerimenti, indicazioni". Perché, scrive ancora,
"dobbiamo capire se stiamo facendo la cosa giusta".
Il web "è la nuova forza, il nuovo strumento per contare e per
farci sentire, purché usato in maniera accorta e sensata". Il politico
della Margherita continua la sua polemica con Scalzone dicendo che bisognerebbe
spiegargli "che la frontiera della libertà oggi passa per internet,
dove le voci dei cosiddetti cyberdissidenti vengono messe a tacere da governi
che vorrebbero mettere le mani sulla rete". Insomma, le pietre non servono
più per le proteste, nè le manifestazioni: "un mouse vi
sarà più utile" conclude Renzi.
(7 febbraio 2007)
++ Da
Corriere della Sera 7-2-2007 Afghanistan: si combatte anche sul web. Di Guido
Olimpio
Da La Repubblica
6-2-2007 Fuga dai fondi, i risparmiatori
dirottati su strumenti strutturati
Da Europa
7-2-2007 Ma non è una vera
Sigonella
Da
zeusnews.it 6-2-2007 Lo scandalo della formazione Telecom
La maggior parte dei clip ha il marchio «As Sahab»
Decine di filmati propagandistici
diffusi da Al Qaeda. E gli Usa reclutano specialisti per adeguarsi al confronto
mediatico
Soldati americani, inglesi, danesi
attestati in remoti avamposti. Guerriglieri che preparano agguati lungo strade
appena tracciate. Sparatorie, incursioni, bombe rudimentali e mezzi
sofisticati. Il conflitto afghano, così come quello in Iraq, va in rete.
Su Internet circolano decine di video girati dai protagonisti della battaglia.
Alcuni sono davvero amatoriali, altri più sofisticati. Molti dei filmati
dei ribelli recano il logo di «As Sahab» (la nuvola), la società di distribuzione
qaedista. Il marchio si è fatto un nome rilanciando i video dei capi di
Al Qaeda, ma la vera specialità sono i brevi documentari su talebani e
combattenti arabi. Diverse clip hanno anche i sottotitoli in inglese in quanto
devono raggiungere spettatori (soprattutto in Europa) che sono di fede islamica
però conoscono poco l’arabo.
I filmati dei mujaheddin hanno a volte una
colonna sonora con canti guerreschi o invocazioni religiose. I soldati alleati,
invece, inseriscono musica rock, temi dei rapper. Le formazioni che si ispirano
al qaedismo e quelle jihadiste mediorientali hanno deciso da tempo di investire
nella propaganda. Già nel 2000 Osama Bin Laden, in una lettera al mullah
Omar, capo dei talebani, sottolineava come la battaglia con il nemico dovesse
concentrarsi sull’informazione. In netto ritardo gli americani. Il Pentagono
è ricorso all’arma della propaganda ma secondo molti esperti non
è stata efficace. Per tanto negli ultimi mesi si è deciso di
investire maggiori risorse e inserire sul campo personale più preparato.
Sociologi, antropologi ed uomini di comunicazione dovranno aiutare i soldati a
contrastare l’influenza della guerriglia. In Iraq come in Afghanistan.
07 febbraio 2007
M
Antoine Bernheim è in gran forma, nonostante gli 82 anni e la lunga
serata di festeggiamenti per il 175esimo anniversario delle Generali. Scherza e
sorride, ma quell'affronto di otto anni orsono, perpetrato da Enrico Cuccia e
Vincenzo Maranghi, non lo ha ancora digerito. "Quando sono tornato, la
situazione era difficile. Le azioni Generali, che avevo lasciato oltre 40 euro,
erano precipitate a 14". Oggi, dopo cinque anni di presidenza, le
quotazioni del Leone sono vicine ai valori di allora. E il finanziere francese
si appresta a una probabile riconferma alla presidenza, se il
"listone" unico per il nuovo consiglio, in preparazione da qui a fine
aprile, esprimerà quell'accordo tra i grandi soci che sembra vicino.
Allora, presidente, è pronto per un altro triennio al vertice?
"Lo saprò solo ad aprile. Ci sarà un consiglio nuovo o
modificato, eletto dall'assemblea, e all'interno del consiglio sarà
nominato il presidente. Certo, per molto tempo ho letto sui giornali il mio
nome accostato alla mia età... Ora capita più di rado. La
compagnia va bene, i risultati sono positivi, ma le sfide per i prossimi anni
sono difficili".
Mettiamola così: se dovesse fare "campagna elettorale" e
indicare un obiettivo, cosa direbbe?
"Che le Generali devono diventare una compagnia più forte e restare
indipendenti, autonome e italiane".
Vuole dire che non siete abbastanza grandi?
"Abbiamo una capitalizzazione tra 42 e 44 miliardi, Axa e Allianz intorno
ai 65 miliardi. Dobbiamo cercare di avvicinarci alle loro dimensioni. In Italia
ci sono troppe piccole e medie imprese e invece, in tutti i settori, si
dovrebbero concentrare le attività per formare gruppi più forti e
competitivi".
Come pensa di raggiungere questo obiettivo?
"Dobbiamo fare acquisizioni, è ovvio. Ma in Italia c'è
un'Authority Antitrust che ritiene necessario sviluppare la concorrenza e
privilegiare esclusivamente gli interessi dei consumatori, senza riconoscere i
contributi che le aziende di successo possono dare al mercato. Ogni volta che
c'è l'opportunità di crescere ci si scontra con l'Antitrust. Ma
perché una società italiana sia forte all'estero, è
indispensabile che prima di tutto sia forte in Italia".
Se si riferisce ai casi Toro e Intesa-Sanpaolo, la questione era la
costituzione, o il rafforzamento, di una posizione dominante nei Danni e nella
bancassurance. Non è normale che un'autorità Antitrust
intervenga?
"Abbiamo deciso di acquistare Toro perché la nostra quota nel ramo Danni
era insufficiente rispetto a quella che già abbiamo nel Vita. E perché
volevamo impedire che finisse nelle mani di qualche concorrente, non solo
straniero. Per quanto riguarda Intesa-Sanpaolo, come azionisti abbiamo
appoggiato la fusione, perché riteniamo che sia nell'interesse del paese. Ma i
risultati non sono stati per noi soddisfacenti: avevamo un accordo di esclusiva
con Intesa per distribuire polizze in 2.600 sportelli, ne abbiamo persi circa
un terzo. Aggiungo che il Banco di Napoli, controllato dal Sanpaolo, quasi
mille sportelli, può trattare con tutti tranne che con Generali. Queste
sono decisioni del tutto incomprensibili. E poi c'è il decreto
Bersani..."
Sì, il decreto che trasforma l'agente in esclusiva in broker
assicurativo che può vendere le polizze di tutte le compagnie. A
vantaggio dei consumatori, che possono scegliere la più conveniente.
"Lei crede davvero che andrà così? Per quello che so del
mercato assicurativo finirà invece che i broker venderanno ai clienti
non le polizze più convenienti, ma quelle delle compagnie che assicurano
loro le commissioni più alte. Nessun vantaggio per i consumatori,
dunque. Non solo, il decreto Bersani danneggia pesantemente le Generali: per
noi la rete di agenti è lo zoccolo duro dell'attività, è
una parte importantissima del patrimonio della compagnia. Trasformare gli
agenti in broker significa distruggere parte della nostra ricchezza".
Non vorrà dire che Antitrust e governo hanno un intento punitivo nei
confronti delle Generali.
"Io non avrei osato parlare di intenzioni punitive, ma visto che l'ha
fatto lei... Sì, quello che è accaduto somiglia molto a una
punizione. Certamente i verdetti dell'Antitrust e il provvedimento del governo
sono un freno alla nostra crescita. Questo è contro gli interessi delle
Generali, ma è anche contro gli interessi del paese".
Se non potrete crescere ancora in Italia, come avvicinerete le dimensioni di
Axa e Allianz? Acquisizioni piccole e medie o c'è alle viste la grande
fusione transnazionale?
"Dipenderà tutto dalle opportunità che si presenteranno.
Certo è che bisogna evitare appetiti eccessivi. Perseguiremo operazioni
che ci consentano di conservare il controllo, mai operazioni che ci mettano in
minoranza. Guardi, per me le Generali sono importantissime. Ho grandi
ambizioni, la compagnia deve diventare portabandiera dell'Italia nel mondo. Non
so se sarò io a guidarla, né se avrò il tempo per realizzare
questo obiettivo, ma spero almeno che chi verrà dopo di me ne condivida
l'importanza".
Tornando all'Antitrust, in due recenti sentenze l'Authority sostiene che le
Generali sono di fatto gestite da Mediobanca.
"Questo lo giudico falso e offensivo. Forse conoscete la mia storia:
pensate che io possa fare il dipendente di Mediobanca? La compagnia è
diretta dal cda e dal suo management. Mediobanca è un importante
azionista e noi siamo felici che lo sia. E noi contribuiamo in misura
significativa agli utili di Mediobanca. Ma loro fanno i loro interessi, noi i
nostri. Quello dell'Antitrust è un attacco frontale, senza prove,
offensivo per me e per i manager delle Generali".
L'Antitrust denuncia anche gli intrecci perversi tra Generali e Fonsai.
"Fonsai è un concorrente accanito e un investitore finanziario, e
per noi è normale che sia azionista delle Generali. Punto".
Sì, ma il presidente di Fonsai ha ripetutamente chiesto di entrare nel
cda delle Generali.
"E noi gli abbiamo risposto che questo è impossibile, perché
darebbe luogo a un conflitto di interesse".
Zaleski e De Agostini entreranno nel nuovo consiglio?
"Sono azionisti importanti, ne avrebbero il diritto. Per quanto riguarda
Zaleski, da trent'anni mio amico personale, sarebbe forse meglio aspettare che
le acque si siano un po' calmate, considerando che è uno dei soci
più importanti di Intesa Sanpaolo e che la sua presenza in consiglio
potrebbe sollevare nuove obiezioni dell'Antitrust. Il comitato nomine di
Mediobanca farà le sue proposte, ma saranno i maggiori azionisti delle
Generali a indicare il nuovo cda, che dovrà esprimere il consenso dei
soci ed evitare i conflitti d'interesse".
Le Generali resteranno azioniste di Intesa Sanpaolo, nonostante il risultato
della fusione che lei e Perissinotto avete definito "non
soddisfacente"?
"Nella mia visione non è contemplata l'idea di cedere la quota in
Intesa-Sanpaolo. Noi abbiamo bisogno di importanti azionisti italiani per
restare italiani, e per Intesa Sanpaolo vale lo stesso. E poi abbiamo con
Intesa un accordo di bancassurance cui teniamo molto. Certo, speriamo che le
difficoltà antitrust possano attenuarsi".
E la presenza nel patto di consultazione vi interessa?
"Finora non ci è stato chiesto di entrare, vedremo. A me sembrerebbe
del tutto normale farne parte, come nel vecchio patto di Intesa. Comunque io
non chiedo niente".
Vede anche lei, come molti osservatori, due blocchi contrapposti tra gli
azionisti delle Generali? L'uno raccolto intorno a Mediobanca, l'altro intorno
a Intesa-Zaleski?
"Le Generali sono e devono restare indipendenti. Abbiamo relazioni ottime
sia con Mediobanca che con Intesa, ma la gestione della compagnia è
autonoma. Le Generali non fanno politica e non devono appartenere a nessuno
schieramento, solo all'Italia".
Il modello di governance duale, adottato da Intesa Sanpaolo, è criticato
da Draghi e Profumo. Cosa ne pensa?
"Per me il duale è una novità. Non ho ancora partecipato al
Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, e mi sento umiliato dalla disposizione
che impone che io mi alzi ed esca quando si affrontano temi assicurativi. Ma
nell'interesse supremo delle Generali bisognerà che mi abitui. Spero che
quel modello di governance funzioni. La fusione Intesa Sanpaolo non è
stata facile, si sono dovute far coesistere strutture e personalità di
grande calibro. Evidentemente è stato necessario fare concessioni per
arrivare al risultato".
(7 febbraio 2007)
Diffida preventiva e pene
più severe, stop alla vendita di biglietti in blocco a tifosi in
trasferta e partite porte chiuse
Divieto di accesso alle
manifestazioni sportive preventivo (Daspo) innalzato a sette anni ed esteso a coloro
che sono sospettati di aver preso parte a episodi di violenza durante le
partite; arresto in flagranza di reato differita da
SETTE ARTICOLI - La bozza del decreto legge è di
sette articoli e potrebbe subire modifiche dell'ultima ora. Anche perché -
secondo quanto si è appreso - il disegno di legge delega, che dovrebbe
contenere ulteriori misure sul funzionamento degli stadi e sull'inasprimento di
altre pene, ancora non è pronto: gli uffici tecnici dei ministeri
dell'Interno, della Giustizia e dello Sport ci stanno ancora lavorando.
Ecco, in sintesi, cosa prevede la bozza di decreto legge:
PARTITE A PORTE CHIUSE - «Fino all'esecuzione degli interventi strutturali e
organizzativi richiesti» per attuare quanto previsto dai decreti Pisanu, le
partite di calcio «possono essere svolte esclusivamente a porte chiuse».
STOP A VENDITA BIGLIETTI IN BLOCCO A SQUADRE OSPITI
- Le società che organizzano le competizioni non possono più
vendere ,«direttamente o indirettamente», alla squadra ospitata, biglietti in
blocco. È vietato inoltre «vendere o cedere» alla stessa persona un
numero di biglietti superiore a dieci. In caso di violazione si rischia da 10
mila a 150 mila euro di multa. Il divieto è immediato per cui i
biglietti ceduti o venduti prima dell'entrata in vigore del decreto «non
possono essere utilizzati».
DASPO PREVENTIVO FINO A 7 ANNI - Il divieto di
accesso negli stadi viene innalzato fino a sette anni e presuppone non
più soltanto l'accertamento di un reato, ma «può essere
altresì disposto nei confronti di chi, sulla base di elementi oggettivi
(come ad esempio un rapporto di polizia pure su minorenni, ndr), risulta avere
tenuto una condotta finalizzata alla partecipazione attiva a episodi di
violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive o tali da porre in
pericolo la sicurezza pubblica in occasione o a causa delle manifestazioni
stesse». Previsto l'obbligo di firma in un comando di polizia durante la
partita. Chi viola il 'Daspò rischia da 6 mesi a tre anni di reclusione
e una multa fino a 10 mila euro.
07 febbraio 2007
M
Questa la lettura che alcuni esperti danno
dell'inatteso tracollo dell'industria dei fondi visto a gennaio. Una lettura
che punta il dito sulle stesse banche quali responsabili dirette dell'uscita
degli italiani dai fondi. La sfavorevole tassazione sui fondi italiani spiega
infatti solo in parte la disaffezione dei risparmiatori, visto che sono stati
colpiti dai riscatti anche i fondi cosiddetti roundtrip, ossia
"esterovestiti" per ragioni fiscali. Inoltre appare riduttivo anche
la fuoriuscita dagli obbligazionari con il ribasso dei prezzi, dal momento che
i riscatti hanno interessato anche i fondi azionari, che in questo momento
stanno ritoccando i nuovi massimi.
In dettaglo, le cifre indicano una tendenza
che inizia a diventare preoccupante. I dati provvisori di gennaio diffusi da
Assogestioni mettono in evidenza una raccolta negativa per circa 6,2 miliardi
di euro. Si tratta del secondo peggior risultato di sempre. Solo nel settembre
2001, dopo l'attacco alle torri gemelle, i deflussi dai fondi erano stati
più robusti, con un rosso record per quasi 9 miliardi. In un mese, in
pratica, il deflusso è stato pari a un terzo di quello visto
complessivamente nell'intero 2006. E nonostante l'andamento positivo dei mercati, il deflusso
è stato così' violento da impattare sul patrimonio, sceso
provvisoriamente a 601 miliardi di euro, dai 608 miliardi di fine dicembre.
Gli unici che se la sono cavata sono i
fondi Flessibili, che hanno messo a segno una raccolta di oltre 1,5 miliardi.
Bilancio negativo per 2,435 miliardi, invece, per i fondi di liquidità.
Proseguono ininterrotti i deflussi dai fondi obbligazionari (-3,986 miliardi).
Male anche gli azionari che con uno sbilancio negativo per 494 milioni e i
bilanciati per 392 milioni. Per la prima volta dopo due anni, passano in
territorio negativo anche i fondi hedge, che registrano riscatti netti per 409
milioni.
Inoltre, ancora una volta i deflussi hanno
investito in primo luogo i fondi di diritto italiano, che chiudono gennaio con
deflussi netti per 6,24 miliardi. Appena sotto la parità (meno 92
milioni) i fondi roundtrip (di diritto estero, ma istituiti da intermediari
italiani) e modesto attivo per i fondi esteri (più 141 milioni).
La
diplomazia russa propone a Washington un "patto di non aggressione"
militare
Qualche
giorno fa era stato il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov a fare, di
ritorno da Washington dopo una trattativa inconcludente sul Kosovo, la
diagnosi: «Le posizioni della Russia e degli Stati Uniti non sono mai state
così lontane». Espressione lontana dal cauto linguaggio diplomatico, e
probabilmente Mosca considera la rottura ormai inguaribile, perché ieri il
ministero degli Esteri russo ha proposto agli Usa di firmare addirittura un
«patto di non aggressione». L’idea è stata annunciata da Alexandr
Kramarenko, capo del dipartimento di «pianificazione della politica estera»,
che ritiene necessario imporre a Washington «accordi vincolanti per garantire
che i rispettivi potenziali militari non siano indirizzati gli uni contro gli
altri».
In altre parole, un patto di non aggressione appunto, che di solito si stringe
tra due Paesi che hanno seri motivi di ritenere che si va alla guerra, come
aveva fatto l’Urss di Stalin con la Germania di Hitler nel 1939. La richiesta
è dettata - spiegano i diplomatici russi - dai progetti americani di
sistema antimissile globale. Ma nemmeno all’epoca sovietica, quando il mondo
viveva nell’incubo di un’apocalisse atomica prodotta dallo scontro tra Urss e
Usa, il Cremlino e la Casa Bianca avevano ritenuto necessario chiedere garanzie
reciproche così pesanti. E certo non sembrava possibile dopo che i
presidenti dei due Paesi avevano ridotto gli arsenali, si erano dati pacche
sulle spalle ed erano perfino diventati «alleati» dopo l’11 settembre.
Ma ora l’orologio del Cremlino sembra girare a ritroso. Il pretesto è il
piano di Bush di costruire uno scudo che dovrebbe proteggere gli Usa,
nell’ambito del quale Washington ha proposto alla Repubblica Ceca di ospitare
una stazione radar, e alla Polonia postazioni missilistiche. Per Vladimir
Popovkin, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica russa, si tratta di «una
minaccia evidente» alla sicurezza della Russia. Lo stesso Vladimir Putin
qualche giorno fa ha promesso «risposte asimmetriche ma estremamente efficaci»
al progetto americano.
Nonostante la dottrina di Bush insista che lo scudo serve contro eventuali
attacchi missilistici dell’«asse del male», i militari e i politici di Mosca
ritengono che il vero bersaglio rimanga, come 30 anni fa, la Russia. Per il
capo dello Stato Maggiore Jurij Baluevskij le minacce principali alla Russia
restano «l’ambizione degli Usa al dominio mondiale, il tentativo americano di
insediarsi in zone di nostra tradizionale presenza e l’allargamento della
Nato». E a Mosca continuano a girare voci sulla preparazione di una nuova
«dottrina difensiva» che resusciterà gli Usa come nemico numero uno, e
punterà a una «guerra su larga scala», in altre parole mondiale, in
altre parole contro gli Usa.
Per Alexandr Golz, esperto militare moscovita, si tratta solo di un «ricatto
dei generali» al Cremlino. Ma se è così, i politici sembrano
incoraggiarlo. I tempi quando Putin accarezzava l’idea di aderire alla Nato
sembrano non essere mai esistiti, e lo zar del Cremlino avverte minacciosamente
la Finlandia che la sua entrata nell’Alleanza Atlantica «non sarà un
gesto amichevole». Ora arriva il «patto di non aggressione», con il quale i
russi finiscono in compagnia della Corea del Nord, unico altro Paese ad aver
fatto una proposta simile agli Usa, ponendo l’impegno a non attaccarla come
condizione per rinunciare alla propria bomba atomica.
Il governo romeno sconfessa l'iniziativa
dei sei ambasciatori
BUCAREST - La Nato dice che non si è trattato "di
una sua iniziativa". E il governo di Bucarest precisa che "non
era stato informato" dell'iniziativa dell'ambasciatore romeno in Italia.
Si parla della ormai famosa lettera dei "sei" sull'Afghanistan. Quella inviata a Repubblica dagli
ambasciatori di alcuni paesi impegnati sul fronte afgano (Stati Uniti, Gran
Bretagna, Canada, Australia, Romania e Olanda) in cui si esortava il nostro
esecutivo a confermare al più presto la presenza militare a Kabul.
Un'iniziativa che ha provocato il plauso del dipartimento di Stato americano;
e, invece, la reazione di protesta del ministro degli Esteri Massimo
D'Alema.
Ma adesso, uno dei "sei" si dissocia. A precisarlo è il
premier romeno Calin Popescu Tariceanu: "Il gesto del nostro ambasciatore
n Italia di firmare la lettera sull'Afghanistan rappresenta una pratica
insolita, fuori dalle consuetudini diplomatiche e che sarà difficile
spiegare al premier italiano" Romano Prodi, ha spiegato il primo ministro.
Tariceanu ha quindi trasmesso un messaggio a Prodi in cui esprime il proprio
rammarico per la situazione creata dall'adesione del suo ambasciatore alla
lettera.
Quanto alla Spagna, altro paese coinvolto a Kabul, il portavoce dell'ambasciata
in Italia, Pedro Jesus Fernandez, riferisce che sull'iniziativa "non siamo
stati contattati".
Come è giusto
che sia, ieri Berlusconi era a Monza a fare battutacce da omosessuale represso
(modello Storace) e i governanti dell’Unione si occupavano di cose serie.
Addirittura, chiudendo il cerchio con il suo battesimo del fuoco in Kosovo, il
ministro degli esteri cercava una sua Sigonella, nel richiamare alcuni fra i
nostri più importanti alleati a un maggiore rispetto internazionale
dell’Italia e della sua autonomia.
Non può esserci immagine più limpida dei
diversi modi di intendere la politica. Assai significativo, tra l’altro,
che colui che più ha goduto dell’identi ficazione fra uomo di
calcio e uomo politico non trovi nulla di utile da dire sull’emergenza che ha
travolto lo sport nazionale. Anche qui: il governo dell’Unione cerca faticose
soluzioni e l’uomo che coi guai del pallone ha molto a che fare scherza sui
suoi problemi di coppia. Pazienza, sappiamo che l’attuale leader della Cdl non
porterà nulla di buono sui temi sui quali anche l’opposizione avrebbe un
ruolo da svolgere.
Questo però non può far dimenticare le
difficoltà della maggioranza.
Guardiamo a quanto avvenuto ieri, al più significativo
incidente diplomatico fin qui verificatosi fra l’Italia del
centrosinistra e gli alleati atlantici.
D’Alema ha compiuto con la lettera ai ministri degli esteri
un atto sacrosanto, in linea con la reazione a caldo di Parisi. Prodi in serata
ha rivolto un invito orgoglioso ai suoi, condito dal consueto indifferenziato
appello a non dividersi. Non possiamo però nasconderci che la dinamica
della vicenda chiama in causa proprio le contraddizioni del centrosinistra.
Noi sappiamo, perché frequentiamo morbosamente i corridoi
dei Palazzi romani, che tra Vicenza e l’Afghanistan s’era imbastita una mezza
commedia. La sinistra antagonista, messa in difficoltà sulla base Usa,
aveva alzato la voce, aveva minacciato, aveva favorito un cortocircuito con la
missione a Kabul. Una vicenda non difficile da ricomporre: come si capiva ieri
da Liberazione, bastava dare ai dirigenti rosso-verdi il permesso di
manifestare tra due sabati a Vicenza e cambiare qualche riga al decreto afgano,
e la crisi si sarebbe sciolta (in attesa della prossima, però).
Il problema è che noi possiamo apprezzare la
vacuità dei falsi movimenti della nostra politica. Da fuori s’era vista
solo l’assenza di una maggioranza parlamentare al senato sulla politica estera,
circostanza che del resto aveva allarmato anche il capo dello stato. Gli
ambasciatori ne hanno tratto conseguenze sbagliate e con l’appoggio di
Washington si sono mossi peggio. Giusto richiamarli.
A patto di ricordarci che il Craxi del 1985 aveva le spalle
forti di un’ampia maggioranza e di un più largo consenso su una linea
molto nitida.
Sperando che dal vertice di ieri sera qualcosa sia
cominciato a cambiare, l’Unione non è ancora esattamente nella stessa
felice condizione.
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Il commento del portavoce del Dipartimento di Stato
WASHINGTON - Gli Stati Uniti «non cercano di
interferire» nel dibattito politico italiano, ma vogliono ribadire una
posizione sull'Afghanistan già espressa in sede Nato e continueranno a
farlo. Non potrebbe essere più secca ed immediata la risposta del portavoce
del Dipartimento di Stato, Sean McCormack a proposito della lettera di
D'Alema sulla questione afgana. Aggiunge poi McCormack: la lettera dell'ambasciatore degli Stati
Uniti in Italia, Ronald Spogli, «è pienamente in linea» con ciò
che hanno affermato sull'Afghanistan il presidente George W.Bush, il segretario
di Stato Condoleezza Rice e il capo del Pentagono Robert Gates
PREMIER ROMANIA SI SCUSA - Intanto il premier rumeno, Calin Popescu
Tariceanu, ha trasmesso un messaggio a Romano Prodi in cui esprime il rammarico
per la situazione creata dal proprio ambasciatore. Tariceanu precisa che ha
chiesto al ministero degli Esteri di indagare sui motivi per i quali
l'ambasciatore ha preso l'iniziativa personale che esula dalle consuetudini dei
rapporti diplomatici.
SPAGNA: «NON CI HANNO
CONTATTATO» - «Non
siamo stati contattati». Lo ha precisato il portavoce dell'ambasciata di Spagna
in Italia.
NATO - Anche
la Nato ha sentito l'esigenza di chiarire che l'Alleanza atlantica «non ha
niente a che fare con la lettera». Anzi, secondo fonti diplomatiche, la lettera
non sarebbe stata accolta favorevolmente dai vertici della Nato.
06 febbraio 2007
Entro il 2014 il livello di consumi in Cina
sarà il secondo del mondo, ma già a partire da quest’anno le
possibilità di spesa cresceranno anche per gli abitanti delle piccole
città e delle zone rurali. Lo sottolinea “China trend Watch
L'ex monopolista prosegue i suoi corsi di
formazione in campeggio, tra trekking e canti di montagna, mentre diventa
sempre più intollerabile la situazione dell'Adsl e dei guasti.
[ZEUS
News - www.zeusnews.it -
06-02-2007]
La situazione degli utenti che attendono
l'attivazione di un'Adsl
o la
riparazione di un guasto da giorni diventa sempre più grave: è
evidente che il boom dell'Adsl, in termini di sottoscrizione di abbonamenti,
non è stato accompagnato da una adeguata politica di aumento degli
organici.
++ Da La Repubblica 6-2-2007
Liberation, petizione della sinistra "Viva le tasse, basta demagogia"
++
Dal Corriere della Sera 6-2-2007 Obesita': scoperto un gene che regola i
normopesi
Dal
Corriere della Sera 6-2-2007 Le radici del malumore di Massimo Franco
Da La
Repubblica 6-2-2007 Afghanistan, tensione Italia-Usa Washington elogia gli
ambasciatori
Da La
Stampa 6-2-2007 - Kabul, sale la tensione Italia-Usa Di Maurizio Molinari
Da La
Repubblica 5-2-2007 Assicurazioni e istituti di credito, il secondo capitolo
dell’integrazione
Da Il Sole
24 Ore 5-2-2007 Inflazione in ribasso
all'1,7% annuo in gennaio di Michele De Gaspari
Da La Repubblica 6-2-2007 Liberation, petizione della
sinistra "Viva le tasse, basta demagogia"
Il quotidiano aderisce e rilancia una
campagna del mensile Alternatives economiques
contro la promessa del candidato presidenziale Sarkozy di ridurre la pressione
fiscale
PARIGI - In Italia, di questi tempi, rischierebbero di passare per
matti. Ma in Francia si può. E con clamore. "Per una campagna senza
demagogia fiscale" è l'appello del quotidiano francese Liberation a
favore delle tasse. Si tratta di un'adesione convinta alla petizione lanciata
dal mensile Alternatives economiques, al quale hanno già aderito
economisti, industriali e varie personalità, fra le quali l'ex
presidente della Commissione europea Jacques Delors.
A essere sotto accusa è l'annuncio del candidato della destra
all'Eliseo, Nicolas Sarkozy, di ridurre la pressione fiscale. "Noi siamo
d'accordo con le tasse e rifiutiamo delle diminuzioni della pressione fiscale
la cui contropartita - si legge nella petizione - sarebbe l'insufficienza dei
mezzi dati alla protezione sociale dei più poveri, all'educazione, alla
ricerca, alla salute, alla casa o all'ambiente".
"Vedere - si legge ancora nella petizione, pubblicata sul sito Internet
del mensile - dei candidati alla magistratura suprema proporre delle misure
demagogiche in materia fiscale e giustificare la secessione sociale dei
più ricchi ci costerna".
"La spesa pubblica - viene spiegato - non è soltanto un costo,
è anche un investimento, diretto allo sviluppo della giustizia e del
dinamismo".
Sarkozy ha annunciato la riduzione della pressione fiscale di quattro punti in
dieci anni e ha anche assicurato che avrebbe trovato un dispositivo per ridurre
l'impatto dell'Isf, la patrimoniale.
Dal Corriere della Sera 6-2-2007 Obesita': scoperto un
gene che regola i normopesi
ROMA
- Uno studio del gruppo di ricerca dell'Universita' di Salerno e dell'Istituto
di Endocrinologia di Napoli ha scoperto il gene responsabile della
predisposizione a ingrassare. Il gene del recettore degli endocannabinoidi CB1
puo' aiutare a prevedere la predisposizione a raggiungere quello che viene chiamato
un 'elevato indice di massa corporea', il cosiddetto BMI. Gli autori dello
studio, pubblicato sulla rivista International Journal of Obesity, hanno tenuto
sotto osservazione per quattordici anni soggetti sani, controllandone
periodicamente le abitudini alimentari, l'attivita' fisica svolta, alcuni
parametri clinici e l'aumento del peso. "I risultati ottenuti hanno
dimostrato che i soggetti normopeso, che sono rimasti tali durante gli anni di
osservazione, hanno una forma variante del recettore CB1", afferma Chiara
Laezza dell'IEOS-CNR. La scoperta apre nuove possibilita' terapeutiche per
combattere l'obesita'. Attualmente sono molti i nuovi farmaci anti-obesita' in
fase di sperimentazione clinica e alcuni di essi, pur se efficaci nella
riduzione del peso, hanno una serie di risposte indesiderate come depressione,
ansia, insonnia, che limitano spesso un loro impiego sicuro. "L'interesse
dei risultati ottenuti e' rappresentato quindi anche dalla possibilita' di
poter valutare in un immediato futuro, negli studi di farmaco-genomica, la
presenza di quelle varianti genetiche che caratterizzano ciascuno di noi".
(Agr)
Dal Corriere della Sera 6-2-2007 «Il
Sismi autorizzò il sequestro Abu Omar» Lo ha
detto il pm all'udienza preliminare ribadendo la richiesta di rinvio a giudizio
per Pollari e per tutti gli altri 34 imputati
L'avvocato Madia: «La difesa
valuterà se violare il segreto di Stato»
M
Lo hanno riferito fonti giudiziarie aggiungendo che Pomarici nel corso
dell'udienza preliminare per il rapimento di Omar ha ribadito la richiesta di
rinvio a giudizio per Pollari e per tutti gli altri 34 imputati per sequestro.
Intanto Titta Madia, legale di Pollari, ha detto che ora la
difesa valuterà se violare il segreto di stato. «L'ordinanza
è chiara perché manda un messaggio a Pollari per cui egli per difendersi
deve violare il segreto di Stato», ha detto Madia oggi. «Valuteremo questo
messaggio, lo dovrà valutare Pollari e lo dovranno valutare le
autorità istituzionali deputate alla tutela del segreto di stato e della
sicurezza nei rapporti internazionali. Noi rispettiamo l'ordinanza del giudice
ma non la condividiamo anche perché contraddice la bozza di legge approvata
all'unanimità dalla Commissione Affari costituzionali alla Camera,
secondo la quale viene ammessa anche per l'imputato la possibilità di
opporre il segreto di stato».
In precedenza il gup Caterina Interlandi ha dichiarato
infondata e irrilevante la questione di costituzionalità
sollevata dalla difesa di Niccolò Pollari, decidendo di non inviare alla
Corte Costituzionale gli atti del procedimento. La questione di
costituzionalità - sollevata nel corso dell'udienza preliminare a porte
chiuse dello scorso 29 gennaio dal legale di Pollari - era relativa
all'articolo 202 del codice di procedura penale, in base al quale l'imputato, a
differenza del testimone, non può invocare il segreto di stato perché,
come aveva affermato il legale di Pollari, il diritto alla difesa prevale sul
diritto di stato. Il gup Interlandi, inoltre, ha rigettato anche la richiesta
presentata dalla difesa dell'ex direttore del Sismi di ammettere le
testimonianze di Romano Prodi, Silvio Berlusconi e altri, che la difesa
dell'imputato aveva effettuato nelle settimane scorse, ma che era stata
definita dalla pubblica accusa non determinante ai fini di un eventuale
proscioglimento di Pollari. ll gup ha respinto anche tutte le altre eccezioni
sollevate dalle altre difese, tra cui quella della difesa di Marco Mancini di
trasferire il procedimento a Brescia.
06 febbraio 2007
Le
grandi manovre sull'asse Capitalia Mediobanca Generali, anche e forse
soprattutto in chiave di argine alla crescente influenza di Intesa Sanpaolo e
del suo presidente Giovanni Bazoli, entrano nel vivo con una serie di mosse
destinate a condizionare l'immediato riassetto del sistema finanziario. Il
punto di partenza è l'equilibrio azionario di Capitalia, con il
presidente Cesare Geronzi molto attivo nel dialogo (in chiave anti Abn Amro)
con gli spagnoli del Santander Central Hispano. La «difesa» di Capitalia
sarebbe solo il primo passo di una strategia più ampia, destinata a
blindare — o comunque a non rivoluzionare — l'assetto azionario di Mediobanca,
dove in sede di rinnovo del patto di sindacato potrebbero aumentare le quote di
Ennio Doris e della famiglia veneta Amenduni. Corollario dell'arrocco
antiIntesa sull'asse CapitaliaMediobanca, gradito in questa fase anche
all'UniCredit di Alessandro Profumo,sarebbe poi il mantenimento temporaneo
dello status quo al vertice delle Generali almeno per un anno.
Da almeno un mese in ambienti finanziari circolavano indiscrezioni su un
rastrellamento di azioni Capitalia da parte del Santander di Emilio Botin (da
poco «sfrattato» da IntesaSanpaolo).Pochi giorni fa, Botin è uscito allo
scoperto ammettendo —senza che avesse alcun obbligo di farlo e dunque con una
dichiarazione «segnaletica » — di possedere una partecipazione inferiore al 2%
in Capitalia, oltre a quelle già note in Mediobanca, Generali e
IntesaSanpaolo. Un segnale che il presidente di Capitalia Cesare Geronzi ha
mostrato di gradire commentando in modo benevolo («siamo persone educate,
parliamo con tutti»), a differenza di quanto fece a settembre nei confronti
delle avances del socio olandese Abn Amro. Si sta creando davvero un asse
tattico Geronzi Botin? Se così fosse, le conseguenze sarebbero su due
fronti. Quello degli assetti di Mediobanca e Generali, di cui sia Capitalia che
Santander sono azionisti di rilievo a fianco dei francesi capitanati da Vincent
Bolloré e all'UniCredit. Ma per Geronzi l'asse con Botin— che ha risorse per
incrementare in modo sensibile la sua quota e che secondo alcune indiscrezioni
avrebbe già posizioni in derivati per arrivare al 5% —è anche un
modo per contrastare le ambizioni di Abn Amro schierando, in uno scenario da
«guerra fredda finanziaria »,un alleato pronto a contrastare le mire olandesi.
E forse è anche un modo per rivendicare il ruolo di indiscusso numero
uno del gruppo, inviando un messaggio neanche troppo indiretto
all'amministratore delegato Matteo Arpe con cui i rapporti non sono più
di grande collaborazione.
Manovre che non trovano alcuna conferma presso le fonti ufficiali, ma che
testimoniano il clima di tensione che aleggia negli ambienti finanziari
sull'asse CapitaliaMediobanca Generali. Asse che, tatticamente, gode
dell'appoggio esterno di UniCredit,anch'esso interessato ad arginare
«l'allargamento» di Intesa Sanpaolo a due santuari della finanza laica come
Mediobanca e Generali. Una marcatura stretta, quella di UniCredit nei confronti
di IntesaSanpaolo, già avviata con la competizione per Alitalia e con
l'ingresso nel fondo per le infrastrutture. E quasi esibita ieri da Profumo con
la critica alla «governance duale all'italiana » che caratterizza proprio la nuova
IntesaSanpaolo. Critiche già avanzate sabato scorso al Forex dal
Governatore della Banca d'Italia, probabilmente destinate anche a quelle
società che stanno meditandone l'introduzione. E' il caso della stessa
Mediobanca, in cui il duale sembra aver subito una netta battuta d'arresto.
Probabilmente non se ne parlerà prima del rinnovo del patto di
sindacato, atteso per fine marzo, dopo aver verificato le eventuali defezioni
dall'accordo. La Fiat, che ha poco meno del 2%,potrebbe uscire. E il management
di Mediobanca gradirebbe una riduzione del peso del sindacato. Ma se
così non fosse, l'asse Bolloré Geronzi (cui si aggiunge sempre
più spesso Botin) sembra aver già pronta una soluzione che non
prevede scossoni, con l'incremento delle quote da parte della famiglia Amenduni
e forse di Ennio Doris, vicino alla Fininvest di Silvio Berlusconi. Fininvest
che, secondo voci di mercato, starebbe guardando con interesse a Mediobanca
anche per conto proprio. Per ora, avrebbe solo un piccolo pacchetto inferiore
ai 20milioni di euro. Ma c'è chi dice che la holding del Biscione punti
ad arrotondare la quota, solo con un'ottica d'investimento finanziario, fino
all'uno per cento.
Dal Corriere
della Sera 6-2-2007 La missiva di sei ambasciatori Nato
invitava l'Italia a restare Afghanistan, la lettera e
la rabbia di D'alema
Il portavoce del Dipartimento:
«Inizativa lodevole». Il ministro: «Usata una sede impropria»
WASHINGTON - Continua a tenere banco la vicenda della lettera con cui sei
ambasciatori di paesi Nato Usa, Gran Bretagna, Australia, Romania,
Canada e Paesi Bassi) hanno esortato il governo italiano a non disimpegnarsi
dall'Afghanistan, dove un
contingente militare di circa 3 mila soldati è impegnato nell'ambito
dell'operazione Isaf per il controllo del territorio e il contrasto alla
guerriglia talebana. La missiva, firmata per gli Stati Uniti dall'ambasciatore
Ronald Spogli, viene ora definita dal Dipartimento di Stato americano «una
iniziativa lodevole». Il ministro Parisi l'aveva definita "irrituale" ma il portavoce del Dipartimento di Stato ha
ribadito che la lettera di Spogli è «perfettamente in linea» con il
pensiero del segretario di stato Condoleezza Rice al riguardo. «Gli
ambasciatori americani erano stati sollecitati dalla Rice ad attivarsi per
cercare di far capire, con lettere o interviste televisive, quando fosse importante
continuare a perseguire la missione in Afghanistan», ha affermato il portavoce,
Terry Davidson.
LA REPLICA DI D'ALEMA - Il ministro degli
Esteri, Massimo D'Alema, aveva preso posizione sulla vicenda con un secco
commento da Seul, dove si trova in visita ufficiale: «Penso che per discutere
queste questioni ci sono delle sedi proprie». Un giudizio da ministro degli
Esteri, diplomatico, che non cela del tutto però una certa irritazione
per l'iniziativa che travalica «le forme normali in cui si discutono questi
problemi tra gli alleati». Alla vigilia infatti di una delicata riunione di
maggioranza tutta dedicata alle linee di politica estera la parola irrituale
vuol dire qualcosa di più. Alla Farnesina la lettera viene giudicata non
solo irrituale ma anche «inopportuna». Sicuramente la missiva era animata dalle
migliori intenzioni ma, è il ragionamento che si fa al ministero degli
Esteri, «non ha colto la sensibilità del quadro contingente della
politica italiana».
Comprensibile così che nascano alcuni interrogativi:
perchè proprio in questi giorni una lettera aperta?. E come mai questa
lettera aperta, di «ringraziamento», è stata firmata solo da sei Paesi
tra i 36 che hanno soldati in Afghanistan? Domande che si leggono tra le righe,
come quando il vicepremier sottolinea: «la lettera deve essere stata giudicata
irrituale anche da tutti gli altri ambasciatori di Paesi che hanno soldati in
Afghanistan i quali sono 36 e non sei, il chè - ha chiosato - già
aumenta l'irritualità del ringraziamento».
Gli ambasciatori quindi non hanno forse tenuto
conto di quanto sensibile sia il confronto politico in seno alla maggioranza?
Nell'entourage del capo della diplomazia italiana si coglie quindi il
significato politico della lettera e ci si interroga sul livello di questa
missiva che normalmente viene veicolato attraverso gli ortodossi canali
diplomatici e non a mezzo stampa. Interrogativi che per oggi restano senza
risposta visto che il titolare della Farnesina è in volo dall'Asia per
fare rientro a Roma dopo una lunga missione tra Giappone e Corea del sud. Nella
capitale si troverà subito ad affrontare la riunione di maggioranza che
avrà tra i suoi piatti forti proprio l'Afghanistan e l'ampliamento della
base americana di Vicenza; quindi, più in generale, le relazioni con gli
Stati Uniti. E la lettera aperta proprio non aiuta a svelenire il clima.
06 febbraio 2007
Dal Corriere della Sera
6-2-2007 Le radici del malumore di
Massimo Franco
Il governo italiano aveva sperato, o finto di credere in una mezza gaffe
dell’ambasciatore Usa in Italia, Ronald Spogli. Era lui a essere considerato il
regista politico della lettera-appello scritta dai 6 diplomatici dei governi
più impegnati in Afghanistan. E nelle ultime ore, prima il ministro
della Difesa, Arturo Parisi, e poi la Farnesina avevano lasciato trapelare la
propria irritazione. Di più: si accreditava l’iniziativa come una mossa
personale di Spogli, destinata a essere corretta, se non smentita, dal
Dipartimento di Stato. La precisazione arrivata ieri sera da un portavoce
statunitense smonta invece questa illusione.
Al governo italiano che aveva parlato
comprensibilmente di un
gesto «irrituale », si replica definendo «lodevole» la lettera promossa e
firmata da Spogli. E si precisa che «è perfettamente in linea» con le convinzioni
di Condoleezza Rice. Anzi, rientrerebbe in una sorta di campagna di persuasione
additata agli ambasciatori americani «per cercare di far capire, con lettere o
interviste televisive», quanto sia importante continuare la missione afghana. È
a questo, spiega il portavoce del dipartimento di Stato, che i diplomatici sono
stati «sollecitati» dalla Rice.
Se non è una crisi nei rapporti
Italia- Usa, comunque le somiglia. Sottolinea come minimo un difetto di comunicazione e
un’incomprensione fra l’amministrazione Bush e il governo Prodi. Ridimensiona
di colpo la saga delle buone relazioni fra la Rice e il ministro degli Esteri,
Massimo D’Alema. Ma soprattutto, non importa se in modo calcolato o meno,
inserisce un cuneo pesante all’interno dell’Unione. La copertura totale offerta
a Spogli sull’Afghanistan alla vigilia della riunione odierna convocata da
Prodi a Palazzo Chigi, può rivelarsi un intralcio fastidioso.
Il presidente del Consiglio l’ha preparata cercando di annacquare le tensioni con un
antagonismo pacifista ostile all’allargamento della base Usa a Vicenza e
insieme convinto che occorra cominciare a discutere su un possibile ritiro dei
soldati italiani da Kabul. E le sue dichiarazioni di ieri hanno incorniciato il
vertice in un «clima di accordo» che, nonostante tutto, sembrava a portata di
mano; e forse lo è tuttora. L’unico elemento di nervosismo, palpabile,
era l’eco della lettera dei 6 ambasciatori. Un’iniziativa definita «irrituale»:
aggettivo diplomatico che equivale a «fuori luogo».
È stata considerata sia dal ministro
della Difesa che da quello
degli Esteri una caduta di stile; ma soprattutto un atto che, dietro la lode
agli sforzi italiani in Afghanistan, nasconde un’insidia politica. In un
momento di tensioni nell’Unione, sembra quasi che i promotori «abbiano
sottovalutato le conseguenze» del loro gesto, ha fatto sapere ufficiosamente la
Farnesina. Il malumore italiano è stato accentuato dal fatto che
l’appello era rivolto all’Italia, ma non ad altre nazioni europee impegnate in
modo simile al nostro.
Per questo, tornando dal suo viaggio in
Asia, D’Alema ha voluto
puntualizzare che la lettera è ritenuta irrituale «dagli ambasciatori di
tutti gli altri Paesi — e sono 36, non 6—con soldati in Afghanistan ». Si
tratta di un’autodifesa inevitabile. E giustificata dall’esigenza di mostrare
alla comunità internazionale e forse anche agli alleati dell’Unione un
governo italiano autonomo; e pronto a rispedire al mittente pressioni
considerate indebite. È una preoccupazione alla quale non può essere
estranea la prospettiva a breve termine del rifinanziamento della missione
italiana.
Il tentativo di esorcizzare
l’accerchiamento «irrituale»
dei 6 ambasciatori firmatari, tuttavia, sta avendo come conseguenza una
tensione imprevista e plateale con gli Stati Uniti. E finisce per sottolineare
le perplessità che alcuni Paesi alleati, Usa in testa, sembrano nutrire
verso la politica estera dell’Unione. Le parole arrivate da Washington
tradiscono non uno scarto improvviso, ma un malumore cresciuto nelle ultime
settimane: con le manifestazioni antiamericane a Vicenza, e con le contorsioni
dell’estrema sinistra sull’Afghanistan. «Pensavo fosse una questione di forma,
e invece è di sostanza... ». Lo stupore attribuito al ministro Parisi
riflette la distanza politica che, nella disattenzione quasi generale, oggi
divide Roma e Washington.
06 febbraio 2007
Da La Repubblica 6-2-2007
Afghanistan, tensione Italia-Usa Washington elogia gli ambasciatori
WASHINGTON - Il Dipartimento di Stato ha definito
oggi "una iniziativa lodevole" la lettera inviata dall'ambasciatore
Usa in Italia Ronald Spogli, insieme con altri ambasciatori, in cui si esorta
l'Italia a confermare il suo impegno in Afghanistan. Un portavoce del
Dipartimento di Stato ha detto oggi che la lettera di Spogli "è una
iniziativa lodevole" ed è "perfettamente in linea" con il
pensiero del segretario di stato Condoleezza Rice al riguardo.
Alcuni esponenti del governo italiano hanno definito, in questi giorni,
"irrituale" l'iniziativa portata avanti da sei ambasciatori. Sulla
questione è oggi intervenuto, da Seul, anche il ministro degli Esteri
Massimo D'Alema, il quale, oltre a definire "abbastanza irrituale" la
lettera, ha aggiunto di ritenere che "per discutere queste questioni ci
sono delle sedi proprie".
Il titolare della Farnesina ha ricordato che dell'Afghanistan si è
discusso "nella riunione dei ministri degli Esteri della Nato e poi in
quella allargata con gli altri ministri degli Esteri non-Nato impegnati"
nel Paese. Quindi, è opinione del capo della diplomazia italiana che sia
giusto "attenersi alle forme normali in cui si discutono questi problemi
tra alleati".
Il portavoce del Dipartimento di Stato Terry Anderson ha dichiarato oggi che
"gli ambasciatori americani nel mondo erano stati sollecitati dal ministro
Rice ad attivarsi per cercare di fare capire, con lettere o interviste
televisive, quanto fosse importante continuare a perseguire la missione in
Afghanistan".
Il portavoce ha sottolineato il fatto che
la lettera, oltre ad essere firmata dall'ambasciatore americano Spogli,
è stata firmata dagli ambasciatori di altri paesi della Nato.
"Quella dell'Afghanistan è una questione che non riguarda solo gli
Stati Uniti ma concerne molti altri paesi della Nato ed è quindi di
interesse comune - ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato - ed
è questo il concetto che ci premeva sottolineare".
La lettera è stata firmata dagli ambasciatori di Stati Uniti, Australia,
Canada, Gran Bretagna, Olanda e Romania.
Il portavoce del Dipartimento di Stato ha definito "irrilevante" il
fatto che la lettera non sia stata firmata da tutti gli ambasciatori degli
altri paesi Nato coinvolti nella missione in Afghanistan.
"Spogli ha agito reagendo a direttive ricevute - ha sottolineato Terry
Davidson - è chiaro che il ministro Rice non può controllare
personalmente parola per parola quello che viene detto o scritto. Ma il punto
è che riteniamo, qui a Washington, lodevole l' iniziativa
dell'ambasciatore Spogli e in linea con le disposizioni ricevute dagli
ambasciatori americani nel mondo".
(6 febbraio 2007)
Da La Stampa 6-2-2007 - Kabul, sale la
tensione Italia-Usa Di MAURIZIO MOLINARI
UNA
NOTA DEL GOVERNO AMERICANO A SOSTEGNO DELL’INIZIATIVA DI SPOGLI
Il
Dipartimento di Stato: lodevole la lettera dei 6 ambasciatori. Ma D'Alema:
irrituale
INVIATO
A WASHINGTON
«E’ un’iniziativa lodevole». Il Dipartimento di Stato fa conoscere in maniera
formale il proprio sostegno alla decisione dell’ambasciatore in Italia, Ronald
Spogli, di firmare assieme a cinque colleghi della Nato la lettera aperta agli
italiani sulla richiesta di impegno in Afghaistan. A parlare è Terry
Davidson, responsabile della comunicazione all’Ufficio Europa del Dipartimento
di Stato, e il linguaggio punta ad allontanare ogni ipotesi di incompresioni
con Via Veneto: «Firmare la lettera è stata da parte di Spogli
un’iniziativa lodevole e perfettamente in linea con il pensiero del Segretario
di Stato, Condoleezza Rice».
Davidson esclude che la lettera (che D’Alema ha definito «irrituale») abbia
nulla a che vedere con la situazione politica in Italia, mentre sottolinea come
il passo di Spogli esprima le posizioni di Washington tanto per quanto riguarda
la strategia di comunicazione sulla guerra a terrorismo che i contenuti
relativi alla campagna in Afghanistan. Nel primo caso infatti l’ambasciatore
Usa ha messo in atto le raccomandazione di Karyn Hughes, sottosegretario di
Stato e stretto consigliere del presidente George W. Bush, che da tempo chiede
ai diplomatici americani all’estero di «comunicare direttamente con le opinioni
pubbliche dei Paesi dove risiedono» ricorrendo a metodi del «XXI e non XVIII
secolo». Si tratta di una strategia di «Public Diplomacy» che l’amministrazione
Usa si è data per far conoscere le prprie posizioni sulla guerra al
terrorismo e lasciarsi alle spalle il metodo di comunicazione pre-11 settembre
considerato paludato, ingessato e nel complesso inefficace.
Ma anche per quanto riguarda i contenuti relativi alla situazione in
Afghanistan la decisione di firmare la lettera rientra nei criteri del
Dipartimento di Stato perché il contenuto del testo è stato modellato su
quanto concordato dai leader della Nato al summit autunnale di Riga e poi
ribadito dai ministri degli Esteri nell’ultimo summit di Bruxelles, dove si
è parlato proprio della necessità di inviare più truppe e
mezzi in Afghanistan. «Gli ambasciatori americani erano stati sollecitati dal
Segretario Rice - ha spiegato Davidson - ad attivarsi per far capire, con
lettere o interviste televisive, quanto fosse importante continuare a
perseguire la missione in Afghanistan».
In ambienti diplomatici a Washington si indica inoltre proprio in Ronald Spogli
l’ambasciatore che ha preso l’iniziativa delle lettera poi condivisa dai
colleghi di Gran Bretagna, Canada, Australia, Olanda e Romania, senza escludere
che simili passi possano avvenire in tempi brevi anche in Spagna e Germania
ovvero gli altri due Paesi della Nato che da un lato hanno truppe in
Afghanistan e dall’altro rifiutano di impiegarle in azioni di combattimento
contro i taleban nelle regioni del Sud. Ma cè dell’altro: la lettera dei
sei ambasciatori coincide con il passaggio delle consegne a Kabul alla guida
dei 32 mila uomini della Nato e l’assunzione di comando da parte del generale
americano Dan McNeill. Questo significa che ricade sul Pentagono la
responsabilità delle operazioni militari in preparazione per la primavera
ovvero un’offensiva in grande stile tesa necessaria, secondo il Segretario
generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer, a sradicare la presenza di cellule
taleban soprattutto ai confini con il Pakistan. Per i comandi americani
impegnati a preparare la logistica dell’offensiva il contributo italiano,
auspicato dalla lettera degli ambasciatori, sarebbe molto utile. Non a caso i
sei Paesi firmatari della lettera sono proprio quelli che schierano soldati in
operazioni di combattimento ed hanno sostenuto perdite negli ultimi mesi, con
conseguenti e ripetuti attriti diplomatici con gli altri alleati che invece
hanno scelto di non spostare i soldati dalle basi nell’Ovest e nel Nord.
L'Antitrust torna a fare arrabbiare le
banche. Soltanto la settimana scorsa era stata l'Unione europea a prendersela con i costi dei conti
correnti e le commissioni delle carte di credito. Adesso tocca anche
all'autorità italiana, guidata da Antonio Catricalà, che ha
concluso l'indagine conoscitiva avviata il 1 febbraio 2006, subito dopo
l'entrata in vigore della Legge sul Risparmio.
Famiglie monoreddito più penalizzate, online forti risparmi.
Risultato choc: dai dati raccolti su un campione di 72 banche (68% degli
sportelli in Italia) emerge una «enorme variabilità» dei prezzi dei
conti correnti, fino a dieci volte per lo stesso tipo di conto: a seconda del
profilo dei correntisti (si veda tabella 1) si va da 76,30 euro a 208,80 euro,
con un valore medio di 182 euro. A rimetterci, ironia della sorte, sono
soprattutto le famiglie monoreddito, penalizzate più dei tentenni single
e senza figli. Va meglio per giovani a caccia di primo impiego e pensionati.
L'indagine evidenzia inoltre l’esistenza di politiche commerciali da parte
delle banche che «aggiungono elementi di ulteriore fidelizzazione “forzosa” del
correntista». Non manca l'accusa di scarsa trasparenza, che ostacola le scelte
dei consumatori. In compenso i conti online possono dare grandi soddisfazioni:
attraverso il canale internet si può ridurre mediamente di circa il 60%
la spesa anche se non si tratta di prodotti perfettamente sostituibili per
tutti i correntisti (si veda tabella a pagina 59 del testo dell'indagine
completa).
Conti più cari che in Europa. Altra conferma attesa: in Italia il
costo medio di tenuta e movimentazione del conto corrente è molto alto
rispetto agli altri principali paesi dell'Unione (si veda la tabella
Popolari e Bcc in cima alla lista nera. Sono le Popolari a guidare la
non invidiabile classifica della spesa annua più alta, con costi
più alti rispetto alle Spa e alle Banche di Credito Cooperativo (Bcc)
per quattro tipologie di clientela su dieci (si veda la tabella
Le otto regole d'oro. Otto i suggerimenti di Piazza Verdi per introdurre
una maggiore trasparenza e una riduzione degli ostacoli alla mobilità
dei consumatori sui conti correnti. Tra le misure proposte, fogli informativi
sintetici, lo sviluppo di fonti informative indipendenti e di meccanismi che
consentano la portabilità del conto. Ecco la lista delle novità
da introdurre, secondo l'Antitrust:
1) Redazione di fogli informativi sintetici con una chiara indicazione delle
spese anche in una sola voce di costo.
2) Garanzia di stabilità, almeno per un arco temporale minimo, delle
voci di costo di tenuta e movimentazione del conto corrente.
3) Piena comparabilità dei costi secondo le esigenze del singolo
consumatore attraverso lo sviluppo di fonti informative, indipendenti dal
sistema bancario, con la costruzione di motori di ricerca.
4) Informazione annuale sintetica al correntista della spesa effettivamente
sostenuta per la tenuta del conto.
5) Indicazione della sua variazione rispetto all'anno precedente.
6) Individuazione di modalità in grado di mantenere in vita i servizi
connessi al c/c per il tempo necessario a completare il trasferimento, per
evitare duplicazioni di costo per il correntista.
7) Definizione di una durata temporale massima per l'esecuzione delle
operazioni di trasferimento del c/c.
8) Eliminazione di tutti i vincoli, contrattuali o di fatto, non necessari tra
c/c e altri servizi e lo sviluppo di meccanismi che consentano la
portabilità del conto corrente.
I consumatori: «Servono sanzioni». Per il presidente del Codacons Carlo
Rienzi «occorre ora accertare se vi sia o meno un cartello tra istituti di
credito per mantenere elevate le tariffe e, nel caso, irrogare pesanti sanzioni
verso i responsabili. In attesa di ciò chiediamo all'Antitrust di
pubblicare i nomi delle banche che praticano le tariffe più convenienti,
in modo tale da consentire ai correntisti risparmi seppur minimi». Anche per
l'Adusbef è tempo di sanzioni. Secondo l'associazione è arrivato
il momento di «punire usi ed abusi perpetrati dalle banche per oltre mezzo
secolo, dall'anatocismo illegale, alla commissione di massimo scoperto, al
mancato adeguamento dei tassi sui depositi,a condizioni capestro nella gestione
del risparmio che hanno permesso agli istituti di credito di taglieggiare i
cittadini con il diretto concorso e la collusione dell'Autorità di
vigilanza». E se, invece, non succedesse nulla? «Per i clienti oltre al danno
ci sarebbe la beffa».
Da La Repubblica 5-2-2007
Assicurazioni e istituti di credito, il secondo capitolo dell’integrazione
Da un lato sono una "zavorra" perché assorbono molto capitale,
soprattutto con i nuovi criteri di Basilea sul patrimonio di vigilanza bloccato
dalle attività assicurative dall’altro sono considerate la nuova
frontiera del business o quasi: sotto il doppio profilo dei danni e del vita,
in particolare in versione previdenziale.
Sono questi i due corni dei molti accordi tra assicurazioni e banche di cui si
parla in questi giorni e, in parte come fattore di novità, sono sempre
più spesso intese strutturate ma esterne, per non pesare appunto sui
ratio patrimoniali delle banche. Inoltre, e anche questo è un elemento
nuovo, sono sempre più frequenti i corteggiamenti reciproci tra banca e
assicurazione nel ramo danni, segmento che finora non si era particolarmente
affacciato in banca.
Le operazioni attualmente sul tappeto sono soprattutto tre: il corteggiamento
reciproco tra Italease e FondiariaSai, che dovrebbe prevedere l’ingresso della
banca guidata da Massimo Faenza in Banca Sai (ma in un secondo momento l’intesa
potrebbe allargarsi) e che vede la messa a fattor comune di pezzi dei canali
distributivi; il processo di selezione di un partner assicurativo estero cui
cedere il 50% di Mps vita (sono cinque i candidati rimasti in campo e si punta
a chiudere per la fine di marzo) e, infine, il doppio accordo distributivo nel
settore vita e in quello danni della Popolare di Verona, ormai prossima al
matrimonio con la LodiBpi.
Quest’ultima realtà, che dal 10 marzo sarà un dato acquisito
anche sotto il profilo formale, occupa il terzo posto nella graduatoria
nazionale per numero di sportelli (ben distanziata, ma subito dopo come posto
in classifica rispetto ai due campioni nazionali Intesa Sanpaolo e Unicredit) e
il quarto per capitalizzazione (in questo caso, preceduta anche da Capitalia).
Dimensioni che spiegano quanto sia stato ambito il gruppo, per stringere un
accordo (che vede in pole position Fondiaria e Aviva). Ma a quanto è
dato di capire, gli accordi di distribuzione non saranno molto prolungati nel
tempo: è possibile infatti che il gruppo veroneselodigiano aspetti di
aver formalizzato tutte le pratiche di matrimonio, con il relativo periodo di
assestamento, per poi verificare le strategie durature di accordi assicurativi.
Sta di fatto, e la dice lunga sull’importanza ormai attribuita al settore, che
praticamente la prima mossa decisa dal neonato gruppo bancario è stata
quella di cercarsi accordi di partnership assicurativa; prima di qualsiasi
altro accordo commerciale e quasi prima di aver persino consumato il
matrimonio.
Tra l’altro, la partnership sarà un’occasione per verificare sul campo
le potenzialità di sviluppo delle polizze sul ramo danni vendute allo
sportello: le aspettative sono per un grande sviluppo di quelle polizze
accessorie, variamente legate ai prodotti bancari tipici (tipo i mutui o i
prestiti personali). La vera frontiera sarà invece vendere polizze di
tutt’altro genere, a partire per esempio da quelle sanitarie. Per fare questo
occorre uno sforzo di formazione molto grande, sulla rete bancaria; e
probabilmente anche il superamento di steccati culturali, tra il mondo bancario
e quello assicurativo. Ma chi riuscirà a fare il salto potrebbe portare
a casa bei risultati.
(vi.p.)
Da Il Sole 24 Ore
5-2-2007 Inflazione in ribasso all'1,7%
annuo in gennaio di Michele De Gaspari
Inflazione in ribasso all'1,7% annuo in
gennaio
di Michele De Gaspari
La stima
provvisoria dell'Istat: è pari a +0,1% la variazione mensile a gennaio
dei prezzi al consumo e all'1,7% quella tendenziale, la più bassa
dall'estate 1999.
La crescita
media annua dei prezzi calcolata per il 2006 è del 2,1%, in contenuto
rialzo sull'1,9% del 2005. I rincari di inizio anno per alimentari e alcune
categorie di servizi (comunicazioni, alberghi e ristoranti) si accompagnano
alla stabilità di quasi tutti gli altri capitoli di spesa, in un
contesto di scarsa vivacità della domanda, mentre resta leggermente
sfavorevole il divario dell'Italia con la media di Eurolandia.
Si attenua l'effetto petrolio sull'inflazione, legato anche al ritardo (e alla
gradualità) con cui le variazioni dei prezzi all'origine si trasferiscono
sui beni finali. Le fluttuazioni dei carburanti, i rincari delle tariffe
energetiche (elettricità e gas) e di altri significativi capitoli di
spesa (alimentari e tabacchi, alberghi e ristoranti, tempo libero e cultura)
hanno condizionato l'evoluzione dei prezzi nel corso del 2006, con le
conseguenti oscillazioni intorno al 2% nella dinamica annua dell'inflazione,
già ripiegata al 2,0% a fine 2005. Negli anni precedenti l'evoluzione
dei prezzi al consumo non si era presentata granché tranquilla, quando una
serie di voci del paniere sono state in tensione, in un periodo già per
consuetudine caratterizzato dai ritocchi dei prezzi amministrati o
regolamentati e di numerosi listini aziendali. Il rafforzamento dell'euro e la
conseguente moderazione dei prezzi dei beni importati hanno richiesto, poi,
qualche tempo per trasferirsi nelle fasi distributive a valle.
La crescita
annua, a sua volta, risente dell'effetto statistico del confronto con periodi
di altalenanti tensioni per i prezzi, com'è accaduto negli ultimi anni.
Diventa probabile pertanto, nell'orizzonte del 2007, il risultato di un
graduale assestamento dell'inflazione sotto il 2% tendenziale annuo, peraltro
favorito dalla modesta dinamica dei consumi delle famiglie. La marcia di
avvicinamento al 2% ha avuto tempi non brevi, ma l'alta volatilità delle
quotazioni petrolifere non esclude nei prossimi mesi ulteriori oscillazioni del
dato tendenziale, a seguito dei prevedibili ritocchi per alcuni prezzi e
tariffe (elettricità e gas, per esempio, vengono aggiornati a cadenza
trimestrale e incorporano solo gradualmente le fluttuazioni del petrolio nei
periodi precedenti).
L'indice dei
prezzi al consumo - secondo la stima provvisoria dell'Istat, che dal gennaio
2005 coincide con rilevazioni delle grandi città - ha messo in evidenza
a gennaio una variazione mensile pari a +0,1% e all'1,7% rispetto a un anno
prima, a fronte di una variazione di +0,1% e dell'1,9% a dicembre. L'aumento
annuo non è, dunque, più influenzato dallo scalino dei rialzi del
2003-2004, che si è riflesso nella dinamica tendenziale fino all'estate
del 2006.
Con i
risultati degli ultimi mesi è inoltre ripresa, dopo prolungate battute
d'arresto, la lenta marcia di rientro della spinta inflattiva, che ha
caratterizzato la seconda metà del 2003-2004 e la prima parte del 2005,
arrivando dopo un periodo già tradizionalmente caldo per i prezzi, come
del resto erano stati i mesi iniziali del 2001 e del 2002. Essi avevano,
infatti, risentito negativamente dell'effetto euro, dei rincari tariffari
(trasporti e servizi pubblici locali), di una serie di aumenti nel settore
terziario (assicurazioni, banche, sanità, alberghi e pubblici esercizi)
e di altre componenti regolamentate (canoni, lotterie).
Le
prospettive dell'inflazione per i prossimi mesi mostrano, tuttavia, un quadro
ancora incerto, perché occorre fare i conti con l'incognita del petrolio.
Nell'immediato futuro essa è prevista stabilizzarsi sugli attuali ritmi
poco sotto al 2%, con un possibile riaccendersi di qualche tensione sui listini
delle imprese. La crescita tendenziale dei prezzi si è confermata, in
particolare, sopra il 2% anche nella media del 2006 (pari al 2,1%), così
come nel quinquennio 2000-2004 e a fronte dell'1,9% registrato nel
Si chiama IL-7, come funziona
l'hanno scoperto i ricercatori italiani del S. Raffaele di Milano nel
laboratorio di Antony Fauci
Lussu: "Aumenta la
sopravvivenza delle cellule CD4 e CD8"
ROMA - Una molecola naturale è in grado di proteggere le
cellule immunitarie bersaglio dell'Aids, prevenendone la morte. E proprio da
questa molecola, battezzata dagli scienziati interleuchina 7 (IL-7), arriva la
speranza di una nuova terapia - a sostegno di quella farmacologica - per
consentire alle difese naturali di combattere l'Hiv. Il virus, infatti, attacca
l'organismo nascondendosi nelle cellule del sistema immunitario, che muoiono in
grandi quantità quando vengono attaccate dalla malattia. Ma impedendo -
proprio grazie a questa molecola - la morte cellulare, il sistema di difesa
dell'organismo si rafforza.
A scoprire come agisce IL-7 è stato un gruppo di ricercatori guidato
dall'italiano Paolo Lusso, direttore del laboratorio di Virologia del San
Raffaele di Milano. La ricerca, condotta insieme a un'altra italiana, la
dottoressa Lia Vassena, è stata realizzata nel laboratorio di Anthony
Fauci, all'istituto statunitense per le allergie e malattie infettive (NIAID)
del NIH di Bethesda, e lo studio è stato pubblicato sulla rivista
dell'Academy of Sciences statunitense.
"Già da tempo l'attenzione è concentrata su questa
molecola", spiega dagli Stati Uniti a Repubblica.it il professor
Lusso, "perché potrebbe essere di beneficio per i pazienti con l'Aids. E'
una citochina: una sorta di messaggero che scambia informazioni fra le varie
cellule per gestire le difese immunitarie dell'organismo".
Qual è la novità del vostro studio?
"Siamo riusciti a scoprire come agisce IL-7, impedendo alle cellule di
suicidarsi. Il virus Hiv colpisce il sistema immunitario, uccidendo cellule
molto importanti, i linfociti CD4. In 25 anni di ricerche ancora non sappiamo
con precisione come l'Hiv li uccida. Ma sicuramente il meccanismo principale
è l'apoptosi, la morte programmata delle cellule. Quello che in
condizioni normali è un meccanismo buono, che permette alle cellule
invecchiate o malate di morire e di essere sostituite da cellule nuove, con
l'Aids diventa patologico, abnorme. E porta alla morte di tantissime cellule,
comprese quelle che sono davvero malate".
IL-7 riesce a bloccare questo suicidio collettivo?
"Sì. l'Interleuchina -7 blocca l'apoptosi nei pazienti affetti da
Hiv, impedendo che vengano distrutte le cellule sane, che non devono
morire".
Questo può far sperare in una nuova cura contro la malattia?
"Nell'esperimento si è visto che l'Interluchina 7 aumenta la
sopravvivenza delle cellule immunitarie CD4 e CD8. La risposta è diversa
da caso a caso, ma la molecola riesce sempre a rafforzare le difese naturali
contro l'Aids. Potrà diventare una terapia di supporto, da usare a
fianco dei farmaci, per aumentare le difese naturali che a loro volta potranno
ridurre la quantità di virus nell'organismo".
Con quali tempi?
"La prima sperimentazione per accertare che non fosse tossica è
già stata fatta, sono stati fatti anche studi sugli animali. Nel giro di
un paio d'anni potremo avere il quadro completo per decidere se farla diventare
una terapia di routine".
Come vive oggi una persona affetta da Hiv?
"Negli ultimi anni, i progressi sui farmaci sono stati straordinari. Oggi
si vive molto più a lungo e chi ha l'Hiv può tenerlo sotto
controllo per moltissimo tempo con la terapia farmacologica. Se prima avevamo
solo una classe di farmaci per combattere la malattia, dal '95 con gli
inibitori della proteasi - il famoso 'cocktail' - si è riusciti ad
attaccare il virus da più punti, avendo più armi per combatterlo
e ridicendo il problema delle resistenze. Questo ha fatto la vera differenza. E
se il paziente riesce ad assumere i farmaci in modo regolare, il virus è
totalmente sotto controllo".
Però di Aids non si guarisce.
"No. Al mondo, non c'è stato alcun caso di paziente guarito,
cioè, in cui il virus sia scomparso. E se si sospendono i farmaci, nel
giro di qualche settimana il virus torna a crescere come prima".
Alla lunga, i farmaci possono avere effetti negativi?
"Non tutti riescono a prendere i farmaci regolarmente perché possono
diventare tossici. Ad esempio, gli inibitori della proteasi alterano il
metabolismo dei grassi, col rischio di complicazioni vascolari. Magari un
paziente ha perfettamente sotto controllo il virus e poi improvvisamente muore
di infarto".
C'è un modo per eliminare questi rischi?
"Intanto, ci sono diversi farmaci tra cui scegliere e si usano sempre i
meno tossici. Ma ci vuole uno sforzo ulteriore per produrne dei nuovi, sempre
più efficaci che attacchino il virus da più punti".
Quali sono le linee di ricerca più promettenti oggi per lo sviluppo
di nuove terapie?
"Ci sono due strade che fanno ben sperare: una è quella degli
inibitori dell'integrasi, un enzima che permette al virus di integrarsi nel
genoma. Bloccandone l'integrazione nelle cellule, c'è la speranza di
fermarlo. L'altra via è quella delle chemiochine, delle sostanze
naturali che bloccano la porta di ingresso al virus nell'organismo. Proprio su
questa linea stiamo lavorando a Milano".
Quanto siamo ancora lontani un vaccino contro l'Aids? Ci arriveremo mai?
"Io sono ottimista e credo che prima o poi ci arriveremo. Ma è una
delle sfide più grandi per la scienza, perché questo è un virus
estremamente mutevole, che fa 'impazzire' il sistema immunitario. Per essere
davvero efficace contro l'Aids ci vuole un vaccino 'protettivo' al 100%, una
performance difficilissima da ottenere, che per gli altri vaccini più
tradizionali non si richiede. In linea di principio, però, è
possibile, anche se molto difficile".
In quale direzione si muove la ricerca?
"Si stanno cercando vie nuove. Recentemente, ad esempio, il mio gruppo ha
iniziato ad esplorare approcci innovativi, per sviluppare un vaccino protettivo
anti Hiv in grado di indurre anticorpi ad ampio spettro d'azione. Il virus
è molto subdolo, e si tratta di trovare il modo per evitare che il
sistema immunitario sia confuso da questa sua estrema variabilità.
Quello che stiamo facendo è una specie di 'taglia e cuci' certosino per
'eliminare' in modo intelligente gli elementi variabili che distraggono il
sistema immunitario, facendolo concentrare invece su quelli comuni, su cui
può agire".
(5 febbraio 2007)
Da La Stampa 5-2-2007 Fioroni
"Smonta il bullo" contro la violenza in scuole e stadi
Da La Stampa 5-2-2007 A Gennaio l'inflazione è scesa all'1,7% Nel
paniere entra il digitale.
Dal Corriere della Sera 5-2-2007 Rischio di inaffidabilità di Angelo Panebianco
Da La Repubblica 4-2-2007 Benzinai, 48 ore di serrata a partire da
martedì sera
Da zeusnews.it 4-2-2007 Telecom spara contro la legge Gentiloni
Da La Stampa 4-2-2007 Carlo, il
rompiscatole fa disperare la Regina MARCELLO SORGI
Da La Stampa 5-2-2007 Fioroni "Smonta il bullo" contro la
violenza in scuole e stadi
Le
linee di indirizzo elaborate dal dicastero di viale Trastevere sono anche il
frutto delle proposte delle scuole stesse
ROMA
Venti osservatori permanenti, un numero verde nazionale, un sito internet, una
campagna nazionale di informazione e sensibilizzazione, sanzioni più
severe e percorsi di recupero. Sono molti i punti sui quali si articola la
campagna nazionale del ministero dell’Istruzione contro la violenza a scuola.
Si intitola «Smonta il bullo» ed è costata due milioni di euro. E
dunque: presso ogni regione ci sarà un osservatorio permanente con il
compito di lavorare in stretta collaborazione con le istituzioni locali per
valorizzare buone pratiche e competenze; il numero verde nazionale 800669696
funzionerà con dieci postazioni di ascolto alle quali segnalare casi,
chiedere informazioni generali e consigli su come comportarsi in situazioni
critiche. Una task force di psicologi, insegnanti, genitori e personale del
ministero si farà carico di fornire pareri e consigli.
Parte poi il sito internet www.smontailbullo.it che sarà punto di
raccordo, raccolta e divulgazione delle informazioni utili provenienti dagli
osservatori e dagli operatori del numero verde, nonchè una vetrina per
le azioni e le campagne promosse dalle singole scuole. Quanto alle sanzioni, il
principio sarà quello di grande attenzione e severità, ma
soprattutto di attuare percorsi di recupero. Una serie di sanzioni,
commmisurate alla gravità del gesto, culminerà con la più
grave, la sospensione che dovrà durare non più di quindici
giorni, tranne casi di particolare gravità. Il ministero
promuoverà poi una serie di azioni tese ad educare gli studenti sul
corretto utilizzo della rete internet e delle nuove tecnologie, soprattutto in
relazione all’esigenza di far acquisire agli studenti il significato e il
rispetto del diritto alla privacy propria e altrui.
Niente affatto casuale, dunque, che nella presentazione del piano antibullismo
il ministro Giuseppe Fioroni fosse affiancato dal garante della privacy, Luigi
Pizzetti. «Il modo per vincere la violenza nelle nostre scuole, come negli
stadi - ha spiegato Fioroni - sta nell’educare i nostri ragazzi al rispetto
della dignità delle persone e al rispetto dell’altro. Per questo docenti
e studenti hanno una straordinaria opportunità, quella di non lasciare
solo nessuno di fronte alla violenza e soprattutto di far sentire parte della
comunità educante sia il diversamente abile che il più debole».
Secondo quanto spiegato da Fioroni, le iniziative della campagna serviranno «a
monitorare, informare, trasmettere buone pratiche, dare indicazioni, supportare
l’autonomia scolastica, sapendo che le azioni educative spettano ai singoli
piani dell’offerta formativa nelle scuole e partono da una straordinaria
campagna di cittadinanza attiva fatta dai docenti e dagli studenti che si
propongono di sostituire il "me ne frego" con il "mi
interessa"».
Da La Stampa 5-2-
Cali
maggiori per il gasolio il cui prezzo и diminuito dello 0,5% su base
mensile e del 2,4% su base annua
ROMA
In un calcolo in base al nuovo impianto del paniere utilizzato dall’Istat,
l’inflazione armonizzata a gennaio и scesa dell’1% rispetto a dicembre e
aumentata del 2% rispetto a gennaio
La core inflation si и attestata all’1,6% su base annuale mentre
l’inflazione relativa ai soli prodotti energetici и stata pari all’1,7%;
entrambi i dati sono uguali a quelli rilevati a dicembre. Sempre piщ
presenti nei consumi delle famiglie gelato multipack (sostituisce la torta
gelato), sughi pronti, sandalo da donna (al posto delle pantofole), multipresa
(sostituisce il cavo elettrico), riparazione di moto, scheda di memoria per
macchine fotografiche digitali (al posto della pellicola) e stampa di foto
digitale. Escono, invece, perchи poco rappresentativi, calcolatrice
tascabile, videocassetta e sveglia a pile.
Il numero delle posizioni nel nuovo paniere si и ridotto a 540 dalle 562
del 2006, grazie all’accorpamento di diverse voci in un’unica posizione,
soprattutto diversi tipi di pesci, tessuti per la casa, articoli sportivi e
sport, sigarette. H salito il peso di alcuni capitoli di spesa rispetto al
2006: alimentari (soprattutto lavorati), bevande alcoliche e tabacchi, casa,
acqua ed elettricitа, salute, trasporti (a causa dell’aumento dei prezzi
energetici).
Il contributo all’inflazione dei beni energetici и cresciuto dal 6,2675
del
Dal Corriere della Sera
5-2-2007 Rischio di inaffidabilità di Angelo Panebianco
Ha ragione il ministro della Difesa Arturo
Parisi a giudicare
irrituale la lettera aperta dei sei ambasciatori di Paesi aderenti alla Nato
sul nostro ruolo in Afghanistan: un passo diplomatico anomalo con cui gli
alleati, pur nella prudenza del linguaggio, ci hanno notificato di essere
consapevoli che la politica estera sia il maggior elemento di debolezza del
governo Prodi. Dopo il risultato sbalorditivo (con pochi precedenti nella
storia delle democrazie parlamentari) della votazione su Vicenza, Parisi ha
chiesto con forza che la coalizione di governo esca finalmente
dall'ambiguità sulla politica estera e di difesa. Ma è difficile
che ciò possa accadere. Non solo perché il problema va al di là
della contrapposizione massimalisti/moderati: come Parisi ha rilevato in una
intervista esemplare per chiarezza e rigore ( La Stampa, 4 febbraio), pesa
anche, per ragioni storiche, una più generale carenza di «cultura della
difesa» che attraversa l'intera coalizione. L'ambiguità non è
però superabile anche per altre e più profonde ragioni.
Soprattutto perché senza equilibrismi, furbizie tattiche e giochi di parole, in
tema di scelte di fondo sulla collocazione internazionale dell'Italia, non
sarebbe mai stato possibile mettere insieme la coalizione antiberlusconiana che
vinse di stretta misura le elezioni. Basta aver letto il sempre citato
«programma dell'Unione» per saperlo: quel programma, mentre dedicava
enfaticamente pagine su pagine alla questione dell'Europa e dell'europeismo del
centrosinistra, liquidava invece con stringatissime parole (ove il «non detto»
appariva molto più importante del detto) il nostro ruolo nella Nato e
l'alleanza con gli Stati Uniti. Era l'ambiguità in azione, appunto,
frutto della necessità, per i partiti moderati del centrosinistra, di
fare un cartello elettorale, e un'alleanza di governo, con forze politiche
anti- Nato e antiamericane.
Del resto, lo stesso premier Romano Prodi appare consapevole
dell'impossibilità di arrivare a un vero chiarimento. Nello stesso
momento in cui usa parole dure, mai usate prima, nei confronti della sinistra
massimalista per l'episodio di Vicenza, continua a concedere molto, almeno sul piano
retorico, a quella stessa sinistra massimalista, rimarcando più del
dovuto (in materie che riguardano la collocazione internazionale del Paese non
si dovrebbe fare) tutte le discontinuità esistenti fra le scelte del suo
governo e quelle del governo precedente, e nascondendo dietro il paravento
verbale della «politica di pace» in cui il governo sarebbe oggi impegnato il
ruolo dei nostri militari nella guerra (perché di guerra, al di là dei
giri di parole, si tratta) in Afghanistan. Tra il governo Prodi e il precedente
governo Berlusconi ci sono ovviamente grandi differenze. Alcune vanno a
vantaggio del governo Prodi, altre a vantaggio del governo Berlusconi. Ma certo
la differenza più importante riguarda proprio la politica
internazionale. Nei cinque anni di governo di Berlusconi la politica estera e
la collocazione internazionale dell'Italia non furono mai oggetto di veri
conflitti all'interno della coalizione. Di divisioni naturalmente ce n'erano
tante, ma riguardavano la politica interna. Anche la Lega di Umberto Bossi, che
quando stava all'opposizione era pronta ad assumere atteggiamenti eterodossi
(nel 1999 Bossi fu, con Armando Cossutta, uno degli esponenti politici italiani
che andarono a Belgrado per solidarizzare con il serbo Milosevic sulla questione
del Kosovo), rimase per lo più allineatissima alle posizioni del governo
di cui era parte.
Anche le sue sparate contro l'Europa (come le invettive contro «forcolandia»)
non avevano conseguenze pratiche, non erano tali da destabilizzare un esecutivo
che, per parte sua, intratteneva all'epoca rapporti alquanto travagliati e
freddi con l'asse franco-tedesco di Chirac e Schroeder. Persino quando la Lega
(insieme a Rifondazione) diede in Parlamento «un voto di bandiera» contro il
trattato costituzionale europeo, il governo non ne fu minimamente toccato. Da
cosa nasce la differenza? Perché la presenza della Lega (pur ideologicamente
contraria a quello che essa chiamava il «Superstato europeo») nella coalizione
di Berlusconi non fu altrettanto destabilizzante per la politica estera di
quanto si stia rivelando la sinistra massimalista nella coalizione di Prodi? La
ragione ha a che fare con le identità. Il cruciale elemento identitario
della Lega era e resta il «federalismo». Era quindi sufficiente, per il governo
Berlusconi, offrire alla Lega garanzie in tema di riforma federalista perché
essa accettasse, nonostante il suo antieuropeismo, di non destabilizzare la
politica estera del governo. Il caso della sinistra massimalista è
diverso: antiamericanismo e pacifismo sono parti integranti della sua
identità. Sono il suo nervo scoperto, come si è visto a Vicenza e
come si vede nella questione del rifinanziamento della missione in Afghanistan.
E come si vedrà ancor di più
fra pochi mesi, se
risulteranno esatte le previsioni dei comandi americani che annunciano, per
primavera, una grande offensiva militare dei talebani contro la coalizione Nato
in Afghanistan. Se nel centrodestra fu facile per la Lega accettare i termini
dello «scambio» (federalismo contro sostegno al governo anche sulla politica
estera), nel centrosinistra lo scambio fra moderati e sinistra massimalista
è assai più difficile da assicurare man mano che passa il tempo.
E infatti, finita la (brevissima) luna di miele del governo, sinistra
massimalista e moderati sono ormai ai ferri corti su tutto, dalla politica
estera ai Pacs, alle liberalizzazioni. Le divisioni delle maggioranze sulla
politica estera vanno in scena davanti a una platea mondiale. Quando poi a
scontrarsi sono «visioni del mondo» da cui discendono idee opposte sulla
collocazione internazionale del Paese, la sensazione che gli altri (la
comunità internazionale) ne ricavano, a volte anche al di là
della sostanza, è che a regnare sia la confusione, se non addirittura l'inaffidabilità.
Il problema che ha il governo Prodi è come evitare di pagare un prezzo
internazionale così alto senza rimuovere quell'ambiguità di fondo
grazie alla quale il centrosinistra si è formato e tuttora vive. Prodi
deve fare i conti con il Dna della sinistra massimalista
05 febbraio 2007
Da La Repubblica 4-2-2007
Benzinai, 48 ore di serrata a partire da martedì sera
Confermata la protesta dei gestori contro
le liberalizzazioni
Respinto il tentativo di dialogo del ministro Bersani
In Sicilia la chiusura scatterà
lunedì, con 24 ore di anticipo
ROMA - Distributori chiusi dalle 19 di martedì 6 febbraio fino
alle 7 di venerdì 9 per la serrata di 48 ore indetta da Fegica, Faib e
Figisc per protestare contro il 'pacchetto' Bersani, che di fatto liberalizza
la vendita della benzina. Si tratta solo dei primi due dei 14 giorni di
sciopero annunciati dai benzinai, che si sono scagliati contro il governo e in
particolare contro il ministro dello Sviluppo Economico accusandolo di
comportarsi "come Pilato".
Tecnicamente lo sciopero è stato indetto per due giorni, il 7 e l'8. Ma,
tenendo conto dell'orario in cui gli impianti aprono e chiudono
quotidianamente, il 'blackout' dei distributori durerà dalle 19.00 di
martedì 6 alle 7.00 di venerdì 9 febbraio sulla viabilità
stradale e dalle 22.00 del 6 alle 22.00 di giovedì 8 febbraio sulla rete
autostradale.
In Sicilia le pompe di benzina chiuderanno (sempre per due giorni) con 24 ore
di anticipo, a partire dalle 19.00 di lunedì 5 febbraio.
La liberalizzazione della vendita della benzina fa parte della serie di norme
varate alcuni giorni fa dal Consiglio dei ministri. A moderare le proteste dei
benzinai non è servito venerdì neanche l'intervento di Bersani,
che si è detto pronto a un incontro con le tre sigle della categoria.
"Sono a disposizione per concordare la data di un eventuale incontro e
confermarvi la disponibilità ad aprire un confronto", ha scritto
Bersani nella missiva inviata alle tre organizzazioni di settore in vista dello
sciopero. "Sono disponibile - si legge ancora nel testo - ad aprire un
confronto sulle prospettive che la nuova legislazione, affidata alle decisioni
del Parlamento, potrà comportare". Ma proprio il passaggio sulle
"prospettive" e sull'iter parlamentare ha sollevato l'ira dei benzinai.
"Bersani sta facendo un po' come Pilato - ha replicato Franco Bertini,
presidente della Faib - si sottrae e scarica le responsabilità sul
Parlamento. Se Bersani voleva aprire un tavolo, doveva farlo prima di emanare
il ddl. Invece prima ha varato il provvedimento e poi ci ha detto: vedetevela
col Parlamento".
Nessuno scaricabarile nei confronti del Parlamento, ha replicato il ministero:
"E' costituzionalmente previsto che un ddl sia esaminato dalle Camere ed
è un diritto-dovere del Parlamento esaminarlo e approvarlo".
Il tentativo di dialogo del ministero dello Sviluppo Economico non è
comunque approdato a nulla, e pertanto la serrata avrà luogo come
annunciato. Anche oggi i rappresentanti sindacali dei benzinai hanno ribadito
"che la categoria ha già pagato il prezzo della liberalizzazione
negli anni scorsi", e si sono detti pronti ad attuare tutti e 14 i giorni
di sciopero già indetti.
(4 febbraio 2007)
Da zeusnews.it 4-2-2007
Telecom spara contro la legge Gentiloni
Mentre fanno notizia gli attacchi di Berlusconi
contro la legge sulle Tv, Telecom Italia prepara l'offensiva.
[ZEUS
News - www.zeusnews.it -
04-02-2007]
Le prime pagine dei giornali(oltre che
delle vicende matrimoniali dell'ex Premier) sono piene degli attacchi di
Berlusconi alla legge Gentiloni sul riassetto delle Tv: dalla minaccia dei 5 milioni di persone
in piazza contro la legge, fatta, secondo Berlusconi, "contro i suoi
interessi personali", all'ipotesi ventilata nella famosa cena post-telegatti
che siano gli stessi protagonisti delle tv Mediaset,
da Mike a Bonolis, a scendere in campo per mobilitare l'opinione pubblica
contro la legge Gentiloni.
Rischia così di passare sotto
silenzio il lavoro, che sarà più di pressing dei lobbisti sui
partiti, sui gruppi parlamentari e sui singoli deputati e senatori, da parte di
Telecom Italia.
Infatti Telecom chiede ufficialmente che venga
abolita ora una norma contenuta del decreto Gentiloni secondo cui l'ex
monopolista deve aprire la rete broadband ai concorrenti per la fornitura di IPTV.
Sergio Giovanni Fogli, responsabile degli
Affari regolamentari di Telecom, ha dichiarato: "Questa norma dovrebbe
quindi essere abrogata perché si sovrappone alla regolamentazione europea e
nazionale di settore, rischiando di limitare l'indipendenza ed autonomia
dell'Autorità, unica titolare delle competenze in materia".
In pratica, Telecom preferisce giocarsi la
questione in un'eterna dialettica con l'Authority, fatta di ricorsi al Tar e di
discussioni, senza punti fermi che condizionino la sua
nuova rete a banda larga, i cui relativi investimenti dovrebbero
essere formalizzati dal nuovo piano industriale, previsto per marzo, nella
speranza che magari l'Authority italiana si comporti come quella tedesca,
riconoscendo a Telecom un diritto di esclusiva sulla propria rete a banda
larga.
Da La Stampa 4-2-2007 Carlo, il rompiscatole fa disperare la Regina
MARCELLO SORGI
LONDRA
Chi l'avrebbe mai detto, anche la Regina ha problemi di
radicalismo! A sorpresa, infatti, la Casa Reale ha fatto filtrare ieri la sua
«preoccupazione» per la svolta verde del Principe Carlo, che negli ultimi tempi
ha assunto toni da crociata. «La lotta contro il cambio climatico è come
una guerra che deve essere vinta», ha dichiarato il Principe nella sua recente
visita a New York, con toni più da leader politico che non da erede al
trono.
Ed è quest’atteggiamento militante, unito a una serie di nuovi
atteggiamenti piuttosto ostentati, come quello di aver deciso di usare aerei di
linea per i suoi spostamenti, e quand’è possibile i treni, che stanno
creando una certa irritazione all’interno della Famiglia Reale. Un conto,
infatti, è il tradizionale amore per la campagna della nobiltà
inglese, recentemente descritto anche nel film «The Queen», che raffigurava la Regina
Elisabetta sullo sfondo dei dolci paesaggi delle famose tenute reali. E un
conto è il fondamentalismo che ha improvvisamente ricollocato Carlo a
sinistra di Tony Blair, che ha fatto della campagna contro il «climate change»
il cavallo di battaglia del suo gran finale. I termini usati dalla Casa Reale,
ovviamente, sono cauti. Ma un’alta fonte ha confermato all’Evening Standard
l’«ansia» e l’«imbarazzo» per le ultime uscite di Carlo dei suoi familiari. A
giudizio dei quali, Regina compresa, la «pur rispettabile» determinazione del
Principe in campo ecologico potrebbe avere un «impatto dannoso» sugli altri
membri della Famiglia Reale, facendoli apparire o in disaccordo o meno
sensibili ai problemi dell’ambiente. Soprattutto, finchè la Regina
rimane al suo posto, è a lei che toccano eventuali aggiustamenti di
linea, non all’erede, che, in questo modo, rischia di apparire impaziente e
instabile.
Che Carlo abbia sempre vissuto in modo meno aristocratico, più
campagnolo, se così si può dire, la passione per la natura, il mondo
agricolo, i cibi naturali e il buon vino, è noto. Tre anni fa, alla
prima edizione di «Terra nostra», il grande happening globale organizzato da
Carlin Petrini, il Principe era la star, e per tre giorni, ospite del guru di
Slow food, si trattenne incuriosito dai cinquemila contadini di tutte le razze
e di tutto il mondo piovuti a Torino e in Piemonte. Più di recente, qui
in Inghilterra, testimone della passione verde di Carlo è diventato
Antonio Carluccio, piemontese di Ivrea, da 35 anni a Londra, dove ha fondato
una catena di ristoranti e per questo, due sere fa, ha ricevuto un premio come
esempio di imprenditore dal ministro della Cultura Tessa Jowell. Carluccio
è diventato famoso per aver introdotto nel panorama gastronomico
internazionale inglese i funghi: ma quel che non si sapeva, e che l’altra sera
lui stesso ha raccontato divertito, è che a cercarli, di tanto in tanto,
va in compagnia del Principe Carlo. Il vero punto di dissenso tra il Principe e
i reali riguarda gli aerei. Abituati, anche per ragioni di sicurezza, a
muoversi con i mezzi della flotta reale o con aerei privati, e a fare un certo
uso di elicotteri per piccoli spostamenti, i membri della famiglia non hanno
visto bene che Carlo, nel suo recente viaggio in Usa, abbia deciso di usare la
British Airways, occupando l’intera cabina di prima classe di un jet di linea
con un seguito di venti persone, e procurando una spesa all’Erario di oltre 150
mila sterline, più di 225 mila euro. Che questo possa essere presentato
come contributo alla limitazione delle emissioni, francamente, è un po’
troppo.
Ma Carlo insiste, annuncia che ha intenzione di sostituire, in tutte le
occasioni possibili, gli elicotteri con i treni, e lascia trapelare, ad arte,
di aver ordinato ai suoi autisti di lasciare le auto in garage e servirsi delle
biciclette per sbrigare le piccole commissioni. A parte i problemi familiari,
aggravati dal fatto che la Regina è convinta che dietro il cambio di
passo del figlio ci sia un incoraggiamento, neppure tanto nascosto, della nuova
moglie Camilla Parker Bowles, la svolta verde del Principe sta già
determinando conseguenze politiche. Carlo è al centro dell’attenzione
del Parlamento e bersaglio di interrogazioni che vogliono conoscere i costi
delle residenze di campagna, recentemente ristrutturate, riadattate e rese
più idonee all’uso intenso che l'erede al trono ne fa. Il principe
finora ha evitato di rispondere formalmente sostenendo che i costi non pesano
sui cittadini. Ma la campagna parlamentare continua, e la sensibilità
dei sudditi di Sua Maestà su questo terreno è molto forte, anche
se i costi della Casa Reale, grosso modo, sono calcolati in 62 pences, meno di
una sterlina all’anno per ogni cittadino.
La vera prova del nove è attesa per maggio, quando la Regina Elisabetta
e il Principe Consorte Filippo partiranno per Washington, attesi da Bush alla
Casa Bianca, per quella che è ufficiosamente considerata l’ultima visita
della sovrana negli Stati Uniti. E’ praticamente scontato che i Reali
d’Inghilterra viaggeranno con l’aereo di Stato: ma è altrettanto chiaro,
come dimostra l’imbarazzo fatto filtrare nei giorni scorsi, che si sarebbero
volentieri risparmiati di diffondere la sensazione che la scelta, assolutamente
ovvia, di due anziani monarchi, di non volare con gli aerei di linea, possa
suonare come di dissenso rispetto alla novità introdotta dall’erede al
trono.
Da La Repubblica 4-2-2007 "Aziende, giornalisti e politici
così spiavo per conto della Pirelli" DI P.
COLAPRICO, G. D'AVANZO ed E. RANDACIO
Da
crimelist.it 3-2-2007 “Internet, l’altra
guerra di Al Qaeda”di Giovanni Ricci
Da La
Stampa 3-2-2007 Perchè siamo indulgenti sulla
cocaGIANCARLO DOTTO
Da La
Stampa 3-2-2007 NÉ COL PAPA NÉ CON LUTERO . La terza via di Giordano Bruno ANNA
FOA
Da La
Repubblica 2-2-2007 Bce alzerà i
tassi a marzo poi probabile pausa
Da La Repubblica
4-2-2007 "Aziende, giornalisti e
politici così spiavo per conto della Pirelli"
DI P.
COLAPRICO, G. D'AVANZO ed E. RANDACIO
MARCO Bernardini è il testimone chiave dell'inchiesta sui dossier
illegali raccolti dalla Security Pirelli/Telecom. Dal 5 agosto dello scorso
anno a oggi, è stato interrogato quattordici volte dai pubblici
ministeri di Milano. Quarantanove anni, romano, per dodici anni - racconta - ha
lavorato nel Sisde come collaboratore "a contratto" prima di esserne
espulso e di avviare un'agenzia privata di investigazioni, filiale italiana
della Global security dell'ex agente Cia Spinelli. Per i giudici milanesi le
sue dichiarazioni "sono risultate puntualmente riscontrate da dati
oggettivi e documentali".
Signor Bernardini, quando ha conosciuto Giuliano Tavaroli, l'ex capo della
security Telecom?
"A Barcellona, nell'autunno del 2000, durante una convention della Pirelli
al Hotel rey Juan Carlos. Ero incaricato della sicurezza "esterna" di
Marco Tronchetti Provera. In quell'occasione, il capo della sicurezza personale
del dottore, Tiziano Casali, mi presentò Giuliano. A gennaio del 2001,
il legame professionale si fece più stretto e l'attività
più intensa. Giuliano organizza una propria squadra antiterrorismo, dopo
che allo stabilimento della Bicocca erano stati fatti trovare dei volantini di
minaccia delle Brigate rosse a dirigenti della Pirelli. Io entro a far parte di
quel gruppo, e da allora comincio a ricevere altri incarichi con
un'attività a 360 gradi delle problematiche Telecom".
Ci può fare qualche esempio delle sue attività e delle
"problematiche"?
"A quel tempo, lavoravo soprattutto all'estero. Balcani, Est Europa e Nord
Africa. Dovevo valutare, per Pirelli, i rischi delle turbolenze politiche, o di
possibili aggressioni criminali. All'epoca, rendevo conto a Gianpaolo Spinelli
che da Washington fatturava il lavoro o alla Polis d'Istinto di Emanuele
Cipriani o direttamente a Pirelli . E' in questo primo arco di tempo, primi
mesi del 2001, che mi occupai di Telekom Serbjia".
Ma Pirelli non aveva ancora conquistato Telecom Italia, che interessa aveva
a sapere di Telekom Serbija?
"Non lo so. Evidentemente avevano già deciso l'acquisizione perché
mi chiesero di capire come erano girati i soldi nell'acquisto dell'azienda di
Belgrado".
Lei, a Matrix, ha detto che sarebbe stato Marco De Benedetti a soffiare le
informazioni a Repubblica per l'inchiesta Telekom Serbija...
"In realtà quella era una voce, un gossip che girava in azienda. Mi
chiesero di controllarla e conclusi che si trattava, appunto, soltanto di una
voce".
Quali furono gli ulteriori incarichi ricevuti in quel periodo?
"Mi chiesero di monitorare i dirigenti che la Pirelli intendeva
allontanare da Telecom".
Può farci dei nomi?
"Vittorio Nola (segretario generale) e Piero Gallina (capo della Security)
e persone a loro collegate. Un altro incarico, invece, mi fu affidato da Adamo
Bove. Mi chiese di indagare sui dipendenti che vendevano i tabulati della
società e sul traffico di e-mail strategiche che venivano trasmesse da
funzionari infedeli ai concorrenti. Dopo la sua morte alcuni testimoni hanno
raccontato che Bove, nel suo ufficio, a tarda ora, incontrava un uomo. Lo hanno
ribattezzato "l'uomo dei misteri". Quel signore ero io. Era l'unico
modo per riferirgli, senza essere visto, gli esiti delle mie indagini.
Per il resto si trattava di routine".
Per esempio?
"Una volta, in Turchia, abbiamo scoperto una fabbrica di testine
contraffate per Olivetti. Allora ci siamo finti clienti e, una volta
riscontrato che la truffa era vera, li abbiamo fregati noi e abbiamo fatto
intervenire la finanza. Si chiamano operazioni "Sting", pungiglione.
Ma altre volte dovevo valutare gli effetti in Venezuela della presa del potere
di Chavez, oppure di dare conto delle manifestazioni in Egitto che si
svolgevano davanti alla Pirelli. A volte, i controlli potevano riguardare
più semplicemente operatori infedeli che, manipolando le tariffe sui
telefoni, baravano per far ottenere bollette più leggere agli amici che,
poi, li ricompensavano".
Queste erano operazioni di difesa degli interessi della società, ma
ci sono state anche operazioni di "attacco" agli interessi di
concorrenti o contro gli avversari economici, finanziari, politici?
"Certo, le sting operation di cui parlavo prima".
Lei vi ha partecipato?
"A qualcuna, sì".
Contro chi, per esempio?
"Io ho indagato Emilio Gnutti e Carlo De Benedetti".
Dove ha raccolto il materiale?
"Sostanzialmente mi sono affidato a miei contatti nel Sisde che mi hanno
permesso di entrare in possesso di fascicoli raccolti dal Servizio sui miei
obiettivi".
Come erano formati questi fascicoli, e soprattutto perché venivano raccolti?
"Preferisco non dare dettagli. Quel che posso dire è che i miei
contatti al Sisde mi consegnavano informazioni e notizie non protocollate che
io penso fossero a disposizione o dell'archivio centrale del Servizio o degli
archivi periferici.
Chi le ordinava questo lavoro di dossieraggio?
"Giuliano Tavaroli per conto della Pirelli".
Lei ha mai chiesto a Tavaroli perché Pirelli aveva bisogno di queste
informazioni e quale fosse poi il loro utilizzo?
"Sentite, non usa tra di noi fare queste domande. La sola domanda
legittima è sapere quanto costa. Non si discute nemmeno di come
verrà fatto il lavoro. Nessuno vuole saperlo. Conta l'esito. All'inizio
della mia collaborazione, il lavoro veniva distribuito da Pirelli e Telecom
alla Polis d'Istinto di Cipriani. Quando la Polis finisce sotto inchiesta e non
offre più le necessarie garanzie, l'attività è stata
diciamo "compartimentata" per settori. Non c'era soltanto la mia
Global al lavoro, ma altre agenzie di Roma, e del Nord Italia..... La Wolf 121
di Santarelli, l'agenzia di Nicolò Rizzo la Althon di Novara, l'agenzia
di Londra. Ognuno aveva un campo. Io penso che c'era chi si occupava di
politici, chi della gente di spettacolo, chi delle banche, chi dei fornitori e
dei dipendenti".
Altre "operations"?
"Ci sono state su Brancher (Forza Italia) e Cesa (Udc), io mi sono
occupato dei fratelli Bisignani, dell'ex marito di Afef, Marco Squatriti. E di
Tremonti e Bossi. Su questi ultimi, avevo il compito di trovare un contratto
dal notaio, ma non venni a capo della questione. E ancora. Nel corso
dell'inchiesta che mi fu commissionata su Calisto Tanzi e il crac della
Parmalat, mi chiesero di indagare su Diego Della Valle. Mi rivolsi a un
ufficiale dell'ufficio informazioni della Guardia di Finanza di Firenze al
quale girai alcune informazioni bancarie che lui verificò. Il dossier su
Della Valle mi venne pagato 10 mila euro".
Lei c'entra con le indagini illegali ai danni del vicedirettore della
Corriere della Sera, Massimo Mucchetti?
"Si".
Com'è andata?
"Le cose andarono così: Fabio Ghioni (il responsabile della
Information security, la sicurezza elettronica di Telecom, ndr) mi portò
fuori dall'ufficio di via Victor Hugo, in un baretto. Sospettavamo che le
nostre stanze potessero essere "microfonate" e mi chiese di muovermi
su Massimo Mucchetti e Rosalba Casiraghi, del collegio sindacale. Il giornalista
scriveva degli articoli dove si anticipavano le strategie del gruppo e non si
riusciva a capire da chi ricevesse informazioni così sensibili. Ghioni
mi chiese di individuare le fonti e l'indirizzo e-mail, mi assicurò che
non c'erano problemi per il compenso. Credo di aver utilizzato per lo meno 20
uomini. Seguivano Mucchetti dalla mattina alla sera. Dovevo controllare le due
entrate del Corsera di via Solferino e via San Marco, la sua casa di Brescia, i
suoi viaggi in treno. Ricordo che affollai il suo vagone con extracomunitari
che dovevano osservare se magari sul treno Mucchetti scambiasse documenti con
qualcuno. Poi ingaggiai una ragazza che magari lo poteva incuriosire fino al
punto da cominciare una corrispondenza via e-mail. A quel punto ci avrebbe
pensato Ghioni all'intercettazione telematica. Ci siamo informati anche degli
spostamenti aerei. Quando Mucchetti doveva volare, andavamo al check in e
facevamo sedere Mucchetti a fianco della ragazza in modo che lei gli rubasse
qualche informazione. Alla fine, credo di aver mosso intorno a Mucchetti una
cinquantina di persone. Ma, lo ripeto, non avevo problemi di budget, come
avvenne anche in un'altra occasione, quando attraverso le telecamere interne
scoprimmo che una donna delle pulizie, di origini cubane, fotocopiava i
documenti nell'ufficio di Giuliano. La seguimmo a lungo scoprendo che era
pedinata anche da altre persone, probabilmente uomini delle forze dell'ordine
in borghese. Utilizzavano auto italiane con targhe che risultarono sconosciute.
La donna portava i documenti nella sede milanese del Coni a un uomo. Ma non
abbiamo mai scoperto la sua identità. Era un vero professionista.
Riusciva a depistarci. Mai in auto o in moto, usava soltanto trasporto pubblico
e, in metropolitana, cambiava ripetutamente vettura, linea e direzione".
Ha spiato altri giornalisti?
"Una collaboratrice di Panorama".
Che cosa era accaduto?
"La ragazza si era presentata da Gad Lerner con il cd che, in codice,
chiamavamo "Tokio". Era l'operazione che avevano fatto in Brasile su
Dantas e la Chico. Di quel cd c'era una sola copia nella cassaforte di
Tavaroli. Come diavolo aveva fatto la collaboratrice di Panorama ad averne
un'altra? Questo era il nostro problema. Dunque, la ragazza va da Lerner e le
propone il cd. Lerner va da Marco Tronchetti Provera a dire che in giro
c'è quel cd e a quel punto Giuliano Tavaroli volle conoscere i movimenti
e i contatti della ragazza".
Ha spiato anche i magistrati Gerardo D'Ambrosio e Gherardo Colombo?
"Mi arrivò la richiesta per fax da Pirelli di interessarmi a un
Colombo e a un D'Ambrosio. Francamente non penso che si trattasse dei due
magistrati. Perché una richiesta così delicata non mi sarebbe arrivata
per fax. Ma comunque, della cosa non mi occupai io, ma Tega, uno dei miei, e non
so dire l'esito di quel lavoro. E quanto dico a voi l'ho detto in questi giorni
ai magistrati".
Che tipo di rapporto aveva la sua agenzia investigativa fondata con l'ex
agente Cia, Gianpaolo Spinelli, con organi istituzionali, intelligence, forze
di polizia?
"Vi posso raccontare solo un episodio. Un giorno di gennaio del 2005
Spinelli ritorna in ufficio furibondo. Mi spiega che una sua fonte
istituzionale gli ha svelato che l'ufficio e tutte le auto usate in servizio
erano piene di roba. Avevano messo cimici e telecamere dappertutto. Siamo
andati a verificare sul computer dell'entrata degli uffici, dove risultava che
effettivamente alcuni giorni prima, alle 3 di notte, c'era stato un ingresso
anomalo".
Che rapporti la "struttura Telecom", e le agenzie investigative
legate a quella struttura, avevano con il Sismi?
"Prima che me lo chiediate, vi dico che io Marco Mancini (ex-capo del
controspionaggio) l'ho visto una sola volta e non mi è stato nemmeno
presentato. Per quello che ho capito io, non c'era un rapporto diretto tra
Giuliano Tavaroli e il Sismi, ma credo che questo rapporto passasse attraverso
i contatti del dottor Marco Tronchetti Provera con Palazzo Chigi, dove io
spesso l'ho accompagnato in qualità di responsabile della sua scorta. Guardate
per esempio, il caso Pironi. Luciano Pironi è quel carabiniere dei Ros
che partecipa al sequestro di Abu Omar. E' una collaborazione con la Cia che
dovrebbe permettergli di entrare nel Sismi. Ma, per entrare nel Sismi, Pironi
non si rivolge al suo amico di lunga data Marco Mancini, ma a Tavaroli".
E per i rapporti con il Sisde?
"Anche in questo caso, le cose sono chiare con un episodio. So per certo
che Giuliano venne contattato dal Servizio che gli offrì del denaro in
cambio di intercettazioni telefoniche. Giuliano rifiutò. A differenza di
un altro responsabile di una società concorrente al quale, secondo
quanto ci risultava, venivano passati 10 mila euro al mese per la sua
collaborazione".
Un agente vicino al direttore del Sismi dice che anche Tavaroli fosse pagato
dalla Cia...
"Era una voce che girava nel Sismi, ma non so se fosse vera".
Che rapporto ha avuto con Adamo Bove?
"Io penso che Bove sia diventato, in questa storia, una sorta di capro
espiatorio che non si può difendere. Ora, sia Ghioni sia Caterina Plateo
dicono che fosse Bove a commissionare le intercettazioni abusive. Però,
vedete, io so soltanto che Bove non sopportava la Plateo e anche la Plateo non
amava Bove. Non riesco a immaginarlo chiedere un'attività non del tutto
lecita a una persona che gli era ostile. Anzi, sono portato ad
escluderlo".
Che cosa pensa del suicidio di Bove?
"La mia opinione è che sia stato ammazzato, o indotto al suicidio.
I testimoni della sua morte hanno riferito della presenza di un furgone bianco
in zona. Se così fosse, la tecnica è tipica dei professionisti.
Di un'auto che insegue la sua "preda". L'affianca. La costringe a
fermarsi. Poi si apre il portellone del furgone. Non ci vuole molto tempo.
Pochi secondi... So, comunque, che un uomo, come Bove, che soffre di vertigini
non si getta da un ponte quando, armato com'è, può spararsi in
testa. Era stato indicato da Giuliano come il suo successore, ma c'erano anche
altri pretendenti. Lui, nella Security di Telecom, certi strumenti non li avrebbe
utilizzati".
Quale è oggi la sua opinione su Giuliano Tavaroli?
"Quando sono stato in difficoltà, Giuliano mi ha dato del lavoro.
Mi ha permesso di sostenermi. Anche quando è caduto in disgrazia ed
è stato trasferito in Romania, mi ha portato con sé. In quel periodo,
Giuliano era molto amareggiato. Mi diceva "dopo tutto quello che ho fatto,
l'azienda mi ha lasciato solo... E fanno finta di non conoscermi"".
(4 febbraio 2007)
Il
titolare della Difesa: «Lettera irrituale». Prc, Verdi e comunisti si schierano
con il ministro: «Ha ragione, è una interferenza»
ROMA
— Non dovevano farlo. Non dovevano entrare in quello che è un
dibattito interno su una questione delicatissima. Non dovevano insomma - gli
ambasciatori di Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, Canada, Olanda e Romania
- rivolgersi
agli italiani, con una lettera, per chiedere di restare in Afghanistan. Lo
pensano nei partiti che da Kabul se ne vogliono andare - Rifondazione, Pdci, Verdi - ma lo pensa anche il ministro della Difesa, Arturo
Parisi. Ed al momento, in vista del vertice di maggioranza annunciato da Prodi
per la prossima settimana, è uno dei pochi punti su cui nella coalizione
si registra un deciso accordo tra sinistra estrema e centristi. Perché i
sospetti reciproci sono ancora forti, le idee su cosa fare sia in Afghanistan
che sulla base Usa di Vicenza continuano a divergere. E l'opposizione incalza:
«Prodi si dovrebbe dimettere», dice l'azzurro Fabrizio Cicchitto, richiesta
«giusta» secondo Pier Ferdinando Casini ma anche «destinata a rimanere tale,
perché Prodi non lo farà», e comunque l'esecutivo non può essere
considerato al capolinea, ritiene Gianfranco Fini: «Questo governo è
politicamente debolissimo, e proprio per questo non è detto che cada
domani...».
AMBASCIATORI
«RESPINTI» — Sono dure le parole di Parisi, che premette di parlare da «uomo
politico» prima ancora che da ministro: «Pur totalmente condivisibile negli
argomenti, una "lettera aperta agli italiani" da parte di
ambasciatori mi sembra una iniziativa inusuale e, se si guarda al rispetto
della nostra sovranità, come minimo irrituale». Infatti, prosegue il
ministro della Difesa «gli ambasciatori sono rappresentanti di Stati
accreditati presso il nostro Stato che hanno il compito di rappresentare i loro
Stati su mandato delle loro autorità». Il rapporto con gli italiani
«è invece compito delle autorità, delle forze politiche
italiane». E comunque, conclude Parisi, per quanto gli argomenti della lettera
siano «condivisibili» lo sono «a partire da un giudizio che resta autonomo, e
non trae perciò vantaggio da sollecitazioni esterne» e «la
fedeltà alle alleanze non è e non può essere dissociata
dalla autonomia delle scelte». Insomma, niente ingerenze. Naturalmente,
d'accordissimo con Parisi si dicono gli esponenti della sinistra radicale:
parla di una «inedita, inaudita e indebita interferenza esercitata tramite
pressione sull'opinione pubblica» il capogruppo del Pdci Pino Sgobio, mentre il
collega capogruppo del Prc Gennaro Migliore si dichiara «d'accordo con Parisi
con questa contestazione di metodo», e il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro
Scanio è altrettanto critico: «Se quella lettera è un tentativo
di influenzare il dibattito italiano allora è sbagliato: noi non
scappiamo ma puntiamo a costruire una strategia di pace».
CDL
ALL'ATTACCO — Tutt'altro, come è ovvio, l'atteggiamento
dell'opposizione: «Figuriamoci cosa sarebbe successo se una lettera come quella
fosse stata recapitata a noi quando governavamo: sarebbero saltati tutti
addosso a Berlusconi a gridargli "vergogna!"...», scuote la testa
amaro il portavoce dell'ex premier, Paolo Bonaiuti. «Il fatto è che -
spiega il capogruppo al Senato di An Altero Matteoli - quella lettera è
davvero imbarazzante», perché come aggiunge il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa
«è il segno che le liti politiche sull'Afghanistan stanno suscitando
scalpore a livello internazionale», e dunque, riprende Matteoli «è
sempre più urgente un chiarimento politico di Prodi davanti alle
Camere». Già, ma per ottenere cosa? Silvio Berlusconi, mentre chiede le
dimissioni di Prodi, ai suoi continua a ripetere che «un governo così
debole non è detto che cada, perché il fatto che non siano d'accordo
nemmeno su un'alternativa al premier o su una formula di passaggio, li tiene
uniti: se si andasse alle elezioni oggi, sarebbero spazzati via». E però
«così, lontano non vanno: si stanno logorando sempre più ».
VERSO
IL VERTICE — Eieri è stata una giornata ancora tesa nella
maggioranza, nonostante l'invito lanciato da Romano Prodi alla
«responsabilità» perché la «via della pace» sarà trovata. Restano
infatti i sospetti incrociati tra Margherita e sinistra, come dimostrano le
parole del ministro Paolo Ferrero: «Rutelli ha operato un completo
rovesciamento dei fatti, lo strappo in Senato non è stato da parte della
sinistra. Forse dovrebbe guardare a casa sua», rintuzzate dal ministro
centrista Beppe Fioroni: «Invece di perseguire ipotesi fantapolitiche o logiche
da "dagli all'untore", è bene che tutti noi si abbia forte la
consapevolezza che la responsabilità e la coesione si costruiscono nella
reciprocità e non fidando sullo sforzo e l'impegno unilaterale dei
più». Si capisce così come il dipietrista Nello Formisano abbia
una sola cosa da consigliare a tutti in attesa del chiarimento politico:
«Sarebbe opportuna una moratoria delle dichiarazioni».
04
febbraio 2007
Da crimelist.it
3-2-2007 “Internet, l’altra guerra di Al
Qaeda”di Giovanni Ricci
I.1 – Internet e Terrorismo; I.2 –
Definizione di cyberterrorismo; I.3 – La rete terroristica
internazionale.
Le vulnerabilità nel mondo dell’ICT
(Information Communication and Technology) sono ormai ampiamente
documentate dalla letteratura specialistica[1]. Le organizzazioni che fino ad oggi hanno
potuto godere di una apparente sicurezza, basata su
una conoscenza delle loro vulnerabilità piuttosto limitata e su un
ridotto numero di accessi esterni della loro struttura informatica, devono fare
adesso i conti, oltre che con “insider” infedeli e “hacker”
che si intrufolano sfruttando insospettabili “backdoor[2]“ e “trapdoor[3]“ (utilizzate solitamente dagli stessi programmatori per muoversi
nei software da loro realizzati senza dover seguire i passaggi previsti ed
essere soggetti a controlli[4], anche con gruppi terroristici che hanno
individuato nell’ICT un possibile target e uno strumento operativo. La
connettività costituisce in effetti il maggior punto debole in termini
di sicurezza informatica. Come sottolinea in merito Corrado Giustozzi,
giornalista scientifico ed esperto di sicurezza informatica: “…fino a quando
i computer sono stati utilizzati solo in modo “stand-alone” all'interno delle
organizzazioni, i problemi di sicurezza sono stati tutto sommato pochi e di
tipo ben determinato, legato essenzialmente ad episodi di provenienza interna e
di matrice ben nota (ad esempio infedeltà dei dipendenti e così
via). Ma la vera rivoluzione nel modo di utilizzare i computer, che ha poi dato
origine a tutti i problemi di sicurezza che oggigiorno ci troviamo a dover
fronteggiare, è stata l'introduzione di Internet e delle reti globali di
comunicazione digitale…”[5]
La capillare diffusione di Internet e dei
sistemi telematici tra i privati cittadini, nelle aziende e nella pubblica
amministrazione, ha infatti da tempo messo in evidenza le problematiche legate
all’integrità, alla riservatezza dei dati e alla certezza della fonte
informativa. Le nuove tecnologie, di fatto, evidenziano problemi non comuni di
difesa degli interessi dei privati e dello Stato. La società moderna ha
raggiunto, attraverso l’Information Tecnology, dei livelli di
organizzazione elevatissimi, specie nell'ambito del terziario avanzato e della
finanza[6],
ma è diventata vulnerabile a un nuovo genere di terrorismo, consumato
non più con le armi da fuoco ma con le tastiere dei computer. In questo
scenario si comincia a delineare l'inizio di una nuova forma di antagonismo
violento in grado di minacciare le Nazioni più avanzate
tecnologicamente. Una modalità terroristica che non mira più,
principalmente, all'eliminazione fisica degli avversari politici solo
attraverso operazioni militari (bombe, esecuzioni, stragi eccetera) ma che
punta anche sulla guerra dell'informazione e individua nei sistemi informatici
“critici” della società tecnologica i possibili obbiettivi di attacco.
Per numerosi esperti internazionali si tratta di una nuova generazione di
terroristi, per certi versi molto più pericolosa di quelle del passato,
in grado di sfruttare le nuove opportunità di comunicazione e
organizzative offerte dalla telematica, da utilizzare poi con finalità
eversive. L'accesso alla telematica da parte delle compagini terroristiche
sembra indurre in esse anche delle modifiche strutturali ed organizzative
soprattutto per quanto riguarda le modalità di compartimentazione,
comunicazione e proselitismo. La correlazione tra terrorismo e telematica si
può manifestare in pratica attraverso quattro dinamiche fondamentali[7]:
1. la distruzione di
sistemi informatici critici (es. siti web o archivi elettronici);
2. attività distruttive
che sfruttano un sistema telematico (es. scambi ferroviari,
impianti idrici e termici, torri di controllo aereo eccetera);
3. attività
logistiche del gruppo;
4. attività di
acquisizione di informazioni sensibili attraverso le reti telematiche.
La produzione internazionale di studi
attinenti il cyberterrorismo è prevalentemente orientata su ipotesi di
possibili attività di tipo offensivo-distruttivo di strutture
informatiche e telematiche vitali, individuando, nello stesso momento,
compagini cyberterroristiche che utilizzano la telematica come supporto
della loro organizzazione e come strumento di comunicazione riservato. Da
quanto sembra delinearsi nel panorama mondiale (e i fatti dall’11 settembre
vanno in questa direzione), per molte formazioni terroristiche le
attività di supporto offerte dalla telematica assumono quindi un ruolo
ben più importante di quello rivestito dalle attività
offensive-distruttive “Old Style”.
Nel 1997, il Gabinetto di Guerra degli
Stati Uniti organizzò una di quelle esercitazioni definite “senza
preavviso” per verificare la capacità del Pentagono di rilevare e
contrastare un attacco informatico coordinato, scatenato contro varie
installazioni militari e reti critiche di computer. Una simulazione è
vero, ma mirata alla verifica dello stato di sicurezza. L’operazione ebbe il
nome in codice di “Eligible Receiver”[8]. La direzione strategica dell’operazione
fu lasciata ai dirigenti della National Security Agency – N.S.A.,
loro il compito di reclutare gli hackers che una volta dispersi nel Paese
avrebbero portato a termine gli attacchi D.o.S. (Denial of Service). Il
risultato fu sbalorditivo, il “Red Team” (così vennero soprannominati
gli hackers) usando solo strumenti di pirateria informatica disponibili a
chiunque su Internet, avrebbero potuto rendere inefficiente una buona parte del
sistema di controllo militare dell’America. Ben presto, fu chiaro come
l’esercitazione aveva rivelato vulnerabilità nel sistema informatico
americano che avrebbe potuto avere implicazioni catastrofiche per l’intera
infrastruttura nazionale.
La President’s Commission on Critical
Infrastructure Protection era stata costituita solo un anno prima
dell’esercitazione Eligible Receiver. Suo scopo era lo studio delle
implicazioni legate alla sicurezza nazionale indotte dall’incredibile
velocità di sviluppo della tecnologia dell’informazione e, in particolare,
della grande velocità alla quale tutte le infrastrutture critiche
statunitensi stavano migrando verso internet. Nel mese di ottobre 1997 la
Commissione fornì al Presidente un rapporto che descriveva in dettaglio,
l’impatto potenzialmente devastante che la mancanza di attenzione alla
sicurezza informatica avrebbe potuto avere sulla sicurezza globale della
nazione e sulla sua stabilità economica, come poi sarebbe accaduto l’11
settembre 2001.
I.2. Definizione di
cyberterrorismo
Se gli USA sono il paese più
avanzato dal punto di vista dell'utilizzazione di tecnologie informatiche e se
è vero che sono in grado di sfruttare appieno un potenziale notevole di
“cyberarmamenti” è anche vero che al momento dell’11 settembre erano il
paese maggiormente vulnerabile ad attacchi informatici. Da tempo gli Stati
Uniti erano coscienti di questo e molti studiosi si sono occupati di tale
problematica. Già nel 1977 Robert Kupperman[9], esperto statunitense di terrorismo, ammoniva
sulla crescente vulnerabilità derivante da attacchi portati a sistemi di
gestione informatizzata delle informazioni in agenzie governative e
realtà aziendali e tali previsioni sono state ribadite da numerosi altri
studiosi statunitensi. Le più verosimili definizioni delle strutture e della azioni di cyberterrorismo vengono quindi dal panorama
scientifico U.S.A. Il termine cyberterrorismo viene coniato nel 1980 da Barry
Collin, ricercatore dell’Institute for Security and Intelligence della
California e definito come la convergenza dei termini cyberspazio e terrorismo[10]. Nel 1997 Mark Pollitt, agente speciale
dell'F.B.I., elabora una definizione di
cyberterrorismo che tende ad associare il termine ad attacchi premeditati e con
scopi “politici” portati alle informazioni o a sistemi informatici di gestione
dell'informazione che possano determinare conseguenze “violente” contro
obiettivi che non siano in stato di guerra[11]. Denning[12] estende la definizione di Pollitt
includendo nella categoria degli atti cyberterroristici anche attacchi
politicamente motivati che possano causare gravi perdite
economiche, di elettricità o acqua. Per altri autori, infine, il
cyberterrorismo è un sottoinsieme della più ampia categoria detta
Infowar (Information Warfare[13]). L'Infowar è caratterizzata dallo
studio di metodologie di attacco/difesa di strutture di gestione delle
informazioni e/o delle informazioni stesse. Occorre sottolineare che il
problema del corretto inquadramento (anche in termini di definizione) di
attività terroristiche nell’ambito della Infowar (nonché la definizione
stessa di Infowar) non sembra essere stato completamente chiarito e in alcuni
casi devono rilevarsi delle classificazioni discutibili sia per
contenuti sia relativamente all'utilità operativa (cioè “sul
campo”)[14].
La classificazione del terrorismo informatico è resa talvolta
difficoltosa anche dalla generale poca attenzione prestata a specifiche
tipologie terroristiche e/o eversive (tradizionali) e si consideri, ad esempio,
che una maggiore definizione di terrorismo è comparsa
in maniera specifica, in Italia, solo ultimamente[15]. Il terrorismo informatico (o
cyberterrorismo, termine che utilizzeremo in questa sede come equivalente)
potrebbe essere definito come “l'utilizzo di tecnologie informatiche
(computer; network informatici, software, ecc.) al fine di procurare un
vantaggio in una azione o strategia terroristica”. La definizione proposta,
quindi, prevede sia un utilizzo non previsto dai progettisti di un determinato
strumento (ad es. sfruttare una vulnerabilità di un programma per
computer) sia un uso che, seppur perfettamente in linea con le finalità
progettuali[16],
è sfruttato come supporto alla strategia terroristica. In questo
contesto, come si evidenzierà in seguito, le possibilità
offensive distruttive su obiettivi logico-fisici di una operazione
cyberterroristica, come quelle condotte dal terrorismo islamico, sono l'aspetto
più difficile da prevedere per tutte le agenzie governative di
sicurezza.
I.3. La rete
terroristica internazionale
È cosa nota che ci siano state, ed esistano tuttora, delle forti problematiche
nella definizione esatta di che cosa sia il terrorismo, causate proprio dalla
complessità del concetto[17] e dalle prospettive ideologiche.[18]
Si può ragionevolmente dire che il
terrorismo è essenzialmente una modalità violenta e spettacolare
di lotta e/o rivendicazione politica non solo a scapito dell’avversario formale
ma, soprattutto, a scapito della popolazione civile al fine di poter ricattare
le autorità politiche. Il terrorismo si manifesta in tante forme
diverse, ma con la comune finalità di utilizzare la violenza in modo
così imprevedibile e spettacolare, senza limiti morali e umani, da
riuscire a creare uno stato di terrore che porta allo shock, alla
completa paralisi. Oltre alle sporadiche azioni talvolta definibili come atti
terroristici da parte delle organizzazioni localmente circoscritte, etichettate
come “terrorismo convenzionale interno” (ad es. Brigate Rosse in Italia,
Rote Armee Fraktion in Germania noto anche come Gruppo Baader-Meinhof, Red
Army in Giappone, Action Directe in Francia, ETA in Spagna,
alcuni gruppi anarco-insurrezionalisti e/o neo-nazisti in vari paesi europei,
gruppi fondamentalisti islamici operativi solo nell’area di loro interesse, o
alcuni gruppi separatisti etnici e territoriali), esiste il terrorismo di scala
planetaria etichettato come “internazionale” ed è ritenuto il più
insidioso e pericoloso per la convivenza civile o addirittura per la
sopravvivenza stessa delle istituzioni democratiche, il cd. terrorismo islamico
globale.
È proprio la natura globale endemica
di questo terrorismo islamico che sta condizionando l’assetto della politica
internazionale di quasi tutti i paesi dell’Occidente, del Medio Oriente e
dell’Asia orientale durante gli ultimi anni. La portata globale del terrorismo
islamico internazionale è determinata da:
la disponibilità di mezzi finanziari
dei gruppi islamici basati nei paesi ricchi di petro-dollari (area del Golfo
Persico e del Medio Oriente); il numero di fedeli musulmani (più di un
sesto dell’umanità), e la loro presenza in tutti i continenti, tra cui
l’estremismo ed il fondamentalismo trova l’humus culturale;
la religione islamica (Islam) come
unico super fattore-collante (the paramount factor) sopra le divisioni
etniche, territoriali o settarie nei numerosi stati post-coloniali del Medio
Oriente (i cui confini sono stati arbitrariamente tracciati dalle potenze
coloniali egemoni nel XX secolo).
Questo terrorismo sembra trovarsi
perfettamente a suo agio nell’attuale scenario geopolitico e nell’attuale
sistema della rete di tecnologia informatica e mediatica, riuscendo negli
ultimi anni a concretizzarsi in una vera e propria multinazionale del terrore,
come è successo con il movimento di Al-Qaeda[19]. Questa formazione
terroristica non sembra un’organizzazione strutturata, ma piuttosto
un nodo di una vasta rete capillarmente ramificata dove, anche senza contatti
diretti, le varie cellule sono in grado di comunicare tra di
loro e di supportare le azioni terroristiche da una parte all’altra del mondo.
Con la natura non specificamente
territoriale delle rivendicazioni (conflitto di civiltà piuttosto che di
confini o risorse) e con la base di classe medio-alta (istruita, agiata, con
esperienze di studi e/o lavori in Occidente) delle reclute, Al-Qaeda è
in perfetta sintonia con le linee evolutive della società moderna. Da
qui una sua naturale propensione a predisporre la propria ideologia e le
proprie modalità operative in un network globale, a dislocare in
differenti zone del pianeta i propri campi di reclutamento e addestramento, ad
avere perfetta familiarità con le nuove tecnologie (comunicazioni
satellitari, Internet, crittografia, armi ed esplosivi) e a gestire le proprie
risorse finanziarie attraverso società regolarmente operative negli
snodi finanziari più importanti del mondo.
Il network del terrore evade
qualsiasi inquadratura, è invasivo ed ottiene i migliori risultati da
quello che dovrebbe essere il processo di comunicazione e democratizzazione
globale (grazie alle tecnologie di informazione, ai mass media) e, nel
contempo, esso tende a minare inesorabilmente dal suo interno il processo di
democratizzazione e comunicazione tra i popoli. È proprio all’interno dei
paesi democratici che il terrore è amplificato nel suo effetto,
sfruttando la libertà d’informazione e i molteplici mezzi mediatici a
disposizione. In questo panorama complesso e vulnerabile, il terrorismo
fondamentalista islamico sta dimostrando, giorno dopo giorno, tutta la sua
forza. L’utilizzo dei mezzi avanzati di comunicazione, i conflitti a “bassa
intensità” e la sindrome dell’attesa di attentati, stanno di fatto
svelando a tutti noi quale sia il potere del terrore.
SOMMARIO: II.1 - La rete terroristica
internazionale di Al-Qaeda; II.2 - La rete ICT e loro utilizzo da parte
della rete terroristica; II.3 - La “eletronic-jihad”: strategia
mediatica di Al-Qaeda.
II.1. La rete terroristica internazionale
di Al-Qaeda
Pare che l’obiettivo primario di Al-Qaeda
fosse quello di elevarsi a punto di riferimento centrale per l’ideologia e
per le modalità operative di molti gruppi islamici, nonché da ombrello
organizzativo per numerose cellule e gruppi terroristici presenti in più
di sessanta paesi del mondo. La presenza di gruppi islamici combattenti in vari
paesi, anche fuori dall’area medio-orientale, come in Kashmir (India), Cecenia
(Russia), Xinjiang (Cina), Mindanao (Filippine), in paesi di popolazione
islamica del sud-est asiatico (Indonesia, Malayasia), nella parte
settentrionale dell’Africa sub-sahariana, in Kosovo, Bosnia-Erzegovina ecc. e
la presenza di cellule clandestine in Europa e Nord America ha fornito a questo
movimento la possibilità di gestire e comandare un vero e
proprio network terroristico globale dotato di capacità letali e
risorse dislocate su scala planetaria. Al vertice di Al-Qaeda vi
è lo “Sheikh” (“maestro nobile”) Osama Bin Laden (detto anche “l’Emiro”,
il “Principe”), l’indiscusso capo ispiratore nonché fornitore di risorse
finanziarie, mezzi e istruzioni operative. Un consiglio direttivo denominato “Shura
Majlis” presieduto da Bin Laden e composto da quattro comitati
(militare, religioso-giuridico, finanziario e di media/comunicazione) svolge le
funzioni direttive e politiche dell’intera rete. È noto che dal comitato
militare vengono supportati i quadri per portare a compimento operativo gli
attacchi terroristici. Al-Qaeda è riuscita a raggiungere
un’eccellente efficacia esecutiva grazie all’elevata diversità della
natura dei gruppi che la costituiscono e l’assoluta cura per la segretezza
delle proprie comunicazioni interne. L’utilizzo dell’alta tecnologia per le
comunicazioni, permettono ai quadri direttivi di monitorare e gestire i diversi
gruppi affiliati.
Al-Qaeda, a differenza di altre formazioni terroristiche, non
è un piccolo gruppo fortemente saldato e con una chiara struttura di
comando, piuttosto essa è una sorta di confederazione (coalizione)
snodata, una rete a “maglia larga” di molteplici gruppi terroristici connessi a
loro volta in una catena di reti autonome e dedite a un comune obiettivo. Pare
che le singole cellule si occupino autonomamente delle loro operazioni in loco
(identificazione di bersagli, reperimento dei mezzi, pianificazione ecc.).
Sembra che esse svolgono attività culturali e caritatevoli (che servono
per raccolta fondi e reclutamento), ma anche speculative (giochi in borse
valori di mezzo mondo, prima e dopo determinati attentati) e criminali
(traffico di armi e droga), limitando all’indispensabile e “crittando”
bene qualsiasi comunicazione con le altre cellule appartenenti alla rete.
Le azioni terroristiche simili, o
addirittura simultanee, in diverse parti sono il risultato di una intesa tra
più gruppi che sono ispirati, supportati e guidati da i leaders di Al-Qaeda
senza essere necessariamente i membri della stessa organizzazione. Le
cellule dislocate in varie parti del mondo rimangono inattive (sleeper cells),
anche per lunghi periodi, in cui operano solo dal punto di vista
propagandistico, finanziario e di reclutamento. Improvvisamente le cellule
possono essere “chiamate” ad agire (seguendo le necessità dell’impatto
politico di un determinato tempo e contesto). La struttura organizzativa
estremamente flessibile permette loro di essere pronte all’azione in tempi
brevissimi. Al contrario delle organizzazioni terroristiche convenzionali i
gruppi operativi di Al-Qaeda, essendo privi di una catena di comando
diretta, sviluppano un’eccellente resistenza ad eventuali perdite, anche
critiche, senza compromettere le restanti risorse e le funzionalità
dell’intera rete.
II.2. La rete ICT e loro utilizzo
da parte della rete terroristica
Sicuramente non possiamo trovare delle
correlazioni, in maniera scientifica, tra l’aumento delle capacità di
comunicazione offerte dalle tecnologie e l’aumento o la diminuzione degli atti
terroristici. È comunque certo che le opportunità offerte dal
mondo dell’ICT sembrano ben colte da alcuni gruppi terroristici per raccogliere
fondi, per coordinare le operazioni terroristiche, per attirare nuovi fedeli
seguaci e per diffondere i propri messaggi ad un vastissimo pubblico. Si pensi
che alcuni siti web di gruppi islamici armati attraggono decine di
migliaia di visitatori al mese e che l’esistenza dei
loro siti (ad es. Hezbollah[20] del Libano, Hamas[21] della Palestina, ambedue sospettati di avere legami con Al-Qaeda)
è nota fin dal lontano 1996. Anche il content managment è
studiato nei dettagli: il sito di Hamas presenta possibilità di
scaricare in streaming video sia cartoni animati di satira politica sia
video, fotogrammi e registrazioni audio di morti violente causate dalle
operazioni militari di Israele. Sul sito del GIA (Gruppo Islamico Armato
con la base in Algeria e probabilmente con delle cellule sparse per l’Europa,
un’altra organizzazione sospettata di avere legami con Al-Qaeda)
è stato addirittura messo a disposizione un manuale per la costruzione
artigianale di bombe e istruzioni per compiere attentati.
Tutti i siti dei gruppi terroristici di
riferimento sono consultabili in più lingue, tra le quali vi sono sempre
Inglese e Arabo. La tecnologia offre possibilità di de-localizzazione
eccezionali tanto da generare delle situazioni imbarazzanti e paradossali, come
quella generata dalla scoperta che il sito di Hamas è stato ospitato
fino al 2000 su un server statunitense, in Connecticut, da un Internet
Service Provider regolarmente operante negli Stati Uniti. Altra situazione
scomoda fu lo scandalo che nel 1997 scoppiò a causa della scoperta che
il sito delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – F.A.R.C. (organizzazione
di ispirazione marxista-leninista con le basi nelle aree interne rurali della
Colombia) era ospitato dall’Università di Stato di New York.
Le operazioni di controllo a tappeto che
dopo l’11 settembre 2001 (attentati alle Tori Gemelle di New York) hanno
investito Internet non sembrano essere state sufficienti ad arginare la
propaganda e la comunicazione dei terroristi attraverso la rete ICT. A questo
proposito un’indagine congiunta di FBI[22] e CIA[23] ha determinato che i terroristi di Al-Qaeda
utilizzano la steganografia per nascondere mappe, fotografie di obiettivi
terroristici e istruzioni all’interno di immagini caricate su insospettabili
siti Web (tra cui il famosissimo e-Bay)[24], in chat-line sportive, piuttosto
che nei newsgroup di interesse comune. La prassi consiste
nell’utilizzare dei dead drops digitali[25], inserendo files (di immagini,
video o audio) con nascoste informazioni riservate e segrete, evitando
così ogni contatto diretto. I vantaggi sono indiscutibili, le persone
non vengono mai viste assieme, non devono determinare un appuntamento, possono
comunicare agevolmente da una parte all’altra del mondo istantaneamente senza
che il mittente conosca l’identità del destinatario. Si instaura
così una perfetta comunicazione asincrona, anonima e sicura.
Quando vi è la necessità di
comunicazione diretta la scelta cade sicuramente su strumenti di crittografia
digitale, applicabili sia a flussi di dati sia a file d’archivio. Il
caso più scottante risulta essere la scelta del VoIP[26]. VoIP descrive un protocollo di
comunicazione capace di digitalizzare un flusso di voce in pacchetti di dati
che vengono poi trasmessi ad una serie di networks e successivamente
ri-accorpati a destinazione nuovamente in un flusso vocale. Le comunicazioni
vocali non passano più come flusso continuo e in “chiaro” sulla normale
rete telefonica, dunque le difficoltà d’intercettazione aumentano se non
addirittura risultano impossibili in determinate circostanze. Una soluzione
tecnologica di questo tipo fa gola a chiunque svolga attività illecite e
abbia il bisogno di proteggere le proprie informazioni. Questa soluzione
tecnologica è probabilmente utilizzata da terroristi, organizzazioni
mafiose e trafficanti di droga, sia perché viene
impiegata la crittografia dei pacchetti, sia perché le attuali legislazioni non
consentono sistemi di intercettazione (come il Carnivore - DCS 1000[27]) di connettersi ai fornitori di servizi
VoIP per captare le comunicazioni.
Altra soluzione molto apprezzata da chi
deve garantire a tutti i costi la riservatezza delle proprie informazioni
è l’adozione di software specifici (PGP[28]) per “crittare” non solo un dato messaggio, ma interi files dell’archivio o tutto l’hard
disk. In questo modo se i dispositivi dovessero essere sequestrati, non si
avrebbe la possibilità di leggerne il contenuto.
II.3. La “eletronic-jihad”:
strategia mediatica di Al-Qaeda
Sicuramente l' investimento maggiore dei
gruppi islamici è stato l’utilizzo e la comprensione del ruolo
strategico del “World Wide Web”. Il successo maggiore di Osama Bin Laden essere
riuscito a scatenare una vera e propria guerra tra le televisioni del mondo per
aggiudicarsi i suoi proclami. La prova della vittoria della strategia mediatica
di Al Qaeda: le centinaia di giovani musulmani che vengono reclutati online
e vanno in Iraq per immolarsi come martiri. Omar Bakri, “ambasciatore”
ufficioso di Bin Laden in Europa, parla con sicurezza e soddisfazione di quanto
accaduto. Basta un rapido giro d' orizzonte nel mondo dell' informazione araba
per constatare il livello esplicito o implicito di contiguità con il
terrorismo di matrice islamica. Le rivendicazioni delle stragi dei militari
italiani a Nassiriya e degli attentati alle sinagoghe di Istanbul sono arrivate
tramite dei siti islamici. Le principali tv del mondo arabo, Al Jazira, Al
Arabiya e Abu Dhabi - TV, si astengono dal definire “terrorismo” le
stragi di Istanbul. I grandi giornali, Asharq al Awsat, Al Hayat
e Al Ahram, parlano di “resistenza” irachena anche quando vengono
massacrati i funzionari dell' Onu e i civili innocenti. La guerra del terrore
di Bin Laden mira principalmente a condizionare la psiche umana. Per
conquistare l' animo degli aspiranti combattenti islamici e per terrorizzare la
mente dei nemici. Bin Laden ha capito che la guerra contro “gli infedeli,
gli ebrei e i crociati” la si può vincere prima ancora di far
esplodere le bombe. Una delle ultime novità è l’annuncio dell'
inaugurazione dell' “Università on line di Al Qaeda per le Scienze
della Jihad”. Offre specializzazioni in “Jihad elettronica, Jihad
psicologica, tecnologia degli esplosivi, tecnologia
delle autobombe”[29]. Spiega loro come diventare “invisibili”,
come fare ricognizioni degli obiettivi senza farsi notare, come non essere
registrati dalle telecamere nei luoghi pubblici. Insegnano come essere anonimi,
utilizzare codici criptati, evitare messaggi e-mail facilmente tracciabili (uno
dei sistemi è creare un account anonimo, del quale solo il team ha la
password, ma nelle e-mail compaiono solo algoritmi, ovvero i codici numerici
per accedere ai siti nascosti e non indicizzati)[30]. Per accedervi è richiesto un unico
requisito: “…noi accettiamo i figli della Nazione islamica orgogliosi e
leali nei confronti dell' islam. Senza queste caratteristiche non è
possibile fare la Jihad…”. Intesa come Guerra Santa da combattere anche
davanti al computer o manipolando il flusso di informazioni destinate ai
mass-media. “Il terrorismo di Al Qaeda è benedetto e legittimo - ha
assicurato il portavoce - perché è nostro diritto terrorizzare i
nemici, incutendo nei loro cuori la paura e l' angoscia. Ciò è
quanto sta accadendo con l' aiuto e la grazia di Allah”[31]. Gli stessi gestori del sito
www.almuhajiroun.com, che prende il nome dal gruppo islamico di Londra fondato
dallo sceicco Bakri, passano le giornate davanti al computer “…se
confrontiamo l' utilizzo di Internet tra i militanti delle varie religioni,
vediamo che oggi gli islamici sono i principali fruitori e navigatori on-line.
Siamo stati i primi a rinvenire la rivendicazione della strage dei militari
italiani a Nassiriya, fatta a nome di Saif al Adl, alias Abu Omar, il
responsabile militare di Al Qaeda. Basta registrarsi e sapere come muoversi nel
sito www.paltalk.com. Vi si trovano oltre 600 forum islamici. Non riusciremmo a
svolgere la nostra attività di militanza islamica senza Internet.
Tramite la rete, ogni giorno diffondiamo quattro conferenze che raggiungono i
militanti islamici in tutto il mondo, stando tranquilli a casa nostra”.
Internet è la nuova frontiera del terrorismo islamico. Prima
privatizzato grazie all' ingente fortuna del miliardario saudita Bin Laden, che
ha deciso di investire sull' arma del terrore per conquistare il potere
politico ed economico in Arabia Saudita e nel resto del mondo islamico. Poi
globalizzato sponsorizzando in una sorta di franchising del terrore una miriade
di cellule attive e dormienti ai quattro angoli della terra. Ed ora scatenato
nell' assalto frontale e generale al “nemico” per portare a termine la
strategia di annientamento inaugurata l' 11 settembre 2001 con le stragi delle
Torri gemelle e del Pentagono. Una strategia in cui la guerra dell'
informazione assume un ruolo sempre più centrale. “Si pensi solo al
fatto che la gran parte dei giovani musulmani che affluiscono alle frontiere
con l' Iraq in attesa di potervi entrare sotto le sembianze di contadini,
artigiani o turisti, hanno un' età media tra i 20 e i 22 anni. Nessuno
di loro è mai stato in Afghanistan ai tempi dei mujaheddin né ha
frequentato un campo di addestramento di Al Qaeda – continua lo sceicco
Bakri -. Ebbene, sono stati indottrinati e arruolati tra le fila di Al Qaeda
tramite Internet. Bin Laden sta vincendo la sua guerra contro l' Occidente
grazie a Internet”. È indubbio che ai più appaia inverosimile
che i feroci burattinai del terrore e i sanguinari kamikaze possano essere figli
della più sofisticata tecnologia informatica. Si tratta purtroppo di un
dato di fatto che smentisce il luogo comune secondo cui il fanatismo religioso
e la modernità sarebbero incompatibili. Il successo della strategia
mediatica di Bin Laden lo si coglie anche nell' analisi critica dei messaggi
trasmessi dai mass media arabi. Ad esempio “Al Jazira”, nella corrispondenza da
Londra sulla reazione alla nuova strage di Istanbul, ha detto testualmente: “Bush
e Blair hanno ribadito l' impegno a fronteggiare ciò che loro
definiscono terrorismo”. Si dovrebbe dedurre che per Al Jazira la catena di
attentati che ha provocato centinaia di vittime non sarebbe terrorismo. Nel
2003 il network Al Arabiya ha trasmesso in esclusiva l' ultimo discorso di
Saddam Hussein, presentandolo come il presidente iracheno. Difficile non
ipotizzare che si sia trattato di un costo pagato per aggiudicarsi l'
esclusiva. Dice al riguardo Bakri: “Le televisioni arabe sono disposte a
pagare qualsiasi prezzo per poter diffondere in esclusiva i discorsi di Bin
Laden o di Saddam. Non gliene importa niente dei contenuti. È una
competizione esclusivamente commerciale. Ebbene per Bin Laden e per il
movimento islamico jihadista è un' enorme opportunità, un grande
successo”. Più in generale Internet consente ai militanti islamici
di infrangere le barriere che ostacolerebbero il loro movimento fisico qualora
dovessero spostarsi da un paese all' altro. “Ormai tutti i segreti di Al
Qaeda navigano in Internet. Se ci sapete fare e se avete pazienza, potreste
sapere tutto di Al Qaeda monitorando Internet”. Nel nostro mondo
globalizzato anche il terrorismo islamico si è emancipato,
appropriandosi degli strumenti propri della globalizzazione.
E' un sistema innovativo ed inusuale per la
gestione di una rete terroristica, ma adeguato all’atipicità dei
parametri organizzativi di Al Qaeda, nella quale la “centrale” comunica le
strategie operative (attacchi suicida, auto-bomba, mine, rapimenti),
sollecitando la formazione di cellule autonome (che possono trovare nei
numerosi manuali jihadisti on line i necessari riferimenti addestrativi) ed
orientandone le priorità in relazione alle aree. Si va dall’Iraq,
indicato come la “prima linea per difendere l’identità islamica nel
mondo”, alla Palestina, ai Paesi arabi governati da regimi “corrotti”,
primo fra tutti l'Arabia Saudita ed il suo oro nero
“messo in saldi” per gli Americani, al resto del mondo dove ogni attentato -
non importa se raro - deve essere sempre spettacolare e “ad effetto sorpresa”
(come a New York o come a Madrid)[32].
Di tutto questo meccanismo, il network
costituisce la chiave di volta ed insieme il collante. Non per niente, il
vocabolo “Al Qaeda” che in arabo significa “la base”, intesa come originario
campo di addestramento dei moujiaheddin accorsi in Afghanistan nel decennio
('79/'89) della resistenza anti-sovietica, può essere reintepretata in
chiave mediatica come un “database” che salda i militanti dei preesistenti
gruppi estremisti su base nazionalista e le nuove leve del jihad globale in
un’unica identità circolare, pescando tra le pieghe del comune
risentimento contro l’Occidente.
Per dirla con un linguaggio televisivo, i
messaggi di Bin Laden ed i suoi videotape (tipici strumenti della cultura
mediatica occidentale) sanno sintonizzarsi su differenti fasce di audience, con
una scelta strategica dei tempi di diffusione per catturare il massimo dello
share ed assicurarsi le prime copertine dei media internazionali.
[1] Walter Laquer, grande esperto di
terrorismo, così si è espresso nel
[2] Termine che letteralmente allude alla
porta di servizio sul retro di un edificio. Backdoor: è un sistema di
accesso "non ufficiale" alle risorse di un sistema. Spesso è
costituito da un piccolo software nascosto nel PC, a volte può trattarsi
anche di una configurazione del sistema operativo tale da consentire un accesso
amministrativo non controllato. Le backdoor più sofisticate conosciute
integrano meccanismi di cancellazione delle tracce dell'utente maligno che le
utilizza, occultazione dei processi avviati illegittimamente e altre utility, a
volte anche definite collettivamente "rootkit" (da "root"
che è il nome dell'account da amministratore del sistema in UNIX).
[3] Letteralmente botola.
[4] Rapetto U., Minaccia Virtuale, pericolo
concreto, su www.sisde.it.
[5] Strano M., Cyberterrorismo, su www.criminologia.org, pag. 1.
[6] In particolare, il mondo della finanza
presenta ormai le quattro caratteristiche necessarie per essere un modello
perfettamente adeguato al nuovo codice tecnologico: immaterialità,
immediatezza, permanenza e dimensione planetaria. Lo ha constatato anche
Boutros-Ghali, Segretario Generale dello Nazioni unite: "La
realtà del potere mondiale sfugge in larga misura agli stati. La
globalizzazione fa emergere infatti nuovi poteri che trascendono le strutture
statuali”. (Le Figarò, 28 gennaio1995).
[7] Strano M., op. cit., pag. 2.
[8] Verton Dan, Ghiaccio Sporco, pag
31.
[9] Strano M., op. cit., pag.2.
[10] Barry Collin, The future of
cyberterrorism, su www.cs.georgetown.edu.
[11] Pollitt M., Cyberterrorism Fact or
Fancy?, su www.cs.georgetown.edu.
[12] Denning D., Activism, Hacktivism and
Cyberterrorism: the internet as a tool for influencing foreign policy, su www.crime-research.org.
[13] Guerra delle (o "con le")
informazioni.
[14] I ricercatori che si sono occupati di
terrorismo, come subset della Infowar, provengono spesso dall'ambiente
dell'analisi militare e sono fortemente condizionati da categorizzazioni
tipiche di conflitti in scenari di guerra convenzionale.
[15] Vds. Legge 155/2005 e decreto attuativo
del 16 agosto 2005, su www.interno.it.
[16] Ad es., l'uso di strumenti crittogratici
non è un "abuso" di strumenti informatici ma se questo serve
all'organizzazione di un attentato dinamitardo è quantomeno opportuno
che diventi oggetto di studio.
[17] “All criminal acts directed against a
State and intended or calculated to create a state of terror in the minds of
particular persons or a group of persons or the general public”, League of
Nations, 1937.
[18] In molti casi delle organizzazioni armate
che si oppongono al potere istituzionale, per dei motivi ritenuti (localmente)
nazionalisti od autonomisti o di rivendicazione dei diritti (presumibilmente)
negati. E’ difficile stabilire il confine tra il terrorismo e militanza
violenta ed irredentista (ad es. Liberation Tigers of Tamil Eilam dello
Sri-Lanka, Hezbollah in Libano meridionale, vari gruppi militanti
palestinesi, repubblicanisti-cattolici od estremisti protestanti nord-irlandesi…).
In genere si potrebbe affermare che alcune azioni di questi gruppi possono
essere considerate terroristiche se queste azioni bersagliano i non-combattenti
o le infrastrutture civili pubbliche anche se i gruppi o le organizzazioni, per
sé, non sono considerate terroriste. A tal proposito in Italia nel 2005
è stata emessa la sentenza con la quale il G.U.P. milanese Clementina
Forleo ha assolto tre islamici dall’accusa di terrorismo internazionale.
[19] Al-Qaeda in arabo potrebbe significare una
varietà di cose: “le fondamenta”, o “la fondazione”, o “la base”, o “la
disciplina di base”, oppure “la base di tutte le azioni mirate e disciplinate”.
All’inizio (1997-1998), Al-Qaeda fu fondata come una grande
organizzazione-raccordo chiamata “Il fronte islamico per la lotta contro gli
ebrei e contro i crociati” (Al-Jabhah al-Islamiyah al-‘Alamiyyah li-Qital
al-Yahud wal- Salibiyyin) da Osama Bin Laden. Un uomo d’affari
multi-miliardario, originario dell’Arabia Saudita, insieme con il Dr. Ayman
Al-Jawahiri, un chirurgo di origini egiziane, e con Mohammed Atef, un
ex-ufficiale della polizia egiziana (ambedue leaders della Jihaad
Islamica che, a sua volta, veniva considerata responsabile dei massacri di
turisti stranieri negli anni novanta in Egitto). Pare che Al-Qaeda abbia
iniziato ad essere il nucleo centrale e la fonte di ispirazione, istruzione
operativa (uso di armi ed esplosivi, tecnologie informatiche) ed aiuti
finanziari dopo essere stato trasformato in raccordo delle organizzazioni
islamiche dei veterani di vari paesi islamici, non solo arabi, che combatterono
in Afghanistan negli anni ottanta, contro il regime afgano di allora, che era
appoggiato dall’URSS. I combattenti islamici di varie provenienze della
campagna afgana, che negli anni novanta si affiliarono nella rete di Al-Qaeda
in vari paesi, furono armati e lautamente finanziati dai governi USA e
Arabia Saudita ed assistiti logisticamente dal governo del Pakistan per
più di un decennio. Fino alla caduta del regime talebano (islamico
fondamentalista) in Afghanistan nell’inverno 2001-2002, provocato dalle azioni
militari USA, Al-Qaeda ebbe vere e proprie basi logistiche e centri di
addestramento dentro il territorio afgano con l’effettiva presenza di
istruttori esperti del servizio segreto pakistano (Inter-Services
Intelligence, il famigerato ISI). Tuttora l’area di confine tra Afghanistan
e Pakistan, area impervia popolata dalle tribù Pashtun e Baluch,
tra le più fondamentaliste e con uno dei più bassi tassi di
sviluppo umano nel mondo (per alfabetismo, sanità, infrastrutture,
servizi…), è considerata la zona di riparo/rifugio dei fuggitivi
dell’ex-regime talebano afgano e degli elementi di Al-Qaeda.
[20] www.hizbollah.org: sito dell’organizzazione shiita del
Libano meridionale, in decennale conflitto con lo stato di Israele; è
stato indicato come uno dei gruppi terroristici da parte dei governi USA e
Israele, però non vi sono indizi che il movimento degli Hezbollah abbia
agito fuori dalla propria area d’interesse (confine
meridionale del Libano che è stato occupato militarmente dallo stato di
Israele dal 1983 fino a qualche anno fa).
[21] www.hamasonline.com: sito del movimento di resistenza
palestinese di ispirazione islamica, in aperta rivalità con
l’Organizzazione per la Liberazione di Palestina (di ispirazione laica) di
Yasser Arafat prima e di Abu Mazen oggi; Hamas è considerato un gruppo
terroristico da parte dei governi USA e Israele per gli attentati contro i civili dentro Israele e nei Territori Occupati
(Palestina); anche nel caso di Hamas non vi sono casi di attentati
terroristiche al di fuori del loro area di conflitto e d’interesse (Israele,
Striscia di Gaza, Territori Occupati di West Bank). Attualmente ha vinto le
elezioni per il rinnovo del parlamento palestinese.
[22] Federal Bureau of Investigation (ufficio
federale di investigazioni con funzioni anti-crimine), organo sotto comando del
Dipartimento (ministero) di Giustizia e del Presidente degli Stati Uniti
d’America.
[23] Central Intelligence Agency (agenzia
centrale di servizi di informazione ed analisi) organo di servizi segreti sotto
diretto comando del Presidente USA.
[24] Attraverso l’utilizzo di programmi
dedicati come Camufage che permette il criptamento dei foto sensibili,
files, o messaggi audio all’interno di insospettabili foto.
[25] Un angolo virtuale nella rete dove si
può mettere di nascosto del materiale in modo da permettere ad un’altra
persona di prelevarlo, evitando contatti diretti tra le parti.
[26] Acronimo di Voice on Internet Protocol.
[27] Carnivore (DCS 1000) è un
sistema sniffer (“fiutatore”) utilizzato dai servizi segreti USA per
l’intercettazione di dati trasmessi su Internet. Il sistema è composto
da alcune decine di potenti computers, dotati di capacità di
filtraggio dei contenuti in transito. Se un flusso di contenuti corrisponde a
qualche caratteristica del filtro applicato, Carnivore lo intercetta e
lo registra in una banca dati da poter analizzare in seguito.
[28] Il sistema PGP o crittografia a chiave
pubblica non fa uso di un’unica chiave comune a tutti i partecipanti,
bensì di una coppia di chiavi personali specifiche per ciascun
individuo. Ognuno genera in privato la propria coppia: una è la chiave
privata che andrà tenuta segreta, l’altra è la chiave pubblica
vera e propria che andrà diffusa in rete. Le due chiavi sono legate da
una relazione algebrica, ma conoscendo la chiave pubblica non è in alcun
modo possibile risalire a quella privata in tempi computazionali ragionevoli
(diverse decine di anni di calcolo con la migliore tecnologia attuale).
[29] Agenzia ApCom, Video, bollettini
jihadisti e manuali di autodifesa elettronica, Roma, ottobre 2005
[30] Negri A., Al Qaeda un marchio globale,
su il Sole 24 ore, pag 2.
[31] Allam M., Guerra santa su tv e
Internet. Al Qaeda dà lezioni nei forum, su Corriere della Sera.
[32] AA.VV., Maschera
e volto di Bin Laden nella strategia mediatica di Al Qaeda, su www.sisde.it.
Da comincialitalia.net 3-2-2007 Un
italiano guadagna il 42,1% in meno di un coreano di Alessandro Bellotti
Fonte OCSE 2 aprile 2006.
Crolla il potere di acquisto degli stipendi degli italiani: nella classifica
Ocse, il livello delle nostre buste-paga scivola quasi in coda alla classifica.
Siamo al 23mo posto tra i 30 paesi industrializzati, dietro non solo a
Germania, Francia, Giappone, Usa ma anche Spagna e Grecia. Un italiano guadagna
il 42,1% in meno di un coreano, il 23,5% in meno di un tedesco e il 17,6% in
meno di un francese.
I soli sette Paesi dove, a parità di potere d’acquisto, i salari
risultano inferiori a quelli del nostro Paese sono: Portogallo, Turchia,
Repubblica Ceca, Polonia, Messico, Slovacchia, Ungheria. Nella media dei Paesi
Ocse lo stipendio è maggiore del 12,4% rispetto a quello di un italiano;
la differenza sale se si considera l’Europa a
Da questi dati, (numeri e quindi dati non
manipolabili), si evince che un politico italiano deve avere una
indennità non superiore a quella di un pari grado greco o spagnolo.
Quindi il sindaco di Modena, non può avere uno stipendio superiore a
quello di sindaco di una città greca o spagnola simile a Modena.
Propongo quindi di controllare localmente
le indennità di assessori, sindaci, presidenti di provincie e di
regioni, per poi passare ai parlamentari. Per fare ciò cominciamo a
richiedere via mail prospetti di tali indennità, comprensive di tutti i
benefit (auto, accessi gratuiti a cinema, teatri etcc.). Se otteniamo rifiuti
sputtaniamo in rete chi non ci concede l'accesso a questi dati. Pretendiamo
nome e cognome dell'addetto comunale che non ci invia i dati o dell'assessore
che non dichiara la sua indennità. Scriviamo direttamente ad ogni
consiglio comunale (di solito ogni assessore ha la sua mail).
Sicuramente troveremo dati sconcertanti, uno schiaffo a chi guadagna mille euro
al mese. Dobbiamo quindi ottenere che la classe politica italiana sia
remunerata in modo equo.
Oltre a 'normalizzare' le indennità,
dobbiamo pretendere che la classe politica italiana faccia bene il proprio
lavoro e quindi dobbiamo pretendere servizi allineati almeno a quelli spagnoli.
A me non basta equipararmi alla Spagna, vorrei avere come riferimento almeno la
Francia dove ad esempio le politiche per la famiglia sono davvero una
priorità.
Da Il Sole 24 Ore di lunedì 15
Gennaio 2007, si legge che una famiglia monoreddito francese con coniuge e 2
figli a carico, con reddito di 25.000 euro lordi annui non paga tasse (52 Euro
annui contro 1725 Euro di una famiglia simile italiana). Se si alza il reddito
a 50.000 euro lordi annui le tasse pagate dalla famiglia francese sono 2.518
Euro contro 13.217 di quelle pagate da una famiglia italiana. Se confrontiamo i
servizi che ci sono in Francia con quelli italiani, nonostante in pratica le
famiglie monoreddito (fino a 50.000 Euro) non paghino tasse, viene davvero
voglia di emigrare.
In Francia non pagano tasse, in pratica in Francia è come se ci fosse
una specie di evasione fiscale legalizzata.
Queste considerazioni mi fanno nascere il
dubbio atroce che il vero problema italiano non sia l'evasione fiscale, ma sia
il cattivo utilizzo delle entrate fiscali stesse. Abbiamo quindi una classe
politica costosissima e incapace. Una classe politica che sperpera denaro
pubblico in realizzazione di strade, ferrovie, opere pubbliche in genere a
costi nettamente più elevati che in altri paesi, nonostante i lavoratori
utilizzati per realizzare queste opere costino decisamente poco, rispetto ai
colleghi tedeschi o francesi.
Quindi sacrosanta lotta all'evasione fiscale ma prima di tutto sacrosanta lotta
agli sprechi e agli stipendi faraonici degli addetti alla 'cosa' pubblica.
Da La Stampa 3-2-2007 Perchè
siamo indulgenti sulla cocaGIANCARLO
DOTTO
L’llarme di Giuliano Amato, gli italiani
sono golosi di neve bianca, suscita scalpore, forse stupore, non certo scandalo
e meno che mai esecrazione. Spesso indulgenza. In termini più coloriti
lo ha detto di recente Carlo Fruttero: «Il Po è pieno di piscio e di
cocaina». Ma l’avrebbero potuto dire oggi Alberto Moravia del Tevere, Aldo
Palazzeschi dell’Arno o Carlo Emilio Gadda dei Navigli.
Lo dicono le cifre, si trova più cocaina in Italia di cannabis, ecstasy
ed eroina messe insieme.
Sono cifre spaventose che non spaventano. L’abisso della cocaina non è
lo stesso dell’eroina, che è fangoso, repellente, villano. Mentre quello
della cocaina è modaiolo, compiaciuto. Della coca non ci si vergogna,
anzi. Non devi strisciare come un ladro fino al banco del farmacista per
chiedere il laccio emostatico e la siringa. La cocaina non evoca, chissà
perché, il fantasma umiliante della dipendenza. È una droga narcisista,
facilita l’iscrizione nel delirante mondo della performance, ti senti un dio e
non una merda. Un mix tra Rambo e Pico della Mirandola.
La cocaina è cool anche nel cinema. «Vado a incipriarmi il naso»,
ammicca una lasciva Uma Thurman a uno sfessato John Travolta, prima di
chiudersi in bagno a inalare etti di coca. Nei romanzi di Irvin Welsh, in film
come Trainspotting, i tossici sono avanzi umani da gettare nel water. Suscita
ribrezzo la biografia filmata dell’eroinomane punk Sid Vicious, mentre sono
tutti lì in estasi a citare John Lennon che parla della coca come di una
necessaria «droga da lavoro», quando lui e gli scarafaggi suonavano anche dieci
ore di seguito.
Nel passaggio da droga a moda, la coca diventa prodotto di massa, accessibile a
chiunque. Non è più lo champagne degli stupefacenti da inalare
nei vassoi esclusivi delle aristocrazie del naso. Gli artisti maledetti della
Babilonia di Hollywood o del rock, le facoltose tribù dei jet set e
della finanza arrembante, fino ai festini anoressizzanti dell’alta moda, da
Terry Broome a Kate Moss, moderna dark lady, tutta coca, pallori e sguardi
felini. Più che mai genialmente votata al make-up della propria icona
trasgressiva.
L’eroina invece non si confessa. Si nasconde. L’eroinomane è bugiardo
per definizione e vocazione. Un passato da cocainomane è quasi
edificante, non si nega a nessuno. Da Fiorello a Califano o Calissano. «Ho
buttato la vita nel cesso», meglio se raccontato in diretta da Bruno Vespa. La
banalizzazione dell’uso fa sì che la coca sia diventata una
psicopatologia della vita quotidiana. La più subdola che c’è
perché ti dà l’illusione di controllarla.
Nei dipartimenti di emergenza degli ospedali arrivano sempre più
professionisti anonimi in overdose da dipendenza di cocaina, sportivi che
nasano per fare i fenomeni al circolo nelle partite di calcio a cinque. Si
festeggia a polvere bianca l’addio al celibato. Basta guardarsi intorno, nel
condominio o nel ristorante sotto casa. Non ci vuole un semiologo esperto di
diagnosi a vista. Si moltiplicano le pupille spalancate, le mucose infiammate,
i setti necrotici, tutti i tic della coca, addosso a facce che non diresti mai
facce da coca, che non hanno o non dovrebbero avere lo stress da prestazione e
nemmeno quello da perdizione. I divi del rock erano almeno delle
divinità, lo sono e lo erano Maradona e Charlie Parker, urgenze
infernali, l’autodistruzione come metodo. La cocaina oggi è la parodia della
trasgressione. Ci si eccita di niente e per niente.
Da La Stampa 3-2-2007 NÉ COL
PAPA NÉ CON LUTERO . La terza via di Giordano Bruno ANNA FOA
Il
filosofo arso vivo per eresia nel febbraio 1600 aveva un progetto per la pace
religiosa
«Di
Roma, li 19 febraro 1600 [...] Giovedì fu abbrugiato vivo in Campo di
Fiore quel frate di san Domenico, da Nolla, eretico pertinace, con la lingua in
giova per le bruttissime parole che diceva, senza voler ascoltar né
confortatori né altri. Sendo stato dodici anni in prigione al S. Officio, dal
quale fu un'altra volta liberato».
È una delle scarsissime testimonianze dell'epoca che ci descrivono il
rogo di Giordano Bruno. Il filosofo venne arso vivo in piazza Campo de’ Fiori
il 17 febbraio dell'anno santo
A Roma le esecuzioni capitali sono un evento normale, abituale se non proprio
quotidiano, un evento a cui la gente si reca come a uno spettacolo. In questo,
l’Urbe non si differenzia in nulla dal resto delle società d'ancien
régime.
Qui, fin dalla metà del Cinquecento, gli eretici condannati dovevano
sottoporsi all'autodafé, il famoso atto di fede, cioè una pubblica
abiura. I condannati dovevano presentarsi in pubblico, rivestiti di un abito
penitenziale, detto «abitello», e recitare una formula di abiura. Solo dopo
l'abiura formale dei loro errori avrebbero ascoltato la condanna emanata dal
tribunale. Non tutti coloro che erano condannati per eresia venivano condannati
a morte (nei periodi di più dura repressione la percentuale
arrivò fino al 20%). Quelli che lo erano - eretici impenitenti o relapsi
(cioè ricaduti nell'errore) anche se pentiti, o anche altri casi
considerati particolarmente gravi - venivano rilasciati, cioè consegnati
al braccio secolare perché si occupasse dell'esecuzione. In teoria, infatti, la
Chiesa non poteva spargere sangue; di qui l'ipocrita formula adoperata nel caso
del rilascio al braccio secolare, che fu usata anche nel caso di Bruno: «come
ti rilasciamo alla Corte di voi monsignor Governatore di Roma qui presente, per
punirti delle debite pene, pregandolo però efficacemente che voglia
mitigare il rigore delle leggi circa la pena della tua persona, che sia senza
pericolo di morte o mutilatione di membro»...
Ma chi era Giordano Bruno? Era indubitabilmente un filosofo di fama europea,
ben consapevole del valore eversivo del suo pensiero. Ma allora: come mai nel
1592 pose fine al suo peregrinare in terra europea fermandosi a Venezia, e
consegnandosi di fatto nelle mani dell'Inquisizione? Secondo alcuni studiosi -
Corsano ma anche Garin e Luigi Firpo, il dottissimo editore dei testi
processuali di Bruno - tra i progetti di Bruno era anche un progetto politico
religioso volto a instaurare in Europa una pace religiosa fondata sulla
riduzione dell'Europa a una sola religione. Ma quale doveva essere quella
religione?
Per Bruno, che allora aveva trovato rifugio nella Germania protestante, questa
religione non poteva essere il protestantesimo. Se mai per un momento egli
davvero pensò ad attuare i suoi progetti politici sotto l'ombrello
riformato, troppe erano le ragioni filosofiche e teologiche della sua ostilità
di fondo ai luterani e ai calvinisti, in primo luogo la dottrina della
giustificazione per fede, come risulta dalle testimonianze degli atti
processuali oltre che dai suoi scritti, in particolare dallo Spaccio della
bestia trionfante. Dunque, non poteva essere che sotto l'ombrello del
cattolicesimo, un cattolicesimo che poco però aveva a che fare con
quello esistente: un cattolicesimo riformato, in un'ottica politica legata non
allo scontro confessionale ma alla pacificazione politica, come nell'ideologia
della «terza via» nel conflitto tra protestanti e cattolici.
Bruno pensava che il contesto generale fosse favorevole per tornare e tentare
di prendere a Roma un ruolo politico di primo piano, fors'anche di consigliere
del Papa. Era stato, però, preceduto - in questa che potremmo chiamare
illusione in un papato illuminato e riformatore - da Francesco Pucci,
personaggio per molti versi a lui simile, intriso della stessa utopia
pacificatrice e fiducioso nella protezione di Clemente VIII. Già
calvinista e poi sociniano e poi di nuovo ritornato al cattolicesimo ma sempre
in odore di eresia, Pucci tornò a Roma nel 1594, fu rinchiuso nelle
carceri dell'Inquisizione (vi conobbe Campanella ma non Bruno) e fu decapitato
e poi bruciato nel 1597.
Come è a tutti noto, Bruno non ebbe sorte migliore. Nel settembre 1599
il tribunale gli chiese una ritrattazione ampia e esauriente delle sue
posizioni. Se avesse abiurato, avrebbe avuto salva la vita (dal momento che non
aveva avuto condanne precedenti, non era relapso) e avrebbe potuto probabilmente
finire la sua vita in qualche convento, e forse anche riprendere a scrivere. Se
avesse rifiutato l'abiura, sarebbe divenuto un eretico impenitente, e quindi
passibile di essere rilasciato al braccio secolare (la formula eufemistica
dalla Chiesa usata per la condanna a morte, che doveva essere eseguita dalle
autorità secolari). L'abiura era quanto il tribunale voleva ottenere, la
vittoria della verità sull'errore, della fede sull'eresia. Senza abiura,
il tribunale era sconfitto.
Ma Giordano Bruno, dopo alcune esitazioni, rifiutò l'abiura e la mattina
del 17 febbraio, un giovedì, salì sul patibolo di Campo de'
Fiori.
Da La Repubblica
2-2-2007 Bce alzerà i tassi a
marzo poi probabile pausa
M
Giovedì prossimo, dicono gli
esperti, Trichet dirà che la Bce esercita "una forte
vigilanza" sui rischi per i prezzi, espressione accuratamente evitata in
febbraio, per rendere ancora più sicura la stretta di un quarto di punto
il mese dopo. Su un poll di 30 economisti, interpellati dalle agenzie di stampa
afx news e France presse, tutti davano, infatti, per scontato un aumento di un
quarto di punto al 3,75% nella riunione dell'8 marzo, portando così a un
totale di 150 punti base la stretta attuata dal dicembre 2005. La maggior parte
degli economisti prevede, inoltre, che la Bce manterrà un orientamento
al rialzo dei tassi, continuando la serie anche dopo marzo. 17 su 30 prevedono
un tasso di rifinanziamento al 4% a fine anno e uno lo stima al 4,25%, mentre 5
prevedono che il tasso avrà raggiunto al 3,75% il tetto massimo per
questo ciclo economico. Alcuni,
L'inflazione nell'Eurozona, ricordano gli
analisti, è rimasta invariata all'1,9% in gennaio malgrado il temuto
aumento dell'Iva in germania e i dati prospettici indicano un possibile
rallentamento della congiuntura nel primo trimestre. I fattori monetari,
tuttavia, mantengono un andamento molto vivace (+9,7% annuo la massa monetaria
m3 in dicembre, un nuovo massimo dal febbraio 1990), un elemento questo di
recente indicato come preoccupante da diversi consiglieri della Bce.
"Siamo dell'idea che la congiuntura
europea, a causa di una serie di elementi di disturbo, registrerà nei
prossimi mesi una crescita minore rispetto alla media di lungo periodo",
dice Christoph Weil di Commerzbank, citando l'indice europeo Esi sulla fiducia,
sceso a 109,2 punti in gennaio da
Anche Silvia Pepino di Jp Morgan parla
dell'andamento del mercato del lavoro che, a questi ritmi, potrebbe portare a
qualche strozzatura entro i primi sei mesi dell'anno e del rallentamento
accusato dai mutui ipotecari, un segnale questo che i passati aumenti dei tassi
di interesse cominciano a farsi sentire. Il tutto rende probabile una lunga
pausa dopo marzo, seguita da un probabile aumento dei tassi al 4% in settembre.
In ogni caso, dice l'analista, la Bce, pur mantenendosi orientata al rialzo dei
tassi, si mostrerà "sempre più dipendente dall'andamento dei
dati economici" a partire dalla conferenza stampa di marzo.
02/02/2007 -
17:00 |
++
Dal Corriere della Sera 3-2-2007 Intervista a Vittorio Sgarbi «Sniffano tutti: dagli attori ai politici»
Aldo Cazzullo
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Da Repubblica 3-2-2007 E' confermato: virus
dell'aviaria in un allevamento inglese
+
Da La
Repubblica 3-2-2007 RC AUTO: BERSANI,
TARIFFE DEVONO SCENDERE
+
Da
comincialitalia.net 1-2-2007 Gli inceneritori e il mistero Cip6 di Robert
Allen
Da
online-news.it 2-2-2007 Petrolio
ciociaro, chiesto il “VIA” alla Regione
Da Il Sole 24
Ore 2-2-2007 Banche e finanza: dove l'Europa ancora non c'è di Piero Fornara
Il critico d’arte: gli intellettuali sono convinti che dia
lucidità. In qualche hotel offrono una bustina al posto del dolce
ROMA —
Premessa: «La cocaina sono io»; quindi non ne ha bisogno. «Mai presa. Se la
cocaina mi vede, si eccita lei». Però nessuno come Vittorio Sgarbi
incrocia politica, arte, spettacolo, finanza, cultura. «Tutti ambienti in cui
la prendono. Eccome ».
«Devo dire che con me ci stanno attenti, a tirare o
a offrire. Mi temono per via di un precedente, una storia di dieci anni fa. In
casa mia mi avvicinò un tizio particolarmente sfrontato. Lo feci arrestare».
Arrestare? «Era il rampollo di una famiglia aristocratica, figlio di un mio
amico. Come ogni lunedì, avevo dato una festa a Roma in via dell’Anima,
e lui si era imbucato. Con me c’era una ragazza di Faenza, una nuova
acquisizione, che a un tratto mi invita a seguirla in bagno e mi fa: questo
ragazzo deve darti una cosa. Rifiuto, come sempre. Quello però insiste,
si offende, fa l’arrogante. Ho chiamato i carabinieri. L’hanno portato via in
manette. Da allora in casa mia nessuno è più venuto con la droga,
tranne un ministro del precedente governo che proprio non poteva farne a meno,
vista la frequenza con cui andava e veniva dal bagno».
Gli aristocratici in particolare, sostiene Sgarbi, «fiutano
come diavoli. Ricordo quando molto tempo fa ero fidanzato con la contessa
Agusta: la villa di Portofino pareva avvolta da una nuvola di cocaina, si
viveva in un’atmosfera di eccitazione perenne. Ma negli ultimi anni il livello
del consumo si è abbassato. Mi dicono che siano scesi i prezzi. Ogni
pretesto è buono. Gli intellettuali sono convinti che la coca dia
lucidità per scrivere e pensare. I calciatori ne vanno ghiotti ma devono
limitarsi al lunedì, massimo al martedì, per sfuggire ai
controlli antidoping la domenica successiva. Gli attori la usano spesso prima
di salire in teatro, per reggere due ore di fila; quando finisce l’effetto
però arriva la fase di down, che induce a ricominciare. Si spiega
così la dipendenza. Unita alla convinzione che la cocaina non faccia
male, come del resto pare dimostrare la tenuta ultradecennale del senatore a
vita Colombo, si capisce che forse l’allarme di Amato non è privo di
fondamento ».
La cocaina come rito sociale. Da quotidianità,
da weekend, da party. «Capita che si sentano quasi in dovere di offrirtela.
L’altra sera ero a Firenze, ospite di un albergatore gentilissimo, mi ha pure
preparato la cena alle 3—Firenze è una città senza notte,
è tutto maproprio tutto chiuso —, e al posto del dolce mi ha proposto
una sniffata. Mi dicono che in effetti alle feste è normale; e ovviamente
nessuno si sogna di comprare o vendere ma solo di regalare, altrimenti sarebbe
spaccio. Il mercato comunque me lo raccontano come florido. A Milano e a Roma
tutti sanno in quale bar o in quale locale rifornirsi. Io non li so
distinguere, ma il mio assistente talvolta riconosce i pusher a occhio nudo eme
li indica: giovane, ben vestito; il cliente spesso è un habitué, o
magari uno di passaggio che ha verificato di non avere di fronte un agente di
polizia. La cocaina non è più né mistero né peccato; solo un
reato. Per nulla attraente quindi ai miei occhi. Non a quelli di altri».
Spiega Sgarbi che anche sotto questo aspetto il Palazzo
è specchio della società civile. «La politica non ne è
immune. Negli Anni Ottanta frequentavo Palermo, in particolare una casa dove
ogni tanto gli ospiti sparivano, passavano in bagno e tornavano con le pupille
dilatate, il sorriso eccitato, il tratto scomposto. Nella mia ingenuità,
non capivo. Mi spiegarono. Una volta, in un salotto di nobiluomini e
magistrati, mi trovai in grave imbarazzo. Gli invitati si passavano tra loro
una busta di polvere bianca. Io rifiutai, e la padrona di casa mi
rimproverò: ero un maleducato che aveva infranto un rito sociale. Quando
in Parlamento ho ritrovato uno degli ospiti, divenuto sottosegretario del
centrosinistra, gliel’ho detto: "Lei ha perseguitato un ministro
democristiano per una busta chiusa che forse conteneva denaro, ma che lei non
ha mai aperto; ha mai fatto un’indagine su quell’altra busta a Palermo?".
È tutto agli atti di Montecitorio ».
«Mi dicono che molti la prendano nella convinzione
che giovi all’amore. Sembra però che sull’uomo abbia un effetto opposto,
inibente. La combinazione più frequente sarebbe tra la donna che ha
preso cocaina e l’uomo che ha fumato una canna, che rallentando gli impulsi
maschili prolunga l’atto. Non so se sia davvero un’epidemia. So che si comincia
sempre più presto. L’altro giorno ho fermato per strada un gruppo di
ragazzi, avranno avuto al massimo 17 anni, e ho chiesto: "La droga dove la
prendete?". Mi hanno risposto in coro: "A scuola!". Non ci
credevo, ma mi hanno assicurato che tutti conoscono gli spacciatori e i
consumatori. Quand’ero ragazzo, la cocaina non la vedevamo mai; allora la droga
era l’ideologia. Oggi cominciano in classe, uno dopo l’altro, per emulazione.
Il che mi conforta nella mia teoria: la scuola fa malissimo ».
03
febbraio 2007
Da Repubblica
3-2-2007 E' confermato: virus dell'aviaria in un allevamento inglese
Il
focolaio di H5N1 si è diffuso fra i tacchini della contea del Suffolk
Ne sono morti circa 2.500, su un totale di 159 mila capi
LONDRA
- La Commissione europea ha confermato
l'esistenza di un focolaio di H5N1, il ceppo virale più pericoloso tra
quanti sono responsabili dell'influenza aviaria, in un allevamento di tacchini
della contea orientale inglese del Suffolk: su un totale di 159 mila volatili
presenti nell'impianto, ne sono morti circa 2.500. La notizia è stata
diffusa dalle autorità sanitarie britanniche, che stanno isolando la
zona del contagio con cordoni sanitari, in applicazione della normativa
comunitaria di prevenzione.
Ulteriori test di laboratorio saranno eseguiti su campioni organici prelevati
dai volatili, per stabilire se il virus sia di provenienza asiatica.
Il contagio è stato accertato da veterinari e altri esperti governativi
britannici, che hanno quindi dato ordine di creare intorno all'allevamento
un'area di protezione dal raggio di
E' il secondo caso di aviaria registrato in Europa dall'inizio dell'anno,
esclusivamente tra animali; il precedente era stato scoperto in Ungheria. Nel
maggio 2006 un focolaio più ampio fu individuato in un'altra contea
nell'est dell'Inghilterra confinante con il Suffolk, quella del Norfolk: si
trattava però di H7N3, ceppo assai meno aggressivo. Furono comunque
soppressi cinquantamila polli di tre diversi allevamenti.
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width="100%" noshade color=green align=center>
Dal Corriere
della Sera 3-2-2007 Draghi:
«Tasse alte, penalizzate le famiglie» Crescita interna:
«L'economia italiana è trainata dall'Europa»
L'intervento del
governatore di Bankitalia al Forex di Torino: ««Ridurre le aliquote con i
proventi della lotta all'evasione»
TORINO - L'economia italiana che va bene ma solo grazie al traino
dell'Europa, le tasse troppo alte che penalizzano famiglie e imprese, la
riforma delle pensioni e la scelta di destinare il proprio Tfr alla previdenza
complementare. Sono alcuni dei punti toccati dal governatore della Banca
d'Italia Mario Draghi nel suo intervento al Forex di Torino, la tredicesima
edizione del congresso per gli operatori finanziari.
CRESCITA - L'economia italiana cresce, ma è solo grazie al
buon andamento dell'Europa, trainata dalla Germania: occorre ora spingere la
crescita interna. Questa la strada indicata da Draghi. Nel
DEBITO - «Il debito pubblico può essere ridotto
significativamente in tempi brevi. Si deve puntare a un bilancio
strutturalmente in pareggio» ha quindi sottolineato Draghi, aggiungendo che
«una riduzione stabile del rapporto fra debito e prodotto interno lordo
richiede due condizioni: crescita e riduzione della spesa». La ripresa in atto
«crea condizioni anche per proseguire nel risanamento della finanza pubblica.
Si deve resistere alla tentazione di spendere con leggerezza l'inatteso aumento
del gettito fiscale».
TASSE ALTE - Un altro punto importante toccato da
Draghi è stato quello delle tasse. «Il livello dell'imposizione
tributaria in Italia è elevato - ha detto -. Penalizza le imprese e le
famiglie che compiono il proprio dovere fiscale». Un livello che «in
prospettiva va moderato» con i proventi della lotta all'evasione: «I frutti
della lotta all'evasione devono trovare compensazione nella riduzione delle
aliquote». Secondo Draghi inoltre «si può stimare che nel 2006 le
entrate delle amministrazioni pubbliche siano cresciute di circa un punto
percentuale del pil; aumenteranno ancora, secondo le previsioni, nel 2007».
PENSIONI E TFR - Per arrivare a una riforma delle pensioni
«occorre uno sforzo di consapevolezza collettiva simile a quello che alla
metà degli anni Ottanta e successivamente con gli accordi del 1992-93
portò il Paese, con decisioni sofferte ma lungimiranti sulla scala
mobile, a infrangere la rigida spirale dei prezzi e dei salari» ha detto
Draghi. Il governatore ha poi parlato della scelta da parte dei lavoratori
circa la destinazione del proprio trattamento di fine rapporto. «L'impiego del
Tfr nella previdenza complementare può comportare benefici considerevoli
per i lavoratori - ha detto -. Il raggiungimento di pensioni adeguate richiede
un'accumulazione su un ampio orizzonte temporale». In base a indagini recenti,
dice il numero uno di Bankitalia, «i lavoratori continuano a sovrastimare
ampiamente l'entità delle future pensioni; resta basso il grado di
conoscenza degli strumenti della previdenza complementare».
BANCHE - Draghi ha poi parlato delle recenti operazioni di fusione
tra istituti bancari. Le banche, ha detto, «sono oggi più forti in
Italia e all'estero, ma vi è ancora spazio per operazioni di
concentrazione che sprigionino sinergie con benefici per gli azionisti e per i
clienti». Draghi ha auspicato che le fusioni portino vantaggi per i clienti:
«Prezzi più bassi e migliore qualità dei servizi». «I gruppi nati
dalle concentrazioni devono dimostrare di essere in grado di ridurre
significativamente e rapidamente gli oneri per la clientela accelerando
l'integrazione di strutture prima distinte - ha detto -. Il consolidamento
dell'industria bancaria può e deve produrre una maggiore efficienza
degli intermediari, non una minore concorrenza: deve tradursi in prezzi
più bassi e migliore qualità dei servizi».
03 febbraio 2007
Da La Repubblica
3-2-2007 RC AUTO: BERSANI, TARIFFE
DEVONO SCENDERE
"Non mi aspetto che domani mattina si
abbassino le tariffe. Ma se nel medio periodo i prezzi non si abbasseranno ne
inventeremo delle altre". Lo ha detto il ministro dello Sviluppo
Economico, Pierluigi Bersani, a RadioAnch'io, intervenendo sugli effetti
dell'introduzione dell'indennizzo diretto nell'RC Auto, contenuto nel pacchetto
di liberalizzazioni. "Abbiamo un sistema Rc auto che costa troppo. Non e'
una situazione accettabile", ha spiegato il ministro. "Se con
l'introduzione dell'indennizzo diretto le tariffe dell'Rc auto non scenderanno
il governo studiera' altre soluzioni perche' il sistema costa troppo".
Secondo Bersani in Italia resta forte la resistenza a ogni cambiamento:
"Noi facciamo tutto questo per rendere la vita piu' facile al cittadino e
per abbassare i prezzi. Se nel medio periodo i prezzi non sia abbasseranno -
avverte Bersani - ne inventeremo delle altre perche' noi abbiamo un sistema
dell'Rc auto che costa troppo". Certo, ha concluso, "non abbiamo la
bacchetta magica e non crediamo che gia' domani mattina si abbasseranno i
prezzi".
<hr
size=3 width="100%" noshade color=green align=center>
Da comincialitalia.net 1-2-2007 Gli inceneritori e il mistero Cip6 di Robert Allen
Verona
1 Febbraio 2007
Ci
risiamo, EH SI! CI RISIAMO. Mentre tutti i media sono interessati alla
"straziante vicenda di Silvio e Veronica, noi non perdiamo di vista le necessità
primarie che i nostri cari "onorevoli" discutono giornalmente. Gli
inceneritori devono essere una condanna, o qualcosa del genere. O meglio il
Cip6, questo provvedimento dal nome tra un cartone animato e un sapore
vagamente fantascientifico, ma che in realtà è un classico
maldestro "aiuto di stato" all'italiana, agli "Imprenditori del
petrolio", vedi Moratti, Garrone & C. Non riusciamo a toglierceli di
mezzo.
Dal
1992 paghiamo una fetta della bolletta elettrica (la terza voce) per
incentivare, le fonti rinnovabili (eolico, fotovoltaico, etc.). RICORDATE!!!
Nella formulazione della norma, accanto all'espressione "energie
rinnovabili" fu aggiunta l'estensione "o assimilate" e come in
un incantesimo le quote andarono anche a "sostegno" delle cosiddette
"assimilate", carbone e rifiuti su tutte. Circa l'80% degli
investimenti si spostarono verso gli inceneritori..in tutti i sensi!.
Si era provato ad eliminare il tutto in Finanziaria: niente da fare, l'assalto
alla diligenza dell'ultima notte lo ha reinserito. Si era fatto un
provvedimento ad hoc, dopo. L'ultima novità è il veto
all'abolizione arrivato dall'Ufficio di presidenza della Camera. Il tutto per
una questione tecnica, pare sia stato inserito come emendamento in una legge
che recepiva una direttiva comunitaria, lo ha respinto. Tutto da rifare. Ma
come?.
Il
Cip6 è la classica anomalia italiana, finito più volte nel mirino
dell'Unione europea: è stato già protagonista di quattro
procedure d'infrazione (2004/43/46, 2005/50/61, 2005/40/51 e 2005/23/29) e di
una lettera di messa in mora relativa alla prima procedura d'infrazione da
parte. È una sanguisuga per i consumatori italiani. Dati
Confartigianato: dal 1992 al 2005 è costato oltre 23 miliardi, di cui
10,8 solo dal 2001 al 2005. Ma il problema, è che dei soldi che hanno
costituito l'incentivo solo il 19,6 per cento sono andati a finanziare fonti
rinnovabili (eolico, fotovoltaico). Altri numeri, altrettanto significativi, li
ha forniti l'Autorità per l'energia, nel suo rapporto annuale: dei 2,5
miliardi raggranellati nel 2005 grazie alla terza voce della bolletta
elettrica, 1,8 hanno "incentivato" gli investimenti in fonti
assimilate, come gli inceneritori.
Queste
le reazioni. il ministro dell'Ambiente Pecoraro Scanio: "Mi permetto di
dissentire nei confronti dell'Ufficio di presidenza della Camera per
un'interpretazione eccessivamente formalistica. Bisogna porre il problema che
c'è il diritto del Parlamento all'emendabilità, chi pensa di
approfittare di un vuoto legislativo per metterci di fronte a un fatto compiuto
ha sbagliato".
"I fondi delle rinnovabili lautamente versati dai cittadini con la
bolletta elettrica vadano alle rinnovabili, e se qualche amministratore locale
vuole un inceneritore, lascino stare i soldi per le energie pulite e cessino le
pressioni. Se alcune province o alcune regioni hanno interesse a fare alcuni
impianti almeno non chiedano siano sostenuti col danaro delle energie
rinnovabili".
"C'è
chi sui fondi Cip6 già faceva affidamento, sulla base di progetti
semplicemente autorizzati, niente più. Ora si parla di crisi del sistema
rifiuti in alcune province, per la chiusura dei rubinetti del Cip6. Naturale
che vi sia quindi un'azione di lobby in corso. Lo dico con chiarezza: la
finiscano con questa pressione indebita, i fondi per le rinnovabili vadano alle
rinnovabili".
È oramai chiaro che i cittadini pagano con la tassa sui rifiuti un
sistema imprenditoriale marcio: gli "imprenditori facciano gli
imprenditori".
Significativo l'esempio: Un impianto che tratti 160.000 tonnellate di rifiuti
l'anno lavorando per 5.000 ore prende 20 milioni di euro ogni anno per 8 anni
grazie al Cip6.
Così saremmo in grado tutti di fare gli imprenditori.
L CASO| Sono 435 le censure degli ultimi 5anni Clima, bustarelle per mentire
L'Union
of concerned scientists denuncia pressioni sugli scienziati americani per
eliminare le parole "surriscaldamento globale" e "cambiamenti
climatici" dai loro studi.
LINK: The Guardian/ l'Ucs
Bustarelle
agli scienziati americani per negare le responsabilità umane
sull'effetto serra. È quanto denunciano il quotidiano britannico The Guardian e l'Unione of concerned scientists (Ucs)
che parlano di pressioni delle lobby del petrolio
affinchè dai documenti scientifici fossero rimosse le parole
"surriscaldamento globale" e "cambiamenti climatici".
Sospettato anche un forte coinvolgimento della compagnia petrolifera Exxon.
Un rapporto dell’Ucs reso pubblico martedì 30 gennaio rivela che
le considerazioni politiche hanno interferito con il lavoro di numerosi
ricercatori statunitensi impegnati sulla climatologia. L'associazione ha
indirizzato un questionario a più di 1.600 scienziati impegnati su programmi
di ricerca federali. Più del 45% di loro sono a conoscenza o sono stati
personalmente oggetto di pressioni per eliminare alcune pubblicazioni a
carattere scientifico da termini come “cambiamenti climatici” e “riscaldamento
globale”. L’Ucs ha identificato 435 casi di questo tipo di censura negli ultimi
cinque anni.
L'organizzazione punta sulla «porosità» fra l’amministrazione
Bush e le compagnie petrolifere, in particolare la Exxon Mobil. Secondo The
Guardian di oggi, la società ha proposto una busta di 10mila dollari a
parecchi scienziati affinchè questi rifiutassero le conclusioni
dell’Ipcc sui cambiamenti climatici.
2 febbraio 2007
Da online-news.it 2-2-2007 Petrolio ciociaro, chiesto il “VIA”
alla Regione
Valutazione d’Impatto Ambientale per 32 Comuni del frusinate
Ascent Resources e Pentex Italia hanno
chiesto alla Regione Lazio la Valutazione d’Impatto Ambientale per 32 cittadine
ciociare. Si tratta di un passo necessario per procedere alla ricerca di
idrocarburi nel frusinate. La richiesta è in fase di elaborazione presso
il Dipartimento ambientale protezione civile della Regione, ma già dal
2008 la joint-venture italo-inglese potrebbe cominciare i sondaggi petroliferi
nei piccoli Comuni della provincia di Frosinone, Strangolagalli in primis.
Secondo Jeremy Eng (nella foto, ndr),
amministratore delegato della Ascent, la scoperta di carbonati mineralizzati a
Intanto i cittadini di Anagni sono in
rivolta: «I sondaggi vanno avanti notte e giorno – spiegano i residenti di
Colle del Signore, il quartiere interessato dagli scavi – e non siamo stati
neanche avvertiti. Che succederà se il petrolio dovesse effettivamente
essere trovato?».
Da Il Sole 24 Ore
2-2-2007 Banche e finanza: dove l'Europa ancora non c'è di Piero Fornara
ll
13° congresso annuale degli operatori dei mercati finanziari – Aiaf, Assiom,
Atic Forex – in programma quest'anno al Lingotto di Torino, non dovrà
attendere il discorso ufficiale del governatore della Banca d'Italia Mario
Draghi (in programma sabato 3 febbraio alle ore 11) per entrare nel vivo del
dibattito: già nella tavola rotonda d’apertura, oggi pomeriggio, il tema
della «direttiva Mifid» non è un semplice riempitivo. Sigla finora quasi
sconosciuta ai non addetti ai lavori, la Mifid (Markets in Financial
Instruments Directive), che entrerà in vigore dal prossimo novembre nei
27 Stati membri dell’Unione europea, fissa nuove regole per i mercati degli
strumenti finanziari e le banche ne sono le prime destinatarie, ma
riguarderà anche i risparmiatori.
Bene la «Mifid», però... Secondo la Commissione Ue la direttiva
avrà un ruolo essenziale nella realizzazione di un mercato dei capitali
più integrato e più efficiente, di cui l'Europa ha bisogno per
ridurre il costo del capitale, favorire la crescita e rafforzare la propria
competitività sul piano internazionale. Intervistato da Radiocor, il
presidente dell’Assiom Luigi Belluti, ha spiegato che «la Mifid costituisce una
rivoluzione copernicana per gli operatori, porterà una maggiore
competizione tra Borse e intermediari e darà vantaggi anche ai clienti».
Ma anche fra le tre associazioni che si riuniscono a Torino non mancano le
preoccupazioni per il rischio di una complicazione delle regole (quasi un
paradosso, dunque). In un mercato unico europeo dove operano in piena
concorrenza Borse e intermediari, i risparmiatori si troveranno infatti a dover
scegliere fra tanti operatori alternativi, pur con la garanzia della «best
execution» (cioè del miglior prezzo disponibile in quel momento).
Sulla direttiva Mifid il Governo intende spostare i termini per il recepimento
al 31 luglio: lo schema di disegno di legge è all'esame del consiglio
dei ministri. La delega legislativa era scaduta lo scorso 12 novembre ed era
stata prorogata al 31 gennaio dalla legge comunitaria 2006, già
approvata in via definitiva, ma non ancora pubblicata in Gazzetta.
Sabato l'intervento di Mario Draghi. Il 2006 è stato un anno di
trasformazione per le banche italiane e il governatore Mario Draghi, atteso
sabato a Torino, non potrà che tenerne conto nel suo intervento (il
secondo al Forex dopo quello del marzo
In passato il Forex non era un appuntamento dove si approfondivano anche i temi
della congiuntura o dei conti pubblici, ma a Torino Draghi potrebbe scegliere
di parlarne, per assicurare ancora una volta che la ripresa è in atto in
Europa, trascinata dalla Germania e che l'Italia può approfittare di
questo momento favorevole per continuare nell’opera di risanamento dei conti.
Le prospettive di crescita sono infatti favorevoli e le condizioni finanziarie
a livello globale paiono rassicuranti. Il congresso del Lingotto si conclude
domenica mattina, 4 febbraio, con un seminario dedicato al mercato delle
materie prime.
2 febbraio 2007
+ Da La Repubblica 2-2-2007 Maggioranza ipotetica in politica estera di
Massimo Giannini
Da Il Sole 24 Ore 1-2-2007
Da Repubblica
1-2-2007 Borse in odore di bolla ... e
sarà peggio del 2000
Da
L’Unità 31-1-2007 Partito Democratico, ecco la "mozione
Fassino"
Via libera del Consiglio dei ministri al
riordino delle Authority. Semaforo verde, dunque, al disegno di legge che
sarà ora esaminato dal Parlamento. «La riforma delle autorità
indipendenti - sottolinea Enrico Letta, sottosegretario alla Presidenza del
consiglio dei ministri - è un tassello molto importante dell’agenda di
Caserta».
Letta ha precisato che il sistema di regolazione in vigore è incompleto
nei campi dei servizi a rete, troppo frammentato con troppe autorità
indipendenti, debole soprattutto nella capacità dell’Autorità di
essere efficaci per il cittadino consumatore. «Con il provvedimento - spiega
Letta - si intende dare più forza al cittadino consumatore».
I capisaldi dell’intervento che sarà presentato in Parlamento punta a
una razionalizzazione del sistema dei servizi: tre le Autorità
indipendenti in materia di energia, gas e servizi idrici, la seconda e nuova
autorità si occuperà di Trasporti e infrastrutture terrestri e la
terza che avrà competenze in campo di telecomunicazioni e poste.
Il disegno di legge propone anche l’abolizione del Cicr, che sarà
rimpiazzato dal Comitato per la stabilità finanziaria. Previsto anche lo
scioglimento della Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) che
avverrà il primo luglio del 2008 per accompagnare la riforma del Tfr. Le
sue competenze, come quelle dell'Isvap - anch'essa disciolta - saranno divise
tra la Banca d'Italia, la Consob e l'Antitrust.
Novità anche sul criterio di nomina
delle Autorità (tranne la Banca d’Italia): proposta del Governo, con
successivo voto di consenso di una commissione bicamerale che dovrà
esprimersi in favore della candidatura con almeno due terzi dei voti. Inserito
anche un criterio di trasparenza e professionalità dei candidati (bando
pubblico), durata di 7 anni dell’incarico, senza possibilità di nuova
nomina (nemmeno in altre Autorità). Annunciando la nascita della nuova
Autorità per l'energia, il gas e i servizi idrici il sottosegretario
Letta ha sottolineato che «il Governo assume l'impegno di mantenere la
proprietà pubblica dell'acqua». Nelle prossime settimane un gruppo di
ministri si occuperà di predisporre un provvedimento ad
hoc sui servizi idrici con particolare attenzione al Mezzogiorno.
Da La Repubblica
2-2-2007 Maggioranza ipotetica in
politica estera di Massimo Giannini
"QUANDO torno dal Giappone fatemi almeno ritrovare il governo...".
Riletta oggi, la battuta pronunciata da Massimo D'Alema lunedì scorso fa
un certo effetto. Dopo quello che è successo al Senato nel dibattito
sulla base Usa di Vicenza, le parole del ministro degli Esteri assumono un
altro significato. Il sarcasmo nascondeva un esorcismo. L'ironia che si
autocelebra diventa quasi una profezia che si autoavvera. Avrà anche ragione
Romano Prodi, a dire che il centrodestra banchetta sui guai del centrosinistra
con un eccesso di "toni apocalittici". Avrà altrettanta
ragione Anna Finocchiaro, ad aggiungere che lo smacco subito dall'Unione
"non incide sulla tenuta del governo".
Ma la sconfitta di ieri resta agli atti, in tutta la sua gravità. Lo
prova il preoccupato intervento del Capo dello Stato, che chiede un serio
"chiarimento politico" sull'intera vicenda. Lo conferma l'immediata
reazione del presidente del Consiglio, che annuncia un urgente "vertice di
maggioranza" sulla politica estera. Il timore di Napolitano, oggi,
riflette quello del D'Alema di quattro giorni fa: la tensione tangibile che
cresce sul via libera agli Stati Uniti per la base di Vicenza rischia di
precipitare in un conflitto insanabile sul decreto di rifinanziamento della
missione in Afghanistan.
Non è una novità: il centrosinistra, al Senato, viaggia a fari
spenti. Ha una maggioranza ipotetica, non più aritmetica. Conta sui
senatori a vita, sulle assenze di giornata, sui colpi di fiducia. Tra alterne
fortune, finora ha funzionato. In forza di questa debolezza, potrebbe
funzionare persino fino al termine della legislatura. Ma oggi il punto non
è questo. C'è in gioco la politica, più che la matematica.
Qual è il profilo internazionale che il governo è in grado di
dare all'Italia? Che grado di affidabilità può garantire, su
questioni vitali come la ridefinizione delle relazioni transatlantiche o la
partecipazione agli organismi sovranazionali?
La politica estera di un Paese (come e forse anche più di qualunque
altra politica) esige coerenza e continuità. Non può essere
sottoposta a una quotidiana, contraddittoria ed estenuante rinegoziazione
interna. Così un governo si logora. Così un governo dissipa la
sua credibilità. Così un governo può anche cadere.
All'apparenza, lo stesso intrigo kafkiano che ieri ha portato all'approvazione
dell'ordine del giorno del centrodestra sembra di natura tecnica, quasi
procedurale. Nella sostanza, è anch'esso il frutto di un cortocircuito
logico, tutto politico. Tradisce un malessere molto più esteso, rispetto
al "dissenso noto e circoscritto" di cui parla il premier. L'ala
radicale della coalizione non voleva un ordine del giorno che approvasse la
relazione del ministro della Difesa sull'allargamento della struttura militare
americana al Del Molin. Per questo ha costretto l'ala moderata all'ennesimo
compromesso al ribasso: un ordine del giorno che si limitava a "prendere
atto" di quella relazione. Il centrodestra si è infilato in questa
contraddizione, con un suo ordine del giorno che invece approva esplicitamente
il documento di Arturo Parisi.
L'Unione è andata in tilt. De Gregorio, mina vagante dipietrista, ha
votato col Polo. Alcuni senatori della Margherita, per non votare contro il
proprio ministro, si sono assentati. Altri non hanno capito. Così
è passato l'ordine del giorno del centrodestra.
Questa volta, per coprirsi a sinistra, la maggioranza ha finito per scoprirsi
al centro. In altre occasioni, a partire dalla Legge Finanziaria, è
successo l'esatto contrario. Ma il risultato politico che emerge è lo
stesso: la coperta dell'Unione è sempre più corta.
Eppure, almeno sulla politica estera, è il tempo delle decisioni nette,
non più delle mediazioni ambigue. Un conto è studiare insieme al
Dipartimento di Stato una soluzione che riduca l'impatto ambientale della base
vicentina, tutt'altro conto è dare spazio a chi urla "Yankee go
home", rispolverando l'armamentario ideologico di un anti-americanismo pietrificato
dagli anni '70. Un conto è adoperarsi per rafforzare la presenza civile
e per rilanciare l'iniziativa diplomatica in Afghanistan, tutt'altro conto
è pretendere il ritiro completo delle nostre truppe, rinnegando
l'ancoraggio storico del nostro Paese ai principi del diritto internazionale
garantiti dalle Nazioni Unite.
La minaccia più inquietante, per il governo, viene da qui. Non dalla
"strategia della distinzione" dei gruppi dirigenti, ma dalla
"dottrina dell'irresponsabilità" dei gruppi parlamentari.
Bertinotti sa bene quale impensabile miracolo è presiedere la terza
carica dello Stato, per il leader dell'unico partito capace di chiamarsi ancora
"comunista" nell'Europa novecentesca insanguinata non solo dai lager,
ma anche dall'orrore dei gulag. Pecoraro Scanio sa altrettanto bene quale
irripetibile opportunità è guidare il ministro dell'Ambiente, per
il leader di un partito verde che ha resistito alle crisi dei movimenti
ambientalisti nel resto del mondo.
È inutile fingere di non vederlo. Nell'Unione c'è uno zoccolo
duro e puro, estremo e irriducibile, che rischia di sfuggire a ogni controllo.
Non considera il governo come un "valore", e forse continua a
rimpiangere le praterie libere e irresponsabili di un'opposizione bellissima e
perennemente minoritaria. In Parlamento c'è un manipolo di una decina di
eletti che non sembra rispondere al vincolo di coalizione e che rifiuta
l'adesione a qualunque "linea di partito". Danza beatamente intorno
al totem del "Programma", manipolandone le tante zone grigie e
rifiutandone le poche indicazioni certe.
A questo punto, Prodi non può e non deve più sottovalutare il
pericolo rappresentato da questa agguerrita pattuglia di anime belle, pronte a
sacrificare il tutto per la parte. Qualche anno fa un infelice governo nacque
grazie al voto di pochi, spregiudicati "straccioni di Valmy" guidati
da Francesco Cossiga. Disposti a svendere un'identità per il semplice
gusto del potere. Oggi, purtroppo, niente può più escludere che
un altro governo muoia per mano di pochi, visionari "kabulisti"
ispirati da Gino Strada. Disposti a riconsegnare l'Italia alla destra, pur di
difendere una loro "idea" di sinistra.
(2 febbraio 2007)
Ue: in Italia
numero piu' alto di procedure di infrazione norme europee 01/02 - 12:55
(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Bruxelles, 01
feb - E' in Italia il numero piu' alto in Europa di procedure di infrazione
delle norme europee attualmente aperte (dati al primo novembre 2006). E' questo
uno dei risultati dello "score board" sulla trasposizione delle norme
europee nelle legislazioni nazionali e sulle procedure aperte presentato oggi
dalla Commissione Europea. L'Italia ha un deficit di trasposizione pari al 2,2%
contro una media europea dell'1,2%. Si tratta della 22esima posizione. Aps-rd
Da Repubblica
1-2-2007 Borse in odore di bolla ... e
sarà peggio del 2000
E' la tesi di un lettore, secondo cui
questa volta, a differenza del passato, a gonfiare i prezzi dei listini sono i
titoli della old economy.
Dal blog di Giuseppe Turani
M
Oppure potremmo prendere in considerazione
un titolo quale Intel che, all'annuncio delle trimestrali (è accaduto
per gli ultimi due trimestri) perde oltre il 4% e, sucessivamente, in maniera
"miracolistica" li recupera come se le trimestrali non fossero
uscite. Le medesime considerazioni le potremmo
fare per Citigroup che pur riportando utili
in contrazione del 28%, anzichè scendere notevolmente, è rimasto
pressocchè immobile. Cio' si e' ripetuto per Ibm, Microsoft che si
è salvata per le previsioni oltremodo ottimistiche sul lancio del nuovo
programma che potrebbe rivelarsi anche un flop per via dei costi e della
eccessiva memoria che il nuovo programma andrebbe ad impegnare in ogni PC.
Restando, per un attimo ancora, in America,
abbiamo visto ieri il dato sul Pil cresciuto, oltre ogni previsione, al 3,5%.
Al contrario l'indice PMI di Chicago di gennaio è sceso a 48,8 punti
contro una previsione di 52, e ha quindi indicato una contrazione netta, se
è vero, come sempre è stato affermato, che un valore sotto i 50
punti segnala una contrazione.
La differenza tra i due dati è che
quello sul Pil si riferisce al trimestre già concluso, mentre quello sul
PMI si riferisce al mese di gennaio. All'uscta dei dati i mercati erano tutti
negativi ed il Nasdaq, ad esempio, era arrivato a perdere lo 0,60%. Dopo il
laconico comunicato della Fed che, come sempre, diceva e non diceva, i mercati
sono scattati al rialzo come se i tassi d'interesse anzichè restare
fermi al 5,25%, dopo ben diciassette rialzi consecutivi, fossero stati
abbassati. Non solo non sono stati abbassati, ma nessuno ha detto o fatto
intuire che ciò avverrà.
Questo tipo di comportamento dei mercati si
è verificato SEMPRE da quando si è insediato l'enigmatico
Bernanke a capo della Fed. E' un chiarissimo sintomo di bolla. I mercati
crescono in base alle chiacchiere e non ai dati reali. Ieri, inolte, per il
quinto trimestre consecutivo, è scesa la spesa per le costruzioni
(-0,40%) contro il "consensus" che la dava invariata. Probabilmente,
come quasi sempre accaduto, oggi stesso si potrebbe avere il primo
ripiegamento.
In Europa, ove i tassi d'interesse sono
ancora ben al di sotto di quelli americani, è arrivato, ancora una
volta, l'effetto leva che, al contrario, quando W. Street scende, stranamente,
non si manifesta. Vengono dimenticati gli allarmi utili di D.Telekom o la
vistosa contrazione degli utili e ricavi di France Telecom. Ogni giorno
assistiamo alla crescita di un titolo quale Enel, spinto quotidianamente da
giudizi sempre più positivi come se un multiplo di circa 17 volte gli
utili, per una utility fosse poco!! Sarebbe suficiente pensare che i titoli del
settore oil con utili ben maggiori scambiano a un P/E di 10(Eni scambia a 9,15
).
Il ragionamento della crescita dal Lunedi
al Giovedì è validissimo perchè attualmente si va a caccia
di un guadagno settimanale liberandosene poi il Venerdì per
rincominciare il Lunedì successivo. Questo giochetto fu fatto, in
maniera più evidente, proprio nel 2.000. Quando poi, improvvisamente
scompariranno, come a quei tempi, gli acquirenti, inizierà lo scoppio,
che non mi sembra poi tanto lontano. Per non parlare del Giappone ove i tassi
sono ancora allo 0,25% e non si ha ancora il coraggio di portarli almeno all'1%
pur di sostenere la debolezza dello yen e di favorire l'export!!!
Tornando al mercato italiano, sorge il
dubbio sui giudizi oltremodo positivi che negli ultimi tempi si stanno susseguendo
su Snam R.Gas, Terna e Saipem che scambiano ai seguenti P/E:
Snam R.Gas: 19,64
Terna: 16,54
Saipem: 22,88
Viene logico chiedersi se non vi sia in giro qualche giudizio oltremodo
interessato da parte di qualche banca d'affari per le dismissioni che dovranno
essere fatte da Eni ed Enel con laute prebende per quelle banche che
riceveranno l'incarico, altrimenti non si potrebbero assolutamente giustificare
tali multipli assurdi. Eni è in linea con i P/E delle consorelle. Sono
Enel, Terna, Saipem, Snam R.Gas che scambiano a un rapporto prezzo utili
innaturale per il settore a cui appartengono, così come lo sono i
bancari nostrani e gli assicurativi nei confronti delle loro "consorelle
europee". Nessuno ha ancora considerato che con l'abolizione dell'assurdo
balzello trimestrale che esisteva sul massimo scoperto di ogni c.c. con
affidamento, le banche perderanno circa quarantamiliardi di euro!! Altra bolla
in giro!.Che dire infine del premio innaturale al quale scambiano ancora
(nonostante una correzione apparente gia' avvenuta) titoli quali Generali,
Alleanza, Mediobanca!
Bonifacio
(01 febbraio 2007)
Da
L’Unità 31-1-2007 Partito Democratico, ecco la "mozione
Fassino"
Il percorso verso il Partito Democratico va
avanti. Ed è già pronta la "mozione Fassino", quella
che il segretario Ds presenterà a nome della maggioranza al VI congresso
della Quercia chiamata a dare il via libera appunto al Partito democratico. La
mozione sarà presentata ufficialmente il 6 febbraio, ma già da
giovedì sarà disponibile online sul sito del partito.
Diciannove paragrafi, da "Inizia una nuova storia" a "Un
dibattito libero per unire, non per dividere", 31 cartelle per illustrare
la «missione storica» al quale il nuovo partito riformista sarà chiamato
per guidare «una nuova tappa della "rivoluzione democratica"
italiana». Ed è «sfida» la parola che più volte ricorre nel testo
con il quale il leader della Quercia chiederà agli iscritti il sì
ad aprire il cantiere del Pd e la riconferma della sua segreteria.
«L´Italia è a un passaggio cruciale della sua storia - dice Fassino
nella bozza -. È in discussione il suo futuro nel mondo nuovo che si sta
formando. Questo è il compito del prossimo congresso: costruire una
più grande e nuova forza riformista, di rango europeo: il Partito
Democratico. Una svolta non solo necessaria. Possibile!». «Il mondo,
relativamente piccolo, della guerra fredda - è l'analisi da cui parte
Fassino - non esiste più. È un mondo nuovo e niente sarà
più come prima. Tutto ciò che ci fece grandi nel piccolo mondo
non serve più, è senza prospettive».
Fallito il progetto di Berlusconi, tocca al centrosinistra aprire «un ciclo
nuovo nella vita dell'Italia». Perché, e qui il leader Ds cita Antonio Gramsci,
«il problema italiano è più che mai quello di una "riforma
intellettuale e morale", potremmo dire di una 'autoriforma civilè».
Il Pd serve dunque «per dare all'Italia una nuova stagione della democrazia» e
al tempo stesso, aggiungerà più avanti il leader della Quercia,
per portare a termine «la lunga transizione italiana che ha preso le mosse
nell´89». «Un nuovo pensiero per un nuovo secolo» è il paragrafo nel
quale il leader della Quercia afferma che «sono i tratti intorno a cui si
è costruita l'esperienza della sinistra e del riformismo del Novecento
ad essere messi in discussione». Quindi, «abbiamo bisogno non di rinnegare il
passato ma reinventare i suoi valori, elaborando un pensiero nuovo», che non
è «solo l'assemblaggio di pensieri vecchi», ma può nascere solo
se «le diverse culture riformiste italiane, socialista, cattolico democratica,
liberaldemocratica, ambientalista, vanno oltre la parzialità delle loro
singole esperienze per incontrarsi e insieme, con il Pd, dare rappresentanza
politica unitaria al riformismo». Il segretario Ds ricorda il cammino compiuto
dalla nascita dell'Ulivo ed invita a «compiere l'ultimo tratto di strada».
Perché l'intesa tra Ds e Dl «è indispensabile ma non basta».
La "questione socialista"
Fassino vede nell'apertura del Pd alle forze socialiste, come lo Sdi, «la
soluzione alla "questione socialista" apertasi con la crisi
dell'inizio anni '90». Perché «non si può pensare di unire il riformismo
italiano senza l'apporto di quella grande storia politica che - da Matteotti a
Buozzi, da Saragat a Nenni, da Morandi a Lombardi, da De Martino a Craxi - ha
rappresentato un filone culturale e politico essenziale della sinistra
riformista italiana». Anzi, «una forte "unità socialista"
irrobustirebbe il ruolo della sinistra nella costruzione del Pd».
Il sistema elettorale
«Per noi il sistema ottimale per l'Italia resta il collegio uninominale a
doppio turno», scrive Fassino. «Siamo disponibili senza pregiudizi a discutere
anche soluzioni diverse purché rafforzino il bipolarismo e la coesione delle
coalizioni, favoriscano una minore frammentazione politica, recuperino il
necessario radicamento territoriale degli eletti e assicurino l'applicazione
dell'articolo 51 sull'equilibrio di rappresentanza di uomini e donne».
Ai paragrafi 10 e 11 Fassino prende posizione sui nodi della laicità e
della collocazione europea. «Il Pd sarà un partito laico, che non si
sottrarrà ad affrontare quei temi (coppie di fatto, testamento
biologico, fecondazione assistita) sui cui vi è una nuova e più
matura sensibilità nella società di oggi», anche perché «su
questi temi noi non ci rassegniamo alla coabitazione di diversità
inconciliabili nel nome della libertà di coscienza», ma «continueremo ad
impegnarci nella ricerca di incontro e sintesi condivise». Quanto al Pse, la
posizione del segretario resta la stessa: «È con il Pse che il Pd
dovrà operare per il comune obiettivo di dar vita ad un campo riformista
più ampio e giocare così un ruolo rilevante sullo scenario
europeo ed internazionale». Fassino elenca gli esempi della «coraggiosa
innovazione» del socialismo europeo «forte», come Tony Blair e Zapatero, e
dimostra che anche «l'Internazionale socialista è da tempo
un'organizzazione aperta e plurale». Da lì l'invito ai Dl non «a
riconoscersi ideologicamente e astrattamente alla socialdemocrazia», ma ad un impegno
comune con il Pse «per una nuova stagione del riformismo anche in Europa». Nel
paragrafo dedicato alla forma partito (un partito «vero» ma anche «aperto e
democratico») Fassino sollecita alla «radicale innovazione» della politica per
affermare «il rigore etico e civile, la coerenza, la trasparenza e la
sobrietà dei costi della politica». Ed il pensiero corre all´«alta
lezione morale» di Enrico Berlinguer.
L´apertura alle minoranze
Dopo 30 pagine di ragioni e la puntualizzazione sul fatto che il futuro
sarà ben saldo a sinistra, il leader Ds chiede agli iscritti il mandato
per fare un partito che non sia «una semplice federazione», ed elenca le tappe
del processo costituente: dopo il congresso «si avviino subito le procedure per
la convocazione dell'Assemblea Costituente in cui definire Manifesto e
Statuto». E l'orizzonte temporale «massimo» restano le europee del 2009. Alcune
frasi sono dedicate alle perplessità di Mussi. Pur cosciente di
«interrogativi, dubbi, inquietudini e contrarietà, che muovono da
sentimenti sinceri», l'appello finale di Fassino è a «una discussione
unitaria e aperta». «Tutti - afferma il segretario Ds - siamo orgogliosi della
nostra storia e tutti siamo mossi dalla volontà di dare alla sinistra,
ai suoi valori, il più grande slancio». Ma è proprio dalla
consapevolezza del «nuovo viaggio» perché nel Pd «i Ds non solo non smarriscono
la loro identità ed il senso del loro esistere ma possono ambire ad un
riformismo alto e nuovo».
Pubblicato il 31.01.07
Sono gli olandesi i "giganti" del
mondo, seguiti da norvegesi, danesi e tedeschi
Migliori sistemi sanitari e alimentazione più sana avvantaggiano gli
europei
ROMA - Abituati da duecento anni ad essere
considerati il popolo più alto del pianeta, gli americani si trovano ora
scavalcati dagli europei. Non solo il primato gli è stato strappato
dagli olandesi - più alti di ben
Cosa è successo? La statura ha uno stretto legame con il benessere e con
le sane abitudini alimentari, dicono gli autori dello studio pubblicato sulla
rivista Annals of Human Biology. John Komlos, professore di storia economica
all'università di Monaco e Benjamin Lauderdale, politico
all'università di Princeton, imputano alla enorme diffusione del
"cibo spazzatura" dei fast food il rallentamento della crescita dei
cittadini statunitensi. Una moda che sta uniformando la scala sociale: per
motivi diversi, sia i milioni di americani al di sotto della soglia della
povertà che i ricchi tendono a diventare più larghi che alti.
Resterebbe da spiegare perché, al contrario, gli olandesi siano oggi i
più alti del pianeta, con i loro
Dai dati statistici risulta infatti che il ritmo di crescita degli americani
nati a partire dagli anni Cinquanta sia inferiore a quello delle precedenti
generazioni. E non solo per i bianchi: anche la popolazione di colore si
è fermata nella crescita. Durante la prima guerra mondiale, il soldato
americano medio era più alto di qualche centimetro del tedesco, ma in un
momento imprecisato intorno al 1955 la situazione ha cominciato a capovolgersi.
(1 febbraio 2007)
Da La Repubblica 31-1-2007 Ambiente, Ubs analizza
"l'economia dell'effetto serra"
Da La Repubblica 1-2-2007 Banche, in Italia le carte costano quattro volte in più
Da La Repubblica 1-2-
Coperture
incerte per il contratto degli statali
Rischi di squilibrio per la spesa sanitaria
ROMA - La corruzione nella pubblica amministrazione non sembra
"attenuarsi" e sarebbe grave procedere a sanatorie contabili
"improvvisate". All'inaugurazione dell'anno giudiziario è
doppio l'appello che arriva dai vertici della Corte dei Conti. Con il
procuratore generale Claudio De Rose che si sofferma, per criticarlo, sul cosidetto
comma Fuda, la modifica (poi corretta) in Finanziaria che avrebbe decurtato i
termini di prescrizione per l'azione di responsabilità da illecito
contabile. Mentre il presidente Francesco Staderini sottolinea l'ampiezza del
fenomeno corruttivo nella pubblica amministrazione e mette nel mirino "la
rilevanza numerica che hanno assunto i giudizi di responsabilità
riguardanti fatti già oggetto di accertamenti da parte del giudice
penale in materia di peculato, di fatti corruttivi, di appropriazione indebita,
spesso connessi ad attività di verifica fiscale o appalto di opere
pubbliche o pubbliche forniture".
"Stop a provvedimenti estemporanei". Nella relazione De Rose
invita il governo a evitare "provvedimenti normativi estemporanei, se non
addirittura improvvisati". "Se governo e Parlamento intendono
modificare le norme che regolano l'attività e le competenze della
magistratura contabile - prosegue De Rose mentre ad ascoltarlo ci sono il
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e i vertici delle istituzioni -
vi si pervenga con disegni di legge organici supportati da un'adeguata analisi
della realtà di fatto e di diritto su cui vanno ad incidere". Il pg
riconosce comunque al governo di aver "prontamente corrisposto alla
necessità di impedire, con decreto legge, l'efficacia" del
cosiddetto comma Fuda. E, per evitare che si ripetano 'incidenti' come quello
del maxiemendamento alla Finanziaria 2007 o norme con "effetti
dirompenti" come il condono erariale del 2006, De Rose propone di
ripristinare il parere preventivo della Corte dei Conti sui provvedimenti
legislativi che la riguardano.
Processi più lenti. Il condono erariale inserito con la Finanziaria
2006 che consentiva ai condannati in primo grado di definire il giudizio
d'appello pagando una percentuale (tra il 10 e il 30%) delle somme indicate
nella sentenza impugnata "ha reso più difficoltosa la gestione dei
processi d'appello". E' severo il giudizio di Francesco Staderini, che
trova sponda nelle parole di De Rose, che ha parlato di "sfasature e
anomalie processuali". "Il condono - prosegue Staderini - ha
comportato sovente il rinvio delle udienze di trattazione nel merito finendo
con il determinare un aggravamento, anzichè un'accelerazione, dei tempi
processuali".
Il presidente della Corte dei Conti ha poi fornito i dati delle richieste di
condono erariale: nel 2006 sono state presentate 171 istanze di definizione
anticipata del giudizio rispetto ad appelli già pendenti al 31 dicembre
2005. Per gli appelli nuovi, a fronte dei 620 presentati nel 2006, sono state prodotte
216 istanze: 82 le accolte e 121 quelle respinte avendo i giudici escluso, in
via interpretativa l'ammissibilità al beneficio dei soggetti condannati
in primo grado a titolo di dolo e di illecito arricchimento".
Sanzioni e dipendenti. La pubblica amministrazione può fare
veramente poco contro i dipendenti infedeli e le sanzioni sono inefficaci. La
Corte dei Conti punta il dito contro i condannati per reati contro
l'amministrazione. "La lunghezza dei procedimenti penali - dice Staderini-
la pregiudiziale penale all'esercizio della funzione disciplinare, le
difficoltà alla utilizzazione, nel procedimento disciplinare, degli
accertamenti compiuti dal giudice, allontanano poi nel tempo, svuotandole anche
della loro efficacia deterrente le sanzioni ai dipendenti infedeli".
Anomalie nei ministeri. Le spese dei Ministeri non sfuggono al
controllo della Corte dei Conti che segnala anomalie procedurali e contabili.
Il presidente della Corte dei Conti, nella sua relazione spiega che nel 2006
"l'ambito delle verifiche è tuttavia ancora circoscritto, se
comparato all'universo dei titoli di spesa, oltre cinque milioni, annualmente
emessi".
Spesa sanitaria. Attenzione ai rischi di squilibrio per la spesa sanitaria.
Questo in sostanza uno degli 'inviti' del presidente della Corte dei Conti, che
segnala alcune tra le cause più ricorrenti di rischio per le Regioni e
gli organi delle aziende sanitarie: dal mancato rispetto dei criteri di
rilevazione e valutazione stabiliti dal codice civile e dai principi contabili
nazionali alla sistematica sottovalutazione dei costi relativi alle prestazioni
acquisite da strutture esterne.
Cumulo pensionistico. E' "auspicabile un intervento del
legislatore" per fare chiarezza sui "limiti entro i quali possa
essere consentito il cumulo delle indennità integrative speciali o delle
indennità similari" dice De Rose, che sollecita un intervento da
parte del Parlamento.
Spesa e bilancio. Il costo del lavoro e il rinnovo di alcuni contatti
del pubblico impiego finiscono sotto la lente della Corte dei Conti. Il
presidente Staderini sottolinea che "la spesa per il personale è,
infatti, tra quelle che incidono più fortemente sui bilanci pubblici,
circostanza questa, che ha orientato il legislatore nella scelta di affidare
alla Corte il compito di elaborare una specifica relazione sulla gestione delle
complessive risorse finanziarie destinate al personale pubblico".
Ministeri e immobili. La Corte dei Conti si dice allarmata per alcuni casi
di 'occupazione' irregolare di immobili da parte di alcuni Ministeri. Alcuni
Ministeri, ha ricordato De Rose, "effettuano da anni dichiarazioni di
debito perché occupano senza contratto, immobili a fini d'ufficio, sottostando
quindi alle condizioni del proprietario e senza porsi neppure il problema di
regolarizzare la situazione o di verificare la convenienza a protrarre
l'occupazione irregolare".
(1 febbraio 2007)Dal Sole 24 Ore 30-1-2007 Varata la riforma dei servizi
segreti, Sie e Sin al posto di Sismi e Sisde
I servizi segreti cambiano. E cambiano in maniera epocale. Al posto di Sismi e
Sisde arrivano il Sie (Servizio di informazione per la sicurezza esterna) e il
Sin (per la sicurezza interna). Aumenta il numero dei componenti del Comitato
parlamentare
di controllo sui Servizi (Copaco) che passano da
La
responsabilità politica dei servizi segreti è e rimane del
Presidente del Consiglio mentre il Comitato parlamentare di controllo sui
servzi segreti passa da otto a dieci componenti ed aumentano i suoi poteri di
controllo -, ma non d'inchiesta -, anche per quel che riguarda la
contabilità. Se un membro del Copaco viola il segreto e viene
individuato, decade. Il segreto di Stato durerà 15 anni, rinnovabili per
altri 15 e dunque per un massimo di 30. I parenti degli agenti segreti possono
entrare nel servizio solo attraverso un concorso mentre i familiari dei
direttori non possono entrare comunque.
Il
Presidente del Consiglio comunica in anticipo al Copaco i nomi scelti per i
vertici dei servizi il cui presidente è sempre un rappresentante della
minoranza. Vietate operazioni improprie nei confronti di sedi di partito o
sindacato e di giornalisti professionisti. Il premier potrà scegliere: o
si tiene lui tutte le competenze o le può delegare a due
autorità, o ad un ministro senza portafoglio o ad un sottosegretario.
Il
Sin e il Sie saranno le due nuove strutture di intelligence. Il primo si
dovrà occupare della sicurezza interna, il secondo di quella esterna.
Entrambi dovranno rispondere al presidente del Consiglio. Ma il Sin avrà
come referente il ministro dell'Interno, mentre il Sie quelli della Difesa e
degli Affari Esteri. Coordinerà l'attività delle due strutture il
DIS (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza) che avrà anche il
compito di controllare che Sin e Sie rispettino leggi e regolamenti. Il Sie
potrà operare in Italia solo in collaborazione con il Sin e solo quando
si tratti di operazioni in stretto collegamento con l'attività che il
Sie svolge all'estero.
Presso
il Dis verrà istituito un ufficio ispettivo che potrà svolgere
anche inchieste
interne. Ma il Dis dovrà anche vigilare sul rispetto delle disposizioni
del premier in tema di segreto di Stato. E a questo compito sarà
preposto l'Ucse (l'Ufficio centrale per la segretezza) istituito sempre
nell'ambito del Dis che dovrà anche occuparsi dei Nos (Nulla osta di
sicurezza). Poi, sempre all'interno del Dis è istituito l'Ufficio
centrale degli Archivi (Uca) che diventerà il custode dei segreti
archiviati. Sarà creata anche una Scuola per la formazione del personale.
Nomina e revoca del direttore generale spettano al premier. Quanto al Cisr
prenderà il posto dell'attuale Cesis e sarà composto da premier,
eventuale autorità delegata (ministro o sottosegretario) e da ministri
dell'Interno, della Difesa e degli Esteri. Il direttore del Dis svolgerà
le funzioni di segretario del Comitato. Tra i compiti del Cisr: elaborare gli
indirizzi generali dell'azione di intelligence e deliberare sui bilanci
preventivi e consultivi.
Il presidente del Consiglio può ottenere qualsiasi documento dall'autorità
giudiziaria utile all'attività di intelligence. Anche il magistrato
può chiedere di acquisire atti agli '007'. In caso di rifiuto od
omissione, il premier potrà ordinare l'immediata consegna di ciò
che manca oppure confermare l'inesistenza dei dati richiesti. Se poi questi
sono segreti, sempre il premier dovrà confermare entro 60 giorni l'
apposizione del segreto di Stato. In caso di silenzio, i dati dovranno essere
acquisiti.
L'agente potrà commettere reati, ma dovrà essere autorizzato di
volta in volta. Questa causa di giustificazione enon potrà essere
applicata nel caso di delitti «specificamente diretti a mettere in pericolo o a
ledere» vita, integrità fisica, personalità, libertà
(personale e morale), salute o incolumità delle persone. Nè
quando si tratta di attentati contro organi costituzionali, assemblee
regionali, diritti politici del cittadino. Salvo «che si tratti di condotte di
favoreggiamento personale o reale» necessarie. L'autorizzazione dovrà
essere data dal premier che potrà anche revocarla. Non si potranno mai
condurre 'operazioni improprie «nei confronti di sedi di partiti e sindacati o
di giornalisti iscritti all'albo. In caso di particolare urgenza, il permesso
potrà essere dato anche del capo del Servizio che però dovrà
comunicarlo entro 24 ore al premier. Se l'agente andrà oltre il permesso
ottenuto, il capo del governo dovrà informarne l' autorità
giudiziaria; se invece bara per avere il via libera rischia il carcere da
Il
segreto di stato dura 15 anni, ma si può rinnovare per altri 15. E ci
sono 4 classifiche attribuibili: segretissimo, segreto, riservatissimo e
riservato (hanno tolto la quinta vietata la divulgazione). Non potrà mai
essere opposto alla Consulta.
Da La Repubblica 31-1-2007 Ambiente, Ubs
analizza "l'economia dell'effetto serra"
M
Tra
gli altri settori particolarmente influenzabili dalle condizioni climatiche
estreme individuati dagli esperti di Ubs ci sono anche "le attività
ad alto consumo idrico, ma anche il turismo, la sanità, le assicurazioni
e le attività influenzate dalle tempeste quali l'estrazione di petrolio
offshore". Uno scenario che, sostiene il rapporto, comporta una serie di
rischi per le imprese, che potrebbero infatti essere esposte a "normative
più severe, un maggiore deterioramento delle proprietà materiali,
il calo di entrate, i danni alla reputazione". Non di meno tale
prospettiva presenta anche alcune opportunità. Più le persone saranno
incoraggiate a limitare le emissioni di gas serra, "maggiori - secondo lo
studio - saranno le opportunità d'investimento legate al contenimento
degli effetti del cambiamento climatico". Tale occasioni sono suddivise in
due categorie distinte: quella che comprende i prodotti e processi
caratterizzati da una maggiore efficienza energetica e quello che riguarda lo
sviluppo di fonti energetiche rinnovabili, a basso contenuto di carbonio.
"Questi settori e le aree d'investimento al loro interno - conclude il
rapporto - sono ben posizionati per beneficiare delle condizioni climatiche in
mutamento e delle nuove normative".
L'economia
da effetto serra nasce, secondo l'analisi di Ubs, dal fatto che sono sì
"già disponibili le soluzioni tecnologiche per contenere le
emissioni di gas serra", ma "le misure prese a livello globale per
creare incentivi alla loro riduzione sono praticamente inesistenti". La
variabile principale per determinare le conseguenze del cambiamento climatico
è quindi rappresentata dal futuro quadro normativo. Un'analisi che
scaturisce soprattutto da tre elementi: le emissioni di gas serra non
comportano ancora dei costi", vi sono poche alternative concorrenziali ai
combustibili fossili e, infine, l'energia riveste una grande importanza strategica
a livello nazionale. Gli esperti di ubs, scendendo nei dettagli dei singoli
settori di attività, ritengono che tra i settori direttamente esposti
alle emissioni di gas troviamo alluminio, cemento, chimica, naturalmente
petrolio e gas, servizi e acciaio. Tra quelli indiretti auto, aviazione,
costruzioni, attrezzature elettroniche e ancora petrolio e gas. A livello
operativo risentiranno dei mutamenti del clima anche agricoltura, pesca,
selvicoltura, assicurazioni, immobiliare, turismo e servizi idrici. Le migliori
opportunità, sempre secondo lo studio della banca, potrebbero risiedere
nelle fonti rinnovabili (bio-carburanti, energia geotermica, fotovoltaica,
solare e eolica) e anche in una migliore efficienza nel processo e nei prodotti
legati all'energia (propulsione ibrida per l'auto, applicativi più
parsimoniosi), infrastrutture più high tech, isolamento termico,
illuminazione più economica.
31/01/2007
- 17:45
Da La Repubblica 1-2-2007 Banche, in Italia
le carte costano quattro volte in
più
M
Il
settore bancario al dettaglio europeo è caratterizzato da elevate
barriere alla concorrenza, che penalizzano allo stesso tempo le aziende e i
consumatori dell'Unione. Ne è convinta la Commissione Ue, che ha
pubblicato oggi le conclusioni dell'indagine settoriale avviata dalla numero
uno dell'Antitrust, Neelie Kroes, nel giugno del 2005. Il rapporto sottolinea
le "preoccupazioni" dell'Esecutivo comunitario riguardo ai mercati
delle carte di pagamento, ai sistemi di pagamento nonchè ai prodotti
offerti alla clientela al dettaglio dagli istituti di credito.
"L'indagine
ha riscontrato diffuse barriere alla concorrenza che aumentano inutilmente i
costi dei servizi nel settore bancario al dettaglio per le imprese ed i
consumatori europei - ha dichiarato la Commissaria Kroes -. La Commissione
applicherà appieno i suoi poteri nell'ambito della legislazione sulla concorrenza per far fronte a
queste barriere, nel mercato delle carte di pagamento e altrove, quando
risultano da comportamenti anticompetitivi". In particolare, l'indagine
rileva tra l'altro forti differenze nelle commissioni sulle carte di pagamento,
barriere all'ingresso nei mercati per i sistemi di pagamento nonchè
ostacoli alla mobilità dei clienti.
Ostacoli
elevati a chi vuol trasferire il proprio conto bancario in un altro istituto di
credito, una forte concentrazione del mercato, alte redditività delle
banche, barriere all'ingresso di altri concorrenti. Sono solo alcuni sei
segnali che denunciano in Europa "la presenza di numerosi ostacoli alla
concorrenza nel mercato dei servizi bancari al dettaglio". Secondo il
rapporto definitivo adottato oggi dalla Commissione Europea sui servizi bancari
al dettaglio, Neelie Kroes, commissaria responsabile della concorrenza, si
ripromette di "fare pieno uso dei suoi poteri per combatterli". Il
settore delle carte di pagamento è importante e muove 1.350 miliardi di
euro l'anno con commissioni bancarie per 25 miliardi. Nel suo insieme, il
produce un reddito lordo annuo di 250-275 miliardi l'anno pari al 2% del PIL
dell'UE. Ed i mercati, secondo lo studio settoriale lanciato nel giugno 2005,
che ha già pubblicato due analisi intermedie, sono generalmente
già frammentati dalle frontiere nazionali, da differenze di carattere
regolamentare, giuridico e culturale. L'esempio di Austria, Finlandia e
Portogallo secondo i servizi della concorrenza della Commissione Europea,
dimostra tuttavia come sia possibile ottenere alcuni risultati attraverso
l'autoregolamentazione. Si tratta di alcuni paesi ai quali la Commissione
Europea si è rivolta dopo la pubblicazione del primo rapporto intermedio
sulle carte di pagamento.
31/01/2007
- 17:15
«La
Commissione europea farà pieno uso dei propri poteri per contrastare le
barriere alla concorrenza nel mercato delle carte di pagamento e là dove
sono dovute a comportamenti anticoncorrenziali». Presentando il rapporto finale
sul settore retail bancario, la commissaria all'Antitrust europeo Neelie Kroes
ha confermato di non avere alcuna intenzione di procedere con il guanto di velluto
nel comparto. L'inchiesta ha confermato che «esistono barriere alla concorrenza
diffuse con un aumento non necessario dei costi dei servizi al dettaglio per le
imprese europee e i consumatori», ha aggiunto Kroes.
Diversi i rilievi dell'Antitrust contenuti nel rapporto: l'alta concentrazione
dei mercati in molti stati particolarmente per le carte di pagamento può
permettere alle banche "incumbent"(che detengono posizioni forti nel
mercato) di ostacolare i nuovi entranti e caricare alte tariffe; preoccupano l'ampia
variazione delle tariffe nella Ue, le ampie variazioni nelle tariffe di
interscambio tra banche cross-border che non si traducono pienamente i tariffe
più basse per chi possiede le carte. Bruxelles, in ogni caso, «non
chiede tariffe zero» di interscambio. Inoltre nel mirino sono l'elevata e
sostenuta profittabilità particolarmente nell'emissione di carte:
«Ciò indica che le banche in alcuni stati godono in misura significativa
di un potere di mercato e possono imporre alte tariffe alle imprese e ai consumatori»;
le regole e le pratiche che indeboliscono la concorrenza a livello del
dettaglio e la divergenza degli standard tecnici che impedisce a molti
fornitori di servizi di agire con efficacia su scala paneuropea.
Bruxelles rileva che in Austria, Finlandia e Portogallo le imprese hanno
cominciato ad affrontare tali temi sulla base delle preoccupazioni della
Commissione europea. «Diverse barriere esistono anche nel settore dei
pagamenti»: Bruxelles ritiene che l'efficienza debba essere migliorata e deve
ridursi il costo dei pagamenti al dettaglio per i servizi resi al consumatore.
Il mercato retail è frammentato in spazi nazionali, diviso da diversi
fattori: barriere alla concorrenza, diversità nella regolazione, nella
tradizione legale e culturale. Cinque i motivi di preoccupazione: in alcuni
stati la congiunzione di alta profittabilità, alta concentrazione del
mercato ed evidenza di barriere alla concorrenza rendono possibile alle banche
di influenzare il livello dei prezzi; alcuni registri dei crediti, conservando
dati confidenziali, possono essere utilizzati per escludere nuovi entranti;
alcuni aspetti della cooperazione tra banche, incluse le casse di risparmio e
le banche cooperative, possono ridurre la concorrenza e impedire l'ingresso di
concorrenti; il legame tra prodotti, per esempio forzare un cliente ad
acquistare una assicurazione extra o aprire un conto corrente, è
largamente diffuso. «Ciò riduce la scelta dei consumatori e aumenta il
potere della banca di influenzare i prezzi e ostacola la mobilità del
cliente. Tali rischi sono «alti». L'inchiesta indica chiaramente «che i margini
di profitto delle banche sono più bassi se il cliente è
più mobile».
La Commissione ritiene che «l'applicazione della legge di concorrenza
può migliorare l'operatività dei mercati: in alcuni casi
raccomanda che sia l'industria a prendere misure per risolvere i problemi
individuati dall'inchiesta». In ogni caso al momento non ha considerato «se sia
necessaria una regolazione ulteriore nel settore retail». Quanto ai livelli di
redditività, Bruxelles tiene a precisare che «l'inchiesta non affronta
il problema se nelle banche europee è troppo alta o bassa» limitandosi a
rilevare l'esistenza di una correlazione tra elevata concentrazione dei
mercati, alta profittabilità ed evidenza di barriere all'entrata erette
dalle banche "incumbent". Così come Bruxelles conferma la
propria «neutralità» rispetto ai modelli di business, alla struttura
delle banche e alla proprietà. Né viene proposta l'abolizione della
tariffa di interscambio (la tariffa pagata all'emittente di carta di pagamento
per ogni transazione al punto di vendita): Bruxelles si limita «ad assicurare
che sia a un livello equo come risultato di una transazione che avviene in un
contesto concorrenziale e sia sufficientemente trasparente per i partecipanti
al mercato».
I costi dei conti correnti
Sono in Italia e Lussemburgo i costi più elevati per la clientela
rispettivamente per mantenere e chiudere un conto corrente. È una delle
indicazioni contenute nel rapporto tecnico finale della Commissione europea
sulla concorrenza nel settore bancario retail in Europa. Il costo di gestione
del conto in Italia è di 90 euro all'anno (40 euro in Germania); per
chiuderlo 100 euro in Lussemburgo (in Italia 60 euro). In Italia e Germania
nota però Bruxelles «la tariffa annuale per la gestione include un
pacchetto di servizi gratuiti».
Nel rapporto si segnala che «in conseguenza di una decisione
dell'Autorità nazionale del settembre 2006, i membri dell'Associazione
Bancaria Italiana devono eliminare le
tariffe di chiusura» dei conti correnti. Nel corso di un briefing tecnico sul
rapporto presentato oggi, la responsabile dell'unità servizi finanziari
Irmfried Schwimann ha dichiarato che l'argomento dell'Abi secondo cui l'alto
costo di mantenimento dei conti correnti in Italia dipende dalla
quantità elevata di cointestazioni «va preso con molta prudenza,
è ridicolo, perchè si può sostenere che ci sono molte
cointestazioni proprio in quanto i costi sono elevati». Nello stesso rapporto
tecnico della Commissione europea si afferma che «le caratteristiche
dell'industria bancaria retail rendono difficile comparare prodotti simili e
definire indicatori affidabili che permettano una valutazione della struttura
competitiva». «Cionostante -prosegue il rapporto - il comportamento di prezzo
delle banche fornisce alcune indicazioni iniziali del grado di concorrenza nel
mercato».
La reazione delle banche
La Commissione europea sbaglia analisi, conclusioni e tempi. Pur dichiarandosi
disponibile a «un dialogo costruttivo», la Federazione bancaria europea giudica
sbagliato nelle conclusioni e nei tempi il rapporto finale sulle barriere alla
concorrenza nel settore bancario retail. In un comunicato, la Fbe esprime
«molte riserve su molti aspetti del rapporto, sulla metodologia seguita e si
alcune delle conclusioni sui conti correnti e sui pagamenti in particolare
sulle carte».
(agenzia radiocor)
Nella
seduta del governo di mercoledì, il premier russo Mikhajl Fradkov ha
affermato che la partecipazione di investitori stranieri in industrie e
società strategiche, in forma di acquisto di pacchetti di controllo e/o
di gestione, sarà nell’immediato futuro regolamentata grazie alle misure
previste da un ampio pacchetto di leggi, approvate dal governo dopo un lavoro
di elaborazione di apposite commissioni durato circa un mese. Il ministro
dell’industria e dell’energia Khristenko ha già indicato i settori da
regolamentare. Essi riguardano direttamente la sicurezza del Paese: si tratta
di industria e tecnologia bellica; produzione ed uso di tecnologie speciali;
tecnologia aeronautica; produzione, uso e conservazione di materiale nucleare;
costruzione di strutture nucleari; sottosuolo (gas, petrolio, minerali);
monopoli naturali; materiali speciali e leghe destinate all’industrie bellica;
biologia e malattie infettive.
Il campo è delimitato, ma significativo. Si tratta dei settori in cui la
Russia è competitiva sui mercati internazionali e in cui presenta un
elevato livello tecnologico. Alcuni di essi (nucleare, armamenti, materie prime
ed energia) sono voci fondamentali del suo export.
«Se gli investitori esteri vogliono prendere parte allo sviluppo delle
società e industrie di questo settore, la Russia non ha nei loro
confronti preclusioni di principio – ha affermato il premier Fradkov. Tuttavia
- ha precisato – non ci prepariamo ad aprire automaticamente agli stranieri che
desiderano investirvi quelle imprese che hanno un significativo potenziale di
competitività, non solo per il loro proprio sviluppo, ma più in
generale per lo sviluppo dell’intera economia della Federazione russa ».
Da una parte ci sono i problemi legati al segreto di stato o se si vuole al
segreto industriale. Dall’altro ci sono quelli legati all’interessi che la
Russia ha nell’attirare anche in questi settori capitali e risorse stranieri.
In altre parole, si potrebbe dire, il mercato e le necessità
dell’economia
Contraddizioni nei settori strategici
L’ultimo esempio sono gli accordi siglati appena una settimana fa dal
presidente Putin in India che riguardano in primo luogo le industrie belliche,
l’aeronautica, il settore spaziale (“tecnologie speciali”) e quello nucleare.
Essi implicano, chiaramente, un forte scambio di informazioni a livello
scientifico e tecnico, oltre che a quello costruttivo. Lo stesso si può
dire per le avances del settore aeronautico russo (in via di unificazione
grazie alla holding OAK, Consorzio Aerei Riuniti, che comprende le
società costruttrici di Sukhoi, Tupolev, Mig, Tupolev, Irkut) per
incrementare la cooperazione e la partecipazione diretta russa in grandi
imprese europee del settore, come l’EADS, il gruppo franco-tedesco-spagnolo che
detiene l’80% di Airbus Industrie. Ci fu la proposta russa di portare al 10% (e
perfino a un potere di blocco) la propria quota azionaria (per ora al 5%). Di
questo si parlò, in particolare, durante i colloqui di Compiègne,
lo scorso settembre tra i presidenti Chirac e Putin e la cancelliera tedesca
Merkel. Quindi, la preoccupazione russa di controllare la destinazione e i fini
degli investimenti stranieri, in sé legittima – specie se si considerano i
contratti firmati da Mosca con le grandi società petrolifere straniere
nei critici Anni Novanta di crisi di quegli stessi settori (a cominciare dal
greggio), concedendo a queste ultime forti e varie agevolazioni – contrasta con
le aperture della Russia verso l’esterno, in cui obiettivamente, viene meno la
tradizionale “segreto-mania” russa (e a suo tempo sovietica, molto più
radicale). A meno che nella cooperazione con settori high tech stranieri Mosca
conti di acquisire tecnologie e risultati che da sola non potrebbe ottenere nel
breve periodo. C’è anche da aggiungere che non poche sono state le
obiezioni di settori politici tedeschi e francesi all’ingresso russo in un
settore strategico, come quello dell’aeronautica.
A chi l’ultima parola
Nei meccanismi appena creati per controllare sia gli inviti alle società
straniere perché partecipino a settori strategicamente importanti
dell’economia, sia le quote azionarie che possono essere loro vendute,
avrà fondamentale importanza una commissione governativa, presieduta dal
premier, che sarà di fatto un organismo plenipotenziario per trattare
con le società investitrici.
Tuttavia, accanto a questa Commissione governativa ci saranno strutture del
Servizio federale di sicurezza (FSB), la cui presenza e il cui parere
vincolerà le decisioni della Commissione governativa.
In una parola, la partecipazione dell’FSB alle decisioni riguardanti gli
investimenti stranieri nei settori sopra indicati viene oltre che formalizzata
, resa decisiva.
Quindi l’FSB avrà una funzione determinante nella politica degli IDE
proposti a Mosca dalle società straniere. Sarà l’FSB a
raccogliere i materiali e i dati sufficienti per il rifiuto o per
l’accettazione. Anche se formalmente dovrebbe essere il premier a dire la
parola decisiva e “in casi eccezionali” il Presidente.
I siloviki
Le comunicazioni di Fradkov e di Khristenko rimandano a un tema inevitabile.
Quello del ruolo crescente che i siloviki , gli uomini degli “apparati della
forza” (esercito, interni, procura, Servizi di sicurezza – FSB) , svolgono
nell’economia russa, segnatamente nei settori strategici. Bastano due nomi
soltanto a indicare la tendenza: quello del presidente del potente
Rosoboronexport Chemezov – l’esportatore monopolista della produzione bellica –
e quello del vicecapo dell’amministrazione del Cremlino Sechin che è
stato chiamato a presiedere l’industria petrolifera statale Rosneft’,
più di due anni fa ingranditasi grazie allo smembramento di Yukos.
Entrambi provengono dal KGB, come del resto un altro silovik, il ministro della
difesa e primo vicepremier Sergej Ivanov, che nel governo patrocina gli
interessi, oltre che dell’esercito, del Complesso militare-industriale. Che
l’FSB acquisisca un ruolo crescente nell’economia russa, lo dimostra il
discorso che, non a caso nello stesso giorno delle dichiarazioni di Fradkov sul
controllo degli investimenti stranieri, ha pronunciato il presidente Putin di
fronte al Collegio (Consiglio) dell’FSB.
Dopo aver elogiato i Servizi di sicurezza per aver evitato allo stato una
perdita di 47 miliardi di rubli nella lotta contro la corruzione e i crimini in
campo economico, Putin ha indicato ai “cekisti” la necessità di impedire
le fughe di informazioni tecnologiche, scientifiche e industriali dal Paese.
«Informazioni cui è legata la capacità di concorrenza russa nei
mercati mondiali».
Per questo, dopo aver detto che il budget
Come si vede, il legame tra queste dichiarazioni e il ruolo che l’FSB
avrà in un campo così sensibile come gli IDE potrebbe attestare
un fatto politico di notevole importanza. La crescita dell’influenza dei
siloviki nell’anno in cui si apre la grande stagione elettorale russa, dalle
politiche di dicembre alle presidenziali della successione a Putin nel marzo
2008. Difficile dire se si tratti di un segno positivo per la Russia.