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Archivio Piccola Rassegna

 

16-28 Febbraio 2007

 

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INDICE   16/28 Febbraio 2007

 

28-2-2007

27-2-2007

26-2-2007

25-2-2007

24-2-2007

23-2-2007

22-2-2007

21-2-2007

20-2-2007

19-2-2007

18-2-2007

17-2-2007

16-2-2007

 

 

INDICE  28-2-2007

++ Il Corriere della Sera  28-2-2007 Dico, alta tensione nella maggioranza. 1

++ Il Sole 24 Ore 28-2-2007  Con il consiglio di ricerca europeo la Ue scommette sui giovani scienziati di Giuseppe Caravita  1

+ Il Corriere della Sera 28-2-2007 Caso Abu Omar, gli Usa negano l'estradizione.  Gli imputati dovrebbero rispondere del sequestro dell'ex Imam di Milano  1

+ Da Il Sole 24 Ore 27-2-2007 Ecofin: ai lavoratori dipendenti va riconosciuto un dividendo per la crescita di Antonio Pollio Salimbeni 1

+ Da Il Riformista 28-2-2007 UE ED ECONOMIA Se Bruxelles per una volta pensa anche ai salari 2

+ La Repubblica 28-2-2007 L'acqua vale più del petrolio. La Russia scopre l'Oro blu.  Leonardo Coen  2

Il Corriere della Sera 28-2-2007 Correzione di rotta.  di Dario Di Vico  2

La Stampa 28-2-2007 La soluzione? Si vota col maggioritario solo per la Camera Parla Luciano Violante.  Antonella Rampino  2

Corriere della Sera 28-2-2007 Corte penale internazionale «Darfur, processo ai criminali di guerra»  Massimo A. Alberizzi 3

La Repubblica 27-2-2007 - Autoreferenziale, utilitarista e in crisi. La classe dirigente non piace e fa autocritica. Confermati molti stereotipi negativi, soprattutto per i politici. Maggiore fiducia nei dirigenti economici Di Rosaria Amato  3

Da La Stampa 27-2-2007 27/2/2007 (8:47) - DA CHI E' MEGLIO ESSERE GOVERNATI? Viva il politico mediocre.  Javier Cercas © El País 3

La Repubblica 27-2-2007 Avviso di garanzia alla vedova Fortugno.  "Truffa negli appalti della sanità" 4

La Repubblica 27-2-2007 Il principe Carlo attacca McDonald's: "Vietiamoli nel Regno Unito" 4

 


 

++ Il Corriere della Sera  28-2-2007 Dico, alta tensione nella maggioranza.

 

Il ddl sulle unioni di fatto in commissione Giustizia

Asse Udc-Udeur contro il ddl. Mastella: «Escano dall'agenda politica». Il Prc: «Disciplina non vale solo per l'Afghanistan»

 

ROMA - In attesa di strappare la fiducia, la maggioranza si sfilaccia sui Dico (il disegno di legge sui conviventi). L'argomento non è stato sfiorato dal premier Prodi durante il discorso a Palazzo Madama, né d'altronde compare nel dodecalogo approvato da tutti i leader del centrosinistra per rilanciare l'azione di governo.
Clemente Mastella, ritiene che il Ddl debba essere definitivamente accantonato e che l'intera materia esca dall'agenda parlamentare dopo l'illustrazione delle dodici priorità del governo fatta dal Prodi al Senato. Mastella se la prende in particolare con il presidente della commissione Giustizia Salvi, di Palazzo Madama, che in una intervista al Corriere della Sera ha detto che tutto è pronto per esaminare i disegni di legge sulle unioni civili. «È stato improvvido parlarne», sostiene il ministro della Giustizia. «I Dico in questa Camera Alta - attacca il leader dell'Udeur - non hanno la possibilità di avere una risoluzione positiva». Usano gli stessi accenti nell'Udc. «Nel centrosinistra, sui Dico, ognuno dice la sua. Una ulteriore conferma del caos in cui regna il centrosinistra. Il vero banco di prova è il Senato, dove i Dico non passeranno mai» afferma il senatore dell'Udc Francesco Pionati.
L'asse centrista mette in allerta la sinistra. Il presidente dei senatori di Rifondazione comunista Giovanni Russo Spena invita il governo a non ritirare il provvedimento sulle convivenze. «Sarebbe molto scorretto e costituirebbe un brutto precedente se ritirasse un provvedimento già incardinato in Parlamento», dice. E poi avvisa: «È intervenuto un problema sui Dico, e come spesso accade i problemi a questa maggioranza vengono dal centro: da Andreotti, da Pallaro, che si è scoperto anche lui vaticanista, e da Mastella». Russo Spena si dice convinto che «Prodi dovrà parlare dei dico in Aula nella replica». Da qui l'affondo: «Se c'è per noi un richiamo alla disciplina sull'Afghanistan - dice ancora Spena - questo deve avvenire anche per i Dico».

28 febbraio 2007


 

++ Il Sole 24 Ore 28-2-2007  Con il consiglio di ricerca europeo la Ue scommette sui giovani scienziati di Giuseppe Caravita

 

Una sorta di rivoluzione copernicana per la politica scientifica europea. Niente più finanziamenti alla ricerca pesati con il bilancino, per non scontentare nessun Paese membro dell'Unione. Né condizionamenti da parte di eurocrati o politici vari. Unico arbitro, invece,la comunità scientifica. E su una cifra grossa:7,5 miliardi di euro su sette anni. Destinati innanzitutto ai giovani ricercatori, i più brillanti, e nemmeno solo europei.Tramite una salva annuale di finanziamenti sulle idee e i progetti ( grants quinquennali) insindacabilmente decisi dai più autorevoli scienziati mondiali.
Questa è la scommessa dell'Erc, l'European Research Council, presentato ieri a Berlino dal cancelliere tedesco Angela Merkel e da Janez Potocnik, commissario alla Ricerca dell'Unione. Il nuovo organismo, una sorta di Royal Society europea, si pone come il fiore all'occhiello del settimo programma quadro per la ricerca dell'Unione, che decolla quest'anno, e muoverà in sette anni finanziamenti complessivi per oltre 50 miliardi di euro.
«L'idea originaria risale al 2003. Un organismo di stimolo alla ricerca di frontiera in Europa del tutto nuovo, fondato sulla sola comunità scientifica e su criteri di merito e di qualità spiega Salvatore Settis, direttore della Scuola Normale di Pisa e membro del consiglio scientifico dell'Erc nel 2005 una commissione indipendente, presieduta dal rettore di Oxford, ha selezionato i 22 nomi del Consiglio scientifico, tra 400 segnalazioni di scienziati europei. Potocnik ha sottoscritto la rosa senza la minima variazione. Da allora ci siamo messi al lavoro, e oggi partiamo con un primo bando di 300 milioni euro per i giovani ricercatori. Potranno partecipare tutti coloro che abbiano conseguito un Ph.D da almeno due anni e non più di nove, abbiano un progetto scientifico di prim'ordine e possano appoggiarsi su un ente di ricerca, come una università o un istituto riconosciuto, non importa se pubblico o privato. Possono essere anche cervelli non europei, basta che vengano a lavorare qui in Europa». «Ci aspettiamo almeno tremila domande, che suddivideremo su venti comitati tematici, ciascuno composto da undici scienziati di fama riconosciuta aggiunge Fotis Kafatos, biologo molecolare di fama mondiale e presidente del Consiglio dei 22 contiamo di sviluppare la selezione agevolmente entro quest'anno».
L'obiettivo è cambiare lastessa concezione della carriera scientifica in Europa: «I giovani scienziati potranno proporre il progetto della loro vita dice Claudio Bordignon, ematologo e altro membro italiano dei 22 competere solo sull'idea e, in caso di successo, ottenere fondi sufficienti anche a mettere in piedi un laboratorio completo ». E se l'Erc riuscirà nel suo "gioco di cervelli" (magari con qualche nuovo Nobel basato in Europa) dopo i primi sette anni le cifre raddoppieranno, a 15 miliardi, promette Potocnik


+ Il Corriere della Sera 28-2-2007 Caso Abu Omar, gli Usa negano l'estradizione.  Gli imputati dovrebbero rispondere del sequestro dell'ex Imam di Milano

 

Se anche dall'Italia dovesse giungere una richiesta, gli Stati Uniti non daranno il nulla osta al processo contro 26 funzionari della Cia

 

 

MILANO - Gli Stati Uniti non accoglieranno alcuna richiesta di estradare i 26 americani rinviati a giudizio in Italia in merito al sequestro dell'ex imam di Milano Abu Omar. Lo ha detto oggi un consulente legale del Dipartimento di Stato.

«NON ESTRADIAMO» - «Non abbiamo ricevuto una richiesta di estradizione dall'Italia - ha spiegato Bellinger nel corso di una conferenza stampa a Bruxelles, dopo alcuni incontri con consulenti legali europei - E se avremo una richiesta , comunque non concederemo l'estradizione dei funzionari Usa in Italia». Una posizione prevedibile, visto che questa è la linea da sempre tenuta dai vertici dell'amministrazione americana quando cittadini statunitensi, soprattutto se funzionari legati al governo o militari dislocati fuori dagli Usa, sono coinvolti in vicende giudiziarie all'estero. La decisione non mancherà probabilmente di sollevare polemiche. Anche perché già il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, aveva fatto sapere che il governo non è intenzionato a forzare la mano con un atto che potrebbe creare ulteriori tensioni con la Casa Bianca.

RINVIO A GIUDIZIO - La decisione di rinviare a giudizio 32 persone - tra cui appuno i 26 statunitensi individuati come agenti della Cia e l'ex numero uno del Sismi, Nicolò Pollari - era stata presa lo scorso 16 febbraio dal gup di Milano, Caterina Interlandi. Tutti dovranno rispondere del sequestro di Abu Omar che, dopo il rapimento, era stato trasferito in Egitto. Nelle carceri egiziane, dove era stato rinchiuso, era stato, a suo dire, anche torturato. Nelle scorse settimane era stato però rilasciato.

28 febbraio 2007

 


 

+ Da Il Sole 24 Ore 27-2-2007 Ecofin: ai lavoratori dipendenti va riconosciuto un dividendo per la crescita di Antonio Pollio Salimbeni

 

Bruxelles - È una vera e propria svolta: l'Ecofin ha affermato pubblicamente che ai lavoratori dipendenti va riconosciuto il cosiddetto «dividendo» della crescita. In sostanza, i ministri dell'economia hanno benedetto (pur senza formalizzarlo in un documento) le rivendicazioni salariali che in diversi Paesi hanno già preso o stanno prendendo forma per negoziati tra imprese e sindacati. Purché siano «moderate».
Le parole usate dal presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker (lussemburghese) e dal ministro delle Finanze tedesche Peer Steinbruek (tedesco e presidente di turno dell'Ecofin) sono state completamente diverse da quelle usate da anni nei circuiti politici europei.
Juncker ha chiesto apertamente di «far partecipare i lavoratori agli utili delle imprese attraverso forme di partecipazione» (non meglio specificate). E Steinbrueck si è rifatto alla classica esperienza socialdemocratica: «Se negli anni per i bassi salari e le classi medie si registra una perdita netta dei salari mentre esplodono i profitti delle imprese, arriveremmo a una crisi di legittimità del modello dell'economia sociale di mercato».
Il commissario Ue agli Affari economici (spagnolo e socialista) ci è andato a nozze visto che è stato proprio lui ad aver lanciato la palla qualche mese fa dimostrando una buona dose di coraggio: «La parte dei salari nel reddito globale degli Stati è oggi al livello più basso da molti anni e questa è una situazione insostenibile».
Naturalmente il messaggio contiene un «ma» grande come una casa che non deve essere sottovalutato: gli aumenti salariali «devono essere in linea con la produttività». Se stanno entro tale limite «non ci saranno problemi», ha detto Juncker. E la Bce non potrà dire nulla perché si tratterebbe di una politica dei redditi di mercato controllata.
I dati che rendono possibile ai ministri delle finanze di parlare tranquillamente di aumenti salariali sono sotto gli occhi di tutti. L'inflazione è sotto il 2% (1,8% nel 2007 secondo la Commissione europea) e a meno di scatti del prezzo del greggio dovrebbe restarvi per un po’. Le parti sociali hanno dimostrato di aver incorporato saldamento la virtù della moderazione fino all'eccesso come dimostra il caso tedesco: l'industria si è ristrutturata proprio grazie alla moderazione salariale.
La Germania è il solo paese in cui tra il 2002 e il 2006 i costi unitari del lavoro sono diminuiti in media dello 0,2% contro la media eurozona dell'1,7 (Italia +3,1%) a fronte di un incremento di produttività per occupato dell'1,6% (contro una media eurozona di 0,7%, in Italia +0,1%).
Inoltre, il fatto che l'inflazione sia rimasta bassa nonostante l'aumento del barile di petrolio significa che il tradizionale effetto di secondo round, cioè il trascinamento degli aumenti degli altri prezzi, si è scaricato.
Il problema nasce dal fatto che la crescita risulta più solida, alcuni ritengono abbia almeno in parte un carattere strutturale grazie alle riforme varate (mercato del lavoro soprattutto). Mentre i governi chiedono di stringere la corda sui sistemi previdenziali e sanità, qualche segno di allentamento va dato.
«Gli aumenti salariali vanno considerati cosa normale», dice il commissario Almunia, a patto che siano coerenti con le condizioni aziendali e del settore. È un problema di giustizia: la quota salari sul pil nell'eurozona declina ininterrottamente dal 1993 quando era a quota 69,4 per cento. Nel 2006 era a quota 64,2%, nel 2007 sarà a 63,9% e nel 2008 a 63,5 per cento.
Secondo le elaborazioni della Commissione europea, in Germania nel 1993 la quota salari sul pil era al 68%, da allora è sempre calato per raggiungere il 62,4% nel 2006, il 62,1% nel 2007 e il 62% nel 2008.
In Italia dal 67,1% del 1993 si è scesi al 61,6 del 2004 per poi risalire al 62,4% nel 1006, scendere quest'anno al 62,2% e l'anno prossimo al 61,8 per cento.
Per Ecofin e Commissione europea si deve però procedere cautamente. Il fattore produttività deve restare centrale nella contrattazione sulle retribuzioni. Mentre in Germania ci sono più margini visti i forti incrementi di produttività, meno spazio c'è in altri paesi, là dove gli incrementi di produttività non dovrebbero essere utilizzati che in parte dati i precedenti incrementi dei costi unitari del lavoro.
Ma l'emergenza di una 'questione salariale’ ha anche un'altra ragione: mai come in questo periodo le opinioni pubbliche sono allarmate perchè la percezione dell'andamento dei prezzi è negativa (aumenta l'inflazione percepita individualmente mentre si riduce quella misurata statisticamente), l'euro raccoglie meno favore e anche le istituzioni europee non se la passano molto bene.


+ Da Il Riformista 28-2-2007 UE ED ECONOMIA Se Bruxelles per una volta pensa anche ai salari


Da mesi, sulla falsariga dei robusti segnali di ripresa che consentiranno al vecchio continente di crescere quest’anno a un ritmo addirittura superiore agli Stati Uniti, la Banca centrale europea ha già alzato il dito per avvertire tutti che non è proprio il caso di aumentare gli stipendi, di redistribuire un po’ di ricchezza sotto forma di salari e stipendi. Perché circola ancora un sacco di moneta e con il petrolio non si sa mai. E questi due fattori rappresentano, secondo l’Eurotower, una serissima minaccia per la nostra inflazione, anche se a noi comuni mortali sembra da tempo piuttosto addomesticata attorno al 2 per cento. Tant’è che la stessa Bce alzerà i tassi altre due volte, quest’anno, secondo il parere della maggior parte degli analisti, per tenerla a bada. Il copione insomma è noto e l’insistenza della Bce è diventata un po’ più marcata da quando i mitici metalmeccanici tedeschi, dopo anni di sacrifici, di cogestione delle crisi, di orario allungato a stipendio ridotto, hanno deciso di concedersi un aumento del 6,5 per cento.
Un po’ di freschezza di analisi è giunta invece ieri da un altro autorevole organismo europeo, che sforna di solito analisi economiche severe e convergenti con quelle di Trichet & co. Ebbene, secondo la Commissione europea vanno attuate sì le riforme strutturali come le pensioni, va tenuta dritta sì la barra sulla riduzione di deficit e debito pubblico, va portato sì avanti il programma di liberalizzazioni. Ma è anche ora, dice Bruxelles nero su bianco, di redistribuire un po’ di quella ricchezza che il paese sta producendo attraverso aumenti salariali legati alla produttività. Chapeau.


     + La Repubblica 28-2-2007 L'acqua vale più del petrolio. La Russia scopre l'Oro blu.  Leonardo Coen

Mosca prepara l'export dei suoi immensi patrimoni idrici
Ripescato un progetto per deviare i grandi fiumi siberiani

La Fao: nel 2050 quasi un terzo dell'umanità senz'acqua potabile
Una rete di canali avvolgerà i paesi assetati dell'ex Unione Sovietica
dal nostro corrispondente

 

MOSCA - Non solo la Russia galleggia su immensi giacimenti di petrolio e gas, al punto da averla trasformata in una superpotenza energetica. Nel suo sterminato territorio c'è tanta acqua dolce da dissetare due pianeti: 120mila fiumi, 2,3 milioni di laghi, paludi vaste come Italia, Spagna e Francia messe assieme. Le risorse idriche superano i 97mila chilometri cubi se ci aggiungiamo le acque del sottosuolo e i ghiacciai: tradotto in vil moneta - o meglio, in denaro liquido - significa poter disporre di scorte idriche il cui valore supera, già oggi, gli 800 miliardi di dollari l'anno. Siccome l'acqua sarà il petrolio del nuovo millennio, i sogni di grandezza del Cremlino stanno diventando ancor più ambiziosi, tanta ricchezza e tante prospettive aumentano l'influenza politica, specie sui paesi confinanti dell'Asia Centrale, assediati dai deserti e dalla siccità.
È bastato un rapporto della Fao, apparso lunedì, in cui si rilancia l'allarme per l'emergenza acqua ("nel 2050 quasi due miliardi di persone potranno restare senz'acqua potabile") e subito i russi hanno fatto sapere che saranno pronti ad operare nel florido mercato dell'oro blu, anche se preferiscono chiamarlo "oro trasparente" (così ha scritto ieri il giornale Novye Izvestia): "La Russia ha buone chances, bisogna però sfruttarle con intelligenza. Potremo occupare un buon posto tra i fornitori d'acqua e tra gli esportatori di prodotti che richiedono grande consumo d'acqua", spiega Viktor Danilov-Daniljan, direttore a Mosca dell'Istituto Nazionale per i Problemi Idrici, "per esempio, l'Africa settentrionale e il Medio Oriente importano una quantità tale di frumento che per produrla ci vorrebbe l'acqua di due fiumi come il Nilo".
I numeri dello "stress idrico" sono da brivido. Per ottenere un chilo di riso ci vogliono da 2 a 5mila litri di acqua. In media, per produrre cibo occorrono 3mila litri d'acqua a testa al giorno.
Quando l'acqua comincerà a scarseggiare, la Russia grazie alle sue smisurate risorse diventerà leader della catena alimentare. Basterà adeguare le infrastrutture, costruire acquedotti diretti a sud, come succede per gli idrocarburi, avvolgere in una tela di ragno gli assetati dell'Eurasia. Pensare che il regime sovietico aveva messo in piedi un progetto per invertire il corso dei grandi fiumi siberiani che sfociano nell'Artico e irrigare le repubbliche dell'Asia Centrale: un'impresa titanica ma potenzialmente anche una catastrofe ambientale. Prevalse il buon senso, e tutto rimase come prima. Era il 1986. Oggi, Nursultan Nazarbaev, presidente del Kazakistan ha rispolverato quella vecchia idea, però da Mosca hanno fatto finta di non capire. "Che comincino a eliminare gli sprechi", suggerisce Tatiana Moisseenko, membro dell'Accademia delle Scienze. Ai Paesi che dispongono di scarse risorse idriche lei consiglia di evitare l'emancipazione totale ("l'indipendenza") dalle regioni del mondo che invece ne dispongono in abbondanza: "In Asia Centrale l'acqua viene sfruttata in maniera abbastanza irrazionale", osserva la Moissenko, "devono introdurre tecnologie per risparmiarla, mettere in uso nell'irrigazione le tecnologie a gocce".
I Paesi ex satelliti dell'Urss soffriranno pesanti danni se non correranno ai ripari. E il riparo si chiama Grande Madre Russia. Dice Anatolij Barkovskij, direttore del Centro per i rapporti esteri dell'Istituto di economia dell'Accademia delle Scienze russa: "Bisogna risolvere in anticipo una serie di problemi: come e quanta acqua può essere trasportata senza creare danni ambientali. Dopodiché, potremmo dissetare fino a saziare".
Acqua come merce, fiumi di rubli, anzi, di dollari. Il business dell'oro blu arricchirà ulteriormente la Russia, scrivono i giornali.
Il controllo dell'acqua è vitale, senza si muore. Senza non si produce. L'acqua è un bene di consumo, lo ha stabilito l'Organizzazione mondiale per il commercio, alla quale la Russia sta aderendo. L'industria globale dell'acqua ha un giro d'affari di 400 miliardi di dollari. Un "asset" fluido che garantisce profitti a go-go e sudditanze strategiche. Da annegarci.
(28 febbraio 2007)

 


Il Corriere della Sera 28-2-2007 Correzione di rotta.  di Dario Di Vico

 

 

Ieri Romano Prodi si è prodotto in uno scatto politico. Il premier ha detto chiaramente che non si limiterà a ricoprire il ruolo di amministratore straordinario di una maggioranza in crisi di vocazione e di consensi. Farà politica, cercherà di tessere dagli scranni del governo la tela delle larghe intese per riformare la legge elettorale. Non lascerà questo compito, gravoso e dall'esito tutt' altro che scontato, ad altre personalità presenti nella coalizione. L'Unione, almeno nelle intenzioni del suo leader, non mutuerà dal sistema bancario lo schema di governance duale. Le strategie di lungo periodo e l'operatività day by day saranno entrambe allocate a Palazzo Chigi. La correzione di rotta operata dal premier avrà delle conseguenze positive per il governo e servirà se non altro a segnalare al Paese la presenza di uno spirito diverso, di un impegno maggiore che nel passato a capire le ragioni degli altri, a superare la logica della demonizzazione. Determinato sul futuro politico suo e dell'esecutivo, puntuale nel sottolineare che «manterremo gli impegni presi in Afghanistan », Prodi però è apparso rinunciatario sulle cose da fare. Nella buona sostanza non si è mosso dal dodecalogo, fingendo di credere che i 12 punti costituiscano di per sé un programma e non siano invece una lista della spesa, seppur in versione accorciata.

Eppure senza voler far riferimento all'immancabile fortuna che assiste Romano Prodi, come già fu per il primo governo dell'Ulivo anche questa volta il centro-sinistra gioca con il vento a favore, può sfruttare i vantaggi della ripresa internazionale e del completamento della ristrutturazione di una larga fetta del nostro sistema industriale. E allora dal premier ieri ci si poteva aspettare che cogliesse quest’occasione, che presentasse ai senatori e al Paese le scelte prioritarie che intende attuare per sfruttare la congiuntura favorevole. In queste settimane gli esperti discutono animatamente se quella in corso sia una ripresa ciclica o abbia un carattere strutturale. Nemmeno per la Germania, che pure appare come la locomotiva della ripartenza europea, ci sono dati così certi da potersi sbilanciare in favore dell'ottimismo, tanto meno per noi che di quel convoglio siamo un vagone, non tra i più lanciati.

Non sappiamo quindi se nel 2008 l'Italia tornerà a crescere solo dell'1% e nessuno può dircelo con ragionevole certezza. Ma proprio per questo motivo è sbagliato procrastinare le riforme necessarie per avanzare nel risanamento della finanza pubblica. Da Bruxelles il commissario Joaquín Almunia ci ha chiesto di mettere mano alla riforma delle pensioni, compresa la revisione dei coefficienti. Prodi ieri da Palazzo Madama ha fornito una risposta tutto sommato di maniera, ma è chiaro che dobbiamo assolutamente correggere la sostenibilità del welfare entro il 2007. Con un Pil che cresce bene, drammi non ce ne sono: si possono rivedere i trattamenti pensionistici e si può persino decidere di sfrondare Fannullopoli.

28 febbraio 2007

 

 

 

La Stampa 28-2-2007 La soluzione? Si vota col maggioritario solo per la Camera Parla Luciano Violante.  Antonella Rampino

28/2/2007 (7:44) - INTERVISTA

ROMA
Onorevole Violante, Romano Prodi in Senato ha rilanciato come assoluta priorità la legge elettorale, precisando che il Parlamento «ha davanti a sé un lungo lavoro, consolidare a razionalizzare la forma di governo e rendere più equilibrata la forma di Stato». E che «sarà sempre il Parlamento ad individuare al suo interno un luogo di elaborazione». Come ha inteso lei, presidente di commissione Affari Costituzionali alla Camera, queste parole? Prodi si riferiva a una nuova Bicamerale?
«Credo proprio di no, ne abbiamo viste tante, e purtroppo nessuna è riuscita a compiere il percorso di riforma istituzionale. Né si può pensare a una Costituente, o a una Convenzione, poiché il presidente del Consiglio ha parlato di un luogo di elaborazione interno al Parlamento. Dunque, restano soltanto le commissioni di Camera e Senato. Che usando l'articolo 138 possono approntare le necessarie riforme da sottoporre poi all'esame e al voto dell'Aula. Però l'aspetto nuovo del discorso del presidente del Consiglio è un altro: ha messo in connessione la legge elettorale e la riforma costituzionale. Questa è la chiave per disincagliare la nave della riforma».
Lei sottolinea il passaggio in cui Prodi dice che «occorre portare un equilibrio virtuoso nel rapporto tra lo Stato e le Regioni, anche attraverso una modifica della composizione stessa del Parlamento». Questa però non è una novità assoluta: sono anni che centrosinistra e centrodestra predicano l'uscita dal bicameralismo perfetto...
«Certo, perché l'Italia è l'unico Paese che ha due Camere che fanno esattamente le stesse cose, ed entrambe danno o tolgono la fiducia al governo. Dovremmo inventare una legge elettorale che dia la stessa maggioranza in due rami diversi del Parlamento eletti da un elettorato diverso. Credo che la cosa da fare sia differenziare le funzioni della Camera e del Senato, come in tutti gli altri Paesi avanzati, attribuendo al Senato la funzione di governo dei rapporti tra Stato, Regioni ed autonomie locali ed alla Camera il potere di dare e togliere la fiducia ai governi. A questo punto si può pensare ad una legge elettorale maggioritaria per la Camera, dove occorre una maggioranza certa scelta dagli elettori e ad una legge elettorale rigorosamente proporzionale per il Senato che dovendo invece rappresentare Regioni, e autonomie locali ha bisogno di rispecchiare esattamente le forze presenti nel Paese».
La quadratura del cerchio, mettendo d'accordo i molti favorevoli al maggioritario, a cominciare dall'Ulivo, ai molti proporzionalisti che albergano trasversalmente nei due schieramenti...
«Non è facile ma si accontenterebbero anche i piccoli partiti, che potrebbero avere forte rappresentanza al Senato».
E alla Camera no?
«Il nesso che pone Prodi tra legge elettorale e riforma costituzionale è una chiave realista, pragmatica. Non è più tempo di un costituzionalismo palingenetico, creativo, come è stato nella scorsa legislatura. Qui bisogna fare cose essenziali, quelle che servono: mettere a punto l'articolo 117 della Costituzione sulla ripartizione delle competenze tra Stato e Regione; differenziare le funzioni di Camera e Senato; dare al presidente del Consiglio il potere di nomina e revoca dei ministri; e diminuire il numero dei parlamentari. Su questi punti nella scorsa legislatura concordavano entrambe le coalizioni. Ci differenziavamo sul modo di realizzare questi obiettivi. Io penso a leggi distinte. Quattro semplici leggi costituzionali che si possono approvare, anche entro l'anno».
Cosa la fa essere così ottimista?
«Il lavoro che abbiamo fatto finora in commissione, sia alla Camera che al Senato: a Montecitorio si lavorerà tra l'altro alla riforma della ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, a Palazzo Madama tra l'altro si lavorerà per la riforma del bicameralismo. E il lavoro fatto sinora, aggiungo, è all'unanimità, nel perfetto accordo con l'opposizione».

 

Corriere della Sera 28-2-2007 Corte penale internazionale «Darfur, processo ai criminali di guerra»  Massimo A. Alberizzi

 

L'accusa: un ministro e un capomilizia sudanesi responsabili delle stragi

Il procuratore chiede un mandato di comparizione per Ahmed Haroun e il leader janjaweed Al-Rahman

 

DAL NOSTRO INVIATO
LAGOS – I giudici della Corte Penale Internazionale l'avevano promesso: «Stavolta facciamo sul serio» e infatti ieri hanno formalmente messo sotto accusa per crimini contro l'umanità commessi in Darfur il ministro sudanese per gli affari umanitari Ahmed Mohammed Haroun e uno dei leader delle milizie janjaweed Ali Muhammad Ali Abd al-Rahman, più conosciuto come Ali Kushayb.
Il procuratore della corte Louis Moreno-Ocampo ha sciorinato ben 51 capi d’accusa, compresi omicidi di massa, stupri e torture; crimini commessi nel 2003 e nel 2004, durante gli attacchi a quattro villaggi, Kodoom, Bindisi, Mukjar and Aratala, abitati da civili inermi. Ha poi rivelato che contro i due sospettati sono stati preparati i relativi mandati di cattura internazionali.
Alle dichiarazioni del procuratore ha fatto immediatamente eco il governo di Khartoum che ha rigettato le accuse e, per bocca di un portavoce, ha dichiarato che non si sogna neppure lontanamente di consegnare i due accusati al tribunale.
Un apprezzamento alla decisione di Moreno-Ocampo è stato espresso da varie organizzazioni umanitarie internazionali, Amnesty International, Human Right Watch, International Crisis Group, tra gli altri, che vedono la richiesta di processare i due sudanesi come un primo passo verso l’esigenza di rendere giustizia alle vittime di una sistematica pulizia etnica. Sperano poi che la minaccia di un processo possa, se non bloccare, quantomeno ridurre le violenze in Darfur, regione occidentale del più grande Paese dell’Africa.
Il Sudan, assieme agli Stati Uniti, alla Cina e ad altri 4 Paesi, a Roma, era il 1998, votò contro la costituzione del tribunale penale internazionale. Secondo le stime internazionali almeno 200 mila persone, sudanesi di origine africana, musulmani, sono stati trucidati e oltre due milioni e mezzo costretti ad abbandonare le loro case e a fuggire in Ciad e nei campi per gli sfollati in Sudan.
Esam Elhag, portavoce della fazione del Sudan Liberation Army (Sla), che si è rifiutata nel 2006 di firmare gli accordi di pace con il governo (sottoscritti per altro solo da un gruppo piccolissimo), raggiunto per telefono da Corriere, si è detto soddisfatto della richiesta del tribunale: «È stato chiarito che i crimini commessi in Darfur hanno un risvolto penale e non politico, come vuol far credere il regime di Khartoum. Non si tratta di vendetta ma di giustizia. I tribunali sudanesi non sono indipendenti e prendono ordini dal potere politico. Per questo la corte de l'Aja può essere lo strumento adatto per giudicare chi ha commesso o ordinato le atrocità nel mio Paese. Ora costoro si rendono conto di essere nel mirino e hanno paura. Attenzione però. La lista dei criminali è molto lunga e la giustizia internazionale non si deve fermare a quei due nomi. Chiediamo che siano giudicati tutti i politici compromessi con le violenze in Darfur».
Moreno-Ocampo, che ha illustrato il lavoro della procura in una conferenza stampa, ha ricordato che le prove raccolte contro i due sono chiarissime. Harun, che all’epoca era ministro degli interni, secondo l'accusa, ha finanziato le milizia janjaweed, i famosi diavoli cavallo che terrorizzavano le popolazioni civili bruciando i villaggi, ammazzando gli uomini, violentando le donne e rapendo i bambini, con un budget illimitato che sfuggiva a ogni controllo. Lui stesso personalmente riforniva di armi e munizioni i miliziani
Per quel che riguarda Kushayb, testimoni hanno raccontato alla Procura che ispezionava personalmente i janjaweed. Una volta ha spiegato ai suoi uomini come sgozzare le donne catturate, accertandosi bene che prima fossero violentate. Lui stesso ha poi partecipato all’esecuzione di massa di almeno 32 uomini. A Khartoum il governo sostiene che Kushayb è ora stato cacciato in galera «e che solo la giustizia sudanese può giudicare i sudanesi». Harun, che ha poco più di quarant’anni è un politico emergente e ambizioso e fa parte del circolo ristretto del presidente Omar Al Bashir. Viene considerato uno dei più energici e carismatici leader del National Congress Party, il partito islamico al potere nel Paese

malberizzi@corriere.it

28 febbraio 2007

 

 

La Repubblica 27-2-2007 - Autoreferenziale, utilitarista e in crisi. La classe dirigente non piace e fa autocritica. Confermati molti stereotipi negativi, soprattutto per i politici. Maggiore fiducia nei dirigenti economici Di Rosaria Amato

Presentato a Roma il I Rapporto Luiss sui vertici della società italiana
I criteri di accesso si basano sulla cooptazione, e non sul merito. I giovani profondamente sfiduciati
Due su tre pensano che avranno una posizione sociale simile o inferiore a quella dei genitori

ROMA - Una classe dirigente che non piace e che soprattutto non si piace, incapace di identificarsi nel ruolo guida e di rappresentanza dell'interesse generale che il Paese richiede. Dopo le molte analisi sulla crisi del ceto medio, la Luiss ha pubblicato oggi il primo Rapporto 'Generare classe dirigente - Un percorso da costruire', un censimento dei vertici della società che si propone anche di esaminarne valori, modelli e obiettivi.
Per scoprire che, come ha spiegato uno degli autori del Rapporto, Massimo Bergami, della Alma Mater Studiorum e Alma Graduate School Università di Bologna, "I dirigenti italiani non si sentono classe dirigente". Nel senso che descrivono la classe dirigente con "stereotipi negativi" analoghi a quelli utilizzati dal resto della popolazione, a cominciare dall'orientamento all'utilitarismo e dalla scarsa predisposizione verso le competenze e i valori.
Ragion per cui, rileva il Rapporto, "i dirigenti non ritengono l'attuale classe dirigente un gruppo attrattivo, nel quale riconoscersi e identificarsi". E la mancanza di identificazione porta a una conseguenza ovvia: "Se io non mi riconosco in quel gruppo - spiega Bergami - non agisco come membro di quel gruppo. Per cui una cosa è fare l'imprenditore, o l'ambasciatore, e un'altra è riconoscere la responsabilità che questo comporta. Non riconoscersi come classe dirigente diventa quindi un modo per dire che è sempre colpa degli altri. E per non sentire come propri gli interessi della collettività, ripiegando su quelli di parte".
La classe dirigente specchio dunque di un Paese disgregato, che non riesce a identificarsi nell'interesse generale. Come invece dovrebbe fare, a detta degli stessi dirigenti, che alla richiesta di tracciare un "profilo ideale della classe dirigente italiana" hanno indicato come competenze maggiormente rilevanti la "visione strategica", "senso morale, legalità, etica", "capacità d'innovazione e creatività", "capacità di attuare le decisioni" e "credibilità internazionale".
Qualità non troppo diverse da quelle che il resto della popolazione vorrebbe riscontrare nella propria classe dirigente: "La popolazione vorrebbe una classe dirigente con maggiori competenze specifiche - spiega un altro degli autori del Rapporto, Carlo Carboni, dell'Università Politecnica delle Marche - e maggiore assunzione di responsabilità, vorrebbe che fosse meno un'elite autoreferenziale. Il leader ideale del futuro deve comportarsi come un buon padre di famiglia, avendo come registro fondamentale il buon senso".
Se da un lato le attuali carenze della classe dirigente sono da attribuirsi, rileva il Rapporto, a un eccessivo ricambio operato negli ultimi anni, anche in modo piuttosto traumatico (si citano Mani Pulite, ma anche uno spoil system 'selvaggio'), dall'altro sono messi sotto accusa i 'meccanismi di reclutamento', tutt'altro che meritocratici. Per arrivare ai vertici infatti più che "la conoscenza" contano "le conoscenze", si arriva per "cooptazione", non certo per "merito": infatti ricchezza e relazioni importanti sembrano le due risorse che maggiormente caratterizzano, secondo il giudizio generale, le classi dirigenti italiane.
Che, secondo la popolazione, sono carenti di visioni strategica (per il 42,7% degli intervistati), di capacità decisionale (44,7%), innovazione e creatività (46,3%) e, soprattutto, di senso della moralità e della legalità (58%) e di responsabilità pubblica e sociale (50,9%). Insomma, si legge nel rapporto, "la banalizzazione di questa percezione popolare è che comandano "i ricchi e i raccomandati" e non i migliori.
Il giudizio negativo investe soprattutto la classe politica, e in minor misura gli altri settori dirigenti. Nella percezione generale si riconosce anzi un rafforzamento, un maggiore prestigio alle professionalità economiche (imprenditori, vertici bancari, finanziari e assicurativi). Tra i politici mantengono un certo prestigio le principali cariche istituzionali dello Stato: sono loro, nell'opinione comune, e in minor misura i politici nazionali ed europei, che potrebbero "portare il Paese fuori dalle secche della crisi".
Il Rapporto della Luiss si è anche preoccupato di effettuare un 'censimento' delle classi dirigenti, individuando tre gruppi: una prima mappa ristretta che comprende circa 2000 unità, una intermedia di 6.000 unità, e una 'allargata' di 17.000 unità. L'elite è sostanzialmente anziana: l'età media è passata da 56,8 a 61,8 anni tra il '90 e il 2004.
Nell'opinione degli intervistati nei primi quattro posti si trovano i magistrati, gli esponenti dei mass-media, i vertici sindacali e i vertici di banche e di istituzioni finanziarie, seguite dai vertici istituzionali e politici. Gli esponenti dei mass media hanno però un ruolo rilevante solo nella percezione della classe dirigente, ma non in quella del resto della popolazione, che manifesta anzi una certa insofferenza per il ruolo dei mass media, soprattutto di quelli tradizionali.
L'elite appare chiusa, soprattutto ai giovani: i due terzi degli intervistati tra i 20 e i 30 anni sono convinti che "avranno un lavoro e una posizione sociale sostanzialmente simile oppure tendenzialmente inferiore a quella dei genitori".
(27 febbraio 2007)


Da La Stampa 27-2-2007 27/2/2007 (8:47) - DA CHI E' MEGLIO ESSERE GOVERNATI? Viva il politico mediocre.  Javier Cercas © El País

 

Nei leader dalle doti eccezionali, come Stalin, stanno in agguato perversioni che i popoli rischiano di pagare duramente: un’osservazione di Robert Walser che torna d’attualità nel mondo d’oggi

Il 12 aprile 1953 Carl Seelig andò a far visita a Robert Walser nell’ospedale psichiatrico di Herisa, nella regione svizzera di Appenzell. Allora Walser stava per compiere 75 anni ed era autore di alcuni tra i più sconvolgenti libri della prima metà del secolo, ma erano ormai decenni che non scriveva, ricoverato in quel manicomio (prima era stato per quattro anni in quello di Waldau, vicino a Berna), e non riceveva altre visite se non quelle del giovane ammiratore che, con il passare del tempo, divenne il suo unico amico e anche il suo mecenate. Come di consueto, la mattina, i due uomini andarono a fare una passeggiata nei dintorni del sanatorio; nel pomeriggio conversarono a lungo su Stalin che era appena morto: «Circondato da servi, alla fine s’è trasformato in un idolo che, ormai, non poteva vivere come un uomo normale», disse Walser a Seelig, come quest’ultimo racconta nel libro in cui narra le passeggiate con l’amico. «Chissà che in lui non si celasse della genialità, ma ai popoli conviene essere governati da gente mediocre per natura. Nel genio quasi sempre stanno in agguato perversioni che i popoli dovranno pagare a prezzo di sangue, dolore e vergogna».
Conviene che a governarci siano uomini di natura mediocre? O dobbiamo aspirare a essere governati da esseri eccezionali in possesso d’un talento che confini con la genialità? Ultimamente i politici ai quali spettano, in Spagna, le maggiori responsabilità - e, in coda a loro, alcuni commentatori - pare che abbiano incominciato a discuterne in modo più o meno sotterraneo. Tutto è incominciato quando, in un’intervista, il presidente del governo, Zapatero, ha confidato al direttore del País una frase che, a quanto pare, gli aveva detto sua moglie: «Non immagini neppure quante centinaia di migliaia di spagnoli potrebbero stare nel governo». Qualche giorno dopo, durante il dibattito parlamentare seguito all’attentato dell’Eta, Mariano Rajoy, il leader dell’opposizione, voleva probabilmente replicare a questa frase quando disse: «Non è sufficiente essere maggiorenne e avere la cittadinanza spagnola: serve qualche cosa di più per essere presidente».
La frase di Zapatero può essere interpretata come un’ulteriore dimostrazione dell’incurabile buonismo che affligge il premier spagnolo; quella di Rajoy come un insulto a Zapatero, ossia un’ulteriore dimostrazione del cattivismo che affligge il leader dell’opposizione. Presa alla lettera, la frase di Rajoy è una banalità: certo, per essere presidente del governo occorre, quanto meno, dedicarsi alla politica, militare in un partito, essere proposto come deputato da quello stesso partito, ottenere il consenso degli elettori, ottenere il consenso della maggioranza dei deputati nel Congresso; presa alla lettera, la frase di Zapatero è falsa per le stesse ragioni. Ma se andiamo oltre l’interpretazione letterale, la cosa cambia: anche se è poco probabile che Walser non avrebbe appoggiato Rajoy, forse in questo caso avrebbe dato ragione a Zapatero.
Chiaramente l’idea che molti cittadini, se non proprio tutti, siano personalmente e intellettualmente in grado di fare il presidente del governo confligge con la nostra propensione a credere che certe cose siano irrealizzabili e con il nostro romanticismo - entrambi incurabili proprio come il buonismo di Zapatero e il cattivismo di Rajoy - e con la spropositata importanza che, nei media, attribuiamo ai politici. Eppure non si tratta di un’idea insensata in assoluto, proprio come non lo è il fatto che molta gente abbia la capacità, se davvero se lo prefigge come obiettivo, d’essere un buono scienziato o un buono scrittore. Ovviamente ci sono qualità indispensabili per essere un buon politico, come per essere un buono scienziato o un buono scrittore; non si tratta, però, di qualità eccezionali, ma di quelle che chiunque di noi può possedere.
In poche parole: che il politico se ne stia lontano sia dal buonismo sia dal cattivismo; che non abbia la vocazione di diventare né idolo, né eroe, né martire e, quindi, non abbia la pretesa di passare alla storia; che lavori duramente e non si inventi problemi (s’accontenti di risolvere quelli che già esistono); che faccia bene di conto e non allunghi le mani nella cassa; che non si circondi di servi (non è necessario che conduca una vita normale - sarebbe una pretesa stupida - ma neppure che conduca una vita completamente anormale, che è cosa molto peggiore); che non faccia follie per apparire a ogni pie’ sospinto in tv o sui giornali (meno un politico appare in tv o sui giornali, meglio è); che non si svegli ogni mattina con un’idea geniale; che parli poco e, qualche volta, racconti una barzelletta; che non insulti, non urli, non menta, pur senza dire sempre la verità. Insomma: che sia pulito, ordinato e non faccia rumore, proprio come un’efficiente domestica.
Qualcuno dirà che questo genere di persone non servono per risolvere situazioni eccezionali. Forse è vero, ma la verità è che qui non viviamo una situazione eccezionale e, oltre tutto, non è dimostrato che i politici puliti, ordinati e silenziosi non servano per risolvere situazioni eccezionali, mentre è dimostrato che i politici eccezionali servono solo, quando servono, per le situazioni eccezionali, e per il resto sono un disastro. Mi rendo conto di come questo sia un ideale prosaico e noioso, ma io lascerei la poesia e il divertimento per altre cose e ridurrei la politica a quello che dev’essere: l’arte di darci una vita buona, che equivale, poi, all’arte di darci una bella vita.
© El País


La Repubblica 27-2-2007 Avviso di garanzia alla vedova Fortugno.  "Truffa negli appalti della sanità"

Il vicepresidente della Commissione Antimafia: "Sono esterrefatto"

Le indagini coordinate dalla Dda di Reggio Calabria
su una fornitura di farmaci per la Asl

 

REGGIO CALABRIA - Un avviso di garanzia è stato notificato a Maria Grazia Laganà, vedova del vicepresidente del consiglio regionale Francesco Fortugno, ucciso a Locri nell'ottobre del 2005. La donna è attualmente parlamentare dell'Ulivo. Non si conosce l'ordine di imputazione, secondo indiscrezioni sarebbe "truffa aggravata ai danni dello Stato" in relazione ad appalti nella sanità. L'onorevole Laganà ha annunciato una conferenza stampa e ha detto che la notizia "potrebbe essere veritiera".
L''indagine si riferisce ad una fornitura di farmaci all' azienda ospedaliera di Locri, di cui Maria Grazia Laganà è stata vicedirettrice sanitaria, che non avrebbe prodotto alcun esborso finanziario da parte dell' azienda ospedaliera di Locri, che non avrebbe prima accettato i farmaci e quindi non li avrebbe di conseguenza pagati. Maria Grazia Laganà, che in auto sta tornando a Locri, non ha voluto fare alcun commento, non avendo tra l'altro ancora letto il testo inviatole dalla Dda reggina.
Nei giorni scorsi la vedova di Fortugno ha criticato duramente la conduzione dell' inchiesta sull' omicidio del marito, condotta sempre dalla Dda di Reggio, arrivando a chiedere più volte l'intervento del procuratore nazionale antimafia Grasso.
Solidarietà alla vedova è stata espressa dal vicepresidente della Commissione Antimafia, Lumia. "Sono esterrefatto. Qualcosa non sta funzionando in tutta la vicenda che riguarda le indagini sul delitto Fortugno e sulla sanità calabrese. Ora si tratta di capire che cosa".
(27 febbraio 2007)

 


 

La Repubblica 27-2-2007 Il principe Carlo attacca McDonald's: "Vietiamoli nel Regno Unito"

Secondo il reale, è responsabile della pessima alimentazione dei bimbi
Nella sua azienda agricola niente pesticidi o fertilizzanti chimici

LONDRA - Il principe Carlo contro i McDonald's. In una crociata per tutelare della salute dei bambini. Il reale inglese considera la grande catena di fast food una delle principali responsabili della pessima alimentazione dei più giovani, e vorrebbe vietarne l'accesso ai più piccoli. Il duro attacco dell'erede al trono - lanciato da Abu Dhabi e ripreso dalla stampa britannica - giunge in occasione dell'avvio di una campagna di sensibilizzazione (Diabetes Knowledge Action), sostenuta dallo stesso principe, per combattere il diabete negli Emirati Arabi, il secondo paese al mondo per numero di diabetici (20% di malati nella fascia d'età tra i 20 e 79 anni).
Al cospetto di scienziati e ricercatori dell'Imperial College London Diabetes Centre ad Abu Dhabi, che gli presentavano le nuove iniziative volte a migliorare gli standard alimentari del paese, Carlo ha risposto suggerendo la messa al bando della McDonald's. "Avete provato a vietare McDonald's? Sarebbe fondamentale", ha spiegato alla nutrizionista Nadine Tayara. Da sempre sostenitore dei cibi biologici e strenuo oppositore degli Ong, il principe dal 1986 possiede un'azienda agricola nella sua tenuta di Highgrove Estate dove sono banditi pesticidi e fertilizzanti chimici.
Le parole del principe - come prevedibile - non sono piaciute alla multinazionale statunitense che attraverso una portavoce ha fatto sapere di essere "estremamente dispiaciuta. Ci sembra un commento improvvisato, che non riflette la qualità del nostro menù né quello che facciamo come azienda". La portavoce ha aggiunto che il principe è "chiaramente non informato" di alcune scelte fatte dalla società, come le nuove e più complete etichette, la promozione dell'agricoltura sostenibile, e i cambiamenti nei valori nutritivi del menu, con più scelta e varietà. "Altri membri della famiglia reale hanno visitato un McDonald's più di recente e hanno un'immagine di noi più aggiornata", ha affermato.
Clarence House, l'ufficio di Carlo a Londra, ha diffuso successivamente un comunicato in cui si sottolinea che "il principe di Galles da tempo promuove l'importanza di una dieta bilanciata, in particolare per i bambini. Nel visitare il centro contro il diabete, voleva enfatizzare la necessità che i bambini mangino una gran varietà di alimenti, nessuno dei quali in eccesso".
(27 febbraio 2007)


INDICE  27-2-2007

Da Il Cittadino  27-2-2007  Fazio interrogato esclude di avere organizzato la scalata Antonveneta  "Fiorani ha mentito".   Svelate le carte dell'interrogatorio fiume del marzo scorso: negati anche patti con la Lega per bloccare la riforma del risparmio  1

Da La Stampa 27-2-2007. Fazio. Aggiotaggio su azioni Unipol "Temevo di essere spiato dalla Kroll Ne parlai con il ministro Pisanu" 1

Da Agi  27-2-2007  MPS: CONDANNATO TONINI PER AGGIOTAGGIO UNIPOL-LA REPLICA  1

Da Il Riformista 27-2-2007 I socialisti che lavorano alla rifondazione. Verso Bertinoro con lo spirito di Epinay  1

Da La Repubblica 27-2-2007 "Italian connection" a Nuova Delhi. L'India contro Sonia Gandhi: "Ladra" 2

Negli anni '80 Quattrocchi sarebbe stato il mediatore per una Tangentopoli da 13 milioni di dollari Un giallo politico finanziario che dura da 20 anni. Nuova Delhi chiede l'estradizione dell'imprenditore di RAIMONDO BULTRINI 2

Da trend-online.it 26.02.2007 15:41 Il mondo del mattone: investire sì, ma con cautela di Pierpaolo Molinengo  2

Da La Repubblica 26-2-2007 Telefonia, il cellulare più del fisso. Cambiano le abitudini degli europei. In Italia le case senza rete fissa sono il 16%, erano il 13% nel 2003. Di Alessandro Longo  2

Da La Stampa 26-2-2007 Il popolo di Internet si interroga sul nuovo portale Italia.it Vale 45 milioni di euro? 3

 


Da Il Cittadino  27-2-2007  Fazio interrogato esclude di avere organizzato la scalata Antonveneta  "Fiorani ha mentito".   Svelate le carte dell'interrogatorio fiume del marzo scorso: negati anche patti con la Lega per bloccare la riforma del risparmio

 
Il governatore: "Su di me Fiorani ha mentito" Fazio interrogato esclude di avere organizzato la scalata Antonveneta n "Fiorani ha mentito". Così l'ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio risponde il 22 marzo 2006 ai pubblici ministeri del'inchiesta milanese sulla fallita scalata ad Antonveneta (Antonio Fusco, Francesco Greco e Giulia Perrotti) che lo incalzano sui suoi rapporti con i vertici della Popolare di Lodi e il mondo politico. Il verbale è nei 5 cd messi da ieri a disposizione degli avvocati degli 84 indagati per consentire loro di depositare memorie difensive prima delle eventuali richieste di rinvio a giudizio.La secca smentita di Fazio, che nega di aver mai avuto da Gianpiero Fiorani informazioni su sue acquisizioni occulte, arriva in particolare agli inquirenti che gli contestano un appunto che Fiorani gli avrebbe mostrato nel 2005, finito poi agli atti dell'inchiesta: "Ricordo che Fiorani ebbe a mostrarmi un foglietto di colore giallo, compilato a mano, nel quale erano riportati alcuni possessi azionari di suoi alleati, ma ciò avvenne solo dopo il lancio dell'offerta pubblica di scambio (sospesa cautelativamente dalla Consob il 27 luglio 2005 per scarsa trasparenza, ndr). Pertanto ogni contraria dichiarazione di Fiorani e Boni - aggiunge nell'interrogatorio l'ex governatore di Bankitalia - è falsa e calunniosa. In particolare non è vero che Fiorani mi abbia mai parlato dell'utilizzo di affidamenti bancari per acquistare azioni indirettamente, né che io l'abbia convocato dopo il lancio dell'Opa da parte di Abn Amro per avere il rendiconto esatto del controllo del capitale sociale da parte di Bpl". Quanto ai nomi riportati sull'appunto mostrato da Fiorani, Fazio dichiara di ricordare di aver letto il nome di Gnutti e quello di Coppola. Non ricorda però se nello scritto fossero inseriti i nomi di Ricucci, Gavio e Zunino, ma afferma che "non c'era Unipol"."Prendo atto che Fiorani e Boni - conclude Fazio - hanno dichiarato che io ebbi a suggerire anche l'allocazione di pacchetti Antonveneta in fondi off shore: giudico tali affermazioni risibili e calunniose".È però vero che al governatore sarebbe piaciuto che Antonveneta rimanesse in mani italiane: già nel novembre-dicembre 2004 comunicò al finanziere bresciano Emilio Gnutti che "trovava di suo gradimento" il progetto di quest'ultimo di appoggiare l'allora amministratore delegato della Popolare di Lodi Fiorani.I pm gli contestano una serie di incontri, in particolare con Ennio Doris, Gilberto Benetton, Emilio Gnutti e Giovanni Consorte, azionisti Antonveneta. "Doris - mette a verbale Fazio - ebbe a comunicarmi la sua preferenza nei confronti di Fiorani e io mi limitai a prenderne atto. Benetton mi disse che voleva vendere al miglior offrente. Io gli risposi che ovviamente era legittimato a tutelare i propri interessi. Aggiunsi, su sua richiesta, che non mi sarebbe dispiaciuto che ciò coincidesse con la vendita a un italiano". Quanto a Consorte, aggiunge Fazio, "non ricordo di averlo incontrato, anche se mi sembra che qualcuno parlò della sua intenzione di acquistare un centinaio di sportelli Antonveneta". Un altro capitolo sondato dai pm riguarda l'ipotesi di accordi per il salvataggio della banca Credieuronord in cambio del favore della Lega nord contro il disegno di legge sul risparmio che intendeva limitare i poteri del governatore di Bankitalia, passando dal mandato a vita a uno a termine.Sarebbe stato lo stesso Fiorani a descrivere un Fazio con "una rete politica a suo sostegno" attiva, ipotizzano i magistrati, nell'ultimo semestre del 2004 e nel primo del 2005: "Fiorani - mette a verbale Fazio - a questo proposito non dice il vero. Non ricordo di una cena a casa mia con lo stesso Fiorani, con Grillo e Tarolli anche se non lo posso escludere. Non è vero che Fiorani mi abbia fatto incontrare Palenzona. Faccio presente - aggiunge l'ex governatore - che il problema della bocciatura in commissione è del 20 gennaio 2005. Non è vero che abbia incontrato Giorgetti per mettermi d'accordo con lui su uno scambio circa il salvataggio di Credieuronord con il voto favorevole della Lega". Fazio ha invece ricordato nell'interrogatorio di essersi preoccupato quando, leggendo i giornali, si era convinto che Fiorani fosse intercettato: "Chiesi al ministro degli Interni Pisanu - depone l'ex governatore - se non ci fossero segnali di attività illecite nei miei confronti".Non, quindi, sostiene Fazio, di essere informato delle attività della magistratura, come invece ipotizzano i pubblici ministeri milanesi: "La mia idea era che fossero illegali, dell'agenzia Kroll, che collegai ad Abn Amro in quanto entrambe olandesi".C. C.

Così l'ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio risponde il 22 marzo 2006 ai pubblici ministeri del'inchiesta milanese sulla fallita scalata ad Antonveneta (Antonio Fusco, Francesco Greco e Giulia Perrotti) che lo incalzano sui suoi rapporti con i vertici della Popolare di Lodi e il mondo politico. Il verbale è nei 5 cd messi da ieri a disposizione degli avvocati degli 84 indagati per consentire loro di depositare memorie difensive prima delle eventuali richieste di rinvio a giudizio.La secca smentita di Fazio, che nega di aver mai avuto da Gianpiero Fiorani informazioni su sue acquisizioni occulte, arriva in particolare agli inquirenti che gli contestano un appunto che Fiorani gli avrebbe mostrato nel 2005, finito poi agli atti dell'inchiesta: "Ricordo che Fiorani ebbe a mostrarmi un foglietto di colore giallo, compilato a mano, nel quale erano riportati alcuni possessi azionari di suoi alleati, ma ciò avvenne solo dopo il lancio dell'offerta pubblica di scambio (sospesa cautelativamente dalla Consob il 27 luglio 2005 per scarsa trasparenza, ndr). Pertanto ogni contraria dichiarazione di Fiorani e Boni - aggiunge nell'interrogatorio l'ex governatore di Bankitalia - è falsa e calunniosa. In particolare non è vero che Fiorani mi abbia mai parlato dell'utilizzo di affidamenti bancari per acquistare azioni indirettamente, né che io l'abbia convocato dopo il lancio dell'Opa da parte di Abn Amro per avere il rendiconto esatto del controllo del capitale sociale da parte di Bpl". Quanto ai nomi riportati sull'appunto mostrato da Fiorani, Fazio dichiara di ricordare di aver letto il nome di Gnutti e quello di Coppola. Non ricorda però se nello scritto fossero inseriti i nomi di Ricucci, Gavio e Zunino, ma afferma che "non c'era Unipol"."Prendo atto che Fiorani e Boni - conclude Fazio - hanno dichiarato che io ebbi a suggerire anche l'allocazione di pacchetti Antonveneta in fondi off shore: giudico tali affermazioni risibili e calunniose".È però vero che al governatore sarebbe piaciuto che Antonveneta rimanesse in mani italiane: già nel novembre-dicembre 2004 comunicò al finanziere bresciano Emilio Gnutti che "trovava di suo gradimento" il progetto di quest'ultimo di appoggiare l'allora amministratore delegato della Popolare di Lodi Fiorani.I pm gli contestano una serie di incontri, in particolare con Ennio Doris, Gilberto Benetton, Emilio Gnutti e Giovanni Consorte, azionisti Antonveneta. "Doris - mette a verbale Fazio - ebbe a comunicarmi la sua preferenza nei confronti di Fiorani e io mi limitai a prenderne atto. Benetton mi disse che voleva vendere al miglior offrente. Io gli risposi che ovviamente era legittimato a tutelare i propri interessi. Aggiunsi, su sua richiesta, che non mi sarebbe dispiaciuto che ciò coincidesse con la vendita a un italiano". Quanto a Consorte, aggiunge Fazio, "non ricordo di averlo incontrato, anche se mi sembra che qualcuno parlò della sua intenzione di acquistare un centinaio di sportelli Antonveneta". Un altro capitolo sondato dai pm riguarda l'ipotesi di accordi per il salvataggio della banca Credieuronord in cambio del favore della Lega nord contro il disegno di legge sul risparmio che intendeva limitare i poteri del governatore di Bankitalia, passando dal mandato a vita a uno a termine.Sarebbe stato lo stesso Fiorani a descrivere un Fazio con "una rete politica a suo sostegno" attiva, ipotizzano i magistrati, nell'ultimo semestre del 2004 e nel primo del 2005: "Fiorani - mette a verbale Fazio - a questo proposito non dice il vero. Non ricordo di una cena a casa mia con lo stesso Fiorani, con Grillo e Tarolli anche se non lo posso escludere. Non è vero che Fiorani mi abbia fatto incontrare Palenzona. Faccio presente - aggiunge l'ex governatore - che il problema della bocciatura in commissione è del 20 gennaio 2005. Non è vero che abbia incontrato Giorgetti per mettermi d'accordo con lui su uno scambio circa il salvataggio di Credieuronord con il voto favorevole della Lega". Fazio ha invece ricordato nell'interrogatorio di essersi preoccupato quando, leggendo i giornali, si era convinto che Fiorani fosse intercettato: "Chiesi al ministro degli Interni Pisanu - depone l'ex governatore - se non ci fossero segnali di attività illecite nei miei confronti".Non, quindi, sostiene Fazio, di essere informato delle attività della magistratura, come invece ipotizzano i pubblici ministeri milanesi: "La mia idea era che fossero illegali, dell'agenzia Kroll, che collegai ad Abn Amro in quanto entrambe olandesi".C. C.


Da La Stampa 27-2-2007. Fazio. Aggiotaggio su azioni Unipol "Temevo di essere spiato dalla Kroll. Ne parlai con il ministro Pisanu"

 

Aggiotaggio su azioni Unipol "Temevo di essere spiato dalla Kroll Ne parlai con il ministro Pisanu" Condannato l'ex numero uno della Fondazione Mps MILANO Ammette solo di aver espresso gradimento al progetto di Fiorani e Gnutti di conquistare Antonveneta. Ma per il resto nega. Nega accordi con la Lega per riceverne sostegno politico; nega incontri con Consorte; nega di essere mai stato informato dall'ex amministratore delegato della Banca Popolare Italiana di "acquisizioni occulte" di titoli; nega di aver coordinato l'azione di ostacolo ad Abn Amro che competeva contro i "furbetti del quartierino" per avere il controllo dell'istituto padovano. Si difende così, l'ex governatore di Banca d'Italia Antonio Fazio, davanti ai pubblici ministeri Greco, Perotti e Fusco che il 22 marzo 2006 lo interrogano per l'inchiesta sulla scalata ad Antonveneta. Respinge le accuse mossegli dall'ex pupillo Fiorani ("Ogni cosa che ha fatto l'ha fatta di sua iniziativa"), bolla come "affermazioni risibili e calunniose" quel che aveva dichiarato Fiorani (con Boni) secondo cui addirittura egli avrebbe suggerito "l'allocazione di pacchetti Antonveneta in fondi off-shore". Nei verbali ora depositati, l'ex Governatore racconta di quando pensava di essere oggetto di "intercettazioni illegali da parte della Kroll" (l'agenzia investigativa specializzata in indagini finanziarie). Per questo ne aveva parlato con l'allora ministro degli Interni, Pisanu, "al quale chiesi di verificare se non ci fossero segnali di attività di controllo illecite nei miei confronti". E ai pm che gli chiedono se fosse stato avvisato delle intercettazioni disposte dai magistrati, Fazio risponde che "dalla lettura dei giornali, in relazione ad alcune notizie pubblicate, mi ero fatto la convinzione che Fiorani fosse intercettato...". Fazio spiega poi di non ricordarsi "chi ebbe a parlarmi della Kroll, probabilmente qualche mio collaboratore. Sta di fatto che li collegai all'Abn Amro. Ovviamente si trattava di miei dubbi", dei quali parla con il ministro degli Interni in un incontro del 10 maggio 2005. Fazio parla poi di un incontro della fine del 2004 con Emilio Gnutti, Ennio Doris e Gilberto Benetton per parlare di Antonveneta e riferisce, a lungo, dei rapporti con il Carroccio. Non è vero, dice, che ci sono stati incontri "su uno scambio salvataggio Credieuronord-voto favorevole della Lega", come aveva rivelato Fiorani da parte dell'ex numero uno di via Nazionale. Il passaggio dalle critiche agli elogi da parte della Lega, lui neppure "se lo aspettava". Per quel salvataggio, "fu Fiorani a farsi avanti prima con la Lega e poi con noi". Nessun lobbismo politico in quel caso, così come negli altri casi, da parte del governatore, anche se ha incontrato certo "persone che sapevo essere miei sostenitori". Poi, ancora, l' ex Governatore torna a rispondere alle accuse di Fiorani. Non fu mai informato "delle acquisizioni occulte che aveva realizzato", nè tantomeno si è mai sognato di suggerire allocazioni off-shore di quote azionarie. Quindi, a suo giudizio, Fiorani "se ha fatto qualcosa, lo ha fatto di sua iniziativa e non certo in quanto richiesto da me. Sono in grado di difendermi da solo". \ Emilio Tonini, ex direttore generale della Fondazione Mps e attuale presidente della Banca Agricola Mantovana - che da Mps è controllata -, è stato condannato a 8 mesi di reclusione davanti al gup di Milano Alessandra Cerreti, per l'accusa di aggiotaggio manipolativo su azioni privilegiate Unipol, fatto avvenuto nel marzo 2003. Condannata ad una multa di 10.300 euro anche la Fondazione Mps, sulla base dellla legge 231 sulla responsabilità . La condanna si riferisce all'acquisto, autorizzato da Tonini, da parte della fondazione di 4,5 milioni di azioni Unipol privilegio vendute da Finsoe.La fondazione ha manifestato "piena stima" a Tonini, che a sua volta ha preannunciato di voler ricorrere in appello contro la decisione del tribunale.

MILANO Ammette solo di aver espresso gradimento al progetto di Fiorani e Gnutti di conquistare Antonveneta. Ma per il resto nega. Nega accordi con la Lega per riceverne sostegno politico; nega incontri con Consorte; nega di essere mai stato informato dall'ex amministratore delegato della Banca Popolare Italiana di "acquisizioni occulte" di titoli; nega di aver coordinato l'azione di ostacolo ad Abn Amro che competeva contro i "furbetti del quartierino" per avere il controllo dell'istituto padovano. Si difende così, l'ex governatore di Banca d'Italia Antonio Fazio, davanti ai pubblici ministeri Greco, Perotti e Fusco che il 22 marzo 2006 lo interrogano per l'inchiesta sulla scalata ad Antonveneta. Respinge le accuse mossegli dall'ex pupillo Fiorani ("Ogni cosa che ha fatto l'ha fatta di sua iniziativa"), bolla come "affermazioni risibili e calunniose" quel che aveva dichiarato Fiorani (con Boni) secondo cui addirittura egli avrebbe suggerito "l'allocazione di pacchetti Antonveneta in fondi off-shore". Nei verbali ora depositati, l'ex Governatore racconta di quando pensava di essere oggetto di "intercettazioni illegali da parte della Kroll" (l'agenzia investigativa specializzata in indagini finanziarie). Per questo ne aveva parlato con l'allora ministro degli Interni, Pisanu, "al quale chiesi di verificare se non ci fossero segnali di attività di controllo illecite nei miei confronti". E ai pm che gli chiedono se fosse stato avvisato delle intercettazioni disposte dai magistrati, Fazio risponde che "dalla lettura dei giornali, in relazione ad alcune notizie pubblicate, mi ero fatto la convinzione che Fiorani fosse intercettato...". Fazio spiega poi di non ricordarsi "chi ebbe a parlarmi della Kroll, probabilmente qualche mio collaboratore. Sta di fatto che li collegai all'Abn Amro. Ovviamente si trattava di miei dubbi", dei quali parla con il ministro degli Interni in un incontro del 10 maggio 2005. Fazio parla poi di un incontro della fine del 2004 con Emilio Gnutti, Ennio Doris e Gilberto Benetton per parlare di Antonveneta e riferisce, a lungo, dei rapporti con il Carroccio. Non è vero, dice, che ci sono stati incontri "su uno scambio salvataggio Credieuronord-voto favorevole della Lega", come aveva rivelato Fiorani da parte dell'ex numero uno di via Nazionale. Il passaggio dalle critiche agli elogi da parte della Lega, lui neppure "se lo aspettava". Per quel salvataggio, "fu Fiorani a farsi avanti prima con la Lega e poi con noi". Nessun lobbismo politico in quel caso, così come negli altri casi, da parte del governatore, anche se ha incontrato certo "persone che sapevo essere miei sostenitori". Poi, ancora, l' ex Governatore torna a rispondere alle accuse di Fiorani. Non fu mai informato "delle acquisizioni occulte che aveva realizzato", nè tantomeno si è mai sognato di suggerire allocazioni off-shore di quote azionarie. Quindi, a suo giudizio, Fiorani "se ha fatto qualcosa, lo ha fatto di sua iniziativa e non certo in quanto richiesto da me. Sono in grado di difendermi da solo".


Da Agi  27-2-2007  MPS: CONDANNATO TONINI PER AGGIOTAGGIO UNIPOL-LA REPLICA

Firenze MPS: CONDANNATO TONINI PER AGGIOTAGGIO UNIPOL-LA REPLICA Stampa Invia questo articolo Ultimissime (AGI) PRIMARIE: BERLUSCONI, UNICA COSA CHE COPIAMO DA SINISTRA (AGI) WALL STREET: CHIUDE IN CALO, DJ -0, 12%, NASDAQ -0, 42% (AGI) ABU OMAR: MI CHIESERO DI LAVORARE PER SERVIZI ITALIANI (AGI) GOVERNO: BERLUSCONI, NON HA LA POSSIBILITA' DI GOVERNARE (AGI)LEGGE ELETTORALE: BERLUSCONI, MODIFICA PREMIO MAGGIORANZA (AGI) ECOFIN: EUROGRUPPO APPROVA PIANO STABILITA' ITALIA (AGI) USA: GREENSPAN, RISCHIO RECESSIONE A FINE ANNO (AGI) ALMUNIA: ITALIA IN BUONA DIREZIONE, MA CONTINUI SFORZI (AGI) PETROLIO: BARILE USA CHIUDE IN RIALZO A 61, 46 DLR (AGI) GOVERNO: PALLARO, ORIENTATO A VOTARE PER PRODI (AGI) - Siena, 26 feb. - Il gup di Milano Alessandra Cerreti ha emesso, in rito abbreviato, un provvedimento di condanna a 8 mesi di reclusione nei confronti di Emilio Tonini, ex direttore generale della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, ora presidente della Banca Agricola Mantovana (controllata Mps), per l'accusa di aggiotaggio manipolativo su azioni privilegiate Unipol, un fatto avvenuto nel marzo 2003. E' quanto si legge in una nota della Fondazione MPS. La Fondazione Mps - prosegue la nota - e' stata invece condannata alla pena pecuniaria di 10.300 euro, per violazione della legge 231 che riguarda la responsabilita' oggettiva delle societa' nel caso in cui non si predispongano modelli organizzativi idonei a prevenire la commissione di reati, modelli che proprio in questi mesi la Fondazione, prima in Italia, ha varato. A fronte della decisione del giudice il dottor Emilio Tonini ribadisce di essersi limitato, in qualita', all'epoca, di direttore generale (provveditore) della Fondazione MPS ad autorizzare l'acquisto sul mercato dei blocchi in data 31 marzo 2003 di complessive 4.500.000 azioni Unipol privilegiate al prezzo unitario proposto dalla controparte Finsoe, a seguito del positivo giudizio tecnico prospettico sul titolo. Operazione condotta nella massima trasparenza. Il successivo corso borsistico ha ampiamente giustificato siffatta previsione e l'investimento effettuato si e' rivelato molto positivo per la Fondazione Mps. Si attende ora il deposito della sentenza per comprendere in base a quali argomentazioni possa essere sostenuto il suo concorso nel reato di "manipolazione del mercato". Il dottor Tonini presentera' appello, dicendosi fiducioso che la realta' storica della vicenda possa venire pienamente ripristinata. Una fiducia a cui si unisce la stessa Fondazione Monte dei Paschi di Siena che conferma di ritenere l'operazione in oggetto condotta sul mercato borsistico all'insegna della massima trasparenza, ribadendo la piena stima per l'operato del dottor Tonini durante il suo incarico presso la Fondazione stessa, improntato sempre alla massima correttezza e volto a far si' che il patrimonio dell'istituzione potesse essere salvaguardato ed accresciuto. (AGI).

 

-                      Siena, 26 feb. - Il gup di Milano Alessandra Cerreti ha emesso, in rito abbreviato, un provvedimento di condanna a 8 mesi di reclusione nei confronti di Emilio Tonini, ex direttore generale della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, ora presidente della Banca Agricola Mantovana (controllata Mps), per l'accusa di aggiotaggio manipolativo su azioni privilegiate Unipol, un fatto avvenuto nel marzo 2003. E' quanto si legge in una nota della Fondazione MPS. La Fondazione Mps - prosegue la nota - e' stata invece condannata alla pena pecuniaria di 10.300 euro, per violazione della legge 231 che riguarda la responsabilita' oggettiva delle societa' nel caso in cui non si predispongano modelli organizzativi idonei a prevenire la commissione di reati, modelli che proprio in questi mesi la Fondazione, prima in Italia, ha varato. A fronte della decisione del giudice il dottor Emilio Tonini ribadisce di essersi limitato, in qualita', all'epoca, di direttore generale (provveditore) della Fondazione MPS ad autorizzare l'acquisto sul mercato dei blocchi in data 31 marzo 2003 di complessive 4.500.000 azioni Unipol privilegiate al prezzo unitario proposto dalla controparte Finsoe, a seguito del positivo giudizio tecnico prospettico sul titolo. Operazione condotta nella massima trasparenza. Il successivo corso borsistico ha ampiamente giustificato siffatta previsione e l'investimento effettuato si e' rivelato molto positivo per la Fondazione Mps. Si attende ora il deposito della sentenza per comprendere in base a quali argomentazioni possa essere sostenuto il suo concorso nel reato di "manipolazione del mercato". Il dottor Tonini presentera' appello, dicendosi fiducioso che la realta' storica della vicenda possa venire pienamente ripristinata. Una fiducia a cui si unisce la stessa Fondazione Monte dei Paschi di Siena che conferma di ritenere l'operazione in oggetto condotta sul mercato borsistico all'insegna della massima trasparenza, ribadendo la piena stima per l'operato del dottor Tonini durante il suo incarico presso la Fondazione stessa, improntato sempre alla massima correttezza e volto a far si' che il patrimonio dell'istituzione potesse essere salvaguardato ed accresciuto. (AGI).


Da Il Riformista 27-2-2007 I socialisti che lavorano alla rifondazione. Verso Bertinoro con lo spirito di Epinay


Il tempo dei grandi dibattiti sulla diaspora sembra finito. Infatti, anche “grazie” alla nascita del Partito democratico, il variegato mondo dei socialisti si sta dando da fare per la costruzione di una nuova svolta. Di una rifondazione.
Nella cittadina romagnola di Bertinoro, sabato e domenica prossimi, il sempre attivo Lanfranco Turci - oggi deputato della Rosa nel pugno - ha dato appuntamento a un nutrito gruppo di socialisti per discutere della «costruzione di una moderna forza laica liberalsocialista». Arriveranno in tanti. E tra questi, Enrico Boselli, Peppino Caldarola, Bobo Craxi, Gianni De Michelis, Rino Formica, Emanuele Macaluso, Valdo Spini e Saverio Zavettieri. L’obiettivo, spiega Turci, «è avviare un percorso che possa portare alla nascita di una forza politica a vocazione maggioritaria, in competizione con il Partito democratico, collocata in Europa con il Pse». Tre clausole che possono rappresentare un polo d’attrazione - e allo stesso tempo un massimo comun denominatore - per neosocialisti oggi fuori dall’Unione, per la sinistra Ds, per i boselliani e per coloro che «da socialisti» non condividono la mappa dei valori del nascente Pd.
Guardando al futuro, da questi movimenti potrebbe avviarsi la costruzione di una casa nella quale possano convivere Mussi e De Michelis. Senza per questo porre limiti alla (laica) provvidenza. Come fa Peppino Caldarola, che immagina nel futuro prossimo lo scenario di un centrosinistra con «un Partito democratico a-identitario, la sinistra radicale di Verdi e Pdci, e un partito della Rifondazione socialista». Senza escludere che quest’ultima forza, aggiunge l’ex direttore dell’Unità, «possa dar vita a una strategia dell’attenzione rispetto a quello che nel lungo periodo potrà succedere dentro Rifondazione comunista, che a mio avviso rimarrà segnata dall’esperienza di governo». Oltre che dall’accelerazione dei democrat sulla strada dell’Ulivo-Pd, la nascita di un progetto «socialista doc» può beneficiare dell’apertura al modello di legge elettorale tedesco di cui si sta discutendo dopo il coming out che Massimo D’Alema ha annunciato nel corso del forum con la redazione del Riformista. Il modello tedesco (proporzionale con sbarramento al 5 per cento) è in cima ai desiderata della Sinistra diessina. E poi, aggiunge Turci, «sarebbe il tipo di legge che favorirebbe la nascita di una forza socialista a vocazione maggioritaria».
Gli occhi dei socialisti «no Pd» sono puntati sulle assise di Sdi e Ds. Il primo - che dopo l’uscita di scena della Quercia rimarrà l’unico membro italiano del Pse - andrà a congresso a Fiuggi.
Boselli vuol sviluppare «il confronto con tutte le famiglie socialiste, da quella guidata da Gianni De Michelis a quella diretta da Bobo Craxi». L’obiettivo è estendere la sfera di interesse alla sinistra ds, con la consapevolezza che - come ricorda Villetti - «sono già molti i terreni di confronto con l’area di Fabio Mussi». In opposizione a quella del segretario, arriverà una mozione «pro Pd» che avrà in Cesare Marini il primo firmatario.
Parallelamente, nella sinistra Ds, più d’uno guarda con attenzione a quello che di qui a poco potrebbe accadere nello Sdi. «Rinnoviamo il nostro invito a Boselli - ha detto Valdo Spini - perché si confronti con la nostra proposta che Ds, Sdi, area socialista, clubs della sinistra partecipino a nuova Epinay , una costituente per una grande forza del socialismo europeo in Italia». E Boselli, nella sua relazione al comitato direttivo nazionale dello Sdi, ha annotato nella sua relazione: «Di fronte a un Pd che si sta fondando, ci si interroga sulla necessità di rifondare un nuovo partito socialista ancorato al socialismo europeo. Lo fa un riformista, come Emanuele Macaluso, con il quale abbiamo una grande convergenza di vedute. Lo fa Fabio Mussi che è a capo della sinistra Ds e con il quale abbiamo forti punti di divergenza, ma con il quale abbiamo anche in comune la difesa del principio di laicità e la difesa della scuola pubblica e lo fa il leader dell’altra mozione Angius. Ci si ricorda che noi resteremmo, come Sdi, l’unica forza che fa parte a pieno titolo nel socialismo europeo, dopo che avverrà il mezzo abbandono del Pse da parte dei DS, nel momento in cui si scioglieranno e confluiranno nel nuovo partito democratico».


Da La Repubblica 27-2-2007 "Italian connection" a Nuova Delhi. L'India contro Sonia Gandhi: "Ladra"
La vedova di Rajiv nei guai per tangenti. Manette in Argentina al faccendiere
che avrebbe dirottato 13 milioni di dollari alla famiglia. L'opposizione attacca

Negli anni '80 Quattrocchi sarebbe stato il mediatore per una Tangentopoli da 13 milioni di dollari
Un giallo politico finanziario che dura da 20 anni. Nuova Delhi chiede l'estradizione dell'imprenditore
di RAIMONDO BULTRINI

 

DA VENT'ANNI la stampa indiana insegue le "italian connections" di Ottavio Quattrocchi, un uomo d'affari siciliano ricercato dalla polizia di Nuova Delhi e legato alle sorti della famiglia Gandhi e dei suoi governi. L'ultima puntata del caso costato addirittura una sconfitta elettorale a Rajiv e molte ansie alla sua vedova italiana Sonia, si è svolta ben lontano dai palazzi del potere della capitale indiana, nella splendida cornice delle cascate Iguazù ai confini tra Brasile e Argentina. Qui Ottavio Quattrocchi, classe 1938 da Mascali nel Catanese, è stato arrestato il 6 febbraio mentre prendeva l'aereo per Buenos Aires sulla base di una segnalazione dell'Interpol, l'agenzia internazionale di polizia sollecitata dall'Ufficio investigavo centrale di Delhi.
L'accusa è di essere stato negli anni '80 il mediatore in nome del Congresso di un gigantesco appalto stile Tangentopoli da 13 milioni di dollari vinto dalla ditta AB Bofors per fornire fucili all'esercito indiano. L'imprenditore ha atteso in una cella argentina le decisioni sulla sua sorte mentre la notizia restava strettamente riservata. E per uno dei tanti colpi di scena di questo giallo politico finanziario che dura esattamente da 20 anni, una corte di giustizia lo ha rilasciato su cauzione proprio nel giorno in cui l'India avviava le pratiche per l'estradizione.
Ora un drappello di ufficiali si appresta a raggiungere l'Argentina munito di documenti ancora da far tradurre in spagnolo, con i quali intendono provare che su richiesta di Quattrocchi grosse tangenti furono versate dalla svedese Bofors su conti svizzeri di alti personaggi indiani. Ma non è solo lo scetticismo delle magistrature estere a rendere difficile il trasferimento d'autorità di Quattrocchi in India. L'uomo del più grande scandalo giudiziario nella storia moderna dell'India è infatti cittadino italiano, e le possibilità di estradarlo in uno stato terzo sono molto remote.
Le opposizioni politiche indiane hanno subito denunciato il silenzio delle autorità, che avrebbero tenuto segreta la notizia dal 6 febbraio per evitare il riemergere di uno scandalo nazionale alla vigilia dell'approvazione del delicato bilancio dell'Unione federale e mentre si svolgono le elezioni in tre Stati. Tra i critici più severi gli esponenti dell'ex partito di governo, i religiosi ultraortodossi del Bjp che giocano sulla nazionalità di Quattrocchi per dimostrare le "connessioni italiane" della leader del Congresso Sonia Gandhi. Secondo il Bjp i legami dell'uomo d'affari con la famiglia Nerhu-Gandhi sono provati da anni, e spiegano con questi la rapida ascesa del giovane funzionario dell'Eni che sbarcò in India nel 1964 (quando aveva appena 26 anni) per occuparsi di fertilizzanti, per poi diventare in questo ramo il capo di un piccolo impero finanziario, oltre a mediare altri appalti governativi per cifre superiori ai 60 milioni di dollari.
Stamattina la sessione del parlamento indiano è stata interrotta dalle proteste dei partiti di opposizione che, al grido di "Sonia Gandhi è una ladra", hanno chiesto al governo chiarimenti sulla vicenda. L'opposizione sospetta che lei e il suo partito del Congresso abbiano voluto nascondere la notizia del fermo di Quattrocchi, resa nota solo sabato scorso, al fine di far trascorrere in silenzio i trenta giorni necessari per ottenere l'estradizione.

(27 febbraio 2007)


Da trend-online.it 26.02.2007 15:41 Il mondo del mattone: investire sì, ma con cautela di Pierpaolo Molinengo

Il mercato immobiliare negli ultimi anni ha attirato l’interesse di un numero crescente di investitori che hanno impiegato il loro capitale nell’acquisto di un’abitazione non sempre destinata ad essere abitata.
Investire nel mattone conviene? O almeno, il mercato immobiliare garantisce la tenuta del capitale nel tempo, e un minimo di ritorno dopo alcuni anni. Una domanda a tinte forti, alla quale è difficile dare una risposta univoca.
Senza dubbio il mercato immobiliare sta vivndo una fase di rallentamento graduale della crescita delle quotazioni, per questo diventa sempre più importante "mirare" la scelta di investimento, da valutarsi in un’ottica di medio lungo termine.
Per dare una risposta a questa domanda, l’Ufficio Studi Tecnocasa ha messo a confronto le dinamiche di crescita delle quotazioni degli immobili, dei canoni di locazione e dei rendimenti, nel periodo che va dagli inizi del 2001 fino al primo semestre del 2006. L’andamento delle variazioni dei canoni di locazione nel tempo è stato elaborato sul bilocale.
Dalle analisi risulta che il mercato delle locazioni è rimasto pressoché invariato ed in alcuni casi ha segnalato dei ribassi. Infatti focalizzando l'attenzione sulle dieci grandi città italiane delinea uno scenario di sostanziale stabilità dei canoni di locazione dei bilocali (+0.3%) ed una flessione per quelli dei trilocali (-0.2%). L'Ufficio studi Tecnocasa ha poi effettuato per alcune città italiane, un’analisi dei rendimenti per zone, e per ognuna di esse è risultato che i rendimenti maggiori si spuntano nelle aree periferiche e semicentrali; nelle zone centrali l’immobile sembra rendere meno.
A questo punto ponendosi dalla parte dell'investitore è necessario effettuare alcune considerazioni. Secondo l'analisi effettuata da Tecnocasa, se l'investitore ha una notevole disponibilità di spesa potrebbe pensare ad un’operazione di frazionamento. Essa prevede l’acquisto di un immobile di grande dimensione da ristrutturare, da suddividere in porzioni di abitazioni di dimensione più piccola. Il numero di componenti per famiglia sta diminuendo, aumentano sempre di più i single e le coppie. Il mercato immobiliare si sta adeguando offrendo immobili, più piccoli e adatti alle esigenze di questi potenziali acquirenti o affittuari. La stessa tipologia di investitore potrebbe decidere di acquistare


Da La Repubblica 26-2-2007 Telefonia, il cellulare più del fisso. Cambiano le abitudini degli europei. In Italia le case senza rete fissa sono il 16%, erano il 13% nel 2003. Di Alessandro Longo

Una ricerca dell'osservatorio inglese Analysys evidenza questo fenomeno, chiamato Fixed-mobile substitution

SI TELEFONA sempre più con il cellulare e meno con la rete fissa, che si tende persino ad abbandonare: è un fenomeno marcato e in forte crescita, soprattutto in Italia, come dimostrano i dati appena rilevati dall'osservatorio di ricerca inglese Analysys e concessi per pubblicazione a Repubblica.it.
Gli esperti la chiamano "fixed-mobile substitution" (Fms) ed è un'abitudine che si esplica in due modi: tendiamo a ridurre il numero di telefonate fisse privilegiando il cellulare oppure (nel caso più estremo) arriviamo a usarlo in modo esclusivo, distaccando la linea fissa.
In Europa Occidentale, dal 2004 al 2006, è passata dal 9 al 12 per cento la percentuale di case che usa solo il cellulare. Il numero di minuti di chiamate via cellulare è passato invece dal 28 al 35 per cento. In Europa si va da un estremo all'altro. In Finlandia e in Portogallo è persino una casa su tre a non avere linea fissa e lì il 60 e il 70 per cento di minuti di chiamate (rispettivamente) avviene via cellulare. All'estremo opposto, Svezia e Germania. L'Italia si trova nella parte alta della classifica per quanto riguarda le case senza rete fissa: 16 per cento, contro il 13 per cento del 2003.

Meno diffusa in Italia invece, rispetto alla media europea, l'abitudine a telefonare più con il cellulare che con il telefono normale. È il 33 per cento, infatti, la quota di chiamate fatte via rete mobile, sul totale, il che ci mette nella parte bassa della classifica.
Significa che c'è da noi soprattutto un nocciolo duro di persone che vuole eliminare il canone di Telecom Italia. Chi conserva il telefono fisso, invece, lo privilegia al cellulare nelle chiamate, per risparmiare. Analysys nota infatti che in Italia le chiamate via cellulare costano ancora molto, rispetto alla media europea, anche se il prezzo per minuto è calato del 24 per cento negli ultimi due anni.
Le cause della Fms sono molteplici: riflettono un mercato ma anche una società che cambia. Da una parte, i cellulari e le telefonate mobili - scrive Analysys - sono sempre più economici; dall'altra, in una società che spinge sempre più la gente fuori di casa, per lavoro, e incentiva l'individualismo, cresce il bisogno di una linea mobile e di un telefono personale.
Gli operatori mobili europei, poi, hanno approfittato della tendenza e si sono messi a incoraggiarla, con piani tariffari ad hoc. Devono farlo, andando a pestare i piedi agli operatori fissi, per compensare il progressivo calo che registrano sui margini di profitto delle chiamate voce. Visto però che le persone hanno un crescente bisogno di internet, qualche operatore mobile ha cominciato anche a differenziare i propri servizi e a offrire accesso banda larga. Avanguardia di questa strategia, in Europa, è stata Vodafone. In Italia ha un piano tariffario (Vodafone Casa) che incentiva l'abbandono di Telecom e, come opzione, permette anche di avere l'accesso banda larga di Fastweb.
Secondo Analysys, è opportuno che gli operatori offrano accesso Adsl, per sostituirsi meglio ai fissi; la banda larga via rete mobile Umts, infatti, ancora non è all'altezza del confronto. L'offerta Vodafone Casa ha raggiunto, a fine dicembre, 596.000 clienti attivi, con una crescita del 65 per cento rispetto a fine settembre.
Gli operatori fissi non restano certo fermi a incassare colpi, e hanno già cominciato una contro-strategia per riconquistare i clienti. Per esempio, lanciando tariffe flat per fare chiamate illimitate a fronte di un canone fisso; oppure introducendo offerte VoIP (Voice over IP) su Adsl, che ora permettono sconti sulle telefonate e sempre più spesso in futuro apriranno la porta a servizi evoluti.
Telecom ha appena lanciato, sul proprio VoIP, infatti, un Nuovo Videotelefono: a differenza del precedente, permette di fare video chiamate su IP, molto fluide (fino a 25 fotogrammi al secondo), a tariffe paragonabili a un'interurbana. Le video chiamate via cellulare, invece, sono più costose e a bassa qualità (non essendo su IP).
Un'altra freccia nell'arco degli operatori fissi, contro lo strapotere dei cellulari, sono i servizi convergenti (fisso-mobile). Permettere cioè all'utente di telefonare da casa e fuori sempre con uno stesso numero e terminale, a tariffe a forfait. Funziona così l'offerta Unico, di Telecom Italia: dovrebbe arrivare in commercio nei prossimi giorni, uscendo dalla fase sperimentale. I servizi convergenti sono appena all'esordio e nei prossimi mesi dovrebbero diventare più completi e comodi da usare.


Da La Stampa 26-2-2007 Il popolo di Internet si interroga sul nuovo portale Italia.it Vale 45 milioni di euro?

Al 4° giorno dall’inaugurazione del portale www.italia.it (ma l'era dei portali non si era chiusa alla fine degli anni Novanta, con lo scoppio della bolla?), monta l'indignazione in Rete.
Nel mirino i soldi stanziati dal governo -
45 milioni di euro, davvero tanti! ("che invidia!" è il primo pensiero di tutti i webmaster che sognano il ritorno della New Economy...) - e le aziende che li avrebbero intascati per realizzarlo: in testa nei credits del sito risultano Sviluppo Italia (attraverso "Sì Innovazione Italia") e la Ibm Italia, le due società più note che hanno vinto la commessa già ai tempi del governo Berlusconi con l'allora ministro per l'innovazione Lucio Stanca, che dell'Ibm a suo tempo è stato amministratore delegato.
A ben guardare, molti di quei milioni sarebbero andati alle Regioni per sviluppare i contenuti e devono ancora essere spesi: così scrive
Punto Informatico e mi confermano fonti Ibm.   
Roberto Falavolti, amministratore delegato di "Sì Innovazione Italia", 
qui citato, avrebbe comunicato che l’Italia ha "investito" così i 45 milioni di euro
21 milioni alle Regioni per produrre contenuti turistici;
4 milioni per l’aggregazioni delle informazioni centralizzate (redazione);
8 milioni a Ibm & soci per la piattaforma tecnologica;
mentre
12 milioni saranno impiegati per “completarlo”: 
cioè chiudere il cantiere di sviluppo (verranno ad esempio portate ad 8 le lingue supportate, oggi sono 4)  e promuovere il portale in rete.
Ma c'è già chi - come l'
Adiconsum

 - vuole scuse pubbliche per la spesa di denaro pubblico, chi denuncia che non è sicuro , chi grida al solito scandalo italiano, e chi propone di rifare così il sito perchè sia più bello, più utile e soprattutto dimostrando che certe cose con le tecnologie di oggi si possono fare a costi bassissimi...
Prometto di occuparmene, a puntate, sentendo tutte le parti in causa.


INDICE 26-2-2007

 

 

 

++ Da La Stampa 26-2-2007 Corruzione in Basilicata, indagati quattro magistrati 1

+ Da La Nuova Ferrara  26-2-2007. Senatore capro espiatorio di un incauto "ragioniere" 1

+ Da La Repubblica 26-2-2007 La dittatura della coscienza - Umberto Galimberti 1

+ Da estense.com 26-2-2007 I due senatori dissidenti si incontrano a Ferrara  2

Il 2 marzo iniziativa contro la guerra in Afghanistan  2

Dal Corriere della Sera 26-2-2007 Continuare come prima? Non si può. Per uscire dal bunker. Di Giovanni Sartori 2

Da La Repubblica 26-2-2007 Andreotti voterà la fiducia ."Bene il dietrofront sui Dico" di Carmelo Lopapa  2

Da La Stampa 26-2-2007 26/2/2007 (8:22) - NUCLEARE, LA SFIDA IRANIANA. Ahmadinejad: "Siamo un treno senza freni" Maurizio Molinari 3

 

 

 

++ Da La Stampa 26-2-2007 Corruzione in Basilicata, indagati quattro magistrati

26/2/2007 (13:59) - INCHIESTA SUI MAGISTRATI LUCANI

CATANZARO
Sarebbero quattro i magistrati lucani sui quali sta indagando per competenza territoriale la Procura della Repubblica di Catanzaro. L’inchiesta si svilupperebbe su quattro filoni di indagini e riguarderebbe rapporti fra esponenti del mondo giudiziario, politici, rappresentanti delle forze dell’ordine e funzionari.
Le indagini sono coordinate dal sostituto procuratore Luigi de Magistris, lo stesso che indaga su altre vicende che coinvolgono uomini politici calabresi e di livello nazionale. La notizia è stata riportata oggi dal Corriere della Sera. E in procura a Catanzaro viene mantenuto il massimo riserbo. Gli indagati, nei confronti dei quali le ipotesi di reato vanno da abuso d’ufficio a corruzione in atti giudiziari, ad appropriazione indebita e truffa, sarebbero tredici in tutto. Tra loro i quattro magistrati: i procuratori della Repubblica di Potenza, Giuseppe Galante, e Matera,Giuseppe Chieco; il sostituto procuratore della Repubblica di Potenza Felicia Genovese ed il presidente del Tribunale di Matera, Iside Granese.
Le indagini riguarderebbero una serie di illeciti che sarebbero stati commessi nei settori bancario, turistico e sanitario. L’inchiesta farebbe riferimento a rapporti tra esponenti della magistratura, del mondo politica della Basilicata e della sanità.
Al centro dell’inchiesta l’Azienda ospedaliera S. Carlo di Potenza, il cui direttore generale è Michele Cannizzaro, marito del magistrato Felicia Genovese. Al vaglio degli inquirenti anche i legami di alcuni dei magistrati indagati con i vertici della Banca popolare del Materano. Secondo quanto emergerebbe, il procuratore Chieco avrebbe avuto interesse nella realizzazione di un villaggio turistico, il Marinagri di Policoro (Matera). E all’attenzione degli inquirenti sarebbero finite presunte omissioni di cui il magistrato si sarebbe reso responsabile nell’ambito di un’inchiesta che era stata avviata dalla Procura di Matera su presunti illeciti nell’operazione edilizia.
Il villaggio, in particolare, sarebbe stato costruito su un terreno del demanio. Tra gli indagati anche un senatore. Uno dei filoni della inchiesta che sta conducendo la Procura delle Repubblica di Catanzaro sui magistrati lucani, sarebbe partita da una esposto presentato da un imprenditore, Nicola Piccenna, contro il procuratore della Repubblica di Matera, Giuseppe Chieco, che aveva chiesto di archiviare un procedimento penale contro i vertici della Banca popolare del Materano. L’imprenditore presentò l’esposto in quanto si ritenne si ritenne danneggiato dalla decisione del procuratore . L’esposto è stato presentato da Piccenna alla Procura generale di Potenza che l’ha trasmessa, per competenza funzionale, alla Procura della Repubblica di Catanzaro.
Dopo avere svolto le indagini, la Procura di Catanzaro ha chiesto l’archiviazione del procedimento a carico di Chieco. Richiesta che è adesso all’esame del gip di Catanzaro, Antonio Giglio, che si è riservato di decidere. Non è eluso, comunque, che nelle prossime.

 

+ Da La Nuova Ferrara  26-2-2007. Senatore capro espiatorio di un incauto "ragioniere"

 

Agenda e Lettere Senatore capro espiatorio di un incauto "ragioniere" Voglio esprimere la mia piena solidarietà al Sen. Fernando Rossi vittima, in questi giorni di un'assurda e inaudita campagna mediatica culminata con una vera e propria aggressione fisica. Anche se non condivido a pieno la sua decisione di non votare la politica estera del Governo, apprezzo la sua coerenza di uomo di sinistra e di fedele servitore della Pace, merce assai rara oggi. Il suo gesto di non partecipare alla votazione è stato la scelta giusta per non danneggiare il Governo contribuendo, in questo modo, ad abbassare il quorum ed ottenere più facilmente i voti necessari. Comunque, anche votando, sarebbe sempre mancato un voto indispensabile per l'approvazione: quindi le responsabilità vanno cercate altrove. E vero però, ed è qui che io dissento, che con questo suo comportamento ha creato un problema alla sinistra, ora più debole, accelerando così il progetto del Partito Democratico. Non avrei mai scritto al giornale esprimendo pubblicamente la mia solidarietà se non avessi letto lo scritto di Baratelli tendente a mettere in cattiva luce la persona di Rossi non solo sul piano politico, ma anche nella sfera personale. E' vero, forse Rossi non avrà i titoli accademici, ma mi chiedo se per essere persone coerenti con i propri princìpi c'è bisogno di avere una laurea. E poi non mi risulta che Baratelli abbia mai ricoperto incarichi pubblici o di rilievo nell'ambito politico cittadino pur avendo i titoli accademici, evidentemente ciò che ha il Sen. Rossi a lui manca, pertanto prima di giudicare gli altri bisognerebbe prima guardare a se stessi. Quantomeno discutibile inoltre è stato anche il comportamento e le dichiarazioni politiche di alcuni dirigenti nazionali del P.d.C.I. in merito all'aggressione subita da Rossi sul treno che lo riportava a Ferrara dando il via, con le loro affermazioni, ad un vero e proprio linciaggio morale da parte dei sui ex compagni di partito. E' singolare il fatto che sabato 17 febbraio questi dirigenti fossero a Vicenza a manifestare per la pace e contro la violenza poi qualche giorno dopo giustificano l'aggressione fisica al loro ex senatore. Evidentemente rode ancora il fatto che sia uscito dal partito restituendo la tessera nelle mani del segretario nazionale e non buttato fuori come qualcuno tenta di insinuare. La crisi di questo Governo era nell'aria già da un po', era solo questione di tempo. Se non fosse inciampato sulla politica estera, votata qualche giorno fa, sarebbe caduto nei prossimi mesi sui Dico o sulle pensioni o su qualcosa d'altro ancora. Morale: quando non ci sono i numeri si fa fatica a governare. Smettiamola quindi di incolpare Rossi. Rossi è stato solo il capro espiatorio di qualche incauto "ragioniere" che in Senato ha sbagliato i conti! Buon lavoro Senatore e lunga vita al Governo Prodi! Daniele Ferraresi Sarebbe opportuno che i fantasmi del passato tornassero nel silenzio. Le nostre posizioni rispetto a Rossi sono state di ferma e chiara condanna e di assoluta tempestività. Il prossimo dibattito alla Camera e al Senato e la conseguente fiducia a Prodi faranno cessare questa inutile canea. La signora Bisi e la signora Marchesi dovrebbero fare a meno di ascoltare le sirene che arrivano da Roma, poiché il ruolo di Diliberto e la linea del PdCI sono fermi e chiari, di ampia prospettiva politica e di assoluta fedeltà a Prodi e al centro-sinistra. Alexandra Storari Segretaria provinciale PdCi di Ferrara.

Agenda e Lettere Senatore capro espiatorio di un incauto "ragioniere" Voglio esprimere la mia piena solidarietà al Sen. Fernando Rossi vittima, in questi giorni di un'assurda e inaudita campagna mediatica culminata con una vera e propria aggressione fisica. Anche se non condivido a pieno la sua decisione di non votare la politica estera del Governo, apprezzo la sua coerenza di uomo di sinistra e di fedele servitore della Pace, merce assai rara oggi. Il suo gesto di non partecipare alla votazione è stato la scelta giusta per non danneggiare il Governo contribuendo, in questo modo, ad abbassare il quorum ed ottenere più facilmente i voti necessari. Comunque, anche votando, sarebbe sempre mancato un voto indispensabile per l'approvazione: quindi le responsabilità vanno cercate altrove. E vero però, ed è qui che io dissento, che con questo suo comportamento ha creato un problema alla sinistra, ora più debole, accelerando così il progetto del Partito Democratico. Non avrei mai scritto al giornale esprimendo pubblicamente la mia solidarietà se non avessi letto lo scritto di Baratelli tendente a mettere in cattiva luce la persona di Rossi non solo sul piano politico, ma anche nella sfera personale. E' vero, forse Rossi non avrà i titoli accademici, ma mi chiedo se per essere persone coerenti con i propri princìpi c'è bisogno di avere una laurea. E poi non mi risulta che Baratelli abbia mai ricoperto incarichi pubblici o di rilievo nell'ambito politico cittadino pur avendo i titoli accademici, evidentemente ciò che ha il Sen. Rossi a lui manca, pertanto prima di giudicare gli altri bisognerebbe prima guardare a se stessi. Quantomeno discutibile inoltre è stato anche il comportamento e le dichiarazioni politiche di alcuni dirigenti nazionali del P.d.C.I. in merito all'aggressione subita da Rossi sul treno che lo riportava a Ferrara dando il via, con le loro affermazioni, ad un vero e proprio linciaggio morale da parte dei sui ex compagni di partito. E' singolare il fatto che sabato 17 febbraio questi dirigenti fossero a Vicenza a manifestare per la pace e contro la violenza poi qualche giorno dopo giustificano l'aggressione fisica al loro ex senatore. Evidentemente rode ancora il fatto che sia uscito dal partito restituendo la tessera nelle mani del segretario nazionale e non buttato fuori come qualcuno tenta di insinuare. La crisi di questo Governo era nell'aria già da un po', era solo questione di tempo. Se non fosse inciampato sulla politica estera, votata qualche giorno fa, sarebbe caduto nei prossimi mesi sui Dico o sulle pensioni o su qualcosa d'altro ancora. Morale: quando non ci sono i numeri si fa fatica a governare. Smettiamola quindi di incolpare Rossi. Rossi è stato solo il capro espiatorio di qualche incauto "ragioniere" che in Senato ha sbagliato i conti! Buon lavoro Senatore e lunga vita al Governo Prodi! Daniele Ferraresi Sarebbe opportuno che i fantasmi del passato tornassero nel silenzio. Le nostre posizioni rispetto a Rossi sono state di ferma e chiara condanna e di assoluta tempestività. Il prossimo dibattito alla Camera e al Senato e la conseguente fiducia a Prodi faranno cessare questa inutile canea. La signora Bisi e la signora Marchesi dovrebbero fare a meno di ascoltare le sirene che arrivano da Roma, poiché il ruolo di Diliberto e la linea del PdCI sono fermi e chiari, di ampia prospettiva politica e di assoluta fedeltà a Prodi e al centro-sinistra. Alexandra Storari Segretaria provinciale PdCi di Ferrara.

 

 

+ Da La Repubblica 26-2-2007 La dittatura della coscienza - Umberto Galimberti

 

Commenti La dittatura della coscienza UMBERTO GALIMBERTI C'è una parola magica che, quando si è in procinto di fare disastri o a disastri avvenuti, viene evocata per garantirsi l'impunità, quando non addirittura il rispetto anche da parte di chi non ne condivide le posizioni e soprattutto le conseguenze della azioni. Questa parola magica si chiama "coscienza". L'abbiamo sentita evocare da Fernando Rossi e da Franco Turigliatto, i due senatori che, con il loro voto, hanno determinato la caduta del governo Prodi. Alla "coscienza" e a quella sua variante che sono i "princìpi" era ricorso anche Clemente Mastella per giustificare la sua opposizione ai Dico. Alla "coscienza" ricorrono infine tutti quei medici che rifiutano l'interruzione di gravidanza anche nei casi consentiti dalla legge o la sospensione delle cure come nel caso Welby e in altri simili. Ma cos'è questa "coscienza"? E' la dittatura del principio della soggettività che non si fa carico di alcuna responsabilità collettiva e tanto meno delle conseguenze che ne derivano. Il medico che, in nome dell'"obbiezione di coscienza", rifiuta l'interruzione di gravidanza a chi nella miseria genera molti figli nella più assoluta indigenza, a chi resta incinta in età infantile, a chi porta in grembo feti affetti da malattie ereditarie, non si fa carico delle condizioni della madre e dell'infelicità futura dei nascituri, ma solo dell'osservanza dei suoi princìpi, che consente alla sua coscienza di sentirsi "a posto", proprio perché rimuove, nega, non vede o non vuol vedere le conseguenze della sua decisione. Questo tipo di "coscienza" che non assume alcuna responsabilità sociale è una coscienza troppo ristretta, troppo angusta per poter essere eretta a principio della decisione. Se poi, alle sua spalle lavora l'obbedienza a princìpi che qualche autorità, come ad esempio la chiesa, pone come "vincolanti", allora si giunge a quell'autolimitazione della responsabilità che abbiamo conosciuto in epoca nazista, dove tutti, dalle più alte gerarchie ai semplici militari, si sentivano responsabili solo di fronte ai superiori ("Ho obbedito agli ordini") e non responsabili di fronte alle conseguenze delle loro azioni. Se la dittatura della coscienza soggettiva, che in nome dei propri princìpi non si piega alla mediazione e non si fa carico delle domande sociali (come possono essere quelle delle coppie di fatto o dei malati terminali che chiedono l'interruzione delle cure) diventa principio inappellabile in politica, che è il luogo dove dovrebbe trovare compensazione il conflitto delle diverse posizioni, allora bisogna dire chiaro e forte che coloro che si attengono alla dittatura della coscienza non devono entrare in politica, perché la loro coscienza non prevede alcuna responsabilità collettiva, ma solo l'osservanza dei propri princìpi. E questo vale tanto per i medici, la cui responsabilità oggi non è più solo tecnico-professionale ma anche sociale, quanto per i politici che, per il solo fatto di aver deciso di entrare in politica, non possono esonerarsi, in nome dei loro princìpi, di ascoltare le domande, le richieste, i desideri di coloro che li hanno eletti. Perché la politica è "mediazione", non "testimonianza". Per la testimonianza ci sono altre sedi, come ad esempio la condotta della propria vita. Se si attiene unicamente ai propri princìpi, senza farsi carico delle mediazioni e soprattutto delle conseguenze delle proprie azioni, una simile coscienza, che limita a tal punto il "principio di responsabilità collettiva e sociale", è troppo ristretta e troppo angusta per diventare il punto di riferimento della decisione politica, che per sua natura deve farsi carico della mediazione e delle conseguenze delle sue risoluzioni. Per cui la dittatura della soggettività è in ogni suo aspetto incompatibile con l'agire politico, e non salva neppure l'anima perché, come ci ricorda Kant: "La morale è fatta per l'uomo, non l'uomo per la morale". E questo monito vale anche, e forse a maggior ragione, per l'ideologia.

C'è una parola magica che, quando si è in procinto di fare disastri o a disastri avvenuti, viene evocata per garantirsi l'impunità, quando non addirittura il rispetto anche da parte di chi non ne condivide le posizioni e soprattutto le conseguenze della azioni. Questa parola magica si chiama "coscienza". L'abbiamo sentita evocare da Fernando Rossi e da Franco Turigliatto, i due senatori che, con il loro voto, hanno determinato la caduta del governo Prodi. Alla "coscienza" e a quella sua variante che sono i "princìpi" era ricorso anche Clemente Mastella per giustificare la sua opposizione ai Dico. Alla "coscienza" ricorrono infine tutti quei medici che rifiutano l'interruzione di gravidanza anche nei casi consentiti dalla legge o la sospensione delle cure come nel caso Welby e in altri simili. Ma cos'è questa "coscienza"? E' la dittatura del principio della soggettività che non si fa carico di alcuna responsabilità collettiva e tanto meno delle conseguenze che ne derivano. Il medico che, in nome dell'"obbiezione di coscienza", rifiuta l'interruzione di gravidanza a chi nella miseria genera molti figli nella più assoluta indigenza, a chi resta incinta in età infantile, a chi porta in grembo feti affetti da malattie ereditarie, non si fa carico delle condizioni della madre e dell'infelicità futura dei nascituri, ma solo dell'osservanza dei suoi princìpi, che consente alla sua coscienza di sentirsi "a posto", proprio perché rimuove, nega, non vede o non vuol vedere le conseguenze della sua decisione. Questo tipo di "coscienza" che non assume alcuna responsabilità sociale è una coscienza troppo ristretta, troppo angusta per poter essere eretta a principio della decisione. Se poi, alle sua spalle lavora l'obbedienza a princìpi che qualche autorità, come ad esempio la chiesa, pone come "vincolanti", allora si giunge a quell'autolimitazione della responsabilità che abbiamo conosciuto in epoca nazista, dove tutti, dalle più alte gerarchie ai semplici militari, si sentivano responsabili solo di fronte ai superiori ("Ho obbedito agli ordini") e non responsabili di fronte alle conseguenze delle loro azioni. Se la dittatura della coscienza soggettiva, che in nome dei propri princìpi non si piega alla mediazione e non si fa carico delle domande sociali (come possono essere quelle delle coppie di fatto o dei malati terminali che chiedono l'interruzione delle cure) diventa principio inappellabile in politica, che è il luogo dove dovrebbe trovare compensazione il conflitto delle diverse posizioni, allora bisogna dire chiaro e forte che coloro che si attengono alla dittatura della coscienza non devono entrare in politica, perché la loro coscienza non prevede alcuna responsabilità collettiva, ma solo l'osservanza dei propri princìpi. E questo vale tanto per i medici, la cui responsabilità oggi non è più solo tecnico-professionale ma anche sociale, quanto per i politici che, per il solo fatto di aver deciso di entrare in politica, non possono esonerarsi, in nome dei loro princìpi, di ascoltare le domande, le richieste, i desideri di coloro che li hanno eletti. Perché la politica è "mediazione", non "testimonianza". Per la testimonianza ci sono altre sedi, come ad esempio la condotta della propria vita. Se si attiene unicamente ai propri princìpi, senza farsi carico delle mediazioni e soprattutto delle conseguenze delle proprie azioni, una simile coscienza, che limita a tal punto il "principio di responsabilità collettiva e sociale", è troppo ristretta e troppo angusta per diventare il punto di riferimento della decisione politica, che per sua natura deve farsi carico della mediazione e delle conseguenze delle sue risoluzioni. Per cui la dittatura della soggettività è in ogni suo aspetto incompatibile con l'agire politico, e non salva neppure l'anima perché, come ci ricorda Kant: "La morale è fatta per l'uomo, non l'uomo per la morale". E questo monito vale anche, e forse a maggior ragione, per l'ideologia.

 

 

+ Da estense.com 26-2-2007 I due senatori dissidenti si incontrano a Ferrara

Notizia inserita il 26/2/2007

Il 2 marzo iniziativa contro la guerra in Afghanistan

I due senatori dissidenti si incontreranno a Ferrara. Fernando Rossi (indipendente) e Franco Turigliatto (Prc), parteciperanno il prossimo 2 marzo all’incontro organizzato nella città estense da Officina comunista, l’associazione fondata dal parlamentare ferrarese uscito dal Pdci.

Il giorno prima è prevista la fiducia al Prodi bis. Anche se questa volta non dovrebbero esserci sorprese, l’occasione sarà sicuramente “ghiotta” per sentire dalla viva voce di due dei senatori più discussi del momento la propria opinione per quanto successo quel "terribile mercoledì".

Ieri intanto Fernando Rossi, a Roma per l'assemblea nazionale sull'Afghanistan, promossa dai movimenti pacifisti, ha voluto parlare e spiegare la propria posizione a quanti, arrabbiati o delusi, non riuscivano a giustificare o comprendere la scelta del non voto a Palazzo Madama. "Ho escluso gli insulti e le minacce. Per il resto ho voluto parlare con chi esprimeva preoccupazione per un eventuale ritorno di Berlusconi – ha detto Rossi -, e sopratutto ho cercato di spiegare come il mio atteggiamento sia stato ininfluente ai fini della caduta del Governo. La cosa che però ancora non mi torna, è come possa essere accettata la prima versione (Rossi e Turigliatto rei dell'affondo a Prodi), quando invece i numeri parlano chiaro”. L’eventuale voto positivo dei due “dissidente” sarebbe stato ininfluente secondo Rossi. “Non solo – continua -: si è trattato di un vero e proprio linciaggio mediatico, sfociato nel mio caso addirittura in un'aggressione...".

I colpevoli della crisi, secondo Rossi, vanno cercati altrove. "Vorrei parlare con la gente, spiegare cos'è successo in aula, dimostrare come non sia da imputare a me la crisi. Ma soprattutto mi piacerebbe potermi confrontare con i politici che mi hanno accusato di essere inaffidabile, con quelli che mi hanno demonizzato, con chi continua a chiedersi come sta la mia coscienza".

Domande e risposte che, si presume, saranno in molti ad attendere già venerdì prossimo nell’incontro alla sala Estense.

Alle 20.30, infatti, per l’incontro dibattito organizzato da Officina comunista dal titolo "Afghanista No War", sono attese le presenze del senatore dei Verdi Mauro Bulgarelli, del parlamentare europeo Giulietto Chiesa, di don Fabio Corazzina del coordinamento nazionale di Pax Christi, di Giorgio Cremaschi segretario nazionale Fiom Cgil, del senatore Fosco Giannini capogruppo Prc, di Nella Ginatempo del Movimento contro la guerra, di Walter Lorenzi di Disarmiamoli, di Tiziano Tussi del comitato nazionale dell’Anpi, di Dario Fo e della senatrice Franca Rame (in collegamento telefonico). Officina comunista sarà rappresentata dallo stesso Fernando Rossi e da Monia Benini.

E dal quel che è dato sapere, l'Officina di Rossi starebbe attendendo anche la risposta di qualche altro importante ospite.


Originefonte

 

Dal Corriere della Sera 26-2-2007 Continuare come prima? Non si può. Per uscire dal bunker. Di Giovanni Sartori

 

 

La crisi di governo è rientrata. A meno di imprevedibili imprevisti il governo Prodi otterrà la fiducia; e non sarà un Prodi bis, ma lo stesso governo di prima che continua. Che continua come prima?
Offrendo dimissioni non dovute Prodi ha spiazzato tutti, ed è anche riuscito a spaventare i suoi infidi di sinistra. L'inaspettato spavento li ha indotti a nuovi giuramenti di fedeltà e a riconoscergli l'autorità di «esprimere in maniera unitaria la posizione del governo». Questa frase è un po' contorta (non si capisce come una posizione possa essere espressa in maniera disunitaria), e anche piuttosto ovvia (descrive la normale prerogativa di qualsiasi capo di governo). Ma diamogli pure il credito di essere una promozione a «gran capo». Resta che quasi tutti i punti del cosiddetto diktat prodiano sono blandi e evasivi. Sulle pensioni si tace sull'aumento dell'età pensionabile; sulla famiglia si tace sui nodi dei Dico. Salvo che sull'Afghanistan e forse sulla Tav, il resto è tutto vago, vaghissimo. Anche sulla riforma elettorale che tutti dicono indispensabile, perché altrimenti non ha senso tornare a votare.
Dico la mia. Il diktat prodiano è quasi tutto fumo e poco arrosto. La faccia feroce in realtà nasconde un prudentissimo veleggiare tra le mine. E il punto resta se la mossa di Prodi serva davvero a fornirgli una sia pur piccolissima maggioranza certa e fidabile. Veniamo così ai numeri.
Incalzata dal Presidente Napolitano, l'Unione ha disperatamente cercato di «comprare» qualche senatore in più. Ne ha catturato uno, forse tre. Un magrissimo bottino, che tutt'al più assicura il prossimo voto di fiducia. Ma dopo? Come andrà, dopo, la navigazione quotidiana? La verità è che il centrosinistra sopravvive da sempre, al Senato, su una maggioranza incerta e friabile. Incerta perché i senatori a vita sono «indipendenti» e hanno il diritto di votare ogni volta come credono; e friabile perché all'estrema sinistra esistono teste quadrate che non ragionano come le teste rotonde, o che forse proprio non ragionano. Ma se cancelliamo dal preventivo i sette senatori a vita e le teste quadrate, è sicuro che Prodi va sotto. Domani come ieri. Allora di cosa consiste il «nuovo slancio» del governo? Secondo Angelo Panebianco, Prodi dovrà «cambiare passo».
Finora la sua scelta strategica è stata, per assicurarsi la coesione dei suoi, di mantenere un'«alta tensione» contro il centrodestra e di privilegiare il suo rapporto con l'estrema sinistra. Ma ora, conclude Panebianco, «l'epoca delle sberle quotidiane all'opposizione è finita». Magari. D'accordo. Ma dubito che questo nuovo corso sia congeniale alla natura di Prodi. Prodi è uomo di bunker. La sua strategia del muro contro muro, del polo puro e duro, non è di questa legislatura; è una costante sin dal primo governo Prodi, che si autoaffondò nel 1998 pur di non macchiare la sua purezza «aprendosi» a Cossiga. La valutazione realistica della situazione è, dunque, che a Prodi mancano, sin dal primo giorno, i numeri per «fare bunker». Se ha tirato avanti per nove mesi è in forza della cecità della volontà (che è una sua vera forza). Ma la volontà ha ora sbattuto il naso nella realtà. Perché senza il sostegno di numeri non si può trasformare un passino, o un colabrodo, in un muro. Resta da vedere se Prodi saprà essere l'uomo per una diversa stagione.

26 febbraio 2007

 


 

Da La Repubblica 26-2-2007 Andreotti voterà la fiducia ."Bene il dietrofront sui Dico" di Carmelo Lopapa

Intervista al senatore a vita: il nuovo programma mi convince
non c'è alternativa, opportuno che ci sia continuità di governo

ROMA - Confessa di essere orientato a votare la fiducia al governo Prodi. Sarà pure una sorpresa, ma per lui, per il sette volte presidente del Consiglio che con la sua astensione mercoledì ha fatto scivolare verso la crisi il governo Prodi, non lo è affatto, assicura ora. La linea telefonica va e viene, dall'auto con la quale si sta allontanando da Montecarlo. Si è intrattenuto nel Principato per l'intero fine settimana. "Un convegno internazionale di politica estera programmato da tempo", non una vacanza, sia chiaro. Comunque un'ottima occasione per tenersi lontano dallo stress romano al quale in queste ore sono inevitabilmente sottoposti i (quasi) determinanti senatori a vita.
Presidente Andreotti, Prodi torna alle Camere. Voterà la fiducia? Cosa ha deciso dopo questi giorni di riflessione?
"Per la verità, a Montecarlo siamo stati impegnati in questo convegno sull'Iran e sulla politica internazionale. Momento propizio per prendere atto che la situazione, proprio sotto il profilo internazionale, è assai preoccupante".
E dunque, presidente?
"E dunque occorre stabilità di governo in momenti come questi".
Vuol dire che voterà la fiducia?
"Sono stato lontano ma ho seguito l'andamento dei fatti. Ho letto soprattutto il nuovo programma al quale ha lavorato la maggioranza".
E qual è il suo giudizio?
"Positivo. Ho notato con piacere che certi punti non fanno più parte degli obiettivi dell'esecutivo".
Si riferisce ai Dico, al riconoscimento delle unioni civili che lei non aveva fatto mistero di non condividere affatto?
"Sì, ho visto che i matrimoni omosessuali, diciamo così, saranno accantonati. E questo è condivisibile. Dunque penso che non dovrebbero esserci difficoltà per il governo ad andare avanti".
Presidente Andreotti, intende dire che potrebbe andare avanti anche con il suo voto o no?
"Penso che non dovrebbero esserci difficoltà per il raggiungimento del quorum necessario ad ottenere la fiducia. Mi ha convinto molto quel che ha detto il presidente Napolitano".
A cosa si riferisce?
"Anche io penso, come ha giustamente sottolineato il Quirinale, che non ci siano alternative a questo esecutivo. Che la situazione è tale che risulta difficile trovare una soluzione diversa, almeno per adesso".
Insomma, obtorto collo, anche lei potrebbe decidere di sostenere l'esecutivo.
"È opportuno che ci sia una continuità di governo, questo è certo. La fase internazionale, ripeto, è assai delicata. E in situazioni come queste, lo dico anche per esperienza personale, sono necessari dei governi in carica che siano nel pieno dei loro poteri. E poi, ribadisco anche qui, sono soddisfatto dell'accantonamento di quei matrimoni....".
Avrà saputo anche lei a Montecarlo dell'interpretazione maliziosa circolata con insistenza a Roma a proposito della sua astensione di mercoledì.
"No, quale?".
Nella sinistra radicale, ma non solo, il suo mancato voto in favore della politica estera del governo al Senato è stato ricondotto proprio al dissenso sui Dico. "Il Diario" ci ha costruito anche la copertina, la sua foto e sullo sfondo la sagoma di Benedetto XVI: insomma, l'astensione in aula come riflesso delle perplessità - chiamiamole così - vaticane.
"No, guardi. Sono abbastanza maggiorenne per poter fare delle valutazioni personali e decidere in autonomia come orientare il mio voto. Certo, c'è stata una coincidenza obiettiva tra la mia posizione e quella delle gerarchie ecclesiastiche in merito a quel provvedimento così contestato. Una coincidenza dettata dalla non condivisione degli obiettivi fatti propri dal governo col ddl sui Dico. Detto questo, ecco, non c'era bisogno che me lo ricordasse il Sant'Uffizio come dovevo comportarmi".

(26 febbraio 2007)


 

Da La Stampa 26-2-2007 26/2/2007 (8:22) - NUCLEARE, LA SFIDA IRANIANA. Ahmadinejad: "Siamo un treno senza freni" Maurizio Molinari

 

Ma la Rice replica: "Schiacciate il bottone dello stop"

NEW YORK
«Il programma nucleare è una locomotiva senza freni, impossibile da fermare». E’ questo il monito al quale il presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad, si affida per fare sapere alla comunità internazionale che nessuna risoluzione o decisione dell’Onu potrà impedire a Teheran di arrivare all’energia nucleare.
La scelta di tempo dell’uscita di Ahmadinejad non è casuale perché proprio oggi a Londra si riuniscono gli alti diplomatici delle Sei potenze - Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania - che a fine dicembre fecero approvare al Consiglio di Sicurezza la risoluzione 1737 sulle sanzioni, ed ora si avviano ad esaminare un testo che propone misure più rigide. «Il treno è senza freni - ha detto Ahmadinejad ad un gruppo di esponenti del clero iraniano - perché abbiamo smantellato i freni e lo abbiamo lanciato in avanti qualche tempo fa». Come dire: il programma nucleare ha superato il punto di non ritorno. La risposta di Washington non si è fatta attendere ed il Segretario di Stato, Condoleezza Rice, ha affidato alla tv Fox una contro-battuta: «Se il treno è in corsa, allora è arrivato il momento di spingere il bottone dello stop».
Ma di fronte al duello verbale con l’amministrazione Bush gli ayatollah non si tirano indietro: se 48 ore prima il vicepresidente Dick Cheney aveva ammonito che «nessuna opzione è esclusa», a rispondergli è il viceministro degli Esteri iraniano, Manuchehr Mohammadi, secondo cui «siamo pronti anche alla guerra». Ad avvalorare lo scenario dell’incombente conflitto è l’articolo del «New Yorker» firmato da Seymour Hersh - in genere ben informato sulle questioni di intelligence - secondo cui il Pentagono sta pianificando un «attacco da lanciare in meno di 24 ore», oltre ad aver inviato in territorio iraniano unità di intelligence «molto aggressive», al di là del confine iracheno.
A questo bisogna aggiungere l’avvenuto lancio del primo «razzo spaziale» iraniano. Il capo del programma spaziale, Mohsen Bahrami, ha spiegato alla tv locale che il test è stato «coronato da successo» rendendo possibile la prossima messa in orbita di satelliti per telecomunicazioni. In realtà il test ha un valore militare in quanto testimonia che lo sviluppo della tecnologia missilistica iraniana è a tal punto avanzato da rendere possibile la costruzione di un vettore intercontinentale - forse simile a quello lanciato senza successo dai nordcoreani questa estate - capace potenzialmente di minacciare il territorio degli Stati Uniti.
L’ipotesi di un confronto militare fra Usa ed Iran è avvalorata da altri segnali: dall’addestramento da parte della Us Navy di delfini e leoni marini da impiegare a protezione delle unità militari da attacchi terroristici fino all’inizio dell’arrivo dei primi missili Patriot americani in Qatar, Bahrein ed Emirati Arabi per proteggerli dal rischio di lanci balistici da parte di Teheran.
Non tutti a Washington sarebbero però d’accordo con l’escalation - nella quale rientra anche lo spostamento dal Pacifico all’Oceano Indiano della portaerei Reagan - ed almeno cinque alti ufficiali del Pentagono avrebbero minacciato di dimettersi in caso di guerra. A rivelarlo è stato il britannico «Sunday Times» spiegando che si tratta di «generali ed ammiragli», secondo i quali vi sarebbero molti dubbi fra i comandi militari sull’«efficacia ed anche sull’opportunità» di un’azione militare contro gli impianti nucleari iraniani. «Per molti di loro si tratta di una questione di coscienza», scrive il quotidiano londinese.

 

 


INDICE 25-2-2007

 

++ Da Il Riformista 24-2-2007 . Vescovo ratzingeriano: asili nido? Non potestis  1

+ Dal Corriere della sera 25-2-2007  Per i servizi segreti spagnoli nel mirino ci sono «le aree di minore resistenza a partire da Herat» Ennio Caretto  1

Corriere delle Alpi del 25/02/2007  Teheran verso l'atomica Cheney non esclude l'attacco  1

Giornale di Brescia del 25/02/2007 Israele medita blitz aereo sull'Iran  2

Da La Repubblica 24-2-2007 Elezioni, arriva il voto su internet. La rivoluzione parte dall'Estonia.  Di Daniele Semeraro  2

Da La Stampa 24-2-2007 Nei deserti di Gibuti i tumuli del mistero JEAN-PIERRE TUQUOI 2

Dal Corriere della Sera 24-2-2007 Cina, boom della religione contro il dio Denaro  2

 


++ Da Il Riformista 24-2-2007 . Vescovo ratzingeriano: asili nido? Non potestis


I piani del governo per costruire più asili-nido sono «micidiali per i bambini e per le famiglie»; le donne vengono trasformate in «macchine da riproduzione» e la politica del ministro della Famiglia non ha nulla a che vedere con il bene dei bambini, ma è «volta innanzitutto a reclutare giovani donne come forza lavoro di riserva per l’industria». Toni simili, da parte di un vescovo cattolico, in Germania non si erano mai sentiti e un attacco tanto pesante al governo non si era mai visto. La chiesa bavarese, notoriamente assi vicina a papa Ratzinger, sembra intenzionata ad adottare i metodi di un nuovo, micidiale Kulturkampf contro lo stato laico.
Si capisce, perciò, lo stupore (e la preoccupazione) con cui sono state accolte le dichiarazioni esplosive del vescovo di Augusta Walter Mixa, uno dei massimi esponenti delle gerarchie ecclesiastiche del meridione tedesco. Tanto più che questa furia era indirizzata contro la pia Ursula von der Leyen, la ministra più “cristiana” del gabinetto guidato dalla cristiano-democratica Angela Merkel. La ministra che, sia detto per inciso, meno può essere accusata di volere il male dei bambini, visto che ne ha messi al mondo ben sette.
L’attacco del vescovo Mixa ha seguito a ruota una sequela di polemiche che si erano già abbattute sul programma messo a punto dal ministero della Leyen, che era stata accusata dalla destra più conservatrice di insistere troppo nell’intenzione di sottrarre le madri al loro “dovere” di educare i figli in casa. Una polemica decisamente reazionaria, la quale riecheggia però certi scrupoli che sono presenti nello spirito pubblico tedesco a causa del ricordo del nazismo, i cui piani educativi prevedevano proprio la sottrazione dei minori alle famiglie e il loro affidamento a strutture educative statuali. La povera von der Leyen, tuttavia, con la sostanza di questi scrupoli non ha nulla a che vedere. Il suo piano per la realizzazione degli asili-nido (attualmente del tutto insufficienti in molti Länder tedeschi dell’ovest, proprio per il motivo accennato sopra) è teso semplicemente a rendere più facile la vita alle tante donne che lavorano e non sanno a chi affidare i figli. E tutto si aspettava meno che di diventare il bersaglio di un furibondo tiro a segno che la considera strumento del demonio.
Tanto è apparsa dura e immotivata la sortita del vescovo Mixa che lo stesso capo del gruppo parlamentare della cattolicissima Csu nella dieta bavarese, Joachim Hermann, ha sentito il bisogno di prenderne polemicamente le distanze, richiamando oltretutto alla coerenza coloro i quali, a parole, si dicono favorevoli a politiche che aiutino la famiglia. Con un po’ di malizia, Hermann ha ricordato anche al vescovo Mixa che fra le donne che lavorano e che, per farlo, hanno la necessità di affidare i figli alle strutture pubbliche, ce ne sono moltissime le quali, specie in Baviera, sono al servizio proprio della chiesa e delle organizzazioni cristiane come la Caritas. Assai più duri i giudizi degli esponenti della Spd: il capo dei deputati socialdemocratici bavaresi Florian Pronold ha accusato Mixa di usare toni da «caccia mediatica alle streghe», mentre la responsabile federale per le questioni ecclesiali Kerstin Griese ha invitato la chiesa bavarese a non seguire le rudezze del vescovo di Augusta.
Al di là delle polemiche sollevate dall’incredibile presa di posizione di Mixa, si coglie comunque una preoccupazione più generale della chiesa cattolica tedesca (e un po’ anche di quella evangelica). I rapporti con Roma in materia di politiche della famiglia e di morale sessuale non sono mai stati facili, specialmente per quanto riguarda le comunità ecclesiali di base e quelle, anche ufficiali, della Renania. L’insofferenza dei cattolici più aperti per le chiusure che arrivavano dal Vaticano (per esempio sulla somministrazione dei sacramenti ai divorziati) hanno indotto tensioni e divisioni anche all’interno della Germania, con i bavaresi tradizionalmente più “fedeli” alle direttive romane. Una accentuazione delle intolleranze, come quella segnalata dalla sortita del vescovo di Augusta, potrebbero aprire un conflitto davvero esplosivo.

 


 

+ Dal Corriere della sera 25-2-2007  Per i servizi segreti spagnoli nel mirino ci sono «le aree di minore resistenza a partire da Herat» Ennio Caretto

I talebani pronti ad attaccare la zona presidiata dagli italiani

Afghanistan, un rapporto lancia l’allarme: il 2007 l’anno della rottura

 

WASHINGTON — La situazione in Afghanistan si sta deteriorando a un punto tale che «se nelle prossime settimane non si verificheranno cambiamenti drammatici il 2007 diverrà l’anno della rottura». C’è il pericolo che dal sud i combattimenti si estendano ad altre parti del Paese, innanzitutto a ovest, «la zona rischio A», dove si trovano le truppe italiane. Lo afferma un rapporto del Csis o Centro di studi strategici e internazionali, il serbatoio bipartisan di cervelli di Washington, ammonendo che le forze americane e della Nato debbono operare per prevenire l’azione dei talebani, che hanno predisposto una massiccia offensiva a primavera. Secondo un rapporto dei servizi segreti spagnoli pubblicato ieri da El País, «i talebani cercheranno di sfondare nelle aree di minore resistenza» a cominciare dalla più vicina, quella di Herat, dove oltre all’Italia opera anche la Spagna.

I rapporti del Csis e dei servizi spagnoli fanno capire perché il presidente Bush stia aumentando da 23.500 a 27.000 il numero degli effettivi americani, perché il premier britannico Blair abbia deciso di inviare nel sud dell’Afghanistan, ad aprile o a maggio, altri 1.500 soldati in aggiunta ai 5.500 già dispiegati, e perché la Nato e gli Usa preparino una pre-offensiva contro i talebani a primavera con bombardamenti a tappeto. Deponendo al Congresso all’inizio del mese, il generale Karl Eikenberry aveva già dato l’allarme: «Potrebbe esser prossimo il momento in cui il governo afghano diverrà irrilevante per il popolo e non si potrà creare uno Stato democratico». Da Londra il ministro della Difesa Des Browne respinge le accuse a Blair di aver taciuto l’invio di nuovi soldati: «Premiamo sugli alleati perché mandino rinforzi, manon possiamo aspettarli, è troppo urgente».

L’Istituto di studi strategici e internazionali contesta tuttavia la linea di Bush e Blair. Sul piano militare, sostiene, «servono non le grosse operazioni di terra e aria che fanno più male che bene, e danneggiano soprattutto i civili, ma interventi mirati di 15 minuti delle forze di rapida reazione con elicotteri e blindati». Washington deve rendersi conto che i nemici non sono solo gli insorti ma anche i signori della guerra e i trafficanti di oppio, «che fanno sempre più reclute e riempiono il vuoto di potere». Sul piano politico, prosegue il rapporto del Csis, basato su 1.000 interviste e centinaia di dossier realizzati a Kabul e in provincia, occorrono riforme, mantenere la rotta come predica Bush è un grave errore «perché i talebani stanno riconquistando le menti e i cuori degli afghani». Il problema di fondo è «la perdita di fiducia della popolazione negli Usa, negli alleati e nel governo Karzai dal 2005 a oggi ». Crescono il disagio, la paura e il risentimento, l’esercito e la polizia afghani vengono indeboliti progressivamente dalla corruzione e le diserzioni: «Il primo annovera quasi 30 mila uomini, la seconda oltre 49 mila, ma si può contare a malapena sulla metà».

Il Pentagono ha obiettato al rapporto, intitolato Il punto di rottura: misurare i progressi in Afghanistan, ribattendo che lo scopo dei rinforzi americani e britannici è proprio quello di conferire «più tempestività e agilità» alle azioni militari. E la Casa Bianca ha ricordato che il presidente Bush è consapevole che «dove finiscono le strade incominciano i talebani» e ha stanziato 12 miliardi di dollari per la ricostruzione del Paese.Mail Congresso, che a differenza di quella dell’Iraq appoggia la guerra dell’Afghanistan, pensa che questi provvedimenti non bastino, e denuncia Paesi come l’Italia, la Spagna, la Germania e la Francia che rifiutano di battersi sul campo. Se la prevista offensiva dei talebani fosse anticipata o contenuta, però, i democratici chiederebbero un riesame della strategia di Bush che in sei anni, protestano, non ha condotto alla cattura del leader di Al Qaeda Bin Laden né del leader talebano il mullah Omar, e opterebbero forse per una soluzione politica della crisi nell’ambito dell’Onu.

Una soluzione politica è stata proposta ieri da Ovais Ahmad Ghani, il governatore del Belucistan, la provincia del Pakistan dove gli americani sospettano che si nasconda il mullah Omar. In un’intervista all’agenzia Reuters, Ghani ha suggerito «un cessate il fuoco e una presa di contatto per negoziati di pace». «Voi rischiate — ha detto — che la guerra mossavi dai talebani diventi una guerra di popolo. Non li potrete eliminare tutti».

25 febbraio 2007

 

 

 


Corriere delle Alpi del 25/02/2007  Teheran verso l'atomica Cheney non esclude l'attacco

 
"Tutte le opzioni sul tavolo". Allarme in Israele Teheran verso l'atomica Cheney non esclude l'attacco SYDNEY. Le pressioni Usa per contenere le ambizioni nucleare di Teheran si fanno ogni giorni più forti e il vice-presidente Dick Cheney si è rifiutato di escludere il ricorso alla forza per tenere le mani degli ayatollah lontane dalla bomba. L'amministrazione Bush ha lanciato un'offensiva diplomatica su più fronti per isolare Teheran. Il sottosegretario di Stato Nicholas Burns incontra a Londra i vertici delle diplomazie europee, mentre Condoleezza Rice ha espresso l'auspicio che Mosca sostenga al Palazzo di vetro una seconda risoluzione del Consiglio di sicurezza sul programma nucleare iraniano, come richiesto anche da Francia e Gran Bretagna. "Sarebbe un grave errore permettere a una nazione come, l'Iran di diventare una potenza nucleare" ha detto Cheney durante una conferenza stampa con il premier australiano John Howard. "Tutte le opzioni" ha sibillinamnete aggiunto, "sono ancora sul tavolo". Le parole del numero due della Casa Bianca vengono all'indomani della presentazione di un rapporto con cui l'Aiea ha denunciato l'impulso dato da Teheran al programma di arricchimento del'uranio nonostante l'ultimatum imposto dal'Onu. "Abbiamo lavorato con gli europei e con le Nazioni Unite per mettere in piedi politiche in grado di convincere gli iraniani ad abbandonare le loro aspitrazioni" ha aggiunto Cheney. Secondo il londinese Telegraph, Israele sarebbe in trattativa con la coalizione Usa in Iraq per ottenere un corridoio aereo che permetta ai suoi bombardieri di arrivare a colpire le installazioni nucleari iraniane. Israele ha smentito seccamente.

"Tutte le opzioni sul tavolo". Allarme in Israele Teheran verso l'atomica Cheney non esclude l'attacco SYDNEY.

Le pressioni Usa per contenere le ambizioni nucleare di Teheran si fanno ogni giorni più forti e il vice-presidente Dick Cheney si è rifiutato di escludere il ricorso alla forza per tenere le mani degli ayatollah lontane dalla bomba. L'amministrazione Bush ha lanciato un'offensiva diplomatica su più fronti per isolare Teheran. Il sottosegretario di Stato Nicholas Burns incontra a Londra i vertici delle diplomazie europee, mentre Condoleezza Rice ha espresso l'auspicio che Mosca sostenga al Palazzo di vetro una seconda risoluzione del Consiglio di sicurezza sul programma nucleare iraniano, come richiesto anche da Francia e Gran Bretagna. "Sarebbe un grave errore permettere a una nazione come, l'Iran di diventare una potenza nucleare" ha detto Cheney durante una conferenza stampa con il premier australiano John Howard. "Tutte le opzioni" ha sibillinamnete aggiunto, "sono ancora sul tavolo". Le parole del numero due della Casa Bianca vengono all'indomani della presentazione di un rapporto con cui l'Aiea ha denunciato l'impulso dato da Teheran al programma di arricchimento del'uranio nonostante l'ultimatum imposto dal'Onu. "Abbiamo lavorato con gli europei e con le Nazioni Unite per mettere in piedi politiche in grado di convincere gli iraniani ad abbandonare le loro aspitrazioni" ha aggiunto Cheney. Secondo il londinese Telegraph, Israele sarebbe in trattativa con la coalizione Usa in Iraq per ottenere un corridoio aereo che permetta ai suoi bombardieri di arrivare a colpire le installazioni nucleari iraniane. Israele ha smentito seccamente.


Giornale di Brescia del 25/02/2007 Israele medita blitz aereo sull'Iran

 

Edizione: 25/02/2007 testata: Giornale di Brescia sezione:INTERNO ED ESTERO LO AFFERMA IL DAILY TELEGRAPH DI LONDRA "Israele medita blitz aereo sull'Iran" LONDRA - In attesa di sanzioni più severe contro l'Iran, ufficialmente tutte le parti coinvolte nella crisi nucleare dicono di propendere per una soluzione diplomatica, ma i media britannici insistono sulla possibilità non remota di un intervento militare, un'opzione del resto mai scartata dagli Stati Uniti. Ierei è stata la volta del "Daily Telegraph" a riferire di preparativi per un attacco contro la Repubblica islamica. Il quotidiano conservatore, citando un alto responsabile della difesa israeliana, afferma che negoziati sono in corso perché gli Usa concedano una sorta di "corridoio aereo" in Iraq se lo Stato ebraico dovesse decidere "attacchi aerei chirurgici" e unilaterali contro i siti nucleari iraniani. "Ci stiamo preparando ad ogni eventualità", ha dichiarato l'anonima fonte israeliana dopo che, scaduto l'ultimatum per la sospensione delle attività di arricchimento dell'uranio, il Consiglio di sicurezza dell'Onu si appresta ad inasprire le sanzioni contro l'Iran. Un'altra fonte militare israeliana ha dichiarato al "Telegraph" che "il solo modo di colpire l'Iran è sorvolare lo spazio aereo iracheno controllato dagli Usa". Intervistato dalla radio israeliana, il viceministro della Difesa Efraim Sneh si è affrettato a smentire, denunciando un espediente "di coloro che non vogliono agire politicamente, diplomaticamente ed economicamente contro l'Iran". Ma, a rafforzare l'ipotesi di piani di attacco contro l'Iran sono le affermazioni di un funzionario israeliano che collabora al comitato strategico sulla minaccia nucleare iraniana voluto e presieduto dal premier Ehud Olmert. La fonte, citata dallo stesso quotidiano, ha detto che "lo sforzo profuso su questa questione è senza precedenti nella storia di Israele". Di attacchi preventivi contro installazioni atomiche c'è già il precedente del 1981, quando l'aviazione israeliana bombardò il reattore nucleare iracheno di Osirak, dove si sospettava che Saddam sviluppasse armi atomiche. Nei giorni scorsi la Bbc aveva dato conto anche di piani per un intervento armato, statunitense, contro l'Iran.

LO AFFERMA IL DAILY TELEGRAPH DI LONDRA "Israele medita blitz aereo sull'Iran"

LONDRA - In attesa di sanzioni più severe contro l'Iran, ufficialmente tutte le parti coinvolte nella crisi nucleare dicono di propendere per una soluzione diplomatica, ma i media britannici insistono sulla possibilità non remota di un intervento militare, un'opzione del resto mai scartata dagli Stati Uniti. Ierei è stata la volta del "Daily Telegraph" a riferire di preparativi per un attacco contro la Repubblica islamica. Il quotidiano conservatore, citando un alto responsabile della difesa israeliana, afferma che negoziati sono in corso perché gli Usa concedano una sorta di "corridoio aereo" in Iraq se lo Stato ebraico dovesse decidere "attacchi aerei chirurgici" e unilaterali contro i siti nucleari iraniani. "Ci stiamo preparando ad ogni eventualità", ha dichiarato l'anonima fonte israeliana dopo che, scaduto l'ultimatum per la sospensione delle attività di arricchimento dell'uranio, il Consiglio di sicurezza dell'Onu si appresta ad inasprire le sanzioni contro l'Iran. Un'altra fonte militare israeliana ha dichiarato al "Telegraph" che "il solo modo di colpire l'Iran è sorvolare lo spazio aereo iracheno controllato dagli Usa". Intervistato dalla radio israeliana, il viceministro della Difesa Efraim Sneh si è affrettato a smentire, denunciando un espediente "di coloro che non vogliono agire politicamente, diplomaticamente ed economicamente contro l'Iran". Ma, a rafforzare l'ipotesi di piani di attacco contro l'Iran sono le affermazioni di un funzionario israeliano che collabora al comitato strategico sulla minaccia nucleare iraniana voluto e presieduto dal premier Ehud Olmert. La fonte, citata dallo stesso quotidiano, ha detto che "lo sforzo profuso su questa questione è senza precedenti nella storia di Israele". Di attacchi preventivi contro installazioni atomiche c'è già il precedente del 1981, quando l'aviazione israeliana bombardò il reattore nucleare iracheno di Osirak, dove si sospettava che Saddam sviluppasse armi atomiche. Nei giorni scorsi la Bbc aveva dato conto anche di piani per un intervento armato, statunitense, contro l'Iran.


 

Da La Repubblica 24-2-2007 Elezioni, arriva il voto su internet. La rivoluzione parte dall'Estonia.  Di Daniele Semeraro

Urne virtuali aperte dal 26 al 28 febbraio. Attesi tra i 20mila e i 40mila voti
La scorsa settimana indette votazioni "finte" per testare la sicurezza del sistema

ROMA - L'Estonia, uno dei più piccoli paesi d'Europa, con un milione e 400mila abitanti, sarà la prima nazione al mondo dove gli elettori potranno votare comodamente tramite internet anziché recarsi di persona al seggio. Le consultazioni per il rinnovo del Parlamento si terranno la prossima settimana e la decisione di consentire il voto via web è vista da molti come un segno tangibile del forte interesse del Paese nei confronti delle nuove tecnologie.
La procedura è apparentemente molto semplice e anche - assicurano dalla commissione elettorale - molto sicura. Ogni votante, munito di carta d'identità elettronica (con all'interno un microchip) deve inserire la carta in un apposito lettore collegato al computer. A questo punto, prima di procedere con la votazione, dovrà digitare la prima password; la seconda, invece, verrà inserita subito dopo aver votato, per la convalida della propria preferenza. Sul sito del governo è presente una guida molto approfondita (in russo e inglese) che spiega passo passo tutta la procedura. Da segnalare che il manuale, oltre a Windows, annovera anche i sistemi operativi Mac Os e Linux. Il kit completo per le votazioni (lettore di microchip e software) viene venduto da una catena specializzata in articoli elettronici.
Chi non ha un computer a casa ma vuole evitare le file dei seggi tradizionali può anche utilizzare delle postazioni pubbliche appositamente allestite all'interno di uffici e banche. Le "urne virtuali" saranno aperte dal 26 al 28 febbraio, a differenza di quelle tradizionali che saranno aperte il 4 marzo.
In Estonia il voto elettronico era stato già sperimentato, anche se in modo limitato, per le amministrative del 2005: lo utilizzarono con successo oltre 10mila persone. Prima di prendere la decisione finale sull'apertura del voto su internet, inoltre, la scorsa settimana il governo estone ha indetto delle "finte" elezioni in cui i votanti erano chiamati a scegliere, tra dieci animali candidati, chi fosse il re della foresta. "E' difficile calcolare quanti elettori utilizzeranno la nuova procedura, noi abbiamo previsto tra i 20mila e i 40mila votanti su un totale di 940mila", ha spiegato Arne Koitmae, funzionario della commissione elettorale. "Per adesso - continua - possiamo solamente dire che la scorsa settimana, durante le elezioni di prova, hanno votato 3.925 persone"
Le elezioni tramite internet sono un segno dell'estrema modernità verso la quale sta viaggiando un paese, l'Estonia, che dopo il crollo dell'Unione Sovietica ha iniziato una fase molto veloce di sviluppo tecnologico. Basti pensare che Skype, la società leader nel settore delle telefonate a basso costo tramite internet, ha in Estonia una delle sue sedi principali.
(24 febbraio 2007)

 


 

Da La Stampa 24-2-2007 Nei deserti di Gibuti i tumuli del mistero JEAN-PIERRE TUQUOI

24/2/2007 (8:52) - REPORTAGE

Sono gli "aowelo", cumuli di pietre elevate fra le sabbie

GIBUTI
Il sito ha la bellezza austera dei deserti di pietra. Niente dune, ma promontori sassosi cui si aggrappa una rada vegetazione. Niente acqua, ma il letto di uno uadi disseccato. Il cielo è limpido, il sole di piombo e il filo della vita esile. Nessun essere umano. A volte, uno struzzo o una coppia di gazzelle entrano nello scenario. Sulla sommità di un monticello colpisce un ammasso di pesanti pietre di basalto. Formano un cerchio perfetto di vari metri di diametro che si eleva gradualmente fino ad altezza d’uomo. È un aowelo, parola che, presso gli Afar che popolano questa regione dimenticata a due ore di pista da Gibuti, significa «mucchio di pietre fatto dagli Antichi».
Gli aowelo pullulano in quest’area vicina all’Etiopia e all’Eritrea. Se ne trovano centinaia, forse migliaia, di diverse dimensioni, tutti circolari e tutti costruiti con le stesse pietre vulcaniche scure. «Nessuno conosce con esattezza il loro numero», afferma Benoît Poisblaud, archeologo francese specializzato in questa zona dell’Africa e che da quasi dieci anni cerca di penetrarne i misteri. La ricerca si prospetta lunga. I mezzi dell’archeologo e dalla sua piccola équipe sono limitati. Il Quai d’Orsay e l’ambasciata francese concedono delle sovvenzioni, ma le autorità, come del resto la popolazione, si disinteressano di questo pezzo di storia. «Nel Paese non c’è nemmeno un archeologo. Inoltre Gibuti è uno dei pochissimi Paesi a non aver firmato convenzioni con l’Unesco. Gli aowelo non possono quindi essere dichiarati “patrimonio dell’umanità” ed essere tutelati», osserva Poisblaud. Risultato: i tumuli sono minacciati. Fungono da cava per gli Afar che vogliono costruirsi una casa o un riparo per le bestie. «C’erano altrettanti aowelo di cui si sono perse le tracce», si rammarica l’archeologo. Fino a oggi l’équipe non ha scavato nemmeno una mezza dozzina di tumuli. Con esiti diversi. Alcuni non contenevano nulla sotto la loro volta di pietre basaltiche. «Forse erano solo alture per l’osservazione», azzarda il «boss» dell’archeologia francese nel Corno d’Africa, Roger Joussaume, venuto a dar manforte al suo ex allievo. In altri, il raccolto è stato più ricco. Tra i ritrovamenti, alcuni utensili, frammenti di macine di pietra, qualche oggetto di bronzo, resti di animali e ossa umane in posizione fetale, di difficile datazione: «Le ossa si conservano male in un clima caldo e secco. Tendono a sbriciolarsi», spiega il terzo componente dell’équipe, l’antropologo Jean-Paul Cros.
A quando risale la costruzione? «I più antichi a circa mille anni prima di Cristo - ipotizza Poisblaud -. Ma molto alla larga. Bisogna essere prudenti». La civiltà all’origine dei tumuli è semisconosciuta. La fauna selvatica, oggi scomparsa, raffigurata in modo realistico su chilometri di rocce nel mezzo del nulla - elefanti, giraffe, ippopotami, antilopi, rinoceronti - conferma che una volta il clima era più umido e il suolo più fertile, con pascoli e foreste. Altre scene mostrano guerrieri che si affrontano armati con archi di tipo diverso. Ma quel che sorprende di più è un altro aspetto. «Gli aowelo rimandano a una civiltà molto più antica, forse di tremila anni prima di Cristo. Una civiltà sarebbe succeduta all’altra», si sbilancia Poisblaud. Stabilire un legame tra le due ha rappresentato una sorta di indagine poliziesca che ha mobilitato per molto tempo l’équipe francese. L’indagine si è basata sulle scoperte di Teilhard de Chardin, che negli anni Trenta, aveva trovato dei picconi di basalto lunghi una ventina di centimetri nella regione tra il Ghoubbet e il lago Assal. Si è pensato che i picconi, per la loro punta usurata, servissero a tagliare la stupefacente banchisa di sale presente nelle vicinanze e ancor oggi sfruttata dalle carovane di dromedari provenienti dalla vicina Etiopia. Ulteriori ricerche hanno poi consentito di portare alla luce cocci di ceramiche finemente decorate, «a conchiglia», come dicono gli specialisti. I picconi di basalto e le ceramiche appartengono alla stessa cultura. Dove vivevano coloro che li utilizzavano? Mistero. Non è stata infatti scoperta nessuna traccia di abitazione. «Quando sono arrivato qui nel 2001 - spiega Poisblaud - ho cercato le residenze di quelle popolazioni partendo dall’ipotesi che avessero frequentato i posti dove migliaia di anni dopo sarebbero stati costruiti gli aowelo». L’intuizione era giusta.
A qualche decina di chilometri dal «vicolo cieco dell’inferno» (il nome del Ghoubbet in lingua afar), il giovane archeologo non tarda a scoprire, sulla cima di un poggio, un aowelo attorno al quale giacciono molti cocci di ceramica finemente decorata. Gli stessi trovati nel Ghoubbet! «Qui vivevano delle persone che andavano a pescare o a estrarre sale in riva al golfo». Restava da trovare una prova inconfutabile di abitazione umana. La buona stella si profila all’orizzonte un giorno d’autunno del 2004. Mentre sorseggia un caffè 200 metri più in basso del tumulo, l’occhio di Poisblaud è attirato da un minuscolo coccio di ceramica decorato a conchiglia. Sempre lo stesso motivo! Salvo che lì vicino una decina di pietre a livello del suolo formano un arco che non ha nulla di naturale. Si tratta di una tomba. Sotto la pietraia, tre voluminose pietre piatte proteggono una specie di pozzo profondo 80 centimetri, all’interno del quale l’archeologo scoprirà i resti di due corpi umani. La dentatura permette di concludere che si tratta di bambini. A qualche metro di distanza viene portata alla luce una seconda tomba, contenente anch’essa le spoglie di due adolescenti. Nelle vicinanze si trovano anche frammenti di ossidiana, una pietra lavica che tradizionalmente accompagna le spoglie mortali e i resti di un focolare.
Per Benoît Poisblaud il dubbio non è più permesso. L’abbondanza di cocci dello stesso tipo, la presenza di tombe erette con lo stesso schema provano che una civiltà ha prosperato a partire dal III millennio a. C. in questa regione inospitale. Con la benedizione del suo padrino, Roger Joussaume, ha scelto di chiamarla «civiltà asgoumhatiana», dal nome del sito di Asgoumhati, dove sono state scoperte le prime due tombe. Ma da dove veniva, questo popolo di pastori?
copyright Le Monde traduzione del Gruppo Logos


 

Dal Corriere della Sera 24-2-2007 Cina, boom della religione contro il dio Denaro

 

Si afferma la ricerca di una nuova identità individuale e collettiva

L'agnosticismo maoista espressione del dominio della politica assolutista e totalizzante, se non proprio superato, è in declino

 

PECHINO – Nelle feste del Capodanno cinese appena terminato, le moschee, i templi e le chiese si sono riempiti di fedeli. L’ultimo segnale di un risveglio religioso che sta coinvolgendo tutte le fedi e tutti i riti. L’ateismo dà qualche segno di cedimento dinanzi al bisogno di una riflessione spirituale che prima il maoismo poi la crescita economica disordinata e diseguale hanno soffocato o impedito. Il desiderio di un modello di vita più meditato e più equilibrato si è diffuso nelle campagne e da qualche tempo anche nelle città ricche della Cina. I luoghi di culto uniscono uomini e donne, soprattutto giovani, che sono protagonisti di un fenomeno interessante. L’agnosticismo maoista espressione del dominio della politica assolutista e totalizzante, se non superato, è in declino; con la religione si afferma la ricerca di una nuova identità individuale e collettiva.


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Corriere delle Alpi del 25/02/2007  Teheran verso l'atomica Cheney non esclude l'attacco  1

Giornale di Brescia del 25/02/2007 Israele medita blitz aereo sull'Iran  2

Da La Repubblica 24-2-2007 Elezioni, arriva il voto su internet. La rivoluzione parte dall'Estonia.  Di Daniele Semeraro  2

Da La Stampa 24-2-2007 Nei deserti di Gibuti i tumuli del mistero JEAN-PIERRE TUQUOI 2

Dal Corriere della Sera 24-2-2007 Cina, boom della religione contro il dio Denaro  2

 


++ Da Il Riformista 24-2-2007 . Vescovo ratzingeriano: asili nido? Non potestis

I piani del governo per costruire più asili-nido sono «micidiali per i bambini e per le famiglie»; le donne vengono trasformate in «macchine da riproduzione» e la politica del ministro della Famiglia non ha nulla a che vedere con il bene dei bambini, ma è «volta innanzitutto a reclutare giovani donne come forza lavoro di riserva per l’industria». Toni simili, da parte di un vescovo cattolico, in Germania non si erano mai sentiti e un attacco tanto pesante al governo non si era mai visto. La chiesa bavarese, notoriamente assi vicina a papa Ratzinger, sembra intenzionata ad adottare i metodi di un nuovo, micidiale Kulturkampf contro lo stato laico.
Si capisce, perciò, lo stupore (e la preoccupazione) con cui sono state accolte le dichiarazioni esplosive del vescovo di Augusta Walter Mixa, uno dei massimi esponenti delle gerarchie ecclesiastiche del meridione tedesco. Tanto più che questa furia era indirizzata contro la pia Ursula von der Leyen, la ministra più “cristiana” del gabinetto guidato dalla cristiano-democratica Angela Merkel. La ministra che, sia detto per inciso, meno può essere accusata di volere il male dei bambini, visto che ne ha messi al mondo ben sette.
L’attacco del vescovo Mixa ha seguito a ruota una sequela di polemiche che si erano già abbattute sul programma messo a punto dal ministero della Leyen, che era stata accusata dalla destra più conservatrice di insistere troppo nell’intenzione di sottrarre le madri al loro “dovere” di educare i figli in casa. Una polemica decisamente reazionaria, la quale riecheggia però certi scrupoli che sono presenti nello spirito pubblico tedesco a causa del ricordo del nazismo, i cui piani educativi prevedevano proprio la sottrazione dei minori alle famiglie e il loro affidamento a strutture educative statuali. La povera von der Leyen, tuttavia, con la sostanza di questi scrupoli non ha nulla a che vedere. Il suo piano per la realizzazione degli asili-nido (attualmente del tutto insufficienti in molti Länder tedeschi dell’ovest, proprio per il motivo accennato sopra) è teso semplicemente a rendere più facile la vita alle tante donne che lavorano e non sanno a chi affidare i figli. E tutto si aspettava meno che di diventare il bersaglio di un furibondo tiro a segno che la considera strumento del demonio.
Tanto è apparsa dura e immotivata la sortita del vescovo Mixa che lo stesso capo del gruppo parlamentare della cattolicissima Csu nella dieta bavarese, Joachim Hermann, ha sentito il bisogno di prenderne polemicamente le distanze, richiamando oltretutto alla coerenza coloro i quali, a parole, si dicono favorevoli a politiche che aiutino la famiglia. Con un po’ di malizia, Hermann ha ricordato anche al vescovo Mixa che fra le donne che lavorano e che, per farlo, hanno la necessità di affidare i figli alle strutture pubbliche, ce ne sono moltissime le quali, specie in Baviera, sono al servizio proprio della chiesa e delle organizzazioni cristiane come la Caritas. Assai più duri i giudizi degli esponenti della Spd: il capo dei deputati socialdemocratici bavaresi Florian Pronold ha accusato Mixa di usare toni da «caccia mediatica alle streghe», mentre la responsabile federale per le questioni ecclesiali Kerstin Griese ha invitato la chiesa bavarese a non seguire le rudezze del vescovo di Augusta.
Al di là delle polemiche sollevate dall’incredibile presa di posizione di Mixa, si coglie comunque una preoccupazione più generale della chiesa cattolica tedesca (e un po’ anche di quella evangelica). I rapporti con Roma in materia di politiche della famiglia e di morale sessuale non sono mai stati facili, specialmente per quanto riguarda le comunità ecclesiali di base e quelle, anche ufficiali, della Renania. L’insofferenza dei cattolici più aperti per le chiusure che arrivavano dal Vaticano (per esempio sulla somministrazione dei sacramenti ai divorziati) hanno indotto tensioni e divisioni anche all’interno della Germania, con i bavaresi tradizionalmente più “fedeli” alle direttive romane. Una accentuazione delle intolleranze, come quella segnalata dalla sortita del vescovo di Augusta, potrebbero aprire un conflitto davvero esplosivo.

 


 

+ Dal Corriere della sera 25-2-2007  Per i servizi segreti spagnoli nel mirino ci sono «le aree di minore resistenza a partire da Herat» Ennio Caretto

I talebani pronti ad attaccare la zona presidiata dagli italiani

Afghanistan, un rapporto lancia l’allarme: il 2007 l’anno della rottura

 

WASHINGTON — La situazione in Afghanistan si sta deteriorando a un punto tale che «se nelle prossime settimane non si verificheranno cambiamenti drammatici il 2007 diverrà l’anno della rottura». C’è il pericolo che dal sud i combattimenti si estendano ad altre parti del Paese, innanzitutto a ovest, «la zona rischio A», dove si trovano le truppe italiane. Lo afferma un rapporto del Csis o Centro di studi strategici e internazionali, il serbatoio bipartisan di cervelli di Washington, ammonendo che le forze americane e della Nato debbono operare per prevenire l’azione dei talebani, che hanno predisposto una massiccia offensiva a primavera. Secondo un rapporto dei servizi segreti spagnoli pubblicato ieri da El País, «i talebani cercheranno di sfondare nelle aree di minore resistenza» a cominciare dalla più vicina, quella di Herat, dove oltre all’Italia opera anche la Spagna.

I rapporti del Csis e dei servizi spagnoli fanno capire perché il presidente Bush stia aumentando da 23.500 a 27.000 il numero degli effettivi americani, perché il premier britannico Blair abbia deciso di inviare nel sud dell’Afghanistan, ad aprile o a maggio, altri 1.500 soldati in aggiunta ai 5.500 già dispiegati, e perché la Nato e gli Usa preparino una pre-offensiva contro i talebani a primavera con bombardamenti a tappeto. Deponendo al Congresso all’inizio del mese, il generale Karl Eikenberry aveva già dato l’allarme: «Potrebbe esser prossimo il momento in cui il governo afghano diverrà irrilevante per il popolo e non si potrà creare uno Stato democratico». Da Londra il ministro della Difesa Des Browne respinge le accuse a Blair di aver taciuto l’invio di nuovi soldati: «Premiamo sugli alleati perché mandino rinforzi, manon possiamo aspettarli, è troppo urgente».

L’Istituto di studi strategici e internazionali contesta tuttavia la linea di Bush e Blair. Sul piano militare, sostiene, «servono non le grosse operazioni di terra e aria che fanno più male che bene, e danneggiano soprattutto i civili, ma interventi mirati di 15 minuti delle forze di rapida reazione con elicotteri e blindati». Washington deve rendersi conto che i nemici non sono solo gli insorti ma anche i signori della guerra e i trafficanti di oppio, «che fanno sempre più reclute e riempiono il vuoto di potere». Sul piano politico, prosegue il rapporto del Csis, basato su 1.000 interviste e centinaia di dossier realizzati a Kabul e in provincia, occorrono riforme, mantenere la rotta come predica Bush è un grave errore «perché i talebani stanno riconquistando le menti e i cuori degli afghani». Il problema di fondo è «la perdita di fiducia della popolazione negli Usa, negli alleati e nel governo Karzai dal 2005 a oggi ». Crescono il disagio, la paura e il risentimento, l’esercito e la polizia afghani vengono indeboliti progressivamente dalla corruzione e le diserzioni: «Il primo annovera quasi 30 mila uomini, la seconda oltre 49 mila, ma si può contare a malapena sulla metà».

Il Pentagono ha obiettato al rapporto, intitolato Il punto di rottura: misurare i progressi in Afghanistan, ribattendo che lo scopo dei rinforzi americani e britannici è proprio quello di conferire «più tempestività e agilità» alle azioni militari. E la Casa Bianca ha ricordato che il presidente Bush è consapevole che «dove finiscono le strade incominciano i talebani» e ha stanziato 12 miliardi di dollari per la ricostruzione del Paese.Mail Congresso, che a differenza di quella dell’Iraq appoggia la guerra dell’Afghanistan, pensa che questi provvedimenti non bastino, e denuncia Paesi come l’Italia, la Spagna, la Germania e la Francia che rifiutano di battersi sul campo. Se la prevista offensiva dei talebani fosse anticipata o contenuta, però, i democratici chiederebbero un riesame della strategia di Bush che in sei anni, protestano, non ha condotto alla cattura del leader di Al Qaeda Bin Laden né del leader talebano il mullah Omar, e opterebbero forse per una soluzione politica della crisi nell’ambito dell’Onu.

Una soluzione politica è stata proposta ieri da Ovais Ahmad Ghani, il governatore del Belucistan, la provincia del Pakistan dove gli americani sospettano che si nasconda il mullah Omar. In un’intervista all’agenzia Reuters, Ghani ha suggerito «un cessate il fuoco e una presa di contatto per negoziati di pace». «Voi rischiate — ha detto — che la guerra mossavi dai talebani diventi una guerra di popolo. Non li potrete eliminare tutti».

25 febbraio 2007

 

 

 


Corriere delle Alpi del 25/02/2007  Teheran verso l'atomica Cheney non esclude l'attacco

 
"Tutte le opzioni sul tavolo". Allarme in Israele Teheran verso l'atomica Cheney non esclude l'attacco SYDNEY. Le pressioni Usa per contenere le ambizioni nucleare di Teheran si fanno ogni giorni più forti e il vice-presidente Dick Cheney si è rifiutato di escludere il ricorso alla forza per tenere le mani degli ayatollah lontane dalla bomba. L'amministrazione Bush ha lanciato un'offensiva diplomatica su più fronti per isolare Teheran. Il sottosegretario di Stato Nicholas Burns incontra a Londra i vertici delle diplomazie europee, mentre Condoleezza Rice ha espresso l'auspicio che Mosca sostenga al Palazzo di vetro una seconda risoluzione del Consiglio di sicurezza sul programma nucleare iraniano, come richiesto anche da Francia e Gran Bretagna. "Sarebbe un grave errore permettere a una nazione come, l'Iran di diventare una potenza nucleare" ha detto Cheney durante una conferenza stampa con il premier australiano John Howard. "Tutte le opzioni" ha sibillinamnete aggiunto, "sono ancora sul tavolo". Le parole del numero due della Casa Bianca vengono all'indomani della presentazione di un rapporto con cui l'Aiea ha denunciato l'impulso dato da Teheran al programma di arricchimento del'uranio nonostante l'ultimatum imposto dal'Onu. "Abbiamo lavorato con gli europei e con le Nazioni Unite per mettere in piedi politiche in grado di convincere gli iraniani ad abbandonare le loro aspitrazioni" ha aggiunto Cheney. Secondo il londinese Telegraph, Israele sarebbe in trattativa con la coalizione Usa in Iraq per ottenere un corridoio aereo che permetta ai suoi bombardieri di arrivare a colpire le installazioni nucleari iraniane. Israele ha smentito seccamente.

"Tutte le opzioni sul tavolo". Allarme in Israele Teheran verso l'atomica Cheney non esclude l'attacco SYDNEY.

Le pressioni Usa per contenere le ambizioni nucleare di Teheran si fanno ogni giorni più forti e il vice-presidente Dick Cheney si è rifiutato di escludere il ricorso alla forza per tenere le mani degli ayatollah lontane dalla bomba. L'amministrazione Bush ha lanciato un'offensiva diplomatica su più fronti per isolare Teheran. Il sottosegretario di Stato Nicholas Burns incontra a Londra i vertici delle diplomazie europee, mentre Condoleezza Rice ha espresso l'auspicio che Mosca sostenga al Palazzo di vetro una seconda risoluzione del Consiglio di sicurezza sul programma nucleare iraniano, come richiesto anche da Francia e Gran Bretagna. "Sarebbe un grave errore permettere a una nazione come, l'Iran di diventare una potenza nucleare" ha detto Cheney durante una conferenza stampa con il premier australiano John Howard. "Tutte le opzioni" ha sibillinamnete aggiunto, "sono ancora sul tavolo". Le parole del numero due della Casa Bianca vengono all'indomani della presentazione di un rapporto con cui l'Aiea ha denunciato l'impulso dato da Teheran al programma di arricchimento del'uranio nonostante l'ultimatum imposto dal'Onu. "Abbiamo lavorato con gli europei e con le Nazioni Unite per mettere in piedi politiche in grado di convincere gli iraniani ad abbandonare le loro aspitrazioni" ha aggiunto Cheney. Secondo il londinese Telegraph, Israele sarebbe in trattativa con la coalizione Usa in Iraq per ottenere un corridoio aereo che permetta ai suoi bombardieri di arrivare a colpire le installazioni nucleari iraniane. Israele ha smentito seccamente.


Giornale di Brescia del 25/02/2007 Israele medita blitz aereo sull'Iran

 

Edizione: 25/02/2007 testata: Giornale di Brescia sezione:INTERNO ED ESTERO LO AFFERMA IL DAILY TELEGRAPH DI LONDRA "Israele medita blitz aereo sull'Iran" LONDRA - In attesa di sanzioni più severe contro l'Iran, ufficialmente tutte le parti coinvolte nella crisi nucleare dicono di propendere per una soluzione diplomatica, ma i media britannici insistono sulla possibilità non remota di un intervento militare, un'opzione del resto mai scartata dagli Stati Uniti. Ierei è stata la volta del "Daily Telegraph" a riferire di preparativi per un attacco contro la Repubblica islamica. Il quotidiano conservatore, citando un alto responsabile della difesa israeliana, afferma che negoziati sono in corso perché gli Usa concedano una sorta di "corridoio aereo" in Iraq se lo Stato ebraico dovesse decidere "attacchi aerei chirurgici" e unilaterali contro i siti nucleari iraniani. "Ci stiamo preparando ad ogni eventualità", ha dichiarato l'anonima fonte israeliana dopo che, scaduto l'ultimatum per la sospensione delle attività di arricchimento dell'uranio, il Consiglio di sicurezza dell'Onu si appresta ad inasprire le sanzioni contro l'Iran. Un'altra fonte militare israeliana ha dichiarato al "Telegraph" che "il solo modo di colpire l'Iran è sorvolare lo spazio aereo iracheno controllato dagli Usa". Intervistato dalla radio israeliana, il viceministro della Difesa Efraim Sneh si è affrettato a smentire, denunciando un espediente "di coloro che non vogliono agire politicamente, diplomaticamente ed economicamente contro l'Iran". Ma, a rafforzare l'ipotesi di piani di attacco contro l'Iran sono le affermazioni di un funzionario israeliano che collabora al comitato strategico sulla minaccia nucleare iraniana voluto e presieduto dal premier Ehud Olmert. La fonte, citata dallo stesso quotidiano, ha detto che "lo sforzo profuso su questa questione è senza precedenti nella storia di Israele". Di attacchi preventivi contro installazioni atomiche c'è già il precedente del 1981, quando l'aviazione israeliana bombardò il reattore nucleare iracheno di Osirak, dove si sospettava che Saddam sviluppasse armi atomiche. Nei giorni scorsi la Bbc aveva dato conto anche di piani per un intervento armato, statunitense, contro l'Iran.

LO AFFERMA IL DAILY TELEGRAPH DI LONDRA "Israele medita blitz aereo sull'Iran"

LONDRA - In attesa di sanzioni più severe contro l'Iran, ufficialmente tutte le parti coinvolte nella crisi nucleare dicono di propendere per una soluzione diplomatica, ma i media britannici insistono sulla possibilità non remota di un intervento militare, un'opzione del resto mai scartata dagli Stati Uniti. Ierei è stata la volta del "Daily Telegraph" a riferire di preparativi per un attacco contro la Repubblica islamica. Il quotidiano conservatore, citando un alto responsabile della difesa israeliana, afferma che negoziati sono in corso perché gli Usa concedano una sorta di "corridoio aereo" in Iraq se lo Stato ebraico dovesse decidere "attacchi aerei chirurgici" e unilaterali contro i siti nucleari iraniani. "Ci stiamo preparando ad ogni eventualità", ha dichiarato l'anonima fonte israeliana dopo che, scaduto l'ultimatum per la sospensione delle attività di arricchimento dell'uranio, il Consiglio di sicurezza dell'Onu si appresta ad inasprire le sanzioni contro l'Iran. Un'altra fonte militare israeliana ha dichiarato al "Telegraph" che "il solo modo di colpire l'Iran è sorvolare lo spazio aereo iracheno controllato dagli Usa". Intervistato dalla radio israeliana, il viceministro della Difesa Efraim Sneh si è affrettato a smentire, denunciando un espediente "di coloro che non vogliono agire politicamente, diplomaticamente ed economicamente contro l'Iran". Ma, a rafforzare l'ipotesi di piani di attacco contro l'Iran sono le affermazioni di un funzionario israeliano che collabora al comitato strategico sulla minaccia nucleare iraniana voluto e presieduto dal premier Ehud Olmert. La fonte, citata dallo stesso quotidiano, ha detto che "lo sforzo profuso su questa questione è senza precedenti nella storia di Israele". Di attacchi preventivi contro installazioni atomiche c'è già il precedente del 1981, quando l'aviazione israeliana bombardò il reattore nucleare iracheno di Osirak, dove si sospettava che Saddam sviluppasse armi atomiche. Nei giorni scorsi la Bbc aveva dato conto anche di piani per un intervento armato, statunitense, contro l'Iran.


 

Da La Repubblica 24-2-2007 Elezioni, arriva il voto su internet. La rivoluzione parte dall'Estonia.  Di Daniele Semeraro

Urne virtuali aperte dal 26 al 28 febbraio. Attesi tra i 20mila e i 40mila voti
La scorsa settimana indette votazioni "finte" per testare la sicurezza del sistema

ROMA - L'Estonia, uno dei più piccoli paesi d'Europa, con un milione e 400mila abitanti, sarà la prima nazione al mondo dove gli elettori potranno votare comodamente tramite internet anziché recarsi di persona al seggio. Le consultazioni per il rinnovo del Parlamento si terranno la prossima settimana e la decisione di consentire il voto via web è vista da molti come un segno tangibile del forte interesse del Paese nei confronti delle nuove tecnologie.
La procedura è apparentemente molto semplice e anche - assicurano dalla commissione elettorale - molto sicura. Ogni votante, munito di carta d'identità elettronica (con all'interno un microchip) deve inserire la carta in un apposito lettore collegato al computer. A questo punto, prima di procedere con la votazione, dovrà digitare la prima password; la seconda, invece, verrà inserita subito dopo aver votato, per la convalida della propria preferenza. Sul sito del governo è presente una guida molto approfondita (in russo e inglese) che spiega passo passo tutta la procedura. Da segnalare che il manuale, oltre a Windows, annovera anche i sistemi operativi Mac Os e Linux. Il kit completo per le votazioni (lettore di microchip e software) viene venduto da una catena specializzata in articoli elettronici.
Chi non ha un computer a casa ma vuole evitare le file dei seggi tradizionali può anche utilizzare delle postazioni pubbliche appositamente allestite all'interno di uffici e banche. Le "urne virtuali" saranno aperte dal 26 al 28 febbraio, a differenza di quelle tradizionali che saranno aperte il 4 marzo.
In Estonia il voto elettronico era stato già sperimentato, anche se in modo limitato, per le amministrative del 2005: lo utilizzarono con successo oltre 10mila persone. Prima di prendere la decisione finale sull'apertura del voto su internet, inoltre, la scorsa settimana il governo estone ha indetto delle "finte" elezioni in cui i votanti erano chiamati a scegliere, tra dieci animali candidati, chi fosse il re della foresta. "E' difficile calcolare quanti elettori utilizzeranno la nuova procedura, noi abbiamo previsto tra i 20mila e i 40mila votanti su un totale di 940mila", ha spiegato Arne Koitmae, funzionario della commissione elettorale. "Per adesso - continua - possiamo solamente dire che la scorsa settimana, durante le elezioni di prova, hanno votato 3.925 persone"
Le elezioni tramite internet sono un segno dell'estrema modernità verso la quale sta viaggiando un paese, l'Estonia, che dopo il crollo dell'Unione Sovietica ha iniziato una fase molto veloce di sviluppo tecnologico. Basti pensare che Skype, la società leader nel settore delle telefonate a basso costo tramite internet, ha in Estonia una delle sue sedi principali.
(24 febbraio 2007)

 


 

Da La Stampa 24-2-2007 Nei deserti di Gibuti i tumuli del mistero JEAN-PIERRE TUQUOI

24/2/2007 (8:52) - REPORTAGE

Sono gli "aowelo", cumuli di pietre elevate fra le sabbie

GIBUTI
Il sito ha la bellezza austera dei deserti di pietra. Niente dune, ma promontori sassosi cui si aggrappa una rada vegetazione. Niente acqua, ma il letto di uno uadi disseccato. Il cielo è limpido, il sole di piombo e il filo della vita esile. Nessun essere umano. A volte, uno struzzo o una coppia di gazzelle entrano nello scenario. Sulla sommità di un monticello colpisce un ammasso di pesanti pietre di basalto. Formano un cerchio perfetto di vari metri di diametro che si eleva gradualmente fino ad altezza d’uomo. È un aowelo, parola che, presso gli Afar che popolano questa regione dimenticata a due ore di pista da Gibuti, significa «mucchio di pietre fatto dagli Antichi».
Gli aowelo pullulano in quest’area vicina all’Etiopia e all’Eritrea. Se ne trovano centinaia, forse migliaia, di diverse dimensioni, tutti circolari e tutti costruiti con le stesse pietre vulcaniche scure. «Nessuno conosce con esattezza il loro numero», afferma Benoît Poisblaud, archeologo francese specializzato in questa zona dell’Africa e che da quasi dieci anni cerca di penetrarne i misteri. La ricerca si prospetta lunga. I mezzi dell’archeologo e dalla sua piccola équipe sono limitati. Il Quai d’Orsay e l’ambasciata francese concedono delle sovvenzioni, ma le autorità, come del resto la popolazione, si disinteressano di questo pezzo di storia. «Nel Paese non c’è nemmeno un archeologo. Inoltre Gibuti è uno dei pochissimi Paesi a non aver firmato convenzioni con l’Unesco. Gli aowelo non possono quindi essere dichiarati “patrimonio dell’umanità” ed essere tutelati», osserva Poisblaud. Risultato: i tumuli sono minacciati. Fungono da cava per gli Afar che vogliono costruirsi una casa o un riparo per le bestie. «C’erano altrettanti aowelo di cui si sono perse le tracce», si rammarica l’archeologo. Fino a oggi l’équipe non ha scavato nemmeno una mezza dozzina di tumuli. Con esiti diversi. Alcuni non contenevano nulla sotto la loro volta di pietre basaltiche. «Forse erano solo alture per l’osservazione», azzarda il «boss» dell’archeologia francese nel Corno d’Africa, Roger Joussaume, venuto a dar manforte al suo ex allievo. In altri, il raccolto è stato più ricco. Tra i ritrovamenti, alcuni utensili, frammenti di macine di pietra, qualche oggetto di bronzo, resti di animali e ossa umane in posizione fetale, di difficile datazione: «Le ossa si conservano male in un clima caldo e secco. Tendono a sbriciolarsi», spiega il terzo componente dell’équipe, l’antropologo Jean-Paul Cros.
A quando risale la costruzione? «I più antichi a circa mille anni prima di Cristo - ipotizza Poisblaud -. Ma molto alla larga. Bisogna essere prudenti». La civiltà all’origine dei tumuli è semisconosciuta. La fauna selvatica, oggi scomparsa, raffigurata in modo realistico su chilometri di rocce nel mezzo del nulla - elefanti, giraffe, ippopotami, antilopi, rinoceronti - conferma che una volta il clima era più umido e il suolo più fertile, con pascoli e foreste. Altre scene mostrano guerrieri che si affrontano armati con archi di tipo diverso. Ma quel che sorprende di più è un altro aspetto. «Gli aowelo rimandano a una civiltà molto più antica, forse di tremila anni prima di Cristo. Una civiltà sarebbe succeduta all’altra», si sbilancia Poisblaud. Stabilire un legame tra le due ha rappresentato una sorta di indagine poliziesca che ha mobilitato per molto tempo l’équipe francese. L’indagine si è basata sulle scoperte di Teilhard de Chardin, che negli anni Trenta, aveva trovato dei picconi di basalto lunghi una ventina di centimetri nella regione tra il Ghoubbet e il lago Assal. Si è pensato che i picconi, per la loro punta usurata, servissero a tagliare la stupefacente banchisa di sale presente nelle vicinanze e ancor oggi sfruttata dalle carovane di dromedari provenienti dalla vicina Etiopia. Ulteriori ricerche hanno poi consentito di portare alla luce cocci di ceramiche finemente decorate, «a conchiglia», come dicono gli specialisti. I picconi di basalto e le ceramiche appartengono alla stessa cultura. Dove vivevano coloro che li utilizzavano? Mistero. Non è stata infatti scoperta nessuna traccia di abitazione. «Quando sono arrivato qui nel 2001 - spiega Poisblaud - ho cercato le residenze di quelle popolazioni partendo dall’ipotesi che avessero frequentato i posti dove migliaia di anni dopo sarebbero stati costruiti gli aowelo». L’intuizione era giusta.
A qualche decina di chilometri dal «vicolo cieco dell’inferno» (il nome del Ghoubbet in lingua afar), il giovane archeologo non tarda a scoprire, sulla cima di un poggio, un aowelo attorno al quale giacciono molti cocci di ceramica finemente decorata. Gli stessi trovati nel Ghoubbet! «Qui vivevano delle persone che andavano a pescare o a estrarre sale in riva al golfo». Restava da trovare una prova inconfutabile di abitazione umana. La buona stella si profila all’orizzonte un giorno d’autunno del 2004. Mentre sorseggia un caffè 200 metri più in basso del tumulo, l’occhio di Poisblaud è attirato da un minuscolo coccio di ceramica decorato a conchiglia. Sempre lo stesso motivo! Salvo che lì vicino una decina di pietre a livello del suolo formano un arco che non ha nulla di naturale. Si tratta di una tomba. Sotto la pietraia, tre voluminose pietre piatte proteggono una specie di pozzo profondo 80 centimetri, all’interno del quale l’archeologo scoprirà i resti di due corpi umani. La dentatura permette di concludere che si tratta di bambini. A qualche metro di distanza viene portata alla luce una seconda tomba, contenente anch’essa le spoglie di due adolescenti. Nelle vicinanze si trovano anche frammenti di ossidiana, una pietra lavica che tradizionalmente accompagna le spoglie mortali e i resti di un focolare.
Per Benoît Poisblaud il dubbio non è più permesso. L’abbondanza di cocci dello stesso tipo, la presenza di tombe erette con lo stesso schema provano che una civiltà ha prosperato a partire dal III millennio a. C. in questa regione inospitale. Con la benedizione del suo padrino, Roger Joussaume, ha scelto di chiamarla «civiltà asgoumhatiana», dal nome del sito di Asgoumhati, dove sono state scoperte le prime due tombe. Ma da dove veniva, questo popolo di pastori?
copyright Le Monde traduzione del Gruppo Logos


 

Dal Corriere della Sera 24-2-2007 Cina, boom della religione contro il dio Denaro

 

Si afferma la ricerca di una nuova identità individuale e collettiva

L'agnosticismo maoista espressione del dominio della politica assolutista e totalizzante, se non proprio superato, è in declino

 

PECHINO – Nelle feste del Capodanno cinese appena terminato, le moschee, i templi e le chiese si sono riempiti di fedeli. L’ultimo segnale di un risveglio religioso che sta coinvolgendo tutte le fedi e tutti i riti. L’ateismo dà qualche segno di cedimento dinanzi al bisogno di una riflessione spirituale che prima il maoismo poi la crescita economica disordinata e diseguale hanno soffocato o impedito. Il desiderio di un modello di vita più meditato e più equilibrato si è diffuso nelle campagne e da qualche tempo anche nelle città ricche della Cina. I luoghi di culto uniscono uomini e donne, soprattutto giovani, che sono protagonisti di un fenomeno interessante. L’agnosticismo maoista espressione del dominio della politica assolutista e totalizzante, se non superato, è in declino; con la religione si afferma la ricerca di una nuova identità individuale e collettiva.

 


 

 

 

 


INDICE  24-2-2007

++ Da La Repubblica 24-2-2007  1 "Bush pronto a attaccare l'Iran nel 2008" - Alberto Flores D'arcais  1

+ Da La Stampa 24-2-2007 Napolitano rimanda Prodi al Senato-  Paolo Passarini 2

+ Da La Repubblica 24-2-2007 Il Colle avvisa i leader dell'Unione "Un'altra caduta e governo a casa" Di Claudio Tito  3

Sul rifinanziamento della missione in Afghanistan non verrà posta la fiducia  3

+ Da Corriere della sera 24-2-2007  Follini «Ecco perché scelgo di sostenere il premier Casini? È possibile che tra qualche mese lo ritrovi nei paraggi » Aldo Cazzullo  4

La Stampa,  del 24/02/2007  Torna l'Italietta esclusa dal gran gioco dell'Onu  7

Il Giornale.it 24-2-2007 L'Afghanistan resta un terreno minato Tra un mese la possibile disfatta in Aula. Di Emanuela Fontana  8

La Provincia Pavese  del 24/02/2007   Follini e Pallaro per essere autosufficienti - Alessandro Cecioni 8

La Stampa, del 24/02/2007   Blair a Bush: "Sull'Iran non ti seguo". Paolo Mastrolilli 9

Il Piccolo di Trieste,  del 24/02/2007  I cinesi, in competizione sin da piccoli 10

 


 

++ Da La Repubblica 24-2-2007

"Bush pronto a attaccare l'iran nel 2008" - Alberto Flores D'arcais

                                                                          

"Bush pronto a attaccare l'Iran nel 2008" L'allarme da Londra. Al Congresso, nuova sfida dei Democratici sull'Iraq Il Senato Usa potrebbe ridurre il mandato delle truppe a Bagdad ALBERTO FLORES D'ARCAIS dal nostro corrispondente NEW YORK - I senatori democratici affilano le armi, la Casa Bianca annuncia che andrà avanti per la sua strada: sull'Iraq tutto è pronto per un nuovo round tra amministrazione e Congresso. La giornata cruciale sarà martedì, quando Carl Levin, (presidente della commissione Forze armate) e Joseph Biden (presidente della commissione Esteri e candidato alla Casa Bianca 2008) presenteranno al Senato la loro proposta: una riscrittura dell'autorizzazione data dal Congresso alla guerra in Iraq (nel 2002) in modo da costringere la Casa Bianca ad iniziare un ritiro parziale delle truppe americane da Bagdad. La sconfitta subita in Senato solo pochi giorni fa, quando i repubblicani riuscirono a bloccare una risoluzione (sia pure non vincolante) contro il piano Bush, che prevede l'invio in Iraq di oltre 20mila nuovi soldati, non sembra preoccupare i leader democratici. Biden e Levin sono convinti di avere i numeri per revocare l'autorizzazione data alla Casa Bianca nel 2002, sostituendola con una nuova che limiti la missione dei soldati americani in Iraq. Allora il Congresso diede a Bush poteri molto ampi, autorizzandolo ad usare l'esercito americano "nel modo necessario e appropriato per difendere la sicurezza nazionale degli Stati Uniti contro le continue minacce messe in atto dall'Iraq". Pochi mesi dopo la Casa Bianca decise l'invasione dell'Iraq e il regime di Saddam Hussein venne rovesciato. Da allora le truppe americane (che sono attualmente circa 140mila) sono state quotidianamente impegnate sul piano militare, e negli scontri contro le milizie sciite, sunnite e i terroristi di Al Qaeda (più gli incidenti vari) hanno avuto oltre tremila morti. La nuova proposta democratica prevede di limitare il ruolo dei soldati Usa in Iraq: impedire ai terroristi di avere una base sicura in Iraq, addestrare l'esercito iracheno e aiutare gli iracheni a proteggere i propri confini. Una proposta che, nelle intenzioni di Levin e Biden deve essere vincolante, e che prevede il rientro nei primi mesi del 2008 di tutti i soldati Usa non impegnati in quei tre punti; un numero da concordare con i comandanti militari sul terreno. Nel caso passasse al Senato - dove i democratici hanno una maggioranza risicata (51 a 49) - la proposta andrebbe poi alla Camera (dove la maggioranza è più ampia). A quel punto Bush avrebbe due scelte: firmarla o mettervi il veto. In quest'ultimo caso, il Congresso, per renderla operativa, dovrebbe annullare con un nuovo voto (a maggioranza qualificata) il veto della Casa Bianca. Gli uomini di Bush sono convinti che i senatori democratici abbiano fatto male i conti. Un senatore democratico non può votare, visto che si trova ancora in clinica per un ictus avuto all'indomani delle elezioni di novembre, un altro è Joseph Lieberman, eletto nel Connecticut come indipendente, che sull'Iraq ha praticamente le stesse posizioni della Casa Bianca e che ora minaccia addirittura di passare tra i repubblicani; ieri, in un'intervista al giornale online The Politico, ha messo in guardia il suo vecchio partito: "Non ho alcun desiderio di cambiare bandiera. Ma se mai questo dovesse accadere, dipenderà solo dal fatto che la maggioranza dei democratici ha intrapreso una direzione che a me non va a genio". Nell'agenda della Casa Bianca il problema iracheno va di pari passo con quella che è la preoccupazione più grande dell'amministrazione Bush: il nucleare iraniano. Il governo Usa ha sempre sostenuto come la prima opzione sia una soluzione diplomatica (pur considerando debole la posizione negoziale europea), ma non ha escluso altri scenari nel caso Teheran continuasse a sfidare apertamente la comunità internazionale. Ma ieri da Londra un articolo del Times ha rilanciato l'ipotesi che Bush voglia "risolvere la questione iraniana tramite mezzi militari". Secondo il giornale, che cita anonime fonti governative britanniche, l'attacco avverrà prima della fine del secondo mandato del presidente Usa, quindi entro il 2008. Per il quotidiano di Londra, Bush "non vuole lasciare al suo successore la questione irrisolta", anche se all'interno dell'amministrazione sull'argomento Iran le divisioni sono profonde. Il segretario alla Difesa Robert Gates e il segretario di Stato Condoleezza Rice sarebbero contrari, mentre il consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley viene descritto come profondamente scettico. I falchi che spingono Bush a "mantenere sul tavolo l'opzione militare" - dice il Times - sono guidati dal vicepresidente Dick Cheney. Sempre da Londra, il Daily Telegraph sostiene invece che Israele avrebbe chiesto agli Usa il permesso di sorvolare l'Iraq in caso di attacco alle centrali nucleari iraniane.

"Bush pronto a attaccare l'Iran nel 2008" L'allarme da Londra. Al Congresso, nuova sfida dei Democratici sull'Iraq Il Senato Usa potrebbe ridurre il mandato delle truppe a Bagdad ALBERTO FLORES D'ARCAIS dal nostro corrispondente NEW YORK - I senatori democratici affilano le armi, la Casa Bianca annuncia che andrà avanti per la sua strada: sull'Iraq tutto è pronto per un nuovo round tra amministrazione e Congresso. La giornata cruciale sarà martedì, quando Carl Levin, (presidente della commissione Forze armate) e Joseph Biden (presidente della commissione Esteri e candidato alla Casa Bianca 2008) presenteranno al Senato la loro proposta: una riscrittura dell'autorizzazione data dal Congresso alla guerra in Iraq (nel 2002) in modo da costringere la Casa Bianca ad iniziare un ritiro parziale delle truppe americane da Bagdad. La sconfitta subita in Senato solo pochi giorni fa, quando i repubblicani riuscirono a bloccare una risoluzione (sia pure non vincolante) contro il piano Bush, che prevede l'invio in Iraq di oltre 20mila nuovi soldati, non sembra preoccupare i leader democratici. Biden e Levin sono convinti di avere i numeri per revocare l'autorizzazione data alla Casa Bianca nel 2002, sostituendola con una nuova che limiti la missione dei soldati americani in Iraq. Allora il Congresso diede a Bush poteri molto ampi, autorizzandolo ad usare l'esercito americano "nel modo necessario e appropriato per difendere la sicurezza nazionale degli Stati Uniti contro le continue minacce messe in atto dall'Iraq". Pochi mesi dopo la Casa Bianca decise l'invasione dell'Iraq e il regime di Saddam Hussein venne rovesciato. Da allora le truppe americane (che sono attualmente circa 140mila) sono state quotidianamente impegnate sul piano militare, e negli scontri contro le milizie sciite, sunnite e i terroristi di Al Qaeda (più gli incidenti vari) hanno avuto oltre tremila morti. La nuova proposta democratica prevede di limitare il ruolo dei soldati Usa in Iraq: impedire ai terroristi di avere una base sicura in Iraq, addestrare l'esercito iracheno e aiutare gli iracheni a proteggere i propri confini. Una proposta che, nelle intenzioni di Levin e Biden deve essere vincolante, e che prevede il rientro nei primi mesi del 2008 di tutti i soldati Usa non impegnati in quei tre punti; un numero da concordare con i comandanti militari sul terreno. Nel caso passasse al Senato - dove i democratici hanno una maggioranza risicata (51 a 49) - la proposta andrebbe poi alla Camera (dove la maggioranza è più ampia). A quel punto Bush avrebbe due scelte: firmarla o mettervi il veto. In quest'ultimo caso, il Congresso, per renderla operativa, dovrebbe annullare con un nuovo voto (a maggioranza qualificata) il veto della Casa Bianca. Gli uomini di Bush sono convinti che i senatori democratici abbiano fatto male i conti. Un senatore democratico non può votare, visto che si trova ancora in clinica per un ictus avuto all'indomani delle elezioni di novembre, un altro è Joseph Lieberman, eletto nel Connecticut come indipendente, che sull'Iraq ha praticamente le stesse posizioni della Casa Bianca e che ora minaccia addirittura di passare tra i repubblicani; ieri, in un'intervista al giornale online The Politico, ha messo in guardia il suo vecchio partito: "Non ho alcun desiderio di cambiare bandiera. Ma se mai questo dovesse accadere, dipenderà solo dal fatto che la maggioranza dei democratici ha intrapreso una direzione che a me non va a genio". Nell'agenda della Casa Bianca il problema iracheno va di pari passo con quella che è la preoccupazione più grande dell'amministrazione Bush: il nucleare iraniano. Il governo Usa ha sempre sostenuto come la prima opzione sia una soluzione diplomatica (pur considerando debole la posizione negoziale europea), ma non ha escluso altri scenari nel caso Teheran continuasse a sfidare apertamente la comunità internazionale. Ma ieri da Londra un articolo del Times ha rilanciato l'ipotesi che Bush voglia "risolvere la questione iraniana tramite mezzi militari". Secondo il giornale, che cita anonime fonti governative britanniche, l'attacco avverrà prima della fine del secondo mandato del presidente Usa, quindi entro il 2008. Per il quotidiano di Londra, Bush "non vuole lasciare al suo successore la questione irrisolta", anche se all'interno dell'amministrazione sull'argomento Iran le divisioni sono profonde. Il segretario alla Difesa Robert Gates e il segretario di Stato Condoleezza Rice sarebbero contrari, mentre il consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley viene descritto come profondamente scettico. I falchi che spingono Bush a "mantenere sul tavolo l'opzione militare" - dice il Times - sono guidati dal vicepresidente Dick Cheney. Sempre da Londra, il Daily Telegraph sostiene invece che Israele avrebbe chiesto agli Usa il permesso di sorvolare l'Iraq in caso di attacco alle centrali nucleari iraniane.

 


+ Da La Stampa 24-2-2007 Napolitano rimanda Prodi al Senato-  Paolo Passarini

L'Unione: abbiamo i numeri per ottenere la fiducia

ROMA
La decisione è attesa per oggi, tarda mattinata, e, salvo colpi di scena, si tratterà di un rinvio del governo in carica alle Camere. Preoccupato, perplesso e sovraccaricato di una responsabilità enorme, Giorgio Napolitano si prenderà oggi qualche ora per compiere le ultime verifiche. Poi, dopo aver «riordinato le idee», come ha annunciato, renderà nota la sua decisione con una formula «fredda», che gli lasci qualche spazio di manovra per il futuro. Un rinvio alle Camere come atto dovuto. Romano Prodi dovrebbe salire prima di pranzo al Quirinale, mentre già si parla di un dibattito sulla fiducia che potrebbe iniziare martedì al Senato e concludersi mercoledì sera o giovedì.
Il Presidente della Repubblica ha chiesto ripetutamente ai suoi interlocutori del centrosinistra precise assicurazioni sulla solidità del sostegno al governo, in particolare al Senato. Dal suo punto di vista, le ha avute e non le ha avute. Ma, di fronte alle ripetute rassicurazioni di tutta la maggioranza, questa volta disperatamente unita, non ha potuto spingersi oltre il processo alle intenzioni. La sua preoccupazione è doppia: che un nuovo capitombolo a breve termine del governo Prodi metta a repentaglio la credibilità sua e dell’istituzione che rappresenta; e che, di conseguenza, si determini la fine precocissima della legislatura. Per questo Napolitano ha cercato di ottenere qualche elemento utile per una alternativa futura.
Ieri sera, al termine della seconda e ultima giornata di consultazioni, il Presidente aveva raccolto tre elementi fondamentali. Il primo gli è stato offerto dal centrosinistra, che compattamente (eccettuata la lieve preferenza della Rosa nel Pugno per un Prodi-bis) si è espresso a favore di un rinvio alle Camere. A nome dell’Ulivo, il segretario ds Piero Fassino ha addirittura parlato di «un immediato rinvio» e ha accennato a una «piena operatività» del governo già ben prima dell’«imminente celebrazione del Consiglio Ue», fissato per il 13 marzo.
Dai rappresentanti del centrosinistra, incalzati dalle sue domande, il Presidente ha appreso che la conquista di «quota 158» (cioè di una maggioranza al Palazzo Madama al netto dei senatori a vita) è stata coronata da successo e più tardi Fassino ha giurato che il centrosinistra «ha entrambe le maggioranze». Napolitano ha osservato che una cosa è la fiducia e un’altra il voto su importanti questioni di politica estera, come, per esempio, l’Afghanistan. Fassino e Francesco Rutelli hanno risposto che le comunicazioni sulle quali il governo chiederà la fiducia conterranno precise indicazioni sui punti caldi. A Napolitano non è restato altro che prenderne atto.
Il secondo elemento è stato fornito dalla Casa delle Libertà, che, a differenza del centrosinistra, si è presentata con tre posizioni diverse, anzi quasi quattro. La Lega, con Roberto Castelli, ha chiesto di tornare subito «davanti al popolo». L’Udc, con Lorenzo Cesa, ha lanciato un «governo di responsabilità nazionale» presieduto da «un’alta personalità». E Gianfranco Fini, per An, si è limitato a chiedere un altro governo, con una maggioranza solida di «soli senatori eletti». Silvio Berlusconi, a sorpresa, non ha posto il problema di uno scioglimento delle Camere e si è allineato a Fini: a casa il governo Prodi.
Il terzo elemento è arrivato proprio dall’Udc e dalla sua proposta, dalla quale si evince che un parte dell’ex-Casa delle Libertà sarebbe disponibile ad appoggiare, in qualche forma, un governo istituzionale per rifare la legge elettorale, presieduto da Franco Marini. Buono a sapersi per Napolitano, il quale, essendo dall’inizio convinto che questa sia una legislatura a rischio, vuole riservarsi la possibilità di rianimarla un po’ con un governo di larghe intese, almeno per il tempo necessario a riformare la legge elettorale. Quest’ultimo argomento è stato al centro dei colloqui tra Napolitano e i suoi tre predecessori.


 

+ Da La Repubblica 24-2-2007 Il Colle avvisa i leader dell'Unione "Un'altra caduta e governo a casa" Di Claudio Tito

Il presidente ha espresso al centrosinistra la sua preoccupazione "Per me il rinvio è una strada obbligata" ha spiegato a Berlusconi

Sul rifinanziamento della missione in Afghanistan non verrà posta la fiducia

 

ROMA - "Ma siete sicuri che il governo avrà la fiducia?". Che fosse preoccupato lo si era capito da tempo. Dopo il capitombolo del governo al Senato, il suo allarme ha subito un'impennata. Così, ieri, negli incontri con i gruppi della maggioranza, ha rivolto a tutti la stessa domanda. Eh già, perché stavolta Giorgio Napolitano non vuole correre pericoli. Considera questo passaggio istituzionale totalmente sotto la sua responsabilità. Ha preteso dalla coalizione prodiana le massime assicurazioni. Per fornirle nello stesso tempo alla Casa delle libertà.
Per tutta la giornata, infatti, ha tenuto i "big" dell'Unione sulla corda. Alternative all'ipotesi del rinvio alle Camere non sono state vagliate. Il Quirinale, però, non ha esitato a manifestare tutte le sue perplessità. Al di là delle consultazioni ufficiali, i contatti con Palazzo Chigi e con i leader dell'Unione, a cominciare da Massimo D'Alema, sono stati continui. Anche con loro non ha nascosto i suoi dubbi sulla tenuta dell'esecutivo.
Sulla sua agenda ogni singolo senatore, allora, è stato "verificato" e segnato con un colpo di penna. I conti li ha tenuti in prima persona. A volte parlando direttamente con gli indecisi. Alcuni dei quali sono rimasti tali, come l'indipendente Luigi Pallaro. "Temo che sia una soluzione fragile", ha ribadito a ogni piè sospinto a molti dei suoi interlocutori. Pur accompagnando le sue considerazioni dall'ammissione che alternative praticabili al momento non esistono.
A Silvio Berlusconi, ad esempio, lo ha detto con la massima schiettezza: "Per me è una strada obbligata, non posso fare altrimenti". Tant'è che il Cavaliere dopo il faccia a faccia con il presidente della Repubblica, ha subito avvisato i "colonnelli" del suo partito e gli alleati: "Vogliono tenere in vita Prodi artificialmente. Ma se ricade, si va al voto". Un'interpretazione che in effetti non va molto lontano da quanto Napolitano ha spiegato ieri nei suoi incontri. "Se il voto di mercoledì scorso al Senato, è stato l'appello per il governo. Un eventuale prossimo incidente sarebbe la cassazione". Un modo per dire che questa è l'ultima chance per il Professore. Poi, basta.
Basti pensare che ha reclamato assicurazioni esplicite non solo sulla fiducia ma anche sul decreto che rifinanzia la missione in Afghanistan. Tema su cui l'Unione si è già messa all'opera ieri. Sul decreto non verrà posta la fiducia. Obiettivo: ottenere i consensi anche della Casa delle libertà. Ma la strada dell'autosufficienza verrà comunque tentata. Non a caso i capigruppo hanno già concordato di far slittare di qualche giorno l'esame del decreto arrivando a Palazzo Madama a ridosso della scadenza. Rendendo di fatto impossibile qualsiasi modifica. Gli emendamenti verranno concordati solo alla Camera e sono già stati contattati tutti i "dissidenti" (Rossi, Turigliatto e Bulgarelli) per concordare fin da ora le modifiche. Sta di fatto, che dalla prossima settimana la maggioranza proverà sempre ad "allargarsi".
Anche il documento presentato da Prodi agli alleati è stato nella sostanza reclamato dal Colle. Che ha preteso un "atto politico" che certificasse la permanenza in vita della coalizione prima di avviare la pratica del "rinvio". Non per niente anche il punto che rilanciava il completamento della Tav è stato mantenuto, nonostante le proteste dei Verdi, perché Marco Follini l'aveva posto come condizione per la sua adesione alla maggioranza: "Non ha davvero sentito ragioni", ha raccontato Pecoraro Scanio. Insomma, tutti passaggi che il centrosinistra ha dovuto consumare per saltare i paletti piazzati dal Quirinale.
Anche perché il timore principale di Napolitano riguardail futuro dell'Unione. La paura che il "dopo-Prodi" e la costruzione di un nuovo centrosinistra sia già iniziato. Le insistenze Ds, ad esempio, per tentare la via delle larghe intese sono state abbandonate solo ieri mattina. E chi sa se una prima prova generale dell'Unione che sarà, non ci sia già stamattina in occasione della presentazione al Teatro Brancaccio della "mozione 1" per il congresso Ds. Massimo D'Alema e Walter Veltroni si troveranno dopo tanto tempo uno fianco all'altro.
(24 febbraio 2007)

 


 

+ Da Corriere della sera 24-2-2007  Follini «Ecco perché scelgo di sostenere il premier Casini? È possibile che tra qualche mese lo ritrovi nei paraggi » Aldo Cazzullo

 

L'ex udc Follini: voglio partecipare alla costruzione di un nuovo centrosinistra.

 

ROMA — L'ex leader dell'Udc, Marco Follini, spiega al Corriere della Sera la sua decisione di sostenere Romano Prodi: «Votare con Oliviero Diliberto non mi imbarazza più che non votare con Roberto Calderoli. Pier Ferdinando Casini, com'è già accaduto, mi seguirà tra qualche mese, se non tra qualche giorno. Silvio Berlusconi? In passato i colpi li ho presi io».

«Cerchiamo di non guardare la crisi dal buco della serratura, non giocare con il pallottoliere ma provare a capire di cosa ha bisogno il Paese in questo passaggio difficile».
Di cosa, senatore Follini?
«Il Paese ha bisogno di ritrovare l'equilibrio che ha perso lungo i tornanti di questa alternanza piuttosto nevrotica. In questi anni ho sempre lavorato, con le mie deboli forze, alla prospettiva di un rinnovamento, per uscire da quella foresta pietrificata che è oggi la politica italiana, per non perdere il senso di civiltà della politica. Nella mia memoria e nella tradizione in cui mi riconosco c'è il centro: vale a dire, la stabilità, la ragionevolezza, il respiro che va oltre la contingenza. Oggi qualche segnale di novità si comincia a vedere».
Quindi lei voterà la fiducia al governo Prodi?
«È probabile, se il discorso del presidente del Consiglio confermerà questi segnali».
Si rende conto di cosa le accadrà? Il centrodestra ha accolto il voto di Ciampi e di altri senatori a vita con fischi e insulti. A lei potrebbe andare peggio.
«Non provo angoscia per me, ma per lo spettacolo che talora ha ridotto le Aule parlamentari a spalti di uno stadio di calcio. Comunque, se deve accadere, preferisco essere tra gli aggrediti che tra gli aggressori».
Non è questione solo di incolumità fisica. Riceverà attacchi politici molto duri. Diranno che lei è diventato la stampella di Prodi.
«Io non faccio da stampella. Non milito da quella parte. Indico obiettivi che dovrebbero appartenere al senso comune degli uni e degli altri. Il mio è il tentativo di sottrarre il governo, e quindi la politica, alle pressioni delle minoranze più laterali. Mi propongo di partecipare, se ci riesco, alla costruzione di un nuovo centrosinistra, e di ancorare questa costruzione più vicino al centro. Il voto di mercoledì scorso ha sancito che il vecchio centrosinistra è al capolinea. Mi adopero per contribuire a tracciare una rotta diversa da quella seguita fin qui, a recuperare una cultura e una prassi di governo meno aspre e conflittuali di quelle sperimentate con Berlusconi come con Prodi».
Le rimprovereranno di essere stato eletto nel centrodestra e di essere passato dall'altra parte.
«Ho il vezzo di dire sempre le stesse cose, a costo di una certa monotonia. Pratico la pazienza, il ragionamento; non i salti logici, tantomeno il salto della quaglia. Concorro alla ricerca della salvezza politica ma soprattutto all'evoluzione del centrosinistra quando è al massimo della difficoltà. Il governo è andato oltre il ciglio del burrone; io tento di aiutarlo a risalire. Chi volesse stare sul sicuro, sceglierebbe un percorso diverso».
Se Prodi le offrisse un posto da ministro?
«Grazie, no. Il tema del mio ingresso nel governo non appartiene all'oggi e neppure al domani. Questa operazione non si fa per tentare di accumulare un vantaggio, si fa accettando di correre un rischio. È un'operazione che si annuncia costosa, ma ho già un discreto curriculum di prezzi costosi da pagare».
Si riferisce alle dimissioni dalla segreteria dell'Udc?
«Ho molti difetti, ma l'attaccamento alla poltrona non è tra questi».
Quali sono le ragioni della sua scelta? I 12 punti, con la Tav e la riforma delle pensioni, rappresentano una svolta centrista?
«Rappresentano un passo. L'inizio di un cammino. Il segno che si è imboccato un senso. Ho detto molte volte che Prodi doveva sottrarsi alla sacralità e agli automatismi della campagna elettorale che l'ha portato a Palazzo Chigi, e liberare se stesso dall'idea muscolare del bipolarismo prevalsa in questi anni. Abbiamo interpretato il bipolarismo come il passaggio più breve dalla democrazia parlamentare al presidenzialismo di fatto, e ci siamo incatenati alla retorica del programma elettorale, dai 5 punti del contratto di Berlusconi con gli italiani alle 281 pagine dell'Unione. Mi permetto di dire che questa rigidità non funziona, non appartiene alla logica della democrazia parlamentare. Che è per sua natura flessibile, capace di aggiornamenti; non richiede il pilota automatico ma una guida consapevole. A lungo ci siamo chiesti: come se ne esce? Con il mio voto cerco di dare una risposta».
Non la imbarazza votare con Diliberto?
«Non più di quanto mi abbia imbarazzato votare con Calderoli. Il mio progetto è di poter votare senza essere aggrappato al filo di Diliberto o di Calderoli».
Avevamo creduto che per lei i cattolici liberali dovessero stare dall'altra parte rispetto alla sinistra.
«Non voglio fare il cultore della memoria, ma quando parlo di visione e respiro penso alla prima edizione del centrosinistra, quella degli anni Sessanta, che mette insieme forze moderate e riformiste, che disegna un campo largo delimitato però da confini ben precisi. Quand'ero giovane, si parlava di delimitazione della maggioranza».
Qui siamo a Moro.
«Appunto. Nei confronti del Pci ci fu attenzione, dialogo, anche un po' di consociativismo, ma la delimitazione non venne mai meno. Ricordo un centrosinistra che non conteneva tutta la sinistra, ed era cosa diversa dalla destra».
Le rimprovereranno di aver tradito Berlusconi. O di essere stato l'unico, dopo lo Scalfaro del '95, a fregarlo. Lei due anni fa era il suo vicepremier. Mentre stiamo parlando, lui sta dicendo da Ferrara: «Non credo proprio che Follini voterà per Prodi».
«Nella mia onorata carriera, ho subito molti più colpi di quanti mi sia capitato di dare. Fatico a vedermi nei panni dell'aggressore. E poi la mia uscita dal centrodestra è avvenuta da tempo, non è uno scoop di queste ore».
E a Casini, partito per la montagna, chi glielo dice?
«Con Casini ci uniscono molte cose. Ci separa, talora, il tempo. Talora, la mia ragione viene riconosciuta, sia pure postuma, dopo qualche mese o qualche giorno. È possibile che tra qualche mese, o tra qualche giorno, ritroverò Casini nei paraggi; e al pensiero mi sento sollevato».
La prima occasione potrebbe essere il voto sull'Afghanistan?
«Quello mi pare un voto obbligato. Trovo paradossale ci sia incertezza su un risultato condiviso da quasi tutte le forze presenti in Parlamento».
La prospettiva è che l'Udc sostituisca la sinistra radicale nella maggioranza?
«Non so se è il tema di questa legislatura. Ma è il tema del futuro; prima o poi va aperto. Anche perché prima o poi si andrà a votare: dall'aria che tira, non troppo poi. Quando verrà il momento, ci si potrà presentare agli elettori con una diversa capacità di coesione. Occorre un lungo esercizio di tessitura; qualcuno lo deve pur cominciare. Altrimenti precipitiamo all'indietro, ci facciamo di nuovo rinchiudere in due caravanserragli: come nel gioco dell'oca, quando si torna alla casella di partenza».
E se il suo passo non si rivelasse determinante? Se Rifondazione, Verdi e comunisti si chiamassero fuori, o più facilmente perdessero qualche altro senatore?
«La mediazione oggi non dev'essere tra gli spezzoni della vecchia maggioranza; si è già visto che la somma finale è sempre zero. La mediazione dev'essere concreta, deve riguardare i temi veri del Paese. Ora assistiamo a un giochino di Palazzo, ma il problema non è come comporre i dissidi interni di una coalizione che vada da De Gregorio a Turigliatto; il problema è capire che una classe dirigente con sale in zucca non si ritira dall'Afghanistan. Non ha paura della Tav, perché è parte essenziale del nostro europeismo. Non combatte guerre di religione sull'etica e sulla famiglia, e neppure guerre contro la religione».
Lei si limiterà a votare la fiducia e poi a decidere di volta in volta? O entrerà a far parte della maggioranza?
«Sono un parlamentare non troppo attempato, ma conosco le regole. Non ho un'idea sacrale di maggioranza e opposizione, non credo esistano due recinti: più si allentano le morse, meglio è. Il senso di una legislatura costruttiva, di movimento, sta nel non restare imprigionati in uno dei due blocchi. Non scelgo un blocco contro l'altro; voterò sul filo del ragionamento».
Voterà i Dico?
«Non ho magnificato i Dico. Non li demonizzo. Non li considero il primo problema nell'agenda del Paese. Sono affidati alla dialettica parlamentare».
Quale legge elettorale voterà?
«La nuova legge elettorale o parla francese o parla tedesco».
Non è la stessa cosa. Il doppio turno alla francese implica il bipolarismo. Il modello tedesco, per metà proporzionale, non esclude una terza forza.
«Dipendesse da me, sceglierei il modello tedesco. L'importante è evitare un pasticcio casalingo. Anche il modello francese consente di bruciare scorie, di ridimensionare la pressione delle estreme. Rende più agevole all'elettore evitare la rocca di Radicofani».
Ha ricevuto pressioni in questi giorni? Porterà altri senatori con sé?
«Ho parlato con molte persone, in particolare con gli amici che hanno condiviso le mie vicissitudini di questi mesi. Ma nei passaggi decisivi si è soli. Non sono un capobastone. Rispondo di me stesso e della mia coscienza».
Se il suo voto non dovesse bastare, si andrà a un governo istituzionale?
«Una volta che si comincia a mischiare le carte, non è detto che ci si fermi. Ma una cosa per volta».

24 febbraio 2007


La Stampa,  del 24/02/2007  Torna l'Italietta esclusa dal gran gioco dell'Onu

Retroscena La crisi di governo rimbalza sui tavoli della politica estera Torna l'Italietta esclusa dal gran gioco dell'Onu MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK Lunedì inizia a Londra il negoziato sull'inasprimento delle sanzioni Onu all'Iran ma l'Italia, primo partner commerciale europeo di Teheran, non sarà intorno al tavolo. A partecipare alla riunione saranno i direttori politici dei ministeri degli Esteri delle sei potenze che dal 2003 si occupano del caso-Iran - Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania - e che lo scorso 23 dicembre hanno accompagnato il Consiglio di Sicurezza a votare all'unanimità la risoluzione 1737 sulle sanzioni contro 23 individui ed aziende legate al programma nucleare di Teheran. Le indiscrezioni trapelate dal Dipartimento di Stato e dalla missione francese all'Onu suggeriscono che la seconda risoluzione si propone di accrescere la pressione economica sugli ayatollah e ciò chiama in causa gli interessi di quei Paesi che hanno forti legami con Teheran, a cominciare dal nostro, soprattutto a causa degli investimenti energetici. L'assenza dell'Italia a Londra si deve alla decisione presa dall'ex ministro degli Esteri Franco Frattini di non fare parte del gruppo dei Sei e al fallimento dei tentativi della Farnesina di Massimo D'Alema di esservi inclusi. In settembre D'Alema partecipò ad una cena con i colleghi delle Sei potenze a New York, ma l'Italia non venne poi coinvolta nella redazione della 1737. Adesso lo scenario si ripete, ma con due novità: la presenza dell'Italia nel Consiglio di Sicurezza ci mette, sulla carta, nelle condizioni di avere piena voce in capitolo disponendo di uno dei 15 voti necessari a mantenere l'unanimità registrata sulla 1737, mentre la crisi di governo a Roma fa discutere nei corridoi dell'Onu sul ritorno a quella che il "New York Times" ha definito "la vecchia instabilità politica italiana". La sovrapposizione fra maggiore ruolo italiano - per i rapporti commerciali bilaterali ed il seggio all'Onu - e incertezza su come verrà svolto induce i portavoce delle rappresentanze di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti ad un misto di cautela e sarcasmo. "Non sappiamo proprio cosa pensano gli italiani sull'idea di redigere una seconda risoluzione, ma c'è un governo a Roma?" si domanda un diplomatico europeo chiedendo l'anonimato "per evitare complicazioni bilaterali". A confermare le incertezze dell'Italia a proposito degli incombenti sviluppi sul caso Iran vi è una posizione che negli ambienti della Farnesina viene riassunta così: parlare ora del nuovo testo di risoluzione è "difficile" ed "astratto" perché prima bisogna "esaminare a fondo il rapporto" presentato dal direttore dell'Agenzia atomica Onu Mohamed El Baradei e comunque la posizione di Roma verte attorno ad una "forte coesione europea", richiamandosi all'articolo 19 dei Trattati e puntando dunque a definire una posizione comune con tutti i cinque europei del Consiglio di Sicurezza, non solo Francia e Gran Bretagna, titolari del diritto di veto, ma anche il Belgio e la Slovacchia. La prudenza italiana stride con l'accelerazione dovuta all'appuntamento fissato a Londra - l'americano Nick Burns è già partito - e solleva in ambienti diplomatici a Washington l'interrogativo su "come si comporterà Roma in seno al Consiglio di Sicurezza" nelle prossime settimane, ovvero quando inizieranno le consultazioni fra capitali sulle bozze di risoluzione. Nell'assenza di segnali chiari da Roma sono tre gli scenari che vengono ipotizzati: nel primo l'Italia potrebbe tentare di giocare un ruolo indipendente di mediazione con Teheran, facendo leva sui buoni rapporti testimoniati dalle tre recenti visite romane di Ali Larijani ma rischiando di entrare in collisione con i Sei; nel secondo Palazzo Chigi potrebbe sfruttare la presenza nel Consiglio di Sicurezza per rinnovare la richiesta di essere ammessa al tavolo dei Sei; nel terzo l'Italia potrebbe fare un passo indietro e limitarsi a riconoscersi nell'operato di Javier Solana, Alto rappresentante Ue per la politica estera, che da tre anni affianca i Sei.

Retroscena La crisi di governo rimbalza sui tavoli della politica estera Torna l'Italietta esclusa dal gran gioco dell'Onu CORRISPONDENTE DA NEW YORK Lunedì inizia a Londra il negoziato sull'inasprimento delle sanzioni Onu all'Iran ma l'Italia, primo partner commerciale europeo di Teheran, non sarà intorno al tavolo. A partecipare alla riunione saranno i direttori politici dei ministeri degli Esteri delle sei potenze che dal 2003 si occupano del caso-Iran - Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania - e che lo scorso 23 dicembre hanno accompagnato il Consiglio di Sicurezza a votare all'unanimità la risoluzione 1737 sulle sanzioni contro 23 individui ed aziende legate al programma nucleare di Teheran. Le indiscrezioni trapelate dal Dipartimento di Stato e dalla missione francese all'Onu suggeriscono che la seconda risoluzione si propone di accrescere la pressione economica sugli ayatollah e ciò chiama in causa gli interessi di quei Paesi che hanno forti legami con Teheran, a cominciare dal nostro, soprattutto a causa degli investimenti energetici. L'assenza dell'Italia a Londra si deve alla decisione presa dall'ex ministro degli Esteri Franco Frattini di non fare parte del gruppo dei Sei e al fallimento dei tentativi della Farnesina di Massimo D'Alema di esservi inclusi. In settembre D'Alema partecipò ad una cena con i colleghi delle Sei potenze a New York, ma l'Italia non venne poi coinvolta nella redazione della 1737. Adesso lo scenario si ripete, ma con due novità: la presenza dell'Italia nel Consiglio di Sicurezza ci mette, sulla carta, nelle condizioni di avere piena voce in capitolo disponendo di uno dei 15 voti necessari a mantenere l'unanimità registrata sulla 1737, mentre la crisi di governo a Roma fa discutere nei corridoi dell'Onu sul ritorno a quella che il "New York Times" ha definito "la vecchia instabilità politica italiana". La sovrapposizione fra maggiore ruolo italiano - per i rapporti commerciali bilaterali ed il seggio all'Onu - e incertezza su come verrà svolto induce i portavoce delle rappresentanze di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti ad un misto di cautela e sarcasmo. "Non sappiamo proprio cosa pensano gli italiani sull'idea di redigere una seconda risoluzione, ma c'è un governo a Roma?" si domanda un diplomatico europeo chiedendo l'anonimato "per evitare complicazioni bilaterali". A confermare le incertezze dell'Italia a proposito degli incombenti sviluppi sul caso Iran vi è una posizione che negli ambienti della Farnesina viene riassunta così: parlare ora del nuovo testo di risoluzione è "difficile" ed "astratto" perché prima bisogna "esaminare a fondo il rapporto" presentato dal direttore dell'Agenzia atomica Onu Mohamed El Baradei e comunque la posizione di Roma verte attorno ad una "forte coesione europea", richiamandosi all'articolo 19 dei Trattati e puntando dunque a definire una posizione comune con tutti i cinque europei del Consiglio di Sicurezza, non solo Francia e Gran Bretagna, titolari del diritto di veto, ma anche il Belgio e la Slovacchia. La prudenza italiana stride con l'accelerazione dovuta all'appuntamento fissato a Londra - l'americano Nick Burns è già partito - e solleva in ambienti diplomatici a Washington l'interrogativo su "come si comporterà Roma in seno al Consiglio di Sicurezza" nelle prossime settimane, ovvero quando inizieranno le consultazioni fra capitali sulle bozze di risoluzione. Nell'assenza di segnali chiari da Roma sono tre gli scenari che vengono ipotizzati: nel primo l'Italia potrebbe tentare di giocare un ruolo indipendente di mediazione con Teheran, facendo leva sui buoni rapporti testimoniati dalle tre recenti visite romane di Ali Larijani ma rischiando di entrare in collisione con i Sei; nel secondo Palazzo Chigi potrebbe sfruttare la presenza nel Consiglio di Sicurezza per rinnovare la richiesta di essere ammessa al tavolo dei Sei; nel terzo l'Italia potrebbe fare un passo indietro e limitarsi a riconoscersi nell'operato di Javier Solana, Alto rappresentante Ue per la politica estera, che da tre anni affianca i Sei.

 


 

Il Giornale.it 24-2-2007 L'Afghanistan resta un terreno minato Tra un mese la possibile disfatta in Aula. Di Emanuela Fontana

Di Emanuela Fontana - sabato 24 febbraio 2007, 07:00 da Roma Fiducia sì, ma Afghanistan no. Se Romano Prodi dovesse ricevere un reincarico e ottenere la fiducia, all'orizzonte si profila un rischio disfatta a meno di un mese da questa crisi. Perché Prodi potrebbe non essere bocciato al Senato, ma il pericolo di un naufragio fatale è dietro l'angolo e ha un termine di tempo: trentatré giorni. Si potranno congelare i Dico, partorire nuovi provvedimenti per la Tav, ma c'è uno scoglio che né le piroette per la sopravvivenza, né quelle imposte al calendario delle Camere, possono aggirare: il rifinanziamento della missione in Afghanistan. L'impegno nelle missioni internazionali è stato inserito al primo posto nel nuovo programma vincolante in 12 punti di Prodi. Ma la "guerra" per alcuni senatori non è proponibile in nessun modo, a costo di tutto. Il decreto sul rifinanziamento delle missioni deve essere approvato entro l'1 aprile, trentacinque giorni da oggi, trentatré da lunedì. Eccoli, i senatori che fanno paura al governo. Perché sull'Afghanistan si giocano il loro passato, la loro coscienza, e i loro elettori. Al primo posto occorre citare i due dissidenti della sconfitta al Senato. Franco Turigliatto, ormai ex di Rifondazione, allontanato dal partito e ora nel Gruppo Misto, annuncia: "Non voterò mai e poi mai sì. Non posso rivotare una guerra". Ci sono poi le "riserve", di ben tre senatori. Riserve che in alcuni casi sono più vicine al "no" che al "sì", perché i dissidenti chiedono un segnale forte della maggioranza per un ritiro, quando il manifesto di Prodi prevede tutt'altro. Il secondo "killer" del Professore al Senato, Fernando Rossi, ex Pdci, maltrattato dai suoi vecchi compagni, messo all'angolo come un lebbroso e minacciato, fa sapere: "Sull'Afghanistan voglio un segnale di speranza e chiarezza e poi deciderò. Dicono che io sono matto e irresponsabile, ma è perché gli ho bruciato la coda, smascherando la loro mancata chiarezza con gli elettori". Non dà un sì incondizionato nemmeno il Verde Mauro Bulgarelli: "Prima di votare sì alla missione, devo vedere il decreto legge". E farebbe stare Prodi sulle spine anche il pacifista di Rifondazione Fosco Giannini. Nonostante la forca Pagina successiva >>.

sabato 24 febbraio 2007, 07:00 da Roma

Fiducia sì, ma Afghanistan no. Se Romano Prodi dovesse ricevere un reincarico e ottenere la fiducia, all'orizzonte si profila un rischio disfatta a meno di un mese da questa crisi. Perché Prodi potrebbe non essere bocciato al Senato, ma il pericolo di un naufragio fatale è dietro l'angolo e ha un termine di tempo: trentatré giorni. Si potranno congelare i Dico, partorire nuovi provvedimenti per la Tav, ma c'è uno scoglio che né le piroette per la sopravvivenza, né quelle imposte al calendario delle Camere, possono aggirare: il rifinanziamento della missione in Afghanistan. L'impegno nelle missioni internazionali è stato inserito al primo posto nel nuovo programma vincolante in 12 punti di Prodi. Ma la "guerra" per alcuni senatori non è proponibile in nessun modo, a costo di tutto. Il decreto sul rifinanziamento delle missioni deve essere approvato entro l'1 aprile, trentacinque giorni da oggi, trentatré da lunedì. Eccoli, i senatori che fanno paura al governo. Perché sull'Afghanistan si giocano il loro passato, la loro coscienza, e i loro elettori. Al primo posto occorre citare i due dissidenti della sconfitta al Senato. Franco Turigliatto, ormai ex di Rifondazione, allontanato dal partito e ora nel Gruppo Misto, annuncia: "Non voterò mai e poi mai sì. Non posso rivotare una guerra". Ci sono poi le "riserve", di ben tre senatori. Riserve che in alcuni casi sono più vicine al "no" che al "sì", perché i dissidenti chiedono un segnale forte della maggioranza per un ritiro, quando il manifesto di Prodi prevede tutt'altro. Il secondo "killer" del Professore al Senato, Fernando Rossi, ex Pdci, maltrattato dai suoi vecchi compagni, messo all'angolo come un lebbroso e minacciato, fa sapere: "Sull'Afghanistan voglio un segnale di speranza e chiarezza e poi deciderò. Dicono che io sono matto e irresponsabile, ma è perché gli ho bruciato la coda, smascherando la loro mancata chiarezza con gli elettori". Non dà un sì incondizionato nemmeno il Verde Mauro Bulgarelli: "Prima di votare sì alla missione, devo vedere il decreto legge". E farebbe stare Prodi sulle spine anche il pacifista di Rifondazione Fosco Giannini. Nonostante la forca Pagina successiva >>.

 


 

La Provincia Pavese  del 24/02/2007   Follini e Pallaro per essere autosufficienti - Alessandro Cecioni

Attualit&agrave Follini e Pallaro per essere autosufficienti Il centro-sinistra punta a raggiungere quota 161, senza i senatori a vita Ma le difficoltà vengono ancora dai dissidenti di sinistra ALESSANDRO CECIONI ROMA. I nomi nuovi del centrosinistra, quelli decisivi per fare restare Prodi in sella sarebbero Marco Follini e Luigi Pallaro. Si potrebbero aggiungere Giuseppe Saro e Giovanni Pistorio (Movimento per le Autonomie). Con loro il governo potrebbe contare su una maggioranza di 161 senatori eletti, maggioranza quindi autosufficiente e non bisognosa dell'apporto dei senatori a vita. Gli interessati per ora smentiscono o non confermano, l'unico che si dice possibilista è Luigi Pallaro. A lui del resto è dedicato un passaggio specifico nei "Punti programmatici" approvati dal vertice di maggioranza di giovedì notte: "Una incisiva valorizzazione per il sostegno e la valorizzazione del patrimonio rappresentato dalle comunità italiane all'estero". 161 voti al netto dei senatori a vita è quanto chiede Giorgio Napolitano al centrosinistra per il rinvio del governo Prodi alle Camere. Il centrosinistra è convinto di aver ottenuto la certezza di poter contare sui numeri giusti. E questo anche se Gianfranco Fini aveva parlato di "necessità che avesse almeno la maggioranza degli eletti, al netto dei senatori a vita". Panorama complesso quello del Senato, proprio per la presenza dei sette senatori di nomina presidenziale o di diritto (gli ex presidenti della Repubblica). Così da una parte ci sono i senatori eletti, 315, dall'altra i senatori a vita, 7. Se si sommano la maggioranza necessaria per avere la fiducia sale a 161 voti, altrimenti la maggioranza è 158. Così c'è una maggioranza politica (con gli eletti) e una reale (del plenum). Il centrosinistra rassicura il presidente Napolitano dicendo di averle entrambe. Ma se quella sui senatori a vita è palese (sono per il sì 4 su 7, Rita Levi Montalcini, Emilio Colombo, Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi), per quella "politica" le cose si fanno più complicate. Dopo le elezioni il centrosinistra aveva al Senato 159 voti. Con l'elezione di Franco Marini a presidente del Senato i voti a disposizione (per prassi parlamentare il presidente non vota) sono scesi a 158, con la defezione di Sergio De Gregorio sono diventati 157. 157 che tornano maggioranza assoluta solo con i 4 senatori a vita. Il problema da risolvere, in vista del rinvio di Prodi alle Camere, era tornare comunque a 158. Ovvero sostituire o reintegrare De Gregorio, meglio se con più senatori dato che nel centrosinistra potrebbero riaprirsi falle al momento del voto sull'Afghanistan. Franco Turigliatto, il trotzkista di Rifondazione in via di espulsione dal partito, ha già detto che voterà no, Fosco Giannini, altro senatore del Prc, si è detto pronto a votare sì sull'Afghanistan solo per disciplina di partito, mentre Fernando Rossi, ex Pdci ora con i Consumatori, dice che voterà la fiducia, ma sull'Afghanistan ci deve pensare. Tanto per capirci: con 156 senatori anche con i 4 senatori a vita è sconfitta sicura. E le condizioni di partenza del governo Prodi, con la fiducia ottenuta 165 a 155, sono ormai lontane (i senatori a vita votarono il sì). E' stata una giornata di telefonate, molte quelle di Fassino, leader dei Ds, di calcoli, di biglietti che passavano di mano. "Siamo 157 a 157 così, il che significa che se recuperiamo i dissidenti e Pallaro è fatta", spiega Bonelli, capogruppo dei Verdi alla Camera. Francesco Storace, senatore di An, tira fuori un calcolo che sembra rimettere tutto in discussione. "Senza senatori a vita - cerca di spiegare - l'asticella per una maggioranza vera è a 162, non a 161. Infatti i senatori sono 322. Togliendo il presidente dell'assemblea e i senatori a vita si scenderebbe a quota 314. Apparentemente basterebbero 158 senatori per determinare la maggioranza, ma ciò potrebbe non essere sufficiente perché potrebbero esserci 163 voti contrari". Un ragionamento un po' confuso, con 162 voti sarebbe certo che l'opposizione potrebbe al massimo raggiungere 160 voti, ma il vero errore sta nel computo della maggioranza che non è 162, ma 161 dato che il presidente non solo non vota, ma non votando non partecipa al quorum. "Se per la fiducia servisse una maggioranza assoluta, come per esempio per certe leggi, allora sì che il quorum si farebbe sugli aventi diritto - spiegano negli uffici del Senato - dato che la fiducia non richiede maggioranze qualificate, ma quella dei votanti, 161 è il numero che mette al riparo da ogni sorpresa". Anche perché altri nomi potrebbero venire fuori martedì quando il governo tornerà al Senato per la fiducia. Magari dall'azione sotterranea di Clemente Mastella, vero possibile traghettatore di senatori dal centrodestra.

Il centro-sinistra punta a raggiungere quota 161, senza i senatori a vita.

 Ma le difficoltà vengono ancora dai dissidenti di sinistra

ROMA.

I nomi nuovi del centrosinistra, quelli decisivi per fare restare Prodi in sella sarebbero Marco Follini e Luigi Pallaro. Si potrebbero aggiungere Giuseppe Saro e Giovanni Pistorio (Movimento per le Autonomie). Con loro il governo potrebbe contare su una maggioranza di 161 senatori eletti, maggioranza quindi autosufficiente e non bisognosa dell'apporto dei senatori a vita. Gli interessati per ora smentiscono o non confermano, l'unico che si dice possibilista è Luigi Pallaro. A lui del resto è dedicato un passaggio specifico nei "Punti programmatici" approvati dal vertice di maggioranza di giovedì notte: "Una incisiva valorizzazione per il sostegno e la valorizzazione del patrimonio rappresentato dalle comunità italiane all'estero". 161 voti al netto dei senatori a vita è quanto chiede Giorgio Napolitano al centrosinistra per il rinvio del governo Prodi alle Camere. Il centrosinistra è convinto di aver ottenuto la certezza di poter contare sui numeri giusti. E questo anche se Gianfranco Fini aveva parlato di "necessità che avesse almeno la maggioranza degli eletti, al netto dei senatori a vita". Panorama complesso quello del Senato, proprio per la presenza dei sette senatori di nomina presidenziale o di diritto (gli ex presidenti della Repubblica). Così da una parte ci sono i senatori eletti, 315, dall'altra i senatori a vita, 7. Se si sommano la maggioranza necessaria per avere la fiducia sale a 161 voti, altrimenti la maggioranza è 158. Così c'è una maggioranza politica (con gli eletti) e una reale (del plenum). Il centrosinistra rassicura il presidente Napolitano dicendo di averle entrambe. Ma se quella sui senatori a vita è palese (sono per il sì 4 su 7, Rita Levi Montalcini, Emilio Colombo, Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi), per quella "politica" le cose si fanno più complicate. Dopo le elezioni il centrosinistra aveva al Senato 159 voti. Con l'elezione di Franco Marini a presidente del Senato i voti a disposizione (per prassi parlamentare il presidente non vota) sono scesi a 158, con la defezione di Sergio De Gregorio sono diventati 157. 157 che tornano maggioranza assoluta solo con i 4 senatori a vita. Il problema da risolvere, in vista del rinvio di Prodi alle Camere, era tornare comunque a 158. Ovvero sostituire o reintegrare De Gregorio, meglio se con più senatori dato che nel centrosinistra potrebbero riaprirsi falle al momento del voto sull'Afghanistan. Franco Turigliatto, il trotzkista di Rifondazione in via di espulsione dal partito, ha già detto che voterà no, Fosco Giannini, altro senatore del Prc, si è detto pronto a votare sì sull'Afghanistan solo per disciplina di partito, mentre Fernando Rossi, ex Pdci ora con i Consumatori, dice che voterà la fiducia, ma sull'Afghanistan ci deve pensare. Tanto per capirci: con 156 senatori anche con i 4 senatori a vita è sconfitta sicura. E le condizioni di partenza del governo Prodi, con la fiducia ottenuta 165 a 155, sono ormai lontane (i senatori a vita votarono il sì). E' stata una giornata di telefonate, molte quelle di Fassino, leader dei Ds, di calcoli, di biglietti che passavano di mano. "Siamo 157 a 157 così, il che significa che se recuperiamo i dissidenti e Pallaro è fatta", spiega Bonelli, capogruppo dei Verdi alla Camera. Francesco Storace, senatore di An, tira fuori un calcolo che sembra rimettere tutto in discussione. "Senza senatori a vita - cerca di spiegare - l'asticella per una maggioranza vera è a 162, non a 161. Infatti i senatori sono 322. Togliendo il presidente dell'assemblea e i senatori a vita si scenderebbe a quota 314. Apparentemente basterebbero 158 senatori per determinare la maggioranza, ma ciò potrebbe non essere sufficiente perché potrebbero esserci 163 voti contrari". Un ragionamento un po' confuso, con 162 voti sarebbe certo che l'opposizione potrebbe al massimo raggiungere 160 voti, ma il vero errore sta nel computo della maggioranza che non è 162, ma 161 dato che il presidente non solo non vota, ma non votando non partecipa al quorum. "Se per la fiducia servisse una maggioranza assoluta, come per esempio per certe leggi, allora sì che il quorum si farebbe sugli aventi diritto - spiegano negli uffici del Senato - dato che la fiducia non richiede maggioranze qualificate, ma quella dei votanti, 161 è il numero che mette al riparo da ogni sorpresa". Anche perché altri nomi potrebbero venire fuori martedì quando il governo tornerà al Senato per la fiducia. Magari dall'azione sotterranea di Clemente Mastella, vero possibile traghettatore di senatori dal centrodestra.


 

La Stampa, del 24/02/2007   Blair a Bush: "Sull'Iran non ti seguo". Paolo Mastrolilli

TEHERAN SFIDA LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE: "NON CI LASCIAMO INTIMIDIRE DAI RAPPORTI DELL'AIEA" Blair a Bush: "Sull'Iran non ti seguo" [FIRMA]PAOLO MASTROLILLI NEW YORK L'Iran torna a sfidare la comunità internazionale, dicendo che non si lascerà intimidire dai rapporti dell'Aiea sul suo programma nucleare o dalle sanzioni Onu. Eppure mentre il vice presidente Cheney afferma che Washington non ha tolto alcuna opzione dal tavolo, e sui media continuano a filtrare indiscrezioni relative ai piani di attacco Usa, il premier britannico Blair esclude l'uso della forza e ospita a Londra il vertice per definire le nuove sanzioni contro Teheran. In sostanza la diplomazia internazionale, secondo varie indiscrezioni, pensa che la pressione applicata negli ultimi mesi sulla Repubblica Islamica stia muovendo qualcosa, e quindi vuole insistere su questa strada nella speranza di aprire un vero negoziato come quello nordcoreano. La parola ieri è tornata al presidente Ahmadinejad, che ha ripreso la linea dura per commentare il rapporto dell'Aiea: "L'Iran - ha detto durante un discorso - ha resistito ai bulli e alle potenze corrotte, e difenderà pienamente tutti i suoi diritti". Nello stesso tempo, però, ha parlato anche l'ex presidente Rafsanjani, che ha inviato un doppio messaggio. Da una parte, ha lanciato un avvertimento: "Dopo il rapporto dell'Aiea, i nostri avversari hanno ripreso le iniziative dure e le minacce, pensando ad una nuova risoluzione. Ma se continuerete ad agire con prepotenza, provocherete di sicuro molti problemi per voi, per il mondo e per la regione". Dall'altra parte, però, Rafsanjani ha fatto un'apertura: "Io consiglio alle altre potenze di tornare al tavolo del negoziato. Noi siamo pronti a dare tutte le garanzie necessarie". In giro si sentono ancora voci bellicose, come quella del vice presidente Cheney, che durante un'intervista alla Abc ha ribadito: "Stiamo seguendo la strada diplomatica, ma non abbiamo tolto alcuna opzione dal tavolo". Stavolta è toccato alla rivista Defense News spiegare cosa intendesse: un'operazione militare guidata dalle portaerei Eisenhower, Stennis e Reagan, che prenderebbe di mira le basi missilistiche iraniane, accecherebbe i radar, e poi distruggerebbe i siti nucleari, con i vettori lanciati dai sottomarini, i bombardieri B52 e le navi appostate nel Golfo Persico. Eppure il premier britannico Blair, prendendo ancora le distanze da Washington dopo l'annuncio del ritiro dall'Iraq, ha escluso l'uso della forza: "Non riesco a pensare che potrebbe essere giusto intraprendere un'azione militare contro l'Iran. Ciò che è importante è perseguire il canale politico e diplomatico". Non a caso proprio Londra ospiterà lunedì il vertice fra i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, per cominciare a discutere la seconda risoluzione Onu contro l'Iran. Le resistenze di Russia e Cina restano, ma i diplomatici britannici, francesi e americani pensano di poter convincere Mosca e Pechino ad adottare sanzioni più dure, in particolare contro l'apparato che finanzia e rifornisce la Guardia Repubblicana, ossia lo zoccolo duro militare del regime di Teheran. Il sottosegretario americano Burns ha detto al Washington Post che "continuo a ricevere offerte di dialogo dall'Iran. L'unica cosa che manca è la parola magica: sospensione dell'arricchimento dell'uranio". La diplomazia dunque pensa che sta facendo progressi. Nell'amministrazione americana i falchi, guidati da Cheney, insistono sull'opzione militare, ma tanto il capo del Pentagono Gates, quanto il segretario di Stato Rice, sarebbero contrari. Perciò si tornerà a discutere di sanzioni, nella speranza di convincere Teheran ad imitare Pyongyang.

TEHERAN SFIDA LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE: "NON CI LASCIAMO INTIMIDIRE DAI RAPPORTI DELL'AIEA"

NEW YORK L'Iran torna a sfidare la comunità internazionale, dicendo che non si lascerà intimidire dai rapporti dell'Aiea sul suo programma nucleare o dalle sanzioni Onu. Eppure mentre il vice presidente Cheney afferma che Washington non ha tolto alcuna opzione dal tavolo, e sui media continuano a filtrare indiscrezioni relative ai piani di attacco Usa, il premier britannico Blair esclude l'uso della forza e ospita a Londra il vertice per definire le nuove sanzioni contro Teheran. In sostanza la diplomazia internazionale, secondo varie indiscrezioni, pensa che la pressione applicata negli ultimi mesi sulla Repubblica Islamica stia muovendo qualcosa, e quindi vuole insistere su questa strada nella speranza di aprire un vero negoziato come quello nordcoreano. La parola ieri è tornata al presidente Ahmadinejad, che ha ripreso la linea dura per commentare il rapporto dell'Aiea: "L'Iran - ha detto durante un discorso - ha resistito ai bulli e alle potenze corrotte, e difenderà pienamente tutti i suoi diritti". Nello stesso tempo, però, ha parlato anche l'ex presidente Rafsanjani, che ha inviato un doppio messaggio. Da una parte, ha lanciato un avvertimento: "Dopo il rapporto dell'Aiea, i nostri avversari hanno ripreso le iniziative dure e le minacce, pensando ad una nuova risoluzione. Ma se continuerete ad agire con prepotenza, provocherete di sicuro molti problemi per voi, per il mondo e per la regione". Dall'altra parte, però, Rafsanjani ha fatto un'apertura: "Io consiglio alle altre potenze di tornare al tavolo del negoziato. Noi siamo pronti a dare tutte le garanzie necessarie". In giro si sentono ancora voci bellicose, come quella del vice presidente Cheney, che durante un'intervista alla Abc ha ribadito: "Stiamo seguendo la strada diplomatica, ma non abbiamo tolto alcuna opzione dal tavolo". Stavolta è toccato alla rivista Defense News spiegare cosa intendesse: un'operazione militare guidata dalle portaerei Eisenhower, Stennis e Reagan, che prenderebbe di mira le basi missilistiche iraniane, accecherebbe i radar, e poi distruggerebbe i siti nucleari, con i vettori lanciati dai sottomarini, i bombardieri B52 e le navi appostate nel Golfo Persico. Eppure il premier britannico Blair, prendendo ancora le distanze da Washington dopo l'annuncio del ritiro dall'Iraq, ha escluso l'uso della forza: "Non riesco a pensare che potrebbe essere giusto intraprendere un'azione militare contro l'Iran. Ciò che è importante è perseguire il canale politico e diplomatico". Non a caso proprio Londra ospiterà lunedì il vertice fra i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, per cominciare a discutere la seconda risoluzione Onu contro l'Iran. Le resistenze di Russia e Cina restano, ma i diplomatici britannici, francesi e americani pensano di poter convincere Mosca e Pechino ad adottare sanzioni più dure, in particolare contro l'apparato che finanzia e rifornisce la Guardia Repubblicana, ossia lo zoccolo duro militare del regime di Teheran. Il sottosegretario americano Burns ha detto al Washington Post che "continuo a ricevere offerte di dialogo dall'Iran. L'unica cosa che manca è la parola magica: sospensione dell'arricchimento dell'uranio". La diplomazia dunque pensa che sta facendo progressi. Nell'amministrazione americana i falchi, guidati da Cheney, insistono sull'opzione militare, ma tanto il capo del Pentagono Gates, quanto il segretario di Stato Rice, sarebbero contrari. Perciò si tornerà a discutere di sanzioni, nella speranza di convincere Teheran ad imitare Pyongyang.


 

Il Piccolo di Trieste,  del 24/02/2007  I cinesi, in competizione sin da piccoli

Renzo Isler, direttore di Generali China Life, al collegio universitario "Famiglia auxilium" "I cinesi, in competizione sin da piccoli" In pochi anni la Cina è diventata tra i paesi più competitivi dll'economia mondiale, a ridosso della Germania, terza dopo Usa e Giappone. "Lo sviluppo del Paese di Mezzo nel 21° secolo" è stato il tema della relazione che Renzo Isler, direttore di Generali China Life, ha tenuto giovedì sera a Palazzo Vivante, nell'ambito del ciclo di conferenze per gli studenti del collegio universitario "Famiglia auxilium". Generali China Life è la joint venture italo-cinese tra il Leone e China National Petroleum Corporation (Cnpc), colosso petrolifero nel nord della Cina, che ha 1 milione 300 mila dipendenti e che ha chiuso l'esercizio 2005 con un utile di 17 miliardi di euro. Generali China Life ha stabilito la sede nel 2002 a Canton, per poi aprire filiali a Pechino, Shanghai e Foshan. Oggi ha 610 dipendenti, di cui cinque italiani, compreso il direttore generale Renzo Isler. Il mercato assicurativo è in forte sviluppo nel "Paese di Mezzo" e le quote dei premi dell'azienda hanno toccato il 90% di tutte compagnie assicurative straniere in Cina. "La dote che maggiormente connota il popolo cinese, e non solo in questi decenni di boom economico - ha spiegato Isler - e che noi occidentali riusciamo a capire solo vivendoci, è la competitività che già da bambini porta ad affrontare la vita come una sfida per emergere. Non è mera ambizione, bensì la consapevolezza che solo studiando e lavorando al massimo si ottengono risultati e si possono migliorare le condizioni di vita". In un paese che conta un miliardo e 300 milioni di abitanti, dove gran parte della popolazione vive nelle campagne e un'altra parte in megalopoli ipertecnologiche, 250 milioni di cinesi guadagnano meno di un dollaro Usa e altri 700 milioni vivono con due dollari. A queste cifre si accompagna una crescita senza precedenti nell'economia mondiale, con un Pil che nel 2006 è cresciuto di oltre il 10%. Il problema della Cina - che può sembrare un paradosso - è che i cinesi non spendono, per cui si continua a produrre molti beni senza che a ciò corrisponda un adeguato consumo interno. I motivi per i quali i cinesi sono risparmiatori nati nascono dall'incertezza per il futuro e dal bisogno di accantonare liquidi per le spese delle quali lo stato non si fa carico, come l'assistenza sanitaria, l'educazione e il sistema pensionistico, appannaggio di pochi. La liquidità non spesa è sempre stata tradizionalmente convogliata in depositi bancari. Recentemente, invece, c'è il boom del mercato azionario e, vista la sfiducia verso il sistema pensionistico, sta acquisendo un ruolo sempre più importante il comparto assicurativo. Patrizia Piccione.

Renzo Isler, direttore di Generali China Life, al collegio universitario "Famiglia auxilium"

In pochi anni la Cina è diventata tra i paesi più competitivi dll'economia mondiale, a ridosso della Germania, terza dopo Usa e Giappone. "Lo sviluppo del Paese di Mezzo nel 21° secolo" è stato il tema della relazione che Renzo Isler, direttore di Generali China Life, ha tenuto giovedì sera a Palazzo Vivante, nell'ambito del ciclo di conferenze per gli studenti del collegio universitario "Famiglia auxilium". Generali China Life è la joint venture italo-cinese tra il Leone e China National Petroleum Corporation (Cnpc), colosso petrolifero nel nord della Cina, che ha 1 milione 300 mila dipendenti e che ha chiuso l'esercizio 2005 con un utile di 17 miliardi di euro. Generali China Life ha stabilito la sede nel 2002 a Canton, per poi aprire filiali a Pechino, Shanghai e Foshan. Oggi ha 610 dipendenti, di cui cinque italiani, compreso il direttore generale Renzo Isler. Il mercato assicurativo è in forte sviluppo nel "Paese di Mezzo" e le quote dei premi dell'azienda hanno toccato il 90% di tutte compagnie assicurative straniere in Cina. "La dote che maggiormente connota il popolo cinese, e non solo in questi decenni di boom economico - ha spiegato Isler - e che noi occidentali riusciamo a capire solo vivendoci, è la competitività che già da bambini porta ad affrontare la vita come una sfida per emergere. Non è mera ambizione, bensì la consapevolezza che solo studiando e lavorando al massimo si ottengono risultati e si possono migliorare le condizioni di vita". In un paese che conta un miliardo e 300 milioni di abitanti, dove gran parte della popolazione vive nelle campagne e un'altra parte in megalopoli ipertecnologiche, 250 milioni di cinesi guadagnano meno di un dollaro Usa e altri 700 milioni vivono con due dollari. A queste cifre si accompagna una crescita senza precedenti nell'economia mondiale, con un Pil che nel 2006 è cresciuto di oltre il 10%. Il problema della Cina - che può sembrare un paradosso - è che i cinesi non spendono, per cui si continua a produrre molti beni senza che a ciò corrisponda un adeguato consumo interno. I motivi per i quali i cinesi sono risparmiatori nati nascono dall'incertezza per il futuro e dal bisogno di accantonare liquidi per le spese delle quali lo stato non si fa carico, come l'assistenza sanitaria, l'educazione e il sistema pensionistico, appannaggio di pochi. La liquidità non spesa è sempre stata tradizionalmente convogliata in depositi bancari. Recentemente, invece, c'è il boom del mercato azionario e, vista la sfiducia verso il sistema pensionistico, sta acquisendo un ruolo sempre più importante il comparto assicurativo. Patrizia Piccione.

 

 

 

 

 

 

 

 


INDICE 23-2-2007

++ Dal Corriere della sera 23-2-2007 Lodo Mondadori, 1 anno e mezzo a Previti  Il verdetto del secondo processo d'appello  1

+ Da La Repubblica 23-2-2007 Tra pochi mesi gli Usa saranno in possesso dell'SSHCL Un laser da guerre spaziali contro missili e carri armati Di Luigi Bignami 2

+ Dal Corriere della sera 23-2-2007. Londra: «Temiamo attacco Usa contro Iran» Da Vienna: «Alcune informazioni americane sono inattendibili»  3

Da Europa 23-2-2007 Casini e Lombardo: nyet. Napolitano dà tempo all’Unione fino a stasera. Reincarico difficile, per ora al senato i voti non ci sono Ma se non riesce l’allargamento soft, lui molla  4

Da La Stampa 23-2-2007 - RETROSCENA Spunta l'ipotesi Marini: mandato esplorativo e governo istituzionale.  Augusto Minzolini 4

Dal Corriere della Sera 23-2-2007  Il sondaggio. Il centrodestra in vantaggio se si votasse ora. Renato Mannheimer 6

Dal Corriere della sera 23-2-2007 Pugno sul treno al dissidente Rossi. E Diliberto: comprendo la rabbia. Lorenzo Salvia  6

Da La Repubblica 22-2-2007 Dalla politica estera alle pensioni "Sì" dell'Unione ai 12 punti di Prodi 7

Dal Corriere della sera 22-2-2007 Il pressing su Follini e l'ipotesi «centrista»  9

Dal Corriere della Sera 22-2-2007 Nell'Unione spunta la tesi della congiura  9

Da Il Giornale 23-2-2007 L’Antitrust è scettica: «Banche dall’estero ma non si migliora» di Gian Maria De Francesco  10

Da La Stampa 22-2-2007 Blogger egiziano condannato per critiche al governo 11

 

 

 


++ Dal Corriere della sera 23-2-2007 Lodo Mondadori, 1 anno e mezzo a Previti  Il verdetto del secondo processo d'appello

La pena si aggiunge ai 6 anni per il caso Imi-Sir. Stessa sorte per gli altri imputati Pacifico e Acampora. Il deputato di FI: decisione scorretta

 

MILANO - Cesare Previti è stato condannato per corruzione a un anno e sei mesi per il caso Lodo Mondadori. Il verdetto arriva nel secondo processo d'appello a Milano, dopo 5 ore di camera di consiglio.
La pena si aggiunge ai 6 anni di reclusione avuti per il caso Imi-Sir. Lo stesso aumento di pena, sempre collegato alla sentenza Imi-Sir, è stato deciso per gli avvocati Attilio Pacifico e Giovanni Acampora, condannati rispettivamente dalla Cassazione a 6 anni e a 3 anni e 8 mesi. Più severa la pena inflitta all'ex giudice romano, Vittorio Metta, condannato a 2,9 anni di aumento di pena che si aggiungono ai 6 anni di Imi-Sir.
L'assoluzione dei quattro imputati dal parte della Corte d'appello di Milano era stata annullata dalla Cassazione che aveva disposto un nuovo processo.

LA DIFESA: «SENTENZA NON CONDIVISIBILE» - «Si tratta di una sentenza che non condividiamo assolutamente, non c’è prova di nulla». E’ questo il commento di Giorgio Perroni, uno dei legali di Cesare Previti. Previti è «sorpreso per una decisione scorretta» ha aggiunto Perroni.

23 febbraio 2007


+ Da La Repubblica 23-2-2007 Tra pochi mesi gli Usa saranno in possesso dell'SSHCL Un laser da guerre spaziali contro missili e carri armati Di Luigi Bignami

un'arma mobile che sprigiona la potenza di 100Kw

LA GUERRA combattuta con armi silenziose ma micidiali è sempre più vicina. Un laser messo a punto solo per scopi militari sta per scendere in campo con l'energia necessaria per distruggere un qualunque mezzo. L'SSHCL (Solid State Heat Capacity Laser) ha raggiunto in questi giorni i 67 kW (kilowatt) di potenza, in laboratorio. Stando ai tecnici ci vorranno ancora 6-8 mesi per raggiungere i fatidici 100 kW necessari per dar modo al laser di diventare un'arma da campo di battaglia. Laser di tale potenza sono in grado di abbattere missili, carri armati e qualunque mezzo militare gli si trovi di fronte.
E' da molti anni che i militari americani stanno cercando di mettere a punto un laser di questa potenza, ma fino ad oggi l'SSHCL era in grado di produrre una energia molto inferiore ai 100 kW. "Nel marzo del 2005, si riusciva a costruire laser in grado di produrre un raggio di potenza di soli 45 Kw, ma ora che abbiamo toccato i 67 kW, possiamo dire che non è lontano il traguardo dei 100 kW", ha spiegato Bob Yamamoto del Lawrence Livermore National Laboratory della California (Usa). L'annuncio è stato dato durante una conferenza scientifica tenuta dai militari americani ad Orlando, in Florida.
Il tentativo da parte degli Stati Uniti di costruire armi laser risale agli anni Sessanta, ma fino ad oggi la tecnologia non è mai stata in grado di raggiuingere questi obiettivi. In realtà i laser da laboratorio sono in grado di arrivare a potenze da megawatt (un megawatt equivale ad un milione di watt), ma tali macchine sono pesanti e molto grandi e richiedono un continuo rifornimento di materiale chimico per poter lavorare. Ciò che è necessario per avere un'arma è un laser anche molto meno potente, ma che sia facile da trasportare con un mezzo mobile.
"Con 45 kW di potenza e con un raggio di 2,5 cm di diametro è possibile perforare una lastra d'acciaio spessa 2 cm in 7 secondi. E' chiaro che la potenza del laser deve essere proporzionata all'obiettivo che si vuol distruggere. Se ad esempio si vuole fare esplodere dell'esplosivo scoperto lungo una strada si può anche sparare un raggio laser per 15 secondi ottenendo il risultato desiderato, ben diversa, invece, è la situazione che si deve affrontare quando si vuol distruggere un razzo in avvicinamento", ha spiegato Yamamoto. Un'arma del genere, infatti, sarebbe troppo poco potente per distruggere un missile in movimento. E' per questo che il limite minimo di potenza è stato fissato a 100 kW.
Il laser che sta per essere realizzato, sparerà 200 volte al secondo un raggio di luce la cui lunghezza d'onda sarà di un micron, anche se si sta studiando la possibilità di sparare raggi con continuità verso l'obiettivo da distruggere. "Con un laser da 100 kW - continua Yamamoto- potremo rendere inoffensivo qualunque oggetto ad una distanza di parecchi chilometri. E' difficile dare un valore assoluto della distanza a cui può arrivare un raggio laser perché è influenzato dalle condizioni atmosferiche, dall'umidità dell'aria, dalle nubi e ovviamente dalla natura dell'oggetto da distruggere".
Secondo i tecnici un laser da 100 kW potrà essere trasportato da un mezzo mobile non più lungo di una decina di metri. Nel futuro della guerra-laser ci sono macchine molto più potenti che saranno montate su aerei Boeing 747, le quali permetteranno non solo di essere estremamente mobili, ma di poter affrontare e distruggere qualunque tipo di arma a distanze di centinaia di chilometri.
(23 febbraio 2007)


+ Dal Corriere della sera 23-2-2007. Londra: «Temiamo attacco Usa contro Iran» Da Vienna: «Alcune informazioni americane sono inattendibili»

 

«Bush vorrà risolvere la questione prima delle elezioni». L'Aiea: «Teheran continua attività nucleari». Lunedì la decisione sulle sanzioni

 

LONDRA - Il governo britannico teme che l'amministrazione Usa voglia risolvere la questione nucleare iraniana «con mezzi militari» il prossimo anno, prima della fine del secondo mandato del Presidente George W. Bush. «Non vorrà lasciare la questione in sospeso al suo successore», ha detto un alto funzionario governativo al Times.
CONTRO L'INTERVENTO
- Giovedì il premier britannico, Tony Blair, ha espresso la sua contrarierà all'ipotesi di un intervento armato contro Teheran, definendolo un errore. In un'intervista alla Bbc, Blair ha dichiarato: «Non credo sarebbe appropriato lanciare un intervento militare contro l'Iran. Quello che è importante è proseguire lungo la via diplomatica e politica. Credo sia l'unica via per arrivare a una soluzione della questione iraniana».
RISOLUZIONE ONU - Lunedì prossimo, i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu (Russia, Usa, Regno Unito, Francia e Cina) e la Germania si riuniranno a Londra per redigere una prima bozza di risoluzione contro Teheran. L'Agenzia internazionale per l’energia atomica ha diffuso un rapporto in cui si afferma che l'Iran non ha sospeso le attività di arricchimento dell'uranio, come richiesto dall'Onu, e ha ignorato la scadenza posta dal Consiglio di Sicurezza. Lo stesso Consiglio di Sicurezza valuterà quindi la possibilità di inasprire le sanzioni già emesse contro Teheran con la risoluzione votata lo scorso 23 dicembre.

INFORMAZIONI INATTENDIBILI - Secondo un diplomatico dell'Aiea, però, gran parte delle informazioni di intelligence raccolte dalle agenzie Usa sugli impianti nucleari iraniani e trasmesse agli ispettori dell’Onu si sono rivelate inattendibili. «La maggior parte delle soffiate si sono rivelate inesatte - dicono le fonti - ci hanno trasmesso un documento con una lista di siti. Gli ispettori ne hanno verificati alcuni. Erano siti militari e non c'era traccia di attività nucleari vietate. Ora, gli ispettori non le seguono più alla cieca. Devono superare un test di credibilità».
AHMADINEJAD
- Nel frattempo arriva la nuova minaccia del presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad : «Il popolo dell'Iran è vigile, e difenderà a ogni costo tutti i suoi diritti», ha ammonito l'oltranzista presidente della Repubblica Islamica. «Il grande popolo iraniano opporrà resistenza agli oppressori, e non cederà di un millimetro», ha incalzato Ahmadinejad, citato dall'agenzia di stampa ufficiale 'Irna', durante un discorso pronunciato in pubblico nella provincia settentrionale di Gilan.

GLI SVILUPPI - La risoluzione del Consiglio di sicurezza sull'Iran (la 1737) è stata emanata il 23 dicembre scorso. Alla luce delle sue ripetute inadempienze, imponeva un pacchetto di sanzioni e intimava al governo di Teheran di sospendere ogni attività nucleare entro 60 giorni, pena il rischio di nuove, più severe, sanzioni. Il termine è scaduto e da Teheran non solo non sono giunti spiragli di cedimento ma al contrario solo dichiarazioni, per bocca anche del presidente Mahmud Ahmadinejad, di voler portare avanti il programma nucleare e non accettare condizioni dall'occidente. La risoluzione 1737 prevede l'imposizione di nuove sanzioni in base all'Articolo 41, Capitolo 7 della Carta dell'Onu in caso di mancato rispetto delle richieste da parte dell'Iran. Per farlo è necessaria però una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza. L'Art. 41 esclude tuttavia il ricorso alla forza. La comunità internazionale, Stati Uniti in primis, sospettano che dietro il mantello della ricerca nucleare, consentita a fini civili dal Trattato di non proliferazione (Tnt), Teheran stia in realtà lavorando alla bomba atomica. Nel rapporto di sei pagine inviato via mail da El Baradei all'Onu a New York e ai 35 membri del 'board', il consiglio dei governatori, dell'Aiea a Vienna, il direttore generale dell'Agenzia Onu certifica che l'Iran «non ha sospeso le sue attività legate all'arricchimento» di uranio e non ha ottemperato a «nessuna delle misure richieste di trasparenza». Teheran ha proseguito l'attività di arricchimento all'impianto pilota di Natanz con l'installazione di quattro cascate di 164 centrifughe (le macchine per produzione di combustibile nucleare) e pianifica l'allaccio progressivo «entro maggio 2007» di tutte le 3.000 centrifughe previste per arrivare a una produzione di uranio arricchito su scala industriale. La svolta negativa ha indotto il segretario generale del'Onu Ban Ki Moon, in visita a Vienna, a dirsi «profondamente preoccupato».

23 febbraio 2007


Da Europa 23-2-2007 Casini e Lombardo: nyet. Napolitano dà tempo all’Unione fino a stasera. Reincarico difficile, per ora al senato i voti non ci sono Ma se non riesce l’allargamento soft, lui molla

Prodi minaccia il ritiro

L’Unione tutta col premier.

            Giorgio Napolitano è impegnato ad esplorare meticolosamente tutte le possibili soluzioni di una crisi difficilissima, a partire dalla verifica della possibilità che Romano Prodi possa riconquistare la fiducia di palazzo Madama.Oggi seconda e ultima giornata di consultazioni ufficiali, salgono al Colle le rappresentanze parlamentari dei partiti medi e grandi, prima il centrodestra e poi quelli dell’Unione, con l’Ulivo a chiudere. Ieri, nella prima giornata di consultazioni del capo dello stato, dopo Marini e Bertinotti, sono stati protagonisti i partiti più piccoli, compresi gli one man party come quello di Follini, gli autonomisti siciliani di Lombardo, le varie rappresentanze delle minoranze linguistiche. Poche le notizie ufficiali, dichiarazioni ancora vaghe e molta ambiguità. La sensazione, a sera, era che i numeri al senato ancora non ci fosser e che il tentativo del centrosinistra di sostenere Romano Prodi per un rinvio del suo governo alle camere apparisse in salita. A chi gli ha parlato, il presidente del consiglio è sembrato a molto amareggiato, tentato dal gettare la spugna, facendo balenare l’ipotesi di un abbandono. In serata ha riunito tutti i leader della coalizione per prospettare un programma nuovo, definito da palazzo Chigi «non negoziabile», come base di un nuovo accordo di maggioranza.
Il centrodestra agita la bandiera della elezioni anticipate, ma nessuna ipotesi è da escludere.


Da La Stampa 23-2-2007 - RETROSCENA Spunta l'ipotesi Marini: mandato esplorativo e governo istituzionale.  Augusto Minzolini

Prodi ancora senza numeri

ROMA
Ore 14,30 di ieri. Nello studio di Palazzo Chigi dove il premier riunisce solo i fedelissimi va in scena l’autocoscienza di Romano Prodi con i prodiani. Ci sono i collaboratori dei momenti particolari, quelli che se il governo andrà a casa dovranno cercarsi un posto visto che non sono neppure parlamentari. Spiega il Professore stremato da una pressione che dura settimane: «Non mi va. O mi danno un mandato pieno e i numeri per governare o io in Parlamento neppure ci torno. Non ho voglia di stare sulla graticola. E al Senato a quest’ora abbiamo perso anche qualche voto rispetto a ieri. Per cui preparatevi, si va a casa. Torno in Parlamento solo se tutti i segretari della maggioranza mi daranno carta bianca, se saranno pronti a seguirmi su tutto, anche sull’Afghanistan. Se mi dicono no, stiano attenti: senza di me sono finiti per dieci anni».
Un passo indietro: mercoledì sera, in uno dei vertici della maggioranza che si sono succeduti a ritmo incalzante dopo il «botto» del Senato. D’Alema ancora accusa sul volto il voto che lo ha crocifisso nell’aula di Palazzo Madama. Un’altra «via crucis» non gli va. Addirittura non vorrebbe tornare neppure a fare il ministro degli Esteri, in un esecutivo pieno di contraddizioni. Magari preferirebbe uno scambio di ruoli con Fassino. Ma il personaggio è un soldato e se la patria - cioè il centro-sinistra - lo chiamasse non saprebbe rifiutare. Detto questo lascia ai compagni di partito una riflessione che è un programma: «Se facciamo un governo raffazzonato, senza una linea chiara e numeri certi, rischiamo di cadere un’altra volta tra qualche mese. E a quel punto Napolitano sarebbe obbligato a sciogliere le Camere».
Ora un passo avanti: metà pomeriggio di ieri, quando allo Studio alla vetrata il Capo dello Stato riceve i rappresentanti di uno dei piccoli partiti del centro-destra. Osserva Napolitano: «I numeri per la fiducia al Senato al momento Prodi non li ha. E’ fermo a 155 voti. Credo però che l’idea di andare alle elezioni sia sbagliata e controproducente. Con questa legge elettorale dal voto al massimo potrebbe venir fuori una situazione ribaltata: il centro-destra potrebbe conquistare la Camera ma si dovrebbe accontentare di una maggioranza risicata al Senato. Rischiamo di condannare il Paese all’ingovernabilità». Un discorso che trova l’interlocutore attento. Tant’è che l’alleato di Berlusconi risponde: «Vede, Presidente, io sono per le elezioni, ma non per andarci subito. L’idea di cambiare la legge elettorale prima, mi sembra più che ragionevole...». Passa mezz’ora e lo stesso personaggio parla degli stessi argomenti nello studio di Berlusconi a Palazzo Grazioli. Il circo Barnum che ruota attorno al Cavaliere sta già andando in scena: gli intelettuali amici chiedono le elezioni a gran voce e il popolo dei «fax» suona lo stesso spartito. L’ex premier, al solito, è indeciso. Da una parte deve accontentare Bossi che vuole dare voce alla piazza. Dall’altra ascolta il fido Letta che gli raccomanda di non chiedere le elezioni a Napolitano. Per cui Berlusconi si prepara a ponderare le parole, ben sapendo che se chiede le elezioni ora non le avrà mai, mentre con un minimo di ragionevolezza potrebbe strapparle fra un anno. Risultato: salirà al Colle con questo schema in testa: «Caro Presidente, io sono per il voto subito, ma se lei ha un’altra proposta sono pronto ad ascoltarla». Insomma, la porta ad un governo «istituzionale» o «tecnico» resta aperta.
Ecco perché, almeno a ieri sera, l’ipotesi di un ritorno di Prodi a molti appariva improbabile, ridotta a un lumicino, mentre si faceva largo l’ipotesi di un mandato esplorativo da affidare al presidente del Senato propedeutico a un governo istituzionale affidato allo stesso Marini per lasciare la presidenza del Senato a un esponente del centro-destra come Pisanu. Una situazione scaturita, soprattutto, dalle difficoltà incontrate da Prodi e dal centro-sinistra di arruolare senatori dell’opposizione e di riassorbire i due-tre della sinistra radicale che sono orientati a non votare il rifinanziamento della missione in Afghanistan. «Abbiamo fatto il possibile - confidava nel pomeriggio il capogruppo di Rifondazione Russo Spena - ma con Turigliatto non ci siamo riusciti. Come Diliberto difficilmente riuscirà a convincere Rossi». Anche il «suk» sulla compravendita dei voti non ha avuto - almeno a ieri sera - un esito migliore per il governo: Follini ha continuato a tergiversare, mentre Lombardo ha chiesto in cambio la costruzione del ponte di Messina. In più ieri il senatore Pallaro dopo aver annunciato il voto contrario al Professore è salito sull’aereo per l’Argentina. Cossiga ha detto che voterà contro una «riedizione» di Prodi e lo stesso Andreotti ha fatto sapere di pensare ad altro. Stesso discorso vale per i corteggiamenti all’Udc di Casini. «Ho detto a D’Alema - racconta Mastella che conosce bene l’amico “Ferdi” - che era inutile quando ci ha provato. E ho ripetuto la stessa cosa a Rutelli e Fassino. Casini con Diliberto non ci sta».
Un discorso che ripete pure l’interessato il quale, però, ha una sua idea sulla crisi: «Noi - spiega il leader dell’Udc forse per schermirsi - non siamo interessati a un allargamento della maggioranza. Vogliamo una fase nuova. Ecco perché si arriverà alla replica di Prodi. Questa maggioranza non ha intenzione di ammettere che non è autosufficiente né numericamente né politicamente. Tenterà solo di strappare qualche voto qui e là. Andrà ad una soluzione di basso profilo che farà comodo solo a Prodi. Per ogni altra ipotesi manca la fiducia: D’Alema e gli altri si fidano di me ma non di Berlusconi, pensano che la sua disponibilità ad un altro governo nasconde il proposito di prenderli di infilata per andare alle elezioni. E visto che non si fidano non hanno intenzione di imbarcarsi in un drammatico regolamento di conti con Prodi. Tutto inutile. Io parto per la montagna». Un’analisi che condivide lo stesso Fini: «Pier Ferdinando è realista. Quelli minacceranno i dissidenti e riporteranno Prodi alla Camera per una soluzione che durerà 15 giorni o sei mesi. Un governo fotocopia con i Ds logorati: il voto del Senato è un altro sfregio a D’Alema».


 Dal Corriere della Sera 23-2-2007  Il sondaggio. Il centrodestra in vantaggio se si votasse ora. Renato Mannheimer

 

 

Nessuno può oggi prevedere chi vincerebbe eventuali nuove elezioni. Sia perché lo scenario attuale è caratterizzato, come in passato, da coalizioni che hanno un seguito quantitativamente simile, sia, specialmente, perché l’esito dipende, al solito, dagli argomenti e dagli slogan che verranno adottati per convincere gli indecisi. Questi costituiscono oggi poco meno del 30 per cento della popolazione. Tra essi, però, convivono gradi di incertezza assai diversi. La quota limitata (grossomodo l’8 per cento dell’elettorato), i «lontani dalla politica», non prende in considerazione nessun partito, dichiara di volersi astenere e, probabilmente, lo farà davvero. Altri (9 per cento circa), pur volendo (forse) votare, non sanno bene che fare e affermano per ora di prendere in considerazione entrambe le coalizioni.

Altri ancora, pur non avendo a tutt’oggi un’idea precisa, sono genericamente orientati verso l’uno o l’altro polo, con una esigua prevalenza dei simpatizzanti (tiepidi) per il centrosinistra. Anche tra costoro, probabilmente, molti finiranno con l’astenersi: l’esito della consultazione si baserà soprattutto sulla capacità dei partiti di spingere a votare chi pencola ancora tra l’astensione e un debole orientamento. Un secondo settore di elettorato, assai più numeroso, esprime invece una intenzione di voto. Tra costoro si riscontra, ormai da diverso tempo, una maggioranza di consensi per il centrodestra. È l’effetto del progressivo calo di simpatia per il governo: per motivi diversi esso ha finito col scontentare anche parte del suo stesso elettorato.

Di conseguenza, una quota di elettori del centrosinistra alle ultime elezioni dichiara oggi di volersi astenere o di essere comunque indecisa su cosa scegliere. Ma anche tra chi manifesta una intenzione di voto, si riscontrano diversi gradi di decisioni. Alcuni, in misura diversa tra le due coalizioni, si dichiarano assolutamente certi della propria scelta. Si tratta del 31 per cento dell’elettorato a favore della Cdl e poco più, il 35 per cento, a favore del centrosinistra. Per stimare correttamente il seguito attuale delle coalizioni occorre però considerare (e aggiungere nel computo) quanti dichiarano un’opzione forte per l’uno o per l’altro polo, pur confessando, al tempo stesso, di «prendere in considerazione », sebbene con meno convinzione, anche una o più forze politiche appartenenti alla coalizione opposta o esterne ad entrambe. Si tratta dei «potenzialmente infedeli »: la grande maggioranza finirà col confermare il vo to alla propria coalizione di riferimento, ma una parte, se pur minima, potrebbe spostarsi a seguito della campagna elettorale.

Essa costituisce un possibile e appetitoso terreno di conquista, anche se, rispetto ai totalmente indecisi, è talvolta assai più difficile da persuadere. I «potenzialmente fedeli» sono presenti più nel centrodestra che nel centrosinistra. Proprio questa circostanza determina il carattere un po’ paradossale dell’attuale distribuzione delle intenzioni di voto. Sul piano delle opzioni indicate, infatti, il centrodestra è in netto vantaggio. Masu quello delle potenzialità, delle disponibilità espresse è il centrosinistra a trovarsi favorito, sia tra gli indecisi, sia tra i potenzialmente infedeli. Si tratta però di consensi da conquistare attraverso la campagna elettorale: il che appare tutt’altro che facile.

23 febbraio 2007


Dal Corriere della sera 23-2-2007 Pugno sul treno al dissidente Rossi. E Diliberto: comprendo la rabbia. Lorenzo Salvia

 

Un ex compagno del Pdci: l’ho preso col dorso dell’indice. Il ribelle: non lo denuncio

 

ROMA — Uno parla di «cazzottone in faccia», l’altro di «manata sul naso, l’ho colpito con il dorso dell’indice». Fatto sta che i e r i s e r a s u l l ’ E u r o s t a r Roma—Milano è andato in scena il secondo round del match visto mercoledì nell’Aula del Senato. Da una parte Fernando Rossi, il senatore uscito dai Comunisti italiani ora indipendente dei Consumatori che non partecipando al voto ha contribuito ad affondare il governo, attirandosi le ire di Diliberto e del centrosinistra tutto. Dall’altra Nino Frosini, segretario regionale del Pdci in Toscana. L’Eurostar delle 18 e 30 è appena partito dalla stazione Termini. Il senatore Rossi è seduto da solo in prima classe. Entrano altri passeggeri in cerca del loro posto. Dalla porta sbuca il segretario del Pdci toscano, Frosini, accompagnato da un collaboratore e da una donna. È il destino a volere l’incontro. Mentre Frosini cerca il numero della sua poltrona si vede davanti i baffoni del senatore Rossi. I due, ex compagni di partito, si riconoscono. Pochi secondi di silenzio. Poi Frosini rimette il biglietto in tasca e dice ai suoi: «Andiamo via, che io con questo qui non ci voglio stare». Rossi risponde: «Ma dai, vieni qui non fare il coglione. Che ti sei bevuto il cervello anche tu?».

I due si avvicinano, a portata di sberla. «Non mi rivolgere la parola pezzo di merda, ti dovresti vergognare, vuoi rimandare su Berlusconi?», urla il segretario del Pdci. «Ma cosa cazzo dici, imbecille» risponde il senatore. È a questo punto che arriva il pezzo forte. Ma qui le due versioni sono un po’ diverse. Racconta Rossi: «Prima mi ha puntato il dito contro l’occhio, io mi sono girato e lui me l’ha infilato nell’orecchio. Alla fine mi ha tirato un bel cazzottone sulla testa. E si è allontanato dicendo che ero fortunato perchéme l’aveva dato piano». Racconta Frosini, invece: «Macché cazzottone in faccia. Sì, è vero: l’ho colpito.

Ma gli ho dato una manata e l’ho colpito al naso con il dorso dell’indice. Tutto qua». Intanto corre voce che Frosini sia un ex pugile dilettante. L’episodio rimbalza a Palazzo Chigi. All’uscita del vertice di maggioranza davanti a Prodi, D’Alema e Fassino, ne parlano il segretario del Pdci, Oliviero Diliberto, e Bruno De Vita, della Lista consumatori, il nuovo partito di Rossi. Racconta Rossi: «Commentando l’episodio Diliberto ha detto a De Vita che già avevano cominciato a farmi capire la lezione. È un fatto gravissimo. Prodi deve pretendere dal segretario del Pdci una presa di posizione». Diliberto smentisce: «Ho detto “purtroppo è vero” ma non ho giustificato in alcun modo».

E poi aggiunge: «Deploro ogni forma di violenza ma l’esasperazione alimentata dal comportamento di Rossi e dal tradimento del mandato elettorale se non giustifica aiuta a comprendere l'arrabbiatura dei nostri compagni». Dopo lo scontro sul treno i due contendenti si separano. Il segretario del Pdci toscano cambia carrozza e poi scende come previsto a Firenze. Rossi prosegue fino a Ferrara e resta seduto al suo posto. Parla di aggressione anche se non vuole sporgere denuncia e dice di «non aver paura perché posso camminare a testa alta». Frosini non chiede scusa: «Non sono pentito di avergli detto che non voglio il suo saluto e non sono pentito di averlo colpito perché non gli ho tirato un cazzotto. Non c’era violenza ».

Crede di aver interpretato la delusione di milioni di elettori del centrosinistra? «Credo che molti italiani siano incavolati con lui e prendo atto con soddisfazione che il loro sentimento è in linea con il mio. Ma spero che questo sentimento popolare non si trasformi in gesti violenti. Insomma non voglio che Rossi sia colpito da milioni di ditate al naso. Ma forse, visto quello che ha combinato, una se la può tenere senza brontolare».

23 febbraio 2007


Da La Repubblica 22-2-2007 Dalla politica estera alle pensioni "Sì" dell'Unione ai 12 punti di Prodi

 

In poco più di un'ora, i leader del centrosinistra hanno approvato il documento del premier per mettere in piedi il "Prodi bis"

Non ci sono i Dico e si definisce anche il portavoce nella persona di Siriana Il "sì" convinto di Fassino, la "soddisfazione" di Diliberto

 

ROMA - Dodici punti non negoziabili. Approvati in poco più di un'ora da tutti i leader del centrosinistra riuniti con Prodi a Palazzo Chigi. C'è la politica estera con la missione in Afghanistan e la fedeltà alla Ue e alla Nato; non ci sono i Dico (che diventano materia parlamentare) e c'è la Tav; ci sono il riordino del sistema pensionistico e il rilancio di una politica della famiglia. Manca quasi completamente un riferimento a politiche sociali e del lavoro, ma è possibile che questi punti servissero più a definire le cose controverse lasciando implicite tutte quelle su cui non ci sono stati problemi nella maggioranza. Si arriva persino a definire che Sircana sarà il portavoce unico del governo e che Prodi avrà l'autorità di fare la sintesi della posizione del governo in tutti i casi di disaccordo.
Ma la discussione sul "prendere o lasciare" del premier uscente, deve essere stata ridotta al minimo. Con Prodi deciso a non negoziare più nulla e a chiedere ai partiti un mandato chiaro e senza "ma". Con una premessa piuttosto dura che suona critica nei confronti di ministri e partiti di governo: "Il comportamento e le azioni dei singoli, ministri e forze politiche, hanno costantemente provocato una litigiosità e una strisciante contrapposizione di posizioni che ha oggettivamente logorato tutto il governo" . Parole pesanti che, però, non sembrano aver offeso nessuno. Tutti hanno sottoscritto. All'uscita da palazzo Chigi, Oliviero Diliberto ha detto: "Proseguiamo insieme. Io sono molto soddisfatto".
Fassino ha parlato del pieno accordo della maggioranza a ribadire la fiducia a Prodi e della necessità di "garantire il pieno sostegno a Prodi e uscire rapidamente dall'impasse di questi giorni". D'Alema si è detto convinto che, adesso, "c'è un mandato forte per rilanciare l'azione del governo". Mastella ha fatto sapere che, stando alla sua "personale contabilità, adesso i numeri ci sono".
C'è da pensare che Prodi e i suoi sapessero a chi altro, al di fuori dei leader presenti, sono destinati questi punti che dovrebbero servire a garantire, al Senato, i voti che sono mancati l'altro giorno. Non a caso, a quanto si apprende, lo stesso Mastella, insieme a Enrico Letta, hanno incontrato poco prima, Marco Follini, discutendo con il leader di "Italia di mezzo" i punti di Prodi.
Una critica arriva da chi alla riunione non c'era, il ministro della solidarietà Paolo Ferrero: "La cosa che mi colpisce di più è quello che manca dal documento: il tema della precarietà, la lotta all'evasione, la lotta alla povertà, punti qualificanti, mi sembra non compaiano. Gli elementi di società non compaiono. Sembra uno schema in cui i livelli di emergenza sociale restano sullo sfondo. Per un governo di sinistra penso debbano avere un peso diverso".
Nella riunione di maggioranza, i numeri sarebbero rimasti sullo sfondo, ma si parla di un "rientro" di Rossi e Turigliatto che avrebbero garantito il voto di fiducia e di "qualche piccolo acquisto al centro".

Ed ecco i punti di Prodi:

1. Politica estera. "Rispetto degli impegni internazionali e di pace. Sostegno costante alle iniziative di politica estera e di difesa stabilite in ambito Onu ed ai nostri impegni internazionali, derivanti dall'appartenenza all'Unione Europea e all'Alleanza Atlantica, con riferimento anche al nostro attuale impegno nella missione in Afghanistan. Una incisiva azione per il sostegno e la valorizzazione del patrimonio rappresentato dalle comunità italiane all'estero".
2. Scuola e cultura. "Impegno forte per la cultura, scuola, università, ricerca e innovazione".
3. Infrastrutture e Tav.
"Rapida attuazione del piano infrastrutturale e in particolare ai corridoi europei (compresa la Torino-Lione). Impegno sulla mobilità sostenibile".
4. Fonti energetiche. "Programma per l'efficienza e la diversificazione delle fonti energetiche: fonti rinnovabili e localizzazione e realizzazione rigassificatori".
5. Liberalizzazioni.
"Prosecuzione dell'azione di liberalizzazioni e di tutela del cittadino consumatore nell'ambito dei servizi e delle professioni".
6. Mezzogiorno.
"Attenzione permanente e impegno concreto a favore del Mezzogiorno, a partire dalla sicurezza".
7. Riduzione della spesa pubblica. "Azione concreta e immediata di riduzione significativa della spesa pubblica e della spesa legata alle attività politiche e istituzionali (costi della politica)".
8. Pensioni. "Riordino del sistema previdenziale con grande attenzione alle compatibilità finanziarie e privilegiando le pensioni basse e i giovani. Con l'impegno a reperire una quota delle risorse necessarie attraverso una razionalizzazione della spesa che passa attraverso anche l'unificazione degli enti previdenziali".
9. Politiche della famiglia. "Rilancio delle politiche a sostegno della famiglia attraverso l'estensione universale di assegni familiari più corposi e un piano concreto di aumento significativo degli asili nido".
10. Incompatibilità. "Rapida soluzione della incompatibilità tra incarichi, di governo e parlamentari, secondo le modalità già concordate".
11. Portavoce. "Il portavoce del presidente, al fine di dare maggiore coerenza alla comunicazione, assume il ruolo di portavoce dell'esecutivo".
12. Autorità del premier. "In coerenza con tale principio, per assicurare piena efficacia all'azione di governo, al presidente del Consiglio è riconosciuta l'autorità di esprimere in maniera unitaria la posizione del governo stesso in caso di contrasto".

(22 febbraio 2007)


Dal Corriere della sera 22-2-2007 Il pressing su Follini e l'ipotesi «centrista»

 

«Si può discutere se c'è una strategia nuova»

Per l'ex leader Udc un lungo colloquio telefonico con Prodi. Contatti anche con D'Alema e Fini

 

ROMA - Giornata ricca di colloqui e contatti per Marco Follini, prima dell'appuntamento al Quirinale con il Capo dello Stato per le consultazioni sulla crisi di governo in programma alle 18. L'ex leader Udc, fondatore dell'Italia di Mezzo, secondo quanto si è appreso, ha avuto in giornata colloqui telefonici con il premier Romano Prodi (una conversazione piuttosto lunga), il vicepremier Massimo D’Alema (due conversazioni telefoniche) e il presidente di An Gianfranco Fini.
DISPONIBILITA'
- A tutti Follini, racconta chi è vicino all'ex vicepremier, ha ripetuto lo stesso ragionamento: disponibilità a discutere con il centrosinistra ma in presenza di un programma e di una strategia nuova rispetto a quella attuale dell'Unione, con una chiara «svolta centrista» nei contenuti. No, dunque, a semplici forme di allargamento o sostegno all'attuale programma di governo, con lui mai concordato e da lui mai sottoscritto oltreché spesso non condiviso.
ARRIVEDERCI - Sempre secondo quanto si è potuto apprendere, tanto Prodi come D'Alema avrebbero ascoltato con molta attenzione le parole e le richieste di Follini, congedandosi con una sorta di «arrivederci», condizionato alla possibilità di essere nelle condizioni di «ragionare sul percorso» prospettato da Follini, previsa consultazione con il resto dell'Unione. Un «percorso», dunque, legato a «contenuti nuovi» del governo Prodi che Follini naturalmente è intenzionato a prospettare anche al Capo dello Stato, in modo che sia poi il Presidente, nella suo delicato compito di verifica istituzionale al più alto livello, a valutare se tanto si possa realizzare e possa eventualmente bastare per una nuova fiducia parlamentare al governo Prodi.

22 febbraio 2007

 


Dal Corriere della Sera 22-2-2007 Nell'Unione spunta la tesi della congiura

 

D'Alema litiga con Mastella, Verdi e Rifondazione: è anche colpa vostra

Trattative Fassino-Udc; Latorre: contro di noi un asse tra Vaticano e Usa. Prodi vuole un «governo del premier», no degli alleati

 

ROMA — È il giorno dei sospetti e dei rancori. I sospetti di chi, come il dalemiano Latorre, osserva quel che si è appena consumato nell'aula del Senato e a caldo dice che «questa è un'operazione di vecchio stampo democristiano nella quale si incrociano i voleri del Vaticano e di altri all'estero. Perché fino a un minuto prima del voto, Andreotti aveva garantito il suo appoggio». Ma è come se il vicepresidente dei senatori dell'Ulivo non sapesse o non sentisse i sussurri provenienti dai banchi della maggioranza, dove alcuni suoi alleati ragionavano più o meno come Berlusconi, secondo cui «a Prodi l'hanno fatta pagare perché con le sue mosse di potere ha pestato i piedi a troppi. A partire da D'Alema».

Ma nessun leader ha il tempo e la voglia di intrattenersi sulla questione, se cioè il voto di palazzo Madama sia stato il frutto di una trappola, o se invece sia stata la semplice dimostrazione che al Senato il centrosinistra non dispone di una maggioranza. La crisi è al buio. E al buio si muovono tutti gli attori. Basti pensare alle consultazioni riservate di Fassino, che subito dopo il crac del governo chiama Casini per chiedergli una disponibilità ad allargare la maggioranza: «Non se ne parla, a meno che non mettiate sul tavolo la testa di Prodi». Fassino è lo stesso che qualche ora dopo annuncerà a Di Pietro la volontà dei Ds di «finirla immediatamente con un inutile stillicidio. Meglio sarebbero le elezioni anticipate».

E intanto si avviano trattative parallele, alcune di una certa consistenza, con Follini e Lombardo, per esempio. Prodi vede nei due centristi una ciambella di salvataggio per il Senato: «O c'è un fatto nuovo e riusciamo ad allargare la maggioranza — commentava a tarda ora con alcuni ministri — o restano solo le elezioni anticipate». D'altronde il quadro è chiaro, come ha spiegato ieri a muso duro la Finocchiaro al vertice dell'Unione, «se ancora non ve ne siete resi conto, al Senato non siamo più maggioranza».

Prodi è imprigionato a questo schema, anche se lo stesso Berlusconi misura l'impotenza di leader dell'opposizione, perché Casini si muove per conto proprio e non gli offre la sponda, almeno non al momento. E allora non ha senso giocarsi ora i nomi di Marini o Dini per un eventuale governo di larghe intese. La palla sta nel campo avverso, dove al buio si sentono cose strane. Una di queste Di Pietro l'ha raccontata ai suoi, dopo la riunione di maggioranza e quella del governo: «C'è stato chi ha proposto un esecutivo con i quattro maggiori partiti. E Prodi si è infuriato. Casini no, non viene. Pare abbia chiesto per sé la presidenza del Consiglio».

Non esiste. Come non esistono le elezioni. Anche perché Prodi non intende lasciare palazzo Chigi, anzi ha persino proposto un «governo del presidente» con pochi ministri e un gruppetto di sottosegretari. Proposta respinta al mittente, al pari di un'altra sua idea — buttata lì in Consiglio dei ministri — quella cioè di «un grande partito democratico dall'Udeur a Rifondazione». In questo caso il silenzio che è seguito non era di assenso, ma di stupore generale. E mentre si susseguono voci e proposte, Mastella cova il sospetto che qualcosa di vero ci sia nel pissi-pissi di Palazzo, e che D'Alema stia «inciuciando per farci fuori» con il Cavaliere.

È dalla riunione di governo che non smette di pensarci, da quando ha avuto un alterco con il titolare della Farnesina. «Non ci sono le condizioni per andare avanti», ha detto D'Alema. E Mastella: «Scusa Massimo, stai dicendo che non c'è più nulla da fare? Perché se qualcuno pensa a un governo di larghe intese per fottere i partiti piccoli con una nuova legge elettorale, siamo al liberi tutti».

Non è stato l'unico scontro che il ministro degli Esteri ha sostenuto. Già prima si era rivolto con durezza verso altri colleghi: «Se Prodi andasse al Senato per chiedere la fiducia, sarebbe come giocare alla roulette russa. E se sul decreto per le missioni militari mancasse la maggioranza? Avremmo chiuso per sempre, ve ne rendete conto. Eppoi, diciamocelo francamente, dov'è la maggioranza? Tu, Di Pietro, ti sei perso dei pezzi per strada. E anche tu, Pecoraro Scanio. E voi di Rifondazione, caro Ferrero». «Mica possiamo ammazzarli di botte i nostri», ha risposto il ministro del Prc. «Il fatto è — ha ripreso D'Alema — che voi avete creato le condizioni di questo sfilacciamento, alimentando un clima che non siete poi riusciti a governare con quei pazzi...».

D'Alema schierato al fianco di Prodi ha destato sensazione a molti, anche a Rutelli, che certo aveva riconosciuto «la crisi politica della maggioranza», ma proponeva di andare al Senato per chiedere la fiducia, «per non dare la sensazione che l'alleanza si sia già consumata»: «Credo sia meglio non passare per le dimissioni del premier, perché non è con le consultazioni che si allarga il consenso». Invece Prodi ha deciso, «così non posso andare avanti», e giù lamentele «sui comportamenti di questi mesi che hanno indebolito il governo»: «Ora è inutile fare appelli alla solidarietà, la verità è che mentre io mi prodigavo a tenere in piedi la coalizione, non c'è stato giorno senza un distinguo, senza un "non ci sto". Se torno, non vorrò più vedere scene come quelle sull'indulto, o esponenti di governo alle manifestazioni». Prodi tornerà, così pare. Certo anche a lui ieri ha fatto sensazione vedere D'Alema così solidale.

Francesco Verderami

22 febbraio 2007


Da Il Giornale 23-2-2007 L’Antitrust è scettica: «Banche dall’estero ma non si migliora» di Gian Maria De Francesco

- venerdì 23 febbraio 2007, 07:00 da Roma
«L’avvento di banche straniere non ha portato, per ora, alcun beneficio sul mercato perché non c’è stato un aumento della concorrenza». Il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, non ha utilizzato eufemismi e ha criticato il luogo comune secondo il quale l’avvento di istituti di credito esteri in Italia coincide con un miglioramento della qualità e del costo dei servizi.
La sortita di Catricalà è giunta in un momento delicato per il settore nel quale, oltre alle fibrillazioni interne a Capitalia, si stilano i primi bilanci della Bnl francese e dell’Antonveneta olandese. Secondo il presidente dell’Autorità, la prosecuzione del movimento di integrazione tra gli operatori potrebbe migliorare la situazione. «Speriamo che ciò accada con le aggregazioni - ha detto - ma il vero problema è che queste integrazioni si fanno tra banche nelle quali ci sono intrecci azionari. Questo è il tessuto del nostro capitalismo».
L’obiettivo principale, quindi, è recidere i legami tra banche e banche e tra banche e imprese. «Bisogna cercare di attenuare questi intrecci - ha aggiunto - e tutta la nostra azione è volta soprattutto ad avere una competizione chiara. Per far scendere il profitto di concorrenti forti ci vuole una forza politica molto più grande dell’Antitrust». Tagliare i ponti con il passato non è facile anche in ragione dell’eredità del criterio di «vigilanza prudenziale» che, applicato fino all’entrata in vigore della legge sul risparmio dalla Bankitalia pre-Draghi, ha prodotto la situazione attuale.
Le affermazioni di Catricalà non hanno rappresentato un puro esercizio retorico, ma sono state rivolte a una platea di soggetti interessati nel corso di un convegno della Fondazione Einaudi. Come il commissario Ue alla Concorrenza, Neelie Kroes, il presidente Abi, Corrado Faissola, e gli amministratori delegati di Intesa Sanpaolo e Unicredit, Corrado Passera e Alessandro Profumo. Kroes ha ricordato che «in Italia i costi dei conti correnti sono sei volte superiori alle media dell’Ue-25» plaudendo all’iniziativa Abi di abolizione dei costi di chiusura.
Passera ha messo in evidenza altre particolarità dell’anomalia italiana come il «costo del lavoro, le tasse più elevate e l’uso eccessivo del contante» che incidono sui prezzi dei servizi. Gli intrecci non sono un problema. «Le nostre partecipazioni sono lo 0,5% degli attivi e hanno consentito sostegno a grandi operazioni».
Profumo, invece, ha toccato un nervo scoperto: le aggregazioni devono essere condizionate alla creazione di valore nel tempo. «Le operazioni ostili - ha sottolineato - nel nostro settore sono impossibili. Se gli azionisti aderissero a un’Opa e il management se ne andasse, non converrebbe comperare un asset il cui valore precipita». Una supremazia dei manager? «No - ha spiegato al Giornale - perché anche senza un azionariato stabile l’asset si deprezza». Allo stesso modo, «non è detto che la proprietà sia allineata ai vantaggi della comunità» ha detto riferendosi ai micromonopoli delle Sparkasse tedesche. Gli intrecci non sono un problema. «Il rendimento di un investimento deve essere superiore al costo del capitale. Punto».

 


Da La Stampa 22-2-2007 Blogger egiziano condannato per critiche al governo

ALESSANDRIA D'EGITTO
Un tribunale di Alessandria d'Egitto ha condannato oggi un blogger egiziano per aver criticato il presidente Egiziano Hosni Mubarak e la religione islamica. Il giudice gli ha inflitto una pena di quattro anni di reclusione per il contenuto dei suoi articoli pubblicati sulla Rete.
Abdel Karim Suleiman, un ex studente di legge, è stato il primo blogger egiziano a essere citato in giudizio per il contenuto del suo blog. Si trova sotto custodia da novembre, dopo aver scritto otto articoli sul suo blog dal 2004.
I movimenti per i diritti civili e i blogger vicini all'opposizione hanno seguito con attenzione il caso Suleiman, preoccupati che una condanna possa creare un precedente legale per limitare la libertà di espressione sulla Rete in Egitto, il paese più popoloso del mondo arabo.
Internet è diventato il medium più utilizzato dagli egiziani che vogliono criticare il loro governo, in un paese dove i mezzi di comunicazione più importanti sono di proprietà dello Stato.
Suleiman, un musulmano liberale, non ha negato di essere l'autore degli articoli, ma ha dichiarato di aver solamente espresso il suo punto di vista.
In uno degli articoli incriminati, il blogger sosteneva che nella sede del Cairo di al-Azhar, uno dei principali enti educativi del paese, si promuovevano idee estremiste. In un altro articolo, intitolato "La nuda verità dell'islam, per quello che ho visto io", accusava i musulmani di aver commesso una barbarie negli scontri tra islamici e cristiani di Alessandria nel 2005.
Suleiman aveva anche criticato Mubarak, paragonandolo a un faraone dell'antico Egitto.


INDICE 22-2-2007

 

+ Da La Repubblica 22-2-2007 Crisi: Rossi, voglio creare una nuova forza politica  2

+ Dal Corriere della Sera 22-2-2007  Dietro le quinte Napolitano, rebus per l’«offerta»di Casini. Marzio Breda  2

+ Da La Stampa 22-2-2007  Capitalia, il giorno della resa dei conti Francesco Manacorda  3

Da La Repubblica 22-2-2007 La fiducia vuota della sinistra radicale di Ezio Mauro  4

Dal Corriere della Se4ra 22-2-2007  Lezione di serietà  di  Ernesto Galli della Loggia  6

Da Panorama 22-2-2207  CHI HA MANDATO A CASA IL GOVERNO. La cinquina che ha affossato Prodi 6

Da Repubblica 21-2-2007    SCHEDA Chi sono gli astenuti Turigliatto e Rossi 7

Dal Mattino di Padova 22-2-2007  Rossi? un voto assurdo DICO e VICENZA cancellati - Albino Salmaso  7

Da Il Sole 24 Ore 21-2-2007  Politica estera, il dovere di scegliere  di Silvio Fagiolo  8

Da Reuters 21-2-2007  Telecom, sequestrati 290.000 euro di Ghioni su conto a Lugano  9

Da Italia Oggi 22-2-2007  Alla banca ora si dice addio gratis  9

Da La Stampa 21-2-2007 Allarme inglese per banche italiane  Mario Deaglio  10

Da La Padania 21-2-2007 LA FARSA DELLE LIBERALIZZAZIONI. Costi ricarica, il Governo ammette: non cambia nulla  11

Dal Corriere della Sera 21-2-2007 Uno studio Gallup su oltre 10 mila musulmani in dieci nazioni. La guerra al terrore ha radicalizzato l'Islam. Francesco Tortora  12

 

 

 


+ Da La Repubblica 22-2-2007 CRISI: ROSSI, VOGLIO CREARE UNA NUOVA FORZA POLITICA

"Cerco di essere uno del popolo ma un po' di politica ce l'ho anche io. Accetto quello che passa il convento. So che non si puo' governare un paese senza compromessi con i poteri forti, diciamo pero' che il compromesso con questi poteri, per il governo Prodi, e' andato troppo avanti. Voglio creare quindi una nuova forza politica.
Vorrei una nuova forza di sinistra, che potrebbe svilupparsi intorno al Movimento dei Consumatori , che dovrebbe ragionare di piu' su ambiente, lavoratori, e consumatori. Parte del paese e' rappresentata elettoralmente ma non in pratica: basta vedere come e' stato gestito il taglio del cuneo fiscale, o come invece di aumentare le pensioni minime si volevano aumentare i minimi di chi deve andare in pensione. Bisogna costruire una forza politica che lavora per il paese con coerenza, non se ne puo' piu' dell''aum-aum' nei salotti". Lo ha dichiarato il senatore Fernando Rossi in un'intervista esclusiva realizzata da Pierluigi Diaco nel corso di 'Speciale Temporale'.


+ Dal Corriere della Sera 22-2-2007  Dietro le quinte Napolitano, rebus per l’«offerta»di Casini. Marzio Breda

Il Quirinale

 

ROMA — «Non mi hanno lasciato alternative, presidente», dice Romano Prodi, allargando le braccia davanti al capo dello Stato. Sono le sette e mezzo di sera e, dopo un pomeriggio ad alta tensione, al premier non resta che ufficializzare la sconfitta e dimettersi. Il colloquio sul Colle ha toni «gravi e asciutti»: appena un quarto d’ora per sbrigare la pratica. A questo punto, del resto, non c’è molto da dire e, si sa, in casi simili anche la forma diventa sostanza. «Esaminerò la situazione... vedremo cosa ne verrà fuori», è il congedo di Giorgio Napolitano, che ormai da quattro ore sa della crisi imminente. «Domattina apriamo le consultazioni», spiega allo staff. Ciò significa che, per l’assetto bipolare del Parlamento, già domani sera o almassimo per sabato la sfilata dei capipartito potrebbe chiudersi.

Ritmi semplificati e veloci, dunque. Ma nel rispetto delle prassi e senza forzature, come quelle che certi boatos gli hanno attribuito («Napolitano voleva convincere Prodi a non passare la mano»). Tanto che, per tutelare la neutralità del Quirinale, a notte fonda si dirama una nota dove si precisa che il comportamento del presidente è stato, e sarà, «lineare e trasparente». A questo punto della crisi, per il capo dello Stato si aprono due percorsi paralleli. Uno politico e uno istituzionale, con un’esplorazione che metterà anzitutto in chiaro le chance del premier di continuare il suo lavoro. In questa prima fase, quindi, Napolitano si limiterà a verbalizzarne l’orientamento dei capigruppo che, dopo quanto accaduto, pretenderà sia «assolutamente impegnativo».

Basta andare agli eventi delle ultime settimane, per capire il perché di quest’esigenza. Il governo è andato sotto già a gennaio sulla politica estera e, sollecitato dal Colle, ha svolto una verifica interna conclusa con un proclama di «piena coesione». Poi, al momento di ratificare l’intesa in Parlamento, il nuovo tonfo. Che, per il presidente della Repubblica, non potrà essere sanato senza «la garanzia» che non si registrino più «atteggiamenti difformi». I leader del centrosinistra dovranno insomma dimostrare che a una maggioranza politica corrisponde una maggioranza numerica. Solo con una simile assicurazione Prodi potrebbe essere rinviato alle Camere, per farsi «fiduciare».

Su tale sfondo si inserisce la variabile introdotta ieri da Casini, con allusioni ancora non chiare. Il leader dell’Udc dovrà esplicitare meglio la proposta. Precisarne il senso in rapporto al centrodestra, anzitutto, perché se l’obiettivo fosse quello di allargare la maggioranza, allora i suoi senatori avrebbero potuto votare la mozione di ieri, creando il fatto compiuto. Per il momento sono questi gli scenari sui quali si riflette al Quirinale, che è ormai la camera di compensazione della crisi e dove ancora non si mettono nel conto ipotesi di governi tecnici o istituzionali. Che la partita del Senato fosse sfociata in un big-bang del centrosinistra, Napolitano l’aveva saputo in tempo reale, dopo pranzo, a Bologna. È un colpo difficilissimo da riassorbire, ragionano i consiglieri. Infatti, anche ammettendo che questo voto sia «non assimilabile» a un pronunciamento di sfiducia, non è comunque possibile minimizzarlo come un incidente di percorso. E tantomeno si può farlo dopo che il vicepremier D’Alema ha drammatizzato il confronto con un avvertimento senza alternative: se manca la maggioranza, tutti a casa.

Ora, porre un simile l’ultimatum ha ridotto i margini di manovra. Per Prodi ma pure per il capo dello Stato. Il quale aveva lanciato un contemporaneo avvertimento, su un’analoga lunghezza d’onda, riaffermando il primato delle Camere. «Per quanto legittimi e importanti siano i canali del conflitto sociale e delle manifestazioni di massa (vedi il caso Vicenza, ndr), è fuorviante la tendenza a farne la forma suprema della partecipazione e, retoricamente, il sale della democrazia... qualunque tema sia in questione, è nel riconoscimento della rappresentatività delle istituzioni elettive e delle relative sedi di decisione che ogni forma di partecipazione deve trovare la sua misura». Era un monito alla responsabilità del Parlamento. Rafforzato da un allarme: «Se si nega questo ancoraggio nelle istituzioni, si può scivolare nella suggestione della violenza come matrice delle decisioni invocate da aggregazioni e mobilitazioni minoritarie e di lì si può compiere il passo verso la degenerazione estrema del terrorismo».

22 febbraio 2007


+ Da La Stampa 22-2-2007  Capitalia, il giorno della resa dei conti Francesco Manacorda

 

Arpe e Geronzi: "Ho sempre rispettato le regole. Mi cacciano senza motivo"

 

MILANO
A mezzogiorno il patto di sindacato di Capitalia. Alle cinque il consiglio. E in serata – è la previsione unanime – Matteo Arpe senza più i poteri di amministratore delegato. Senza poteri ma, a meno di nuovi colpi di scena, ancora in consiglio. «Non farò la fine di Vittorio Colao» ha detto Arpe ieri, in una delle tante telefonate fatte e ricevute, riferendosi alla sorte dell’amministratore delegato della RcsMediagroup «sfiduciato» questa estate dal patto (dove peraltro siede anche il presidente di Capitalia Cesare Geronzi) e subito dopo dimessosi. E la linea spiegata ai collaboratori è immutata: niente dimissioni, perché «la mia posizione è semplicemente quella di salvaguardare la mia dignità. Che mi revochino le deleghe in questo modo è una cosa mai accaduta nel sistema finanziario».

Questa la posizione di Arpe. Dall’altra parte c’è però il presidente Cesare Geronzi, in queste ore impegnato a ritoccare il suo j’accuse contro Arpe. Un documento scritto di suo pugno che presenterà oggi alla riunione del patto, dove peraltro l’Ad non è stato invitato. Arpe ha invece mandato una contromemoria allo stesso Geronzi e al presidente del collegio sindacale, mettendola anche a disposizione di tutti i consiglieri. Vi si legge, fra l’altro, che Ripa di Meana gli ha «chiesto di rassegnare le dimissioni senza motivo, per incompatibilità con il presidente». Una mossa alla quale l’Ad si dice «indisponibile», sottolineando di «aver sempre rispettato le regole». Nessuno dei duellanti ha ovviamente interesse a far sapere in anticipo su cosa baserà le proprie argomentazioni: ma tra i punti che Geronzi solleverà davanti al patto potrebbero esserci, oltre alla vicenda Capitalia-Intesa, alcuni incontri avuti da Arpe anche durante il periodo in cui lo stesso presidente era interdetto, in particolare con il numero uno di Citibank Charles Prince e con il patron del Santander Emilio Botin.

Ma se la battaglia è sostanzialmente tra Geronzi e Arpe, a decidere ufficialmente oggi la sorte dell’Ad saranno i pattisti e i consiglieri di Capitalia. I primi si trovano di fronte a un quesito non da poco: il patto indica esplicitamente presidente e Ad nelle persone di Geronzi e Arpe. Per revocare uno di loro serve o no l’unanimità? I legali interrogati ieri dai pattisti propendono per il no e dicono essere sufficiente una maggioranza. La questione potrebbe rivelarsi importante perché mentre il primo socio sindacato – l’olandese Abn Amro – è decisamente dalla parte di Geronzi e per l’uscita di Arpe, tra i membri del sindacato potrebbero levarsi voci dissenzienti. Quali? Le incognite maggiori si concentrano sulla Fondazione Manodori. E altri pattisti parlano della necessità di «ascoltare bene quello che Geronzi ha da dire prima di decidere». Ma in ogni caso sarà il consiglio – che in base al codice civile si pronuncia a maggioranza – a dire l’ultima parola e a ritirare le deleghe all’Ad. E qui non paiono esserci grossi dubbi. Nessuno, invece, potrà costringere Arpe a uscire dal consiglio: se non deciderà di dimettersi ci vorrà un’assemblea dei soci. Una situazione che ieri spinge il titolo in una frenetica altalena, con una perdita finale dell’1,73% e scambi sul 4% del capitale, mentre Abn schizza del 5,5% forse sull’onda di aspettative di un’Opa. Anche alla luce dell’andamento di Borsa di Capitalia, ieri mattina Ripa di Meana ha bussato agli uffici della Consob con una promessa: oggi il patto tirerà fuori un esauriente e dettagliato comunicato per illustrare le sue decisioni.

Con Arpe probabilmente fuori dalla stanza dei bottoni, l’attesa è che i suoi poteri passino al vicepresidente Paolo Cuccia, espresso dall’Abn. Ma la sua sarà una guida temporanea. Dopo il rinnovo del patto di sindacato Mediobanca, a fine marzo, e soprattutto dopo l’assemblea delle Generali – il 28 aprile – Geronzi intende ripartire e avrà bisogno di un Ad a tempo pieno. I nomi che circolano sono sempre quelli, ma da ieri c’è da registrare una smentita secca dell’Ad del Banco Popolare di Verona e Novara Fabio Innocenzi e invece una frase sibillina del numero due di Intesa-Sanpaolo Pietro Modiano riferita alle indiscrezioni sulla sua candidatura: «Se sono vere appartengono alla sfera della discrezione. Se sono false, sono false». Urge traduzione? Geronzi lo ha contattato, ma per ora non se ne fa nulla.


Da La Repubblica 22-2-2007 La fiducia vuota della sinistra radicale di Ezio Mauro


Tirata per mesi in parlamento e nelle piazze, la corda ideologica dell'estremismo si è infine spezzata, facendo precipitare il governo Prodi e riaprendo a Silvio Berlusconi - sconfitto soltanto un anno fa nelle urne - la prospettiva ravvicinata di ritornare alla guida del Paese.
La crisi si apre sulla politica estera, dopo che D'Alema ha spiegato in Senato l'impegno per la pace dell'Italia, il rifiuto della guerra, il valore "politico e civile" della missione Onu in Afghanistan, l'impossibilità di un ritiro che ci allontanerebbe dalla Ue, isolandoci. Un discorso che sta pienamente nel programma dell'Unione, e che avrebbe potuto pronunciare tra gli applausi qualsiasi ministro degli Esteri di qualunque governo di sinistra di ogni Paese occidentale.
Ma in Italia, no. In Italia, dove il presidente del Consiglio è stato presidente della Commissione europea, questo discorso divide la sinistra ed è inaccettabile per la sua frangia più estrema, pronta a votare contro il governo pur di salvarsi l'anima o almeno il pregiudizio. Il risultato è la crisi dopo appena 281 giorni di Prodi a Palazzo Chigi, nemmeno un anno. Una crisi inevitabile perché senza una maggioranza in politica estera non si governa il Paese. Ma qui, secondo quanto rivela l'estremismo radicale, non manca solo la maggioranza: manca un'idea stessa dell'Italia, per capire cos'è e cosa dev'essere oggi, qual è il suo posto in quella parte del mondo che si chiama Europa e Occidente, se non vogliamo abitarla per caso o per sbaglio, da stranieri in patria, orfani di ideologie sconfitte e pericolose.
Ecco perché Romano Prodi ha fatto bene ad annunciare subito dopo il voto, già al telefono, le sue dimissioni al Capo dello Stato, e a non chiedere un rinvio automatico alle Camere per verificare meccanicamente se la maggioranza di centrosinistra c'è ancora oppure no. In questo modo si esce dai giochi interni alla coalizione, dove è possibile fare per mesi i governativi al ministero e gli estremisti in piazza, e tutto ritorna nelle mani del Capo dello Stato. Che dovrà e vorrà capire in forma impegnativa non solo se c'è una teorica maggioranza numerica per l'Unione, ma se c'è una concreta maggioranza politica, capace di assicurare al Quirinale di essere pronta ad assumersi le responsabilità di governo dei prossimi mesi, a partire proprio dagli impegni internazionali dell'Italia.
Napolitano vuole infatti rompere il gioco dietro il quale si nasconde la rendita di posizione dell'estremismo: il gioco della "fiducia vuota", o irresponsabile, che porta i partiti e i gruppi più radicali della coalizione a votare un assenso fiduciario generico al governo, pur di avere poi le mani libere sui singoli temi specifici, con distinzioni, astensioni, opposizioni che consentono ad ognuno (e ai piccoli gruppi soprattutto) di inseguire la rappresentanza di interessi di parte incompatibili con la logica e il programma di coalizione. Da oggi, dirà Napolitano al centrosinistra, la "fiducia vuota" non basta più, perché non garantisce la tenuta di un governo, anzi lo espone a quell'"umiliazione" di cui parlava ieri la Cnn nel servizio sull'Italia: occorre un impegno preciso sui passaggi qualificanti, qualcosa che dimostri la capacità per la sinistra italiana di fare governo, di fare maggioranza. Solo così Prodi potrà ripresentarsi alle Camere. Altrimenti, non ci sono le condizioni per andare avanti e la sinistra dovrà passare la mano, gettando al vento in pochi mesi la vittoria elettorale: e per sua esclusiva responsabilità.
Questa responsabilità è già emersa ieri con evidenza in Senato, con la defezione di due parlamentari, uno di Rifondazione e uno appena uscito dal partito dei Comunisti italiani: per Prodi due voti in meno in un equilibrio già fragilissimo, con Andreotti subito pronto - com'era immaginabile - a stare con i desideri di Ruini piuttosto che con la politica estera del governo. Le due defezioni "comuniste" sono il segno concreto dell'ideologismo irriducibile, anche davanti alla crisi di governo, e al rischio di riconsegnare il Paese a Berlusconi. Ma sarebbe ingiusto fermarsi qui, e non vedere dietro i due senatori del no un mondo, un'organizzazione e una cultura molto più ampia, in cui hanno camminato in questi mesi e soprattutto in queste ultime settimane gli stessi leader dei partiti dei verdi, di Rifondazione e dei Comunisti italiani che poi nelle ultime ore hanno parlato a sostegno del governo: come se un voto parlamentare fosse separabile da una cultura, da un comportamento diffuso e insistito, da un giudizio capitale sul riformismo di sinistra, dall'anatema sulle alleanze occidentali. E soprattutto dall'antiamericanismo che dopo la fine della guerra fredda in Italia è l'ultima ideologia superstite, quasi un'identità eterna per un comunismo minore e irriducibile, che continua a chiamarsi tale nonostante la democrazia l'abbia sconfitto nella contesa europea del Novecento, rivelando non solo i suoi errori ma la sua tragedia.
La crisi di governo certifica dunque con esattezza cos'è la sinistra italiana oggi. Un gruppo maggioritario che si fa carico della responsabilità del governare, scegliendo la cultura riformista nei suoi valori e nelle sue obbligazioni. Un gruppo minoritario estremista, che ha demonizzato Berlusconi come fascista ma è pronto a riconsegnargli l'Italia, considera il governo del Paese un vincolo più che un'opportunità, ritiene che la piazza debba prevalere sulle istituzioni.
Il dramma della sinistra sta alla fine in un paradosso: nelle condizioni attuali senza l'ala radicale non si vince, ma con l'ala radicale non si governa. E tuttavia si dovrà ad un certo punto parlar chiaro davanti ai cittadini, spiegando qual è l'Italia del futuro, che Paese ha in mente la sinistra, come lo vuole veder crescere. La lezione della crisi è quella di costruire al più presto una forte piattaforma riformista , il partito democratico, cioè una vera sinistra di governo con vocazione maggioritaria capace di allearsi con i radicali sfidandoli per l'egemonia culturale, costringendo i leader a uscire da ogni ambiguità: perché anche in Italia non si può stare nello stesso tempo e per sempre in piazza e al ministero.
Questo dovrebbe chiedere Prodi ai suoi alleati, perché solo se si coglie l'occasione della crisi per fare chiarezza nell'identità della sinistra (e dunque nell'identità della coalizione) vale la pena restare a Palazzo Chigi. Non servono, com'è dimostrato, le firme sul programma. Serve una politica condivisa, in pochi punti, che nasca da un'idea chiara dell'Italia e della sinistra. Un'idea che può ancora, persino oggi, essere migliore di quella della destra, e più utile al Paese. Ad esempio nella partita in atto per la laicità dello Stato, che è la vera battaglia culturale di questa fase per la sinistra. Anche se gli estremisti non lo sanno, prigionieri dell'eterna sfida con gli Usa e con i riformisti: che combattono da soli, come un'ossessione.

(22 febbraio 2007)


Dal Corriere della Se4ra 22-2-2007  Lezione di serietà  di  Ernesto Galli della Loggia

 

 

Nel confuso dibattito sulla politica estera delle ultime settimane, Massimo D'Alema ha mostrato la stoffa politica che anche gli avversari gli riconoscono. Non ha mai mancato di rivendicare il significato e la coerenza della sua azione alla Farnesina, ha sottolineato la svolta che a suo giudizio quell'azione manifestava rispetto al governo precedente, ha sempre cercato di difenderla dalle pressioni che miravano a spostarla su un terreno più radicale, di rottura più o meno palese con il quadro tradizionale delle nostre alleanze.

In questo sforzo quotidiano il nostro ministro degli Esteri ha fatto qualcosa che in Italia non è certo usuale: ha parlato con nettezza, e lo ha fatto ripetutamente. Ha detto fuori dai denti, rivolto ai turbolenti soci della sua coalizione militanti nella sinistra radicale, che un governo che si rispetti deve potersi reggere su una propria maggioranza in politica estera; che su un tema così decisivo non sono ammissibili apporti dell'opposizione; che se non si sta su questa strada allora l'unica alternativa è quella di abbandonare la partita. Non solo. D'Alema ha fatto di più: su ciò che andava dicendo ha deciso di impegnare la propria personale immagine di uomo di Stato. Dando una lezione di quella che si chiama «responsabilità politica», e insieme una lezione altrettanto importante di moralità politica, ha fatto chiaramente capire che in caso di sfiducia al suo operato di sicuro egli non avrebbe potuto restare al suo posto.

Ma naturalmente, ascoltando il D'Alema dei giorni passati, nessuno poteva dimenticare l'esistenza, accanto al D'Alema statista, di un altro D'Alema: del D'Alema tattico consumato, esperto di assemblee e di giochi d'aula, dell'oratore abile a radunare consensi. E' stato questo il D'Alema che ha parlato ieri a Palazzo Madama. Alternando con avvedutezza impegni e disimpegni, cautele e toni morbidi da un lato e affermazioni recise dall'altro, usando insomma tutti gli strumenti offertigli dal lessico e dalla dialettica, il ministro si è impegnato nel tentativo di convincere i recalcitranti della maggioranza a non fargli mancare l’appoggio. Sfortunatamente, il suo si è rivelato un tentativo disperato. Ha prevalso la coerenza ideologica di un pugno di massimalisti, cocciuta sino all'accecamento, e l'appoggio richiesto è mancato: il Senato non ha approvato la politica estera del governo.

Adesso sappiamo che Prodi, dopo aver incontrato il presidente Napolitano e averne ascoltato il consiglio, ha deciso saggiamente di dimettersi. Ma al di là di questa decisione si può pensare — e siamo sicuri che egli per primo in queste ore lo sta pensando — che esista uno specifico caso D'Alema. Chiedergli perentoriamente di non partecipare al prossimo governo ha un sapore maramaldesco che non ci piace; sarebbe quasi rivestire i panni di Shylock. Una cosa sola pensiamo che l'opinione pubblica possa chiedere in questo momento a Massimo D'Alema: una parola, un gesto, veda lui quale, che comunque non dissipi la lezione di serietà, di impegno e di coerenza, che le sue parole hanno offerto al Paese nelle settimane passate.

22 febbraio 2007


Da Panorama 22-2-2207  CHI HA MANDATO A CASA IL GOVERNO. La cinquina che ha affossato Prodi

 

La lunga e tormentata giornata di Prodi-D'Alema 21/2/2007 Massimo D'Alema durante la relazione sulla politca estera in Senato Andreotti, Cossiga e Pininfarina non votano la mozione dell'esecutivo. E contribuiscono alla sua sconfitta " Forum Romano Prodi davvero non se lo aspettava quello che sarebbe successo al Senato. Meglio: nessuno nel governo se lo aspettava. E, proprio di fronte all'amara sorpresa di essere caduto, la reazione del premier è stata durissima. Dopo lo 'scivolone' a palazzo Madama ha convocato subito un vertice a Palazzo Chigi con vicepremier, ministri, leader di partito e, dicono, il premier ne ha avute davvero per tutti. Furibondo con la sinistra radicale ("Sì, Prodi era molto, molto arrabbiato con noi", racconta Gennaro Migliore), ma, a quanto pare, il presidente del Consiglio si sarebbe sfogato anche sulla decisione di Massimo D'Alema di 'drammatizzare' il voto al Senato con l'ultimatum da Ibiza e con alcune frasi pronunciate in aula. Ma da palazzo Chigi si smentisce che il premier si sia mostrato irato verso il titolare della Farnesina.A quanto trapela nelle ricostruzioni della convulsa giornata di mercoledì 21, tra i fedelissimi del premier pare che il sospetto che il presidente della Quercia abbia voluto far salire la tensione nella speranza che il governo andasse sotto. Fantapolitica, probabilmente. Ma se così fosse l'operazione sarebbe riuscita perfettamente. MORAL SUASION Tanto che il Prof. ha resistito anche di fronte alla "moral suasion" del Quirinale per invitarlo a non presentare la dimissioni. Notizia confermata da più fonti del governo, ma il presidente del Consiglio si è mostrato convinto ad andare fino in fondo, con la più ferma posizione di non accettare alcun tipo di alternativa all'attuale maggioranza, la stessa che con un programma condiviso ha vinto le elezioni lo scorso anno. Unica alternativa è andare di nuovo alle urne. CHI SONO I CINQUE CONTRARI La curiosa cinquina che ha fatto inciampare il governo a Palazzo Madama nella votazione sulla politica estera è composta da tre senatori a vita e due "irriducibili" della sinistra radicale. Senza il loro voto favorevole alla risoluzione D'Alema, il centrosinistra si è fermato a quota 158 voti, due in meno del quorum richiesto di 160 sì. Giusto quelli dei senatori a vita Giulio Andreotti e Sergio Pininfarina che a sorpresa, hanno deciso di astenersi. Da ricordare che al Senato l'astensione ai fini pratici vale come un voto contrario, dunque i due voti dei senatori a vita hanno pesato enormemente. Il terzo senatore a vita che ha dato un dispiacere alla maggioranza è l'ex capo delo Stato Oscar Luigi Scalfaro: ma se questa volta non ha votato con la maggioranza la colpa è di una fastidiosa influenza che lo ha tento bloccato a letto. L'altro ex capo dello Stato Francesco Cossiga ha votato contro la maggioranza, ma il suo no era stato ampiamente annunciato e spiegato da molti giorni. A favore del centrosinistra hanno votato invece Rita Levi Montalcini e Emilio Colombo. Nel voto sono mancati anche i due "pasdaran" della sinistra radicale Ferdinando Rossi e Franco Turigliato: entrambi hanno deciso di non prendere parte alla votazione. IL PRESSING SUI DISSIDENTI Inutile, a questo punto, si è rivelato il pressing sugli altri dissidenti, che in extremis hanno votato sì, sia pure obtorto collo: il verde Mauro Bulgarelli, che si è autosospeso dal partito, il leader della minoranza di Rifondazione Comunista Claudio Grassi, la senatrice dell'Italia dei Valori Franca Rame. Altra sorpresa amara quella del presidente della commissione Difesa Sergio De Gregorio che alla vigilia annunciava il suo sì e poi ha votato no. Ma il vero colpo di teatro è stato l'ingresso in aula di Sergio Pininfarina che mancava da mesi (dal giorno del sì al governo Prodi) in aula. Appena arrivato, pochi minuti prima del voto, si è seduto tra i banchi di Forza Italia. A nulla è valso il tentativo di persuasione di Valerio Zanone, liberale come lui e suo vecchio amico, oggi nelle fila dell'Ulivo. Al momento del voto, quando ha visto la luce bianca sul suo scranno, è stato proprio Zanone ad avvicinarsi a Pininfarina. Sono volati fogli di carta e parole grosse. Zanone ha perso il proverbiale aplomb, ma Pininfarina ha resistito, votando per il no. L'AMMISSIONE "Lo dico da tempo che non abbiamo più la maggioranza - ha dichiarato il presidente dei senatori dell'Ulivo Anna Finocchiaro - contavamo sul voto del presidente Andreotti e del senatore Pininfarina. Non è andata così" .

 


Da Repubblica 21-2-2007    SCHEDA Chi sono gli astenuti Turigliatto e Rossi


Il governo va sotto sulla politica estera anche a causa dell'astensione di Franco Turigliatto e Fernando Rossi, senatori eletti in conto Prc e Pdci. Ecco due brevi schede sui due protagonisti della giornata.
Franco Turigliatto: senatore di Rifondazione Comunista. Ha cinquanta anni, è piemontese di Rivara (To) e laureato in scienze politiche. Da sempre sensibile ai problemi del mondo operaio torinese, aderisce alla Quarta Internazionale e poi partecipa alla nascita di Rifondazione. Prima delle elezioni del 9 aprile, faceva l'impiegato. In Parlamento è membro della commissione permanente sul Lavoro e previdenza sociale e di quella sulle Politiche dell'Unione Europea.
Fernando Rossi: eletto nelle Marche nella lista dei Verdi-Comunisti italiani, Fernando Rossi è emiliano, nato a Portomaggiore (Fe), e residente a Ferrara. Anche lui cinquantenne, è membro della commissione Affari costituzionali, di quella su Finanze e Tesoro, segretario della commissione per le questioni regionali. Cacciato sei mesi fa dal Pdci, è coordinatore nazionale di Officina Comunista, associazione culturale di posizioni spesso radicali in politica estera. Già in passato aveva fatto tremare il governo Prodi annunciando un suo "no" alla legge finanziaria.
(21 febbraio 2007)


Dal Mattino di Padova 22-2-2007  Rossi? un voto assurdo DICO e VICENZA cancellati - Albino Salmaso

 

Primo Piano "Rossi? Un voto assurdo Dico e Vicenza cancellati" L'INTERVISTA Severino Galante leader del PdCI ALBINO SALMASO PADOVA. "Siamo di fronte ad una svolta storica, il governo eletto nell'aprile 2006 non esiste più. Si apre una fase nuova con il centro che diventa determinante mentre la sinistra sarà ridimensionata". Severino Galante, docente di Storia dei partiti e vicecapogruppo del PdCI alla Camera dei deputati, non ha dubbi: "Prodi ha chiuso per colpa di un paio di idioti, uno dei quali lo conosco bene perché ha militato nel mio partito". E la sua mente vola a quando nell'ottobre 1998, Oliviero Diliberto, Marco Rizzo, Katia Belillo, Severino Galante e altri fedelissimi uscirono dal Prc dopo che Bertinotti aveva affossato il governo Prodi, per cedere lo scettro a Massimo D'Alema. Difficile che la storia si ripeta, ma Galante è infuriato. Onorevole, come mai la sinistra finisce sempre per farsi del male da sola? "Purtroppo al Senato siamo in netta difficoltà: solo i senatori a vita ci hanno permesso di governare. E proprio per questo a nessuno è concessa una distrazione o un'assenza. Qui invece siamo di fronte a due deputati del PdCI e di Rc che hanno deliberatamente deciso di non votare la risoluzione di D'Alema". E quindi? "E quindi siamo di fronte ad un atto politico scellerato. Ma quale etica della responsabilità di weberiana memoria invocata da Fernando Rossi, qui siamo alla follia. Voglio vedere ora chi approverà i Dico o i Pacs: Casini e Follini?". Il senatore Fernando Rossi militava nel suo partito fino a pochi mesi fa. L'avete eletto voi con una legge elettorale che non consentiva la scelta del candidato: lista bloccata, un bel premio alla fedeltà... "Lasciamo perdere. Rossi lo conoscono molto bene e si è comportato da perfetto idiota, lui come del resto Turigliatto del Prc, che ha annunciato di volersi dimettere. Mentre Rossi afferma di voler votare la fiducia al governo Prodi. Voglio pensare che almeno in questo caso intenda applicare l'etica della responsabilità, ma è tardi perché la sinistra esce sconfitta, a pezzi". Lei ritiene che Prodi possa essere rinviato alle Camere per un voto di fiducia? "Può essere una delle soluzioni. Ma la maggioranza al Senato è molto risicata. Certo, possiamo recuperare i voti di Scalfaro, non quelli di Andreotti e Pininfarina che hanno deciso di affossare il governo". E' un po' difficile pensare di tenere in piedi l'Italia con i senatori a vita: lei non crede? "Certo. Ma c'è da riflettere sul voto contrario di Andreotti e Pininfarina: l'ex premier rappresenta il Vaticano e quindi il suo è un no ai Dico, ai Pacs. Un colpo mortale a Prodi, allo Stato laico. Pininfarina invece risponde a Confindustria, che spinge da un anno per creare il Grande Centro sul modello tedesco". La sinistra radicale e i movimenti che sabato hanno marciato a Vicenza hanno quindi affossato Prodi e D'Alema proprio sull'opzione militare: la fedeltà alla Nato e gli Usa. Lei non è contento della vittoria? "Ma quale vittoria, siamo alla follia. Senza il governo Prodi, Vicenza è più debole: nessuno difenderà la città dall'impatto della base Usa. Ieri al Senato due idioti di sinistra hanno cancellato la manifestazione di sabato".

Primo Piano "Rossi? Un voto assurdo Dico e Vicenza cancellati" L'INTERVISTA Severino Galante leader del PdCI ALBINO SALMASO PADOVA. "Siamo di fronte ad una svolta storica, il governo eletto nell'aprile 2006 non esiste più. Si apre una fase nuova con il centro che diventa determinante mentre la sinistra sarà ridimensionata". Severino Galante, docente di Storia dei partiti e vicecapogruppo del PdCI alla Camera dei deputati, non ha dubbi: "Prodi ha chiuso per colpa di un paio di idioti, uno dei quali lo conosco bene perché ha militato nel mio partito". E la sua mente vola a quando nell'ottobre 1998, Oliviero Diliberto, Marco Rizzo, Katia Belillo, Severino Galante e altri fedelissimi uscirono dal Prc dopo che Bertinotti aveva affossato il governo Prodi, per cedere lo scettro a Massimo D'Alema. Difficile che la storia si ripeta, ma Galante è infuriato. Onorevole, come mai la sinistra finisce sempre per farsi del male da sola? "Purtroppo al Senato siamo in netta difficoltà: solo i senatori a vita ci hanno permesso di governare. E proprio per questo a nessuno è concessa una distrazione o un'assenza. Qui invece siamo di fronte a due deputati del PdCI e di Rc che hanno deliberatamente deciso di non votare la risoluzione di D'Alema". E quindi? "E quindi siamo di fronte ad un atto politico scellerato. Ma quale etica della responsabilità di weberiana memoria invocata da Fernando Rossi, qui siamo alla follia. Voglio vedere ora chi approverà i Dico o i Pacs: Casini e Follini?". Il senatore Fernando Rossi militava nel suo partito fino a pochi mesi fa. L'avete eletto voi con una legge elettorale che non consentiva la scelta del candidato: lista bloccata, un bel premio alla fedeltà... "Lasciamo perdere. Rossi lo conoscono molto bene e si è comportato da perfetto idiota, lui come del resto Turigliatto del Prc, che ha annunciato di volersi dimettere. Mentre Rossi afferma di voler votare la fiducia al governo Prodi. Voglio pensare che almeno in questo caso intenda applicare l'etica della responsabilità, ma è tardi perché la sinistra esce sconfitta, a pezzi". Lei ritiene che Prodi possa essere rinviato alle Camere per un voto di fiducia? "Può essere una delle soluzioni. Ma la maggioranza al Senato è molto risicata. Certo, possiamo recuperare i voti di Scalfaro, non quelli di Andreotti e Pininfarina che hanno deciso di affossare il governo". E' un po' difficile pensare di tenere in piedi l'Italia con i senatori a vita: lei non crede? "Certo. Ma c'è da riflettere sul voto contrario di Andreotti e Pininfarina: l'ex premier rappresenta il Vaticano e quindi il suo è un no ai Dico, ai Pacs. Un colpo mortale a Prodi, allo Stato laico. Pininfarina invece risponde a Confindustria, che spinge da un anno per creare il Grande Centro sul modello tedesco". La sinistra radicale e i movimenti che sabato hanno marciato a Vicenza hanno quindi affossato Prodi e D'Alema proprio sull'opzione militare: la fedeltà alla Nato e gli Usa. Lei non è contento della vittoria? "Ma quale vittoria, siamo alla follia. Senza il governo Prodi, Vicenza è più debole: nessuno difenderà la città dall'impatto della base Usa. Ieri al Senato due idioti di sinistra hanno cancellato la manifestazione di sabato".

 


Da Il Sole 24 Ore 21-2-2007  Politica estera, il dovere di scegliere  di Silvio Fagiolo

 

La politica estera, osservava Bismarck, è il vero momento identitario di una nazione. È l’immagine che un popolo ha di se stesso a determinarne il comportamento esterno e non viceversa. Il confronto che si tiene oggi in Parlamento è dunque decisivo per conoscere l’idea di sé che il Paese vuole trasmettere al mondo. Se esso è così politicamente frammentato da rendere impossibile la formulazione di un mandato di politica internazionale. Se è attraversato da correnti pacifiste che lo obbligano a rifiutare ogni responsabilità per la stabilità nella comunità degli Stati. Se è inserito nel campo occidentale ma intento a varcarne i limiti in senso antiamericano. Se è disposto a conferire ai propri impegni una dimensione anche militare, ma pronto a prendere le distanze dalle posizioni più dure che gli altri assumono di fronte a minacce del tutto nuove. Se è capace di rendere l’Atlantico più largo per conciliare il pacifismo dell’opinione pubblica, l’adesione allo spirito delle Nazioni Unite, la condiscendenza verso la Chiesa cattolica, gli interessi della nostra economia.
Il linguaggio di alcune forze politiche sembra inconsapevole della realtà internazionale, dei radicali mutamenti dopo la fine della guerra fredda e poi l’11 settembre. L’Italia di ieri sapeva calarsi nella condizione di guerra improbabile e di pace impossibile del sistema bipolare. Poteva ridisegnare il proprio atlantismo in modo confacente a una comunità nazionale che ospitava il più forte partito comunista occidentale. Poteva atteggiarsi nei confronti dell’Unione Sovietica come il più indulgente dei nemici. L’Italia di oggi non può più, soprattutto di fronte al suo principale alleato, giovarsi di una rendita di posizione semplicemente mettendo a disposizione il proprio territorio in cambio di protezione. La credibilità e l’affidabilità, anche militare, hanno sostituito il territorio, si è passati da una guerra di posizione a una di movimento, può essere necessario colpire bersagli impropri ma visibili (gli Stati canaglia) come surrogato di bersagli appropriati ma invisibili (i terroristi).
È preferibile certo la lenta e paziente costruzione della democrazia preventiva all’istantanea guerra preventiva, poiché la prima elimina le condizioni che consentono al disordine e alla violenza di prosperare. Ma l’esercizio più difficile è proprio quello di coniugare forza e legittimità.
La soluzione non può essere trovata semplicisticamente cancellando la forza, anche militare, dall’equazione e confinando la fonte della legittimità alle sole Nazioni Unite. Non si tratta di stare con l’America solo perché abbiamo molte ragioni per esserle grati e perché la sua natura democratica può garantire una leadership lungimirante. L’uso della forza può essere il presupposto indispensabile di una strategia di stabilizzazione, anche violando l’altrui sovranità e ponendo in essere interventi preventivi. La forza non può essere bandita interamente dalla realtà internazionale. Una verità forse amara che minoranze rumorose ed irresponsabili difficilmente possono conciliare con il loro dogmatismo pacifista ed antiamericano ma che un Governo non può ignorare. L’ombra delle armi ha sempre accompagnato ogni efficace diplomazia di pace. Non si comprende quale stabilizzazione civile sarebbe possibile in Afghanistan senza prima aver eliminato la minaccia dei talebani.
Sul fronte della legittimità, un multilateralismo che puntasse sulle Nazioni Unite come unica istituzione in grado di autorizzare l’uso della forza — e in tal senso spinge una parte della nostra cultura politica — escluderebbe probabilmente l’Italia da molte delle azioni militari intese in futuro a creare le condizioni per una migliore convivenza fra i popoli. Sta emergendo un mondo, e l’Italia ha contribuito alla sua nascita, di molteplici istituzioni in competizione fra loro e in parte in reciproca sovrapposizione. Il criterio di legittimità non può non tenerne conto, in presenza di procedure che nel Palazzo di Vetro possono rivelarsi lente o paralizzanti.
Le partite aperte sono molte, a cominciare da quella afghana, dove si tratta non di creare protettorati bensì di trasformare uno Stato vassallo in un partner affidabile. Proprio nell’arco mediorientale politiche nazionali spregiudicate e ambiziose, ancor più se dotate di armi nucleari, polveriere sociali e religiose, moltiplicano i fattori di rischio. Un multilateralismo non correttamente inteso potrebbe sollecitare nei nostri governi, di volta in volta, gli estremi del disimpegno e della rassegnata impotenza oppure del protagonismo velleitario. Che le sfide della politica estera vogliano mettere in moto la nostra ricorrente tentazione, secondo un giudizio di Prezzolini, di tornare ad essere faziosi come nel ’300, retorici come nel ’400, cortigiani come nel ’500, servili come nel ’600, astratti come nel ’700?

 

 


 

Da Reuters 21-2-2007  Telecom, sequestrati 290.000 euro di Ghioni su conto a Lugano

                                         

MILANO (Reuters) - La Procura di Milano ha disposto il sequestro di 290.000 euro riconducibili a Fabio Ghioni, in carcere nell'ambito dell'inchiesta condotta dalla procura milanese sulla raccolta illegale di informazioni riservate da parte di ex dirigenti di Telecom.

Lo hanno riferito fonti giudiziarie spiegando che il sequestro - avvenuto una decina di giorni fa - è stato disposto dai pm della Procura di Milano, perché ritengono che questi soldi siano frutto di attività di hackeraggio.

La somma posta sotto sequestro era depositata su un conto nella sede della banca Ubs a Lugano.

Fabio Ghioni verrà interrogato lunedì prossimo, nel carcere di Busto Arsizio.

Il mese scorso sono stati arrestati Ghioni, manager ed ex responsabile dell'Information Security della società, il giornalista Guglielmo Sasinini, il consulente Rocco Lucia e l'ex capo della sicurezza Telecom -- per lui si è trattato del terzo ordine di custodia cautelare in carcere -- Giuliano Tavaroli.


Da Italia Oggi 22-2-2007  Alla banca ora si dice addio gratis

ItaliaOggi     ItaliaOggi Numero 045, pag. 41 del 22/2/2007 Autore: di Luigi Chiarello Visualizza la pagina in PDF       Nota di Bersani sulla legge 248/06. No a costi e penali sui servizi aggiuntivi. Ma le spese vive si pagano. Alla banca ora si dice addio gratis Zero oneri per conti correnti e titoli, depositi, bancomat e carte Chi chiude i conti con le banche non paga. I clienti che decidono di recedere da ogni rapporto con la propria banca potranno chiudere, a zero spese e senza penalità, conti correnti, conti titoli, depositi, aperture di credito, bancomat e carte di credito. In sostanza, tutti i contratti siglati a tempo indeterminato (o comunque continuativo) con l'istituto di credito potranno essere chiusi a zero spese. Restano, invece, penali e costi di chiusura, per i depositi vincolati e per i certificati di deposito, perché entrambi si basano su contratti in cui è stato fissato un termine di durata. Lo stop alle spese di chiusura riguarderà, poi, sia le spese espressamente indicate nei contratti come 'costi di chiusura', sia le spese relative ai servizi aggiuntivi che i clienti hanno richiesto alle banche, quando hanno deciso di estinguere il loro rapporto. Per esempio, il trasferimento dei titoli presso un altro intermediario.A chiarirlo, una volta per tutte, è una nota esplicativa del ministero dello sviluppo economico del 21 febbraio 2007 (prot. 0005574), in merito all'applicazione dell'articolo 10 della legge n. 248/2006, meglio conosciuta come la 'Visco-Bersani'. L'impostazione ministeriale smentisce quanto affermato dall'Abi nella circolare del 4 agosto 2006 (si veda ItaliaOggi dell'8/8/2006) sospesa dall'Antitrust il 18 settembre scorso (si veda ItaliaOggi del 19/9/2006) che, con impostazione restrittiva, limitava lo stop dettato dalla 'Visco-Bersani' alle sole spese definite 'strettamente inerenti' alla chiusura. Escludendo dallo sgravio gli oneri legati ai servizi accessori, tra cui il trasferimento titoli, il bonifico del saldo, l'estinzione della carta di credito.Ma i costi vivi restano. Attenzione, su questo punto; la nota ministeriale spiega che resta praticabile per le banche 'la richiesta ai clienti di un rimborso delle spese sostenute dall'intermediario in relazione a un servizio aggiuntivo, qualora esso richieda l'intervento di un soggetto terzo e a condizione che tali spese siano documentate e riportate dal contratto e nella documentazione di trasparenza prevista dalla disciplina vigente'. Ciò significa che il cliente in sede di chiusura di conto corrente bancario e dei relativi contratti accessori dovrà comunque pagare i costi vivi sostenuti dalla banca per disattivare i servizi accessori affidati a terzi. Le banche vincono sui mutui. La nota interpretativa sottolinea, poi, come l'ultimo decreto Bersani in fatto di liberalizzazioni, il n. 7/2007 in questi giorni al vaglio delle camere per la conversione in legge, abbia sancito lo stop alle penali legate all'estinzione anticipata dei mutui contratti per l'acquisto di prima casa. Ciò significa, secondo il ministero, che le clausole penali si applicano ancora per quei contratti di mutuo in cui la variabile tempo sullo svolgimento del rapporto, concordata tra le parti, costituisca per entrambi i contraenti (banca e cliente) un elemento essenziale del rapporto stesso. In sostanza, si pagherà la penale per estinguere i mutui i cui termini di ammortamento siano stati concordati tra banca e cliente, sulla base di leggi speciali. Tra queste, per esempio, le operazioni di credito fondiario e di credito al consumo. Ne deriva che se il cliente vorrà estinguere anticipatamente un mutuo del genere non potrà invocare la 'Visco-Bersani', ma dovrà pagare la penale.Il consumatore vince sul conto titoli. I rappresentanti dei consumatori avevano manifestato la volontà di applicare lo stop alle spese di chiusura anche all'estinzione e all'eventuale trasferimento del conto titoli. Per la circolare Abi, invece, questo non era fattibile e, comunque, era necessario considerare e far pagare al cliente le spese per le operazioni di trasferimento imposte dalla Monte Titoli spa (peraltro, partecipata dalle stesse banche). La soluzione adottata dal ministero è chiara: sul conto titoli non si pagano né spese di chiusura né penali. Ma, si pagheranno le sole spese vive, i costi reali dell'operazione che coinvolgono un soggetto terzo (Monte titoli, appunto). Un costo, che un tavolo tecnico tra ministeriali, Abi e delegati del Cncu- Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (riunitosi il 30 ottobre, il 22 novembre e il 5 dicembre 2006) ha fissato in 30 centesimi di euro per ogni singola transazione di 'codice titoli'. (riproduzione riservata).

 

ItaliaOggi     ItaliaOggi Numero 045, pag. 41 del 22/2/2007 Autore: di Luigi Chiarello Visualizza la pagina in PDF       Nota di Bersani sulla legge 248/06. No a costi e penali sui servizi aggiuntivi. Ma le spese vive si pagano. Alla banca ora si dice addio gratis Zero oneri per conti correnti e titoli, depositi, bancomat e carte Chi chiude i conti con le banche non paga. I clienti che decidono di recedere da ogni rapporto con la propria banca potranno chiudere, a zero spese e senza penalità, conti correnti, conti titoli, depositi, aperture di credito, bancomat e carte di credito. In sostanza, tutti i contratti siglati a tempo indeterminato (o comunque continuativo) con l'istituto di credito potranno essere chiusi a zero spese. Restano, invece, penali e costi di chiusura, per i depositi vincolati e per i certificati di deposito, perché entrambi si basano su contratti in cui è stato fissato un termine di durata. Lo stop alle spese di chiusura riguarderà, poi, sia le spese espressamente indicate nei contratti come 'costi di chiusura', sia le spese relative ai servizi aggiuntivi che i clienti hanno richiesto alle banche, quando hanno deciso di estinguere il loro rapporto. Per esempio, il trasferimento dei titoli presso un altro intermediario.A chiarirlo, una volta per tutte, è una nota esplicativa del ministero dello sviluppo economico del 21 febbraio 2007 (prot. 0005574), in merito all'applicazione dell'articolo 10 della legge n. 248/2006, meglio conosciuta come la 'Visco-Bersani'. L'impostazione ministeriale smentisce quanto affermato dall'Abi nella circolare del 4 agosto 2006 (si veda ItaliaOggi dell'8/8/2006) sospesa dall'Antitrust il 18 settembre scorso (si veda ItaliaOggi del 19/9/2006) che, con impostazione restrittiva, limitava lo stop dettato dalla 'Visco-Bersani' alle sole spese definite 'strettamente inerenti' alla chiusura. Escludendo dallo sgravio gli oneri legati ai servizi accessori, tra cui il trasferimento titoli, il bonifico del saldo, l'estinzione della carta di credito.Ma i costi vivi restano. Attenzione, su questo punto; la nota ministeriale spiega che resta praticabile per le banche 'la richiesta ai clienti di un rimborso delle spese sostenute dall'intermediario in relazione a un servizio aggiuntivo, qualora esso richieda l'intervento di un soggetto terzo e a condizione che tali spese siano documentate e riportate dal contratto e nella documentazione di trasparenza prevista dalla disciplina vigente'. Ciò significa che il cliente in sede di chiusura di conto corrente bancario e dei relativi contratti accessori dovrà comunque pagare i costi vivi sostenuti dalla banca per disattivare i servizi accessori affidati a terzi. Le banche vincono sui mutui. La nota interpretativa sottolinea, poi, come l'ultimo decreto Bersani in fatto di liberalizzazioni, il n. 7/2007 in questi giorni al vaglio delle camere per la conversione in legge, abbia sancito lo stop alle penali legate all'estinzione anticipata dei mutui contratti per l'acquisto di prima casa. Ciò significa, secondo il ministero, che le clausole penali si applicano ancora per quei contratti di mutuo in cui la variabile tempo sullo svolgimento del rapporto, concordata tra le parti, costituisca per entrambi i contraenti (banca e cliente) un elemento essenziale del rapporto stesso. In sostanza, si pagherà la penale per estinguere i mutui i cui termini di ammortamento siano stati concordati tra banca e cliente, sulla base di leggi speciali. Tra queste, per esempio, le operazioni di credito fondiario e di credito al consumo. Ne deriva che se il cliente vorrà estinguere anticipatamente un mutuo del genere non potrà invocare la 'Visco-Bersani', ma dovrà pagare la penale.Il consumatore vince sul conto titoli. I rappresentanti dei consumatori avevano manifestato la volontà di applicare lo stop alle spese di chiusura anche all'estinzione e all'eventuale trasferimento del conto titoli. Per la circolare Abi, invece, questo non era fattibile e, comunque, era necessario considerare e far pagare al cliente le spese per le operazioni di trasferimento imposte dalla Monte Titoli spa (peraltro, partecipata dalle stesse banche). La soluzione adottata dal ministero è chiara: sul conto titoli non si pagano né spese di chiusura né penali. Ma, si pagheranno le sole spese vive, i costi reali dell'operazione che coinvolgono un soggetto terzo (Monte titoli, appunto). Un costo, che un tavolo tecnico tra ministeriali, Abi e delegati del Cncu- Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (riunitosi il 30 ottobre, il 22 novembre e il 5 dicembre 2006) ha fissato in 30 centesimi di euro per ogni singola transazione di 'codice titoli'.

 


Da La Stampa 21-2-2007 Allarme inglese per banche italiane  Mario Deaglio

 

L’incubo dei banchieri sta diventando realtà. In Gran Bretagna, ossia nel Paese dalla più antica cultura bancaria di massa, dove da un secolo tutti sono titolari di un conto corrente, si profila una vera e propria rivolta popolare, che potrebbe coinvolgere un milione di correntisti, con tanto di comitati spontanei pronti a lanciare pesantissime azioni legali. Non è probabilmente un caso che tutto ciò si verifichi proprio quando molte banche inglesi pubblicano i bilanci migliori della loro storia.
Il motivo tecnico del risentimento è piuttosto raro da noi (si tratta di commissioni e penalità quando il conto «va in rosso», il che succede spesso agli «spendaccioni» inglesi, molto meno ai prudenti e «risparmiatori» italiani) ma questo non deve rassicurare le banche italiane. Recenti sondaggi hanno mostrato che, mentre permane una fiducia di fondo del depositante nei confronti della «sua» banca, si sta fortemente riducendo - non solo in Italia o in Gran Bretagna ma un po’ in tutta Europa - la fiducia nelle banche, complessivamente considerate; il che non è poi tanto strano visto che le banche hanno scelto di non essere più istituzioni ma imprese come le altre, con l’obiettivo di rendere massimi i profitti.
Per il passaggio da un ruolo istituzionale a un ruolo concorrenziale non basta un semplice tratto di penna, si deve formare una cultura. Come ha sostenuto il governatore della Banca d’Italia, parlando a Torino il 3 febbraio, il consolidamento dell’industria bancaria può e deve produrre una maggiore efficienza… non una minore concorrenza: deve tradursi in prezzi più bassi e migliore qualità dei servizi.
I gruppi nati dalle concentrazioni devono dimostrare di essere in grado di ridurre significativamente e rapidamente gli oneri per la clientela.
Non sono parole di un’associazione di difesa dei diritti dei consumatori, ma del capo dell’organo che vigila sul corretto funzionamento del sistema bancario e che, nella nuova situazione di mercato, allarga il proprio campo d’osservazione dalla solidità delle banche alla loro concorrenzialità.
Le banche non dovranno più confrontarsi soltanto con gli analisti finanziari che basano i loro giudizi sul tasso di rendimento del capitale ma anche con depositanti prontissimi a passare alla concorrenza in base alla qualità e al prezzo dei servizi loro offerti. In una società che non ama più il sacro, hanno perduto la loro aura di sacralità. Forse ci sono motivi per rimpiangere i tempi passati - quando grazie all’inflazione si aveva l’illusione che il conto corrente «rendesse» anziché costare - ma in ogni caso gli affezionati depositanti di pochi anni fa si stanno trasformando in attentissimi clienti pronti a rivolgersi altrove e ormai abituati a controllare gli addebiti e le commissioni sul conto corrente con lo stesso parsimonioso sguardo con cui si controlla il conto del supermercato.
Questo passaggio da istituzione a mercato coincide per le banche con l’ennesima rivoluzione elettronica, destinata a modificarne profondamente non solo l’operatività tecnica ma anche l’intera struttura dei costi e dei ricavi. È facile immaginare, infatti, che entro pochissimi anni la maggioranza dei conti correnti sarà di tipo elettronico, normalmente accessibile solo mediante Internet e debba essere proposta a costo pressoché nullo; proprio perché, per strapparsi il cliente, le banche abbasseranno i prezzi e cercheranno di inventare nuovi servizi graditi sia ai depositanti sia a chi chiede loro credito. Il personale delle aziende bancarie sarà in buona parte diversamente utilizzato e diversamente qualificato. Gli attuali, elevati tassi di profitto potrebbero rappresentare una fase transitoria e dovremmo, proprio grazie alla concorrenza, attenderci una loro discesa a livelli più prossimi ai valori medi.
Sono pronte le nostre banche a farsi concorrenza davvero, senza guanti? Il settore bancario italiano ha messo in luce un’ottima capacità progettuale, come dimostrano le fusioni che ne hanno modificato radicalmente il panorama negli ultimi mesi, ed è così arrivato a metà del guado. L’altra metà consiste precisamente nel dimostrare con i fatti che nel nuovo mercato bancario il depositante è re. Se le nostre banche non lo facessero, si troverebbero davanti la replica della situazione inglese.

mario.deaglio@unito.it


Da La Padania 21-2-2007 LA FARSA DELLE LIBERALIZZAZIONI. Costi ricarica, il Governo ammette: non cambia nulla

Secondo la Commissione Bilancio le compagnie rivedranno le tariffe: ennesima beffa per i cittadini

 

massimo garavaglia*


Le liberalizzazioni del Ministro Bersani arrivano in aula. Si passa così dagli slogan e dalle anticipazioni ai primi dati di fatto. Il simbolo di queste liberalizzazioni è, nel bene e nel male, l’abolizione della ricarica per i telefonini, e qui iniziano i problemi…
Tutti d’accordo chiaramente sul principio: chi non malato di mente si può opporre all’eliminazione di una gabella? Il punto è un altro. Il provvedimento è efficace? Ci sarà davvero un risparmio per le tasche dei consumatori? La risposta, semplice, è purtroppo no.
Lo aveva già spiegato autorevolmente Mario Monti, di cui ricordo ancora con piacere le lezioni di Economia Politica alla Bocconi. Dice il Monti: le compagnie telefoniche si fanno pagare il servizio in tre modi: con la ricarica, con lo scatto alla risposta e con la tariffa a tempo; eliminando per legge una componente i costi si spalmeranno sulle altre due. Non serve una laurea in economia per capire che le compagnie non rinunceranno gratis a due miliardi di euro l’anno di fatturato (tale è l’introito delle ricariche).
Cosa fanno: licenziano centinaia di persone per ridurre i costi? Rinunciano a chiudere i bilanci in attivo causando il crollo dei titoli in borsa? Ovviamente no, semplicemente rifaranno i conti usando due leve di prezzo anziché tre. Nessuno della maggioranza di centrosinistra per ora ha voluto condividere questa per noi banale considerazione, però, si sa, le bugie hanno le gambe corte.
Così in Commissione Bilancio il sottosegretario Lettieri ha dovuto ammettere l’evidenza. La Commissione Bilancio, infatti, è deputata a dare i pareri di copertura finanziaria delle leggi: qual è l’impatto sui conti dello stato dell’articolo 1 (quello che abolisce le ricariche) del decreto Bersani 1 sulle liberalizzazioni? Il minore fatturato delle compagnie telefoniche comporta un minor gettito fiscale, chiaramente. Per cui ho chiesto lumi al Sottosegretario, per sapere a quanto ammonta secondo il Governo questo minor gettito e come si pensa di coprirlo. Ebbene il Lettieri risponde candidamente che non ci sarà minor gettito, poiché le compagnie rivedranno i loro piani tariffari. Bene. Lo sapevamo già. Però fa piacere che il Governo onestamente ammetta che non ci saranno benefici reali per i consumatori.
Questo per quanto riguarda il primo decreto Bersani sulle liberalizzazioni, in buona sostanza tutto fumo e una bella operazione di marketing. Attendiamo il Bersani 2, dove pare che oltre al fumo ci sia un poco di arrosto, e nel frattempo cerchiamo di migliorare il testo giunto alla Camera. Le liberalizzazioni, se fatte davvero, comportano dei risparmi anche notevoli per i cittadini.
Così ad esempio ho proposto la liberalizzazione della gestione dell’illuminazione pubblica dei Comuni, che oggi è gestita nella stragrande maggioranza dei casi dall’Enel, tramite la sua società EnelSole; peccato però che poi è la stessa Enel ha fornire la corrente elettrica all’EnelSole. In questo modo chi fornisce l’energia è lo stesso che poi gestisce la rete d’illuminazione, e che dovrebbe in teoria fare di tutto per consumare meno energia, nell’interesse dei Comuni e quindi dei cittadini. Il sospetto che non lo faccia è legittimo.
Liberando i Comuni dal vincolo con EnelSole e affidando il servizio ad un’altra società si avrebbe la possibilità di fare tutto quanto è opportuno per ridurre davvero la bolletta; ogni mille pali (numero medio di pali per un comune di 5.000 abitanti) si spendono 120.000 euro l’anno, tra consumo e manutenzione, con margini di risparmio uscendo dal monopolio Enel del 40%. Ovvero si potrebbero risparmiare 50.000 euro ogni 5.000 abitanti, mezzo miliardo di euro l’anno a livello nazionale, semplicemente liberalizzando un servizio. Questa è secondo noi una vera liberalizzazione e se ci saranno proposte simili le accoglieremo con favore. Per ora non se ne vedono.
*Parlamentare Lega Nord

 


Dal Corriere della Sera 21-2-2007 Uno studio Gallup su oltre 10 mila musulmani in dieci nazioni. La guerra al terrore ha radicalizzato l'Islam. Francesco Tortora

 

Aumentati dal 2001 i fondamentalisti e gli antiamericani nella società musulmana. I più ricchi e istruiti sono i più radicali

 

NEW YORK - Da quando nell'ottobre del 2001 gli Stati Uniti hanno dichiarato la guerra al terrorismo, il mondo musulmano si è radicalizzato ed è aumentato a dismisura il numero dei fondamentalisti e degli antiamericani nella società musulmana. E i più radicali appartengono alle classi più ricche e istruite, e non alle masse povere. È ciò che emerge dalla più grande ricerca mai effettuata finora nel mondo musulmano, riportata sul sito online del quotidiano britannico «Times». Il centro studio musulmano dell'agenzia Gallup di New York ha intervistato oltre 10 mila cittadini musulmani in dieci diversi Paesi a predominanza islamica tra il 2005 e il 2006. Uno studio simile era stato effettuato dalla Gallup già nel 2001, ma su un campione molto più modesto.

INTERVISTE - Il 7% degli intervistati afferma che gli eventi dell'11 settembre 2001 sono «pienamente giustificati». In Arabia Saudita il 79% ha «un'idea sfavorevole» degli Usa. Inoltre si dichiarano antiamericani il 65% dei giordani, il 49% dei marocchini, il 52% degli iraniani e il 65% dei pakistani. L'unica consolazione per gli Usa è che in questi due ultimi Paesi rispetto al 2001 l'antiamericanismo è diminuito. Infatti nel 2001 gli iraniani che si dichiaravano antiamericani erano il 63%, mentre i pakistani erano il 69%.

DIVISIONI - Lo studio mostra la netta divisione che vi è nella società musulmana nel giudicare l'Occidente: una parte sembra ammirare alcuni valori occidentali come la democrazia, la tecnologia, la libertà di parola e la libertà, ma un'altra parte sembra detestarli aspramente. Per quanto riguarda la religione, essa è fortemente presente sia tra i radicali sia tra i moderati. La maggioranza dei musulmani intervistati condanna l'Occidente per la promiscuità e per la sua decadenza morale. Su alcuni temi religiosi si notano piccole differenze: mentre la sharia, la legge islamica, gode di un ampio consenso, solo una minoranza vuole che i leader religiosi siano anche i legislatori della società. Molte donne che vivono in Stati in cui la religione musulmana è prevalente, dichiarano che la sharia deve ispirare le leggi della nazione, ma allo stesso tempo affermano di credere nell'eguaglianza dei diritti tra uomo e donna.

CONVERGENZE - «I fondamentalisti musulmani hanno tante cose in comune con i loro fratelli moderati», dichiara il reportage della Gallup. «Se l'Occidente vuole sconfiggere i radicali e rafforzare i moderati, è bene che sappia riconoscere questo dato». Infatti non ci sarebbero grandi differenze in molte interpretazioni della religione da parte dei moderati e dei radicali: «Non ci sono grandi differenze nella religiosità tra i moderati e radicali», dichiara Dalia Mogahed, direttore dello studio del centro studi sui musulmani di New York. «Infatti non è vero che i radicali praticano con più assiduità i dettami religiosi rispetto ai moderati».

RICCHI E SCOLARIZZATI - Il direttore del centro studi continua: «Non è un segreto che molti nel mondo musulmano soffrono un'estrema povertà e una scarsa istruzione. Ma forse i radicali sono più poveri degli altri musulmani? Noi abbiamo appurato l'opposto: nella società musulmana i radicali sono coloro che guagnano di più e coloro che trascorrono più anni nelle scuole». Infatti secondo lo studio, i radicali sono coloro che si dichiarano maggiormente soddisfatti dei loro guadagni e della loro qualità della vita.

21 febbraio 2007


INDICE  21-2-2007

 

·                                                                                  Da L’Unità 21-2-2007  Senato, la maggioranza non c'è. Battuti sulla politica estera Due voti in meno, vertice da Prodi 1

·                                                                                  Dal Corriere della Sera 21-2-2007 Dopo il voto al Senato, vertice di governo a Palazzo Chigi. Prodi sale al Quirinale alle 19  2

·                                                                                  Da e-gazette 21-2-2007   Così si fa! Il petrolio cala, e l'Air France riduce i biglietti 3

·                                                                                  Dal Corriere della Sera 21-2-2007 Blair annuncia l'inizio del ritiro dall'Iraq  Il premier inglese ha anticipato la decisione a Bush con un telefonata. 3

·                                                                                  Dal Corriere della Sera  21-2-2007 Il gioco delle parti tra Massimo e Romano Massimo Franco. 4

·                                                                                  Da La Repubblica 21-2-2007 Allegate all'ordinanza le conversazioni tra i br: "Meglio che una banca, non ci sono né vetri né chiavi" "Rapiniamo i laboratori d'analisi coi ticket di Formigoni hanno più soldi". di DAVIDE CARLUCCI 5

·                                                                                  Da La Repubblica 20-2-2007 L'email? Disinibisce troppo e in rete si diventa maleducati di Alessia Manfredi 6

·                                                                                  Da online-news.it 20-2-2007 Immobili: il mercato romano frena nel 2006. Uno studio di Grimaldi immobiliare stima un decremento del 3,5% rispetto all'anno precedente. 7

 

 


Da L’Unità 21-2-2007  Senato, la maggioranza non c'è. Battuti sulla politica estera Due voti in meno, vertice da Prodi

Alla fine la maggioranza non ce l'ha fatta: per due voti il Senato non ha approvato la mozione dell'Unione sulla politica estera. La mozione della maggioranza (Finocchiaro) ha raccolto 158 voti favorevoli, 136 contrari ma la maggioranza prevista era di 160 voti. Governo battuto, dunque, per due voti rispetto al quorum richiesto.

In Aula l'opposizione immediatamente chiede le dimissioni del governo. Romano Prodi convoca un vertice immediato a Palazzo Chigi a cui partecipano anche il ministro della Difesa Parisi e Santagata, il vicepremier Francesco Rutelli. E anche il ministro degli Esteri D'Alema che ha raggiunto l'ufficio del premier dal Senato, seguito dal segretario dei Ds Piero Fassino. Secondo indiscrezioni D'Alema potrebbe presentare le sue dimissioni.

Il Guardasigilli Mastella dell'Udeur propende per un'altra soluzione: «Eventualmente le dimissioni non sarebbero solo di uno ma di tutti. Ora bisogna vedere cosa succede, certo c'è da riflettere. Nel frattempo abbiamo convocato d'urgenza l'ufficio politico dei Popolari-Udeur per le 17». Per il momento l'unica cosa certa è che il capo dello Stato Napolitano è rinetrato da Bologna per ricevere Prodi, alle 19 al Quirinale. Nel frattempo il vertice si è ingrossato: vi partecipano anche il segretario del Pdci Oliviero Diliberto e i capogruppo di Ds e Margherita al Senato Dario Franceschini ed Anna Finocchiaro, insieme ai vicepresidenti Marina Sereni e Nicola Latorre.  E ancora: il ministro della Giustizia Clemente Mastella, quello dell'Interno Giuliano Amato. 

Ieri - e sembra passato un secolo - il vicepremier D'Alema aveva ribadito che nel caso fosse venuta meno la maggioranza sulla politica estera si sarebbe dovuti tornare alle urne, su una linea che è sempre stata anche quella del premier Romano Prodi. L'altro vicepremier Francesco Rutelli invece aveva detto: «Se il governo cade dovremmo ragionare sul da farsi». E si era dichiarato contrario a tornare al voto dopo solo un anno dalle ultime politiche: «Sarebbe il modo migliore per consegnare il paese a Berlusconi».

Ovviemente in questo momento nel centrosinistra tutti gli occhi sono puntati sui "dissidenti" della sinistra radicale. La capogruppo dei senatori dei Verdi-Prci Emanuela Palermi ha parole dure per il suo compagno di partito, il dissidente Ferdinando Rossi che si è astenuto e Franco Turigliatto del Prc che si è rifiutato di partecipare al voto: «Sono degli irresponsabili e stanno dando di nuovo il Paese in mano alla destra. Nutro nei loro confronti il più profondo disprezzo», a quanto si racconta anche confermato de visu ai diretti interessati, apostrofati malamente anche dalla capogruppo verde Loredana De Petris.

Ma il Prc sostiene che la responsabilità di quanto è accaduto non va ricercata nelle proprie fila, né più in generale nella "sinistra radicale". «Si tratta di un risultato contro noi del Prc, oltre che contro il governo - ha detto il sottosegretario Alfonso Gianni - Non mi pare un incidente di percorso. Ora ragioniamoci sopra contando fino a 10 prima di prendere ogni decisione definitiva». Sarebbero state decisive le astensioni di Giulio Andreotti e Sergio Pininfarina, senatori a vita, che alla fine si sono aggiunti alle astensioni dell'Udc. È lo stesso Andreotti a spiegare la sua versione: «Io sarei stato anche disponibile a votare a favore... ma poi, questa posizione di dover esprimere comunque una discontinuità con il governo Berlusconi, di dover sempre ridurre tutto a un "pro" o "contro" Berlusconi, mi sembra davvero assurdo... io non ho votato a favore di Berlusconi... quindi ho deciso alla fine di chiamarmi fuori».

Secondo una ricostruzione degli avvenimenti fatta in Senato, nel corso della notte la Cdl sarebbe riuscita a convincere il senatore Sergio De Gregorio, ex Italia dei Valori ora nel gruppo misto, che ieri aveva annunciato il suo sì e invece oggi ha votato no. E anche il senatore a vita Giulio Andreotti. Ma il vero colpo di teatro è stato l'ingreso in aula dopo mesi di assensa di Sergio Pininfarina, altro senatore a vita, che appena entrato si è seduto nei banchi di Forza Italia per votare «secondo libertà e coscienza», respingendo i consigli del suo amico Valerio Zanone, ex liberale ora nelle fila dell'Ulivo. E anche Schifani, presidente dei Senatori di Forza Italia, conferma: «Pininfarina era la nostra arma segreta».

 

 


Dal Corriere della Sera 21-2-2007 Dopo il voto al Senato, vertice di governo a Palazzo Chigi. Prodi sale al Quirinale alle 19

Il premier riferisce di una telefonata con il presidente Napolitano

 

 

ROMA - Maggioranza allo sbando dopo la bocciatura al Senato sulla politica estera. A complicare le cose le parole della vigilia pronunciate da D'Alema («Senza maggioranza non c'è più governo») anche se oggi l'ex presidente Cossiga (l'unico senatore a vita ad aver votato contro) ha ricordato che «per la Costituzione, il governo non ha il dovere di dimettersi perché le dimissioni ci sono solo su un voto di fiducia». Per una schiarita occorre attendere l'esito dell'incontro al Colle tra Prodi e Napolitano previsto per le 19. Il presidente della Repubblica ha infatti interrotto la sua visita a Bologna dopo la telefonata del premier. «Ho sentito il presidente della Repubblica e gli ho comunicato l'intenzione di recarmi al più presto al Quirinale per conferire e informarlo della situazione alla luce del voto odierno al Senato» ha confermato Prodi dopo che l'ufficio stampa del gruppo dell’Ulivo al Senato aveva fatto sapere che sarà tutto il governo e non solo il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, a recarsi appena possibile dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

VERTICE DI MAGGIORANZA - Intanto nel pomeriggio, subito dopo il voto, si è svolto un breve vertice di maggioranza a Palazzo Madama, seguito da un secondo vertice a Palazzo Chigi a cui hanno preso parte i vicepremier D'Alema e Rutelli, i ministri Parisi, Santagata e Fioroni. Presenti anche i vertici dell'Ulivo alla Camera Dario Franceschini e Marina Sereni.
DILIBERTO: NECESSARIO VOTO DI FIDUCIA - «È necessario un dibattito parlamentare e un rinnovato voto di fiducia per andare avanti» ha detto il segretario del Pdci Oliviero Diliberto dopo il voto al Senato. «È giusto convocare subito il Consiglio dei ministri- aggiunge- ed è necessario rinsaldare la coalizione. Criminale sarebbe riconsegnare il Paese alle destre o procedere verso ipotesi che tradirebbero il mandato elettorale, tipo larghe intese o ipotesi neocentriste».
BINDI: «MALEDETTA LEGGE ELETTORALE» - «Maledetta legge elettorale... questo è il primo pensiero che mi viene in mente». Il ministro per la Famiglia Rosy Bindi non ha nascosto la delusione per il voto del Senato sulla politica estera. «Non c'erano i motivi e le condizioni per votare così - ha aggiunto la Bindi riferendosi ai senatori "dissidenti" della maggioranza - si sono presi una gravissima responsabilità nei confronti del Paese».

MASTELLA: LA MAGGIORANZA C'E' - «Al Senato è successo uno scivolone, ma in quest'Aula il governo la maggioranza ce l'ha». Lo ha ribadito nell'Aula della Camera il ministro della Giustizia Clemente Mastella rispondendo alle contestazioni di An che considerava il governo non legittimato a rispondere oggi al question time dopo che è stato battuto a Palazzo Madama.

21 febbraio 2007


Da e-gazette 21-2-2007   Così si fa! Il petrolio cala, e l'Air France riduce i biglietti

Parigi, 5 febbraio ? L'Air France ha annullato da sabato 3 febbraio l'ultimo rincaro che era stato introdotto per far fronte all'aumento dei prezzi del petrolio, cioè una sovrattassa di 7 euro sui voli a lungo raggio. La compagnia francese ha precisato che la decisione è legata al passaggio del prezzo del petrolio al di sotto dei 60 dollari per 30 giorni. E-GAZETTE - 21/02/2007 e-gazette.it -->.

 

Parigi, 5 febbraio ? L'Air France ha annullato da sabato 3 febbraio l'ultimo rincaro che era stato introdotto per far fronte all'aumento dei prezzi del petrolio, cioè una sovrattassa di 7 euro sui voli a lungo raggio. La compagnia francese ha precisato che la decisione è legata al passaggio del prezzo del petrolio al di sotto dei 60 dollari per 30 giorni. E-GAZETTE - 21/02/2007 e-gazette.it -->.

 


Dal Corriere della Sera 21-2-2007 Blair annuncia l'inizio del ritiro dall'Iraq  Il premier inglese ha anticipato la decisione a Bush con un telefonata

 

Un primo contingente di 1.500 militari lascerà il paese. Non è escluso un rallentamento della partenza se la situazione peggiora

 

ROMA - Il primo ministro britannico Tony Blair annuncia oggi l'inizio del ritiro, nelle prossime settimane, di migliaia di soldati britannici dall'Iraq. Lo hanno reso noto in nottata i media di Londra, e lo stesso Blair ha anticipato la notizia con una telefonata a Bush, conversazione confermata dalla stessa Casa Bianca. Fonti del ministero della difesa inglese non hanno tuttavia escluso un rallentamento della partenza delle truppe se la situazione sul campo peggiorerà. Blair, secondo il quotidiano The Sune la Bbc online, informerà il Parlamento che un primo contingente di 1.500 militari lascerà l'Iraq e dovrebbe rientrare in Gran Bretagna nel giro di qualche settimana, mentre un altro, della stessa consistenza, verrebbe rimpatriato entro Natale. Attualmente la Gran Bretagna ha 7.100 militari in Iraq, il contingente più numeroso dopo quello statunitense.

CONFERMA USA - La conferma dell'intenzione del premier inglese di avviare un primo ritiro delle truppe è giunta anche da Washington. Il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, Gordon Johndroe, ha riferito che - in una conversazione telefonica - Blair ha informato il presidente Usa George W. Bush. Nei giorni scorsi un portavoce del ministero della difesa britannico aveva dichiarato che Londra intendeva restare «impegnata» in Iraq, finché sarà necessario, mentre altre fonti del dicastero - citate in forma anonima dalla Bbc online- ritengono che il ritiro sia «leggermente più lento del previsto e che se le condizioni peggioreranno il processo potrebbe essere ulteriormente rallentato«. Nel confermare che Blair ha informato Bush prima di annunciare l'inizio del ritiro in Parlamento, il portavoce della Casa Bianca ha confermato che gli Usa non hanno l'intenzione di fare una mossa analoga, ricordando che il presidente ha recentemente deciso di inviare altri 21.500 militari in Iraq. «Gli Stati Uniti sono grati alla Gran Bretagna per il contributo che ha dato in Iraq, e condividiamo con loro la volontà di consegnare progressivamente alle forze armate irachene il controllo del territorio«, ha dichiarato Johndroe.

21 febbraio 2007


Dal Corriere della Sera  21-2-2007 Il gioco delle parti tra Massimo e Romano Massimo Franco

La Nota  Massimo Franco

 

Un residuo di incertezza ma la maggioranza è fiduciosa

 

È forte la sensazione che la sfida di Massimo D'Alema in Senato, oggi, sia più facile di quanto si voglia far credere. Più che l'opposizione, il ministro degli Esteri dovrà persuadere gli alleati dell'estrema sinistra. Ma a sentire le dichiarazioni della vigilia, sembrerebbero già convinti. D'Alema chiederà il voto su una mozione che parla in generale della politica estera. Affronterà il problema della missione in Afghanistan ma vorrebbe solo sfiorare quello della base Usa a Vicenza. Ed è stato preceduto dalle parole distensive di Romano Prodi che, dalla Spagna, ha rilanciato l'idea di una conferenza internazionale di pace e «di uno sbocco politico e non solo militare al problema afghano».
Sull'Afghanistan «Italia e Spagna sono fianco a fianco», ha detto il presidente del Consiglio. Aveva accanto il premier Zapatero, icona dell'estrema sinistra italiana sia per il ritiro unilaterale dall'Iraq che per il suo anticlericalismo. E il messaggio implicito agli alleati era a non forzare la mano, dal momento che lo stesso Zapatero condivide l'impostazione di Palazzo Chigi. Pazienza se la proposta della conferenza di pace non è nuova, non entusiasma la comunità internazionale, e viene accolta gelidamente dagli Stati uniti.
Basta che piaccia ai pacifisti dell'Unione; che offra loro un appiglio tattico, in grado di farli uscire dall'angolo. Politicamente, evocare la conferenza dovrebbe bastare per ottenere il via libera dei pochi senatori dell'estrema sinistra che si dicono tentati dal «no». L'Unione vuole dimostrare di avere una propria maggioranza sulle scelte internazionali. Non per nulla ieri D'Alema ha avvertito che, se mancano i numeri, stavolta il presidente del Consiglio sarebbe costretto alle dimissioni. «È un principio costituzionale», spiega il titolare della Farnesina. La precisazione sembra dar voce alle preoccupazioni del Quirinale, deciso a non soprassedere di fronte ad una nuova bocciatura del governo.
Rimane, tuttavia, un margine residuo di incertezza. È legato ad incognite di segno diverso. L'unica politica è la reazione che potrebbe provocare fra i senatori «antagonisti» qualunque accenno di D'Alema all'ampliamento della base di Vicenza. Le altre sono quelle legate ad un voto parlamentare giocato sul filo di una manciata di seggi; e alla replica, improbabile, di una gestione maldestra del voto sulle mozioni. Ma congiure non se ne vedono. Nessuno, neppure l'opposizione, scommette sulla caduta di Prodi.
I contrasti delle ultime settimane fra Palazzo Chigi e Prc, Pdci e Verdi sull'atteggiamento verso gli Stati Uniti rimangono intatti; e tuttavia vengono tenuti il più possibile fuori dalla discussione odierna al Senato. Il timore di una delegittimazione crescente del governo a livello internazionale rende tutti cauti; e decisi a smentire l'imprevedibilità dell'Esecutivo italiano. All'Unione il voto serve per dimostrare di avere «una maggioranza autosufficiente», proprio perché è mancata nel recente passato. Si tratta di una verità politica, da verificare quando si dovrà votare il rifinanziamento della missione afghana. Ma per ora basta a tamponare le polemiche dopo la manifestazione a Vicenza; e per rinviare alla prossima occasione la verifica dei rapporti di forza interni.

21 febbraio 2007


Da La Repubblica 21-2-2007 Allegate all'ordinanza le conversazioni tra i br: "Meglio che una banca, non ci sono né vetri né chiavi" "Rapiniamo i laboratori d'analisi coi ticket di Formigoni hanno più soldi". di DAVIDE CARLUCCI

 

MILANO - Visto che Formigoni ha aumentato i ticket sulla sanità, aggiungendo ai suoi la quota indicata nella Finanziaria, le nuove Br pensavano di finanziarsi rapinando non più le banche ma le casse degli ambulatori e dei laboratori pubblici di analisi della Lombardia. Ma dalle intercettazioni ambientali fatte dagli inquirenti e contenute in 34 faldoni emergono anche le strategie per inserirsi negli scontri interni alla Fiom e i contatti con la malavita comune.

LE RAPINE AI LABORATORI
L'11 gennaio alle 18,50, Claudio Latino e Bruno Ghirardi si incontrano nel bar Mythos di via Legnano.
Latino dice a Ghirardi: "Sai cosa ho pensato? Sul discorso finanziario, i ticket sanitari sono più che raddoppiati. E lì pagano quasi tutti in contanti, sono vecchi principalmente, non usano il bancomat... consultori, centri medici, laboratori di analisi. Pensa, è andata mia moglie l'altro giorno, quaranta, cinquanta euro... Perché adesso, oltre a quelli di Formigoni (i ticket sanitari, ndr)... cioè, Formigoni ha aumentato, in più sono altri 10 o 15 euro che ce li ha messi il governo".
G.: "Eh, ha detto che non può accontentare tutti... quindi!".
L.: "Allora ho pensato: 200 prestazioni sono già 10mila!".
G.: "Beh, non è tantissimo".
L.: "Non è tantissimo, però 200 prestazioni qualsiasi consultorio le fa la mattina... E poi lì non hai la struttura di una banca, cioè non hai i vetri, le chiavi, c'è una porta qualsiasi... un ufficietto con una porta normale".
G.: "Negli ospedali a volte c'è una guardia giurata".
L.: "Io ho visto quello in via Padova, don Orione, adesso lo stanno pure ristrutturando... è tutto un macello... ".
Sempre nello stesso dialogo, i due pensano a altri sistemi per fare soldi, dopo aver ricordato la tentata rapina al bancomat di Albignassego dieci giorni prima.
G.: "Possiamo provare a vedere le casse dei discount... pagano tutti in contanti, non c'è carta di credito, però bisogna vedere gli orari del ritiro, è facile che ce ne sia più d'uno al giorno. Quando vado al discount è pieno di gente che paga in contanti, è vero che non spende grosse cifre, però sono sempre 40, 50 euro".
L.: "Bisognerebbe provare a oscurare qualche telecamera di qualche bancomat in giro... senza farlo (la rapina, ndr). Solo andare lì, oscurarlo e vedere cosa succede".
Parlano anche di rapine lette sui giornali, tipo quelle in farmacia ("hanno portato via il Viagra, è meglio del denaro, adesso", scherzano) e Latino conclude: "comunque se servono dei soldi subito, in un conto mio personale li trovo... due o tremila euro... ".

IL DIBATTITO NELLA FIOM
IL 15 ottobre, alle 14.20 Claudio Latino, Vincenzo Sisi e Davide Bortolato parlano in un ristorante cinesi e parlano delle loro relazioni all'interno delle fabbriche.
Sisi: "Sto facendo, stiamo facendo, in due o tre, questo esperimento di mettere le mani nell'organizzazione del lavoro e, dunque, di... cercare anche di condizionare certe scelte".
B: "Dibattito? auguri..."
S: "Cioè scelte organizzative... no, ma... è una situazione di merda, è una situazione molto particolare (...) C'è un gruppetto di giovani che sono entrati già nel momento in cui si assumevano, che l'azienda si allargava... hanno cominciato a ricoprire ruoli di... e adesso che si sono iscritti al sindacato, no?! Due capi reparto iscritti alla Cgil..." (ride) i capoturni iscritti alla Cgil". Più avanti è il padovano Bortolato a informare gli interlocutori: "Negli ultimi direttivi della Fiom è venuto fuori un bel po' di contrasti accesi. Beh, la Fiom, è la più critica però il discorso è... non si può non ammettere che ci sia una discontinuità con il governo precedente...". "Comunque - commenterà poi Sisi - cominciano ad aprirsi contraddizioni".

I RAPPORTI CON LA MALAVITA
Il 24 gennaio Ghirardi e Salvatore Scivoli, il detenuto comune divenuto in carcere un referente dei brigatisti, parlano in un bar di Milano.
S:"(...) C'ho ogni tanto qualche contatto con Graziano Mesina e... a proposito mi ha detto Marcello però fai attenzione..." Più avanti Scivoli aggiunge: "Io c'ho un aggancio... è uno qua di Milano... un zanza... (...) questo, ti dico, è nel giro che c'ha (...) il fratello di Renato... Vallanzasca (...)
(21 febbraio 2007)


Da antitrust (www.agcm.it) 19-2-2007  ANTITRUST: OPERATIVO IL PROGRAMMA DI CLEMENZA

 

È operativo da oggi il programma di clemenza per le imprese che intendano collaborare con l’Antitrust, aiutandola a individuare le più gravi intese restrittive della concorrenza. L’Autorità, nella riunione del 15 febbraio, ha infatti approvato le linee operative definitive, disponibili sul sito www.agcm.it, al termine di un’ampia consultazione pubblica.
La possibilità per l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato di ricorrere ai programmi di clemenza, con sconti o addirittura esenzione totale delle sanzioni per le imprese che collaborano, è stata introdotta nel nostro ordinamento dalla legge n. 248 del 4 agosto 2006 (la cosiddetta Bersani-Visco).
Ecco, le principali linee-guida del programma di clemenza.
I POTENZIALI INTERESSATI

La clemenza sarà limitata alle imprese che informano l’Autorità dell’esistenza di cartelli segreti, le infrazioni più gravi del diritto della concorrenza e soprattutto le violazioni che presentano particolari difficoltà di accertamento.

GLI ‘SCONTI’ POSSIBILI

Il programma prevede una scalettatura degli sconti, graduata sull’incisività della collaborazione offerta dalle imprese ‘pentite’. Si parte dall’immunità totale per l’impresa che per prima fornisce spontaneamente all’Autorità prove decisive sul cartello segreto, di cui l’Autorità non dispone.

È comunque possibile per un’impresa che rafforzi significativamente l’impianto probatorio a disposizione dell’Autorità tramite la sua cooperazione ottenere uno sconto, di regola non superiore al 50% della sanzione. Ovviamente si terrà conto della tempestività della collaborazione dell’impresa e del valore del materiale probatorio prodotto.

La piena cooperazione con l’Autorità è un presupposto essenziale per accedere ai benefici del programma di clemenza. Pertanto, a pena di esclusione, l’impresa deve rivelare tutte le informazioni rilevanti disponibili e deve astenersi dal rendere nota ad altri la propria partecipazione al programma di clemenza.

COME FARE LA DOMANDA

L’impresa che intenda aderire al programma di clemenza deve presentare all’Autorità una domanda, corredata dalle informazioni e dai documenti rilevanti. Tuttavia, è possibile che l’azienda non sia in grado di produrre immediatamente gli elementi di prova necessari per ottenere l’immunità, ma possa procurarseli in breve tempo. In tal caso, può presentare una domanda incompleta e chiedere all’Autorità la fissazione di un termine per il perfezionamento della domanda con la produzione degli elementi informativi e documentali rilevanti.

Infine, per alleggerire gli oneri amministrativi gravanti sulle imprese, è prevista la possibilità di presentare una domanda di immunità in forma semplificata, nei casi in cui la Commissione Europea sia nella posizione più idonea per condurre le indagini sul cartello in questione.


Roma, 19 febbraio 2007


Da La Repubblica 20-2-2007 L'email? Disinibisce troppo e in rete si diventa maleducati di Alessia Manfredi

Le ricerche mostrano come questa comunicazione diventi spesso aggressiva e spinta
Colpa dell'anonimità del mezzo, annulla i freni inibitori e favorisce i malintesi

 

NEW YORK - Almeno una volta è capitato a tutti di rimanere interdetti di fronte al tono di un'email che suona un po' troppo aggressiva o spinta. Frasi che non si avrebbe il coraggio di pronunciare faccia a faccia, di fronte a un interlocutore in carne ed ossa. Per gli scienziati è tutta colpa del cyberspazio, che toglie le inibizioni e spinge a comportamenti esagerati, che diventano facilmente offensivi, imbarazzanti o semplicemente maleducati.
E' uno dei nuovi problemi della comunicazione nell'era di internet che, come riporta il New York Times, sta attirando sempre di più l'attenzione degli psicologi. Una ricerca pubblicata sul CyberPsychology and Behavior nel 2004 spiega il fenomeno con diverse motivazioni: l'anonimato della rete, il fatto di non vedere gli altri direttamente, l'intervallo di tempo che intercorre fra l'invio di un messaggio di posta elettronica e il momento in cui il destinatario lo leggerà. Ma anche la esagerata consapevolezza di sé favorita dal passare ore da soli online, o ancora la mancanza di una figura di riferimento autorevole in rete. A volte l'effetto disinibizione può essere positivo, come nel caso di qualcuno eccessivamente timido, che invece su internet riesce a comunicare senza filtri in modo più efficace. Ma il rovescio della medaglia è quella che rischia di diventare maleducazione e rasenta la molestia.
Il problema è frequente fra gli adolescenti, ma non riguarda certo solo loro. Ora ha iniziato ad occuparsene una specifica branca della neuroscienza, quella "sociale", che studia cosa accade nel cervello di due persone quando comunicano in carne ed ossa e cosa avviene invece in un dialogo virtuale. In quest'ultimo caso vengono a mancare tutti quegli indicatori che invece permettono, in un discorso faccia a faccia, di calibrare le risposte e gli interventi successivi in base alle reazioni verbali e fisiche del nostro interlocutore.
La centrale che raccoglie queste sensazioni, nel cervello, risiede nella corteccia orbitofrontale, spiega sul New York Times Daniel Goleman, esperto del campo ed autore di "Social Intelligence: The New Science of Human Relationship". E' proprio in questa area cerebrale che gli scienziati collocano la sede dell'empatia.
Una serie di ricerche condotte da Jennifer Beer, dell'università della California a Davis, indica che è questo sistema di segnali fisici ed emotivi, colti quando di parla dal vivo con una persona, che permette di evitare azioni offensive per il nostro interlocutore.
Una riprova è fornita proprio dalla scienza: è stato dimostrato che chi subisce danni neurologici alla corteccia orbitofrontale comincia a collezionare una serie di gaffes sociali e adotta comportamenti impropri, come ad esempio baciare ed abbracciare un perfetto sconosciuto, nel migliore dei casi.
La corteccia sfrutta una serie di indicatori "sociali" - dal tono della voce alle smorfie sul viso - per modulare gli interventi. Segnali che invece sono assenti in un dialogo virtuale e favoriscono la nascita di equivoci, che possono trasformarsi in qualcosa di spiacevole. Una email aggressiva, dettata dalla fretta o dall'impulso del momento, sarebbe con ogni probabilità ricacciata indietro ed evitata, guardando negli occhi la persona cui è indirizzata. E allo stesso modo, una frase magari anche innocua può essere interpretata in modo sbagliato, per la mancanza degli stessi indicatori fisici.
E' un rischio insito nel mezzo virtuale. Chi dal vivo è gentile ed educato, rischia di trasformarsi in un maleducato quando è protetto dall'anonimato della rete. E' quello che sostiene uno studio pubblicato nel 2002 sul Journal of Language and Social Psychology. Nell'esperimento descritto coppie di studenti universitari che non si conoscevano fra loro, si comportavano in modo cortese ed impeccabile quando si trovavano ad interagire di persona. Ma appena comunicavano tra loro in chat, diventavano aggressivi ed eccessivamente spinti.
(20 febbraio 2007)


Da online-news.it 20-2-2007 Immobili: il mercato romano frena nel 2006. Uno studio di Grimaldi immobiliare stima un decremento del 3,5% rispetto all'anno precedente

Il mercato immobiliare romano tira il fiato. Dopo la galoppata del settore del real estate degli ultimi cinque anni, culminata l'anno scorso con la cifra record di 41 mila compravendite, quest'anno le prime analisi di mercato prevedono un andamento più sotto tono rispetto alle performance degli ultimi anni, inferiore alle oltre 40 mila transazioni. In sostanza secondo il rapporto elaborato dall'ufficio studi di "Grimaldi immobiliare" il mercato capitolino ha vissuto un 2006 pigro. Dai dati presentati è emerso che l'anno scorso il settore real estate della capitale è entrato di fatto in una fase di stabilizzazione.

Le vendite del comparto residenziale l'anno passato hanno segnato un leggero decremento, circa il 3,5% in meno, rispetto alle cifre record del 2005 (41 mila abitazioni vendute). L'offerta di nuove abitazioni invece ha fatto registrare nel 2005 un totale di quasi 9 mila nuove unità. A beneficiare di questa crescita del mercato, sono state soprattutto i costruttori romani, che hanno investito negli ultimi anni lungo le direttrici est e sud ovest della capitale. Proprio in queste aree si sono registrate il 54% in più di nuove costruzioni.

All'interno del grande raccordo anulare invece, il numero delle nuove abitazioni (1.992 unità sul totale di 8.940) è stato molto basso con la sola eccezione delle aree Aurelia (564) e Portuense (416). Secondo il rapporto di Grimaldi, l'offerta è risultata stabile in tutte le zone, con una crescita di cinque punti percentuali solo nell'hinterland cittadino.

 

 


 

INDICE 20-2-2007

++ Da La Stampa 20-2-2007 20/2/2007 (8:19) - COSA NOSTRA Provenzano voleva uccidere Lumia  2

++ Da La Repubblica 20-2-2007 Istat, l'inflazione nel 2006 ha penalizzato le famiglie più povere. Pubblicati gli indici "di settore" per alcune categorie disagiate di ROSARIA AMATO  2

+ Da Il Sole 24 Ore 20-2-2007  Iran, pronto il piano di attacco Usa Di Riccardo Barlaam   4

+ Da Il Sole 24 Ore 20-2-2007 Guerra franco-tedesca per Airbus, rinviato l'annuncio dei tagli 4

Da La Stampa 20-2-2007 L'inaffondabile "cardinale di ferro" al passo d'addio  5

Da Panorama 20-2-2007  Pacs e Dico. Chiesa e Stato - parla lo storico cattolico Alberto Melloni 6

Dal Corriere della sera 20-2-2007 Ambiguamente verso l'accordo. Estrema sinistra disponibile ad accettare piccole concessioni. Di Massimo Franco  7

Dal Giornale di Brescia 20-2-2007 Bush si paragona a George Washington: uguali le nostre guerre  8

Da Finanza e mercati 20-2-2007 Banche-imprese, stretta Consob Nuove regole sulla trasparenza  9

Da La Repubblica 19-2-2007 Un software riconosce materiale coperto da copyright su internet. "Dna digitale" per l'audio nei video  9

Da La Repubblica 19-2-2007 Ecco l'uomo più felice del mondo E' un monaco buddista francese Nepal. 10

 


++ Da La Stampa 20-2-2007 20/2/2007 (8:19) - COSA NOSTRA Provenzano voleva uccidere Lumia

 

Un piano per eliminare il vicepresidente della Commissione nazionale antimafia

PALERMO
Cosa nostra avrebbe voluto uccidere il vicepresidente della Commissione nazionale antimafia Giuseppe Lumia (Ds), ma il progetto di morte dei boss mafiosi è stato scoperto dalla Procura di Palermo, grazie anche alle dichiarazioni di due pentiti, che ha chiesto e ottenuto due arresti. Le ordinanze di custodia cautelare, firmate dal gip Donatella Puleo, che ha accolto le richieste del Procuratore aggiunto di Palermo Sergio Lari e del pm della Dda Michele Prestipino, riguardano Domenico Virga, 43 anni, capomafia di Gangi (Palermo), già detenuto, e Salvatore Fileccia, di 42, sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno a Palermo, ritenuto uomo d’onore della famiglia mafiosa di Palermo Villagrazia.

Il progetto di morte sarebbe stato deliberato da Cosa nostra, con in testa il capomafia Bernardo Provenzano, agli inizi del 2000. A parlarne in passato era stato il pentito Antonino Giuffrè al quale nelle settimane scorse si è aggiunto anche il neo pentito Maurizio Di Gati, ex boss di Racalmuto (Agrigento). I due collaboratori, per i quali la procura sta procedendo per queste accuse separatamente, sostengono che si erano procurati, attraverso Virga e Fileccia, una serie di armi, fra cui kalashinikov, che dovevano servire per uccidere il parlamentare. I fucili mitragliatori provenivano dagli agrigentini e ancora adesso, secondo i pentiti, sono nella disponibilità dei boss palermitani.


++ Da La Repubblica 20-2-2007 Istat, l'inflazione nel 2006 ha penalizzato le famiglie più povere. Pubblicati gli indici "di settore" per alcune categorie disagiate di ROSARIA AMATO

Si tratta di pensionati, nuclei in affitto, o con basso livello di consumi

Ma, in generale, le variazioni sono omogenee e le differenze sui dati cumulati quasi nulle
Una conclusione inaccettabile per le associazioni dei consumatori e i sindacati di base

ROMA - Nel 2006 le famiglie con un più basso livello di consumi hanno subito molto più della media le conseguenze degli aumenti dei prezzi: nel mese di agosto per loro l'inflazione ha toccato il picco del 3,5 per cento, con un dato superiore di oltre un punto alla media delle altre famiglie. E' quanto risulta dai nuovi "indicatori della dinamica dei prezzi al consumo per alcune tipologie di famiglia", pubblicati stamane dall'Istat: si tratta di indici "su misura", elaborati per categorie disagiate di famiglie (famiglie che vivono in affitto, famiglie di pensionati, famiglie con basso livello di spesa e pensionati con basso livello di spesa).
Ma le differenze registrate del 2006 sono un'eccezione rispetto all'andamento generale dell'inflazione, che invece, spiega il presidente dell'Istat Luigi Biggeri, "nel medio lungo periodo non mostra sostanziali differenze". Una conclusione destinata a sollevare ulteriori polemiche tra le associazioni dei consumatori e i sindacati, che da tempo contestano i criteri di rilevazione dell'Istat, affermando che non permettono di accertare l'inflazione "vera", percepita dalle famiglie.
Infatti le medie annue calcolate dal 2001 al 2006 per ognuna delle quattro categorie scelte dall'Istat perchè considerate "estreme" non si discostano molto dalla media annua generale. Per il 2006, per esempio, che pure è forse l'anno dove maggiormente sono risaltate le differenze, a una media annua generale del 2,50 per cento corrisponde un +2,52 per cento per le famiglie in affitto o subaffitto, un +2,51 per le famiglie di pensionati, +2,85 per cento per le famiglie con un basso livello di spesa e +2,78 per cento per le famiglie di pensionati con un basso livello di spesa.
Come sono stati calcolcati gli indici. Tali variazioni sono calcolate sulla base dell'indice armonizzato (cioè quello utilizzato per la rilevazione dell'indice dei prezzi europeo), partendo però da una diversa "ponderazione" delle varie voci (per esempio gli alimentari pesano di più, perché le famiglie disagiate riservano una quota maggiore del proprio reddito a questo tipo di consumi).
Tenendo conto di queste differenze, nel 2006 l'indice armonizzato "ufficiale" è aumentato invece in media del 2,2 per cento rispetto al 2005. Ma mettere a confronto gli indici "ufficiali" a quelli pubblicati oggi, ha precisato il responsabile delle statistiche dei prezzi Roberto Monducci, "non è corretto": "Gli indici qui calcolati non possono e non debbono essere direttamente confrontati con le misure dell'inflazione diffuse mensilmente dall'Istat".
E' soprattutto dall'entrata in vigore dell'euro che è stato chiesto all'Istat un calcolo "differenziato" dell'inflazione, che tenesse presente l'incidenza del carovita sulle categorie più disagiate. Un calcolo piuttosto difficile, ha spiegato Biggeri: "Ogni famiglia ha un differente comportamento di consumo. E infatti sono solo tre, Australia, Singapore e Canada i paesi che pubblicano periodicamente questo tipo di statistiche".
Le variazioni anno per anno. In base alle rilevazioni differenziate pubblicate oggi dall'Istat, nel 2002, anno di entrata in vigore dell'euro, non sono state riscontrate grosse variazioni tra l'inflazione media per le famiglie e quella per le quattro categorie considerate. Nel 2003 le famiglie di pensionati hanno avuto un'inflazione vicina al 3 per cento. Tra il 2004 e il 2005 le differenze maggiori sono state rilevate per le famiglie in affitto o subaffitto (rispettivamente +2,54 e +2,34, contro una media del +2,43 per cento e +2,36 per cento). Ma è infine nel 2006 che si sono riscontrate le variazioni maggiori, con un +2,85 per cento per le famiglie più povere, rispetto al +2,50 della media.
Il dato cumulato 2001-2006. Se si considera l'inflazione cumulata del periodo 2001-2006 i tassi delle varie categorie di famiglie sono molto vicini, rileva l'Istat: quello medio è pari a +15,41 per cento, quello delle famiglie con un livello più basso di consumi è pari a +15,76 per cento, quello delle famiglie in affitto è pari al +15,56 per cento, +15,27 per cento per le famiglie di pensionati e +15,25 per cento per le famiglie di pensionati con basso livello di consumi.
Le obiezioni dei consumatori. Una conclusione inaccettabile per le associazioni dei consumatori. "Sapevamo che sarebbe andata così, dal momento che questi indici di categoria sono stati calcolati solo modificando i pesi del paniere - obietta il segretario generale dell'Adiconsum Paolo Landi - quello che invece andava modificato davvero è il ribasamento, oltre al meccanismo di rilevazione. Quanto al primo, si tratta del modo di valutare i prezzi dei nuovi prodotti. Faccio un esempio: se sul mercato viene immesso un nuovo frigorifero più costoso dei precedenti, poichè si tratta di un nuovo modello l'Istat non calcola l'aumento di prezzo rispetto al modello precedente. Ormai il mercato è pieno di nuovi prodotti: questo meccanismo falsa l'indice. Inoltre le rilevazioni non sono trasparenti: spesso vengono effettuate per telefono o non vengono effettuate affatto".
Molto critici anche Adusbef e Federconsumatori, che parlano di "una vera e propria scoperta dell'acqua calda della quale non si sentiva alcun bisogno e che non attenua le dure critiche in merito ad un paniere che continua a non rispecchiare i pesi reali di prodotti e servizi".
E quelle dei sindacati di base. Ancora più duro il sindacato di base Usi/RdB-Ricerca, che parla di "colpo di mano dell'Istat": "Nell'approfondimento diffuso oggi l'Istat si è limitato a derivare strutture differenziate di peso dall'indagine campionaria sui consumi delle famiglie e ad applicare, indistintamente per tutte le tipologie familiari, gli stessi indici dei prezzi al consumo, ottenendo come risultato un "ibrido" di scarso valore".
(20 febbraio 2007)


+ Da Il Sole 24 Ore 20-2-2007  Iran, pronto il piano di attacco Usa Di Riccardo Barlaam

La Casa Bianca ha già preparato un piano di attacco aereo contro l'Iran che prevede la distruzione dei siti nucleari e della maggior parte delle infrastrutture militari del Paese. Una fonte diplomatica Usa ha rivelato alla Bbc che il piano di attacco è pronto. I generali americani avrebbero selezionato gli obiettivi da colpire in una base militare della Florida. La lista include il sito nucleare dove viene arricchito l'uranio a Natanz, le centrali di Isfahan, Arak e Bushehr e infrastrutture militari della Repubblica islamica. L'attacco aereo sarebbe effettuato con il B2 Stealth (invisibile), bombardiere aereo a lungo raggio, che incorpora le ultime tecnologie di "bassa osservabilità", presenta ai radar una superficie di soli 10 cmq, un decimo di quella del B-1B e incorpora sistemi di riduzione delle emissioni nello spettro dell’infrarosso. Caratteristiche che come è noto permettono al B2 di penetrare di penetrare le difese avversarie senza essere scoperto, anche a medie e alte quote. I generali americani avrebbero anche pensato di usare le bombe speciali anti bunker per cercare di penetrare nel sito di Natanz, costruito 25 metri sottoterra.

Gli Stati Uniti ufficialmente sostengono di non avere nessuna intenzione di attaccare militarmente l'Iran e cercano di persuadere gli ayatollah con una lenta e stanca diplomazia a rinunciare ai piani di arricchimento dell'uranio. Sulla scia delle Nazioni Unite che minacciano da anni di imporre sanzioni economiche all'Iran.

Sul balletto del programma nucleare iraniano va registrata anche la posizione della Russia che potrebbe ritardare la costruzione della sua prima centrale nucleare iraniana per via dei ritardi nei pagamenti di Teheran. Il direttore generale dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), Mohammed Elbaradei in un'intervista con il "Financial Times" ha precisato che Teheran potrebbe disporre, tra sei mesi e un anno, di 3.000 centrifughe per arrichire l'uranio su scala industriale. ElBaradei ha anche pronosticato che l'Iran molto probabilmente non si adeguerà alla richiesta del Consiglio di sicurezza di sospendere le attività di arricchimento dell'uranio. Il direttore generale dell'Aiea incontrerà oggi a Vienna il principale negoziatore iraniano per il nucleare, Ali Larijani, prima di consegnare, entro questa settimana, un rapporto cruciale al Consiglio di sicurezza dell'Onu sul programma nucleare iraniano.


+ Da Il Sole 24 Ore 20-2-2007 Guerra franco-tedesca per Airbus, rinviato l'annuncio dei tagli

Vertici Airbus in piena turbolenza a causa del braccio di ferro tra i quattro paesi europei del consorzio Eads che controlla il costruttore aeronautico, in particolare Francia e Germania (gli altri due sono Regno Unito e Spagna), sul complesso piano di rilancio che prevede la realizzazione del nuovo A350. Per oggi, martedì 20 febbraio, era atteso l'annuncio di un taglio di 10 mila posti di lavoro, un quinto della forza lavoro del gruppo. La guerra franco-tedesca sul controllo del doppio versante industriale e tecnologico, che arriva fino alla lite sull'ordine del giorno degli incontri tra il presidente Chirac e il cancelliere Merkel, ha portato a una rottura delle trattative domenica scorsa (al ripresa del dialogo nel board, secondo Eads avverrà «nei prossimi giorni») e determinato la necessità di un rinvio dell'appuntamento fissato dal ceo Louis Gallois con sindacati e stampa sul suo programma di ristrutturazione Power8, cosa che ha colto di sorpresa il mercato. I tagli previsti sono parte della corsa ai ripari per fare fronte alle perdite plurimiliardarie del programma per il nuovo A380. Martedì mattina il primo ministro francese Dominique de Villepin ha dichiarato ai microfoni della radio transalpina Rtl che i tagli saranno 10 mila ma senza alcun licenziamento. «A ogni dipendente coinvolto - ha spiegato de Villepin - daremo una risposta cucita su misura»


Da La Stampa 20-2-2007 L'inaffondabile "cardinale di ferro" al passo d'addio

SEMPRE IN SELLA Retroscena L'ultimo atto del Presidente della Cei INTESA CON IL PAPA È l'architrave del suo potere Per alcuni è dirigismo per altri abilità politica L'inaffondabile "cardinale di ferro" al passo d'addio È ancora lui a dettare la linea ora che i rapporti sono particolarmente tesi GIACOMO GALEAZZI CITTA'DEL VATICANO Ha attraversato indenne tre scadenze di mandato da presidente della Cei, la fine dell'unità politica dei cattolici, un cambio di pontificato e cinque bypass al cuore. Dalla metà degli anni Ottanta, l'ala "martiniana" è sembrata spesso sul punto di metterlo fuori gioco, ma Camillo Ruini è sempre riuscito a restare in sella. Stavolta, invece, la sua uscita di scena appare davvero imminente. "Questione di settimane", spiegano in Vaticano. Già al Convegno ecclesiale di Palermo nel '95 il suo "progetto culturale" finì nel mirino di quell'episcopato progressista che vedeva nell'arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini la vera guida della Chiesa italiana. Da allora una sequela di critiche più o meno paludate, attacchi espliciti o imboscate curiali. Sia che la minaccia arrivasse dall'interno della Chiesa o attraverso le trappole dei laici "alleati" dei cattolici di sinistra, il porporato emiliano è puntualmente uscito indenne per l'abilità "politica" e la specificità della Conferenza episcopale italiana, l'unica al mondo che non elegge il suo presidente. E l'intesa di ferro con il Pontefice è stata l'architrave del "Ruini power", sinonimo per alcuni di dirigismo accentratore per altri di abilità nel rapporto con le istituzioni. A propiziare l'avvicendamento al vertice della Conferenza episcopale, un anno fa, ci ha provato persino il segretario di Stato Angelo Sodano, ispiratore di un'inedita consultazione scritta tra i vescovi attraverso il nunzio in Italia Paolo Romeo. Però anche in quella circostanza il "Cardinal Sottile" ha sventato l'insidia ottenendo una proroga a tempo indefinito da Benedetto XVI. Dunque, ancora Ruini. Tante volte è stato dato in uscita ma è ancora il Cardinale Vicario a dettare la linea "interventista", anche ora che i rapporti fra le due sponde del Tevere, fra il potere spirituale e quello temporale, sono particolarmente tesi. Anzi è stato proprio lui, uomo forte della Chiesa italiana prorogato nel suo incarico dal Papa, a tenere banco ai colloqui per commemorare la firma dei Patti lateranensi. Ieri, giorno del suo 76° compleanno, il passo d'addio di Ruini si è trasformato nel trionfo del suo "non possumus" sui Dico, rilanciato in pieno dal Vaticano nell'incontro con il governo italiano. Il mese prossimo, al consiglio permanente della Cei, la "nota vincolante" contro la regolamentazione delle coppie di fatto sarà l'ultimo atto ufficiale del leader dei vescovi, ma già ieri Palazzo Borromeo ha ospitato il commiato del porporato emiliano dai riflettori della scena politica. Sul probabile successore Angelo Bagnasco tutto il peso dell'eredità di un ventennio da plenipotenziario della Chiesa in Italia. E nella vita pubblica il solco tracciato per una battaglia, fuori e dentro il Parlamento, a difesa della famiglia tradizionale. È significativo che il "canto del cigno" del ventennio ruiniano sia stato il braccio di ferro con l'amico e conterraneo Romano Prodi. Ruini è stato a lungo il confessore del premier e ne ha celebrato le nozze con Flavia, salvo poi, decenni dopo, ingaggiare uno scontro pubblico durissimo, corredato di freddezza privata. Ieri Prodi e Ruini si sono trovati faccia a faccia. Un sorriso, una stretta di mano. Una conversazione dai toni formali, dopo che il segretario di Stato Tarcisio Bertone aveva detto parole chiare che riecheggiavano esattamente l'impostazione del Cardinal Vicario. E, in fondo, che si parli di eutanasia, parità scolastica, bioetica o famiglia, Ruini aveva fatto conoscere per tempo il suo severo avvertimento. Ai "cattolici adulti" come all'ala "liberal" dell'episcopato. "Ovunque sia e con chiunque si incontri, il credente cristiano non può derogare al suo compito di testimone della propria fede, fino a sperimentare il martirio dell'incomprensione e del disprezzo e, talvolta, della sofferenza e della morte". Un monito per la politica. e per il suo successore. Senza trascurare il pulpito dei mass media: "Occorre interloquire con la cultura plasmata dai media, coltivando una presenza discreta e autorevole all'interno delle varie realtà mediatiche". Il suo interventismo nella sfera politica ha suscitato reazioni di segno opposto. Secondo gli ambienti cattolici di orientamento moderato e conservatore, Ruini si è dimostrato una figura autorevole e un coraggioso combattente per i valori cristiani. Al contrario secondo altri, prevalentemente di impostazione progressista si è speso con coraggio in prima persona per surrogare la fine della Dc ma così facendo ha esposto eccessivamente la Chiesa italiana nelle battaglie a difesa della persona umana, della famiglia e della vita.

 

 

SEMPRE IN SELLA Retroscena L'ultimo atto del Presidente della Cei INTESA CON IL PAPA È l'architrave del suo potere Per alcuni è dirigismo per altri abilità politica L'inaffondabile "cardinale di ferro" al passo d'addio È ancora lui a dettare la linea ora che i rapporti sono particolarmente tesi GIACOMO GALEAZZI CITTA'DEL VATICANO Ha attraversato indenne tre scadenze di mandato da presidente della Cei, la fine dell'unità politica dei cattolici, un cambio di pontificato e cinque bypass al cuore. Dalla metà degli anni Ottanta, l'ala "martiniana" è sembrata spesso sul punto di metterlo fuori gioco, ma Camillo Ruini è sempre riuscito a restare in sella. Stavolta, invece, la sua uscita di scena appare davvero imminente. "Questione di settimane", spiegano in Vaticano. Già al Convegno ecclesiale di Palermo nel '95 il suo "progetto culturale" finì nel mirino di quell'episcopato progressista che vedeva nell'arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini la vera guida della Chiesa italiana. Da allora una sequela di critiche più o meno paludate, attacchi espliciti o imboscate curiali. Sia che la minaccia arrivasse dall'interno della Chiesa o attraverso le trappole dei laici "alleati" dei cattolici di sinistra, il porporato emiliano è puntualmente uscito indenne per l'abilità "politica" e la specificità della Conferenza episcopale italiana, l'unica al mondo che non elegge il suo presidente. E l'intesa di ferro con il Pontefice è stata l'architrave del "Ruini power", sinonimo per alcuni di dirigismo accentratore per altri di abilità nel rapporto con le istituzioni. A propiziare l'avvicendamento al vertice della Conferenza episcopale, un anno fa, ci ha provato persino il segretario di Stato Angelo Sodano, ispiratore di un'inedita consultazione scritta tra i vescovi attraverso il nunzio in Italia Paolo Romeo. Però anche in quella circostanza il "Cardinal Sottile" ha sventato l'insidia ottenendo una proroga a tempo indefinito da Benedetto XVI. Dunque, ancora Ruini. Tante volte è stato dato in uscita ma è ancora il Cardinale Vicario a dettare la linea "interventista", anche ora che i rapporti fra le due sponde del Tevere, fra il potere spirituale e quello temporale, sono particolarmente tesi. Anzi è stato proprio lui, uomo forte della Chiesa italiana prorogato nel suo incarico dal Papa, a tenere banco ai colloqui per commemorare la firma dei Patti lateranensi. Ieri, giorno del suo 76° compleanno, il passo d'addio di Ruini si è trasformato nel trionfo del suo "non possumus" sui Dico, rilanciato in pieno dal Vaticano nell'incontro con il governo italiano. Il mese prossimo, al consiglio permanente della Cei, la "nota vincolante" contro la regolamentazione delle coppie di fatto sarà l'ultimo atto ufficiale del leader dei vescovi, ma già ieri Palazzo Borromeo ha ospitato il commiato del porporato emiliano dai riflettori della scena politica. Sul probabile successore Angelo Bagnasco tutto il peso dell'eredità di un ventennio da plenipotenziario della Chiesa in Italia. E nella vita pubblica il solco tracciato per una battaglia, fuori e dentro il Parlamento, a difesa della famiglia tradizionale. È significativo che il "canto del cigno" del ventennio ruiniano sia stato il braccio di ferro con l'amico e conterraneo Romano Prodi. Ruini è stato a lungo il confessore del premier e ne ha celebrato le nozze con Flavia, salvo poi, decenni dopo, ingaggiare uno scontro pubblico durissimo, corredato di freddezza privata. Ieri Prodi e Ruini si sono trovati faccia a faccia. Un sorriso, una stretta di mano. Una conversazione dai toni formali, dopo che il segretario di Stato Tarcisio Bertone aveva detto parole chiare che riecheggiavano esattamente l'impostazione del Cardinal Vicario. E, in fondo, che si parli di eutanasia, parità scolastica, bioetica o famiglia, Ruini aveva fatto conoscere per tempo il suo severo avvertimento. Ai "cattolici adulti" come all'ala "liberal" dell'episcopato. "Ovunque sia e con chiunque si incontri, il credente cristiano non può derogare al suo compito di testimone della propria fede, fino a sperimentare il martirio dell'incomprensione e del disprezzo e, talvolta, della sofferenza e della morte". Un monito per la politica. e per il suo successore. Senza trascurare il pulpito dei mass media: "Occorre interloquire con la cultura plasmata dai media, coltivando una presenza discreta e autorevole all'interno delle varie realtà mediatiche". Il suo interventismo nella sfera politica ha suscitato reazioni di segno opposto. Secondo gli ambienti cattolici di orientamento moderato e conservatore, Ruini si è dimostrato una figura autorevole e un coraggioso combattente per i valori cristiani. Al contrario secondo altri, prevalentemente di impostazione progressista si è speso con coraggio in prima persona per surrogare la fine della Dc ma così facendo ha esposto eccessivamente la Chiesa italiana nelle battaglie a difesa della persona umana, della famiglia e della vita.

 


Da Panorama 20-2-2007  Pacs e Dico. Chiesa e Stato - parla lo storico cattolico Alberto Melloni

 

CHIESA E STATO - PARLA LO STORICO CATTOLICO ALBERTO MELLONI Caro Ruini, le spiego perché sta sbagliando di Ignazio Ingrao 19/2/2007 Manifestanti a favore dei Pacs Con la sua crociata contro i Dico il capo della Cei mette in discussione la sovranità dello Stato. E rischia di rilanciare l'anticlericalismo. Parola di un allievo di Giuseppe Dossetti " Che ne pensate? Forum I Dico sono l'ultima frontiera. La sfida all'Ok Corral del cardinale Camillo Ruini, giunto alla fine della sua ventennale parabola ai vertici della Chiesa italiana. Un epilogo travagliato, segnato prima dallo scontro con il segretario di Stato, Angelo Sodano, poi dalle incomprensioni con il successore, Tarcisio Bertone. L'ultimo tradimento arriva dall'amico di un tempo, Romano Prodi, aiutato dagli ex di Azione cattolica e della Fuci (Rosy Bindi, Stefano Ceccanti e altri ancora), due organismi che proprio Ruini ha voluto rivitalizzare. Ecco come si spiega la veemenza nello scontro tra il governo e la presidenza della Cei sulle unioni di fatto, che non ha precedenti nemmeno nella battaglia contro il divorzio. Questa la tesi di Alberto Melloni, ordinario di storia contemporanea all'Università di Modena-Reggio Emilia e membro di quella "officina bolognese" fondata da Giuseppe Dossetti e Giuseppe Alberigo, che ha fatto del rinnovamento impresso alla Chiesa dal Concilio Vaticano II una ragione di studio e di vita. Il cardinale Ruini ha annunciato una nota "ufficiale, impegnativa e chiarificatrice" sulle unioni civili. Non c'è più spazio per la mediazione? Rullano i tamburi di guerra ma gli eserciti devono ancora scendere in campo. Aspettiamo di vedere il testo della nota e attendiamo gli sviluppi del dibattito parlamentare. Certo siamo di fronte a uno scontro senza precedenti nella storia dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato italiano. Anche contro aborto e divorzio la Chiesa schierò tutte le sue forze. È vero. Ma in quei casi si trattava di battaglie "contro", per cancellare leggi che i cattolici non accettavano. Oggi invece assistiamo a una battaglia che tocca l'autonomia del potere legislativo, perché punta a impedire che una norma venga promulgata. È una questione delicata non solo rispetto al problema della laicità dello Stato ma anche riguardo al tema centrale del ruolo del laico nella Chiesa. Il cattolico impegnato in politica non è un terminale della gerarchia, mantiene intatta la sfera della sua libertà di coscienza. Perciò temo che in questo scontro vengano sacrificati due principi costituzionali: i parlamentari sono eletti senza vincolo di mandato; lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. In cosa gli interventi della Cei sarebbero lesivi della sovranità dello Stato? Se allo Stato non compete il giudizio sulle materie che riguardano il diritto naturale, come ho sentito affermare da autorevoli esponenti della gerarchia ecclesiastica, vuol dire che gli si riconosce solo una sovranità limitata. Inoltre, nella posizione dei vertici della Chiesa colgo anche una profonda contraddizione: se davvero le convivenze sono una pericolosa minaccia per la società, allora andrebbero proibite. Se vengono tollerate, perché non legiferare per dare loro un assetto chiaro che definisca diritti e doveri? Mi viene il sospetto che dietro la posizione così rigida del presidente della Cei vi possa essere invece un'altra ragione. Quale potrebbe essere? Il cardinale forse ritiene che se il governo Prodi non riesce a superare lo scoglio delle unioni civili rischia seriamente di cadere. Non penso che Ruini abbia intrapreso la battaglia contro i Dico perché vuol far cadere il governo, ma sa bene che questa potrebbe essere una conseguenza non troppo remota. C'è persino chi ascrive a Ruini il disegno di volersi opporre alla nascita del Partito democratico. Sarebbe ancora più grave poiché non è compito della Chiesa pronunciarsi su quale partito debba nascere. Certo anche questa potrebbe essere una conseguenza dell'azione della presidenza della Cei. Ma c'è un pericolo, che forse le gerarchie ecclesiastiche non hanno debitamente messo in conto: così facendo si annaffia giorno per giorno la pianta dell'anticlericalismo. È una pianta carnivora, che oggi appare insignificante ma cresce silenziosamente e domani potrebbe divorare tutto, come è accaduto in Spagna. In realtà non solo il capo dei vescovi italiani, ma anche il Papa e gli episcopati di altri Paesi si sono pronunciati contro le unioni di fatto. Sono tutti contro Prodi? Certamente no. Ma invito a cogliere importanti sfumature di accenti e di tono. Il Papa parla della funzione pedagogica della legge e del pericolo che questa incoraggi le giovani coppie a non seguire la strada del matrimonio. A differenza di Ruini, Benedetto XVI non si è rivolto ai parlamentari, non ha mai cercato di condizionare l'atto positivo di approvazione di una legge. Anche nel suo recente viaggio in Spagna ha sempre parlato a favore della famiglia mai contro il governo Zapatero. Così gli episcopati di altri paesi del mondo, Canada, Francia, Germania, hanno criticato il riconoscimento delle unioni civili ma si sono anzitutto concentrati sulla richiesta di azioni concrete a tutela della famiglia tradizionale. Mi sembra che questo sia anche l'atteggiamento di una fetta consistente dell'episcopato italiano, che non condivide i toni da battaglia finale della presidenza della Cei, ma per ora è ridotto al silenzio. Lo scontro è condizionato anche dalla fine del mandato del presidente della Cei? In questi mesi Ruini ha cominciato a fare i conti con la prospettiva della fine del suo mandato ai vertici della Chiesa italiana. Sa che, chiunque sarà il suo successore, non avrà mai il suo stesso carisma, la sua stessa lucidità, la sua stessa passione nel misurarsi con la politica italiana. Perciò è possibile che viva la battaglia sulle unioni di fatto come l'ultima spiaggia, l'eredità spirituale che lascia al Cattolicesimo italiano. Qual è invece il progetto del cardinale Tarcisio Bertone sulla Cei? Negli ultimi vent'anni con Ruini i vertici della Chiesa italiana sono stati interlocutori dei partiti prima che della società. Probabilmente il cardinale Bertone, fedele alla visione di Benedetto XVI, per il futuro pensa a una Chiesa italiana capace di farsi interlocutrice della società prima che della politica. Questo potrebbe significare che la Segreteria di Stato riprenderà in mano a poco a poco i rapporti con la politica italiana, che Wojtyla aveva delegato a Ruini, lasciando alla Cei più libertà ed energie per la missione pastorale, cioè annunciare il Vangelo. AVVENIRE: "MINACCE SUL CONCORDATO, PER FAR TACERE LA CHIESA" "Certi settori laici sviluppano un ragionamento strumentale per mettere in crisi le relazioni tra Chiesa e Stato". L'Avvenire rileva con preoccupazione che dopo il referendum sulla procreazione medicalmente assistita ed ora il ddl sui Dico alcuni gruppi politici chiedono con grande insistenza di rivedere il Concordato per abolire "le forme di finanziamento delle confessioni". Alla vigilia dell'annuale ricevimento all'ambasciata italiana presso la Santa Sede per l'anniversario dei Patti Lateranensi, il quotidiano dei vescovi affida al professor Carlo Cardia un editoriale di prima pagina intitolato: "Il Concordato non può comprare il silenzio". "Chiunque vede che siamo di fronte ad una specie di ritorsione censoria che chiama in causa questioni che non hanno alcun rapporto tra di loro. Quasi che il Concordato e le Intese possano comprare il silenzio delle chiese. Un salto indietro - si legge - verso l'Ottocento in controtendenza nei confronti dell'Europa". La libertà della Chiesa così come quella di altri culti, ha aggiunto Cardia, "non è oggetto di concessione da parte di alcuno, ma ha fondamento nella Costituzione elaborata col contributo di tutti e nell'ispirazione giusnaturalistica della democrazia politica". Morale: "Forse l'agitarsi di alcuni gruppi vuole raggiunger un risultato obliquo, quello di sventolare la bandiera della laicità per non doversi confrontare nel merito con le idee e le proposte dei cattolici".

Caro Ruini, le spiego perché sta sbagliando di Ignazio Ingrao 19/2/2007 Manifestanti a favore dei Pacs Con la sua crociata contro i Dico il capo della Cei mette in discussione la sovranità dello Stato. E rischia di rilanciare l'anticlericalismo. Parola di un allievo di Giuseppe Dossetti " Che ne pensate? Forum I Dico sono l'ultima frontiera. La sfida all'Ok Corral del cardinale Camillo Ruini, giunto alla fine della sua ventennale parabola ai vertici della Chiesa italiana. Un epilogo travagliato, segnato prima dallo scontro con il segretario di Stato, Angelo Sodano, poi dalle incomprensioni con il successore, Tarcisio Bertone. L'ultimo tradimento arriva dall'amico di un tempo, Romano Prodi, aiutato dagli ex di Azione cattolica e della Fuci (Rosy Bindi, Stefano Ceccanti e altri ancora), due organismi che proprio Ruini ha voluto rivitalizzare. Ecco come si spiega la veemenza nello scontro tra il governo e la presidenza della Cei sulle unioni di fatto, che non ha precedenti nemmeno nella battaglia contro il divorzio. Questa la tesi di Alberto Melloni, ordinario di storia contemporanea all'Università di Modena-Reggio Emilia e membro di quella "officina bolognese" fondata da Giuseppe Dossetti e Giuseppe Alberigo, che ha fatto del rinnovamento impresso alla Chiesa dal Concilio Vaticano II una ragione di studio e di vita. Il cardinale Ruini ha annunciato una nota "ufficiale, impegnativa e chiarificatrice" sulle unioni civili. Non c'è più spazio per la mediazione? Rullano i tamburi di guerra ma gli eserciti devono ancora scendere in campo. Aspettiamo di vedere il testo della nota e attendiamo gli sviluppi del dibattito parlamentare. Certo siamo di fronte a uno scontro senza precedenti nella storia dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato italiano. Anche contro aborto e divorzio la Chiesa schierò tutte le sue forze. È vero. Ma in quei casi si trattava di battaglie "contro", per cancellare leggi che i cattolici non accettavano. Oggi invece assistiamo a una battaglia che tocca l'autonomia del potere legislativo, perché punta a impedire che una norma venga promulgata. È una questione delicata non solo rispetto al problema della laicità dello Stato ma anche riguardo al tema centrale del ruolo del laico nella Chiesa. Il cattolico impegnato in politica non è un terminale della gerarchia, mantiene intatta la sfera della sua libertà di coscienza. Perciò temo che in questo scontro vengano sacrificati due principi costituzionali: i parlamentari sono eletti senza vincolo di mandato; lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. In cosa gli interventi della Cei sarebbero lesivi della sovranità dello Stato? Se allo Stato non compete il giudizio sulle materie che riguardano il diritto naturale, come ho sentito affermare da autorevoli esponenti della gerarchia ecclesiastica, vuol dire che gli si riconosce solo una sovranità limitata. Inoltre, nella posizione dei vertici della Chiesa colgo anche una profonda contraddizione: se davvero le convivenze sono una pericolosa minaccia per la società, allora andrebbero proibite. Se vengono tollerate, perché non legiferare per dare loro un assetto chiaro che definisca diritti e doveri? Mi viene il sospetto che dietro la posizione così rigida del presidente della Cei vi possa essere invece un'altra ragione. Quale potrebbe essere? Il cardinale forse ritiene che se il governo Prodi non riesce a superare lo scoglio delle unioni civili rischia seriamente di cadere. Non penso che Ruini abbia intrapreso la battaglia contro i Dico perché vuol far cadere il governo, ma sa bene che questa potrebbe essere una conseguenza non troppo remota. C'è persino chi ascrive a Ruini il disegno di volersi opporre alla nascita del Partito democratico. Sarebbe ancora più grave poiché non è compito della Chiesa pronunciarsi su quale partito debba nascere. Certo anche questa potrebbe essere una conseguenza dell'azione della presidenza della Cei. Ma c'è un pericolo, che forse le gerarchie ecclesiastiche non hanno debitamente messo in conto: così facendo si annaffia giorno per giorno la pianta dell'anticlericalismo. È una pianta carnivora, che oggi appare insignificante ma cresce silenziosamente e domani potrebbe divorare tutto, come è accaduto in Spagna. In realtà non solo il capo dei vescovi italiani, ma anche il Papa e gli episcopati di altri Paesi si sono pronunciati contro le unioni di fatto. Sono tutti contro Prodi? Certamente no. Ma invito a cogliere importanti sfumature di accenti e di tono. Il Papa parla della funzione pedagogica della legge e del pericolo che questa incoraggi le giovani coppie a non seguire la strada del matrimonio. A differenza di Ruini, Benedetto XVI non si è rivolto ai parlamentari, non ha mai cercato di condizionare l'atto positivo di approvazione di una legge. Anche nel suo recente viaggio in Spagna ha sempre parlato a favore della famiglia mai contro il governo Zapatero. Così gli episcopati di altri paesi del mondo, Canada, Francia, Germania, hanno criticato il riconoscimento delle unioni civili ma si sono anzitutto concentrati sulla richiesta di azioni concrete a tutela della famiglia tradizionale. Mi sembra che questo sia anche l'atteggiamento di una fetta consistente dell'episcopato italiano, che non condivide i toni da battaglia finale della presidenza della Cei, ma per ora è ridotto al silenzio. Lo scontro è condizionato anche dalla fine del mandato del presidente della Cei? In questi mesi Ruini ha cominciato a fare i conti con la prospettiva della fine del suo mandato ai vertici della Chiesa italiana. Sa che, chiunque sarà il suo successore, non avrà mai il suo stesso carisma, la sua stessa lucidità, la sua stessa passione nel misurarsi con la politica italiana. Perciò è possibile che viva la battaglia sulle unioni di fatto come l'ultima spiaggia, l'eredità spirituale che lascia al Cattolicesimo italiano. Qual è invece il progetto del cardinale Tarcisio Bertone sulla Cei? Negli ultimi vent'anni con Ruini i vertici della Chiesa italiana sono stati interlocutori dei partiti prima che della società. Probabilmente il cardinale Bertone, fedele alla visione di Benedetto XVI, per il futuro pensa a una Chiesa italiana capace di farsi interlocutrice della società prima che della politica. Questo potrebbe significare che la Segreteria di Stato riprenderà in mano a poco a poco i rapporti con la politica italiana, che Wojtyla aveva delegato a Ruini, lasciando alla Cei più libertà ed energie per la missione pastorale, cioè annunciare il Vangelo. AVVENIRE: "MINACCE SUL CONCORDATO, PER FAR TACERE LA CHIESA" "Certi settori laici sviluppano un ragionamento strumentale per mettere in crisi le relazioni tra Chiesa e Stato". L'Avvenire rileva con preoccupazione che dopo il referendum sulla procreazione medicalmente assistita ed ora il ddl sui Dico alcuni gruppi politici chiedono con grande insistenza di rivedere il Concordato per abolire "le forme di finanziamento delle confessioni". Alla vigilia dell'annuale ricevimento all'ambasciata italiana presso la Santa Sede per l'anniversario dei Patti Lateranensi, il quotidiano dei vescovi affida al professor Carlo Cardia un editoriale di prima pagina intitolato: "Il Concordato non può comprare il silenzio". "Chiunque vede che siamo di fronte ad una specie di ritorsione censoria che chiama in causa questioni che non hanno alcun rapporto tra di loro. Quasi che il Concordato e le Intese possano comprare il silenzio delle chiese. Un salto indietro - si legge - verso l'Ottocento in controtendenza nei confronti dell'Europa". La libertà della Chiesa così come quella di altri culti, ha aggiunto Cardia, "non è oggetto di concessione da parte di alcuno, ma ha fondamento nella Costituzione elaborata col contributo di tutti e nell'ispirazione giusnaturalistica della democrazia politica". Morale: "Forse l'agitarsi di alcuni gruppi vuole raggiunger un risultato obliquo, quello di sventolare la bandiera della laicità per non doversi confrontare nel merito con le idee e le proposte dei cattolici".


Dal Corriere della sera 20-2-2007 Ambiguamente verso l'accordo. Estrema sinistra disponibile ad accettare piccole concessioni. Di Massimo Franco

La NotaMassimo Franco

 

Più che un pretesto per dire no, l'estrema sinistra ne sta cercando uno per avallare la politica estera del governo: sulla missione in Afghanistan e sulla base di Vicenza. Pochi, ormai, ritengono che, dopo la manifestazione pacifista di sabato scorso, la coalizione di Romano Prodi corra rischi immediati. Ci spera l'opposizione, ed è comprensibile: al punto che qualcuno immagina un congegno parlamentare per votare con l'Unione e metterla in difficoltà. La speranza è di replicare la bocciatura recente del governo al Senato. Ma non si vedono margini per la crisi. Almeno in teoria, la disponibilità americana a modificare il progetto toglie argomenti agli irriducibili. E l'idea di una conferenza per la pace in Afghanistan potrebbe placare i partiti della sinistra radicale. La proposta forse sarà annunciata domani al Senato dal ministro degli Esteri, Massimo D'Alema. Ed eviterebbe che l'«effetto Vicenza» possa allungarsi sul rifinanziamento della missione afghana: magari sull'onda della concorrenza strisciante fra il Prc e il Pdci.

Ma i primi a puntualizzare che sono questioni diverse sono proprio i capi dell'«antagonismo». Vogliono rassicurare Prodi e gli alleati. E per farlo usano due linguaggi diversi. Su Vicenza, inviti perentori al premier perché ascolti la voce dei movimenti pacifisti; e perché avalli l'ipotesi, sebbene impraticabile dal punto di vista costituzionale, di un referendum sulla base militare. Sull'Afghanistan, invece, i commenti appaiono meno perentori: come se l'estrema sinistra sapesse che non sono possibili deragliamenti. D'altronde, il resto dell'Unione assedia Prc, Pdci e Verdi. Li accusa di screditare l'Italia con l'antiamericanismo. E chiede loro di garantire il proprio voto in Parlamento. Per paradosso, è il ministro Di Pietro a ipotizzare una revisione dei trattati Italia-Usa. Ma si tratta di schiuma, sotto la quale Palazzo Chigi intravede la possibilità del «via libera». Al solito, rimane il brivido di uno scarto risicatissimo al Senato. Quando però il ministro della Difesa, Arturo Parisi, afferma che il governo è «fiducioso», riflette un'impressione diffusa; e condivisa a denti stretti dal fronte berlusconiano. Ambiguamente, l'Unione scommette sulla propria sopravvivenza, convinta che l'ultrasinistra non possa rompere neppure sulla politica estera.

20 febbraio 2007


Dal Giornale di Brescia 20-2-2007 Bush si paragona a George Washington: uguali le nostre guerre

 

Edizione: 20/02/2007 testata: Giornale di Brescia sezione:ESTERO Il Congresso insiste: meno truppe in Iraq Bush si paragona a George Washington: uguali le nostre guerre WASHINGTON Il presidente Bush, rendendo omaggio ieri "all'altro George W.", cioè George Washington, ha paragonato la sua guerra al terrorismo alla grande battaglia per la libertà del primo presidente degli Stati Uniti. "Oggi stiamo combattendo un'altra guerra per difendere la nostra libertà e il nostro popolo e il nostro modo di vivere - ha detto Bush in un discorso a Mount Vernon, l'antica residenza di George Washington - mentre lavoriamo per portare avanti la causa della libertà nel mondo non dobbiamo mai dimenticare che il padre della nostra nazione era convinto che le libertà conquistate con la nostra rivoluzione non fosse destinata solo agli americani". L'inquilino della Casa Bianca, parlando in una cerimonia tenuta per la Festa Nazionale dedicata a George Washington (nacque il 22 febbraio 1732), ha detto sorridendo di "sentirsi a casa qui" a Mount Vernon: "Dopo tutto questa era la abitazione del primo George W.". La prossima guerra di Bush appare comunque quella con il Congresso dove i democratici, esaurita l'opzione più facile di una risoluzione contro la strategia del presidente sull'Iraq (passata alla Camera, bloccata da stratagemmi procedurali al Senato) devono decidere adesso la prossima mossa. La battaglia più difficile appare per entrambe le parti quella per i fondi aggiuntivi chiesti da Bush per portare avanti la guerra in Iraq e in Afghanistan: un conto di quasi 100 miliardi di dollari che il Congresso ha il potere di respingere. Ma tagliare i fondi per le truppe americane che stanno rischiando la pelle in prima linea non sarebbe una mossa troppo popolare da parte dei democratici che appaiono divisi su cosa fare. Un orientamento è quello di modificare il mandato senza limiti dato a suo tempo nel 2002 dal Congresso a Bush per condurre la guerra in Iraq: una nuova legge dovrebbe definire il raggio di operazioni delle truppe Usa in modo specifico limitandole alle operazioni antiterrorismo contro i membri di Al Qaeda, ai compiti di addestramento e di sostegno dell'esercito iracheno, alla protezione del personale (diplomatico e non) americano nel paese. La proposta, avanzata dal deputato democratico Carl Levin, presidente della Commissione Difesa, dovrebbe trovare corpo in una misura di legge che sta preparando il senatore John Biden, uno dei numerosi candidati democratici alla presidenza. I parlamentari democratici, impegnati in un intenso dibattito interno sul prossimo passo da fare, stanno presentando diverse proposte al Congresso. Giovedì il deputato John Murtha, uno stretto collaboratore della leader democratica Nancy Pelosi e un rispettato veterano di guerra, ha annunciato la sua intenzione di presentare una proposta di legge che richieda severi standard di preparazione ed equipaggiamento per le truppe destinate in futuro alle zone di guerra (congegnata in modo tale da impedire a Bush di inviare nuove truppe in Iraq).

Il Congresso insiste: meno truppe in Iraq.

WASHINGTON Il presidente Bush, rendendo omaggio ieri "all'altro George W.", cioè George Washington, ha paragonato la sua guerra al terrorismo alla grande battaglia per la libertà del primo presidente degli Stati Uniti. "Oggi stiamo combattendo un'altra guerra per difendere la nostra libertà e il nostro popolo e il nostro modo di vivere - ha detto Bush in un discorso a Mount Vernon, l'antica residenza di George Washington - mentre lavoriamo per portare avanti la causa della libertà nel mondo non dobbiamo mai dimenticare che il padre della nostra nazione era convinto che le libertà conquistate con la nostra rivoluzione non fosse destinata solo agli americani". L'inquilino della Casa Bianca, parlando in una cerimonia tenuta per la Festa Nazionale dedicata a George Washington (nacque il 22 febbraio 1732), ha detto sorridendo di "sentirsi a casa qui" a Mount Vernon: "Dopo tutto questa era la abitazione del primo George W.". La prossima guerra di Bush appare comunque quella con il Congresso dove i democratici, esaurita l'opzione più facile di una risoluzione contro la strategia del presidente sull'Iraq (passata alla Camera, bloccata da stratagemmi procedurali al Senato) devono decidere adesso la prossima mossa. La battaglia più difficile appare per entrambe le parti quella per i fondi aggiuntivi chiesti da Bush per portare avanti la guerra in Iraq e in Afghanistan: un conto di quasi 100 miliardi di dollari che il Congresso ha il potere di respingere. Ma tagliare i fondi per le truppe americane che stanno rischiando la pelle in prima linea non sarebbe una mossa troppo popolare da parte dei democratici che appaiono divisi su cosa fare. Un orientamento è quello di modificare il mandato senza limiti dato a suo tempo nel 2002 dal Congresso a Bush per condurre la guerra in Iraq: una nuova legge dovrebbe definire il raggio di operazioni delle truppe Usa in modo specifico limitandole alle operazioni antiterrorismo contro i membri di Al Qaeda, ai compiti di addestramento e di sostegno dell'esercito iracheno, alla protezione del personale (diplomatico e non) americano nel paese. La proposta, avanzata dal deputato democratico Carl Levin, presidente della Commissione Difesa, dovrebbe trovare corpo in una misura di legge che sta preparando il senatore John Biden, uno dei numerosi candidati democratici alla presidenza. I parlamentari democratici, impegnati in un intenso dibattito interno sul prossimo passo da fare, stanno presentando diverse proposte al Congresso. Giovedì il deputato John Murtha, uno stretto collaboratore della leader democratica Nancy Pelosi e un rispettato veterano di guerra, ha annunciato la sua intenzione di presentare una proposta di legge che richieda severi standard di preparazione ed equipaggiamento per le truppe destinate in futuro alle zone di guerra (congegnata in modo tale da impedire a Bush di inviare nuove truppe in Iraq).


Da Finanza e mercati 20-2-2007 Banche-imprese, stretta Consob Nuove regole sulla trasparenza

 

Da Finanza&Mercati del 20-02-2007 La Consob prepara la stretta sulla trasparenza nelle relazioni tra banche e imprese. È in arrivo, infatti, un pacchetto di regole per costringere istituti di credito e società per azioni quotate a svelare con maggiore chiarezza gli incroci azionari e, in particolare, i rapporti di finanziamento bancari. Le nuove norme - che secondo quanto appreso da F&M dovrebbero arrivare entro marzo - sono state ieri al centro di un summit tra i vertici di Abi e Assonime con gli esperti della Commissione guidata da Lamberto Cardia. I dettagli del regolamento di Via Martini non si conoscono ancora (non è stata messa a punto nemmeno la prima bozza), ma la Consob dovrebbe intervenire almeno su due fronti: delibere dei cda e bilanci. Sul primo punto è probabile che Cardia fissi qualche paletto in più in relazione agli obblighi di comunicazione sulle decisioni dei consigli di amministrazione che riguardano operazioni con le cosiddette parti correlate (in sostanza i soggetti con cui si hanno intrecci azionari e i top manager degli istituti creditizi). Le note informative destinate al mercato dovrebbero diventare più chiare e, soprattutto, più tempestive. Ciò con l'obiettivo di fornire immediatamente a risparmiatori e investitori dati sensibili sulle scelte di acquisto in Borsa. E maggiore chiarezza ed evidenza dovrà essere data a queste informazioni anche nei libri contabili. Una misura, quest'ultima, sulla quale c'è una certa attesa a Piazza Affari, vista l'imminente stagione assembleare dedicata all'approvazione dei bilanci annuali e l'impatto sul lavoro degli analisti interni e dei revisori dei conti. Frattanto, continua il pressing delle aziende creditizie sul viceministro dell'Economia, Roberto Pinza. Con il decreto correttivo di gennaio, l'esponente della Margherita ha solo in parte accolto le richieste degli istituti: per ora è stata cancellata dalla stretta l'ipotesi di rapporti tra banche dello stesso gruppo. Ma gli istituti vorrebbero almeno un altro paio di passi indietro: la depenalizzazione (la legge 262 prevede un reato in caso di violazione) e la possibilità di affidare a un comitato ristretto, invece che ai cda, le delibere sul credito alle imprese collegate.

La Consob prepara la stretta sulla trasparenza nelle relazioni tra banche e imprese. È in arrivo, infatti, un pacchetto di regole per costringere istituti di credito e società per azioni quotate a svelare con maggiore chiarezza gli incroci azionari e, in particolare, i rapporti di finanziamento bancari. Le nuove norme - che secondo quanto appreso da F&M dovrebbero arrivare entro marzo - sono state ieri al centro di un summit tra i vertici di Abi e Assonime con gli esperti della Commissione guidata da Lamberto Cardia. I dettagli del regolamento di Via Martini non si conoscono ancora (non è stata messa a punto nemmeno la prima bozza), ma la Consob dovrebbe intervenire almeno su due fronti: delibere dei cda e bilanci. Sul primo punto è probabile che Cardia fissi qualche paletto in più in relazione agli obblighi di comunicazione sulle decisioni dei consigli di amministrazione che riguardano operazioni con le cosiddette parti correlate (in sostanza i soggetti con cui si hanno intrecci azionari e i top manager degli istituti creditizi). Le note informative destinate al mercato dovrebbero diventare più chiare e, soprattutto, più tempestive. Ciò con l'obiettivo di fornire immediatamente a risparmiatori e investitori dati sensibili sulle scelte di acquisto in Borsa. E maggiore chiarezza ed evidenza dovrà essere data a queste informazioni anche nei libri contabili. Una misura, quest'ultima, sulla quale c'è una certa attesa a Piazza Affari, vista l'imminente stagione assembleare dedicata all'approvazione dei bilanci annuali e l'impatto sul lavoro degli analisti interni e dei revisori dei conti. Frattanto, continua il pressing delle aziende creditizie sul viceministro dell'Economia, Roberto Pinza. Con il decreto correttivo di gennaio, l'esponente della Margherita ha solo in parte accolto le richieste degli istituti: per ora è stata cancellata dalla stretta l'ipotesi di rapporti tra banche dello stesso gruppo. Ma gli istituti vorrebbero almeno un altro paio di passi indietro: la depenalizzazione (la legge 262 prevede un reato in caso di violazione) e la possibilità di affidare a un comitato ristretto, invece che ai cda, le delibere sul credito alle imprese collegate.


Da La Repubblica 19-2-2007 Un software riconosce materiale coperto da copyright su internet. "Dna digitale" per l'audio nei video


E le major, alla prese con gli scambi illegali in rete, applaudono


nuova arma contro la pirateria web

 

SAN FRANCISCO - Una nuova arma contro la pirateria in aiuto dell'industria dell'intrattenimento nell'era della condivisione globale di file. E' un software che permette di riconoscere il materiale coperto da copyright, anche se rilavorato, catturandone il "dna digitale". La nuova tecnologia - riferisce il New York Times - è stata presentata nei giorni scorsi da Vance Ikezoye della Audible Magic, la compagnia che lo ha prodotto. Davanti ad una platea di utenti assai interessati, il software è riuscito a riconoscere un frammento da "Kill Bill: volume 2" ben nascosto all'interno di una clip di due minuti, mossa e di cattiva qualità, quasi priva di colore e con dialoghi in cinese, scaricata da YouTube.
Ma come funziona? Il sistema sviluppato dalla Audible Magic - ma ne esistono anche altri simili, come quello di Gracenotes - prende le "impronte digitali" del file, confrontando il materiale audio e video con enormi banche dati. In sostanza riconosce la firma digitale audio in un file video. E l'allarme scatta per quei filmati le cui tracce audio corrispondono a quelle presenti nell'archivio del software. Quando si prova a mettere online un file su un sito che adotta questo filtro, il materiale viene controllato e se risulta protetto da copyright viene bloccato o messo online, a seconda che il sito in oggetto abbia o meno un accordo con chi detiene i diritti per la pubblicazione.
L'annuncio fa tirare un sospiro di sollievo alle major di tv, cinema e musica, messe in ginocchio dalla pirateria. L'industria dell'entertainment preme da tempo perché un sistema di riconoscimento di materiale protetto da diritto d'autore venga adottato dai siti di file sharing e di social networking dove si trova praticamente di tutto. Il primo a rispondere all'appello è stato MySpace. Il sito si è detto pronto ad adottare il sistema di filtraggio della Audible Magic. Lo utilizzerà per identificare materiale della Universal Music, Nbc Universal e Fox, per ottenerne poi l'autorizzazione alla pubblicazione.
Una mossa che lascia sempre più solo YouTube, il più grande sito di video online. Le major sono stanche di imporre la rimozione quotidiana di materiale protetto dal sito, per poi vederlo ripubblicato immediatamente da qualche altro utente. E le richieste perché si arrivi ad una soluzione del problema aumentano di giorno in giorno.
La rete però fa resistenza: il caso di Guba insegna. Appena è stato adottato un sistema di filtraggio sul fratello minore di YouTube, gli utenti sono scappati migrando verso altri siti non protetti. Eppure, per gli esperti, il futuro è questo. Anche se per ora la tecnologia di riconoscimento è più efficace sul fronte audio, molto meno per il video: tante sono le informazioni da immagazzinare, e molto più complesse per identificarne il dna digitale, rispetto ad un file di musica.
(19 febbraio 2007)

 


Da La Repubblica 19-2-2007 Ecco l'uomo più felice del mondo E' un monaco buddista francese Nepal.

Il titolo è stato attribuito da alcuni scienziati del Wisconsin
La sua ricetta? "Arrabbiatevi il meno possibile
"



E' stato monitorato con 256 sensori. Analizzate le reazioni cerebrali

LONDRA - La felicità non è di questo mondo? Almeno a giudicare il caso di Matthieu Ricard, monaco buddhista parigino, il vecchio motto deve essere assolutamente rivisto. Parola di scienziati. In particolare, di quelli dell'università del Wisconsin che ha sottoposto il monaco a una serie di test scientifici arrivando a un responso inequivocabile: Monsieur Ricard può essere considerato "Mr Happy", l'uomo più felice del mondo.
Come è stato attribuito il titolo? Il gruppo di neuroscienziati dell'ateneo americano, guidati dal professor Richard K. Davidson, ha monitorato l'attività cerebrale del monaco con 256 sensori e una serie di scanning in profondità. La tecnica messa a punto dal professor Davidson - una delle massima autorità nel campo della neuroplasticità, la disciplina che studia la strabiliante capacità evolutiva e di adattamento del cervello - misura l'attività della corteccia pre-frontale, perché più alta è l'attività di quella regione della testa e più l'individuo osservato è ritenuto in pace con se stesso e con la realtà. Se i volontari sottoposti a questo esperimento hanno riportato in genere valori tra +0,3 (disperazione) e -0,3 (beatitudine), "Mr. Happy" è arrivato ad uno strabiliante -0,45.
Ma visto che lui è riuscito a raggiungerla, qual è la ricetta per la felicità suggerita dal monaco?
Secondo quanto scritto in un libro pubblicato di recente a Londra, Matthieu Richard - sessanta anni, figlio di una delle più grandi penne del giornalismo d'oltralpe (il defunto Jean-Francois Revel), una brillante carriere di biologo abbandonata per abbracciare il buddismo e ritirarsi in Nepal - la felicità è soprattuto una questione di igiene mentale. L'uomo, infatti, è una creatura malleabile, capace di grandi trasformazioni. Per questo, se riesce a modificare in modo positivo e altruistico il treno dei pensieri, può migliorare la percezione e l'interpretazione del mondo. Felici, insomma, si può diventare. Ma molti non lo sanno: "Molti essere umani - spiega Ricard - vivono come clochard, inconsapevoli del tesoro sepolto sotto la loro baracca".
Come fare, dunque, per essere felici? La ricetta del monaco è, a sorpresa, molto british: autocontrollo. Mr Happy non crede infatti assolutamente che dar libero corso alle proprie emozioni intime sia una salutare valvola di sfogo. "Un attimo di rabbia - ammonisce - può distruggere anni di pazienza".
(19 febbraio 2007)


INDICE 19-2-2007

++ Da Il Sole 24 Ore 19-2-2007  Risparmio energetico, piano del Governo in sei mosse. Incentivi per 2,5 miliardi di euro

++ Da La Stampa 19-2-2007  (13:27) Imi-Sir, Previti ai servizi sociali 3

++ Dal Corriere della Sera 19-2-2007 L'incontro oggi alle 17 a Villa Borromeo. Concordato, Prodi vede Bertone e Ruini. Di Alessandra Arachi 3

+ Da La Stampa 19-2-2007 Accordo sulla soluzione di due Stati indipendenti 4

+ Da La Repubblica 19-2-2007 IL RETROSCENA.D'Alema al lavoro sul testo da portare al Senato. "Più Onu in Afghanistan" Di Massimo Giannini 4

+ Dal Corriere della Sera 19-2-2007 Le difficoltà di Chiti e la raccolta firme. Il fantasma del referendum. di Angelo Panebianco  7

+ Dal Corriere della Sera 19-2-2007  «Telefonate gratis via Internet, ora la tv» Zennström, inventore di Skype: entro pochi mesi il lancio. Di Giancarlo Radice  8

Da Aprileonline.it 19-2-2007  I riformisti della politica estera  9

Dal Corriere Economia 19-2-2007 Gli Usa e i pop-dem. Populismo e Partito democratico. di Giulio Sapelli 11

Da Italia Oggi SETTE 19-2-2007Agcm, conti correnti sotto accusa  12

 


++ Da Il Sole 24 Ore 19-2-2007  Risparmio energetico, piano del Governo in sei mosse. Incentivi per 2,5 miliardi di euro

Il pacchetto appena approvato dal Governo per il risparmio energetico prevede fino a 2,5 miliardi di incentivi in tre anni. «Un miliardo sul lato dell'offerta, con il progetto di innovazione industriale per la nascita di una ecoindustria, un miliardo, un miliardo e mezzo sul lato della domanda», ha detto il ministro dello Sviluppo economico, Pier Luigi Bersani, commentando l'emanazione dei decreti attuativi dei benefici previsti dalla Finanziaria.
La prima misura prevista dai decreti attuativi della Finanziaria riguarda la riqualificazione degli edifici, con l'innalzamento dal 36% al 55% della detrazione fiscale per interventi che consentono di ridurre le dispersioni termiche; per l'installazione di pannelli solari e per la sostituzione di vecchie caldaie con nuove ad alta efficienza.
La seconda misura intende promuovere l'efficienza nell'industria con al detrazione fiscale del 20% per l'acquisto e l'installazione di motori elettrici trifase in bassa tensione ad elevata efficienza con potenza compresa tra 5 e 90 kW sia per nuova installazione sia per la sostituzione di vecchi. Stessa detrazione per l'acquisto e l'installazione di variatori di velocità di motori elettrici con potenze da 7,5 a 90 kW.
Si punta poi a incentivare la mobilità sostenibile attraverso la riduzione fiscale per il Gpl (-20%) e incentivi per creare un parco auto ecologico e diminuire l'inquinamento. Chi, per esempio, sostituisce autovetture Euro 0 ed Euro 1 con altre di categoria Euro 4 ed Euro 5 ha diritto ad un bonus di 800 euro e all'esenzione della tassa automobilistica per due anni.
I decreti attuativi prevedono poi incentivi al sistema agroenergetico stabilendo obiettivi di miscelazione obbligatoria di biocarburanti in crescita fino al 2010; riduzione della tassazione sul biodiesel e sul bioetanolo.
Con il Fondo Kyoto, inoltre, 600 milioni di euro per il triennio 2007-2009 sono stati assegnati in favore di misure di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.
L'azione del Governo, infine prevede anche l'incentivazione del fotovoltaico, il potenziamento dei certificati bianchi (risparmio energetico), il rafforzamento e la revisione del meccanismo di incentivazione delle fonti rinnovabili, oggi basato sui certificati verdi, l'incentivazione della cogenerazione ad alto rendimento. (Radiocor)


++ Da La Stampa 19-2-2007  (13:27) Imi-Sir, Previti ai servizi sociali

 

L'ex ministro delle Difesa, condannato a sei anni di reclusione, lavorerà presso la Ceis di don Picchi

ROMA
L’ex ministro della Difesa Cesare Previti, condannato a 6 anni di reclusione per la vicenda Imi Sir ,ha ottenuto l’affidamento al servizio sociale. Secondo le prime notizie dovrebbe trovare impiego presso la Ceis, una struttura che fa capo a don Picchi.
Il provvedimento è stato firmato da Laura Longo, lo stesso magistrato che lo scorso anno, quando diventò definitiva la condanna a sei anni di reclusione inflitta a Previti per la vicenda Imi-Sir e l’ex ministro della Difesa si costituì in carcere, gli concesse provvisoriamente gli arresti domiciliari riconoscendogli la possibilità di uscire per due ore la mattina dalle 11 alle 13 per sbrigare i suoi impegni. Ora con il nuovo provvedimento è stato stabilito, ma per il momento non se ne conoscono ancora i termini esatti, per quanto tempo potrà lasciare la sua abitazione per recarsi a svolgere i compiti che gli verranno affidati. Normalmente comunque il periodo va dalle 7 del mattino alle 21.
Analogo provvedimento tempo fa fu preso per Attilio Pacifico condannato per la stessa vicenda e il periodo a lui concesso va dalle 7 alle 23. Dei sei anni inflittigli, Previti deve scontare ancora un anno e sette mesi. Infatti dei sei anni ai quali è stato definitivamente condannato tre sono stati coperti dal recente indulto e una parte in base a ’scontì a cui ha diritto determinano il periodo residuo appunto in un anno e sette mesi.Il provvedimento è stato firmato da Laura Longo, lo stesso magistrato che lo scorso anno, quando diventò definitiva la condanna a sei anni di reclusione inflitta a Previti per la vicenda Imi-Sir e l’ex ministro della Difesa si costituì in carcere, gli concesse provvisoriamente gli arresti domiciliari riconoscendogli la possibilità di uscire per due ore la mattina dalle 11 alle 13 per sbrigare i suoi impegni.
Ora con il nuovo provvedimento è stato stabilito, ma per il momento non se ne conoscono ancora i termini esatti, per quanto tempo potrà lasciare la sua abitazione per recarsi a svolgere i compiti che gli verranno affidati. Normalmente comunque il periodo va dalle 7 del mattino alle 21. Analogo provvedimento tempo fa fu preso per Attilio Pacifico condannato per la stessa vicenda e il periodo a lui concesso va dalle 7 alle 23.
Dei sei anni inflittigli, Previti deve scontare ancora un anno e sette mesi. Infatti dei sei anni ai quali è stato definitivamente condannato tre sono stati coperti dal recente indulto e una parte in base a ’scontì a cui ha diritto determinano il periodo residuo appunto in un anno e sette mesi.


++ Dal Corriere della Sera 19-2-2007 L'incontro oggi alle 17 a Villa Borromeo. Concordato, Prodi vede Bertone e Ruini. Di Alessandra Arachi

 

Il premier ai suoi: «Incontro importante». E l'Avvenire sui Dico: «non si strumentalizzino i Patti per ottenere il nostro silenzio»

 

ROMA — L'incontro è una cerimonia dal protocollo rigido e particolarmente formale. Eppure nel pomeriggio di oggi il premier Romano Prodi sembra deciso a non lasciarsi sfuggire l'occasione della celebrazione del Concordato tra Stato e Chiesa, quei Patti Lateranensi firmati l'11 febbraio di 78 anni fa. Per la prima volta, da quando è esplosa la bufera sulle coppie di fatto, vedrà negli occhi il cardinal Camillo Ruini, il presidente della Cei. «È un incontro molto importante», ha detto a cena con il suo staff, dopo aver incontrato nel pomeriggio il sottosegretario Enrico Letta. Prodi vorrebbe trovare il modo di raffreddare quel clima che tra Chiesa e governo si è andato arroventando nelle ultime settimane per via del disegno di legge sulle coppie di fatto, i Dico. Però è proprio alla Cei che di Dico non vogliono sentire parlare. Il Concordato non c'entra con le coppie di fatto, ha infatti scritto ieri in prima pagina l'Avvenire, il quotidiano dei vescovi. E lo ha fatto scrivere a Carlo Cardia, uno dei coautori della revisione concordataria del 1984. «Certi settori laici sviluppano un ragionamento strumentale per mettere in crisi le relazioni tra Stato e Chiesa...», ha vergato Cardia nell'editoriale. E ha rilanciato: «Chiunque vede che siamo di fronte ad una specie di ritorsione censoria che chiama in causa questioni che non hanno alcun rapporto tra di loro». Con queste premesse, Romano Prodi varcherà alle 17 la soglia di Villa Borromeo, sede dell'ambasciata italiana presso la Santa Sede, e con lui ci saranno i due vicepremier, Francesco Rutelli e Massimo D'Alema. Come da protocollo.
E come da protocollo la delegazione di governo rimarrà mezz'ora faccia a faccia con la delegazione vaticana, guidata dal cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, accompagnato, appunto, dal cardinal Ruini.

«Le conversazioni verteranno sulle questioni politiche generali, sulle problematiche concordatarie e su altri temi bilaterali di attualità», ha mandato a dire una generica nota della Farnesina qualche giorno fa. E non ha aggiunto altro. Altro non ha voluto aggiungere nemmeno il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che mezz'ora dopo, alle 17.45, raggiungerà la delegazione di governo, «scortato» dai presidenti dei due rami del Parlamento, Franco Marini e Fausto Bertinotti. Il loro incontro durerà in tutto una ventina di minuti, sempre secondo le ferree regole del protocollo. Il capo dello Stato non sembra aver alcuna intenzione di affrontare con i vertici ecclesiastici argomenti di stretta attualità, e soprattutto i Dico. Del resto Napolitano si era già spinto fin troppo da Madrid a parlare di coppie di fatto, suggerendo al governo di ascoltare le ragioni della Chiesa. E ora il confronto sembra rimanere tutto nelle mani di Prodi. Anche se da fuori ci pensano il ministro Emma Bonino ed Enrico Boselli, presidente dello Sdi, a far sentire le voci dissonanti. «Il disegno di legge sui Dico risente dei diktat della Chiesa», ha detto la Bonino. E Boselli: «Il Concordato è superato nei fatti».

19 febbraio 2007


+ Da La Stampa 19-2-2007 Accordo sulla soluzione di due Stati indipendenti

 

19/2/2007 (11:55) - VERTICE

Il premier israeliano e il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese si sono trovati concordi sulla soluzione di due Stati, indipendenti, sovrani e in grado di convivere pacificamente l’uno accanto all’altro

GERUSALEMME
Il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice ha precisato tornerà presto in Medio Oriente per nuovi negoziati con i leader israeliani e palestinesi. Al termine del vertice a tre come Ehud Olmert e Abu Mazen, Rice ha letto una dichiarazione ed ha lasciato la sala stampa, evitando le domande dei giornalisti.
«Il presidente (Abu Mazen, ndr) e il primo ministro (Ehud Olmert, ndr) sono d’accordo su un nuovo, prossimo, incontro. Hanno ribadito il loro desiderio di una partecipazione americana e di una leadership per superare gli ostacoli, raccogliere il consenso regionale e internazionale e far progredire il processo di pace», ha detto Rice.
Per questa ragione, ha aggiunto il capo della diplomazia di Washington, «credo di ritornare presto nella regione».
Tutti e tre hanno riaffermato oggi a Gerusalemme il loro impegno per la soluzione dei due Stati, palestinese e israeliano, che possano vivere in pace l’uno a fianco dell’altro. «Abbiamo affermato il nostro impegno per la soluzione dei due Stati e siamo d’accordo sul fatto che uno stato palestinese non può vedere la luce nel terrore e nelle violenze», ha detto Rice dopo l’incontro con i due leader mediorientali.


+ Da La Repubblica 19-2-2007 IL RETROSCENA.D'Alema al lavoro sul testo da portare al Senato. "Più Onu in Afghanistan" Di Massimo Giannini

"Dobbiamo salvare la maggioranza da se stessa"

Il governo ridisegna la missione

 

 

L'ORDINE è già partito: "Salvate il soldato Prodi". Per il governo comincia la settimana più lunga. Passato l'incubo di Vicenza, esorcizzata nel rito festoso della testimonianza la paura di un altro G8, il centrosinistra attraversa il suo cerchio di fuoco. Oggi l'anniversario dei Patti lateranensi, e l'incontro con le alte gerarchie vaticane nel pieno della crociata neo-cattolica contro la legge sulle unioni civili. Martedì il vertice bilaterale con la Spagna di Zapatero, modello controverso di Stato laicamente a-confessionale e discusso prototipo del disimpegno unilaterale dal pantano iracheno. Mercoledì la madre di tutte le battaglie: Massimo D'Alema in Parlamento, a illustrare le linee della politica estera italiana alla vigilia del voto sul rifinanziamento della missione in Afghanistan.
Esposto agli attacchi scontati dell'opposizione, e soprattutto al fuoco amico di una maggioranza di responsabili tenuta in ostaggio da una minoranza di irriducibili.
In queste ore, il ministro degli Esteri lavora al testo che leggerà dopodomani mattina al Senato. Chi ha avuto occasione di parlargli, ha toccato con mano l'inquietudine che circola tra Palazzo Chigi e dintorni. "Dobbiamo salvare il governo, e dobbiamo salvare la maggioranza da se stessa", è la linea. Il corteo vicentino, colorito e non violento, ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai riformisti dell'Ulivo. Ma ha anche rafforzato le pretese dei massimalisti dell'Unione.
Prc, Verdi e Pdci chiedono al premier di ascoltare "il popolo della pace". Parlano della base americana Dal Molin, ma pensano ad altro. Prodi lo sa, e infatti ripete che "la decisione non si cambia". D'Alema lo conferma, e infatti probabilmente non farà cenni al caso Vicenza nel suo discorso, anche se a suo giudizio "l'unica cosa che si può fare è provare a concordare lo spostamento di qualche chilometro dal centro città". La vera posta in palio è molto più alta. Riguarda la nostra politica della difesa e della sicurezza, che in assenza di un quadro concreto di scelte condivise "non permette a nessun governo di reggere nel tempo", come sostiene giustamente il ministro Parisi.

E riguarda il profilo più generale che il responsabile della Farnesina dovrà tracciare sulla nostra politica estera, e soprattutto i contenuti della mozione che accompagnerà il voto su Kabul, in calendario prima alla Camera, e poi a Palazzo Madama a metà marzo. L'uno e gli altri dovranno convincere i sartoriani "ciecopacisti" della sinistra radicale che la vagheggiata "discontinuità" si è prodotta, e che questo governo merita ancora di essere sostenuto.
Di tutto questo Prodi e D'Alema sono ancora più consapevoli. Il ministro degli Esteri, sulla scia di un editoriale in uscita sulla rivista della Fondazione Italianieuropei, sta preparando un discorso che - sia pure senza concedere niente a chi "si vuole chiamare fuori da tutte le responsabilità, interne e internazionali" - cerca di dimostrare con i fatti una banale verità: "In questi mesi la svolta, in politica estera, c'è stata eccome".
Il vicepremier, dopodomani, cercherà di spiegare innanzitutto com'è cambiato il ruolo dell'Italia, nel contesto di un quadro politico internazionale in piena evoluzione. Siamo in campo, con una strategia che mescola "interessi e valori", "idealismo e realismo". Che si dispiega su tutto quello che Zbignew Brzezinski definisce "l'arco di crisi", cioè dai Balcani al Mediterraneo allargato. Che è alleato fedele degli Stati Uniti, in un rapporto dialettico ma mai vulnerato, neanche dal ritiro delle truppe dall'Iraq. Che nella lotta al terrorismo internazionale, più che a "esportare democrazia", punta a "prosciugare le paludi dell'odio" e a difendere ovunque e comunque "i diritti umani negati".
Com'è evidente alla luce delle elezioni di mid-term in America, anche "la nazione indispensabile" sembra aver capito di aver bisogno di alleanze stabili, piuttosto che di coalizioni di volonterosi. È finito "il momento unipolare", ed è invece cominciato un "contro-ciclo della politica internazionale", che l'Italia ha interesse a consolidare insieme all'Europa.
Si apre una straordinaria opportunità, per rilanciare quel "multilateralismo efficace" che affonda le sue radici sulle istituzioni internazionali, rese più forti dal contributo determinante di tutti i maggiori Paesi. L'Onu, la Nato, l'Unione Europea. Non c'è altra via per chiudere i vecchi "teatri di guerra" e sventare le nuove minacce nucleari, se non il rafforzamento di questo tessuto istituzionale e sovranazionale. E questo, nella posizione del governo italiano, vale tanto nei confronti dell'Iran e della Corea del Nord, quanto soprattutto nei confronti del Medio Oriente. Il governo dovrebbe rilanciare con forza la questione mediorientale e il ruolo del cosiddetto Quartetto, partendo dalla fosca profezia di Re Hussein di Giordania: in assenza di un accordo israelo-palestinese entro il 2007, il rischio è quello di scivolare verso tre guerre civili parallele: in Iraq, nei Territori e in Libano.
Dunque, è proprio al senso di questo "multilateralismo efficace" che il ministro degli Esteri dovrebbe fare appello, per disvelare e poi risolvere le contraddizioni interne all'Unione. La politica estera del governo ha acquisito "un forte credito internazionale, giocando un ruolo fondamentale nella crisi libanese". Quel credito è stato rinnovato "con la nostra elezione nel Consiglio di sicurezza per il biennio 2007-2008". Ora che siamo nella stanza dei bottoni del Palazzo di Vetro, sia pure come membro non permanente, abbiamo una buona possibilità per spendere al meglio quel credito, proprio sullo scenario del conflitto in Afghanistan.
La linea del governo è che "restiamo e resteremo saldamente impegnati a Kabul", ma proporremo un ripensamento della strategia di stabilizzazione adottata finora in quel Paese. La presenza della Nato, sotto mandato Onu, "è e resta necessaria", ma non è più sufficiente. Questa affermazione non basterà ai dissidenti della sinistra rosso-verde, che insistono nel chiedere l'inserimento della proposta di una conferenza internazionale di pace nella mozione sul rifinanziamento della missione.
Per questo D'Alema, nel suo discorso, potrebbe giocare una carta a sorpresa. La conferenza di pace resta un nostro cavallo di battaglia, ma è un seme che, realisticamente, non germoglierà. Lo lanciamo per puro spirito di testimonianza. Quello che invece l'Italia può fare davvero, è assumere un ruolo decisivo nella ridefinizione del mandato Onu alla missione Nato in Afghanistan.
Abbiamo chiesto e ottenuto di essere relatori, nella discussione generale che a New York si incentrerà su due tappe distinte: la prima a marzo, per rielaborare gli aspetti civili, e la seconda in ottobre, per rimettere a punto gli aspetti militari dell'Isaf. In quella sede, il nostro Paese può fare fino in fondo la sua parte, proponendo un piano operativo per rafforzare i primi, e ridimensionare i secondi, per poi cercare sponde forti a questo progetto in Consiglio di sicurezza.
Con questa linea, hanno ragionato insieme Prodi, D'Alema e Parisi nei giorni scorsi, sarebbe più facile smontare le obiezioni dei due partiti comunisti della coalizione, e magari evitare il pericolo di ritrovarsi sorretti dall'infida "stampella azzurra" del Polo: "Come potremmo tentare di alzare così tanto il tiro al Palazzo di Vetro, proponendo di ripensare la missione Onu prima ancora che la missione italiana, se nel frattempo ritirassimo le nostre truppe dall'Afghanistan?". Non è detto che la falange dei "kabulisti" dell'Unione al Senato si convinca, di fronte alla logica stringente di questo ragionamento. Ma non c'è altro da fare che tentare.
Qualcuno potrebbe tacciare l'idea di "velleitarismo".
Ma questo, per D'Alema, si chiama invece "fare politica estera, assumendosi le responsabilità che competono a un Paese che voglia incidere davvero sul corso degli eventi internazionali", piuttosto che limitarsi a fare battaglie bellissime ma domestiche, giustissime ma irrealistiche. E più di questo, onestamente, il governo non può concedere, nel legittimo tentativo di non perdere, oltre a se stesso, neanche la faccia. È fondamentale che l'azione internazionale di un Paese "goda di appoggio e consenso interno".
Difendere dall'interno le proprie scelte di politica estera diventa, per i singoli governi, "una condizione chiave della propria stabilità". Appunto: si tratta di salvare il soldato Prodi. E stavolta non da Berlusconi, ma da quella che il ministro degli Esteri chiama "la tragica immaturità di una certa sinistra".
(19 febbraio 2007)


+ Dal Corriere della Sera 19-2-2007 Le difficoltà di Chiti e la raccolta firme. Il fantasma del referendum. di Angelo Panebianco

 

Il ministro per le Riforme Vannino Chiti ha domandato al comitato promotore di non avviare, posticipandola di due anni, la raccolta delle firme, il cui inizio è previsto fra due mesi (il 24 aprile), per la richiesta di referendum abrogativo dell'attuale legge elettorale. Il presidente del comitato promotore, Giovanni Guzzetta, ha risposto subito negativamente. Man mano che si avvicina la data di inizio della raccolta delle firme il nervosismo si fa palpabile nella classe politica e la richiesta di Chiti ne è un segnale. Il ministro l'ha motivata sostenendo che se la raccolta slittasse di due anni (alla primavera del 2009) ci sarebbe il tempo per approntare con serenità una nuova legge elettorale.

Ma le cose non stanno così. Se la raccolta delle firme slittasse di due anni, la riforma elettorale uscirebbe immediatamente, rimanendone fuori per tutto quell'arco di tempo, dall'agenda politica. In più, il comitato promotore sarebbe costretto a smobilitare e ricostituirlo in seguito diventerebbe problematico. Ma l'incombere minaccioso del referendum è l'unica ragione che costringe la classe politica ad occuparsi di riforma elettorale. Per giunta, la richiesta di Chiti si fonda su un ottimismo eccessivo sulle possibilità di durata della legislatura. È giusto, e lo ha fatto anche chi scrive, mettere in guardia contro le continue profezie di caduta imminente del governo.

Ma resta il fatto che la maggioranza deve fronteggiare (al Senato) quotidiani problemi di sopravvivenza e in qualunque momento un incidente può far svanire la capacità fino ad oggi dimostrata dal governo Prodi di sfidare con successo la legge di gravità. Se il governo cadesse e non risultasse sostituibile per via parlamentare si andrebbe al voto anticipato. E si voterebbe, sciaguratamente, con la legge elettorale attualmente in vigore. D'altra parte, non pare proprio che abbia fondamento costituzionale la tesi secondo cui se si cambia la legge elettorale si è poi obbligati a votare subito dopo. Alla luce della Costituzione vigente la legge elettorale può essere cambiata anche ora senza che ciò possa impedire alla legislatura di arrivare alla sua scadenza naturale. Il fatto che senza referendum incombente sia quasi impossibile cambiare le regole elettorali sembra provato dalle difficoltà che lo stesso Chiti incontra nel tentativo di trovare una soluzione legislativa.

Benché ne parli da tempo, Chiti non ha ancora formalizzato alcun progetto di riforma (ma sembra che verrà presentato la settimana prossima). È lecito sospettare che il ritardo dipenda dalla difficoltà di trovare una soluzione che metta d'accordo maggioranza e opposizione. Va aggiunto che le indiscrezioni (non si sa quanto fedeli) filtrate sul progetto Chiti non lasciano ben sperare. Per esempio, si è parlato di una riforma che dovrebbe cambiare (o solo ritoccare?) la legge elettorale ma anche intervenire sulla Costituzione (sui poteri del premier e sul bicameralismo). Ma ormai dovremmo sapere tutti che la Costituzione, soprattutto in queste materie, è praticamente irriformabile (dovrebbero avercelo insegnato venticinque e passa anni di tentativi falliti).

Una proposta di riforma elettorale che prevedesse anche interventi sulla Costituzione sarebbe, in partenza, destituita di credibilità. Trasformerebbe in certezza il sospetto dei maligni secondo cui il vero scopo del ventilato «progetto di riforma» non è riformare davvero la legge elettorale ma solo fare fuoco di sbarramento contro il referendum. Insomma, siamo alle solite: niente referendum, niente riforma elettorale.

19 febbraio 2007


+ Dal Corriere della Sera 19-2-2007  «Telefonate gratis via Internet, ora la tv» Zennström, inventore di Skype: entro pochi mesi il lancio. Di Giancarlo Radice                   

 

 

Con Skype ha portato la rivoluzione nell'industria delle telecomunicazioni. Tanto che oggi non c'è grande gruppo europeo o americano, da Telecom Italia a Deutsche Telekom o France Telecom, che non sia stato costretto a offrire le telefonate via internet all'interno dei propri pacchetti di servizi a banda larga venduti agli abbonati. E adesso, con Joost, minaccia di fare altrettanto nei confronti dell'industria televisiva. Un assalto soprattutto alle tradizionali emittenti «generaliste», basato su connessioni internet veloci, contenuti on demand, immagini in alta definizione. Tutto gratis, finanziato dagli introiti pubblicitari.
Niklas Zennström è uno dei grandi innovatori del decennio. Lui e Janus Friis, suo inseparabile compagno d'avventure tecnologico-imprenditoriali, hanno cominciato con KaZaa, il software (e l'azienda) di scambio peer- to-peer di file musicali che ha ripreso il discorso avviato da Napster(naufragato sotto il peso delle cause legali per violazione di copyright) e che ha fatto da apripista a fenomeni come quello di iPod-iTunes della Apple. Poi, appunto, è arrivato Skype: un'autostrada internet per telefonare in tutto il mondo. Senza pagare pedaggio, o quasi.
Era consapevole di aver piazzato una bomba a orologeria sotto le compagnie di telecomunicazioni, mister Zennström?
«In realtà la diffusione di Skype è stata molto graduale, almeno all'inizio. Solo quando abbiamo raggiunto il milione di utenti ci siamo resi conto dell'impatto che avrebbe potuto avere sui tradizionali operatori di telecomunicazioni: una rivoluzione che permette alle persone di comunicare quasi gratis. Oggi Skype ha 171 milioni di utenti nel mondo, che crescono al ritmo di 200 mila ogni giorno».
Nel settembre 2005, quando eBay ha pagato 2,6 miliardi di dollari per acquistare Skype, molti analisti sono rimasti sconcertati. L'hanno definita una follia. E ancora oggi, se si guarda ai 66 milioni di dollari di fatturato dell'ultimo trimestre 2006, non le sembra che il modello di business basato solo sulla pubblicità mostri i suoi limiti?
«Stiamo investendo in più direzioni. Da un lato vogliamo continuare a far crescere il numero degli utenti del servizio gratuito, dall'altro puntiamo ad avere sempre più clienti per "Skype in" e "Skype out", che permettono di comunicare a pagamento attraverso le reti di telecomunicazioni degli operatori tradizionali. E già oggi il traffico a pagamento cresce più di quello gratuito. In più, continuiamo a rafforzare le attività di e-commerce. Siamo una società che vende software: anche avatar, suonerie e molto altro».
Il prossimo passo è quello racchiuso nello slogan «Skype everywhere», «Skype dappertutto»?
«Esattamente. L'obiettivo è quello di permettere alle persone di comunicare anche quando non sono davanti a un computer. Per questo nel dicembre scorso abbiamo lanciato i telefoni Skype. Si tratta di cordless che si connettono alla rete internet, anche con lo standard wi-fi. L'altro filone è invece quello dei cellulari: utilizzare le reti mobili per l'accesso internet, sia per telefonare o fare videoconferenze, sia per comunicare con l'instant messaging o navigare sul web. E a costi molto inferiori rispetto alle normali tariffe degli operatori wireless. Come primo passo abbiamo siglato un accordo con «3» che ci consente di portare i nostri servizi sui loro telefonini in quattro mercati europei, compresa l'Italia».
E adesso l'avventura televisiva. Joost sembra molto simile a Babelgum, la nuova piattaforma che un italiano, il presidente di FastWeb Silvio Scaglia, si prepara a lanciare l'anno prossimo. A quando il vostro debutto?
«In questo momento ci sono 20-25 mila spettatori- campione che stanno testando la versione beta. Il via al servizio commerciale è questione di mesi. Quanto al modello di business, sarà basato sugli introiti pubblicitari, con una suddivisione dei ricavi fra Joost e i fornitori di contenuti».
Quali contenuti? E per quale pubblico?
«Innanzitutto, una piattaforma televisiva via internet rappresenta il superamento di concetti tradizionali come il palinsesto. Ciascuno potrà vedere quello che vuole esattamente nel momento in cui lo vuole. Puntiamo soprattutto su programmi di alta qualità professionale. Produzioni indipendenti, in primo luogo, che non si trovano sulle tradizionali tv. E niente a che vedere con You- Tube: i loro video sono il prodotto della generazione degli spot televisivi».
Cinema? Sport? Farete concorrenza ai grandi network?
«Avremo anche quello, attraverso accordi commerciali con le major. Ma avremo soprattutto contenuti che non si trovano altrove».
Prodotti per piccole nicchie di pubblico specializzato?
«Qui bisogna intendersi. Faccio un esempio: è vero che un grande film hollywoodiano attira milioni di persone, il cosiddetto pubblico di massa, ma è vero anche che altrettanti milioni di persone nel mondo, divise per gusti e interessi, desiderano poter vedere programmi che coincidono con i loro gusti e interessi. Ci sono infiniti film di culto, o di nuovi registi indipendenti, che non passano mai per i tradizionali circuiti commerciali. Lo stesso vale, altro esempio, per un avvenimento sportivo: i mondiali di calcio piacciono a tutti, certo, ma ci sono ogni giorno anche migliaia di partite fra squadre locali che migliaia e migliaia di persone che abitano in quelle località vorrebbero poter seguire in tv».

19 febbraio 2007


Da Aprileonline.it 19-2-2007  I riformisti della politica estera

 

Giuliano Garavini, 18 febbraio 2007 A Vicenza hanno sfilato coloro che chiedono di aprire gli occhi di fronte ad un mondo che si fa multipolare e mette in discussione alleanze militari concepite per rispondere alla Guerra fredda Annalaura e Giuseppe del Coordinamento delle scuole di Vicenza dicono che "i soldi dovrebbero andare alla scuola". Aggiungono che Prodi si contraddice perché aveva promesso di ascoltare le istanze locali in occasione del dibattito sulla Tav in Val di Susa e si è rimangiato tutto a Vicenza sulla base americana. "Anche dal punto di vista educativo: come faremo ad insegnare ai nostri studenti la pace adesso con la più grande base offensiva americana in Europa?". Marino Quaresimin, ex-sindaco di Vicenza della Margherita, ci comunica il suo disappunto per la scelta dell'allargamento e dice che bisognerebbe "rivedere accordi stipulati 50 anni addietro"; oggi bisognerebbe essere "amici ma non servi" degli Stati Uniti. Fa anche notare che la base di Ederle ha dato assai poco alla città in termini di quattrini visto che tutte le attività sono all'interno della base e i soldati non hanno avuto alcun rapporto con la città. Raffaele della Cgil Veneto, Funzione pubblica, dice che "avrei avuto piacere che fosse venuto anche Epifani". Enrico Peroni, segretario della Sinistra giovanile di Vicenza, presentatosi come pericoloso fassiniano, dice che "la politica deve considerare che non si può più andare avanti con accordi vecchi di 60 anni". Piero Basso, di Rifondazione Milano, ricorda che "siamo i più filoamericani d'Europa" e che bisogna ritirarsi dall'Afghanistan. Tira fuori di tasca l'Herald Tribune che lui dice essere la fonte oggettiva, al contrario della carta straccia italiana, per conoscere il disastro della situazione afgana. Luca Robotti del Pdci di Torino fa notare che questo "è parte del popolo di Prodi", che il governo segna una discontinuità rispetto alla politica estera di Berlusconi non può fornire basi per colpire l'Iran. Nicola Lombardi della Cgil Veneta anche lui avrebbe voluto Epifani. Claudio dei comitati cittadini, ringrazia chi è venuto da fuori ad aiutare la causa. Circa 200 mila cittadini di Vicenza e di ogni parte d'Italia hanno fatto una camminata intorno al centro della città, più che arrabbiati interrogandosi sulla guerra, la politica estera, e sulle ragioni della distanza da parte delle istituzioni. E' stata una giornata splendida, immersa nell'atmosfera irreale di una città fantasma. Più che blindata, Vicenza era semplicemente assente e sospesa. Hanno fatto una lunga passeggiata padroni di una città in cui non si vedeva neanche la polizia, discreta e lontana. Quello che ha manifestato a Vicenza è il popolo pacifico della sinistra, a fianco di una parte importante della cittadinanza vicentina. Diverse le domande che circolavano. Perché il governo dopo un semplice impegno verbale del governo Berlusconi non ha avuto la forza di smarcarsi su una questione così importante? Perché, in barba ad un pacifismo dichiarato, l'Italia si offre come portaerei di missioni offensive dall'Africa al Medioriente? Perché non si è consultata la popolazione prima di costruire una base gigantesca tanto vicino al centro cittadino? Perché non sono state ridotte le spese per gli armamenti come previsto dal programma dell'Unione? Perché non rimettere in discussione la forma e contenuti di un'alleanza militare, la Nato, creata per difendersi da una minaccia comunista che oggi non esiste più? Non sono domande radicali e pericolose, semplicemente razionali. Io stesso le ho sentite formulare il giorno prima della manifestazione da Giulio Andreotti che si chiedeva perché spostare una base dalla Germania all'Italia se non c'è un impegno della Nato; e si chiedeva anche del perché, come nel caso del Kossovo, la Nato interviene in scenari che non sono previsti dagli articoli del Trattato. Andreotti aggiungeva: "ma in Italia porsi delle domande è pericoloso". Lui ne deve sapere qualcosa. Non lo nascondiamo. La manifestazione ha anche esplicitato un groviglio di contraddizioni. Sì a Vicenza c'era la sinistra, ma una sinistra a disagio per la sua duplice veste istituzionale e di piazza, e forse troppo prudente e timorosa delle reazioni di una stampa borghese che l'ha sostenuta contro Berlusconi. C'erano tanti di Rifondazione, ma senza i ministri e la figura più carismatica di quel partito che resta il presidente della Camera Bertinotti. C'erano anche molti dei Comunisti italiani ma, anche qui, senza i ministri e sottosegretari, che pur sono indipendenti. C'erano pochini dei Verdi e senza il segretario del partito Pecoraro. C'erano anche pochi con la bandiera dei DS, la Sinistra Ds senza Mussi ma con Salvi (anche se è detto che la scelta è stata piuttosto quella di partecipare nei comitati e nel sindacato che come Partito). E poi c'era il sindacato, ma solo rappresentato dalla segreteria nazionale della Fiom e della Funzione pubblica, e poi la Cgil del Veneto. Ma dov'erano gli altri due grandi sindacati confederali che sono in teoria sostengono il disarmo? C'era invece una massiccia presenza di centri sociali e di un groviglio di sigle politiche alla sinistra di Rifondazione, come Sinistra Critica che recitava slogan per il ritiro dall'Afghanistan e contro la politica della maggioranza; o il Partito comunista dei lavoratori di Ferrando. Il mondo cattolico, assai meno numeroso di quanto ci avevano abituato le grandi mobilitazioni pacifiste. Non deve sorprendere se la geografica politica e sociale di questa magnifica manifestazione sia stata così frastagliata. La ragione risiede nel fatto che per la prima volta dopo la fine dell'Unione sovietica cominciamo a ragionare nel concreto delle scelte di politica estera: un nodo che ci vorrà ancora tempo per sciogliere. Ci sono state manifestazioni oceaniche contro la guerra in Iraq, i 2 milioni di persone a Roma. Ma il mondo è più complicato di quanto a volte ce lo vuole presentare un pacifismo astratto, e governi e politici hanno a che fare con questioni che non sempre sono in bianco o nero. Il governo Prodi è infatti in Afghanistan nell'ambito di una missione dell'Onu, ma il segretario della Nato chiede un massiccio intervento armato in Primavera per schiacciare la resistenza dei Talebani. Questo mette apertamente in discussione l'articolo 11 della nostra Costituzione, nonostante il sostegno formale dell'Onu. Sempre questo governo ha investito allo stesso tempo nel progetto di cacciabombardiere europeo "Eurofighter" e nel suo progetto rivale "Joint Strike Fighter" (promosso in primo luogo dagli americani): cosa dovremmo fare sostenere un progetto, l'altro o nessuno dei due? E poi abbiamo mandato i nostri soldati in Libano per interrompere una carneficina, ma cosa faremo in caso di un nuovo conflitto fra Hezbollah e israeliani, oppure fra questi e il governo guidato da Siniora? Questa grande manifestazione è stata contraddittoria perché la politica estera per fortuna sta uscendo semplicemente dalle stanze del ministero degli Esteri e della Difesa. Il popolo della sinistra ha voglia di capire e di mutare l'indirizzo passato della politica militare, ma non sa ancora bene in quale direzione. La questione di casa succederà alla base Dal Molin resta aperta. Giorgio Cremaschi ci ha risposto che: "per il governo la manifestazione non conterà nulla, ma il clima sociale e politico nel Paese potrebbe iniziare a mutare". Difficile dire cosa accadrà della base Dal Molin, se i comitati cittadini riusciranno a sostenere nel tempo la protesta. Quel che certo è che a Vicenza c'erano i riformisti della politica estera, e cioè quelli che chiedono di poter essere ascoltati anche nelle decisioni sulla politica militare in modo che non si ripeta un altro Kosovo, che chiedono di aprire gli occhi di fronte ad un mondo che si fa multipolare e mette in discussione alleanze militari concepite per rispondere alla Guerra fredda. Non si è sentito molto parlare di Europa, ma chissà che la costruzione di una vera e propria politica estera e della difesa europea, non passi anche per un'azione capillare sui territori nazionali che metta in discussione vecchie servitù militari aprendo la questione del ruolo futuro del Continente sullo scenario mondiale.

Giuliano Garavini, 18 febbraio 2007 A Vicenza hanno sfilato coloro che chiedono di aprire gli occhi di fronte ad un mondo che si fa multipolare e mette in discussione alleanze militari concepite per rispondere alla Guerra fredda Annalaura e Giuseppe del Coordinamento delle scuole di Vicenza dicono che "i soldi dovrebbero andare alla scuola". Aggiungono che Prodi si contraddice perché aveva promesso di ascoltare le istanze locali in occasione del dibattito sulla Tav in Val di Susa e si è rimangiato tutto a Vicenza sulla base americana. "Anche dal punto di vista educativo: come faremo ad insegnare ai nostri studenti la pace adesso con la più grande base offensiva americana in Europa?". Marino Quaresimin, ex-sindaco di Vicenza della Margherita, ci comunica il suo disappunto per la scelta dell'allargamento e dice che bisognerebbe "rivedere accordi stipulati 50 anni addietro"; oggi bisognerebbe essere "amici ma non servi" degli Stati Uniti. Fa anche notare che la base di Ederle ha dato assai poco alla città in termini di quattrini visto che tutte le attività sono all'interno della base e i soldati non hanno avuto alcun rapporto con la città. Raffaele della Cgil Veneto, Funzione pubblica, dice che "avrei avuto piacere che fosse venuto anche Epifani". Enrico Peroni, segretario della Sinistra giovanile di Vicenza, presentatosi come pericoloso fassiniano, dice che "la politica deve considerare che non si può più andare avanti con accordi vecchi di 60 anni". Piero Basso, di Rifondazione Milano, ricorda che "siamo i più filoamericani d'Europa" e che bisogna ritirarsi dall'Afghanistan. Tira fuori di tasca l'Herald Tribune che lui dice essere la fonte oggettiva, al contrario della carta straccia italiana, per conoscere il disastro della situazione afgana. Luca Robotti del Pdci di Torino fa notare che questo "è parte del popolo di Prodi", che il governo segna una discontinuità rispetto alla politica estera di Berlusconi non può fornire basi per colpire l'Iran. Nicola Lombardi della Cgil Veneta anche lui avrebbe voluto Epifani. Claudio dei comitati cittadini, ringrazia chi è venuto da fuori ad aiutare la causa. Circa 200 mila cittadini di Vicenza e di ogni parte d'Italia hanno fatto una camminata intorno al centro della città, più che arrabbiati interrogandosi sulla guerra, la politica estera, e sulle ragioni della distanza da parte delle istituzioni. E' stata una giornata splendida, immersa nell'atmosfera irreale di una città fantasma. Più che blindata, Vicenza era semplicemente assente e sospesa. Hanno fatto una lunga passeggiata padroni di una città in cui non si vedeva neanche la polizia, discreta e lontana. Quello che ha manifestato a Vicenza è il popolo pacifico della sinistra, a fianco di una parte importante della cittadinanza vicentina. Diverse le domande che circolavano. Perché il governo dopo un semplice impegno verbale del governo Berlusconi non ha avuto la forza di smarcarsi su una questione così importante? Perché, in barba ad un pacifismo dichiarato, l'Italia si offre come portaerei di missioni offensive dall'Africa al Medioriente? Perché non si è consultata la popolazione prima di costruire una base gigantesca tanto vicino al centro cittadino? Perché non sono state ridotte le spese per gli armamenti come previsto dal programma dell'Unione? Perché non rimettere in discussione la forma e contenuti di un'alleanza militare, la Nato, creata per difendersi da una minaccia comunista che oggi non esiste più? Non sono domande radicali e pericolose, semplicemente razionali. Io stesso le ho sentite formulare il giorno prima della manifestazione da Giulio Andreotti che si chiedeva perché spostare una base dalla Germania all'Italia se non c'è un impegno della Nato; e si chiedeva anche del perché, come nel caso del Kossovo, la Nato interviene in scenari che non sono previsti dagli articoli del Trattato. Andreotti aggiungeva: "ma in Italia porsi delle domande è pericoloso". Lui ne deve sapere qualcosa. Non lo nascondiamo. La manifestazione ha anche esplicitato un groviglio di contraddizioni. Sì a Vicenza c'era la sinistra, ma una sinistra a disagio per la sua duplice veste istituzionale e di piazza, e forse troppo prudente e timorosa delle reazioni di una stampa borghese che l'ha sostenuta contro Berlusconi. C'erano tanti di Rifondazione, ma senza i ministri e la figura più carismatica di quel partito che resta il presidente della Camera Bertinotti. C'erano anche molti dei Comunisti italiani ma, anche qui, senza i ministri e sottosegretari, che pur sono indipendenti. C'erano pochini dei Verdi e senza il segretario del partito Pecoraro. C'erano anche pochi con la bandiera dei DS, la Sinistra Ds senza Mussi ma con Salvi (anche se è detto che la scelta è stata piuttosto quella di partecipare nei comitati e nel sindacato che come Partito). E poi c'era il sindacato, ma solo rappresentato dalla segreteria nazionale della Fiom e della Funzione pubblica, e poi la Cgil del Veneto. Ma dov'erano gli altri due grandi sindacati confederali che sono in teoria sostengono il disarmo? C'era invece una massiccia presenza di centri sociali e di un groviglio di sigle politiche alla sinistra di Rifondazione, come Sinistra Critica che recitava slogan per il ritiro dall'Afghanistan e contro la politica della maggioranza; o il Partito comunista dei lavoratori di Ferrando. Il mondo cattolico, assai meno numeroso di quanto ci avevano abituato le grandi mobilitazioni pacifiste. Non deve sorprendere se la geografica politica e sociale di questa magnifica manifestazione sia stata così frastagliata. La ragione risiede nel fatto che per la prima volta dopo la fine dell'Unione sovietica cominciamo a ragionare nel concreto delle scelte di politica estera: un nodo che ci vorrà ancora tempo per sciogliere. Ci sono state manifestazioni oceaniche contro la guerra in Iraq, i 2 milioni di persone a Roma. Ma il mondo è più complicato di quanto a volte ce lo vuole presentare un pacifismo astratto, e governi e politici hanno a che fare con questioni che non sempre sono in bianco o nero. Il governo Prodi è infatti in Afghanistan nell'ambito di una missione dell'Onu, ma il segretario della Nato chiede un massiccio intervento armato in Primavera per schiacciare la resistenza dei Talebani. Questo mette apertamente in discussione l'articolo 11 della nostra Costituzione, nonostante il sostegno formale dell'Onu. Sempre questo governo ha investito allo stesso tempo nel progetto di cacciabombardiere europeo "Eurofighter" e nel suo progetto rivale "Joint Strike Fighter" (promosso in primo luogo dagli americani): cosa dovremmo fare sostenere un progetto, l'altro o nessuno dei due? E poi abbiamo mandato i nostri soldati in Libano per interrompere una carneficina, ma cosa faremo in caso di un nuovo conflitto fra Hezbollah e israeliani, oppure fra questi e il governo guidato da Siniora? Questa grande manifestazione è stata contraddittoria perché la politica estera per fortuna sta uscendo semplicemente dalle stanze del ministero degli Esteri e della Difesa. Il popolo della sinistra ha voglia di capire e di mutare l'indirizzo passato della politica militare, ma non sa ancora bene in quale direzione. La questione di casa succederà alla base Dal Molin resta aperta. Giorgio Cremaschi ci ha risposto che: "per il governo la manifestazione non conterà nulla, ma il clima sociale e politico nel Paese potrebbe iniziare a mutare". Difficile dire cosa accadrà della base Dal Molin, se i comitati cittadini riusciranno a sostenere nel tempo la protesta. Quel che certo è che a Vicenza c'erano i riformisti della politica estera, e cioè quelli che chiedono di poter essere ascoltati anche nelle decisioni sulla politica militare in modo che non si ripeta un altro Kosovo, che chiedono di aprire gli occhi di fronte ad un mondo che si fa multipolare e mette in discussione alleanze militari concepite per rispondere alla Guerra fredda. Non si è sentito molto parlare di Europa, ma chissà che la costruzione di una vera e propria politica estera e della difesa europea, non passi anche per un'azione capillare sui territori nazionali che metta in discussione vecchie servitù militari aprendo la questione del ruolo futuro del Continentesullo scenario mondiale.

( AprileOnline.info del 19/02/2007 )


Dal Corriere Economia 19-2-2007 Gli Usa e i pop-dem. Populismo e Partito democratico. di Giulio Sapelli

 

Sommario Populismo e Partito democratico Gli Usa e i pop-dem di Giulio Sapelli Esistono dei segnali deboli e dei segnali forti in economia che giungono dalle trasformazioni in atto nella società e nelle istituzioni e che troppo spesso non udiamo. Gli Usa sono ancora destinati a segnare il ritmo dei passi sui sentieri della crescita. Ebbene, essi iniziano a essere cadenzati da un altro ritmo. Val la pena essere accorti. Sentite con me questo segnale debole. È mesi che l'American Public Gas Association, che raggruppa 950 utilities di tutti gli stati federali, alimenta una campagna contro i derivati, ossia contro quegli strumenti finanziari ormai diffusi in tutto il mondo che possono essere accortamente usati per coprire i rischi degli investimenti finanziari, collegando i rendimenti ai prezzi di alcune materie prime o di alcune monete o di qualche altro indice ancora. Lobby in azione Strumento formidabile di mobilitazione della liquidità e del valore sono ora in disgrazia per l'uso spregiudicato che in tutto il mondo se ne è fatto, abusando della credulità di compratori poco esperti grazie alla spregiudicatezza di venditori incentivati non eticamente. Ebbene, l'associazione sopra ricordata, che controlla anche le risorse elettorali di migliaia di uomini politici in gran maggioranza democratici - pochi sono i repubblicani - accusa codesti derivati di essere la causa principale, grazie alle speculazioni che essi favoriscono, dell'aumento dei prezzi del gas, aumento che si scarica dalle borse alle pipeline di distribuzione, giù già sino ai consumatori passando anche per le municipalità che posseggono molte di queste imprese. E questa campagna non è un segnale di razionalità e di comprensione di quali siano state le trasformazioni della globalizzazione: è un cedimento a un vecchio luogo comune del populismo anticapitalista. Ecco ora un segnale forte, molto più forte. Si tratta dei programmi sulla cui base sono stati eletti gran parte dei nuovi esponenti democratici che siedono sugli scranni del Congresso. Sappiamo tutti che la sconfitta di Bush è stata determinata sì dalla sua incapacità di vincere la guerra, ma anche e soprattutto dall'ondata di scandali e di corruzione che si è resa visibile tanto sui mercati finanziari quanto nel sistema di lobbies del Congresso medesimo, e contro la quale si è proceduto con leggi e provvedimenti che non possiamo discutere qui. Rimane la sostanza. I neo eletti democratici, che riflettono la reazione spontanea dinanzi a questi fenomeni, o ltre che alla guerra e alla paura della competizione, sono un amalgama di credenze religiose e di posizioni conservatrici - in merito al possesso delle armi per esempio - che si saldano con quelle, corposissime e potenti, di ostilità nei confronti del libero commercio. Ciò rivela una ennesima trasformazione del Partito Democratico americano. Il prevalere di una mescolanza tra la storica ala sinistra, sempre poco simpatetica con il big business, pro labor e quindi contro il libero commercio e una nuova tendenza neo conservatrice che scaturisce dalla reazione alla corruzione e dall'irruzione sulla scena politica dei temi religiosi. De l resto, le spinte in questo senso promanano dal seno stesso della società. Basta guardare agli andamenti occupazionali: i posti di lavoro negli Usa crescono nell'edilizia residenziale, nell'educazione, nelle professioni di servizio domestico, nella finanza, mentre diminuiscono radicalmente nella manifattura, sia nella old, sia nella new economy. Tutto diverso era il panorama quando vinsero i centristi di Clinton, che diedero un formidabile impulso alla globalizzazione con l'apertura del commercio mondiale attraverso il Wto e non tramite i trattati bilaterali. Emerse una profonda inversione di tendenza, che fu alla base della crescita mondiale dell'economia, unitamente alle innovazioni tecnologiche. Robber barons Bush sul libero commercio è stato indeciso e ondivago e ha assecondato le spinte isolazioniste, ma non ha abbandonato nettamente la via intrapresa da Clinton. Ha adottato un ritmo più lento del passo. Ora i neo eletti democratici, che dominano il Congresso, cambiamo addirittura il ritmo e minacciano di favorire un protezionismo molto accentuato che mette in mora addirittura alcuni trattati bilaterali in corso. Se a queste posizioni aggiungiamo quelle che gli stessi eletti rendono manifeste in merito ai temi del welfare state, vediamo stagliarsi il profilo di una sorta di neo populismo che ricorda molto quello di fine Ottocento, con le sue polemiche contro i robbers barons e gli attacchi alla plutocrazia. Se così fosse, soprattutto in merito ai temi relativi al commercio mondiale, i rischi per la crescita e per la mondializzazione della società potrebbero essere molto negativi e segnare un vero e proprio cambiamento su scala planetaria.

Esistono dei segnali deboli e dei segnali forti in economia che giungono dalle trasformazioni in atto nella società e nelle istituzioni e che troppo spesso non udiamo. Gli Usa sono ancora destinati a segnare il ritmo dei passi sui sentieri della crescita. Ebbene, essi iniziano a essere cadenzati da un altro ritmo. Val la pena essere accorti. Sentite con me questo segnale debole. È mesi che l'American Public Gas Association, che raggruppa 950 utilities di tutti gli stati federali, alimenta una campagna contro i derivati, ossia contro quegli strumenti finanziari ormai diffusi in tutto il mondo che possono essere accortamente usati per coprire i rischi degli investimenti finanziari, collegando i rendimenti ai prezzi di alcune materie prime o di alcune monete o di qualche altro indice ancora. Lobby in azione Strumento formidabile di mobilitazione della liquidità e del valore sono ora in disgrazia per l'uso spregiudicato che in tutto il mondo se ne è fatto, abusando della credulità di compratori poco esperti grazie alla spregiudicatezza di venditori incentivati non eticamente. Ebbene, l'associazione sopra ricordata, che controlla anche le risorse elettorali di migliaia di uomini politici in gran maggioranza democratici - pochi sono i repubblicani - accusa codesti derivati di essere la causa principale, grazie alle speculazioni che essi favoriscono, dell'aumento dei prezzi del gas, aumento che si scarica dalle borse alle pipeline di distribuzione, giù già sino ai consumatori passando anche per le municipalità che posseggono molte di queste imprese. E questa campagna non è un segnale di razionalità e di comprensione di quali siano state le trasformazioni della globalizzazione: è un cedimento a un vecchio luogo comune del populismo anticapitalista. Ecco ora un segnale forte, molto più forte. Si tratta dei programmi sulla cui base sono stati eletti gran parte dei nuovi esponenti democratici che siedono sugli scranni del Congresso. Sappiamo tutti che la sconfitta di Bush è stata determinata sì dalla sua incapacità di vincere la guerra, ma anche e soprattutto dall'ondata di scandali e di corruzione che si è resa visibile tanto sui mercati finanziari quanto nel sistema di lobbies del Congresso medesimo, e contro la quale si è proceduto con leggi e provvedimenti che non possiamo discutere qui. Rimane la sostanza. I neo eletti democratici, che riflettono la reazione spontanea dinanzi a questi fenomeni, o ltre che alla guerra e alla paura della competizione, sono un amalgama di credenze religiose e di posizioni conservatrici - in merito al possesso delle armi per esempio - che si saldano con quelle, corposissime e potenti, di ostilità nei confronti del libero commercio. Ciò rivela una ennesima trasformazione del Partito Democratico americano. Il prevalere di una mescolanza tra la storica ala sinistra, sempre poco simpatetica con il big business, pro labor e quindi contro il libero commercio e una nuova tendenza neo conservatrice che scaturisce dalla reazione alla corruzione e dall'irruzione sulla scena politica dei temi religiosi. De l resto, le spinte in questo senso promanano dal seno stesso della società. Basta guardare agli andamenti occupazionali: i posti di lavoro negli Usa crescono nell'edilizia residenziale, nell'educazione, nelle professioni di servizio domestico, nella finanza, mentre diminuiscono radicalmente nella manifattura, sia nella old, sia nella new economy. Tutto diverso era il panorama quando vinsero i centristi di Clinton, che diedero un formidabile impulso alla globalizzazione con l'apertura del commercio mondiale attraverso il Wto e non tramite i trattati bilaterali. Emerse una profonda inversione di tendenza, che fu alla base della crescita mondiale dell'economia, unitamente alle innovazioni tecnologiche. Robber barons Bush sul libero commercio è stato indeciso e ondivago e ha assecondato le spinte isolazioniste, ma non ha abbandonato nettamente la via intrapresa da Clinton. Ha adottato un ritmo più lento del passo. Ora i neo eletti democratici, che dominano il Congresso, cambiamo addirittura il ritmo e minacciano di favorire un protezionismo molto accentuato che mette in mora addirittura alcuni trattati bilaterali in corso. Se a queste posizioni aggiungiamo quelle che gli stessi eletti rendono manifeste in merito ai temi del welfare state, vediamo stagliarsi il profilo di una sorta di neo populismo che ricorda molto quello di fine Ottocento, con le sue polemiche contro i robbers barons e gli attacchi alla plutocrazia. Se così fosse, soprattutto in merito ai temi relativi al commercio mondiale, i rischi per la crescita e per la mondializzazione della società potrebbero essere molto negativi e segnare un vero e proprio cambiamento su scala planetaria.

( Corriere Economia del 19/02/2007 )


Da Italia Oggi SETTE 19-2-2007Agcm, conti correnti sotto accusa

 

ItaliaOggi Sette     ItaliaOggi Sette  - liberalizzazioni allo sportello Numero 042, pag. 10 del 19/2/2007 Autore: di Gabriele Frontoni Visualizza la pagina in PDF       L'indagine conoscitiva dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato nel settore bancario. Agcm, conti correnti sotto accusa Nel mirino qualità dell'informazione e costi di uscita Qualità dell'informazione, costi di uscita, politiche di tying. Ecco i nomi dei responsabili degli ostacoli alla scelta ottimale e alla mobilità della clientela per i titolari di un conto corrente bancario in Italia. Sono queste le conclusioni dell'indagine condotta dall'Antitrust che ha fatto le pulci al sistema del credito italiano attraverso un lavoro di indagine durato più di un anno che ha coinvolto 72 istituti di credito che coprono circa il 68% degli sportelli bancari in Italia. Secondo l'Authority guidata da Antonio Catricalà, il costo medio di gestione di un conto corrente nel Belpaese si aggira sui 182 euro all'anno, che possono arrivare a toccare punte di ben 252 euro. E questo a fronte dei 223 registrati come limite massimo da CapGemini in Germania, dei 108 della Spagna, 99 della Francia, 63 del Belgio, 64 del Regno Unito e 34 dell'Olanda. Secondo l'Antitrust, tuttavia, il problema del 'caro-conti' italiano non starebbe tanto nella mancanza di concorrenza tra le banche, quanto, appunto, nella scarsa quantità e qualità dell'informazione disponibile sia nella fase di prima scelta dell'istituto bancario sia in quella eventuale di cambiamento, nell'esistenza di vincoli al trasferimento (switching costs) derivanti da costi monetari e non di uscita, e nella presenza di offerte che legano conto corrente e altri servizi (pratiche di tying), rendendo estremamente oneroso per il consumatore, se non impossibile, effettuare una scelta razionale imperniata unicamente sulle caratteristiche di qualità e prezzo. Entrando nello specifico, l'Authority ha individuato due differenti tipologie di conto corrente praticato dalle banche: quelli a consumo e quelli a canone. I primi sono caratterizzati da un gruppo di spese fisse (ossia non legate alla movimentazione del conto corrente e addebitate periodicamente anche nel caso di conto inutilizzato) oltre a un gruppo di spese 'variabili', cioè connesse alla movimentazione del conto. I conti a canone sono invece tutti quei conti che presentano una spesa fissa annua (canone), la quale, a seconda della struttura, può comprendere o escludere diverse voci di spesa. Il caso più frequente è quello dei conti 'a operazioni illimitate', per i quali il canone ricomprende un numero illimitato di spese di scrittura, mentre risultano escluse le commissioni sulle singole operazioni di movimentazione del conto come bonifici e assegni. 'I conti a canone stanno diventando un elemento sempre più centrale nella strategia commerciale delle banche in quanto è l'unica categoria di conti in crescita sul periodo analizzato', si legge nel rapporto. 'La propensione delle banche a collocare i conti a canone può trovare una spiegazione nel più alto livello di spesa che essi comportano per il correntista e quindi nei maggiori ricavi ottenibili per le banche rispetto ai conti a consumo'. Esiste poi un problema di mobilità della clientela legato ai costi di chiusura di alcuni servizi bancari o finanziari, come per esempio il conto corrente, il conto titoli e il mutuo. Secondo l'Antitrust, le spese di chiusura del c/c possono arrivare fino a 150 euro e quelle di trasferimento titoli a 80 euro a codice titolo. 'A seguito dell'entrata in vigore della legge 4 agosto 2006 n. 248 (legge di conversione del cosiddetto decreto Bersani), alcune banche, ma non tutte, hanno azzerato le spese di chiusura di alcuni servizi', avvertono dall'Authority. Oltre ai costi monetari di uscita dal c/c o dai servizi a esso collegati, un ulteriore ostacolo alla mobilità dei consumatori è rappresentato da una tempistica piuttosto lunga e incerta che comporta il cambiamento della banca per il cliente-correntista. Quello della chiusura del conto corrente non rappresenta l'unico ostacolo alla mobilità della clientela. Esistono anche i vincoli connessi alla presenza di legami tra più servizi di natura bancaria o finanziaria. 'In caso di chiusura del conto corrente, tutte le banche richiedono la cessazione del servizio di domiciliazione automatica delle utenze, la restituzione della carta Bancomat e della carta di credito. Tutto ciò può essere fonte di numerose difficoltà per il correntista, disincentivandolo a cambiare banca. A questo si aggiunga che il 63,6% delle banche non consente il mantenimento del risparmio amministrato presso la banca, più del 18% non permette di mantenere il mutuo (che deve essere rimborsato pagando una penale), il 21% i prestiti personali e più del 4% la polizza vita. E questo crea il cosiddetto 'effetto legami tra prodotti' che si traduce in un forte incremento dei costi di uscita.

ItaliaOggi Sette     ItaliaOggi Sette  - liberalizzazioni allo sportello Numero 042, pag. 10 del 19/2/2007 Autore: di Gabriele Frontoni Visualizza la pagina in PDF       L'indagine conoscitiva dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato nel settore bancario. Agcm, conti correnti sotto accusa Nel mirino qualità dell'informazione e costi di uscita Qualità dell'informazione, costi di uscita, politiche di tying. Ecco i nomi dei responsabili degli ostacoli alla scelta ottimale e alla mobilità della clientela per i titolari di un conto corrente bancario in Italia. Sono queste le conclusioni dell'indagine condotta dall'Antitrust che ha fatto le pulci al sistema del credito italiano attraverso un lavoro di indagine durato più di un anno che ha coinvolto 72 istituti di credito che coprono circa il 68% degli sportelli bancari in Italia. Secondo l'Authority guidata da Antonio Catricalà, il costo medio di gestione di un conto corrente nel Belpaese si aggira sui 182 euro all'anno, che possono arrivare a toccare punte di ben 252 euro. E questo a fronte dei 223 registrati come limite massimo da CapGemini in Germania, dei 108 della Spagna, 99 della Francia, 63 del Belgio, 64 del Regno Unito e 34 dell'Olanda. Secondo l'Antitrust, tuttavia, il problema del 'caro-conti' italiano non starebbe tanto nella mancanza di concorrenza tra le banche, quanto, appunto, nella scarsa quantità e qualità dell'informazione disponibile sia nella fase di prima scelta dell'istituto bancario sia in quella eventuale di cambiamento, nell'esistenza di vincoli al trasferimento (switching costs) derivanti da costi monetari e non di uscita, e nella presenza di offerte che legano conto corrente e altri servizi (pratiche di tying), rendendo estremamente oneroso per il consumatore, se non impossibile, effettuare una scelta razionale imperniata unicamente sulle caratteristiche di qualità e prezzo. Entrando nello specifico, l'Authority ha individuato due differenti tipologie di conto corrente praticato dalle banche: quelli a consumo e quelli a canone. I primi sono caratterizzati da un gruppo di spese fisse (ossia non legate alla movimentazione del conto corrente e addebitate periodicamente anche nel caso di conto inutilizzato) oltre a un gruppo di spese 'variabili', cioè connesse alla movimentazione del conto. I conti a canone sono invece tutti quei conti che presentano una spesa fissa annua (canone), la quale, a seconda della struttura, può comprendere o escludere diverse voci di spesa. Il caso più frequente è quello dei conti 'a operazioni illimitate', per i quali il canone ricomprende un numero illimitato di spese di scrittura, mentre risultano escluse le commissioni sulle singole operazioni di movimentazione del conto come bonifici e assegni. 'I conti a canone stanno diventando un elemento sempre più centrale nella strategia commerciale delle banche in quanto è l'unica categoria di conti in crescita sul periodo analizzato', si legge nel rapporto. 'La propensione delle banche a collocare i conti a canone può trovare una spiegazione nel più alto livello di spesa che essi comportano per il correntista e quindi nei maggiori ricavi ottenibili per le banche rispetto ai conti a consumo'. Esiste poi un problema di mobilità della clientela legato ai costi di chiusura di alcuni servizi bancari o finanziari, come per esempio il conto corrente, il conto titoli e il mutuo. Secondo l'Antitrust, le spese di chiusura del c/c possono arrivare fino a 150 euro e quelle di trasferimento titoli a 80 euro a codice titolo. 'A seguito dell'entrata in vigore della legge 4 agosto 2006 n. 248 (legge di conversione del cosiddetto decreto Bersani), alcune banche, ma non tutte, hanno azzerato le spese di chiusura di alcuni servizi', avvertono dall'Authority. Oltre ai costi monetari di uscita dal c/c o dai servizi a esso collegati, un ulteriore ostacolo alla mobilità dei consumatori è rappresentato da una tempistica piuttosto lunga e incerta che comporta il cambiamento della banca per il cliente-correntista. Quello della chiusura del conto corrente non rappresenta l'unico ostacolo alla mobilità della clientela. Esistono anche i vincoli connessi alla presenza di legami tra più servizi di natura bancaria o finanziaria. 'In caso di chiusura del conto corrente, tutte le banche richiedono la cessazione del servizio di domiciliazione automatica delle utenze, la restituzione della carta Bancomat e della carta di credito. Tutto ciò può essere fonte di numerose difficoltà per il correntista, disincentivandolo a cambiare banca. A questo si aggiunga che il 63,6% delle banche non consente il mantenimento del risparmio amministrato presso la banca, più del 18% non permette di mantenere il mutuo (che deve essere rimborsato pagando una penale), il 21% i prestiti personali e più del 4% la polizza vita. E questo crea il cosiddetto 'effetto legami tra prodotti' che si traduce in un forte incremento dei costi di uscita.


INDICE  18-2-2007

Da La Repubblica 18-2-2007 Asteroide killer. Un trattore spaziale dovrebbe scongiurare la possibile collisione del 2036. Franco Foresta Martin  1

Da Il Sole 24 Ore 18-2-2007   A Vicenza un lungo corteo pacifico, con gli stessi pacifisti americani in corteo applauditi dai no global. 2

Da Virgilio notizie 18-2-2007 Vicenza: gia' in corso in base lavori per accogliere paracadutisti 4

Da Il Piccolo di Trieste 18-2-2007  La politica tradita. Di Paolo Segatti. 5

 

 

 


Dal Corriere della Sera 18-2-2007. Asteroide killer. Un trattore spaziale dovrebbe scongiurare la possibile collisione del 2036. Franco Foresta Martin

Astronauti Nasa a capo di progetto di difesa della Terra da impatti cosmici

Chiesto l'intervento dell'Onu

                   

SAN FRANCISCO - La minaccia di Apophis, l'asteroide che potrebbe colpire la Terra il 13 aprile 2036, sta diventando così concreta che le Nazioni Unite saranno invitate ad assumere il coordinamento di una missione spaziale internazionale basata sul progetto innovativo di un «trattore gravitazionale» per deviare il corpo ed evitare il possibile impatto con il nostro pianeta. L’annuncio del coinvolgimento della massima rappresentanza dei governi mondiali nel caso Apophis è stato dato dall’astrofisico Russel Schweickart, capo di un gruppo di ex astronauti della Nasa ora impegnati a tempo pieno nei programmi di monitoraggio degli oggetti cosmici e difesa dai rischi di collisione con la Terra.

APOPHIS - «La settimana prossima ci sarà un incontro con il Comitato per gli usi pacifici dello Spazio delle Nazioni Unite, a cui presenteremo un rapporto aggiornato sugli asteroidi che costituiscono una minaccia potenziale per il nostro pianeta – ha riferito Schweickart ai membri dell’American Association for the Advancement of Science di San Francisco –. Parleremo di Apophis, ma non solo. Abbiamo bisogno di mettere a punto dei piani per difenderci nel migliore dei modi dalle centinaia, se non migliaia, di piccoli corpi celesti le cui orbite si avvicinano pericolosamente al nostro pianeta. Per quanto basse, le probabilità di impatto con uno di questi corpi non sono nulle. In caso di collisione, tutti i Paesi del mondo, nessuno escluso, sono a rischio».

PATATA ORBITANTE - Scoperto nel 2004, Apophis è un piccolo asteroide a forma di patata, con un asse maggiore di circa 400 metri e un peso di 46 miliardi di chili. La sua caratteristica più preoccupante è che, mentre compie un giro completo attorno al Sole ogni 323 giorni, incrocia l’orbita della Terra due volte l’anno, esponendoci a una serie di «incontri ravvicinati» che, a causa della potente forza di attrazione terrestre, prima o poi potrebbero farlo precipitare su di noi. Per l’incontro del 13 aprile 2036 le probabilità di caduta sono attualmente molto basse, circa una su 45 mila, ma poiché l’orbita di Apophis è conosciuta con una certa approssimazione, gli scienziati non possono esprimere certezze.

IMPATTO - Di sicuro si sa che, se l
’impatto si verificasse, sarebbe catastrofico e solleverebbe polveri e gas fino alla stratosfera, oscurando per lungo tempo la luce del Sole e decimando la vita sulla Terra, come già è accaduto altre volte nella storia geologica. Oltre a un rafforzamento della rete internazionale di monitoraggio degli asteroidi, Schweickart e collaboratori chiederanno alle Nazioni Unite il supporto per progettare e realizzare una missione di salvataggio assolutamente innovativa rispetto a quelle finora prese in considerazione, come l’esplosione di un ordigno nucleare accanto all’asteroide, col proposito di allontanarlo per effetto dell’onda d’urto, oppure l’impianto di un motore a razzo sulla sua superficie per portarlo lontano dalla Terra. Entrambe le soluzioni si potrebbero rivelare catastrofiche, hanno spiegato a San Francisco Schweckart e il suo collega Ed Lu.

TRATTORE GRAVITAZIONALE - Infatti, dalle ultime ricerche, è emerso che gli asteroidi possono essere formati da materiale incoerente, facile a disgregarsi in tanti piccoli frammenti. La bomba o il motore potrebbero trasformarli in uno sciame che, invece di un singolo colpo, esporrebbe la Terra a una micidiale grandinata di proiettili spaziali. Il progetto del «trattore gravitazionale», sviluppato principalmente da Ed Lu e descritto nei particolari in una articolo sulla rivista «Nature», consiste in una grande astronave teleguidata che si dovrebbe avvicinare ad Apophis senza toccarlo, in modo da legarsi ad esso con l’invisibile filo della forza gravitazionale. Quindi l’astronave azionerebbe esili ma efficaci getti propulsori che trascinerebbero gentilmente l’asteroide lontano dalla Terra, in una posizione definitivamente sicura. «La durata della missione di salvataggio sarebbe di circa 12 giorni – ha precisato Ed Lu –, il suo costo complessivo di circa 300 milioni di dollari».

18 febbraio 2007


Da Il Sole 24 Ore 18-2-2007   A Vicenza un lungo corteo pacifico, con gli stessi pacifisti americani in corteo applauditi dai no global.

 

 

A Vicenza un lungo corteo pacifico. I complimenti di Amato ai manifestanti e alla polizia È stato un evento pacifico e di massa, con gli stessi pacifisti americani in corteo applauditi dai no global, il vecchio e vagamente minaccioso "Yankee Go Home"trasformato dal dialetto veneto in un innocuo e scherzoso "Yankee Go in mona". Intorno alle 18,30 con una canzone di Dario Fo ironicamente dedicata dal premio nobel al vescovo di Vicenza favorevole all'allargamento della base Usa, si è conclusa la manifestazione contro la concessione agli Stati Uniti dell'aeroporto Dal Molin. Alla vigilia della manifestazione di Vicenza, erano in molti - e non solo nelle fila dell'opposizione - a temere che le proteste contro l'ampliamento della base Usa potessero sfociare in disordini e violenze. Un timore in questo senso, infatti, era stato espresso mercoledì scorso, nell'aula della Camera, sia dal ministro dell'Interno, Giuliano Amato, che dal vice premier e ministro per i Beni Culturali, Francesco Rutelli. Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, a poche ore dalla partenza dei cortei, aveva auspicato dai microfoni di 'Radio24' che la manifestazione "sia pacifica, serena e senza violenze" chiedendo ai partecipanti "di giudicare il governo per quello che fa" e "per quello che ha fatto per la pace e che ci é riconosciuto da tutti". Appello indubbiamente accolto dai 120 mila (fonti organizzatori) od 80 mila (polizia) manifestanti che hanno invaso pacificamente Vicenza ed hanno saputo isolare i soliti e pochi che hanno provato ad innescare incidenti (un petardo contro la Questura) ed a solidarizzare con i brigatisti arrestati. Il governo può dunque tirare un respiro di sollievo perché anche questa prova é stata superata. Il ministro dell'Interno, Giuliano Amato, ha espresso grande soddisfazione per lo svolgimento pacifico e senza incidenti del corteo di Vicenza. "Il ministro - dice un comunicato - ha rivolto i suoi complimenti alle forze dell'ordine per l'intelligente e discreta vigilanza operata in queste ore e in questi giorni. E si é felicitato con tutti coloro che hanno sfilato pacificamente contribuendo a sventare il rischio di infiltrazioni e contaminazioni". "Penso che un governo debba tener conto di tante cose, di una manifestazione ma anche dell'opinione di tanti che a quella manifestazione non c'erano oppure come gli impegni internazionali che un Paese ha contratto" ha commentato il segretario dei Ds Piero Fassino. "La disfida di Vicenza, tutta interna alla sinistra, ha visto prevalere ancora una volta il movimentismo estremista che si riconosce in Bertinotti, che non esita a sfilare con chi inneggia alle Brigate Rosse e che da oggi condizionerá sempre più pesantemente l'azione del governo in senso massimalista e antiamericano" ha invece commentato il coordinatore nazionale di Forza Italia, Sandro Bondi. 16.20 "Sono molto triste perché mentre voi giovani siete lì a Napoli a discutere dei temi della libertà, migliaia di manifestanti stanno sfilando a Vicenza contro gli Stati Uniti". Queste le parole del leader dell'opposizione Silvio Berlusconi, pronunciate in collegamento telefonico nel corso di un convegno di giovani di Forza Italia a Napoli, per commentare la manifestazione in corso oggi a Vicenza, contro l'ampliamento della base statunitense. 15.45 La testa del corteo é arrivata al termine del percorso raggiungendo Campo Marzo. Qui dovranno poi confluire i manifestanti che compongono i due tronconi del corteo: quello dei partiti e dei sindacati, e quello dei Centri sociali e delle associazioni, partiti da punti diversi della città. Fra poco l'inizio degli interventi e poi lo spettacolo di Dario Fo. 15.40 Balletto di cifre sulla partecipazione alla manifestazione in corso a Vicenza contro l'allargamento della base Usa. A fornire i primi numeri è stata la questura di Vicenza, che alle ore 14 parlava di circa 25mila persone in piazza, numero corretto un'ora dopo a 40mila. Secondo il comitato organizzatore della manifestazione, invece, sono state "ampiamente superate le 100mila persone". Più ottimistica la stima di Rifondazione che tramite Michele De Palma, responsabile del partito per l'organizzazione, ha indicato in 200mila le presenze. 15.10 Hanno superato il numero di quarantamila i manifestanti che in ordine e pacificamente stanno percorrendo l'anello attorno alle mura di Vicenza. Il dato è stato reso noto dalla questura. Il numero potrebbe salire ulteriormente, visto che ci sono numerosissimi manifestanti ancora fermi davanti alla stazione ferroviaria. Lì il corteo deve ancora partire, mentre quelli in testa sono ormai a due terzi del percorso. 13.50 Il corteo della manifestazione è partito con mezz'ora di anticipo sulla tabella di marcia: in testa, da viale Milano nei pressi della stazione ferroviaria della città berica, l'assemblea permanente del No Dal Molin, i comitati dei cittadini di Vicenza, a seguire i centri sociali, i sindacati ed esponenti della politica locale. Tra gli striscioni molti contro il Governo. Tra bandiere arcobaleno inneggianti alla pace e dei Verdi ci sono anche gli striscioni del Carc, Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo. Enorme il lenzuolo portato a mano dai giovani del centro sociale "Pedro" di Padova con scritto "Ribellarsi è giusto". Presente anche il Movimento antagonista toscano e i Collettivi universitari. 13.18 Il Governo è consapevole del peso rilevante che ha messo sulle spalle dei vicentini con la presenza militare statunitense". Lo ha detto il ministro della Difesa Arturo Parisi, al termine della cerimonia di giuramento del 121mo Corso allievi Carabinieri. Parisi ha sottolineato che il Governo ha fatto scelte che portano a sintesi problematiche che "hanno alla base esclusivamente gli interessi del Paese". Il ministro ha spiegato che il Governo riconosce assolutamente legittime le rappresentazioni dei problemi posti dalla presenza della base statunitense. "Oggi a Vicenza manifestano persone a nome della città e altre persone per problematiche che non possono essere condivise. Non ci riconosciamo in una mancanza di consapevolezza degli impegni presi dal nostro Paese". 12.52 Da mezzogiorno il centro di Vicenza è interdetto al traffico automobilistico, gruppi di manifestanti si avvicinano a piedi al luogo del concentramento nei pressi della stazione. Ci si prepara a manifestare contro il raddoppio della caserma Ederle. I pullman dei manifestanti, che si stanno avvicinando alla città, vengono fermati e controllati ai caselli autostradali. Sono moltissimi quelli che si stanno avvicinando a Vicenza. Uno dei pullman è stato notato dalle forze dell'ordine perché esponeva il cartello "Gita terroristica". All'alt delle forze dell'ordine la comitiva ha provveduto immediatamente a far sparire il cartello. 12.47 "Come fa Prodi a dire che il dissenso della sinistra radicale, presente con i suoi leader a Vicenza chepartecipano con enfasi alla manifestazione contro la base Usa, non rompe la solidarietà di Governo? Se lo afferma è perché conta sul fatto che la sinistra radicale voglia mantenere il potere ad ogni costo". Così il presidente dei senatori di AlleanzaNazionale Altero Matteoli, commenta le dichiarazioni rilasciate a Radio24 dal presidente del Consiglio Prodi. 12.43 "Questa di oggi a Vicenza non è una manifestazione contro il Governo. Ci mancherebbe che il Governo sia a rischio per questa manifestazione perché, altrimenti, saremmo in una strana democrazia". Lo ha detto il senatore dei Ds Cesare Salvi che è arrivato poco fa a Vicenza."Questa è una manifestazione - dice Salvi per chiedere al governo di rivedere una decisione presa in maniera affrettata e precipitosa. È una protesta di popolo". Il senatore Ds si è detto, inoltre, convinto che sarà una manifestazione pacifica e tranquilla. 12.42 "La strategia scelta dal governo è quella di incutere paura". Luca Casarini, leader deidisobbedienti, ha rimarcato che il clima di tensione che si è venuto a creare intorno alla manifestazione contro la base americana di Vicenza, che partirà tra un paio d'ore qui aVicenza, è stato voluto dal Governo. "Èun allarme preparato dai ministri che serve a incutere paura per non far partecipare la gente". Casarini ha escluso che ci possano essere incidenti durante la manifestazione. 12.38 "Sarà un'enorme passeggiata. Enorme e serena, a meno che non ci sia la volontà di creare il polverone, chiaramente organizzato". Lo sottolinea il premio Nobel per la letteratura Dario Fo, poco prima dell'inizio del corteo di Vicenza. Fo ha fatto un parallelo tra Vicenza e Genova sostenendo che tutto sarà sereno, a meno che non accada "quanto avvenuto con i black block che passavano tranquillamente tra i cordoni di polizia e poi entravano dentro, dove c'era la gente normale, proprio per avere il pretesto per creare il polverone, chiaramente organizzato". Ore 12 "Io sto al mio posto e ritengo che le persone che stanno al governo, finchè ritengono di interpretare quel ruolo, non possono poi andare per strada a manifestare contro se stessi. Avrei qualche problema, il che non significa che io non condivida i temi della manifestazione". Lo ha detto il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, impegnato a Forlì in una cerimonia per il 25/o anno di attività dell'Enav, parlando della manifestazione di Vicenza. "Non ci sono segnali particolari di violenza anche se certo non può mancare qualche provocazione singola - sottolinea Bianchi - io mi auguro di no e se tutto rimane così sarà una imponente manifestazione di dissenso di cui da domani bisognerà tenere conto". Ore 10.55 "Mi auguro che quella di Vicenza sarà una manifestazione pacifica. Ci sarà probabilmente tanta gente, e credo che si debba fare di tutto perchè questa manifestazione si svolga in modo sereno, pacato". Lo ha detto il segretario dei Ds, Piero Fassino, a margine della Conferenza programmatica del suo partito a Matera. Fassino ha auspicato che a Vicenza "non ci sia nessuno che voglia inquinare la manifestazione. Se qualcuno tentasse, che sia immediatamente isolato". Ore 10,30 Dai microfoni di Radio 24 appello del presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi ai manifestanti che si stanno raccogliendo a Vicenza per protestare contro l'ampliamento della Base Usa. "Le manifestazioni sono il sale della democrazia - dice il premier - ma devono essere pacifiche, serene e senza violenza". Nel corso della trasmissione "Una poltrona per due", rispondendo a una domanda sulla presenza di segretari politici come Oliviero Diliberto alla manifestazione di Vicenza, Prodi ha precisato che "La libertà di manifestazione politica c'è, quello che ho detto è non ci devono essere membri del Governo". Il premier ha sottolineato che era scontato "che alcuni partiti abbiamo un'opinione diversa dalla mia sulla base americana: non mi fa piacere, ma non rompe la solidarietà di Governo". Ore 9.30 Giornata di sole a Vicenza, dove sono già arrivati i manifestanti per partecipare al corteo contro l'allargamento della base Usa all'aeroporto Dal Molin: arrivati con i treni speciali, hanno lasciato la stazione, da dove partirà alle 14:30 la manifestazione, e si sono diretti nel centro cittadino. Già schierato il dispositivo di sicurezza: gli elicotteri della polizia sono in volo e lungo il percorso del corteo hanno preso posto i poliziotti e i carabinieri. Il primo appuntamento della giornata è previsto per le ore 10, quando dal presidio fisso nei pressi dell'aeroporto Dal Molin partirà un primo corteo che confluirà poi in quello principale alla stazione. Ore 8.00 Iniziano ad arrivare, a Vicenza, i partecipanti alla manifestazione di oggi pomeriggio contro l'amplimento della base Usa. Alle 7:55 il treno charter, partito da Roma all'una di questa notte, è arrivato a destinazione con oltre un migliaio di aderenti al Movimento romano. La citta è blindata, con la presenza di oltre 1.300 poliziotti, cui si aggiungono 2000 tra vigili urbani, medici e addetti di supporto per garantire un corretto svolgimento della manifestazione. Nel cielo di Vicenza, dove per oggi è stato vietato il sorvolo, cinque elicotteri seguiranno tutte le fasi della giornata. Le più importanti SCADENZE del 2007 sul CELLULARE! AGENDA al 48224.

I complimenti di Amato ai manifestanti e alla polizia È stato un evento pacifico e di massa, con gli stessi pacifisti americani in corteo applauditi dai no global, il vecchio e vagamente minaccioso "Yankee Go Home"trasformato dal dialetto veneto in un innocuo e scherzoso "Yankee Go in mona". Intorno alle 18,30 con una canzone di Dario Fo ironicamente dedicata dal premio nobel al vescovo di Vicenza favorevole all'allargamento della base Usa, si è conclusa la manifestazione contro la concessione agli Stati Uniti dell'aeroporto Dal Molin. Alla vigilia della manifestazione di Vicenza, erano in molti - e non solo nelle fila dell'opposizione - a temere che le proteste contro l'ampliamento della base Usa potessero sfociare in disordini e violenze. Un timore in questo senso, infatti, era stato espresso mercoledì scorso, nell'aula della Camera, sia dal ministro dell'Interno, Giuliano Amato, che dal vice premier e ministro per i Beni Culturali, Francesco Rutelli. Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, a poche ore dalla partenza dei cortei, aveva auspicato dai microfoni di 'Radio24' che la manifestazione "sia pacifica, serena e senza violenze" chiedendo ai partecipanti "di giudicare il governo per quello che fa" e "per quello che ha fatto per la pace e che ci é riconosciuto da tutti". Appello indubbiamente accolto dai 120 mila (fonti organizzatori) od 80 mila (polizia) manifestanti che hanno invaso pacificamente Vicenza ed hanno saputo isolare i soliti e pochi che hanno provato ad innescare incidenti (un petardo contro la Questura) ed a solidarizzare con i brigatisti arrestati. Il governo può dunque tirare un respiro di sollievo perché anche questa prova é stata superata. Il ministro dell'Interno, Giuliano Amato, ha espresso grande soddisfazione per lo svolgimento pacifico e senza incidenti del corteo di Vicenza. "Il ministro - dice un comunicato - ha rivolto i suoi complimenti alle forze dell'ordine per l'intelligente e discreta vigilanza operata in queste ore e in questi giorni. E si é felicitato con tutti coloro che hanno sfilato pacificamente contribuendo a sventare il rischio di infiltrazioni e contaminazioni". "Penso che un governo debba tener conto di tante cose, di una manifestazione ma anche dell'opinione di tanti che a quella manifestazione non c'erano oppure come gli impegni internazionali che un Paese ha contratto" ha commentato il segretario dei Ds Piero Fassino. "La disfida di Vicenza, tutta interna alla sinistra, ha visto prevalere ancora una volta il movimentismo estremista che si riconosce in Bertinotti, che non esita a sfilare con chi inneggia alle Brigate Rosse e che da oggi condizionerá sempre più pesantemente l'azione del governo in senso massimalista e antiamericano" ha invece commentato il coordinatore nazionale di Forza Italia, Sandro Bondi. 16.20 "Sono molto triste perché mentre voi giovani siete lì a Napoli a discutere dei temi della libertà, migliaia di manifestanti stanno sfilando a Vicenza contro gli Stati Uniti". Queste le parole del leader dell'opposizione Silvio Berlusconi, pronunciate in collegamento telefonico nel corso di un convegno di giovani di Forza Italia a Napoli, per commentare la manifestazione in corso oggi a Vicenza, contro l'ampliamento della base statunitense. 15.45 La testa del corteo é arrivata al termine del percorso raggiungendo Campo Marzo. Qui dovranno poi confluire i manifestanti che compongono i due tronconi del corteo: quello dei partiti e dei sindacati, e quello dei Centri sociali e delle associazioni, partiti da punti diversi della città. Fra poco l'inizio degli interventi e poi lo spettacolo di Dario Fo. 15.40 Balletto di cifre sulla partecipazione alla manifestazione in corso a Vicenza contro l'allargamento della base Usa. A fornire i primi numeri è stata la questura di Vicenza, che alle ore 14 parlava di circa 25mila persone in piazza, numero corretto un'ora dopo a 40mila. Secondo il comitato organizzatore della manifestazione, invece, sono state "ampiamente superate le 100mila persone". Più ottimistica la stima di Rifondazione che tramite Michele De Palma, responsabile del partito per l'organizzazione, ha indicato in 200mila le presenze. 15.10 Hanno superato il numero di quarantamila i manifestanti che in ordine e pacificamente stanno percorrendo l'anello attorno alle mura di Vicenza. Il dato è stato reso noto dalla questura. Il numero potrebbe salire ulteriormente, visto che ci sono numerosissimi manifestanti ancora fermi davanti alla stazione ferroviaria. Lì il corteo deve ancora partire, mentre quelli in testa sono ormai a due terzi del percorso. 13.50 Il corteo della manifestazione è partito con mezz'ora di anticipo sulla tabella di marcia: in testa, da viale Milano nei pressi della stazione ferroviaria della città berica, l'assemblea permanente del No Dal Molin, i comitati dei cittadini di Vicenza, a seguire i centri sociali, i sindacati ed esponenti della politica locale. Tra gli striscioni molti contro il Governo. Tra bandiere arcobaleno inneggianti alla pace e dei Verdi ci sono anche gli striscioni del Carc, Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo. Enorme il lenzuolo portato a mano dai giovani del centro sociale "Pedro" di Padova con scritto "Ribellarsi è giusto". Presente anche il Movimento antagonista toscano e i Collettivi universitari. 13.18 Il Governo è consapevole del peso rilevante che ha messo sulle spalle dei vicentini con la presenza militare statunitense". Lo ha detto il ministro della Difesa Arturo Parisi, al termine della cerimonia di giuramento del 121mo Corso allievi Carabinieri. Parisi ha sottolineato che il Governo ha fatto scelte che portano a sintesi problematiche che "hanno alla base esclusivamente gli interessi del Paese". Il ministro ha spiegato che il Governo riconosce assolutamente legittime le rappresentazioni dei problemi posti dalla presenza della base statunitense. "Oggi a Vicenza manifestano persone a nome della città e altre persone per problematiche che non possono essere condivise. Non ci riconosciamo in una mancanza di consapevolezza degli impegni presi dal nostro Paese". 12.52 Da mezzogiorno il centro di Vicenza è interdetto al traffico automobilistico, gruppi di manifestanti si avvicinano a piedi al luogo del concentramento nei pressi della stazione. Ci si prepara a manifestare contro il raddoppio della caserma Ederle. I pullman dei manifestanti, che si stanno avvicinando alla città, vengono fermati e controllati ai caselli autostradali. Sono moltissimi quelli che si stanno avvicinando a Vicenza. Uno dei pullman è stato notato dalle forze dell'ordine perché esponeva il cartello "Gita terroristica". All'alt delle forze dell'ordine la comitiva ha provveduto immediatamente a far sparire il cartello. 12.47 "Come fa Prodi a dire che il dissenso della sinistra radicale, presente con i suoi leader a Vicenza chepartecipano con enfasi alla manifestazione contro la base Usa, non rompe la solidarietà di Governo? Se lo afferma è perché conta sul fatto che la sinistra radicale voglia mantenere il potere ad ogni costo". Così il presidente dei senatori di AlleanzaNazionale Altero Matteoli, commenta le dichiarazioni rilasciate a Radio24 dal presidente del Consiglio Prodi. 12.43 "Questa di oggi a Vicenza non è una manifestazione contro il Governo. Ci mancherebbe che il Governo sia a rischio per questa manifestazione perché, altrimenti, saremmo in una strana democrazia". Lo ha detto il senatore dei Ds Cesare Salvi che è arrivato poco fa a Vicenza."Questa è una manifestazione - dice Salvi per chiedere al governo di rivedere una decisione presa in maniera affrettata e precipitosa. È una protesta di popolo". Il senatore Ds si è detto, inoltre, convinto che sarà una manifestazione pacifica e tranquilla. 12.42 "La strategia scelta dal governo è quella di incutere paura". Luca Casarini, leader deidisobbedienti, ha rimarcato che il clima di tensione che si è venuto a creare intorno alla manifestazione contro la base americana di Vicenza, che partirà tra un paio d'ore qui aVicenza, è stato voluto dal Governo. "Èun allarme preparato dai ministri che serve a incutere paura per non far partecipare la gente". Casarini ha escluso che ci possano essere incidenti durante la manifestazione. 12.38 "Sarà un'enorme passeggiata. Enorme e serena, a meno che non ci sia la volontà di creare il polverone, chiaramente organizzato". Lo sottolinea il premio Nobel per la letteratura Dario Fo, poco prima dell'inizio del corteo di Vicenza. Fo ha fatto un parallelo tra Vicenza e Genova sostenendo che tutto sarà sereno, a meno che non accada "quanto avvenuto con i black block che passavano tranquillamente tra i cordoni di polizia e poi entravano dentro, dove c'era la gente normale, proprio per avere il pretesto per creare il polverone, chiaramente organizzato". Ore 12 "Io sto al mio posto e ritengo che le persone che stanno al governo, finchè ritengono di interpretare quel ruolo, non possono poi andare per strada a manifestare contro se stessi. Avrei qualche problema, il che non significa che io non condivida i temi della manifestazione". Lo ha detto il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, impegnato a Forlì in una cerimonia per il 25/o anno di attività dell'Enav, parlando della manifestazione di Vicenza. "Non ci sono segnali particolari di violenza anche se certo non può mancare qualche provocazione singola - sottolinea Bianchi - io mi auguro di no e se tutto rimane così sarà una imponente manifestazione di dissenso di cui da domani bisognerà tenere conto". Ore 10.55 "Mi auguro che quella di Vicenza sarà una manifestazione pacifica. Ci sarà probabilmente tanta gente, e credo che si debba fare di tutto perchè questa manifestazione si svolga in modo sereno, pacato". Lo ha detto il segretario dei Ds, Piero Fassino, a margine della Conferenza programmatica del suo partito a Matera. Fassino ha auspicato che a Vicenza "non ci sia nessuno che voglia inquinare la manifestazione. Se qualcuno tentasse, che sia immediatamente isolato". Ore 10,30 Dai microfoni di Radio 24 appello del presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi ai manifestanti che si stanno raccogliendo a Vicenza per protestare contro l'ampliamento della Base Usa. "Le manifestazioni sono il sale della democrazia - dice il premier - ma devono essere pacifiche, serene e senza violenza". Nel corso della trasmissione "Una poltrona per due", rispondendo a una domanda sulla presenza di segretari politici come Oliviero Diliberto alla manifestazione di Vicenza, Prodi ha precisato che "La libertà di manifestazione politica c'è, quello che ho detto è non ci devono essere membri del Governo". Il premier ha sottolineato che era scontato "che alcuni partiti abbiamo un'opinione diversa dalla mia sulla base americana: non mi fa piacere, ma non rompe la solidarietà di Governo". Ore 9.30 Giornata di sole a Vicenza, dove sono già arrivati i manifestanti per partecipare al corteo contro l'allargamento della base Usa all'aeroporto Dal Molin: arrivati con i treni speciali, hanno lasciato la stazione, da dove partirà alle 14:30 la manifestazione, e si sono diretti nel centro cittadino. Già schierato il dispositivo di sicurezza: gli elicotteri della polizia sono in volo e lungo il percorso del corteo hanno preso posto i poliziotti e i carabinieri. Il primo appuntamento della giornata è previsto per le ore 10, quando dal presidio fisso nei pressi dell'aeroporto Dal Molin partirà un primo corteo che confluirà poi in quello principale alla stazione. Ore 8.00 Iniziano ad arrivare, a Vicenza, i partecipanti alla manifestazione di oggi pomeriggio contro l'amplimento della base Usa. Alle 7:55 il treno charter, partito da Roma all'una di questa notte, è arrivato a destinazione con oltre un migliaio di aderenti al Movimento romano. La citta è blindata, con la presenza di oltre 1.300 poliziotti, cui si aggiungono 2000 tra vigili urbani, medici e addetti di supporto per garantire un corretto svolgimento della manifestazione. Nel cielo di Vicenza, dove per oggi è stato vietato il sorvolo, cinque elicotteri seguiranno tutte le fasi della giornata. Le più importanti


 

Da Virgilio notizie 18-2-2007 Vicenza: gia' in corso in base lavori per accogliere paracadutisti

 

 

17-02-2007 13:11 Articoli a tema | Tutte le news di Politica (ASCA) - Vicenza, 17 feb - Il progetto al centro della manifestazione di contestazione di oggi prevede la costruzione di un nuovo villaggio per la 173ma brigata aviotrasportata lungo le piste dell'aeroporto dal Molin, alla periferia di Vicenza, ma a soli due chilometri dal centro di Vicenza. Gli appalti ed i primi contratti con le imprese dovranno essere definiti entro il mese di settembre, come ha fatto sapere il console generale a Milano Deborah Graze. Ma per accogliere i paracadutisti provenienti anche dalle basi tedesche di Bamberg e Schweinfurt sono gia' in corso lavori di manutenzione straordinaria nei 5 siti americani gia' operativi a Vicenza, in particolare all'Hausing, vicino al casello autostradale di Vicenza Est, dove si stanno costruendo infermeria, centro benessere ed altri servizi. 'Lavori in corso' anche a Longare, sotto la montagna. 'Pluto': cosi' si chiamava la riservatissima postazione statunitense, dove, ai tempi della 'guerra fredda', venivano custodite armi convenzionali e no, forse anche pezzi di testata nucleare. La montagna e' tutta una galleria. Dopo anni di inutilizzazione, operai sono all'opera per ricostruire le reti essenziali dei servizi. Il Sento americano ha gia' stanziato una prima tranche di 160 milioni di dollari, gran parte dei quali verranno impegnati nel nuovo sito al 'Dal Molin', che si sviluppa su 450-480 mila metri quadrati, in un terreno agricolo parallelo alle piste. Si tratta di un rettangolo lungo un chilometro e mezzo e largo 300 metri. Di 600 mila mc la cubatura. Che comprendera' uffici amministrativi e palazzine a schiera di 4 o 5 piani con 1800 appartamenti, parcheggi per 1600 posti e impianti sportivi. I militari, oggi 1900, saliranno a 5 mila e la popolazione americana, che conta oggi 10 mila unita', aumentera' di un terzo, fino a 15 mila. In questi giorni il Graze ha assicurato che ci sara' concertazione, suivari aspetti dell'insediamento, con le autorita' italiane, nazionali e locali molte decisioni. Gia' oggi l'amministrazione americana spende a Vicenza 175 milioni di euro l'anno; questi si moltiplicheranno fino a 600 milioni - secondo le previsioni confermate dal console - quando la base sara' a pieno regime. Per quanto riguarda l'organico italiano, e' prevedibile che andra' oltre il migliaio di addetti; oggi i dipendenti civili italiani sono 750.

17-02-2007 13:11 Articoli a tema | Tutte le news di Politica (ASCA) - Vicenza, 17 feb - Il progetto al centro della manifestazione di contestazione di oggi prevede la costruzione di un nuovo villaggio per la 173ma brigata aviotrasportata lungo le piste dell'aeroporto dal Molin, alla periferia di Vicenza, ma a soli due chilometri dal centro di Vicenza. Gli appalti ed i primi contratti con le imprese dovranno essere definiti entro il mese di settembre, come ha fatto sapere il console generale a Milano Deborah Graze. Ma per accogliere i paracadutisti provenienti anche dalle basi tedesche di Bamberg e Schweinfurt sono gia' in corso lavori di manutenzione straordinaria nei 5 siti americani gia' operativi a Vicenza, in particolare all'Hausing, vicino al casello autostradale di Vicenza Est, dove si stanno costruendo infermeria, centro benessere ed altri servizi. 'Lavori in corso' anche a Longare, sotto la montagna. 'Pluto': cosi' si chiamava la riservatissima postazione statunitense, dove, ai tempi della 'guerra fredda', venivano custodite armi convenzionali e no, forse anche pezzi di testata nucleare. La montagna e' tutta una galleria. Dopo anni di inutilizzazione, operai sono all'opera per ricostruire le reti essenziali dei servizi. Il Sento americano ha gia' stanziato una prima tranche di 160 milioni di dollari, gran parte dei quali verranno impegnati nel nuovo sito al 'Dal Molin', che si sviluppa su 450-480 mila metri quadrati, in un terreno agricolo parallelo alle piste. Si tratta di un rettangolo lungo un chilometro e mezzo e largo 300 metri. Di 600 mila mc la cubatura. Che comprendera' uffici amministrativi e palazzine a schiera di 4 o 5 piani con 1800 appartamenti, parcheggi per 1600 posti e impianti sportivi. I militari, oggi 1900, saliranno a 5 mila e la popolazione americana, che conta oggi 10 mila unita', aumentera' di un terzo, fino a 15 mila. In questi giorni il Graze ha assicurato che ci sara' concertazione, suivari aspetti dell'insediamento, con le autorita' italiane, nazionali e locali molte decisioni. Gia' oggi l'amministrazione americana spende a Vicenza 175 milioni di euro l'anno; questi si moltiplicheranno fino a 600 milioni - secondo le previsioni confermate dal console - quando la base sara' a pieno regime. Per quanto riguarda l'organico italiano, e' prevedibile che andra' oltre il migliaio di addetti; oggi i dipendenti civili italiani sono 750.

 


Da Il Piccolo di Trieste 18-2-2007  La politica tradita. Di Paolo Segatti.

Attualit&agrave La politica tradita DALLA PRIMA PAGINA Per di più in modo affrettato e senza una visione di ricambio. Una classe politica non può fare questo perché equivarrebbe al suo suicidio politico. Allora cosa è andato in scena a Vicenza? Nonostante le apparenze non una manifestazione per chiedere un cambio di rotta al governo perché nessun governo può accogliere questo tipo di richieste. Eppure è molto probabile che così l'abbiano intesa le migliaia di cittadini che a Vicenza sono scesi in piazza. Cattolici per la pace. Comuni cittadini. Elettori di centrodestra e movimenti noglobal. Il primo dato di riflessione è proprio questo, l'enorme divario tra il significato che a questa manifestazione attribuiscono le migliaia di partecipanti e le sue conseguenze sulla decisione politica finale. Questa non cambierà. Invece per i partecipanti la base non va fatta. A loro non interessano le beghe spicciole della politica. Semplicemente si aspettano che il governo, il loro governo, accolga le loro richieste e venga incontro ai valori che stanno dietro a quella domanda. Democrazia è anche questo. Ma è anche senso di responsabilità, tener conto di ragioni che si vorrebbe forse non accettare, ma che sarebbe costoso per tutti respingere. Invece a Vicenza sono scesi in piazza politici che dicono che la base non va fatta comunque in nome dei valori della pace. Altri, uomini di governo e delle istituzioni, sono rimasti a Roma e hanno dichiarato che a Vicenza vorrebbero essere andati per chiedere un ripensamento del governo di cui fanno parte. Ma per rispetto alle istituzioni dicono che non ci sono andati. Gli uni e gli altri appartengono alla specie di politici per i quali l'unica ragione della politica è l'affermazione dei propri valori. Per costoro solo a causa di ragioni contingenti, lo stare al governo per esempio, talvolta può capitare che l'azione politica non possa rispondere, come dovrebbe, ai valori. Così chi a Vicenza ci va e chi a Vicenza non ci va, ma vorrebbe andarci, sembra dirci che le decisioni politiche debbano uniformarsi ai valori. Se non si uniformano, non sono decisioni politiche serie. Sono un tradimento dei propri valori. Il guaio è che la decisione politica spesso non è in grado di tradurre in azione i valori che professa chi la prende. Vi sono ragioni di opportunità che condizionano la decisione politica. Vi sono ragioni che restringono drasticamente il margine delle decisioni politiche. Ragioni di cui si deve tener conto, anche se cozzano contro i nostri valori. Ma per i politici della sinistra radicale tutto ciò ha poca importanza. Essi sanno bene che il governo non può cambiare idea sulla base. A loro interessa un'altra cosa. Devono esserci nella manifestazione perché in eventi di questo tipo vi vedono un rito religioso. Nelle funzioni religiose non si arriva di solito ad una decisione né si esprime una domanda di azione. L'importante è condividere un'identità. Il che ci porta a due interrogativi. Se la politica viene intesa come il braccio secolare di identità valoriali, non si allarga sempre più il fossato tra ciò che la politica è di fatto e ciò che viene detto dovrebbe essere? Forse il disgusto che la quasi totalità degli italiani prova per la politica nasce anche dal fatto che spesso i politici si mostrano mossi da irrinunciabili convinzioni senza che queste condizionino più che tanto la loro azione. Del resto sarebbe un guaio se ciò accadesse. Ma è una guaio anche il fatto che i politici non si assumano la responsabilità pubblica di aver agito talvolta non seguendo i propri valori. Invece spesso i nostri politici fanno quello che fanno, dicono, perché altri li hanno costretti ad agire contro le proprie convinzioni. Sono peccatori che accusano del proprio peccato gli altri o le circostanze. Ma se la coscienza impone loro di agire in un certo modo, e non ci riescono, ci sono sempre le dimissioni. Ne guadagnerebbe la moralità pubblica. Seconda domanda. Se chi agisce in politica si comporta a parole come un prete perché meravigliarci che ci sia qualche prete vero che pretenda di vincolare al rispetto dei suoi valori le decisioni politiche dei politici che condividono quei valori? Paolo Segatti.

 

 

Attualit&agrave La politica tradita DALLA PRIMA PAGINA Per di più in modo affrettato e senza una visione di ricambio. Una classe politica non può fare questo perché equivarrebbe al suo suicidio politico. Allora cosa è andato in scena a Vicenza? Nonostante le apparenze non una manifestazione per chiedere un cambio di rotta al governo perché nessun governo può accogliere questo tipo di richieste. Eppure è molto probabile che così l'abbiano intesa le migliaia di cittadini che a Vicenza sono scesi in piazza. Cattolici per la pace. Comuni cittadini. Elettori di centrodestra e movimenti noglobal. Il primo dato di riflessione è proprio questo, l'enorme divario tra il significato che a questa manifestazione attribuiscono le migliaia di partecipanti e le sue conseguenze sulla decisione politica finale. Questa non cambierà. Invece per i partecipanti la base non va fatta. A loro non interessano le beghe spicciole della politica. Semplicemente si aspettano che il governo, il loro governo, accolga le loro richieste e venga incontro ai valori che stanno dietro a quella domanda. Democrazia è anche questo. Ma è anche senso di responsabilità, tener conto di ragioni che si vorrebbe forse non accettare, ma che sarebbe costoso per tutti respingere. Invece a Vicenza sono scesi in piazza politici che dicono che la base non va fatta comunque in nome dei valori della pace. Altri, uomini di governo e delle istituzioni, sono rimasti a Roma e hanno dichiarato che a Vicenza vorrebbero essere andati per chiedere un ripensamento del governo di cui fanno parte. Ma per rispetto alle istituzioni dicono che non ci sono andati. Gli uni e gli altri appartengono alla specie di politici per i quali l'unica ragione della politica è l'affermazione dei propri valori. Per costoro solo a causa di ragioni contingenti, lo stare al governo per esempio, talvolta può capitare che l'azione politica non possa rispondere, come dovrebbe, ai valori. Così chi a Vicenza ci va e chi a Vicenza non ci va, ma vorrebbe andarci, sembra dirci che le decisioni politiche debbano uniformarsi ai valori. Se non si uniformano, non sono decisioni politiche serie. Sono un tradimento dei propri valori. Il guaio è che la decisione politica spesso non è in grado di tradurre in azione i valori che professa chi la prende. Vi sono ragioni di opportunità che condizionano la decisione politica. Vi sono ragioni che restringono drasticamente il margine delle decisioni politiche. Ragioni di cui si deve tener conto, anche se cozzano contro i nostri valori. Ma per i politici della sinistra radicale tutto ciò ha poca importanza. Essi sanno bene che il governo non può cambiare idea sulla base. A loro interessa un'altra cosa. Devono esserci nella manifestazione perché in eventi di questo tipo vi vedono un rito religioso. Nelle funzioni religiose non si arriva di solito ad una decisione né si esprime una domanda di azione. L'importante è condividere un'identità. Il che ci porta a due interrogativi. Se la politica viene intesa come il braccio secolare di identità valoriali, non si allarga sempre più il fossato tra ciò che la politica è di fatto e ciò che viene detto dovrebbe essere? Forse il disgusto che la quasi totalità degli italiani prova per la politica nasce anche dal fatto che spesso i politici si mostrano mossi da irrinunciabili convinzioni senza che queste condizionino più che tanto la loro azione. Del resto sarebbe un guaio se ciò accadesse. Ma è una guaio anche il fatto che i politici non si assumano la responsabilità pubblica di aver agito talvolta non seguendo i propri valori. Invece spesso i nostri politici fanno quello che fanno, dicono, perché altri li hanno costretti ad agire contro le proprie convinzioni. Sono peccatori che accusano del proprio peccato gli altri o le circostanze. Ma se la coscienza impone loro di agire in un certo modo, e non ci riescono, ci sono sempre le dimissioni. Ne guadagnerebbe la moralità pubblica. Seconda domanda. Se chi agisce in politica si comporta a parole come un prete perché meravigliarci che ci sia qualche prete vero che pretenda di vincolare al rispetto dei suoi valori le decisioni politiche dei politici che condividono quei valori?

 

 


INDICE 17-2-2007

 

++ Da La Repubblica 17-2-2007 Il presidente croato dopo le incomprensioni nate con il discorso di Napoletano.  Mesic fa marcia indietro sulle foibe Chiuso l'incidente diplomatico con la Croazia  2

+ Da La Repubblica 17-2-2007 Nuovo appello del Papa per la famiglia "Cede sotto la pressione delle lobby" 2. "Basta con la leggenda 'nera' sui missionari" 2

+ Dal Sole 24 Ore 17-2-2007    Perché è in gioco l'equilibrio di governo delle due sinistre. Di Stefano Folli 3

Da Il Secolo XIX 17-2-2007  Unioni di fatto, il governo incontra il Vaticano. Di  Michele Lombardi 4

Da L’Unità 17-2-2007  La Chiesa ha diritto di parola. Ma non torni al non expedit 5

Da Il Tempo.it 16-2-2007  «Caro Presidente Cossiga, si ricordi di Moro» Il leader dei Cristiano Sociali Mimmo Lucà risponde alla lettera dell’ex capo dello Stato pubblicata da Il Tempo  6

Da AgenParl 16-2-2007 IL FULMINE VATICANO COLPISCE ROSY BINDI 7

Da Il Cittadino 17-2-2007 Tutti i lodigiani indagati dalla Procura di Milano per la scalata all'Antonveneta  8

Da La Nazione 17-2-2007  FIRENZE - GLI ENTI PUBBLICI della Toscana sono troppo spendaccioni 16

Da La Repubblica 16-2-2007  Ecco il nuovo contratto delle colf "Non più badanti ma assistenti familiari" 17

Laudina Zonca (Federcolf): "Ci auguriamo che la parola sparisca da carte d'identità, permessi di soggiorno e dichiarazioni Inps" 17

 


++ Da La Repubblica 17-2-2007 Il presidente croato dopo le incomprensioni nate con il discorso di Napoletano.  Mesic fa marcia indietro sulle foibe Chiuso l'incidente diplomatico con la Croazia

Soddisfazione della Farnesina: "L'Italia appoggerà l'integrazione nell'Unione Europea"

 

ZAGABRIA - L'incidente diplomatico scoppiato dopo il discorso del presidente Napolitano sulle foibe, sembra essere definitavamente chiuso. Il presidente croato Stipe Mesic ha diffuso un comunicato nel quale fa marcia indietro rispetto alla dura critica pronunciata pochi giorni fa, e precisa: "Nelle parole del presidente Giorgio Napolitano non c'era alcun riferimento polemico alla Croazia. I rapporti tra i due paesi restano amichevoli". La Farnesina si dice soddisfatta e porge la mano allo Stato vicino con parole di amicizia. Nella nota diffusa dal ministero degli Esteri è scritto che in futuro "l'Italia non farà mancare il suo appoggio all'integrazione della Croazia nell'Unione Europea".
Le parole di Napolitano. Sei giorni di bufera poi ritorna la bonaccia tra Italia e Croazia. Erano state le parole pronunciate al Quirinale da Giorgio Napolitano ad accendere le polveri. Nel "giorno del ricordo", il presidente aveva pronunciato un'autocritica politica, senza indulgenze, sulla tragedia delle foibe, il massacro organizzato dai seguici di Tito nel dopoguerra in Venezia Giulia. Un "dramma negato per ideologia", un "orrore dell'umanità" che la "cecità politica" ha trasformato in "odio sanguinario" contro il poppolo giuliano-dalmata. Migliaia di desasparecidos gettati ancora vivi nei profondi crepacci carsici dette foibe.
Mesic inviperito: "E' razzismo". "Un moto di odio e furia sanguinaria che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947 e che assunse i sinistri contoni di una pulizia etnica". Parole che hanno inviperito il presidente serbo Mesic capace di recapitare al Quirinale una dichiarazione di fuoco: "Nelle parole di Napolitano è impossibile non intravedere elementi di aperto razzismo, revisionismo erevanscismo politico". Secondo Mesic, Napolitano avrebbe messo in discussione il Trattato del '47, "fatto potenzialmente molto pericoloso".
Marcia indietro.
Oggi però le cose si sono chiarite. Dopo l'incontro tra il ministro degli esteri Massimo D'Alema e l'ambasciatore croato Tomislav Vidosevic, il presidente Mesic sventola la bandiera della pace e diffonde un comunicato in cui riconosce che nelle parole di Napolitano "non vi era alcuna intenzione di mettere in questione il Trattato di pace del 1947 e gli Accordi di Osimo e di Roma, e nemmeno contenevano ispirazioni revansciste e storico-revisionistiche". I chiarimenti dati dal ministero D'Alema "sono stati accolti con comprensione - dal presidente croato - ed hanno contribuito a superare le incomprensioni". Quindi, conclude Mesic, "è stata confermata la base per la costruzione di rapporti amichevoli nell'interesse dei buoni rapporti tra i due paesi".
Farnesina soddisfatta. Soddisfazione per la precisazione del presidente croato è stata espressa dalla Farnesina. "Nelle parole del presidente Napolitano - si ribadisce in una nota del ministero degli Esteri - non vi era alcun riferimento polemico nei confronti della Croazia, nè tantomeno una ispirazione revanscista o storico-revisionista. Il presidente Napolitano - spiega il ministero degli Esteri - ha accolto favorevolmente le espressioni del presidente Mesic. Da parte sua l'Italia non farà mancare il suo appoggio, come per il passato, al tragitto di integrazione della Croazia nell'Unione Europea". Pace è fatta.
(17 febbraio 2007)


+ Da La Repubblica 17-2-2007 Nuovo appello del Papa per la famiglia "Cede sotto la pressione delle lobby"

Nel discorso ai nunzi apostolici dei paesi dell'America Latina Benedetto XVI
ha ribadito che merita tutela solo "l'unione stabile e fedele tra un uomo e una donna"

"Basta con la leggenda 'nera' sui missionari"

CITTA' DEL VATICANO - Benedetto XVI torna a chiedere una maggiore tutela della famiglia. "La famiglia mostra segni di cedimento sotto la pressione di lobby che hanno la capacità di incidere sui processi legislativi", ha detto il Papa parlando ai nunzi apostolici dei paesi dell'America Latina.
"La famiglia - ha continuato - merita la nostra attenzione prioritaria: essa può nascere solo dal matrimonio, che è l'unione stabile e fedele tra un uomo e una donna". Secondo il Papa, però, "non spetta agli ecclesiastici capeggiare aggregazioni politiche ma ai laici cristianamente maturi".
"Divorzi e unioni libere - ha rilevato il Papa - sono in aumento mentre l'adulterio è guardato con ingiustificabile tolleranza. Occorre ribadire che matrimonio e famiglia hanno il loro fondamento nel nucleo più intimo della verità sull'uomo e sul suo destino. Solo sulla roccia dell'amore coniugale, fedele e stabile si può edificare una comunità degna dell'essere umano".
Papa Ratzinger, inoltre, ha parlato di quella che ha definito la "leggenda nera" degli abusi che sarebbero stati compiuti da missionari nell'opera di evangelizzazione dell'America Latina. Davanti ai nunzi apostolici, Benedetto XVI ha denunciato un uso strumentale delle ricostruzioni storiche che porta a conclusioni, per lui, del tutto erronee. "Ambienti culturali - ha spiegato - affermano che c'è contrasto tra le cultura precolombiane e la fede cristiana, presentata come alienazione per il popolo che ha accolto il Vangelo. Al contrario l'incontro tra queste culture e la fede in Gesù Cristo fu una risposta ulteriormente aspettata dalle cultura preesistenti".

(17 febbraio 2007)  


+ Dal Sole 24 Ore 17-2-2007    Perché è in gioco l'equilibrio di governo delle due sinistre. Di Stefano Folli

Non si può dire che il centro-sinistra arrivi al giorno di Vicenza in buone condizioni di salute.Il fatto che la coalizione sia così lacerata non su un problema di coscienza, ma sul cardine della politica estera (il rapporto con gli Stati Uniti), lascia sconcertati. Oggi la base americana,domani la missione in Afghanistan: nei fatti non esiste una maggioranza autonoma sui temi di politica internazionale, con grande soddisfazione di Silvio Berlusconi.
Come uscirne, quale nuova «sintesi» individuare per far da collante all'alleanza, è ancora tutto da scoprire. Ma nel frattempo l'attualità preme.E in primo luogo interessa capire come andranno oggi le cose a Vicenza. Perché è vero che la manifestazione si è caricata di significati politici sempre più pesanti. È diventata la prova del fuoco per proseguire l'intesa di governo fra le due sinistre, quella moderata-riformista e quella radical-massimalista.
Finora le due sinistre hanno convissuto più o meno decentemente. Ma oggi è come se una parte dell'alleanza, quella appunto moderata e centrista (e si pensa a certi ambienti della Margherita), non reggesse più il rapporto con Rifondazione, Verdi e Comunisti italiani. Il caso Vicenza è poco più che un pretesto per un malessere già diffuso e crescente. Ma è un ottimo pretesto: perché investe proprio il nocciolo della politica estera.
Quindi chi vuole difendere la logica e la sopravvivenza dell'equilibrio di governo ha una sola via:battersi con ogni mezzo perché il corteo sia pacifico e tollerante. Lasciamo stare le contraddizioni politiche, che sono gravi. Non capita certo tutti i giorni vedere un pezzo della maggioranza in piazza a protestare contro scelte che dovrebbero essere collegiali e condivise. La questione è al limite del grottesco e offre efficaci argomenti alla propaganda del centrodestra.
Ma il punto adesso riguarda il carattere non violento della manifestazione.L'appello di Fausto Bertinotti serve a questo e rivela la grande preoccupazione che attanaglia in queste ore l'area della sinistra radicale. Si fa presto a ironizzare sulle ambiguità che anche le parole del presidente della Camera non nascondono,anzi esaltano («Vorrei essere a Vicenza, ma non posso a causa della mia carica istituzionale»). Tuttavia va pur detto che tale ambiguità è un elemento secondario, sia pure importante, rispetto all'esigenza di evitare che la situazione in piazzas fugga di mano. Vicenza non può diventare una seconda Genova.
Ci sarà tempo poi, una volta superato l'ostacolo, per riflettere sugli assetti di governo. Ad esempio, non c'è dubbio che la "convivenza concorrenziale"fra le due sinistre, a lungo enunciata dallo stesso Bertinotti, comincia a mostrare lacorda. C'è un pezzo della maggioranza che non tollera più la sinistraradicale, giudicando che essa ha accumulato un'eccesso di influenza sulle scelte di governo.
Vero, esagerato? È difficile dire. Quel che è certo, esistono ragioni interne e internazionali per non consentire che questa influenza si estenda al campo della politica estera.E in ogni caso è arduo immaginare che il disagio della maggioranza, provocato dall'instabilità permanente delle due sinistre,possa durare ancora a lungo,finendo per condizionare il resto della legislatura. Peraltro i numeri non lo permettono, quanto meno al Senato.Spetta dunque a Romano Prodi prendere un'iniziativa ed esercitare una leadership più incisiva fra le diverse anime della sua coalizione.


Da Il Secolo XIX 17-2-2007  Unioni di fatto, il governo incontra il Vaticano. Di  Michele Lombardi

Vertice con il cardinale bertone Napolitano firma il ddl, ma sono ancora distanti le posizioni fra i vescovi e l'esecutivo. Berlusconi: "Attacco alla famiglia" 17/02/2007 Roma. Stato e Chiesa si guarderanno per la prima volta negli occhi, dopo la bufera che si è scatenata sui Dico. Proprio ieri il presidente Napolitano ha firmato il ddl, demandando al governo il compito di decidere in quale dei due rami del parlamento inviare il provvedimento. Lunedì Romano Prodi andrà in Vaticano, accompagnato dai vice premier Massimo D'Alema e Francesco Rutelli. Ad accogliere i vertici del governo ci sarà una delegazione vaticana al massimo livello guidata dal cardinale di Stato Tarcisio Bertone. E fra i porporati è scontata la presenza di Camillo Ruini. L'occasione per un chiarimento ravvicinato è offerta dalla tradizionale celebrazione dei Patti Lateranensi e del nuovo Concordato, che si svolgeranno presso l'ambasciata italiana in Vaticano. Un incontro importante ma che si potrebbe definire di rito se nel frattempo non fosse scoppiata la buriana sui Dico, con il mondo cattolico spaccato, la legge del governo a rischio di bocciatura al Senato e Ruini pronto a emettere una nota vincolante per i cattolici, parlamentari in testa. Dopo l'assalto della prima ora, fra i vescovi si nota qualche incrinatura. Il vescovo di Pisa Alessandro Plotti ha invitato Ruini alla prudenza: "Mi auguro che la nota non la faccia la presidenza ma venga discussa fra tutti", ha detto, raccogliendo il plauso di chi nella maggioranza non intende subire un diktat della Chiesa. "Le parole pacate di monsignor Plotti pongono le premesse per un dialogo proficuo", osserva il dl Franco Monaco, un prodiano di ferro. Ma non tutti i vescovi la pensano come Plotti. E anzi la Sir, l'agenzia di informazione dei vescovi, torna a picchiare duro sulle legge del governo, ospitando un intervento del vescovo di Palermo, Paolo Romeo, che definisce come "fondamentale e inderogabile dovere" della Chiesa quello di "opporsi a tutte le iniziative legislative che pretendono di svuotare il matrimonio e la famiglia". Due istituti, che la Chiesa è pronta difendere "contro ogni possibile prevaricazione". Del resto, anche l'Osservatore Romano l'altro giorno non ha usato giri di parole: "La Chiesa ha il dovere di parlare", ha scritto il giornale del Vaticano di fronte all'appello degli intellettuali cattolici preoccupati per le incursioni dei vescovi. Non basta. Quale sarà il clima che Prodi troverà in Vaticano si potrà forse capire oggi quando il Papa farà visita la Seminario Romano Maggiore a San Giovanni in Laterano per festeggiare la Madonna della fiducia. Ci sarà Ruini che in mattinata dirà una messa. Ma il passaggio più atteso ci sarà nel pomeriggio quando Benedetto XVI risponderà alle domande dei seminaristi. E, sollecitato dai futuri sacerdoti, i fulmini del Papa si potrebbero di nuovo abbattere sui Dico. In ogni caso, lo scontro sulle unioni di fatto non resterà fuori dalla porta quando lunedì Prodi, D'Alema e Rutelli resteranno per mezz'ora a colloquio con i vertici di Oltretevere. Che, subito dopo, incontreranno il Capo dello Stato e i presidenti dei due rami del Parlamento, Marini e Bertinotti. La Farnesina annuncia: "Le conversazioni verteranno su questioni politiche generali". E quindi sarà molto difficile non parlare dei Dico. Tanto più che gli intellettuali cattolici insistono: "Il concordato è a rischio", dice Giuseppe Alberigo, studioso di cose vaticane e amico di Prodi. Una tesi condivisa dalla sinistra radicale: "I vescovi stanno eccedendo nel loro ruolo", osserva il Prc Franco Giordano. Da martedì, la commissione Giustizia del Senato si metterà al lavoro sui Dico e sugli altri testi di legge. La Cdl annuncia battaglia: "I Dico sono un pessimo compromesso, sono un manifesto ideologico contro la famiglia", tuona Silvio Berlusconi. Al Senato la maggioranza non ha i numeri per far passare i Dico: prevalgono i no (163) rispetto ai sì (155) calcolando i voti contrari dei tre senatori dell'Udeur, degli indipendenti De Gregorio e Pallaro, di due senatori vita (Cossiga e Andreotti). Non bastano neanche i voti degli altri quattro senatori a vita, che voterebbero a favore. michele lombardi 17/02/2007.

 

 

Vertice con il cardinale bertone Napolitano firma il ddl, ma sono ancora distanti le posizioni fra i vescovi e l'esecutivo. Berlusconi: "Attacco alla famiglia" 17/02/2007 Roma. Stato e Chiesa si guarderanno per la prima volta negli occhi, dopo la bufera che si è scatenata sui Dico. Proprio ieri il presidente Napolitano ha firmato il ddl, demandando al governo il compito di decidere in quale dei due rami del parlamento inviare il provvedimento. Lunedì Romano Prodi andrà in Vaticano, accompagnato dai vice premier Massimo D'Alema e Francesco Rutelli. Ad accogliere i vertici del governo ci sarà una delegazione vaticana al massimo livello guidata dal cardinale di Stato Tarcisio Bertone. E fra i porporati è scontata la presenza di Camillo Ruini. L'occasione per un chiarimento ravvicinato è offerta dalla tradizionale celebrazione dei Patti Lateranensi e del nuovo Concordato, che si svolgeranno presso l'ambasciata italiana in Vaticano. Un incontro importante ma che si potrebbe definire di rito se nel frattempo non fosse scoppiata la buriana sui Dico, con il mondo cattolico spaccato, la legge del governo a rischio di bocciatura al Senato e Ruini pronto a emettere una nota vincolante per i cattolici, parlamentari in testa. Dopo l'assalto della prima ora, fra i vescovi si nota qualche incrinatura. Il vescovo di Pisa Alessandro Plotti ha invitato Ruini alla prudenza: "Mi auguro che la nota non la faccia la presidenza ma venga discussa fra tutti", ha detto, raccogliendo il plauso di chi nella maggioranza non intende subire un diktat della Chiesa. "Le parole pacate di monsignor Plotti pongono le premesse per un dialogo proficuo", osserva il dl Franco Monaco, un prodiano di ferro. Ma non tutti i vescovi la pensano come Plotti. E anzi la Sir, l'agenzia di informazione dei vescovi, torna a picchiare duro sulle legge del governo, ospitando un intervento del vescovo di Palermo, Paolo Romeo, che definisce come "fondamentale e inderogabile dovere" della Chiesa quello di "opporsi a tutte le iniziative legislative che pretendono di svuotare il matrimonio e la famiglia". Due istituti, che la Chiesa è pronta difendere "contro ogni possibile prevaricazione". Del resto, anche l'Osservatore Romano l'altro giorno non ha usato giri di parole: "La Chiesa ha il dovere di parlare", ha scritto il giornale del Vaticano di fronte all'appello degli intellettuali cattolici preoccupati per le incursioni dei vescovi. Non basta. Quale sarà il clima che Prodi troverà in Vaticano si potrà forse capire oggi quando il Papa farà visita la Seminario Romano Maggiore a San Giovanni in Laterano per festeggiare la Madonna della fiducia. Ci sarà Ruini che in mattinata dirà una messa. Ma il passaggio più atteso ci sarà nel pomeriggio quando Benedetto XVI risponderà alle domande dei seminaristi. E, sollecitato dai futuri sacerdoti, i fulmini del Papa si potrebbero di nuovo abbattere sui Dico. In ogni caso, lo scontro sulle unioni di fatto non resterà fuori dalla porta quando lunedì Prodi, D'Alema e Rutelli resteranno per mezz'ora a colloquio con i vertici di Oltretevere. Che, subito dopo, incontreranno il Capo dello Stato e i presidenti dei due rami del Parlamento, Marini e Bertinotti. La Farnesina annuncia: "Le conversazioni verteranno su questioni politiche generali". E quindi sarà molto difficile non parlare dei Dico. Tanto più che gli intellettuali cattolici insistono: "Il concordato è a rischio", dice Giuseppe Alberigo, studioso di cose vaticane e amico di Prodi. Una tesi condivisa dalla sinistra radicale: "I vescovi stanno eccedendo nel loro ruolo", osserva il Prc Franco Giordano. Da martedì, la commissione Giustizia del Senato si metterà al lavoro sui Dico e sugli altri testi di legge. La Cdl annuncia battaglia: "I Dico sono un pessimo compromesso, sono un manifesto ideologico contro la famiglia", tuona Silvio Berlusconi. Al Senato la maggioranza non ha i numeri per far passare i Dico: prevalgono i no (163) rispetto ai sì (155) calcolando i voti contrari dei tre senatori dell'Udeur, degli indipendenti De Gregorio e Pallaro, di due senatori vita (Cossiga e Andreotti). Non bastano neanche i voti degli altri quattro senatori a vita, che voterebbero a favore. 17/02/2007.


 

Da L’Unità 17-2-2007  La Chiesa ha diritto di parola. Ma non torni al non expedit

 

Stai consultando l'edizione del RANIERO LA VALLE Parla l'intellettuale cattolico: "L'annuncio di una Nota della Cei è una novità. Se avesse un carattere disciplinare sarebbe un salto all'indietro" "La Chiesa ha diritto di parola. Ma non torni al non expedit" di Roberto Monteforte / Roma Il sasso è stato lanciato. Giuseppe Alberigo ed altri intellettuali cattolici, con il loro appello a cui si sono aggiunte in poche ore oltre 1.800 firme, tra cui quelle di Scoppola e Zagrebelski, hanno scosso le acque del mondo cattolico. Quel invito ai vescovi perché riflettano sulle conseguenze di un richiamo vincolante sui "Di.co" ai parlamentari cattolici ha colpito. Anche se è subito scattata l'accusa di voler imbavagliare la Chiesa. Con il vostro appello volete tappare la bocca ai vescovi? "Negli ultimi anni non sono mancate delle ragioni e delle occasioni perché dei cattolici vigili e coinvolti nella vita della Chiesa avessero da dire qualcosa. Ci sono stati molti momenti di tensione e di crisi. Però non c'è mai stato un intervento come questo perché non si era mai arrivati ad un punto così grave. Mentre sinora si era trattato di esternazioni delle autorità della Chiesa questa volta invece, viene annunciato - non sappiamo se poi ci sarà - un vero e proprio suo atto autoritativo. Quindi non si è più nel campo della libertà di opinione, della formazione delle coscienze . Si tratterebbe di un vero e proprio atto di giurisdizione, che a norma del diritto canonico, comporterebbe conseguenze anche pratiche. Non era mai successo in tutte le grandi crisi del rapporto tra la Chiesa, la legislazione e i cattolici in Parlamento. Sarebbe una novità che potrebbe avere una portata sconvolgente e rappresentare un precedente molto grave. Questa preoccupazione ha spinto i cattolici firmatari l'appello a chiedere ai vescovi a valutare la portata di questa decisione". Vi preoccupa la possibile natura politica della Nota annunciata dal cardinale Ruini, che potrebbe portare ad una delegittimazione, ad una insignificanza dei cattolici impegnati in politica? "Se si stabilisce un vincolo di carattere disciplinare è evidente che l'alternativa sarebbe o l'insignificanza, cioè il semplice trasferimento nell'attività parlamentare delle indicazioni della Chiesa, cosa che va contro l'articolo 67 della Costituzione il quale afferma che ogni parlamentare esercita le sue funzioni senza alcun vincolo di mandato, compreso quello di un'autorità come la Chiesa, oppure la disobbedienza. Così il cristiano, parlamentare o non, che fosse solidale con questa legge si troverebbe nella condizione o di essere puro strumento di un dettato autoritativo, o di disubbidire alle gerarchie. È un'alternativa che lo metterebbe in una condizione di lacerazione perché nessun cristiano disubbidisce a cuor leggero, anche se ritiene questa disubbidienza necessaria per la sua coscienza". È pronunciamento in linea con l'interventismo politico di Ruini? "No, sarebbe una novità. Non si era mai verificato prima. Bisogna andare al "non expedit" con il quale ai cattolici fu imposto dalla Santa Sede con intervento autoritativo di non partecipare alla vita dello Stato liberale. Creò un conflitto devastante nella coscienza dei cristiani, nella vita dello Stato e della Chiesa: è da lì che derivano gran parte dell'ateismo e del laicismo oggi presenti in Italia". Lei ha vissuto direttamente alcuni passaggi difficili del rapporto tra cattolicesimo politico e gerarchia... "Ci sono state diverse occasioni di difficoltà. Però i vecchi conflitti, e mi riferisco al referendum sul divorzio, a quello sull'aborto e alla partecipazione di cristiani a liste "non cristiane", si sono avuti in un sistema politico non perverso come quello attuale. Quando la Chiesa prendeva le sue posizioni su divorzio o sull'aborto nessuno poteva pensare che lo facesse pensando ad un sovvertimento del governo. Con il sistema proporzionale non si poteva pensare che un turbamento della maggioranza potesse portare ad un ribaltamento del quadro politico. Invece, oggi siamo in un sistema politico perverso, dove l'influenza della Chiesa, spostando pur minime frazioni dell'elettorato, può determinare il passaggio da un regime politico a un altro". Questo a cosa deve far riflettere? "Al pericolo di un ritorno di Berlusconi che ritengo abbia rappresentato in questi anni un principio di corruzione molto grave della coscienza politica e degli atteggiamenti culturali e sociali di questo Paese. Questo la Chiesa non può non metterlo in conto. O non le importa che si torni ad un clima dove la cultura, il principio di solidarietà, la convivenza, il rispetto reciproco incorrano in un degrado sempre più rapido? Ma se questo importa, allora non può non tener conto delle conseguenze anche politiche dei suoi gesti. Tutto questo, poi, per una battaglia dai contenuti molto più opinabili di quella sul divorzio o sull'aborto. Nessuno sta distruggendo la famiglia. Si sta legiferando su cose diverse dalla famiglia. Siamo molto alla periferia di quello che ha a che fare con le verità di fede. E su questo si vogliono far scontare conseguenze così drammatiche al Paese e alla Chiesa?". Quali altre differenze tra questa crisi e quelle per il divorzio o l'aborto? "In quei casi tutta la Chiesa parlava. Non accadeva che si vivesse sotto il peso di una "Chiesa del silenzio", dove lo Spirito sembra spento e dove una sola persona parla per tutti: clero, vescovi, popolo. Sul referendum sul divorzio tutta la Chiesa parlava: le parrocchie, le associazioni cattoliche, le comunità cristiane di base, le riviste. Tutta la Chiesa era coinvolta in una grande riflessione. Questo faceva si che anche i contenuti del confronto fossero molto più ricchi. Oggi, invece, mentre lo scontro è così duro, i suoi contenuti paiono veramente poco rilevanti. Quando si fece la grande battaglia sul divorzio il problema non era solo quello dell'ingerenza della Chiesa, ci si interrogava sui contenuti che la Chiesa "ingerendosi" portava nella società. Chi tra i cattolici difendeva la legge sul divorzio si interrogava se veramente il Vangelo chiedesse di imporre vincoli che le persone non potevano sopportare. Si richiamava il principio della misericordia, della consolazione degli afflitti, della tutela del debole. Erano delle grandi controversie nelle quali i cristiani erano sollecitati a ripensare alla loro fede. Una Chiesa che annuncia la misericordia e il perdono di Dio, dovrebbe capire che le leggi umane non traducono in alcun modo la giustizia di Dio, e dovrebbe recuperare lo spazio per la dialettica tra umano e divino, non separati e non confusi, vero fulcro del cristianesimo". Tutto ciò le pare distante dalla sensibilità espressa dalla Cei? "Non sappiamo niente dei vescovi italiani. È da troppo tempo che tacciono. Questa non è una Chiesa che parla, che, si interroga. Sta perdendo la parola. Ma una cosa è la Chiesa che cerca di persuadere le coscienze, che dica la sua sulla famiglia. Rientra nel suo magistero. Chi mai chiede che la Chiesa non parli? Affermarlo è un falso artificio polemico. Diverso, invece, è che questo parlare prenda le forme di una pronunzia "canonica". Cercare di dirimere con un atto autoritativo una questione largamente opinabile e controversa, non può non turbare l'opinione pubblica anche cattolica. Spero che si capisca quanto sia pericoloso oltrepassare un certo limite. Come spero che i vescovi riprendano la parola. Noi non abbiamo bisogno del silenzio della Chiesa. Ma che parli come parlava al Concilio, educandoci alla libertà della fede e alla responsabilità".

Stai consultando l'edizione del RANIERO LA VALLE Parla l'intellettuale cattolico: "L'annuncio di una Nota della Cei è una novità. Se avesse un carattere disciplinare sarebbe un salto all'indietro" "La Chiesa ha diritto di parola. Ma non torni al non expedit" di Roberto Monteforte / Roma Il sasso è stato lanciato. Giuseppe Alberigo ed altri intellettuali cattolici, con il loro appello a cui si sono aggiunte in poche ore oltre 1.800 firme, tra cui quelle di Scoppola e Zagrebelski, hanno scosso le acque del mondo cattolico. Quel invito ai vescovi perché riflettano sulle conseguenze di un richiamo vincolante sui "Di.co" ai parlamentari cattolici ha colpito. Anche se è subito scattata l'accusa di voler imbavagliare la Chiesa. Con il vostro appello volete tappare la bocca ai vescovi? "Negli ultimi anni non sono mancate delle ragioni e delle occasioni perché dei cattolici vigili e coinvolti nella vita della Chiesa avessero da dire qualcosa. Ci sono stati molti momenti di tensione e di crisi. Però non c'è mai stato un intervento come questo perché non si era mai arrivati ad un punto così grave. Mentre sinora si era trattato di esternazioni delle autorità della Chiesa questa volta invece, viene annunciato - non sappiamo se poi ci sarà - un vero e proprio suo atto autoritativo. Quindi non si è più nel campo della libertà di opinione, della formazione delle coscienze . Si tratterebbe di un vero e proprio atto di giurisdizione, che a norma del diritto canonico, comporterebbe conseguenze anche pratiche. Non era mai successo in tutte le grandi crisi del rapporto tra la Chiesa, la legislazione e i cattolici in Parlamento. Sarebbe una novità che potrebbe avere una portata sconvolgente e rappresentare un precedente molto grave. Questa preoccupazione ha spinto i cattolici firmatari l'appello a chiedere ai vescovi a valutare la portata di questa decisione". Vi preoccupa la possibile natura politica della Nota annunciata dal cardinale Ruini, che potrebbe portare ad una delegittimazione, ad una insignificanza dei cattolici impegnati in politica? "Se si stabilisce un vincolo di carattere disciplinare è evidente che l'alternativa sarebbe o l'insignificanza, cioè il semplice trasferimento nell'attività parlamentare delle indicazioni della Chiesa, cosa che va contro l'articolo 67 della Costituzione il quale afferma che ogni parlamentare esercita le sue funzioni senza alcun vincolo di mandato, compreso quello di un'autorità come la Chiesa, oppure la disobbedienza. Così il cristiano, parlamentare o non, che fosse solidale con questa legge si troverebbe nella condizione o di essere puro strumento di un dettato autoritativo, o di disubbidire alle gerarchie. È un'alternativa che lo metterebbe in una condizione di lacerazione perché nessun cristiano disubbidisce a cuor leggero, anche se ritiene questa disubbidienza necessaria per la sua coscienza". È pronunciamento in linea con l'interventismo politico di Ruini? "No, sarebbe una novità. Non si era mai verificato prima. Bisogna andare al "non expedit" con il quale ai cattolici fu imposto dalla Santa Sede con intervento autoritativo di non partecipare alla vita dello Stato liberale. Creò un conflitto devastante nella coscienza dei cristiani, nella vita dello Stato e della Chiesa: è da lì che derivano gran parte dell'ateismo e del laicismo oggi presenti in Italia". Lei ha vissuto direttamente alcuni passaggi difficili del rapporto tra cattolicesimo politico e gerarchia... "Ci sono state diverse occasioni di difficoltà. Però i vecchi conflitti, e mi riferisco al referendum sul divorzio, a quello sull'aborto e alla partecipazione di cristiani a liste "non cristiane", si sono avuti in un sistema politico non perverso come quello attuale. Quando la Chiesa prendeva le sue posizioni su divorzio o sull'aborto nessuno poteva pensare che lo facesse pensando ad un sovvertimento del governo. Con il sistema proporzionale non si poteva pensare che un turbamento della maggioranza potesse portare ad un ribaltamento del quadro politico. Invece, oggi siamo in un sistema politico perverso, dove l'influenza della Chiesa, spostando pur minime frazioni dell'elettorato, può determinare il passaggio da un regime politico a un altro". Questo a cosa deve far riflettere? "Al pericolo di un ritorno di Berlusconi che ritengo abbia rappresentato in questi anni un principio di corruzione molto grave della coscienza politica e degli atteggiamenti culturali e sociali di questo Paese. Questo la Chiesa non può non metterlo in conto. O non le importa che si torni ad un clima dove la cultura, il principio di solidarietà, la convivenza, il rispetto reciproco incorrano in un degrado sempre più rapido? Ma se questo importa, allora non può non tener conto delle conseguenze anche politiche dei suoi gesti. Tutto questo, poi, per una battaglia dai contenuti molto più opinabili di quella sul divorzio o sull'aborto. Nessuno sta distruggendo la famiglia. Si sta legiferando su cose diverse dalla famiglia. Siamo molto alla periferia di quello che ha a che fare con le verità di fede. E su questo si vogliono far scontare conseguenze così drammatiche al Paese e alla Chiesa?". Quali altre differenze tra questa crisi e quelle per il divorzio o l'aborto? "In quei casi tutta la Chiesa parlava. Non accadeva che si vivesse sotto il peso di una "Chiesa del silenzio", dove lo Spirito sembra spento e dove una sola persona parla per tutti: clero, vescovi, popolo. Sul referendum sul divorzio tutta la Chiesa parlava: le parrocchie, le associazioni cattoliche, le comunità cristiane di base, le riviste. Tutta la Chiesa era coinvolta in una grande riflessione. Questo faceva si che anche i contenuti del confronto fossero molto più ricchi. Oggi, invece, mentre lo scontro è così duro, i suoi contenuti paiono veramente poco rilevanti. Quando si fece la grande battaglia sul divorzio il problema non era solo quello dell'ingerenza della Chiesa, ci si interrogava sui contenuti che la Chiesa "ingerendosi" portava nella società. Chi tra i cattolici difendeva la legge sul divorzio si interrogava se veramente il Vangelo chiedesse di imporre vincoli che le persone non potevano sopportare. Si richiamava il principio della misericordia, della consolazione degli afflitti, della tutela del debole. Erano delle grandi controversie nelle quali i cristiani erano sollecitati a ripensare alla loro fede. Una Chiesa che annuncia la misericordia e il perdono di Dio, dovrebbe capire che le leggi umane non traducono in alcun modo la giustizia di Dio, e dovrebbe recuperare lo spazio per la dialettica tra umano e divino, non separati e non confusi, vero fulcro del cristianesimo". Tutto ciò le pare distante dalla sensibilità espressa dalla Cei? "Non sappiamo niente dei vescovi italiani. È da troppo tempo che tacciono. Questa non è una Chiesa che parla, che, si interroga. Sta perdendo la parola. Ma una cosa è la Chiesa che cerca di persuadere le coscienze, che dica la sua sulla famiglia. Rientra nel suo magistero. Chi mai chiede che la Chiesa non parli? Affermarlo è un falso artificio polemico. Diverso, invece, è che questo parlare prenda le forme di una pronunzia "canonica". Cercare di dirimere con un atto autoritativo una questione largamente opinabile e controversa, non può non turbare l'opinione pubblica anche cattolica. Spero che si capisca quanto sia pericoloso oltrepassare un certo limite. Come spero che i vescovi riprendano la parola. Noi non abbiamo bisogno del silenzio della Chiesa. Ma che parli come parlava al Concilio, educandoci alla libertà della fede e alla responsabilità".

 


Da Il Tempo.it 16-2-2007  «Caro Presidente Cossiga, si ricordi di Moro» Il leader dei Cristiano Sociali Mimmo Lucà risponde alla lettera dell’ex capo dello Stato pubblicata da Il Tempo

 

Caro Presidente, nella Sua cortese lettera di domenica chiede ai Cristiano sociali chi sono e se decidono di votare il Ddl del Governo sulle convivenze. Siamo anzitutto persone abituate ad assumersi le proprie responsabilità, e sappiamo distinguere tra il rigore e la coerenza nelle scelte personali che dipendono da noi e le leggi dello Stato, in cui le nostre decisioni ricadono sugli altri, a differenza di altre persone che preferiscono essere molto leggere per le scelte proprie e imporre la coerenza per legge. Queste cose le abbiamo apprese nella Chiesa, non altrove, e nella storia plurale dei cattolici impegnati in politica. Noi pensiamo che nel mondo i laici cristiani hanno il compito di testimoniare il Vangelo ma anche il compito di leggere i segni dei tempi. Questo imprime alla loro missione un doppio movimento: dal Vangelo e dalla Chiesa verso il mondo e dal mondo verso la Chiesa e la rilettura costante del Vangelo. Ed ogni volta che i cristiani irrigidiscono solo uno di questi versanti, quello che dalla Chiesa va verso il mondo, corrono il rischio di smarrire la capacità di comprendere quel che il disegno di Dio sta compiendo nella storia, ben oltre i confini e le capacità di testimonianza della Chiesa e dei cristiani. Sta qui la radice più profonda della nostra laicità. La radice che ci spinge all'ascolto e all'incontro con ciascun essere umano. Il diritto della Chiesa, di tutte le Chiese, di esprimersi nella sfera pubblica è fuori discussione. Scegliere la libertà religiosa come valore vuol dire riconoscere il rilievo che le fedi religiose hanno nella vita delle persone e delle comunità, il loro contributo alla soluzione di problemi importanti per la convivenza civile. Il problema nasce su altri versanti: quando dalla verità di fede si passa ai valori che la Chiesa promuove e alle culture (plurale d'obbligo) che essa ispira. Anche in questo caso, naturalmente, la Chiesa ha diritto di affermarli nell'agorà pubblica oltre che di chiedere ai fedeli cattolici di essere coerenti, nella vita sociale e politica, con questi valori e con il magistero sociale che storicamente ne deriva. Non può dunque esserci alcuno scandalo sul fatto che i vescovi chiedano alla politica, e non solo ai cattolici, di promuovere i valori di cui si sentono portatori. Quel che in un stato democratico la Chiesa non può fare è diventare essa stessa un soggetto politico. Perché se lo facesse, dovrebbe accettare fino in fondo lo statuto di una parte politica tra le altre, di un partito tra gli altri. Con quale beneficio per la credibilità e l'efficacia del suo annuncio di fede è la storia a dircelo: perché ogni volta che la Chiesa ha preteso di farsi potere nel mondo e di sacralizzare il potere politico i risultati sono stati tutt'altro che positivi per la stessa Chiesa. Per questo restiamo convinti che la Chiesa, tutte le Chiese, sono tenute a riconoscere e a rispettare la laicità e l'autonomia della politica, la sua preminente responsabilità nel decidere e determinare gli indirizzi ed il contenuto della legislazione. Mi permetto, caro Presidente, di richiamare a questo proposito un passo della relazione di Aldo Moro al Consiglio Nazionale della DC del 20 novembre 1968, che forse Lei ricorderà. In essa Moro dice, tra l'altro, «Un indirizzo politico che si voglia disegnato sul rigore di un principio religioso, è una pretesa inammissibile. Esso urta, tra l'altro, con l'esigenza di piena autonomia delle determinazioni politiche nell'ordine che è ad esse proprio, specie in un momento nel quale il magistero della Chiesa si applica nell'esercizio del suo alto compito spirituale, in valutazioni ed indicazione che, giustificate sul terreno religioso, non potrebbero essere trasferite sul terreno civile, nella concretezza cioè della situazione politica italiana con tutte le sue esigenze. Ad esse non è lecito piegare un organismo universale e spirituale qual'è la Chiesa. Ma neppure esse possono essere sacrificate nell'ambito di un ordinamento autonomo qual'è lo Stato». Rachele Acquaviva, che ha lavorato nella segreteria di De Gasperi, ci ha scritto in questi giorni dicendo: «Mi sembra di rivivere il giorno in cui ascoltai la telefonata di De Gasperi al Vaticano per l'operazione Gedda, e dopo parlò con noi che gli stavamo intorno, tutti giovani, della sua amarezza ma con una sicurezza nella sua decisione che ancora ricordo e almeno per me quelle parole furono e sono ancora la certezza del mio essere cristiana e laica. Se l'ha fatto lui che forse sarà proclamato santo possiamo farlo anche noi, ti pare?» Siamo anche fedeli alla Costituzione repubblicana e al suo impegno contenuto nell'articolo 2 di tutelare i diritti delle persone anche nelle formazioni sociali, tra cui la Corte costituzionale ha ricompreso le unioni di fatto. Per di più, caro Presidente, proprio Lei firmò come Capo dello Stato il regolamento anagrafico del 1989 che si basa sulle nozioni di «famiglia anagrafica» e di «vincoli affettivi» che la legge si limita a perfezionare. Il nostro fondatore Ermanno Gorrieri, che apprezzò molto quel regolamento, aveva indicato più volte in esso la strada per risolvere il problema delle unioni di fatto. Come si può ricavare dal suo volume «Parti uguali fra diseguali», edito dal Mulino, è esattamente questa la direzione indicata, prefigurando con esattezza l'articolo 1 della legge sui Dico. Quando il professor Stefano Ceccanti (aderente ai Cristiano sociali) ha contribuito a scrivere il testo sui Dico si basava esattamente anche su questa autorevole indicazione. Per questo, noi voteremo per il DDL del Governo sulle convivenze e non come male minore, ma perché vi riconosciamo la nostra ispirazione di cristiano sociali e in particolare quella del nostro fondatore. Questi siamo. Mimmo Lucà Coordinatore Nazionale dei Cristiano Sociali


Da AgenParl 16-2-2007 IL FULMINE VATICANO COLPISCE ROSY BINDI

Roma, 16 Febbraio 2007 – AgenParl – Ufficialmente non è una scomunica, ma per lei, Rosy Bindi, è come se lo fosse. La cattolicissima ministra è stata oggetto di un forte richiamo, da parte del Magistero, in materia di fede.
L’Osservatore Romano, organo della Santa Sede, ha pubblicato una nota nella quale è scritto: “forse bisognerebbe riconoscere che le cose di Dio e le cose degli uomini coincidono più di quanto si sia disposti a conoscere”. Questa è la risposta al ministro della Famiglia, coautrice del ddl sui Dico, la quale, il giorno precedente, aveva detto di “amare più la Chiesa quando parla di Dio”. Questa espressione è stata intesa in Vaticano come un malcelato invito, rivolto alle gerarchie ecclesiastiche, ad occuparsi di fede e non delle cose terrene come la politica.
E’ evidente che la Chiesa, messa dinanzi a tale ingiunzione, proveniente tra l’altro da un’autorità diventata tale grazie al suo essere rappresentante del mondo cattolico italiano, è stata costretta a richiamarla e a rivendicare il proprio ruolo, non ammettendo alcuna usurpazione soprattutto in materia di fede e comportamenti.
Secondo il quotidiano della Santa Sede, “non si comprende perchè la Chiesa, il Papa e i vescovi non possano intervenire su un tema tanto delicato quanto cruciale come quello della famiglia”. “La Chiesa – si legge – non adempie ad una posizione politica, ma adempie semplicemente al suo mandato”. “Negare ciò – conclude la nota – significa negare un diritto-dovere”.
Il richiamo del giornale Vaticano, comunque, non sembra rivolto anche all’ex presidente Scalfaro. Egli, nella sua intervista alla Repubblica, pur riconoscendo il diritto della Cei a pronunciarsi, aveva in sostanza chiesto ai vescovi di comprendere la realtà politica italiana e, quindi, lasciare ai parlamentari cattolici margini di dialogo con i loro colleghi laici”.


Da Il Cittadino 17-2-2007 Tutti i lodigiani indagati dalla Procura di Milano per la scalata all'Antonveneta

Abbiamo estrapolato dal fascicolo predisposto dalla magistratura milanese i brani riferiti alle persone (note e meno note) che sono accusate di aver avuto un ruolo nel progetto

Tutti i lodigiani indagati dalla Procura di Milano per la scalata all'Antonveneta Sono ben 28 gli esponenti del nostro territorio chiamati in causa nel documento che riassume il lungo lavoro di inchiesta dei pm Come abbiamo anticipato sul Cittadino di ieri, la procura di Milano ha depositato giovedì 15 febbraio l'"Avviso di conclusione delle indagini" sulla fallita scalata della Banca Popolare Italiana alla Antonveneta. Sono indagate 84 persone fisiche e nove società, a cui l'avviso di chiusura indagini è stato notificato. Ricordiamo ai nostri lettori che per tutti quanti, finché non saranno celebrati i processi e non saranno state emesse le definitive sentenze, permane la presunzione di non colpevolezza. "Il Cittadino" in tutti questi mesi ha dedicato a questa vicenda centinaia di articoli, sollevando un enorme interesse tra i lettori. Ai fini di assicurare una doverosa informazione, pubblichiamo - senza commenti - alcuni stralci del documento emesso dalla Procura della Repubblica di Milano, in particolare quelle parti che coinvolgono le personalità del Lodigiano. "Il Pubblico Ministero, visti gli atti del procedimento penale in epigrafe nei confronti di (seguono i nomi di nove società e di 84persone fisiche a cui è stato notificato l'avviso di conclusione delle indagini: Roberto Araldi (Milano), Carlo Baietta (Carpiano), Giampiero Beccaria (Brescia), Giovanni Benevento (Lodi), Antonio Cesare Bersani (Borgonovo Val Tidone), Bruno Bertagnoli (Milano), Antonio Bertoli (Brescia), Evaristo Bertoli (Lumezzane), Fabio Antonio Bertoli (Lumezzane), Fiorenzo Bertoli (Lumezzane), Sandro Ridolfo Bertoli (Lumezzane), Giuseppe Besozzi (Vizzolo Predabissi), Paolo Giacinto Bonazzi (Milano), Gianfranco Boni (Lodi), Leonardo Bossini (Molinetto di Mazzano), Guido Castellotti (Lodi), Giorgio Chiaravalle (Gallarate), Luigi Enrico Colnago (Cambiago), Massimo Conca (Tribiano), Enrico Consoli (Brescia), Giovanni Consorte (Bologna), Fabio Massimo Conti (Milano), Danilo Coppola (Roma), Giovanni Corbini (Siena), Roberto Corrada (Lodi), Gennaro D'Amico (Roma), Mario Dora (Brescia), Marcello Angelo Dordoni (Bescapè), Antonio Fazio (Alvito), Giuseppe Ferrari Aggradi (Lodi), Francesco Ferrari (Lodi), Marino Ferrari (Lodi), Gianpiero Fiorani (Lodi), Guglielmo Fransoni (Roma), Francesco Maria Frasca (Roma), Eraldo Galetti (Como), Luigi Gallotta (Sant'Angelo Lodigiano), Carlo Gattoni (Meleti), Francesco Ghioldi (Casale Monferrato), Emilio Gnutti (Brescia), Gianandrea Goisis (Lodi), Luigi Grillo (La Spezia), Domenico Lanzoni (Imola), Ettore Lonati (Botticino Mattina), Fausto Lonati (Brescia), Tiberio Lonati (Brescia), Pierluigi Lucchini (Codogno), Bruno Marinelli (Cellatica), Luciano Marinelli (Iseo), Valerio Marinelli (Brescia), Gianpiero Marini (Lodi), Paolo Umberto Giulio Marmont Du Haut Champ (Lugano), Giuseppe Romano Marniga (Lumezzane), Erich Mayr (Bolzano), Fabio Merusi (Calci), Luigi Amato Molinari (Rapallo), Claudio Moreschi (Brescia), Sergio Moreschi (Brescia), Giorgio Olmo (Crema), Francesco Orsini (Montanaso), Luigi Pacchiarini (Borgo San Giovanni), Marco Palazzani (Brescia), Marino Pasotti (Carpenedolo), Carlo Pavesi (Lodi Vecchio), Antonio Premoli (Lodi), Aldino Quartieri (Lodi), Paolo Secondo Raimondi (Ospedaletto), Stefano Ricucci (Roma), Gaudenzio Roveda (Milano), Andrea Rovelli (Milano), Ivano Sacchetti (Reggio Emilia), Attilio Savarè (Lodi), Osvaldo Savoldi (Ghedi), Marco Sechi (Milano), Silvano Spinelli (Lodi), Sergio Tamagni (Zelo Buon Persico), Enrico Tessera (Lodi), Francesco Vesce (Torino), Gianmaria Visconti di Modrone (Grazzano Visconti), Giovanni Vismara (Milano), Desiderio Zoncada (Lodi), Domenico Zucchetti (Lodi), Claudio Agostino Zulli (Brescia), Luigi Zunino (Nizza Monferrato), informa le persone fisiche e giuridiche sopraindicate che questo Ufficio sta procedendo ad indagini in ordine ai reati ed agli illeciti amministrativi da reato di seguito indicati.***Fiorani, Spinelli, Boni, Quartieri, Ferrari Marino, Marmont Du Haut Champ, Conti, GhioldiA. del reato di cui all''art 416, commi 1, 2 e 3 c.p., per essersi associati fra di loro, allo scopo di commettere, continuativamente nel tempo: - attività di manipolazione del mercato (art. 185 t.u.f) e di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza (art 2638 c.c.), poste in essere, già, con riferimento all'acquisizione della Banca Popolare di Crema e, da ultimo, alla scalata della Banca Antonveneta, finalizzate, con il concorso di soggetti esterni all'associazione, a conseguire illecitamente il controllo degli istituti di credito ed il profitto derivante da plusvalenze occulte; - appropriazioni indebite pluriaggravate (art. 646, 61 n.. 7 e n. 11 c.p.) in danno della Banca Popolare Italiana (già Banca Popolare di Lodi), consistite nell'appropriarsi di una parte del prezzo stabilito per l'acquisto/vendita di asset di pertinenza della banca e nel far conseguire utili e/o altri proventi ad un gruppo di clienti selezionati con alcuni dei quali esistevano accordi di spartizione del profitto; - violazioni dell'art. 136 t.u.b. per erogare finanziamenti (anche a tassi particolarmente agevolati e senza garanzie) a società di cui Fiorani era socio occulto e/o a persone fisiche che dello stesso Fiorani erano prestanome e/o soci; - atti di infedeltà anche a seguito della dazione e promessa di utilità (artt. 2634 c.c.) consistiti, in particolare, nel compiere atti di disposizione dei beni sociali in conflitto di interessi ed a danno della banca; - operazioni di riciclaggio (art. 648-bis, c.p.), mediante le quali ostacolare l'identificazione della provenienza del denaro illecitamente conseguito. In particolare:Fiorani Gianpiero - amministratore delegato di Bpi fino al 2 agosto 2005 - costituiva, promuoveva, organizzava e dirigeva l'associazione criminosa: - individuando le operazioni immobiliari e finanziarie dalle quali trarre illeciti profitti, tra cui la scalata alla Banca Antonveneta (condotta con modalità manipolative ed ostacolando l'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza); - occupandosi, personalmente o per il tramite di soggetti di sua fiducia, delle trattative, anche occulte, relative all'acquisizione della Banca Adamas ed alla dismissione degli asset immobiliari del Gruppo Bipielle (operazione "Mizar-Casse del Tirreno"), trattative dalle quali conseguiva, per sé e per alti, ingenti profitti illeciti; - creando strutture estere off-shore con conti presso banche svizzere, monegasche, del Jersey e di Singapore per occultare il provento delle operazioni di cui al precedente punto e delle cifre descritte ai successivi; - seguendo di persona - sia in comitato esecutivo che in consiglio di amministrazione e comunque valendosi della sua posizione apicale all'interno del Gruppo Bipielle le procedure per la concessione di linee di credito (anche a tassi agevolati e senza prestazione di garanzie) con le quali finanziare operazioni mobiliari ed immobiliari di interesse per l'organizzazione; - favorendo l'apertura di conti correnti e dossier titoli e l'erogazione di finanziamenti a "clienti privilegiati", i cui conti venivano gestiti direttamente dall'area finanza della banca; Boni Gianfranco - direttore finanziario di Bpi - promuoveva ed organizzava l'associazione criminosa: - adoperandosi per l'apertura di conti correnti e dossier titoli e curando personalmente i "clienti privilegiati", con i quali erano stati raggiunti preventivi accordi per la spartizione dei profitti delle operazioni di trading mobiliare (anche "costruite ad hoc"); - disponendo ingiustificati trasferimenti di denaro di pertinenza della banca a favore dei conti dei predetti clienti; - curando materialmente la spartizione degli utili con prelievi in contanti ed assegni circolari; - creando strutture estere off-shore con conti presso banche svizzere e monegasche per occultare profitti illeciti; - essendo, sostanzialmente, l'alter ego dell'amministratore delegato nell'attività dell'associazione all'interno della banca;Spinelli Silvano - consulente esterno, ex dirigente di Bpi - promuoveva ed organizzava l'associazione criminosa: - individuando operazioni immobiliari e finanziarie dalle quali trarre illeciti profitti; - creando strutture societarie, sia italiane che estere, per "schermare" la partecipazione di Boni e Fiorani (del quale fungeva anche da prestanome) in operazioni mobiliari ed immobiliari finanziate da Bpi (a tassi agevolati - e, quasi sempre, senza prestazione di garanzie);- curando l'apertura di conti esteri e la costituzione di società off-shore, da utilizzarsi per occultare il provento delle operazioni mobiliari ed immobiliari; - individuando, tra la clientela "storica" della banca Popolare di Lodi, una serie di clienti "privilegiati" cui far aprire conti correnti e dossier titoli e far ottenere finanziamenti, per operare sul mercato mobi1iare, con l'accordo che i profitti dell'attività di trading, svolta in modo illegittimo (anche sfruttando informazioni privilegiate) dall'area finanza della banca, venivano spartiti in percentuali variabili fra i sodali e l'intestatario della relazione; - curando materialmente la spartizione degli utili con prelievi in contanti ed assegni circolari;Marmont, Conti, Ghioldi, i primi due consiglieri in Bipille Suisse e Conti anche in diverse società del Gruppo Bipielle, il terzo consulente legale nonché fiduciario svizzero - partecipavano all'associazione: - predisponendo e gestendo le strutture societarie ed i relativi rapporti bancari (accesi, soprattutto, presso Bdl - Jersey, Singapore e Lugano), in particolare mettendo a disposizione dell'organizzazione le società: Yol Tradtng Corporation, Zachs Engeneering corp, Marina Invest Sa, Celleck Financial Services Inc, Hinton Research Sa, Canterbury Global Sa, Borgo Nobile Sa, Victoria & Eagle, utilizzate per depositare i proventi delle attività illecite dell'associazione e per "schermare" la riconducibilità all'associazione delle società immobiliari/finanziarie italiane capitalizzate e/o finanziate con i proventi generati dalle illecite attività; - gestendo i conti esteri in Bdl riferibili a Fiorani, Spinelli e Boni, tra i quali il conto Targum ed i conti Brunner 1e 2; - Ghioldi altresì agendo quale procuratore di diverse società off-shore, fiducianti della Compagnia Fiduciaria Nazionale spa, con sede a Milano, utilizzata per intestazioni fiduciarie di società riconducibili a Fiorani e Spinelli;Quartieri Aldino - sindaco di Bpi - partecipava all'associazione criminosa: - costituendo o figurando nella compagine sociale/domiciliando/rappresentando (pure per procura)/amministrando anche di fatto le società italiane ed estere di cui Fiorani era socio occulto, ed in particolare: Giorni Sereni srl, Marinai d'Italia srl, Perca srl, Liberty srl, Pmg srl, Frontemare srl, Arcene Immobili srl, Arcene Infra srl, Edilchiara srl, Patrimoniale Degli Orsi srl, Borgo Nobile srl, Borgo Centrale spa, Yol Trading, Zachs Engeneerng, società utilizzate in operazioni mobiliari ed immobiliari fra le quali la cessione degli immobili già delle Casse del Tirreno; Ferrari Marino partecipava all'associazione criminosa: - svolgendo il ruolo di prestanome di Fiorani in varie operazioni immobiliari tra le quali quella realizzata con la Liberty srl (relativa ad una villa a Cap Martin, in Costa Azzurra) e con Giorni Sereni srl (relativa ad un'altra villa in località Cala di Volpe, Sardegna) nonché in operazioni di trading mobiliare realizzate con Borgo Centrale spa. Con le circostanze aggravanti specificatamente contestate in relazione ai ruoli.Associazione operante in Milano ed altrove dal 1997 al 13 dicembre 2005 [data dell'arresto di Fiorani, Boni, Spinelli e Conti].***Fiorani, Boni, Benevento, Zoncada, Savarè, Vismara, Lucchini, Rovelli, Spinelli, Fazio, Frasca, Grillo, Gnutti, Ricucci, Coppola, Consorte, Sacchetti, Lonati Ettore, Lonati Tiberio, Lonati Fausto, Moreschi Claudio. Moreschi Sergio, Marinelli Luciano, Marniga, Bertoldi Fiorenzo, Pasotti, Bossini, Marinelli Bruno, Palazzani Marco, Bertoli Fabio, Antonio, Bertoli Evaristo, Bertoli Antonio, Bertoli Sandro Ridolfo, Consoli, Besozzi, Marinelli Valerio, Baietta, Bersani, Conca, Corrada, Dora, Dordoni, Ferrari Aggradi, Gallotta, Marini, Orsini, Pacchiarini, Raimondi, Roveda, Tamagni, Colnago B. del reato di cui agli artt. 110, 112, comma 1, n. 1) e n. 2), 81 cpv c.p., 185 t.u.f. (come mod.to dalla legge 62/2005 e dalla Legge n. 262/2005), perché, in concorso tra loro, in numero superiore a dieci, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, realizzate operando con modalità, commissive ed omissive, volte ad eludere le prescrizioni di cui all'art. 106 t.u.f. e gli obblighi di informazione al mercato previsti dagli artt. 114, 120, 121, 122. t.u.f., ponevano in essere operazioni simulate ed altri artifici e diffondevano notizie false, condotte concretamente idonee, anche singolarmente, a provocare una sensibile alterazione del prezzo dell'azione ordinaria Antonveneta;in particolare:Fiorani (amministratore delegato di Bpi) e Boni (direttore finanzairio di Bpi) organizzando e dirigendo l'attività, Benevento (presidente del consiglio di amministrazione di Bpi) conoscendola ed avallandola, Zoncada (presidente del cda di Bipielle Suisse, consigliere di amministrazione e membro del comitato esecutivo di Bpi), deliberando i finanziamenti erogati da Bipielle Suisse e le fidejussioni rilasciate da Bpi (controllante di Bipielle Suisse) proprio a garanzia di tali finanziamenti, Savarè (direttore centrale amministrativo di Bpi), Vismara (direttore centrale corporate management di Bpi) dando alla stessa copertura attraverso le rispettive strutture, Lucchini (responsabile divisione mercati finanziari di Bpi) operando in sotto ordine rispetto a Boni, Spinelli (già dirigente Bpi e, all'epoca dei fatti, consulente esterno della banca) e, Gnutti (principale alleato di Fiorani nella "scalata" a Banca Antonveneta) operando come anche Fiorani e Boni per la ricerca degli interposti, in concorso tra loro e con i soggetti di seguito indicati, compivano operazioni simulate ed artifici, concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo dell'azione ordinaria Antonveneta, consistiti:- nell'acquistare, sul mercato telematico, azioni ordinarie Antonveneta con l'interposizione fittizia delle persone fisiche che fornivano il loro contributo accettando di interporsi e ottenendo, per tale contributo, la promessa di un utile di seguito elencate: Moreschi Claudio, Moreschi Sergio, Marinelli Luciano, Marinelli Bruno, Marinelli Valerio, Marniga Romano Giuesppe, Pasotti, Bossini, Palazzani, Bertoli Fiorenzo, Bertoli Evaristo, Bertoli Fabio Antonio, Bertoli Sandro Ridolfo, Bertoli Antonio, Consoli (c.d. bresciani "procurati" da Gnutti), Baietta, Bersani, Besozzi, Conca, Corrada, Dora, Dordoni, Ferrari Aggradi, Gallotta, Marini, Orsini, Pacchiarini, Raimondi, Roveda, Tamagni (c.d. lodigiani "procurati" da Spinelli, Fiorani e Boni), cui venivano aperti ed intestati, presso Bpl e Bipielle Suisse, conti correnti con abbinati dossier titoli, sui quali di fatto operava la banca stessa (i finanziamenti per l'acquisto dei titoli erano erogati in assenza di istruttoria e di garanzie e con motivazioni difformi da quelle reali), così occultando l'attività di rastrellamento in corso e l'entità della partecipazione (indiretta) di Bpi nel capitale di Bapv (da fine novembre ad aprile 2005);inoltre,Fiorani (amministratore delegato di Bpi) e Boni (direttore finanziario di Bpi) organizzando e dirigendo l'attività, Benevento (presidente del consiglio di amministrazione di Bpi) conoscendola ed avallandola, Zoncada (presidente del cda di Bipielle Suisse, consigliere di amministrazione e membro del comitato esecutivo di Bpi), deliberando i finanziamenti erogati da Bipielle Suisse e le fideiussioni rilasciate da Bpi (controllante di Bipielle Suisse) proprio a garanzia di tali finanziamenti, Savarè (direttore centrale amministrativo di Bpi), Vismara (direttore centrale corporate management di Bpi) dando alla stessa copertura attraverso le rispettive strutture, Lucchini (responsabile divisione mercati finanziari di Bpi) operando in sotto ordine rispetto a Boni, Gnutti, Lonati Ettore, Lonati Tiberio, Lonati Fausto, Consorte, Sacchetti, Ricucci, Coppola, in concorso tra loro, ponevano in essere operazioni simulate ed altri artifici, concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo dell'azione ordinaria Antonveneta, consistiti nell'acquistare, sul mercato telematico, azioni ordinarie Antonveneta, in modo concertato sulla base di patti parasociali non dichiarati stretti per l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante sulla banca Antonveneta tali da occultare la "scalata" in corso ed eludere gli obblighi di legge, segnatamente quello di Opa totalitaria (da gennaio ad aprile 2005);precisamente:- gli esponenti bancari di Bpi sopra indicati fornivano, in relazione ai rispettivi ruoli e alle diverse funzioni svolte, il necessario contributo per realizzare, anche tecnicamente, gli acquisti concertati, in particolare: ricercando le azioni Bapv sul mercato, "parcheggiandole" su dossier presso Bpi e Bpl Suisse, trasferendole, ugualmente attraverso operazioni sul "telematico", ad entità riferibili ai pattisti occulti;(...)inoltre,Fiorani (amministratore delegato di Bpi), e Boni (direttore finanziario di Bpi), organizzando e dirigendo l'attività, Benevento (presidente del consiglio di amministrazione di Bpi) conoscendola ed avallandola, Zoncada (presidente del cda di Bipielle Suisse, consigliere di amministrazione e membro del comitato esecutivo di Bpi), deliberando i finanziamenti erogati da Bipielle Suisse e le fideiussioni rilasciate da Bpi (controllante di Bipielle Suisse) proprio a garanzia di tal finanziamenti, Savarè (direttore centrale amministrativo di Bpi), Vismara (direttore centrale corporate management di Bpi) dando alla stessa copertura attraverso le rispettive strutture, Lucchini (responsabile divisione mercati finanziari di Bpi) operando in sotto ordine rispetto a Boni e Colnago, in concorso tra loro, compivano operazioni simulate ed artifici, concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo dell'azione ordinaria Antonveneta, consistiti:- nell'acquistare, sul mercato telematico, azioni ordinarie Antonveneta con l'interposizione fittizia degli hedge fund: Active Fund, Generation Fund e Momentum Fund (tutti domiciliati alle Isole Cayman e gestiti da Money Bond Investiment S.a., di Lugano), riconducibili a Colnago, il quale vendeva quote di tal ifondi a Bpi, con l'accordo di impiegarne il corrispettivo esclusivamente nell'acquisto del titolo "azione ordinaria Antonveneta", agendo, pertanto, da "fiduciario" della banca, così occultando l'attività di rastrellamento in corso e l'entità della partecipazione (indiretta) di Bpi nel capitale di Bapv (da febbraio a maggio 2005);inoltre,a fronte delle operazioni simulate e degli artifici su indicati, condotte già concretamente idonee, anche singolarmente, a provocare una sensibile alterazione del prezzo dell'azione ordinaria Antonveneta, Fiorani (amministratore delegato di Bpi) intervenendo direttamente sulla formulazione dei comunicati-stampa, Benevento (presidente del consiglio di amministrazione di Bpi) e Zoncada (presidente del cda di Bipielle Suisse, consigliere di amministrazione e membro del comitato esecutivo di Bpi) conoscendola, avallandola e favorendone l'approvazione in sede di cda, Boni (direttore finanziario di Bpi), Savarè (direttore centrale amministrativo di Bpi) e Vismara (direttore centrale corporate management di Bpi), Lucchini (responsabile divisione mercati finanziari di Bpi) operando in sotto ordine rispetto a Boni e Rovelli (responsabile funzioni afferenti reperimento fondi, emissione obbligazioni, cartolarizzazione ed operazioni strutturate) predisponendo la documentazione di supporto ai comunicati stampa, in concorso tra loro e con Gnutti, Lonati Ettore, Lonati Tiberio, Lonati Fausto, Consorte, Sacchetti, Ricucci, Coppola, nella loro qualità di "pattisti occulti" nella scalata all'Antonveneta, diffondevano al mercato, le seguenti false notizie, anch'esse concretamente idonee, anche singolarmente, a provocare una sensibile alterazione del prezzo dell'azione ordinaria Antonveneta:- che Bpi non possedeva "né direttamente né indirettamente altre partecipazioni nel capitale sociale di Banca Antonveneta" oltre a quelle specificatamente indicate alle Autorità ed al mercato (comunicati Bpl del 9 e 16 marzo e del 6 aprile 2005);- che da parte di Bpi "...(la) determinazione (di collocarsi tra gli azionisti stabili di Banca Antonveneta) sarà assunta previa valutazione dei prezzi e delle quantità, compatibili con l'esigenza di non creare turbative di mercato. Tutto ciò, ovviamente nell'ambito delle prescritte autorizzazioni, che si situano sotto la soglia fissata nell'art. 106 del decreto legislativo n. 58/1998" (comunicato Bpl del 12 aprile 2005);- che "l'attività di intermediazione per conto terzi sul titolo Banca Antonveneta, svolta da Bpl nel rispetto formale e sostanziale delle vigenti disposizioni, non ha alcun nesso con la partecipazione detenuta né tantomeno con pretesi accordi con gli attuali azionisti di Banca Antonveneta" (comunicati Bpl del 16 marzo e del 6 aprile 2005);- che non sono stati "stipulati accordi (opzioni, contratti preliminari, a termine o condizionati, accordi per gli acquisti o per il voto) aventi per oggetto le azioni di Banca Antonveneta e di non aver concluso in forma scritta o in altra forma patti parasociali con azionisti della medesima banca" (comunicati Bpl del 16 marzo e del 6 aprile 2005);- che, secondo quanto deliberato dal cda di Bpl, "l'eventuale acquisto... non dovrà comunque comportare il superamento della soglia del 30%" (comunicato Bpl del 15 aprile);- che il gruppo, facente capo all'imprenditore Stefano Ricucci, definiva come destituita di ogni fondamento la notizia di stampa secondo cui il Gruppo avrebbe ricevuto da istituti bancari un finanziamento finalizzato all'acquisto di azioni Antonveneta, ribadendo che l'acquisto era stato eseguito con mezzi propri (comunicati stampa del 19 aprile su varie agenzie),così ingenerando, nel mercato, la convinzione che Bpl non avesse acquistato titoli (direttamente o per interposta persona), in quantità superiore a quella di volta in volta comunicata, che non intendesse superare la soglia di cui all'art. 106 tuf e che non esistesse un "concerto occulto" come poi accertato da Consob con delibere del 10.5.2005 e del 22.7.2005;condotte tutte poste in essere con il concorso morale del Governatore Fazio e del capo Vigilanza Frasca della Banca d'Italia e del Sen. Grillo, i quali suscitavano e rafforzavano il progetto criminoso;in particolareFazio, anche in violazione dei doveri e degli obblighi inerenti la carica di Governatore della Banca d'Italia,- assumeva, con Fiorani, dapprima l'impegno di ostacolare Abn-Amro nell'eventuale incremento della partecipazione in Antonveneta (garantendogli che comunque mai l'avrebbe autorizzata a salire oltre il 12-13%) e, successivamente al lancio dell'Opa, da parte della stessa Abn, ritardava il rilascio delle necessarie autorizzazioni, per consentire a Bpi di proseguire nel rastrellamento occulto di azioni Bapv;- esortava Fiorani e Boni, nel corso di periodici incontri riservati, a superare, con le acquisizioni indirette di partecipazioni e la costituzione dei patti occulti sopra indicati, le soglie autorizzazioni da Banca d'Italia, rispettivamente, in data 14 febbraio 2005 (fino al 14,9%) ed in data 7 aprile 2005 (fino al 29.9%), istigando, gli stessi Fiorani e Boni, a proseguire nella scalata occulta;- approvava, la sera prima dell'assemblea ordinaria di Antonveneta per il rinnovo delle cariche sociali (30 aprile 2005), le strategie di voto concordate dai pattisti occulti;- incitava Fiorani e Boni ad "andare avanti" anche dopo l'atto di accertamento del 10 maggio 2005 pur sapendo che del "concerto" facevano parte altri soggetti (tra cui Ricucci) non ancora inseriti dalla Consob tra i concertisti;Frasca, anche in violazione dei doveri e degli obblighi inerenti la carica di Capo del Servizio di Vigilanza della Banca d'Itlaia,- partecipava agli incontri riservati nei quali il Governatore veniva informato da Fiorani e Boni, delle acquisizioni di partecipazioni indirette e dei patti, manifestando, con la stessa presenza e l'esplicito assenso alla linea del Governatore Fazio, il suo atteggiamento di favore a Bpi, specialmente quale a Capo della Vigilanza della Banca d'Italia;-si metteva, altresì, a disposizione per fronteggiare l'eventuale insorgenza di problematiche tra Bpi ed il Servizio di Vigilanza, nel corso dell'"operazione Antonveneta".Grillo - contribuiva a trasferire, da Fazio a Fiorani, informazioni riservate riguardanti l'iter dei procedimenti di autorizzazione e le iniziative del servizio di vigilanza della Banca d'Italia nei confronti di Bpi;- nello svolgimento dell'attività descritta al precedente punto, forniva ai suoi interlocutori consigli e incoraggiamenti, specialmente a Fiorani, esortandolo a proseguire nella "scalata occulta" all'Antonveneta anche in presenza delle "difficoltà" che nel frattempo erano intervenute (accertamento del concerto in data 10 maggio 2005, iniziative della Magistratura).Con le circostanze aggravanti di aver commesso il reato con il concorso di un numero di persone superiore a cinque nonché, per Fiorani e Fazio, per aver promosso la cooperazione nel reato, per Fiorani per aver promosso e organizzato la cooperazione nel reato oltre che diretto l'attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo e, per Gnutti, per aver diretto, d'intesa con Fiorani, l'attività di Marinelli Luciano e Marinelli Bruno, Marinelli Valerio, Marniga Romano Giuseppe, Pasotti, Bossini, Palazzani, Bertoli Fiorenzo, Bertoli Evaristo, Bertoli Fabio Antonio, Bertoli Sandro Ridolfo, Bertoli Antonio, Consoli (gruppo dei c.d. brestiani) oltre che dei pattisti occulti Lonati Ettore, Lonati Tiberio, Lonati Fausto.In Milano dall'inizio di novembre 2004 sino al 22 luglio 2005.***Fiorani, Benevento, Boni, Savarè, Vismara, Lucchini, Gnutti, Marinelli Luciano, Marniga, Lonati Ettore, Lonati Tiberio, Lonati Fausto, Ricucci, Fransioni, Consorte, Sacchetti, Coppola, Sunino, ColnagoC. del delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, 112, comma 1, n. 2), 61 n. 2 c.p., 2638, commi 1 e 2 c.c., perché in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e in continuazione con i fatti di cui al capo B,Fiorani quale amministratore delegato e Benevento quale presidente del consiglio di amministrazione di Bpi, in concorso tra loro e con Boni, Lucchini, Savarè, Vismara, esponenti bancari di Bpi con funzioni dirigenziali e preposti alla redazione dei documenti contabili societari per le rispettive aree di competenza, segnatamente: Boni e Lucchini per l'area finanza, Savarè per l'area amministrazione e Vismara per l'area corporate, in concorso tra loro (...),consapevolmente ostacolavano le funzioni di vigilanza della Consob con le seguenti condotte:- a seguito di richiesta ex art. 115 tuf, di comunicare se gli acquisti di azioni Antonveneta effettuati da Moreschi Claudio, Moreschi Sergio, Marinelli Luciano, Marinelli Bruno, Marinelli Valerio, Marniga Romano Giuseppe, Pasotti, Bossini, Palazzani, Bertoli Fiorenzo, Bertoli Evaristo, Bertoli Fabio Antonio, Bertoli Sandro Ridolfo, Bertoli Antonio, Consoli, Lonati Ettore, Lonati Tiberio, Lonati Fausto (pari al 15,23% del capitale di Antonveneta) erano stati finanziati dalla banca rispondevano: "Bipielle non ha deliberato linee di credito finalizzate all'acquisto di azioni di banca Antonveneta di 18 committenti finali. Costoro godono di ordinarie facilitazioni creditizie concesse da questa banca nell'ambito della consueta valutazione del merito creditizio, della solvibilità e della capacità di rimborso dei clienti" (in data 7.3.2005), versione confermata, in sede di audizione, da Fiorani e Boni (in data 9.3.2005) e, successivamente, ribadita con il comunicato stampa del 16.3.2005 (riportato al capo B), così occultando che i finanziamenti erano stati erogati e gestiti dalla stessa banca esclusivamente per l'acquisto delle azioni di Antonveneta;- omettevano di dichiarare alla Consob, in violazione dell'art. 122 tuf e della disciplina concernente l'offerta pubblica di acquisto obbligatoria (art. 102 e ss tuf), l'avvenuta stipulazione di un patto parasociale avente ad oggetto l'acquisto concertato di azioni ordinarie della banca Antonveneta e l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante sulla banca stessa, nei termini accertati da Consob con delibera n. 15029 del 10.5.2005, negandone l'esistenza in sede di audizione;- omettevano, anche dopo l'atto di accertamento del 10.5.2005 (delibera n. 15029) e sempre in violazione dell'art. 122 tuf e della disciplina concernente l'offerta pubblica di acquisto obbligatoria (art. 102 ss. Tuf), di dichiarare alla Consob, la partecipazione al patto della Magiste International S.a.;in particolare:- veniva occultata la riconducibilità al "Gruppo Ricucci" di Garlsson Real Estate S.a. Ltd, che aveva acquistato azioni Antonveneta con finanziamenti di Bpl Suisse, garantiti da fideiussione di Bpl;- Ricucci e Fransoni, sia rispondendo a richieste scritte della Consob sia in sede di audizione fornivano false informazioni anche in violazione dell'art. 120 tuf in materia di comunicazione di partecipazioni rilevanti riguardo all'effettiva partecipazione in Antonveneta, riferibile al "Gruppo Ricucci", e negavano l'esistenza di patti occulti;- Ricucci e Fiorani, previo accordo, nel corso delle rispettive audizioni (in data 8 e 12 luglio 2005) e con successiva nota congiunta (pervenuta alla Consob in data 15 luglio 2005), negavano che la bozza manoscritta dell'intervento di Fransoni quale rappresentante del "Gruppo Ricucci" all'assemblea ordinaria di Antonveneta (30 aprile 2005), fosse stata tra loro stessi concordata, così ulteriormente occultando l'esistenza del concerto poi accertato da Consob con la delibera n. 15115 del 22 luglio 2005;- omettevano, nelle comunicazioni concernenti le partecipazioni detenute da Bpi in Antonveneta, dovute ai sensi dell'art. 120 tuf e della normativa secondatia (Regolamento emittenti approvato con delibera Consob n. 11971/99), nonché in riscontro a specifiche richieste formulate da Consob ai sensi dell'art. 115 tuf, di dichiarare le azioni Antonveneta, detenute dalla stessa Bpi, per il tramite di Generation Fund, Active Fund e Momentum Fund, riconducibili a Colnago e che agivano, quali interposti della banca (come accertato da Consob con delibera n. 15116 del 22 luglio 2005).Con le circostanze aggravanti di aver commesso il reato con il concorso di un numero di persone superiore a cinque e per eseguire ed occultare il reato di manipolazione dell'azione ordinaria Antonveneta (contestato sub B.).In Roma da novembre 2004 sino al 22 luglio 2005.***Fiorani, Benevento, Boni, Gnutti, Marinelli Luciano, Marniga, Lonati Ettore, Lonati Tiberio, Lonati Fausto, Ricucci, Fransoni, Consorte, Sacchetti Coppola, Zunino, ColnagoD. del delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, 112, comma 1, n. 1), 61 n. 2 c.p., 2638, commi 1 e 2 c.c. perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso ed in continuazione con i fatti di cui al capo B.,Fiorani quale amministratore delegato e Benevento quale presidente del consiglio di amministrazione di Bpi, in concorso tra loro e con Boni, che agiva in stretta collaborazione con l'amministratore delegato, in concorso tra loro, (...)consapevolmente ostacolavano le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia omettendo, in violazione delle disposizioni di cui all'art. 20, comma 2 tub, di comunicare l'esistenza di un patto parasociale del quale derivava, in particolare, l'esercizio concertato del voto nell'assemblea ordinaria per il rinnovo delle cariche sociali di Antonveneta (30 aprile 2005), con la nomina di tutti i rappresentanti della lista di Bpl.Con le circostanze aggravanti di aver commesso il reato con il concorso di un numero di persone superiore a cinque e per eseguire ed occultare il reato di manipolazione dell'azione ordinaria Antonveneta (contestato sub B.).In Roma da novembre 2004 sino al 22 luglio 2005.***Fiorani, Benevento, Zoncada, Olmo, Savoldi, Visconti di Mondrone, Premoli, Gattoni, Mayr, Molinari, Chiaravalle, Pavesi, Tessera, Castellotti, Ferrari Francesco, Lanzoni, Zucchetti, Goisis, Vesce, Bonazzi, Araldi, Quartieri, Boni, Lucchini, Rovelli, Savarè, Vismara, D'Amico, GnuttiE. del delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, 113, comma 1, n. 1), 61 n. 2 c.p., 2638, commi 1 e 2 c.c., perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e in continuazione con i fatti di cui al capo B.,Fiorani (quale amministratore delegato), Benevento (quale presidente del consiglio di amministrazione), Zoncada, Olmo, Savoldi, Visconti di Modrone, Premoli, Gattoni, Mayr, Molinari, Chiaravalle, Pavesi, Tessera, Castellotti, Ferrari, Lanzoni, Zucchetti (quali consiglieri di amministrazione di Bpi), in concorso tra loro,ed, inoltre, con Goisis, Vesce, Bonazzi, Araldi, Quartieri membri del collegio sindacale di Bpi, e con Boni, Lucchini, Rovelli, Savarè, Vismara, D'Amico esponenti bancari di Bpi con funzioni dirigenziali e preposti alla redazione dei documenti contabili societari per le rispettive aree di competenza, segnatamente: Boni, Lucchini e Rovelli per l'area finanza, Savarè per l'area amministrazione, Vismara per l'area corporate, D'Amico, responsabile della direzione centrale organizzazione, incaricato dall'amministratore delegato di curare le relazioni con le autorità di vigilanza,nonché in concorso con Gnutti, quale amministratore di Gp Finanziaria spa (il cui apporto causale e consistito nel contribuire, con la propria condotta materiale, a retrodatare il contratto di cessione di partecipazioni di minoranza dal gruppo Bpi a Gp Finanziaria),consapevolmente ostacolavano le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia (...).***FioraniF. del delitto di cui all'art. 2638, commi 1 e 2 c.c., perché, quale amministratore delegato della Bipielle (ora Bpi), sentito dagli ispettori della Consob in data 27 giugno 2002, relativamente alla procedura aperta dalla Commissione sulla acquisizione da parte di Bpi della Banca Popolare di Crema, al fine di occultare il "portage" effettuato da Beccaria sui titoli della banca "scalata", falsamente dichiarava:"All'epoca del rilascio delle fideiussioni, Beccaria era uno dei principali soci della Bpl nonché uno dei clienti di riferimento della banca (che era esposta per circa 250 miliardi di lire nei confronti del gruppo Beccaria). Beccaria operava spesso sia in titoli che nell'investimento di aziende; aveva rapporti molto stretti sia con Mazza sia con il Consiglio di Amministrazione. Dopo la morte di Mazza decisi di alleggerire l'esposizione della Bpl nei confronti di Beccaria suggerendogli di razionalizzare le sue partecipazioni per ridurre il grado di rischio. La banca non era a conoscenza delle modalità di impiego, da parte del Beccaria, delle somme ottenute; comunque non si può escludere che le abbia utilizzate per acquistare azioni Banca Popolare di Crema, così come del resto per qualsiasi altro titolo".Circostanze tutte non vere in quanto Beccaria aveva svolto il ruolo di mero prestanome della Bpl, schermandola quale beneficiario e procuratore dei conti svizzeri presso Bdl-Lugano, Sbs-Lugano e Ubs-Londra, intestati a società off-shore ma garantiti da collateral finanziati dalla stesssa Bpl e utilizzati per "parcheggiare" i titoli della Banca Popolare di Crema, ceduti dalla Summa s.a. al gruppo Bipielle, con contratto stipulato in Lugano il 26 febbraio 1996 tra la predetta fiduciaria elvetica e lo stesso Fiorani, che sottoscriveva quale direttore generale della Banca Mercantile Italiana.In Roma il 27 giugno 2002.***Fiorani, Spinelli, Quartieri, Ferrari MarinoG. del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv c.p., 136, commi 1 e 2 d. leg.vo 385/1993 e successive modifiche (t.u.b.), perché Fiorani amministratore delegato della Bpi, Quartieri quale sindaco di Bpi in concorso tra loro, con più azioni in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, contraevano obbligazioni con la Bpi, erogando (Fiorani anche direttamente) finanziamenti a numerose società immobiliari agli stessi riconducibili, tra le quali: Arcene Immobili srl, Arcene Infra srl, Borgo Centrale spa, Borgo Nobile srl, Edilchiara Immobiliare srl, Frontemare srl, Giorni Sereni srl, Immobiliare Marinai d'Italia srl, Liberty srl, Patrimoniale degli Orsi srl, Perca srl, Pmg.In assenza sia delle previe deliberazioni dei competenti organi di amministrazione sia del voto favorevole di tutti i componenti dei competenti organi di controllo, non essendo stata neanche segnalata la situazione di conflitto.In Lodi fino al 2.8.2005.***Fiorani, Marmont, ContiH. del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv, 646, 61 n. 7 e n. 11 c.p., perché Fiorani in qualità di amministratore delegato di Bpl, Marmont e Conti, quali fiduciari dei venditori (Gruppo Bassani) e, da questi, delegati a trattare l'operazione in concorso tra loro, con più azioni in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, per procurarsi un ingiusto profitto, si appropriavano di una parte del prezzo pagato da Bpl ai proprietari della Banca Adamas, il cui pacchetto azionario veniva interamente acquisito in tre tempi con il contemporaneo pagamento dei corrispettivi (per le singole tranche), maggiorati della quota stimabile, come non inferiore a 5-6 milioni di euro, retrocessa da parte venditrice, per il tramite di Conti e Marmont, su conti esteri (presso Bdl-Lugano e Pkb-Lugano), riconducibili a Fiorani; ed, in particolare, in data 26 settembre 2002, trasferivano dal conto Basinco Nv (società del Gruppo Bassani) presso Bipielle Suisse al conto Strozzi presso Pk-Lugano, riferibile a Fiorani, la somma di euro 3.450.000.Con le circostanze aggravanti di aver commesso il fatto cagionando alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità nonché di aver commesso il fatto con abuso di prestazione di opera.In Milano ed in Lugano dal 2000 al 2003.***Fiorani, Zoncada, Marmont, Conti, Corbini, Quartieri, GhioldiI. del reato di cui agli artt. 110, 646, 61 n. 7 e n. 11 c.p. perché, in concorso tra loro, Fiorani (in qualità di amministratore delegato di Bpl e con incarico, da parte del cda di Bpl re, di alienare la società Mizar, proprietaria degli asset immobiliari già appartenenti alle casse del Tirreno); Zoncada (quale Presidente di Bipielle Suisse e consigliere di amministrazione di Bpl); Conti e Marmont anche quali consiglieri del cda di Bpl Suisse; Corbini (quale amministratore delegato della Cassa di Risparmio di Livorno); Quartieri (che agiva quale prestanome di Fiorani, che lo aveva delegato a curare), Ghioldi (quale consulente e fiduciario svizzero),al fine di trarne profitto, si appropriavano di una parte del corrispettivo pagato da Castrucci Riccardo per acquisire, tramite Cre Sen srl, le quote, possedute dai soci Yol Trading Ltd (di cui Conti e Marmont figuravano quali soci e Fiorani era "socio occulto"), Conti e Marmont, di Mizar srl, società-veicolo costituita da Basileus spa, a sua volta controllata al 100% da Bpl Real Estate, e nella quale erano stati conferiti gli asset immobiliari già appartenenti alle casse del Tirreno ed iscritto il debito verso Efibanca, dell'importo di circa 50.000.000 di euro, utilizzati dal Gruppo Bpl per rilevarli;in particolare:- subordinavano un significativo sconto sul prezzo delle quote di Mizar al pagamento di una quota parte "in nero" ed all'estero;- Quartieri, su delega di Yol Trading Ltd e di Conti e Marmont perfezionava il contratto e riceveva da Castrucci un milione di euro quale corrispettivo (puramente formale) da iscrivere nel rogito per la cessione delle quote di Mizar srl e Cre.Sen srl;- Bipielle Suisse, concedeva, con la garanzia fideiussoria della Cassa di Risparmio di Livorno, finanziamenti alle società Coconuts e Ben.Ben (riferibili a Castrucci, anche per il tramite di Floriani Eliano), rispettivamente per euro 11.000.000 e per euro 3.640.000;- Ghioldi riceveva due assegni circolari, tratti sul conto Coconuts (uno di tre e l'altro di otto milioni di euro) entrambi a lui intestati, per essere poi spartiti, all'estero, con Fiorani, Conti, Marmont, Quartieri e Zoncada;- Corbini (per il tramite di Floriani) riceveva euro 500.000 in contanti e disponeva il trasferimento di euro 2.7500.000,00 dal conto Ben.Ben al conto nr. 72789, intestato Apparecida, presso Bdl di Lugano.Con le circostanze aggravanti di aver commesso il fatto cagionando alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità nonché di aver commesso il fatto con abuso di prestazione di opera.In Lugano ed in Italia nel novembre 2003 (...).***Fiorani, Benevento, Ferrari Francesco, Zoncada, Savoldi, Boni, Araldi, Quartieri, Spinelli, Savarè, Lucchini, Marini, Vismara, Besozzi, Beccaria, Sechi, Gallotta, Orsini, Galetti, Tamagni, Ferrari Marino, Ferrari Aggradi, Conca, Galetti, Bertagnoli, Roveda, Gnutti, GrilloK. del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv, 646, 61 n. 7 e n. 11 c.p., perché in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto Fiorani quale amministratore delegato, Benevento quale presidente del consiglio di amministrazione, Ferrari Francesco, Zoncada e Savoldi quali consiglieri, Araldi e Quartieri anche quali sindaci, Boni in qualità di direttore finanziario, Spinelli quale consulente esterno ed ex dirigente, Savarè quale responsabile dell'area amministrazione, Vismara in qualità di responsabile dell'area corporate e Lucchini quale dirigente dell'area finanza di Bpi in concorso tra loro e con numerosi clienti della banca tra cui Besozzi, Beccaria, Gallotta, Sechi, Orsini, Tamachi, Ferrari Marino, Ferrari Aggradi, Conca, Galetti, Bertagnoli, Marini, Roveda, Gnutti e Grillo, per gli altri si procede separatamente con i quali (tutti) era stato stipulato un accordo di spartizione dei profitti, si appropriavano, operando, in violazione delle procedure contabili e di antiriciclaggio nonché dei vincoli contrattuali, e con le modalità di seguito indicate:- accredito, anche per il tramite delle cosiddette partite viaggianti, su conto terzi (clienti sopra menzionati) anziché su conto proprio della banca, di premi (quali up front) e/o utili conseguenti ad operazioni su derivati, effettuate, gestite e realizzate dalla Banca con risorse proprie, e, pertanto di competenza della banca stessa;- accredito, anche per il tramite delle cosiddette partite viaggianti, su conto terzi (clienti sopra menzionati), conseguenti ad operazioni anomale (non di mercato bensì "costruite a tavolino") su titoli compiute a nome dei clienti (medesimi) in contropartita con altri soggetti (diversi dalla banca);- accredito, anche per il tramite delle cosiddette partite viaggianti, su conto terzi (clienti sopra menzionati), senza alcuna apparente giustificazione (ad es. trasferimento di somme da conto a conto),di oltre 100.000.000 di euro, ed in particolare:Besozzi di circa 3.000.000 di euro (da aprile 2002 a maggio 2005), Beccaria di circa 20.000 euro (24 dicembre 2002), Sechi di circa 12.000.000 di euro (dal 24 dicembre 2002 al 13 giugno 2005), Gallotta di circa 3.000.000 di euro (dal 2001 al 24 dicembre 2002), Orsini di circa 5.500.000 euro (nel 2002 e nel 2005), Tamagni di circa 3.650.000 di euro (nel marzo 2003), Ferrari marino di circa 560.000 euro (il 17 giugno 2004), Ferrari Aggradi di circa 2.300.000 euro (dal 16 dicembre 2003 al 17 dicembre 2003), Conca di circa 1.000.000 di euro (17 dicembre 2004), Galetti di circa 3.300.000 euro (dal 29 aprile 2003 al 15 maggio 2003), Bertagnoli di circa 3.000.000 di euro (dal 2001 fino al 13 dicembre 2005), Marini di circa 629.000 euro (il 17 dicembre 2004), Roveda di circa 5.000.000 di euro (dal 2001 al maggio 2005), Gnutti di circa 10.000.000 di euro (dal 2001 al 13 dicembre 2005), Grillo di circa 44.000 euro (nel 2005). Con le circostanze aggravanti, per tutti, di aver commesso il fatto cagionando alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità, per Fiorani, Benevento, Ferrari Francesco, Zoncada, Savoldi, Boni, Araldi, Quartieri, Spinelli, Savarè, Lucchini, Vismara per aver commesso il fatto con abuso di prestazione di opera.In Lodi ed altrove (sia in Italia che all'estero) dal 2001 fino al 13 dicembre 2005.***Fiorani, Boni, Spinelli, SavarèL. del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv, 646, 61 n. 7 e n. 11 c.p., perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto Fiorani in qualità di amministratore delegato di Bpl, Boni in qualità di direttore finanziario di Bpl, Spinelli quale consulente esterno ed ex dirigente di Bpl, Savarè quale responsabile dell'area amministrazione di Bpi in concorso tra loro, si appropriavano, di circa 1.865.000 euro prelevandoli, in contanti, direttamente dal caveau della banca e contabilizzandoli come sopravvenienze passive. Con le circostanze aggravanti, per tutti, di aver commesso il fatto cagionando alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità e con abuso di prestazione di opera.In Lodi dal 2000 al 2 agosto 2005. ***Fiorani, BoniM. del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv, 640 cpv n. 1, 61 e n. 11 c.p., perché, in concorso tra loro, Fiorani quale amministratore delegato e Boni quale responsabile dell'area Finanza di Bpi, mediante artifizi, inducendo in errore l'Erario sull'entità dei capital gain cui applicare l'imposta del 12,5%, si procuravano l'ingiusto profitto con corrispondente danno per l'Erario pari ad euro 3.668.000 (somma di imposta dovuta e ad oggi non versata); artifici consentiti nel registrare in contabilità e, correlativamente, sul conto Erario importi di capital gain inferiori a quelli effettivamente realizzati.Con le circostanze aggravanti di aver agito cagionando all'Erario un danno patrimoniale di rilevante entità e con abuso delle rispettive qualifiche.In Lodi dal 16.11.2001 al 18.2.2003.

 

 

Sono ben 28 gli esponenti del nostro territorio chiamati in causa nel documento che riassume il lungo lavoro di inchiesta dei pm Come abbiamo anticipato sul Cittadino di ieri, la procura di Milano ha depositato giovedì 15 febbraio l'"Avviso di conclusione delle indagini" sulla fallita scalata della Banca Popolare Italiana alla Antonveneta. Sono indagate 84 persone fisiche e nove società, a cui l'avviso di chiusura indagini è stato notificato. Ricordiamo ai nostri lettori che per tutti quanti, finché non saranno celebrati i processi e non saranno state emesse le definitive sentenze, permane la presunzione di non colpevolezza. "Il Cittadino" in tutti questi mesi ha dedicato a questa vicenda centinaia di articoli, sollevando un enorme interesse tra i lettori. Ai fini di assicurare una doverosa informazione, pubblichiamo - senza commenti - alcuni stralci del documento emesso dalla Procura della Repubblica di Milano, in particolare quelle parti che coinvolgono le personalità del Lodigiano. "Il Pubblico Ministero, visti gli atti del procedimento penale in epigrafe nei confronti di (seguono i nomi di nove società e di 84persone fisiche a cui è stato notificato l'avviso di conclusione delle indagini: Roberto Araldi (Milano), Carlo Baietta (Carpiano), Giampiero Beccaria (Brescia), Giovanni Benevento (Lodi), Antonio Cesare Bersani (Borgonovo Val Tidone), Bruno Bertagnoli (Milano), Antonio Bertoli (Brescia), Evaristo Bertoli (Lumezzane), Fabio Antonio Bertoli (Lumezzane), Fiorenzo Bertoli (Lumezzane), Sandro Ridolfo Bertoli (Lumezzane), Giuseppe Besozzi (Vizzolo Predabissi), Paolo Giacinto Bonazzi (Milano), Gianfranco Boni (Lodi), Leonardo Bossini (Molinetto di Mazzano), Guido Castellotti (Lodi), Giorgio Chiaravalle (Gallarate), Luigi Enrico Colnago (Cambiago), Massimo Conca (Tribiano), Enrico Consoli (Brescia), Giovanni Consorte (Bologna), Fabio Massimo Conti (Milano), Danilo Coppola (Roma), Giovanni Corbini (Siena), Roberto Corrada (Lodi), Gennaro D'Amico (Roma), Mario Dora (Brescia), Marcello Angelo Dordoni (Bescapè), Antonio Fazio (Alvito), Giuseppe Ferrari Aggradi (Lodi), Francesco Ferrari (Lodi), Marino Ferrari (Lodi), Gianpiero Fiorani (Lodi), Guglielmo Fransoni (Roma), Francesco Maria Frasca (Roma), Eraldo Galetti (Como), Luigi Gallotta (Sant'Angelo Lodigiano), Carlo Gattoni (Meleti), Francesco Ghioldi (Casale Monferrato), Emilio Gnutti (Brescia), Gianandrea Goisis (Lodi), Luigi Grillo (La Spezia), Domenico Lanzoni (Imola), Ettore Lonati (Botticino Mattina), Fausto Lonati (Brescia), Tiberio Lonati (Brescia), Pierluigi Lucchini (Codogno), Bruno Marinelli (Cellatica), Luciano Marinelli (Iseo), Valerio Marinelli (Brescia), Gianpiero Marini (Lodi), Paolo Umberto Giulio Marmont Du Haut Champ (Lugano), Giuseppe Romano Marniga (Lumezzane), Erich Mayr (Bolzano), Fabio Merusi (Calci), Luigi Amato Molinari (Rapallo), Claudio Moreschi (Brescia), Sergio Moreschi (Brescia), Giorgio Olmo (Crema), Francesco Orsini (Montanaso), Luigi Pacchiarini (Borgo San Giovanni), Marco Palazzani (Brescia), Marino Pasotti (Carpenedolo), Carlo Pavesi (Lodi Vecchio), Antonio Premoli (Lodi), Aldino Quartieri (Lodi), Paolo Secondo Raimondi (Ospedaletto), Stefano Ricucci (Roma), Gaudenzio Roveda (Milano), Andrea Rovelli (Milano), Ivano Sacchetti (Reggio Emilia), Attilio Savarè (Lodi), Osvaldo Savoldi (Ghedi), Marco Sechi (Milano), Silvano Spinelli (Lodi), Sergio Tamagni (Zelo Buon Persico), Enrico Tessera (Lodi), Francesco Vesce (Torino), Gianmaria Visconti di Modrone (Grazzano Visconti), Giovanni Vismara (Milano), Desiderio Zoncada (Lodi), Domenico Zucchetti (Lodi), Claudio Agostino Zulli (Brescia), Luigi Zunino (Nizza Monferrato), informa le persone fisiche e giuridiche sopraindicate che questo Ufficio sta procedendo ad indagini in ordine ai reati ed agli illeciti amministrativi da reato di seguito indicati.***Fiorani, Spinelli, Boni, Quartieri, Ferrari Marino, Marmont Du Haut Champ, Conti, GhioldiA. del reato di cui all''art 416, commi 1, 2 e 3 c.p., per essersi associati fra di loro, allo scopo di commettere, continuativamente nel tempo: - attività di manipolazione del mercato (art. 185 t.u.f) e di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza (art 2638 c.c.), poste in essere, già, con riferimento all'acquisizione della Banca Popolare di Crema e, da ultimo, alla scalata della Banca Antonveneta, finalizzate, con il concorso di soggetti esterni all'associazione, a conseguire illecitamente il controllo degli istituti di credito ed il profitto derivante da plusvalenze occulte; - appropriazioni indebite pluriaggravate (art. 646, 61 n.. 7 e n. 11 c.p.) in danno della Banca Popolare Italiana (già Banca Popolare di Lodi), consistite nell'appropriarsi di una parte del prezzo stabilito per l'acquisto/vendita di asset di pertinenza della banca e nel far conseguire utili e/o altri proventi ad un gruppo di clienti selezionati con alcuni dei quali esistevano accordi di spartizione del profitto; - violazioni dell'art. 136 t.u.b. per erogare finanziamenti (anche a tassi particolarmente agevolati e senza garanzie) a società di cui Fiorani era socio occulto e/o a persone fisiche che dello stesso Fiorani erano prestanome e/o soci; - atti di infedeltà anche a seguito della dazione e promessa di utilità (artt. 2634 c.c.) consistiti, in particolare, nel compiere atti di disposizione dei beni sociali in conflitto di interessi ed a danno della banca; - operazioni di riciclaggio (art. 648-bis, c.p.), mediante le quali ostacolare l'identificazione della provenienza del denaro illecitamente conseguito. In particolare:Fiorani Gianpiero - amministratore delegato di Bpi fino al 2 agosto 2005 - costituiva, promuoveva, organizzava e dirigeva l'associazione criminosa: - individuando le operazioni immobiliari e finanziarie dalle quali trarre illeciti profitti, tra cui la scalata alla Banca Antonveneta (condotta con modalità manipolative ed ostacolando l'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza); - occupandosi, personalmente o per il tramite di soggetti di sua fiducia, delle trattative, anche occulte, relative all'acquisizione della Banca Adamas ed alla dismissione degli asset immobiliari del Gruppo Bipielle (operazione "Mizar-Casse del Tirreno"), trattative dalle quali conseguiva, per sé e per alti, ingenti profitti illeciti; - creando strutture estere off-shore con conti presso banche svizzere, monegasche, del Jersey e di Singapore per occultare il provento delle operazioni di cui al precedente punto e delle cifre descritte ai successivi; - seguendo di persona - sia in comitato esecutivo che in consiglio di amministrazione e comunque valendosi della sua posizione apicale all'interno del Gruppo Bipielle le procedure per la concessione di linee di credito (anche a tassi agevolati e senza prestazione di garanzie) con le quali finanziare operazioni mobiliari ed immobiliari di interesse per l'organizzazione; - favorendo l'apertura di conti correnti e dossier titoli e l'erogazione di finanziamenti a "clienti privilegiati", i cui conti venivano gestiti direttamente dall'area finanza della banca; Boni Gianfranco - direttore finanziario di Bpi - promuoveva ed organizzava l'associazione criminosa: - adoperandosi per l'apertura di conti correnti e dossier titoli e curando personalmente i "clienti privilegiati", con i quali erano stati raggiunti preventivi accordi per la spartizione dei profitti delle operazioni di trading mobiliare (anche "costruite ad hoc"); - disponendo ingiustificati trasferimenti di denaro di pertinenza della banca a favore dei conti dei predetti clienti; - curando materialmente la spartizione degli utili con prelievi in contanti ed assegni circolari; - creando strutture estere off-shore con conti presso banche svizzere e monegasche per occultare profitti illeciti; - essendo, sostanzialmente, l'alter ego dell'amministratore delegato nell'attività dell'associazione all'interno della banca;Spinelli Silvano - consulente esterno, ex dirigente di Bpi - promuoveva ed organizzava l'associazione criminosa: - individuando operazioni immobiliari e finanziarie dalle quali trarre illeciti profitti; - creando strutture societarie, sia italiane che estere, per "schermare" la partecipazione di Boni e Fiorani (del quale fungeva anche da prestanome) in operazioni mobiliari ed immobiliari finanziate da Bpi (a tassi agevolati - e, quasi sempre, senza prestazione di garanzie);- curando l'apertura di conti esteri e la costituzione di società off-shore, da utilizzarsi per occultare il provento delle operazioni mobiliari ed immobiliari; - individuando, tra la clientela "storica" della banca Popolare di Lodi, una serie di clienti "privilegiati" cui far aprire conti correnti e dossier titoli e far ottenere finanziamenti, per operare sul mercato mobi1iare, con l'accordo che i profitti dell'attività di trading, svolta in modo illegittimo (anche sfruttando informazioni privilegiate) dall'area finanza della banca, venivano spartiti in percentuali variabili fra i sodali e l'intestatario della relazione; - curando materialmente la spartizione degli utili con prelievi in contanti ed assegni circolari;Marmont, Conti, Ghioldi, i primi due consiglieri in Bipille Suisse e Conti anche in diverse società del Gruppo Bipielle, il terzo consulente legale nonché fiduciario svizzero - partecipavano all'associazione: - predisponendo e gestendo le strutture societarie ed i relativi rapporti bancari (accesi, soprattutto, presso Bdl - Jersey, Singapore e Lugano), in particolare mettendo a disposizione dell'organizzazione le società: Yol Tradtng Corporation, Zachs Engeneering corp, Marina Invest Sa, Celleck Financial Services Inc, Hinton Research Sa, Canterbury Global Sa, Borgo Nobile Sa, Victoria & Eagle, utilizzate per depositare i proventi delle attività illecite dell'associazione e per "schermare" la riconducibilità all'associazione delle società immobiliari/finanziarie italiane capitalizzate e/o finanziate con i proventi generati dalle illecite attività; - gestendo i conti esteri in Bdl riferibili a Fiorani, Spinelli e Boni, tra i quali il conto Targum ed i conti Brunner 1e 2; - Ghioldi altresì agendo quale procuratore di diverse società off-shore, fiducianti della Compagnia Fiduciaria Nazionale spa, con sede a Milano, utilizzata per intestazioni fiduciarie di società riconducibili a Fiorani e Spinelli;Quartieri Aldino - sindaco di Bpi - partecipava all'associazione criminosa: - costituendo o figurando nella compagine sociale/domiciliando/rappresentando (pure per procura)/amministrando anche di fatto le società italiane ed estere di cui Fiorani era socio occulto, ed in particolare: Giorni Sereni srl, Marinai d'Italia srl, Perca srl, Liberty srl, Pmg srl, Frontemare srl, Arcene Immobili srl, Arcene Infra srl, Edilchiara srl, Patrimoniale Degli Orsi srl, Borgo Nobile srl, Borgo Centrale spa, Yol Trading, Zachs Engeneerng, società utilizzate in operazioni mobiliari ed immobiliari fra le quali la cessione degli immobili già delle Casse del Tirreno; Ferrari Marino partecipava all'associazione criminosa: - svolgendo il ruolo di prestanome di Fiorani in varie operazioni immobiliari tra le quali quella realizzata con la Liberty srl (relativa ad una villa a Cap Martin, in Costa Azzurra) e con Giorni Sereni srl (relativa ad un'altra villa in località Cala di Volpe, Sardegna) nonché in operazioni di trading mobiliare realizzate con Borgo Centrale spa. Con le circostanze aggravanti specificatamente contestate in relazione ai ruoli.Associazione operante in Milano ed altrove dal 1997 al 13 dicembre 2005 [data dell'arresto di Fiorani, Boni, Spinelli e Conti].***Fiorani, Boni, Benevento, Zoncada, Savarè, Vismara, Lucchini, Rovelli, Spinelli, Fazio, Frasca, Grillo, Gnutti, Ricucci, Coppola, Consorte, Sacchetti, Lonati Ettore, Lonati Tiberio, Lonati Fausto, Moreschi Claudio. Moreschi Sergio, Marinelli Luciano, Marniga, Bertoldi Fiorenzo, Pasotti, Bossini, Marinelli Bruno, Palazzani Marco, Bertoli Fabio, Antonio, Bertoli Evaristo, Bertoli Antonio, Bertoli Sandro Ridolfo, Consoli, Besozzi, Marinelli Valerio, Baietta, Bersani, Conca, Corrada, Dora, Dordoni, Ferrari Aggradi, Gallotta, Marini, Orsini, Pacchiarini, Raimondi, Roveda, Tamagni, Colnago B. del reato di cui agli artt. 110, 112, comma 1, n. 1) e n. 2), 81 cpv c.p., 185 t.u.f. (come mod.to dalla legge 62/2005 e dalla Legge n. 262/2005), perché, in concorso tra loro, in numero superiore a dieci, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, realizzate operando con modalità, commissive ed omissive, volte ad eludere le prescrizioni di cui all'art. 106 t.u.f. e gli obblighi di informazione al mercato previsti dagli artt. 114, 120, 121, 122. t.u.f., ponevano in essere operazioni simulate ed altri artifici e diffondevano notizie false, condotte concretamente idonee, anche singolarmente, a provocare una sensibile alterazione del prezzo dell'azione ordinaria Antonveneta;in particolare:Fiorani (amministratore delegato di Bpi) e Boni (direttore finanzairio di Bpi) organizzando e dirigendo l'attività, Benevento (presidente del consiglio di amministrazione di Bpi) conoscendola ed avallandola, Zoncada (presidente del cda di Bipielle Suisse, consigliere di amministrazione e membro del comitato esecutivo di Bpi), deliberando i finanziamenti erogati da Bipielle Suisse e le fidejussioni rilasciate da Bpi (controllante di Bipielle Suisse) proprio a garanzia di tali finanziamenti, Savarè (direttore centrale amministrativo di Bpi), Vismara (direttore centrale corporate management di Bpi) dando alla stessa copertura attraverso le rispettive strutture, Lucchini (responsabile divisione mercati finanziari di Bpi) operando in sotto ordine rispetto a Boni, Spinelli (già dirigente Bpi e, all'epoca dei fatti, consulente esterno della banca) e, Gnutti (principale alleato di Fiorani nella "scalata" a Banca Antonveneta) operando come anche Fiorani e Boni per la ricerca degli interposti, in concorso tra loro e con i soggetti di seguito indicati, compivano operazioni simulate ed artifici, concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo dell'azione ordinaria Antonveneta, consistiti:- nell'acquistare, sul mercato telematico, azioni ordinarie Antonveneta con l'interposizione fittizia delle persone fisiche che fornivano il loro contributo accettando di interporsi e ottenendo, per tale contributo, la promessa di un utile di seguito elencate: Moreschi Claudio, Moreschi Sergio, Marinelli Luciano, Marinelli Bruno, Marinelli Valerio, Marniga Romano Giuesppe, Pasotti, Bossini, Palazzani, Bertoli Fiorenzo, Bertoli Evaristo, Bertoli Fabio Antonio, Bertoli Sandro Ridolfo, Bertoli Antonio, Consoli (c.d. bresciani "procurati" da Gnutti), Baietta, Bersani, Besozzi, Conca, Corrada, Dora, Dordoni, Ferrari Aggradi, Gallotta, Marini, Orsini, Pacchiarini, Raimondi, Roveda, Tamagni (c.d. lodigiani "procurati" da Spinelli, Fiorani e Boni), cui venivano aperti ed intestati, presso Bpl e Bipielle Suisse, conti correnti con abbinati dossier titoli, sui quali di fatto operava la banca stessa (i finanziamenti per l'acquisto dei titoli erano erogati in assenza di istruttoria e di garanzie e con motivazioni difformi da quelle reali), così occultando l'attività di rastrellamento in corso e l'entità della partecipazione (indiretta) di Bpi nel capitale di Bapv (da fine novembre ad aprile 2005);inoltre,Fiorani (amministratore delegato di Bpi) e Boni (direttore finanziario di Bpi) organizzando e dirigendo l'attività, Benevento (presidente del consiglio di amministrazione di Bpi) conoscendola ed avallandola, Zoncada (presidente del cda di Bipielle Suisse, consigliere di amministrazione e membro del comitato esecutivo di Bpi), deliberando i finanziamenti erogati da Bipielle Suisse e le fideiussioni rilasciate da Bpi (controllante di Bipielle Suisse) proprio a garanzia di tali finanziamenti, Savarè (direttore centrale amministrativo di Bpi), Vismara (direttore centrale corporate management di Bpi) dando alla stessa copertura attraverso le rispettive strutture, Lucchini (responsabile divisione mercati finanziari di Bpi) operando in sotto ordine rispetto a Boni, Gnutti, Lonati Ettore, Lonati Tiberio, Lonati Fausto, Consorte, Sacchetti, Ricucci, Coppola, in concorso tra loro, ponevano in essere operazioni simulate ed altri artifici, concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo dell'azione ordinaria Antonveneta, consistiti nell'acquistare, sul mercato telematico, azioni ordinarie Antonveneta, in modo concertato sulla base di patti parasociali non dichiarati stretti per l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante sulla banca Antonveneta tali da occultare la "scalata" in corso ed eludere gli obblighi di legge, segnatamente quello di Opa totalitaria (da gennaio ad aprile 2005);precisamente:- gli esponenti bancari di Bpi sopra indicati fornivano, in relazione ai rispettivi ruoli e alle diverse funzioni svolte, il necessario contributo per realizzare, anche tecnicamente, gli acquisti concertati, in particolare: ricercando le azioni Bapv sul mercato, "parcheggiandole" su dossier presso Bpi e Bpl Suisse, trasferendole, ugualmente attraverso operazioni sul "telematico", ad entità riferibili ai pattisti occulti;(...)inoltre,Fiorani (amministratore delegato di Bpi), e Boni (direttore finanziario di Bpi), organizzando e dirigendo l'attività, Benevento (presidente del consiglio di amministrazione di Bpi) conoscendola ed avallandola, Zoncada (presidente del cda di Bipielle Suisse, consigliere di amministrazione e membro del comitato esecutivo di Bpi), deliberando i finanziamenti erogati da Bipielle Suisse e le fideiussioni rilasciate da Bpi (controllante di Bipielle Suisse) proprio a garanzia di tal finanziamenti, Savarè (direttore centrale amministrativo di Bpi), Vismara (direttore centrale corporate management di Bpi) dando alla stessa copertura attraverso le rispettive strutture, Lucchini (responsabile divisione mercati finanziari di Bpi) operando in sotto ordine rispetto a Boni e Colnago, in concorso tra loro, compivano operazioni simulate ed artifici, concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo dell'azione ordinaria Antonveneta, consistiti:- nell'acquistare, sul mercato telematico, azioni ordinarie Antonveneta con l'interposizione fittizia degli hedge fund: Active Fund, Generation Fund e Momentum Fund (tutti domiciliati alle Isole Cayman e gestiti da Money Bond Investiment S.a., di Lugano), riconducibili a Colnago, il quale vendeva quote di tal ifondi a Bpi, con l'accordo di impiegarne il corrispettivo esclusivamente nell'acquisto del titolo "azione ordinaria Antonveneta", agendo, pertanto, da "fiduciario" della banca, così occultando l'attività di rastrellamento in corso e l'entità della partecipazione (indiretta) di Bpi nel capitale di Bapv (da febbraio a maggio 2005);inoltre,a fronte delle operazioni simulate e degli artifici su indicati, condotte già concretamente idonee, anche singolarmente, a provocare una sensibile alterazione del prezzo dell'azione ordinaria Antonveneta, Fiorani (amministratore delegato di Bpi) intervenendo direttamente sulla formulazione dei comunicati-stampa, Benevento (presidente del consiglio di amministrazione di Bpi) e Zoncada (presidente del cda di Bipielle Suisse, consigliere di amministrazione e membro del comitato esecutivo di Bpi) conoscendola, avallandola e favorendone l'approvazione in sede di cda, Boni (direttore finanziario di Bpi), Savarè (direttore centrale amministrativo di Bpi) e Vismara (direttore centrale corporate management di Bpi), Lucchini (responsabile divisione mercati finanziari di Bpi) operando in sotto ordine rispetto a Boni e Rovelli (responsabile funzioni afferenti reperimento fondi, emissione obbligazioni, cartolarizzazione ed operazioni strutturate) predisponendo la documentazione di supporto ai comunicati stampa, in concorso tra loro e con Gnutti, Lonati Ettore, Lonati Tiberio, Lonati Fausto, Consorte, Sacchetti, Ricucci, Coppola, nella loro qualità di "pattisti occulti" nella scalata all'Antonveneta, diffondevano al mercato, le seguenti false notizie, anch'esse concretamente idonee, anche singolarmente, a provocare una sensibile alterazione del prezzo dell'azione ordinaria Antonveneta:- che Bpi non possedeva "né direttamente né indirettamente altre partecipazioni nel capitale sociale di Banca Antonveneta" oltre a quelle specificatamente indicate alle Autorità ed al mercato (comunicati Bpl del 9 e 16 marzo e del 6 aprile 2005);- che da parte di Bpi "...(la) determinazione (di collocarsi tra gli azionisti stabili di Banca Antonveneta) sarà assunta previa valutazione dei prezzi e delle quantità, compatibili con l'esigenza di non creare turbative di mercato. Tutto ciò, ovviamente nell'ambito delle prescritte autorizzazioni, che si situano sotto la soglia fissata nell'art. 106 del decreto legislativo n. 58/1998" (comunicato Bpl del 12 aprile 2005);- che "l'attività di intermediazione per conto terzi sul titolo Banca Antonveneta, svolta da Bpl nel rispetto formale e sostanziale delle vigenti disposizioni, non ha alcun nesso con la partecipazione detenuta né tantomeno con pretesi accordi con gli attuali azionisti di Banca Antonveneta" (comunicati Bpl del 16 marzo e del 6 aprile 2005);- che non sono stati "stipulati accordi (opzioni, contratti preliminari, a termine o condizionati, accordi per gli acquisti o per il voto) aventi per oggetto le azioni di Banca Antonveneta e di non aver concluso in forma scritta o in altra forma patti parasociali con azionisti della medesima banca" (comunicati Bpl del 16 marzo e del 6 aprile 2005);- che, secondo quanto deliberato dal cda di Bpl, "l'eventuale acquisto... non dovrà comunque comportare il superamento della soglia del 30%" (comunicato Bpl del 15 aprile);- che il gruppo, facente capo all'imprenditore Stefano Ricucci, definiva come destituita di ogni fondamento la notizia di stampa secondo cui il Gruppo avrebbe ricevuto da istituti bancari un finanziamento finalizzato all'acquisto di azioni Antonveneta, ribadendo che l'acquisto era stato eseguito con mezzi propri (comunicati stampa del 19 aprile su varie agenzie),così ingenerando, nel mercato, la convinzione che Bpl non avesse acquistato titoli (direttamente o per interposta persona), in quantità superiore a quella di volta in volta comunicata, che non intendesse superare la soglia di cui all'art. 106 tuf e che non esistesse un "concerto occulto" come poi accertato da Consob con delibere del 10.5.2005 e del 22.7.2005;condotte tutte poste in essere con il concorso morale del Governatore Fazio e del capo Vigilanza Frasca della Banca d'Italia e del Sen. Grillo, i quali suscitavano e rafforzavano il progetto criminoso;in particolareFazio, anche in violazione dei doveri e degli obblighi inerenti la carica di Governatore della Banca d'Italia,- assumeva, con Fiorani, dapprima l'impegno di ostacolare Abn-Amro nell'eventuale incremento della partecipazione in Antonveneta (garantendogli che comunque mai l'avrebbe autorizzata a salire oltre il 12-13%) e, successivamente al lancio dell'Opa, da parte della stessa Abn, ritardava il rilascio delle necessarie autorizzazioni, per consentire a Bpi di proseguire nel rastrellamento occulto di azioni Bapv;- esortava Fiorani e Boni, nel corso di periodici incontri riservati, a superare, con le acquisizioni indirette di partecipazioni e la costituzione dei patti occulti sopra indicati, le soglie autorizzazioni da Banca d'Italia, rispettivamente, in data 14 febbraio 2005 (fino al 14,9%) ed in data 7 aprile 2005 (fino al 29.9%), istigando, gli stessi Fiorani e Boni, a proseguire nella scalata occulta;- approvava, la sera prima dell'assemblea ordinaria di Antonveneta per il rinnovo delle cariche sociali (30 aprile 2005), le strategie di voto concordate dai pattisti occulti;- incitava Fiorani e Boni ad "andare avanti" anche dopo l'atto di accertamento del 10 maggio 2005 pur sapendo che del "concerto" facevano parte altri soggetti (tra cui Ricucci) non ancora inseriti dalla Consob tra i concertisti;Frasca, anche in violazione dei doveri e degli obblighi inerenti la carica di Capo del Servizio di Vigilanza della Banca d'Itlaia,- partecipava agli incontri riservati nei quali il Governatore veniva informato da Fiorani e Boni, delle acquisizioni di partecipazioni indirette e dei patti, manifestando, con la stessa presenza e l'esplicito assenso alla linea del Governatore Fazio, il suo atteggiamento di favore a Bpi, specialmente quale a Capo della Vigilanza della Banca d'Italia;-si metteva, altresì, a disposizione per fronteggiare l'eventuale insorgenza di problematiche tra Bpi ed il Servizio di Vigilanza, nel corso dell'"operazione Antonveneta".Grillo - contribuiva a trasferire, da Fazio a Fiorani, informazioni riservate riguardanti l'iter dei procedimenti di autorizzazione e le iniziative del servizio di vigilanza della Banca d'Italia nei confronti di Bpi;- nello svolgimento dell'attività descritta al precedente punto, forniva ai suoi interlocutori consigli e incoraggiamenti, specialmente a Fiorani, esortandolo a proseguire nella "scalata occulta" all'Antonveneta anche in presenza delle "difficoltà" che nel frattempo erano intervenute (accertamento del concerto in data 10 maggio 2005, iniziative della Magistratura).Con le circostanze aggravanti di aver commesso il reato con il concorso di un numero di persone superiore a cinque nonché, per Fiorani e Fazio, per aver promosso la cooperazione nel reato, per Fiorani per aver promosso e organizzato la cooperazione nel reato oltre che diretto l'attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo e, per Gnutti, per aver diretto, d'intesa con Fiorani, l'attività di Marinelli Luciano e Marinelli Bruno, Marinelli Valerio, Marniga Romano Giuseppe, Pasotti, Bossini, Palazzani, Bertoli Fiorenzo, Bertoli Evaristo, Bertoli Fabio Antonio, Bertoli Sandro Ridolfo, Bertoli Antonio, Consoli (gruppo dei c.d. brestiani) oltre che dei pattisti occulti Lonati Ettore, Lonati Tiberio, Lonati Fausto.In Milano dall'inizio di novembre 2004 sino al 22 luglio 2005.***Fiorani, Benevento, Boni, Savarè, Vismara, Lucchini, Gnutti, Marinelli Luciano, Marniga, Lonati Ettore, Lonati Tiberio, Lonati Fausto, Ricucci, Fransioni, Consorte, Sacchetti, Coppola, Sunino, ColnagoC. del delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, 112, comma 1, n. 2), 61 n. 2 c.p., 2638, commi 1 e 2 c.c., perché in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e in continuazione con i fatti di cui al capo B,Fiorani quale amministratore delegato e Benevento quale presidente del consiglio di amministrazione di Bpi, in concorso tra loro e con Boni, Lucchini, Savarè, Vismara, esponenti bancari di Bpi con funzioni dirigenziali e preposti alla redazione dei documenti contabili societari per le rispettive aree di competenza, segnatamente: Boni e Lucchini per l'area finanza, Savarè per l'area amministrazione e Vismara per l'area corporate, in concorso tra loro (...),consapevolmente ostacolavano le funzioni di vigilanza della Consob con le seguenti condotte:- a seguito di richiesta ex art. 115 tuf, di comunicare se gli acquisti di azioni Antonveneta effettuati da Moreschi Claudio, Moreschi Sergio, Marinelli Luciano, Marinelli Bruno, Marinelli Valerio, Marniga Romano Giuseppe, Pasotti, Bossini, Palazzani, Bertoli Fiorenzo, Bertoli Evaristo, Bertoli Fabio Antonio, Bertoli Sandro Ridolfo, Bertoli Antonio, Consoli, Lonati Ettore, Lonati Tiberio, Lonati Fausto (pari al 15,23% del capitale di Antonveneta) erano stati finanziati dalla banca rispondevano: "Bipielle non ha deliberato linee di credito finalizzate all'acquisto di azioni di banca Antonveneta di 18 committenti finali. Costoro godono di ordinarie facilitazioni creditizie concesse da questa banca nell'ambito della consueta valutazione del merito creditizio, della solvibilità e della capacità di rimborso dei clienti" (in data 7.3.2005), versione confermata, in sede di audizione, da Fiorani e Boni (in data 9.3.2005) e, successivamente, ribadita con il comunicato stampa del 16.3.2005 (riportato al capo B), così occultando che i finanziamenti erano stati erogati e gestiti dalla stessa banca esclusivamente per l'acquisto delle azioni di Antonveneta;- omettevano di dichiarare alla Consob, in violazione dell'art. 122 tuf e della disciplina concernente l'offerta pubblica di acquisto obbligatoria (art. 102 e ss tuf), l'avvenuta stipulazione di un patto parasociale avente ad oggetto l'acquisto concertato di azioni ordinarie della banca Antonveneta e l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante sulla banca stessa, nei termini accertati da Consob con delibera n. 15029 del 10.5.2005, negandone l'esistenza in sede di audizione;- omettevano, anche dopo l'atto di accertamento del 10.5.2005 (delibera n. 15029) e sempre in violazione dell'art. 122 tuf e della disciplina concernente l'offerta pubblica di acquisto obbligatoria (art. 102 ss. Tuf), di dichiarare alla Consob, la partecipazione al patto della Magiste International S.a.;in particolare:- veniva occultata la riconducibilità al "Gruppo Ricucci" di Garlsson Real Estate S.a. Ltd, che aveva acquistato azioni Antonveneta con finanziamenti di Bpl Suisse, garantiti da fideiussione di Bpl;- Ricucci e Fransoni, sia rispondendo a richieste scritte della Consob sia in sede di audizione fornivano false informazioni anche in violazione dell'art. 120 tuf in materia di comunicazione di partecipazioni rilevanti riguardo all'effettiva partecipazione in Antonveneta, riferibile al "Gruppo Ricucci", e negavano l'esistenza di patti occulti;- Ricucci e Fiorani, previo accordo, nel corso delle rispettive audizioni (in data 8 e 12 luglio 2005) e con successiva nota congiunta (pervenuta alla Consob in data 15 luglio 2005), negavano che la bozza manoscritta dell'intervento di Fransoni quale rappresentante del "Gruppo Ricucci" all'assemblea ordinaria di Antonveneta (30 aprile 2005), fosse stata tra loro stessi concordata, così ulteriormente occultando l'esistenza del concerto poi accertato da Consob con la delibera n. 15115 del 22 luglio 2005;- omettevano, nelle comunicazioni concernenti le partecipazioni detenute da Bpi in Antonveneta, dovute ai sensi dell'art. 120 tuf e della normativa secondatia (Regolamento emittenti approvato con delibera Consob n. 11971/99), nonché in riscontro a specifiche richieste formulate da Consob ai sensi dell'art. 115 tuf, di dichiarare le azioni Antonveneta, detenute dalla stessa Bpi, per il tramite di Generation Fund, Active Fund e Momentum Fund, riconducibili a Colnago e che agivano, quali interposti della banca (come accertato da Consob con delibera n. 15116 del 22 luglio 2005).Con le circostanze aggravanti di aver commesso il reato con il concorso di un numero di persone superiore a cinque e per eseguire ed occultare il reato di manipolazione dell'azione ordinaria Antonveneta (contestato sub B.).In Roma da novembre 2004 sino al 22 luglio 2005.***Fiorani, Benevento, Boni, Gnutti, Marinelli Luciano, Marniga, Lonati Ettore, Lonati Tiberio, Lonati Fausto, Ricucci, Fransoni, Consorte, Sacchetti Coppola, Zunino, ColnagoD. del delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, 112, comma 1, n. 1), 61 n. 2 c.p., 2638, commi 1 e 2 c.c. perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso ed in continuazione con i fatti di cui al capo B.,Fiorani quale amministratore delegato e Benevento quale presidente del consiglio di amministrazione di Bpi, in concorso tra loro e con Boni, che agiva in stretta collaborazione con l'amministratore delegato, in concorso tra loro, (...)consapevolmente ostacolavano le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia omettendo, in violazione delle disposizioni di cui all'art. 20, comma 2 tub, di comunicare l'esistenza di un patto parasociale del quale derivava, in particolare, l'esercizio concertato del voto nell'assemblea ordinaria per il rinnovo delle cariche sociali di Antonveneta (30 aprile 2005), con la nomina di tutti i rappresentanti della lista di Bpl.Con le circostanze aggravanti di aver commesso il reato con il concorso di un numero di persone superiore a cinque e per eseguire ed occultare il reato di manipolazione dell'azione ordinaria Antonveneta (contestato sub B.).In Roma da novembre 2004 sino al 22 luglio 2005.***Fiorani, Benevento, Zoncada, Olmo, Savoldi, Visconti di Mondrone, Premoli, Gattoni, Mayr, Molinari, Chiaravalle, Pavesi, Tessera, Castellotti, Ferrari Francesco, Lanzoni, Zucchetti, Goisis, Vesce, Bonazzi, Araldi, Quartieri, Boni, Lucchini, Rovelli, Savarè, Vismara, D'Amico, GnuttiE. del delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, 113, comma 1, n. 1), 61 n. 2 c.p., 2638, commi 1 e 2 c.c., perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e in continuazione con i fatti di cui al capo B.,Fiorani (quale amministratore delegato), Benevento (quale presidente del consiglio di amministrazione), Zoncada, Olmo, Savoldi, Visconti di Modrone, Premoli, Gattoni, Mayr, Molinari, Chiaravalle, Pavesi, Tessera, Castellotti, Ferrari, Lanzoni, Zucchetti (quali consiglieri di amministrazione di Bpi), in concorso tra loro,ed, inoltre, con Goisis, Vesce, Bonazzi, Araldi, Quartieri membri del collegio sindacale di Bpi, e con Boni, Lucchini, Rovelli, Savarè, Vismara, D'Amico esponenti bancari di Bpi con funzioni dirigenziali e preposti alla redazione dei documenti contabili societari per le rispettive aree di competenza, segnatamente: Boni, Lucchini e Rovelli per l'area finanza, Savarè per l'area amministrazione, Vismara per l'area corporate, D'Amico, responsabile della direzione centrale organizzazione, incaricato dall'amministratore delegato di curare le relazioni con le autorità di vigilanza,nonché in concorso con Gnutti, quale amministratore di Gp Finanziaria spa (il cui apporto causale e consistito nel contribuire, con la propria condotta materiale, a retrodatare il contratto di cessione di partecipazioni di minoranza dal gruppo Bpi a Gp Finanziaria),consapevolmente ostacolavano le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia (...).***FioraniF. del delitto di cui all'art. 2638, commi 1 e 2 c.c., perché, quale amministratore delegato della Bipielle (ora Bpi), sentito dagli ispettori della Consob in data 27 giugno 2002, relativamente alla procedura aperta dalla Commissione sulla acquisizione da parte di Bpi della Banca Popolare di Crema, al fine di occultare il "portage" effettuato da Beccaria sui titoli della banca "scalata", falsamente dichiarava:"All'epoca del rilascio delle fideiussioni, Beccaria era uno dei principali soci della Bpl nonché uno dei clienti di riferimento della banca (che era esposta per circa 250 miliardi di lire nei confronti del gruppo Beccaria). Beccaria operava spesso sia in titoli che nell'investimento di aziende; aveva rapporti molto stretti sia con Mazza sia con il Consiglio di Amministrazione. Dopo la morte di Mazza decisi di alleggerire l'esposizione della Bpl nei confronti di Beccaria suggerendogli di razionalizzare le sue partecipazioni per ridurre il grado di rischio. La banca non era a conoscenza delle modalità di impiego, da parte del Beccaria, delle somme ottenute; comunque non si può escludere che le abbia utilizzate per acquistare azioni Banca Popolare di Crema, così come del resto per qualsiasi altro titolo".Circostanze tutte non vere in quanto Beccaria aveva svolto il ruolo di mero prestanome della Bpl, schermandola quale beneficiario e procuratore dei conti svizzeri presso Bdl-Lugano, Sbs-Lugano e Ubs-Londra, intestati a società off-shore ma garantiti da collateral finanziati dalla stesssa Bpl e utilizzati per "parcheggiare" i titoli della Banca Popolare di Crema, ceduti dalla Summa s.a. al gruppo Bipielle, con contratto stipulato in Lugano il 26 febbraio 1996 tra la predetta fiduciaria elvetica e lo stesso Fiorani, che sottoscriveva quale direttore generale della Banca Mercantile Italiana.In Roma il 27 giugno 2002.***Fiorani, Spinelli, Quartieri, Ferrari MarinoG. del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv c.p., 136, commi 1 e 2 d. leg.vo 385/1993 e successive modifiche (t.u.b.), perché Fiorani amministratore delegato della Bpi, Quartieri quale sindaco di Bpi in concorso tra loro, con più azioni in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, contraevano obbligazioni con la Bpi, erogando (Fiorani anche direttamente) finanziamenti a numerose società immobiliari agli stessi riconducibili, tra le quali: Arcene Immobili srl, Arcene Infra srl, Borgo Centrale spa, Borgo Nobile srl, Edilchiara Immobiliare srl, Frontemare srl, Giorni Sereni srl, Immobiliare Marinai d'Italia srl, Liberty srl, Patrimoniale degli Orsi srl, Perca srl, Pmg.In assenza sia delle previe deliberazioni dei competenti organi di amministrazione sia del voto favorevole di tutti i componenti dei competenti organi di controllo, non essendo stata neanche segnalata la situazione di conflitto.In Lodi fino al 2.8.2005.***Fiorani, Marmont, ContiH. del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv, 646, 61 n. 7 e n. 11 c.p., perché Fiorani in qualità di amministratore delegato di Bpl, Marmont e Conti, quali fiduciari dei venditori (Gruppo Bassani) e, da questi, delegati a trattare l'operazione in concorso tra loro, con più azioni in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, per procurarsi un ingiusto profitto, si appropriavano di una parte del prezzo pagato da Bpl ai proprietari della Banca Adamas, il cui pacchetto azionario veniva interamente acquisito in tre tempi con il contemporaneo pagamento dei corrispettivi (per le singole tranche), maggiorati della quota stimabile, come non inferiore a 5-6 milioni di euro, retrocessa da parte venditrice, per il tramite di Conti e Marmont, su conti esteri (presso Bdl-Lugano e Pkb-Lugano), riconducibili a Fiorani; ed, in particolare, in data 26 settembre 2002, trasferivano dal conto Basinco Nv (società del Gruppo Bassani) presso Bipielle Suisse al conto Strozzi presso Pk-Lugano, riferibile a Fiorani, la somma di euro 3.450.000.Con le circostanze aggravanti di aver commesso il fatto cagionando alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità nonché di aver commesso il fatto con abuso di prestazione di opera.In Milano ed in Lugano dal 2000 al 2003.***Fiorani, Zoncada, Marmont, Conti, Corbini, Quartieri, GhioldiI. del reato di cui agli artt. 110, 646, 61 n. 7 e n. 11 c.p. perché, in concorso tra loro, Fiorani (in qualità di amministratore delegato di Bpl e con incarico, da parte del cda di Bpl re, di alienare la società Mizar, proprietaria degli asset immobiliari già appartenenti alle casse del Tirreno); Zoncada (quale Presidente di Bipielle Suisse e consigliere di amministrazione di Bpl); Conti e Marmont anche quali consiglieri del cda di Bpl Suisse; Corbini (quale amministratore delegato della Cassa di Risparmio di Livorno); Quartieri (che agiva quale prestanome di Fiorani, che lo aveva delegato a curare), Ghioldi (quale consulente e fiduciario svizzero),al fine di trarne profitto, si appropriavano di una parte del corrispettivo pagato da Castrucci Riccardo per acquisire, tramite Cre Sen srl, le quote, possedute dai soci Yol Trading Ltd (di cui Conti e Marmont figuravano quali soci e Fiorani era "socio occulto"), Conti e Marmont, di Mizar srl, società-veicolo costituita da Basileus spa, a sua volta controllata al 100% da Bpl Real Estate, e nella quale erano stati conferiti gli asset immobiliari già appartenenti alle casse del Tirreno ed iscritto il debito verso Efibanca, dell'importo di circa 50.000.000 di euro, utilizzati dal Gruppo Bpl per rilevarli;in particolare:- subordinavano un significativo sconto sul prezzo delle quote di Mizar al pagamento di una quota parte "in nero" ed all'estero;- Quartieri, su delega di Yol Trading Ltd e di Conti e Marmont perfezionava il contratto e riceveva da Castrucci un milione di euro quale corrispettivo (puramente formale) da iscrivere nel rogito per la cessione delle quote di Mizar srl e Cre.Sen srl;- Bipielle Suisse, concedeva, con la garanzia fideiussoria della Cassa di Risparmio di Livorno, finanziamenti alle società Coconuts e Ben.Ben (riferibili a Castrucci, anche per il tramite di Floriani Eliano), rispettivamente per euro 11.000.000 e per euro 3.640.000;- Ghioldi riceveva due assegni circolari, tratti sul conto Coconuts (uno di tre e l'altro di otto milioni di euro) entrambi a lui intestati, per essere poi spartiti, all'estero, con Fiorani, Conti, Marmont, Quartieri e Zoncada;- Corbini (per il tramite di Floriani) riceveva euro 500.000 in contanti e disponeva il trasferimento di euro 2.7500.000,00 dal conto Ben.Ben al conto nr. 72789, intestato Apparecida, presso Bdl di Lugano.Con le circostanze aggravanti di aver commesso il fatto cagionando alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità nonché di aver commesso il fatto con abuso di prestazione di opera.In Lugano ed in Italia nel novembre 2003 (...).***Fiorani, Benevento, Ferrari Francesco, Zoncada, Savoldi, Boni, Araldi, Quartieri, Spinelli, Savarè, Lucchini, Marini, Vismara, Besozzi, Beccaria, Sechi, Gallotta, Orsini, Galetti, Tamagni, Ferrari Marino, Ferrari Aggradi, Conca, Galetti, Bertagnoli, Roveda, Gnutti, GrilloK. del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv, 646, 61 n. 7 e n. 11 c.p., perché in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto Fiorani quale amministratore delegato, Benevento quale presidente del consiglio di amministrazione, Ferrari Francesco, Zoncada e Savoldi quali consiglieri, Araldi e Quartieri anche quali sindaci, Boni in qualità di direttore finanziario, Spinelli quale consulente esterno ed ex dirigente, Savarè quale responsabile dell'area amministrazione, Vismara in qualità di responsabile dell'area corporate e Lucchini quale dirigente dell'area finanza di Bpi in concorso tra loro e con numerosi clienti della banca tra cui Besozzi, Beccaria, Gallotta, Sechi, Orsini, Tamachi, Ferrari Marino, Ferrari Aggradi, Conca, Galetti, Bertagnoli, Marini, Roveda, Gnutti e Grillo, per gli altri si procede separatamente con i quali (tutti) era stato stipulato un accordo di spartizione dei profitti, si appropriavano, operando, in violazione delle procedure contabili e di antiriciclaggio nonché dei vincoli contrattuali, e con le modalità di seguito indicate:- accredito, anche per il tramite delle cosiddette partite viaggianti, su conto terzi (clienti sopra menzionati) anziché su conto proprio della banca, di premi (quali up front) e/o utili conseguenti ad operazioni su derivati, effettuate, gestite e realizzate dalla Banca con risorse proprie, e, pertanto di competenza della banca stessa;- accredito, anche per il tramite delle cosiddette partite viaggianti, su conto terzi (clienti sopra menzionati), conseguenti ad operazioni anomale (non di mercato bensì "costruite a tavolino") su titoli compiute a nome dei clienti (medesimi) in contropartita con altri soggetti (diversi dalla banca);- accredito, anche per il tramite delle cosiddette partite viaggianti, su conto terzi (clienti sopra menzionati), senza alcuna apparente giustificazione (ad es. trasferimento di somme da conto a conto),di oltre 100.000.000 di euro, ed in particolare:Besozzi di circa 3.000.000 di euro (da aprile 2002 a maggio 2005), Beccaria di circa 20.000 euro (24 dicembre 2002), Sechi di circa 12.000.000 di euro (dal 24 dicembre 2002 al 13 giugno 2005), Gallotta di circa 3.000.000 di euro (dal 2001 al 24 dicembre 2002), Orsini di circa 5.500.000 euro (nel 2002 e nel 2005), Tamagni di circa 3.650.000 di euro (nel marzo 2003), Ferrari marino di circa 560.000 euro (il 17 giugno 2004), Ferrari Aggradi di circa 2.300.000 euro (dal 16 dicembre 2003 al 17 dicembre 2003), Conca di circa 1.000.000 di euro (17 dicembre 2004), Galetti di circa 3.300.000 euro (dal 29 aprile 2003 al 15 maggio 2003), Bertagnoli di circa 3.000.000 di euro (dal 2001 fino al 13 dicembre 2005), Marini di circa 629.000 euro (il 17 dicembre 2004), Roveda di circa 5.000.000 di euro (dal 2001 al maggio 2005), Gnutti di circa 10.000.000 di euro (dal 2001 al 13 dicembre 2005), Grillo di circa 44.000 euro (nel 2005). Con le circostanze aggravanti, per tutti, di aver commesso il fatto cagionando alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità, per Fiorani, Benevento, Ferrari Francesco, Zoncada, Savoldi, Boni, Araldi, Quartieri, Spinelli, Savarè, Lucchini, Vismara per aver commesso il fatto con abuso di prestazione di opera.In Lodi ed altrove (sia in Italia che all'estero) dal 2001 fino al 13 dicembre 2005.***Fiorani, Boni, Spinelli, SavarèL. del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv, 646, 61 n. 7 e n. 11 c.p., perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto Fiorani in qualità di amministratore delegato di Bpl, Boni in qualità di direttore finanziario di Bpl, Spinelli quale consulente esterno ed ex dirigente di Bpl, Savarè quale responsabile dell'area amministrazione di Bpi in concorso tra loro, si appropriavano, di circa 1.865.000 euro prelevandoli, in contanti, direttamente dal caveau della banca e contabilizzandoli come sopravvenienze passive. Con le circostanze aggravanti, per tutti, di aver commesso il fatto cagionando alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità e con abuso di prestazione di opera.In Lodi dal 2000 al 2 agosto 2005. ***Fiorani, BoniM. del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv, 640 cpv n. 1, 61 e n. 11 c.p., perché, in concorso tra loro, Fiorani quale amministratore delegato e Boni quale responsabile dell'area Finanza di Bpi, mediante artifizi, inducendo in errore l'Erario sull'entità dei capital gain cui applicare l'imposta del 12,5%, si procuravano l'ingiusto profitto con corrispondente danno per l'Erario pari ad euro 3.668.000 (somma di imposta dovuta e ad oggi non versata); artifici consentiti nel registrare in contabilità e, correlativamente, sul conto Erario importi di capital gain inferiori a quelli effettivamente realizzati.Con le circostanze aggravanti di aver agito cagionando all'Erario un danno patrimoniale di rilevante entità e con abuso delle rispettive qualifiche.In Lodi dal 16.11.2001 al 18.2.2003.

( Cittadino, Il del 17/02/2007 )

 

 


Da La Nazione 17-2-2007  FIRENZE - GLI ENTI PUBBLICI della Toscana sono troppo spendaccioni

? FIRENZE ? GLI ENTI PUBBLICI della Toscana sono troppo spendaccioni, soprattutto quando affidano consulenze o incarichi esterni senza che ce ne sia un'effettiva necessità con u'utilità "irrilevante o scarsa" per l'ente stesso. E' uno dei passaggi principali del'interventi del procuratore regionale Claudio Galtieri alla cerimonia di apertura dell'anno giudiziario della Corte dei conti della Toscana, che si è svolta ieri a Firenze. IN GENERALE, riassumendo l'attività della magistratura contabile regionale nell'anno appena trascorso e i dati in materia di responsabilità amministrativa e contabile, il presidente della sezione giurisdizionale per la Toscana, Giancarlo Guasparri, ha sottolineato che "l'ammontare complessivo delle condanne per danni erariali è di un milione e seicentomila euro", con un consistente aumento dei procedimenti arrivati a sentenza (134) del 285 per cento rispetto al 2005. Nello specifico dettaglio, le spese a carico del settore pubblico passate nel 2006 sotto l'esame della Corte toscana si riferivano soprattutto a incidenti stradali con mezzi delle amministrazioni pubbliche, a furti e truffe in ambienti militari e scolastici, all'uso arbitrario di cellulari e carte di credito degli uffici, a rimborsi non dovuti da parte delle Asl e a dipendenti retribuiti anche se assenti dal servizio. "Particolare considerazione meritano ? ha aggiunto il procuratore Galtieri ?, per la loro frequenza, le fattispecie relative al mancato tempestivo versamento di somme incassate da parte di ricevitorie Lotto e quelle relative a incarichi e consulenze conferiti in assenza di presupposti ovvero con irrilevante o scarsa utilità per l'ente locale", aggiungendo che la frequenza di questo tipo di procedimenti "costituisce sintomo evidente di marcata diffusione del fenomeno". SULLA MEDESIMA questione si è soffermato anche Guasparri che, citando un disegno di legge nazionale contro gli sprechi, ne ha sottolineato l'importanza specie "laddove si stabilisce un tetto agli emolumenti e al numero dei componenti del consiglio di amministrazione nelle società a totale o prevalente partecipazione pubblica, numero che, nella realtà, viene in genere determinato non da una equilibrata valutazione delle esigenze della società, bensì dalla necessità di distribuire i posti disponibili tra gli sponsor politici in modo tale da acquisire il consenso necessario alla costituzione della società", determinando così anche l'utilizzo delle società "per soddisfare le pressioni clientelari". Infine, parlando della "proliferazione delle società miste", Guasparri ha anche ricordato che la norma anti sprechi "con riguardo a Regioni ed enti locali, tocca anche la questione del turismo istituzionale e delle rappresentanze all'estero".

 

 

? FIRENZE ? GLI ENTI PUBBLICI della Toscana sono troppo spendaccioni, soprattutto quando affidano consulenze o incarichi esterni senza che ce ne sia un'effettiva necessità con u'utilità "irrilevante o scarsa" per l'ente stesso. E' uno dei passaggi principali del'interventi del procuratore regionale Claudio Galtieri alla cerimonia di apertura dell'anno giudiziario della Corte dei conti della Toscana, che si è svolta ieri a Firenze. IN GENERALE, riassumendo l'attività della magistratura contabile regionale nell'anno appena trascorso e i dati in materia di responsabilità amministrativa e contabile, il presidente della sezione giurisdizionale per la Toscana, Giancarlo Guasparri, ha sottolineato che "l'ammontare complessivo delle condanne per danni erariali è di un milione e seicentomila euro", con un consistente aumento dei procedimenti arrivati a sentenza (134) del 285 per cento rispetto al 2005. Nello specifico dettaglio, le spese a carico del settore pubblico passate nel 2006 sotto l'esame della Corte toscana si riferivano soprattutto a incidenti stradali con mezzi delle amministrazioni pubbliche, a furti e truffe in ambienti militari e scolastici, all'uso arbitrario di cellulari e carte di credito degli uffici, a rimborsi non dovuti da parte delle Asl e a dipendenti retribuiti anche se assenti dal servizio. "Particolare considerazione meritano ? ha aggiunto il procuratore Galtieri ?, per la loro frequenza, le fattispecie relative al mancato tempestivo versamento di somme incassate da parte di ricevitorie Lotto e quelle relative a incarichi e consulenze conferiti in assenza di presupposti ovvero con irrilevante o scarsa utilità per l'ente locale", aggiungendo che la frequenza di questo tipo di procedimenti "costituisce sintomo evidente di marcata diffusione del fenomeno". SULLA MEDESIMA questione si è soffermato anche Guasparri che, citando un disegno di legge nazionale contro gli sprechi, ne ha sottolineato l'importanza specie "laddove si stabilisce un tetto agli emolumenti e al numero dei componenti del consiglio di amministrazione nelle società a totale o prevalente partecipazione pubblica, numero che, nella realtà, viene in genere determinato non da una equilibrata valutazione delle esigenze della società, bensì dalla necessità di distribuire i posti disponibili tra gli sponsor politici in modo tale da acquisire il consenso necessario alla costituzione della società", determinando così anche l'utilizzo delle società "per soddisfare le pressioni clientelari". Infine, parlando della "proliferazione delle società miste", Guasparri ha anche ricordato che la norma anti sprechi "con riguardo a Regioni ed enti locali, tocca anche la questione del turismo istituzionale e delle rappresentanze all'estero".

 

 


Da La Repubblica 16-2-2007  Ecco il nuovo contratto delle colf "Non più badanti ma assistenti familiari"

I sindacati di categoria hanno firmato l'intesa al ministero del Lavoro
Riguarda 1,2 milioni di persone per circa 5 milioni di nuclei familiari

audina Zonca (Federcolf): "Ci auguriamo che la parola sparisca
da carte d'identità, permessi di soggiorno e dichiarazioni Inps"

ROMA - Badanti addio. Arriva l'assistente familiare o 'l'addetta alla cura della persona': nel nuovo contratto delle colf viene eliminata la parola badante ancora usata nel linguaggio comune e sui permessi di soggiorno e si chiariscono i profili delle collaboratrici domestiche. L'intesa per il rinnovo del contratto nazionale del settore lavoro Domestico, è stata ratificata oggi da Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil, alla presenza del ministro del Lavoro, Cesare Damiano, chiudendo, così, una trattativa durata circa 2 anni.
"Ci auguriamo - spiega Laudina Zonca numero uno di Federcolf - che la parola badante sparisca dalle carte d'identità, dai permessi di soggiorno e dalle dichiarazioni all'Inps: nel contratto abbiamo definito per i diversi livelli di cura della casa e di assistenza alle persone diversi livelli retributivi".
Così, se per un collaboratore familiare fisso in casa con meno di 12 mesi di esperienza non addetto all'assistenza di persone lo stipendio base mensile è di 550 euro, per un lavoratore che fa assistenza a persone autosufficienti (anziani e bambini) lo stipendio base mensile passa a 750 euro. Se la mansione di vigilanza di bambini è occasionale ed esclude "qualsiasi prestazione di cura" lo stipendio base è di 650 euro.
Nel contratto si chiarisce che, nel caso di assistenza a persone non autosufficienti (livello C super), per il lavoratore che conviva con l'anziano o la persona non autosufficiente lo stipendio base è di 850 euro. E se la badante è una parola che tenderà a scomparire (non è mai citata nel contratto), l'accordo riporta invece termini che rimandano a tempi passati.
Nel livello D, e con stipendi base superiori a 1.000 euro, è previsto l'amministratore dei beni di famiglia che "svolge mansioni connesse all'amministrazione del patrimonio familiare", il "maggiordomo" con "mansioni di gestione e di coordinamento relative a tutte le esigenze connesse ai servizi rivolti alla vita familiare", ma anche la "governante" con "mansioni di coordinamento relative alle attività ci cameriere di camera, di stireria, di lavanderia, guardaroba e simili", il "capocuoco" e l'istitutore" per le mansioni di "istruzione e/o educazione dei componenti il nucleo familiare".
Il livello D super, con uno stipendio base superiore ai 1.050 euro è previsto per il lavoratore assistente a persone non autosufficienti "formato" e il "direttore di casa" che svolge mansioni di coordinamento relative a tutte le esigenze connesse all'andamento della casa.
Per i lavoratori non conviventi, è prevista una tabella oraria collegata alle diverse mansioni (da un minimo di 4 euro per i collaboratori domestici senza esperienza ai 7,1 per gli assistenti formati per la cura delle persone non autosufficienti).
Complessivamente, il contratto riguarda circa 1,2 milioni di persone per una platea potenziale di circa cinque milioni di nuclei familiari datori di lavoro (molte collaboratrici domestiche lavorano in più famiglie). "Siamo orgogliosi - ha detto il ministro del Lavoro Cesare Damiano - di aver contribuito a risolvere il problema del contratto. Ma se le parti non avessero voluto risolverlo il nostro lavoro sarebbe stato vano".

(16 febbraio 2007)

 


INDICE  16-2-2007

 

·                                    + Da La Stampa 16-2-2007  16/2/2007 (12:23) - CASO ABU OMAR Pollari rinviato a giudizio  1

·                                    + Da La Repubblica 16-2-2006    Proposta di legge di Casini "Antidoping ai parlamentari". Il leader Udc ha inviato il testo a molti deputati per chiedere l'adesione. di Francesco Bei 2

·                                    Da La Stampa 16-2-2007 Le decisioni dei Comuni sull'addizionale. Irpef, Veltroni alza Moratti e Cacciari no Alessandro Barbera  2

·                                    Da La Gazzetta del Sud 16-2-2007  Chiuse le indagini per 84 persone e 9 società: al tentativo di scalata ad Antonveneta avrebbero partecipato anche Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti 3

·                                    Da Milano Finanza 16-2-2007 Così funzionava la rete dei furbetti 4

·                                    Da canali.libero.it/affariitaliani Brancher, l'uomo chiave. E anche la sinistra... 6

·                                    Da primadanoi.it 16-2-2007   Crisci (Ulivo),tre emendamenti per ridurre costi bancari e aumentare trasparenza  7

·                                    Da La Repubblica 15-2-2007 L'Osservatore contro gli appelli dei cattolici "La Chiesa ha il diritto-dovere di parlare" 7

·                                    Dal Corriere della Sera 15-2-2007 Corea del Nord: il regime si affida ai corsari. Pyongyang alimenta un traffico di navi: imbarcano armi in Corea del Nord e tornano cariche di beni di lusso per la nomenklatura Guido Olimpio  8

 


+ Da La Stampa 16-2-2007  16/2/2007 (12:23) - CASO ABU OMAR Pollari rinviato a giudizio

 

Il processo è fissato per l’ 8 giugno

MILANO
Saranno tutti processati l’ex capo del sismi, Nicolò Pollari, il suo vice, Marco Mancini, e i 26 agenti della Cia coinvolti nel rapimento dell’ex imam di viale jenner, Abu Omar, effettuato in territorio italiano il 17 febbraio 2003, per loro l’accusa è di concorso in sequestro di persona.
Il rinvio a giudizio è stato deciso dal Gup di Milano, Caterina Interlandi, al termine di una camera di Consiglio durata poco più di un’ora. il processo prenderà il via il prossimo 8 giugno davanti ai giudici della quarta sezione penale di Milano.


+ Da La Repubblica 16-2-2006    Proposta di legge di Casini "Antidoping ai parlamentari". Il leader Udc ha inviato il testo a molti deputati per chiedere l'adesione. di Francesco Bei

"Alcuni professionisti già fanno i controlli, è giusto farli a chi ha la responsabilità di prendere le decisioni generali"

 

ROMA - "La prende il manager, l'emarginato e il bel ciclista, ma è solo per l'onorevole che la narcotici ha la svista". A quattordici anni di distanza dalla canzone-denuncia di Paolo Rossi, le cose potrebbero cambiare in Parlamento se andasse in porto la proposta di legge anti-doping di Pier Ferdinando Casini. L'ex presidente della Camera aveva annunciato l'iniziativa tre mesi fa, all'indomani dello scoop delle Iene - bloccato dal garante per la Privacy - che aveva dimostrato come un quinto dei deputati "testati" avesse fatto uso di stupefacenti. Da lì l'idea di prevedere un test obbligatorio per tutti i parlamentari, immediatamente subissata di critiche da destra e da sinistra.
Casini tuttavia è andato avanti lo stesso e due giorni fa, in sordina, ha inviato a molti deputati la sua proposta di legge. "Caro collega - si legge nella lettera di accompagnamento - considerata la delicatezza del tema ti sottopongo il testo della proposta ancor prima del suo deposito, con preghiera, qualora fossi interessato, di farmi pervenire con sollecitudine la tua adesione. E' un atto di trasparenza il cui significato simbolico non ti sfuggirà".
E quindi, per eliminare quella sgradevole sensazione di doppio standard che circonda spesso la vita del parlamentare, Casini suggerisce una misura draconiana: il test obbligatorio periodico. "All'atto dell'assunzione della carica - recita l'articolo 2 del ddl - i deputati e i senatori sono sottoposti ad accertamenti sull'uso di sostanze stupefacenti a cura di strutture pubbliche". Certo, i parlamentari "possono rifiutarsi di sottoporsi all'accertamento". Ma in quel caso scatterebbe la gogna mediatica, visto che i presidenti delle Camere "provvederanno a rendere pubblici i dati relativi agli accertamenti, insieme all'elenco dei parlamentari che si sono rifiutati di sottoporsi all'accertamento". Nella relazione Casini prova a superare le prevedibili obiezioni. Facendo il paragone con alcuni professionisti - come il pilota d'aerei - che già oggi "sono sottoposti a verifiche obbligatorie", sostiene che "a maggior ragione si deve ritenere possibile prevedere analoghi controlli su chi ha la responsabilità di assumere decisioni di interesse generale". Occorre chiarire, prosegue infatti, "se chi detta regole, anche per la repressione dei reati connessi al commercio di sostanze stupefacenti, possa essere un consumatore". E se qualcuno avesse da ridire sulla privacy, l'ex presidente della Camera ricorda che già ora la legge impone che deputati e senatori debbano rendere note "informazioni personali su beni e redditi posseduti, nonché sulle obbligazioni assunte per la campagna elettorale".
Dunque via ai controlli anti-doping. Con un solo dubbio. L'accertamento sarebbe "ripetuto annualmente in una data stabilita dai presidenti delle Camere". Facile prevedere che il fatidico giorno X sarebbe noto a tutti gli interessati, che avrebbero così un ampio margine di tempo per far sparire ogni traccia. Agli sportivi invece i controlli antidoping vengono fatti a sorpresa. Magari di notte, senza troppi complimenti.
(16 febbraio 2007)


Da La Stampa 16-2-2007 Le decisioni dei Comuni sull'addizionale. Irpef, Veltroni alza Moratti e Cacciari no Alessandro Barbera

ROMA
Alcuni sindaci, come Sergio Cofferati e Valter Veltroni, hanno deciso di affrontare l’impopolaritа, costi quel che costi. Altri, come la milanese Letizia Moratti o il veneziano Massimo Cacciari, per ora coprono gli aggravi con gli utili delle societа controllate dal Comune. Poi si vedrа.
Come molti temevano, gli effetti della Finanziaria 2007 sugli enti locali cominciano a produrre i loro risultati. E in alcuni casi mostrano giа come gli sgravi Irpef sul reddito saranno ampiamente superati dagli aggravi delle imposte comunali. Ieri и scaduto il termine per far scattare sin dal prossimo acconto l’addizionale comunale sul reddito. La manovra, che ha tagliato in parte i trasferimenti, permette ai sindaci di applicare l’aliquota al rialzo fino al limite dello 0,8%. All’appello dell’«aggiornamento» sul sito del Dipartimento delle politiche fiscali si sono presentati piщ di 850 Comuni, uno su dieci. Il cosiddetto campione si и diviso: metа ha alzato l’aliquota, metа l’ha lasciata invariata. Fra le «grandi» che aumentano la tassa ci sono Aosta (da zero a 0,3%), Bologna (da 0,4 a 0,7%), Palermo (da 0,2 a 0,4%), Parma (da 0,2 a 0,4%), Roma (da 0,2 a 0,5%) e Salerno (da 0,4 a 0,6%). Non и stato ancora deliberato, ma a Perugia l’addizionale Irpef comunale salirа dallo 0,1 allo 0,7%. La maglia nera va a Trieste, che sale da 0,2% al massimo, 0,8%. Rimangono ferme le addizionali di Alessandria (0,5%), Biella (0,5%), Bolzano (0,2%), Catanzaro (0,5%), Cuneo (0,4%), Genova (0,47%) e Treviso (0,5%). La mappa dei rincari non и generalizzata, ma solo in due casi sugli oltre 800 c’и stato un mini-taglio (dello 0,05%): a Cattolica, in provincia di Rimini, e a La Loggia, alle porte di Torino. Fatti salvi i due piccoli virtuosi, i numeri ci dicono che nei circa 450 Comuni in cui l’aliquota и stata rivista и mediamente raddoppiata. Hanno deciso di sfidare l’impopolaritа con l’aliquota massima circa 60 Comuni, fra cui L’Aquila e Campobasso.
Calcolare un saldo positivo o negativo и tutt’altro che semplice. Ma senza dubbio in alcuni casi l’effetto verrа moltiplicato dal ritocco di altre imposte locali. In alcune cittа si pagherа di piщ non solo per l’addizionale comunale, ma и in vista anche l’aumento di quella regionale o dell’Ici. L’Irpef regionale salirа ad esempio in Umbria, Emilia-Romagna e Lazio. Quindi a Perugia, Bologna e Roma i vantaggi fiscali della manovra saranno in gran parte assorbiti dagli aumenti locali. A Bologna - calcolava lunedм il Sole 24 Ore - l’aumento delle due addizionali costerа a un single con 37mila euro di reddito annuo, 350 euro di tasse in piщ. Chi ne guadagna 30mila, invece di risparmiare 83 euro pagherа 157 in piщ.
La soglia oltre la quale i vantaggi si trasformano in aggravi cambia da cittа a cittа. Se con moglie e due figli a carico il ministero delle Finanze calcola sconti per chi guadagna 43mila euro l’anno, a Roma la soglia si fermerа a circa 32mila euro, a Torino a 38mila. Per avere un bilancio piщ chiaro bisognerа comunque aspettare. Perchй ci sono Comuni nei quali ad esempio sta crollando l’appeal dell’Ici sull’immobile di abitazione, una tassa considerata poco progressiva e penalizzante per le famiglie. Quest’anno scenderа a Milano, Roma, Bari e L’Aquila. Il calo sta pesando inoltre sulla nuova «tassa di scopo», nata con la manovra 2007 per finanziare le infrastrutture come addizionale all’imposta sulla casa.


Da La Gazzetta del Sud 16-2-2007  Chiuse le indagini per 84 persone e 9 società: al tentativo di scalata ad Antonveneta avrebbero partecipato anche Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti

( Gazzetta del Sud del 16/02/2007 )

"Anche gli ex vertici Unipol nel patto occulto" Secondo la Procura di Milano Antonio Fazio si assunse l'impegno di ostacolare Abn Amro MILANO Richiesta di rinvio a giudizio in vista per l'ex governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio. Nell'avviso di chiusura delle indagini sulla tentata scalata ad Antonveneta depositato ieri dai sostituti procuratori della Repubblica di Milano Greco, Fusco e Perrotti Fazio non è più accusato d'abuso d'ufficio bensì per concorso in aggiotaggio. Per Gianpiero Fiorani, l'ad di Bpi-Banca popolare italiana (l'ex Lodi) in lotta con gli olandesi di Abn Amro per il controllo dell'istituto padovano, si ipotizza invece l'associazione per delinquere finalizzata all'appropriazione indebita e all'aggiotaggio. Diverse le imputazioni per gli 84 indagati e 9 società, i pattisti occulti che diedero un sostegno interessato allo scalatore. Nell'elenco, oltre ai nomi noti (il finanziere bresciano Emilio Gnutti, l'immobiliarista Stefano Ricucci, i frateli Lonati, il presidente di Bpi, Benevento, i tre manager della banca Boni, Savarè, Lucchini) compaiono a sorpresa i due ex leader di Unipol, gli allora presidente Giovanni Consorte e ad Ivano Sacchetti, chiamati a rispondere di appropriazione indebita per una parte dei soldi incassati; di riciclagio per il resto. Dall'inchiesta, iniziata nel 2005, escono 3 politici (il leghista Giorgetti e i forzisti Dell'Utri e Previti) restano invece Calderoli (Lega) Tarolli (Udc) e Brancher (Forza Italia) iscritti nel registro degli indagati con l'ipotesi di appropriazone indebita. E resta anche Luigi Grillo, l'ex senatore di Forza Italia che veniva ritenuto il leader del partito pro Fazio. Grillo, sostengono i tre pm, "contribuiva a trasferire da Fazio a Fiorani informazioni riservate riguardanti gli iter e i procedimenti di autorizzazione e le iniziative del servizio di vigilanza della Banca d'Italia nei confronti di Bpi". Si arriva così al punto fondamentale di tutta la vicenda: il ruolo del governatore Fazio e del suo capo del servizio di vigilanza, Francesco Frasca che, partecipando "agli incontri riservati nei quali il governatore veniva informato da Fiorani e Boni di acqisizioni e patti, manifestava l'esplicito assenso alla linea di Fazio". Capo con poteri assoluti della banca centrale, l'ex governatore era il vero dominus della situazione, il garante degli interessi del Paese e del rispetto delle regole. Dovere al quale sostiene la Procura di Milano si è sottratto, fino ad assumere un "concorso morale" con scalatori e pattisti occulti. Fazio, si legge nel lungo testo (43 pagine) del provvedimento, "anche in violazione dei doveri e degli obblighi inerenti la carica di governatore della Banca d'Italia, assumeva con Fiorani, dapprima l'impegno di ostacolare Abn-Amro nell'eventuale incremento della partecipazione in Antonveneta; successivamente al lancio dell'Opa da parte della stessa Abn, ritardava il rilascio delle necessarie autorizzazioni, per consentire a Bpi di proseguire nel rastrellamento occulto di azioni". Non solo, Fazio "esortava Fiorani e Boni, nel corso di periodici incontri riservati, a superare, con le acquisizioni indirette di partecipazioni e la costituzione dei patti occulti, le soglie autorizzate da Banca d'Italia, istigando gli stessi Fiorani e Boni, a proseguire nella scalata occulta; approvava, la sera prima dell'assemblea di Antonveneta per il rinnovo delle cariche (30 aprile 2005), le strategie di voto concordate dai pattisti occulti; incitava Fiorani e Boni ad andare avanti anche dopo l'atto di accertamento del 10 maggio 2005 pur sapendo che del concerto facevano parte altri soggetti (tra cui Ricucci) non ancora inseriti dalla Consob tra i concertisti". (r.m.) Scheda xxxxxxx xxxxxxxx Per Fiorani si ipotizza l'associazione per delinquere finalizzata all'aggiotaggio (venerdì 16 febbraio 2007).

"Anche gli ex vertici Unipol nel patto occulto" Secondo la Procura di Milano Antonio Fazio si assunse l'impegno di ostacolare Abn Amro MILANO Richiesta di rinvio a giudizio in vista per l'ex governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio. Nell'avviso di chiusura delle indagini sulla tentata scalata ad Antonveneta depositato ieri dai sostituti procuratori della Repubblica di Milano Greco, Fusco e Perrotti Fazio non è più accusato d'abuso d'ufficio bensì per concorso in aggiotaggio. Per Gianpiero Fiorani, l'ad di Bpi-Banca popolare italiana (l'ex Lodi) in lotta con gli olandesi di Abn Amro per il controllo dell'istituto padovano, si ipotizza invece l'associazione per delinquere finalizzata all'appropriazione indebita e all'aggiotaggio. Diverse le imputazioni per gli 84 indagati e 9 società, i pattisti occulti che diedero un sostegno interessato allo scalatore. Nell'elenco, oltre ai nomi noti (il finanziere bresciano Emilio Gnutti, l'immobiliarista Stefano Ricucci, i frateli Lonati, il presidente di Bpi, Benevento, i tre manager della banca Boni, Savarè, Lucchini) compaiono a sorpresa i due ex leader di Unipol, gli allora presidente Giovanni Consorte e ad Ivano Sacchetti, chiamati a rispondere di appropriazione indebita per una parte dei soldi incassati; di riciclagio per il resto. Dall'inchiesta, iniziata nel 2005, escono 3 politici (il leghista Giorgetti e i forzisti Dell'Utri e Previti) restano invece Calderoli (Lega) Tarolli (Udc) e Brancher (Forza Italia) iscritti nel registro degli indagati con l'ipotesi di appropriazone indebita. E resta anche Luigi Grillo, l'ex senatore di Forza Italia che veniva ritenuto il leader del partito pro Fazio. Grillo, sostengono i tre pm, "contribuiva a trasferire da Fazio a Fiorani informazioni riservate riguardanti gli iter e i procedimenti di autorizzazione e le iniziative del servizio di vigilanza della Banca d'Italia nei confronti di Bpi". Si arriva così al punto fondamentale di tutta la vicenda: il ruolo del governatore Fazio e del suo capo del servizio di vigilanza, Francesco Frasca che, partecipando "agli incontri riservati nei quali il governatore veniva informato da Fiorani e Boni di acqisizioni e patti, manifestava l'esplicito assenso alla linea di Fazio". Capo con poteri assoluti della banca centrale, l'ex governatore era il vero dominus della situazione, il garante degli interessi del Paese e del rispetto delle regole. Dovere al quale sostiene la Procura di Milano si è sottratto, fino ad assumere un "concorso morale" con scalatori e pattisti occulti. Fazio, si legge nel lungo testo (43 pagine) del provvedimento, "anche in violazione dei doveri e degli obblighi inerenti la carica di governatore della Banca d'Italia, assumeva con Fiorani, dapprima l'impegno di ostacolare Abn-Amro nell'eventuale incremento della partecipazione in Antonveneta; successivamente al lancio dell'Opa da parte della stessa Abn, ritardava il rilascio delle necessarie autorizzazioni, per consentire a Bpi di proseguire nel rastrellamento occulto di azioni". Non solo, Fazio "esortava Fiorani e Boni, nel corso di periodici incontri riservati, a superare, con le acquisizioni indirette di partecipazioni e la costituzione dei patti occulti, le soglie autorizzate da Banca d'Italia, istigando gli stessi Fiorani e Boni, a proseguire nella scalata occulta; approvava, la sera prima dell'assemblea di Antonveneta per il rinnovo delle cariche (30 aprile 2005), le strategie di voto concordate dai pattisti occulti; incitava Fiorani e Boni ad andare avanti anche dopo l'atto di accertamento del 10 maggio 2005 pur sapendo che del concerto facevano parte altri soggetti (tra cui Ricucci) non ancora inseriti dalla Consob tra i concertisti". (r.m.)

 Per Fiorani si ipotizza l'associazione per delinquere finalizzata all'aggiotaggio (venerdì 16 febbraio 2007).

 


 

Da Milano Finanza 16-2-2007 Così funzionava la rete dei furbetti

 ( Milano Finanza del 16/02/2007 )

MF Così funzionava la rete dei furbetti Documento tutte le accuse dei pm contenute nell'avviso di chiusura delle indagini. Fiorani dirigeva l'associazione per delinquere assieme a Marmont, Conti, Ghioldi, Quartieri, Ferrari, Spinelli. Da Roma arrivava il sostegno di Bankitalia. E Consorte e Sacchetti incassavano milioni da Gnutti Ecco alcuni estratti dell'avviso di chiusura delle indagini notificato ieri dalla procura di Milano agli 84 indagati dell'inchiesta sulla scalata Antonveneta.Gianpiero Fiorani, a.d. della Popolare italiana fino al 2 agosto 2005. 'Costituiva, promuoveva, organizzava e dirigeva l'associazione criminosa: a) 'Individuando le operazioni immobiliari e finanziarie dalle quali trarre illeciti profitti, tra cui la scalata alla Banca Antonveneta (condotta con modalità manipolative e ostacolando l'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza)'; b) 'Occupandosi, personalmente o per il tramite di soggetti di sua fiducia, delle trattative, anche occulte, relative all'acquisizione della Banca Adamas ed alla dismissione degli asset immobiliari del gruppo Bipielle (operazione 'Mizar-Casse del Tirreno'), trattative dalle quali conseguiva, per sé e per altri, ingenti profitti illeciti; c) 'Creando strutture estere off-shore con conti presso banche svizzere, monegasche, del Jersey e di Singapore per occultare il provento delle operazioni di cui al precedente punto e delle altre descritte ai successivi; d) 'Seguendo di persona, sia in comitato esecutivo che in consiglio di amministrazione e comunque avvalendosi della sua posizione apicale all'interno del gruppo Bipielle, le procedure per la concessione di linee ai credito (anche a tassi agevolati e senza prestazione di garanzie) con le quali finanziare operazioni mobiliari ed immobiliari di interesse per l'organizzazione; e) 'Favorendo l'apertura di conti correnti e dossier titoli e l'erogazione di finanziamenti a 'clienti privilegiati', i cui conti venivano gestiti direttamente dall'area finanza della banca.Antonio Fazio, ex governatore della Banca d'Italia. 'Anche in violazione dei doveri e degli obblighi inerenti la carica di governatore della Banca d'Italia': a) 'Assumeva, con Fiorani, dapprima l'impegno di ostacolare Abn Amro nell'eventuale incremento della partecipazione in Antonveneta (garantendogli che comunque mai l'avrebbe autorizzata a salire oltre il 12-13%) e, successivamente al lancio dell'opa, da parte della stessa Abn, ritardava il rilascio delle necessarie autorizzazioni, per consentire a Bpi di proseguire nel rastrellamento occulto di azioni Bapv';b) 'Esortava Fiorani e Boni, nel corso di periodici incontri riservati, a superare, con le acquisizioni indirette di partecipazioni e la costituzione dei patti occulti sopra indicati, le soglie autorizzate da Banca d'Italia, rispettivamente, in data 14/02/2005 (fino al 14,9%) ed in data 7/04/2005 ( fino al 29,9%), istigando, gli stessi Fiorani e Boni, a proseguire la scalata occulta';c) 'Approvava la sera prima dell'assemblea ordinaria di Antonveneta per il rinnovo delle cariche sociali (30/04/2005), le strategie di voto concordate dai patti occulti';d) 'Incitava Fiorani e Boni ad andare avanti anche dopo l'atto di accertamento del 10/5/2005 pur sapendo che del 'concerto' facevano parte altri soggetti (tra cui Ricucci) non ancora inseriti dalla Consob tra i concertisti'.Francesco Frasca: 'Anche in violazione dei doveri e degli obblighi inerenti la carica di capo del servizio di vigilanza della Banca d'Italia':a) 'Partecipava agli incontri riservati nei quali il governatore veniva informato da Fiorani e Boni, delle acquisizioni di partecipazioni indirette e dei patti, manifestando, con la stessa presenza e l'esplicito assenso alla linea del governatore Fazio, il suo atteggiamento di favore a Bpi, specialmente quale capo della vigilanza della Banca d'Italia';b) 'Si metteva, altresì, a disposizione per fronteggiare l'eventuale insorgenza di problematiche tra Bpi e il servizio di vigilanza, nel corso dell'operazione Antonveneta'.Luigi Grillo, senatore di Forza Italia. 'Contribuiva a trasferire, da Fazio a Fiorani, informazioni riservate riguardanti l'iter dei procedimenti di autorizzazione e le iniziative del servizio di vigilanza della Banca d'Italia nei confronti di Bpi:a) 'Nello svolgimento dell'attività descritta al precedente punto, forniva ai suoi interlocutori consigli e incoraggiamenti, specialmente a Fiorani, esortandolo a proseguire nella scalata occulta all'Antonveneta anche in presenza delle difficoltà che nel frattempo erano intervenute (accertamento del concetto in data 10/5/2005, iniziative della magistratura)'.Giovanni Consorte, Ivano Sacchetti, Emilio Gnutti, Gianpiero Fiorani, Gianfranco Boni. Indagati per 'il delitto di cui agli art. 110,81 cpv, 646, 61 n°7 e n°11 c.p., perché, in concorso tra loro ed in esecuzione di un unico disegno criminoso, dovendo Gnutti, presidente Hopa spa, C+G spa (ora Holinvest spa), Holinvest spa e di Gp Finanziaria spa, erogare somme di denaro a Consorte e Sacchetti, versava, agli stessi, la complessiva somma di circa 40 milioni di euro, facendo acquistare, dalle predette società, ai blocchi e con operazioni costruite ad hoc, titoli venduti dai predetti Consorte e Sacchetti, a prezzi superiori a quelli di mercato. Fiorani e Boni mettevano a disposizione di Consorte e Sacchetti':a) 'I conti correnti 046/1009/08 (in data 29/10/2001), affidandoli nella misura necessaria per effettuare un'operazione di trading immobiliare, curati da Boni d'intesa con Fiorani, dalla quale conseguiva una plusvalenza di 2.587.449,00 su ciascun conto, realizzata per mezzo dell'acquisto di azioni Olivetti, sul mercato, e alla contestuale cessione delle stesse a un prezzo del 95% circa superiore a quello di mercato, rivendute in blocco, su disposizione di Gnutti Emilio, ai figli Thomas Arianna Gnutti, i quali, a loro volta, le rivendevano al medesimo prezzo (quello maggiorato del 95% rispetto al prezzo del mercato) a C+G spa';b) 'Quindi mettevano a disposizione di Consorte e Sacchetti gli altri due conti 046/1039/38 e 046/1038/37 (in data 19/11/2001), sui quali, venivano bonificate le plusvalenze realizzate (con l'operazione sui titoli Olivetti su indicata) e concessi affidamenti nella misura necessaria per effettuare ulteriori operazioni di trading mobiliare, curate da Boni d'intesa con Fiorani, dalle quali conseguiva una complessiva plusvalenza di 34.600 mila euro, realizzata per mezzo dell'acquisto dei titoli a prezzi di mercato da parte di Consorte e Sacchetti e la contestuale rivendita degli stessi alle società e con le modalità di seguito indicate, che li acquistavano, su disposizione di Gnutti, ai blocchi, a prezzi notevolmente superiori' (con plusvalenze totali pari a 34,6 milioni di euro, ndr). 'Plusvalenze in gran parte trasferite su mandati fiduciari intestati a Consorte e Sacchetti segnatamente per euro 23.800 mila presso la Unione Fiduciaria di Milano e per euro 9.600 mila presso la Gabriel Fiduciaria di Torino'.Paolo Marmont, Fabio Massimo Conti, Francesco Ghioldi,' i primi consiglieri in Bipielle suisse e Conti anche in diverse società del gruppo Bipielle, il terzo consulente legale nonché fiduciario svizzero partecipava all'associazione':a) 'Predisponendo e gestendo le strutture societarie ed i relativi rapporti bancari (accesi, soprattutto presso Bdl-Jersey, Singapore e Lugano), in particolare mettendo a disposizione dell'organizzazione le società: Yol trading corporation, Zachs engineering corp. Marina invest sa, Celleck financial services inc, Hinton research sa, Canterbury global sa, Borgo Nobile sa, Victoria & Eagle, utilizzate per depositare i proventi delle attività illecite dell'associazione e per 'schermare' la riconducibilità all'associazione delle società immobiliari/finanziarie italiane capitalizzate e/o finanziate con i proventi generali dalle illecite attività';b) 'Gestendo i conti esteri in Bpl riferibili a Fiorani, Spinelli e Boni, tra i quali il conto Targum e i conti Brunner 1 e 2';c) 'Ghioldi altresì agendo quale procuratore di diverse società off-shore, fiducianti della Compagnia fiduciaria nazionale spa, con sede a Milano, utilizzata per intestazioni fiduciarie di società riconducibili al Fiorani e Spinelli (Silvano, ndr)'.Aldino Quartieri, 'sindaco di Bpi, partecipava all'associazione criminosa: costituendo o figurando nella compagine sociale/domiciliando/rappresentando (pure per procura)/amministrando anche di fatto le società italiane ed estere di cui Fiorani era socio occulto' (...)Marino Ferrari. 'Partecipava all'associazione criminosa svolgendo il ruolo di prestanome di Fiorani in varie operazioni immobiliari tra le quali quella realizzata con la Liberty srl (relativa a una villa a Cap Martin, in Costa Azzurra) e con Giorni Sereni srl (relativa a un'altra villa in località Cala di Volpe, Sardegna) nonché in operazioni di trading mobiliare realizzate con Borgo Centrale spa'. MF  - Primo Piano Numero 034, pag. 3 del 16/2/2007 Autore:.

MF Così funzionava la rete dei furbetti Documento tutte le accuse dei pm contenute nell'avviso di chiusura delle indagini. Fiorani dirigeva l'associazione per delinquere assieme a Marmont, Conti, Ghioldi, Quartieri, Ferrari, Spinelli. Da Roma arrivava il sostegno di Bankitalia. E Consorte e Sacchetti incassavano milioni da Gnutti Ecco alcuni estratti dell'avviso di chiusura delle indagini notificato ieri dalla procura di Milano agli 84 indagati dell'inchiesta sulla scalata Antonveneta.Gianpiero Fiorani, a.d. della Popolare italiana fino al 2 agosto 2005. 'Costituiva, promuoveva, organizzava e dirigeva l'associazione criminosa: a) 'Individuando le operazioni immobiliari e finanziarie dalle quali trarre illeciti profitti, tra cui la scalata alla Banca Antonveneta (condotta con modalità manipolative e ostacolando l'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza)'; b) 'Occupandosi, personalmente o per il tramite di soggetti di sua fiducia, delle trattative, anche occulte, relative all'acquisizione della Banca Adamas ed alla dismissione degli asset immobiliari del gruppo Bipielle (operazione 'Mizar-Casse del Tirreno'), trattative dalle quali conseguiva, per sé e per altri, ingenti profitti illeciti; c) 'Creando strutture estere off-shore con conti presso banche svizzere, monegasche, del Jersey e di Singapore per occultare il provento delle operazioni di cui al precedente punto e delle altre descritte ai successivi; d) 'Seguendo di persona, sia in comitato esecutivo che in consiglio di amministrazione e comunque avvalendosi della sua posizione apicale all'interno del gruppo Bipielle, le procedure per la concessione di linee ai credito (anche a tassi agevolati e senza prestazione di garanzie) con le quali finanziare operazioni mobiliari ed immobiliari di interesse per l'organizzazione; e) 'Favorendo l'apertura di conti correnti e dossier titoli e l'erogazione di finanziamenti a 'clienti privilegiati', i cui conti venivano gestiti direttamente dall'area finanza della banca.Antonio Fazio, ex governatore della Banca d'Italia. 'Anche in violazione dei doveri e degli obblighi inerenti la carica di governatore della Banca d'Italia': a) 'Assumeva, con Fiorani, dapprima l'impegno di ostacolare Abn Amro nell'eventuale incremento della partecipazione in Antonveneta (garantendogli che comunque mai l'avrebbe autorizzata a salire oltre il 12-13%) e, successivamente al lancio dell'opa, da parte della stessa Abn, ritardava il rilascio delle necessarie autorizzazioni, per consentire a Bpi di proseguire nel rastrellamento occulto di azioni Bapv';b) 'Esortava Fiorani e Boni, nel corso di periodici incontri riservati, a superare, con le acquisizioni indirette di partecipazioni e la costituzione dei patti occulti sopra indicati, le soglie autorizzate da Banca d'Italia, rispettivamente, in data 14/02/2005 (fino al 14,9%) ed in data 7/04/2005 ( fino al 29,9%), istigando, gli stessi Fiorani e Boni, a proseguire la scalata occulta';c) 'Approvava la sera prima dell'assemblea ordinaria di Antonveneta per il rinnovo delle cariche sociali (30/04/2005), le strategie di voto concordate dai patti occulti';d) 'Incitava Fiorani e Boni ad andare avanti anche dopo l'atto di accertamento del 10/5/2005 pur sapendo che del 'concerto' facevano parte altri soggetti (tra cui Ricucci) non ancora inseriti dalla Consob tra i concertisti'.Francesco Frasca: 'Anche in violazione dei doveri e degli obblighi inerenti la carica di capo del servizio di vigilanza della Banca d'Italia':a) 'Partecipava agli incontri riservati nei quali il governatore veniva informato da Fiorani e Boni, delle acquisizioni di partecipazioni indirette e dei patti, manifestando, con la stessa presenza e l'esplicito assenso alla linea del governatore Fazio, il suo atteggiamento di favore a Bpi, specialmente quale capo della vigilanza della Banca d'Italia';b) 'Si metteva, altresì, a disposizione per fronteggiare l'eventuale insorgenza di problematiche tra Bpi e il servizio di vigilanza, nel corso dell'operazione Antonveneta'.Luigi Grillo, senatore di Forza Italia. 'Contribuiva a trasferire, da Fazio a Fiorani, informazioni riservate riguardanti l'iter dei procedimenti di autorizzazione e le iniziative del servizio di vigilanza della Banca d'Italia nei confronti di Bpi:a) 'Nello svolgimento dell'attività descritta al precedente punto, forniva ai suoi interlocutori consigli e incoraggiamenti, specialmente a Fiorani, esortandolo a proseguire nella scalata occulta all'Antonveneta anche in presenza delle difficoltà che nel frattempo erano intervenute (accertamento del concetto in data 10/5/2005, iniziative della magistratura)'.Giovanni Consorte, Ivano Sacchetti, Emilio Gnutti, Gianpiero Fiorani, Gianfranco Boni. Indagati per 'il delitto di cui agli art. 110,81 cpv, 646, 61 n°7 e n°11 c.p., perché, in concorso tra loro ed in esecuzione di un unico disegno criminoso, dovendo Gnutti, presidente Hopa spa, C+G spa (ora Holinvest spa), Holinvest spa e di Gp Finanziaria spa, erogare somme di denaro a Consorte e Sacchetti, versava, agli stessi, la complessiva somma di circa 40 milioni di euro, facendo acquistare, dalle predette società, ai blocchi e con operazioni costruite ad hoc, titoli venduti dai predetti Consorte e Sacchetti, a prezzi superiori a quelli di mercato. Fiorani e Boni mettevano a disposizione di Consorte e Sacchetti':a) 'I conti correnti 046/1009/08 (in data 29/10/2001), affidandoli nella misura necessaria per effettuare un'operazione di trading immobiliare, curati da Boni d'intesa con Fiorani, dalla quale conseguiva una plusvalenza di 2.587.449,00 su ciascun conto, realizzata per mezzo dell'acquisto di azioni Olivetti, sul mercato, e alla contestuale cessione delle stesse a un prezzo del 95% circa superiore a quello di mercato, rivendute in blocco, su disposizione di Gnutti Emilio, ai figli Thomas Arianna Gnutti, i quali, a loro volta, le rivendevano al medesimo prezzo (quello maggiorato del 95% rispetto al prezzo del mercato) a C+G spa';b) 'Quindi mettevano a disposizione di Consorte e Sacchetti gli altri due conti 046/1039/38 e 046/1038/37 (in data 19/11/2001), sui quali, venivano bonificate le plusvalenze realizzate (con l'operazione sui titoli Olivetti su indicata) e concessi affidamenti nella misura necessaria per effettuare ulteriori operazioni di trading mobiliare, curate da Boni d'intesa con Fiorani, dalle quali conseguiva una complessiva plusvalenza di 34.600 mila euro, realizzata per mezzo dell'acquisto dei titoli a prezzi di mercato da parte di Consorte e Sacchetti e la contestuale rivendita degli stessi alle società e con le modalità di seguito indicate, che li acquistavano, su disposizione di Gnutti, ai blocchi, a prezzi notevolmente superiori' (con plusvalenze totali pari a 34,6 milioni di euro, ndr). 'Plusvalenze in gran parte trasferite su mandati fiduciari intestati a Consorte e Sacchetti segnatamente per euro 23.800 mila presso la Unione Fiduciaria di Milano e per euro 9.600 mila presso la Gabriel Fiduciaria di Torino'.Paolo Marmont, Fabio Massimo Conti, Francesco Ghioldi,' i primi consiglieri in Bipielle suisse e Conti anche in diverse società del gruppo Bipielle, il terzo consulente legale nonché fiduciario svizzero partecipava all'associazione':a) 'Predisponendo e gestendo le strutture societarie ed i relativi rapporti bancari (accesi, soprattutto presso Bdl-Jersey, Singapore e Lugano), in particolare mettendo a disposizione dell'organizzazione le società: Yol trading corporation, Zachs engineering corp. Marina invest sa, Celleck financial services inc, Hinton research sa, Canterbury global sa, Borgo Nobile sa, Victoria & Eagle, utilizzate per depositare i proventi delle attività illecite dell'associazione e per 'schermare' la riconducibilità all'associazione delle società immobiliari/finanziarie italiane capitalizzate e/o finanziate con i proventi generali dalle illecite attività';b) 'Gestendo i conti esteri in Bpl riferibili a Fiorani, Spinelli e Boni, tra i quali il conto Targum e i conti Brunner 1 e 2';c) 'Ghioldi altresì agendo quale procuratore di diverse società off-shore, fiducianti della Compagnia fiduciaria nazionale spa, con sede a Milano, utilizzata per intestazioni fiduciarie di società riconducibili al Fiorani e Spinelli (Silvano, ndr)'.Aldino Quartieri, 'sindaco di Bpi, partecipava all'associazione criminosa: costituendo o figurando nella compagine sociale/domiciliando/rappresentando (pure per procura)/amministrando anche di fatto le società italiane ed estere di cui Fiorani era socio occulto' (...) Marino Ferrari. 'Partecipava all'associazione criminosa svolgendo il ruolo di prestanome di Fiorani in varie operazioni immobiliari tra le quali quella realizzata con la Liberty srl (relativa a una villa a Cap Martin, in Costa Azzurra) e con Giorni Sereni srl (relativa a un'altra villa in località Cala di Volpe, Sardegna) nonché in operazioni di trading mobiliare realizzate con Borgo Centrale spa'. MF  - 

 


Da canali.libero.it/affaritaliani    Brancher, l'uomo chiave. E anche la sinistra...

Giovedí 15.02.2007 18:00

Una delle figure più importanti per cercare di avvicinarsi al grande intrigo che è la galassia Fiorani, è indubbiamente Aldo Brancher, nato a Trichiana (Belluno) il 30 maggio 1943. E' lui l'artefice dell'accordo Polo-Lega dopo il 2001. Ma non solo. E' l'artefice - secondo Fiorani - anche di ben altro. "Con lui ho avuto diversi rapporti economici ed in particolare l'erogazione di una somma nel 2003 sul conto della Luana Maniezzo derivante da "partita viaggiante" organizzata da Boni; nel 2004 ho erogato 100mila euro che ho consegnato in ufficio a Lodi per ringraziarlo per l'attività svolta in Parlamento per aiutare Fazio; 100mila euro nel 2005 a Roma secondo le modalità che descriverò in relazione ai rapporti con Giorgetti; 200mila euro a Lodi quando ho consegnato la busta a Brancher che la doveva dividere con Calderoli che era presente presso la sala del consiglio. Ricordo che Brancher e Calderoli erano accompagnati da una donna. Ho consegnato la busta a Brancher il quale mi disse che doveva dividere con Calderoli perchè il ministro aveva bisogno di soldi per la sua attività politica. A differenza di Dell'Utri, Calderoli non mi ha nemmeno ringraziato".

Ma come si sono conosciuti Brancher e Fiorani? "Nel 2001, prima delle elezioni, Brancher mi chiamò dicendomi che aveva bisogno di soldi per le sue attività politiche ed io approfittai dell'occasione per chiedere che nel collegio elettorale di Lodi fosse condidata una persona di nostro gradimento al posto dell'onorevole Di Giovine. Ed infatti Brancher riuscì ad inserire nel collegio di Lodi Falsitta, che trovammo di nostro gradimento. Brancher era sia un esponente di rilievo di Forza Italia che l'uomo di collegamento tra Forza Italia e la Lega. E' stato da noi finanziato proprio perchè ricopriva questo doppio ruolo".

LA SINISTRA - Fiorani non si rivolse solo a Forza Italia, Lega Nord e Udc. Cercò anche di coinvolgere la sinistra, non si sa con quale successo. "Autonomamente decisi di prendere contatti anche con alcuni esponenti della sinistra che già conoscevo, tra i quali Bersani, Benvenuto e Violante. Constatai che a sinistra c'era una situazione di spaccatura. Preciso che quando parlavo del ddl Risparmio cercavo sempre di collegare il discorso all'operazione Antonveneta - spiega Fiorani - Ricordo ancora che Bersani mi aveva suggerito di convincere il Governatore che il progetto di autoriforma della Banca d'Italia era l'unica soluzione praticabile per difendere il Governatore stesso". Nel verbale dell'interrogatorio dell'8 febbraio 2006, Fiorani dà altri dettagli. "Non mi sembra di aver mai chiesto a Consorte di organizzare degli incontri con i leader dei Ds. Infatti, quanto a D'Alema, stavo utilizzando il canale De Bustis, che si era offerto di organizzare un incontro con D'Alema. Bersani, che ho poi incontrato, lo conoscevo direttamente e non avevo bisogno di intermediari mentre Violante me lo ha fatto conoscere una persona di cui ora non ricordo il nome ma che era un funzionario della Coldiretti. Peraltro, l'accordo con Unipol costituiva già una garanzia, almeno nella mia testa, di un sostanziale appoggio a sinistra".


Da primadanoi.it 16-2-2007   Crisci (Ulivo),tre emendamenti per ridurre costi bancari e aumentare trasparenza

ABRUZZO. Il deputato dell'Ulivo Nicola Crisci ha presentato alla Legge di Conversione del Decreto Legge n. 7 del 31/01/2007 "misure urgenti per la tutela dei consumatori" tre emendamenti.
Il primo prevede che «i tassi d'interesse delle Carte di Credito a pagamento differito non possono essere superiori al prime-rate ABI aumentato di tre punti» (Apprezzabile, ma il prime rate ABI non è più rilevato dal dicembre 2004. Nota di M. Novelli), in un altro è previsto che «nei contratti di fideiussione relativi ad aperture di credito a tempo indeterminato deve essere indicata una scadenza definita non superiore a cinque anni dalla stipula», infine un emendamento rivolto sempre ai risparmiatori, che prevede che le banche «all'atto dell'apertura di contratti di deposito a risparmio nominativo e di conto corrente, nonché di contratti di deposito titoli richiedano all'intestatario le generalità delle persone a cui comunicare le coordinate del deposito nel caso in cui per due anni consecutivi dalla libera disponibilità delle somme e dei titoli non siano state compiute operazioni dal depositante o da suo delegato».
«Ritengo che questi emendamenti possano contribuire a meglio tutelare i diritti dei cittadini clienti delle banche italiane ed abruzzesi », ha commentato il deputato Crisci della Commissione Finanze. «Se approvati durante la discussione che si è avviata in questi giorni questi emendamenti contribuiranno a ridurre i costi bancari ed a migliorare la trasparenza e la concorrenza nel mercato creditizio».
15/02/2007 10.30


Da La Repubblica 15-2-2007 L'Osservatore contro gli appelli dei cattolici "La Chiesa ha il diritto-dovere di parlare"

 

Coppie di fatto, il quotidiano della Santa Sede replica all'appello dei cattolici che hanno definito la strategia dei vescovi "di inaudita gravità"

Attacco alla Bindi, che ha detto "amo di più la Chiesa quando parla di Dio" "Bisognerebbe riconoscere che le cose di Dio e quelle degli uomini coincidono".

CITTA' DEL VATICANO - "La Chiesa sulla famiglia ha il dovere di parlare. Chi vuole, ascolta. Ma non le si chieda di tacere". Lo scrive l'Osservatore Romano che definisce oggi "quanto meno inopportune quelle voci che in questi giorni, anche con appelli pubblici, vorrebbero far tacere questa voce tanto autorevole quanto scomoda. Tanto scomoda - spiega la nota - da essere definita da alcuni impropriamente un'ingerenza".
"Sulla famiglia, sul matrimonio, esiste una verità che la Chiesa non può tacere e che i credenti sono chiamati a preservare, oltre che a vivere e a testimoniare", ricorda l'Osservatore Romano rispondendo al "
manifesto" che chiede alla Cei di astenersi da un pronunciamento pubblico, per il quale si raccolgono firme a Bologna. La verità sulla famiglia è "patrimonio di tutti, dell'intera società, una verità che non possiede un carattere peculiarmente religioso e, per questo, l'impegno in difesa della famiglia dovrebbe riguardare tutti".
"Forse - afferma ancora la nota dell'Osservatore con trasparente riferimento alle dichiarazioni del ministro della famiglia Rosy Bindi che ha detto di amare di più la Chiesa quando parla di Dio - bisognerebbe riconoscere che le cose di Dio e le cose degli uomini coincidono più di quanto si sia disposti a riconoscere".
"In tempi di acrobazie verbali, oltre che giuridiche, forse vale la pena sottolineare qualche punto fermo, che non si presti a fraintendimenti - si legge ancora - una Chiesa che si occupa delle cose di Dio non può non occuparsi delle cose degli uomini perché l'uomo è cosa di Dio". Per questo, continua la nota, "tutto ciò che riguarda l'uomo riguarda la Chiesa. E nulla più della famiglia riguarda l'uomo".
Secondo il quotidiano della Santa Sede non si comprende, quindi, "perché la Chiesa, il Papa e i vescovi non possano intervenire su un tema tanto delicato quanto cruciale come quello della famiglia. La Chiesa non difende una posizione politica ma semplicemente adempie al suo mandato, che è anche un suo diritto: predicare con libertà la fede e insegnare la sua dottrina sociale, dando un giudizio morale anche su cose che riguardano l'ordine politico se in gioco ci sono l'uomo e la sua dignità".
"Negare ciò - conclude la nota esprimendo ancora una volta la piena sintonia della Santa Sede e dell'Episcopato italiano - significa negare un diritto-dovere, e Benedetto XVI è stato chiaro: 'se ci si dice che la Chiesa non dovrebbe ingerirsi in questi affari, allora noi possiamo solo rispondere: forse che l'uomo non ci interessa?'".
(15 febbraio 2007)

 


Dal Corriere della Sera 15-2-2007 Corea del Nord: il regime si affida ai corsari. Pyongyang alimenta un traffico di navi: imbarcano armi in Corea del Nord e tornano cariche di beni di lusso per la nomenklatura Guido Olimpio

 

Sui natanti pirata anche missili. Nel 2001 il Giappone ne catturò uno

MILANO - I progressi sul negoziato nucleare con la Corea del Nord hanno portato un po’ di ottimismo, ma non ha spazzato via i sospetti. Americani e giapponesi sono inquieti per i corsari nordcoreani. Si muovono su mercantili di proprietà del regime o su cargo con la bandiera di Tonga o della Cambogia. Trasportano armi - dai mitra ai missili - venduti ai paesi del Terzo Mondo, droga, dollari falsi. Un traffico alimentato da Pyongyang per riempire le casse dello stato: partono con casse di materiale proibito e tornano con i generi di lusso destinati alla nomenklatura. Liquori, elettronica, vestiti, generi alimentari particolari in sfida all'embargo Onu.

L’ultime nave è stata intercettata a Cipro, in estate. A bordo, sotto un carico di tubi, armamenti destinati alla Siria. Un’altra è stata fermata e poi lasciata ripartire ad Hong Kong, una terza controllata al largo delle coste occidentali dell’Africa. I più inquieti sono i giapponesi. Tokio chiede con forza che il regime della Nord Corea fornisca informazioni sui cittadini nipponici rapiti dagli 007 di Pyongyang negli anni ’70 e ’80. Giovani donne, ragazzi fatti sparire e trasferiti a bordo delle navi-spia nel Nord. Il regime comunista li ha usati per addestrare il personale dell’intelligence alle abitudini del Sol Levante.

Esistono prove inconfutabili dell’attività clandestina. Nel 2001 un mercantile corsaro è stato intercettato dalla Marina giapponese e affondato dopo una battaglia in alto mare. Riportato in superficie, il cargo si è rivelato una sorpresa: all’interno una stiva contenente una imbarcazione veloce modificata per missioni di spionaggio. Il battello era dotato di cariche esplosive e anche di attrezzature per i subacquei. La nave-madre aveva un portellone posteriore apribile dal quale veniva fatto uscire il motoscafo una volta raggiunte le coste del paese nemico. Sempre sul cargo sono state scoperte mitragliatrici, fucili e lanciagranate, usati per impedire l’abbordaggio giapponese. Secondo l’intelligence Usa sono circa una ventina le navi pirata legate al regime, alle quali si aggiungono unità noleggiate anche in Occidente. In seguito alla crisi nucleare, i capitani hanno mantenuto un atteggiamento più prudente, ma non possono rinunciare ai traffici.

 

15 febbraio 2007