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Archivio Piccola Rassegna     16-31 maggio 2007

 

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INDICE 31-5-2007

 

+ + Tendenzeonline.info 31-5-2007  VIDEO SU PRETI PEDOFILI, VESCOVI CONTRO SANTORO: SCIACALLAGGIO  2

+ +  Affari Italiani 31-5-2007 Bush a Roma/ Cossiga: il governo disdica ogni impegno e incontro bilaterale con il presidente Usa. Bisogna evitare incresciosi incidenti 2

+ +  AgenParl 31-5-2007  COSTI DELLA POLITICA: PARTE INDAGINE CONOSCITIVA  3

+ Il Corriere della Sera 31-5-2007 Il viceministro beccato da Striscia la Notizia . «Fregati da Mastella». Fuori onda di Visco Lorenzo Salvia  3

+  Il Denaro 31-5-2007 Campania i costi della politica Mastella: Sprechi ovunque, si dia un'occhiata ai manager 4

+  Il Sole 24 Ore  31-5-2007 COMMENTI E INCHIESTE: La transizione infinita dell'Italia di Franco Debenedetti 4

La Repubblica 31-5-2007 BONSAI. PROVINCIALI. SEBASTIANO MESSINA  5

Il Corriere della Sera 31-5-2007  Prodi e l’ultimatum dopo la sconfitta elettorale Un partito e la sua guida di Sergio Romano  6

Italia Oggi 31-5-2007 Comincia bene la commissione taglia-spese: tra gli sforbiciatori si parla solo politichese Il primo costo della politica da tagliare, forse, è il politichese. Tutti quei modi di dire e non dire che non portano mai da nessuna parte e che servono a riempire solo pagine e pagine di resoconti. 6

La Repubblica 31-5-2007 Bari Il personale costa al Comune 2,5 milioni l'anno solo di stipendi. Un consigliere prende 850 euro I nababbi delle circoscrizioni ai presidenti 2900 euro al mese "La nostra sede è davvero molto bella Abbiamo due piani sulla muraglia e c'è anche il garage riservato" GIULIANO FOSCHINI 8

Europa 31-5-2007 Sto con Veronesi per le centrali nucleari e con De Luca per il termovalorizzatore a Salerno FEDERICO ORLANDO RISPONDE  8

Il Riformista  CHIAMPARINO E LA MUNNEZZA Iervolino e Sassolino quant’è lontana Torino  9

Il Giornale di Vicenza 31-5-2007 La casta che si nutre di politica di Marino Smiderle. Gian Antonio Stella presenterà stasera al Centro congressi dell'Associazione artigiani l'ultimo libro scritto insieme al collega Sergio Rizzo. 10

Il Piccolo di Trieste 31-5-2007 Costi della politica, dibattito alla camera. Accuse a Rizzo e Stella: è puro scandalismo. Tutta colpa dei soliti giornalisti E anche di enti locali e giudici I parlamentari: 'L'indagine conoscitiva riguardi tutti'. Giampiero Di Santo  11

Il Centro 31-5-2007 Due parroci, due Chiese Due parroci, due Chiese qual è quella "vera"? All'inizio di questa sconcertante storia pensavo che la Chiesa si fosse ravveduta, e avesse provveduto a rimediare al grave episodio "di pura discriminazione". Lucio Di Nisio Montesilvano  13

L’Unità 31-5-2007 Scontro in Rai sui preti pedofili, ma il film va in onda I consiglieri del centrodestra si votano un documento: "Tutta la responsabilità è di Cappon" di Natalia Lombardo /  14

Italia Oggi 31-5-2007  In un libro verde la Commissione europea censisce le attività di assistenza. Cittadini Ue, le ambasciate come rete di protezione  14

 


 

+ + Tendenzeonline.info 31-5-2007  VIDEO SU PRETI PEDOFILI, VESCOVI CONTRO SANTORO: SCIACALLAGGIO

 

Roma, 31 mag. (Apcom) - Andrà in onda questa sera, nel corso di 'Annozero', la trasmisione di Santoro il discusso filmato 'Sex crimes and Vatican', l'inchiesta della Bbc sui crimini sessuali commessi da alcuni preti, e a poche ore dalla messa in onda si scatenano le critiche dei vescovi e non solo. "Il battage pubblicitario che ha preceduto la messa in onda, questa sera su Rai Due, del video 'Sex crimes and the Vatican' ha già fatto chiarezza sulle reali intenzioni della trasmissione: fare sciacallaggio mediatico contro la Chiesa e il Papa", sostiene Franco Mugerli, il Copercom,il Coordinamento delle associazioni per la comunicazione di ispirazione cattolica, in un commento pubblicato sul 'Sir', l'agenzia stampa vicina alla Cei.

Noi non abbiamo paura della verità", afferma il fondatore di 'Sat2000'. "Riteniamo la pedofilia un grave crimine contro l'umanità e la Chiesa, ma facciamo nostro quanto richiamato da papa Giovanni Paolo II ai vescovi americani: 'Pur riconoscendo il diritto alla dovuta libertà d'informazione, non bisogna consentire che il male morale divenga occasione di sensazionalismo'. In questo modo non si aiuta la ricerca della verità, ma al contrario si contribuisce alla perdita del senso morale della società". Come è stato già ampiamente documentato in questi giorni - conclude Mugerli - questo filmato della Bbc, più che un'inchiesta, in realtà è un video a tesi, non credibile, con grandi falsità, pretestuoso e pregiudizialmente ostile. E' troppo chiedere al servizio pubblico di aiutare a ristabilire la verità?".

Cappon si prepari alle dimissioni", così il capogruppo dei Popolari-UDEUR al Senato, Tommaso Barbato, a proposito del documentario BBC "Sex crimes and the Vatican" che sarà trasmesso questa sera da "Annozero". "Quello di questa sera - afferma Barbato - è un pretestuoso e volgare attacco contro la figura del Pontefice, sostenuto da una vergognosa campagna della sinistra radicale condotta esclusivamente per fini di bassa politica. Vergogna!".

Sex crimes and vatican', l'inchiesta della Bbc sui crimini sessuali commessi da alcuni preti, è stata trasmessa nel 2006 e acquistata da Viale Mazzini su richiesta di Michele Santoro per una cifra tra i 20 e i 25mila euro. Come da indicazione del dg Claudio Cappon, la trasmissione del filmato sarà seguita da un dibattito tra ospiti 'autorevoli' che possano rappresentare le diverse posizioni chiamate in causa. In studio con Santoro, ci saranno quindi Mons. Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense, Don Fortunato Di Noto, dell'associazione Meter che da anni lotta contro il fenomeno della pedofilia su internet, il professor Piergiorgio Odifreddi, matematico, autore di 'Perché non possiamo essere cristiani' e il giornalista Colm O'Gorman, autore dell'inchiesta della Bbc.

Il video, che era stato tradotto e sottotitolato da alcuni utenti del web, "è stato il più cliccato su internet nelle ultime settimane. Il reporter di 'Panorama-Bbc', Colm O'Gorman, egli stesso vittima da bambino di abusi sessuali da parte di un prete, ha raccolto testimonianze in tutto il mondo a partire dalla cattolicissima Irlanda, fino agli Stati Uniti, al Brasile e in Inghilterra. Al centro dell'inchiesta un documento riservato del Vaticano, chiamato 'Crimen Sollicitationis', del 1962, che diceva ai vescovi come comportarsi con i preti che tentano approcci sessuali dal confessionale, nonché come affrontare 'ogni atto osceno esterno con giovani di ambo i sessi'".


 

+ +  Affari Italiani 31-5-2007 Bush a Roma/ Cossiga: il governo disdica ogni impegno e incontro bilaterale con il presidente Usa. Bisogna evitare incresciosi incidenti

 

Bush a Roma 1/ Allarme nell'Unione, il presidente Usa ospite in Parlamento. La sinistra radicale pronta a contestarlo. Incidente diplomatico? Bush a Roma 2/ La Sinistra democratica sarà in di Piazza del Popolo il prossimo 9 giugno No all'assassino/ Rizzo (Pdci) ad Affari: sinistra unita contro Bush. Dalle sue mani gronda il sangue. Ha sulla coscienza decine di migliaia di civili morti Disdire ogni impegno e incontro bilaterale con il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, "al fine di evitare incresciosi incidenti o anche solo imbarazzanti situazioni, nonché tensioni all'interno della maggioranza dannose ad essa ma anche al Paese". E' quanto sostiene l'ex capo dello Stato, Francesco Cossiga, in un'interpellanza parlamentare rivolta al presidente del Consiglio dei ministri e al ministro degli Esteri riguardante la visita del presidente Usa a Roma il 9 giugno. Nel chiedere al governo italiano se non intenda cancellare ogni appuntamento con Bush, Cossiga ricorda che gli Stati Uniti sono "una potenza formalmente ancora nostra alleata politica e militare plurilaterale e anche bilaterale" e che in occasione dell'arrivo di Bush nella Capitale si terranno a Roma "manifestazioni contro il presidente americano e contro gli Stati Uniti, cui parteciperanno partiti politici che fanno parte della maggioranza che sostiene il governo e movimenti popolari, laici e cattolici, antiamericani che hanno sostenuto nelle elezioni l'Unione e oggi affiancano il governo nella vita civile, sociale e politica, e anche che altissime personalità istituzionali hanno avuto espressioni sprezzanti nei confronti del presidente George W. Bush".


 

+ +  AgenParl 31-5-2007  COSTI DELLA POLITICA: PARTE INDAGINE CONOSCITIVA

 

Roma, 31 Maggio 2007 – AgenParl – La Commissione Affari Costituzionali della Camera, presieduta dall’ On. Luciano Violante, ha avviato un indagine conoscitiva sui costi della politica. I lavori, che si concluderanno a fine ottobre, saranno prevalentemente finalizzati a disegnare una mappa degli sprechi della politica, talmente ingenti da portare l’Italia al primo posto in Europa per il costi delle attività istituzionali. L’attenzione della commissione si concentrerà principalmente su alcuni settori focali come i vertici istituzionali e la pubblica amministrazione, spingendosi però fino ai bilanci degli enti locali ed ai consigli regionali. Nel frattempo le cifre rimangono aberranti: La classe politica, mentre fa le ore piccole per concedere 100 euro in più agli statali e assiste impassibile ad una nuova ondata di scioperi , costa annualmente al cittadino un miliardo e trecento milioni di euro. Il paese dei privilegi continua imperterrito a campare. (F.G.)

 


 

+ Il Corriere della Sera 31-5-2007 Il viceministro beccato da Striscia la Notizia . «Fregati da Mastella». Fuori onda di Visco Lorenzo Salvia

 

Ira del ministro: si dimetta. Palazzo Chigi: non voleva offendere. E sulle pressioni alla Guardia di Finanza il governo rischia in Senato

 

ROMA — A complicare la situazione è arrivato anche un filmato di Striscia la notizia che ha fatto litigare, e furiosamente, Vincenzo Visco e Clemente Mastella. Un caso divampato velocemente, con il ministro della Giustizia che ha minacciato: «O smentisce oppure al governo non c'è posto per tutti e due». Poi, in serata, è arrivata una nota di Palazzo Chigi a stemperare i toni dello scontro. E dire che la situazione già non era messa bene per il governo perché se le firme si trasformeranno in voti, mercoledì prossimo a Palazzo Madama la maggioranza andrà sotto proprio discutendo di Visco. Sono infatti già otto i senatori della maggioranza che hanno messo nero su bianco il loro dissenso firmando due ordini del giorno che chiedono di sospendere la delega sulla Guardia di finanza al vice ministro per l'Economia per le presunte pressioni sul comandante generale.

VISCO-MASTELLA — Il video di Striscia la notizia è il fuori onda di una conferenza stampa a Palazzo Chigi. Nel filmato si sente Visco che dice «Quel crumiro di Mastella (assente, ndr) ha detto che non poteva» e poi «Ci ha fregato un sacco di soldi». Poco dopo la trasmissione, è stato lo stesso Visco a chiamare Mastella, scusandosi e aggiungendo di non ricordare il contesto in cui aveva detto quelle parole. Ma al ministro della Giustizia non è bastato: «Deve smentire, e la sua smentita deve andare in onda nella stessa trasmissione. Altrimenti al governo non c'è posto per tutti e due». Poi la nota di Palazzo Chigi che ha definito la battuta di Visco «offensiva nei toni ma non certo nei contenuti, come ipotizzato ironicamente». E infatti a Striscia la notizia avevano detto: «Che Mastella si sia fatto pagare per ogni voto alle amministrative?». Fonti del governo invece hanno lasciato capire che Visco si stava riferendo al fatto che Mastella era riuscito a ottenere risorse in consiglio dei ministri. E per il Guardasigilli «l'incidente è chiuso se Striscia trasmette la nota».

MOZIONI — Sulla vicenda della Guardia di finanza il primo ordine del giorno è quello dell'Italia dei valori. Chiede al governo di ritirare a Visco la delega e al momento ha raccolto sei firme: i quattro senatori del gruppo e poi l'ex Sergio De Gregorio, e Fernando Rossi, l'ex del Pdci passato ai consumatori. Rifiutate le offerte di sostegno della Casa delle libertà. Il secondo ordine del giorno è dei dissidenti della Margherita: Willer Bordon, Roberto Manzione e Natale D'Amico che chiede a Visco di autosospendersi. E su questa linea non è esclusa la convergenza, al momento del voto, di una parte dei 12 senatori di Sinistra democratica, i fuoriusciti dai Ds guidati da Salvi. Tutti e due i documenti, però, potrebbero essere votati dalla Cdl mandando sotto la maggioranza. La preoccupazione c'è e ieri è arrivata anche alla riunione del comitato promotore del Pd, dove ne hanno discusso Fioroni, Rutelli e Veltroni. Visco lavora al documento che potrebbe portare in Aula, dove sembra certa la presenza di Prodi. Anche se nella maggioranza si spera che — se i contatti con i dissidenti non dovessero andare a buon fine — sia Visco a mettere il centrosinistra al riparo dalla sconfitta, autosospendendosi dalla delega ed evitando il voto.

CDL — La Casa delle libertà ha presentato due mozioni. Oltre a quella per il ritiro delle deleghe firmato da tutti i capigruppo è arrivato quello, insidioso, di Calderoli. Si limita a ribadire la «fiducia nell'operato della Guardia di finanza e del generale Roberto Speciale». Una trappola per far votare l'Unione contro il vice ministro senza che se ne accorga.

31 maggio 2007

 


 

+  Il Denaro 31-5-2007 Campania i costi della politica Mastella: Sprechi ovunque, si dia un'occhiata ai manager

 

Una "bella commissione d'inchiesta su tutti i privilegi che ci sono in Italia in ogni direzione, imprese, editoria, banche e manager". A chiederla, ieri da Benevento, il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, a margine dell'incontro in Prefettura con il collega dell'Azerbaijan, Fikrat Mammadov. "Vedo - dice Mastella - qualche atteggiamento crepuscolare in giro e molto populista al tempo stesso anche in ordine a questo elemento di antipolitica, sui criteri di moralizzazione, che sono giusti ed efficaci, ma ci sono sprechi ovunque. Non si capisce ? aggiunge il Guardasigilli - per quale ragione, ad esempio, i manager devono avere lo stipendio anche quando le loro imprese falliscono. In realtà quando si pensa a un criterio di teologia morale bisogna applicarlo in ogni campo e non vedere soltanto la trave che può essere nell'occhio del vicino". 31-05-2007.

 


 

+  Il Sole 24 Ore  31-5-2007 COMMENTI E INCHIESTE: La transizione infinita dell'Italia di Franco Debenedetti

 

"S i commenta da sé",è stata la stizzita battuta di Romano Prodi al discorso di Luca Montezemolo all'assemblea di Confidustria. "Non m'interessa un'effimera popolarità ",quella con cui ha commentato i risultati del voto di domenica. Uniti nelle critiche a Governo e classe politica, i messaggi che vengono dagli industriali e dagli elettori sono, com'è logico attendersi, diversinella sostanza.Roma 2007 presenta una Confidustria - dopo Vicenza 2006- di nuovo compatta, e - dopo Parma 2001- di nuovo autonoma rispettoalla politica;i risultati elettorali presentano un Nord disorientato, attraversato da pulsioni e timori diversi. Invece i commenti ai due fatti hanno una caratteristica comune: anche quelli meno arcigni di Prodi nel proposito di tener ferma la rotta, si articolano all'interno di un quadro sostanzialmente dato, prendono per immutabili le coordinate del campo in cui si muove la politica. Questo vale, a ben vedere, anche per gli scenari politici su cui Montezemolo era più atteso. Immaginiamo di dare consistenza alla più radicale delle eventualità, e cioè che Roma 2007 preluda alla sua entrata in politica, a capo di un grande centro: a parte l'improbabilità nei numeri, a parte la "memoria corta" di chi pensa che "un centro eternamente governante sia la soluzione ai mali italiani "(Angelo Panebianco sul"Corriere della sera" di domenica), sarebbe pur sempre una diversa sistemazione delle stesse pedine sullo stesso scacchiere. Le denunce - lo scandalo immondizie, le miniIri municipali, la scarsa qualità della produzione legislativa - sono tutte sacrosante, ma interne da tempo al dibattito politico, tant'è che possono essere invocate a supporto di progetti politici affatto diversi. La riduzione delle tasse è stata innovazione quando Berlusconi l'ha posta al centro del programma di governo; ora è un materia obbligatoria d'esame per ogni governo. Il tema del costo della politica è anch'esso interno alla classe dirigente, ne scrivono giornalisti del Corriere, non tribuni della Lega, Salvi e Villone, non Grillo e la Gabanelli, è buono per D'Alema che sta al Governo,e per Montezemolo o chi per lui pensi di starci un giorno. Di fronte a un risultato come quello di lunedì, nell'Unione si discute della data in cui disporre i gazebo per le primarie, se il capo del Pd si chiamerà segretario o presidente, se a scendere inpista saràil candidato veroo una volpe. E poi, sarebbero "innovazioni" i due temi che la politica oggi mette sul tavolo, il Partito democratico e la legge elettorale? Quanto al Partito democratico,a parte il modo deprimente in cui lo stanno realizzando, è fin dall'inizio un progetto ben più modesto delle ambizioni di cui è stato caricato. è assurdo far credere che la fusione di due partiti che formano una coppia di fatto da 15 anni (almeno)possa ridisegnare la geografia politica italiana. Assurdo sostenere che,fermi restando gli incentivi che favoriscono i piccoli partiti, un neppur tanto grande partito possa, con la sua mera apparizione, invertire la tendenza alla proliferazione partitica. La riforma elettorale deve vedersela con due contraddizioni. Una pratica, fare approvare dallacoalizione di governo una riforma che ha proprio lo scopo di modificare i rapporti di forza che tengono insieme la coalizione stessa. Una logica: i sistemi elettorali sono la conseguenza di un progetto politico, non ne sono la causa.D'Alema e Fassino possono continuare a ripetere che, stesse a loro, vorrebbero il doppio turno alla francese: ma é solo perché tutti, loro per primi, sanno che si tratta di una giaculatoria, che il ripeterla non fa cadere il governo. C'è un fondo di antidemocratico nell'illudere armatori e marinai di trovare l'Oriente navigando verso Occidente,pensare di ottenere cambiamenti istituzionali in modo indiretto, calando addosso all'elettorato una legge elettorale che ne guidi le scelte in una direzione che non è mai stata loro prospettata esplicitamente.La teoria del referendum come " pistola puntata"ha poi una contraddizione sua propria: chiedere agli elettori di firmare per ottenere un risultato che i proponenti stessi dichiarano di non volere. "La difficile partenza della raccolta delle firme per il referendum abrogativo dell'ultima legge elettorale - scrive Marco Battaglini ("Se si vuole rafforzare l'Esecutivo occorre farlo direttamente, il sistema partitico cambierà di conseguenza", sul Sole24 Ore del 16 maggio) - suggerisce che i cittadini sembrano percepire che le formule elettorali di per sé non risolvono il problema della scarsa governabilità e della moltiplicazione dei partiti"" Si invidia la Francia di Sarkozy: ma "la stabilizzazione del sistema dei partiti in Francia è stata una conseguenza del rafforzamento dell'Esecutivo piuttosto che la sua causa e il cambiamento della legge elettorale è stato solo uno dei fattori in gioco". Poteri e criteri di nomina del capo dello Stato,del presidente del Consiglio, il Governo; e, soprattutto dopo il risultato di lunedì, l'attuazione del federalismo, in primo luogo fiscale. Le riforme necessarie sono riforme costituzionali. Ma è illusorio pensare di surrogarle con il Partito democratico o con la legge elettorale che uscirebbe dal referendum,solo perché il loro cammino appare più facile. Quella della Bicamerale è stata la grande occasione perduta della Seconda Repubblica: sarebbe già qualcosa se lo riconoscessero oggi anche quelli che l'hanno fatta fallire.Riprendere quel percorso richiederebbe maggioranze e Governo diversi dall'attuale, intese impossibili con le attuali leadership politiche: certamente a sinistra,probabilmente anche a destra. Il tempo ancora a disposizione in questa legislatura, la favorevole congiuntura economica, le difficoltà che incontra a ogni passo questo Governo, di per sé fanno di questa ipotesi qualcosa di più di una fantasia. In ogni caso, non più fantasia, e certo più razionale, di alcune di cui si sente parlare. Il Governo faditutto per blindarsi contro questa eventualità, varando provvedimenti quali la legge sul conflitto d'interessi, quelle sull'assetto del sistema televisivo una e due, e adesso spostando gli equilibri all'interno del cda Rai.Ancora una volta,l'antiberlusconismo, e la questione televisiva che ne è parente stretta, si rivelano il nodo della transizione italiana. Quello della Bicamercale resta il fallimento peggiore degli ultimi anni: per il momento sembra impossibile riprendere quel discorso

 


La Repubblica 31-5-2007 BONSAI. PROVINCIALI. SEBASTIANO MESSINA

 

 Giusto per essere concreti: perché non aboliamo una buona volta le Province? Se l'era già chiesto Luca Cordero di Montezemolo nella sua filippica contro i mali della politica. E l'altra sera, a Ballarò, Gianfranco Fini ha raccolto la sfida: "Io sono d'accordo, aboliamole" ha detto. Poi, rivolto al ministro Santagata, che lo fronteggiava, ha domandato: "E' d'accordo anche il governo?". Era un bel passaggio in area. Santagata, in cuor suo, è favorevolissimo: "Risparmieremmo un fracco di soldi, abolendole" mi aveva detto qualche giorno fa, in un'intervista. Rifondazione condivide. Di Pietro ci sta. Salvi e Mussi lo ripetono da una vita. Per una frazione di secondo, dunque, ho sperato che Santagata, il ministro che sta preparando il disegno di legge sui tagli ai costi della politica, prendesse la palla al balzo e rispondesse così: "Sì, anche il governo pensa che le Province siano inutili, visto che nessun cittadino sa esattamente a cosa servano, eppure ci costano una tombola. Qua la mano, presentiamo insieme una proposta bipartisan per abolirle tutte". Ma in quell'attimo, prima ancora che finissi di pensare questa frase, Santagata ha cambiato discorso. Rassegniamoci: moriremo provinciali.

 


 

Il Corriere della Sera 31-5-2007  Prodi e l’ultimatum dopo la sconfitta elettorale Un partito e la sua guida di Sergio Romano 

 

 

Dall’intervista di Prodi a la Repubblica emerge un quadro impietoso della situazione politica italiana. La maggioranza è divisa e litigiosa. Gli alleati sono inaffidabili. Il premier non ha il potere di imporre la propria linea. Il Paese rifiuta di comprendere le proprie reali esigenze e di accettare i sacrifici necessari al futuro della nazione. L’opposizione, quando era al potere, ha fatto solo disastri e non ha il diritto di proporsi come «alternativa di governo». Il presidente di Confindustria ha dato prova di scarso equilibrio. I sindacati non hanno compreso che il Paese deve cambiare. Si direbbe il messaggio d’addio di un uomo politico deluso, amareggiato, incompreso, ormai convinto che i suoi connazionali non meritino il suo impegno e la sua dedizione alla cosa pubblica.

Ma da questo quadro, così drammaticamente negativo, Prodi trae conclusioni opposte. Sostiene che «così non si può andare avanti», ma rifiuta di farsi da parte. Quando dichiara che è pronto ad andarsene, lo fa con toni e argomenti da cui emerge la convinzione che soltanto lui, Romano Prodi, sia l’uomo adatto a salvare l’Italia. Non so se questa combinazione di pessimismo e fiducia in se stesso possa servire a recuperare consenso. Forse sarebbe stato preferibile prendere atto del voto, ammettere gli errori fatti, spiegare pacatamente al Paese che i tempi esigono decisioni impopolari, chiamare gli alleati a un maggiore senso di responsabilità. Dopo tutto Prodi non ha torto quando sostiene che un voto amministrativo non può segnare la fine di un governo espresso da una maggioranza parlamentare, sia pure modesta. Se i suoi giorni sono contati è meglio che cada in Parlamento con un voto da cui possano trarsi conclusioni utili per il futuro.

Se il presidente del Consiglio, con la sua intervista, voleva dire che il governo ha il diritto di governare, non rimane che prenderne atto e aspettare il seguito. Ma l’intervista non concerne soltanto il governo e le condizioni del Paese. Nell’ultima parte Prodi affronta il problema del Partito democratico e dell’uomo che dovrà guidarlo. Non approva coloro che vogliono eleggere subito, insieme alla costituente, anche il leader. Prodi sa che la scelta cadrebbe in questo momento su un’altra persona e sostiene che «l’idea di scindere il leader dal premier è assolutamente inaccettabile». E’ meglio quindi nominare un coordinatore o un reggente, destinato a farsi da parte quando, in prossimità delle prossime elezioni, i Democratici saranno chiamati a scegliere una persona che sia contemporaneamente leader del partito e candidato premier.

E’ probabile che Prodi non voglia avere di fronte a sé, di qui ad allora, un interlocutore forte e spesso scomodo. Ma sembra dimenticare che un partito nuovo ha bisogno, sin dal primo giorno della sua esistenza, di una guida entusiasta ed energica. I prossimi mesi saranno quelli in cui occorrerà disegnare gli apparati, scegliere i segretari locali, conciliare ambizioni contrastanti, creare le condizioni per una vita unitaria. E’ difficile immaginare che questo compito possa essere svolto da un reggente privo di autorità e di futuro.

E, francamente, è ancora più difficile comprendere perché le esigenze del partito debbano essere sacrificate a quelle di un uomo politico imbronciato e deluso che finirebbe per scaricare sulla formazione appena nata, insieme ai suoi personali malumori, le difficoltà del governo. Prodi ha avuto grandi meriti nella nascita del Partito democratico. Ne avrà ancora di più se lascerà che cammini con le sue gambe.

31 maggio 2007


Italia Oggi 31-5-2007 Comincia bene la commissione taglia-spese: tra gli sforbiciatori si parla solo politichese Il primo costo della politica da tagliare, forse, è il politichese. Tutti quei modi di dire e non dire che non portano mai da nessuna parte e che servono a riempire solo pagine e pagine di resoconti.

 

E' il caso del programma dell'indagine conoscitiva 'sulle spese attinenti al funzionamento della Repubblica' che la prima commissione affari costituzionali della camera ha messo a punto. Già l'utilizzo della parola Repubblica anzicchè Stato o politica fa sembrare che si voglia parlare di altro. Ma che le idee siano poche e confuse lo si capisce dalle finalità dei lavori: si deve arrivare alla stesura di una 'legge quadro recante principi di trasparenza e criteri condivisi tra l'insieme delle istituzioni interessate, che rendano evidente le finalità della spesa e i parametri a cui si riferisce per dare conto della sua misura'. A ottobre il verdetto. Indagine conoscitiva sulla spese attinenti al funzionamento della Repubblica e alla garanzia delle sfere di autonomia costituzionale, funzionale e territoriale. PROGRAMMA DELL'INDAGINE CONOSCITIVANell'ambito dell'esame in sede referente delle proposte di legge assegnate alla I Commissione in materia di contenimento dei costi della politica (C. 1942 Spini, recante 'Norme per la soppressione di enti inutili e per la riduzione degli sprechi e dei costi impropri della politica, delle istituzioni e delle pubbliche amministrazioni', C. 2104 Caruso, recante 'Disposizioni concernenti la riduzione dell'indennit_ spettante ai membri del Parlamento', C 2179 Donadi, recante 'Sospensione dell'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 1, secondo comma, della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, in materia di indennità spettante ai membri del Parlamento', e C. 2250 D'Elia, recante 'Norme per il contenimento dei costi della politica, delle istituzioni e delle pubbliche amministrazioni'), che la Commissione stessa ha avviato il 17 maggio 2007, potrebbe essere svolta una indagine conoscitiva con la finalità di acquisire elementi istruttori necessari alla elaborazione di un testo unificato volto a contenere, razionalizzare e rendere trasparente la spesa nel settore e al tempo stesso a tutelare la fondamentale esigenza del migliore e più efficiente funzionamento delle istituzioni democratiche. Si tratterebbe quindi di una legge quadro recante principi di trasparenza e criteri condivisi tra l'insieme delle istituzioni interessate, che rendano evidente le finalità della spesa e i parametri a cui si riferisce per dare conto della sua misura. Il principio ispiratore fondamentale da realizzare dovrebbe richiamarsi a quella esigenza di accountability che impone alle istituzioni di rendere conto ai cittadini delle loro spese. La trasparenza è divenuta nel mondo occidentale il più importante fattore di legittimazione per chi che spende il denaro dei cittadini. Il fondamento costituzionale di una legge quadro di questo tipo dovrebbe trovarsi in via interpretativa in una superiore esigenza di carattere unitario che riguarda la Repubblica come democrazia e investe l'insieme delle istituzioni della Repubblica indicate all'articolo 114 della Costituzione. Pertanto sulla base della giurisprudenza della Corte costituzionale, una simile esigenza di carattere unitario potrebbe realizzarsi solo nel rispetto delle sfere di autonomia riconosciute agli organi costituzionali e ai diversi livelli territoriali e dunque attraverso procedure di intesa e consultazione. Pertanto una legge in questa materia avrebbe come contenuto essenziale princìpi e procedure di coordinamento e dovrebbe nascere dal dialogo e dalla consultazione di tutte le istituzioni interessate. Si propone quindi un metodo di esame delle proposte di legge - conseguente a questa impostazione - che impone la necessità di partire realizzando una fase di dialogo e consultazione tra tutte le istituzioni interessate. A tale finalità risponde la proposta di una indagine conoscitiva nella fase preliminare dell'esame secondo l'articolo 79 del regolamento. In tale prospettiva, l'indagine conoscitiva avrebbe come principale oggetto la consultazione dei diversi soggetti interessati e di esperti diretta ad individuare criteri per la migliore regolazione e la massima trasparenza dei costi direttamente connessi all'esercizio delle funzioni istituzionali degli organi rappresentativi ed esecutivi preposti ai diversi livelli territoriali di governo, e di taluni organismi amministrativi di particolare rilevanza, ivi compresi i vertici dei ministeri e delle società a partecipazione pubblica. L'indagine conoscitiva muoverebbe da una raccolta di dati ed elementi di valutazione da operare attraverso la collaborazione tra le diverse istituzioni interessate e da una documentazione sulla esperienza di altri Paesi comparabili con il nostro, a partire dai costi connessi all'esercizio delle funzioni parlamentari in correlazione con una valutazione anche quantitativa dell'attività svolta dalle istituzioni parlamentari nei diversi paesi. Nella raccolta dei dati e degli elementi conoscitivi bisognerebbe individuare le opportune forme di collaborazione tra gli organi costituzionali, quelli a rilevanza costituzionale, tra i livelli di governo regionale e degli enti locali, nonchè le Autorità amministrative indipendenti e le pubbliche amministrazioni. La ricognizione dovrebbe tener conto sia dello stato attuale del fenomeno sia della sua dinamica nel corso del tempo, valutando in particolare il grado di incidenza e di efficacia degli interventi normativi di contenimento dei costi della politica adottati negli ultimi anni. Allo scopo di definire attraverso le opportune intese il metodo e le modalità per la raccolta della base informativa, il programma dell'indagine conoscitiva potrà prevedere lo svolgimento di una prima fase di impostazione con l'audizione di alcuni ministri (il ministro dell'economia e delle finanze, il ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, il ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, il ministro per le riforme istituzionali ed i rapporti con il Parlamento, ed il ministro per l'attuazione del programma di Governo), di rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle regioni e della Conferenza dei presidenti dei Consigli regionali, dell'Anci, dell'Upi, dell'Uncem, della Corte dei Conti, del Cnel e dell'Istat. Una volta conclusa questa prima fase e sulla base delle risultanze delle procedure di ricognizione concordate, potranno svolgersi alcune grandi audizioni collettive - secondo la prassi più volte utilizzata dalla Commissione affari costituzionali - che potrebbero coinvolgere in diverse tornate un'ampia platea di rappresentanti degli organismi interessati, nonchè giuristi, economisti, sociologi, addetti al sistema della comunicazione ed altri esperti della materia. L'indagine conoscitiva dovrebbe concludersi entro il mese di ottobre 2007.

 


 

La Repubblica 31-5-2007 Bari Il personale costa al Comune 2,5 milioni l'anno solo di stipendi. Un consigliere prende 850 euro I nababbi delle circoscrizioni ai presidenti 2900 euro al mese "La nostra sede è davvero molto bella Abbiamo due piani sulla muraglia e c'è anche il garage riservato" GIULIANO FOSCHINI

 

In fondo, chi non è mai entrato in una circoscrizione nella sua vita. Chi per risolvere un problema della sua vita da cittadino - una buca, un passo carrabile, i cassonetti dell'immondizia che si muovono come la pallina magica - non ha mai chiesto un consiglio, un aiuto a un consigliere di circoscrizione. Ecco, chi non lo ha mai fatto a leggere spese e indennità delle nove circoscrizioni barese potrebbe prendere un coccolone. Un presidente di quartiere guadagna, da regolamento, un terzo dello stipendio del sindaco. Emiliano intasca ogni mese 9580 euro lordo, il presidente di circoscrizione 2874, il doppio rispetto a un professore, quanto un medico ospedaliero di prima nomina. Troppo? "Io guadagno netto in busta paga 1056 euro, la metà di quello che mi spetterebbe perché sono un dipendente pubblico" spiega Franco Polemio, medico e presidente di Poggiofranco. "Sommo così l'indennità della carica al mio stipendio. E così faccio risparmiare un sacco di soldi al Comune". Perché? "Se lavorassi per un'azienda privata o un altro qualsiasi ente non sommerei le due indennità. Non solo: il Comune avrebbe dovuto risarcire il mio datore di lavoro per ogni giorno di assenza dal lavoro per motivi politici. Una follia. Per questo stiamo proponendo un'indennità fissa per i consiglieri in modo tale da evitare ogni problema". "Le circoscrizione, per quello che facciamo, sono assolutamente uno sperpero di denaro" dice senza mezzi termini il presidente di Murat, Mario Ferorelli, uomo di Alleanza Nazionale. "Oggi come oggi le circoscrizioni non servono assolutamente a nulla: nasciamo per alleggerire di responsabilità l'amministrazione, per dare più servizi ai cittadini. E invece facciamo pochissimo per essere pagati profumatamente. Presidente e consiglieri". Anche i consiglieri, certo. Perché se un padre dovesse consigliare il figlio per il suo futuro, dovrebbe forse spingere affinchè intraprenda una carriera politica piuttosto che una accademica. Ogni circoscrizione ha dai 14 a 18 consiglieri. E ciascun rappresentante di quartiere mette in tasca ogni mese 852,2 euro, un terzo dell'emolumento del presidente, praticamente come un ricercatore universitario. Al momento dell'incarico optano se intascare l'emolumento a forfait (dovendo assicurare 35 sedute al mese) oppure prendere volta per volta i gettoni di presenza. In ogni caso, però, il massimo non può superare gli 862 euro. Complessivamente i quartieri, solo di costi della politica, fanno spendere al comune di Bari una cifra vicina ai 2milioni e mezzo di euro. Da un lato ci sono gli stipendi dei nove presidenti (310mila euro all'incirca), dall'altro le indennità dei consiglieri (un milione e 400 mila euro). A queste somme si deve aggiungere poi quello che il Comune versa alle aziende nelle quali i consiglieri lavorano, per risarcirli dell'assenza. Ci sono poi le spese vive delle circoscrizioni, "sulla quali cerchiamo di essere attenti il più possibile" dice l'assessore al Decentramento, Antonella Rinella. Ma invece è qui - attaccano i presidenti - "che si trovano gli sprechi veri". "Noi paghiamo - dice Nando Rodio, "sindaco" di Palese e Santo Spirito - sessantamila euro all'anno di affitto quando c'è una sede nuova accanto, finanziata da tre anni, che ancora devono cominciare a costruire". Anche a Madonnella e a Bari vecchia sono in affitto. "Noi - incalza Mario Ferorelli - versiamo seimila euro al mese alla società proprietaria della sede, nonostante l'assessore Giannini ci ha promesso ormai da una vita il trasferimento nei locali comunali di piazza Chiurlia. Risparmieremmo, anche se devo dire che la nostra sede è davvero molto bella. Due piani sulla muraglia, c'è anche il garage". Parcheggio riservato a politici e dipendenti. La circoscrizione è pur sempre la circoscrizione

 


 

Europa 31-5-2007 Sto con Veronesi per le centrali nucleari e con De Luca per il termovalorizzatore a Salerno FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, io e i miei amici elettori del centrosinistra siamo incazzati neri con tutti: con Prodi che si sente anche lui “unto del signore”, coi ministri che cantano ognuno per suo conto, con Bassolino che lascia la “monnezza” nelle strade, con i dirigenti di Ds e Margherita che si accoltellano sul partito che non c’è (il Pd). Ci servono strade, centrali, reti di comunicazione, dighe, imprenditori che rischino, impiegati che lavorino. Nella paralisi, prepariamo il ritorno del Cavaliere, che non ha fatto niente, ma sa “fascinare”.
ELIO PANDOLFINI, PIACENZA

 

 Caro Pandolfini, lei è incazzato, sapesse chi le risponde; che per mestiere deve leggere ogni giorno dell’anno tutte le str. sul “politicame”, che fanno ingrassare la casta e deperire lo spirito pubblico. Oggi, per esempio, mentre plaudo a Napolitano che prende in mano la mazza della scopa in Campania (Bassolino, Jervolino, Mastella, Pecoraro, che ne dite?), e mentre grido “Viva la Romania” che dice “le immondizie napoletane se le smaltiscano i napoletani”, penso già al diluvio di proteste che dalla sinistra cavernicola di verdi e rifondaroli si leverà contro il professor Veronesi: il quale ci spiega che per ridurre le emissioni cancerogene che ci uccidono e per produrre energia pulita occorre costruire in dieci anni 10 centrali nucleari dell’ultima generazione: che hanno il pregio, fra l’altro, di autoeliminare le scorie. So, come dice Rubbia, che da solo il nucleare non basta, lo sapevo anche trent’anni fa quando con altri giornalisti mi battei contro l’uscita dal nucleare e al referendum fui nel 20 per cento degli italiani che votarono no. Intanto, abbiamo perso trent’anni: in Francia ci sono 58 centrali nucleari, in Germania 17, in Spagna 9 per citare. Tutti i paesi europei ne hanno, l’Italia è la figlia della gallina bianca, non si degna. Mentre Inghilterra, Finlandia, Svezia, come in oriente Cina, Corea ecc. studiano notte e giorno il modo d’uscire dalla tirannia del carbone e del petrolio, noi ci gingilliamo prendendo sul serio i verdi, che soffrono, come dice Veronesi, del “panico dei primitivi”, cioè del terrore dell’uomo delle caverne per il fuoco. Questi uomini delle caverne noi li facciamo ministri, compromettendo lo sviluppo energetico e la salute degli italiani. Berlusconi non mosse un dito in cinque anni, ma a lui gli italiani non chiedono niente, chiedono solo di non far governare “questa sinistra”. La quale non sa farsi accettare come forza di governo, divisa com’è fra una parte “inidonea a governare” (così D’Alema definisce gli estremisti) e una parte che idonea sarebbe se non fosse presa troppo dai problemi di Palazzo e anch’essa dai suoi miti antimoderni.
Fatevi sentire di più, voi del Nord: Chiamparino dice che vuol fare una lista nordista (Cacciari, Bresso, Pericu, Penati, Illy, ecc.) per irrompere nella costituente del Partito democratico.
Fosse vero. In ogni caso, quando leggo che il sindaco di Salerno De Luca, deputato dell’Ulivo, chiede di farlo a Salerno il termovalorizzatore, con tecniche studiate in Giappone, penso che potreste cooptare anche qualcuno al di sotto del Po, non tantissimi, per vincere la vostra battaglia.
Che è anche la nostra di clandestini a Roma.


 

 

Il Riformista  CHIAMPARINO E LA MUNNEZZA Iervolino e Sassolino quant’è lontana Torino

Ha ragione Sergio Chiamparino. Se quello che è successo a Napoli coi rifiuti fosse capitato sotto la Mole, lui e Mercedes Bresso non avrebbero avuto probabilmente scelta. Le dimissioni sarebbero state l’unica, naturale via. «O almeno - ha detto il sindaco torinese - l’opinione pubblica ci avrebbe incalzato, e obbligato a dare delle spiegazioni credibili». Proprio nei giorni in cui la sinistra del Nord, di cui Chiamparino è tra i più autorevoli e visibili esponenti, e mentre Piero Fassino ha indicato nei cumuli d’immondizia napoletana teletrasmessi in tutta Italia una delle ragioni di perplessità del Nord rispetto a chi governa certo Sud, le parole di Chiamparino invitano a una riflessione. A Rosa Russo Iervolino, ad esempio, l’ipotesi di dare le dimissioni non dev’essere nemmeno mai passata per la testa. Lo stesso, sicuramente, vale anche per il presidente Antonio Bassolino. I due omologhi di Chiamparino e Bresso, insomma, non hanno ravvisato nell’indecenza che, “distrattamente” come abbiamo già scritto sul Riformista, va sommergendo una grande città come Napoli una ragione sufficiente per discutere la propria posizione. O il perdurare del proprio potere. Il quale, evidentemente, viene reputato impermeabile a fallimenti che pure sono tanto evidenti, e fastidiosi, per quasi tutti e cinque i sensi.
Perché? Forse perché si ritiene che nulla può essere fatto, e si dice che le responsabilità sono altrove, o che le questioni di fondo trascendono dalle possibilità concrete di chi amministra città e regione. O forse perché, a differenza di quanto dice Chiamparino col riferimento al Piemonte, l’opinione pubblica non vigila e spinge abbastanza. Anzi, a dirla tutta, sembra anche contenta, visto che la Campania è una delle poche regioni in cui il centrosinistra è andato piuttosto bene alle amministrative. Ma in ogni caso una domanda resta. Che gusto c’è a governare se nulla si può fare per rendere appena decenti, appena dignitosi, i territori amministrati? Come si può credere che sia la passione alla politica, e non quella al potere, a muovere certe resistenze, quando la politica sembra così inutile?

 


 

 

Il Giornale di Vicenza 31-5-2007 La casta che si nutre di politica di Marino Smiderle. Gian Antonio Stella presenterà stasera al Centro congressi dell'Associazione artigiani l'ultimo libro scritto insieme al collega Sergio Rizzo.

 

Il tema della discussione verterà sui costi diventati insostenibili della pubblica amministrazione e sullo spreco di denaro Un tifoso, deluso dalle prestazioni della propria squadra di calcio, una bella domenica decise di dedicare uno striscione ai giocatori, il cui stipendio era inversamente proporzionale ai risultati ottenuti sul campo: "Non so più come insultarvi". Leggendo il libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, La casta (Rizzoli), verrebbe voglia di rispolverare quello striscione e andarlo a esporre a Montecitorio, o davanti a un Consiglio regionale a scelta, o davanti a una delle tanti società municipalizzate gestite col criterio (s)partitocratico. Qualunquismo? Può darsi. Di sicuro di qualunquismo non c'è la benché minima traccia nel documentato libro che verrà presentato stasera alle 21 da uno degli autori, Gian Antonio Stella, al Centro congressi dell'Associazione artigiani, in via Fermi. Un bel mix di cronaca, matematica e statistica che, scecherato per bene, lascia nel lettore un retrogusto amaro, una voglia di mandare tutti a quel paese, se non fosse che a quel paese (l'Italia) ci siamo già. Un paese, per citare uno dei mille esempi tragicamente documentati del libro, che spende 217 milioni di euro all'anno per mantenere il Quirinale, contro i 56,8 milioni spesi dai contribuenti del Regno Unito per la Corona britannica. - Intanto complimenti per l'acutezza, la completezza e, grazie a queste, per lo straordinario successo del libro. Ma non le dà fastidio che in questa campagna elettorale molti abbiano sventolato La casta quasi fosse un programma per acciuffare voti? "Cosa vuoi, io credo che un libro sia un po' come una canzone, ognuno può cantarla come gli pare. Mi pare chiaro però un concetto: non è un libro che fa piacere alla sinistra, non è un libro che fa piacere alla destra, non è un libro che fa piacere al centro. Più semplicemente, è una constatazione, assolutamente non qualunquistica, dei privilegi assurdi di cui gode la classe politica e degli insostenibili sprechi di denaro pubblico che ne derivano". - Il fatto che a godere di questa condizione privilegiata siano i bramini della politica non sembra indurre molte speranze di cambiamento. Secondo lei c'è la possibilità che questi sprechi vengano almeno contenuti? "Premesso il fatto che è più che giusto che i nostri rappresentanti vengano pagati, e anche bene, per il compito che svolgono, credo che i politici di oggi vivano fuori dalla realtà. Come altro si può interpretare il fatto che, nel 2004, il presidente della Regione Campania, Antonio Bassolino, abbia avuto un fondo spese per la rappresentanza dodici volte più alto del presidente della Repubblica tedesca?". - E non si possono proprio eliminare queste odiose storture? "Io credo che l'unica possibilità si chiami trasparenza. Sì, ci vuole trasparenza assoluta. Per capirci, vorrei che Camera e Senato mettessero su internet con chiarezza gli emolumenti e le diarie distribuite ai vari parlamentari. E accanto ai 4.100 euro destinati ai collaboratori, mettessero pure i nomi dei percettori di tali somme. Così come non possiamo accettare che il bilancio del Quirinale sia avvolto dalla segretezza. Se il cittadino avesse modo di sapere con facilità quanti soldi vengono spesi e in che modo nei vari enti, probabilmente i bramini ci penserebbero più di una volta prima di deliberare nuove stravaganti spese". - Senta, ma lei e Rizzo come li avete ottenuti i dati richiesti? Voglio dire, avete trovato ostacoli o vi hanno aperto le porte facilmente? "Abbiamo ricevuto il solito ostruzionismo all'italiana. Tipo: "Adesso prepariamo i documenti, passi domani". E poi i documenti non arrivavano. Niente di nuovo sotto il sole". - Com'è nata l'idea del libro e com'è nata l'idea di scriverlo con Sergio Rizzo, suo collega al Corriere della sera? "Già nel 1998 avevo scritto Lo spreco, una questione evidentemente sempre presente in Italia. Poi abbiamo visto il buon lavoro svolto "dall'interno" da parte di Cesare Salvi e Massimo Villone, che hanno scritto Il costo della democrazia e ci siamo resi conto che bisognava far uscire dal circuito degli addetti ai lavori questa tematica. Rizzo è un fenomeno nel districarsi tra la grande mole di dati, tra i bilanci pubblici e così, insieme, siamo arrivati in libreria con La casta". - Pochi giorni fa Boris Biancheri, presidente della Fieg e dell'agenzia Ansa, ha detto che anche i giornalisti sono una casta, che non c'è turnover sufficiente, che sono privilegiati. Anche i giornalisti come i politici, quindi? "Supponiamo che l'editore del Giornale di Vicenza decida di assumere un somaro come Gian Antonio Stella e di pagarlo un miliardo di euro all'anno. Sarebbe un chiaro esempio di spreco ma resta una piccola differenza rispetto allo spreco che esiste nella politica: nel caso del giornale, i soldi li mette l'editore, nel caso dei politici, i soldi li mettiamo noi cittadini". - Montezemolo ha detto che il costo della politica è insostenibile, Fini ha proposto di abolire le province. Caro Stella, allora qualcosa si muove, magari grazie al suo libro... "Per carità, benvenuti tutti, ma non sarei così sicuro che alle parole seguiranno poi i fatti. Senza alcuna polemica, vorrei ricordare all'on. Fini che è stato cinque anni al governo senza apprezzabili risultati su questo fronte. Ed è ovvio che la stessa considerazione vale per i politici di centrosinistra. In questo campo, la casta è davvero bipartisan". - E del tentativo di adesione al Trentino Alto Adige da parte dei comuni dell'Altopiano di Asiago cosa dice? "E lo chiede a un asiaghese come me? Sì, sono nato ad Asolo, ma le mie radici affondano ad Asiago ed è ovvio che la questione mi abbia toccato da vicino. Comunque, credo che l'autonomia concessa al Trentino non abbia alcun senso. Renato Brunetta pensa che dovrebbe essere tolta anche all'Alto Adige, ma io invece credo che a Bolzano abbia un senso, per i motivi storici che sappiamo". - Da più parti si invoca il federalismo fiscale per risolvere le iniquità di paesi confinanti... "Va benissimo, per carità, anche se mi permetto di dubitare che questa novità aiuti a fermare l'evasione fiscale. Il solo fatto che i soldi vengano usati nel posto dove sono prodotti non comporta che la gente li tiri fuori tutti volentieri". - Restando ad Asiago, o comunque nella montagna veneta, sul suo libro ci sono molte storie esilaranti su comunità montane tipo quella di Palagiano, a 39 metri sul livello del mare... "Purtroppo non c'è niente da ridere, l'impudenza legata alla voracità di poltrone ha generato questi mostri. E siccome io sono di Asiago e conosco molto bene i problemi della montagna, mi arrabbio ancor di più quando vedo queste cose. Bisogna abolire la montagna falsa per salvare quella vera. Chissà che un giorno anche in Italia riesca a prevalere il buon senso".


 

Il Piccolo di Trieste 31-5-2007 Costi della politica, dibattito alla camera. Accuse a Rizzo e Stella: è puro scandalismo. Tutta colpa dei soliti giornalisti E anche di enti locali e giudici I parlamentari: 'L'indagine conoscitiva riguardi tutti'. Giampiero Di Santo

 

Se non sono stati costretti, poco ci manca. Le inchieste giornalistiche sui costi della politica hanno messo le ali ai piedi dei deputati della commissione affari costituzionali della camera, che ha approvato in tutta fretta la proposta di avviare un'indagine conoscitiva sul tema più delicato del momento. Ma tra scaricabarile, distinguo, timori, e qualche passaggio surreale, il dibattito del quale sono stati protagonisti il presidente della commissione, Luciano Violante (Ulivo), Domenico Benedetti Valentini (An), Gabriele Boscetto (Forza Italia), Italo Bocchino (ancora An), Marco Boato (Verdi), Roberto Zaccaria (Ulivo) e altri personaggi in ordine di apparizione dà l'idea del clima di assedio che si percepisce nelle stanze di Montecitorio. Violante, l'uomo di mille casi, l'ex magistrato che ne ha viste di tutti i colori, ammette che il parlamento ha deciso di muoversi solo perché 'il tema è costantemente all'attenzione di giornali e televisioni, in particolar modo negli ultimi tempi', e perché 'il governo ha annunciato proprie iniziative in materia, dal carattere peraltro ancora incerto'. Per non farsi scippare l'iniziativa, insomma, le camere dovranno 'assumere adeguate iniziative al riguardo, affrontando il problema, che certamente esiste, in tutti gli aspetti, per evitare distorsioni demagogiche e per fare chiarezza'. Gli 007 di Montecitorio faranno emergere le responsabilità di tutti nell'aumento dei costi della politica. Che, ha spiegato Violante, sono costituiti da tre componenti, ciascuno con un peso diverso: 'I costi delle istituzioni, o della democrazia, i costi dei partiti politici e i costi della burocrazia'. Tanto per evitare che il confronto con i parlamenti europei o di altri grandi paesi faccia emergere grandi differenze di stipendio a vantaggio degli italiani, il presidente della commissione affari costituzionali della camera ha invitato i colleghi a 'comparare i costi delle istituzioni italiane con quelli delle corrispondenti istituzioni dei principali paesi europei'. E per fare capire l'aria che tira, ha ricordato, 'a titolo di esempio, che la Commissione affari giuridici del Bundestag tedesco, omologa della Commissione affari costituzionali, si riunisce di media due volte al mese'. Come dire che la produttività di Montecitorio, al confronto è roba da Cinesi o Coreani del Sud. A forza di paragoni, del resto, si può andare avanti per mesi, almeno fino a ottobre, quando dovrebbero essere resi noti i risultati dell'indagine. Così Bocchino, già in notevole sintonia con Violante, ne tira fuori una davvero bella: 'Per evitare sia il qualunquismo sia la difesa del privilegio dei parlamentari, si tratterebbe di mettere a confronto le retribuzioni orarie dei deputati e dei senatori italiani non solo con quelle dei loro colleghi degli altri parlamenti, ma anche con le normali categorie di lavoratori', è l'idea. 'Ritengo che la retribuzione di parlamentare, per ora di lavoro e detratte le spese, non sia sproporzionata rispetto a quella, per esempio, di un insegnante'. Chissà che ne pensano gli interessati, che magari si scoprirebbero più ricchi, almeno per un'ora, di deputati e senatori. Ma tant'è, l'idea è lanciata e sembra anche piacere. In particolare a Boscetto, che per non smentire l'autoreferenzialità della politica pensa di fare un po' di pubblicità al libro sui costi della politica dei colleghi parlamentari Cesare Salvi e Massimo Villone e di bollare come scandalistica l'inchiesta dei giornalisti Sergio Rizzo e Gianantonio Stella. 'Il primo ha una sua dignità politico-scientifica, il secondo ha piuttosto un carattere semiscandalistico, il quale ne ha determinato il successo di pubblico', è la sentenza del critico Boscetto. Apriti cielo, quindi, se l'indagine conoscitiva fosse 'ispirata agli stessi criteri e intendesse avallare le accuse che vi vengono mosse ai membri del parlamento, i quali ricevono, a suo avviso, una retribuzione del tutto proporzionata all'impegno che profondono, in termini di ore di lavoro e di applicazione, nonché alla delicatezza e alla gravosità del compito che svolgono'. Mettere sotto inchiesta il parlamento 'in modo becero' è quindi inaccettabile secondo Boscetto. Che per vendetta un po' forzista suggerisce di 'prendere in considerazione anche il fenomeno dei magistrati collocati, con incarichi a diverso titolo, presso il governo, la pubblica amministrazione e le autorità indipendenti'. Perle di saggezza si trovano anche tra le righe dell'intervento di Maurizio Ronconi, Udc, che vuole scongiurare il rischio di 'derive demagogiche' e perciò pone condizioni. Come quella di 'disancorare l'indagine dall'esame delle proposte di legge C. 1942 e abbinate, che sono a dir poco radicali e che non incontrano il consenso di tutti i gruppi'. Ronconi si preoccupa di 'difendere l'autorevolezza e la rappresentatività del Parlamento contro le campagne di aggressione degli organi di stampa'. E concorda sul resto, sul confronto 'dei costi delle istituzioni italiane con quelli delle corrispondenti istituzioni europee, nonché sulla necessità di estendere l'indagine a tutti i livelli di governo e all'intera pubblica amministrazione, comprendendo anche gli organi costituzionali di più alta levatura'. e perchè no, sugli enti inutili e sulle province, che forse dovrebbero essere abolite. ma una cosa l'esponente dell'Udc pretende sia messa in chiaro: 'La commissione non intraprende l'indagine perché a ciò costretta dalla pressione dei mezzi di comunicazione di massa che alimentano la campagna di accuse, in quanto questo sarebbe un immotivato segno di debolezza'. Un segno di non debolezza che invece per Benedetti Valentini dovrebbe essere manifestato con una mossa estrema: la rinuncia all'indennità parlamentare. Senza, però, impegnare il suo gruppo e quindi i soldi degli altri. 'A titolo esclusivamente personale e senza perciò impegnare il gruppo, dichiaro di essere in linea di principio favorevole anche all'abolizione dell'indennità parlamentare, ritenendo sufficiente, per chi si dedica alla rappresentanza politica, il solo rimborso delle spese'. Zaccaria, però, lo ferma subito: 'Faccio presente al deputato Benedetti Valentini che eliminare la retribuzione dei parlamentari limiterebbe di fatto l'accesso alla rappresentanza ai soli cittadini abbienti, ricostituendo di fatto quel sistema a base censitaria che lo sviluppo storico ha opportunamente superato'. Finita la lezione, dell'ex presidente della Rai, non sono finite le sorprese. Ma nella lunga fila di distinguo e nella corsa allo scaricabarile, non mancano voci più sommesse. Come quella di Franco Russo (Rifondazione comunista-sinistra europea), che 'conferma il pieno favore del suo gruppo allo svolgimento dell'indagine conoscitiva, per le ragioni evidenziate dal presidente Violante, e dichiara di condividere la distinzione da quest'ultimo prospettata in relazione alle diverse componenti dei costi della politica'. Russo, d'accordo sul fatto che 'è necessario individuare le diverse responsabilità dei diversi livelli di governo', aggiunge però che bisognerà 'procedere in maniera collaborativa, nell'interesse del paese, ed evitare di scaricare le responsabilità gli uni sugli altri'. Ma il vero e più forte richiamo alla saggezza è quello di Oriano Giovanelli (ex presidente di Legautonomie) che si rivolge a Bocchino per invitarlo a paragoni meno arditi tra gli stipendi dei parlamentari e i non ricchissimi emolumenti degli insegnanti. Caro Bocchino, dice Giovanelli, forse dovresti ricordare che 'l'opinione pubblica ritiene ogni giorno di più ingiustificato il divario tra la retribuzione di un parlamentare e quella di un normale lavoratore'. Per spiegare al suo collega che non si tratta solo di demagogia, Giovanelli sottolinea che 'tale divario potrebbe essere accettato se le istituzioni funzionassero e il parlamento fosse capace di decidere in tempi rapidi e secondo le esigenze della società contemporanea'. Purtroppo non è così, nota ancora il parlamentare dell'Ulivo, che con la memoria è tornato ai tempi in cui il suo lavoro era quello di amministratore locale.'Per chi, come me, viene da esperienze amministrative, l'esperienza parlamentare, con i suoi lunghi tempi morti di discussione inconcludente, risulta imbarazzante. Serve pertanto uno sforzo, anche attraverso modifiche ai regolamenti parlamentari, per rendere più produttivo il lavoro parlamentare'. E basta parlare di regioni ed enti locali, anche se in qualche caso 'sono un problema'. 'Bisogna evitare la logica dello scarico di responsabilità tra i livelli di governo'. Giampiero Di Santo.

 


 

Il Centro 31-5-2007 Due parroci, due Chiese Due parroci, due Chiese qual è quella "vera"? All'inizio di questa sconcertante storia pensavo che la Chiesa si fosse ravveduta, e avesse provveduto a rimediare al grave episodio "di pura discriminazione". Lucio Di Nisio Montesilvano

 

Eppure non solo non è successo, visto che le Comunioni si sono celebrate senza la presenza di Fabio, ma addirittura il Vicario monsignor Gaetano Britti interviene per accusare di superficialità i genitori. Ma come si fa ad essere così lontano dalla "sofferenza"? Ma qualcuno sa cos'è l'autismo? Come può un parroco dire che chi soffre d'autismo non è in grado di comprendere il significato dell'Eucarestia? Nemmeno i medici conoscono il grado di comprensione che può avere un soggetto autistico. Le famiglie che vivono questo problema hanno bisogno di anni, e a volte non bastano, per ottenere risultati tramite diete particolari, logopedia, analisi del comportamento, comunicazione facilitata, ippoterapia; ma ci possono volere attimi per distruggere quanto conquistato con tanto sacrificio. La cosa migliore da fare è quella di chiedere scusa a Fabio e alla sua famiglia, abbandonando questo atteggiamento di "pseudo cieco burocrativismo". Soprattutto è da spiegare perchè si adottano due pesi e due misure. Il mio non vuole essere un attacco contro la Chiesa, infatti voglio ringraziare quel parroco che ha capito la situazione particolare in cui si trovava un ragazzino autistico come Fabio, D.P. di Montesilvano, e ha intuito il suo desiderio e la sua necessità di integrarsi e di sentirsi come gli altri bambini. Quel parroco ha avuto la sensibilità di umanizzare le regole rendendo felice un bambino disabile, mettendo in atto uno dei principi fondamentali dello spirito cattolico, quello della solidarietà. Chi scrive è una persona che cerca di combattere tutte le barriere culturali che ogni giorno si erigono e creano disuguaglianza ed emarginazione. E' paradossale, ma questa volta le barriere sono state erette in una chiesa di Pescara. Barriere che hanno offeso la dignità di molti. Claudio Ferrante Cgil-Funzione pubblica Comune di Montesilvano L'etica perduta della "casta" politica Signor direttore, la ormai non più rinviabile necessità di ridurre i cosiddetti "costi della politica" fa sempre più proseliti. Ne hanno parlato negli ultimi tempi, autorevolmente, il presidente della Repubblica Napolitano, del Consiglio Prodi, segretari di importanti partiti di governo come Fassino e Rutelli e tanti altri. Dopo un libro dei senatori Salvi e Villone, che avevano denunciato gli abnormi aumenti dei costi per il mantenimento del nostro ceto politico, un altro libro "La Casta", scritto da due autorevoli giornalisti, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, ha documentato con cifre e dati difficilmente confutabili, l'ulteriore involuzione di questi costi. Chi scrive ha sempre avuto un profondo rispetto per i partiti che sono le colonne portanti della nostra democrazia. Solo che, negli anni 1980-2000, i partiti hanno tentato di invadere tutti i campi della vita sociale; alcuni di essi hanno ritenuto che tutto sarebbe stato possibile per i loro dirigenti e si determinò una convinzione di impunità che solo il coraggio di un gruppo di magistrati ha saputo momentaneamente sconfiggere con le inchieste e le tante condanne inflitte ai potenti del periodo passato alla storia come "Mani pulite". Ma, evidentemente, i guasti prodotti da un certo sistema di potere erano più profondi ed estesi di quanto si potesse immaginare per cui, dopo una breve battuta d'arresto, i partiti hanno ripreso il loro cammino verso l'occupazione del potere in tutte le direzioni dalla Rai alle Asl, dalle municipalizzate alle banche e tutti gli altri enti di gestione della cosa pubblica. Oggi, grazie al libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, il tema degli eccessivi e ingiustificati "costi della politica" è tornato al centro dell'attenzione di una opinione pubblica che non ce la fa più a tollerare superstipendi di manager che mandano in rovina le aziende loro affidate e condizioni vergognose di privilegio per i suoi rappresentanti ai vari livelli istituzionali, dal Parlamento al Senato, alle circoscrizioni. Rubriche radiofoniche di successo come "Zapping" e televisive come "Ballarò" e "8 e mezzo", e altre ancora, se ne stanno occupando giornalmente e vengono avanti proposte di un certo interesse. L'ex sindaco di Torino, Diego Novelli, ha proposto un'assemblea di tutti gli ex parlamentari al fine di decidere l'autoriduzione del vitalizio. Il segretario nazionale di Rifondazione comunista Franco Giordano, intervistato dal "Corriere della Sera" il 17 maggio, si è detto favorevole alla riduzione degli stipendi dei parlamentari e di tutti gli altri che percepiscono soldi per il loro impegno politico. Il Presidente della Camera dei Deputati, Fausto Bertinotti, ha promosso una commissione di inchiesta su "costi della politica". Il consigliere regionale della Sinistra democratica abruzzese, Gianni Melilla, ha proposto una drastica cura dimagrante per le auto blu. Giustino Zulli Chieti Spinello legalizzato in Olanda si fuma di più La Dea, la speciale polizia antidroga degli Stati Uniti, la rilevato che in Olanda, dopo la legalizzazione della marijuana, dal 1984 al 1996 il consumo tra i giovani é passato dal 15 al 45 per cento. L'insostenibile leggerezza delle tesi degli antiproibizionisti (indotta per alcuni dall'uso di droghe e per altri dal non uso del cervello) é così scientificamente provata.


 

L’Unità 31-5-2007 Scontro in Rai sui preti pedofili, ma il film va in onda I consiglieri del centrodestra si votano un documento: "Tutta la responsabilità è di Cappon" di Natalia Lombardo /

 

Roma Gianfranco Fini aveva impartito l'ordine la sera prima a "Ballarò": "il video della Bbc sui preti pedofili non andrà in onda perché lo bloccherà il Cda". Detto fatto, ieri sera i consiglieri del centrodestra a Viale Mazzini hanno fatto il diavolo a quattro per bloccare la trasmissione del documentario sui preti pedofili "Sex crimes and the Vatican" (già visto da migliaia di persone su molti siti). Dopo un mese di polemiche il video andrà in onda questa sera alle 21 ad Anno Zero, il programma di Michele Santoro. I cinque del centrodestra non sono riusciti a bloccarlo, ma hanno cercato di incastrare il direttore generale Cappon addossandogli tutta la responsabilità "della corretta gestione della trasmissione, da lui atuorizzata" dal momento che aveva dato il via libera all'acquisto (per circa 20mila euro). Sul tavolo del Cda era arrivata pure la lista degli ospiti invitati da Santoro, un certificato di garanzia per la Chiesa: Monsignor Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense, Don Fortunato Di Noto dell'associazione Meter (in lotta da anni contro la pedofilia su internet), il professor Piergiorgio Odifreddi, matematico e autore di "Perché non possiamo essere cristiani" e il giornalista Colm O'Gorman autore dell'inchiesta della BBC. Per tutto il pomeriggio il Cda ha discusso il bilancio e l'ha votato all'unanimità (con un buco di 79 milioni). Alle nove di sera scoppia la bomba: il casiniano Marco Staderini si impunta per censurare il video, seguito da Malgieri (An) imbarazzato dal dover dare conto al diktat di Fini e dal forzista Urbani, pur perplesso; il presidente Petruccioli ha tentato una mediazione con un ordine del giorno che vincolava la trasmissione al rispetto dei principi del servizio pubblico (già garantiti da Santoro al Dg). Ma la destra insiste, Curzi si arrabbia "contro la censura preventiva", sbatte la porta e se ne va. Abbandonano la riunione anche il ds Rognoni e Nino Rizzo Nervo, poi Petruccioli e Cappon. Rimasti soli al settimo piano i cinque del centrodestra si votano un altro odg che in realtà ricalca quello di Petruccioli (ma non lo dicono). E, soprattutto, "avvertono" il Dg, sul quale già hanno appeso la Spada di Damocle di un voto di sfiducia. Nella redazione di Anno Zero proseguiva la preparazione della puntata. L'autore del video, Colm O'Gorman, come reporter di "Panorama-BBC" (e vittima da bambino di abusi sessuali da parte di un prete) ha raccolto testimonianze in tutto il mondo a partire dalla cattolicissima Irlanda, fino agli Stati Uniti, al Brasile e in Inghilterra. Al centro dell'inchiesta un documento riservato del Vaticano (e il ruolo del futuro Papa Ratzinger): il Crimen Sollicitationis, del 1962 che diceva ai vescovi come comportarsi con i preti che tentano approcci sessuali dal confessionale, nonché come affrontare "ogni atto osceno esterno. con giovani di ambo i sessi". Gli ospiti avevano passato l'esame dei vertici Rai e Travaglio spedirà in tempo utile per la risposta la sua "posta prioritaria". A rispondere a Fini ieri mattina sono stati sia Curzi che il presidente della Fnsi, Siddi: "Non spetta alla politica decidere cosa andare in onda".


 

Italia Oggi 31-5-2007  In un libro verde la Commissione europea censisce le attività di assistenza. Cittadini Ue, le ambasciate come rete di protezione

 

Prima iniziativa ufficiale della Commissione europea in materia di rafforzamento della protezione diplomatica e consolare dei cittadini dell'Unione nei paesi terzi. L'Esecutivo di Bruxelles ha infatti presentato in settimana un libro verde che anzitutto elenca gli interventi possibili degli stati membri e delle autorità giudiziarie nazionali, in casi quali: arresto o detenzione, incidente o malattia grave, atto di violenza subito dal cittadino, decesso del cittadino, aiuto al cittadino in difficoltà e rimpatrio. L'elenco inserito nel libro verde non è comunque completo, perché il testo presentato indica che le rappresentanze diplomatiche o consolari degli stati membri possono venire in aiuto anche in altri casi di richieste di aiuto, purché specificamente competenti. La decisione della Commissione europea prevede inoltre alcune procedure anche in relazione agli anticipi pecuniari che possono essere concessi ai cittadini in difficoltà all'estero dagli stati membri. Inoltre, al fine di organizzare scambi di informazioni sulle buone pratiche nazionali, in seno al Consiglio dell'Ue è stato istituito un gruppo di lavoro per la cooperazione consolare (Cocon), che ha già elaborato le linee direttrici sulla tutela dei cittadini dell'Ue nei paesi terzi. Queste ultime, sebbene non vincolanti, sottolineano comunque l'importanza dello scambio di informazioni tra gli stati membri e le autorità giudiziarie nazionali per una più stretta cooperazione. Numerose ragioni portano la Commissione a presentare una serie di percorsi di riflessione per rafforzare la protezione dei cittadini in tale settore. Anzitutto l'articolo 46 della Carta dei diritti fondamentali, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, che ha sancito il diritto alla protezione consolare e diplomatica come uno dei diritti fondamentali del cittadino europeo. Ma anche la decisione 95/553/Ce che prevede che ne sia fatto un riesame a cinque anni dalla sua entrata in vigore, avvenuta nel maggio 2002. Quest'anno la Commissione presenterà la quinta relazione sulla cittadinanza dell'Unione, in cui potrebbero essere annunciate iniziative relative al diritto alla protezione diplomatica e consolare. Quest'ultima può comunque riguardare casi individuali o collettivi. Per affrontare situazioni di crisi (catastrofi naturali, atti di terrorismo, pandemie o conflitti militari) l'Unione europea è comunque dotata già oggi di diversi strumenti: il meccanismo di protezione civile, gli aiuti umanitari alle popolazioni civili colpite da catastrofe nei paesi terzi, il meccanismo di reazione rapida, le missioni civili di gestione delle crisi nel quadro della politica estera di sicurezza e di difesa. Tutti strumenti che richiedono una stretta cooperazione tra Consiglio e Commissione. Attualmente sono solo tre i paesi in cui gli stati membri sono rappresentati: Repubblica popolare cinese, la Federazione Russa e gli Stati Uniti d'America. Prima di intraprendere azioni necessarie per rafforzare il diritto alla protezione diplomatica e consolare comunitarie, con il libro verde la Commissione ha perciò aperto un vasto dibattito pubblico, cui possono partecipare anche addetti al settore giustizia, inviando contributi all'indirizzo: jls-diploconsulprotection@ec.europa.eu. I contributi saranno pubblicati su La vostra voce in Europa, con l'indicazione degli autori, a meno che questi non preferiscano conservare l'anonimato o chiedano che l'intero contributo resti riservato. Il dibattito si concluderà con l'organizzazione di un'audizione con la partecipazione di tutti gli interessati.


 

INDICE 30-5-2007

+ +  AgenParl 30.5.2007.

+ Consulenzalavoro.com 29-5-2007 In Spagna diminuisce il precariato Flessione dell’1,6%  1

+ Il Sole 24 Ore 30-5-2007 Ora il centrosinistra mette il Professore sotto pressione.  Stefano Folli 2

Audionews.it 30-5-2007  Previti, Giunta: si decadenza carica deputato  2

Il Resto del Carlino 30-5-2007 TAGLIARE I COSTI della politica? Tutti bravi a scaricare il barile su qualcun altro. 3

L’Unità 30-5-2007 Harakiri Marco Travaglio  3

Europa 30-5-2007 Il centrosinistra prenota, paga il biglietto ma riesce sempre a perdere il treno. FEDERICO ORLANDO RISPONDE  4

Il Centro 30-5-2007 Il risultato elettorale scuote la maggioranza. Mastella e Boselli insistono per la verifica. E Diliberto avverte: non voteremo il Dpef a scatola chiusa Le urne azzoppano il Pd: meno 8%."Ora taglio dell'Ici e leader forte" avverte Rutelli. Fassino: il governo decida Cacciari e Pollastrini: il nuovo partito deve essere radicato al Nord Mussi: hanno fatto flop ANDREA PALOMBI 5

La Stampa 30-5-2007 L'Unione accerchia Prodi. Dopo la sconfitta, affondo di Rutelli: subito il leader del Pd. I Ds: cambio di passo. Il premier pronto a correre per le primarie. AMEDEO LA MATTINA  5

Libertà 30-5-2007 La disfatta al Nord e il primo flop del nascente Partito Democratico mettono in ginocchio la maggioranza. Nell'Unione si prepara la resa dei conti Il governo non si dimetterà ma Rutelli chiede un leader forte  6

L’Unità 30-5-2007 Sconfitta collettiva Gianfranco Pasquino  7

L’Unità 30-5-2007"Senza coraggio perderemo ancora" Abbiamo chiesto ai lettori de l'Unità e de l'Unità on line di commentare il voto amministrativo. 8

Finanzaonline.com 29-5-2007  9

Finanza&Mercati del 30-05-2007 Salasso da almeno 800 milioni in arrivo per banche, assicurazioni, società di gestione del risparmio e Poste Italiane. 10

Il Tirreno 30-5-2007  Vodafone contro Bersani sulle ricariche Il ministero dello Sviluppo replica: stupefacente e incredibile l'affermazione dell'amministratore delegato Pietro Guineani 10

Marketpress.info 30-5-2007L'obiettivo del progetto Biosynergy lanciato di recente è sviluppare e progettare concetti innovativi di "bioraffinerie" al fine di rendere i prodotti generati da biomasse competitivi sotto il profilo dei costi rispetto ai combustibili fossili 11

Il Tempo 29-5-2007 Tango Bond, riparte la trattativa. Usa, Italia e Germania in pressing sull’Argentina per avviare nuovi rimborsi. I creditori americani annunciano azioni comuni. Senza risarcimento il 25% dei possessori di titoli. di FILIPPO CALERI 12

 


+ +  Agenparl 30-5-2007

 

SCENARI D’AUTUNNO

Roma, 30 Maggio 2007 - AgenParl - Prevedendosi la bufera, in Parlamento si stanno elucubrando varie ipotesi in vista dello “scivolone” di Prodi. Il presidente del Senato Franco Marini si frega le mani. Si ventila la possibilità di dare vita ad un governo istituzionale per impedire la morte prematura della corrente legislatura. E proprio Marini, data la sua collocazione politica, viene indicato come possibile presidente del consiglio. Anche perché difficilmente questo incarico potrebbe essere conferito al presidente della Camera Fausto Bertinotti, la cui qualificata collocazione politica non gli consentirebbe di raccogliere i consensi necessari.
Da Arcore, si danno ancora “tre mesi” di vita all’attuale esecutivo. In autunno, se un nuovo governo “pronto” e “deciso” non avrà varato la riforma della legge elettorale, il referendum piomberà come una “clava” sul governo “stremato”, aprendo la strada a nuove elezioni.
Però questa ipotesi, cara al Cavaliere, non trova il sostegno necessario, nemmeno in tutto il centro-destra. (F.Mi.)

 

COFFERATI: LE INSICUREZZE DELLA SINISTRA SULLA SICUREZZA

Roma, 30 Maggio 2007 – AgenParl – Anche il sindaco di Bologna Sergio Cofferati cerca di trovare delle cause nella sconfitta del centrosinistra alle amministrative.
“Siamo di fronte ad un retaggio di una vecchia cultura” sostiene Cofferati che prosegue: “un retaggio che se non superato, ci destina ad altri insuccessi”.
Per il primo cittadino bolognese, la sconfitta non è assolutamente da imputare ai singoli Prodi piuttosto che Padoa–Schioppa, bensì ad alla mancata fiducia nel governo da parte dei cittadini. E a tal proposito, per Cofferati, “il caso di Verona, dove ha stravinto il candidato leghista Flavio Tosi, non è un caso particolare. La sinistra si è sempre limitata a condannare le azioni repressive della destra, mostrando solo incertezze di fronte al bisogno di azioni di contrasto”. (M. D.)

 

AMMINISTRATIVE: CALDEROLI (LEGA), GRAZIE A PRODI LA SINISTRA DISERTA LE URNE

Roma, 30 Maggio 2007 – AgenParl – "E' la prima volta che il popolo della sinistra sceglie di non andare a votare, peraltro in una tornata amministrativa dove tradizionalmente il centrodestra raccoglie meno consensi. Basta scorrere province e comuni dove si è votato per verificare che lì dove mancano i voti al centrosinistra si è alzato in maniera decisa l'astensionismo. Tra l'altro, è anche un dato ben augurante". Lo ha dichiarato in un'intervista a 'Il Giornale' Roberto Calderoli, vice presidente del Senato e coordinatore delle segreterie nazionali della Lega Nord.
"Mi pare chiaro – ha affermato Calderoli – che questa maggioranza non è in grado di affrontare la questione del federalismo fiscale, che nei difficili equilibri che tengono in piedi il governo avrebbe degli effetti devastanti. Eppure il nord ci ha appena fatto sapere di avere una gran voglia di federalismo, altrimenti non si spiegherebbero questi numeri bulgari". "Certo -ha commentato- o si va alle elezioni anticipate oppure ci si mette a tavolino e si fa subito una nuova legge elettorale. Oggi i capigruppo del Senato hanno detto sì ad accelerare l'iter del provvedimento, vedremo se saranno capaci di andare avanti. Altrimenti resta solo il voto anticipato".
"Penso che se ci mobilitiamo adesso – ha spiegato invece Calderoli in un'intervista a 'Il Messaggero' – dopo qualche risultato,in piazza ci portiamo tre, cinque volte la gente che c'e' andata la volta scorsa". "Ma li ha visti - ha concluso - i voti che abbiamo preso, in termini assoluti?". (LM.VS.)

 


+ Consulenzalavoro.com 29-5-2007 In Spagna diminuisce il precariato Flessione dell’1,6%

Statistiche

Il Ministero del Lavoro e degli Affari sociali spagnolo ha reso noto che nel primo trimestre del 2007 si è verificata un’inversione di tendenza nell’ambito dell’occupazione e, dopo un periodo di massiccio ricorso al precariato, si riscontra un deciso aumento dei dipendenti a tempo indeterminato.
Su 13,5 milioni di lavoratori non agricoli, infatti, il 67,4% è assunto in modo stabile e il 32,6% ha un impiego temporaneo e nei primi 3 mesi del 2007 sono stati creati 812.900 nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato (+9,8%).
Al contrario il lavoro flessibile ha visto un calo pari al -1,6%, con 69 mila posti in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
A beneficiare dell’inversione di tendenza sono state soprattutto le donne, che hanno ottenuto 428.600 posti in più rispetto al 2006 (+8,4%) e 100 mila più dei colleghi maschi.

 


 

+ Il Sole 24 Ore 30-5-2007 Ora il centrosinistra mette il Professore sotto pressione.  Stefano Folli


30 maggio 2007 Dopo il voto amministrativo e la sconfitta al Nord, il centrosinistra si trova di fronte a un paradosso. Chiede con forza al presidente del Consiglio di reagire e di mettere in campo qualche idea e qualche iniziativa per recuperare il rapporto con gli elettori. Al tempo stesso, si scontra con la tranquilla prudenza del premier. Che non si scompone e ribatte:«Io non cerco la popolarità, io voglio guarire il paese e ho bisogno di cinque anni per riuscirci». Le amministrative, a suo avviso, sono un episodio minore, un incidente sulla via del risanamento; il giudizio si potrà dare appunto fra cinque anni. E' un messaggio che Prodi rivolge alla sua maggioranza: non provate a cogliere il pretesto del voto per allontanarmi da Palazzo Chigi.
Tuttavia i partiti hanno fretta, molta fretta. Ecco il paradosso: l'orizzonte della legislatura è troppo lungo per loro, non se la sentono di aspettare. Hanno bisogno che il Governo sia reattivo davanti agli stati d'animo espressi dall'opinione pubblica.Perché essere espulsi dal Nord equivale ad essere delegittimati come classe politica dirigente.
Così i problemi s'intrecciano. Da un lato, il passo lento e solenne di Prodi che cerca soprattutto di mettere in sicurezza la sua compagine. Dall'altro, le inquietudini dei partiti,in qualche caso preda di vere crisi di panico. Persino la sinistra radicale è sulle spine, ritiene che si faccia troppo poco per curare il malessere sociale e «risarcire » i ceti deboli. E poi naturalmente c'è il Partito Democratico, la cui prospettiva è stata travolta dal risultato nordista e che oggi deve cambiare passo se vuole salvare qualcosa della sua ragion d'essere.
Altro che serena marcia di avvicinamento alla data fatidica del 14 ottobre... Gli architetti del Partito democratico devono escogitare subito un progetto per il paese, una proposta comprensibile. Il tempo stringe. Alla "Stampa" Mercedes Bresso, presidente della Regione Piemonte,ha detto: «Il peso del Governo o non si è visto, oppure ha avuto effetti negativi come per l'alta Velocità. Il Nord non vuole riformismo verbale, vuole i fatti».
Riformismo verbale... Se questo è il limite dell'esecutivo, cosa hanno fatto Ds e Margherita, i due partiti«riformisti»,per imporre il loro punto di vista? Per un anno si è sentita la voce della sinistra radicale, molto meno quella della sinistra moderata.Senza dubbio oggi c'è la necessità di definire senza ritardi la leadership del nuovo partito (proprio quello che il premier non vuole,timoroso degli effetti del dualismo). Ma più urgenti ancora le battaglie politiche intorno a temi concreti. La Bresso cita la Tav. Entro il 23 luglio l'Italia deve una risposta all'Unione europea. Il rischio d'essere tagliati fuori dalle grandi opere è incombente.
Massimo Cacciari parla di un centrosinistra «incapace di comprendere la struttura sociale, economica e culturale delle regioni settentrionali». Qui è il nodo che il binomio DsMargherita, cioè il Pd, avrebbe dovuto sciogliere, soprattutto attraverso l'azione del Governo Prodi. Invece sono state escluse proprio le voci più scomode, ma anche più innovative.Cacciari,Chiamparino,Bresso, Illy:agli occhi dei partiti romani sono degli eretici. Ma l'eresia del Nord è essenziale per un nuovo partito che dovrebbe nascere su base federale. Vedremo nelle prossime settimane. Di certo il Governo Prodi è già sotto pressione. La leadership del professore sarà messa alla prova. A cominciare dalla Tav e dalle pensioni.

 


Audionews.it 30-5-2007  Previti, Giunta: si decadenza carica deputato

 

06.32: La Giunta per le elezioni della Camera ha approvato la proposta di decadenza di Cesare Previti dalla carica di deputato. L'ex ministro del governo Berlusconi, condannato in via definitiva per il processo Imi-Sir, avrà 20 giorni di tempo per presentarsi in audizione alla Camera. L'ultima parola spetterà poi all'Aula per la decisione definitiva.

 


 

Il Resto del Carlino 30-5-2007 TAGLIARE I COSTI della politica? Tutti bravi a scaricare il barile su qualcun altro.

 

C'è chi propone di tagliare le Province, chi le Comunità montane, chi i consigli di quartiere, chi consiglieri e assessori. Tutti però parlano degli altri. E' quanto affermano, in una nota congiunta, i segretari provinciali di Cgil Cisl e Uil, Meris Soldati, Massimo Fossati e Giuseppina Morolli. "Occorrerebbe che la politica ? affermano ? quella legata all'amministrazione del potere, arretrasse di un passo ponendo fine alla spartizione e all'occupazione di enti, società partecipate, consorzi e quant'altro. In questo modo si favorirebbe il loro rinnovamento e la riduzione degli incaricati da individuare soltanto su criteri di necessità, competenza e professionalità e non sull'appartenenza a questo o quel partito". Cgil Cisl e Uil puntano l'accento sul tema del lavoro: "Rinnovare i contratti di lavoro (alcuni scaduti da anni) in questa fase è molto difficile. Quando, anche se per pochi euro, siamo costretti a chiamare i lavoratori allo sciopero, il tema dei costi della politica salta subito in primo piano. Anche in occasione dell'ultima tornata di assemblee su Finanziaria e confronto con il governo sulle rivendicazioni che Cgil Cisl Uil hanno avanzato, relativamente a previdenza, pubblico impiego ecc., abbiamo avvertito un malessere sociale crescente, i lavoratori e i pensionati hanno posto con grande forza e nettezza la necessità di un sostanziale cambiamento e di una maggiore equità". Ancora: "I costi della politica, moltiplicano vertiginosamente; gli stipendi dei parlamentari sono i più alti d'Europa. Di contro, rimanendo in ambito europeo, è sempre da primato, questa volta però al ribasso, il livello degli stipendi dei lavoratori italiani, per non parlare delle pensioni". Pasquale Barone (An) sposa la proposta di Giovanni Benaglia (Ds): "Abolire le Province". Ma difende i consigli di quartiere: "Un assessore costa come un'intera assise di quartiere. Non concordo sull'eliminazione dei quartieri, che avvicinano la politica al territorio. Verifichiamo gli sprechi nelle partecipate. Riduciamo i membri dei vari cda: per fare una maggioranza ne bastano 3, non ne servono 13. Quanti sono a Rimini i politici di professione senza incarichi elettivi? Tra sindacati, cooperative e partecipate sono certo tanti che si ritrovano stipendi e pensioni".

 


L’Unità 30-5-2007 Harakiri Marco Travaglio

 

In Giappone il ministro dell'Agricoltura Toshikatsu Matsuoka, coinvolto in uno scandalo finanziario, s'è impiccato in pieno Parlamento. "Sono ben cosciente ­ ha lasciato detto ­ delle mie responsabilità. È mio dovere far sì che cose simili non si ripetano". Era accusato di aver intascato fondi neri per 6.600 euro da una società edilizia che poi aveva vinto appalti pubblici e di aver presentato note spese fasulle per 180 mila euro facendosele rimborsare dallo Stato. In Italia Paolo Scaroni, quand'era manager della Techint, pagò tangenti al Psi per vincere appalti all'Enel. Una volta scoperto, fortunatamente non si suicidò. Patteggiò 1 anno e 4 mesi per corruzione e fu subito promosso dal governo Berlusconi presidente dell'Enel (in veste d'intenditore) e poi amministratore delegato dell'Eni: ora è di nuovo indagato dalla Procura di Milano per aver truffato gli italiani taroccando i contatori di gas e gonfiando le bollette di circa il 6%. Se avesse lasciato detto qualcosa, avrebbe potuto dire: "Sono ben incosciente delle mie responsabilità. Ed è mio dovere far sì che cose simili si ripetano. Ora scusatemi, ma ho molto da fare". Matsuoka riteneva di aver "perso la reputazione": il che, spiega Paolo Salom sul Corriere, "è la tragedia più grande per un uomo dell'Estremo Oriente. Negli ultimi 25 anni, altri 4 parlamentari han fatto harakiri". Tutti gli Scaroni d'Italia della reputazione e dell'onore hanno un concetto un po' elastico: non temono di perderli, non si sono mai posti il problema, e questo li avvantaggia parecchio rispetto agli uomini dell'Estremo Oriente. Chi ha una faccia, teme di perderla. Ma chi non ce l'ha, o più semplicemente vive in Italia, non ha nulla da perdere. Vive meglio. E soprattutto vive. Mentre i Matsuoka muoiono. Certo i Matsuoka esagerano: noi, più modestamente, ci accontenteremmo che quelli nostrani vivessero cent'anni, ma a casa loro, lontano dal denaro pubblico. Invece, se nel curriculum hanno almeno una condanna da vantare, vi si avvicinano vieppiù. E dire che, solo 15 anni fa, capitava anche in Italia che qualche personaggio coinvolto in Tangentopoli si togliesse la vita per la vergogna, o per paura delle conseguenze. Ma oggi vengono ricordati come vittime, non come colpevoli: colpevoli sono i giudici che scoprirono i loro delitti e i giornali che li raccontarono. In Giappone a nessuno salterebbe in mente di accusare giudici o giornali: se uno ruba, le conseguenze dei suoi furti ricadono su di lui, non sugli altri. Il Corriere aggiunge che "Matsuoka, facendo harakiri, ha riconquistato il suo onore di fronte ai connazionali". Ecco, i connazionali. I cittadini. La società civile. L'opinione pubblica. Nel '92-'93 ne avevamo una anche noi. Scendeva in piazza contro i ladri e a favore delle guardie. Poi, a reti unificate, le fu spiegato che i ladri erano le vittime e le guardie i colpevoli. Il gioco di prestigio funzionò. L'altroieri gli elettori di Asti hanno rieletto sindaco il forzista Giorgio Galvagno: lo era già nel gennaio '94, quando era socialista e fu arrestato. Lo scandalo era quello della discarica di Vallemanina e Valleandona, dove venivano smaltiti illegalmente rifiuti tossici e nocivi in cambio di tangenti. Innocente? No, colpevole: nel 1996 Galvagno patteggiò 6 mesi e 26 giorni di carcere per inquinamento delle falde acquifere, abuso e omissione di atti ufficio, falso ideologico, delitti colposi contro la salute pubblica e omessa denuncia dei responsabili della Tangentopoli astigiana. Meritava un premio: nel 2001 Forza Italia lo preferì all'allora capogruppo, l'avvocato Alberto Pasta, che aveva un handicap: al processo sulla discarica assisteva il comitato delle vittime, parte civile contro Galvagno. Fra il condannato e la parte civile, il partito di Berlusconi non ebbe esitazioni: scelse il condannato. Galvagno divenne deputato. Ora è di nuovo sindaco,col 56,9%. A Taranto sfiora il ballottaggio il figlio di Giancarlo Cito, che non poteva ripresentarsi per via di una condanna per mafia (Sacra corona unita). A Monza vince il rappresentante della Cdl, così finalmente Paolo Berlusconi potrà costruire un milione di metri cubi alla Cascinazza. La politica è in crisi anche per questo: a volte, come diceva un celebre titolo di Cuore, "l'uomo della strada è una bella merda". Uliwood party.


 

Europa 30-5-2007 Il centrosinistra prenota, paga il biglietto ma riesce sempre a perdere il treno. FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, perché il governo, presentato dalla destra come il governo delle tasse, non dice anche quel che ha fatto per il paese e in particolare per il Nord? Perché se ha pronto il contratto dei dipendenti pubblici (3 milioni), lo firma solo la notte dopo la sconfitta elettorale e non il giorno prima? Perché avendo un programma per la famiglia lo dice solo il sabato prima delle elezioni e non un anno fa? Non sarò mai elettrice della destra, ma queste cose mi fanno incavolare.
ANNA MARIA STELLA, GENOVA

Anche a me, signora Stella. Purtroppo, i politici del centrosinistra, e anche del Partito democratico, hanno una loro visuale delle cose che ci porta a valutazioni divergenti.
Per esempio, perdiamo in una parte del Nord? C’è pronta la risposta di Pezzotta: abbiamo deluso gli elettori cattolici. Ma per chi votano questi cattolici, per i razzisti della Lega? Per i cammelli di Fi che non dovrebbero entrare nella cruna dell’ago? E tutto questo per cristiano odio ai Dico? Francamente mi sembra poco cristiano, così come poco saggio mi sembra iniziare una politica della famiglia, da parte del governo, anticipando questioni importanti ma marginali e impostando solo successivamente le questioni generali. Come s’è fatto la settimana scorsa a Firenze. In verità, io leggo in questi comportamenti la cultura residuale di minoranze, di opposizioni vissute perennemente nelle nicchie, e che, trovatesi all’improvviso a governare la società generale, continuano a vedere le nicchie che qua e là vi si affacciano e pensano di dover partire da quelle, trascurando (e offendendo) la generalità. Che è cosa del tutto diversa dal principio liberale di difendere sempre il diritto delle minoranze a manifestarsi e a proporsi.
Lei dice: l’accordo per il pubblico impiego. Ma ha letto le reazioni dei sottosindacati autonomi o di base? Sono già sul sentiero di guerra. Ecco la mancanza di sintonia con gli interessi di tutti: niente accordo, e dunque scioperi. Altri voti alla destra. Pensare che ieri a Lecco – dov’è morto 50 anni fa – hanno ricordato Giuseppe Di Vittorio, l’umile bracciante pugliese diventato il grande segretario della Cgil, che meritò, per la sua moderazione e collaborazione col governo e con l’opposizione, coi lavoratori e con gli imprenditori, il titolo di ricostruttore dell’Italia: insieme a De Gasperi (politica), Valletta (industria) e Menichella (moneta). Io credo che se avesse avuto dei Cobas fra le scatole Di Vittorio non avrebbe esitato a marcare le distanze. Speriamo che altrettanto facciano Epifani e compagni. Insomma, cara signora, il centrosinistra non solo non ha costruito un blocco sociale alternativo a quello di centrodestra (e ciò è un bene, in una società non più solcata da divisioni di classe, checché ne pensi Giordano), ma non ha trovato né una voce unitaria per esprimersi né la sintonia con gli avvenimenti, in modo da comunicare prima che il treno passi, non quando è già passato. Rileggo un’intervista di Prodi al Messaggero di dieci giorni fa, col titolo: “Ho fatto ripartire l’Italia anche a costo dell’impopolarità”: Mi chiedo se non avrebbe fatto meglio a girare l’Italia per spiegare le cause buone di quell’impopolarità, anziché aspettare, per farlo, sabato prossimo, quando comincerà da Roma il viaggio nel “popolo delle primarie”. Sperando che quel popolo ci sia ancora


 

Il Centro 30-5-2007 Il risultato elettorale scuote la maggioranza. Mastella e Boselli insistono per la verifica. E Diliberto avverte: non voteremo il Dpef a scatola chiusa Le urne azzoppano il Pd: meno 8%."Ora taglio dell'Ici e leader forte" avverte Rutelli. Fassino: il governo decida Cacciari e Pollastrini: il nuovo partito deve essere radicato al Nord Mussi: hanno fatto flop ANDREA PALOMBI

 

ROMA. Una sirena antiaerea, più che un campanello d'allarme. L'allarme che è risuonato ieri nel centrosinistra si è sentito alto e forte. Non ci saranno effetti immediati per il governo, ma certo tutti chiedono ora nell'Unione di correre ai ripari. Anche perchè giugno si annuncia come un vero percorso di guerra per il governo Prodi, disseminato di trappole e insidie ad alto rischio. Il problema è che le ricette nella maggioranza sono spesso diverse, se non opposte. La diagnosi ha però due nomi chiari: questione settentrionale e primo flop del nascente Partito Democratico. Piero Fassino, in una riunione del comitato politico Ds, avverte che serve ormai uno "scatto nell'azione di governo e nella costruzione del Partito Democratico". Ma ancora più esplicito è Francesco Rutelli, che in un lungo discorso nella direzione della Margherita, chiede che sia scelto subito, già in autunno, il leader del nuovo partito. Perché "serve una guida e non si può stare nel bagnasciuga troppo a lungo". Al governo Rutelli torna invece a chiedere di tagliare l'Ici e critica che sia stato firmato il contratto con gli statali la notte dopo le elezioni. C'è bisogno di "decidere" di più e di "comunicare" meglio, avverte dunque il presidente della Margherita che critica anche il "balletto" infinito sul cosiddetto tesoretto. In molti chiedono di accelerare verso la costruzione del Pd. Ma Massimo Cacciari e Barbara Pollastrini chiedono che si dia vita a un Partito Democratico del Nord autonomo, anche se federato con il Pd. Walter Veltroni avverte che serve una "riflessione molto seria", ma si riserva di dire la sua nella sede opportuna, cioè nella prossima riunione del coordinamento dell'Ulivo. Probabile che torni a chiedere anche lui di anticipare la scelta del leader. Certo che il Partito Democratico non sembra nascere sotto i migliori auspici. In quasi tutto il Nord la sola Forza Italia supera le liste comuni di Ds e Margherita. Ma prendendo come riferimento le sette province in cui si è votato con la proporzionale, l'Ulivo perde complessivamente ben l'8,4 per cento, passando da una media del 30,8 per cento ottenuta nel 2002 da Ds e Margherita separati, al 22,4 di queste elezioni. A Genova, ad esempio l'Ulivo raggiunge il 30,2, ma cinque anni fa i soli Ds erano al 30,7 e la Margherita al 9,1. A La Spezia i due partiti separati erano al 42,7, l'Ulivo in queste elezioni si è fermato al 32,7. A Varese l'Ulivo si ferma al 17 per cento sotto Forza Italia, ma anche sotto la Lega, e a Vercelli non va oltre il 16,3. Ma persino dove il centrosinistra vince, come a Frosinone, l'Ulivo ottiene solo il 16,10 contro il 20,59 preso dalle liste separate di Ds e Margherita. Una situazione in cui affondano il coltello i fuoriusciti dai Ds, Fabio Mussi ("una debacle per il Pd") e Gavino Angius ("Il Pd indebolisce l'Unione"). Ma il giorno dopo il primo turno, e mentre resta ancora da giocare la partita dei ballottaggi il 10 giugno, è tutto il centrosinistra a non raccogliere l'invito di Prodi a restare unito. Clemente Mastella (Udeur) e ora anche Enrico Boselli (Sdi) chiedono un "tagliando" per il governo. Oliviero Diliberto avverte che il Pdci non voterà il prossimo Pdef "a scatola chiusa" e il radicale Capezzone protesta contro le troppe tasse. Per il governo Prodi si profila oltretutto un mese ad alta tensione. Il 6 giugno al Senato si voterà la mozione presentata dall'opposizione contro Visco e al momento il centrosinistra non ha i voti sufficienti per mettere al riparo il suo vice ministro. E a giugno bisognerà decidere sulle pensioni, sulla Tav, sulla riforma elettorale (con il referendum come una mina innescata per il governo), e infine sul Dpef.


 

La Stampa 30-5-2007 L'Unione accerchia Prodi. Dopo la sconfitta, affondo di Rutelli: subito il leader del Pd. I Ds: cambio di passo. Il premier pronto a correre per le primarie. AMEDEO LA MATTINA

ROMA
Ds e Margherita in rotta di collisione con Prodi. Il premier non minimizza i risultati della Amministrative ma neanche ne fa un dramma. Gli alleati invece si sono presi una grande paura. «Sarebbe sbagliato - ha spiegato Piero Fassino al comitato politico della Quercia - sottovalutare il voto. Il governo e il centrosinistra sono sollecitati a uno scatto. E’ necessario rispondere alle attese di modernizzazione e riforme». Ma Ds e Margherita hanno un problema in più che si chiama Partito Democratico che rischia di essere risucchiato negativamente dall’immagine del premier e dai contrasti della coalizione che al Nord è stata umiliata. «Sottovalutare il messaggio che viene da questa parte del Paese sarebbe un grave errore», annota Dario Franceschini che rilancia con forza la necessità di una leadership nuova e forte del Pd in coincidenza con l’elezione dell’Assemblea costituente d’ottobre. Prodi considera questa idea una sua deminutio e un ulteriore indebolimento dell’esecutivo. Stasera, alla riunione del Comitato dei 45 si discuterà anche di questo e di come reagire alla batosta elettorale.

Il punto centrale tuttavia rimane l’azione del governo, perché da questa passa il vero recupero di consenso. Francesco Rutelli è stato il più esplicito e il più critico. Chiedendo di eleggere già a ottobre il leader del Pd: «Serve una leadership piena che non sia il frutto di un’intesa tra i gruppi dirigenti dei partiti fondatori». Attaccando il ritardo di certe decisioni, a cominciare dall’Ici: «E’ sacrosanta l’indicazione di destinare l’extra-gettito nella direzione degli armonizzatori sociali e alle pensioni più basse, ma è altrettanto importante che il governo batta un colpo dando un primo segnale di riduzione della pressione fiscale. Ecco perché sosteniamo l’intervento sulla casa che tocca i ceti medio-bassi e che è subito percepita dalle famiglie». Per Rutelli poi è stato «un errore» chiudere il contratto degli statali a urne chiuse: «Da tempo avevamo chiesto di risolvere questa controversia prima delle elezioni». Le sue accuse hanno un chiaro indirizzo: Prodi e Padoa-Schioppa.

Decidere e comunicare, cambiare passo, «altrimenti ne prenderemo atto», spiega minaccioso il deputato veneto della Margherita Fistarol. «Tra qualche settimana avremo le partite Iva del Nord - aggiunge Fistarol - inferocite per l’adeguamento degli studi di settore. Ecco, dalle mie parti non capiscono perché devono pagare più tasse se poi a Roma litighiamo sul tesoretto». Insomma i due alleati maggiori di Prodi non ci stanno ad aspettare la fine della legislatura, come ha detto ieri il premier, per fare un bilancio dell’azione del governo. Per Ds e Margherita se il toro non viene preso subito per le corna, travolgerà tutti e tutto. Anche il Partito democratico le cui sorti Fassino e Rutelli vogliono distinguere da quelle dell’esecutivo. Nei vertici della Quercia e dei Dl si è acceso l’allarme rosso: per questo non è più possibile aspettare il 2008 per avere alla guida del Pd un leader saldo in sella. «Scegliere subito il leader del Pd è ormai l’orientamento prevalente», osserva Antonello Soro. Alla stessa conclusione sono arrivati i big Ds. Veltroni, Bersani e D’Alema non hanno dubbi, più prudente invece Fassino: non è convinto dell’opportunità di aprire ora un dibattito sulla guida del Pd.

Resiste a questa ipotesi Prodi che vede come fumo negli occhi lo sdoppiamento della leadership del partito da quello della premiership. «Credo - spiega sempre Soro - che siamo maturi i tempi per una coabitazione tra leader del partito e leader del governo. La situazione delicata ce lo impone». Nomi non ne sono stati fatti alle riunioni dei Ds e dei Dl dove è chiara l’idea che il leader del Pd non sarà il candidato a Palazzo Chigi. Questo dovrà essere deciso nel 2010, un anno prima delle elezioni politiche, sempre che a quella data il governo Prodi arrivi. Sì, perché a margine degli incontri di ieri non veniva esclusa l’ipotesi di una crisi di governo. «Anche perché - diceva un ministro della Margherita - Prodi purtroppo è molto, molto debole». C’è un punto su cui i due partiti non sono d’accordo. La Margherita vorrebbe che il segretario venga scelto con delle vere e proprie primarie, mentre la Quercia sostiene che questo indebolirebbe troppo Prodi e propone di far eleggere il leader dai delegati dell’assemblea costituente. Ma di fare presto ormai parlano tutti, anche il nuovo arrivato Marco Follini: «A questo punto l’accelerazione sul Pd ci sta tutta».


 

Libertà 30-5-2007 La disfatta al Nord e il primo flop del nascente Partito Democratico mettono in ginocchio la maggioranza. Nell'Unione si prepara la resa dei conti Il governo non si dimetterà ma Rutelli chiede un leader forte

 

ROMA - Una sirena antiarea, più che un campanello d'allarme. L'allarme che è risuonato ieri nel centrosinistra si è sentito alto e forte. Non ci saranno effetti immediati per il governo, ma certo tutti chiedono ora nell'Unione di correre ai ripari. Anche perché giugno si annuncia come un vero percorso di guerra per il governo Prodi, disseminato di trappole e insidie ad alto rischio. Il problema è che le ricette nella maggioranza sono spesso diverse, se non opposte. La diagnosi ha però due nomi chiari: questione settentrionale e primo flop del nascente Partito Democratico.Piero Fassino, in una riunione del comitato politico Ds, avverte che serve ormai uno "scatto nell'azione di governo e nella costruzione del Partito Democratico". Ma ancora più esplicito è Francesco Rutelli, che in un lungo discorso nella direzione della Margherita, chiede che sia scelto subito, già in autunno, il leader del nuovo partito. Perché "serve una guida e non si può stare nel bagnasciuga troppo a lungo". Al governo Rutelli torna invece a chiedere di tagliare l'Ici e critica che sia stato firmato il contratto con gli statali la notte dopo le elezioni. C'è bisogno di "decidere" di più e di "comunicare" meglio, avverte dunque il presidente della Margherita che critica anche il "balletto" infinito sul cosiddetto tesoretto. In molti chiedono di accelerare verso la costruzione del Pd. Ma Massimo Cacciari e Barbara Pollastrini chiedono che si dia vita a un Partito Democratico del Nord autonomo, anche se federato con il Pd. Walter Veltroni avverte che serve una "riflessione molto seria", ma si riserva di dire la sua nella sede opportuna, cioè nella prossima riunione del coordinamento dell'Ulivo. Probabile che torni a chiedere anche lui di anticipare la scelta del leader. Certo che il Partito Democratico non sembra nascere sotto i migliori auspici. In quasi tutto il Nord la sola Forza Italia supera le liste comuni di Ds e Margherita. Ma prendendo come riferimento le sette province in cui si è votato con la proporzionale, l'Ulivo perde complessivamente ben l'8,4 per cento, passando da una media del 30,8 per cento ottenuta nel 2002 da Ds e Margherita separati, al 22,4 di queste elezioni. A Genova, ad esempio l'Ulivo raggiunge il 30,2, ma cinque anni fa i soli Ds erano al 30,7 e la Margherita al 9,1. A La Spezia i due partiti separati erano al 42,7, l'Ulivo in queste elezioni si è fermato al 32,7. A Varese l'Ulivo si ferma al 17 per cento sotto Forza Italia, ma anche sotto la Lega, e a Vercelli non va oltre il 16,3. Ma persino dove il centrosinistra vince, come a Frosinone, l'Ulivo ottiene solo il 16,10 contro il 20,59 preso dalle liste separate di Ds e Margherita. Una situazione in cui affondano il coltello i fuoriusciti dai Ds, Fabio Mussi ("una debacle per il Pd") e Gavino Angius ("Il Pd indebolisce l'Unione"). Ma il giorno dopo il primo turno, e mentre resta ancora da giocare la partita dei ballottaggi il 10 giugno, è tutto il centrosinistra a non raccogliere l'invito di Prodi a restare unito. Clemente Mastella (Udeur) e ora anche Enrico Boselli (Sdi) chiedono un "tagliando" per il governo. Oliviero Diliberto avverte che il Pdci non voterà il prossimo Pdef "a scatola chiusa" e il radicale Capezzone protesta contro le troppe tasse. Per il governo Prodi si profila oltretutto un mese ad alta tensione. Il 6 giugno al Senato si voterà la mozione presentata dall'opposizione contro Visco e al momento il centrosinistra non ha i voti sufficienti per mettere al riparo il suo vice ministro. Lo stesso giorno arriveranno nella giunta per le autorizzazioni a procedere la nuova ondata di intercettazioni di cui si parla da settimane. E a giugno bisognerà decidere sulle pensioni, sulla Tav, sulla riforma elettorale (con il referendum come una mina innescata per il governo), e infine sul Dpef. Andrea Palombi [.


 

L’Unità 30-5-2007 Sconfitta collettiva Gianfranco Pasquino

 

Segue dalla Prima   Ma fare spallucce dicendo che il Nord rappresenta un problema "non da oggi" per il centrosinistra non riduce le proporzioni della sconfitta e non avvia in nessun modo a soluzione il problema. Neppure cercare i capri espiatori o, peggio, le bacchette magiche serve a salvare le coscienze e ancora meno a recuperare i voti. Tutti gli studiosi sanno, e persino qualche politico ha imparato, che nei comportamenti elettorali, che includono anche la decisione di non andare a votare, entrano una pluralità di motivazioni. Pertanto, qualcuno degli elettori del centro-sinistra ha mostrato la sua disaffezione standosene a casa. È recuperabile mostrando loro che il governo di centro-sinistra sa prendere decisioni e attuare politiche. Qualcuno ha ritenuto che uno schieramento come quello del centro-sinistra dovrebbe contenere e ridurre i privilegi, ma, di fronte alla documentazione dei costi della politica, è stato preso, non soltanto dallo sconforto, ma anche dall'irritazione e ha deciso di dare una lezione ai troppi compiaciuti politici di mestiere che si ergono a casta. Qualcuno, infine, fra i molti che, probabilmente, oscillano fra centro-sinistra e centro-destra, ha deciso che su tematiche importanti, come la sicurezza, l'immigrazione, le tasse (la distribuzione del cosiddetto tesoretto), il centro-sinistra non ha le idee chiare e neppure le proposte giuste. Per quanto l'assunto democratico che l'elettore ha sempre ragione debba essere condiviso e tenuto fermo (altrimenti dovremmo affidarci, di volta in volta, ai cardinali, ai generali e agli imprenditori, e non ai professori che si fanno allegramente "prendere a prestito" dalla politica), questo assunto non suggerisce affatto che gli elettori abbiano posizioni giuste in tutte le materie né posseggano tutte le informazioni necessarie. Tuttavia, una volta attribuita agli elettori una parte di responsabilità per la loro carente informazione, tutta la rimanente e preponderante responsabilità va assegnata ai politici, nel nostro caso ai politici e ai professori di centro-sinistra che stanno governando e che non si sono curati abbastanza di interagire con l'elettorato, tutto e non soltanto il "loro" poiché di elettori "sicuri" ne sono rimasti piuttosto pochi. Non mi soffermerò qui sul sufficientemente criticato atteggiamento complessivo di saccenza che troppi politici e non-politici di centro-sinistra emanano, abbastanza spesso senza accompagnarlo con reale competenza. Non c'è dubbio, però, che molti elettori, anche di sinistra, si sentono "snobbati" dai loro rappresentanti e, magari inconsciamente, trasmettono la loro delusione a parenti, amici, colleghi che finiscono per abbandonare ogni tentazione di, per dirla con Totò, "buttarsi a sinistra". Il peggio viene quando, invece di ascoltare una riflessione seriamente autocritica, gli elettori vengono messi di fronte a numerosissimi tentativi di scaricabarile. Questi tentativi prendono forma di un abbondante flusso di dichiarazioni che attribuiscono la sconfitta a qualche capro espiatorio che, rovesciato, diventerebbe bacchetta magica. No, non credo che si possa provare che se il centro-sinistra avesse spostato il suo asse più verso sinistra le elezioni amministrative sarebbero andate meglio. Non penso neanche che l'elettorato avrebbe votato per il centro-sinistra se già fosse esistito il Partito Democratico e, ancora meno, che la soluzione consista nell'accelerarlo. Credo, invece, che, finito il flusso delle dichiarazioni, bisognerebbe ripensare come farlo il Partito Democratico. Con buona pace del sindaco Sergio Chiamparino, che continua ad avere tutta la mia stima, non posso credere che gli elettori di Verona, ma neppure quelli di Asti, Alessandria, Vercelli, non hanno votato a sinistra per protesta contro la sua esclusione dal Comitato Promotore del Pd, anche se il segnale mandato non includendolo è stato molto negativo e sarebbe stato meglio che lui ci fosse. In definitiva, sono colpevolista, anzi, giustizialista. Tutti i dirigenti dell'Unione, del centro-sinistra, del Partito Democratico debbono essere considerati collettivamente responsabili quando perdono le elezioni. Qualcuno un po' di più, in particolare, tutti coloro che prendono opportunistiche distanze dalle politiche del governo. Tuttavia, quello che, non soltanto, preoccupa, ma, personalmente, mi irrita è che, superato questo tornante, dopo i ballottaggi, l'Unione riprenderà a presentare il ventaglio delle sue articolate e rissose posizioni. Invece, bisognerebbe tornare a fare politica, esattamente quello che, nella maggioranza delle regioni del Nord, dopo le promesse di qualche anno fa di Fassino (e Bersani, la Margherita sembra non curarsene neppure), di insediare un organismo specifico a Milano, è clamorosamente mancato. Se Filippo Penati vince nella provincia di Milano, se Sergio Chiamparino vince e rivince a Torino, se Mercedes Bresso vince in Piemonte, se Massimo Cacciari torna a vincere a Venezia, se Riccardo Illy vince in Friuli, è soltanto per fattori occasionali, oppure perché sanno con le loro promesse, con i loro comportamenti, con le loro politiche convincere e conquistare consenso? Non sarebbe, dunque, opportuno che la Sinistra Democratica (Mussi, Salvi, Angius) e il Partito Democratico riflettessero, senza considerarsi né concorrenti né nemici, e suggerissero, con ragionevole urgenza, qualche seria innovazione alla politica del centro-sinistra?.


 

L’Unità 30-5-2007"Senza coraggio perderemo ancora" Abbiamo chiesto ai lettori de l'Unità e de l'Unità on line di commentare il voto amministrativo.

 

È vero che l'assenteismo, al Nord in particolare, è stato soprattutto di sinistra? Ecco, tra le centinaia di mail e di lettere arrivate, alcune delle risposte. Caro centrosinistra ti è mancato il coraggio Nonostante io sia andato a votare, credo che molti elettori "di sinistra" si siano astenuti per i seguenti motivi: 1) Poco coraggio da parte del governo nel difendere veramente i diritti dei più deboli. 2) Troppa riverenza nei confronti dei poteri forti e alla chiesa (vedi i Dico). 3) Indulto: essere di sinistra non vuol dire non avere il senso della giustizia 4) la nascita del partito democratico. 5) Programma non rispettato 6) Ambiguità decisionale... Roberto Storti Vi ha fatto male l'esibizionismo in tv Sta diventando insopportabile il quotidiano esibizionismo e egoismo di chi ci rappresenta. Non c'è giorno che un leader o l'altro appaia in quella maledetta tv per distinguersi, contraddire e rilanciare e poi affondare quanto detto dal compagno di viaggio. Per non parlare della rabbia che ci prende nel veder distruggere ancora una volta l'orgoglio e l'entusiasmo che il congresso mi aveva ridato. Siamo gli ultimi nostalgici? Giuliana Lasciate parlare Prodi e smettetela di remare contro... Caro Prodi, quando il governo ha rischiato di cadere, sei riuscito con fermezza a salvarlo. Ora dopo queste votazioni, che dovevano essere lo sfacelo più completo, per via della ristrutturazione che ti ha costretto a fare l'incapacità della destra berlusconiana, noto comunque che alcune voci nel centrosinistra si permettono di dare delle indicazioni sul come fare per ripianare il malcontento. Smettetela di pensare di essere chissà chi, di remare contro. Se volete, parlatene tra di voi e agli italiani lasciate che parli Prodi. Maurizio Fermiamoci a riflettere anche sul Pd Caro Padellaro, come tu giustamente inviti a fare, io ho letto i dati elettorali di ieri dell'Ulivo mettendoli in relazione a quanto da Ds e Margherita separatamente hanno ottenuto nella passata tornata elettorale amministrativa. Ebbene, credo che mediamente l'Ulivo oggi sia sotto del 10% rispetto al 2002. È un dato che fa preoccupare. È, a mio avviso, il vero pronunciamento della base Ds e Dl sul Partito Democratico, oltre i congressi recentemente tenutisi, che certamente non incoraggia ad andare verso dove la gente non ci seguirà mai. Spero solo in una cosa, dopo 35 anni di militanza: che i dirigenti che hanno voluto una fusione a freddo si ravvedano al più presto! Nicola Colombo, Pozzallo (Rg) Troppo indecisi troppo litigiosi Cara Unità, il commento più diffuso degli elettori di centrosinistra, qui nelle regioni del Nord, è sostanzialmente questo: da come siamo messi in questo infausto periodo (siamo una banda di indecisi, capaci solo di litigare...), il risultato ottenuto in queste amministrative è fin troppo lusinghiero. Armando Ferrero Segreteria Ds Sez. Alba È il grido d'allarme del popolo della sinistra Il saggio popolo della sinistra unita è riuscito ad evitare il crollo e a lanciare l'ultimo grido di allarme. Nevio Frontini È l'assurda rincorsa del voto moderato Cara Unità, mi fanno venire i brividi certi commenti consolatori per aver conquistato Agrigento o L'Aquila. Si dice che abbiamo tenuto a Genova è vero un ottimo 51 % ma il famoso nuovo partito democratico ha perso in città qualcosa come il 32% dei voti. Nel 2002 i Ds presero 103.000 voti la Margherita 27.000 ora insieme 88.800. Ed ancora più grave è il fatto che è accaduto in una città dove la precedente amministrazione non aveva governato male. Tutti alla ricerca affannosa del voto moderato e di quel riformismo di cui a parole sono tutti prodighi e nei fatti concreti ancora non si è capito nulla cosa significhi. Paolo Campana Ecco i nodi da sciogliere dalla tv al precariato Cara Unità, mi auguro che si sia finalmente capito che: 1. non è vero che con la tv non si vincono le elezioni; 2. il "buonismo" a tutto campo non porta voti in Italia (dove si applaude sempre il più forte ed il vincitore!); 3. non saper comunicare al grande pubblico è un handicap disastroso. L'elettore di sinistra pretende: 1. Riforme strutturali serie ed urgenti come quella elettorale che consenta la governabilità, quella sul conflitto di interessi; 2. La drastica riduzione delle spese della politica; 3. La risoluzione del grave problema del precariato e del costo della vita sempre più alto. Lamberto Federici Subito la questione morale Cara Unità, i leader di centro sinistra, i miei leader naturali, hanno i loro problemi interni e lo capisco, e i loro motivi per riflettere come dice Padellaro. Ma io come forse altri, sto in attesa. Se la questione morale non sarà radicalmente, cioè seriamente risolta entro questa legislatura (e non all'italiana con i suoi aggiramenti e trasformismi), a partire dallo scandalo delle incompatibilità, per cui l'Italia è tristemente rinomata in tutto il mondo democratico, io mi assento. Perché se non lo fa un governo di centro sinistra non lo fa nessun governo. Giorgio Riparbelli Basta con la ricerca del consenso a tutti i costi Cara Unità, caro Padellaro, non serve dire come qualcuno ha detto, che il paese ha votato a sinistra laddove sono state fatte scelte di sinistra. L'Italia ha bisogno subito di un paio di cose: di uomini politici veri, e non di cercatori di consenso a tutti i costi. Ostinarsi a dire che non è successo niente, o vuol dire cecità e insensibilità politica, oppure, e questo è peggio, malafede politica. Silviano Forte.


 

Finanzaonline.com 29-5-2007  Immobiliare Usa in crisi conclamata, si sgonfiano anche i prezzi nelle città

Finanzaonline.com - 29.5.07/17:18

Cosa avviene quando un certo bene interessa sempre meno al mercato? I venditori si trovano costretti a ridurre il prezzo di quel bene per sostenerne la domanda. E’ quanto sta avvenendo negli Stati Uniti per il mercato delle abitazioni, da oltre un anno in conclamata impasse, e che da oggi deve fare i conti con un nuovo segnale poco incoraggiante. L’indice S&P/Case-Shiller ha infatti registrato una contrazione su base annua dei prezzi delle abitazioni pari all’1,4%. La prima flessione anno su anno dal 1991. L’indice, creato da Standar & Poor’s in collaborazione con due professori di economia di Yale, Karl Case e Robert Shiller, registra l’andamento dei prezzi che hanno riguardato le transazioni immobiliari nelle 20 maggiori aree metropolitane degli Stati Uniti. Un indice utilizzato anche per la costruzione di futures sul mercato immobiliare.

 Nelle pieghe dell’indice si nasconde però anche un fattore psicologico. Non foss’altro per la presenza nella denominazione dell’indice del nome di uno dei maggiori esperti di bolle. Nel 2000, ossia due mesi prima dello scoppio della bolla azionaria di fine millennio, Robert Shiller aveva pubblicato un volume dal titolo “L’esuberanza razionale”, una coincidenza che potrebbe essere sul punto di ripetersi. Risale infatti al 2005 la previsione di un crollo del mattone formulata dall’accademico.

Il -1,4% registrato dall’indice è relativo al dato sulle prime 20 città. Più pesante il passivo nelle 10 maggiori aree metropolitane, dove il calo è stato dell’1,9%. Le città che hanno evidenziato i maggiori cali nei prezzi delle abitazioni sono Detroit (-8,4%) e San Diego (-6%). In netta controtendenza Seattle, con un incremento pari al 10%, e Charlotte (+7,4%).

Il dato diffuso oggi è l’ultimo di una serie di indicatori poco ottimistici. La scorsa settimana la National Association of Realtors aveva reso noto che la media dei prezzi delle case esistenti nel solo mese di aprile aveva registrato una contrazione dello 0,8%. Ma anche i prezzi delle case nuove sono sottoposti a pressioni. Sempre settimana scorsa il Dipartimento del Commercio ha annunciato una contrazione dei prezzi medi dell’11% in aprile rispetto all’anno precedente, la maggiore flessione dal 1970. Le tensioni sul mercato immobiliare americano si registrano però anche a livello microeconomico. Non più di 7 giorni fa Toll Borthers, il maggior costruttore di abitazioni di lusso degli Usa, ha reso nota una diminuzione degli utili del 79 per cento nel trimestre chiusosi a fine aprile.

C’è poi un ulteriore fattore costituito dalla crisi dei prestiti subprime, che ha già portato a una maggiore rigidità dei criteri per la concessione di prestiti per l’acquisto di abitazioni ai creditori con minori garanzie.

 


 

Finanza&Mercati del 30-05-2007 Salasso da almeno 800 milioni in arrivo per banche, assicurazioni, società di gestione del risparmio e Poste Italiane.

 

Questo, secondo quanto risulta a F&M, l'impatto dello schema di regolamento (Dpr) in materia di depositi dormienti, che sarebbe stato esaminato ieri nel pre-consiglio e che, probabilmente, sbarcherà in consiglio dei ministri questa settimana. Il provvedimento istituisce il fondo di garanzia destinato a risarcire risparmiatori travolti da crack e frodi finanziarie. Primo fra tutti il ciclone dei bond argentini, espressamente citato nella relazione illustrativa. La bozza di decreto, che ha già acquisito parere favorevole del Consiglio di Stato, attende ora il sì definitivo di Palazzo Chigi. Il fondo, già previsto dalla legge finanziaria 2006 varata dal governo Berlusconi, sarà alimentato dai conti correnti e dalle altre forme di deposito finanziario (titoli del debito pubblico, azioni, quote di fondi di investimento) e assicurativo inutilizzati per almeno 10 anni. Si tratta di una massa consistente di depositi, il cui utilizzo ha scatenato una vera e propria bagarre tra associazioni di categoria degli operatori finanziari da un lato e rappresentanti dei consumatori dall'altro. Favorita anche dalla lunga gestazione del decreto, che giunge al traguardo con circa un anno di ritardo. Nodo dello scontro il concetto di "dormienza" di conti e depositi e il loro ammontare minimo. La bozza di regolamento esclude gli importi inferiori a 100 euro e vengono considerati dormienti tutti i depositi sui quali il titolare non abbia effettuato alcuna operazione o movimentazione per almeno un decennio. Per evitare confusioni il decreto precisa che il deposito deve essere considerato inattivo anche se l'intermediario ha nel frattempo accreditato interessi, distribuito dividendi o semplicemente inviato comunicazioni e rendiconti. Il meccanismo di attivazione del fondo, su cui vigilerà una commissione mista (ministero dell'Economia, Banca d'Italia, Consob, Isvap oltre a un rappresentante dei consumatori), non sarà però automatico. Per renderlo operativo e per consentire ai risparmiatori truffati di essere risarciti serviranno, infatti, ulteriori complessi passaggi normativi. Nel frattempo banche, assicurazioni e intermediari finanziari dovranno attivare un massiccio invio di raccomandate per segnalare la giacenza dei depositi ai titolari inerti che avranno sei mesi di tempo per "farsi vivi". Dopo di che le somme saranno devolute al fondo, previa pubblicazione dell'elenco dei prescritti sui giornali e sul sito web del ministero dell'Economia.


 

Il Tirreno 30-5-2007  Vodafone contro Bersani sulle ricariche Il ministero dello Sviluppo replica: stupefacente e incredibile l'affermazione dell'amministratore delegato Pietro Guineani

 

Nel bilancio società svalutata di 5,1 miliardi di euro, "per colpa del decreto" ROMA. E' polemica tra Vodafone Italia e il ministero dello Sviluppo economico. La società dei telefonini, chiudendo il bilancio 2006-2007 segnala una svalutazione di ben 5,1 miliardi di euro a causa del decreto Bersani che ha vietato il costo di ricarica delle prepagate. E il ministero subito ribatte: "E' assolutamente stupefacente e incredibile attribuire al decreto Bersani, come invece fa l'ad di Vodafone Italia, Pietro Guindani, la riduzione del valore dell'azienda di telefonia di 5,1 mld". "Il decreto Bersani infatti si è solo occupato di ricariche telefoniche". La polemica con Bersani occupa gran parte della nota dell'ad Pietro Guindani che spiega come Vodafone Italia abbia aumentato i ricavi, ma che il valore della società è stato ridotto dall'impatto del decreto Bersani sulle ricariche, introdotto a marzo 2007. La revisione di valore segue quella già resa nota a novembre 2006 di 2,08 miliardi di euro dovuta al rialzo dei tassi di interesse. I ricavi da servizi - afferma la nota della società - sono stati di 7.834 milioni di euro, con una sostenuta crescita del 3,6% e ulteriore miglioramento nel 2º semestre, +3,8%, "nonostante la perdita causata nell'ultimo mese dell'anno fiscale dall'eliminazione dei contributi per la ricarica delle carte prepagate". La riduzione delle tariffe di interconnessione, con la revisione del trattamento contabile di alcune tipologie di ricavi ha portato a una riduzione nominale dei ricavi da servizi dell'1.5% (+0.5% nel 2º semestre) e dei ricavi totali del 2,2% (8.145 mln di euro). I clienti, 27.366.000, sono cresciuti del 13,8% rispetto al 31 marzo 2006. Molto positive anche le attivazioni nette, oltre 3.300.000. I clienti abbonati aumentano del 16,9%. Forte la crescita registrata dal traffico dati e multimedia: i ricavi sono aumentati dell'8.4% a 1.443 milioni di euro e la loro incidenza sui ricavi da servizi è arrivata al 18,4% contro il 16,7% di marzo 2006, raggiungendo il 20,4% nel trimestre a marzo 2007. In crescita i volumi di traffico voce, che grazie alle nuove tariffe, alle offerte dedicate a specifici segmenti di clientela e al focus sui clienti ad alto valore registra un +9.5%. I ricavi da traffico voce si attestano a 6.387 milioni di euro. "L'azienda ha reagito con forza alla maggiore competizione sul mercato e alla crescente pressione regolatoria" che però accusa il decreto Bersani, che avrebbe provocato la riduzione di valore "della nostra azienda di 5,1 miliardi di euro a motivo dell'effetto negativo atteso in futuro sui nostri risultati, nonostante il parziale recupero di ricavi tramite i maggiori volumi di traffico conseguenti alla abolizione dei costi di ricarica". Proseguiamo - spiega Guindani - nelle nostre strategie di crescita: abbiamo aperto il mercato ai virtuali e abbiamo siglato accordi con i colossi di Internet per portarli sul mobile. Ora puntiamo ad entrare decisamente nel mercato dei servizi integrati fisso-mobile: il Ministero delle Comunicazioni ha riconosciuto la legittimità dei servizi di telefonia fissa via radio, attendiamo solo il via libera definitivo dall'Autorità per le Comunicazioni". Il gruppo Vodafone chiude l'esercizio con un margine operativo lordo (Ebitda) in crescita a 11.960 miliardi di sterline, 23,72 mld di dollari, grazie ai ricavi che si sono attestati a 31,1 mld di sterline. Un risultato che delude le attese degli analisti che puntavano su un Ebitda di 12,13 miliardi e ricavi per 31,385 miliardi. Tuttavia l'utile per azione è balzato dell'11,4% e Vodafone ha aumentato il dividendo dell'11,4%& a 11,26 pence, battendo le attese. La compagnia ha comunque precisato che si aspetta una crescita dei ricavi per il prossimo anno tra 33,3 e 34,1 miliardi di sterline con un utile operativo tra i 9,3 e i 9,8 miliardi.


 

Marketpress.info 30-5-2007L'obiettivo del progetto Biosynergy lanciato di recente è sviluppare e progettare concetti innovativi di "bioraffinerie" al fine di rendere i prodotti generati da biomasse competitivi sotto il profilo dei costi rispetto ai combustibili fossili

 

Uno dei principali traguardi della politica energetica dell'Ue è accelerare l'utilizzo di biocaburanti, ovvero qualsiasi combustibile generato da biomasse (rifiuti vegetali e animali). Tra i candidati ideali per la produzione di biocarburanti si annoverano materie prime quali zucchero, grano e frumento. A differenza delle altre risorse naturali quali petrolio, carbone e combustibili nucleari, i biocarburanti sono fonti di energia rinnovabili rispettose dell'ambiente. Tuttavia, l'utilizzo di biomasse per la produzione di carburanti da autotrazione, e in misura minore di energia, resta ancora più oneroso dell'utilizzo di queste risorse tradizionali. Pertanto, il progetto Biosynergy, della durata di quattro anni e finanziato dall'Ue con 13 Mio Eur, si incentrerà sulla realizzazione di una bioraffineria su vasta scala che possa produrre una serie di sostanze chimiche ad alto valore e grandi quantitativi di carburanti da autotrazione liquidi e possa utilizzare l'energia rimanente per riscaldare e alimentare l'impianto. In questo modo i partner del progetto auspicano che le sostanze chimiche aumentino la redditività e che i carburanti da autotrazione sostituiscano alcuni dei combustibili fossili attualmente sul mercato. Riutilizzare il calore e l'energia in eccesso ridurrebbe, inoltre, le emissioni di carbonio. "Biosynergy mira a sviluppare un processo tecno-economico efficace di produzione integrata di sostanze chimiche, carburanti da autotrazione ed energia, dalla fase di laboratorio fino all'impianto pilota", dichiara Hans Reith, coordinatore del progetto Biosynergy del Centro di ricerca energetica olandese (Ecn). "Questo progetto avrà un ruolo decisivo nella futura realizzazione di bioraffinerie in grado di produrre grandi quantità di sostanze chimiche, combustibili ed energia a partire da un'ampia varietà di fonti di biomassa", ha aggiunto Reith. I ricercatori si avvarranno di procedimenti avanzati per il frazionamento e la conversione della biomassa e assoceranno percorsi biochimici e termochimici al fine di sviluppare le soluzioni meno onerose e più valide dal punto di vista ambientale per la produzione di bioenergia su larga scala . "Siamo impegnati nello sviluppo di concetti e in attività di ricerca di sostegno per fornire dati utili all'attuazione di una futura bioraffineria" ha affermato Tony Bridgwater, capo del gruppo di ricerca sulla bioenergia dell'Aston University, un partner del progetto. Biosynergy installerà impianti pilota dotati delle più promettenti tecnologie per una bioraffineria basata su "miscele di bioetanolo", in stretta collaborazione con lo stabilimento pilota per la conversione della lignocellulosa in bioetanolo, attualmente in costruzione a Salamanca, (Spagna). L'aston University, inoltre, coordinerà il lavoro al fine di individuare le migliori bioraffinerie incentrate sulla conversione della biomassa in prodotto finale per una futura bioeconomia europea, e si occuperà di testare e caratterizzare biomassa e lignina nei suoi reattori di pirolisi rapida e organizzerà un Biosynergy Road Show per comunicarne i risultati. Per ulteriori informazioni consultare: http://www. Biosynergy. Eu/ .


 

Il Tempo 29-5-2007 Tango Bond, riparte la trattativa. Usa, Italia e Germania in pressing sull’Argentina per avviare nuovi rimborsi. I creditori americani annunciano azioni comuni. Senza risarcimento il 25% dei possessori di titoli. di FILIPPO CALERI

 

RITORNA la speranza per i possessori dei titoli di Stato argentini, i cosiddetti Tango Bond, non onorati dal governo di Buenos Aires. A scendere in campo per soddisfare le ragioni dei creditori beffati dalla bancarotta dichiarata nel dicembre del 2001 dal Governo sudamericano potrebbero essere gli Stati Uniti. Un paese in grado di esercitare una pressione tale da indurre l’esecutivo argentino a riconsiderare la posizione dei creditori che non hanno aderito all’offerta di conciliazione dello scorso anno. A far crescere le aspettative dei risparmiatori, circa uno su quattro, che non è ancora rientrata delle sommme prestate all’Argentina è stata ieri Nancy Sodenberg, già ambasciatrice Usa all’Onu e parte dell’amministrazione Clinton, e attualmente vicepresidente di un gruppo di crisi Usa per il recupero crediti relativi ai bond argentini. La Sodenberg ha detto: «Per recuperare crediti dal crac dei bond argentini è pronta una nuova trattativa con il Governo argentino che probabilmente potrà essere avviata dopo le loro prossime elezioni previste per ottobre». L’ex diplomatica, a margine del meeting Italia-Usa che si tiene a Venezia, ha ricordato che il debito argentino è di 100 miliardi di dollari e che il 25% degli investitori non ha accettato le proposte del paese sudamericano per recuperare una minima parte del denaro investito e perso nel default. L’obiettivo è di coinvolgere i paesi con il maggior tasso di possessori di tango bond come Usa, Italia, Germania e Giappone. L’azione comune farebbe leva sulle mutate condizioni dell’economia argentina rispetto al tempo del dafault. «A fronte di un'economia ora solida e in crescita, l'Argentina - ha sottolineato Soderberg - non può emettere nuovi bond». Soderberg ha poi lanciato l'allarme sul fatto che altri Paesi del centro e sud America, come Venezuela, Bolivia ed Ecuador, seguano l'Argentina su questa strada. «Il problema è ben presente - ha detto Soderberg - e lo abbiamo posto al Governo Usa, ma è fondamentale che la questione degli investimenti sul mercato globale venga assunta dal G7 e dal G8». «La questione comincia ad essere nota - ha aggiunto - ma ci vuole sempre più attenzione, anche perché c’è chi era pronto ad un default pilotato e se non lo ha fatto è perchè si è reso conto che avrebbe perso, negli anni, investimenti oltre a credibilità». f.caleri@iltempo.it


INDICE 29-5-2007

 

+ Europa 29-5-2007 Sarkozy impone agli studenti di alzarsi davanti ai professori, noi discutiamo se e da chi farne controllare gli spinelli. FEDERICO ORLANDO RISPONDE  1

+ L’Unità 29-5-2007 La Finanza è una danza. Marco Travaglio  2

+ La Stampa 29-5-2007 Pronto un piano per ridurre le spese di Montecitorio e Palazzo Madama  3

+ Garante Privacy 28-5-2007 Intercettazioni telefoniche legali: revocato il blocco a Eutelia  3

Il Corriere della Sera 29-5-2007 Il centrosinistra alla prima prova del voto Una bruciante sconfitta di Pierluigi Battista  4

La Repubblica 29-5-2007 Dopo il voto il pericolo immobilismo di MASSIMO GIANNINI 4

La Stampa 29-5-2007 La Batosta http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://adv.ilsole24ore.it/5/www.lastampa.it/06/stampa2/news_giornale/1164317027/SpotLight_01/OasDefault/default/empty.gif/64343232643061333435366664633030http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifRICCARDO BARENGHI 6

Il Riformista 29-5-2007 Si evocano complotti, ma la maggioranza non c’è di Emanuele Macaluso  7

La Gazzetta di mantova 29-5-2007 Tra Guelfi e Ghibellini 8

L’Unità 29-5-2007 Bancari, cuneo e cassa integrazione accendono la trattativa Il rinnovo di categoria interessa 316mila lavoratori. L'Abi propone un documento comune  8

L’Arena di Verona 29-5-2007 Più trasparenza sui conti correnti. 9

 


 

+ Europa 29-5-2007 Sarkozy impone agli studenti di alzarsi davanti ai professori, noi discutiamo se e da chi farne controllare gli spinelli FEDERICO ORLANDO RISPONDE

http://www.europaquotidiano.it/site/images/transparent.gif

 Cara Europa, abituato alla sessantotesca cultura del disordine, impropriamente chiamata della tolleranza, ho fatto un sussulto di gioia quando ho sentito che il ministro della salute Livia Turco vuole mandare i carabinieri antidroga nelle scuole.
Mi chiedevo se sognavo o ero desto, poi, ascoltando i notiziari e leggendo i giornali, mi sono accorto che sognavo. En attendant Godot, o Sarkozy che si chiami.
LEO DE PASCALI, ANCONA

Caro De Pascali, ho sussultato anch’io per gli stessi motivi, e poi mi sono svegliato. Ma siccome sono ottimista sulla natura umana (se no che liberale sarei?), penso che da una cultura rivoluzionaria sia possibile, con la maturità, eliminare gli eccessi inizialmente necessari, e trovare gli equilibri. Senza i quali le società, come le case, non stanno in piedi. Purtroppo sono subito cominciate le contestazioni ideologiche (libertà di spinello) da parte della sinistra inidonea a governare, come la definisce D’Alema: mi riferisco al sottosegretario verde Cento, che crede d’avere sempre 18 anni. Poi sono venute le contestazioni più raffinate, come quella di Michele Serra, che rileva il crescente antipermissivismo di una parte della sinistra italiana (Amato vuole perfino abolire la prostituzione, senza dirci chi poi ci salverà da un’alluvione di delitti sessuali); ma ci spiega ragionevolmente come i carabinieri nelle scuole costituirebbero un’intrusione assai grave, perché la scuola ha nella sua “autonomia” il “fondamento” della propria “autorità”. Ho segnato tra virgolette queste tre parole perché mi sembra che proprio autonomia, fondamento e autorità manchino nella scuola, non da oggi. Perciò, a parte la malattia cronica di questo governo, per cui basta che un ministro dica una parola che altri dieci si levino a dirgli contro, trovo ragionevole, più della dottrina di Serra, il pragmatismo dell’ex ministro Berlinguer e dell’attuale Fioroni: il quale ricorda che fuori della scuola la polizia ha già mano libera nella lotta allo spaccio, dentro la scuola è il preside coi professori a dover decidere i provvedimenti. Naturalmente noi ci auguriamo che quei presidi e professori decisionisti esistano e non si adeguino troppo al “comitato dei genitori” preoccupati più del turbamento che la visione dei carabinieri può provocare nei pupi che non della salute dei figli. Se esistono e decidono, ci chiediamo quali protezioni quei presidi e professori avranno nei confronti di familiari che a volte sembrano i residenti del quartiere Mercato di Napoli: che domenica notte hanno assalito in duecento gli agenti intervenuti a sequestrare droga (tre in infermeria, quattro volanti danneggiate).
Tutte cosette, caro De Pascali, che la sinistra deve risolvere senza pendolare.


+ L’Unità 29-5-2007 La Finanza è una danza. Marco Travaglio

 

Da quando Bellachioma è all'opposizione, è ancor più evidente l'errore commesso dal centrosinistra quando una decina d'anni fa decise di mettere la sordina sui suoi guai giudiziari in nome di un imprecisato "dialogo" basato su un fantomatico "riconoscimento reciproco". Che naturalmente è rimasto unilaterale. Prendiamo lo scontro fra il generale Speciale e il viceministro Visco. Una brutta storia, da qualunque parte la si guardi, ancora tutta da chiarire. Ma in un paese dotato di un briciolo di memoria, o di qualcuno che la rinfreschi agli smemorati, l'ultimo a poter nominare la Guardia di Finanza è proprio Bellachioma. Il capo dei servizi fiscali della Fininvest, Salvatore Sciascia, è stato definitivamente condannato per aver corrotto diversi ufficiali delle Fiamme Gialle con tre mazzette da 100 milioni ciascuna, per ammorbidire altrettante verifiche fiscali a Mediolanum, Mondadori e Videotime. Secondo la Cassazione, "operava per il Gruppo. per l'illecito vantaggio del gruppo. non a titolo personale", vista la "predisposizione della Fininvest a gestire in modo programmato le situazioni oggetto di causa (le visite della Finanza, ndr), anche con la formazione di fondi per pagamenti extra-bilancio e la designazione di uno specifico soggetto delegato a tenere opportuni contatti" con i finanzieri da corrompere. L'indagine preoccupava tanto i vertici del gruppo che l'8 giugno '94 il superconsulente Massimo Maria Berruti, ex capitano della Finanza ingaggiato dal Biscione dopo un controllo tributario, si recò a Palazzo Chigi da Berlusconi e, appena uscito, depistò le indagini inducendo al silenzio gli ufficiali corrotti: per questo è stato condannato a 1 anno e 8 mesi per favoreggiamento, poi è stato promosso deputato di FI. Totalmente smentita la tesi Fininvest della concussione: 4 marescialli non possono certo intimidire quel colosso di quel peso; e il processo ha dimostrato che, a gentile richiesta, Craxi fece trasferire da Milano dal ministro delle Finanze Formica alcuni ufficiali delle Fiamme Gialle sgraditi al Cavaliere: il col. Vincenzo Tripodi e l'ispettore del Secit Carlo Capitanucci, che avevano chiesto soldi alla Fininvest. Invece di denunciarli, il Cavaliere chiamò Craxi che li fece spedire altrove. Poi nel gennaio '92 Sciascia decise di premiare l'amico Ludovico Verzellesi, direttore generale Imposte dirette alle Finanze, che si era prodigato per procurare alla Fininvest un'aliquota Iva più favorevole per i canoni di abbonamento ai tre canali di Telepiù. Inviò un fax al Cavaliere ad Arcore per farlo promuovere, e come per incanto Verzellesi fu proposto dal ministro Formica come consigliere della Corte dei Conti (la manovra andò poi a monte per la crisi del VII governo Andreotti). Quando non riusciva a comprare o ad assumere i finanzieri, il Cavaliere chiamava Bettino per sistemare tutto. Fin dal lontano 1980: a quell'anno risale una lettera, pubblicata due anni fa dal fotografo di fiducia di Craxi, Umberto Cicconi, nel libro di memorie Segreti e misfatti (Ed. Sapere 2000): "Caro Bettino, come ti ho accennato verbalmente, Radio Fante ha annunciato che dopo la visita a Torino, Guffanti e Cabassi, la Polizia Tributaria si interesserà a me. Ti ringrazio per quello che crederai sia giusto fare. Tuo Silvio". Dal '94 non ebbe bisogno di chiedere. Fece tutto da solo. Condoni fiscali, depenalizzazione di falso in bilancio e trasferimento di funzionari scomodi. Primo a saltare, nel 2001, fu Massimo Romano, solerte direttore del dipartimento Entrate delle Finanze, che s'era occupato dei presunti abusi commessi da Mediaset per accedere ai benefici fiscali della legge Tremonti. Licenziato in tronco. Poi Berlusconi fece pubblici elogi dell'evasione fiscale e in questa raffinata barzelletta: "Un tizio entra in un ufficio e urla: "Fermi tutti, è una rapina!". E i presenti: "Meno male, temevamo fosse la Guardia di Finanza!"". Figurarsi se uno con questi precedenti può difendere le Fiamme Gialle e chiedere le dimissioni di Visco perché "non è lecito mentire". Parla uno che nel '90 si salvò per amnistia da sicura condanna per falsa testimonianza. Qualcuno della maggioranza, oltre a chiarire il caso Visco-Speciale, potrebbe ricordarlo. Ma nessuno lo fa, o lo sa. Pare brutto, informarsi. Uliwood party.

 

 


+ La Stampa 29-5-2007 Pronto un piano per ridurre le spese di Montecitorio e Palazzo Madama

 

ROMA Costo della politica e tagli agli sprechi sono ormai in agenda tra le priorità. Il Parlamento vuole dare il buon esempio: i questori di Camera e Senato lavorano a un piano comune di riduzione delle spese che verrà presentato oggi e discusso in uno dei prossimi uffici di presidenza di Montecitorio. Intanto la commissione Affari costituzionali presieduta da Luciano Violante avvierà un'indagine sui costi della politica. A sollecitare queste iniziative è stato Fausto Bertinotti che in questa opera "moralizzatrice" procede di concerto con il collega del Senato Franco Marini. "In previsione del bilancio annuale - ha precisato Bertinotti - credo che i temi come la riduzione dei vitalizi, del fondo sanità e di alcuni benefici dei parlamentari possono essere fatti subito". Per la terza carica dello Stato è necessario rispondere alle sollecitazione dell'opinione pubblica, dare "un segnale di ascolto alla diffusa critica" che sale dalla società. Ma per Bertinotti non basta incidere su quelli che vengono considerati dei privilegi dei parlamentari. Occorre lavorare a una riforma costituzionale per eliminare il bicameralismo perfetto, dare al Senato un ruolo diverso e "ridurre drasticamente il numero dei parlamentari". Una vecchia storia questa delle riforme di strutture che la classe politica non è riuscita finora a concordare in maniera bipartisan ma che ritorna ad agitare il confronto ad ogni nuova legislatura. Per cui anche adesso fioriscono proposte di tagli di quella che Bertinotti chiama "la bulimia nella remunerazione dei livelli di rappresentanza". Enzo Bianco, presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato parla di proliferazione di un ceto politico parassitario e punta l'indice sulle Province. Sono gli enti locali soprattutto nel mirino e il ministro Linda Lanzillotta ha preparato una circolare sui tetti di spesa per la retribuzione dei manager delle amministrazioni periferiche. Ma per tutte queste operazioni occorre un accordo tra maggioranza e opposizione che molto spesso non c'è. Per Bertinotti però "è il momento di fare più che di dire: ci vuole un consenso largo in modo di vedere cose concrete, evitando proposte di bandiera, arrivando a determinazioni unitarie".\.

 


 

+ Garante Privacy 28-5-2007 Intercettazioni telefoniche legali: revocato il blocco a Eutelia

 

Il Garante Privacy ha revocato il blocco della trasmissione dei dati personali da e verso gli uffici giudiziari con strumenti di comunicazione non idonei nei confronti della società telefonica Eutelia. Il blocco  era stato disposto nel gennaio di quest'anno dopo che l'Autorità aveva verificato che la società non aveva adottato tutte le misure di sicurezza nelle comunicazioni dei dati personali relativi alle intercettazioni disposte dalla magistratura.

Eutelia risulta oggi invece aver adottato le misure richieste dal Garante, avendo, in particolare, attivate caselle di posta elettronica certificata (PEC) per comunicare con gli uffici giudiziari e facendo uso di cifratura per garantire la necessaria sicurezza.

Nel dicembre 2005 il Garante aveva assegnato centottanta giorni di tempo ai gestori telefonici per adeguarsi a rigorose misure a protezione dei dati trattati. Il termine era stato differito per altri novanta giorni  per consentire ai gestori di ultimare l'adeguamento alle prescrizioni senza pregiudicare le attività di intercettazione in corso. Ciò nonostante, al momento della verifica da parte del Garante, Eutelia non risultava aver adottato le misure prescritte con il provvedimento dell'Autorità e non era quindi in regola con le misure richieste ai gestori telefonici per poter comunicare con adeguata sicurezza i dati personali relativi alle intercettazioni  giudiziarie.

Eutelia potrà dunque riprendere a comunicare per via elettronica i dati relatvi alle intercettazioni disposte dalla magistratura.

L'Autorità si è comunque riservata accertamenti nelle sedi Eutelia per verificare che le misure adottate dalla società siano conformi a quanto richiesto a protezione dei dati personali dei cittadini.


Il Corriere della Sera 29-5-2007 Il centrosinistra alla prima prova del voto Una bruciante sconfitta di Pierluigi Battista

 

 

Di fronte ai dati inequivocabili di questa bruciante sconfitta elettorale, la prima tentazione dell'Unione, si comprende, è la minimizzazione autodifensiva, l'aggrapparsi autoconsolatorio alla linea del Piave dei risultati di Genova, delle performances di Taranto e L'Aquila, del ribaltone di Agrigento. Errore comprensibile, ma pur sempre un errore. Come quello commesso dall'allora premier Berlusconi quando stentava a prendere atto della riscossa del centrosinistra guidata da Rutelli e Fassino nelle elezioni amministrative successive al 2001. Errore madornale, non solo perché ridimensionerebbe per eccesso di autoindulgenza il significato dirompente di questo voto. Ma perché non permette di capire come, proiettati nei futuri confronti elettorali, i numeri di questi giorni prefigurano una sicura disfatta della coalizione che attualmente ha in mano le redini del governo.
Una sconfitta elettorale potrebbe essere addirittura una scossa salutare. Ma solo ad alcune, tassative condizioni. Primo: capire che se il Nord abbandona la sinistra in forme tanto massicce, non solo nel Lombardo-Veneto, ma con dimensioni clamorose anche in Piemonte, e persino in Liguria, vuol dire che è un'intera immagine del governo a essere bocciata. Dopo la sconfitta siciliana, qualcuno ha accusato la linea «rigorista » del ministro Padoa- Schioppa di esserne la causa. Ma, riferita al Nord, quella giustificazione appare risibile. Nell'Italia settentrionale non si punisce forse il governo per la ragione opposta? Chi non vota più per i partiti dell'Unione, o regala percentuali del 70 per cento all'opposizione, o addirittura premia la Lega davvero vuole punire il governo perché troppo moderato o «di destra»? O invece non ha percepito in questo governo una curvatura troppo «di sinistra», ostile alla libertà economica, arcigna e punitiva nei confronti dei ceti produttivi del Paese?
Secondo: capire che il logoro refrain secondo il quale queste non sarebbero elezioni a forte valenza politica rappresenta un rimedio illusorio, una formula magica che procura più danni di quanti ne vorrebbe esorcizzare. Perdere nelle elezioni amministrative per la sinistra è, semmai, ancora peggio perché la partita ha avuto luogo proprio sul suo terreno preferito, con un robusto radicamento territoriale e una qualità della classe dirigente locale complessivamente più pregiata. Se perde rovinosamente anche qui, nel territorio, la sinistra non dovrebbe ricavarne una lezione ancora più amara? Terzo: capire che troppe linee divergenti e declinate in forme persino rissose depotenziano l'immagine del governo fino a livelli oramai preoccupanti. Il governo scelga una linea, la difenda, la porti fino in fondo. Se Tommaso Padoa-Schioppa indica una linea di riforma economica, una proposta moderna e innovativa sulle pensioni, la maggioranza lo sostenga, senza aspettare di ridursi a entità elettoralmente sempre più esigua, dalla Sicilia fino all'intera Italia del Nord.
Quarto: capire che il Partito democratico appare debole, asfittico, in taluni casi (come a Taranto) perdente non solo con il centrodestra ma persino nella competizione con la sinistra «radicale». Un partito che, invece di nascondersi la verità, dovrebbe trovare coraggio e fantasia, e procedere (lo ha meritoriamente sollecitato Dario Franceschini) più speditamente nella scelta di un leader che dia identità e carattere a un nuovo soggetto politico che non può restare acefalo e prigioniero dell'incantamento oligarchico. Per troppo tempo. Quando il tempo, forse, sta già scadendo.

29 maggio 2007

 


 

 

La Repubblica 29-5-2007 Dopo il voto il pericolo immobilismo di MASSIMO GIANNINI


DUE Italie. Una doppia frattura. Queste elezioni amministrative riflettono un Paese sempre più spaccato a metà, nella politica e nella geografia. Il centrodestra riconquista il Nord, e da Verona a Monza, da Alessandria ad Asti, si riprende quasi tutti i più importanti capoluoghi. Il centrosinistra resiste nel resto della Penisola, e si accontenta di una modesta rivincita all'Aquila e Agrigento. Berlusconi grida "ho vinto", e ha ragione. Alle comunali partiva da 14 a 12 sull'Unione, ieri sera si ritrova 14 a 4, con 8 comuni al ballottaggio. Poi aggiunge "a casa il governo delle tasse". Ha torto: questi risultati, per quanto positivi, non gli consentono la "spallata". E se davvero il Cavaliere pensa di salire al Quirinale per chiedere la cacciata di Prodi, è probabile che Napolitano non gli apra neanche il portone.

La politica, per quanto delegittimata, ha ancora le sue regole. Ma se queste elezioni di mid-term, come le ha giustamente definite Ilvo Diamanti, erano comunque se non un referendum, almeno un sondaggio sul governo in carica, allora si può dire che per l'Unione i segnali che arrivano dall'elettorato sono tutt'altro che confortanti. Non convince l'idea che questa sia la cronaca di una sconfitta annunciata. Sarebbe una versione troppo consolatoria. Il voto è "locale". Ma ha chiamato alle urne oltre 10 milioni di italiani. E dopo un anno di permanenza a Palazzo Chigi, non si può non vedere che (al di là del premio o della sanzione per questo o quel sindaco) il voto porta con sé anche un giudizio "nazionale", su Prodi e sul suo governo.
E' vero che i leader dell'Unione erano consapevoli del probabile insuccesso. Ma questo voto ripropone, in modo plastico e quasi drammatico per il centrosinistra, l'esistenza di una "questione settentrionale" ormai sempre più profonda, e dunque più grave. C'è una parte del Paese, ancora una volta quella più ricca e dinamica, alla quale il centrosinistra non sa o non vuole parlare. L'Unione, oltre la linea del Po, sconta davvero "un vuoto di vocabolario politico", come avrebbe detto Simone Weil. Non stupisce solo la delusione della sconfitta in sé, subita non solo nei comuni-capoluogo, ma anche in province come Como e Varese, Vicenza e Vercelli. Quello che colpisce, in quelle aree, è soprattutto la dimensione della sconfitta. In tutti i luoghi in cui vince il candidato del centrodestra lo scarto rispetto al suo competitore è pari al doppio, se non addirittura al triplo dei consensi.

Le ragioni di questo risultato hanno radici quasi tutte interne al centrosinistra. Il centrodestra, in questi mesi, si è limitato ad assistere alle difficoltà e alle convulsioni dell'avversario. Ha beneficiato di quella che Giulio Tremonti definisce opportunamente "la rendita di opposizione". Il centrosinistra, al contrario, ha fatto di tutto per farsi del male da solo. E forse non basta neanche la Finanziaria "lacrime e sangue" (che ha comunque salvato i conti pubblici del Paese) a spiegare il perché di una così acuta disaffezione degli elettori insediati nell'"Italia che produce".

Quello che è mancato e che manca, in questo primo anno di governo, è il "frame": cioè quello che George Lakoff, il guru della politologia americana autore del bestseller "Non pensare all'elefante", definisce come il "linguaggio chiaro" che riflette una precisa "visione del mondo". Il centrosinistra è mancato e manca proprio in questo. Parla tanti, troppi linguaggi. E molto spesso antitetici tra loro.

Il paradosso di oggi, non a caso, è che per spiegare questo risultato elettorale insoddisfacente l'ala riformista e quella radicale dell'alleanza danno due spiegazioni uguali e contrarie, ma entrambe parzialmente fondate. I soci del futuro Partito democratico pensano che le difficoltà nascano da un'azione riformatrice troppo timida, da una politica fiscale a volte troppo punitiva e dalla mancanza di una strategia dell'attenzione verso i ceti produttivi. La galassia dei partiti comunisti-ambientalisti, viceversa, ritiene che la sconfitta maturi a causa di una sottovalutazione della "questione salariale", della difficoltà delle famiglie più povere, dei disagi della quarta settimana.

Sono vere tutte e due le cose. Lo dimostra il voto oltre il Po, che continua a risentire di una forte sindrome anti-tasse. Lo conferma l'aumento dell'astensionismo, che verosimilmente ha riguardato soprattutto quella fascia di elettori che avrebbe voluto un'azione di governo più marcata a sinistra.

A questo punto, se ancora fosse possibile, il quadro politico si fa ancora più complicato. Nel centrosinistra scatta il consueto regolamento dei conti, che ruota intorno all'analisi dei voti di lista. Se, come sembra dalle prime indicazioni, l'asse riformista non si consolida, mentre si rafforza l'ala massimalista della coalizione, il risultato può essere un paradosso. Il governo Prodi si stabilizza. Ma la stabilizzazione avviene al ribasso. Già dopo il voto siciliano di due settimane fa i due partiti estremisti dell'alleanza avevano detto: "Padoa-Schioppa ci fa perdere le elezioni".

Dopo questo voto, a maggior ragione, avranno argomenti per chiedere una brusca virata a sinistra dell'azione di governo. L'effetto di una rivendicazione del genere è scontato. Dal rinnovo dei contratti del pubblico impiego al tavolo sulle pensioni, dall'uso del "tesoretto" alla stesura del Dpef: da nessuna di queste partite è immaginabile uscire con una scelta di modernizzazione utile per il Paese. Il Professore non molla. Ma non può più ripetere quello che promise nel gennaio 2006: "Il mio sarà un riformismo radicale". Può solo continuare a resistere.

Nel centrodestra, nonostante le difficoltà e le incertezze di questi mesi, si consolida ancora una volta la leadership inattaccabile di Berlusconi. Dalle urne di ieri, a dispetto della logica neo-proporzionale della "porcata" di calderoliana memoria, esce di nuovo un'Italia rigidamente bipolarizzata. Le sicure ambizioni terzaforziste di Casini, o le eventuali tentazioni tecnocratiche di Montezemolo, sono palesemente ridimensionate. Ma la riaffermazione della sua natura personalistica e plebiscitaria non consente alla Cdl di passare all'incasso definitivo. Il Cavaliere resta l'"one man show" della coalizione. Ma non è più in grado di garantire le straordinarie performance elettorali del 2001. Può solo continuare a combattere.

Il combinato disposto di quella resistenza e di questo combattimento è l'immobilismo. La maggioranza governa ma non dispone, l'opposizione urla ma non propone. La stessa ipotesi di una riforma bipartisan della legge elettorale, in queste condizioni, perde totalmente di senso, se mai ne ha avuto uno. Perché Berlusconi dovrebbe scendere a patti, se è convinto che per l'Unione sia suonata la campana dell'ultimo giro, e la sua caduta sia ormai solo questione di pochi mesi?

In questa paralisi, com'è evidente, i danni più gravi li subisce proprio il centrosinistra. Nella palude italiana, ha da perdere almeno due cose, una più preziosa dell'altra. La prima è il governo: il suo inerte galleggiamento rischia di diventare solo la logica premessa per un'inevitabile disfatta futura. La seconda è il Partito democratico: il suo lento logoramento rischia di far morire l'unico progetto politico innovativo di quest'ultimo decennio. Se la risposta alla "questione settentrionale" è il super-comitato dei 45 che ha tagliato fuori proprio i rappresentanti del Nord, purtroppo c'è da temere una imminente eutanasia.
(29 maggio 2007)


 

La Stampa 29-5-2007 La Batosta http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://adv.ilsole24ore.it/5/www.lastampa.it/06/stampa2/news_giornale/1164317027/SpotLight_01/OasDefault/default/empty.gif/64343232643061333435366664633030http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifRICCARDO BARENGHI

 

http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifNon è la spallata che invocava Berlusconi per abbattere il governo Prodi, e neanche poteva esserci visto il tipo di voto e il numero di elettori chiamati alle urne (un quinto del totale). Tuttavia la botta per il centrosinistra c’è stata, eccome. Al Nord si può anche definire una batosta, visto che, a parte Genova dove l’Unione ce la fa - ma di strettissima misura, ed è pure costretta al ballottaggio in Provincia - il centrodestra vince praticamente ovunque, strappando città come Verona, Monza, Alessandria, Asti...

Il governo e la sua maggioranza possono consolarsi con i risultati del Sud, anche se ad Agrigento vincono solo perché hanno candidato un esponente dell’Udc che ha cambiato sponda. E a L’Aquila e Taranto arrivano primi grazie a due candidati della sinistra radicale, il primo passato alle primarie (effetto Vendola), imponendosi nella battaglia interna contro i riformisti dell’Unione. In altre parole contro il Partito democratico in via di sviluppo, autodefinitosi il timone del governo.

Il segnale politico che arriva dal voto di ieri e domenica è dunque brutto per chi governa il Paese e che solo un anno fa ha vinto le elezioni politiche (sul filo di lana). Se non si può parlare di generale sfiducia popolare, che comporterebbe gesti seri e gravi - come fece D’Alema nel 2000 dimettendosi da premier e come non fece Berlusconi nonostante tutte le sconfitte subite mentre governava - certamente gli elettori hanno voluto lanciare un avvertimento pesante. Soprattutto quelli del Nord, zona del Paese giudicata decisiva sotto tutti i punti di vista sia dalla destra che dalla sinistra.

Ma non solo loro, non ci si può infatti dimenticare il risultato siciliano di sole due settimane fa che non fu certo incoraggiante per la maggioranza di governo. Così come sarebbe miope non valutare il calo dell’affluenza, che seppur ridotto segnala comunque un ulteriore aumento della disaffezione per la politica in crisi.

Che fare?, si chiederebbe Lenin se fosse vivo. Che abbiamo fatto?, dovrebbero invece chiedersi gli attuali leader del centrosinistra. Parecchi errori, dovrebbero rispondersi con onestà intellettuale senza nascondersi dietro il patetico dito della comunicazione che non ha funzionato. Il governo in realtà ha comunicato benissimo, ed è proprio per questo che perde. Perde perché i cittadini hanno capito benissimo (sanno leggere la busta-paga) che la legge finanziaria ha penalizzato più o meno tutti senza premiare nessuno. Perde perché le liberalizzazioni, se ci sono state, nessuno le ha ancora viste. Perde perché ha varato una misura impopolare come l’indulto e non è stato capace nemmeno di difenderlo. Perde perché sulle unioni di fatto ha innestato una clamorosa marcia indietro, dimostrandosi pavido di fronte alle vigorose pressioni della Chiesa e cercando affannosamente un recupero fuori tempo massimo sulla famiglia (Prodi sabato scorso). Perde perché sulla sicurezza e sulla droga (i carabinieri di Livia Turco) si è mosso tardi e male, inseguendo la linea del centrodestra: ma l’elettore preferisce l’originale alle imitazioni.

Perde insomma perché ha promesso molto e ha mantenuto poco, spesso rimangiandosi impegni presi in campagna elettorale. E non solo: perde perché l’immagine che ha dato di sé, un’immagine molto sostanziosa, è quella di una Babele in cui si parlano mille lingue e nessuno capisce quale sia la principale. Se ce n’è una principale.

Fortunatamente per il centrosinistra, queste elezioni non sono la fine del mondo, né la fine della storia. Sono però una sonora lezione di fronte alla quale sarebbe suicida far finta di niente, liquidarla come un test locale, alzare spallucce e andare avanti come se nulla fosse. In una direzione o nell’altra, su tutte le questioni che gli si presentano di fronte, il governo deve ora scegliere la sua strada. Meglio rischiare di cadere per aver scontentato qualcuno, piuttosto che tirare avanti da una sconfitta all’altra, sempre più deboli e logorati. Fino a quella definitiva.


 

Il Riformista 29-5-2007 Si evocano complotti, ma la maggioranza non c’è di Emanuele Macaluso

Una frase di D’Alema sulla crisi della politica in un’intervista al Corriere della Sera ha scatenato una bagarre politico-mediatica che ricorda altri tempi. La frase infatti richiamava i primi anni Novanta, la delegittimazione della classe politica e anche Tangentopoli.
Il Corriere, che conduce una campagna giornalistica, come è giusto che faccia un giornale, sui temi del costo e dell’inefficienza della politica, è accusato di complottare per mettere in crisi la coalizione prodiana e sostituirla con un governo di tecnici. L’accusa “ai poteri forti”, dei quali il Corriere sarebbe una sorta di portavoce, viene soprattutto dalla sinistra massimalista, la quale si sente emarginata dai partiti che si stanno unificando nel Partito democratico: esso si configurerebbe come un partito moderato, su cui punterebbero, appunto, proprio i poteri forti. Nello stesso giorno (martedì 22 maggio) in cui sui giornali abbiamo letto la denuncia di questo complotto, sull’Unità, Alfredo Reichlin, che vede nel nuovo partito l’operazione politica che può salvare il Paese dal baratro in cui l’ha buttato la destra berlusconiana, denunciava «una offensiva contro il Pd che va dalla Chiesa post-conciliare a quel coacervo di corporazioni, rendite, conservatorismo (comprese certe vecchie politiche della sinistra), sostenuta nel modo più velenoso da quel potente complesso giornalistico e mediatico il quale interpreta l’orientamento di fondo delle classi dirigenti italiane».
Insomma, la maggioranza che deve governare il Paese è dilaniata anche dal sospetto, fondato su analisi politiche, che il Pd, con il sostegno dei poteri forti, voglia fare fuori la sinistra antagonista, e i sospettati, invece, sospettano che “le vecchie culture della sinistra” diano una mano, sempre ai poteri forti, per fare abortire il progetto rivoluzionario del Partito democratico.
Ora un fatto è certo: la maggioranza non c’è, nel senso che non governa. E noi, senza indagare sui complotti, vediamo che la maggioranza - nel suo insieme e senza distinzioni - dopo le elezioni si prese la sbornia per una vittoria che in effetti era molto meno trionfale di come veniva descritta. Noi, restando sempre terra terra, letto il risultato elettorale scrivevamo con una invidiabile sintesi (scusate la vanteria) che «Berlusconi aveva perso e Prodi non aveva vinto». Era chiaro quindi che il presidente del Consiglio e i leader dei partiti della maggioranza avrebbero dovuto cestinare il librone programmatico scritto nei giorni in cui i sondaggi davano all’Unione un vantaggio di circa dieci punti sulla casa berlusconiana, e aprire una riflessione. Da subito si vide che al Senato la maggioranza era così risicata, incerta e minata da ricattatori che non avrebbe potuto assicurare l’attuazione di un programma di riforme incisive.
La situazione quindi imponeva di iniziare un discorso con l’opposizione, e in particolare con quella parte (l’Udc di Casini) che tentava di rendersi autonoma rispetto a Berlusconi. Invece i primi atti dell’Unione furono: eleggere (con fatica significativa) un suo esponente presidente del Senato e un altro alla Camera; costituire un governo in cui ministri, viceministri e sottosegretari assommano a centodue, un primato da Guinness. E l’euforia della vittoria fu trasmessa a tutte le strutture politiche periferiche (Regioni, Province, Comuni) dove la moltiplicazione dei pani e dei pesci si è concretizzata nel costo della politica di cui tanto si parla a proposito ma anche a sproposito.


 

 

La Gazzetta di mantova 29-5-2007 Tra Guelfi e Ghibellini

 

In molti hanno cercato di etichettare i partecipanti delle due manifestazioni a Roma, per sminuire o farne proprio il numero. Ma in piazza San Giovanni non c'era la gente di destra contro la sinistra di Piazza Navona, né Guelfi di qua e Ghibellini di là, né santi contro peccatori. Questo è il solito modello semplicistico di una politica marketing, che si vuole applicare anche là dove poco si attaglia. Ma ciò che è avvenuto in piazza San Giovanni non può certo essere archiviato come una semplice manifestazione politica. Anzi ha fatto benissimo la politica a non sfilare con loghi e bandiere, cercando di strumentalizzarne il senso. C'è un senso molto più profondo della classica e noiosissima demarcazione destra-sinistra. E' una caduta di stile, la solita polemica Berlusconi - Prodi sul fatto che i cattolici possano o meno stare a sinistra. Anzi il tema della divisione dei cattolici è da valutare con grande attenzione. Nessuna contrapposizione tra laici e cattolici, ma una piazza trasversale non aggressiva né oppositiva, con un comune denominatore: la famiglia. Non siamo d'accordo col ministro Bindi che dichiara sull'Unità 'Il family day è contro il governo'. Non era certo una manifestazione politica, ma culturale, un segnale di un cambiamento non tollerato dalla nostra società. Ma la politica deve farsi interprete di quel segnale, non lasciar cadere nel vuoto quella gente che ha chiesto a gran voce che la politica si occupi di più della famiglia. Negli ultimi anni la politica ha spesso dimostrato di aver perso il ruolo di cinghia di trasmissione fra la società civile e le istituzioni. Inoltre in una trasmissione televisiva il ministro Bindi affermava che la prima firmataria della legge è l'on. Pollastrini, suscitando non poche perplessità nell'intervistatrice, Ilaria D'Amico, quasi a voler chiedere le attenuanti. A questo punto la domanda sorge spontanea: visto che nel Prodi bis i Dico non erano neanche nei 12 punti del programma, gli amici della Margherita non hanno poi accettato un disegno di legge fortemente in contrasto con quelli che dobbiamo considerare valori non negoziabili? In base a quali considerazioni hanno aderito una proposta che si pone in contrasto con i loro principi? Mi auguro che il programma di governo non ci riservi altre sorprese: capisco che era lungo ma mi auguro sia stato letto con attenzione prima di sottoscriverlo. Non vorremmo che il timore di un ritorno di Berlusconi si sia tramutato prima in rabbia e poi in cecità politica, al punto di sacrificare qualcosa, anzi troppo. Già perché uno stato non può limitarsi ad asfaltare e punire chi delinque, ma deve fortemente tendere ad un modello ideale, e seguirne un percorso di realizzazione. Se noi abdichiamo a quei valori imbocchiamo una strada senza via d'uscita. Paolo Pecoraro Segretario Provinciale Udc.


 

L’Unità 29-5-2007 Bancari, cuneo e cassa integrazione accendono la trattativa Il rinnovo di categoria interessa 316mila lavoratori. L'Abi propone un documento comune

 

/ Milano È partita ieri mattina la trattativa tra Abi e sindacati per il rinnovo del contratto di lavoro dei 316 mila bancari italiani scaduto da circa due anni. Sul tavolo è subito finita la questione del cuneo fiscale e della possibile introduzione della cassa integrazione guadagni nel settore. In particolare, i banchieri hanno chiesto alle organizzazioni dei lavoratori di arrivare alla predisposizione di un documento comune da presentare al Governo prima di entrare nel merito delle questioni contrattuali. Il tema sarà affrontato in una riunione fissata per l'8 giugno. Nei giorni scorsi i sindacati hanno detto no all'estensione della Cig lamentando che il provvedimento finirebbe per penalizzare i lavoratori, finora coperti da un fondo esuberi finanziato dalle banche, che si vedrebbero inflitta un'aliquota contributiva dello 0,30%. L'Abi ha anche chiesto ai sindacati di analizzare insieme il cambiamento di scenario imposto dalla fusione tra Unicredit e Capitalia. In questo caso il prossimo appuntamento è per il 20 giugno, quando dovrebbe essere anche messo a punto il calendario della trattativa. "Abi e sindacati hanno condiviso che l'intervento sul rapporto tra cuneo fiscale e cassa integrazione - afferma il segretario generale della Fiba-Cisl, Giuseppe Gallo - è del tutto improvvida. Scarica sui lavoratori la compensazione del beneficio fiscale che sarà fruito dalle banche". Infatti i lavoratori dovrebbero pagare per la cassa integrazione un contributo dello 0,30% della retribuzione oltre allo 0,125% che pagano già per la componente ordinaria del fondo di solidarietà nei casi di crisi congiunturale, di riduzione di orario e di integrazione salariale (per la componente straordinaria, ovvero per l'accompagnamento verso la pensione, infatti il contributo è tutto a carico delle aziende di credito). "Così di fatto si incentiva il superamento del fondo di solidarietà - avverte - che in questi anni ha rappresentato uno straordinario ammortizzatore sociale senza onere alcuno per il bilancio pubblico". "Il sindacato - spiega il segretario generale della Fisac-Cgil, Mimmo Moccia - ritiene impraticabile che l'estensione alle banche del cuneo fiscale possa essere pagato anche dai lavoratori. Qualora fosse estesa la cassa integrazione alle banche verrebbe meno per eccesso di onerosità il fondo di settore che fino ad oggi ha consentito una radicale trasformazione del settore senza oneri sociali nè a carico dello Stato".


 

L’Arena di Verona 29-5-2007 Più trasparenza sui conti correnti.

 

Il Garante in una segnalazione inviata al governo precisa anche che i bancomat dovrebbero indicare i costi aggiuntivi "Più trasparenza nei conti correnti" L'Antitrust: senza iniziative spontanee delle banche, necessario un intervento normativo Roma. Serve più trasparenza nei conti correnti bancari: senza iniziative spontanee del sistema è necessario un intervento normativo. Lo afferma l'Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, in una segnalazione inviata al Governo, nella quale precisa che i bancomat dovrebbero indicare i costi aggiuntivi. "Gli sportelli di prelievo bancomat, all'avvio della procedura per il ritiro di denaro, dovrebbero informare che l'operazione, in quanto non effettuata presso il circuito della banca che ha emesso la carta, ha un costo aggiuntivo", si legge in una nota dell'Antitrust. "Lo stesso sportello potrebbe inoltre fornire altre informazioni di rilievo sulle condizioni di conto corrente alla propria clientela". "Lo sviluppo della concorrenza nel sistema bancario italiano deve determinare iniziative spontanee delle banche finalizzate alla massima trasparenza informativa per il consumatore. In caso contrario sarebbero necessari puntuali interventi normativi per promuovere una scelta più consapevole da parte della clientela", spiega l'Antitrust. Nella segnalazione, approvata nella riunione del 24 maggio 2007, "l'Autorità ricorda che presupposto per un aumento della concorrenza nel sistema bancario è la mobilità della clientela da un istituto all'altro. Per facilitare questo processo occorre che il consumatore possa avere il livello di informazione più ampio e più diffuso possibile sui prezzi, qualità e condizioni di fornitura dei servizi offerti. In questo modo potrà esercitare al meglio la propria scelta fra offerte diverse, con effetti positivi sulla competizione fra le imprese". "Per innescare questo processo virtuoso l'Autorità suggerisce l'introduzione, al momento della scelta del conto corrente, di un foglio informativo sintetico che indichi chiaramente tutte le spese di tenuta conto e le condizioni economiche dei servizi maggiormente usati (gestione assegni, domiciliazione o pagamento utenze, bonifici, bancomat, prelievo Atm e carta di credito). Andrebbe inoltre predisposto - aggiunge il Garante - un indicatore di spesa complessiva di c/c stimato dalla banca per diversi profili di utilizzo del conto corrente stesso, che possa consentire all'utente una maggiore comparabilità fra le diverse offerte sul mercato in relazione al proprio profilo. I prezzi di ciascun servizio dovrebbero inoltre comprendere eventuali spese di scrittura". "Nel corso del rapporto contrattuale, inoltre, la banca dovrebbe inoltre informare il cliente, almeno annualmente, della spesa complessiva di conto corrente, del numero e del tipo di operazioni effettuate per l'anno in corso e per quello precedente, in modo da permettere la comparazione delle condizioni con quelle offerte dalle banche concorrenti", prosegue l'Antitrust, evidenziando "inoltre, come gli sportelli per il prelievo Bancomat, all'avvio della procedura per il ritiro del denaro, dovrebbero informare che l'operazione, in quanto non effettuata presso il circuito della banca che ha emesso la carta, ha un costo aggiuntivo. Lo stesso sportello potrebbe inoltre fornire altre informazioni di rilievo sulle condizioni di conto corrente alla propria clientela". L'Abi in serata, ha fatto sapere con una nota, che "valuterà con attenzione la portata della comunicazione resa nota dall'Antitrust sui conti correnti". L'Associazione bancaria italiana rileva che i contenuti erano stati preannunciati nelle conclusioni dell'indagine il 5 febbraio e di aver già concordato un incontro con l'autorità, per l'11 giugno, per sottoporre alla sua attenzione il nuovo sistema di confronto fra prodotti di conto corrente offerti.


INDICE 28-5-2007

 

+ Il Sole 24 Ore 28-5-2007 Eni querela Report per inchiesta sul gas. Sequestri della Gdf, manager indagati

+ La Repubblica 28-5-2007 Presunta truffa su misurazione del gas Perquisizioni a Eni, Snam e Italgas L'inchiesta riguarda i cosiddetti misuratori venturimetrici Tra gli indagati anche l'ad del Cane a sei zampe Paolo Scaroni 1

+ Il Corriere della Sera 28-5-2007 Pezzotta: il Partito democratico? Non c'è posto per noi cattolici. «Dubbi sulle misure per la famiglia, coprono solo l'emergenza» Gian Guido Vecchi

+ Da Stampaweb 28-5-2007 BRUXELLES La Commissione europea è preoccupata per la politica seguita da Google sulla privacy dei dati personali. 2

Il Corriere della Sera 28-5-2007 Tokyo, ministro suicida dopo scandalo. L'uomo era accusato di aver ricevuto finanziamenti illeciti 2. Toshikatsu Matsuoka, responsabile dell'Agricoltura, è stato trovato impiccato nel suo appartamento  2

Il Corriere della Sera 27-5-2007 Lo strappo di Pansa: non sono più di sinistra. «Entrambi i blocchi sono in sfacelo. Il centrodestra non è messo meglio» «Coalizione spappolata. Il Pd? Il mio Piemonte è rappresentato da Petrini». Mi iscriverei al partito di Montezemolo  3

La Repubblica 28-5-2007 Tagli agli sprechi del Palazzo sotto tiro circoscrizioni e vitalizi Decalogo anti privilegi, su Repubblica.it più di 80 mila voti 4

La Repubblica 28-5-2007 IL COLLOQUIO Ciampi: stop al qualunquismo, può travolgere tutto le storie di sperpero Anch'io resto colpito dagli sprechi. Li ho sempre combattuti. Gettare discredito su tutti però è pericoloso. I costi del Quirinale  5

Il Foglio 26-5-2007 E’ il banchiere centrale il prossimo uomo-chiave nella rivolta dei borghesi 7

Monti, Montezemolo, Draghi 7

Il Corriere Economia 28-5-2007 Lo scontro in Europa sull'inno e la bandiera a cura di Ivo Caizzi 8

La Stampa 27-5-2007 “Quattro statali su 10 sono di troppo” Il ministro della Funzione pubblica: è il momento di svecchiare. ANTONELLA RAMPINO  8

Il Piccolo di Trieste 28-5-2007 La famiglia come risorsa. Giampaolo Valdevit. 9

Il Messaggero Veneto 28-5-2007 La sentenza. Nessun credito scolastico, in vista della maturità, a chi ha frequentato le lezioni L'ora di religione sconfessata da un verdetto emesso dal Tar 10

Il Corriere Economia 28-5-2007 Fai un mutuo? Vinci la caffettiera Banche Raccolte a punti su prestiti e servizi. Per aumentare i margini Premi fedeltà contro la fuga dei clienti 11

 


 

+ Il Sole 24 Ore 28-5-2007 Eni querela Report per inchiesta sul gas. Sequestri della Gdf, manager indagati

 

L'Eni ha deciso di querelare la trasmissione Report in onda ieri su Rai 3 sul gas perché «avrebbe riportato i fatti in modo distorto e scorretto». Lo rende noto un comunicato della stessa azienda. Nel corso della mattinata di lunedì la compagnia petrolifera ha anche reso pubblico che nell'ambito di un'indagine avviata lo scorso anno dalla Procura della Repubblica di Milano, sugli strumenti di misura del trasporto e della distribuzione del gas naturale utilizzati in Italia dalle imprese del settore, il Nucleo della Guardia di Finanza ha operato lunedì mattina un sequestro di documenti presso gli uffici di varie società operanti in questo mercato, tra cui società del gruppo (Snam Rete Gas e Italgas, ndr), con particolare riguardo a documentazione a partire dal 2003. La nota parla anche di diversi manager sotto inchiesta, compreso l'amministratore delegato Paolo Scaroni, in qualità di legale rappresentante della capogruppo.

Gli strumenti sotto indagine, sono i cosiddetti misuratori venturimetrici, «da sempre utilizzati in Italia e all'estero, e che non incidono sulle misurazioni relative alla bolletta dei consumatori», sostiene il Cane a sei zampe. Quanto alla puntata di Report «Eni - si legge nel comunicato precedente, che ha annunciato l'avvio di azion i legali - nota con stupore le incorrettezze e le distorsioni dei fatti illustrati nel corso della trasmissione in onda ieri, domenica 27 maggio, su Rai3, nel servizio "Le vie del gas", a firma di Giorgio Fornoni. Tutto ciò nonostante la piena e completa disponibilità, aperta e trasparente, fornita da Eni nei mesi scorsi alla trasmissione della rete di servizio pubblico della Rai, in termini di informazioni messe a disposizione, accesso ai luoghi, e interviste al proprio management. Evidentemente per questo tipo di programmi - prosegue la nota - la polemica e le distorsioni della realtà costituiscono elemento fondante e quindi Eni ha dato mandato ai propri legali, suo malgrado, di predisporre una querela che ricostruisca la verità dei fatti, e che tuteli l'immagine dell'azienda e l'onorabilità dei propri dipendenti».

 


+ La Repubblica 28-5-2007 Presunta truffa su misurazione del gas Perquisizioni a Eni, Snam e Italgas L'inchiesta riguarda i cosiddetti misuratori venturimetrici Tra gli indagati anche l'ad del Cane a sei zampe Paolo Scaroni

L'amministratore delegato dell'Eni Scaroni è tra gli indagati per l'inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza.

MILANO - Perquisizioni e acquisizioni da parte della Guardia di Finanza di Milano sono in corso nel capoluogo lombardo, a Roma, Torino e Piacenza negli uffici dell'Eni e di altre società del settore energia per una presunta truffa sui sistemi di misurazione del gas. La Guardia di Finanza ha operato un sequestro di documenti presso gli uffici di varie società operanti in questo mercato, alcune del Gruppo Eni, con particolare riguardo a documentazione a partire dal 2003.
Lo rende noto la stessa Eni in una nota, sottolineando che gli strumenti sotto indagine sono i cosiddetti misuratori venturimetrici, da sempre utilizzati in Italia e all'estero, e che non incidono sulle misurazioni relative alla bolletta dei consumatori. Per quanto riguarda il Gruppo Eni le società coinvolte sono Snam Rete Gas e Italgas.
Tra gli indagati, oltre ad altri manager, c'è anche Paolo Scaroni, in qualità di legale rappresentante della capogruppo Eni Spa.
Le accuse ipotizzate dai pm Sandro Raimondi e Maria Letizia Mannella sono a vario titolo truffa, violazione della legge sulle accise, ostacolo all'attività di vigilanza e l'uso o detenzione di misure o pesi con falsa impronta (art 472 cp).
Tutte le società coinvolte nelle indagini sono anche state iscritte nel registro degli indagati per la legge 231 del 2001 relativa alla responsabilità amministrativa delle società.
(28 maggio 2007)

 


+ Il Corriere della Sera 28-5-2007 Pezzotta: il Partito democratico? Non c'è posto per noi cattolici. «Dubbi sulle misure per la famiglia, coprono solo l'emergenza» Gian Guido Vecchi

 

«Su Dico e testamento biologico Fassino ci ha capito, Amato no»

MILANO — L'inizio, come si dice, è tutto un programma, «di certo bisogna riconoscere a Rosy Bindi di averci provato». Savino Pezzotta è un bergamasco tenace e diretto, non usa l'ironia per eludere le domande. Si parla di famiglia e della conferenza governativa di Firenze, e da lì alle prospettive politiche dei cattolici il passo non è poi così lungo. Difatti il portavoce del «Family Day», tutto considerato, non le manda a dire: «Guardo con preoccupazione alla fine, nel Partito democratico, della cultura del cattolicesimo democratico di matrice sturziana e degasperiana. Non per tirare in ballo Gramsci, ma l'esigenza che in Italia ci sia una presenza organizzata dei cattolici in politica esiste eccome. Lo dico così, senza volermi contrapporre a nessuno. Come si esprimerà non lo so ancora. Ma di certo è una necessità che si avverte fra la gente. E mi pare proprio che il Partito democratico, per come si sta costituendo, non dia una risposta».
Perché dice che il ministro della Famiglia, a Firenze, «ci ha provato»?
«Abbia pazienza: Prodi ha detto una cosa, Padoa- Schioppa un'altra, Visco un'altra ancora, alcuni ministri manco c'erano. Problema: che farà il governo domani? Spero che Rosy riesca a metterli d'accordo...».
Prodi ha assicurato che i due terzi del «tesoretto» andranno alle famiglie...
«Bene, io stesso avevo chiesto si destinasse a loro. E sarebbe accettabile se i due terzi, in effetti, lo fossero».
E non è così?
«Ahimè, no. Si parla di politiche sociali che certo hanno influenze sulle famiglie, ma non sono interventi specifici sul tema. È un po' come quando, da sindacalista, distinguevo tra spesa assistenziale e previdenziale. Tra emergenza e prospettive. Il governo deve saper distinguere e avere il coraggio di scegliere».
In che senso?
«La famiglia è un'altra cosa. Certo i poveri vanno aiutati e subito, si figuri! Se Prodi dice che vuole farlo sono contentissimo, del resto ricordo bene l'allarme lanciato dall'arcivescovo Bagnasco sulla povertà. Ma sono due piani diversi: è un tema che terrei distinto dalle politiche familiari, le quali hanno bisogno di continuità nel tempo, anche oltre il "tesoretto". E pure le famiglie vanno aiutate da subito, ne va del futuro del Paese».
Sì, ma come si fa?
«Con buona pace degli "altolà" di Padoa-Schioppa, il governo dovrebbe definire nel Dpef e in Finanziaria tre priorità: debito pubblico, famiglie e contrasto alla povertà. Punto. Parliamoci chiaro: l'Italia destina alle famiglie l'uno per cento del pil, la metà della media europea, un terzo di Francia e Germania, un quarto dei Paesi scandinavi. È troppo chiedere che si arrivi almeno al livello dell'Europa? Quanto agli altri, interessi e corporazioni varie, si mettano in fila».
La Cdl ha parlato di spot elettorale.
«Non so se fosse uno spot e non è un problema mio. Io aspetto il 7 gennaio 2008 per vedere se, nella Finanziaria, alle parole corrisponderanno i fatti».
Qualcosa che ha apprezzato di Firenze?
«La proposta del ministro Bindi di creare un tavolo bipartisan per garantire continuità alle politiche familiari. È un'idea di sostanza, un metodo che dovrebbe coinvolgere anche le associazioni familiari e andrebbe allargato alle questioni eticamente sensibili. La vita non può essere un compito del governo, il parlamentare deve poter riconquistare la sua libertà. Questo è stato l'errore sui Dico. E per questo ho trovato sorprendenti gli interventi di Pollastrini e Amato».
Sorprendenti?
«Sui Dico o il testamento biologico la loro intransigenza è inconcepibile. Un po' di prudenza, andiamo: perché affermare cose che turbano la nostra coscienza? Significa non aver capito niente di quanto è successo al Family Day. Non vedere che c'è un popolo che ha detto: fate altre cose. Piero Fassino e, ogni tanto, Rosy Bindi lo hanno compreso».
C'è chi dice: con i principi «non negoziabili» addio democrazia.
«E perché? Per un laico democratico la libertà o la giustizia sono forse principi negoziabili? Se uno mette in discussione i miei principi mi oppongo e poi si vede, no? No: non si vuole che parliamo! E poi faccio una battaglia laica, mica chiedo di sposarsi in Chiesa».
Già, ma a chi nel centrosinistra cerca un dialogo come risponde?
«C'è chi ha scelto di convivere? Per carità. Non li obbligo ad andare in Comune né in Chiesa. E so che hanno dei bisogni da risolvere sul piano della loro scelta individuale: attraverso il diritto comune, il codice civile. Tutto qui. Ma la questione di fondo è un'altra».
Quale?
«La visione antropologica. C'è chi ritiene non si debba destrutturare la società ma mantenere come punto costitutivo la famiglia e chi invece ha un'idea di società individualista e libertaria. Due visioni del mondo difficilmente conciliabili».
Eppure conciliare quelle visioni sarebbe l'ambizione del Partito democratico, no?
«Io non so se ce la fanno. Ho già detto che non entrerò nel Pd e sto a vedere che succede. Mi siedo sulla riva del fiume. Per carità, i miei amici popolari possono rischiare...».
E ai «teodem» che direbbe?
«Li invito ad assumere la virtù della prudenza. È meglio prendersi un po' di tempo in più e fare le cose per bene».
Ma non sta andando troppo per le lunghe?
«Mah, io avrei pensato al Pd come a un "partito area", un contenitore nel quale le diverse tradizioni politiche avessero potuto mantenere la loro identità e autonomia. Forme organizzate che si associano. Un luogo che garantisse alla mia cultura di vivere. Ma non è avvenuto».
Quindi?
«Mi batto per i miei valori, per una cultura che in Italia deve mantenere la capacità di esistere. Perché devo annullarmi, scomparire?».
Addio bipolarismo?
«Ma no, semmai sono per un bipolarismo mite. Non dico questo contro nessuno. Nel sindacato ho sempre vissuto un rapporto sereno con i comunisti. Si può vivere anche nella diversità. Certo, bisogna semplificare il quadro politico, ma il pluralismo non è in contasto con il bipolarismo».
In un convegno su don Mazzolari ha detto a Veltroni: non mettetelo nel Pantheon.
«Il Pantheon è l'inizio del declino dell'impero. Quando non si riusciva più a governare hanno messo là tutti gli dèi perché in realtà ce n'era uno solo: l'imperatore. Per questo detesto il sincretismo».
Parlava del «popolo» del Family Day...
«Sono sommerso da e-mail che ci incitano ad andare avanti».
E ora?
«Non è che ce ne torniamo a casa. Ci sono altre questioni eticamente sensibili: il testamento biologico, per dire. Questa è la svolta del Family Day: il mondo cattolico non è più solo un serbatoio di voti, ma una soggettività che può mettere in campo i propri valori».

 


+ Da Stampaweb 28-5-2007 BRUXELLES La Commissione europea è preoccupata per la politica seguita da Google sulla privacy dei dati personali.

 

Dopo l'allarme scattato qualche giorno fa per le dichiarazioni dell'amministratore delegato, Eric Schmidt, che ha annunciato che l'obiettivo della società è quello di diventare nei prossimi cinque anni il "Grande Fratello", il colosso del web è di nuovo oggetto di timori in Europa. Secondo il Financial Times a sollevare la questione è stato il gruppo di lavoro Articolo 29, un gruppo di consulenza indipendente sulle politiche della privacy, che ha inviato una lettera a Google la scorsa settimana chiedendo chiarimenti sulla conservazione dei dati di ricerca Internet degli utenti fino a due anni. A confermare la notizia è stato un portavoce di Google a Parigi. "La preoccupazione riguarda la memorizzazione delle informazioni sulle ricerche degli utenti per un periodo definito di tempo che va dai 18 ai 24 mesi - ha detto - Loro credono che sia un periodo troppo lungo". I dati memorizzati da Google includono oltre ai termini di ricerca, l'indirizzo del server e informazioni personali contenute nei cookies o nei programmi identificativi dei computer dell'utente. Il portavoce ha annunciato che la compagnia, di sua iniziativa, ha deciso a marzo di limitare a due anni il periodo per la conservazione dei dati. Il gruppo di lavoro teme che le informazioni possano essere usate per identificare gli individui e creare profili delle loro opinioni politiche, delle loro credenze religiose e delle loro preferenze sessuali. A ottobre, riporta ancora Ft, l'ispettorato norvegese aveva avviato un'indagine su Google e altri motori di ricerca arrivando alla conclusione che un periodo di 18-24 mesi per la conservazione dei dati è troppo lungo. La risposta del colosso di Internet all'avvertimento europeo non è tardata ad arrivare. Il consulente della privacy, Peter Fleisher, ha detto che la società ha bisogno di conservare i dati fino a due anni per ragioni commerciali e di sicurezza . "Spiegherò ai consulenti europei che Google ha bisogno di mantenere i dati per proteggere se stesso e il sistema da attacchi e per raffinare e migliorare l'efficacia del nostro motore di ricerca". Fleisher ha annunciato che la società risponderà al gruppo di lavoro prima della sua prossima riunione a giugno ma ha anche evidenziato che altre compagnie rivali come Yahoo e Microsoft non hanno limiti di tempo alla memorizzazione dei dati. + Privacy: Google infrange le norme Ue.


Il Corriere della Sera 28-5-2007 Tokyo, ministro suicida dopo scandalo. L'uomo era accusato di aver ricevuto finanziamenti illeciti

Toshikatsu Matsuoka, responsabile dell'Agricoltura, è stato trovato impiccato nel suo appartamento       

 

 

TOKYO - Il ministro giapponese dell'Agricoltura, Toshikatsu Matsuoka, si è tolto la vita. L'esponente politico era finito al centro di una serie di scandali politici per aver ricevuto finanziamenti illeciti. Matsuoka è stato trovato impiccato nel suo appartamento in un alloggio per parlamentari.

CONDIZIONI DISPERATE - Il ministro, che aveva 62 anni, era stato trovato in condizioni disperate da un suo collaboratore ed era stato ricoverato esanime all'ospedale dell'Università Keio. La capacità respiratoria e quella cardiaca erano subito apparse gravemente compromesse e poche ore dopo il ricovero è spirato. Il gesto viene a poco meno di due mesi dal rinnovo della camera alta del Parlamento: un voto vissuto come un banco di prova per il governo del premier Shinzo Abe.

28 maggio 2007


 

Il Corriere della Sera 27-5-2007 Lo strappo di Pansa: non sono più di sinistra. «Entrambi i blocchi sono in sfacelo. Il centrodestra non è messo meglio» «Coalizione spappolata. Il Pd? Il mio Piemonte è rappresentato da Petrini». Mi iscriverei al partito di Montezemolo

 

 

ROMA — Sinistra, addio. «In Italia la sinistra non c'è più. È finita. Non lo dico io, lo dicono loro. Ci sono dieci sinistre, come riconosce lo stesso Fassino. Sta franando il Palazzo: viene giù tutto quanto, e li seppellirà. La Seconda Repubblica è morta. Comincia la Terza». Giampaolo Pansa non ha mai risparmiato critiche a quella che considerava la sua metà del campo. Ma lo faceva, appunto, da uomo di sinistra. «Ora non ci credo più. Non parlo più di sinistra e di destra perché sono categorie superate. Capisco i giovani, che non si riconoscono in un linguaggio antico. Se dovessi misurarli con le vecchie regole, allora direi che è di sinistra Montezemolo ed è di destra Bertinotti. Destra estrema, destra conservatrice». «In passato ho creduto in Prodi. Ora ho perso anche l'ultima illusione, e non per colpa sua. Prodi guida una coalizione spappolata. La sua presunta alleanza è un baraccone. Conosco le fatiche del Professore per arrivare in fondo a ogni giornata fatta di liti, ribellioni, piccoli ricatti: una lotta che piegherebbe dieci Maciste. Prodi oggi è prigioniero di una banda di folli. Un Gulliver legato da migliaia di lillipuziani. Non scommetterei uno stipendio sul fatto che arrivi al 2011».

IL CUOCO E IL MINISTRO DELL'AGRICOLTURA - Non è delle vicende personali che parla Pansa, gli attacchi e le solidarietà negate dopo essere stato costretto a interrompere le presentazioni dell'ultimo libro, La grande bugia. Di questo scriverà nel prossimo saggio, atteso per l'autunno. È l'attualità politica a indurre Pansa a questo passo. «Ho molta stima del direttore di Repubblica, ma non sono d'accordo con il suo ultimo editoriale. Ezio Mauro pensa che la politica e la sinistra possano ancora autoriformarsi. Io no. Né mi pare che il Partito democratico potrà indurmi a cambiare idea. Vedo che il mio Piemonte, la patria della sinistra italiana, la terra dove sono nati o si sono formati Gobetti, Gramsci, Togliatti, Terracini, Bobbio, è ora rappresentato da Carlin Petrini. Non da Chiamparino, uno dei rari politici seri, forse l'unico che possa presentarsi ai cancelli di Mirafiori senza essere subissato di fischi. Al suo posto ecco Carlin, che già il cuoco rivale Vissani indica come ministro dell'Agricoltura. Mi diranno che sono qualunquista. Mi viene da rispondere: evviva il qualunquismo. Evviva l'antipolitica. La politica italiana si è coperta di discredito con le sue stesse mani. Ha fabbricato la propria rovina».

ENTRAMBI I BLOCCHI SONO ALLO SFACELO - Pansa non crede che la via d'uscita possa essere il ritorno di Berlusconi. «Entrambi i blocchi sono in sfacelo. Il centrodestra non è messo meglio, e i risultati delle amministrative di oggi non cambieranno nulla. Quando sento Berlusconi indicare come capo del centrodestra italiano una ragazza come la Brambilla, l'istinto è di chiamare gli infermieri, che lo portino via. No, la destra no». Ad Antonello Piroso di La7 Pansa aveva detto di non voler più votare. «Ma mi riconoscerei in un governo di centro democratico — aggiunge ora —. Un sistema in cui, se suonano al campanello alle 4 di mattina, penso sia il lattaio molto in anticipo e non la polizia che mi viene a cercare». Allude a Visco? «Ma no. Non ho alcun timore: le tasse le pago tutte. Però ha ragione Cesare Salvi, quando dice al Corriere che il caso Visco è grave. O ha mentito il comandante della guardia di finanza, e allora dev'essere radiato dalle forze armate; o ha mentito Visco. E allora deve dimettersi»

MI ISCRIVEREI AL PARTITO DI MONTEZEMOLO -
Sul Bestiario, uscito venerdì scorso sull'Espresso, Pansa ha avuto parole di speranza su Luca di Montezemolo. «Non sono tipo da folgorazioni. Ogni volta che lo vedo mi viene in mente la vecchia battuta di Fortebraccio: "Arriva Agnelli, scortato da Luca Cordero di Montezemolo, che non è un incrociatore". Però il suo discorso all'assemblea di Confindustria l'ho seguito per intero e mi è piaciuto. Il Bestiario l'avevo scritto prima; sono stato contento di aver trovato conferme. La crisi del sistema, il costo impazzito della politica, i mille impedimenti burocratici che avviluppano la vita dei cittadini: condivido. E non mi è dispiaciuto neppure il titolo che Sansonetti ha fatto su Liberazione: "Montez", come un conquistador. Magari! Se Montezemolo fondasse un suo partito, mi iscriverei subito. Sarebbe la prima tessera che prendo in vita mia. E penso proprio che "Montez" voglia scendere in politica, anche lui giura il contrario. Ma i vecchi partiti lo ammazzeranno. Tireranno fuori di tutto per usarlo contro di lui. Gli metteranno non i bastoni, ma le spade tra le ruote. Non lo lasceranno campare, né a destra né a sinistra». «Certo, l'ideale sarebbe che uno dei due blocchi, più facilmente il centrodestra, riconoscesse in Montezemolo il leader. E che Berlusconi si facesse da parte, o Prodi cercasse un'alleanza al centro. Ma le prime reazioni non lasciano presagire nulla di buono. Prodi ha commesso un errore clamoroso. Avrebbe dovuto fare propria la critica alla politica e ai suoi costi. Invece se n'è uscito con un sussiegoso "si commenta da solo". Ma come si fa! Da juventino, mi sono chiesto per tutta la stagione perché Deschamps non facesse giocare Bojinov, un fuoriclasse. Allo stesso modo mi chiedo: perché Mario Monti deve occuparsi solo dei convegni alla Bocconi? Non sarebbe un ottimo ministro dell'Economia? E Mario Draghi, deve fare tutta la vita il governatore della Banca d'Italia, o non potrebbe spendersi come premier di un governo? Purtroppo la vecchia politica, e anche le tante vecchie sinistre, sono pronte a tutto, pur di difendere il proprio potere residuo. Per proteggere la loro stessa agonia».

UN ADDIO ALLA SINISTRA NON DOLOROSO - È un addio, quello di Pansa alla sinistra, che si immagina doloroso, sofferto. «Invece sono tranquillissimo. Questi sono gli scabri pensieri di un signore che a ottobre compirà settantadue anni. Faccio il giornalista da quasi mezzo secolo, dall'età di ventun anni sono sempre andato a votare, e ho sempre votato o a sinistra o per il centrosinistra. A volte penso che sono troppo anziano e capita anche a me di cominciare ad avere idee che non condivido. Però, se devo fidarmi delle reazioni di cui mi accorgo quando dico le mie cosacce, siamo davvero in tanti, e anche molto più giovani di me, a pensarla nello stesso modo».

Aldo Cazzullo

27 maggio 2007

 

 


La Repubblica 28-5-2007 Tagli agli sprechi del Palazzo sotto tiro circoscrizioni e vitalizi Decalogo anti privilegi, su Repubblica.it più di 80 mila voti

 

I questori di Camera e Senato lavorano a un piano di riduzione delle spese del Parlamento Gli onorevoli avranno diritto alla pensione, pari al 50% dell'ultimo stipendio, dopo 5 anni di mandato Circolare del ministro Lanzillotta: un tetto ai compensi dei manager delle aziende pubbliche Da domani all'esame la riforma degli enti locali: meno consiglieri e indennità ROMA - Il Parlamento corre ai ripari col taglio a vitalizi, benefit e rimborsi dei suoi 952 onorevoli inquilini. Le commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato da queste settimana alle prese con le riforme che prenderanno di mira i conti degli enti locali. Palazzo Madama passerà ai raggi x l'anomalia tutta italiana delle circoscrizioni, 231, che danno lavoro, è il caso di dire, a 3.938 consiglieri. Il presidente della commissione, Enzo Bianco, tra le altre misure anticipate, proporrà di emendare il testo unico per prevedere la cancellazione delle stesse circoscrizioni almeno nelle città al di sotto dei 200 mila abitanti. Mentre il ministro degli Affari regionali Linda Lanzillotta convoca per giovedì Comuni e Province e intanto firma una circolare con cui fissa tetti agli stipendi dei manager delle società a partecipazione pubblica. Insomma, per evitare che la "casta" sia spazzata via da una crisi da anni '90, come pronosticato da D'Alema, Camere e governo proveranno nella settimana appena iniziata a far seguire fatti (e provvedimenti) alle tante parole di questi giorni sui costi della politica. D'altronde l'argomento è caldissimo e lo conferma, tra l'altro, il boom di voti espressi su Repubblica.it al decalogo di Mario Pirani, le dieci proposte per uscire dalla crisi: oltre 80 mila. Cominceranno i collegi dei questori di Montecitorio e Palazzo Madama. "Al ritorno dalla pausa per le amministrative, martedì, programmeremo l'incontro con i colleghi della Camera per mettere a punto il piano comune di riduzione delle spese del Parlamento - spiega Helga Thaler, senatrice questore - Lavoriamo da mesi ed è ora di adottare i provvedimenti. Le presidenze di Camera e Senato sono costantemente informate e spingono per una soluzione rapida". Soluzione che punterà soprattutto a incidere sui privilegi dei parlamentari, i più invisi all'opinione pubblica. A cominciare dai vitalizi, che dovrebbero scattare non più dopo due anni e 6 mesi di mandato ma dopo 5 anni e che non potrà superare il 50% dell'ultimo stipendio, a fronte dell'attuale 85%. Comunque, da corrispondere a 65 anni e non come oggi anche a 60. Per proseguire con i rimborsi, finora forfettari, da corrispondere solo dopo la presentazione delle fatture e con la stretta sui tremila euro erogati pro capite per i "viaggi di studio". E ancora, l'affidamento all'esterno dei servizi di ristorazione e pronto soccorso, la gestione comune delle biblioteche di Camera e Senato, un giro di vite sugli affitti. A Montecitorio la commissione Affari costituzionali presieduta da Luciano Violante avvierà da domani l'indagine conoscitiva sui costi della politica sollecitata dal presidente Bertinotti. "Sentiremo presto il ministro per l'Attuazione del programma Giulio Santagata - spiega Violante - poi partiremo con una radiografia su tre filoni: costi della rappresentanza, della burocrazia e dei partiti, in cui confronteremo la nostra situazione con quella di Francia, Germania e Spagna". In commissione entrerà nel vivo anche l'esame del ddl di riforma costituzionale che, sostiene il presidente, potrebbe affrontare anche il nodo della composizione dei consigli degli enti locali. L'idea di Violante sarebbe quella di renderli proporzionali al numero degli abitanti. Ma nel complesso, alla Camera giacciono ben 8 ddl intestati alla "riduzione dei costi" della politica. Chi può, intanto, accelera i tempi con strumenti più diretti. è il caso del ministro Lanzillotta che rende operativi con una circolare i tetti di spesa per i manager degli enti locali previsti dalla Finanziaria. Il presidente di un cda non potrà percepire più dell'80% (i consiglieri il 70%) delle indennità dei sindaci e dei presidenti delle Province. (c.l.).


 

La Repubblica 28-5-2007 IL COLLOQUIO Ciampi: stop al qualunquismo, può travolgere tutto le storie di sperpero Anch'io resto colpito dagli sprechi. Li ho sempre combattuti. Gettare discredito su tutti però è pericoloso. I costi del Quirinale

 

Per l'ex capo dello Stato l'Italia di oggi è "infinitamente migliore" di quella di Tangentopoli "Sì, la politica deve riformarsi ma è sbagliato evocare il '92" L'aumento dell'80% delle spese del Colle è stato contabile, non reale. Ecco il frutto delle semplificazioni la supplenza dei tecnici La discesa in campo dei 'tecnici' è frutto della debolezza della politica. Essi devono servire il Paese senza farsi prendere dal desiderio di potere MASSIMO GIANNINI "Ma sì, non c'è dubbio che la politica sia in difficoltà, così come non c'è dubbio che nel Paese ci sia un clima di scontento. Ma per favore, evitiamo di farci travolgere tutti da un'ondata di qualunquismo". Come lo Scalfaro del decennio passato, Carlo Azeglio Ciampi pronuncia il suo sommesso "non ci sto". E nel pieno di una tornata di elezioni amministrative che misura l'indice di prossimità tra gli elettori e gli eletti, e quindi il grado di fiducia del Paese nei confronti di chi lo governa, l'ex presidente della Repubblica entra a modo suo nel campo minato dei "costi della politica", per parlare di quella che ormai si definisce la "crisi della politica". Non la nega, ma la circoscrive: "Cerchiamo di non esagerare - dice - non è vero che l'Italia del 2007 è come quella del '92. Pur con tutti i suoi problemi e i suoi limiti, il Paese di oggi è infinitamente migliore di quello di allora?". Da una parte caste chiuse che si riproducono per partenogenesi e oligarchie autoreferenziali che confliggono tra loro. Dall'altra corpi sociali in deficit di rappresentanza e cittadini semplici spremuti dalle tasse. Di là privilegi, di qua sacrifici. In mezzo, la marea montante dell'anti-politica, la voglia malsana di far collassare un sistema che non si sa riformare. Lo spettro della gogna mediatica, il fantasma delle monetine dell'Hotel Raphael. La liquidazione di un'intera classe dirigente, la tentazione di uno sbocco tecnocratico. Ma è davvero questa, l'orrenda rappresentazione dell'Italia di oggi, secondo la declinazione un po' forzata costruita sulle parole di Massimo D'Alema? Ciampi, che non è un politico ma ha vissuto suo malgrado nel Palazzo negli ultimi quindici anni, non accede a questa visione, che parte dal pessimismo sulla mala-politica ma rischia di sconfinare nel nichilismo dell'anti-politica: "Sta succedendo qualcosa di strano. In pochissimo tempo, siamo passati da un panorama sociale caratterizzato da cielo nuvoloso, a un clima da tempesta imminente. Io, onestamente, questo clima non lo respiro. Vedo che c'è in giro un'insoddisfazione diffusa. Dico con assoluta convinzione che non si può non condividere un certo allarme, per i ritardi sulle riforme, per le inefficienze del sistema e per i costi dell'apparato politico. Ma insisto: non si può fare di tutta un'erba un fascio. E non si possono fare paragoni azzardati con un passato che, per fortuna, è davvero alle nostre spalle". L'ex Capo dello Stato se lo ricorda bene, quel passato. Nel '93 fu proprio lui a camminare tra le macerie di quel terribile '92, quando i giudici di Milano rasero al suolo Tangentopoli, il Paese sfiorò la bancarotta finanziaria. Oggi Ciampi invita tutti a non fare accostamenti troppo azzardati, che finirebbero solo per alimentare i focolai di qualunquismo. Quelli non furono solo gli anni del simbolico linciaggio di piazza contro Bettino Craxi. Ma anche quelli dell'avviso di garanzia quotidiano per i ministri in carica. Anche quelli del contrattacco mafioso, con le stragi di Falcone e Borsellino e poi gli attentati di Roma, Milano e Via dei Georgofili a Firenze. Ciampi visse quella drammatica stagione prima da governatore della Banca d'Italia, poi da premier. Per questo, oggi può dire: "Di problemi ne abbiamo tanti, ancora. Ma quanta strada abbiamo fatto, da allora?". Questo invito alla prudenza nei giudizi, tuttavia, non vuole nascondere le convulsioni che la nomenklatura sta vivendo. E meno che mai vuole occultare le persistenti aberrazioni della partitocrazia. "Anch'io ho letto "La Casta", il libro che oggi sta avendo giustamente questo grande successo. Anch'io resto colpito di fronte a certe storie di sperpero del pubblico denaro. Del resto, la lotta agli sprechi e il risanamento delle finanze dello Stato sono stati la missione della mia vita. L'obiettivo di tagliare drasticamente certe spese inutili è giusto. Così come è sacrosanta la necessità di dare risposte serie e immediate alla sana indignazione dell'opinione pubblica. Tutti dobbiamo impegnarci di più, per tentare di risolvere questo problema. Ma in questa fase dobbiamo evitare di essere travolti in una campagna di discredito che investe tutto il sistema politico. Questa non aiuta, anzi peggiora solo le cose". Ciampi cita un esempio che lo riguarda da vicino, e che in queste settimane ha finito per porre anche lui al centro di qualche velenosa polemica: le spese del Quirinale. "Vede - osserva il presidente emerito - quello è un tipico esempio di come un problema generale, se affrontato in modo semplicistico, finisce per stravolgere il giudizio su un problema particolare. Io non discuto la fondatezza dei dati sulle spese del Quirinale, riportati dal libro di Stella e Rizzo e amplificati in questi giorni dai giornali. Ma io dico che, per potere dare un giudizio obiettivo, bisogna distinguere tra dati effettivi e dati contabili. E allora, se davvero negli ultimi anni i costi del Colle sono aumentati dell'80%, questo è proprio il frutto di una dinamica non effettiva, ma solo contabile. Tra il 2001 e il 2002 infatti decidemmo che per ragioni di trasparenza i cosiddetti "comandati" presso la Presidenza della Repubblica, che avevano lo stipendio base pagato dalle Amministrazioni di competenza più un'integrazione finanziata dal Quirinale, fosse interamente pagati dallo stesso Quirinale. Dal punto di vista dei costi generali dello Stato, fu solo una partita di giro. Ma ecco che se si scorpora questo importo dai costi del solo Quirinale, si scopre che quel clamoroso aumento delle spese non c'è stato affatto". Il ragionamento dell'ex capo dello Stato non serve a dimostrare che tutto va bene così. Al contrario, Ciampi ripete: "Dobbiamo fare di più". Ma proprio per questo aggiunge: "Io, nel mio settennato, la mia parte l'ho fatta. Primo: il compenso del presidente della Repubblica, sempre uguale dal '96, anno di inizio del grande risanamento, non è mai aumentato ed anzi, d'accordo con il mio predecessore Scalfaro, decidemmo di sottoporlo a tassazione piena, mentre prima era esentasse. Secondo: proprio allo scopo di monitorare al meglio le spese, istituì un Comitato dei revisori, composto da tre funzionari della Corte dei conti e della Ragioneria. Insomma, su questo terreno non accetto lezioni proprio da nessuno. La mia storia parla per me?". Ciampi ci tiene a ribadirlo, proprio nei giorni in cui, soprattutto da una destra becera e populista, partono certe campagne avvelenate, per esempio sui trattamenti pensionistici di politici, amministratori e grand commis dello Stato. Anche su questo versante, il presidente emerito ha qualcosa da dire: "La mia denuncia dei redditi è pubblica. Agli atti della Presidenza del Consiglio. Basta consultarla, per vedere che il mio reddito principale è una generosa pensione della Banca d'Italia, dove ho lavorato per 47 anni. Credo di averla meritata, in tutta onestà". Premesso questo, lui stesso conviene sulla necessità di intervenire su certi privilegi, su certi trattamenti "speciali", che riguardano sia i parlamentari, sia soprattutto gli amministratori locali. Ma anche qui, "bisogna intervenire dove è necessario, senza mettere tutti nello stesso calderone". Come se tutti fossero ladri, grassatori, disonesti. A questa deriva Ciampi non vuole arrendersi. Teme che, per questa via, si arrivi a soluzioni imprevedibili e nefaste per i destini della Repubblica. Registra anche lui gli effetti del manifesto politico di Montezemolo. Riflette anche lui sulle prese di posizione di Mario Monti, a proprosito delle differenze tra "tecnici" e "politici". E da tecnico a sua volta prestato alla politica commenta: "Vede, in Italia la discesa in campo dei "tecnici" deriva indubbiamente da una certa debolezza della politica. Io non colpevolizzo i tecnici, in assoluto. Ma c'è tecnico e tecnico. Per me, come dimostra la mia vicenda, quando un tecnico è chiamato dalla politica si deve mettere al servizio del Paese. E non deve farsi prendere dal desiderio di potere. Deve limitarsi a compiere al meglio il suo incarico, e poi ritirarsi in buon ordine. Io l'ho sempre fatto. Lo feci nel '93 da presidente del Consiglio, quando in molti volevano che il mio governo diventasse 'sine die', e invece andai dal presidente della Repubblica a rimettere il mio mandato. Lo feci nel '96 da ministro del Tesoro, prima col governo Prodi e poi col governo D'Alema, a cui scrissi una lettera per dirgli che restavo ancora al mio posto ma solo perché "l'euro è un matrimonio celebrato, ma non ancora consumato", e per questo rimasi fino all'avvenuta consumazione del rito. Lo feci nel 2006 da presidente della Repubblica, quando resistetti alle sirene di chi mi chiedeva di restare al mio posto, e invece risposi di no, perché avrei introdotto un precedente inedito nella nostra storia, introducendo una forma di "monarchia repubblicana" che mal si confà alla nostra democrazia e alla nostra Costituzione". Anche oggi, quindi, per Ciampi dovrebbe valere la stessa regola. Se la "crisi della politica" dovesse riprodurre l'emergenza di una "supplenza" tecnica al governo, l'unico principio che dovrebbe valere sarebbe questo: rendere il proprio servizio al Paese, e poi fare un passo indietro. Ma questa, nella valutazione di Ciampi, è un'emergenza che la politica non dovrebbe consentire. L'anomalia della "surroga" è e deve restare un'eccezionalità. Nonostante le contraddizioni in cui si dibatte, la politica di oggi ha i mezzi e gli strumenti per dare le risposte che i cittadini si aspettano. E per riaffermare il proprio "primato". A Ciampi è piaciuta molto, la vecchia battuta che gli disse l'Avvocato Agnelli, ricordata su queste colonne quattro giorni fa da Ezio Mauro: "Se fallisce lei, dopo c'è solo un cardinale, o un generale?". Secondo il presidente emerito, quel tempo è finito. E non deve mai più tornare.


 

Il Foglio 26-5-2007 E’ il banchiere centrale il prossimo uomo-chiave nella rivolta dei borghesi

Monti, Montezemolo, Draghi

 

Titolato capo-macchina, il governatore è atteso al varco il 31 maggio per la stoccata finale al prodismo neoirista

 

Roma. Ora lo sbarco tocca a lui, al terzo uomo della scuderia borghese; dopo Mario Monti, dopo Luca di Montezemolo, è il turno del governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi. Giovedì 31, terrà le considerazioni finali di quest’anno, le seconde del suo mandato di governatore. Lo sbarco del Mayflower dei volenterosi, dicono con ironia.
L’anno scorso Draghi cercò di innovare la complessa liturgia bankitalista, fatta di paragrafi schematici e di una lingua un poco aulica ed economicista. Parlò in modo semplice, per una mezz’ora. L’anno scorso, alle prese con le sue prime considerazioni finali, la principale novità era sè stesso, era la fine del governatorato di Antonio Fazio, la fine dell’egemonia tomista sul sistema bancario nazionale, dopo lo scontro del 2005: le opa bancarie su Bnl e Antonveneta concluse con la destituzione di Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti e l’arresto di Gianpiero Fiorani (con l’appendice grottesca della scalata a Rcs da parte di un newcomer pasticcione, che era diventato a un certo punto il simbolo del ricambio nel sistema economico e finanziario reso asfittico e impenetrabile dalla logica dei patti di sindacato e del capitalismo di relazioni). Dunque, l’anno scorso Draghi si presentava come la fine di quella strana epopea – fatta di Carnegie all’italiana, di aspiranti commodori Vanderbilt della contrada Finocchio – che aveva illuminato la scena finanziaria a metà degli anni zero del secolo. Era Draghi il rappresentante di una classe dirigente internazionale – egli ha un Phd al Mit di Boston, preso l’anno prima di Francesco Giavazzi – e il capo psicologico di una intera generazione di economisti (da Alberto Alesina a Roberto Perotti ad Alberto Giovannini) molto liberale, molto orientata al mercato, cui presta la sua solida esperienza di uomo di potere. Perché Draghi è l’unico di questa rete di uomini di economia che può davvero considerarsi uomo di macchina. E’ stato il direttore generale del ministero ai tempi di Carlo Azeglio Ciampi, e non solo. E’ stato quello delle privatizzazioni (e della crociera sul Britannia dirà qualcuno – ma, attenzione, come hanno spiegato Barucci e Federico Pierobon in un bel libro sulle privatizzazioni italiane, il ruolo delle banche d’affari straniere nelle privatizzazioni dei primi anni Novanta è ampiamente sopravvalutato: le banche d’affari internazionali fecero il loro business, le loro commesse, ma in quella fase l’acquisto diretto di proprietà delle ex partecipazioni statali da parte di imprese straniere fu irrilevante. E quanto alle commesse, a parte Mediobanca, solo le grandi case estere avevano esperienza di banche d’affari). E’ stato anche l’uomo dei Draghi boys, di quella infornata di ragazzi che veniva dalle banche londinesi, dall’Ocse, dai PhD americani e che sono stati per dieci anni un’avanguardia di tecnici e anche – a onor del vero – l’unico pezzo di nuova classe dirigente selezionata da un sistema che non aveva più partiti. Dunque, l’anno scorso Draghi, era questo: il leader di una comunità tecnocratica che aveva qualità di comando e attitudine al potere.

Qualcosa di più, oggi
Oggi è anche qualche cosa di più. Nell’ultimo anno, è stato molto abile. Ha lasciato fare ai player bancari nazionali e il processo di consolidamento è proseguito. Intesa Sanpaolo è stato il primo grande colpo, poi Banca Lombarda e Bpu, poi alcune altre integrazioni tra popolari e infine il colpo grosso, la nascita di Unicredit Group, l’unione tra la banca di Alessandro Profumo e quella di Cesare Geronzi, un’operazione che ha dato vita al secondo gruppo europeo e sesto nel mondo. Ma sull’operazione Unicredit Group, la maggior parte degli osservatori, degli analisti, dei giornalisti che seguono il settore ha osservato che il ruolo di Draghi è stato pro-attivo. Era favorevole a questa fusione. C’è chi vede in questo orientamento lo sguardo d’insieme, la visione del generalista, dell’uomo che sa come immaginare uno scenario. Unicredit Group è l’argine al rischio di una egemonia creditizia Intesacentrica, ed è pure un fattore di riequilibrio degli assetti del potere economico e finanziario, e delle conseguenze sui rapporti di forza politici. Non bisogna dimenticare – notano gli osservatori – che la grande Unicredit blocca Giovanni Bazoli su Generali, e anche sul Corriere della Sera. E oggi il Corriere è il centro di una pressione, ma anche della promozione di una élite che chiede spazi con voce forte. Il professor Draghi è molto prudente, ma il 31 sapremo, dalle reazione che susciterà, quale peso gli avversari della linea avviata da Monti e Montezemolo gli attribuiscono.

 

 

 


Il Corriere Economia 28-5-2007 Lo scontro in Europa sull'inno e la bandiera a cura di Ivo Caizzi

icaizzi@corriere.it

 

L'Unione europea resta ancora qualcosa di vago e misterioso per gran parte dei suoi 500 milioni di abitanti. Tra le rare entità recepite come simboli dell'unità dei 27 Paesi membri spiccano la bandiera azzurra a 12 stelle e l'inno (l'Inno alla gioia di Beethoven). Proprio per questo i premier euroscettici di Gran Bretagna, Olanda, Polonia e Repubblica Ceca, impegnati a bloccare il rilancio della Costituzione Ue e ogni tentativo di sviluppare l'Europa politica, intendono eliminarli. Nel Consiglio dei capi di Stato e di governo, in programma a Bruxelles il 21 e 22 giugno prossimi, puntano a ridimensionare la Carta Ue in un mini-trattato cancellando anche ogni riferimento alla bandiera e all'inno. La settimana scorsa, quando il premier olandese Jan Peter Balkenende è intervenuto nell'Europarlamento di Strasburgo, gli eurodeputati dei principali schieramenti hanno messo polemicamente sui loro banchi tante bandierine a 12 stelle. Il presidente dell'Europarlamento, il tedesco Hans-Gert Poettering, ha difeso la bandiera e l'inno. A sorpresa proprio il premier Romano Prodi, dopo un intervento nell'aula di Strasburgo a favore della Costituzione e contro il mini-trattato, si è detto disponibile a rinunciarvi. Prodi ha però aggiunto che "volere abolire i simboli che sono per i cittadini lo strumento più elementare di identificazione, la bandiera e l'inno, è una contraddizione enorme da parte di chi accusa l'Ue di essere lontana dalla gente". Il Corriere gli ha così chiesto se davvero non avrebbe più difeso la bandiera e l'inno. "Non ho rinunciato", ha risposto Prodi, facendo intuire esigenze di tattica negoziale. Il giorno di Gozi Doveva essere l'occasione per dimostrare la sua abilità su un terreno particolarmente congeniale. Ma l'ex euroburocrate trentanovenne Sandro Gozi, membro del gabinetto di Prodi quando a Bruxelles presiedeva la Commissione europea e poi imposto come deputato prodiano, è uscito male dalla visita a Strasburgo del premier, che da sempre solleva dubbi nella scelta dei suoi più stretti collaboratori. Il mancato inserimento di un incontro con gli eurodeputati della Casa delle libertà (Cdl) ha infatti provocato un incidente politico. Forza Italia, An e Lega hanno abbandonato la sala dove Prodi aveva convocato l'intera delegazione italiana dell'Europarlamento protestando per essere stati dimenticati negli appuntamenti con gli eurogruppi del capo del governo. Gozi si è subito affannato a giustificare ai giornalisti quell'esclusione effettivamente poco diplomatica. Ma non ha convinto. E le sue "scuse non richieste" hanno fatto sospettare una responsabilità dell'ex euroburocrate in questo pasticcio. Assenteismo Prodi ha riscosso consensi e applausi dagli eurodeputati del centrosinistra e del centrodestra annunciando l'impegno dell'Italia nel rilancio della Costituzione Ue. Il premier olandese Balkenende ha fatto un discorso meno euroscettico del solito, probabilmente temendo l'ostilità della larga maggioranza europeista. Ma è stato proprio l'Europarlamento a dimostrare la gravità della crisi dell'Europa. L'aula di Strasburgo appariva semi-vuota durante il discorso di Prodi e praticamente vuota quando parlava Balkenende.


 

La Stampa 27-5-2007 “Quattro statali su 10 sono di troppo” Il ministro della Funzione pubblica: è il momento di svecchiare. ANTONELLA RAMPINO

 

Ma non c’è solo il contratto di lavoro! Il problema è che l’informatizzazione deve comportare un cambiamento nel modo di lavorare degli statali. Un’operazione complessa. La pubblica amministrazione è come un aereo: prima era tutta di metallo. Poi piano piano abbiamo alleggerito il materiale del motore, la fusoliera, gli alettoni. Alla fine Boeing ha rivoluzionato tutto e non c’è più nessun riferimento con quel che conoscevamo prima. Nell’amministrazione statale lavoriamo per parti, ma alla fine della storia non potranno convivere la carta e il computer. Dovremo arrivare a pensare informatico, cambiare atteggiamento. Chiaro che servirà un downsizing: adesso il turn-over degli statali è bloccato, ma sei persone possono fare quello per cui oggi ce ne sono dieci. Il punto è che quei sei dovrebbero essere giovani: la tecnologia dell’informazione per loro è semplice, difficilissima per le persone di mezz’età. Lo dico sempre a Fioroni: smettiamo di insegnare l’information technology a scuola: usiamola per insegnare il resto, invece». Bum. Chi parla non è Pietro Ichino, il professore che ha fustigato l’inefficienza e l’assenteismo degli statali. Chi sostenere che la pubblica amministrazione nei prossimi anni deve essere investita da quel processo di downsizing (mandare a casa i lavoratori) è il ministro della Funzione Pubblica. Un po’ professore alla Negroponte (Nicholas, per via della convinzione che «la tecnologia serve a combattere la disoccupazione»), un po’ giardiniere alla «Oltre il giardino», Luigi Nicolais guida un ministero che raccoglie in sé Funzione Pubblica e Innovazione (quel che facevano nel precedente governo Baccini più Stanca). Una specie di marziano che si aggira nel Palazzo a Roma, anche perché quando si mette a parlare di spin-off e open-source durante le riunioni di governo, non sono pochi quelli che strabuzzano gli occhi. Stesse reazioni in piazza, quando fa i comizi a Torre Annunziata per la Quercia. Se glielo fanno notare, lui che ha spirito napoletano, ride e con l’inequivocabile inflessione aggiunge «è vero, io stavo all’Università, mai mi sarei sognato di mettermi in politica. Fino sette anni fa non sapevo neppure cosa fosse un’amministrazione pubblica...».

L’Università è la Federico II, e Nicolais ne era l’anima, uno di quei personaggi come ce ne sono a Napoli che hanno ottimi rapporti transatlantici e oltremanica, ma scarsissimi con le italiche realtà. Infatti, il professore ha insegnato in Connecticut e a Seattle: la sua materia sono i polimeri, le molecole che servono per i computer come per i pezzi di ricambio umani. È appassionato anche di biomateriali. Da buon italiano, Nicolais è un inventore - 17 brevetti in curriculum - e ha congegnato un particolare tipo di cellulosa che serve agli obesi per combattere la ciccia: un grammo è capace di assorbire fino a mille volte il proprio peso. Da assessore regionale ha cercato di portare a Napoli Boeing e Microsoft, da ministro ha scartato Bill Gates e puntato sui programmi informatici liberi, e a costo zero. Laico, sposato due volte, ha trovato il tempo per esaudire un desiderio del cardinal Sepe, informatizzare e connettere tra loro venti parrocchie napoletane. E alla politica deve averci preso gusto. Raccontano abbia un filo diretto con Prodi, raccontano di rapporti personali con Giorgio Napolitano (spesso sale al Colle), che sia molto apprezzato anche da Cesare Pistorio e Luca Montezemolo. Se ne parla come del successore designato di Bassolino (e che quest’ultimo l’abbia rifilato a Prodi proprio per evitare una successione precoce), così come il margheritino Antonio Polito potrebbe raccogliere l’eredità di Rosa Russo Jervolino.

Intanto c’è da girare la boa del contratto degli statali. «Il Riformista» l’ha bacchettato: «Troppe gaffe», perché aveva anticipato «l’aumento medio per gli statali sarà di 101 euro». Nessun riferimento, per fortuna, a quel che più allarma i sindacati: «gli statali debbono cambiare modo di lavorare». Disturbato in un momento di relax trascorso a studiare nuovi innesti di peperoncino nel giardino di Ercolano, ridacchia sornione: «forse è vero, io sono un impolitico...». Gli amici di Roma, del resto, lo chiamano «il giardiniere». Ma sono tutti fan di «Oltre il giardino».


 

Il Piccolo di Trieste 28-5-2007 La famiglia come risorsa. Giampaolo Valdevit.

 

L'hanno intitolato Casta, indicando con ciò chi vive e, stando a quel che raccontano, piuttosto bene di politica. A più d'uno il concetto è sembrato esagerato, è sembrato far riaffiorare un vecchio male italiano: il qualunquismo. Con maggior sofisticazione altri, soprattutto a sinistra, hanno parlato di antipolitica, un concetto più recente, che si potrebbe definire come la reincarnazione del qualunquismo in chiave moderna. Per costoro l'antipolitica sarebbe l'atteggiamento del cittadino che si astrae dal pubblico ed è soddisfatto di vivere nel privato fatto di famiglia, lavoro, relazioni sociali e ovviamente anche interessi. Letta in chiave politica l'antipolitica - mi si passi il bisticcio - sarebbe la riproposizione del conservatorismo, non certo di quello bacchettone di una volta, tutto Dio casa e famiglia, ma di un conservatorismo che si modernizza e che si lascia conquistare dalla faccia sorridente e dal trasudante ottimismo di Berlusconi. Ma si può anche pensare che Gian Antonio Stella abbia colto nel segno. Fra l'altro non è certo da oggi una casta il mondo della politica: lo è quanto meno dagli anni Ottanta, ma allora per comportarsi in quanto tale si dovevano fare le porcherie che sono poi diventate note a tutti. Dopo lo scandalo di Tangentopoli si è perciò dovuto provvedere diversamente. Oggi ciò che si suole definire il costo della politica è tutto in ordine, tutto stabilito da leggi, regolamenti, ecc., è tutto trasparente, si potrebbe dire: ecco, la casta è diventata trasparente. Ma cosa vuol dire casta? Come si sa, caste sono quegli organismi sociali che fanno di tutto per distinguersi dalla massa, per non confondersi con essa. Non può stupire che una simile definizione prima di tutto non piaccia ai politici, visto che almeno una parte di loro afferma di essere unicamente interessata al bene comune. Allora cosa fa la casta per dimostrare che i politici sono avvertiti e sensibili di fronte ai problemi con i quali gli italiani devono arrabattarsi ogni giorno? Da un lato organizza, con la complicità di giornalisti contigui ad essa e dipingendosi la tristezza in faccia, grandi dibattiti sulla recente povertà degli italiani, sul fatto che sempre più sono coloro che non ce la fanno ad arrivare al 27 di ogni mese; ne abbiamo visti e sentiti un sacco e una sporta, fino alla nausea, è diventato quasi un genere televisivo. Dall'altro lato, più recentemente, organizza i family day (o come altrimenti li chiamano). Le une e le altre sono rappresentazioni teatrali; per inciso, anche Pezzotta, l'organizzatore del family day cattolico, che sembra voler costituire il Pfi, il Partito delle famiglie italiane, non dovrebbe dimenticare di appartenere anche lui alla casta: sono mica pochi i sindacalisti, diciamo così, prestati alla politica o entrati nei consigli di amministrazione di qualche ente pubblico. Penso che chiunque di noi avrebbe più di un caso da segnalare al riguardo. Ora questa famiglia, che chi sta sui palchi dei family day rappresenta come qualcosa che sta sull'orlo del baratro e si propone ovviamente di portare in salvo, non è invece così malridotta. È ancora la più solida delle strutture sociali italiane. A differenza di quel che si racconta il patto fra generazioni esiste ed è solido. Al di là delle apparenze, esisteva anche ai tempi del mitico Sessantotto quando si amava dire che padri e figli stavano sui lati opposti della barricata. Nei termini in cui lo vediamo in atto ancor oggi, questo patto esiste in sostanza dall'epoca del baby boom degli anni Cinquanta e Sessanta. Quanto oggi conta è che attraverso questo patto passano prima di tutto affetti (che fanno in ogni caso bene alla società nel suo complesso) ma anche risorse: da chi ha di più a chi ha di meno, in modo che chi ha di meno possa riuscire a stare al livello di chi ha di più e non cadere in basso. Passano risorse, che permettono non a tutti, certo, ma a molti sì di trovarsi ancora a proprio agio, giovani o vecchi che siano, nella società dei consumi anche se hanno una paga o una pensione inferiore, o ben inferiore ai mille euro. Sono travasi di risorse che nessuno quantifica, ma si potrebbe farlo: basterebbe guardare di più ai consumi e di meno ai redditi, come invece suol fare chi compila le statistiche sulla ricchezza degli italiani. Ecco cos'è in definitiva la famiglia: è la sede del più colossale esperimento di sussidiarietà. Se anche quest'idea è nata nell'ambito pubblico, da tempo ormai è nel privato che assume le sue forme più concrete. Dei family day, di destra o di sinistra, laici o cattolici, e dei loro pomposi discorsi le famiglie italiane non sanno che farsene. Perché? Perché nella vita di tutti i giorni sono andate ben oltre e da tempo rispetto a questi discorsi. Come dire, sono più avanti della politica. Ecco il curioso della nostra casta politica: vorrebbero stare davanti, come tutte le caste amano fare, stanno invece indietro, e ben indietro.


 

Il Messaggero Veneto 28-5-2007 La sentenza. Nessun credito scolastico, in vista della maturità, a chi ha frequentato le lezioni L'ora di religione sconfessata da un verdetto emesso dal Tar

 

L'ora di religione potrà anche contribuire a salvare le anime dall'inferno, ma di sicuro non renderà esente chi la frequenta dalla graticola dell'esame di Stato: niente crediti scolastici al 70% di 2 mila candidati provinciali. Lo ha deciso il Tar del Lazio e la guerra di religione va ai supplementari. La sentenza sospende la valutazione dell'ora di cattolicità che era stata sdoganata dal ministro dell'Istruzione Fioroni. Ciò sul fronte dei punteggi da assegnare in dote ai maturandi (norma del 14 marzo scorso). Scrutini 2007 rigorosamente laici e il fronte dei cattolici è pronto alla protesta. "Ci hanno scippato il diritto di voto negli scrutini - hanno protestato alcuni docenti provinciali -. E la pari dignità della nostra materia? Disattesa". Il tribunale la pensa diversamente. "La norma configura l'insegnamento della religione come materia extracurricolare - recita l'ordinanza 2408 pronunciata il 23 maggio dal Tar -, il giudizio per coloro che se ne avvalgono non fa parte della pagella ma deve essere comunicato con una separata, speciale nota". I giudici hanno deciso che per il momento, non si può fare. "Includere l'insegnamento della religione cattolica nei crediti scolastici è sbagliato - hanno commentato i sindacalisti Flc-Cgil di Pordenone, con l'associazione Scuola della Repubblica ha presentato il ricorso con gli studenti -. I docenti di religione non possono votare nell'attribuzione del credito scolastico, perché sarebbe discriminante per tutti gli studenti che non si avvalgono della disciplina. Che, va ricordato, è opzionale". Vinta una battaglia, mica la guerra. Religione "out", perché dalla maturità la valutazione si allarga a tutte le classi? Gli azzeccagarbugli della scuola hanno il bel da fare, per capire se il giudizio di cattolicità è determinante per bocciare o promuovere e c'è da aspettarsi contenziosi. Sull'esame di Stato, invece, un'altra schiarita. "Le insufficienza non compromettono l'ammissione alle prove di maturità - hanno chiarito dal ministero di viale Trastevere -. Fino al 2009, ammessi anche gli studenti con debiti se i professori danno il nulla osta". Chiara Benotti.


 

Il Corriere Economia 28-5-2007 Fai un mutuo? Vinci la caffettiera Banche Raccolte a punti su prestiti e servizi. Per aumentare i margini Premi fedeltà contro la fuga dei clienti

 

Per avere la macchina del caffè espresso De Longhi bisogna fare un mutuo: con la Popolare di Milano. L'istituto guidato da Roberto Mazzotta ha da poco lanciato il programma fedeltà "Punta su di te": più usi i prodotti della banca, più punti per i premi accumuli. Il mutuo vale un punto ogni 10 euro erogati, la macchina del caffè vale 28 mila punti, et voilà: con un finanziamento da 280 mila euro l'espresso è servito. Preferite il cavatappi professionale Brandani? Sono 2.300 punti con il programma GranPremio Mondo Bancoposta delle Poste Italiane: si raggiungono sottoscrivendo una polizza. Il premio più ambito è la bicicletta Stratos uomo Atala, ma in Unicredit ci vogliono 52.350 punti: conquistabili in due anni spendendo 2 mila euro al mese con la carta di credito. I programmi di fidelizzazione a punti per i correntisti, sull'esempio dei supermarket o dei benzinai, sono l'ultima trovata delle banche italiane, per due motivi. Primo, non perdere clienti: chiudono il conto due milioni di correntisti all'anno, dice l'Abi. Secondo, spingere i clienti all'uso dei prodotti che più rendono in commissioni: Pagobancomat e carte di credito, prestiti e mutui, investimenti su titoli. I programmi a punti sono partiti in sordina qualche anno fa, in testa Sanpaolo e Unicredit. Ma ora sono dilagati. E mentre all'inizio l'adesione era automatica, ora è perlopiù volontaria: "Per generare consapevolezza nel cliente", dice Stefano Pedron, direttore generale di Jakala Promoplan, agenzia di marketing relazionale guidata dall'amministratore delegato Matteo de Brabant e dall'ex amministratore delegato dell'Autogrill, Paolo Prota Giurleo. Jakala vede ormai le banche in testa alla lista dei committenti. "I programmi di fidelizzazione per gli istituti di credito ? dice Pedron ? oggi coprono, con 6 milioni di giro d'affari, il 20% del fatturato della nostra divisione Marketing solution, che è di 30 milioni di euro. È un business che può crescere del 30% l'anno. Oggi ci sono almeno una decina di banche che propongono questi programmi". Solo per citarne alcune, oltre alla Bpm e alle Poste: c'è Unicredit con il programma "Millegenius" e Intesa Sanpaolo con "Executive", la Cassa di risparmio di Asti con "A che punto sei? " e la Popolare di Vicenza con "Operazione Gran Premio". Senza contare il settore delle carte di credito, dove troviamo CartaSì e Bankamericard, American Express e Prestitempo. "Premiamo l'utilizzo del conto in modo evoluto ? dice Francesco Signoretti, responsabile marketing privati di Unicredit Banca ?. Spingiamo all'uso delle carte di pagamento perché vogliamo ridurre la circolazione di contante, che aumenta i costi dei nostri servizi". Funziona? Pare di sì. "Ogni anno l'uso delle carte da noi aumenta del 15-20%", dice Signoretti. E Pedron di Jakala conferma: "I programmi a punti possono spostare i comportamenti dei clienti in modo significativo: si calcola aumentino del 20-30% l'utilizzo di carte di credito e Bancomat, del 20% quello del canale online, del 30-50% le masse investite su prodotti della banca". Non è poco per i margini delle banche. C'è una precisa scala di valore nell'attribuzione dei punti bancari. In testa ci sono risparmio gestito, polizze e prestiti. Alla Bpm, per esempio, il compleanno del conto corrente vale 100 punti, usare il Pagobancomat per una spesa mensile di 500 euro vale 131 punti, aprire un prestito di 9 mila euro porta 3 mila punti e investire 20 mila euro in fondi comuni dà diritto a 4 mila punti. Al Bancoposta, invece, svettano chiaramente per "premio raggiungibile" i prestiti personali e i mutui, con 4.500 punti ciascuno; seguono la polizza vita e i titoli sul mercato primario (2.500), quindi i fondi. "Ma il meccanismo è diverso rispetto ai premi della grande distribuzione e dai benzinai ? dice Pedron ?. Qui i prodotti sono di marca e tecnologici, inoltre vengono consegnati in 15-20 giorni, contro i 180 consentiti dalla legge: è fondamentale che la customer experience sia positiva, perché le banche ci chiedono questo, di aumentare il valore della relazione col cliente". "Il nostro obiettivo è diventare la banca principale, di riferimento, in una piazza multibancarizzata come Milano ? dice Carlo Panella, responsabile Crm del gruppo Bpm, che ha visto 50 mila clienti aderire in due mesi al programma, partito in aprile ?. E tenere a zero la perdita di clienti". Questo è il punto. ALESSANDRA PUATO.


INDICE 27-5-2007

 

La Repubblica 27-5-2007 Montezemolo e il sogno della nuova borghesia EUGENIO SCALFARI 1

Il Corriere della Sera 27-5-2007 La Seconda Repubblica è stata solo una promessa IL discredito della politica di ANGELO PANEBIANCO  3

L’Unità 27-5-2007 Lo specchio FURIO COLOMBO  5

La Gazzetta del Sud 27-5-2007 I costi del Palazzo Arriva lo slogan "assolutorio": antipolitica MARIO CALIGIURI 6

Il Mattino di Padova 27-5-2007  Padre Luciano Bertazzo. Parla il francescano che dirige il Centro studi antoniani al Santo La provocazione cristiana "Vicini all'inquietudine umana, senza imporre verità" Ruini o Martini? La domanda di senso nel bene e nel male è insita nel nostro dna Tra fede e ragione esiste una dialettica ma non c'è antitesi" GABRIELLA IMPERATORI 7

Il Riformista 27-5-2007 Propongo un’aquila bicipite come stemma per la repubblica italo-vaticana FEDERICO ORLANDO RISPONDE  9

La Repubblica 27-5-2007 Truffa sugli apparecchi acustici - PAOLA CASCELLA  9

 


La Repubblica 27-5-2007 Montezemolo e il sogno della nuova borghesia EUGENIO SCALFARI

 

NELLA vignetta di Altan pubblicata ieri dal nostro giornale uno dei due consueti protagonisti dice fissando l'altro: "Confindustria all'attacco" e l'altro con la mano in tasca e il basco di traverso risponde: "Speriamo in una forte risposta della Conferenza episcopale". Ha ricordato Ezio Mauro nel suo editoriale dell'altro giorno che molti anni fa, in analoghe circostanze, l'avvocato Agnelli di fronte alle pressioni di chi auspicava una sua "scesa in campo" nell'agone politico, commentò: "Ipotesi ad alto rischio. Se fallisce non resta che ricorrere a un generale o a un cardinale". I nostri generali sono leali alla Repubblica; i cardinali sono extraterritoriali, la loro verità viene da un altrove. A quindici anni di distanza uno dall'altro, Agnelli e Altan hanno colto perfettamente la fragilità della democrazia italiana quando la politica si infiacchisce e la società ripiega sui suoi "spiriti animali". * * * Televisioni e giornali da qualche settimana sono pieni di dibattiti e inchieste sul costo della politica. Il libro dei bravissimi Stella e Rizzo ha dato la stura ad un Niagara di dati, testimonianze, invettive, denunce, che documentano sprechi, arricchimenti illeciti, ruberie, rendite di posizione, privilegi, tutti sulla pelle e con i soldi dei cittadini, vittime designate, agnelli sacrificali di tanto malaffare. Tra i molti pezzi di bravura nel proporre e in un certo senso imporre questa agenda all'opinione pubblica si è distinto martedì scorso Enrico Mentana in due ore e mezzo di dibattito nella sua trasmissione "Matrix". Merita di essere segnalato perché il montaggio televisivo era di rara efficacia. Partiva documentando che il costo complessivo dell'attività politica vera e propria ? stipendi dei ministri, dei parlamentari, degli eletti nelle Regioni e negli enti locali, dei loro portaborse, del finanziamento dei partiti e dei giornali di partito ? ammonta a 4 e più miliardi (la stessa cifra è stata ripresa da Montezemolo nella sua allocuzione all'assemblea della Confindustria). Ma questo è solo l'inizio, l'antipasto, incalzava Mentana dal video di Canale 5. E via una serie serrata di quadri, brevi inchieste, tabelle sinottiche da lasciarti senza fiato, nelle quali si avvicendavano le cifre del debito pubblico, gli stipendi pagati ai dipendenti dello Stato e del parastato, il costo delle Ferrovie, il peso delle imposte e infine l'intero ammontare della spesa pubblica, cioè la metà di tutto il prodotto italiano, imputato in blocco al costo della politica. In studio due o tre personaggi con volti gravi e occhi spiritati annuivano e rilanciavano.

Quando ho spento il televisore (era quasi l'una dopo mezzanotte) ero francamente spaventato. A tal punto che lo stesso dibattito mi è ricomparso in sogno con le sembianze dell'incubo e la sensazione di essere fisicamente stritolato da una morsa che si stringeva su di me togliendomi l'aria e il respiro. Enrico Mentana, quando ci si mette, è bravo, non c'è che dire. * * * Il 27 dicembre del 1944 Guglielmo Giannini fondò il settimanale "L'Uomo qualunque", che ebbe come insegna un omino inerme schiacciato da un torchio. Il primo numero tirò 25 mila copie ma appena cinque mesi dopo, nel maggio del '45, era già arrivato a 850 mila. Lo scopo del settimanale era di dar voce all'uomo della strada contro i partiti di qualunque colore, contro lo Stato, contro il centralismo, ovviamente contro il comunismo e contro "gli antifascisti di professione". Il 21 giugno di quello stesso anno nasce il governo presieduto da Ferruccio Parri che per Giannini diventò il bersaglio numero uno. Lo scontro aumentò il successo del settimanale. Sotto la spinta d'un vento così favorevole Giannini fondò il partito dell'Uomo qualunque; si aprirono sedi in tutta Italia, il giornale superò il milione di copie, fu tenuto a Roma il congresso di fondazione. Il programma approvato all'unanimità "concepisce lo Stato come semplice ente amministrativo e non politico. Lo Stato deve essere presente il meno possibile nella società. L'economia deve essere lasciata totalmente ai privati in un sistema totalmente liberista". I punti cardine del partito enumerati nel programma erano: Lotta al comunismo. Lotta al capitalismo della grande industria. Propugnazione del liberismo economico individuale. Limitazione del prelievo fiscale. Negazione della presenza dello Stato nella vita sociale del Paese. Il 2 giugno del '46 "L'Uomo qualunque" si presentò alle elezioni per l'Assemblea Costituente, ottenendo 1.211.956 voti, pari al 5,3 per cento, diventando il quinto partito italiano dopo la Dc, i socialisti, il Pci e l'Unione Democratica Nazionale di Croce, Orlando, Nitti. Ebbe 30 deputati. Nel '47, quando De Gasperi ruppe con le sinistre, l'Uomo qualunque appoggiò il governo centrista, ma questo fu l'inizio della sua fine. I qualunquisti finirono per confluire nel Partito monarchico e nel neonato Movimento sociale. Fino al 1947 il giornale e il partito ricevettero sostegno finanziario dalle associazioni agrarie meridionali e dalla Confindustria. * * * Qualunquismo, antipolitica, populismo, demagogia: sono quattro parole che configurano modalità ed esprimono modi di sentire abbastanza simili, pur non essendo termini sinonimi. Nella vita pubblica italiana queste modalità e questi sentimenti rappresentano una costante da molti anni, dalla fondazione dello Stato unitario ma anche prima, soprattutto nelle province del Mezzogiorno. Una costante, ma per fortuna non una dominante se non a tratti e per brevi periodi. Per diventare dominante ci vogliono condizioni che esaltino quella costante e la propaghino nella psicologia di massa. Una condizione è la debolezza dell'autorità politica. Un'altra è la debolezza delle organizzazioni dei lavoratori. Un'altra ancora è l'assenza d'una borghesia forte e responsabile. E il proliferare delle corporazioni e dei sindacati corporativi. L'ultima condizione infine è la presenza di demagoghi e populisti capaci di cavalcare il qualunquismo e trasformarlo in una forza d'urto che pervada le istituzioni e le offra al potere dei demagoghi di turno. * * * Ho letto con molta attenzione l'omelia, o se volete la "lectio magistralis" di Luca Cordero di Montezemolo e ne ho sottolineato i passi salienti, i punti di consenso e quelli “ dal mio punto di vista “ di dissenso. Poiché molti amici e lettori mi hanno chiesto di esprimere un'opinione in proposito, dirò che i punti di consenso sono nettamente superiori a quelli di dissenso, sicché ? sia pure con alcune note a margine ? potrei concludere con un'approvazione finale. Le note a margine riguardano: 1. Il mancato riconoscimento del risanamento finanziario come premessa indispensabile della ripresa economica. 2. Il merito della ripresa attribuito soltanto agli imprenditori e al mercato. 3. Il silenzio sulle responsabilità di molti imprenditori in operazioni truffaldine che hanno pesantemente colpito il risparmio e la fiducia. 4. Le leggi e le politiche dissennate del quinquennio berlusconiano, per terminare con una legge elettorale votata da tutto il centrodestra a cominciare dall'Udc di Casini, che ha reso ingovernabile il Parlamento e il Paese. Non sono note a margine trascurabili, ma le tralascio: sono state già segnalate e approfondite nei giorni scorsi, sicché le do per note, lo stesso Montezemolo del resto mi pare che le abbia riconosciute come valide e ne abbia fatto ammenda. Confermo che, nonostante tali rilievi, la "lectio" confindustriale mi pare meritevole di consenso. Però... * * *

 Il punto in questione riguarda la nascita d'una nuova borghesia. Montezemolo ha più volte insistito su questo aspetto e c'è ritornato nelle dichiarazioni del giorno dopo: è nata una nuova borghesia che sta facendo la sua parte. Lavora come e più di tutti. Effettua investimenti. Innova i prodotti e i processi di produzione. Accorcia lo svantaggio competitivo. Ha ridato slancio alle esportazioni. In forza di questi meriti la nuova borghesia chiede, anzi pretende: meno tasse sulle imprese, piena mobilità del lavoro, ammortizzatori sociali adeguati, liberalizzazioni in tutti i settori, riforma delle pensioni in armonia con gli andamenti demografici, riconoscimento del merito in tutti i settori e a tutti i livelli. La nuova borghesia ha già fatto ciò che il Paese si attendeva e continuerà a farlo, ma non può esser lasciata sola. Il governo finora è stato inadeguato e indeciso. Partiti e Parlamento altrettanto o peggio. Opposizione forse pure. Si mettano dunque al passo. Gran parte di queste richieste sono condivisibili, anzi sacrosante. Per quanto ci riguarda le sosteniamo da mesi, anzi da anni. Ma l'osservazione che qui solleviamo riguarda la nuova borghesia, innovatrice, liberista e liberale, corretta con le regole del mercato. E dunque meritevole. Con quel che segue. è già nata questa nuova borghesia, amico Montezemolo? E quando? Lei stesso fa datare il risveglio, la ripresa, l'innovazione a due-tre anni fa. Più o meno dall'inizio della sua presidenza in Confindustria. Prima di allora, è verissimo, l'innovazione era ridotta ai minimi termini, gli investimenti languivano, il Pil aveva addirittura cessato di crescere. Crescita zero. Non voglio discutere le sue capacità salvifiche ma chiedo: in tre anni, in un paese dal quale la borghesia è scomparsa da almeno vent'anni, ce la troviamo rinata all'improvviso come Minerva che uscì armata di tutto punto dalla testa di Zeus? Non è credibile. Le esportazioni sono aumentate. Verso quali aree del mondo e in quali settori della produzione? Lei lo sa benissimo. Perché non lo ha detto? Gli investimenti. Quelli privati la soddisfano perché sono aumentati di ben il 2,3 per cento. Ma più oltre lei lamenta che quelli pubblici sono aumentati "soltanto" del 4 per cento. Quattro non è forse il doppio di due? C'è un punto della sua relazione in cui lei, giustamente, lamenta l'evasione fiscale enorme e il sommerso altrettanto enorme. Ha ragione. Ma chi evade? E chi si sommerge? Che mestieri fanno i sommersi e gli evasori? Fanno molti e vari mestieri, ma concederà che quelli che pagano con il sostituto d'imposta evadono infinitamente meno di tutti gli altri. Ne dobbiamo dedurre che gli evasori sono tutti e soltanto i liberi professionisti? Lei non ha parlato delle violazioni delle regole di mercato. Uno dei suoi vicepresidenti seduto accanto a lei ne rappresenta un luminoso modello: quello di aver controllato fino a ieri la più grande società per azioni italiana rischiando in proprio l'1 per cento del capitale. Sono questi i meriti da imitare e riconoscere? * * *

Gentile presidente di Confindustria, di Fiat, di Ferrari e di parecchie altre iniziative certamente meritevoli, noi abbiamo la sensazione che la nuova borghesia non sia ancora nata e ? purtroppo ? sia ancora sulle ginocchia di Giove. Lei fa benissimo ad auspicarla. Fa benissimo a dedicare i tre quarti del suo discorso ad una politica insufficiente e indecisa. Fa benissimo a parlare più da cittadino che da capo della sua associazione. Ci ruba un po' il mestiere, ma ben venga. Per fortuna per farci conoscere qualche cosa di più approfondito sui problemi dell'industria italiana c'è stato, dopo il suo, l'intervento del ministro Bersani. Se la platea dell'Auditorium fosse stata popolata dalla nuova borghesia, Bersani avrebbe avuto applausi appena appena inferiori a quelli avuti da lei. Non la pensa anche lei così? Non l'ha un po' colpita constatare che l'ovazione più lunga al suo discorso è venuta quando lei ha scandito che gli industriali non pagheranno un solo euro di più di tasse? Dichiarazione ineccepibile. Da sottoscrivere. L'aveva già detto Mario Monti. Non parliamo di Giavazzi. Vedrà che il 31 maggio lo ripeterà Draghi e sarà più d'una triade, sarà un quadrumvirato. Ci vogliamo aggiungere anche Pezzotta e i cardinali? Per finanziare tutte le richieste che vengono i soldi ci sono: basta cancellare il debito con un colpo di bacchetta, abolire la spesa pubblica seguendo le indicazioni di Matrix, e oplà, non è poi così difficile. I soldi si trovano sempre. Basta decidere da quali tasche prenderli. Lei mi risponderà: dal sommerso e dall'evasione. Perfetto, è il programma del governo Prodi. Visco ci sta provando e qualche risultato è già arrivato. Forse è per questo che stanno facendo il tiro a bersaglio su di lui. Le do una cifra, amico Montezemolo: la vecchia borghesia ? la sola che l'Italia abbia avuto in 150 anni di storia unitaria, la cosiddetta destra storica ? pagò attraverso l'imposta fondiaria il 52 per cento di tutte le entrate tributarie dello Stato nel periodo in cui governò, tra il 1861 e il 1876. Il 52 per cento. Era una borghesia composta interamente da proprietari fondiari. Le entrate extra tributarie vennero dalla vendita dei beni ecclesiastici, avocati allo Stato e venduti da Marco Minghetti. Purtroppo tarderà a nascere, se nasce, una borghesia di quel conio, che nazionalizzò le ferrovie e le assicurazioni sulla vita.

 


 

Il Corriere della Sera 27-5-2007 La Seconda Repubblica è stata solo una promessa IL discredito della politica di ANGELO PANEBIANCO

 

Ciò che più impressiona delle reazioni negative di tanti uomini politici alla spietata e documentata analisi-denuncia del presidente di Confindustria è che nessuno, dico nessuno, di quei critici è stato capace di contestare nel merito anche una singola virgola di quanto Montezemolo ha sostenuto. Nessuno, fra i professionisti della politica, è in grado di negare che la politica, e il sistema pubblico che da essa dipende, siano ormai un motore ingrippato, e la principale causa dei mali italiani. In quella che alcuni chiamano "crisi della politica" va distinto l'aspetto congiunturale da quello strutturale. C'è una crisi specifica, contingente, legata alla natura della coalizione oggi al governo. Una parte della paralisi decisionale che ci attanaglia dipende dalla debolezza della maggioranza e, in particolare, dal suo vero fallimento: l'incapacità di "costituzionalizzare le estreme". Nessuna democrazia bipolare può funzionare se le estreme non vengono addomesticate e controllate, se hanno un ruolo rilevante nelle politiche di governo. È dalla nascita del governo Prodi che le estreme, non addomesticate, hanno quel ruolo. Con effetti devastanti per i consensi all'esecutivo. La mancata costituzionalizzazione delle estreme ha ricadute su tutti gli aspetti delle politiche pubbliche, si tratti del blocco di infrastrutture vitali, di tasse e spesa pubblica, della sicurezza, o della politica internazionale del Paese. Si pensi a ciò che accadrà fra pochi giorni: l'estrema sinistra riceverà, come componente del governo, il presidente degli Stati Uniti, partecipando contemporaneamente a una manifestazione contro di lui. L'aspetto congiunturale della crisi si incontra con l'aspetto strutturale, perché una politica paralizzata dalla mancata costituzionalizzazione delle estreme infligge un colpo mortale alla democrazia bipolare, porta acqua alle tesi di coloro che (a loro volta sbagliando, a causa di una memoria troppo corta) pensano che un sistema "bloccato al centro", un sistema con un nuovo centro eternamente governante sia la soluzione per i mali italiani. Aspetti congiunturali a parte, c'è dunque una crisi di sistema: dipende dal fatto che la Seconda Repubblica non è mai nata, è stata solo una promessa o un miraggio che ci ha accompagnato dai primi anni Novanta, e adesso che la promessa è svanita ci ritroviamo ancora a vagare fra le macerie della Prima Repubblica, senza che siano in vista soluzioni. Gran parte dei mali attuali della politica sono segni di una crisi di sistema a cui nemmeno un nuovo ricambio di governo, checché ne dicano le opposizioni, potrà porre veri rimedi. Sappiamo qualcosa su come e quando cambiano le democrazie. Sappiamo che esse non cambiano solo perché sono in crisi: possono restare in quella condizione per decenni, immobili, mentre trascinano lentamente alla rovina il Paese. Le democrazie cambiano solo quando (di solito, a seguito di una crisi repentina e drammatica) si apre, per un breve momento, una "finestra di opportunità", e appaiono leader capaci di imporre una radicale ristrutturazione delle regole del gioco. La fine del "primo sistema politico" della Repubblica avvenne per il combinato disposto di un mutamento geo-politico (la fine della guerra fredda), una crisi finanziaria, e l'intervento della magistratura. Avemmo una mezza Algeria ma senza un de Gaulle, senza incontrare un leader davvero all'altezza della situazione. Si aprì comunque una finestra di opportunità che consentì alcune limitate innovazioni, come la legge maggioritaria del 1993, le leggi sull'elezione diretta di sindaci e presidenti regionali e l'alternanza al governo. Quella finestra di opportunità si è chiusa da un pezzo. Non ne sortì quella riforma complessiva delle istituzioni che avrebbe dovuto fare dell'Italia un'efficiente democrazia bipolare. E quando i partiti ebbero modo di riorganizzarsi tornammo addirittura indietro (con la riforma elettorale voluta dal governo Berlusconi). Berlusconi, appunto. Di lui si deve parlare, essendo stato il vero dominus, nel bene e nel male, della politica italiana dal '94 ad oggi e, ci dicono i sondaggi, lo sarà ancora a lungo. Berlusconi non è l'uomo nero che molti si ostinano a dipingere e ha fatto, insieme a cose sbagliate, e anche sbagliatissime, anche diverse cose buone. Il suo vero grande limite è che fece al Paese la promessa di una rivoluzione liberale e non l'ha mantenuta. Credo che stia proprio in quel fallimento la causa della crisi di sistema. Berlusconi ha avuto, per un momento, l'occasione di dare uno sbocco positivo alla crisi della Prima Repubblica ma l'ha in grande misura sprecata. Non è stato né de Gaulle (il costruttore di nuove istituzioni) né Thatcher (l'artefice di una rivoluzione neo-liberale). Per questo ora ci ritroviamo, dopo un lungo giro, di nuovo al punto di partenza, alla crisi di sistema così come l'abbiamo conosciuta alla fine degli anni Ottanta. Né sembra che Berlusconi ne abbia tratto insegnamento. È vero che è il "popolo", e non la Confindustria o i tecnici, che deve scegliere i governi, ma sono le élite che devono trovare le soluzioni politiche tecnicamente valide per dare soddisfazione alle aspirazioni del popolo. Uno dei problemi del governo Berlusconi fu che mancarono soluzioni tecnicamente adeguate per realizzare, su diversi fronti, la promessa rivoluzione liberale. Non ci sono buone notizie in vista (a parte il referendum, ma non basta). Non si vedono all'orizzonte nuove "finestre di opportunità". Anche per questo il tanto parlare che ancora si fa di riforme costituzionali sa di imbroglio. Un Paese che discute da più di vent'anni di tali riforme e non le fa è un Paese malato. E la sua è una malattia morale. Nella classe politica, a sinistra e a destra, ci sono diverse personalità di prim'ordine. Esse ingiustamente patiscono del discredito in cui è caduta la politica. Nessuna di loro, singolarmente, può fare nulla per risolvere la crisi. Ma è forse tempo che i migliori delle due parti si siedano intorno a un tavolo per tentare di capire che cosa è umanamente possibile fare al fine di bloccare il degrado della democrazia italiana.

 


 

L’Unità 27-5-2007 Lo specchio di Furio Colombo

 

A pagina 11 del libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella La Casta ci sono anch'io. Sono, benché non nominato, il direttore dell'unico giornale italiano che aveva denunciato le allegre vacanze dell'allora ministro della Giustizia Castelli. "Bed and breakfast" nella splendida località di Is Arenas, in Sardegna (villaggio-vacanze ristrutturato per il personale della polizia penitenziaria) con seguito di parenti e amici, tutti esenti da oneri. Il libro racconta che il ministro, infuriato per la rivelazione, ha provveduto (dopo aver letto il nostro articolo) a pagare il conto (euro 19,00 per matrimoniale, euro 11,82 per stanza singola). Spiega il libro di Stella che sono tariffe basse perché gli agenti di custodia pagano negli anni per quelle vacanze con trattenute sui loro stipendi. Il ministro non paga. Se disturbato da rompiscatole, paga dopo. Stella e Rizzo non possono sapere che c'è un dopo del dopo. È un evento in tre atti che riassumo così. Primo: il ministro Castelli intenta poderosa causa civile contro l'Unità e il suo direttore per danno alla sua immagine. Secondo: il ministro della Giustizia - benché abbia pagato dopo la denuncia di non pagamento - vince la causa ("Dopotutto ho pagato"). Terzo: il ministro della Giustizia, diventato ex, ma trattato come un Calamandrei redivivo da molti miei colleghi della sinistra in Senato (ma anche dal suo successore Clemente Mastella) si presenta una mattina davanti al mio banco mostrando con sarcasmo da cartoni animati la sua carta processuale di vittoria (temporanea, speriamo, c'è sempre un appello). "Così impari", avrebbe detto un qualunque realistico maestro di vita. Il fatto che vorrei far notare ai colleghi Stella e Rizzo, il cui lavoro mi appare di una esemplare urgenza (questo libro è in difesa della politica, non per aprire le porte dell'antipolitica, e tutto ciò è dimostrato dall'esemplare "decalogo di salvezza" di Mario Pirani apparso su la Repubblica del 24 maggio), è che c'è una morale.

La morale è questa: perché possa accadere un simile evento (ben più lieve, dopo tutto, delle continue "ispezioni" ordinate dal ministro contro giudici che avevano osato indagare percorsi che prima o poi avrebbero portato al potere vero di Berlusconi) occorre che la Casta abbia di fronte a sé uno "specchio del diavolo". Conoscete la leggenda: l'immagine del diavolo (ovvero la prova che il diavolo è presente in un luogo o in un gruppo) è che in uno specchio messo di fronte al diavolo, il diavolo non si vede. Per il Maligno questo tranello è essenziale affinché possa continuare a operare indisturbato. Ma lo è anche per la Casta. Se la Casta non si vede nello specchio - ovvero se lettori e spettatori delle comunicazioni di massa non vedono mai all'opera volti e personaggi della Casta mentre sono in azione - allora di essi, anche dei protagonisti più audaci della Casta, non restano che gli uffici stampa, le autocelebrazioni e i "panini" di tutti (tutti) i telegiornali. In questo modo è naturale che si fissi nelle menti degli italiani un'immagine benevola del protagonista della Casta e, fatalmente, una immagine negativa di chi corre scompostamente dietro la carrozza lanciando frasi che vorrebbero essere messaggi e rivelazioni ma che vengono scambiate per comportamento disordinato, disturbo, insulti. In altre parole, per avere una Casta ci vuole un grande specchio dei media in cui non si vede mai l'immagine di ciò che accade davvero. Se vi capita di farvi trovare soli e nel momento sbagliato a dire certe cose, è naturale che chi è chiamato a decidere o giudicare trovi "aggressiva" la voce solitaria, e accrediti in modo benevolo l'immagine onnipresente in televisione, dei vari personaggi della Casta, persino quando ordinano da un menu (detto "casting" nel mondo dello spettacolo) la Velina del giorno, pronta consegna in ufficio ministeriale. *** Sto dicendo questo: nessuno, da solo, è più forte di Bruno Vespa. Se i colleghi di quel nessuno, nei giorni difficili, decidono di non farsi trovare, fino al punto da creare il vuoto e il silenzio (che sono un beneficio per la Casta come l'umido e la pioggia per i funghi) e se la Casta si accasa presso Bruno Vespa, ogni avviso o denuncia cadrà nel vuoto. Perché - ho detto - "cadrà nel vuoto"? Qui c'è una lezione interessante per chi pratica e giudica questi tempi difficili. Sentite. Ai nostri giorni potete leggere in una sentenza contro qualcuno di noi che si doleva di sentir definire l'Unità "una testata omicida" (dichiarazione riguardante questo giornale e tutti i suoi giornalisti, direttore, condirettore, redattori e "firme" dichiarazione fatta e ripetuta nella trasmissione a Porta Porta del 30 ottobre 2003) queste parole: "Il personaggio Ferrara ha calore/colore graffiante che i querelanti ben conoscevano e che è stato provocato da un altro ospite. Tutte le trasmissioni da lui condotte si caratterizzano per serenità del dibattito, per quanto con toni aspri". E anche "Chi era presente non si adombra, non rivolge critiche a Ferrara se non in modo affettuoso e colloquiale, chiamandolo addirittura per nome: Giuliano". Ecco una situazione esemplare. Il disturbatore è solo, isolato, non citato mai da altri giornali nella sua solitaria doglianza, che finisce perfino per apparire patetica. Il personaggio della Casta (non solo il ministro Castelli è Casta) può agire indisturbato perché la maggior parte del pubblico non vedrà interventi, prepotenze, aggressioni, minacce. Ed è naturale che - se qualcuno è chiamato a giudicare - giudichi secondo ciò che ha visto nello specchio dei media: niente. *** Insisto su questo niente, su questo vuoto, perché non siamo in Romania ai tempi di Ceausescu. Come fa a formarsi e consolidarsi, agire e perpetuarsi una Casta senza la partecipazione straordinaria dei media o meglio la loro assenza (forse prudente, forse distratta, forse intimidita) per quasi tutto il tempo? Senza questo capitolo - la simbiosi di giornali e telegiornali con i politici della Casta - il fenomeno meritoriamente denunciato dal libro di Stella e Rizzo non si spiega. So benissimo che è inelegante puntarsi il riflettore in faccia, anche perché, come abbiamo imparato dai thriller, quel tipo di luce deforma l'immagine. Però se restiamo nel mondo loquace, vanesio, ma anche attivissimo della Casta, come fa uno a ignorare di essere stato spiato dai servizi del suo Paese (l'ufficio speciale del Sismi diretto dal misterioso Pio Pompa, appena promosso prefetto), di avere letto quella notizia lunga una riga (non sottotitolo o occhiello, una riga di testo nel corpo di un articolo) trovata dal cronista nelle carte processuali depositate dal giudice Spataro ("Tra le persone messe sotto sorveglianza dai servizi diretti da Pio Pompa vi sono i nomi di Furio Colombo e Paolo Serventi Longhi") e di non avere trovato mai più alcun commento, chiarimento o domanda? Il caso è allarmante non per i nomi delle persone ma per quello che hanno fatto o stanno facendo i "sorvegliati". Sono giornalisti senza potere (a quel tempo non ero ancora parlamentare e non più direttore di giornale), che non possono produrre eventi ma solo annotarli e - se mai - renderli noti. Ma la Casta sa come rimuovere lo specchio. La riga dura un giorno. E non ritorna mai più, benché Serventi Longhi significhi la rappresentanza di tutti i giornalisti, persino di coloro che non sono in favore (perché non ama le Caste) dell'ordine dei giornalisti. Se mi costituirò parte civile in un eventuale processo contro il neo-promosso prefetto Pompa, il vuoto di notizie, commenti, reazioni, inchieste (non su o a difesa di qualcuno ma sul perché in Italia si mettono sotto sorveglianza dei servizi segreti i giornalisti) non faciliterà le argomentazioni contro questo stranissimo evento (che, oltre tutto, per restare con Stella e Rizzo, ha anche un suo costo). Ci pensate? Mettere sotto la sorveglianza dei servizi segreti della Repubblica un giornalista che rappresenta gli altri giornalisti e uno che scrive ben chiaro ciò che pensa ogni ogni settimana. O è intimidazione o è peggio. Ma l'imbottitura del silenzio degli altri giornalisti fornirà l'alibi. "Vedete? Una sciocchezza". *** Probabilmente è a causa della par condicio che nessun servizio, sportivo o di costume, ha dato notizia delle frequenti, trionfali apparizioni di Silvio Berlusconi, prima, durante e dopo la partita Liverpool-Milan, la sera del 23 maggio, in pieno periodo elettorale. Probabilmente è a causa della par condicio che gran parte dei nostri colleghi non hanno voluto dire una sola parola su Gli imbroglioni, il Dvd di Enrico Deaglio e Beppe Cremagnani (compiegato con Il Diario ancora in edicola) già autori di Non uccidete la democrazia altro Dvd-denuncia finita nel silenzio (salvo un'inchiesta giudiziaria che si può sempre aprire nell'assenza disorientante di altre testimonianze giornalistiche). Questa volta Gli imbroglioni porta la prova di tre diversi "attacchi" di misteriosi "hackers" o pirati informatici, che hanno fatto irruzione nel cervello del Viminale la notte delle elezioni. Ricordate? Lunghe soste mai spiegate senza mai sapere né la ragione né le conseguenze di quelle soste. La forza degli "imbroglioni" sta nell'essere ombre leggere che attraversano - e forse ritoccano pesantemente - la scena politica in momenti cruciali senza che lo specchio dei media registri la loro presenza. Del resto di che cosa avrà voluto parlare Leoluca Orlando quando, durante le elezioni comunali di Palermo, ha detto di avere trovato migliaia di schede fotocopiate? Deaglio è stato trattato come un disturbatore e Leoluca Orlando come un meschino che non sa perdere. Così come vengono spinti via gli ultimi Radicali che insistono nel dire che sono loro stati sottratti ingiustamente 8 seggi al Senato. Hanno ragione? Hanno torto? Il fatto è che nessuno si è preso il disturbo di decidere oppure di comunicarlo agli interessati. Ma chi di noi, nelle folte schiere della stampa parlamentare, si sognerebbe di insistere con una sola fastidiosa domanda in proposito? È urgente, è essenziale per la casta che non ci siano giornalisti intorno con quel loro specchio fastidioso. Se ci sono, imparino a lasciar perdere, ne va della carriera. Se insistono, bisognerà pregare Pio Pompa di un occhio di riguardo. E se non basta, sta per arrivare la legge Mastella sulle intercettazioni telefoniche che non si fida più del silenzio-assenso finora offerto spontaneamente da tanti giornalisti. Adesso, se quella legge passa, quella legge il silenzio dei giornalisti lo ordina, pena pesanti sanzioni pecuniarie o la detenzione. Sarà una prova ardua e difficile per quella parte di Ulivo e di eletti nell'Unione che non vuole essere Casta. furiocolombo@unita.it.

 


 

La Gazzetta del Sud 27-5-2007 I costi del Palazzo Arriva lo slogan "assolutorio": antipolitica Mario Caligiuri

Ritorna l'antipolitica, dicono in molti sdegnati. Cominciamo però a chiarire in quale contesto si dice. Nei giorni scorsi ho rilevato una serie di dichiarazioni che ritengo educativo portare all'attenzione dei lettori. "Una campagna studiata a freddo e decisamente strumentale", pontifica Clemente Mastella. Infatti, convinto che "la politica resisterà", aveva pensato bene da tempo di condividere l'esperienza al Senato con il cognato e alla Presidenza del Consiglio Regionale della Campania, con l'affascinante consorte. Ma chi lo dice che i valori della famiglia si stiano perdendo? La seconda opinione che mi ha colpito è quella di Piero Fassino che propone di intervenire oltre che sui politici anche sugli stipendi dei manager pubblici e dei magistrati. Gradirei sapere dal Segretario dei Ds chi dovrebbe occuparsi di ridurre questi stipendi. A quanto ne sappia, non discendono da norme che gli stessi interessi si autoassegnano, ma dipendono direttamente ed indirettamente da norme approvate dal Parlamento, cioè da parte di quello stesso organo di cui lui, insieme alla gentile consorte, fa autorevolmente parte. Ed ho pure letto con interesse la dichiarazione del Francesco Rutelli che si scandalizza di fronte alla liquidazione milionaria dell'amministratore di Capitalia Matteo Arpe, confrontandola con il costo del Senato. Il Vicepremier margheritino dimentica però che le banche sono soggetti privati, mentre così non è con i compensi di deputati e senatori che provengono dalle tasse pagate dai cittadini. Sull'altro versante, chi la butta in polemica politica, si dimentica o fa finta di dimenticare che sui costi del Palazzo le distinzioni sono inesistenti, tanto che anche durante il governo di centrodestra non sono certo diminuiti. Infine, ho riflettuto su quanto ha detto ieri l'altro vice premier Massimo D'Alema, che ha innescato l'avvio di questo dibattito politico. Però, quando si cominciava a parlare del problema dei costi della politica, il medesimo D'Alema in un'intervista televisiva dello scorso anno, minimizzò il problema e lo collocò nell'oceano della spesa pubblica, ottundendo così il problema. Adesso si è reso conto che la gente ha capito che non è esattamente come lui diceva e ammette che i costi della politica sono un problema vero. Ma conoscendo chi dovrebbe poi occuparsene, la prende alla larga, confermando la proposta della riduzione del numero dei parlamentari, che, com'è noto, richiede una modifica della Costituzione. In pratica il percorso più strutturale ma certamente il più lungo. E per adesso che facciamo? (domenica 27 maggio 2007).


 

Il Mattino di Padova 27-5-2007  Padre Luciano Bertazzo. Parla il francescano che dirige il Centro studi antoniani al Santo La provocazione cristiana "Vicini all'inquietudine umana, senza imporre verità" Ruini o Martini? La domanda di senso nel bene e nel male è insita nel nostro dna Tra fede e ragione esiste una dialettica ma non c'è antitesi" GABRIELLA IMPERATORI

 

PADOVA. Energico e dolce, colto ma semplice, Padre Luciano Bertazzo risponde senza insofferenze anche a domande che lui stesso definisce provocatorie ("Ma non è un rimprovero", scherza, "è perché i temi che toccano sono provocanti"). O che vengono banalizzate dai concerti mediatici. Risponde con serenità e insieme apertura problematica, senza impuntature di principio ma con attenzione evangelica all'inquietudine delle persone qualunque. Proprio per questo vien voglia di moltiplicare le domande stesse, che sono le domande eterne o quelle contingenti dei laici che s'interrogano sui problemi ultimi, sul senso della vita, sui rapporti fra scienza e fede, sul dolore e sul Male. E su come inserire questi interrogativi nelle complesse dinamiche della società in mutamento nella quale viviamo. Dopo la crisi o la morte delle ideologie politiche, si avverte un rinnovato interesse per la religione, magari anche solo per contrastarla. Sto pensando a libri come quello di Odifreddi "Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)". Il capufficio stampa di un grande editore confessa che basta mettere in copertina il nome di Gesù per assicurarsi il successo di un libro. Da che cosa dipende? "La domanda di senso, nel bene e nel male, è insita nel Dna dell'uomo. Però, proprio per la caduta di molte sicurezze, riemerge oggi come uno dei fili che attanagliano o liberano questo bisogno eterno che l'uomo si porta dentro: e quando l'attanaglia rischia di diventare fondamentalismo, quando lo libera cerca il dialogo (anche con le altre religioni) tentando di riportare in luce la dimensione della fede come valore che appartiene all'umanità. La dialettica fra fede e ragione che attraversa prepotentemente il dibattito di questi tempi sottolinea due percorsi che non sono antitetici ma possono incontrarsi, pur nei loro codici diversi. Poi però è vero che c'è una letteratura che volutamente si contrappone, e dentro la quale ci sono, spesso, concetti superati. E ci sono casi che la stampa monta e amplifica, il che sta a indicare un conflitto fra religione istituzionalizzata e mercato delle religioni, dove uno prende quel che più gli aggrada. Comunque, per citare scherzando una battuta di Woody Allen, "Dio è morto, Marx pure e anch'io non mi sento tanto bene"". Nel suo film "Centochiodi" Olmi immagina come potrebbe essere Cristo se tornasse fra noi, e lo vede non come "l'uomo del libro", ma come l'uomo dell'amore per le persone, ribelle a una religiosità sclerotizzata. "Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con gli amici". "Dio non parla coi libri, che servono qualunque padrone". "Sarà Dio a dover rendere conto di tutta la sofferenza del mondo". Cosa pensa di queste frasi, inserite nel contesto del film, e di questo Gesù? "Non ho ancora visto il film, ma mi pare che riporti a galla domande antiche, come quelle del dialogo fra Alioscia e Ivan nei "Fratelli Karamazov", secondo me un grande trattato di teologia dove si sottolinea la tensione continua fra l'istituzione e l'intuizione. Che credo sia una ricchezza, anche se la sintesi perfetta non la si troverà mai fra queste due dimensioni che giocano in modo dialettico e vanno colte proprio per la provocazione che lanciano. Ma è vero che la fede si trova di più nelle persone, nei rapporti, nell'amore. Penso a Madre Teresa che diceva di essere "la matita di Dio", penso all'Abbé Pierre, a tutti coloro che sono stati e sono a contatto con le sofferenze del villaggio (oggi villaggio globale). D'altra parte il libro vale anch'esso: se "I fratelli Karamazov" continuano a parlarci è proprio perché il libro ci ha trasmesso quel messaggio. Perciò non dobbiamo diventare tanto iconoclasti da voler inchiodare ogni libro, perché ricadremmo in un'altra forma di fondamentalismo: possiamo tuttavia lasciarci incantare da questa provocazione, da questo Gesù che se venisse fra noi non abiterebbe il tempio ma girerebbe in modo anonimo per le strade. Credo che Olmi abbia rilanciato un'idea che ha sempre percorso la storia della Chiesa: da Sant'Agostino a San Francesco a Santa Teresa d'Avila, a Giovanni Bosco e altri: che secondo me sono le punte emergenti di grandi iceberg. Figure che danno risposte convincenti alle domande che continuano ad attraversare l'inquietudine del cuore umano". Cristo è stato anche un grande rivoluzionario? "Più che rivoluzionario, direi che resta dentro la legge, ma le dà un'interpretazione che supera la sclerosi dell'istituzione". Oggi, più che nella rassegnazione del passato, è molto sentito il dramma del "silenzio di Dio" nella sofferenza, specie in quella provocata dal male di cui i lager sono incancellabile icona. Primo Levi ha detto: "C'è Auschwitz, dunque non può esserci Dio". "Certamente non ci è tolto il turbamento della domanda, anche se altri testimoni dello Sterminio, come Elie Wiesel, sostengono che proprio lì Dio c'è: con le vittime. La risposta più convincente che ho è che quando l'uomo dimentica Dio, allora Auschwitz è possibile. Non è Dio a permettere Auschwitz, è chi cancella Dio che lo rende possibile. Come uomo di Chiesa, comunque, non ho mai assunto il ruolo di colui che impone delle verità in cui si deve credere, ma di un uomo che fa compagnia all'inquietudine di un altro. Posso dire che credo nelle risposte della fede all'interno di un percorso; non posso importi nulla, ma ti sono vicino nella tua domanda. E nel tuo cammino sai che ti sono amico e compagno". Come mai la Chiesa, specie quando parla ufficialmente, non perde occasione di sottolineare ossessivamente le "colpe" variamente legate al sesso? Perché tanto accanimento contro la procreazione assistita, la legge sull'interruzione di gravidanza, i Dico, l'omosessualità, e molto meno sull'ingiustizia, l'evasione fiscale, il costume mafioso? E perché soprattutto in Italia, che fra i Paesi cattolici sembra essere diventata la terra di "riconquista"? "Qui distinguerei. Forse oggi, più che un discorso sul sesso (che invece è meno ossessivo di una volta), si fa un discorso legato al tipo di rapporti che vengono a determinarsi all'interno delle società, col rischio di minare la struttura della società stessa. Vedrei quindi, da parte della Chiesa, un discorso più sociologico che strettamente morale". "Ma perché la Chiesa non ammette il contraccettivo, neppure in terre di Aids, perché in qualche modo obbliga all'obiezione i medici e i politici cattolici, perché rifiuta i funerali religiosi a Welby? Son cose difficili da mandar giù. "Concordo. Ma si tratta di cercar di illuminare il guado che stiamo attraversando, di dare dei punti di riferimento, di non oscurare un sistema di valori molto radicato. Poi ci sono le domande concrete, a cui occorre essere vicini". Non si tratta anche di prove di forza da parte della Chiesa per misurare il proprio potere di contrattazione con lo Stato? "C'è questo rischio, certo. Non sono tanto idealista da pensare che si tratti sempre di affermazioni di principio. Quanto ai paesi cattolici, a parte la Francia già da tempo fortemente laicizzata, c'è stato qualcosa di analogo al Family Day in Spagna. Forse bisogna chiedersi perché in Italia si debba arrivare allo scontro, ed è legittimo quello che lei dice, cioè che l'Italia, che ha una tradizione di valori cattolici forti, è davvero un territorio adatto alla "riconquista". Però io penso che siano legittime tanto la manifestazione di piazza S. Giovanni quanto quella di piazza Navona. Mi sento vicino a quel che diceva il cardinale Martini: ascoltiamo le domande della gente senza venir meno ai valori che proponiamo, anche se sono di minoranza. Certi valori, come l'indissolubilità del matrimonio, sono ideali da proporre, da conquistare, non da cui partire. Accompagnando l'uomo, come dicevo, nella complessità del suo cammino, senza giudicare. Ma vorrei aggiungere qualcosa. A sentire i media, pare che la Chiesa sia solo Ruini, Bagnasco, Bertone. Pensiamo invece anche al gruppo Abele, o ai tanti altri che lottano ogni giorno a contatto di chi soffre. Quanto alle altre colpe individuali e sociali, ricordo che i francescani, fin dal 1200, si sono inseriti nei grandi laboratori delle città, per esempio pronunciandosi contro l'usura". Si parla spesso delle "due Chiese": per semplificare, quella di Martini e quella di Ruini. Non è che la verità sia in divenire, che cambi? "No, la verità è qualcosa verso cui camminare: è diverso. Ma dialettiche opposte ci sono sempre state. Ad Antiochia c'è stata la Chiesa di Pietro e quella di Paolo, quella più legata all'istituzione e quella più aperta a nuovi orizzonti. In queste dialettiche è difficile fare una sintesi, per cui lo stesso cristiano sceglie le posizioni che gli sono più vicine. Però in questo momento siamo insabbiati in orizzonti bassi, e anche polarizzare la dicotomia fra Martini e Ruini è volare basso, mentre si dovrebbe ossigenare la contrapposizione in una visione più alta". Scienza e religione sono spesso state vissute come due opposti, e lo sono tuttora: ma è possibile un rapporto non conflittuale? "Sì, nella misura in cui ognuna riconosce i propri codici, le proprie sfere d'azione. Come diceva Galileo: "La Bibbia mi insegna come si fa ad andare in cielo, non come funziona il cielo"".

 


 

Il Riformista 27-5-2007 Propongo un’aquila bicipite come stemma per la repubblica italo-vaticana FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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  Cara Europa, non condivido la decisione isolata di Cinzia Dato ma sono anch’io con le valige in mano, soprattutto perché non capisco a chi guarda il Pd per l’Italia: Prodi, Napolitano,Ratzinger, Montezemolo, Berlusconi? Quel ch’è successo giovedì tra Roma, Firenze e Milano è allucinante. IGNAZIO MONACO, TARANTO

Caro Ignazio, cerca ancora di resistere nonostante le delusioni per i comportamenti del futuro Pd a Taranto (elezioni amministrative di domani): del resto, hai visto che le dimissioni di Cinzia Dato non hanno commosso nessuno nella Margherita. Il problema che tu poni è serio per un partito, il Pd, che si candida a partito dello Stato. Giovedì abbiamo visto l’inesistenza e l’inconsistenza dello Stato, della politica e della nazione italiani. Mentre il presidente della repubblica indicava a Firenze le politiche per i “cittadini” (in famiglia o no), da Roma il papa gli replicava indicando la politica per i “cattolici” (solo famiglia) e quel prete dalla faccia un po’ così che si chiama Betori faceva cadere l’anatema anche sul testamento biologico, pronto a risfoderare la spada di latta di Pezzotta.
Dunque, proponiamo alla repubblica di sostituire il suo bruttissimo stemma ciclistico con l’aquila bicipite dell’Austria-Ungheria e della Santa Russia: un sola corona per due teste. L’aquila bicipite s’addice anche al conflitto tecnocrazia-politica, col marchese Montezemolo a capo degli ottimati che criticano, come piace anche agli elettori, i politici: problema già risolto da Berlusconi (il “più ottimo” degli ottimi) che ha unito popolo e ottimati, salvo far nulla o granché per l’uno e per gli altri, salvo il regalo finale della coscialunga Brambilla, pseudocandidata ottima per pubblicizzare calze femminili. E infine aquila bicipite per elettori e tifosi, uniti dall’interesse nazionale per la coppa dei campioni: altro che sette milioni di italiani in povertà, aiuti alla famiglia, laicità dello stato, scuola e università, giovani lavoro e casa, più reddito e meno tasse.
Come vedi, ci sono argomenti e spazio per polemiche a 360 gradi. Inutile smarrirsi in battaglie solitarie e personali. Ricordati che quando Montanelli volle dare un segnale agli inquieti come te, fondò un giornale, che era un partito.


 

La Repubblica 27-5-2007 Truffa sugli apparecchi acustici - paola cascella

 

Bologna Oltre 200 le prescrizioni fittizie di protesi per una spesa di 280mila euro. Così veniva beffata l'Ausl Truffa sugli apparecchi acustici Chiesto il rinvio a giudizio per 17 persone: 6 sono medici PAOLA CASCELLA Soldi naturalmente, ma anche frigoriferi, borse, vacanze, e persino un posto di lavoro per il marito disoccupato: in cambio della prescrizione di apparecchi acustici che non servivano, alcune tra le ditte più importanti del settore ringraziavano così gli otorini convenzionati con l'Usl, che si dimostravano disposti ad attestare il falso. E pazienza se il macheggio si traduceva in uno spreco di danaro pubblico, circa 280mila euro negli ultimi anni, e in una truffa a tutti gli effeti al Servizio sanitario nazionale (235 i casi scoperti, sempre nella totale inconsapevolezza dei pazienti). E' il quadro emerso da un'indagine dei pm Antonella Scandellari e Antonello Gustapane e del Nas dei Carabinieri, che ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio per truffa aggravata ai danni del Servizio sanitario nazionale, falso ideologico e corruzione di 17 persone, tra dirigenti di società e medici. Le ditte finite nell'inchiesta sono il "Centro acustico italiano", "l'Emilfon", un paio di filiali dell'Amplifon, "l'Audifon e Drusiani". Sei gli otorini coinvolti. Richiesta di rinvio a giudizio anche per il marito di una dottoressa che redigeva i moduli di prescrizione di protesi acustiche fittizi. E, secondo la Procura, una delle spie più chiare della corruzione, sarebbe stata proprio l'assunzione dell'uomo da parte di una delle ditte. Il meccanismo messo in piedi dalle società fornitrici di ausili protesici e dai otorini convenzionati, secondo i pm era molto accurato. L'otorino C. L, per esempio non si tirava indietro neanche se c'era da prescrivere, naturalmente su ricettario del Ssn, una semplice riparazione della protesi acustica ad una signora, che per altro non era stata neppure visitata. L'operazione non veniva fatta, ma la ditta, in questo caso il Centro acustico italiano, non disdegnava di intascare i 617 euro previsti dall'Ausl. Stesso copione per la sostituzione del vecchio apparecchio (e il successivo collaudo) ad un altro paziente. L'otorino prescrive, la ditta fornisce la protesi, l'Ausl paga: 1200 euro, stavolta. Peccato che, soldi a parte, (quelli sì sono veri), tutto sia solo sulla carta. Il paziente non è mai stato neppure contattato. Era stata l'Azienda Usl stessa a mettere in moto le indagini con una segnalazione del 2004. Infatti il sistema di controlli periodici aveva fatto emergere picchi anomali nella fornitura di apparecchi acustici, e il dato era stato segnalato alla Procura e al Nas dei Carabinieri. Il meccanismo avrebbe avuto vari passaggi: la falsa certificazione di esecuzione di esami audiometrici, visite specialistiche e operazioni di collaudo mai eseguite, che così portavano alla liquidazione da parte dell'Ausl dei costi delle protesi fornite dai centri acustici.


INDICE 26-5-2007

 

+ La Repubblica 26-5-2007 Bankitalia. Aumentano gli assegni scoperti famiglie sempre più in sofferenza. Secondo Bankitalia nella seconda metà del 2006 gli cheque in bianco emessi da  cittadini pari a 365 milioni di euro sono saliti del 16,6%  1

+ La Stampa 26-5-2007 Iraq, Bush pensa ad un taglio delle truppe  1

Europa 26-5-2007 Perché Silvio l’ha presa così male  2

L’Unità 26-5-2007 Cara Unità, la lettura dell'elenco dei componenti il Comitato Nazionale per il Partito Democratico ci ha portato, d'istinto, a scrivere queste poche righe. Alberto Antonetti, Roma. 3

Il Riformista 26-5-2007 Basta con la crociata tecno-populista Sono per gli sprechi, sprechi democratici di Francesco Cossiga  4

La Repubblica 26-5-2007  Sanità, strappo a sinistra Genova Sei consiglieri regionali avevano chiesto l'apertura di una inchiesta sull'ospedale San Martino. Il sindacato boccia l'iniziativa  4

La Repubblica 26-5-2007 I regali dello stato ai Moratti 200 milioni alla loro raffineria CARLO BONINIE WALTER GALBIATI 5

Il Corriere della Sera 25-5-2007 Chirac, spunta un conto segreto in Giappone La notizia diffusa dal settimanale satirico francese Le Canard Enchaîné - Francesco Tortora  8

Corriere delle Alpi 26-5-2007 I FINANZIAMENTI UE Solo due mesi di tempo per presentare i progetti 8

Il Piccolo di Trieste 26-5-2007 All'assemblea dei vescovi Coppie di fatto Mons. Bagnasco apre sui diritti 9

Il Cittadino 26-5-2007 Fiorani: "La Bpi poteva rimanere autonoma" L'ex amministratore delegato ha indirizzato a Gronchi una lettera aperta  9

 


 

+ La Repubblica 26-5-2007 Bankitalia. Aumentano gli assegni scoperti famiglie sempre più in sofferenza. Secondo Bankitalia nella seconda metà del 2006 gli cheque in bianco emessi da  cittadini pari a 365 milioni di euro sono saliti del 16,6%


ROMA - Famiglie italiane sempre più con il fiato corto: nella seconda metà dello scorso anno il volume di assegni scoperti emessi dai singoli cittadini è salito del 16,6 per cento a 365 milioni di euro, una differenza di oltre cinquanta milioni di euro rispetto al periodo giugno-dicembre 2005, quando l'importo complessivo era risultato pari a 313 milioni di euro. I dati si ricavano elaborando le cifre contenute nel Supplemento al Bollettino Statistico della Banca d'Italia, dedicato al sistema dei pagamenti.

Dal rapporto di via Nazionale, si evince che il maggior numero di assegni in bianco è stato emesso dalle famiglie del Mezzogiorno: 65.318 di 'cheque', ben il 14,4% in più rispetto al secondo semestre 2005.


 

+ La Stampa 26-5-2007 Iraq, Bush pensa ad un taglio delle truppe

 

Pelosi all'attacco, il Presidente sarebbe disposto ad ascoltare l'opposizione

WASHINGTON
L’amministrazione di George Bush valuta un taglio del 50 per cento entro il giugno 2008 del numero dei militari americani di stanza in Iraq. Lo scrive il quotidiano New York Times. Il piano secondo le fonti prevede una riduzione del contingente Usa fino a 100mila unità.
Di conseguenza, l’offensiva anti-guerriglia lanciata nei mesi scorsi a Baghdad e nella provincia di al-Anbar potrebbe cambiare caratteristiche in modo significativo: ai soldati Usa si chiederebbe soltanto di addestrare i militari iracheni e di liquidare le cellule terroristiche di Al Qaida.
Se le indiscrezioni del Times rispondono a realtà, si chiarisce meglio il risultato del braccio di ferro durato mesi fra la Casa Bianca repubblicana e il Congresso, a maggioranza democratica, che ha cercato di legare la legge sul rifinanziamento della missione irachena alla promessa di un ritiro delle truppe.
Bush ha posto più volte il veto alle leggi approvate in proposito da Camera e Senato. Infine, il Congresso ha ceduto giovedì con l’approvazione di una legge senza scadenze per il ritiro e proprio ieri sera Bush ha firmato il provvedimento nella residenza presidenziale di Camp David, ben 109 giorni dopo l’invio al Congresso di una richiesta di finanziamenti ’urgentì.
Dopo il passaggio parlamentare, però, la battagliera presidente democratica della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, aveva detto di attendersi un «chiarimento» della politica presidenziale. «È evidente che in autunno ci muoveremo in una direzione differente», aveva commentato invece il leader della minoranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell. «Mi aspetto che il presidente ci guidi». E La Casa Bianca starebbe prendendo in conto le esigenze di maggioranza e opposizione.
All’orizzonte del resto ci sono le presidenziali del novembre 2008. Se i numerosi candidati democratici protestano per l’«eredità Iraq», il lascito è altrettanto scomodo da gestire per qualunque candidato vinca le primarie repubblicane, e il partito insiste con Bush (che è al secondo mandato e non può ricandidarsi) affinché apra una via d’uscita dal «pantano iracheno».

 


Europa 26-5-2007 Perché Silvio l’ha presa così male

Prodi l’ha presa male, se l’è legata al dito, e Montezemolo sa che cosa questo significa con il presidente del consiglio. Prima o poi gliela farà pagare. Comunque, in generale, anche lasciando stare l’orgoglio di classe rifondarolo e la suscettibilità del premier, la sortita di giovedì è caduta male nel centrosinistra.
Niente però in confronto a come l’ha presa male Berlusconi.
Che da l’altroieri ha disseminato ogni apparizione pubblica e commento privato di battute acide verso il presidente di Confindustria. C’è ruggine da tempo, si sapeva. Aver avuto i vertici imprenditoriali all’opposizione – sia pure per poco e non tutti, ma con l’apporto dei loro giornali – è stata un’offesa per l’ex presidente del consiglio. Il feeling montezemoliano con Casini peggiora ora le cose. Ma questo non spiega una reazione così acre.
Berlusconi ha bisogno di rivendicare che l’unica creatura legittimata a rappresentare la koiné populistico-liberale è, appunto, Berlusconi medesimo. A Prodi piacciono poco le critiche, ma s’è visto tante volte in passato che invece il capo della destra solo una cosa davvero non sopporta: le invasioni di campo.
La linea di confine fra politica e antipolitica: campo suo. Le partite Iva: campo suo. La cultura assistenzialista della sinistra: campo suo. La sicurezza dei cittadini: campo suo. Gli sprechi dello stato: campo suo.
Considerato che Montezemolo non è portatore fin qui di alcun progetto politico alternativo (e non lo sarà: parola di Paolo Mieli), la reazione di Berlusconi deve interessare il centrosinistra. Perché da un lato testimonia della cattiva coscienza di un leader che sa di aver tradito le aspettative della sua gente. E dall’altro illumina la strada da battere: facciamoci passare presto il fastidio per le prediche dell’Auditorium, e costruiamo invece su tutti quei temi – fondati e, come si vede, nervi scoperti dell’avversario – la risposta democratica più rapida e incisiva.
Democratica, appunto.


 

L’Unità 26-5-2007 Cara Unità, la lettura dell'elenco dei componenti il Comitato Nazionale per il Partito Democratico ci ha portato, d'istinto, a scrivere queste poche righe. Alberto Antonetti, Roma.

 

Non speriamo di poter dire qualcosa di particolarmente nuovo; del resto, già i nostri leader nazionali, Fausto Raciti e Pina Picierno, hanno bene espresso tutto il disagio dei tanti ragazzi e ragazze che militano nelle nostre organizzazioni e che scoprono che nel Comitato Nazionale non c'è una persona che sia under 40. Abbiamo deciso dunque di non soffocare la nostra delusione. La passione profusa da noi, dalle nostre iscritte e dai nostri iscritti è stata intensa e determinata ai congressi dei rispettivi partiti. Ci siamo detti, ed abbiamo sentito ripetere tante volte, che il Pd dovrà essere il partito di chi nel 2010 avrà venti anni. Ci sorge, solo un dubbio amaro: ma se è questo l'obiettivo, siamo sicuri che affidarlo in esclusiva a chi aveva già più di 20 anni nel 1990 sia il modo migliore per raggiungere questo obiettivo? È il tanto auspicato rinnovamento che noi tutti vogliamo? È chiaro che è grande la fatica nel cambiare, ma è così ripida è la salita su cui stiamo camminando da impedirci di trovare, su quarantacinque nomi, almeno uno rappresentativo del mondo dei giovani, di coloro i quali hanno fatto la differenza alle ultime elezioni politiche e di avere anche un po' di dinamismo giovanile? Appare chiaro anche a noi che cambiare non è mai facile; costruire un "Partito Nuovo" lo è ancora di meno. Ci aspettiamo che sul territorio si segua una logica diversa. Se è vero che il Partito Nuovo ha un senso soprattutto per chi non ha vissuto le divisioni del passato, sarebbe grottesco (e, soprattutto, fortemente nocivo per il conseguimento del risultato finale) se quanto detto finora non trovasse applicazione nella realtà. Se, poi, il riformismo è la capacità di saper dialogare al fine di poter realizzare e condividere le proprie convinzioni e se fra queste c'è anche la necessità del rinnovamento, non possiamo non chiederci quanto sia veramente riformista il criterio che è stato adottato, aspetteremo di capirlo quando noi tutti voteremo la Costituente del Partito Democratico. Salvatore Dore, Stefan Cok Giovani della Margherita e Sinistra Giovanile La crisi della politica? Ascoltiamo Reichlin e Don Ciotti Cara Unità, Massimo d'Alema lo ha detto a chiare lettere, dalle colonne del "Corriere della sera"; "È in atto una crisi della credibilitàdella politica che tornerà a travolgere i l paese con sentimenti come quelli che negli anni '90 segnarono la fine della prima repubblica". Così inizia l'articolo di Roberto Cotroneo sull'Unità qualeche giorno fa. Alfredo Reichlin al Congresso della Sinistra giovanile aveva fatto in un intervento una affermazione ancora più dura e pesante. "La classe dirigente di questo paese è praticamente scomparsa, è di una qualità infima, e non soltanto guarda con gli occhi del passato... A me sembra sempre più il tema centrale della riforma della politica". Eppure nessuno ne ha riferito, nemmeno succintamente. E don Ciotti a Locri il 4 novembre "...Per dire ai giovani che siete grandi, ma proprio grandi; ma state attenti, state attenti, io sono stanco di sentire come anche in questi giorni è stato detto, che voi siete il nostro futuro, Voi siete il nostro presente. O oggi si creano le condizioni per un sano vostro protagonismo e per creare i percorsi di reale partecipazione, o ci prendiamo in giro tutti! Ecco io credo che il discorsi di Reichlin e di don Ciotti a Locri debbano essere pubblicati integralmente dall'Unità... altrimenti poi dobbiamo inseguire gli argomenti di Bruno Vespa. Francesco Spinelli Troppe manipolazioni: etica e informazione... vogliamo parlarne? Cara Unità, etica e politica, è l'argomento sui cui si stanno scatenando i nostri opinionisti. E di etica e informazione nessuno parla? La berluscanizzazione di questo paese che ha contagiato non solo le istituzioni ma anche la società civile la si deve prima di tutto alla totale perdita di rigore morale dei giornalisti, non tutti naturalmente, che, con la loro libido dello scandalo, nel migliore dei casi assumono posizioni di perbenismo complice di fronte alle mascalzonate poniamo di Belpietro o di Guzzanti o di Farina (già che fine ha fatto quel gentiluomo?) e nel peggiore le mascalzonate le compiono sul serio facendo un uso politico della calunnia, che rimbalza su tutti i giornali anche quando si tratta di un avvenimento lontano e già chiarito (cfr. Visco). Tutti riferiscono "scrupolosamente" il "fatto" invece di smontarlo con sdegno, se è solo un chiaro siluro contro un uomo politico, chiunque esso sia. Poi, naturalmente, tutto si sgonfia, ma intanto rimane il torbido, e rimane il senso di nausea dei cittadini per la classe politica. I signori dell'informazione sono molto peggio dei politici e non ne hanno il sospetto. Milli Martinelli Due parole a Rosy Bindi a proposito di famiglia e Costituzione Cara Unità, l'Art. 29. della Costituzione non è poi così lungo, e anche se mi rivolgo ad una rubrica di lettere ad un giornale, credo si possa citare per intero. È composto di soli due commi, due frasi, le seguenti: "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare". Ebbene, il ministro Rosy Bindi, cui tanti meriti e tanto equilibrio viene riconosciuto, a Firenze, ha parlato di "famiglia disegnata dalla Costituzione". Pensiero che in tutta evidenza presuppone: finché la Costituzione è questa (e il Popolo sovrano ha per nostra fortuna da poco detto che questa deve rimanere) la famiglia è quella disegnata dalla Costituzione. Posso esprimere il mio dissenso? Posso sostenere che la Costituzione non disegna (per giunta una volta per tutte), nessuna famiglia, ma semmai "riconosce i diritti" di qualcosa, che da secoli evolve nelle sue forme, e che appunto richiede che siano leggi ordinarie, a stabilirne di volta in volta i limiti? Possibile che questa banalissima realtà debba sottostare alle "voglie" di una gerarchia, che in nessun caso ha titolo per metterci becco; anche avendo ed esercitando ampiamente il diritto di dire la propria, non certo quello di condizionare il Parlamento Italiano? Vittorio Melandri, Piacenza Montezemolo: ancora una "discesa in campo"? Mi ricorda qualcosa... Cara Unità, leggendo le cronache della "discesa in campo" di Montezemolo mi confortavo da solo, pensando: "ma chi può pensare che questo personaggio rappresenti davvero novità e cambiamento, con tutti i soldi che la collettività da anni investe per salvare le sue aziende, con sovvenzioni, cassa integrazione, incentivi, ecc.?". Poi mi sono ricordato che le medesime cose le pensavo 13 anni fa, all'epoca di ben altra discesa in campo. E mi sono preoccupato. Perché temo che la voglia di cambiamento sincera che viene dalla società italiana venga ancora una volta convogliata verso tutt'altri obiettivi. Alberto Antonetti, Roma.

 


 

Il Riformista 26-5-2007 Basta con la crociata tecno-populista Sono per gli sprechi, sprechi democratici di Francesco Cossiga


Sul tema “gli sprechi della politica” è cominciata la crociata tecno-populista contro la politica. Io sono per gli sprechi. Da tempo chiunque si occupi di scienza della politica sa che la democrazia, con le sue istituzioni dal basso, con i partiti, con i sindacati quasi obbligatori, con le elezioni, è il regime più costoso che esista. E, nonostante quello che ha scritto il grande sociologo Weber, è il regime degli “incompetenti” e cioè dei politici. Mi ritorna alla mente quel che diceva Winston Churchill, cui la libertà deve molto meno che a un competente della City: «Mi si deve spiegare perché sia una professione amministrare dei condomini e non governare un Impero!» E lui si vantava di nulla capire né di economia né di finanza. Io sono per la democrazia, anche a costo degli sprechi. E io ho rinunciato a tutti i “privilegi” che le normative del Quirinale, non essendovi in Italia come negli altri Paesi, una legge al riguardo, assegnano agli ex-capi dello Stato. E avevo rinunciato anche alla scorta, ma mi hanno dimostrato che qui la legge c’è, e me l’hanno prescritta. Tra i senatori ho uno dei più bassi redditi. Ma io sono per le comunità montane, per le circoscrizioni, per le province e per tutto ciò che significa partecipazione popolare, anche se non... azionaria. Sono perché tutte le cariche pubbliche siano retribuite. Non arrivo a sostenere che il capo dello Stato debba essere retribuito come il presidente di una banca, o che il sindaco di Roma debba avere la retribuzione del direttore della filiale romana di una cassa di risparmio.
Purtroppo ha cominciato, certo per delicatezza morale, il presidente della Repubblica, censurando praticamente quegli “spendaccioni” dei suoi predecessori, da Einaudi in poi… Ma di questo parlerò un’altra volta. E ora lo segue il presidente del Senato. E pensare che io accettai la richiesta del governo Craxi di accettare una diminuzione del trenta per cento della indennità presidenziale e Scalfaro rinunziò all’esenzione fiscale che è applicata per tutti i capi dello Stato del mondo. E Ciampi non si fece applicare gli aumenti previsti dalla legge. Scialacquatori. Ma perché non agevolare le piccole e medie industrie riducendo a cinque i ministri, a trenta i deputati e a quindici i senatori? E le elezioni teniamole ogni dieci-quindici anni: che sprechi si eviterebbero. E poi, facciamo fare gli esami per ammettere i candidati a qualunque tipo di elezioni, salvo che non abbiano un certo reddito. Ché non si ripeta lo scandalo della Gran Bretagna dove uno scaricatore del porto come il sindacalista Bevin divenne addirittura ministro degli Esteri. E ora parte la magistratura, sentendo il vento che spira anche dal Colle, e comincerà a inquisire i politici spendaccioni. Comunque io tra la parca tecno o plutocrazia e la democrazia spendacciona, preferisco sempre la democrazia.


 

La Repubblica 26-5-2007  Sanità, strappo a sinistra Genova Sei consiglieri regionali avevano chiesto l'apertura di una inchiesta sull'ospedale San Martino. Il sindacato boccia l'iniziativa

 

La Cgil contro il Forum delle sinistre: "Proclami elettorali" Il segretario della Funzione Pubblica: "Abbiamo imboccato la strada del confronto" GIUSEPPE FILETTO Uno SCONTRO inatteso e quasi imbarazzante, che avviene a mezzo di comunicati stampa ed a meno di 24 ore dal voto. Con un documento a sorpresa ieri la Cgil-Funzione Pubblica ha preso le distanze dal Forum delle Sinistre, dai sei consiglieri regionali di Rifondazione, Pdci e Unione a Sinistra che il giorno prima da una parte avevano chiesto alla giunta regionale un'inchiesta sull'ospedale San Martino, dall'altra di stoppare la nascente Agenzia Regionale della Sanità. "L'iniziativa dei consiglieri regionali, fatta in questo momento, ha il chiaro sapore pre-elettorale", scrive Eugenio Leri, segretario della Funzione Pubblica-Cgil di Genova. Uno strappo pesante, quello di ieri, tutto interno alla sinistra, tanto che la risposta (anzi, le risposte) non si è fatta attendere. "è quantomeno stravagante il comportamento della Cgil - sentenzia però Tirreno Bianchi, capogruppo dei Comunisti Italiani in Regione - prima denunciano, presentano atti e documenti, poi si tirano indietro e non si rendono responsabili di quanto detto". Lo scorso novembre una delegazione di operatori sanitari del San Martino, capeggiata dai sindacalisti della Cgil, aveva chiesto un'audizione alla Terza Commissione Sanità. "Con tanto di denunce ai carabinieri, finora mai confutate da nessuno - precisa Marco Nesci di Rifondazione - ci hanno descritto una situazione disastrosa. Ciò che valeva ieri, vale ancora oggi: è tutto registrato". I consiglieri di Via Fieschi partono da questo per chiedere al presidente Claudio Burlando e all'assessore alla Sanità, Claudio Montaldo, "una svolta nella politica sanitaria". "L'Agenzia Regionale della Sanità non è una priorità, così come si sta delineando rischia di sovrapporsi al sistema sanitario esistente e dunque chiediamo di bloccare la nomina del direttore generale, individuato in Franco Bonanini, attuale direttore generale della Asl savonese", dicono i rappresentanti del Forum. Criticano la scelta del direttore dell'Agenzia, "avvenuta senza consultare la maggioranza, ma decisa tra Ds e Margherita". Montaldo da parte sua fa sapere che la creazione dell'organismo non si può fermare: "Per il buon funzionamento della sanità pubblica". L'iniziativa di Franco Bonello (Unione a Sinistra), Nesci, Bianchi e degli altri svela però "il grave problema politico" all'interno del centrosinistra, tanto che giovedì prossimo dovrebbe esserci un incontro di verifica. "Ma riprendere oggi le denunce di sei mesi fa, dopo che la commissione (della quale fanno parte tanti di questi consiglieri) non ha prodotto alcun risultato, appare quantomeno strumentale, è un passaggio di chiara campagna elettorale - dice Leri - . Nel frattempo, noi abbiamo imboccato un'altra strada: il confronto con la direzione ospedaliera". Il sindacato più rappresentato al "San Martino" considera quegli esposti pressoché superati, scegliendo invece la via della concertazione.


 

La Repubblica 26-5-2007 I regali dello stato ai Moratti 200 milioni alla loro raffineria CARLO BONINIE WALTER GALBIATI

 

INCHIESTA Quei milioni dello Stato alla raffineria di Moratti Sul mare di Sarroch, 25 chilometri da Cagliari, costa sud-Orientale della Sardegna, si leva la più grande raffineria di petrolio del Mediterraneo. Quindici milioni di tonnellate di greggio lavorate ogni anno (300 mila barili al giorno), pari a un quarto della capacità di raffinazione italiana. Una grande mammella in cui pompano petrolio e succhiano carburanti clienti come "Shell", "Repsol", "Total", "Eni", "Q8", "Tamoil". è un gioiello industriale di proprietà dei Moratti. è il cuore della "Saras", l'azienda di famiglia. Ma, negli ultimi dieci anni, il denaro che lo ha reso tale è uscito dalle casse dello Stato. Circa 200 milioni di euro elargiti a fondo perduto, attraverso tre "Contratti di programma" cui hanno messo la firma i presidenti che si sono succeduti nel tempo alla guida del Cipe (il Comitato interministeriale per la programmazione economica). Nomi importanti del centrodestra e del centrosinistra (Giancarlo Pagliarini, Carlo Azeglio Ciampi, Vincenzo Visco, Mario Baldassari, Domenico Siniscalco e Giulio Tremonti), specchio del rapporto bipartisan con la politica della famiglia Moratti. Ai Moratti, quei 200 milioni di euro sono costati un nulla in termini finanziari. E, soprattutto, hanno reso bene. Perché, una volta rinnovati gli impianti, la famiglia ha potuto affacciarsi in Borsa quotando una "Saras" tirata a lustro e dunque fare cassa. SEGUE A PAGINA 18.

I regali dello Stato ai Moratti 200 milioni alla loro raffineria Ogni posto in più è costato fino a un milione di euro gli aiuti alle imprese Ecco come sono finiti i tre contratti di programmi concessi alla Saras L'insuccesso dei progetti alternativi in ricerca, biotecnologia, informatica investimenti La società realizza complessivamente investimenti nel suo core business per 508 milioni di euro per i quali riceve dalla mano pubblica 197 milioni altre attività Nelle attività collaterali (che non sarebbero mai nate senza gli aiuti), si investono 83,8 milioni e si ricevono 58,2 come agevolazioni. Spesa netta: 25,6 milioni (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Oltre due miliardi di euro. Di cui un miliardo e 700 milioni percepiti da Massimo e Gian Marco Moratti e soltanto 360 milioni (frutto di un aumento di capitale) messi a disposizione del gruppo. I "Contratti di programma" sono una leva di politica economica per incentivare le imprese a realizzare progetti strategici in aree depresse in periodi di transizione e il loro valore viene per lo più misurato nella creazione di nuovi posti di lavoro. Tra il 1995 e il 2004, la "Saras", caso pressoché unico tra le aziende che ne hanno beneficiato (tra queste, Eni e Fiat), di contratti di programma ne firma tre. Uno dietro l'altro. "Saras I", "Saras II", "Saras III". Sulla carta, interessano solo in parte gli investimenti industriali nella raffineria (attività estranea, del resto, allo spirito dei contratti di programma). Ma soltanto sulla carta. Nel dettaglio, i tre accordi hanno una struttura simile. Una parte riguarda appunto gli investimenti industriali nello stabilimento di Sarroch, l'altra investimenti collaterali in progetti di ricerca. Ad oggi, dei tre contratti stipulati, solo il "Saras I" si è chiuso, mentre gli altri due devono ancora essere sottoposti alla verifica finale del raggiungimento degli obiettivi. Un passaggio che consente al gruppo di approvare un bilancio in cui i finanziamenti pubblici vengono trasformati dalla voce debiti verso lo Stato in quella di sovvenzioni a fondo perduto. Ecco dunque cosa è accaduto. Il "Saras I" Il piano viene presentato nel 1992 e, accanto agli interventi in raffineria, prevede iniziative nel settore dell'ecologia marina e agro-alimentare. Nel 1994, però, "Saras" presenta un aggiornamento. Viene scorporata una parte degli investimenti industriali, che verranno sviluppati in "project finance", per costruire all'interno della raffineria di Sarroch un impianto di rigassificazione con cui l'azienda si dota di una centrale elettrica - la "Sarlux" - che le consente di accedere all'accordo Cip 6. E dunque di cedere, al Gestore della Rete, l'energia elettrica prodotta con gli scarti della raffinazione (curiosamente considerati assimilate a "fonti rinnovabili") a una tariffa che, nel 2006, è il doppio di quella standard: 136 euro a Megawattora contro una media di 75 (l'accordo, giudicato da più parti scandaloso, è in vigore fino a gennaio 2021, pur assicurando il recupero degli investimenti in soli cinque-sette anni). La seconda parte del "Saras I", invece, cambia radicalmente. Si punta alla creazione di un "Centro Ricerche Associato" (Cra) su progetti ambientali e iniziative nelle biotecnologie. Gli investimenti previsti sono di 252 milioni di euro. Di questi, 209, pari all'83% del totale, sono destinati alla raffineria con un contributo pubblico di 58 milioni (il 66% dei fondi assegnati al contratto) e i restanti 42 sono per le altre iniziative. Ma quasi tutti a carico dello Stato, che mette a disposizione altri 30 milioni di euro. La verifica e chiusura del contratto, fissata per il 31 dicembre 1999, slitta curiosamente al 10 febbraio 2001. I verbali della commissione di accertamento finale sulla realizzazione del contratto affermano che i risultati sono stati in linea con gli obiettivi fissati. Era prevista la creazione di 277 posti di lavoro e si è arrivati a 282 (ma non è chiaro se vengano o meno conteggiati i lavoratori reintegrati dalla mobilità). A ben vedere, però, è difficile parlare di un successo, come sottolinea la stessa relazione dell'Unità di valutazione degli investimenti pubblici del Dipartimento Sviluppo Economico (Mise). La spesa pubblica media per ogni occupato è stata di 312 mila euro, quasi il doppio rispetto agli altri contratti di programma chiusi nello stesso periodo e nessun nuovo progetto, estraneo alla raffineria, è sopravvissuto a lungo dopo la conclusione del contratto. Le iniziative nelle biotecnologie sono bocciate dallo stesso verbale della commissione, mentre il "Progetto Ambiente" si esaurisce velocemente. Alcuni occupati finiscono nella società "Saras Ricerche". Altri cercano di avviare una cooperativa (la "Talos"), cessata già nel 2001, e altri ancora sono riassorbiti dalla "Battelle", la multinazionale americana, partner tecnico di Saras nell'iniziativa. Anche la "Sartec", società nata insieme al contratto, viene ridimensionata e si salva solo grazie alla sua conversione nella fornitura di servizi per la capogruppo Saras. Sorte simile tocca anche al "Centro Ricerche Associato", che evita la chiusura confluendo parzialmente in "Saras Ricerche", senza aver mai prodotto un solo nuovo brevetto. Il "Saras II" è a partire però dal secondo contratto di programma che si nota meglio come la raccolta di investimenti pubblici sia funzionale soltanto all'ottenimento delle agevolazioni per l'ammodernamento della raffineria. Gli investimenti industriali diventano ancora più pesanti e per essere compensati con un'adeguata creazione di posti di lavoro, la Saras sceglie di affiancarli questa volta con servizi per l'informatica (Information & Communication Technology), attività tradizionalmente caratterizzate da un forte impatto occupazionale. Peccato che il fallimento di questa parte dell'iniziativa arrivi addirittura prima della conclusione del contratto. A Macchiareddu (Assemini, Cagliari) doveva nascere la "Città dell'Innovazione", un polo distrettuale attivo in settori ad alto contenuto tecnologico. Per ogni iniziativa era prevista la costituzione di una nuova società, partecipata sempre dal gruppo Saras attraverso una holding ("Atlantis") e, in ragione dei diversi filoni di investimento, da un partner tecnico. Tra questi, la società "Il Sestante" e "Bnl Multiservizi", dell'omonimo gruppo bancario. Nulla di tutto ciò accadrà. Il Contratto "Saras II" viene approvato il 26 giugno 1997 e inizialmente prevede per la raffineria lavori per 185 milioni, il 54% dei quali a carico dello Stato, con la creazione di 50 posti di lavoro. La "Città dell'Innovazione", invece, ha un costo complessivo di 57 milioni di euro, (il 66% in agevolazione pubblica), con un obbiettivo di 196 posti di lavoro. Mentre gli investimenti industriali giungono a termine nel 2002, la "Città dell'Innovazione" nasce già morta. I contrasti tra i soci e l'inadeguatezza scientifica dei partner portano a un ridimensionamento dell'iniziativa, che trova conferma nella riscrittura del contratto il 3 maggio 2001. Gli investimenti per la "Città dell'Innovazione" scendono da 57 a 34 milioni di euro con l'inspiegabile crescita in percentuale dell'agevolazione pubblica e dell'occupazione (che sale da 196 a 250 unità). "Saras" approfitta della rinegoziazione per aumentare anche gli investimenti per la raffineria a 220 milioni di euro, con un contributo pubblico che cresce da 101 a 112 milioni, a fronte di una nuova occupazione di 75 unità contro le 50 originarie. Manca ancora la verifica finale del Contratto (per la messa in liquidazione di "Atlantis" e il subentro nelle attività di un nuovo soggetto, la "Saras Lab"). Ma i numeri evidenziano ancora una volta come la raffineria sia l'unico interesse per la "Saras". E come il secondo filone degli investimenti sia solo servito per diluire il costo affrontato dallo Stato per creare posti di lavoro. Su una spesa totale di 254 milioni di euro, ben l'87% è stato destinato all'impianto di Sarroch, come del resto è finito alla raffineria l'82% delle agevolazioni pubbliche (112 milioni su totale di 137 milioni). Gli investimenti in raffineria (111 milioni di euro) hanno creato 75 posti di lavoro per un costo unitario a carico del pubblico di 1,5 milioni di euro. Un'enormità se confrontato con la media di 109 mila euro per posto di lavoro dei 10 contratti di Programma siglati dal Cipe tra il '92 e il '99. Né il dato è destinato a diventare lusinghiero se anche in sede di verifica dovesse essere riconosciuto al "Saras II" la creazione di 250 posti di lavoro. Perché, anche in questo caso, il costo per ogni nuova unità di lavoro sarà di 421 mila euro, il quadruplo della media degli altri contratti di programma. Curioso anche il destino delle attività di Information Tecnology. La holding "Atlantis" finisce in mano ai soci de "Il Sestante", mentre tutte le altre attività non liquidate passano o sotto "Saras Lab" o sotto "Akhela", la società del gruppo "Saras" che ha raccolto l'eredità di tutte le controllate dal secondo al terzo Contratto di Programma. Il "Saras III" Nel terzo contratto di programma, gli investimenti in raffineria sono controbilanciati ancora una volta da iniziative ad alta intensità di lavoro, come la creazione di un call center, tra l'altro mai avviato. Si ripropone la scommessa sull'Information & Communication Technology (Ict). E, per questo, vengono rianimate società già finanziate nei passati contratti come "Saras Ricerche", "Sartec" e "Saras Lab". Il Contratto viene siglato il 10 giugno 2002. Prevede investimenti in raffineria per 92 milioni di euro (41,55 di sovvenzione pubblica) con la creazione di 22 nuovi posti di lavoro e investimenti nell'Ict per 23,4 milioni (10,34 a carico dello Stato) con una stima di 313 nuovi occupati entro il 2003. Mentre gli investimenti in raffineria vengono portati a termine nel 2004, con la proroga di un anno rispetto alla previsione, le altre iniziative, come nel "Saras II", sollecitano i Moratti a rinegoziare il contratto "per intervenute turbative nel mercato del settore", compromettendo anche i finanziamenti industriali. Nel dicembre 2004, il Cipe firma il nuovo accordo. Il termine per gli investimenti è fissato a dicembre 2005, ma gli aiuti pubblici per la raffineria, a parità di posti occupati, scendono da 41,55 a 27,5 milioni, mentre quelli nell'Information technology da 10,3 a 2,9 milioni e i nuovi posti di lavoro da 313 a soli 55. Non è ancora stata redatta la verifica finale, ma come annota l'Unità di valutazione degli investimenti pubblici, si tratta di un nuovo fallimento. Su 85,91 milioni di investimenti, il 92% sono stati destinati alla raffineria, così come il 90% delle agevolazioni (27,5 milioni su un totale di 30,4). Ogni nuovo lavoratore della raffineria è costato allo Stato 1,25 milioni di euro, una media assolutamente al di fuori dei parametri di altri contratti di programma, controbilanciata solo in parte dai nuovi posti creati nell'Information technology. Nel complesso, i posti di lavoro del terzo contratto Saras sono costati alle casse dello Stato 405 mila euro l'uno. "Saras I", "II" e "III". Tiriamo le somme. è evidente come il "business" tra lo Stato e i Moratti sia stato non solo sbilanciato, ma di gran lunga ripagato dai contributi pubblici. Con i tre contratti, Saras realizza investimenti in raffineria per 508 milioni di euro, per i quali ne riceve dallo Stato 197,17. Nelle attività collaterali, invece (che non avrebbe mai fatto), la società della famiglia Moratti investe complessivamente 83,8 milioni, ricevendone contemporaneamente 58,2 in agevolazione. Il che vuol dire, una spesa netta di 25,6 milioni di euro. Ora, non è difficile capire come 25,6 milioni di euro possano ben valere una contropartita a fondo perduto di 197,17 milioni di euro (un finanziamento come questo, sul mercato, oltre a prevedere il rimborso del capitale, costerebbe circa il 5-6% l'anno in interessi). Né evidentemente è di conforto sapere che il "gioco" è costato allo Stato tra i 400 mila e il milione di euro per ogni nuovo lavoratore "creato" dai Moratti.

 

Il gruppo: i posti creati durano tuttora "Tutto concordato e alla luce del sole" la difesa La Saras risponde così all'inchiesta di Repubblica: "La società ha utilizzato in modo trasparente i soldi dello Stato, usufruendo di uno strumento per incentivare gli investimenti e creare nuovi posti di lavoro. E parecchi. A Macchiareddu non c'era nulla. Ora ci sono centinaia di persone che lavorano. Il Contratto di programma ammette che un grande gruppo riceva finanziamenti da indirizzare su un suo asset, come la raffineria, e in cambio crei nuova occupazione in altri settori. I contratti poi sono minuziosamente codificati e la Saras li ha sempre rispettati alla lettera. Per questo motivo il gruppo dei Moratti è riuscito ad averne ben tre. Del resto il primo contratto si è chiuso bene e da poco è arrivato in Saras un parere positivo per il secondo Cdp, che lascia presagire un'altra chiusura favorevole. Le variazioni subite dai contratti sono state concordate con lo Stato e a fronte di alcune revisioni sono state fatte le corrispondenti rinunce alle agevolazioni. In ogni caso i posti di lavoro creati durano tuttora, a dimostrazione del fatto che la scelta di finanziare i grandi gruppi è stata cruciale. Solo gruppi come Saras sono in grado di ricapitalizzare le start up, sostenere le perdite e mantenerle in vita fino al loro consolidamento. La spesa massima per occupato poi è stabilita per legge. Esistono parametri europei che variano a seconda della regione geografica. Insomma pesa il "cosa fai" e "dove lo fai"".

 


 

Il Corriere della Sera 25-5-2007 Chirac, spunta un conto segreto in Giappone La notizia diffusa dal settimanale satirico francese Le Canard Enchaîné - Francesco Tortora

 

Due magistrati avrebbero acquisito documenti che ne dimostrano l'esistenza. Ne ha parlato anche l'ex capo dell'intelligence di Parigi                 STRUMENTI

PARIGI - Jacques Chirac avrebbe un conto segreto in Giappone su cui sono stati depositati nel corso degli anni oltre 45 milioni di euro. Due magistrati francesi, Jean-Marie d'Huy et Henri Pons avrebbero acquisito documenti giudicati «esplosivi» che dimostrerebbero l'esistenza del tesoro. I giudici sarebbero in possesso di rendiconti bancari e di alcune note firmate dall'ex capo dell'intelligence francese, Gen Rondot, carte che non era possibile consultare fino a quando Chirac è stato presidente in carica.

TRE DOSSIER - La notizia della possibile esistenza del conto segreto è stata diffusa dal settimanale satirico francese Le Canard Enchaîné: i dossier che riguardano Chirac in mano ai magistrati sono tre e s'intitolano «Japanese Affair», «Affair of PR1» a «Affair of PR2». A parlarne la prima volta sarebbe stato proprio Gen Rondot, a marzo dello scorso anno durante un interrogatorio: secondo il generale alcuni agenti segreti avrebbero scoperto per caso questo conto alla Tokyo Sowa Bank nel 1996 mentre stavano investigando sulle credenziali finanziarie di un uomo d'affari giapponese amico di Chirac che voleva fare degli investimenti in Francia.

ACCUSE RITIRATE - Secca la smentita dell'entourage dell'ex presidente: «Chirac non ha mai posseduto conti esteri in Giappone». Secondo le agenzie d'informazione francesi l'ex presidente francese potrebbe essere ascoltato dai due magistrati il 17 giugno: il giorno prima scadrà la sua immunità presidenziale, esattamente un mese dopo che ha lasciato l'incarico all'Eliseo. Nell'ultimo interrogatorio, martedi scorso, il generale Rondot avrebbe parlato con i giudici per oltre 9 ore. Nel corso della deposizione avrebbe ritirato le accuse nei confronti di Chirac, ma secondo quanto riferito a Le Canard Enchaîné da un anonimo giudice vicino ai due magistrati che stanno seguendo il caso «i dossier avrebbero persuaso i giudici dell'esistenza di questo conto segreto di Chirac».

VERIFICA - Ora dunque bisognerà aspettare che i documenti siano verificati e poi i giudici potranno procedere: «Se le accuse fossero confermate, c'è abbastanza materiale per incriminare l'ex presidente di corruzione e di abuso d'ufficio» continua il giudice anonimo intervistato dal settimanale satirico. L'indagine cercherà di fare luce su chi ha offerto queste somme di denaro all'ex presidente e per quale motivo questi soldi siano stati versati su un conto giapponese.

 


 

Corriere delle Alpi 26-5-2007 I FINANZIAMENTI UE Solo due mesi di tempo per presentare i progetti

 

VENEZIA. Sarà l'estate decisiva per il Corridoio 5, che in mancanza di decisioni rischia di passare nel già corposo elenco delle incompiute. L'accelerazione è venuta dal voto dell'altro ieri dell'Europarlamento, che ha approvato la ripartizione dei finanziamenti delle reti di trasporto continentali: 8 miliardi di euro per una rete che richiede investimenti complessivi sui 600 miliardi. A questo punto si mettono in moto di fatto le gare di appalto: i singoli governi nazionali hanno due mesi per presentare progetti e domande di co-finanziamento; poi si passerà all'assegnazione dei fondi (30% la quota Ue per quelli transfrontalieri); infine, quelli in ritardo di realizzazione verranno cancellati dopo quattro anni. Siamo sul filo, avverte Paolo Costa, veneziano, presidente della commissione trasporti dell'Europarlamento, che parla di un vero e proprio meccanismo tritacarne europeo: "Sulla base dei criteri prioritari di accettazione, per quanto ci riguarda rientrano la Lione-Torino, il Brennero e la Trieste-Divaccia; ma perché la Ue accolga i progetti, bisogna dimostrare che entro il 2020 si faranno anche le relative tratte interne, mentre nella finanziaria rientra solo la Torino-Napoli. Quindi già nel prossimo Dpef bisognerà inserire la Milano-Trieste, la Milano-Genova e la Napoli-Palermo. E occorre anche decidere cosa fare per le tratte per cui sono state revocate le concessioni, inclusa la parte a Nordest tra Milano e Padova". Per non parlare poi della linea tra Mestre, Trieste e Divaccia, dove non c'è progetto del tutto. A ottobre la resa dei conti.


 

Il Piccolo di Trieste 26-5-2007 All'assemblea dei vescovi Coppie di fatto Mons. Bagnasco apre sui diritti

CHIESA

FIRENZE È contenta Rosy Bindi. Giovedì ha incassato l'apprezzamento del cardinale Ennio Antonelli, arcivescovo di Firenze, ieri ha portato a casa l'articolata apertura di monsignor Angelo Bagnasco, presidente della Cei. Chiudendo l'assemblea dei vescovi, Bagnasco ha detto un paio di cose fondamentali. Primo, i diritti individuali non si toccano. Secondo, il "desiderio di trovare elementi di convergenza e di incontro" fra laici e cattolici già espresso anche dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il dialogo, insomma, è riaperto. La conferenza sulla famiglia, in attesa del gran finale di stamattina con Romano Prodi intervistato da una decina di nuclei familiari comuni, elabora proposte a spron battuto. Con alcuni minimi comuni denominatori: soldi, incentivi, lavoro. Su questo sono tutti d'accordo.Rosy Bindi vorrebbe mettere le mani sul "tesoretto" e lo rivendica in modo esplicito. Il segno del successo vero, però, sta nelle notizie in arrivo da Roma. Monsignor Angelo Bagnasco ribadisce con forza le proprie posizioni e con altrettanta chiarezza apre le porte a soluzioni laiche. Risponde al presidente della Repubblica Napolitano: "Ci unisce la grande passione per il bene comune del Paese e della gente". "Il valore cui ci riferiamo - dice ancora - è quello della famiglia fondata sul matrimonio. Altrettanto chiaramente crediamo e vogliamo promuovere, là dove ci sono, veri diritti e indirizzi a cui venire incontro. Penso che questo sia volontà comune a tutti". Via libera ai Dico da parte della Chiesa cattolica? Neanche per sogno. La soluzione alla quale pensano i vescovi, già rappresentata in questi mesi, è quella del diritto privato, dove le esigenze dei singoli sono già affrontate.


 

Il Cittadino 26-5-2007 Fiorani: "La Bpi poteva rimanere autonoma" L'ex amministratore delegato ha indirizzato a Gronchi una lettera aperta    

 

"Dopo la cessione delle azioni Antonveneta, la Banca Popolare Italiana si collocava tra le aziende di credito più liquide del sistema, senza alcun bisogno di rinforzi patrimoniali e la promozione di un'operazione sul capitale di quella portata, soprattutto in quel momento, non poteva che creare i presupposti per una successiva operazione di vendita o di aggregazione, a seconda dei casi e delle parti coinvolte".Parola di Gianpiero Fiorani. L'ex amministratore delegato della Banca Popolare lo ha scritto in una lettera, datata 23 maggio, e indirizzata a chi lo ha sostituito alla guida della banca, Divo Gronchi.La lettera, che in questi giorni sta circolando anche nei corridoi della Popolare, sorprende per i suoi contenuti. Fiorani, infatti, contrattacca e punta il dito: l'aumento di capitale sarebbe avvenuto "con il terreno fertile che molti hanno sfruttato". E sempre l'ex amministratore delegato denuncia, a tale proposito, "speculazioni senza precedenti sul titolo "Lodi-Italiana", sia direttamente, sia attraverso strumenti derivati e con quantitativi enormi di titoli acquistati, in pendenza dell'aumento di capitale, da mani ignote. Sarebbe interessante conoscere chi ha beneficiato di queste plusvalenze, soprattutto grazie ad un'operazione di aumento finalizzata a restare autonomi e alla quasi contestuale, ma inusuale, ricerca di un partner, offrendo così il "destro" per speculazioni da parte di traders e segnando, nei fatti, la fine dell'autonomia dell'Istituto".Fiorani si appella a tale proposito alla magistratura, scrivendo all'attuale amministratore delegato che "la speculazione ha riguardato quantitativi "enormi" di azioni della Banca Popolare Italiana. Basti pensare alla quota di capitale che è transitata in mani sconosciute e che è possibile ricostruire attraverso l'analisi dei dati (volumi e prezzi) relativi a quel periodo. Penso che la Magistratura saprà intervenire con la consueta solerzia nell'approfondire sia le responsabilità che i fatti accaduti".Un riferimento, nella lunga lettera, è fatto anche all'avvenuta, recente fusione. Secondo Fiorani "si tratta più o meno dell'operazione che noi avevamo a suo tempo pensato per Antonveneta, solo con meno esborso in contanti e, comprensibilmente, con ruoli ribaltati. Senza retorica, penso sia, fra le Banche Popolari, quella che meglio si prestasse ad un'operazione industriale di così vaste dimensioni, oltre che quella meglio condotta, sia sotto il profilo manageriale ed umano, che di "governance", grazie alla statura dei suoi massimi esponenti. Sono altresì convinto che sia quella che saprà, meglio di altre soluzioni, salvaguardare quel territorio che a tanti, tra cui il sottoscritto, è sempre stato molto caro, oltre che valorizzare quelle straordinarie risorse professionali di cui è sempre stata dotata la Banca Popolare Italiana".Fiorani ricorda a Gronchi gli anni nei quali tra i due erano intercorsi rapporti professionali nel settore delle banche popolari: "Nel passato ho avuto con Lei numerosi incontri professionali e svariate intese sulla gestione di partecipazioni comuni. Le ricordo, solo come accenno, i suoi interventi a sostegno della Banca Popolare di Lodi per arginare l'allora atteggiamento ritenuto da più parti di "ingerenza", così sembrava, della Banca Popolare di Verona nelle società consortili partecipate da altre Banche Popolari. Il fine era di realizzare, per alcune di queste, un accordo di Governance che includesse il nostro Istituto. Ma Le ricordo anche altre iniziative sulle quali abbiamo collaborato, con l'ausilio di consulenti e uomini di fiducia, capaci di condurre a buon fine il mandato ricevuto, con estrema riservatezza e professionalità".A tale proposito Fiorani ribadisce la sua disponibilità a voler chiudere la partita con la Banca Popolare Italiana: "Non mi spiego un accanimento del genere e più ancora - scrive sempre a Gronchi - non mi dò ragione del silenzio e della indisponibilità dei Suoi legali a voler accettare un serio e sereno confronto sulle eventuali ragioni di credito nei miei confronti da parte dell'Istituto da Lei guidato". E aggiunge di non ritrovare "motivazioni plausibili nel rifiuto dell'atteggiamento da me più volte proposto di sedersi attorno ad un tavolo per discutere, secondo una prassi consolidata di un collegio arbitrale, sul merito delle richieste e sulla loro fondatezza, fermo restando le ragioni di ciascuno".L'ex banchiere lodigiano sembra intenzionato a levarsi più di un sassolino dalla scarpa, e lo fa con il suo vecchio piglio. Non esita, infatti a ricordare allo stesso Gronchi le assicurazioni date da quest'ultimo circa la volontà di mantenere autonoma la Popolare: "Quando Lei ha assunto le redini della "Lodi" - scrive Fiorani a Gronchi - si impegnò pubblicamente a difendere le sorti dell'istituto, travolto da un'ondata mediatica senza precedenti e per ragioni che, finalmente, a distanza di un anno e mezzo, emergono in tutta la loro strumentalità. Dichiarò pubblicamente e dinanzi a tutto il personale oltre che alla base sociale ed ai media, che avrebbe continuato nell'azione di consolidamento organizzativo dell'Istituto e che avrebbe promosso un aumento di capitale, come poi è avvenuto, per continuare nel cammino intrapreso per conferire stabilità all'Istituto".Questo improvviso dietrofront compiuto dall'attuale consiglio d'amministrazione della Banca Popolare è stato più volte sottolineato, sia dalla stampa che dagli stessi soci. E i vertici della Popolare hanno sempre risposto citando le pressioni ricevute dalla Banca d'Italia affinché si addivenisse a tempi brevi a una fusione.Quella stessa Banca d'Italia che mesi addietro non aveva avuto nulla da che dire sulle dichiarazioni di autonomia sbandierate ripetutamente dall'attuale consiglio d'amministrazione.


INDICE 25-5-2007

 

+ La Stampa 25-5-2007 Iraq, Bush la spunta sul Congresso Camera e Senato approvano la legge che destina 100 miliardi di dollari alle missioni in Medio Oriente  1

+ La Repubblica 25-5-2007 Discorso di Montezemolo in Confindustria. Sondaggio tra i lettori Il Link - http://www.repubblica.it/speciale/2007/sondaggi_ipr/montezemolo.html 2

+ La Repubblica 24-5-2007 IL FAMILISMO DEL BISTURI - DI CASATA IN CASATA: IL POLICLINICO DI TOR VERGATA HA AL SUO INTERNO UN FEUDO, 2

IL FAMILISMO DEL BISTURI - DI CASATA IN CASATA: IL POLICLINICO DI TOR VERGATA HA AL SUO INTERNO UN FEUDO, QUELLO DI MEDICINA E CHIRURGIA, DOVE SI VA AVANTI NON SOLO DI PADRE IN FIGLIO MA ANCHE PER PARENTELE TRASVERSALI… Anna Maria Liguori 2

Europa 25-5-2007 . A Napoli è necessario l’esercito per dare manforte al commissario FEDERICO ORLANDO RISPONDE  3

Il Corriere della sera 25-5-2007 Editoriale  La nuova borghesia di Dario Di Vico  4

Il Riformista 25-5-2007 Il problema è la debolezza della politica, non i costi di Claudia Mancina  4

L’Unità 25-5-2007 Famiglia, Rosy Bindi: Seguiremo la Costituzione  5

La Repubblica 24-5-2007 Strage Nassiriya, chiesto il giudizio per tre comandanti del contingente. La Procura militare accusa gli ufficiali di aver omesso le precauzioni contro i terroristi. Il figlio di una vittima: "Se hanno sbagliato è giusto che paghino. Ho fiducia nella magistratura" 6

Il ministro Parisi: "Fiducia e rispetto per la magistratura ma anche personale vicinanza alle vittime della strage e a chi, pur in posizioni diverse, ne è rimasto coinvolto" 6

La Stampa 25-5-2007  "Non saranno le bombe di Bush a portare libertà a Teheran" CLAUDIO GALLO  7

Puntoinformatico 25-5-2007  USA, il Congresso verso il via libera a certi spyware  8

 


+ La Stampa 25-5-2007 Iraq, Bush la spunta sul Congresso Camera e Senato approvano la legge che destina 100 miliardi di dollari alle missioni in Medio Oriente

 

IL PRESIDENTE USA ANNUNCIA: TEMO UN AGOSTO DI SANGUE

 

NEW YORK
Alla fine, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush ha ottenuto quello che voleva: una legge di spesa del Congresso per finanziare le operazioni militari in Iraq, senza alcuna data di scadenza per il ritiro. E così è stato. La Camera dei Rappresentanti Usa ha approvato la legge con 280 voti favorevoli e 142 contrari. L’iter prevede il passaggio al Senato, che potrebbe votare stanotte. Una vera e propria vittoria per la Casa Bianca, che ha posto fine al braccio di ferro durato mesi tra la maggioranza democratica e l’amministrazione Bush.

Pelosi: "Il dibattito continua"
A denti stretti, il presidente della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi si è limitata a promettere che «questo dibattito continuerà ad andare avanti». Eppure quella dei democratici è stata una vera e propria resa, costretta dal diritto di veto che il presidente Bush ha minacciato più volte di esercitare e che ha di fatto esercitato lo scorso primo maggio.

Nancy Pelosi e colleghi si sono dovuti insomma piegare alla volontà di Bush; e segnali evidenti della loro decisione di fare dietrofront rispetto agli obiettivi su cui fino a qualche mese fa non avevano battuto ciglio sono arrivati tre giorni fa, lo scorso 22 maggio, quando i democratici hanno deciso di cancellare la richiesta di un ritiro delle truppe americane entro il 2008. È stata proprio la fissazione di una data per il ritiro delle truppe americane dall’Iraq il pomo della discordia tra la Casa Bianca e la maggioranza democratica, con un braccio di ferro che è durato appunto mesi.

Bush: battuta l'iniziativa dei democratici
Già prima della notizia dell’esito del voto, Bush cantava vittoria. Nel corso di una conferenza stampa con i giornalisti che si è tenuta nel Giardino delle Rose della Casa Bianca, il presidente si era mostrato sicuro di aver avuto la meglio sui democratici. «Oggi la Camera dei Rappresentanti voterà una legge di spesa per finanziare le operazioni militari dall’Iraq nella quale non si fa alcun riferimento a un calendario fittizio per il ritiro delle nostre truppe e dal quale sono state cancellate voci di spesa inutili. Erano posizioni che alcuni democratici volevano a tutti i costi». E tutto è andato quasi secondo copione, con una più o meno visibile frustrazione da parte della maggioranza democratica.


+ La Repubblica 25-5-2007 Discorso di Montezemolo in Confindustria. Sondaggio tra i lettori Il Link - http://www.repubblica.it/speciale/2007/sondaggi_ipr/montezemolo.html

 


+ La Repubblica 24-5-2007 IL FAMILISMO DEL BISTURI - DI CASATA IN CASATA: IL POLICLINICO DI TOR VERGATA HA AL SUO INTERNO UN FEUDO,

IL FAMILISMO DEL BISTURI - DI CASATA IN CASATA: IL POLICLINICO DI TOR VERGATA HA AL SUO INTERNO UN FEUDO, QUELLO DI MEDICINA E CHIRURGIA, DOVE SI VA AVANTI NON SOLO DI PADRE IN FIGLIO MA ANCHE PER PARENTELE TRASVERSALI… Anna Maria Liguori

 

Roma

Di casata in casata: il Policlinico di Tor Vergata ha al suo interno un feudo, quello di medicina e chirurgia, dove si va avanti non solo di padre in figlio ma anche per parentele trasversali. E tra le dinastie accademiche romane ci sono quelle che da decenni hanno un potere indiscusso e quelle piщ recenti, fatto sta che il risultato и sempre lo stesso: le cattedre si moltiplicano per gli esponenti della stessa famiglia.

Prendi ad esempio Patrizio Bollero professore associato di odontoiatria figlio di Enrico Bollero direttore generale del policlinico Tor Vergata e Alessandro Dolci professore associato di odontoiatria, figlio di Giovanni Dolci, professore ordinario, docente di Clinica odontoiatrica e potente direttore del Dipartimento in Scienze odontostomatologiche alla Sapienza.

Solo qualche anno prima, quando i due rampolli stavano per diventare ricercatori, le loro strade si sono incrociate: al regolare concorso con due soli posti disponibili l’altro vincitore insieme ad Alessandro Dolci era proprio Patrizio Bollero.

Rimanendo nello stesso corso di laurea si trova Valerio Cervelli professore associato di chirurgia, primario al policlinico Casilino, nipote del professor Carlo Alberto Casciani, professore ordinario di chirurgia.

Carriera lґha fatta anche Anna Micaela Ciarrapico, figlia di Giuseppe Ciarrapico e moglie di Giovanni Simonetti professore ordinario di Radiologia. Laureata in economia, master alla London School of Economics, dopo una lunga esperienza da ricercatore a Campobasso, и diventata prima professore associato e poi ordinaria alla facoltа di medicina: forma i manager della sanitа.

E torniamo alle discendenze dirette: Raffaella Docimo, da ricercatore a professore ordinario di odontoiatria in tre anni: figlia di Rocco Docimo presidente dei chirurghi italiani e moglie di Luigi Chiariello professore ordinario di cardiochirurgia a Tor Vergata.

Cambiando dipartimento sґincontra la famiglia Di Girolamo: Alberto Di Girolamo professore ordinario a otorinolarigoiatria ha a Tor Vergata due figli, uno con lui, Stefano Di Girolamo, professore associato a otorinolaringoiatria, e lґaltro ricercatore ad odontoiatria Michele Di Girolamo.

E ancora un "figlio di", Massimo Federici professore associato di medicina interna figlio di Giogio Federici, professore ordinario di Biochimica.

Per non parlare di Enrico Finazzi Agrт professore associato di urologia figlio di Alessandro Finazzi Agrт, ordinario di Biochimica e rettore dellґuniversitа di Tor Vergata.

Nessuno mette in dubbio che, pur con parenti eccellenti, i rampolli si siano fatti strada da soli. Il dubbio di nepotismo forse puт sorgere quando padre e figlio sono proprio nella stessa cattedra come nel caso di Giovanni Fraiese ricercatore presso la cattedra di endocrinologia, figlio di Gaetano Fraiese professor ordinario di endocrinologia. Poi cґи il caso di Francesco Garaci, ricercatore a Radiologia, figlio di Enrico, professore ordinario di Microbiologia e presidente dellґIstituto Superiore di Sanitа.

La parentela stretta, quella tra padre e figlio nello stesso dipartimento, in questo caso Medicina Interna, viene a galla con Davide Lauro professore ordinario a Endocrinologia, figlio di Renato professor ordinario di Medicina Interna e preside della facoltа di medicina. E ancora Giovanni Leonardis, professore ordinario di Anestesiologia, ha accanto a lui i due suoi rampolli Carlo Leonardis, ricercatore di Chirurgia, e Francesca Leonardis, ricercatrice di Chirurgia.

Si puт continuare con Steven Nisticт, ricercatore in Medicina interna, figlio di Giuseppe Nisticт, professore ordinario di farmacologia. Chiude la classifica Chiara Pistoiese, ricercatore in radiologia, figlia di Raimondo Pistolese professor ordinario di chirurgia vascolare

 


Europa 25-5-2007 . A Napoli è necessario l’esercito per dare manforte al commissario FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, anni fa uno scienziato calcolò la ricchezza di Parigi sulla base dei rifiuti. Se questo scienziato verrà a Napoli, si accorgerà che Napoli è la città più ricca del mondo. Vorrei poi ricordare a chi di dovere che Napoli fu culla dell’Illuminismo, dei primi moti risorgimentali, e che c’è sempre un Masaniello di turno che, salito su un cumulo di tonnellate di spazzatura, trascinerà un popolo stanco, avvilito, ma sdegnato. Sempreché non apparirà prima il vibrione.
NICOLA GALLUCCIO, SCAFATI (SA)

Caro professore, sono molto arrabbiato con la sua regione e coi napoletani in genere (“napoletano” ero anch’io, quando con questo nome si designavano in Italia tutti i nati nell’ex reame, poi sostituito dalla parola “terrone”, oggi temo con espressioni più grevi, metti “camorrista”). Le cose che mi colpiscono nell’immonda vicenda sono diverse: 1) perché queste cose succedono solo a Napoli e in Campania; 2) perché tra poltrone di sindaci e governatori ci si ritrovi sempre gli stessi personaggi e ci si ritrovi pure la stessa immondizia; 3) perché napoletani e campani corrano il rischio di vedere se stessi e i propri figli travolti da colera e pestilenze (lei ricorda l’inquinamento del golfo, il “vibrione”, l’ospedale Cotugno? Come inviato speciale, fui pregato dai medici di mangiare più volte pesce del golfo da Peppone a Mergellina, per dimostrare all’allibito popolo che il colera non stava nei pesci, che si poteva mangiarli e far ripartire il mercato ittico ormai languente).
Ma soprattutto mi fanno incavolare uomini e donne di Napoli, Frattamaggiore ecc. che, intervistati dai tg, si limitano a dire banalità indecorose (“avete sentito che puzza”, “avete visto che schifo”) ma nessuno che dica mandateci l’esercito, fate una discarica per camorristi e sindaci loro complici, costruite un inceneritore o un convertitore in ogni provincia, nei luoghi scelti dal commissario governativo.
Perché la democrazia non è bordello, come invece pensano a Napoli. Rosa Jervolino dice giustamente: io non sono collusa, fate i nomi. Ma chi, i giornalisti? Semmai gli inerti procuratori della Repubblica; o magari lo stesso Bassolino, che potrebbe riscattarsi dicendo qualcosa di più sul tema cui accennava nell’intervista di mercoledì a Repubblica: «Da sindaco, la fascia tricolore la misi solo quando rappresentavo l’interesse generale… Oggi soffro quando vedo sindaci che la indossano per impedire ai rifiuti di arrivare nei loro comuni». Bassolino è riuscito a costruire 7 impianti di cdr (combustibile da rifiuti), ma non i 2 termoconvertitori dove le balle di cdr verrebbero trasformate in energia. La camorra non vuole impianti, per continuare a trasferire in treno quelle balle in Germania e farci tanti soldi: ottiene il consenso dei gonzi, dicendo che a Napoli i termoconvertitori, gli inceneritori, le discariche inquinerebbero; e trova cittadini, ministri e sindaci che sottoscrivono.
E i 4 milioni di campani che dovrebbero difendere se stessi e i figli? E dov’è un governo (un Sarkozy di sinistra, va di moda) che al risveglio faccia trovare i paesi camorristi coi blindati in piazza e i bulldozer all’opera e soldati dappertutto, tipo “Vespri siciliani”? O pretendete questo, caro Galluccio, o vi tenete munnezza e chiaviche e a Maronna v’accumpagna. In nome dell’Illuminismo.


 

Il Corriere della sera 25-5-2007 Editoriale  La nuova borghesia di Dario Di Vico

 

 

Nel commentare la relazione del presidente della Confindustria, il segretario dei Ds Piero Fassino e il sindaco di Roma Walter Veltroni hanno usato pressoché le stesse parole. Sarebbe sbagliato, hanno detto, non cogliere «la sollecitazione» che è venuta da Luca di Montezemolo perché essa esprime le domande e le aspettative del Paese. E' questo lo spirito giusto — lo stesso di cui ha dato buona prova il ministro Pierluigi Bersani nel suo applaudito intervento — per cercare di capire cosa sia successo ieri in un auditorium di Roma gremito di imprenditori arrivati da tutta Italia e mai come questa volta in perfetta sintonia con il loro capo. Piccoli e grandi industriali hanno maturato di nuovo — e confidiamo non sia solo per lo spazio di un mattino — la coscienza di riscoprirsi «nuova borghesia», classe dirigente che ha il dovere, ancor più che il diritto, di mettere in guardia la politica dalla crisi sistemica nella quale rischia di precipitare. Ridurre tutto ciò al toto-Montezemolo, ai tempi e alla modalità di una presunta discesa in campo del presidente della Confindustria è un'operazione di cortissimo respiro.

Sta succedendo molto, molto di più. Quegli imprenditori che sono stati capaci in regime di moneta unica (senza le generose svalutazioni di una volta) di riconquistare palmo a palmo decisive quote di export, ora si chiedono perché debbano essere finanziate comunità montane a pochi metri di altezza sul livello del mare, perché i consiglieri della regione Veneto abbiano diritto ai funerali gratis e perché si dilapidi denaro pubblico per tenere in piedi istituzioni quasi inutili come le province. Chiedono se la politica abbia scelto come missione quella di perpetuare se stessa e il suo ricco indotto o piuttosto non debba dedicarsi a costruire l'Italia del 2015. E stavolta i nuovi borghesi non parlano solo per sé, non hanno stilato il solito
cahier de doléances un po' gretto e corporativo, esprimono invece un sentimento largamente presente nell'intera società civile. Più libertà, apertura e mobilità sono diventate in tutti i grandi Paesi industrializzati parole d'ordine interclassiste e l'Italia non fa eccezione. Se una società demoscopica volesse provare a sottoporre i punti salienti della relazione di Montezemolo persino a un largo campione di iscritti al sindacato potremmo trovarci di fronte a qualche sorpresa. Purtroppo davanti a queste novità la politica si mostra sorda. Chiunque evidenzi con onestà intellettuale l'incapacità di dare soluzione ai problemi di fondo del Paese, sia esso il professor Mario Monti, sia il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, sia Montezemolo, alla fine viene attaccato per concorrenza sleale. Fa politica senza aver preso i voti, è il frusto refrain a cui ricorre la nomenklatura. Conta poco che abbia un'esperienza pluriennale nella costruzione dell'Europa, che nel giro di pochissimo tempo abbia creato i presupposti per il consolidamento e la modernizzazione del sistema bancario o che, come Montezemolo, sia espressione di un grande gruppo ritornato protagonista della scena mondiale. Il successo, la competenza da noi non sono ancora un documento sufficiente per accedere al diritto di critica.

Eppure la nuova borghesia non aspira a usurpare il mestiere dei politici, non coltiva l'infausta idea di fabbricare nuovi partitini. Rivendica solo il diritto-dovere di far sentire la sua voce, chiede che parole come merito, rischio e concorrenza entrino a far parte stabilmente del vocabolario politico. Ieri dopo la relazione confindustriale, per la prima volta si è intravisto tra i destinatari delle critiche chi, come Fassino e Veltroni, invece di irrigidirsi si è aperto al confronto. Può essere — lo speriamo — l'inizio di una stagione diversa nei rapporti tra politica e società civile.

25 maggio 2007


 

Il Riformista 25-5-2007 Il problema è la debolezza della politica, non i costi di Claudia Mancina


C’è qualcosa di inquietante nel dibattito sulla crisi della politica. È inquietante che l’evocazione del 1992 diventi un luogo comune. Ma il 1992 non è stata una qualsiasi crisi della politica: è stata una tragedia nazionale; una vicenda che non è stata del tutto superata, e ancora condiziona lo scenario politico. Nei molti articoli letti in questi giorni si percepisce quasi una retorica della ripetizione, senza che ci si chieda davvero se quella stagione potrebbe ripresentarsi. Anche indicare nei costi il principale peccato della politica, sulla scorta di un paio di libri fortunati, è segno di una pigrizia mentale che non aiuta affatto a capire che cosa stia succedendo, ma è parte del problema. Costi e privilegi, infatti, ci sono e devono essere ridimensionati; ma chi pensa di cominciare da lì la riforma della politica, o si illude o è in mala fede. Il problema essenziale della politica italiana, quello da cui dipendono tutti gli altri, è la sua debolezza, e quindi la sua incapacità di decidere. Se la sfiducia aumenta non è per i costi, e neanche per i privilegi. La polemica su questi aspetti certo è un condimento piccante; ma non scherziamo, in tutti i paesi democratici esiste la rabbia verso la politica e il disprezzo verso i politici. In tutti i paesi democratici i politici sono considerati, nella vox populi, interessati e disonesti. È un tratto ineliminabile della politica contemporanea, da quando ha abbandonato l’originario carattere elitario e si è pienamente democratizzata. La democrazia non è certo priva di aspetti negativi: tra questi sono sia la corruttibilità dei politici, sia il populismo moralistico delle opinioni pubbliche. Di solito queste sono tendenze presenti, ma tenute sullo sfondo dal sistema di controlli reciproci che è proprio del processo democratico.
La differenza specifica, nel nostro paese, è che la politica appare inefficiente e inutile. Imprigionata da decenni nelle stesse eterne discussioni sugli stessi problemi: la riforma delle pensioni, l’aggiornamento della costituzione, la razionalizzazione dell’amministrazione pubblica, le quote rosa (e non parliamo di alta velocità, ponti, strade, rifiuti). La politica in questo paese - di destra o di sinistra - non riesce ad assolvere una funzione di governo. Questa è la ragione della sfiducia, della disaffezione, dei venti populistici che increspano la superficie. Per questo è vero che la formazione del Partito democratico può essere una risposta, dato che dovrebbe avere l’effetto di rafforzare la capacità di governo dello schieramento di centrosinistra. Ma ciò potrà avvenire solo se i fondatori del Pd, da Prodi in giù, si renderanno conto che non basterà qualche taglio di auto blu a recuperare la fiducia. Bisognerebbe invece agire - con decisione, con chiarezza, con volontà ferma e disponibilità a correre qualche rischio - in due direzioni. La prima è quella della legge elettorale, che è la causa prossima e tutt’altro che secondaria dell’aggravamento della situazione. La dannosità della legge in vigore è ormai chiara a tutti: evitare che si torni a votare con lo stesso sistema, ritornare a un sistema che assicuri non solo il bipolarismo, ma anche un corretto rapporto elettori-eletti, è un imperativo superiore a qualunque altra esigenza, anche quella della durata del governo. Il tema non può più essere affrontato con i tatticismi e le furbizie. La seconda direzione è quella dei comportamenti soggettivi. Se si vuole riconquistare la fiducia, si deve smettere di inseguire il consenso del momento con promesse e dichiarazioni puntualmente disattese. Non si può parlare di diminuzione dei parlamentari, o di abbassamento dei costi della politica, se non si è disposti ad affrontare una battaglia all’ultimo sangue per realizzarla. Non si può continuare a parlare di donne e poi presentare un comitato promotore (o, peggio, un governo) in cui le donne sono largamente al di sotto delle attese. È il tema della credibilità, giustamente sollevato da D’Alema. Ma per essere credibili ci vuole un minimo di respiro: guardare al domani e non solo all’oggi. Guardare alla sostanza dei problemi e non solo alle posizioni reciproche. Avere degli obiettivi, non degli slogan.
Non credo che ci sarà un nuovo 1992. È abbastanza certo però che se il centrosinistra fallirà la prova di questa legislatura non solo il Pd, ma anche i suoi soci fondatori saranno spazzati via.

 


 

L’Unità 25-5-2007 Famiglia, Rosy Bindi: Seguiremo la Costituzione

 

Si parla di famiglia a Firenze. E ogni tanto anche dei Dico, i diritti per le coppie di fatto. Alla conferenza nazionale della Famiglia, il ministro Rosy Bindi spiega come l'«orizzonte comune» dell'azione del governo è l'articolo 29 della Costituzione che nella sua «formulazione letterale non implica alcuna contrapposizione tra diritti della famiglia e diritti dei singoli». E sul ddl che riguarda i Dico, di cui è titolare insieme a Barbara Pollastrini,spiega: «Il governo non ha mai voluto intaccare il plusvalore della famiglia fondata sul matrimonio, ma al tempo stesso non ha voluto discriminare i diritti delle persone in base alle scelte di vita, né creare una nuova situazione giuridica paragonabile a un matrimonio di serie B. Non siamo comunque sordi alle preoccupazioni - ha concluso - e anche al dissenso che si è manifestato verso questa proposta».

Il centrosinistra si presenta con l'astensione di almeno quattro o cinque partiti. «Non c'è nessuna proposta concreta sulla famiglia». Proprio su questo è critico con gli alleati Dario Franceschini (Ulivo): «Hanno sbagliato i ministri e i capigruppo parlamentari della maggioranza che, in modo sinceramente incomprensibile, hanno deciso di non venire qui a Firenze. Se fossero stati presenti avrebbero ascoltato la relazione equilibrata e intelligente del ministro Rosy Bindi e le parole sagge del presidente della Repubblica».

Tanti applausi e pochissimi fischi per il ministro delle pari opportunità Barbara Pollastrini che dal palco della conferenza nazionale della famiglia difende il suo progetto di legge sui Dico affermando che «nulla levano alla famiglia». Anzi, «sono un'idea di responsabilità», poi, tra gli applausi della platea, aggiunge che nella società «dobbiamo starci tutti».

«Da una Conferenza nazionale come quella che si è aperta a Firenze ci aspettiamo che prima di tutto si parli di politiche familiari - dice Gianna Savaris, del Consiglio direttivo del Forum delle associazioni familiari - e non di politiche per la denatalità, per il lavoro, per la povertà, che vanno bene, ma sono impostate sull'individuo piuttosto che sulla famiglia come vero e principale soggetto di tali politiche». «Dopo aver ascoltato i primi discorsi - spiega - occorre valutare l'impostazione che prenderà questa Conferenza, se terrà nel debito conto ad esempio il concetto di sussidiarietà, facendo sì che sia riconosciuta e promossa la capacità della famiglia di essere un soggetto sociale in grado di rispondere ai propri bisogni». L'esponente del Forum delle associazioni familiari nota ancora che «è emersa una impostazione per persone, per categorie, per età, mentre il soggetto-famiglia è rimasto in ombra».

Diverso il giudizio di Gayleft. «Con le parole coraggiose pronunciate a Firenze il Presidente della Repubblica Napolitano ha clamorosamente smentito l'impostazione palesemente discriminatoria della Conferenza di Firenze data dal Ministro per la Famiglia Bindi - dicono i portavoce nazionali, Andrea Benedino e Anna Paola Concia -, che aveva escluso dalla lista degli invitati i rappresentanti delle associazioni famigliari degli omosessuali e delle coppie conviventi». «Il Presidente Napolitano - affermano gli esponenti di Gayleft - ha infatti affermato che "è parte del discorso pubblico sulla famiglia la soluzione, che comunque non può essere elusa, dei problemi per quanto delicati di un riconoscimento formale dei diritti e dei doveri di unioni che non sono confondibili o equiparabili rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio". Concordiamo con Napolitano: seppur distinti dalla famiglia fondata sul matrimonio, i problemi delle coppie di fatto fanno parte del discorso pubblico della famiglia e le istituzioni hanno il dovere di non eludere un loro riconoscimento formale».

 


 

La Repubblica 24-5-2007 Strage Nassiriya, chiesto il giudizio per tre comandanti del contingente. La Procura militare accusa gli ufficiali di aver omesso le precauzioni contro i terroristi. Il figlio di una vittima: "Se hanno sbagliato è giusto che paghino. Ho fiducia nella magistratura"

 

Il ministro Parisi: "Fiducia e rispetto per la magistratura ma anche personale
vicinanza alle vittime della strage e a chi, pur in posizioni diverse, ne è rimasto coinvolto"

 

ROMA - Colpevoli di non aver protetto i loro uomini a Nassiriya. Il procuratore militare di Roma Antonino Intelisano, è convinto che i tre ufficiali responsabili della base militare non adottarono tutte le precauzioni per difendere la "Maestrale" dall'attacco di kamikaze terroristi. La Procura ha chiesto il rinvio a giudizio di due generali e un colonnello dei Carabinieri con l'accusa di "aver colposamente omesso di approntare una serie di misure idonee alla difesa della base".

In serata il ministro della Difesa Arturo Parisi esprime "fiducia e rispetto" per l'operato della magistratura, ma anche "personale vicinanza" alle vittime della strage di Nassiriya, ai loro familiari e a coloro che "pur in posizioni diverse, ne sono stati coinvolti". Una solidarietà, quindi, anche per gli alti ufficiali per cui è stato chiesto il giudizio.

Gli ufficiali coinvolti. Quattro anni dopo la strage del
12 novembre 2003 costata la vita a 19 italiani, i magistrati militari chiedono di processare i generali dell'esercito Vincenzo Lops e Bruno Stano, che si sono avvicendati al comando del contingente, e il colonnello dei carabinieri Georg Di Pauli, comandante della Msu, l'unità specializzata multinazionale dell'Arma che aveva il suo quartier generale proprio nella Base Maestrale.

"Omissione di precauzioni". I tre ufficiali devono tutti rispondere del reato previsto dall'articolo 98 del Codice penale militare di guerra (omissione di provvedimenti per la difesa militare), che punisce "il comandante che, per colpa, omette di provvedere ai mezzi necessari alla difesa dell'opera di cui ha il comando, ovvero trascura di porli in stato di resistere al nemico".

Le accuse agli ufficiali. In particolare, sempre secondo quanto si è appreso, al colonnello Di Pauli la Procura contesterebbe di non aver adeguatamente protetto l'ingresso della base con posti di sbarramento, escobastian (grandi contenitori pieni di ghiaia) e altre predisposizioni.

Per quanto riguarda invece i generali Lops e Stano, l'aspetto specifico dell'accusa riguarda la mancata predisposizione di un dispositivo di difesa idoneo nel suo complesso, anche in relazione a una serie di warning, cioè allarmi relativi a possibili attacchi.

Un'indagine durata quattro anni. Il procuratore Intelisano ha aperto l'inchiesta all'indomani della strage. In questi anni ha acquisito molte testimonianze e una mole enorme di documenti, a cominciare dalle due relazioni tecniche sull'episodio redatte da un generale dell'Esercito, Antonio Quintana, e da uno dei carabinieri, Virgilio Chirieleison.

Due perizie contrastanti. Secondo quanto trapelato, entrambe sottolineano il comportamento esemplare dei militari all'interno della base: risposero prontamente al fuoco proveniente dal camion-bomba, scongiurando probabilmente conseguenze ancora più gravi. Ma le due relazioni sarebbero arrivate a conclusioni diverse rispetto al quesito fondamentale: la base della Msu era sufficientemente protetta?

"Un facile obiettivo". In uno dei rapporti, verrebbe sottolineata l'adeguatezza complessiva del dispositivo di protezione; l'altro evidenzierebbe invece alcune carenze. Lo stesso
Abu Omar al Kurdi, un terrorista legato ad Al Qaeda arrestato dagli americani a Falluja e reo confesso di aver organizzato sia la strage di Nassiriya sia altre decine di attentati in tutto l'Iraq, ha dichiarato in almeno due diversi interrogatori agli investigatori italiani che venne deciso di colpire il comando dell'Arma perché facile obiettivo di un'autobomba.

Il figlio di una vittima: "Ho fiducia". "Se gli ufficiali responsabili della base militare hanno sbagliato, allora è giusto che paghino". Così Marco Intravaia, figlio dell'appuntato
Domenico Intravaia, morto nell'attentato, commenta la richiesta di rinvio a giudizio per i tre ufficiali. "Prima di arrivare alla decisione della richiesta di rinvio a giudizio - dice il giovane che aveva 15 anni quando rimase orfano - i magistrati militari avranno fatto le loro valutazioni, ma ritengo che se si poteva fare qualcosa per evitare quella strage, allora è giusto che i responsabili paghino. Resto comunque fiducioso nella magistratura. Saranno i giudici a decidere se davvero i tre ufficiali vanno rinviati a giudizio o no".

(24 maggio 2007)


 

La Stampa 25-5-2007  "Non saranno le bombe di Bush a portare libertà a Teheran" CLAUDIO GALLO

 

INVIATO A TEHERAN
La flotta più potente del mondo sta gonfiando i suoi muscoli a stelle e strisce nello stretto di Hormuz, ma la formicolante vita di Teheran procede ignara: si cerca di metter insieme il pranzo con la cena facendo due o tre lavori mentre l’inflazione corrode i risparmi, come i 10 milioni di tubi di scappamento corrodono i polmoni.

Sta pensando all’affitto, al mutuo da pagare, al costo dei figli quel tizio allampanato con la barba sfatta che cammina in fretta con una vecchia borsa di pelle in mano. Che in un prossimo futuro possano piovere bombe atomiche tattiche americane sui siti nucleari iraniani è un pensiero remoto, la maggioranza crede che alla fine si arriverà a un qualche tipo di dialogo. I giornali danno la notizia delle manovre con tutti i particolari ma senza enfasi. Non si nasconde la sincronia con la storia dell’uranio ma il dispaccio dell’UsNavy citato vuole rassicurare: «Le manovre non sono dirette contro alcun Paese». Il termometro della paura sale però quando si ascoltano gli intellettuali, specialmente i più critici: la democrazia, sì certo la vorrebbero ma non al seguito dei missili Cruise. Il governo invece lancia di tanto in tanto messaggi bellicosi per rispondere alle minacce americane, esercizio di retorica diretto più al pubblico internazionale che a quello interno.

Lo scorso venerdì a guidare la preghiera sulla spianata davanti al cancelli dell'università da cui prese avvio la Rivoluzione islamica nel 1979, c’era Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, il 72enne intramontabile Talleyrand iraniano, la cui popolarità è grande quasi quanto la sua fama di faccendiere: Akbar Shah lo chiamano i maligni. Tra salve di «Hashemi che Dio ti protegga» e altre più di maniera «Morte all’America», «Abbasso Israele», ha ricordato «la brillante storia di autodifesa del nostro Paese». Certo, si riferiva alla guerra con Saddam, ma chi voleva capire capiva. «Se gli americani mettono da parte l’arroganza, potremo costruire un Iraq più sicuro». Dunque trattare si può ma «il nucleare è diritto di ogni Stato e non accetteremo precondizioni». Poi la condanna dell’atomica, già espressa dalla Guida suprema l’ayatollah Khamenei: «Un danno per l’umanità». Sembrava che il disincantato Rafsanjani pensasse a come uscire dallo stallo salvando la faccia all’Iran.

Nella stessa città, ma su un altro pianeta, in un appartamento affollato di sindacalisti semiclandestini, il pessimismo del 50enne Moshen Hakimi, membro dell’associazione degli scrittori, «attivista anti-capitalista», buon conoscitore delle prigioni, è profondo. «Qui c’è gente che lavora da due anni senza paga, fabbriche che chiudono, contratti che durano 15 giorni. Come si fa a vivere così? Sì, Bush è capace di attaccare ma sarebbe solo un gesto di aggressione imperialista. Non ci aspettiamo niente di buono».

Su un pianeta ancora diverso, nel centro della capitale, incontriamo Emadeddin Baghi, 45 anni, campione della lotta contro la pena di morte (se gli iraniani avessero potuto scegliere il Nobel l’avrebbero dato a lui e non alla Ebadi). Alto, ieratico, barba curata a tratti bianca, completo grigio chiaro, colletto all’occidentale, presiede l’associazione per i diritti dei detenuti («tutti, non solo quelli politici»). Un uomo corpulento con la bocca piegata da una cicatrice gli parla di suo fratello scomparso in prigione. Appena libero, si getta nella discussione: «Solo Dio sa se gli americani ci attaccheranno. Ahmadinejad e Bush sono due lame di una forbice che distrugge la libertà. Il Congresso Usa ha stanziato un centinaio di milioni di dollari per la democrazia in Iran, grazie tante ma non li vogliamo. Adesso il regime ha un altro pretesto per arrestare gli oppositori: per loro siamo tutti sul libro paga della Cia. Ho proposto invano che gli americani scrivessero chiaramente a chi vanno i soldi. Dobbiamo avere la forza di opporci all’uso strumentale dei diritti umani».

A Nord di Teheran, un signore distinto con i baffi, blazer blu e cravatta scura di Valentino apre la porta di un’elegante casa a due piani. E’ il professor Davoud Hermidas Bavand, 66 anni, esperto di geopolitica, già consulente del ministero degli Esteri dello Shah e dell’Onu, oggi pungente critico liberale del regime. Anche lui crede che il cambiamento debba venire dall’interno e non dall’esterno. «Quando il Congresso Usa dice che la decisione di attaccare l’Iran deve passare attraverso il suo voto riconosce che è già nell’agenda. Da De Gaulle in Algeria a Nixon in Vietnam abbiamo esempi di come i grandi Paesi spesso alzino il livello dello scontro per arrivare in posizione vantaggiosa al dialogo. Ma talvolta ci si trova in un vicolo cieco e allora l’unica via d’uscita dalla crisi è aprire una crisi più ampia». Insomma un altro piano B di Bush, che Dio ce la mandi buona.

 


Puntoinformatico 25-5-2007  USA, il Congresso verso il via libera a certi spyware

 

La Camera dei Rappresentanti del Congresso statunitense ha approvato la proposta di legge presentata dalla democratica Zoe Lofgren che prevede un inasprimento delle pene per i reati collegati all'uso di malware al fine di ottenere informazioni riservate sui privati cittadini. La norma dovrà ora passare al vaglio del Senato, dove si era arenata già in tre diverse occasioni durante la passata legislatura: il testo attuale tuttavia include delle modifiche sostanziali, che vanno nella direzione delle obiezioni sollevate dai senatori che l'avevano respinto in precedenza. In sostanza la legge denominata SPY Act equipara ad un reato federale l'ottenimento illecito, attraverso un sistema informatico fraudolento, di informazioni personali, quali dati di accesso o numero di carta di credito: l'ordinamento USA prevede in questo caso pene molto severe, come multe fino a tre milioni di dollari per ogni infrazione e pene detentive fino a cinque anni. Lo SPY Act presenterebbe tuttavia dei punti controversi. Suscita qualche perplessità il criterio di "eccezione relativa alla sicurezza" che questa legge introdurrebbe per garantire alcuni produttori di tecnologie collegate alla diagnosi a distanza, supporto tecnico e verifica delle licenze. In pratica la norma prevede una scappatoia per permettere a strumenti come DRM di continuare a funzionare, ma consentirebbe anche la sopravvivenza delle forme meno invasive di spyware: i produttori verrebbero sollevati dall'obbligo di chiedere il permesso al proprietario del computer per installare le proprie applicazioni. "Concentrarsi sui cattivi soggetti e le condotte criminali è preferibile ad un approccio che criminalizzi la tecnologia o imponga notifiche e moduli di consenso obbligatori", si è giustificata il deputato Lofgren: "(Il provvedimento, ndR) prende di mira le forme peggiori di spyware senza penalizzare eccessivamente l'innovazione tecnologica". Tra i principali critici dello SPY Act c'è la Electronic Frontier Foundation: la Commissione Federale del Commercio e il Dipartimento di Giustizia avrebbero già pieni poteri per perseguire questo tipo di infrazioni, e la nuova norma restringerebbe il numero di reati che queste due istituzioni avrebbero la possibilità di perseguire. I cittadini verrebbero inoltre privati del diritto di intentare una causa (singola o collettiva - la cosiddetta Class Action) contro le aziende responsabili delle violazioni: tale possibilità sarebbe riservata unicamente al Procuratore Generale dello stato in cui il crimine ha avuto luogo. Una situazione in cui in pratica i cittadini non potrebbero difendersi legalmente dallo spyware. La EFF cita come esempio il celebre caso del rootkit Sony-BMG: se questa norma fosse esistita allora, le cause intentate in California contro il colosso asiatico, che diedero ragione ai consumatori, probabilmente non avrebbero avuto luogo. La nuova legge poi non garantirebbe alcun aumento significativo nei fondi stanziati a favore delle istituzioni federali deputate a combattere i malware: le procure federali e la Commissione sarebbero quindi impossibilitate a perseguire tutti i presunti responsabili, diminuendo l'efficacia della lotta a questo tipo di reati.


INDICE 24-5-2007

Italia Oggi 24-5-2007  Ferrante: una battaglia non ancora vinta Nessun passo in avanti nella lotta alla corruzione nella pubblica amministrazione. 1

L’Adige 24-5-2007L'esecutivo entro giugno vuole intervenire sulle spese. Marini: dobbiamo dareun segnale: ridurre i parlamentari "Bisogna tagliare i costi della politica" La Lega attacca: Unione che pulpito, ha cento persone al governo  2

La Repubblica 24-5-2007Primi tagli a comuni e province il 15 giugno il ddl del governo Bertinotti: sui costi della politica ora servono i fatti Scure su consiglieri e assessori. Nel mirino anche le circoscrizioni Dalla Cdl aperture a Marini. Parisi: il Palazzo produce troppo poco CARMELO LOPAPA  2

Italia Oggi 24-5-2007  Ieri il parlamento europeo ha approvato il regolamento per la ripartizione degli 8 miliardi ai Tens. To-Lione, ultima chiamata dalla Ue Progetto a luglio per avere i fondi. 3

Europa 24-5-2007 Santoro e i pedofili: la tv pubblica deve rispettare tutti e non creare zone franche per nessuno. FEDERICO ORLANDO RISPONDE  4

L’Unità 24-5-2007 Guzzantosky contro i Quattro Marco Travaglio  4

Il Cittadino 24-5-2007 Navi Usa nel Golfo, Teheran: "Pronti a difenderci" n Si impennano le tensioni tra Iran e Usa, mentre mancano cinque giorni a un incontro bilaterale sull'Iraq  5

ANSA 23-5-2007 Sono 45 i membri del comitato promotore nazionale per il Partito Democratico  6

Il Riformista 24-5-2007 COMITATO PD: I NOMI Non capiamo la ratio E Parisi ci conforta  6

La Stampa 23-5-2007 "Troppi debiti? Niente maturità" http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://adv.ilsole24ore.it/5/www.lastampa.it/06/stampa2/news_giornale/1582265119/SpotLight_01/OasDefault/default/empty.gif/64343232643061333435366664633030http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifFioroni: “Gli studenti devono saldare tutte le lacune accumulate negli anni”http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifRAFFAELLO MASCI http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif 6

Il Riformista 24-5-2007 La finanza islamica cresce troppo e fa paura alla City di Mauro Bottarelli 7

Il Sole 24 Ore 24-5-2007 Rapporto Abi. L'85% della provvista è rappresentato da depositi e bond: profitti 2006 a 18 miliardi di euro (+24%) 8

 


 

Italia Oggi 24-5-2007  Ferrante: una battaglia non ancora vinta Nessun passo in avanti nella lotta alla corruzione nella pubblica amministrazione.

 

Nella sua prima uscita pubblica da quando si è insediato come alto commissario per la lotta alla corruzione nella p.a., Bruno Ferrante lancia un avvertimento shock. E non usa mezzi termini o espressioni paludate. 'La corruzione non è affatto sconfitta perché dopo Tangentopoli non si sono fatte le riforme giuste. Il risultato è un sistema pubblico più farraginoso, fragile e aggredibile dalla corruzione', ha spiegato l'ex prefetto di Milano alla platea del Forum p.a. in corso a Roma. Dopo aver ascoltato i dati sull'attività della guardia di finanza, che parlano di espansione geometrica dei reati contro la p.a., Ferrante si è detto d'accordo con l'allarme di D'Alema sui costi della politica. Una delle peggiori falle del sistema secondo Ferrante è stata una riforma federalista 'imperfetta', che ha avuto per effetto 'l'abolizione dei controlli su leggi e atti delle regioni e degli enti locali, e un sistema in cui l'illecito è accertato solo su azione della magistratura ordinaria e contabile'. Trasparenza, efficienza del sistema pubblico e semplificazione delle procedure sarebbero le riforme necessarie a evitare che la corruzione dilaghi. 'Ma si dovrebbe puntare alla trasparenza. Invece l'anagrafe dei dirigenti pubblici, varata per legge, non è stata mai pienamente attuata', ha insistito Ferrante, citando la tesi esposta al convegno da Piercamillo Davigo, ex pm del pool di Mani pulite e ora magistrato di Cassazione. Nei prossimi giorni, intanto, il commissario firmerà un protocollo di intesa con Francesco Forgione, presidente della commissione parlamentare antimafia, per rafforzare la cooperazione tra i due organismi.

 


 

L’Adige 24-5-2007L'esecutivo entro giugno vuole intervenire sulle spese. Marini: dobbiamo dareun segnale: ridurre i parlamentari "Bisogna tagliare i costi della politica" La Lega attacca: Unione che pulpito, ha cento persone al governo

 

ROMA - Un provvedimento entro metà giugno per tagliare i "costi della politica". Il governo interviene così nella querelle sulle spese dei "palazzi" del potere, annunciando misure decise dal tavolo interministeriale guidato da ministro Giulio Santagata. Un modo per rispondere anche all'ultima sollecitazione, quella di Franco Marini che chiede anche la riduzione dei parlamentari: "Credo si debba partire con un gesto forte, emblematico. Perché è un problema reale, sentito dai nostri cittadini. Chiederò al presidente Bertinotti di metterci subito al lavoro insieme per dare un segnale da cui tutti capiscano che siamo veramente decisi a voltare pagina". Ma la polemica non si placa. Il centrodestra accusa la maggioranza di parlare di "crisi della politica" per coprire il fallimento del governo Prodi, rilevando una strategia comune nelle interviste di Massimo D'Alema sabato e del presidente del Senato ieri: mettere la mani avanti in vista di una sconfitta elettorale. L'aumento dei costi, aggiunge l'opposizione, dipende anche dal record di ministri e sottosegretari detenuto da questo governo. "Con tutti questi interventi - accusa Ignazio La Russa (An) - l'Unione punta a una grande operazione mediatica alla vigilia delle amministrative facendo di tutta l'erba un fascio". La maggioranza evita la polemica e insiste su un punto: la ricetta per riavvicinare i cittadini alla politica prevede la riduzione dei costi assieme a una seria azione riformatrice. "Il Pd - sottolinea Romano Prodi - nasce come risposta alla crisi della politica, e con la corrispondente ambizione ad incidere e a guidare i processi di cambiamento della società contemporanea". L'indagine sui costi della politica prenderà il via dunque in commissione Affari Costituzionali alla Camera il 31 maggio. Per quella data infatti verrà convocato l'ufficio di presidenza dell'organismo parlamentare presieduto da Luciano Violante (Ds) al quale prenderanno parte anche i vertici delle associazioni di Comuni e Province e una rappresentanza di presidenti delle Regioni per stabilire il metodo che dovrà essere seguito per fare il punto su quanto costa la politica in Italia, anche a livello locale. Il 31 dovranno essere decisi modi e metodi dell'analisi che verrà condotta dalla prima commissione. A favore dell'indagine si era espresso soprattutto Marco Boato (Verdi) che aveva invitato ad esaminare in questa sede (quella delle pdl sui costi della politica) un'altra questione piuttosto complessa, quella della Fondazioni dei partiti per la cui istituzione si erano battuti i tesorieri delle varie forze politiche (a cominciare da quello dei Ds Ugo Sposetti). E che era stata messa da parte per la polemica che ne era nata visto che sarebbe stato un modo un po' troppo spiccio per ottenere finanziamenti pubblici. Nella Cdl invece non sono tutti d'accordo con l'indagine conoscitiva. Il capogruppo della Lega in commissione Roberto Cota, ad esempio, la boccia senza appello. "Una maggioranza che conta su più di 100, tra ministri e sottosegretari - dichiara - e che fa un'indagine per capire a quanto ammontano i costi della politica, mi fa ridere". Tra i costi della politica però ci sono anche i livelli locali, non solo il Parlamento. Diciannove presidenti di Regione e due presidenti di Province autonome (Trento e Bolzano). Alle loro spalle un esercito di 233 assessori, 1118 consiglieri e diverse migliaia di addetti, capi di gabinetto, assistenti, segretarie, esperti in comunicazione. I costi minimi stimati per le indennità di presidenti, assessori e consiglieri sono intorno ai 220 milioni di euro all'anno: cifra che comprende le indennità di carica e di funzione, al netto quindi delle altre voci accessorie e ulteriori indennità di carica che variano da Regione a Regione. E le cifre non comprendono altre voci che variano, e anche di molto, da Regione a Regione: per esempio, il rimborso dei chilometri percorsi per raggiungere la sede della giunta dalla propria abitazione. È una voce che in qualche caso arriva a pesare per oltre 2000 euro al mese. 24/05/2007.

 


 

La Repubblica 24-5-2007Primi tagli a comuni e province il 15 giugno il ddl del governo Bertinotti: sui costi della politica ora servono i fatti Scure su consiglieri e assessori. Nel mirino anche le circoscrizioni Dalla Cdl aperture a Marini. Parisi: il Palazzo produce troppo poco CARMELO LOPAPA

 

ROMA - Accelerare, dare subito il segnale che l'opinione pubblica si attende e che ormai un coro trasversale invoca. La linea dettata in queste ore dal premier Romano Prodi ai ministri che stanno lavorando alla riduzione dei costi della politica è stata netta. Il Consiglio dei ministri adotterà un disegno di legge organico in tempi rapidi, entro il 15 giugno, annuncia il responsabile dell'Attuazione del programma, Giulio Santagata, al termine della seconda riunione del "tavolo" istituito a Palazzo Chigi e composto da rappresentanti di cinque ministeri. Un incontro che è servito per lavorare alle prime linee guida del pacchetto. Quelle che riguardano intanto gli enti locali. Si è parlato di riduzione del numero dei consiglieri e dei componenti delle giunte comunali e provinciali e delle relative indennità. Un taglio sarebbe in arrivo, sia nella composizione che nei costi, anche per le circoscrizioni, soprattutto quelle delle città che esattamente delle metropoli non sono. Drastica cura dimagrante pure per le ormai famigerate comunità montane. Tra le ipotesi allo studio, rigide incompatibilità che evitino il proliferare di doppie cariche elettive. Quindi, il capitolo ministeri. Il taglio del 30 per cento dei costi passato in Finanziaria non viene ritenuto sufficiente e il nuovo ddl dovrebbe prevedere ulteriori misure ancora all'esame. Il "tavolo" non ha affrontato invece uno dei nodi più delicati, quello che attiene ai costi del Parlamento. La materia è di competenza delle due Camere e il presidente Bertinotti ha appena annunciato che i deputati questori di Montecitorio hanno già attivato un canale di confronto con i colleghi del Senato. Una delle misure già adottate ieri attiene invece alla trasparenza: tutti i bilanci interni e le spese degli organi costituzionali e degli enti locali andranno sul web. "Il costo della politica è solo uno degli aspetti della crisi, ma dobbiamo riconoscere che la classe politica produce poco e non ha alle spalle una legittimazione adeguata" ha spiegato intervenendo nel dibattito il ministro della Difesa, Arturo Parisi. Ma sul tema ieri è tornato anche il presidente della Camera Bertinotti per ribadire che "ora servono i fatti": la cura per la "malattia deve essere immediata e consensuale", passando attraverso la riduzione del numero dei parlamentari, dei ministri e dei sottosegretari, oltre che del personale politico retribuito. Condivide dunque la ricetta dettata con l'intervista a "Repubblica" dal presidente del Senato Marini. Ricetta che ha raccolto consensi trasversali. "Bene l'invito al dialogo" dice l'Udc Cesa, An con Matteoli plaude e dà la sua disponibilità a ridurre i benefit, come pure la Lega con Calderoli. Ma di ricette in questi giorni ne vengono dettate parecchie. Tra gli ultimi, Cesare Salvi della Sinistra democratica che chiede tagli al governo, "bastano 15 ministri", raccogliendo il sostegno di Antonio Di Pietro. E Daniela Santanché di An che, al grido "stop al partito unico dei privilegi", avvia con i suoi circoli D-Donna una raccolta di firme per proporre abrogazione delle Province e riduzione di ministri e assessori.


 

Italia Oggi 24-5-2007  Ieri il parlamento europeo ha approvato il regolamento per la ripartizione degli 8 miliardi ai Tens. To-Lione, ultima chiamata dalla Ue Progetto a luglio per avere i fondi.

 

No Tav: 2 mesi di resistenza 'Il governo Prodi ha 60 giorni per presentare i progetti riguardanti la Torino-Lione, il Brennero ed il Ponte di Messina e partecipare alla ripartizione degli 8,013 miliardi sbloccati ieri dalla Ue per le Reti Trans-europee di trasporto'. Così Mario Mauro, vice presidente del Parlamento europeo, ha commenta il voto con il quale l'assemblea plenaria di Strasburgo ha approvato il nuovo regolamento per il finanziamento delle reti transeuropee di infrastrutture per i trasporti e l'energia (Ten) nel periodo 2007-2013, del quale è relatore. 'Entro pochi giorni', ha continuato Mauro, 'la Commissione aprirà i bandi di gara, ai cui i governi europei dovranno rispondere presentando i propri progetti entro la fine di luglio. Due mesi che rappresentano l'ultima chiamata per il governo Prodi, obbligato a decidere se muoversi con la stessa responsabilità dimostrata dal Parlamento europeo o se perdere il miliardo di finanziamenti comunitari in gioco per l'Italia in questa prima tranche e condannare il nostro Paese a diventare un isolata appendice dell'Europa'. Due mesi di resistenza per far fallire il progetto, secondo quanto hanno annnunciato i comitati Non Tav. Secondo Mauro, il governo deve muoversi anche perchè i corridoi concorrenti a nord delle Alpi hanno gia' tutte le carte in regola. E si annunciano nuove scintille. I finanziamenti Ue potranno coprire fino al 20% dei costi dei Ten nel settore trasporti, fino al 30% dei costi per i 30 progetti già dichiarati di interesse prioritario per l'Ue (compresa la Torino-Lione), e fino al 10% dei progetti Ten nel settore energia. I progetti per i quali la realizzazione sia in ritardo potranno essere cancellati dalla lista dei beneficiari dei co-finanziamenti comunitari dopo quattro anni, invece dei due anni che chiedeva il Consiglio Ue. In più, la Banca europea per gli investimenti (Bei) offrirà nuove garanzie di credito per un massimo di 500 milioni di euro.Il presidente della commissione trasporti del Parlamento europeo, Paolo Costa ha indicato la necessità di affrontare in maniera coordinata il problema del finanziamento complessivo dei 30 progetti prioritari, altrimenti, ha detto 'l'intero programma Ten-T rischia di impantanarsi come il primo programma, quello definito a Essen nel 1994'. Realizzare l'intera rete dei Tens richiederà investimenti per 600 miliardi circa, e secondo i programmi le opere infrastrutturali dovrebbero essere completate entro il 2020. In particolare, il valore dei trenta progetti prioritari da completare entro il 2020 è tra i 240 e i 330 miliardi e si capisce come gli 8 miliardi in gioco siano una goccia nel mare, ma preziosa, secondo Costa.


 

Europa 24-5-2007 Santoro e i pedofili: la tv pubblica deve rispettare tutti e non creare zone franche per nessuno. FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, ho letto le due lettere sul documentario della Bbc relativo ai preti pedofili, da voi pubblicate ieri.
Ne condivido il buon senso ma, siccome si dichiaravano entrambe a favore della trasmissione del documentario, mi chiedo come mai, pluralisti come siete, non ne abbiate pubblicata anche una di parere contrario. Non sarebbe stato più “completo e obbiettivo”?
CECCO DE GREGORI, NAPOLI

Certamente, caro De Gregori. Sarebbe bastato averne una. E invece niente. Neanche la sua. Infatti lei lamenta l’unilateralismo delle posizioni favorevoli dei nostri lettori, ma non prende la posizione contraria.
Perché non ci ha scritto una lettera contraria ma altrettanto vigorosa come quella del signor del signor Pedica (Italia dei Valori) contro i baciapile dell’Udeur, abituati a inciuciare nelle sagrestie di Ceppaloni. Intanto, mentre noi pubblicavamo, il direttore generale della Rai autorizzava l’acquisto e raccomandava a Santoro, data la delicatezza dell’argomento, di assicurare in trasmissione «una presenza equilibrata e autorevole delle parti» Speriamo nella prematura autorevolezza anche di ragazzi e ragazze vittime di abusi.
Noi non amiamo i toni talvolta aggressivi di Santoro, perché riteniamo che l’efficacia delle denuncie stia nel fatto denunciato.
La chirurgica freddezza di Report, per citare, lo dimostra.
Ma va detto che nella sua risposta al consigliere d’amministrazione Staderini (polo dei censori) che gli aveva chiesto di «rispettare quelle elementari regole che ha sempre trasgredito», Santoro ha giganteggiato, chiedendosi «chi paga per queste sue prese di posizione». Infatti, è a quel consigliere e ad altri quattro della destra che si deve «la nomina illegittima di Alfredo Meocci a direttore generale della Rai. Per questa decisione l’azienda è stata condannata a pagare una multa di 14,3 milioni di euro e i consiglieri sono stati rinviati a giudizio per abuso d’ufficio». Quanto alla “violazione delle regole elementari”, la magistratura ha cancellato i provvedimenti disciplinari che il consigliere e i suoi soci avevano preteso per il conduttore, condannando la Rai a risarcire i danni.
Bella gente, la destra. Che si comporta così ma va a intingere il dito nell’acquasantiera, col compiaciuto sorriso (per fortuna non sempre) dei guardiani della fede e dell’etica. Quanto a noi, ci riconosciamo in un passo del saggio La sfida della televisione di Jean-Noël Dibie, docente alla Sorbona: «Un paese senza televisione del servizio pubblico è una società senza riflesso»: parafrasi di quel che aveva detto il regista spagnolo Fernando Solara: «Un paese senza cinema è come una casa senza specchio». Dunque, se vogliamo specchiarci nella nostra società e migliorarla, ben vengano inchieste come quella della Bbc e conduttori come Santoro, che la tv privata non manderebbe in onda (dice Berlusconi).


 

L’Unità 24-5-2007 Guzzantosky contro i Quattro Marco Travaglio

 

I loro nomi non dicono niente a nessuno. Perché nessuno sì è mai occupato di loro. Sono quattro cittadini ucraini arrestati a Teramo dalla polizia napoletana nella notte del 16 ottobre 2005 su un furgone proveniente da Leopoli e diretto a Napoli, per importazione di armi da guerra: nell'automezzo furono ritrovate, tra una gran quantità di chincaglieria per mercatini rionali, due bibbie scavate con dentro due granate anticarro arrugginite. A farli catturare era stato Mario Scaramella, il superconsulente del presidente della commissione Mitrokhin, Paolo Guzzanti. Informatissimo sui loro spostamenti, il peracottaro napoletano, che da anni truffava enti pubblici e università con curriculum farlocchi, indicò agl'investigatori modello, targa, colore del furgone, la scritta sulla carrozzeria e i nomi di due trasportatori. Peraltro il furgone indicato da Mario non era il Mercerdes su cui erano partiti da Leopoli. Quello si guastò a Udine, dove i quattro furono prelevati da un amico partito da Teramo su un altro mezzo. E, in Abruzzo, trasferirono la merce su un terzo camion: quello descritto da Scaramella, evidentemente in contatto con uno della brigata. Citando l'ex spione Aleksandr Litvinenko, il noto bufalaro raccontò che i quattro preparavano "una strage per conto del Kgb, della mafia e dei servizi ucraini" per eliminare lui e il suo spirito guida: il senatore Guzzanti. Il quale avallò subito la tesi del complotto, per le scottanti verità che stavano emergendo alla Mitrokhin sul ruolo decisivo di Prodi nel Kgb e nel delitto Moro. Nell'ottobre 2006 si presentò al Tribunale di Teramo come testimone dell'accusa. E, sotto giuramento, dichiarò con aria grave: "Ho il ragionevole sospetto, confortato da notizie di stampa, che si trattasse di un attentato nei miei confronti". Intanto i quattro - Stefan Kovpac, operaio di 55 anni, Vitaliy Mykhalciuck, mezzadro di 27, Volodymyr Stakhurky, apprendista meccanico di 35, Oleh Havrushsko, dentista di 31 - marciscono in galera per 1 anno e 2 mesi. Ripetono disperati d non saper nulla di quelle bombe, di Scaramella e di Guzzanti, ma non vengono creduti. Guzzanti e Scaramella s'inventavano un altro complotto: quello che collegherebbe la loro imminente dipartita (per fortuna mai avvenuta) con quelle di Anna Politkovskaja e Litvinenko (purtroppo morti per davvero). Poi, alla vigilia di Natale, i giudici di Roma pongono fine alla brillante carriera del cazzaro: Scaramella finisce a Regina Coeli, dove tuttora risiede, per traffico d'armi e calunnia (anche ai danni di un certo Talik, ex Kgb, indicato come il destinatario delle granate). I quattro ucraini vengono scarcerati e spediti ai domiciliari per altri 6 mesi. Ormai è chiaro che, col traffico d'armi e la strage anti-Guzzanti, non c'entrano nulla: qualcuno, in contatto con Scaramella, ha fabbricato a tavolino la montatura, infilando nel camion, forse durante il travaso della merce a Teramo, le due bibbie con le granate (gli unici due pacchi non scritti in cirillico di tutto il carico). Due giorni fa, ultimo atto: i quattro malcapitati vengono assolti dal Tribunale di Teramo dopo 20 mesi di custodia cautelare: formula piena, "non aver commesso il fatto". Come scrive Carlo Bonini di Repubblica, l'unico a dare spazio alla notizia, Guzzanti e Scaramella hanno calunniato e rovinato la vita a quattro innocenti. Curiosamente i giornali "garantisti", così attenti alle assoluzioni eccellenti ("nuovo caso Tortora", "manette facili","teoremi politici","chi paga?"),l'hanno ignorata. Se le false accuse le avesse lanciate un pentito di mafia a un politico avremmo i giornali,i tg e le tasche piene di dichiarazioni sdegnate contro la malagiustizia. Invece le false accuse le ha lanciate un politico a quattro poveracci, per giunta stranieri. Dunque zitti e Mosca. Guzzanti aveva un "ragionevole sospetto, confortato da notizie di stampa", probabilmente scritte da lui. E tanto bastava. Il senatore, si sa, è un garantista doc. L'altroieri ha intervistato sul Giornale l'ex dissidente Vladimir Bukovski, che ha definito La Repubblica "portavoce del Kgb". E, quanto a Prodi, "non ho mai avuto le prove che fosse agente della Russia, ma non ne sarei sorpreso". Dal "non poteva non sapere" (mai usato dai giudici milanesi per condannare), siamo passati al "non mi stupirei". Ora non vorremmo che alla fine, come in ogni giallo che si rispetti, si scoprisse che il vero agente del Kgb era il più insospettabile: Guzzanti. O meglio: non ci stupiremmo. Uliwood party.

 


 

Il Cittadino 24-5-2007 Navi Usa nel Golfo, Teheran: "Pronti a difenderci" n Si impennano le tensioni tra Iran e Usa, mentre mancano cinque giorni a un incontro bilaterale sull'Iraq

 

. Teheran ha avvertito di essere pronta a "far fronte a ogni minaccia", poche ore dopo che una squadra navale degli Stati Uniti, di cui fanno parte due portaerei, era entrata nel Golfo. E a gettare benzina sul fuoco sono anche i nuovi progressi in campo nucleare dell'Iran, che continua a ignorare gli inviti dell'Onu a sospendere l'arricchimento dell'uranio. Gli Stati Uniti affermano di essere pronti ad aumentare la pressione sulla Repubblica islamica attraverso consultazioni con le altre potenze, in particolare gli alleati occidentali. E in questo ha trovato immediatamente la sponda del nuovo presidente francese, Nicolas Sarkozy, che in una intervista ad una rivista tedesca ha detto di essere d'accordo a "rafforzare le sanzioni" già in atto contro Teheran per il suo rifiuto alla sospensione. Parigi ha anche fatto sapere di appoggiare un'iniziativa di Washington che intende protestare con Mohammed el Baradei, il direttore generale dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea), per affermazioni fatte da quest'ultimo nei giorni scorsi, in cui ha invitato la comunità internazionale a prendere atto dello stato di avanzamento del programma iraniano. Scontata la difesa di el Baradei da parte di Teheran. Ma le pressioni di cui si parla da Washington non si limitano a proteste formali e iniziative diplomatiche nell'ambito del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Una squadra di nove unità navali e 17.000 membri d'equipaggio, comprese due portaerei che trasportano 140 velivoli in tutto, ha varcato lo Stretto di Hormuz ed è entrata nel Golfo, realizzando il più grande spiegamento di forze in queste acque dalla guerra con l'Iraq nel 2003.


 

ANSA 23-5-2007 Sono 45 i membri del comitato promotore nazionale per il Partito Democratico


(Ansa)
- Sono 45 i membri del comitato promotore nazionale per il Partito Democratico, insediatosi oggi nella sede dell'Ulivo a piazza Santi Apostoli. La lista e' stata diffusa al termine della riunione con la precisazione da parte dei tre coordinatori, Maurizio Migliavacca, Antonello Soro e Mario Barbi, che qualche nome dell'associazionismo dell'Ulivo potra' essere aggiunto nei prossimi giorni.

Ecco la lista: Giuliano Amato; Mario Barbi; Antonio Bassolino; Pierluigi Bersani; Rosi Bindi; Paola Caporossi; Sergio Cofferati; Massimo D'Alema; Marcello De Cecco; Letizia De Torre; Ottaviano Del Turco; Lamberto Dini; Leonardo Domenici; Vasco Errani; Piero Fassino; Anna Finocchiaro; Giuseppe Fioroni; Marco Follini; Dario Franceschini; Vittoria Franco; Paolo Gentiloni; Donata Gottardi; Rosa Iervolino; Linda Lanzillotta; Gad Lerner; Enrico Letta; Agazio Loiero; Marina Magistrelli; Lella Massari; Wilma Mazzocco; Maurizio Migliavacca; Enrico Morando; Arturo Parisi; Carlo Petrini; Barbara Pollastrini; Romano Prodi; Angelo Rovati; Francesco Rutelli; Luciana Sbarbati; Marina Sereni; Antonello Soro; Renato Soru; Patrizia Toia; Walter Veltroni; Tullia Zevi.

 

 


Il Riformista 24-5-2007 COMITATO PD: I NOMI Non capiamo la ratio E Parisi ci conforta

La sintesi più efficace è firmata Arturo Parisi: «Il comitato promotore del Pd? Un comitato di vecchi, speriamo almeno che siano saggi». Un pensiero che il ministro della Difesa, ormai ex prodiano di stretta osservanza, chiarisce così: «Un comitato di vecchi, di quelli che lo sono veramente, di cinquantenni avanzati che si propongono oggi come giovani, e poi c’è un gruppo di saggi. Comunque, giovani e vecchu sono tutti chiamati a dare prova della loro saggezza». Per poi concludere: «Sono soddisfatto, le polemiche ce le riserviamo nei prossimi giorni».
A noi, che nei confronti del Partito democratico abbiamo un approccio certamente meno emotivo di Parisi, riesce difficile elaborare un commento più o meno serio sui 45 nomi che da ieri fanno ufficialmente del «comitato 14 ottobre», come l’ha definito il presidente del consiglio Romano Prodi. Che dire? Avevamo appena terminato la lettura dell’editoriale di Ezio Mauro sulla sinistra e la crisi della politica, e ci è venuto da sorridere associando la parola magica alla presenza di Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino, proprio nel giorno in cui la munnezza della loro Napoli ha fatto il giro del mondo. E lo scetticismo si è via via rafforzato notando che tra i 45 non ce n’è uno che abbia meno di quarant’anni, che un posto per il sindaco di Torino Sergio Chiamparino - che pure da queste colonne abbiamo criticato per la sua posizione sui tossicodipendenti - non si è riuscito a trovare; che invece uno scranno per Angelo Rovati - il prodiano sacrificato sull’altare del caso Telecom - è stato assicurato.
Gli esclusi eccellenti non mancano - Nicola Latorre e Nicola Zingaretti, tanto per non fare due nomi a caso - d’altronde in questi casi è fisiologico. Quel che, almeno ai nostri modesti occhi, non è chiara, è la ratio seguita in queste nomine. Chissà, forse sarà solo perché non abbiamo ancora compreso la ratio principale.


 

La Stampa 23-5-2007 "Troppi debiti? Niente maturità" http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://adv.ilsole24ore.it/5/www.lastampa.it/06/stampa2/news_giornale/1582265119/SpotLight_01/OasDefault/default/empty.gif/64343232643061333435366664633030http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifFioroni: “Gli studenti devono saldare tutte le lacune accumulate negli anni”http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifRAFFAELLO MASCI
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ROMA. Niente esame di maturità se prima non si sono sanati tutti i debiti formativi maturati negli ultimi tre anni. Lo diceva già la legge di riforma dell’esame di Stato, varata nel dicembre scorso, ma la materia è stata ora definita da un decreto attuativo del ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni.

I ragazzi rischiavano di accumulare lacune, anche consistenti e mai sanate, e di presentarsi con queste all’esame conclusivo. Il ministro ha stabilito che negli ultimi tre anni di scuola prima della maturità, ci debba essere un severo bilancio dei debiti: nel corso del quarto anno si debbono saldare quelli del terzo, nel quinto quelli del quarto e, entro il 15 marzo antecedente la maturità, qualunque tipo di debito accumulato. Il decreto va dunque applicato da subito a quelli che oggi frequentano il terzo anno, così che la riforma arrivi a regime nel 2008-09.

Affinché la contabilità dei debiti non resti aleatoria, è previsto che dopo lo scrutinio finale del terzo e del quarto anno, le famiglie vengano informate dettagliatamente sui debiti accumulati dall’allievo. Dopo di che il Consiglio d’Istituto (che comprende docenti, famiglie e allievi) deve varare all’inizio di ogni anno un piano dettagliato su come e quando approntare dei corsi di recupero. Il corso deve prevedere poi un momento di verifica dell’avvenuto recupero del debito formativo.

L’idea del ministro Fioroni è quella di valorizzare l’intero percorso scolastico e di considerare l’esame di Stato solo come un ultimo, definitivo, step di valutazione. Per questo motivo, i crediti scolastici (cioè quel patrimonio con il quale lo studente si presenta a fare l’esame di maturità e che deve essere considerato al momento del voto) sono stati riequilibrati a vantaggio della carriera scolastica che viene valorizzata non più 20 punti (al massimo) ma 25, mentre la prova orale d’esame - considerata la meno oggettiva ai fini della valutazione - scende da 35 a 30 punti. Un «bonus» viene poi assegnato a chi ha una media molto alta, tra 8 e 10.

«Il decreto - ha commentato Fioroni - vuole mandare tre messaggi. Il primo agli studenti: ragazzi, basta con gli sconti e i condoni per il "sei rosso": i debiti, nella vita, vanno saldati e onorati sempre, dovete farlo anche a scuola perché chi vi fa sconti sulla vostra preparazione non vi aiuta a costruirvi un futuro degno. Il secondo messaggio è alle famiglie: siete i nostri principali alleati nel mestiere di istruire educando, serve la vostra corresponsabilità: le scuole vi terranno informati con trasparenza e nel dettaglio sul "sei rosso" dei quadri per capire insieme le strategie di recupero». Conclude Fioroni: «Il terzo messaggio è alle scuole: siete i principali attori del sostegno durante l'anno e del recupero, avrete più autonomia nell'utilizzo del capitolo di spesa per il recupero, nella scelta dei corsi, potrete avvalervi di collaborazioni esterne, se lo riterrete opportuno. Infine la parola d'ordine sarà "merito"».

 


 

Il Riformista 24-5-2007 La finanza islamica cresce troppo e fa paura alla City di Mauro Bottarelli


Londra. Il 30 gennaio scorso il sottosegretario all’Economia britannico, Ed Balls, dichiarava all’Associated Presse che occorreva assicurarsi che «il sistema fiscale e i regolamenti incoraggino lo sviluppo di prodotti conformi alla sharia e di fare del Regno Unito un centro mondiale della finanza islamica». Una dichiarazione che non ha stupito più di tanto né il mondo politico né la comunità finanziaria londinese visto l’enorme sviluppo di questo settore e il volume d’affari raggiunto, tramutatosi da una nicchia a mainstream globale. D’altronde la politica non faceva altro che muoversi a traino del mercato. Negli anni molte banche, tra cui appunto la britannica Hsbc ma anche l’americana Citigroup, la svizzera Ubs e la francese Bnp Paribas, si sono attrezzate per lanciare l’assalto a una torta da 200 miliardi di dollari attraverso l’immissione sul mercato di fondi che rispettano i principi della Sharia e quindi non investano in società che siano in qualche modo legate al business dell’alcol o delle armi oppure ancora del gioco d’azzardo, dell’ingegneria genetica, del tabacco o attraverso società fortemente indebitate.
L’esempio dell’Islamic Bank of Britain, che ha visto la luce lo scorso novembre a Londra, è emblematico: l’80 per cento del capitale iniziale, pari a 100 milioni di dollari, è stato raccolto nel Golfo, mentre l’80 per cento degli investitori soggiornano in Gran Bretagna. Se poi si passano in rassegna i nomi dei dirigenti si scopre che l’80 per cento è composto da affermati banchieri britannici che nulla hanno a che fare con l’islam. Da quando i magnati della finanza internazionale hanno fiutato l’affare, si sono affrettati ad aprire sportelli islamici prima nei paesi musulmani, poi nei paesi occidentali dove il peso economico delle comunità musulmane è crescente. Con un tasso di crescita annuo del 15 per cento è un business che fa gola a molti. D’altronde per aggirare le norme imposte dalla sharia rispetto ai tassi di interesse - peraltro è un’interpretazione perché nel Corano si parla di condanna dell’usura, non dell’interesse e l’attività dell’usuraio è condannata anche dal cattolicesimo - basta applicarsi un po’ alla materia. La maggiore controindicazione è costituita dal tempo, variabile che per i musulmani non può essere considerata un parametro di denaro: da qui il divieto verso i tassi di interesse. Quelli di Bnp Paribas, ad esempio, hanno aggirato l’ostacolo predeterminando dei profitti che nella pratica vanno a sostituire la mancata previsione degli stessi interessi.
Esistono anche degli indici di finanza islamica: l’Ftse Global Islamic Index Series International è stato costituito nel 1999 come la prima vera serie globale di indici islamici, allo scopo di analizzare i rendimenti delle principali compagnie le cui attività aderiscono ai principi della sharia islamica. Mentre un secondo indice è il Dow Jones Islamic Market Indexes creato per investitori che vogliono investire conformemente ai principi della finanza islamica.
Ora però a lanciare un grido di allarme verso la necessità di maggiore trasparenza e controlli sul settore è l’autorevole Financial Times che all’argomento ha dedicato un inserto speciale di sei pagine nell’edizione in edicola ieri. Ovvio, chiaramente, il riferimento al fatto che un mercato del genere possa essere utilizzato come veicolo di finanziamento del terrorismo internazionale ma anche la preoccupazione per una possibile destabilizzazione del mercato, a causa di prodotti sui generis supportati da quantità di soldi imponenti garantite dal petrolio del Golfo e dalla sempre crescente presenza di musulmani nelle nostre società. «Quanto è accaduto ha dello straordinario - ha dichiarato al quotidiano della City Sheikh Hussein Hassan, uno dei padri fondatori dell’industria con la Dubai Islamic Bank - Nessuno avrebbe potuto nemmeno crederlo soltanto dieci o quindici anni fa».
A offrire alla platea internazionale numeri ancora più impressionanti ci ha pensato Alexander Lis, direttore operativo dell’agenzia di consultancy Oliver Wyman, secondo il quale attualmente «ci sono 300 milioni di dollari di assets gestiti in base ai principi coranici e più di 280 istituzioni - banche commerciali e di investimento ma anche fondi - che offrono prodotti islamici. Questo tipo di finanza, oramai, va considerata a tutti gli effetti mainstream». Numeri al ribasso, questi, per la Financial Services Authority del Regno Unito secondo cui il volume globale sfonderebbe i 500 miliardi di dollari. Stando alle analisi di Standard & Poor’s il mercato dei sukuks, i bond islamici, ha raggiunto i 70 miliardi di dollari ed entro il 2010 toccherà quota 160 miliardi.
Chi intende gettare acqua sul fuoco ricorda che quello islamico rappresenta soltanto l’1 per cento del totale di asset bancario al mondo ma i molti critici pongono l’accento sulla sua crescita sfrenata e tutt’altro che in fase recessiva. «Questa industria sta emergendo dalla sua fase nascente e non ha ancora raggiunto il suo massimo potenziale - dichiara Nabeel Shoaib, capo del braccio finanziario islamico della Hsbc - visto che entro otto, dieci anni potrebbe intercettare i risparmi di 1 miliardo e 600 milioni di islamici nel mondo». A spaventare, inoltre, è il fatto che il maggior dinamismo per il settore giunge in questo momento dal Medio Oriente, un’area dove la trasparenza delle istituzioni non è certamente proverbiale. Business as usual, il motto della City, forse non sempre è vero.


 

Il Sole 24 Ore 24-5-2007 Rapporto Abi. L'85% della provvista è rappresentato da depositi e bond: profitti 2006 a 18 miliardi di euro (+24%)

 

Banche, utili da conto corrente Il 63% degli impieghi alle imprese, cresce il Roe ma anche il costo del lavoro Laura Serafini ROMA Il sistema bancario continua a godere di buona salute. Gli utili vanno a gonfie vele, la redditività cresce anche se meno che nel resto d'Europa ma non accennano a diminuire i costi, trainati da quelli per il personale. è la fotografia scattata dal centro studi dell'Abi nel suo rapporto 2007 sul sistema bancario e sui risultati conseguiti a fine 2006 da un campione di 38 gruppi bancari. L'effetto del processo di consolidamento del settore si è fatto sentire solo in parte lo scorso anno,visto che la nascita di Intesa SanPaolo è stata formalizzata il 31 dicembre mentre Unicredit Capitalia risale ai giorni scorsi In ogni caso, a fine 2006 i primi tre gruppi (Unicredit, Intesa e SanPaolo) concentravano il 50% degli impieghi nazionali, aumentati del 12,4% e pari all'82,8% del Pil. L'utile dell'attività corrente al netto delle imposte, che ammontano a 8,4 miliardi, si è attestato a 18 miliardi con un incremento del 24%. E questo fronte di un margine di intermediazione (in sostanza i ricavi) in aumento dell'8%, a 79 miliardi, e di un margine di interesse che corre alla stessa velocità, a quota 44 miliardi, per l'aumento dei volumi intermediati e non solo per l'effetto dei tassi di interesse. Le commissioni nette salgono dello 0,8 per cento. Certo,leggendo questi numeri, il pensiero non può non tornare alle recenti indagini sui prezzi dei prodotti bancari in Italia che, secondo un rapporto dell'Antitrust,sono ben al di sopra della media europea: un conto corrente,ha messo in evidenza quello studio, costa in media 182 euro, il 17% in più rispetto alla Germania e l'84% in più dell'Olanda. "In Italia c'è un'opinione pubblica che ritiene che le nostre banche guadagnino moltissimo e alcune addirittura troppo - ha replicato ieri alle accuse il direttore generale dell'Abi, Giuseppe Zadra - ma il confronto con l'Europa dice che stiamo guadagnando molto meno ". A riprova di ciò c'è l'andamento dell'indice di redditività, il Roe, che migliora dal 12,1 al 12,6% ma che secondo Zadra è sempre ampiamente al di sotto del 18,7% della media europea. Ma c'è anche la dinamica dei costi: il costo medio unitario del lavoro è del 18% più alto rispetto a quello medio europeo, pari a 62mila contro una media nazionale di 73mila. Restando su questa voce, i bilanci delle banche evidenziano un aumento degli oneri per il personale del 6% (28 miliardi). Durante lo scorso anno le spese per gli esuberi sono state di 2 miliardi, il 112%in più rispetto al 2005,mentre le stock option hanno pesato per 274 milioni, 12% in più rispetto al 2005. Le sofferenze segnano il passo: il rapporto di quelle nuove su uno stock complessivo di 21 miliardi è fermo allo 0,9% (solo nel Mezzogiorno sono all'1,5%) mentre l'incidenza sui crediti totali è scesa all'1,4%.Il totale degli attivi è in aumento del 6,6%, a 2.478 miliardi, mentre il 63% dei finanziamenti è destinato alle imprese, contro una media europea del 46 per cento. La provvista bancaria restituisce un altro spaccato sul rapporto che il Paese ha con il risparmio e, di conseguenza,il sostanziale oligopolio che gli istituti di credito detengono di questo mercato. "Il livello basso dei tassi e la perdurante elevata avversione al rischio dei risparmiatori - si legge nel rapporto - hanno alimentato un aumento dei depositi su conti correnti (+6,4%) e delle obbligazioni (+ 11,4%).Queste due voci detengono l' 85%della provvista bancaria". I traguardi raggiunti con la ristrutturazione e il consolidamento raccolgono ampi consensi. "Il sistema bancario attuale è migliore del precedente - ha detto il viceministro dell'Economia, Roberto Pinza -quella delle banche è una storia di successo. Il sistema bancario è più equilibrato e sintonico con le assicurazioni". Gli fa eco Corrado Faissola, presidente dell'Abi. "La competitività in Italia è in crescita, con le ultime aggregazioni si dà un'ulteriore spinta alla concorrenza ". Pinza si è inoltre soffermato sulla riforma delle Popolari, affermando di condividere il principio su cui si basa la riforma al vaglio del Parlamento.I capisaldi del progetto in fase di elaborazione dalla commissione Finanza del Senato si basano sul presupposto di "mantenere l'unicità del sistema" delle Popolari e, allo stesso, tempo dare autonomia statutaria perché "chi ha 500 soci non può avere le stesse regole di chi ne ha 200mila". PRESIDENTE SODDISFATTO Faissola: "La competitività aumenta e le aggregazioni hanno creato le condizioni per un ulteriore incremento della concorrenza" IL CONFRONTO Il viceministro dell'Economia Roberto Pinza: "Il settore è migliorato rispetto al passato, è più equilibrato: è una storia di successo".


 

INDICE 23-5-2007 

 

+ La Stampa 23-5-2007 Istat: in Italia ci sono 2,5 milioni di famiglie povere  1

+ La Repubblica 23-5-2007 Sondaggio Ipr Marketing per Repubblica.it sulla fiducia nelle istituzioni. Partiti politici, ci crede solo un italiano su dieci Fiducia ai minimi per Parlamento e governo Forze dell'ordine e Presidente della Repubblica raccolgono i maggiori consensi 3

Europa 23-5-2007 Saremmo assai lieti se Bagnasco e la Cei riscoprissero le povertà (oltre l’embrione). FEDERICO ORLANDO RISPONDE  3

Imgpress.it 23-5-2007 MICHELE SANTORO, IL FALSO SCOOP SULLA CHIESA E I CITTADINI DI NAPOLI IN MEZZO AI RIFIUTI Alberto Giannino  Presidente Adc - Ass. culturale docenti cattolici 4

Il link del servizio della BBC che Santoro manderà in onda  5

La Repubblica 23-5-2007 Intrighi e guerre di potere la vera storia del caso Speciale. Gli ufficiali da trasferire non si erano mai occupati di Unipol. Dietro alla vicenda della Guardia di finanza lombarda incroci con il Sismi dell'era Pollari. di CARLO BONINI 5

Zeusnews 22-5-2005 Politica e affari in Telecom e altre storie Bruno Tabacci, noto parlamentare del centrodestra (ma molto critico con Berlusconi), rilegge la vicenda Telecom Italia e il rapporto politica-banche. 7

Il Riformista 23-5-2007 Quel silenzio dopo le parole di Craxi alla Camera di Paolo Franchi 8

Il Giornale di Brescia 23-5-2007 Prodi a Strasburgo: senza intesa, Ue a due velocità. I parlamentari del Polo abbandonano l'aula per polemica. 9

L’Unità 23-5-2007 De Luna: "La politica è subalterna al mercato" "Una classe dirigente vissuta come casta. I partiti sono diventati aggregati di detentori di cariche pubbliche" di Bruno Miserendino  10

Il Sole 24 Ore 23-5-2007 L'eterno slalom del Governo fra il rigore e il consenso di Stefano Folli 11

L’Unità 23-5-2007 Capaci e gli incapaci Marco Travaglio  12

Il Tirreno Piombino - Elba Si fanno avanti i mussiani che non lasceranno i Ds  12

 


+ La Stampa 23-5-2007 Istat: in Italia ci sono 2,5 milioni di famiglie povere

 

Molti gli elementi che caratterizzano l’identikit della famiglia povera: un elevato numero di componenti, soprattutto figli minori e anziani

ROMA
Istat lancia l’allarme povertà in Italia. Nel 2005 quasi una famiglia su sei ha dichiarato di arrivare alla fine del mese con molta difficoltà, mentre quasi uno su 3 non è riuscita a far fronte a una spesa imprevista anche se di importo inferiore a 600 euro. Le famiglie con spesa per consumi inferiore alla soglia di povertà, cioè povere in termini relativi, sono 2 milioni 585 mila per un totale di poco più di 7 milioni e mezzo di persone. È la situazione della popolazione italiana descritta nel Rapporto annuale 2006 dell’Istat.

Quasi la metà (1 milione 158 mila) delle famiglie povere hanno al proprio interno almeno un componente di 65 anni. Il Mezzogiorno è l’area geografica a essere più in difficoltà. Al Sud, infatti, il 5% degli individui intervistati nel 2004 e nel 2005 ha dichiarato di non potersi permettere un’alimentazione adeguata.

Nel 2004 le famiglie residenti in Italia hanno percepito in media un reddito netto, inclusi i fitti imputati delle abitazioni, di circa 2.750 euro mensili. Metà delle famiglie ha guadagnato tuttavia meno di 2.300 euro mensili (1.800 euro al mese al netto dei fitti imputati). Le famiglie per le quali il lavoro autonomo costituisce il reddito principale dispongono, in media, di un reddito maggiore rispetto alle altre. Se il reddito prevalente è una pensione o un altro trasferimento pubblico i redditi netti medio e mediano sono più bassi. Le famiglie costituite da anziani soli percepiscono il reddito medio meno elevato; anche in presenza di figli minori il reddito familiare risulta più basso, in particolare per le famiglie in cui è presente un solo genitore.

Le famiglie appartenenti al 20% più povero della distribuzione percepiscono soltanto il 7,8% del reddito totale, mentre la quota del quinto più ricco risulta cinque volte maggiore (39,1%). Il reddito delle famiglie che abitano nel Mezzogiorno è pari a circa tre quarti del reddito delle famiglie residenti al Nord. La Lombardia presenta il reddito medio più alto (oltre 32 mila euro); il reddito medio familiare più basso si osserva invece in Sicilia (quasi 21 mila euro).

Il 57,1% degli individui alla fine del 2004 non ha subito alcun cambiamento della propria condizione di reddito rispetto all’anno precedente. Soltanto il 10,0 per cento della popolazione registra forti variazioni dal 2003: il 4,7% della popolazione segna un forte miglioramento della propria condizione (superiore di due quinti di reddito equivalente) e il 5,3% un forte slittamento verso il basso (di due quinti di reddito).

L’apporto dei trasferimenti pubblici risulta particolarmente rilevante per le coppie anziane senza figli, le coppie e i monogenitore con figli adulti e le persone sole con più di 65 anni. È invece basso nel caso delle coppie e dei monogenitori con almeno un figlio minore e delle persone sole con meno di 65 anni. Nel 2004 dopo una separazione o un divorzio un individuo su quattro si trova in una condizione di basso reddito. Peggiora in genere anche la situazione economica della famiglia quando cambia il principale percettore di reddito nella famiglia, in particolare quando la donna diventa la principale fonte di sostentamento (12,9%).

Le famiglie formate da un solo genitore con figli minori a carico sono più disagiate rispetto alle altre tipologie, con l’unica eccezione delle spese mediche, che provocano più frequentemente problemi nelle famiglie di anziani soli. Tutti gli indicatori di disagio soggettivo e di deprivazione oggettiva sono maggiori per le coppie con figli rispetto alle coppie senza figli non anziane, in cui la persona di riferimento ha meno di 65 anni.

Secondo il presidente dell’Istat, Luigi Biggeri, la tenuta della ripresa si gioca sulla possibilità che il reddito delle famiglie torni a crescere.

«Dal punto di vista dell’andamento del sistema economico - ha detto Biggeri - la tenuta dello sviluppo della ripresa in atto si giocano immediatamente sugli investimenti e sui consumi privati e, in particolare, sulla possibilità che il reddito disponibile delle famiglie torni a crescere». Secondo Biggeri «permane la vulnerabilità connessa alla condizione della finanza pubblica, pur migliorata, e in particolare al consistente stock di debito».


+ La Repubblica 23-5-2007 Sondaggio Ipr Marketing per Repubblica.it sulla fiducia nelle istituzioni. Partiti politici, ci crede solo un italiano su dieci
Fiducia ai minimi per Parlamento e governo Forze dell'ordine e Presidente della Repubblica raccolgono i maggiori consensi

 

 

ROMA - Sono i partiti politici le istituzioni in cui gli italiani credono di meno. Solo uno su dieci ha infatti fiducia in loro. E non ci sono significative differenze tra i due poli. Tra gli elettori del centro sinistra la sfiducia è meno marcata ma di un solo punto percentuale: 14 per cento per chi vota per il centro sinistra contro il 13 per cento degli elettori del centro destra. Solo il 2 per cento tra gli indecisi. Sono questi i dati più significativi del sondaggio Ipr Marketing per Repubblica.it sulla fiducia nelle istituzioni.

La crisi della politica sembra trovare conferme. Anche perché nel fondo della classifica si trovano anche i due altri luoghi della politica per eccellenza. Al penultimo posto troviamo il Parlamento in cui credono solo il 23 per cento degli intervistati e solo poco sopra il Governo con il 24 per cento della fiducia.

Marcate però le differenze, nel caso di queste due istituzioni, tra gli elettori dei due schieramenti politici. Il 38 per cento degli italiani che votano per l'attuale maggioranza ha fiducia nel Parlamento mentre succede la stessa cosa solo al 17 per cento degli elettori del centro destra. Quanto al governo, ci fa affidamento il 34 per cento degli elettori del centro sinistra contro un misero 14 per cento degli elettori dell'opposizione.

Sono invece le Forze dell'ordine ed il presidente della Repubblica a raccogliere la maggiore fiducia rispettivamente con il 70 per cento e il 64 per cento. Nella carica oggi ricoperta da Napolitano credono il 96 per cento degli elettori del centro sinistra. Fa lo stesso solo il 44 per cento di chi vota per l'attuale opposizione.
(23 maggio 2007)

 

 


Europa 23-5-2007 Saremmo assai lieti se Bagnasco e la Cei riscoprissero le povertà (oltre l’embrione). FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, leggo nel chiarissimo articolo di Aldo Maria Valli di ieri, “La prima di Bagnasco”, che ora la Cei, «più che al paese legale, vuole rivolgersi a quello reale, alla gente di tutti i giorni, cioè della vita semplice, quotidiana, spesso dura», perché questa gente sa che le nostre porte sono sempre aperte per chiunque, che accogliamo tutti, che non portiamo rancore». L’operazione Bagnasco è incominciata…, conclude Valli.
Ma è veramente un’operazione nuova? ANNA MARIA SENSI, ROMA

 

Per me no, cara signora, ma la speranza è l’ultima a morire, anche se l’attacco della relazione del nuovo presidente, cioè la descrizione trionfalistica e girotondina di piazza San Giovanni come voce della società civile, mi è parso più che politico. O, meglio, populista. Capisco che la gerarchia non è più abituata, da decenni, alle piazze politiche dei cattolici (le adunate dei papa boys furono più grandi, ma tutt’altro che politiche). Io invece quelle piazze le ricordo sia pure nelle nebbie dell’adolescenza, le centinaia di migliaia di “coldiretti” di Paolo Bonomi a Massenzio e a San Pietro, le adunate dei giovani di azione cattolica a Bologna e degli universitari cattolici a Roma nel l947, le folle dei 18 mila comitati civici di Gedda nel ‘48, quasi quanto le 26 mila parrocchie mobilitate per San Giovanni l’altro sabato. Poi, con la secolarizzazione della società e l’intermediazione Dc, calò un velo su quelle piazze, mentre la crisi della politica scatenò tra il 2001 e il 2003 la piazza “laica”: il primo milione di oppositori a Berlusconi in piazza San Giovanni (autunno 2001), i tre milioni di Cofferati sull’articolo 18 al Circo Massimo (marzo 2002), il milione di girotondini il 14 settembre 2002 ancora a piazza San Giovanni… Fu contestato a noi “girotondini” il diritto di definirci “società civile”, non vedo perché si dovrebbe dare tale riconoscimento al Family Day, come se le altre manifestazioni, ad esempio quella che dovremo purtroppo sorbirci a giugno dai gay, fossero società incivile.
Ciò chiarito, debbo anche dirle che il passaggio di Bagnasco dalla perscrutazione nei grembi materni ai problemi della povertà, mi fa molto piacere, nonostante che essa arrivi in ritardo (sono dieci anni che corre in sociologia e nel giornalismo l’espressione “nuove povertà”); e che in uno Stato non abituato a combattere in prima persona la “guerra alla povertà” (in Usa ci provò Johnson nel quadro della politica di Grande Società negli anni 60, ma sprofondò nelle paludi del Vietnam), il rischio sia quello di trasformare la dialettica sociale in rivolta antipolitica: come accadde nell’Italia di fine Ottocento tra i poverissimi contadini del Lombardo Veneto (mai sentito parlare di don Albertario?) e lo Stato “liberale”.
Altri tempi, altro miscuglio clericale di socialismo bianco e revanchismo antiliberale, altra fiacchezza dello Stato, povero a sua volta e classista borghese. Ma è sempre bene stare sull’allerta: sì alla collaborazione di tutti nella guerra alla povertà (e speriamo che Prodi e Padoa-Schioppa si sveglino), no a inframmettenze ulteriori in uno Stato che purtroppo ha smarrito il senso della sua autonomia e il primato della politica.


 

Imgpress.it 23-5-2007 MICHELE SANTORO, IL FALSO SCOOP SULLA CHIESA E I CITTADINI DI NAPOLI IN MEZZO AI RIFIUTI Alberto Giannino
Presidente Adc - Ass. culturale docenti cattolici

 

(23/05/2007) - Michele Santoro, 56 anni, salernitano, una laurea in filosofia con 110 e lode, una vita intera nella sinistra, giornalista di "Servire il popolo" e de "l'Unita' " (e di altre testate), ex euparlamentare per l'Ulivo, e' il conduttore televiso di ANNOZERO, trasmissione che va in onda su Rai 2 e per la quale, a suo dire, viene pagato solo 250 mila euro all'anno. Anche se il ministro della Giustizia il senatore Clemente Mastella (Udeur) afferma che invece i compensi di Santoro sono ben altri "quasi un milione di euro". Attendiamo il 740 di Santoro o il suo contratto RAI per sapere chi dice il vero. In fondo, si tratta di soldi pubblici, ed è un nostro sacrosanto diritto di conoscere quanto il Santoro percepisce al di la' della causa civile intentata al Guardasigilli Mastella per danni all'immagine. Santoro, in questi giorni, dopo anni nell' oscurita' in cui la sua immagine era appannata gravemente (del resto anche Anno zero non decolla e lo share e' sempre molto basso: non si arriva a 4 milioni di telespettatori), e' ritornato alla ribalta. Si e' irrigidito per fare una puntata su clero e pedofilia e trasmettere un filmato spazzatura (pagato dalla Rai 20 mila euro) della Bbc che dimostrerebbe presunte responsabilita' della Curia Romana degli anni 60. Qualcuno ha ipotizzato vergognosamente che il responsabile di un documento vaticano intitolato "Crimen sollicitationis" firmato dal cardinale Alfredo Ottaviani nel 1962, cioe 45 anni anni or sono , fosse il cardinale Joseph Ratzinger che invece nel 1962 era un semplice teologo in Germania e soltanto 19 anni dopo Joseph Ratzinger diventera' Prefetto della Congregazione della Fede. Il segretario della CEI monsignor Giuseppe Betori ha spiegato poi che i processi contro i sacerdoti pedofili fatti dalla Congregazione della Fede nel 99% dei casi si chiudono sempre con la riduzione allo stato laicale. Quindi mandare in onda un filmato che riguarda la Chiesa di 45 anni fa e presentare il documento Crimen sollicitatonis come un documento atto a difendere i pedofili da parte della Chiesa di Benedetto XVI o di Giovanni Paolo II e' un offesa contro tutti i cristiani e una manovra che ha come obiettivo la delegittimazione del Papa e della Chiesa. Io consiglierei agli avvocati della Curia Romana di guardare bene il programma e poi chiedere i danni all'immagine e devolverli ai poveri. Proprio come fara' Santoro con Mastella. Non solo, tutti ricordano che Papa Benedetto XVI lo scorso anno ha punito il potentissimo leader dei Legionari di Cristo, il messicano padre Marcial Maciel Degollado, accusato di pedofilia da otto ex seminaristi, proibendogli di dire la Messa e di fare vita ritirata chiuso in convento nonostante i suoi 87 anni. Ma evidentemente tutti sono come lo smemorato di Collegno. E chi non ricorda un mese prima che Giovanni Paolo II morisse, il cardinale Ratzinger che, durante la Via Crucis al Colosseo, disse testualmente che nella "Chiesa c'e' arrivismo, potere, sporcizia e zizzania". Davvero Santoro pensa che Ratzinger si riferisse alla pulizia delle canoniche o delle Chiese? O piuttosto parlasse di sporcizia morale? quella sporcizia morale che colpisce certamente anche i figli della Chiesa, che si rivelano in questo modo di essere indegni di fare i sacerdoti e di essere degli "alter Christus" o dei "ministri di Dio". Ma che con il loro operato assolutamente non colpiscono la Chiesa che e' Corpo Mistico di Cristo (Pio XII) e quindi "santa e immacolata, senza macchia e ruga" (San Paolo). Tutti vogliamo dei sacerdoti e dei Vescovi che siano di esempio per le loro comunita', che rispettino i voti della poverta' , castita' e obbedienza. Che siano vicini alla gente, che si occupino dei poveri, degli ultimi, degli ammalati. In Italia, dottor Santoro, ci sono 33 mila sacerdoti che non fanno notizia, ma fanno del bene negli ospedali, nelle scuole, nelle parrocchie, nelle carceri, nelle Charitas, nelle case di riposo per anziani, tra i tossicodipendenti, gli alcolisti, gli extracomunitari, e i minori e le donne abbandonate. E nel mondo sono invece 400 mila. Perche' , se lei e' davvero in buona fede, non fa un servizio ad Annozero in cui si parla di questi sacerdoti, dei missionari, di quelli che vivono nelle favelas, o accanto ai malati di lebbra, e accanto ai malati di Aids. Perche' vi ostinate ad accostare la pedofilia al clero, qusi che 400 mila preti e 4800 vescovi nel mondo siano tutti in odore di pedofilia. Ma neanche i miei studenti liceali fanno questa generalizzazione che in realta' bisognerebbe chiamare criminalizzazione! Pensavamo che l'anticlericalismo e il laicismo fossero ormai lontani. Invece constatiamo con amarezza che ritornano quando si tratta di mettere in difficolta' il successore di Pietro, il Vicario di Cristo in terra. Non gli perdonate che Egli abbia detto che vita, famiglia e liberta' di educazione sono valori non negoziabili. Non gli perdonate la sua granitica fermezza su questi valori fondamentali. Pensavate a un Pastore che sui temi etici, sull'eutanasia, sulla famiglia , sulle unioni di fatto, chiudesse non un occhio, ma tutti e due gli occhi. Volevate un Pastore che non parlasse di Dio e dei comandamenti, di Gesu', di morale e di divieti, ma che tollerasse un indifferentismo religioso che in pratica induce a vivere come se Dio non esistesse. Dottor Santoro, ho letto la sua biografia. Lei, a parte il suo curriculum politico tutto rigorosamente di sinistra, e' un uomo preparato e intelligente. E se lei insiste sull'accostamento arbitrario pedofilia uguale clero, significa che e' un uomo fazioso ma con una intelligenza rivolta al male e che ha ragione l 'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni quando ha richiamato la RAI per il programma Sciuscià Edizione Straordinaria evidenziando come, nelle dodici puntate comprese nel periodo tra l'11 gennaio 2002 e il 3 maggio 2002: «si rilevano gravi violazioni del principio del pluralismo informativo, consistenti nel costante disequilibrio tra le contrapposte posizioni politiche espresse, sia in termini di numero degli ospiti in studio, sia in termini di durata degli interventi a cui si aggiungono il comportamento fazioso del conduttore e la presenza del pubblico schierato per una delle posizioni».
Ecco, questa nota negativa del Garante che riguarda il suo lavoro di giornalista lei se la porta appiccicata addosso nel suo mestiere, e' una gravissima onta che lei deve cancellare. Le assicuro che le accuse che le ha mosso il Garante gliele muovono tutti e in tutti gli ambienti (non conosco le ex celleule del PCI o sezioni). Nessuno se non e' in sintonia con lei verrebbe mai in una sua trasmissione per le imboscate, la faziosita' e il pericolo di uscirne a pezzettini e con le ossa rotte. Dimostri Santoro a noi cittadini, al Garante, alla Chiesa e a Mastella che non corrisponde al vero questa annotazione negativa nella sua carriera. Dimostri che e' cambiato e che per fare audience per il suo programma in crisi non ha bisogno del Papa, della Chiesa e dei pedofili. E soprattutto, lei che e' campano denunci ad Anno zero lo schifo, le epidemie e l'emergenza che ci sono a Napoli e provincia (anche se sono tutti politici di sinistra, sia coraggioso una volta tanto nella vita!). Dica agli italiani che ci sono 2.600 tonnellate di rifiuti in mezzo alla strada (c'e' anche chi parla di 15 mila) e 131 roghi, che la situazione e' esplosiva per bambini e anziani. Mandi il suo fedelissimo Ruotolo in provincia di Napoli e gli faccia fare un servizio su la camorra e il business dei rifiuti e politica. Io le faro' da consulente (gratis), non voglio che lei ci rimetta i pochi quattrini che Mamma Rai le dà.


 

Il link del servizio della BBC che Santoro manderà in onda

 

http://video.google.it/videoplay?docid=3237027119714361315

 


La Repubblica 23-5-2007 Intrighi e guerre di potere la vera storia del caso Speciale. Gli ufficiali da trasferire non si erano mai occupati di Unipol. Dietro alla vicenda della Guardia di finanza lombarda incroci con il Sismi dell'era Pollari. di CARLO BONINI


SEMBRA una storia limpida, "il caso Visco". Non lo è. Perché monca e sapientemente manipolata. E, come in tutte le storie manipolate, i fatti ne nascondono un'altra. Che racconta le mosse oblique del vertice della Guardia di Finanza e ne svela le ragioni velenose. È notizia di ieri. Il "Giornale", di proprietà della famiglia Berlusconi, "documenta" un brutto affare. In un verbale del 17 luglio 2006, il comandante generale della Finanza, Roberto Speciale, riferisce all'Avvocatura dello Stato di essere stato oggetto di indebite, insistite e minacciose pressioni da parte del viceministro per l'Economia Vincenzo Visco per trasferire quattro alti ufficiali in servizio a Milano.

Quattro ufficiali che, in quel momento "lavorano all'inchiesta" che ha tolto serenità ai Ds, "il caso Unipol". La richiesta di trasferimento non ha nessuna apparente motivazione se non quella, "inconfessabile" di punire servitori dello Stato considerati politicamente inaffidabili dai nuovi inquilini di Palazzo Chigi. Il comandante Speciale resiste coraggiosamente all'arroganza del viceministro e la spunta. I quattro ufficiali restano al loro posto. Il fatto non è nuovo (le cronache del luglio 2006 riferirono diffusamente del conflitto tra comandante generale e viceministro), ma il verbale di Speciale offre pathos, sollecita indignazione. Tra il 13 e il 17 luglio 2006, sembra di vederlo, il generale mentre, assediato nel suo ufficio di viale XXI aprile, prova a spiegare a Visco che non può dare corso immediato a trasferimenti imposti del ministro senza violare la legge. Che esistono delle procedure da rispettare e che a quelle lui starà. Sembra di vederlo ancora, ventilare stoicamente le dimissioni il 17 luglio 2006, quando dall'ufficio del viceministro arrivano arroganti minacce.
La cronaca del "Giornale" porta la firma di Gianluigi Nuzzi. E il dettaglio non è neutro. Serve a entrare nella storia del "caso Visco", a ricostruirne con esattezza i passaggi. A illuminarne i protagonisti. Nuzzi ha ottime fonti nella Guardia di Finanza. Ha tenuto dei corsi alla scuola della Guardia di Finanza. Nella Guardia di Finanza ha raccolto il brogliaccio di un'intercettazione mai trascritta che, nel gennaio 2006, documenta la ormai celebre conversazione telefonica tra Piero Fassino e Giovanni Consorte ("Abbiamo una banca...") che sprofonda i Ds in uno psicodramma. Ma, soprattutto, Gianluigi Nuzzi ha un amico importante nelle Fiamme Gialle: il generale Emilio Spaziante, che della Guardia di Finanza è stato capo di Stato Maggiore dal luglio 2005 al marzo scorso, quando viene nominato vicedirettore del Cesis (organo di coordinamento dei nosti servizi segreti). Nuzzi e Spaziante si conoscono da tempo e insieme, nel 2004, inciampano in una fuga di notizie per un'indagine sui bilanci dell'Impregilo. Vicenda che appare dimenticata, ma che, nel gennaio 2006, quando si consuma la fuga di notizie su Fassino e Consorte, a molti sembra utile ricordare.

Estate 2006, dunque. Visco è appena arrivato all'Economia, il generale Emilio Spaziante è a Roma ormai da un anno quale capo di Stato maggiore. Fino all'anno prima, ha comandato la Regione Lombardia. E la Lombardia e Milano sono da sempre il suo "collegio". Non c'è foglia che si muova nei comandi territoriali che lui non sappia. Quando dunque lascia per il comando a Roma, Spaziante impone quale suo successore un amico fraterno, un compagno di corso: il generale Mario Forchetti. Per Spaziante è una garanzia doppia. Non solo per l'amicizia, ma per il network che li lega. Entrambi sono stati ufficiali del "II Reparto", l'intelligence della Guardia di Finanza, l'occhio e l'orecchio che lavora in perfetta osmosi con il Sismi dell'ex generale di corpo d'armata della Fiamme Gialle Nicolò Pollari e da cui Pollari pesca decine e decine di suoi ex ufficiali.

Il Sismi di Pollari - la Guardia di Finanza della Lombardia - il capo di Stato Maggiore Emilio Spaziante. E' un triangolo d'acciaio che ha il suo baricentro a Milano dove, in quei mesi, molto bolle in pentola. Non solo le inchieste sulle scalate bancarie e sul caso Unipol, ma anche le vicende di Telecom, le singolari intrusioni nelle anagrafi tributarie alla ricerca di qualche buona notizia sullo stato dei patrimoni dei leader del centro-sinistra.

Epperò, ecco che nel luglio del 2006, il network sembra doversi improvvisamente spezzare. In giugno, il comandante generale della Guardia di Finanza, Roberto Speciale, sollecita il viceministro Visco a dare corso a una cinquantina di avvicendamenti di alti ufficiali stilata nei mesi precedenti. Visco prende tempo e chiede di poter prima compiere un giro di orizzonte. Riunisce i direttori generali delle amministrazioni civili dello Stato, i vertici della Guardia di Finanza, chiedendo che su quella lista di trasferimenti faccia le loro osservazioni non solo il generale Spaziante, ma anche l'allora comandante in seconda Italo Pappa e l'ufficiale che dovrà succedergli, il generale Sergio Favaro. Per quel che ne riferiscono oggi fonti qualificate al ministero dell'Economia, Visco raccoglie da Favaro e Pappa un'opinione condivisa che a Milano e nella Lombradia esista "una criticità". Nessuno aggiunge di più. Ma il network che fa capo a Spaziante non è un segreto per nessuno.

Visco chiede dunque al Comandante generale di integrare la lista di trasferimenti già pronta con quattro nomi: il comandante regionale della Lombardia, generale Forchetti; il comandante del Nucleo provinciale Regionale della Lombardia, colonnello Lorusso; il comandante del Nucleo provinciale della polizia tributaria di Milano, colonnello Pomponi; il gruppo dei servizi di polizia giudiziaria, Tomei.

I quattro ufficiali da trasferire diventano presto tre (Tomei scompare dall'orizzonte). E il 13 luglio 2006, a leggere il suo verbale pubblicato dal "Giornale", il comandante generale Speciale entra nel suo personale inferno. Curiosamente, però, lo stesso generale omette di riferire cosa accade il 14 di luglio. Con una nota al viceministro Visco, lo informa di aver predisposto l'avvio dei procedimenti di trasferimento. Indica anche a quali nuovi incarichi saranno destinati: Forchetti sarà il nuovo comandante generale della Regione Piemonte; Lorusso il nuovo capo di stato maggiore del comando interregionale di Milano; Pomponi andrà al comando generale a Roma.

Passano i giorni e al ministero monta l'irritazione perché non si ha alcun segno che quel che Speciale ha scritto nella sua nota avrà un seguito. Ma lo stallo ha una ragione. Consente di manovrare a chi deve impedire che il triangolo Sismi-Spaziante-Milano si spezzi. Viene costruito un primo falso. Che i tre ufficiali da trasferire paghino il loro coinvolgimento nell'indagine Unipol. In realtà, nessuno di loro vi ha mai messo mano. All'inchiesta (e alle sue intercettazioni) hanno lavorato, a Milano, gli uomini del nucleo di polizia valutaria di Roma. Piuttosto è vero che il brogliaccio dell'intercettazione Consorte (di cui si è avuta "fuga di notizie") è stato redatto nella caserma milanese di via Filzi, sede del nucleo di polizia tributaria (quello comandato da Pomponi). Il resto è un gioco da ragazzi. La notizia dei trasferimenti contesi obbliga l'Avvocatura generale dello Stato ad aprire un fascicolo per conoscere "eventuali addebiti disciplinari" sul conto degli ufficiali in predicato di trasferimento. E il caso viene affidato a Manuela Romei Pasetti, amica di famiglia del generale Spaziante. Che, insieme a Speciale, viene sentito ad horas negli uffici della caserma di via Filzi a Milano. I generali Pappa e Favaro, che pure avrebbero qualcosa da dire, e di diverso, dovranno aspettare settembre e saranno sentiti in Procura.

A fine luglio 2006, la partita è chiusa. Spaziante e Speciale hanno vinto. Gli ufficiali da trasferire restano al loro posto. Come i veleni di quella storia. Buoni per essere riproposti ora, che si ricomincia a parlare di un nuovo comandante generale della Guardia di Finanza.

(23 maggio 2007)


Zeusnews 22-5-2005 Politica e affari in Telecom e altre storie Bruno Tabacci, noto parlamentare del centrodestra (ma molto critico con Berlusconi), rilegge la vicenda Telecom Italia e il rapporto politica-banche.

[ZEUS News - www.zeusnews.it - 22-05-2007]

Bruno Tabacci, parlamentare dell'Udc, uomo del centrodestra ma considerato da Berlusconi "una spina nel fianco", soprattutto reduce della Prima Repubblica in cui è stato presidente della Regione Lombardia, parlamentare ed uno dei "colonnelli" della Dc di De Mita, rilegge le vicende economiche, politiche e finanziarie degli ultimi anni in Italia, a partire dal caso Telecom, in un libro-intervista al giornalista economico del Corriere della Sera Sergio Rizzo, appena uscito presso Laterza.

Tabacci è un politico di professione, meglio di razza, pieno di passione per la politica e un "conservatore illuminato", come si diceva una volta, e non ha tanti complessi di inferiorità nei confronti del capitalismo all'italiana di cui critica limiti ed insufficienze senza pietà.

Per questo parte dalla considerazione che nella Prima Repubblica, prima di Mani Pulite, le cose non andavano tanto bene perché i banchieri si facevano dare ordini dalla politica: c'era troppa politica negli affari mentre, oggi, il problema è che c'è troppo poca politica, troppi affari nella politica e sono i banchieri a comandare i politici e a fare il bello e il cattivo tempo nella società italiana.

E' un giudizio tremendamente d'attualità, se pensiamo che in pochi mesi sono nati in Italia almeno tre colossi bancari tra i più grandi del mondo: Intesa-SanPaolo, Unicredit-Capitalia, Banca Popolare Verona-Novara-Lodi, i cui i manager controllano in gran parte l'industria e i servizi del nostro Paese e hanno disponibilità finanziarie superiori a tutte le altre aziende.

Non a caso, con malizia, Tabacci ci ricorda che quando Tronchetti Provera si volle lamentare dell'atteggiamento di Prodi con lui e Telecom, non ne parlò con Prodi stesso o un altro politico ma con Giovanni Bazoli, presidente-padrone di Intesa-San Paolo e sponsor di Prodi.

Tabacci, mantovano come l'ex manager e azionista di controllo Roberto Colaninno, ricorda come nacque l'Opa su Telecom. Cominciò con l'Opa del Monte dei Paschi di Siena, banca vicina ai Ds perché governata dagli stessi amministratori locali diessini di Siena, sulla Banca Popolare di Mantova in cui era presente Colaninno.

Dall'alleanza Mps-Colaninno-D'Alema, con l'appoggio di Fazio, governatore di Bankitalia, nasce l'Opa su Telecom fatta in spregio alle regole di non intervento nelle aziende che, oggi, tutti dichiarano di voler rispettare. Poi Colaninno esce e passa la mano a Tronchetti perché, ricorda Tabacci, i furbetti del quartierino come Gnutti, Ricucci e consorte di Unipol devono realizzare e non sono interessati a un progetto industriale.

Alla fine in Telecom Italia a comandare rimangono solo le banche; ma il problema, ci dice Tabacci, (e non gli si può dare torto) è che sulla politica e sui giornali italiani sono le banche e i banchieri italiani a comandare e non gli elettori: in sostanza la classe politica italiana è un apparato costoso e inutile.

 

 


Il Riformista 23-5-2007 Quel silenzio dopo le parole di Craxi alla Camera di Paolo Franchi


Filippo Facci mi annovera sul Giornale tra «i maggiori traduttori italiani di Massimo D’Alema»: troppa grazia. E di conseguenza mi rimprovera per aver scritto che D’Alema, evocando il rischio che il sistema politico attuale venga travolto come accadde quindici anni fa alla Prima Repubblica, ha probabilmente voluto segnalare che non intende comportarsi come Bettino Craxi. Il quale, dando a Mario Chiesa del mariuolo, provò a nascondere (io per la verità avevo aggiunto: “in primo luogo a se stesso”) che quella che si stava aprendo era una crisi di sistema. Queste cose, sostiene Facci, Craxi le disse sì, ma nelle settimane immediatamente successive all’arresto di Chiesa (17 febbraio 1992), quando sembrava possibile (lui dice anche ai magistrati, io penso proprio di no) che l’inchiesta milanese si chiudesse con un processo per direttissima. Poi, quando fu chiaro che era partita la grande slavina, Craxi disse (già il 3 luglio, alla Camera) cose assai diverse. Mettendo l’accento sul carattere generalizzato del finanziamento illecito ai partiti e alla politica e della corruttela. Esortando pubblicamente chi se la fosse sentita (senza spergiurare) di dirsene estraneo a farlo pubblicamente. E facendo appello a uno sforzo comune per il risanamento del sistema. Di un sistema, conclude Facci, che per D’Alema e i Ds non era particolarmente in crisi, giacché a loro giudizio tutti i guai derivavano dall’irrefrenabile inclinazione al furto dei socialisti.
Vorrei anzitutto rassicurare Facci. Se ho scritto sciocchezze, si tratta di farina del sacco mio, non certo del sacco di D’Alema. E se c’è una memoria in crisi è la mia, non quella, di cui non posso rispondere, del ministro degli Esteri. Però quelle settimane e quei mesi - li vissi al Corriere, come capo del servizio politico a Roma, nemmeno troppo implicitamente sospettato di filosocialismo - a me sembra di ricordarli bene. Ricordo benissimo, per esempio, quando alla vigilia delle elezioni politiche andai, con Guido Gentili, a intervistare in via del Corso Bettino. Che ci disse (e noi ovviamente lo scrivemmo) di aver chiaro, chiarissimo che cosa fossero diventati i partiti, compreso il suo. Ma di aver altrettanto chiaro anche che, ove mai l’impresa fosse stata ancora possibile, e ne era certo, a riformare il Psi avrebbero dovuto essere dei giovani (dei «giovani veri», precisò), non certo lui, che non aveva più a disposizione né il tempo né le energie sufficienti. Il suo obiettivo era Palazzo Chigi, i sondaggi (se ne rigirava tra le mani uno che lo dava al sedici e passa per cento) lo confortavano. In poche parole: la crisi la intuiva perfettamente, ma sperava di fare in tempo ad aggirarla in extremis. Dall’alto, non dal basso. Dal governo, come se fosse possibile rinverdire i fasti del quadriennio ’83-’87, non più da quella società di cui più e meglio di tutti i politici italiani aveva intuito, negli anni precedenti, i cambiamenti.
Si trattava di una speranza infondata. Niente Palazzo Chigi, niente Quirinale, ma l’inizio di una falsa rivoluzione destinata a portarsi via (e per un lungo periodo anche a condannare alla damnatio memoriae) i suoi innegabili meriti assieme ai suoi errori. Ricordo benissimo anche il suo discorso alla Camera, in luglio. E ricordo ancora meglio il silenzio che lo accolse, per spirito di vendetta e nell’illusione che potesse fungere lui solo da capro espiatorio. Tante volte mi sono chiesto se il corso delle vicende italiane sarebbe cambiato se un politico autorevole, meglio se un avversario, un De Mita, o un Occhetto, avesse avuto il coraggio di prendere la parola per rispondergli.
Penso di sì, ma in ogni caso non avvenne: le classi dirigenti avvertono il dovere di affrontare una crisi di sistema, del loro sistema, quelle evidentemente non erano più classi dirigenti.
Sono passati quasi quindici anni. Classi dirigenti nuove non se ne sono viste (di tutte le «rivoluzioni», quella italiana è l’unica a non averne prodotte). Ma (non lo dice solo D’Alema, e però lui lo ha detto più chiaramente di altri) ci risiamo con il pericolo della crisi di sistema, come se in questo quindicennio si fosse davvero formato un sistema, e non una partitocrazia senza partiti, o una poltigliocrazia. Non saprei dire se dalle vicende di allora si possano trarre degli ammaestramenti per l’oggi. Forse no, ma magari non è inutile continuare a ragionarne.


Il Giornale di Brescia 23-5-2007 Prodi a Strasburgo: senza intesa, Ue a due velocità. I parlamentari del Polo abbandonano l'aula per polemica.

 

Il presidente del Consiglio: "Decisione incredibile" Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, durante il suo intervento ieri al Parlamento europeo a Strasburgo STRASBURGO La visita di Prodi alle istituzioni europee si è trasformata in una nuova occasione di scontro politico. Il premier è intervenuto a Strasburgo parlando di Costituzione europea in un'aula semivuota abbandonata sia dalla destra che dagli euroscettici. Poi, quando nel pomeriggio ha incontrato i parlamentari italiani, la protesta si è formalizzata davanti al documento consegnato dall'europarlamentare Antonio Tajani (FI): ce ne andiamo, abbandoniamo l'incontro perchè Prodi "é il leader di una parte politica". Immediata la replica del premier: "Tutto ciò è incredibile". Prodi ha raccolto però applausi, nel suo intervento, quando ha detto che l'Italia è pronta ad assumere la leadership dei paesi europei che vogliono avanzare verso un'Europa più unita e, se non ci sarà un accordo a 27 sulla nuova Costituzione, non esclude l'ipotesi di procedere a due velocità nel processo di integrazione. Meglio procedere con un'avanguardia di paesi, piuttosto che avere un compromesso al ribasso, così come già sperimentato con alcune delle scelte politiche più significative dell'Europa, come l'Euro e lo spazio Schengen, "realizzate ricorda Prodi - solo da alcuni Stati membri", ma non contro qualcuno e senza escludere gli altri. Tenendo, al contrario, "la porta aperta". Una scelta "rispettata da quanti a suo tempo non si sentirono ancora pronti perandare verso una certa direzione. Ecco, io auspico rileva il premier - che in futuro prevalga questo approccio costruttivo e che abbia la meglio su ogni tentazione di veto". Il presidente dell'Europarlamento Hans-Gert Poettering riconosce a Prodi il ruolo europeista dell'Italia, ma sulla doppia velocità è scettico. "Non siamo ancora arrivati a questo punto, speriamo che tutti i 27 Stati vadano nella stessa direzione". E Prodi, al suo fianco in un incontro stampa, precisa: "La doppia velocità è una second best, una seconda opzione, rispetto alla prima scelta di un'intesa a 27 che resta la priorità". L'ex presidente della Commissione Ue non si nasconde la difficoltà di procedere a velocità diverse sulle riforme istituzionali. Impossibile farlo, riconosce, senza la Francia. Da Nicolas Sarkozy - auspica - "mi attendo una politica europea forte". Ma se l'intesa a 27 si rivelasse alla fine impossibile, l'impasse potrebbe essere superata solo richiamando quel principio fondamentale della Ue che impone che nessun Stato comprima troppo e per troppo tempo le aspirazioni degli altri. Del resto, sul Trattato costituzionale non si parte da zero. A Strasburgo, Prodi ha parlato davanti ad un'aula parlamentare vuota per almeno la metà. Le assenze più evidenti si sono notate nei banchi della destra europea e delle forze euroscettiche. Il discorso di Prodi è stato comunque costellato da diversi applausi: in quattro occasioni i parlamentari lo hanno applaudito e anche la fine del discorso è stata accolta con consensi. "Finora c'è stata attenzione verso coloro che si allontanano dall'Europa", dice al suo arrivo, accolto dai tre vice presidenti italiani dell'Europarlamento. "Adesso è il momento di prestare attenzione ai 18 paesi che hanno ratificato la Costituzione e che rappresentano la maggioranza assoluta". Su questo tasto martella Prodi e avverte che l'Italia "non accetterà stravolgimenti" del Trattato firmato a Roma. E Prodi indica anche alcuni paletti: il ministro degli esteri comune ("chiamatelo se volete segretario di Stato", dice agli euroscettici che lo contestano), una presidenza del Consiglio stabile, la personalità giuridica della Ue, la Carta dei diritti. Pronto a rinunciare, anche se a malincuore, a simboli come l'inno e la bandiera.


 

L’Unità 23-5-2007 De Luna: "La politica è subalterna al mercato" "Una classe dirigente vissuta come casta. I partiti sono diventati aggregati di detentori di cariche pubbliche" di Bruno Miserendino

 

/ Roma SCEGLIERE "Una politica che non sceglie e che non motiva": questa è la causa della disaffezione. "Una classe dirigente vissuta come casta", che non si seleziona più nel confronto con i bisogni reali della gente. Giovanni De Luna, storico autorevole dell'Italia contemporanea, dà la sua lettura sull'allarme di D'Alema. E dà una sua ricetta: un "conflitto" sano, senza scontro, basato sulla nettezza delle scelte. Professore, condivide l'analisi di D'Alema? "Do per scontato che sia vero il dato della disaffezione dalla politica. Non so se il riferimento alla crisi di Tangentopoli è calzante, ma l'importante è interrogarsi sul perché di questo scollamento". Ecco, perché? "Se si analizza andando dal particolare al generale, il primo anello è rappresentato da questa nefasta legge elettorale, che ha sequestrato la possibilità dei cittadini di incidere sulle scelte dei partiti. Il secondo anello, più ampio, è quello che io definirei l'ingerenza del mercato. C'è una frase cara a Giuliano Ferrara: il mercato decide, i tecnici governano e i politici vanno in televisione. Un po' rozzo, ma plausibile. Si ha l'impressione che ormai una serie di meccanismi decisionali sfuggano alla politica. C'è un mercato sempre più invasivo e una parallela ritirata dello Stato da una serie di ambiti occupati nel Novecento. È un ridimensionamento verso il basso (nei confronti delle comunità locali, di appetiti corporativi), e verso l'altro, la dimensione globalizzata e sovranazionale". Però questo non è un fenomeno solo italiano. "Ma in Italia rimbalza in modo peculiare e drammatico. Ha ragione D'Alema, da noi si stanno manifestando in maniera parossistica fenomeni nati nella seconda metà degli anni 80. I partiti sono diventati aggregati di detentori di cariche pubbliche, contribuendo all'immagine di classe politica come casta. Prevale la cooptazione, mentre si è spezzato quel meccanismo che legava la selezione delle classi dirigenti al confronto coi bisogni reali". Che era un merito dei grandi partiti di massa. "In Italia si è usciti in modo tumultuoso dal Novecento scaraventando fuori dalla finestra i partiti di massa e tutte le vecchie appartenenze ideologiche, ma rischiando di buttare il bambino con l'acqua sporca. La marea ha lasciato a riva tronconi di partiti. Uno degli aspetti più significativi è l'affievolirsi delle distinzioni identitarie e sui valori. Questo non è di per sé un male perché ideologie, identità e valori nel Novecento ci hanno regalato tragedie. Ma smarrendo i tratti del conflitto identitario la politica non è più stata in grado di intercettare le passioni e i tumulti della gente, si è presentata come una distinzione tra opzioni molto simili, legate alla gestione della cosa pubblica". Si direbbe che non ci sono più le differenze di una volta... "Da questo punto di vista, con grande cautela, forse la riproposizione più netta del conflitto potrebbe persino essere una soluzione. Anche in D'Alema c'è stata spesso questa paura del conflitto, questa ansia del paese normale, pacificato, che dialoga. Perché pesa ancora il ricordo di quando i conflitti spaccavano il paese. Invece io avrei oggi più fiducia". Nel bipolarismo maturo? "Oggi si può riproporre una nozione di conflitto che non porti sull'orlo della guerra civile. La disaffezione è legata alla mancanza di scelte nette. Sulle emergenze del nostro tempo la gente non può non schierarsi, e può farlo senza per questo avere un nemico da combattere". Esempi? "Ad esempio i problemi sollevati dalle comunità locali, come Serre, la Val di Susa, come si affrontano? Rinviando la scelta, dando ragione una volta all'uno o all'altro? Per la sinistra storicamente il territorio non è stato sempre una variabile decisiva, anzi veniva interpretato come un freno al dispiegarsi del protagonismo collettivo, delle grandi masse. Adesso queste comunità locali diventano di colpo il sale della democrazia? Qui bisogna darsi una misura e un criterio di giudizio. Togliatti criticava il mito del buon governo. La questione meridionale, diceva, si può risolvere con bravi agronomi? O ci vuole qualcosa di più? Insomma servono scelte più chiare e possibilità di schierarsi". Anche sul tema della laicità? "Non possiamo pensare che oggi la frattura laici cattolici possa riproporsi nella dimensione scismatica dell'Ottocento. Entrambi si confrontano all'insegna della stessa regressione, perché in realtà il mercato sta erodendo la politica dei laici e la leadership dei cattolici. Diciamo la verità: i valori che si affermano nel mercato non sono quelli del Family Day. Questo confronto non deve essere risolto sul piano del compromesso, ma della chiarezza delle opzioni". Ma nella destra e nella sinistra, oggi, vede consapevolezza della profondità del male, oppure ognuno punta a convivere a modo suo con questa disaffezione? "Il problema è comune. La destra ha una scorciatoia che è Berlusconi. Il suo elettorato è fisiologicamente più lontano dalla politica, ma è più ricettivo al richiamo del populismo. Il centrosinistra non ha questi strumenti, deve nutrirsi di un altro humus culturale, che è appunto la nettezza delle scelte. Solo che non vedo, nella sinistra, grande consapevolezza, per questo il richiamo di D'Alema è utile". Secondo lei il partito democratico è una risposta alla disaffezione? "Il partito democratico rischia di essere schiacciato nella sua nascita dal problema della governabilità. Il processo ha assunto una direzione a senso unico, di tipo centripeto, da sinistra verso il centro, e il rischio di un'egemonia moderata c'è. Questa sofferenza dell'area di sinistra verso il Pd la vediamo nella costruzione del Pantheon. Per chi è della Margherita non c'è nessuna difficoltà a metterci De Gasperi, per la sinistra si tratta di far convivere Berlinguer e Craxi. Ma il progetto pone problemi enormi anche nella sinistra radicale, perché fa perdere rendite di posizione e obbliga al cambiamento. Come si rompe questo schema? Non lasciandosi invischiare dalla dimensione della governabilità. Quella è un "prius", ma non può bastare, bisogna riattivare il meccanismo delle opzioni e delle scelte. Serve una classe dirigente nuova, giovane, non selezionata sul sopire e lenire". Ai protagonisti del mercato conviene una politica debole? "Sì. Lo spazio pubblico lasciato libero dalla politica viene man mano occupato dal mercato, con le sue regole e i suoi comportamenti collettivi. Non va demonizzato questo fenomeno, tutta la storia contemporanea è legata alla dialettica tra politica e mercato. Ci sono fasi in cui la politica si espande nello spazio pubblico, come dopo il '29, e fasi, come questa, in cui il dominio si rattrappisce. Il mercato ci sguazza, costruisce un senso comune in cui prevale l'insofferenza verso regole, lacci e lacciuoli. La sua è una vittoria culturale prima di tutto". E la politica non reagisce. "L'errore della politica è modellarsi alla tendenza, restando subalterna".


 

Il Sole 24 Ore 23-5-2007 L'eterno slalom del Governo fra il rigore e il consenso di Stefano Folli


22 maggio 2007 Alla ricerca del consenso elettorale, lo slalom del governo è comprensibile, ma poco convincente. L'altra sera il presidente del Consiglio, dopo il vertice di Palazzo Chigi, è ricorso alla tattica di indicare cinque priorità. Eppure cinque sono un po' troppe se si vuole mandare un messaggio efficace, e non solo superficiale, alla pubblica opinione. Ma tant'è. In questa fase prevalgono le ragioni legittime della propaganda, il che non esclude che l'esecutivo debba guardarsi dalle fratture interne. Se la riunione di domenica (con D'Alema, Rutelli e Padoa-Schioppa) voleva dare il senso di una "regìa" nel governo, affidata a due esponenti del futuro Partito Democratico e al ministro paladino del rigore, l'operazione è riuscita a metà.
Prima di tutto perché i temi insidiosi sono stati rinviati al Dpef e nel frattempo l'unica cosa certa sono le risorse destinate al contratto degli statali. E in secondo luogo perché questo ruolo direttivo del Partito Democratico non è ovviamente accettato dagli altri partner, cioè dai partiti dell'ala radicale. L'argomento dei Giordano, Diliberto e Pecoraro Scanio è nella sostanza piuttosto semplice: l'area Ds-Margherita non dispone da sola dei voti per fare maggioranza in Parlamento; dunque deve trattare con loro. L'idea che l'asse del governo si sposti piano piano verso il centro non è accettabile per la sinistra, che finora si è sempre sforzata di ottenere il risultato opposto.
Comunque l'aspetto politico, cioè la solita spaccatura nell'Unione, non è così rilevante in questo momento. Tutti sono in campagna elettorale e ciascuno tira l'acqua al suo mulino. Prodi, con i Ds e la Margherita, ha interesse a marcare il profilo "riformista" del governo. Gli altri hanno bisogno di recuperare in fretta un po' di visibilità. Dopo le elezioni si farà il punto. Nel frattempo la riforma delle pensioni, chiesta da Padoa-Schioppa, sembra scomparsa nel nulla. La promessa di adeguare le pensioni minime (una delle cinque priorità prodiane) è utile sul piano sociale, ma non ha nulla a che vedere con i correttivi chiesti dal ministro dell'Economia. Il quale aveva posto la fine di giugno come data-limite per un'intesa.
Così il governo appare diviso una volta di più fra il rigore del ministro che guarda all'Europa e l'impianto tradizionale dei partiti. Quelli dell'estrema sinistra, ma anche i due maggiori (Ds e Margherita): tutti attenti a sottolineare le loro ragioni pratiche. Forse scoprendo per questa via che la " crisi della politica" è anche la loro crisi come organizzazioni stanche e piuttosto autoreferenziali. Il risultato è la consueta paralisi dell'esecutivo.
Vale la pena di segnalare, del resto, che proprio ieri il presidente della Camera ha chiesto una riforma della politica. Operando però una distinzione. Gli strati a reddito medio-alto chiedono una riforma delle istituzioni, compresa la legge elettorale; mentre i ceti a reddito medio-basso si distaccano dalla politica «per la mancata corrispondenza della medesima alle condizioni sociali». In parole povere, la politica non è in grado di frenare il crescente impoverimento dei ceti deboli. È certo un caso, ma l'analisi di Bertinotti non è del tutto dissimile da quella di monsignor Bagnasco. Il presidente della Cei ha indicato proprio nella povertà di un numero sempre crescente di famiglie il problema numero uno del Paese. La vera priorità. E c'è da star sicuri che la denuncia del prelato accentuerà il malessere che agita il centrosinistra.

 


 

L’Unità 23-5-2007 Capaci e gli incapaci Marco Travaglio

 

Nel XV anniversario della strage di Capaci, c'è una cosa molto utile che potrebbero fare i politici italiani: tacere. Risparmiarci la solita grandinata di dichiarazioni, esortazioni, rassicurazioni, omelie, giaculatorie con lacrima incorporata. Disertare, una volta tanto, le celebrazioni ufficiali, sempre più rituali e retoriche, nelle quali le parole sono inversamente proporzionali ai contenuti e le promesse ai fatti concreti. E ritirarsi a riflettere in silenzio sul fallimento di questi dieci anni di lotta alla mafia, del quale tutti, pro quota, sono responsabili, visto che tutti hanno governato. Casomai qualcuno volesse anche informarsi, ci sono ottime letture. Saverio Lodato ha ripubblicato negli Oscar Mondadori la sua memorabile intervista del '99 a Tommaso Buscetta, dal titolo eloquente "La mafia ha vinto". Più in sintesi, c'è la lettera disperata (su "l'Unità" di ieri) Giovanna Chelli, che ha avuto un parente morto nella strage dei Georgofili del '93: da mesi attende risposta dal ministro della Giustizia a un'interpellanza sui mafiosi passati dal carcere duro del 41-bis al carcere molle. C'è l'intervista del "Corriere" alla vedova Rosaria Schifani, che ai funerali di Capaci lanciò il suo grido di dolore nella cattedrale di Palermo e oggi si sente evitata dalla gente e dimenticata dalle autorità. C'è l'intervista di Maria Falcone a "Repubblica", per chiedere a una politica sorda ma loquacissima notizie sui "mandanti occulti" delle stragi del '92-'93. E c'è il libro di Lirio e Abbate e Peter Gomez, "I complici - Tutti gli uomini di Provenzano da Corleone al Parlamento" (ed. Fazi), con tutte le storie attuali di mafia e politica, a destra come a sinistra. Appena uscito il libro, Abbate, cronista dell'Ansa di Palermo, è stato messo sotto scorta (auto blindata e due angeli custodi) per le minacce ricevute da ambienti mafiosi collegati, forse, con la malapolitica. La cosca che lo intimidisce è quella di Brancaccio, retta fino a qualche tempo da Giuseppe Guttadauro, amico di Totò Cuffaro e di altri amici degli amici. Ma il libro parla anche delle collusioni trasversali della cosca di Bagheria-Villabate. Una telefonata minatoria, un biglietto sull'auto, una foto sotto il portone dell'Ansa hanno indotto le autorità a proteggerlo. Fatti più gravi ancora di quelli che costringono lo scrittore Roberto Saviano a vivere da clandestino nel suo paese. Una notizia enorme,se si pensa che a Palermo nessun giornalista girava scortato nemmeno negli anni della guerra di mafia. A parte un articolo de "l'Unità", un paio di "brevi" di 5-10 righe su "Repubblica" e "Corriere", un servizio del Tg3, nessun quotidiano o tg l'ha raccontato. Ma il fatto più agghiacciante è il silenzio della politica nazionale. Fino alle 18 di ieri si segnalavano solo dichiarazioni di politici siciliani: Rita Borsellino; Forgione e Rappa del Prc; Garraffa dei Ds; Piro dei Dl; Cuffaro dell'Udc; Vizzini, Santoro e Scoma di FI. La dichiarazione migliore è questa: "È drammatica l'immagine di una terra dove chi fa informazione debba muoversi sotto protezione. In Sicilia la mafia vuole uccidere un'altra libertà fondamentale: quella di informazione. Sono certo che Abbate non mollerà, ma il problema è anche quello di una politica che invita sempre gli altri ad andare avanti e poi resta un passo indietro. La vera solidarietà che voglio dare a Lirio Abbate è quella di stare concretamente accanto a chi, come lui, è in prima linea per difendere la libertà di informare soprattutto quando l'informazione può apparire scomoda". Chi l'ha detto? Il presidente del Consiglio? Un leader della maggioranza? Magari. L'ha detto Carlo Vizzini, ex Psdi ora Forza Italia.Tutto normale, no? Uliwood party.


 

Il Tirreno Piombino - Elba Si fanno avanti i mussiani che non lasceranno i Ds

 

PORTOFERRAIO. Hanno sostenuto la mozione Mussi al congresso Ds di Firenze, ma non sono intenzionati a seguire il ministro piombinese nella costruzione di Sinistra democratica; la loro battaglia, insomma, vogliono continuare a farla dall'interno del futuro Partito democratico. è questa la posizione assunta da un gruppo di iscritti ai Ds, sia elbani che piombinesi, affidata a un comunicato i cui primi firmatari sono Ringo Anselmi, Luciano Gabrielli, Giovanni Fratini, Michele Di Perna, Dino Grilli, Mario Guelfi, Oris Meini e Leo Muti. "Abbiamo sostenuto convintamene la mozione Mussi - scrivono - condividendone i contenuti e soprattutto nella convinzione che il cammino indicato da Fassino fosse troppo affrettato e lasciasse troppi nodi da sciogliere che per noi sono fondamentali. Il Pd lo vogliamo progressista, perciò dovrà collocarsi nel campo di tutte le principali forze progressiste d'Europa e del mondo cioè il Pse e l'Internazionale socialista. Se il Pd è un partito progressista - si legge ancora - dovrà essere laico per poter giocare un ruolo nella società moderna anche di fronte all'offensiva conservatrice di parte del mondo cattolico che è in atto, soprattutto nel nostro Paese. Se il Pd è un partito progressista dovrà essere fortemente radicato nel mondo del lavoro, della cui rappresentanza deve innanzitutto farsi carico quello che aspira ad essere il primo partito della sinistra italiana, per voti e dimensioni. Questi sono alcuni dei punti su cui siamo pronti a discutere, ma sui quali non arretreremo". Battaglia dall'interno dunque, senza seguire gli scissionisti mussiani. "Rispettiamo la posizione di quei compagni - si legge infatti - che hanno scelto di abbandonare i Ds dando vita ad un nuovo raggruppamento politico e pensiamo di poter continuare a vedere in loro interlocutori affidabili ed alleati leali anche in virtù della storia che ci unisce e delle battaglie che abbiamo condiviso; e tuttavia noi ci sentiamo di dire che non condividiamo quella scelta e non intendiamo seguirli. Non vogliamo aggiungere un nuovo elemento di frammentazione a sinistra, già troppi in questi anni ve ne sono stati, ed hanno rappresentato il limite più grande del nostro schieramento. Resteremo nei Ds, certamente finché questo partito resterà tale, ma ci impegneremo anche nella cosiddetta "fase costituente" del Partito democratico e ci batteremo affinché nel nuovo soggetto politico restino vivi quei valori irrinunciabili che provengono dalla nostra storia. Soltanto al termine di quella fase decideremo la nostra collocazione".

 

 

 


INDICE 22-5-2007

 

++ Da Miaeconomia.leonardo.it 22-5-2007  Nuova direttiva Ue sul credito al consumo  1

++ La Stampa 22-5-2007 D'Alema, Berlusconi e la Superbanca AUGUSTO MINZOLINI 2

+ L’Arena di Verona 22-5-2007 IL NEGOZIATO. La Merkel presenterà la sua proposta a fine giugno. Oggi Prodi parla all'Europarlamento Ue, il mini-Trattato non convince Alza la voce il fronte dei Paesi che vogliono rilanciare la Costituzione europea  4

+ Il Sole 24 Ore 22-5-2007 INTERVISTA Antonio Di Pietro Presidente di Italia dei Valori "Referendum, spallata al sistema" Questione morale più grave che nel '92: oggi a Internet il ruolo che fu di Mani pulite Giorgio Santilli 4

Il meridiano.info 19-5-2007 Libro-denuncia: Milano da Morire di Luigi Offeddu e Ferruccio Sansa  6

La Repubblica 22-5-2007L'Italia in fuga dalla malapolitica perché monta il sentimento ostile verso una casta I privilegi immotivati, il chiacchiericcio continuo, la voglia di protagonismo Oggi, come nel '92, dopo l'affare Tangentopoli, la classe dei politici è sotto accusa  6

L’Eco di Bergamo 22-5-2007 Accade spesso che quando i politici italiani partecipano a qualche manifestazione locale dei loro partiti, vengano circondati da una torma di cameramen che non li lasciano soli neanche per un istante. 8

Il Secolo XIX 22-5-2007 La proposta del sindaco fiorentino In quattro punti il piano per abbattere le spese. Forza Italia rilancia: "Bravo D'Alema, ma la sinistra non abbassa le tasse" 9

L’Unità 22-5-2007 Emergenza semafori Marco Travaglio  9

Europa 22-5-2007 I cittadini s’indignano per i costi della politica ma gli allarmi di D’Alema e De Rita sono “rituali” FEDERICO ORLANDO RISPONDE  10

Il Riformista 22-5-2007 Prodi, perché non dimezzi il governo? Di Valdo Spini 11

La Repubblica 22-5-2007 GLI SCANDALI I diversi esiti dei processi per i crac finanziari negli States e nel nostro Paese Giudici Usa severissimi In Italia rimborsi record  11

La Stampa 22-5-2007 Il 30 una riunione di Prc e mussiani "Potremmo bloccare tutto" MARIA GRAZIA BRUZZONE  12

L’Unità 22-5-2007 La "corte dei miracoli" dell'emergenza rifiuti Da 13 anni consulenze d'oro, agenzie ad hoc per trovare posto a personaggi trombati. E la camorra, a pancia piena... di Enrico Fierro/  13

La Stampa 22-5-2007 Bush: gli alleati Nato devono rischiare di piu' http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifLa replica del ministro Parisi «Gli italiani fanno già la loro parte»http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif 14

La Repubblica 22-5-2007 Usa, i figli della luce blu ostaggi di un gene che uccide Per gli ultra-tradizionalisti cristiani una cura tecnologica I mennoniti rifiutano la modernità: ma un male li ha costretti a cedere VITTORIO ZUCCONI 15

La Gazzetta di Modena 22-5-2007 Ai contadini arriva sempre meno Prezzi in picchiata per i produttori, alle stelle ai consumatori 16

 


 

++ Da Miaeconomia.leonardo.it 22-5-2007  Nuova direttiva Ue sul credito al consumo

 (22/05/2007)

Il Consiglio dei ministri per la competitività dell’Unione europea ha approvato a Bruxelles la nuova direttiva per il credito al consumo, vale a dire i prestiti per l’acquisto dell’auto, del frigo, della macchinetta fotografica o del viaggio. Così dopo cinque anni di negoziati, è stato raggiunto un accordo che armonizza le regole sui crediti al di sotto dei 50.000 euro a tasso fisso al fine di mettere il settore al passo dell’integrazione del mercato europeo dei servizi finanziari. Rimangano invece fuori i mutui ipotecari e i contratti di finanziamento per l’acquisto di titoli e azioni per i quali sono previste regole ad hoc.

La direttiva dovrebbe servire ai consumatori per comparare meglio le diverse offerte proposte nei vari paesi dell’Ue, aumentando la concorrenza interna su un mercato molto grande: complessivamente, i consumatori dei 27 paesi Ue sono creditori per un totale di 800 miliardi di euro, un decimo del prodotto interno lordo dell’Unione. Un mercato che cresce dell’8% l’anno.

Finora le differenze tra i paesi membri sono state molto marcate: i tassi variano da un massimo del 12% in Portogallo a un minimo del 6% in Finlandia. In media, i meno indebitati sono lituani e slovacchi, che devono meno di 100 euro alle banche, all’opposto di britannici e irlandesi che invece devono oltre 3.000 euro in media.

Sciolto anche il nodo sulla soglia minima per l’estinzione anticipata del prestito: è stata alzata da 5.000 euro a 10mila euro. Tra gli obiettivi del testo, riduzione dei costi ed una maggiore protezione dei consumatori, possibilità di allargare la propria clientela in tutta l’Ue grazie alla certezza del quadro giuridico che prevede lo stesso livello di protezione in tutti gli stati membri.

Il ricorso al credito al consumo in Italia negli ultimi anni è aumentato in modo esponenziale. Le cause di questo fenomeno sono da ricercare nel minor potere di acquisto, nelle proposte commerciali sempre più aggressive, nei profondi mutamenti culturali in merito all’uso del denaro.

La legislazione italiana già prevede norme analoghe a quelle previste dalla direttiva sulla trasparenza informativa e sul diritto di estinzione anticipata del prestito da parte del consumatore.

Dovranno invece essere rafforzate le norme che riguardano gli obblighi informativi ed introducono il diritto ad un’assistenza da parte del finanziatore. Dovrà essere infine previsto un regime di recesso secondo modalità fissate dalla direttiva ed entro 14 giorni dalla conclusione del contratto di credito.

Il varo della nuova direttiva sul credito al consumo “è un tassello importante” per la “creazione di un mercato unico dei servizi finanziari al dettaglio”, ha commentato l’Associazione bancaria italiana. Vi sono tuttavia ancora dei problemi, avverte l’Associazione, secondo cui “alcune delle norme proposte presentano ancora criticità rispetto al raggiungimento dell’obiettivo di aumentare il livello di attività transfrontaliera, in quanto possono indurre fenomeni di contrazione dell’offerta di credito o di aumento di alcuni costi legati alla sua erogazione, anche in connessione con le maggiori responsabilità e la funzione di garanzia complessiva del sistema demandata al finanziatore”.


++ La Stampa 22-5-2007 D'Alema, Berlusconi e la Superbanca AUGUSTO MINZOLINI

 

La maxi fusione rafforza il ministro degli Esteri che gioca due partite: contro Veltroni nel Pd, con Silvio per le larghe intese

ROMA
Nel Transatlantico di Montecitorio un amico di Giorgio Napolitano dai tempi del Pci e ancora adesso ascoltato consigliere del Capo dello Stato, Gianni Cervetti, ragiona sulla distanza che separa il Paese dal Palazzo. «Il problema - osserva - non è di costume, ma è politico. Queste coalizioni non garantiscono la governabilità. Questo bipolarismo non regge. Come pure questi partiti. C’è una crisi di rappresentanza. Pensate: una volta il 98% degli iscritti al sindacato erano anche iscritti ai partiti, ora non superano il 25%...».

Già, crisi di sistema o, per dirla con le parole di Massimo D’Alema, un’«emergenza». In un paese come il nostro, che per bocca di tutti è sull’orlo di un vero e proprio cataclisma, può succedere la qualunque: c’è una politica che versa in uno stato di estrema impotenza sul piano della governabilità, ma partecipa attivamente all’elaborazione delle nuove geografie di potere. Sembra una contraddizione ma in realtà è solo un paradosso: giovedì scorso su «il Giornale» viene pubblicata l’intercettazione di una telefonata del 2005 in cui l’attuale ministro degli Esteri invita il patron dell’Unipol, Giovanni Consorte, a comprare la quota Bnl dell’imprenditore-deputato Udc Vito Bonsignore proprio mentre infuriava la fase più spietata del risiko bancario; due giorni dopo va a compimento l’ultimo tassello della grande battaglia che ha ridisegnato il potere finanziario in Italia con la fusione tra Unicredit-Capitalia di cui l’inquilino della Farnesina è stato un grande sponsor politico; e lo stesso giorno D’Alema parla della «nuova emergenza», della crisi del rapporto tra paese e politica. Ma forse è proprio questa la fotografia della crisi italiana, dove cause, effetti, denunce e terapie si confondono. Tutti i protagonisti sono “uni” e “bini”. Da una parte c’è una politica che sul piano del governo è immobile. I cinque punti usciti dal vertice dell’altro ieri di palazzo Chigi facevano parte dei dieci con cui si è chiusa la crisi di qualche mese fa. Sono gli stessi anche nella loro genericità. Dall’altra le grandi partite di potere si consumano e, forse, anticipano nuovi equilibri.

Ovviamente il rapporto non è diretto. E’ il mercato, com’è giusto, che decide le grandi fusioni: «Sono i politici - rimarca Bruno Tabacci - che pavoneggiano un potere che non hanno». Ma è difficile non vedere quel sottile legame che unisce le fasi politiche alle grandi partite di potere. La fusione tra Intesa e Sanpaolo, il cosiddetto «polo prodiano» nel sistema bancario italiano, è avvenuta a pochi mesi dalle ultime elezioni, quando il Professore toccò il suo apogeo: e fu accolta freddamente da D’Alema e da Berlusconi. La fusione tra Unicredit e Capitalia è maturata invece ora, quando l’influenza di Prodi è al suo minimo storico e, non per nulla, l’operazione è considerata un tentativo di “riequilibrare” l’altro polo. Di più: non si è tirata dietro le polemiche che si tirò dietro l’altra. Sui “media” D’Alema - amico sia del presidente di Unicredit, Profumo, sia del patron di Capitalia, Cesare Geronzi, da sempre considerato il banchiere del Palazzo - ci ha quasi messo la sua targa sopra e Berlusconi, che dando retta al suo gran visir Gianni Letta ha difeso Geronzi anche nei momenti peggiori, non ha fiatato in pubblico ma l’ha benedetta in privato. E l’operazione è andata in porto qualche settimana dopo che Roberto Colannino, fan di D’Alema, e Mediaset, cioè la società di Berlusconi, non sono riusciti ad entrare nell’affare Telecom per il «no», inutile dirlo, di Prodi.

Questo non significa che la fusione Unicredit-Capitalia prefiguri un nuovo equilibrio politico, le «grandi intese», o altro. Ma di fatto concorre a creare un «humus» favorevole. O almeno molti la pensano così. «L’attuale quadro politico - ammette a mezza bocca uno dei fedeli del ministro degli Esteri - è logorato, va rilanciato o...». Mentre uno degli strateghi del Cavaliere, Fabrizio Cicchitto, fa questa analisi della situazione: «Se c’è stata un’inluenza politica sulla fusione Unicredit-Capitalia è stata di stampo dalemiano. Berlusconi al massimo ha dato il suo beneplacito. Certo riequilibra il potere di Prodi nel mondo finanziario e segnala un forte movimentismo sotto traccia di D’Alema. Dove può portare non si sa: lui pensa solo ai suoi interessi. Se alle amministrative l’Unione perde ci potrebbe essere un cataclisma politico e nuovi equilibri politici dietro l’angolo. Se resta tutto così com’è, Prodi si stabilizza e D’Alema investirà tutto sul partito democratico. Veltroni dovrà vedersela con lui». Insomma, lo schema è chiaro e nel caso ci fosse il «terremoto», la «nuova emergenza», il distacco tra Paese e Politica, quella crisi di cui parla D’Alema e che Cervetti collega a quella del bipolarismo, potrebbe essere il terreno su cui trovare un accordo più largo.

«Quando parla di queste cose - osserva l’ex-dalemiano Giuseppe Caldarola - D’Alema pensa al governo con Berlusconi. La realtà è che siamo alla vigilia del big bang. Tanto più che il 12 giugno arriveranno nuove intercettazioni alla Camera e non sarà stata ancora approvata la legge che ne impedisce l’uso: e ognuno pensa a difendersi». Se Caldarola parla ormai da eretico, le analisi che si fanno nei quartieri generali di Veltroni e di Prodi non sono poi così diverse: al sindaco di Roma non sono sfuggite le tentazioni del ministro degli Esteri a favore del sistema elettorale tedesco, il più adatto ad un governo di larghe intese. Mentre Prodi liquida il tutto con una punta di sarcasmo: «L’altra volta, nel ‘96, dopo un anno di governo, D’Alema fece un’intervista per dire: “Caro Romano così non va...”. E’ passato un anno e ora ha detto: “Cara politica così non va...”. Meno male che questa volta se l’è presa con qualcun altro...».

Sarà, ma intanto la situazione sta precipitando. Ieri in Transatlantico Franco Giordano, segretario di Rifondazione Comunista, commentava così il vertice a Palazzo Chigi riservato ai soli rappresentanti del Partito Democratico: «Mi sento già all’opposizione. Non possono pensare di decidere tutto loro. Se ne assumeranno la responsabilità».«Il mandato che ho appena incominciato sarà certamente l’ultimo. Nel 2010, avrò passato 12 anni alla guida del gruppo, di cui sono amministratore da 34 anni. Sarà allora il momento di farmi da parte. è peraltro previsto che, durante il terzo anno del mio mandato, organizzi la mia successione». Lo ha detto presidente delle Generali, Antoine Bernheim, classe 1924, in un’intervista al quotidiano francese Les Echos, dove traccia il profilo del suo successore: «Dovrà conoscere l’assicurazione, la finanza e godere di una forte notorietà a livello nazionale e internazionale. Per espandersi all’estero, bisogna essere un interlocutore riconosciuto. Dovrà godere del consenso di tutti all’interno della compagnia, perchè in Generali, come ovunque, l’autorità è fondata sul consenso. Infine, dovrà in ogni occasione rispettare le regole etiche». Un identikit che secondo alcuni potrebbe corrispondere a quello di Claude Tendil, (il presidente di Generali France molto stimato dallo stesso Bernheim. Sul fronte delle prospettive strategiche del gruppo assicurativo triestino, Bernheim assicura di non vedere rischi di raid su Generali, «ma bisogna essere vigili», aggiunge, precisando che Axa «a un certo punto aveva studiato da vicino la possibilità di un avvicinamento a Generali. Ma credo che non abbiano potuto considerare un’operazione se non amichevole, pur sapendo molto bene che, per quanto mi riguarda, sarebbe impossibile considerarla».

 

 


+ L’Arena di Verona 22-5-2007 IL NEGOZIATO. La Merkel presenterà la sua proposta a fine giugno. Oggi Prodi parla all'Europarlamento Ue, il mini-Trattato non convince Alza la voce il fronte dei Paesi che vogliono rilanciare la Costituzione europea

 

&nbsp Strasburgo. Il negoziato condotto dalla presidenza tedesca dell'Ue per sbloccare lo stallo sulla Costituzione entra nella fase decisiva. Dopo aver lasciato spazio e voce ai pochi Paesi che bocciano il testo - firmato da tutti i 27 Stati dell'Ue - la maggioranza di quelli favorevoli, fin qui molto silenziosa, tenta di farsi sentire. Il fatto può essere considerato importante da tutti coloro che temono un eccessivo annacquamento del Trattato, ma non significa che la via per un compromesso diventi in discesa. Dopo il lungo periodo di riflessione, il tema ha riconquistato spazio nell'agenda dei Paesi dell'Unione. Commissione e Parlamento sono già a metà mandato, l'avvicinarsi delle elezioni del 2009 rappresenta una spada di Damocle. E il record al ribasso battuto domenica dalla Bulgaria, con un'affluenza alle urne sotto il 30 per cento, è un forte campanello d'allarme. C'è consenso sul fatto che, con i trattati esistenti l'Ue non può funzionare. &nbsp Finora hanno imperato Regno Unito, Polonia e Repubblica Ceca, fautori di un testo purgato da simboli e contenuti. La Danimarca è pronta ad accordarsi, Olanda e Francia premono per una soluzione che eviti loro un nuovo referendum. Sarkozy sostiene il mini-trattato, rimandando una riforma più ampia. Un numero crescente di Paesi che hanno ratificato il Trattato hanno ora timidamente tentato di bloccarne una profonda revisione utilizzando l'arma delle cooperazioni rafforzate, anche perché c'è chi ritiene che un'Ue a 27 può funzionare solo a due velocità. In questa prospettiva crescono i consensi perché siano i Paesi che hanno adottato l'euro - che da gennaio saranno 15 - a costituire il nocciolo del gruppo. Il cancelliere tedesco Angela Merkel vuole presentare al vertice di fine giugno la proposta per una Conferenza intergovernativa per ratificare un compromesso, ma per evitare di ammettere il fallimento potrebbe anche lei sostenere una soluzione al ribasso, puntando sul fatto che i tempi sono stretti. Alcuni Paesi, tra i quali Italia, Belgio, Lussemburgo, non vogliono fare solo concessioni. Oggi Prodi ne parlerà al Parlamento europeo, dove c'è un'ampia maggioranza a favore dell'attuale Trattato. &nbsp.


+ Il Sole 24 Ore 22-5-2007 INTERVISTA Antonio Di Pietro Presidente di Italia dei Valori "Referendum, spallata al sistema" Questione morale più grave che nel '92: oggi a Internet il ruolo che fu di Mani pulite Giorgio Santilli

 

ROMA "Oggi i partiti devono guardare oltre se stessi, abbandonare la politica del ricatto che serve a mantenere la propria nicchia. Il referendum elettorale è l'unico antidoto alla malattia dell'Italia che resta la partitocrazia. Il referendum è l'unico strumento democratico, come nel '93, per dare una spallata al sistema politico". Antonio Di Pietro, leader dell'Italia dei valori, usa accenti forti per scendere in campo in favore del referendum elettorale. Lo fa con una riflessione sui dilaganti sentimenti di ostilità alla politica. E con un parallelo fra lo scollamento di oggi e quello degli anni '90, quando lui era il pm di Mani Pulite, l'artefice numero uno del crollo della politica. "La via giudiziaria - dice - stavolta non ci sarà: Tangentopoli si consuma tutti i giorni, peggio di prima, ma non ci sarà una nuova Mani pulite perché domina l'indifferenza. Il ruolo di spallata al sistema della politica che ebbe la magistratura quindici anni fa potrebbe averlo ora soltanto la Rete. Ci sono blog dove si ritrovano a parlare di politica centinaia di migliaia di persone che un politico non riuscirebbe mai a portare in una piazza". Ministro Di Pietro,il male italiano è la legge elettorale, il ritorno al proporzionale? Sì, ma non illudiamoci che sarà mai cambiata da questa classe politica. La legge elettorale questo Parlamento non potrà che farla a propria immagine e somiglianza. Non puoi chiedere a un rapinatore di costituirsi per andare in carcere, il pentimento biblico in politica non si è mai visto. Dice Massimo D'Alema che spira il vento del 1992 e il ceto politico rischia di andare tutto a casa. Lei che ne pensa? è un'osservazione fondata, ma in questi quindici anni la politica aveva tutto il tempo di rigenerarsi sul piano del personale politico, riconvertirsi sul piano dell'etica, rivitalizzarsi sul fronte dell'azione politica.Io sono al Governo da pochi mesi e mi sto occupando del partito del fare, ma tutti quelli che in questi quindici anni hanno fatto politica a destra e a sinistra si lamentano che la politica ha perso il contatto con i cittadini, quando sono gli arteficiprincipali dello scollamento. C'è ancora la questione morale? Più grave di prima. Quando scoppiò Mani pulite, fece notizia che tanti politici rimasero invischiati con le mani nella marmellata e creò indignazione. Oggi ci sono ancora i politici con le mani nella marmellata, ma non fa più notizia. A chi si riferisce? Alla Camera ci sono una ventina di persone condannate con sentenza penale passata in giudicato che non dovrebbero essere candidati né da destra né da sinistra. C'è qualcuno che è stato condannato e dichiarato decaduto dal Parlamento, che si chiamerà pure Previti, ma il presidente della Camera dei deputati, che si chiama Bertinotti, non riesce a trovare un minuto di tempo per dirgli "si accomodi fuori"? Qui c'è una politica trasversale. Pensa a qualche provvedimento in particolare? Mi sto sgolando su questo conflitto di interessi che l'Italia dei valori non voterà. Voteremo no, non c'è voto di fiducia, non saremo costretti a ingoiare i rospi. Il primo articolo di questo disegno di legge dovrebbe prevedere l'ineleggibilità delle persone condannate con sentenza penale in giudicato. Il secondo articolo l'ineleggibilità di chi utilizza beni pubblici come gestori di servizi o concessionari. è una gara truccata se qualcuno partecipa potendo utilizzare i beni pubblici. è pessimista? Sì.Chi commette reati,resta impunito. Da parte dei cittadini c'è scoramento, scollamento, apatia, indifferenza, disprezzo. A tutto questo non ci può essere che una via d'uscita democratica. Quale? Il referendum elettorale. Cambia le carte in tavola. è un'arma democratica. L'Italia dei valori, pur essendo una delle forze politiche che quel referendum farà scomparire, è favorevole a quella soluzione perché in unmomento così delicato non si può più fare una lotta di retroguardia per salvaguardare partiti e partitelli. Bisogna scrollarsi di dosso questo disprezzo per la politica che non è colpa della politica ma dei politici che hanno predicato bene e razzolato male. Io sono l'unico bastian contrario. Qui vogliono far passare cose scandalose. Esempi? L'altro giorno stava passando in preconsiglio dei ministri una legge che riduce le pene per la bancarotta e manda in prescrizione tutti i reati commessi dai furbetti del quartierino. Stiamo parlando di riduzione degli sprechie stava passando una legge sulla fondazioni politiche che, se non fosse stato per noi dell'Italia dei valori, sarebbe stata un'altra enorme cassa per mungere soldi allo Stato, e quindi ai cittadini, da parte dei partiti. Ci sarà una nuova tangentopoli? La nuova tangentopoli c'è già tutta, ma non ci sarà la nuova Mani pulite. Perché prima c'era un'indignazione popolare che ha accompagnato le indagini della magistratura, mentre oggi c'è rassegnazione e indifferenza da parte dei cittadini perché tanto non cambia nulla. La via giudiziaria alla riforma della politica stavolta è preclusa? La via giudiziaria c'è tutti i giorni, i magistrati lavorano, ma non fa più notizia. Mi risulta che Geronzi abbia qualche problema di giustizia. Ma non mi pare che questo gli impedisca di stare oggi su tutti i giornali con le fusioni bancarie. Questo vale per la classe politica, la classe imprenditoriale, l'informazione. Crescono i costi della politica. La politica è sempre più un mestiere. Anche questa è un'assurdità, far diventare la politica un mestiere. Un consiglierecircoscrizionale di Palermo prende 34mila euro al mese, la politica è diventata un concorso per un posto di lavoro. E questi sono i costi delle istituzioni. Poi ci sono i costi spaventosi della politica, a partire dal finanziamento dei partiti. Prima c'erano le tangenti, ora si è fatta una legge che permette di prendere gli stessi soldi esorbitanti di allora. Basta che uno fa gruppo in consiglio regionale e prende un sacco di soldi. Ovunque si è creata una giustificazione legislativa per rendere lecito ciò che è sostanzialmente immorale. è diventato un sistema? è questa la metamorfosi della tangentopoli di un tempo, l'ingegnerizzazione del sistema. Prima si commettevano reati per raggiungere fini immorali, oggi si commettono atti che reati non sono ma restano sempre immorali. IlPartito democratico aiuta il rinnovamento della politica? Il Partito democratico è come il bisturi di un medico. Può servire a rimettere in contatto i cittadini con la politica e soprattutto a sostituire l'attuale classe politica. Se serve solo a legittimare l'attuale classe politica, invece,è il bisturi che il medico usa quando vuole ammazzare la moglie. Lei ha creato una formazione politica nuova. Ha avuto difficoltà a reclutare personale politico all'altezza. L'Idv insieme alla Lega è uno dei pochi partiti nati in via spontanea fra i cittadini che passano dalla protesta alla responsabilità, si mettono insieme e vanno nelle istituzioni.Noi e la Lega avevamo un obiettivo comune: il ricambio generazionale in politica. Per una forza politica nuova la criticità è evitare i riciclati e gli opportunisti. Fino alle ultime elezioni l'Idv ha dovuto subire questo ricatto, ma da allora a oggi ci siamo inseriti nel mondo di internetin un rapporto one to one con tutti i cittadini. Il nostro obiettivo è andare oltre il partito tradizionale per arrivare all'agorà virtuale della Rete che ci permetterà di dialogare direttamente e di reclutare direttamente il personale politico. Internet avrà un ruolo nel rinnovamento della politica? Sarà la condanna del sistema dei partiti. Più internet va avanti più il sistema dei partiti diventa una scatola vuota. Oggi il cittadino vuole dialogare direttamente ogni giorno con quello che considera un proprio dipendente, il politico. La Rete sarà la livella della cattiva informazione e risolverà tutti i conflitti di interessi. "Possibile che il presidente della Camera non abbia mai un minuto per dire a Previti "si accomodi fuori"?" "Il Partito democratico è utile se rinnova la classe politica, è dannoso se serve a conservarla"

 

 


Il meridiano.info 19-5-2007 Libro-denuncia: Milano da Morire di Luigi Offeddu e Ferruccio Sansa

 

Milano Inefficienza, conflitti di interesse, corruzione e malcostume ammorbano Milano, che da modello di operosità e pragmatismo, si è trasformata nella capitale del vizio e dell’immoralità. I sintomi di questa malattia destinata a incancrenirsi e a radicalizzarsi sono descritti con dovizia di particolari nelle 600 pagine del libro di Luigi Offeddu e Ferruccio Sansa “Milano da Morire” uscito in libreria. Gli autori, entrambi giornalisti (Offeddu del Corriere della Sera, Sansa del Secolo XIX), hanno consultato per oltre un anno documenti, verbali, ordini del giorno, interrogato cittadini, riannodato i fili di una trama che potrebbe assomigliare a quella di una spy story.
Gli ingredienti ci sono tutti, a partire da un morto deceduto in circostanze sospette. Si tratta di D.Z. un ingegnere incaricato, nel 2006, dal tribunale civile di Milano di effettuare una perizia sui danni provocati dai lavori di costruzione del parcheggio di Via Ampere-Compagni. Nella relazione D.Z. evidenzia le conseguenze generate dal cantiere, in modo particolare l’alterazione di stabilità degli edifici limitrofi e raccomanda all’Ufficio dei parcheggi del Comune di prendere provvedimenti. Poche ore dopo aver depositato la perizie, D.Z. però muore. Il referto parla di suicidio, ma i familiari e gli amici giurano che non aveva alcun motivo per uccidersi. Quello dei parcheggi a Milano è ancora un tema di grande attualità, un business (da 4 miliardi di euro) che non smette di macinare soldi. Solo interessi economici possono spingere, secondo gli autori, la giunta comunale a deturpare con un’autorimessa sotterranea uno degli edifici romanici più importanti d’Europa: la basilica di Sant’Ambrogio. Solo logiche di potere, che prevedono una spartizione di incarichi che accontentino tutti i partiti giustifica invece, per Offedu e Sansa, l’assunzione da parte del Comune, nell’ottobre scorso, di dirigenti esterni (per un costo complessivo di quasi 8 milioni di euro) con curricula a dir poco lacunosi. Tra le motivazioni che ne spiegano l’arruolamento c’è anche “la profondità di pensiero strategico” o la militanza come capitano dei bersaglieri. Il degrado morale della città è speculare al malessere dei suoi cittadini. I numeri lo confermano: 190 mila persone fuggono dalla città nel week-end, mentre oltre 80 mila, sono i milanesi che chiedono assistenza perché depressi o colti da crisi di panico. Senza dimenticare che nella città meneghina i suicidi delle donne sono il doppio che nel resto d’Italia. Ma a soffrire sono anche i bambini, vittime di malattie respiratorie (il 22% in più rispetto alla media nazionale) e delle mancanza di spazi verdi. 
«Questo libro» ha continuato Luigi Offeddu «è un grido di dolore, un atto di denuncia ma anche una testimonianza d’amore nei confronti di una città che non si è ancora arresa». Un filo di speranza si intravvede anche nell’ultimo capitolo del libro, in cui accanto ai vizi emergono anche le virtù di una città che è in prima fila per il volontariato sociale, che unica in Italia, ha affrontato il problema dei Rom, che investe più di tutte le altre per ogni cittadino (610 euro circa). E allora accanto alla città “nerissima, quella dello smog, del traffico esiste una città drammatica e meravigliosa”.
Ire.Luc.

 


 

La Repubblica 22-5-2007L'Italia in fuga dalla malapolitica perché monta il sentimento ostile verso una casta I privilegi immotivati, il chiacchiericcio continuo, la voglia di protagonismo Oggi, come nel '92, dopo l'affare Tangentopoli, la classe dei politici è sotto accusa

 

(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) Anzi, chi invocava "austerità" e parlava di "questione morale" veniva accusato di volere una politica triste, di cedere al moralismo, parola in Italia usata con disprezzo per affrancarsi anche dagli obblighi minimi della moralità. Era Enrico Berlinguer che lanciava quei moniti, e so bene che questo è un ricordo scomodo per chi vuole entrare nel futuro senza memoria, costruirsi un pantheon di comodo, affannarsi alla ricerca di qualsiasi legittimazione. Ma è un ricordo importante proprio perché oggi si discute del rapporto tra politica e società, tanto logorato da far temere una catastrofe. Quando Berlinguer morì, un'onda di emozione attraversò il Paese, che non era solo un fatto di sentimenti (che pure contano assai), ma che si tradusse in consenso politico nelle elezioni europee di poco successive, guadagnando al Pci uno storico sorpasso sulla Dc. Rigore, misura, onestà erano percepiti e dichiarati come valori dai quali la politica non doveva separarsi. Dopo di allora cominciò un'altra stagione. Il realismo cinico faceva scuola, i machiavelli si compravano a un tanto al chilo, ai massimi livelli di governo si proclamava che la politica era "sangue e merda", che la tangente doveva essere legalizzata, che alla politica si doveva applicare la logica del supermercato dove, più che arrestare i ladri, si scarica sui prezzi il costo dei furbi. Sappiamo come è andata a finire. Man mano che si smagliava la rete di protezione pazientemente costruita negli anni, e i vecchi equilibri venivano spazzati via dalla caduta del Muro, cominciavano a comparire sulla ribalta giudiziaria vicende per lungo tempo tenute al riparo dall'attenzione della magistratura da un sapiente gioco di dinieghi, di autorizzazioni a procedere, e spostamenti di inchieste e processi. E fu Mani pulite. Negli anni successivi la tesi del complotto, del colpo di Stato giudiziaria ha progressivamente preso il sopravvento. Questo è stato il vero colpo di spugna con l'oblio fatto cadere sull'abisso di corruzione pubblica e privata che era stato scoperchiato. Le responsabilità erano tutte dalla parte dei giudici e non dei politici, che hanno così potuto tornare a tessere robustissimi fili di corruzione e ritenersi legittimati da una privatizzazione senza precedenti del denaro pubblico. Alla corruzione più o meno nascosta si è così affiancato il saccheggio delle risorse dello Stato. Ed eccoci qua a stracciarci le vesti, a scrivere libri sul costo della politica, chiedendo che si recuperino risorse tagliando qui e là, cosa sacrosanta, ma che rischierebbe d'esser un esercizio inutile se non sarà accompagnato da un recupero della risorsa sostanziale, la moralità pubblica perduta e dileggiata che è anche questione di misura, sobrietà, rispetto degli altri. Ho visto il pomposo Chirac in una mattina di domenica invernale, scendere da una macchina accompagnata da un'unica auto di scorta e, solo, senza codazzi e turbinii di guardie di corpo, entrare nel grande anfiteatro della Sorbona per celebrare i vent'anni del Comitato nazionale di bioetica. Vedo quasi ogni giorno davanti a Sant'Andrea della Valle passare rombanti, con palette agitate e sirene spiegate, auto di piccoli potenti, impediti da tutto quel frastuono di ascoltare le maledizioni loro rivolte dalle persone che si trovano sui marciapiedi. L'apparire sfarzoso, o solo chiassoso, sostituisce il potere declinante. La disoccupazione è lenita dagli stipendi ai consiglieri circoscrizionali. Le Camere soffrono di emarginazione, compensata da bonus aggiuntivi e riduzione dei carichi di lavoro. Anni fa, proprio su questo giornale, suggerivo una piccola riflessione. Che cosa accadrebbe se un imprenditore, proprietario di due aziende, scoprisse che una di esse produce lo stesso numero di pezzi con metà dei dipendenti dell'altra? E' proprio quel che accade in Parlamento, dove il Senato fa esattamente lo stesso lavoro della Camera con metà degli "addetti". Calcolavo poi che i parlamentari attivi, quelli che mandano avanti la baracca, sono poco più di un quinto dei componenti delle Camere, sicché insieme a Luigi Ferrajoli si organizzò un convegno polemicamente intitolato "Una Camera cento rappresentanti". Detesto le logiche aziendalistiche trasferite nella politica e so bene che il Parlamento ha una funzione rappresentativa che va bene al di là della produttività legislativa. Quando però la funzione rappresentativa è sequestrata da oligarchie che si riproducono la macchina legislativa si inceppa, diviene forte il bisogno, non dirò la tentazione di tagliare senza troppi riguardi. La riduzione del numero dei parlamentari sarebbe un segnale importantissimo, anche se non si può vivere di soli segnali. Ma sarebbe pure una misura insufficiente, se i restanti parlamentari continuassero ad essere selezionati come è avvenuto in questi anni, a venir sommersi da decreti legge, a essere prigionieri di quella macchina produttrice di corruzione istituzionale che è divenuta la legge finanziaria, a non avviare e sperimentare forme nuove di rapporto con la società. Ma il dialogo con l'opinione pubblica, il recupero della fiducia non possono essere affidati solo ad una politica dell'immagine. E soprattutto a quel modo di intendere l'immagine di cui la politica italiana sembra ormai rassegnata prigioniera. In tutti i paesi che frequento non ho mai registrato una bulimia televisiva pari a quella italiana, una overdose di politici (non di politica, che è altra cosa) nei più disparati talk show, da quelli sportivi a quelli in cui si tirano e si prendono torte in faccia. Forse vi sono politici che, senza questo continuo apparire si sentirebbero morti. E invece è proprio un'immagine di morte, o almeno di rinuncia alla dignità quella che proiettano, essendo giustamente percepiti come una logora compagnia di giro, con le sue maschere fisse e che porta in tournée i suoi battibecchi, solo nelle apparenze e nelle parole legati ai problemi delle persone e del mondo. Il Palazzo sembra essersi tutto dissolto nei network televisivi. Attenzione, però. Ilvo Diamanti ha opportunamente messo in guardia contro frettolosi paralleli tra le cause che portarono al collasso dei primi anni '90 e la situazione attuale. Ma il discredito che avvolge la politica sta rafforzando gli altri poteri, da quelli economici a quelli criminali, soprattutto per quanto riguarda la loro legittimazione sociale. E' da lì che si attingono modelli, sono quelli i Palazzi che si vogliono frequentare. Il sedimentarsi di questo modo di sentire produce una fuga dalla politica, rendendo ancor più difficile un vero rinnovamento della classe dirigente. Se l'entrata in quel Palazzo diventa un marchio d'infamia, un segno permanente di impurità, chi vorrà varcarne la soglia? E chi lo avrà fatto con spiriti diversi dalla pura carriera e dall'arricchimento, da quel mostruoso connubio con il denaro e la corruzione, dovrà essere additato in eterno come partecipe di una congrega che ha perduto per sempre il diritto di essere presente sulla scena pubblica? In questo modo non si favorirà chi nell'ombra dei poteri, ha coltivato una finta indipendenza? La politica è una cosa sporca, ha sempre proclamato un perverso senso comune. Per evitare che questo si consolidi come l'unico modo di guardare alla politica bisogna non dare segnali ma avviare azioni concrete. Ristabilire la legalità, prima di tutto: può uno specifico Palazzo, quello di Montecitorio, continuare ad essere il rifugio di chi, condannato in via definitiva dovrebbe da tempo averlo lasciato? Abbandonare i fasti di Palazzo: le Camere devono lavorare o organizzare mostre? Rinunciare all'immagine a favore della trasparenza: presenza televisiva o presenza di soggetti nuovi che seguano da vicino una serie di scelte e ne certifichino la correttezza? Denunciare gli abusi e cominciare ad accompagnarli con l'indicazione precisa di chi li rifiuta e li combatte: è illusorio pensare che la moneta buona possa cominciare a scacciare quella cattiva? E, soprattutto, spazio parola e mezzi proprio ai moralisti, per avviare quella ricostruzione di un'etica pubblica senza la quale è vana la ricerca di ogni consenso tra i cittadini.


 

L’Eco di Bergamo 22-5-2007 Accade spesso che quando i politici italiani partecipano a qualche manifestazione locale dei loro partiti, vengano circondati da una torma di cameramen che non li lasciano soli neanche per un istante.

 

Un intreccio camminante di esseri umani di razza giornalistica, microfoni, telecamere, guardie del corpo con occhiali neri e cavetti alle orecchie tipo G-men, si muove nelle piazze travolgendo passanti, tavolini da bar, fioriere, e imbozzolando il politico di turno fino quando questi non si decida a farsi separare dai cronisti da ostacoli fisici tipo scale, palchi, porte e quant'altro. La scena in genere accade anche all'estero, alle riunioni internazionali, e quando arrivano i politici italiani con tutta quella corte i commenti degli stranieri sono ovviamente irriferibili. Ma pazienza. In patria, quando si osserva la gente che assiste a questi assalti, non si sa se assegnare la palma dell'impopolarità ai giornalisti assaltatori o ai politici assaliti. Probabilmente i cittadini estranei al teatrino si chiedono perché tanta agitazione, dal momento che tutti sanno che il politico circondato non ha alcun desiderio di sottrarsi all'abbraccio dei media e anzi si adonterebbe se nessuno lo prendesse in considerazione. E invece la scena prevede proprio che tutto accada come se si stesse inseguendo una preda riottosa. Il che aumenta lo sconcerto dei passanti. La scenetta dell'assalto rende bene il senso di quello di cui si ricomincia a parlare in questi tempi, e cioè della distanza che separa il mondo della politica da quello della cittadinanza che maltollera la "casta" come oramai viene definito l'insieme di nomenklature che da Montecitorio in giù governano il Paese. E l'ultimo che ha parlato di questa separatezza lanciando un allarme è stato Massimo D'Alema, secondo il quale se non si porrà rimedio, si rischia di tornare al clima che accompagnò la caduta della cosiddetta Prima Repubblica attraverso la gogna pubblica di Tangentopoli, dall'arresto del "mariuolo" Mario Chiesa alle monetine lanciate contro Craxi davanti all'hotel Raphael. Vero? Non vero? Di sicuro la politica si coglie essa stessa come separata dalla società civile ed è portata a cercare di includere quest'ultima nel proprio recinto, riuscendo però in genere soltanto a riprodursi sotto diverse spoglie. Tanto è vero che proprio D'Alema una volta si lasciò sfuggire: "Quando sento parlare di società civile mi viene da mettere mano alla pistola". È di moda, inoltre, parlare dei costi della politica, proprio quelli di cui parla il fortunato libro "La Casta" di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo che documenta un bilancio del Quirinale ben più esoso di quello di Buckingam Palace e alcuni tra i più noti intrecci tra politica e mondo degli affari. Dove però il rapporto di forza si è invertito rispetto a quello che era negli anni '80. Quando un famoso imprenditore milanese dell'edilizia e successivamente delle televisioni chiedeva di essere ricevuto dal potentissimo segretario della Dc, gli capitava anche di fare anticamera per ore al primo piano del palazzo Cenci-Bolognetti di piazza del Gesù, indimenticata sede del partito scudocrociato. Oggi si ha viceversa l'impressione che i protagonisti del mondo dell'economia e della finanza usino la politica come semplice rappresentazione istituzionale della propria potenza, come nemmeno la Fiat degli Agnelli aveva mai osato nei decenni di storia dal Senatore all'Avvocato. Politica debole rispetto all'economia, lontana dai cittadini, sempre più costosa (senza voler affrontare la questione della corruzione): è probabilmente a causa di questo pasticcio che si verificherà il declino della Seconda Repubblica. Come sarà la Terza è naturalmente un enigma. Andrea Ferrari.


 

Il Secolo XIX 22-5-2007 La proposta del sindaco fiorentino In quattro punti il piano per abbattere le spese. Forza Italia rilancia: "Bravo D'Alema, ma la sinistra non abbassa le tasse"

 

22/05/2007 Roma. Tra i Democratici di sinistra c'è già chi l'ha ribattezzata bozza Domenici: si tratta di alcune proposte avanzate dal presidente dell'Anci (l'Associazione dei comuni italiani) e sindaco di Firenze, Leonardo Domenici, diessino, per ridurre i costi della politica all'indomani dell'allarme sulle derive da antipolitica lanciato da Massimo D'Alema che teme "la crisi di fiducia dei cittadini verso una classe dirigente diventata troppo autoreferenziale". La soluzione Domenici si articola in quattro punti: "Primo, limitare a non più di due mandati consecutivi la durata di ogni carica istituzionale elettiva, non solo per i sindaci, ma anche per le assemblee parlamentari, le presidenze e i consigli regionali. Secondo, ridurre di un quarto il numero di consiglieri e assessori comunali; terzo, dare vita a un patto tra tutti i livelli istituzionali, per fissare un tetto alle indennità dei politici. Quarto, lavorare per la semplificazione dei livelli intermedi (come gli Ato ed i Consorzi di bonifica) con la nomina negli organi di gestione di chi ha già un incarico istituzionale a livello locale". La proposta, che ha già diviso i Ds, Domenici vorrebbe che diventasse materia di discussione in Parlamento. Ieri la senatrice dell'Ulivo Anna Maria Carloni, moglie del presidente della regione Campania Antonio Bassolino, diessina, ha provato a smuovere le acque: "Le critiche - ha notato - sollevate sui costi della politica possono costituire una risorsa democratica se si risponde con la dovuta chiarezza e magari facendo dare il buon esempio ai parlamentari. Per questo insieme ad altre senatrici e senatori presenteremo un piano con alcune linee di intervento. Ritengo infatti - ha aggiunto - che vi siano privilegi sui quali si può facilmente intervenire". In particolare la senatrice Carloni pensa a tre diversi livelli. Primo: anziché aumentare le indennità (come avviene ogni anno) prevedere più servizi per i parlamentari. Secondo: ridurre o cancellare le percentuali di finanziamenti che i partiti, al momento della candidatura, chiedono sulle indennità future dei candidati. Terzo: abolire la prassi del cumulo tra vitalizi dei parlamentari e pensioni pubbliche che finiscono col distorcere il sistema previdenziale. La proposta Carloni, oltre a scontrarsi con le difficoltà di autoriforma della politica, pone un problema che riguarda soprattutto i piccoli partiti. Per le formazioni minori, infatti, il ruolo elastico che li tiene insieme punta anche sul finanziamento pubblico che deriva dalla cessione di parte dell'indennità dei loro parlamentari eletti. Paolo Bonaiuti, senatore di Forza Italia e portavoce dell'ex premier Silvio Berlusconi, ieri, dopo l'sos lanciato da Massimo D'Alema, ha fatto conoscere la posizione di Fi. "Sono d'accordo con D'Alema - ha detto - ma affermo che la demagogia sui costi e i privilegi della politica è una scusa avanzata dalla sinistra che non ha il coraggio di ridurre le tasse". A Palazzo Chigi, mentre le agenzie battevano le parole di Bonaiuti, i collaboratori del premier Romano Prodi si dicevano convinti che, almeno stavolta, il Presidente avrebbe ascoltato suo fratello, Paolo Prodi, docente di storia a Bologna che, alcuni mesi fa, aveva gridato contro il caro-politica: "I veri riformatori, non i riformisti - faceva notare - non possono sopravvivere difendendo i privilegi di un ceto legato alla politica mentre il costo di questa sta crescendo in modo patologico per la stessa economia del Paese". Più chiaro di così? Massimiliano Lenzi 22/05/2007.


 

L’Unità 22-5-2007 Emergenza semafori Marco Travaglio

 

Mentre rullano i tamburi e suonano le grancasse per l'ultima fusione bancaria tra Unicredit e Capitalia, dal Tribunale di Milano si leva una flebile voce: quella del pm Francesco Greco, alle prese con i patteggiamenti chiesti dagl'imputati del crac Parmalat. "Non è colpa nostra - dice Greco, replicando alle proteste dei risparmiatori derubati - se il legislatore ha introdotto la Cirielli che ha dimezzato i tempi della prescrizione. I titolari di obbligazioni Parmalat sono stati derubati anche di 7 anni e mezzo di processo. Poi l'indulto ha svuotato il contenuto del processo". Prima il governo Berlusconi, poi l'Unione e la Cdl (meno Idv, Pdci, Lega e An) hanno mandato in fumo anche il processo per il più grave crac della storia d'Europa, nel quale sono imputate - ricorda Greco - "le principali banche del mondo": Deutsche Bank, Ubs, Citigroup, Morgan Stanley, ma anche le italianissime Capitalia e Intesa. Ciononostante, o forse per questo, "le istituzioni - denuncia Greco - ci hanno fornito scarsa collaborazione". E la scorsa settimana il ministro Di Pietro e uno scoop del "Corriere" hanno sventato l'ultimo assalto in Consiglio dei ministri: una "riforma" della bancarotta approntata da una manina (o manona) misteriosa per dimezzare le pene e i termini di prescrizione per il reato finanziario più grave. Ora, per carità, sarà anche giusto compiacersi per la nascita delle "superbanche". Ma c'è come la sensazione che la notizia lasci i risparmiatori, tosati e/o derubati per anni, piuttosto freddini. Negli Stati Uniti, protagonisti e comprimari dei crac Enron e Worldcom sono tutti in galera. Nessuno potrà mai più sedersi in un Cda. Arthur Andersen, complice dei conti truccati, non esiste più. In Italia, a parte Tanzi e Cragnotti, sono tutti al loro posto. La giustizia è stata disarmata e, anche quando ha tentato qualche mossa, s'è trovato il modo di eluderla: Geronzi ha avuto una sospensione cautelare dai giudici di Parma per l'affaire Ciappazzi-Parmatour, ma il Cda di Capitalia (compresi i noti legalitari olandesi dell'Abn Amro) l'ha confermato al suo posto; e una sospensione disposta dal Tribunale di Brescia per lui e per Roberto Colaninno, condannati rispettivamante a 1 anno e 8 mesi e a 4 anni per bancarotta preferenziale nel crac Bagaglino-Italcase. Ricordava ieri Roberto Rossi che Geronzi ha collezionato un rinvio a giudizio a Parma per il crac Parmalat (bancarotta e usura nell'affaire Eurolat), una richiesta di rinvio a giudizio a Roma per il crac Cirio e un processo in corso a Palmi per usura. Più un altro processo a Parma per truffa alla Emilia Romagna Factory. Ma tra patteggiamenti, prescrizioni per legge e indulto bipartisan, è prevedibile che - anche se, per disgrazia, dovesse risultare colpevole - non finirà in carcere. Anzi, potrebbe persino coronare il sogno di diventare presidente di Mediobanca, nel cui consiglio siede, così come nei patti di sindacato di Rcs e di Generali, come se nulla fosse accaduto. Resta un piccolo dettaglio: i risparmiatori, che rischiano di non vedere una lira delle migliaia di milioni bruciati in bond-carta straccia, piazzati da banchieri preoccupati solo di non restare col cerino in mano. In attesa delle sentenze, queste pecore da tosare restano senza fiato nel leggere le dichiarazioni di Geronzi al processo di Palmi, quello per usura: "Io - dice il banchiere a un avvocato di parte civile - di tassi non so nulla: io comando!". Per non parlare del verbale pubblicato dal Corriere sulla truffa dei bond Cirio. Il pm Luigi Orsi domanda perché Capitalia seguitò a piazzare quei bond nel 2000, dopo che il comitato esecutivo era stato allertato col "semaforo giallo" sul gruppo e chiedeva a Cragnotti di rientrare subito dei crediti: "Chi ha comprato i bond 20 giorni dopo sapeva di questi semafori o andava al buio e senza fari?". Geronzi risponde: "Le risulta che nel mondo italiano sia mai stato emesso un bond nel cui lancio siano stati informati i sottoscrittori dello stato di salute delle aziende?". Viva la sincerità. Forse ora i sottoscrittori vorrebbero sapere se anche la Superbanca si regolerà così. O se, prima di comprare bond-carta straccia, il semaforo giallo potranno vederlo anche a loro. Uliwood party.


 

Europa 22-5-2007 I cittadini s’indignano per i costi della politica ma gli allarmi di D’Alema e De Rita sono “rituali” FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, Massimo D’Alema lancia l’allarme “rischiamo di essere travolti come la prima Repubblica”, ma non dice come evitarlo; Giuseppe De Rita, sociologo cattolico, dice che il malessere si tradurrà in uno sciopero fiscale dei cittadini. Intanto Ilvo Diamanti, sociologo laico, ci dà sondaggi sulla felicità degli italiani (“mai stati tanto felici”) e l’americano Michael Moore presenta a Cannes un film di denuncia sulla sanità americana e scioglie inni e lodi alla sanità italiana. Qual è la vera Italia? ANNA SOLDINI, GENOVA

 L’Italia vera è tutto questo, cara signora. Lamentarsi e spassarsela è stata sempre un’attitudine italiana, figurarsi adesso che una parte notevole del paese affoga nei soldi: altrimenti non si spiegherebbe come mai non ci sia più un chilometro di costa (e sui laghi è lo stesso, come denunciava da Lecco un’ascoltatrice qualche giorni fa) che sia libero dall’edilizia, in un paese dove l’85 per cento delle famiglie abita in casa di proprietà. Mi dicono le agenzie immobiliari della cittadina balneare dove vivo che arrivano signori con le tasche gonfie di soldi e comprano 5, 6 dieci appartamenti per volta, come fossero noccioline. Da dove vengono tanti soldi? Vengono dal sommerso, dalla malavita, ma anche dalle tasse non pagate, e a non pagarle è soprattutto chi ha avuto per anni il potere di fare la parità liraeuro a suo piacere, raddoppiando il costo della vita per noi che viviamo di redditi fissi e paghiamo le tasse fino all’ultimo centesimo. Alle suddette categorie variamente imprenditoriali aggiunga gli artigiani, che fanno le tariffe a loro piacere, ti chiedono 100 euro per un filo a una presa di corrente, e via senza ricevuta. Costoro, insieme al management, ai professionisti, ai finanzieri, agli intermediari, ai banchieri, solo per restare all’economia legale, non faranno nessuno sciopero fiscale – stia tranquillo De Rita – perché già lo fanno tutta la vita. Gli altri, i percettori di redditi fissi, sono bloccati dalle ritenute alla fonte. Mi chiedo piuttosto come si faccia a protestare contro sindacati e governo se si arriverà a concedere 100 euro lordi in più al pubblico impiego, i cui redditi sono stati dimezzati da chi ha fatto carne di porco del valore dell’euro e ha licenza di non rilasciare ricevute.
Quanto alla rivolta morale degli italiani per i costi della politica, io ci credo poco, nonostante i bei libri di Stella e le denunce dei politici stessi. Ci credo poco perché chi avrebbe motivo di protestare, la gente umile, non ne ha la forza; chi ne avrebbe la forza, teme che la cosa finisca come a Tangentopoli, prima si torchiano i politici (applausi generali) poi si torchiano imprenditori, professionisti e cosiddetta società civile e allora tutti contro i manettari giustizialisti.
Non si può contare su un popolo la cui maggioranza vive bene e senza problemi ideali (soddisfatti, dice Diamanti).
L’unica speranza di correggere il marciume sta nella secessione di una parte della classe politica di riformare se stessa; e nella vigilanza occhiuta della stampa, almeno finché le sarà consentito esercitarla, visto che editori, direttori, manager ecc. hanno più privilegi dei politici.


 

Il Riformista 22-5-2007 Prodi, perché non dimezzi il governo? Di Valdo Spini

Siamo al 1992? In un certo senso sì, nel senso che quando c’è una battaglia per la redistribuzione del reddito e, magari per la distribuzione dei sacrifici, il tema dell’autorevolezza e della legittimità della classe politica che a tale redistribuzione deve procedere, si pone e si pone con forza. Allora, nel 1992, era Maastricht che, mettendo fine a una politica di raccolta del consenso mediante la dilatazione della spesa pubblica ai danni dell’equilibrio dei conti dello stato, costringeva a una politica di austerità e rendeva insostenibile il peso della corruzione. Oggi è il “tesoretto”, dieci (o dodici?) miliardi di euro che devono andare in gran parte a colmare il disavanzo, invece che a essere redistribuiti, a rendere intollerabili i costi della politica, i privilegi e gli sprechi che, alla luce di quanto sopra, sono oggetto di una protesta sempre più diffusa dell’opinione pubblica.
Alla fine degli anni ottanta sono stato tra quelli che avvertirono l’arrivo della tempesta e che cercarono una risposta riformista a tangentopoli, prima del suo esplodere, sia con proposte legislative, sia con i fatti, conducendo campagne elettorali provocatoriamente diverse da quelle allora prevalenti, almeno tra i partiti politici di governo. Sono grato all’allora presidente della Camera Giorgio Napolitano che, quando scoppiò tangentopoli, me lo riconobbe. Ma, tra difesa statica del sistema alla Craxi e affermazione della diversità comunista alla Berlinguer, i pochi riformisti che avvertirono la gravità della crisi non ebbero fortuna. Oggi siamo quindi nelle condizioni di allora? Da un certo punto di vista sì, come abbiamo detto, ma da un altro punto di vista no. Nel 1993 cadeva un sistema che aveva retto l’Italia per quasi cinquant’anni, cambiando radicalmente la condizione di un paese uscito sconfitto e distrutto dalla guerra.

 


 

La Repubblica 22-5-2007 GLI SCANDALI I diversi esiti dei processi per i crac finanziari negli States e nel nostro Paese Giudici Usa severissimi In Italia rimborsi record

 

Collecchio (grazie al boom in Borsa) batte Enron nella classifica dei risarcimenti Negli Stati Uniti già dietro le sbarre (con condanne fino a 25 anni) i principali responsabili degli scandali ETTORE LIVINI MILANO - Italia più generosa con le vittime. Stati Uniti più severi con i colpevoli. Il primo bilancio della stagione dei grandi crac di inizio millennio ? da Enron a Parmalat, dall'Argentina ai pelati Cirio ? si chiude con qualche risultato a sorpresa: il nostro paese, grazie al salvataggio di Collecchio, conquista (per ora) l'Oscar dei rimborsi agli obbligazionisti. Gli Stati Uniti vincono invece per ko la battaglia giudiziaria: i processi Usa si sono mossi molto più rapidamente di quelli di casa nostra con i giudici che hanno già accertato le responsabilità degli scandali di Wall Street (almeno in primo grado) e condannato i colpevoli. Alcuni dei quali stanno già scontando pesantissime pene in carcere. I rimborsi. L'associazione mondiale dei reduci da crac - un clan che raccoglie milioni di risparmiatori, pensionati ed ex-dipendenti travolti dai flop del 2002-2003 - ha, finanziariamente parlando, una stella polare tricolore: la Parmalat. Il nostranissimo disastro di Collecchio, infatti, non è da record solo per il buco (i 14 miliardi di voragine aperti dai Tanzi) ma anche per il denaro che la terapia di Enrico Bondi ha permesso di restituire agli ex-obbligazionisti. Certo gli ex azionisti della società emiliana hanno visto il loro capitale andare in fiumo. E possono sperare di rivedere qualche spicciolo solo dalle class-action Usa che hanno incassato per ora 50 milioni. Gli 85mila titolari dei 7 miliardi di bond, invece, sono tornati a sorridere. Tre anni fa i loro titoli valevano poco più che carta straccia. Poi il concordato li ha trasformati in azioni e warrant della nuova Parmalat. E oggi - grazie al boom di Borsa (il titolo di Collecchio è più che triplicato rispetto al valore di concambio) - si trovano in tasca un bel gruzzolo: per i 5 miliardi emessi da Parmalat Finance, il rimborso viaggia tra il 40% per le posizioni oltre il milione di euro e il 69% dei piccoli risparmiatori tra i 5 e i 10mila euro. Un record. I loro compagni di sventura della Enron (affondata con un buco da 60 miliardi di dollari) si sono visti restituire per ora 11 miliardi in azioni e grazie alla liquidità (circa 7 miliardi) incassata con le class action contro banche e revisori responsabili del crac. Le vittime della bufera Worldcom (un flop da 41 miliardi) hanno incassato per ora solo le briciole (150 milioni) anche se le transazioni con le banche per chiudere il caso hanno già consentito di raccogliere 6,1 miliardi di dollari. Il bilancio è in chiaroscuro anche per i Tango-people travolti dal default di Buenos Aires. Chi ha accettato lo swap proposto dal governo argentino ha recuperato il 30% circa, chi ha deciso di seguire il consiglio delle banche italiane (far causa al paese sudamericano) si ritrova ancora con un pugno di mosche in mano. La Cirio, altro ruspante scandalo italiano, ha rimborsato solo tre bond con percentuali di rientro tra il 10 e il 37% a seconda delle emissioni (i commissari contano in qualche caso di arrivare all'80% grazie a nuove cessioni di asset) mentre per Finpart - tra vendite e rimborsi dei manager - si dovrebbe arrivare al 35%. I processi. Gli Stati Uniti, su questo fronte, non hanno rivali. Quasi tutti gli scandali a stelle e strisce sono da tempo approdati almeno alla sentenza di primo grado. Jeffrey Skilling (Enron) è stato condannato a 24 anni come Bernie Ebbers (Worldcom) che è già in carcere. Dietro le sbarre è anche Dennis Kozlowski, con una pena di 8 anni e sei mesi per il caso Tyco. Non solo. Washington ha bruciato le tappe pure sul fronte normativo, introducendo una legge anti-crac, la Sarbanes Oaxley, diventata lo spauracchio di Wall Street e che alcuni economisti criticano addirittura come troppo severa. In Italia tira decisamente un'altra aria. Giudici e magistrati devono fare i conti con i mezzi e i tempi dei nostri tribunali e con un clima nei confronti dei reati finanziari (dal falso in bilancio in poi) non propriamente punitivo. Così i processi - malgrado gli sforzi ciclopici dei pm - viaggiano a scartamento ridotto e il bilancio è di qualche timido patteggiamento sul fronte Parmalat con le prime sentenze ancora parecchio lontane nel tempo. Il rischio prescrizione è già oggi più che una possibilità e per gli eventuali colpevoli - tra indulto, sconti di pena e calcolo della carcerazione preventiva - ben difficilmente si spalancheranno le porte del carcere.

 


 

La Stampa 22-5-2007 Il 30 una riunione di Prc e mussiani "Potremmo bloccare tutto" MARIA GRAZIA BRUZZONE

 

ROMA "Così non va, serve collegialità. Non può decidere prima il Pd, che poi ci fa perdere". Non lo dicono solo Rifondazione e il Pdci. E' tutta la sinistra radicale ad essere furibonda per il vertice di domenica convocato da Prodi con Padoa-Schioppa per discutere l'uso del "tesoretto". Non importa che Antonello Soro si affanni a spiegare che Massimo D'Alema e Francesco Rutelli erano lì in quanto vicepremier ("e Diliberto non lo è ancora", aggiunge il coordinatore della Margherita rispondendo al segretario del Pdci). L'umore è nero, e lo segnala la battuta lapidaria di Fausto Bertinotti. "Non sono in grado di pronunciarmi, non mi hanno invitato", ironizza il presidente della Camera con chi gli chiede di commentare l'accordo in 5 punti esposto da Prodi. Il premier cerca di spegnere le polemiche: "E' ovvio che la decisione sarà presa in maniera collegiale, ma in questa fase era indispensabile una riflessione preventiva". La sinistra non ci sta. Minaccia di non approvare alcuna decisione. Mette paletti e aggiunge richieste. E accelera il progetto di coordinarsi in un' "azione comune di governo" che rischia di rendere anche più forte il suo potere di interdizione. Il 30 è fissata la prima riunione collettiva e Prc le attribuisce "grande importanza". "I vertici valgono per chi li fa. Se c'è qualche parte politica che non è coinvolta vuol dire che si discuterà in altra sede", avvisa il ministro del Welfare Paolo Ferrero (Prc), che avrebbe avuto titolo per partecipare, così come il ministro dell'Università & Ricerca Fabio Mussi, fanno notare nella neonata Sinistra democratica. Ferrero ricorda che per il suo partito il "tesoretto" va usato a vantaggio delle politiche sociali e delle fasce più povere, sottolinea che di "priorità ce ne sono anche altre", come gli anziani non autosufficienti. E poi, vuol sapere cosa si fa sull'abolizione dello scalone. Le sue parole echeggiano quelle di Diliberto, che ha già minacciato di non votare il Dpef e ora ribadisce che "il risanamento lo abbiamo già fatto con la Finanziaria, quei soldi devono andare ai salari, alle pensioni, agli stipendi. Adesso si deve redistribuire". Anche i Verdi hanno da ridire e pretendono risorse per la lotta ai cambiamenti climatici "che incidono sulla vita e la salute dei cittadini". Ma il capogruppo Angelo Bonelli insiste sul "metodo": "In una coalizione non si decide in tre". Cesare Salvi, capogruppo al Senato della Sd, ne fa una questione di principio ("Il Pd con 100 senatori scarsi su 150, dato al 23% e oltre a tutto diviso, non può decidere da solo") ma anche di merito, perché "il Pd decide male e ci fa perdere, come è già successo in Sicilia". Gennaro Migliore, capogruppo del Prc alla Camera, ricorda come il suo partito sia da sempre contrario alle "cabine di regia": "Non siamo offesi per essere stati esclusi. Il punto è la collegialità. Non è una gara a tappe, prima ci si vede col Pd, poi con gli altri, ma un partire tutti insieme. Per garantire l'efficienza stessa del governo". A mettere in imbarazzo il governo si aggiungono altri due temi caldi, la prossima conferenza romana sullo Stato di diritto in Afghanistan e la visita di George W. Bush a Prodi. In ballo c'è la richiesta al governo di premere su Karzai per liberare Ratmatullah Hanefi, il mediatore del rapimento di Mastrogiacomo, tutt'ora incarcerato. "La presenza di Karzai a Roma sarebbe fuori luogo senza Hanefi libero", mette le mani avanti il verde Bulgarelli. Quanto a Bush, la sinistra scenderà in piazza con le organizzazioni pacifiste. Parallelamente a un corteo convocato dai Disobbedienti.

 


 

L’Unità 22-5-2007 La "corte dei miracoli" dell'emergenza rifiuti Da 13 anni consulenze d'oro, agenzie ad hoc per trovare posto a personaggi trombati. E la camorra, a pancia piena... di Enrico Fierro/

 

Segue dalla prima SEI COMMISSARI (Improta, Rastrelli, Losco, Bassolino, Catenacci, Bertolaso): tre presidenti di Regione, equamente divisi fra destra, centro e sinistra, e tre alti funzionari di Stato. Tutti generali sconfitti nella "Stalingrado della monnezza". L'ultimo , Guido Bertolaso, capo della Protezione civile, per quattro giorni ha sventolato bandiera bianca. Ma a Napoli e in Campania un esercito che ha vinto la guerra della monnezza c'è. "La camorra", dicono quelli di Legambiente. "I boss sono i veri imprenditori del settore, il loro giro d'affari annuo è di 600 milioni di euro. Sono i padroni della Campania, dove solo negli ultimi due anni hanno sversato qualcosa come 10 milioni di tonnellate di veleni". E non è finita qui, perché la camorra spa si sta trasformando ed è già pronta a gestire - questa volta con società "pulite" - la prossima riorganizzazione del ciclo dei rifiuti, un business da 4,5 milioni di euro. Per strada i cumuli di monnezza che bruciano, nelle aree industriali gli impianti di Cdr (che avrebbero dovuto trasformare i rifiuti in materiale da incenerire) che ormai producono solo ecoballe inutili e costose da smaltire. E due inceneritori, dei quali ancora non si vede traccia. Eppure sono passati tredici anni dalla prima emergenza. Era l'11 febbraio 1994. Dopo due anni di gestione del prefetto Improta, lo scettro del comando passa al presidente della Regione. Rastrelli, di An. Che "ridimensionò drasticamente il numero dei termovalorizzatori previsti nel piano originario da 7 a 2 - si legge in una relazione della Corte dei Conti - , e quello degli impianti di di produzione Cdr, da 9 a 7". Insomma, fin dall'inizio, una sola filosofia, tutta partenopea, "l'incertezza" fa da sfondo alla uscita dall'eterna emergenza rifiuti. A completare il quadro, poi, il fatto che gli Ato (ambiti territoriali ottimali), l'anello mancante della catena, dopo dieci anni non sono stati ancora costituiti. Dovevano garantire "stabilità al sistema", secondo i vari commissari. Al loro posto, un'altra sovrastruttura, i consorzi di bacino. "Consorzi nati per trovare posto a personaggi trombati in precedenti incarichi politici". "Non ci sono uffici, ma soppalchi su cui salgono 30-40 persone". "I comuni non si avvalgono dei consorzi e spesso fanno riferimento a soggetti terzi. Pagano la quota di adesione e nel contempo costituiscono nuove società. Questo significa nuovi Cda e nuovo personale". Sfoghi e pensieri di funzionari pubblici davanti alla Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti. La conclusione ai magistrati della Corte dei Conti: "In assenza di un'efficace raccolta differenziata, e a causa del grave ritardo nella realizzazione degli unici due impianti di termovalorizzazione, si è verificato il collasso del Piano e la drammatica situazione di emergenza nell'emergenza". Raccolta differenziata, una chimera in Campania. La regione produceva 2456081 tonnellate di rifiuti nel 1998, nel 2005, 2806113. Sempre nel '98 la raccolta differenziata era all'1,5% del totale (l'11,2 in Italia); nel 2005 il dato sale per la Campania al 10,6%, ma nel resto del Paese siamo a quota 24,3%. Insomma, nonostante i soldi spesi in consulenze milionarie (anche due giornalisti nell'allegra brigata), spese folli e patinati depliant, in 13 anni - scriveva la magistratura contabile già nel 2002 - "è mancata una idonea azione di diffusione e informazione" sui benefici della raccolta differenziata. C'erano decisioni che obbligavano i comuni a separare i rifiuti, e c'era pure un Consorzio, il Conai, 2316 dipendenti. Ma attenzione: "Se lavorano in 200 è un miracolo. Gli altri non fanno niente. Ho continuato a pagarli, perché l'alternativa era quella di creare un disastro sociale", dice nel luglio del 2004 il commissario Catenacci alla commissione d'inchiesta. Nel frattempo in Campania aumentavano le tasse sulla spazzatura, mentre i soldi destinati alla raccolta differenziata, venivano "utilizzati - scrive la Corte dei Conti - a fini assistenziali, con un costo di circa 65 milioni di euro l'anno". Produzione del Cdr e impianti di termovalorizzazione: il fallimento è qui. Prima con una delibera del marzo 1998, poi con un accordo di programma, vengono individuate le imprese destinate a realizzare gli impianti. A loro viene delegata la scelta dei suoli, i comuni vengono commissariati dai privati. Tra le imprese vincitrici la Fibe, dell'Impregilo di Romiti. "Per i criteri di aggiudicazione - ancora la Corte dei Conti - fu attribuita scarsa rilevanza alla valutazione in merito alla qualità tecnica... ". Ecco come un professore di impianti chimici presso l'università di Napoli, giudica il lavoro della Fibe davanti alla Commissione d'inchiesta: "I progetti delle altre imprese erano molto avanzati. Era difficile assegnare un punteggio inferiore a 10. Il progetto della Fibe presentava delle lacune in alcuni casi imbarazzanti... ". Risultato: gli impianti di Cdr hanno prodotto materiale non a norma, si tratta di rifiuto indifferenziato stoccato in aree di parcheggio, le discariche sono state riaperte, il tutto con "ingentissimi costi aggiuntivi", mentre dei termovalorizzatori (giudicati ormai inutili dalla Ue) non si vede traccia. "Le società affidatarie si sono rese responsabili di gravi inadempienze contrattuali", scrivono i magistrati contabili, "risulta perciò incomprensibile l'inerzia e la tolleranza del Commissariato". 1500 sono gli automezzi forniti dalla struttura commissariale a Comuni e consorzi per la raccolta dei rifiuti per una spesa di 80 milioni di euro. Che fine hanno fatto? Molti sono stati rubati, altri distrutti. E intanto i rifiuti della Campania si portano all'estero: 60 milioni di euro è la spesa per il turismo della monnezza alla fine del 2004. Spese a gogò anche per la gestione del Commissariato: 101 dipendenti alla fine del 2005, molti assunti in modo clientelare, camorristi compresi. Inizialmente le indennità di commissari, subcommissari e vicecommissari era fissata in 10 milioni di lire mensili, ma non bastavano: si decise di portare l'indennità allo stesso livello di quella percepita dagli assessori regionali. Totale 10mila euro mensili. Il capitolo dei rimborsi spese, poi, è ripugnante. Solo di telefonate ("molte internazionali e quelle verso i numeri "speciali" (hot-line, ndr)") dal 1999 al 2003 sono stati spesi 724.680,25 euro. Quando i funzionari andavano in missione si trattavano da sultani. "Il personale del Commissariato, in missione a Rimini, ha pernottato al Grand Hotel, categoria cinque stelle extra lusso... In dettaglio sono stati rimborsati biglietti aerei a nome di...(un solo funzionario, ndr) per 35mila euro, spese per pasti per oltre 7mila euro...". Risultati: fino ad oggi ci sono 5 milioni di tonnellate di Cdr stoccato e da smaltire. Alla fine di quest'anno arriveranno a 7 milioni, ai quali va aggiunta la produzione quotidiana di monnezza. "Il ciclo dei rifiuti - nota la Corte dei Conti - è dopo 13 anni di emergenza ancora aperto. Si è venuta così a creare una situazione endemica di emergenza che non trova riscontro in alcuna altra realtà locale d'Europa e che non è degna di un Paese civile". E Napoli brucia su montagne di monnezza.


 

La Stampa 22-5-2007 Bush: gli alleati Nato devono rischiare di piu' http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifLa replica del ministro Parisi «Gli italiani fanno già la loro parte»http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif

 

CORRISPONDENTE DA NEW YORK http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifRichiesta agli alleati di una maggiore condivisione della missione Nato in Afghanistan e appoggio al governo di Beirut impegnato a sconfiggere le milizie islamiche nei campi profughi palestinesi di Tripoli: sono questi i due messaggi usciti dal ranch presidenziale di Crawford, in Texas, dopo 48 ore di colloqui fra George W. Bush e il segretario generale della Nato, l’olandese Jaap de Hoop Scheffer.

Il fine settimana passato nella «Casa Bianca del West» è servito a Bush e Scheffer per esaminare l’agenda dell’Alleanza atlantica e le crisi regionali in vista del summit del G8 che si terrà a inizio giugno in Germania. A tenere banco in primo luogo l’Afghanistan, dove 15 mila soldati Usa operano a fianco di un contingente Nato di 21 mila unità. «Ho promesso al segretario generale che lavoreremo con gli alleati per convincerli a condividere di più responsabilità e rischi dell’operazione in Afghanistan al fine di poter centrare i nostri obiettivi», ha detto il presidente americano al termine dei colloqui, sottolineando come «l’Afghanistan ha bisogno non solo di azioni militari ma di una strategia di lungo termine per rafforzare le istituzioni democratiche, per aiutare a creare le opportunità che consentano a questa giovane democrazia di sopravvivere e fiorire».

Ciò significa che Washington si appresta a chiedere agli alleati maggiori impegni, militari e civili, tanto per combattere i taleban che per consolidare il governo di Hamid Karzai. Il riferimento è a Paesi che, come l’Italia, hanno sottoscritto regole di ingaggio che non consentono l’impiego nelle zone calde, dove l’insurrezione filo-talebana è più violenta. Da qui l’imminente missione in Europa del Segretario di Stato, Condoleezza Rice, che farà tappa a Berlino, Vienna e Madrid. Sebbene Bush non abbia fatto riferimento a nessun alleato in particolare in ambienti diplomatici a Washington si ritiene che il messaggio sia in primo luogo indirizzato al neo-presidente francese Nicolas Sarkozy, dal quale ci si attendono i primi segnali di convergenza proprio sull’impegno in Afghanistan.

«Gli italiani fanno già la loro parte» in difesa della sicurezza e della pace, in Afghanistan e non solo». Così il ministro della Difesa, Arturo Parisi, ha risposto in serata all’Ansa che gli chiedeva un commento.

Scheffer ha dato manforte a Bush nell’appello agli alleati, aggiungendo il rammarico per il numero di vittime civili - oltre 1600 nel 2006 - causato dagli attacchi della Nato. «La linea del fronte non deve diventare il luogo dove si commettono errori», ha detto, sottolineando tuttavia che «noi e i taleban non apparteniamo alla stessa categoria morale». «Noi non decapitiamo la gente, non bruciamo le scuole, non uccidiamo gli insegnanti, non deponiamo bombe lungo le strade e non mandiamo kamikaze», e dunque le morti causate dai taleban non possono essere «moralmente» equiparate a quelle provocate dalla Nato. «La tattica dei taleban è circondarsi di civili al momento di lanciare un attacco», ha aggiunto il presidente Usa.

Il summit di Crawford ha coinciso con gli scontri in atto nel Nord Libano e Bush ha dettato al portavoce Tony Fratto un comunicato di sostegno al premier di Beirut, Fouad Siniora: «Crediamo nella democrazia e la sovranità del Libano, sosteniamo gli sforzi del premier nell’occuparsi dei combattimenti in corso». Poco dopo il Dipartimento di Stato è andato oltre: «Le truppe libanesi sono intervenute in maniera legittima contro le provocazioni messe in atto da violenti estremisti che operano dai campi profughi».

L’intelligence americana ritiene il gruppo Al Fatah Islam, coinvolto negli scontri con l’esercito libanese, sia una ramificazione palestinese di Al Qaeda. Ma il portavoce McCormack ieri non si è spinto fino a condividere le accuse libanesi di un coinvolgimento diretto di Damasco.

 


La Repubblica 22-5-2007 Usa, i figli della luce blu ostaggi di un gene che uccide Per gli ultra-tradizionalisti cristiani una cura tecnologica I mennoniti rifiutano la modernità: ma un male li ha costretti a cedere VITTORIO ZUCCONI

 

Non sono le tv, severamente proibite, a illuminare d'azzurro le finestre I matrimoni tra parenti in questa comunità chiusa minano la salute (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) DAL NOSTRO INVIATO Sono il riflesso di queste camerette sarcofago dove sopravvivono quei bambini che la luce del sole uccide. Sono i figli della sindrome di Crigler-Najjar, una di quelle rare malattie con il nome di chi le ha scoperte, che è sempre un brutto segno, una condizione genetica che impedisce al loro fegato di metabolizzare la bilirubina, il pigmento prodotto dalla normale morte dei globuli rossi che provoca, se non è espulso, l'itterizia e l'intossicazione sistemica. In questi bambini e bambine bellissimi, biondi, come vuole la loro origine olandese e l'appartenenza a gruppi dove inevitabilmente ci si sposa tra le stesse famiglie, la bilirubina è centocinquanta volte superiore al massimo considerato normale. Diviene un veleno che colpisce il cervello e conduce a morte. Soltanto la luce blu, l'illuminazione con lampade sospese sopra le culla, i loro lettini e letti quando divengono più grandi, permette al loro corpo di espellere la bilirubina e di avere qualche speranza di sopravvivere in attesa dell'unica cura reale, il trapianto di fegato. Per almeno dodici ore al giorno, nei casi più gravi anche per tutto il giorno, i figli della luce blu devono giacere completamente svestiti e perennemente accuditi nel caso manchi la corrente, nel cono delle luci blu. Per metà della loro vita, fino a quando un trapianto divenga possibile, spesso non prima dell'adolescenza, i bambini di Crigler-Najjar devono vivere in un'incubatrice. Ed è già un miracolo, questa scoperta della proprietà delle luci blu per permettere la metabolizzazione della bilirubina, perché fino ai primi anni '90, i figli degli Amish, dei loro cugini Mennoniti in Pennsylvania, nell'Ohio, in Indiana, in Canada, dove queste comunità vivono, erano condannati. Raramente raggiungevano i tre anni e anche se riuscivano a sopravvivere un poco più a lungo i danni cerebrali erano gravissimi e irreversibili. E fu proprio nell'ospedale di Lancaster, la città più importante della "terra degli Amish e dei Mennoniti", che un medico che aveva studiato con lo scopritore della malattia, di fronte ai casi sempre più frequenti di itterizia divorante, intuì il miracolo della luce blu. Non fu un miracolo accettato facilmente da gruppi religiosi che si ispirano tenacemente alla predicazione del loro fondatore, l'ex sacerdote cattolico olandese Menno Simmons nel '500, e che nel loro inflessibile anti-modernismo, guardano con sospetto a ogni tecnologia. Senza arrivare al totale rifiuto dell'elettricità e dei motori a scoppio praticato dai loro cugini ancora più tenaci, gli Amish, anche nelle loro case scienza e tecnologia sono accolte per il minimo indispensabile, per cucinare o per non finire assiderati nel freddo invernale. Ma i bambini morivano e l'incidenza del morbo, rarissimo nel resto della popolazione, centodieci casi al mondo, era alta tra i 70 mila fedeli di Menno, dove la difesa della propria identità etnica e religiosa tende a riprodurre malattie genetiche, due dozzine secondo l'Associated Press, Visitando i sobri cimiteri lungo le colline della Dutch Country, della terra degli olandesi come viene ancora oggi chiamata, le tombe di bambini morti piccolissimi sono molte. E quasi sempre, come nel caso di questa sindrome, dovute alla familiarità di cromosomi e geni troppo poco diversificati tra di loro. Non fu facile, per gente mite quanto ostinata, convintamente fedele a una vocazione che li portò anche alla deportazione nei campi di concentramento americani durante la seconda guerra mondiale e poi negli anni del Vietnam per il loro pacifismo intransigente e quindi per diserzione, arrendersi. Ma tra la fedeltà ai principi dottrinali e la vita dei loro figli, la congregazione dei Mennoniti scelse, alla fine, i figli, accettò la tecnologia che avrebbe prolungato e forse salvato la loro vita e nelle notti della Pennsylvania cominciarono ad accendersi i riquadri blu, le finestre della speranza. Nelle loro case, mentre nella cucina comune, nelle altre stanze da letto, le donne accendono a sera le lampade a petrolio, nella stanza riservata ai figli della luce, si accende il baldacchino di acciaio con la batteria di lampade blu, alimentate spesso da un generatore, dove non arrivano i fili della corrente, sopra il bambino coperto soltanto dal pannolino, se ancora lo porta. Costa mille dollari, quel baldacchino di luci costruite da un papà Mennonita, Floyd Martin, per il figlio e per gli altri bambini che soffrono dello stesso male. Nessuna industria li vuol produrre, perché ci sono troppo pochi casi per giustificare l'investimento, e lui, da bravo Mennonita, li fa in casa, con attrezzi semplici e li vende a costo, l'angelo azzurro dei bambini gialli.


 

La Gazzetta di Modena 22-5-2007 Ai contadini arriva sempre meno Prezzi in picchiata per i produttori, alle stelle ai consumatori

 

Non è iniziata bene l'annata agraria per l'agricoltura modenese. I prezzi delle produzioni animali sono in picchiata: calano quotazioni di suini, bovini, avicoli; nelle ultime settimane è calato anche il prezzo del Parmigiano. Anche l'ortofutta all'origine vive un momento difficile. Ai bassi prezzi riconosciuti alla produzione corrispondono però alti prezzi al consumo e i conti non tornano. La situazione si ripete e diventa ormai la norma. Nonostante i prezzi alla produzione siano bassi e in calo, il consumatore si trova ad affrontare rincari ingiustificati, determinando una "forbice" tra prezzo all'origine e prezzo finale è sempre più ampia. Non c'è comparto che sfugga a questa situazione. Dai dagli Istat forniti nell'ulimo quadrimestre si scopre infatti che i prezzi sono in media di un 3,5% in meno rispetto al primo quadrimestre dello scorso anno. Per gli ortaggi il crollo è verticale (meno 16%), meno per la frutta (6% in meno). "Dal campo alla tavola - dicono alla Cia - ci sono incrementi assurdi: il prezzo aumenta anche di otto - nove volte. E questo conferma tutte le inefficienze e i comportamenti speculativi che si registrano nella filiera che, nel caso specifico dell'ortofrutta, è sempre più lunga e complicata. Nell'ipotesi ottimale abbiamo il passaggio dal produttore, alla cooperativa o all'organizzazione dei produttori, alla grande distribuzione. Nell'ipotesi "normale" il percorso è dal produttore all'intermediario, al grossista, al mercato generale, al dettaglio". Ed ogni passaggio ha un ricarico. L'agricoltura modenese non sfugge a questo contesto generale e nelle sue produzioni tipiche segna il passo. Solo le ciliegie, la cui produzione è iniziata da pochi giorni con almeno due settimane di anticipo, si "barcamenano" in un mercato difficile, dove le ciliegie di Vignola devono fare i conti con le contraffazioni del marchio e possono, almeno per quest'anno, trarre beneficio dalle "disgrazie meteorologiche" dei competitori. Così il Bigarreaux di prima categoria, al mercato di Vignola quota in media 3,50 euro il chilo, mentre l'Early riesce a raggiungere i 4,5 euro. Al mercato è arrivata anche la moretta con un 2,80 euro in media al chilo. Ma poi ci saranno le susine, la produzione è abbondante e le prospettive di prezzi, già da ora, non sono rassicuranti. (miria burani).


INDICE 21-5-2007

 

INDICE 21-5-2007  1

++ La Stampa Cei, oggi il summit dei vescovi. La prima assemblea dell'era Bagnasco  1

++ La Repubblica 21-5-2007 La "pax politica" sulle banche D'Alema è il primo sponsor di MASSIMO GIANNINI 2

+ AGI 21-5-2007 TEST GENETICI: STOP AL FAR WEST, LE NUOVE LINEE GUIDA DELL'OCSE  4

+ Il Corriere della Sera 21-5-2007 di PIERLUIGI BATTISTA OPINIONI PARTICELLE ELEMENTARI Quegli applausi a Moore e la vera specialità di Cuba: carceri, più che ospedali 5

ANSA 19-5-2007 GIUSTIZIA:DI PIETRO,IN CDM BLOCCATO DDL MASTELLA BANCAROTTA  6

La Repubblica LINEA DI CONFINE Dal pedagogismo del ministro dovrebbe uscire una scuola rispondente ai dettami di Benedetto XVI MARIO PIRANI 6

Il Riformista 21-5-2007  Perché si materializzano i fantasmi del ’92  7

L’Unità 21-5-2007  "Troppi gli sprechi, cresce un'ondata di insofferenza" Berselli: qualcuno potrebbe cavalcarla. Mussi: facciamo le riforme possibili, tagliamo i costi della politica di Wanda Marra  8

Il Corriere della Sera 21-5-2007 E i politici assediano il ministro "rigido" di SERGIO RIZZO  9

La Stampa 20-5-2007 http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifDittature dell'Est contro l'Europa http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://adv.ilsole24ore.it/5/www.lastampa.it/06/stampa2/news_giornale/1663688816/SpotLight_01/OasDefault/default/empty.gif/64343232643061333435366664633030http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifBARBARA SPINELLI 10

La Repubblica 21-5-2007 La richiesta del presidente della commissione Vigilanza. Il conduttore di "Annozero" vuol trasmettere l'inchiesta che fa infuriare il Vaticano "La Rai blocchi il video sui preti pedofili" Landolfi attacca Santoro. Il filmato Bbc sul tavolo del direttore generale SILVIA FUMAROLA  12

Il Manifesto 21-5-2007 Michael Moore Il regista è a Cannes con "Sicko", film-accusa del sistema sanitario Usa Il paziente americano Le compagnie di assicurazione non possono avere la responsabilità di decidere della salute dei cittadini. 12

Il Sole 24 Ore 20-5-2007 Risparmi per 1,2 miliardi, discesa in Mediobanca al 9,39% entro il 2007  13

Il Corriere della Sera 21-5-2007 Concorrenza alla prova di Dario Di Vico  14

 

 


 

++ La Stampa Cei, oggi il summit dei vescovi. La prima assemblea dell'era Bagnasco

ROMA
Al via oggi pomeriggio la prima assemblea generale della Conferenza episcopale italiana dell’era Bagnasco, l’arcivescovo di Genova oggetto di contestazioni in alcune città italiane per l’acceso dibattito sul tema delle coppie di fatto. Il summit dei vescovi si aprirà nel pomeriggio, in Vaticano, con la prolusione del neo-presidente.

Temi principali della cinquantasettesima assemblea sono la missione della Chiesa italiana (e in particolare i sacerdoti detti ’fidei donum’, donati, cioè, dalle diocesi italiane alle missioni all’estero) e le conseguenze del convegno decennale che si è svolto ad ottobre a Verona. I vescovi approveranno la nota «pastorale» che tradurrà in termini operativi i cinque ’ambitì affrontati nella città scaligera (vita affettiva, lavoro e festa, fragilità umana, tradizione e comunicazione, cittadinanza).

Non sono all’ordine del giorno, invece, temi di più stretta attualità come le questioni della famiglia, della bioetica e della tutela della vita umana (e del connesso nodo del ’testamento biologicò). Il dibattito su questi argomenti è acceso, nel Parlamento e nel paese, e i ripetuti interventi dei vescovi in materia si sono inseriti in un clima teso. Lo dimostrano le recenti scritte ingiuriose contro il Papa e monsignor Bagnasco comparse sui muri di varie città italiane così come le polemiche tra l«Osservatore romanò e il comico Andrea Rivera dopo il concerto del primo maggio a Roma.

Sul tema della famiglia, in particolar modo, è il calendario stesso a fare da cornice all’incontro dei vescovi. L’assemblea avviene, infatti, a poco più di una settimana dal Family day e a ridosso della conferenza nazionale sulla famiglia organizzata dal governo a Firenze (24-26 maggio). Anche sul testamento biologico, il dibattito parlamentare inizierà prossimamente dalla commissione Igiene e salute del Senato. Si tratta di un altro tema su cui l’episcopato già in passato ha espresso preoccupazioni. Anche l’associazionismo cattolico intende inserirsi nel dibattito. »La battaglia di piazza continuerà anche su altri fronti come quello del testamento biologico«, ha detto di recente Domenico delle Foglie, coordinatore del Family day e portavoce del comitato Scienza e vita.

Dopo la prolusione dell’arcivescovo di Genova Bagnasco, il nunzio apostolico in Italia, monsignor Giuseppe Bertello, porterà i suoi saluti. Tra i momenti più significativi dell’assemblea della Cei, che si concluderà venerdì, spicca il concerto offerto in onore del Papa che si svolgerà, in sua presenza, giovedì pomeriggio nell’Aula Paolo VI.

 


++ La Repubblica 21-5-2007 La "pax politica" sulle banche D'Alema è il primo sponsor di MASSIMO GIANNINI

 

Soddisfazione di tutti, ma prima una battaglia di potere La compagnia delle Coop doveva acquisire il controllo della banca di Profumo

 

Poteri forti contro poteri morti? La forza del Capitale contro la debolezza del Palazzo? Sarebbe sbagliato pesare l'operazione Unicapitalia con il solito bilancino dei partiti. Come se fossimo ancora nel "Vietnam" prodiano degli anni 80, quando i boiardi delle tre "banche di interesse nazionale" (le "bin" dell'Iri, Comit, Credit e Banco di Roma) prendevano ordini dalle segreterie della Dc o del Psi. Ma sarebbe altrettanto "naif" pensare che la nascita della superbanca di Profumo e Geronzi sia stata concepita nel vuoto pneumatico della politica.

Una politica che, per quanto delegittimata, continua a intervenire (e interferire) in tutte le grandi partite del potere economico. Non ti spiegheresti altrimenti le parole compiaciute di uno dei pochi "dalemiani" autorizzati a definirsi tali, mentre si gusta una spigola al sale in un noto ristorante romano: "Ormai siamo nel partito democratico, giusto? E allora lo possiamo dire: finalmente adesso abbiamo due banche. ".

La fusione tra Unicredit e Capitalia nasce per esplicite ragioni di mercato. Nella finanza globalizzata, anche nella piccola Italia, le concentrazioni bancarie hanno una dinamica inerziale fisiologica, che Mario Draghi ha avuto il merito di assecondare, guarendo il sistema dalle patologie autarchiche e provinciali cui lo aveva costretto il sistema-Fazio. Per quanto proiettato sui mercati esteri, Unicredit non poteva sottovalutare la necessità di consolidarsi anche come "campione nazionale": Capitalia è la soluzione più logica, efficiente e funzionale. Ma il "merger" tra i due istituti nasce anche con un'implicita impronta politica.

Soddisfa l'esigenza di tutti quelli che, dentro e fuori dall'Ulivo, si proponevano di arginare la straripante forza d'urto dell'altra superbanca, Intesa-San Paolo, e quindi di bilanciare lo strapotere del buon "parroco" bolognese che ha benedetto le nozze tra Giovanni Bazoli ed Enrico Salza: cioè Romano Prodi.

In apparenza, la piattaforma politica favorevole al matrimonio tra Profumo e Geronzi è trasversale. Parte dal centrosinistra, ruota intorno ai Ds (attraverso la corrente dalemiana), incrocia diversi petali della Margherita (attraverso l'ala non prodiana che va dal presidente del Senato Franco Marini al capogruppo Dario Franceschini) e gode di un "appoggio esterno" del centrodestra (che inizia da Berlusconi e arriva fino a Gianni Letta). Basta questo a spiegare perché, stavolta, non si sentono in giro reazioni esagerate o irrituali. Non si sente Fassino ripetere "finalmente abbiamo una banca", l'improvvido endorsement che pronunciò al telefono con Giovanni Consorte, ai tempi della scalata di Unipol su Bnl. Non si sente un velenoso Parisi invocare una "nuova questione morale", né un contundente Rutelli accusare la Quercia di "collateralismo", come fecero nella torrida estate del 2005, quando i Ds flirtarono pericolosamente coi "furbetti del quartierino".

E non si sente nemmeno il Cavaliere gridare allo scandalo per "i rapporti oscuri tra i comunisti e le coop", come fece in quello stesso luglio di due anni fa.
L'unico che dubita (a paradossale conferma della tesi del dirigente dalemiano sulla "seconda banca" per il Pd) è Walter Veltroni. Teme una "perdita di peso" di Roma: "Il sindaco parla della città, o allude a se stesso?".

In sostanza, Unicapitalia ha avuto in questi mesi uno "sponsor" più convinto degli altri: Massimo D'Alema. Definirlo "regista" dell'accordo sarebbe ridicolo. Per anagrafe e formazione, Profumo non è banchiere al quale si possa imporre alcunché. Sta seduto su una tale montagna di denaro che non si mette sull'attenti davanti al leader di un partito (figuriamoci della Quercia, che viaggia al 17% dei voti). Ma è D'Alema che, in questi mesi, con Profumo ha stretto rapporti di amicizia, anche personale. E' D'Alema che ha dato voce più volte all'insofferenza di chi, dentro la maggioranza, ha visto crescere l'influenza di Prodi in tutti i gangli del potere. A dispetto di una gestione sfuggente sulle grandi questioni politiche (dai Dico alla legge elettorale) il premier ha invece sfoderato i suoi famosi "artigli che grondano bontà" per regolare gli affari di governo e sottogoverno. Ha imposto Riotta al Tg1. Ha piazzato all'Anas Pietro Ciucci, suo manager ai tempi dell'Iri. Ha voluto al Cesis Giuseppe Cucchi, generale anconetano di sua fiducia. Ha sistemato nel cda di Finmeccanica Filippo Andreatta. Ha gestito in assoluta autonomia la privatizzazione Alitalia e le nomine alle Ferrovie, finendo per far infuriare persino Rifondazione comunista.

Ma come dice il solito plenopotenziario dalemiano, "i suoi capolavori sono stati due. Il primo è Telecom dove, metabolizzato in fretta il caso Rovati, ha fatto fallire l'accordo con Telefonica quando lo voleva concludere Tronchetti, e poi l'ha propiziato lui stesso insieme a Zapatero dopo che Tronchetti se n'è andato. Il secondo è la fusione Intesa-San Paolo, che da sola vale più di un ministero delle Attività produttive".
Come tutti sanno, all'indomani dello smacco patito sull'affare Bnl è stata proprio la fusione prodian-bazoliana a innescare la voglia di rivincita del Botteghino. Un partito che, per incultura o imperizia, nei rapporti con l'establishment non riesce a guarire dalla sindrome gregaria denunciata dal Togliatti di "Ceti medi e Emilia rossa", e alterna atteggiamenti ancillari ad anatemi di classe. Quello che invece nessuno sa, è che questa voglia di rivincita doveva passare per un altro piano segreto, che voleva Unicredit in posizione di "preda", e non di "cacciatore".

Secondo il progetto messo a punto circa un anno fa dall'inner circle dalemiano, la banca di Piazza Cordusio sarebbe finita addirittura nella pancia di Unipol. La compagnia di Via Stalingrado era pur sempre uscita dalla Caporetto su Bnl con 3 miliardi di euro di free capital. Avrebbe quindi conferito a Unicredit le sue attività bancarie (una rete di quasi 300 sportelli, per una raccolta di quasi 40 miliardi di euro). Al tempo stesso, d'accordo con gli altri azionisti di Unicredit, avrebbe rilevato sul mercato, o attraverso un aumento di capitale, una quota tra il 5 e il 7% della banca di Piazza Cordusio, diventandone così l'azionista di riferimento.

Il progetto sembrava pronto al decollo, l'estate scorsa. Lo stesso D'Alema ne aveva parlato con Profumo, che non si era affatto tirato indietro. I vertici di Unipol, da Stefanini a Salvatori, studiavano la fattibilità dell'operazione. Per la Quercia sarebbe stato la grande "riscossa", dopo le umiliazioni subite su Consorte. Basta con lo sberleffo sui "figli di un dio minore".
Basta con le frasi irriverenti di Montezemolo, che diceva "le coop non hanno mai prodotto un bottone". La "finanza rossa" tornava in campo, conquistando la banca più internazionalizzata del Paese, e allungando addirittura una mano sul gioiello carissimo a Enrico Cuccia, le Generali.

Sarebbe stato un terremoto. Ma forse proprio per l'alto impatto dell'operazione, alla fine i manager delle coop hanno gettato la spugna: non se la sono sentita di riportare Unipol al centro del ring politico, con tutti i rischi del caso.

Per i Ds è stata una delusione. Ma in quel momento, nello scorso autunno, D'Alema e i suoi hanno capito che l'unica "subordinata" possibile, per creare un polo alternativo a quello prodian-bazoliano, era proprio incentivare l'accordo tra Unicredit e Capitalia. Esattamente a questo è servita, negli ultimi mesi, la diplomazia dalemiana. A Profumo ha assegnato il ruolo di mattatore, al grande convegno milanese della Fondazione Italianieuropei del dicembre scorso, che Giuliano Ferrara sul "Foglio" commentava con un profetico "Profumo d'Intesa". Mentre Berlusconi riuniva a Piazza San Giovanni il suo popolo per protestare contro il governo Prodi, D'Alema riuniva a Sesto San Giovanni l'elite economica-finanziaria per ricucire la tela strappata dai Ds con la "borghesia produttiva". E mentre Corrado Passera illustrava la filosofia "universale" di Super-Intesa, come "banca al servizio dell'economia reale e delle infrastrutture di tutto il Paese", Profumo spiegava al pensatoio dalemiano che "noi non siamo enti pubblici, il nostro dovere è quello di creare valore per i nostri azionisti".

Coniugare l'algida filosofia mercatista e mitteleuropea di Profumo con la pratica politicista e capitolina di Geronzi. La sfida complessa della nuova Superbanca sta tutta qui. C'è una convenienza creditizia (che il banchiere milanese non può non cogliere) e un'opportunità politica (che il banchiere romano non può non garantire). Il leader diessino, com'è evidente, non poteva obbligare nessuno. Ma cavalcando un'onda crescente di consenso bipartisan, ci ha aggiunto un carico discreto di "moral suasion".

Proprio lui, dieci giorni fa a Milano, ha voluto spiegare a Bazoli davanti a un buon caffè che l'operazione Uni-Capitalia non è targata Ds, e comunque non è "nemica" di Intesa-San Paolo. Bazoli ha sorriso, facendo buon viso a cattivo gioco. Ma dicono che non gli abbia creduto. Come si fa a dargli torto?

(21 maggio 2007)

 

 


+ AGI 21-5-2007 TEST GENETICI: STOP AL FAR WEST, LE NUOVE LINEE GUIDA DELL'OCSE

 

(AGI) - Roma - Test genetici solo in strutture accreditate all'interno dei sistemi sanitari nazionali. Consenso informato obbligatorio e, soprattutto, ogni test deve essere prescritto da un medico e nel referto finale dev'essere indicato espressamente che dev'essere sottoposto alla valutazione di un medico specialista. Contro il proliferare di test genetici, spesso non suffragati da reali esigenze mediche, l'Ocse ha deciso di stilare delle nuove linee guida. Alla elaborazione del nuovo documento che dovra' ispirare i regolamenti attuati in materia dai diversi paesi aderenti all'Ocse, partecipano anche due ricercatori italiani: Giuseppe Novelli, genetista dell'Universita' di Tor vergata e Domenica Taruscio dell'Istituto Superiore di Sanita'. I test genetici disponibili per diagnosticare le malattie genetiche sono migliaia. Considerato l'elevato numero di queste patologie legate a difetti del Dna e la necessita' di sviluppare e sperimentare ogni specifico test, nessun Paese oggi puo' essere autosufficiente in materia. Questo e' ben documentato dall'elevato numero di campioni biologici scambiati tra gli Stati. Nel 2003, un censimento dell'Ocse ha rilevato che ci sono stati almeno 18.000 campioni biologici scambiati tra i vari Paesi per effettuare una diagnosi molecolare. I test genetici sono fondamentali per stabilire o aiutare a formulare una diagnosi. Un test genetico viene in genere effettuato una sola volta e costituisce un risultato permanente nella storia clinica di una persona. Per questa ragione e' necessario che il test risponda a criteri di qualita' e di sicurezza e che venga effettuato presso strutture altamente qualificate. Le Linee Guida proposte hanno l'obiettivo di garantire la qualita' dei test genetici somministrati a scopi clinici e fornire un supporto ai Paesi membri e non membri a promuovere, sviluppare e assicurare garanzie di qualita' e di collaborazione internazionale su questo tema. Le novita' cantenute nel documento sono consistenti. I test genetici dovrebbero essere somministrati all'interno dei Sistemi Sanitari dei Paesi. Dunque niente piu' test effettuati da laboratori non accreditati privati. Gli standard legali, etici e professionali dovrebbero essere rispettati nella somministrazione dei test genetici che dovrebbero, quindi, essere prescritti solo quando c'e' la reale necessita'. Il consenso informato al test deve costituire la norma e dovrebbe essere ottenuto in linea con gli standard legali, etici e professionali. Ogni test genetico effettuato, inoltre, dev'essere accompagnato da una consulenza pre e post test. Le informazioni genetiche personali devono essere protette e rese sicure dalle leggi sulla privacy. I laboratori che effettuano test genetici devono fornire agli utenti tutte le evidenze disponibili sulla validita' clinica e sull'utilita' del test effettuato. I servizi di genetica molecolare devono aderire a schemi di assicurazione di qualita' e a processi di accreditamento. E' necessario facilitare in tutti i Paesi sistemi di accreditamento della qualita' per i laboratori. Un test genetico dovrebbe essere sempre prescritto da un medico e il risultato dello stesso inviato al medico referente del paziente. Nei Paesi dove e' consentito sottoporsi ad un test genetico senza prescrizione, il risultato fornito al paziente, deve contenere una chiara indicazione di consultare un medico competente per la comprensione del test effettuato. L'interpretazione di un test genetico dovrebbe essere sempre appropriata per ogni singolo paziente in considerazione del suo stato di salute. L'interpretazione deve sempre essere basata su dati oggettivi. Il referto di test genetici eseguiti per valutare rischi di suscettibilita' a sviluppare una determinata malattia, deve contenere tutte le informazioni necessarie circa le limitazioni del test stesso. Ogni test genetico messo in commercio dovrebbe riportare dettagliatamente le caratteristiche e i limiti del test. Un laboratorio di ricerca (non accreditato per la di 11:25 21 MAG 2007.

 


+ Il Corriere della Sera 21-5-2007 di PIERLUIGI BATTISTA OPINIONI PARTICELLE ELEMENTARI Quegli applausi a Moore e la vera specialità di Cuba: carceri, più che ospedali

 

M ichael Moore ha tutte le ragioni nel rivendicare la libertà di dire la sua. La piena, totale, incondizionata libertà di dire tutte le sciocchezze di cui è eventualmente capace e che, malgrado la loro enormità, gli consentiranno di diventare l'eroe del coraggio conculcato e il fiero smascheratore delle bugie del potere. E dunque c'è solo da sperare che nessuno tocchi Michael Moore e che Bush receda dall'improvvida scelta di incriminare il regista reo di aver infranto la legge americana con il suo viaggio a Cuba per girare "Sicko", il docu-film presentato a Cannes con il solito contorno di applausi e ovazioni. Perché impedire a un artista eccelso di recarsi a Cuba per adulare il dittatore dell'Avana? Non è Michael Moore solo l'ultimo dei "pellegrini politici" mirabilmente descritti da Paul Hollander, quegli intellettuali devoti (poeti, scrittori, registi, giornalisti) che si recavano in processione in qualche paradiso del "socialismo reale" per tornarne commossi e incantati, e sempre più agguerriti nella denuncia delle malefatte capitalistiche? E infatti a Cannes sono caduti in deliquio per il regista che, dopo "Fahrenheit 9/11", nel suo nuovo film accusa l'America criminale di non aver tutelato la salute dei soccorritori di Ground Zero. E che immagina di portare quei disgraziati a Guantanamo per usufruire della stessa assistenza gratuita dei detenuti di Al Qaeda, anche se lo sforzo sarà vano. E che dunque trasferisce i poveri malati nella Cuba di Castro, dove un magnifico servizio sanitario, sorretto dalla dedizione di magnifici medici, coadiuvato dall'impegno di un magnifico personale infermieristico, provvidenzialmente sotto la guida di un magnifico Partito (unico), provvederà alle cure delle vittime dell'arroganza yankee. Perché a Cuba i malati vengono curati, mentre negli Stati Uniti ricchi e terribili se non hai i soldi sei abbandonato a te stesso. Perché la Cuba di Castro è molto, ma molto meglio della Cuba di Guantanamo in mano agli americani. Straordinaria alterazione del principio di realtà, poetico fantasticare attorno al nulla e alla menzogna. Perché è reale che il sistema sanitario degli Stati Uniti soffre di spaventose iniquità, ma che la Cuba del dispotismo castrista sia il luogo della cura e della civiltà, dell'altruismo e del disinteressato sacrificio di sé, questa è una pura invenzione, come testimoniano tutte, ma proprio tutte le organizzazioni umanitarie che denunciano lo stato miserevole dei diritti umani sotto il regime dell'Avana, la soppressione di ogni più elementare libertà, la caccia al dollaro che ha fatto di Cuba un bordello ancor più funzionante di quelli che sfolgoravano nel regno di Fulgencio Batista. "Sicko" di Moore appare per ciò la rappresentazione artisticamente compiuta di quella "tirannia della penitenza" di cui ha scritto Pascal Bruckner a proposito delle società occidentali, un accecante odio di sé che smarrisce ogni misura nella denuncia delle "nostre" malefatte e cancella fino ad azzerarle quelle, ben altrimenti mostruose, di chi si erge a paladino dell'anti-Occidente, o dell'anti-America (che è più o meno la stessa cosa). Moore riceverà applausi e osanna, molti tesseranno elogi per la temerarietà visionaria della sua poetica, l'azione giudiziaria promossa dal governo americano illuminerà sul capo del grande regista l'aureola della santità e del martirio. I cubani non ignari del fatto che di funzionante a Cuba si segnala non tanto il sistema sanitario, ma quello carcerario, assisteranno increduli all'apoteosi hollywoodiana di un regime oppressivo e asfissiante. Complimenti a Michael Moore, genio della comunicazione. E della mistificazione. Gli osanna di Cannes per il film "Sicko" testimoniano l'odio di sé che affligge l'Occidente.

 


ANSA 19-5-2007 GIUSTIZIA:DI PIETRO,IN CDM BLOCCATO DDL MASTELLA BANCAROTTA

2007-05-19 20:09

ROMA

 

(ANSA) - ROMA, 19 MAG - All'ultimo Consiglio dei ministri Antonio Di Pietro si è opposto a un disegno di legge del ministro della Giustizia Clemente Mastella sulla bancarotta. Lo rivela lo stesso Di Pietro nel suo blog: "Di una cosa - scrive Di Pietro - non abbiamo parlato: un disegno di legge che voleva presentare il Ministro della Giustizia e che abbiamo fermato al preconsiglio. Prendendo spunto da una legge delega del governo Berlusconi, avrebbe ridotto le pene per il reato di bancarotta. Se si applicasse questa proposta, tutti i processi come Parmalat, Cirio e simili finirebbero in prescrizione". "Potete immaginare come abbiamo reagito. Prima si devono accorciare i tempi processuali, poi eventualmente il periodo edittale della pena. Non si possono penalizzare ancora i consumatori e i piccoli risparmiatori, che già erano stati truffati. Non si può, inoltre, pensare a questa legge senza decidere cosa fare del falso in bilancio. Berlusconi ne ha ridotto la pena e molti episodi sono andati in prescrizione: noi vogliamo che sia ripristinata la vecchia tipologia di pena e di applicazione". "Ieri, dicevo, tutto ciò non è stato discusso perché siamo riusciti a respingere quel disegno di legge proposto da Mastella. Sono orgoglioso come Ministro e come esponente di Italia dei Valori per aver fatto il mio dovere, come mi ero impegnato con gli elettori. Devo ancora capire se faccio solo il Ministro di un governo o anche il cane da guardia del programma della coalizione: ogni volta che si parla di giustizia, se non si sta attenti, succede sempre qualcosa". (ANSA).

 

 


La Repubblica LINEA DI CONFINE Dal pedagogismo del ministro dovrebbe uscire una scuola rispondente ai dettami di Benedetto XVI MARIO PIRANI

 

è singolare che, mentre sulla contrapposizione tra famiglia regolare e Dico il dibattito dilaghi nelle piazze e sui mass-media, su altre questioni, altresì di profilo ideale e, magari, di natura più generale, il disinteresse regni sovrano. Eppure anche su queste si scontrano visioni opposte. Nell'ignoranza e nel silenzio dei più, anche se ? tra genitori, alunni e insegnanti ? concernono milioni di italiani. è, infatti, alla scuola che sto alludendo. Ne ho parlato la settimana scorsa ("La carica dei 500 in nome della Falcucci", Repubblica del 14 us) indicando quale iattura rappresenti il ribadito abbandono dei programmi nazionali di studio per sostituirli con "programmi personalizzati", decisi scuola per scuola. Non ci si ferma qui. Come denuncia, anche in questo caso, il benemerito Gruppo dei 500 (insegnanti e genitori) di Torino (e-mail: manifestodeicinquecento email.it), la commissione ministerial-padagogista, insediata dal ministro Fioroni, ha pubblicato altri documenti ufficiali su "Il curricolo nella scuola dell'Autonomia" la cui lettura accresce le preoccupazioni a proposito dell'abbassamento culturale e dello smembramento del sistema scolastico. Nell'ultimo documento del ministero della PI si legge, infatti: "Con il riconoscimento dell'autonomia alle istituzioni scolastiche il posto che era dei Programmi nazionali viene preso dal Pof (Piano offerta formativa) che è il documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche". Tanto per chiarirlo ai lettori che ne siano ignari, il Pof è una specie di manifesto che reclamizza le qualità, le caratteristiche, gli accattivanti progetti della singola "azienda scolastica", al fine di ottenere più iscritti e maggiori possibilità di sponsorizzazioni territoriali, visto il taglio dei bilanci pubblici. Se le parole hanno un peso, adombrare una identità culturale à la carte, con programmi diversi da scuola a scuola, adombra qualcosa di molto grave. Ricordo che nemmeno la Repubblica italiana si fonda su una "identità culturale", mentre la Costituzione precisa solo l'impegno alla promozione della cultura (articolo 9), e ne garantisce la libertà, così come la libertà di insegnamento (articolo 33), di cui è titolare ogni singolo docente. Lo Stato non è, dunque, indifferente nei confronti della cultura ma non si identifica in nessuna cultura. La differenza non è di lana caprina. Si ricorderà come attorno alla reiterata richiesta papale per introdurre nella Costituzione europea il principio di "identità cristiana" si sviluppò una fortissima resistenza in quasi tutti i Paesi, tanto che la formulazione venne respinta. Nel contempo la crociata identitaria si sviluppò in parallelo con l'obbiettivo, tanto caro ai teo-con e ai teo-dem, di debellare in ogni settore il deprecato "relativismo culturale", baluardo del pensiero laico. La scuola è terreno privilegiato di conquista ed ecco che l'"identità" rispunta dal basso, contando sul fatto che, dissolti i dettami su scala nazionale, l'alleanza cattolica destra-centro-sinistra, col supporto di parroci e vescovi, secondo lo schema del Family Day, riesca a permearne i Pof. Del resto è nelle scuole private, le cattoliche in primis ma anche in quelle ebraiche (e presto nelle musulmane), che le "identità" culturali e ideali vengono esplicitamente definite a priori, selezionando su questa base insegnanti e allievi. Scegliendole le famiglie agiscono di conseguenza. Resta (o restava?) l'ampio baluardo di una scuola pubblica, neutrale e relativista per principio costituzionale, in cui la dialettica delle eventuali diverse identità promana dalla libertà dei singoli, siano essi insegnanti o alunni, e si arricchisce o muta nel confronto reciproco. Ma lo smottamento in atto dei principi della scuola non si ferma qui e lascia intuire le linee di un disegno coerente. Ad esempio laddove si indica l'obbligo di ascoltare "le culture locali e le specifiche esigenze delle famiglie e del territorio". Cosa significa questo per le singole scuole, si chiede il Gruppo dei 500? "I consigli di istituto metteranno ai voti l'identità culturale della scuola? Vincerà chi saprà imporsi e ottenere più voti? E quale fine sarà riservata alle identità perdenti? Si rifaranno alla prossima occasione?". Lo spazio non mi consente di soffermarmi su altri punti, altrettanto gravi, del pedagogismo alla Fioroni, del resto perfettamente coerente con i suoi predecessori. Ne dovrebbe uscire una scuola rispondente ai dettami di Benedetto XVI, con un contentino territoriale optional per i leghisti padani. L'Ulivo, lo si è già capito, resterà, come in casi simili, in "attento ascolto".

 


 

Il Riformista 21-5-2007  Perché si materializzano i fantasmi del ’92

Probabilmente si tratta solo di una coincidenza. Ma di certo colpisce che ieri, domenica 20 maggio, Corriere e Repubblica abbiano voluto dare tanto rilievo all’antipolitica che sta crescendo nel paese. Intesa, nella versione di Sergio Romano, come una (fondatissima) collera montante verso i privilegi e l’intoccabilità di un ceto politico diffuso che, a Roma come in periferia, è votato pressoché solo all’autoconservazione: una collera così forte da richiamare «la marea del ’92». E letta invece, nell’analisi più rassicurante di Ilvo Diamanti, soprattutto come distacco, scetticismo e stanchezza di un’Italia sempre più indifferente alla politica e sempre più votata alla ricerca di una felicità personale e familiare che può essere perseguita nonostante l’inconcludenza, per non dire di peggio, della politica. Non si tratta solo del giudizio di autorevoli commentatori sull’onda del notevole (ed emblematico) successo editoriale del libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, La casta, di recente pubblicato da Rizzoli. A denunciare il rischio incombente che l’Italia politica attuale finisca travolta come quella della Prima Repubblica è Massimo D’Alema. Un leader politico. Anzi, il politico per antonomasia: non c’è dubbio che il piatto forte della giornata, in materia, sia la sua intervista al Corrierone. Perché D’Alema non segnala soltanto che certi sinistri scricchiolii li avverte nitidamente: sembra anche voler dire che non intende comportarsi come Bettino Craxi nel ’92, quando parlò di Mario Chiesa agli arresti come di un mariuolo e provò a nascondere (prima di tutto a se stesso) che quella che si stava aprendo era una crisi di sistema. Anzi, la crisi del sistema.
Non ha grandi risposte, D’Alema. Ma almeno ha il merito di vedere il problema. Si potrebbe discutere a lungo, e proficuamente, sulle differenze e le analogie tra la nostra crisi attuale e quella del ’92, magari anche tenendo in conto un aspetto decisivo della questione, il rapporto tra politica e affari, e tra politici e affari, più di quanto non si sia fatto nei commenti e nelle interviste di ieri. Lo faremo. Ma intanto, che cosa fa la politica di destra, di centro e di sinistra per restituirsi quel minimo di credibilità necessario per non farsi travolgere? Di sicuro non autoriduce i propri costi e i propri privilegi di casta, intollerabili sempre, e tanto più quando la politica (di governo e di opposizione, certo: ma è chiaro che i guai maggiori sono quelli di chi governa) non riforma, non decide, non prova nemmeno ad alimentare speranze, e anzi fatica, eccome, anche solo a gestire e a organizzare. E non si mette in discussione e in ascolto, non si apre, non si allarga, anzi considera ogni potenziale nuovo protagonista come un concorrente cui va sbarrato subito il passo.
E’ in crisi dappertutto la politica, sono in crisi dappertutto i partiti. Non quanto da noi. Non come da noi. Perché solo da noi, credo, ci si può entusiasmare per Sarkozy, e intanto interrogarsi sempre più seri e sempre meno faceti sulle magnifiche sorti di Michela Brambilla. Solo da noi, credo, si può lanciare l’idea di un partito tutto nuovo, il Partito democratico, e mettersi pure a costruirlo a tappe forzate, rinviando però alla vigilia delle elezioni politiche (nella speranza chissà quanto fondata che siano lontane) la scelta democratica di chi ne debba assumere la guida, quasi che la competizione tra diversi candidati leader, diverse idee e diversi programmi fosse un pericolo e non una potenzialità. E solo da noi, temo, ci si può stupire perché cresce esponenzialmente il numero degli italiani che, comunque votino, i costi di una simile politica li trovano intollerabili.


 

L’Unità 21-5-2007  "Troppi gli sprechi, cresce un'ondata di insofferenza" Berselli: qualcuno potrebbe cavalcarla. Mussi: facciamo le riforme possibili, tagliamo i costi della politica di Wanda Marra

 

/ Roma LA CRISI DELLA POLITICA denunciata da D'Alema sul "Corriere della Sera"? È sotto gli occhi di tutti, e dunque il punto ad oggi è trovare un modo per affrontarla. Sono un po' di questo tenore i commenti - alcuni anche molto duri - all'intervista del Ministro degli Esteri. A cominciare da quello del politologo Edmondo Berselli. "La riflessione su una crisi della politica come quella degli anni 90 nasce dal libro di Stella e Rizzo, che denuncia costi e privilegi della politica, e che sta avendo un grande effetto nell'ambiente politico italiano. Altro che Re nudo, è scorticato, e messo in piazza. Su quello specifico punto D'Alema ha ragione. La politica è talmente screditata, che si rischia di avere dei contraccolpi importanti", spiega Berselli. E va oltre: "C'è un'ondata di insofferenza per la politica che qualcuno userà. Se ci sarà qualche imprenditore dell'insofferenza assisteremo a un'ondata demagogica che Dio solo sa come finirà". Dunque, "sarà opportuno che anche il governo guardi in modo non manieristico ai problemi che si stanno sollevando. Altrimenti la gente si fa la convinzione che Tangentopoli si sia rifugiata dentro il meccanismo stesso della politica". Berselli non discute sul giudizio di litigiosità del governo che dà D'Alema, ma spiega: "Il punto è se questo giudizio si traduce in qualcosa. Il governo è in una condizione invidiabile per quel che riguarda l'andamento dell'economia. Si tratta allora di definire le priorità, e di argomentarle di fronte all'opinione pubblica in modo convincente. Insomma, uno sforzo per portare l'attività di governo al livello della vita dei cittadini". Non interviene direttamente sulle parole di D'Alema, ma un'indicazione chiarissima la dà Fabio Mussi: "Dovremmo provare a fare le riforme possibili, come quella elettorale. E poi ridurre i costi della politica e ridurre quella che due importanti giornalisti italiani hanno chiamato La Casta". Dà un giudizio sfaccettato l'economista Nicola Rossi: "Sono lieto che si arrivi a conclusoni cui noi eravamo arrivati da tempo, ma osservo che la politica che dice che c'è un problema e non fa nulla per risolverlo è proprio il problema". Sottolinea: "A monte c'è un problema di credibilità della politica in sé. Si tratta del modo di essere della politica, prima ancora che delle norme che ne regolano l'attività: il modo con cui si affrontano i nodi determinanti, come si fa il Pd, il fatto che abbiamo una classe dirigente figlia degli anni 70 e 80 che è incapace di rinnovarsi". Dunque, "la prima soluzione dovrebbe essere quella che la politica deve usare il linguaggio della verità con il Paese". Di una "strana intervista" parla Cesare Salvi. Perché, dice, D'Alema "sembra uno arrivato da Marte. La valutazione è giusta, ma non ha nulla da dire sulle cause. La delusione che ha suscitato il governo per lui non conta niente nell'idea che si sono fatti gli italiani sui partiti? Ma lui dov'era quando si sono fatti 102 tra Ministri e sottosegretari? E che cosa ritiene giusto fare?". Poi avverte: "Ci vuole una sterzata forte nell'azione di governo: un'azione immediata ed effettiva sugli sprechi della politica, un rinnovamento soprattutto del Mezzogiorno, poche e chiare scelte dell' azione di governo, senza questa litigiosità continua. In sintesi, l'opposto di quel che si è fatto finora". Ne fa un problema trasversale Villetti: "La crisi c'è, ed è profonda, ma è trasversale, riguarda tutte le classi dirigenti. L'antipolitica nasce sostanzialmente dall'allargamento delle diseguaglianze". Durissimo Pancho Pardi: "D'Alema è poco tempestivo, è da parecchi anni che il protagonismo civile si è accorto della crisi della politica. Da quel che dice sembra che se fosse funzionata la Bicamerale sarebbe andato tutto benissimo. Per noi è stata un disastro". Poi dà un giudizio impietoso sul governo, definendo "deludente" la legge sul conflitto d'interesse, "molto difficile" quella sulla tv, a forte rischio di non funzionamento quella che si deve fare sulla legge elettorale."La cosa principale - avverte allora - è ridare voce ai cittadini". Replica, infine, con la consueta vis polemica Mastella all'accusa da parte di D'Alema di una sua "agitazione immotivata e strumentale" sulla legge elettorale: "Le leggi elettorali si fanno a seconda delle convenienze. Non capisco perché se sono quelle referendarie o dei partiti grandi va bene, se quelle dei partiti più piccoli non va bene. Se accetti le convenienze dei partiti più grandi sei un grande statista, se no sei un retrogrado, che vuol difendere le sue piccole cose". E ancora: "D'Alema e altri hanno spiegato in passato che il maggioritario avrebbe risolto il problema. Ora cambia tutto. Io vado per la mia strada". Insomma, "si tratta di una lezione moralisteggiante. D'Alema se la poteva pure risparmiare".

 


 

Il Corriere della Sera 21-5-2007 E i politici assediano il ministro "rigido" di SERGIO RIZZO

 

ROMA - Il telefonino di Raffaele Bonanni ha squillato a Siviglia, mentre il segretario della Cisl stava per mettersi a tavola: "Sono Romano. Troveremo la soluzione. Adesso dobbiamo chiudere il contratto degli statali prima possibile". Quando è prima possibile? Mercoledì, se non addirittura martedì. "Il modo", avrebbero convenuto i due, "si troverà": poco importa se i sindacalisti sono in Spagna per il congresso della Confederazione europea dei sindacati. Ma quella telefonata arrivata dal premier, anche a Guglielmo Epifani e Luigi Angeletti, subito dopo che a Roma era appena finito il vertice su come impiegare i soldi del tesoretto e come risolvere la grana del pubblico impiego, contiene anche un'altra notizia. In questa faccenda, ormai, non c'è più nulla di "tecnico": ogni cosa è nelle mani della politica. Quasi tutti, nel governo, lo auspicavano. Il ministro dell'Economia forse lo temeva. Tommaso Padoa-Schioppa anche ieri ha ripetuto ai suoi colleghi il principio che gli è sempre stato a cuore fin da quando ha accettato l'incarico: "Guardate che se sbragano i conti pubblici sono guai per tutti". Sottolineando che il tesoretto va usato con estrema oculatezza. Perché Bruxelles ha i fari puntati. Perché è inutile disperdere una cifra così esigua in mille rivoli. Ma soprattutto per evitare di fare la manovra di fine anno. Ed è questo che Padoa-Schioppa considera il vero successo dei suoi primi dodici mesi da ministro, come molte volte ha detto: "Chi avrebbe mai pensato, un anno fa, che ciò sarebbe stato possibile?" Concetti, purtroppo, che talvolta cozzano brutalmente con le esigenze della politica. Soprattutto in campagna elettorale. Così quel Rutelli che ieri, al vertice, batteva i pugni sul tavolo, insistendo sul taglio dell'Ici "perché l'82% degli italiani vive in casa di proprietà e questo sì che sarebbe un segnale chiaro" per l'elettorato, e poco importa se il suo collega Massimo D'Alema ieri abbia ripetuto quello che già aveva dichiarato al Corriere ("non possiamo togliere soldi ai comuni e basta"), è lo stesso Rutelli convinto che il tesoretto derivante dall'extragettito sia in realtà ben maggiore di quello che Padoa-Schioppa dice. Tre, forse cinque miliardi in più. Ma è anche lo stesso Rutelli che in questi giorni ha tessuto la rete con i sindacati per individuare il punto di caduta della trattativa sugli statali. I contatti sono stati costanti e continui. Fino ad arrivare alla definizione di una soluzione digeribile: chiudere adesso il contratto degli statali mettendo sul tavolo 180, 200 milioni al massimo, per poi fare subito un altro contratto non per due anni come al solito, ma per i prossimi tre. Perché, come dice un ministro diessino esperto di questioni sindacali, "prima si fanno gli accordi e poi le trattative". Proprio così: fare prima le trattative e poi gli accordi è una stranezza. Al punto che nessuno si è sorpreso quando i sindacati hanno rimesso in discussione l'intesa del 5 aprile sugli statali. Questa è la politica. Almeno, la politica come si fa in Italia. Ha un bel dire, Padoa-Schioppa, che l'intesa firmata dal sottosegretario Nicola Sartor e dai sindacati, è quella che fa fede. Che nessuno può far finta di aver letto male quello che c'era scritto, perché sono appena sette righe, e scritte belle grosse proprio per evitare equivoci. E che in quelle sette righe si dice chiaro e tondo, che più chiaro e più tondo non si può, che i soldi stanziati saranno sì sufficienti "per erogare incrementi retributivi medi pro-capite non inferiori a 101 euro", ma "per il comparto Ministeri". Cioè, non 3,3 milioni di persone, ma appena 193.588. Tanti, secondo il Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato, sono i dipendenti dei ministeri, delle agenzie e della presidenza del consiglio. Ma i sindacati, ovviamente, sanno leggere. E mentre c'era chi chiedeva altri 400, altri 600, e persino altri 800 milioni, facendo la gara a chi la sparava più grossa, qualcuno ammetteva, sotto sotto, che i soldi c'erano, ed erano abbastanza. Un sindacalista, Carlo Podda della Cgil, lo aveva anche scritto in una lettera ai ministri nella quale sosteneva che il numero reale dei beneficiari dell'aumento era inferiore a quello ufficiale, a causa del blocco del turnover. Sentendosi rispondere che quel calo numerico sarebbe stato compensato dalla regolarizzazione dei precari. E allora perché tutto questo? C'è chi lo imputa a questioni caratteriali. Ma è sicuro che non c'entrino nulla i segnali di rigore che il ministro dell'Economia aveva indirettamente spedito ai sindacati? Prima di presentarsi al tavolo con gli statali, Padoa-Schioppa aveva deciso di tagliare le sedi provinciali del Tesoro. Di ridurre i premi al personale. Soprattutto, di distribuirli con criteri selettivi e non più a pioggia. Sicuro che non sia partito tutto da qui? Quei 180 milioni che il governo tirerà fuori salveranno la forma e il nuovo accordo eviterà uno sciopero generale che per la maggioranza sarebbe stato disastroso. Le scorie che questa vicenda lascerà, anche dentro la maggioranza, sono invece ancora tutte da valutare. A cominciare da un rapporto con la sinistra radicale che minaccia di diventare sempre più complicato. Ieri dai Comunisti italiani, il partito di Oliviero Diliberto, arrivava un commento ustionante: "Abbiamo a che fare con un gruppo dirigente che più maleducato non si può. Quando c'era il governo Berlusconi il sottosegretario Gianni Letta telefonava per avvertirci di qualunque cosa succedesse, mentre qui fanno un vertice a palazzo Chigi e nessuno ci chiama". Sergio Rizzo.

 

 


La Stampa 20-5-2007 http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifDittature dell'Est contro l'Europa http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://adv.ilsole24ore.it/5/www.lastampa.it/06/stampa2/news_giornale/1663688816/SpotLight_01/OasDefault/default/empty.gif/64343232643061333435366664633030http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifBARBARA SPINELLI

 

E’importante quel che accade lungo la frontiera Est dell’Unione, nel momento in cui a Parigi c’è un nuovo Presidente che promette di metter fine all’inedia che affligge l’Europa dal 2005, quando la costituzione fu bocciata in Francia e Olanda. È una frontiera dove stanno mettendo radice nazionalismi autoritari, che avvalendosi del diritto di veto insidiano mortalmente il farsi dell’Europa e il suo guarire. Sarkozy e il ministro degli Esteri Kouchner dicono che Parigi cambierà politica, difendendo i diritti dell’uomo nel mondo e combattendo le dittature. Ma la vera battaglia inizia in casa, se davvero la si vuol fare: il male è dentro l’Europa, ed è letale e contagioso. Le periferie dell’Est sono le nostre marche di confine, da quando la comunità s’è allargata, e questa loro condizione - l’esser baluardi orientali dell’Unione, come la Germania occidentale nella guerra fredda - le rende determinanti in politica estera e militare. Sono i governi dell’Est a decidere come e se l’Europa comincia a negoziare con il retroterra russo. Sono loro a influire sui rapporti con Washington, a meno d’un tempestivo chiarimento.

Chi vive nel cuore dell’Unione ha meno preoccupazioni politiche e strategiche di chi presidia le frontiere: questo è il dato da cui conviene partire quando si esamina quel che succede a Varsavia, Bratislava, Budapest, Bucarest, nei Baltici. I governi dell’Est hanno utilizzato questa carta (l’acuta coscienza delle marche di confine) ma col tempo il ragionamento strategico è divenuto un pretesto per insediare nazionalismi intolleranti che con le regole e la storia dell’Unione sono incompatibili. Il bisogno d’America che essi esprimono - su Iraq, sullo scudo anti-missili Usa, su ulteriori allargamenti a Est auspicati da Washington - è un mezzo per impantanare l’Europa con tre armi: il nazionalismo, l’appello al cristianesimo, la politica dei valori.

Il caso Polonia è il più significativo, ma il suo esempio fa scuola attorno a sé. Da quando i gemelli Kaczynski sono al potere, dopo le legislative e presidenziali del settembre-ottobre 2005, Varsavia è precipitata in un nazionalismo prevaricatore e religioso. Quel che conta per i due fratelli (Lech presidente, Jaroslaw premier) è opporre la democrazia al liberalismo, non solo economico ma istituzionale e dei diritti cittadini. Solo due idoli contano per loro - la legittimità popolare, i Valori - e su essi nulla deve prevalere: né le norme né la Costituzione, né le istituzioni né la divisione dei poteri. Una dopo l’altra, le istituzioni indipendenti sono state politicamente asservite (Banca Centrale, Corte costituzionale,Vigilanza sull’audiovisivo). Uno svuotamento democratico accentuato dal regolamento dei conti con la generazione dissidente, che nell’89 liberalizzò economia e politica negoziando con i comunisti (un metodo rischioso, che garantì alle nomenclature impunità e oblio del passato). Il regolamento dei conti secerne oggi la più vendicativa delle epurazioni.

La legge entrata in vigore a marzo si propone di epurare ben 700 mila persone. Secondo i calcoli fatti da Aleksandr Smolar, presidente della Fondazione Batory a Varsavia (filiale della fondazione Soros), sono 3 milioni i cittadini messi in pericolo dalla lustrazione, se si includono le famiglie dei 700 mila. Ha fatto impressione la ribellione di Geremek, leader di Solidarnosc negli Anni 80 e ministro degli Esteri fra il ’97 e il 2000: il deputato europeo si è rifiutato di firmare un’umiliante dichiarazione in cui negava d’aver collaborato con i servizi comunisti. Ma tanti si son rifiutati, perché l’epurazione non minacciava di licenziamento solo politici o giudici (come la legge del ’97) ma studenti, professori, giornalisti. La Corte costituzionale ha invalidato la legge, l’11 maggio, affermando che i governi «non regnano sulla Costituzione» e i diritti individuali. Di fatto sono forme neo-fasciste che s’installano a Est. Un neofascismo che usa la politica dei valori per imporre società chiuse, ostili alle diversità: per colpire chi difende gli omosessuali, chi avversa la pena di morte, chi si schiera per un’Europa che i Kaczynski considerano atea, permissiva, materialista, decadente moralmente. È in nome delle radici cristiane che i gemelli si ergono contro un’Unione sovrannazionale, e legittimano l’arbitrio nazionalista: chi in Europa occidentale inalbera bellicosamente i Valori, ha interesse a vedere quel che succede qui. I grandi nemici dei Kaczynski sono la Russia ma anche la Germania accusata di furia egemonica: le due nazioni sono messe sullo stesso piano, la battaglia per i diritti umani violati da Putin è contaminata. Ambedue le potenze si spartirebbero l’Europa centrale e minaccerebbero, come in passato, la sopravvivenza polacca. Paralizzata com’è, l’Europa di oggi non ha tuttavia strumenti d’intervento: né istituzionali né culturali. Non ha neppure volontà di capire. È tormentata dal falso dibattito sulle radici cristiane, non osa difendere una laicità vitale per la democrazia polacca. Fu vigilante nel 2000, quando Haider in Austria s’avvicinò al potere, ma quei tempi son tramontati e oggi, in una situazione ben più deteriore (un’estrema destra ai vertici del potere), impensabili. La vigilanza d’allora fu ingiustamente criticata, ritenuta inefficace. In realtà l’Unione influì grandemente su Vienna. Il cancelliere democristiano Schüssel fu abile, nell’assorbire Haider invece di demonizzarlo. Ma mai sarebbe riuscito nell’impresa, senza il vigile occhio esterno dell’Unione. Oggi l’occhio è cieco.

A bloccare l’Europa è la stasi istituzionale, ingovernabile da quando l’Unione è composta di 27 Stati: sulle decisioni cruciali occorre l’unanimità, e al veto gli orientali s’aggrappano rabbiosamente, perché il diritto di nuocere e interdire dà loro lo smalto di mini-potenze. Smalto fittizio, ma pur sempre smalto. Senza che l’Unione possa impedirlo, ci sono deputati polacchi nel Parlamento europeo che impunemente elogiano Franco (uno «statista cattolico eccezionale») o Salazar. Il deputato europeo Maciej Gyertich ha pubblicato un pamphlet antisemita, edito dal Parlamento europeo (Guerra delle civiltà in Europa: gli ebrei, «biologicamente differenti», avrebbero scelto volontariamente i ghetti). Maciej è padre di Roman Gyertich, il ministro dell’Educazione che vorrebbe escludere Darwin dall’insegnamento, che avversa gli omosessuali e appartiene alla Lega della Famiglie Polacche, una formazione che governa con i Kaczynski e l’estrema destra di Lepper (partito dell’Autodifesa).

La Carta dei Diritti potrebbe essere uno strumento europeo: ma non è vincolante senza approvazione della Costituzione. È sperabile che Kouchner si batta per non estrometterla dal mini-trattato che sarà presentato in Parlamento. L’Unione è inerme: ha contato molto durante la presidenza Prodi, quando Bruxelles impose una democrazia fondata sulla separazione dei poteri in cambio dell’adesione. Ma appena ottenuto l’ingresso, i dirigenti che l’avevano voluto sono caduti: a Varsavia, Praga, Budapest, Bucarest. Lo slogan s’è fatto nichilista: adesso che siamo entrati, tutto è permesso. Jacques Rupnik, storico della Cecoslovacchia, parla di sindrome da decompressione. «Ora possiamo far loro vedere chi siamo veramente», avrebbero detto i Kaczynski. Quasi nessuno di questi Paesi entrerebbe oggi nell’Unione: né la Polonia né l’Estonia, che critica non senza motivi Putin ma che smantella provocatoriamente monumenti ai morti dell’ultima guerra e vieta alle consistenti minoranze russe (40 per cento della popolazione) una cittadinanza che dovrebbe esser normale (lo stesso accade in Lettonia).

L’Europa ha oggi bisogno di istituzioni forti, ma per edificarle dovrà capire l’emergenza veto creatasi a Est. Ha bisogno di laicità, per arrestare le proprie derive autoritarie-religiose. Ha bisogno di trattare seriamente con Mosca, e di avere una politica energetica comune anziché molte politiche e sterili veti alla trattativa. Uno straordinario articolo di Piero Sinatti, sul Sole-24 Ore, spiega bene come la Polonia rischi, bloccando il negoziato euro-russo, d’impedire che una risoluta politica comune nasca. L’emergenza veto dovrebbe ricordare qualcosa ai polacchi. Quando introdusse il liberum veto, nel XVII secolo, la Polonia preparò la propria rovina: ogni deputato della Dieta poteva interrompere sessioni e decisioni con le parole «Non permetto». Nel secolo successivo sarebbe scomparsa dal continente. È grave che oggi Varsavia usi la stessa carta per far scomparire l’Europa, nell’illusione di salvarsi come finta nazione sovrana.

 


 

La Repubblica 21-5-2007 La richiesta del presidente della commissione Vigilanza. Il conduttore di "Annozero" vuol trasmettere l'inchiesta che fa infuriare il Vaticano "La Rai blocchi il video sui preti pedofili" Landolfi attacca Santoro. Il filmato Bbc sul tavolo del direttore generale SILVIA FUMAROLA

 

ROMA - La Rai è divisa, ma Mario Landolfi, presidente della commissione di Vigilanza, non ha dubbi: bloccare l'inchiesta della Bbc sui preti pedofili. "Apprendo che, su richiesta di Michele Santoro" scrive Landolfi "la direzione generale della Rai si accingerebbe a esaminare la proposta di acquisto di "Sex crimes and the Vatican", una vecchia inchiesta sul coinvolgimento di sacerdoti in vicende di pedofilia in cui viene chiamato in causa anche l'allora cardinale Ratzinger, presentato come colui che avrebbe coperto i responsabili di tali nefandezze. Un'evidente ragione di opportunità dovrebbe consigliare a Cappon di non aderire alla richiesta del conduttore di "Annozero". Lasci pure a Santoro la palma del martirio, ma eviti di trasformare il servizio pubblico in un plotone mediatico di esecuzione pronto a fare fuoco sulla Chiesa e sul Papa". Un invito alla censura che scatena dure reazioni, mentre il caso Bbc finirà oggi sulla scrivania del direttore generale della Rai Claudio Cappon. La polemica sull'inchiesta (in rete su Google) che denuncia gli abusi sessuali subiti dai minori da parte dei sacerdoti in Irlanda, Stati Uniti e Brasile, crea imbarazzo. Sono giorni delicati a Viale Mazzini, col Cda in bilico, uno scontro col Vaticano fa paura. L'Avvenire ha bollato il documentario, già trasmesso sulla Bbc nel 2006, come "infame calunnia via Internet". Santoro, il filmato andrà in onda giovedì? "Non ho avuto alcuna notizia ufficiale in senso contrario, per cui, essendo a posto dal punto di vista dell'iter burocratico aziendale, mi aspetto che tutto si risolva" dice il giornalista. "Se dovesse emergere qualcosa in contrario, vedremo. Gli ok di prammatica per questo tipo di acquisto ci sono tutti e, dal mio punto di vista, non c'è nulla che possa impedirlo". Ma la richiesta è ancora senza firma: dalla scrivania del direttore di RaiDue Antonio Marano è finita sul tavolo di Lorenza Lei, responsabile delle Risorse televisive. Santoro è direttore (ad personam), responsabile editoriale di "Annozero", potrebbe quindi procedere all'acquisto (sui 20mila euro) autonomamente. Antonio Di Bella, direttore del Tg3, sovrintende sulla trasmissione di RaiDue solo per la par condicio: il suo nulla osta è legato agli equilibri politici, non ai contenuti della puntata. La valutazione editoriale spetta solo al direttore generale: Cappon deve ancora pronunciarsi e già viene tirato per la giacchetta. Giovanni Russo Spena e Gennaro Migliore, componenti (Prc) della Commissione di Vigilanza, denunciano Landolfi. "Riteniamo inaccettabile l'esortazione a Cappon, è un invito alla censura preventiva. Se dovessimo accettare imposizioni dalle gerarchie ecclesiastiche sarebbe gravissimo". Concorda Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21: "Non spetta né a Landolfi e neanche ai singoli partiti chiedere qualsiasi forma di censura preventiva. Non esistono argomenti che non si possono trattare". Giorgio Lainati, capogruppo di Forza Italia nella Commissione, attacca: "La sinistra comunista ha da tempo scatenato nei programmi dei suoi fiancheggiatori in Rai un'offensiva anticlericale. Evidentemente l'enorme successo del Family day ha scatenato la sete di vendetta". "Non vorrei che attorno a una trasmissione di Santoro ripartisse un tormentone" osserva Giorgio Merlo, vice presidente della Vigilanza Rai. "Nel servizio pubblico non è prevista la censura preventiva ma neanche la continua delegittimazione".

 

 


 

Il Manifesto 21-5-2007 Michael Moore Il regista è a Cannes con "Sicko", film-accusa del sistema sanitario Usa Il paziente americano Le compagnie di assicurazione non possono avere la responsabilità di decidere della salute dei cittadini.

 

Per legge devono ottimizzare i profitti e l'unico modo per riuscirci è negare i servizi Mariuccia Ciotta Cannes La verità non si può documentare, neppure "sul campo" dondolando l'ingombrante corpo di Michael Moore. È un concetto sfuggente, fuori fuoco. Eppure Fahrenheit 9/11 diceva che la guerra in Iraq era fondata sulle bugie. Flint che la General Motors era al collasso. Bowling for Columbine che il mercato delle armi era all'origine delle stragi nei college... ma neppure dopo la sconfitta, la bancarotta e il Virginia Tech è caduto il sospetto. Cinema di propaganda. Così il comico, iperbolico, situazionista Michael Moore si è tirato indietro, ha abbandonato l'"io" ed è passato al "noi" nel suo ultimo capolavoro sull'America perduta, Sicko. Visita al sistema sanitario statunitense attraverso le testimonianze dei malati respinti dalle assicurazioni private, e niente più, o quasi, oltraggi in prima persona di Michael, il performer "manipolatore". L'effetto è stato dirompente. È la prima volta infatti che la Casa Bianca reagisce e minaccia il sequestro del film e la galera per il regista. Dieci giorni fa, infatti, poco prima della prima mondiale di Cannes, Michael Moore ha ricevuto una lettera dall'amministrazione Bush che lo accusa di aver agito nell'illegalità. Il materiale fuorilegge, però, non sta nelle sobrie interviste alle vittime delle feroci compagnie di assicurazioni che, in nome del profitto, respingono le richieste di assistenza medica, ma nello spettacolare viaggio del nostro eroe verso le coste cubane. Il massimo dell'artificio, una messa in scena degna di Jerry Lewis a bordo di tre piccoli yacht. Michael Moore è accusato di aver violato l'embargo, di essere sceso all'Havana per girare il suo film, che rischia di essere mutilato delle scene incriminate. La verità, appunto, non si può documentare, ma si sente, è come il suono di un violino, e si vede come le sfumature di un quadro. L'opera d'arte è Michael Moore, "io" e "noi" contemporaneamente, che solca l'Atlantico col suo berretto di traverso alla volta del più assurdo presidio sanitario, Guantanamo. L'idea nasce dalla confessioni di alcuni pompieri dell'11 settembre, che, dopo gli onori e la gloria, sono stati abbandonati ai loro enfisemi polmonari, cancro e malattie respiratorie varie. Molti erano volontari e le assicurazioni si sono rifiutate di coprire le spese per le cure. Così Michael Moore decide per la pittoresca avventura dopo aver appreso da un filmato del Pentagono che i prigionieri di Al Qaeda non solo non vengono torturati ma godono di assistenza sanitaria gratuita. Perché non gli eroi dell'11 settembre? Intimati di allontanarsi dalla barriera militare del carcere, le tre navicelle di Sicko fanno rotta verso Cuba, dove uno spray anti asma, che in Usa costa 120 dollari, nelle farmacie castriste è venduto a 5 cents. Dove l'ospedale è gratuito, e i medici non chiedono le carte di credito agli yankees. Dove i vigili del fuoco si mettono sull'attenti di fronte ai malridotti ex pompieri delle Twin Towers, che piangono tra le braccia dei colleghi comunisti. Tanto basta. "Che cosa siamo diventati?" si chiede Michael Moore, che fine hanno fatto gli americani, il popolo dal buon cuore? Perché accettiamo che i più deboli siano lasciati morire per arricchire gli azionisti? Hillary Clinton è stata battuta con il suo piano di assistenza sanitaria nazionale agitando lo spauracchio dell'assistenzialismo sovietico, mancanza di libertà nella scelta del medico, burocrazia, lunghe file d'attesa, arretratezza tecnologica... Le lobby farmaceutiche pagano i congressisti e incassano la legge che condanna una bambina a morire perché l'ospedale la respinge, non ha la copertura richiesta, un operaio a farsi rincollare un solo dito dei due tranciati da una sega elettrica. L'indice costa 12.000 dollari, il medio 60.000, quale sceglie? ... I medici americani, lo rivela davanti a un tribunale un'ex consulente pentita di una assicurazione privata, vengono premiati (carriera e stipendi) se fanno morire i pazienti e risparmiare la società. Basta trovare un "errore" nella scheda per il rimborso, per esempio, una malattia non dichiarata, anzi un "sintomo". Parla un "cacciatore di teste", anche lui pentito, che ha sulla coscienza una marea di "terminati". E a suon della marcia di Guerre stellari, sullo schermo sfilano le formazioni delle malattie che escludono l'iscrizione all'assistenza. A pagamento. Gli americani hanno paura di dimostrare contro il governo, sostiene Michael Moore, perciò non scendono in piazza come fanno i francesi, gli inglesi, gli italiani. Il maccartismo ha indotto al silenzio patriottico, all'accettazione del sistema così com'è, quello dell'1% che detiene la ricchezza del paese. Disillusi e depressi, gli americani vedranno cosa succede ai loro connazionali di stanza a Parigi nella tavolata allegra con Michael che li interroga sui loro diritti di malati. Gratis, gratis, gratis. Neppure il presidente anti-welfare Sarkozy si sogna di togliere la sanità pubblica, non osò neppure la signora Thatcher. "Scoppierebbe la rivoluzione" gli dice ridendo un deputato inglese, perché la democrazia consiste nel principio che i più forti aiutano i più deboli. Ecco qual è il tema di Sicko. Tutta l'America è malata, le serve un big sistema sanitario, un immaginario libero, una rivolta contro l'associazione a delinquere seduta alla Casa Bianca (Nancy Pelosi e i democratici hanno già chiesto il diritto alla salute per tutti). Serve all'America Michael Moore, che in conferenza stampa ha già chiesto asilo politico all'Europa, scherzando ma non troppo. La prima dimostrazione di libertà d'espressione l'ha data proprio lui inviando un assegno di 12.000 dollari in forma anonima al suo accanito avversario politico che ogni giorno gli dice Fuck you dal suo sito, che avrebbe dovuto chiudere per curare la moglie malata. Il regista un-american - Palma d'oro per Fahrenheit 9/11 - il suo sito d'amore per l'America lo chiude invece con un sorriso: digitate www... per sapere come sposare un canadese e vivere felici se vi viene l'influenza.


 

Il Sole 24 Ore 20-5-2007 Risparmi per 1,2 miliardi, discesa in Mediobanca al 9,39% entro il 2007

 

Unicredit Group si piazza al sesto posto nel mondo (al primo posto c'è l'americana Citigroup) per valore di Borsa con 100 miliardi di euro subito davanti alla svizzera Ubs (93) e alle spalle della britannica Hsbc (136). Ma è prima banca dell'area Euro, con ben 40 milioni di clienti. La sede legale sarà tasferita a Roma, Genova la perde dopo ben 137 anni. Il concambio deciso dai Cda di Unicredit e Capitalia è stato fissato, come ampiamente anticipato da indiscrezioni nei giorni scorsi, a 1,12 azioni Unicredit per ogni titolo di Capitalia, un rapporto che valorizza le azioni Capitalia che dovrebbero così salire da 7,97 a 8,41 euro. Il gruppo avrà un flottante molto elevato, il 74% circa.

Sinergie per 1,2 miliardi. L'aggregazione fra Unicredit e Capitalia consentirà, come si legge nella nota ufficiale, creerà un gruppo da 9200 sportelli (5 mila in Italia) e 170 mila dipendenti. Il mix geografico e di business è ben bilanciato, con il 53% dei ricavi generati all'estero. Unicredit Group resterà radicato in Italia, ma è già leader nell'Est Europa, in Austria ed è la terza banca in Turchia, il che significa più di qualcosa anche per il sostegno alle Pmi impegnate in un turbinoso processo di internazionalizzazione. Potranno essere realizzare sinergie lorde stimate in circa 1,2 miliardi (sinergie nette di circa 800 milioni) dal 2010, circa il 68% delle quali deriverà da risparmi di costi e il 32% da ricavi «ottenibili anche grazie al trasferimento di best practice». Tra le altre previsioni, un acrescita media annua composta degli utili per azione proforma pari a circa il 17% nel periodo 2007-2009, un dividendo per azione in progressiva crescita nei prossimi anni, Core Tier I ratio confermato al 6,8% entro il 2008.

Al 9,39% in Mediobanca entro il 2007.Unicredit Group ridurrà la propria partecipazione in Mediobanca al 9,39% entro la fine del 2007. È quanto si legge nel comunicato congiunto delle due banche per l'approvazione dell'operazione. Attualmente la quota complessiva che Unicredit e Capitalia detengono in Mediobanca supera il 18%. In relazione alla partecipazione ordinaria in Mediobanca, si legge sul comunicato, l'obiettivo è di scendere, entro la fine del 2007, al 9,39%, dando mandato a Mediobanca di collocare l'eccedenza risultante a seguito dell'operazione nell'ambito del patto di sindacato di Mediobanca «anche in favore di nuovi investitori che non conducano attività che possano determinare conflitti di interesse con Mediobanca».

Quota Generali ceduta nel 2008. La quota detenuta da Unicredit in Generali sarà ceduta alla scadenza del prestito convertibile nel 2008. È quanto è scritto nella nota congiunta di Unicredit e Capitalia dopo il via libera al progetto di integrazione fra le due banche. L'operazione, si legge, potrà generare «un ulteriore potenzialmente miglioramento del capitale tramite la cessione della partecipazione di Unicredit in Generali alla scadenza dell'exchangeable nel 2008».

Cariverona primo azionista. Fondazione Cariverona resterà il primo azionista della nuova Unicredit, anche dopo l'acquisizione di Capitalia. Il peso dell'ente guidato da Paolo Biasi, primo socio di piazza Cordusio con il 4,99%, dovrebbe ridursi al 3,9%. Seguono il gruppo tedesco di riassicurazione Munich Re e la Fondazione Crt presieduta da Andrea Comba con il 3,7%, la modenese Carimonte Holding con il 3,4%, il colosso assicurativo tedesco Allianz con il 2,4%, l'olandese Abn Amro con l'1,9%, il gruppo assicurativo inglese Aviva (il quinto al mondo) con l'1,5%, la Fondazione Cassa di Risparmio di Roma con l'1,1%, la Fondazione Manodori di Reggio Emilia con lo 0,9%, il gruppo assicurativo Fonsai con lo 0,8%, la Regione Sicilia con lo 0,6%, la libica Lafico e la Fondazione Banco di Sicilia con lo 0,6%.

Partecipazioni, leadership in Piazza Affari.
Non solo il 6,35% delle Generali, ma anche il 22,12% della Banca d'Italia (con Intesa Sanpaolo al 42%), il 19,84% di Borsa Italiana (superata Intesa Sanpaolo, ferma al 18,74%) e una rentrée in Rcs Mediagroup. Il gruppo Unicredit, dopo la fusione con Capitalia, si troverà in dotazione un ricco portafoglio di partecipazioni, alcune delle quali situate in snodi strategici della finanza italiana.


 

Il Corriere della Sera 21-5-2007 Concorrenza alla prova di Dario Di Vico        

STRUMENTI

Con il varo di Unicredit- Capitalia si avvia al termine la lunga e accidentata stagione del risiko italiano. Vedremo nelle prossime settimane se l'offerta ufficializzata ieri da Alessandro Profumo reggerà davanti a possibili contromosse— come è accaduto di recente nel caso Abn— di concorrenti stranieri o italiani. Solo allora avremo la prova provata che il prezzo proposto agli azionisti di Capitalia è il migliore possibile e che si tratta quindi di un’operazione di mercato. In ogni caso, appena un anno fa la prima banca italiana occupava sì e no la decima posizione delle graduatorie continentali, oggi ne troviamo ben due tra le prime e una di esse può vantare un terzo degli attivi fuori dei confini nazionali. Il processo di consolidamento è durato almeno 15 anni e ci ha tenuto tutti con il fiato sospeso. Si sono avuti nel frattempo avvicendamenti a palazzo Koch, si sono alternati al potere governi tecnici e coalizioni di opposto segno politico, c'è stato l'avvento della moneta comune ed è avanzata l'unificazione dei mercati finanziari europei e, soprattutto, è stato implementato un quadro normativo e regolatorio di standard internazionale. In molti temevano la colonizzazione del sistema bancario italiano e la proiettavano a metafora di una più ampia retrocessione del Paese, ora non solo ci troviamo al top con Intesa Sanpaolo e Unicredit-Capitalia ma entrambi i poli aspirano a crescere ulteriormente in Europa. È un'ottima notizia per il sistema Italia, di valore pari se non superiore allo spettacolare turnaround della Fiat. Nell'uno e nell'altro caso si era dato per scontato il peggio e invece il sistema ha dimostrato grande vitalità, gli attori hanno dato prova di sicura razionalità e il processo di rafforzamento dei maggiori marchi nazionali è avvenuto grazie all'affermarsi di una moderna cultura industriale orientata all'efficienza e alla competizione. In itinere è emersa una nuova classe dirigente di caratura internazionale che ha già contribuito al rinnovamento delle élite italiane e promette ancor di più.

Se non ci fossero stati gli equivoci e le contraddizioni dell'era Fazio tutto si sarebbe potuto svolgere prima e meglio (le Opa bloccate del '99), si sarebbe evitata la costruzione di improbabili cordate nazionali, la magistratura non sarebbe stata costretta a invadere il campo e la politica avrebbe collezionato qualche figuraccia in meno. L'autarchia non si è dimostrata una ricetta vincente, anzi il valore del consolidamento delle banche italiane è ancor più apprezzabile perché avvenuto in parallelo con l'ingresso di nuovi soggetti stranieri. L'apertura dei mercati non equivale dunque al suicidio, bisognerebbe tenerlo a mente così come non andrebbe dimenticato che il settore bancario rappresenta un caso di successo del processo di privatizzazione iniziato negli anni 90.

Ricordare questi elementi, guardare la luna e non il solito dito, non è un invito al relax. Il risiko proseguirà a livello continentale e le due superbanche dovranno anche guardarsi le spalle. Se c'è stato un netto miglioramento della qualità dei servizi forniti alle imprese, il credito non è ancora riuscito ad esprimere il meglio nel rapporto con le famiglie.

In materia di tutela della concorrenza e rispetto dei consumatori c'è ancora molto da fare e al proposito sarà interessante ascoltare quanto dirà il governatore Draghi il prossimo 31 maggio. La nuova Banca d'Italia ha il grande merito di aver rimosso gli ostacoli alla concentrazione delle proprietà, ora vedremo se insisterà nel richiedere comportamenti pro concorrenza più coerenti e la separazione tra banche e fondi di investimento. Le nozze tra Unicredit e Capitalia non avviano a chiusura solo la stagione delle grandi aggregazioni nazionali, chiamano anche in causa il futuro di Mediobanca e Generali, il nocciolo duro del capitalismo italiano. L'istituto di piazzetta Cuccia negli ultimi tempi ha accentuato la discontinuità con il passato, si èmosso sul mercato senza contare sulle vecchie rendite di posizione e i risultati ne hanno premiato il coraggio. È auspicabile che questa traversata in mare aperto prosegua, fino a fare di Mediobanca una grande investment bank continentale stemperando via via l'originario carattere di cassaforte di partecipazioni incrociate. Quanto alle Generali, a Trieste si coltiva la giusta ambizione di crescere significativamente di taglia e diventare un big player del settore. Non resta che aspettare alla prova il suo gruppo dirigente. Da un assetto poliarchico e competitivo dell'alta finanza l'economia di un Paese aperto ha solo da guadagnare.

21 maggio 2007

 


INDICE 20-5-2007

 

L’Unità Tutti parenti, alla Rai? Ma anche Mediaset tiene famiglia Una valanga di parenti al Biscione. E in viale Mazzini l'ex Premier ha imposto molti dei suoi: dirigenti, conduttori, giornalisti di Marco Travaglio  1

Il Giorno 20-5-2007 Di CLAUDIA MARIN ? ROMA ? "DELEGIFICAZIONE e liberalizzazioni" alla base dell'alleggerimento della pesante macchina della burocrazia e della politica. Questi i due ingredienti fondamentali, spiega Raffaele Costa, nella "missione sempre più difficile" di tagliare i costi della politica italiana. 2

Il Corriere della Sera 20-5-2007 Applausi bipartisan alle sette ministre. Ma intanto noi restiamo in coda tra i Paesi Ue Le donne di Sarkozy e l'ipocrisia degli italiani di GIAN ANTONIO STELLA  3

La Repubblica 20-5-2007 LE BANCHE E LA NUOVA RAZZA PADRONA EUGENIO SCALFARI 4

Il Corriere Veneto 20-5-2007 Il Veneto e la lingua " Qui c'è la culla dell'italiano " Sabatini, presidente dell'accademia della Crusca: il dialetto non è un rivale  6

La Repubblica 20-5-2007Il caso. Santoro ha acquisito i diritti per "Annozero" ma c'è imbarazzo tra i vertici dell'azienda Inchiesta sui preti pedofili in forse sulla Rai il video Bbc E "l'Avvenire" attacca: "Infami calunnie" Sandro Curzi: "La par condicio non c'entra Quel reportage va mandato in onda" SILVIA FUMAROLA ROMA  7

 

 


 

L’Unità Tutti parenti, alla Rai? Ma anche Mediaset tiene famiglia Una valanga di parenti al Biscione. E in viale Mazzini l'ex Premier ha imposto molti dei suoi: dirigenti, conduttori, giornalisti di Marco Travaglio

 

NEL REPARTO FRATELLI & SORELLE, Angela Buttiglione, Nicola Cariglia, Sandro Marini, Antonio Sottile (nel senso di Salvo, quello del caso Gregoraci), Maria Zanda. Nel settore mogli & mariti: Roberta Carlotto (consorte di Alfredo Reichlin), Simona Ercolani (di Fabrizio Rondolino), Ginevra Giannetti (di Altero Matteoli), Giuseppe Grandinetti (marito della senatrice verde Loredana De Petris), Anna Scalfati (moglie di Giuseppe Sangiorgi, membro demitiano dell'Agcom). Segue il resto del parentado: Ferdinando Andreatta (nipote di Nino), Adriana Giannuzzi (cognata dell'ex senatore Ernesto Stajano), Alfonso Marrazzo (cugino di Piero), Marco Ravaglioli (genero di Andreotti), Tommaso Ricci (cognato di Buttiglione), Luigi Rocchi (genero di Biagio Agnes). Poi ci sono i fuoriclasse della Grande Famiglia Rai: il turbo-berlusconiano Agostino Saccà, direttore della Fiction, s'è portato la nuora spagnola, Sandra Steinert Jorge Santos, e il figlio Enrico Silvestrin, attore nelle fiction; il capo del Personale Gianfranco Comanducci, intimo di Previti, ha la moglie Anna Maria Callini dirigente alla segreteria di Raidue e la cognata Ida Callini responsabile Risorse umane Corporate. Quanto ai raccomandati, il Cavaliere portò in viale Mazzini la sua bionda segretaria Deborah Bergamini, ora direttore Marketing; l'ex dirigente Fininvest e poi di Forza Italia Alessio Gorla, capo dei palinsesti da poco in pensione (la cui moglie si occupava dei casting); l'ex addetto stampa forzista Riccardo Berti, promosso conduttore di "Batti e ribatti" al posto di Biagi; e poi Marcello Ciarnò, che prima si occupava degli spostamenti di Berlusconi e ora vicedirige il Centro di produzione Rai. Senza dimenticare Mario Bianchi, passato direttamente da Publitalia ad amministratore della Sipra, cioè della diretta concorrente. E l'ex deputato forzista Fabrizio Del Noce, direttore di Rai1, che poi ha fatto assumere come funzionario Gianluca Ciardelli, figlio della segretaria di Licio Gelli. E l'ex vicedirettore del Tg5 Clemente J. Mimun, passato a dirigere il Tg1: ora, compiuta la missione, torna al Tg5 da direttore. Naturalmente l'essere parenti non esclude l'esser bravi. Anzi, ce ne sono parecchi, di bravi. Ma l'aspetto curioso dell'intemerata berlusconica è che a casa sua, se possibile, è anche peggio. Nel '95,quando il Cavaliere fece una sparata simile su "Parentopoli", il settimanale "Cuore" si divertì a elencare i parenti nelle sue aziende: il fratello-prestanome Paolo al Giornale (con figlia Alessia al seguito) e all'Edilnord; i figli Marina e Piersilvio detto Dudi a Mondadori e a Mediaset; Guido Dall'Oglio, fratello della prima moglie, "coordinatore dei jingle" della Fininvest; lo zio Luigi Foscale e signora al teatro Manzoni; il cugino Giancarlo Foscale alla Standa e sua moglie Candia Camaggi alla finanza estera in Svizzera; Yives Confalonieri, figlio di Fedele, dirigente a Publitalia insieme al cugino Guido; Lella, nipote di Confalonieri, giornalista al Tg5, col marito Carlo M. Lomartire a Studio Aperto; poi la famiglia Dell'Utri, con Marcello e il gemello Alberto a Publitalia (e dunque a Forza Italia), e un nipote al Giornale. Poi i figli degli amici: quello di Malgara, re dei pubblicitari e dell'Auditel, a Publitalia; quello del giudice corrotto Diego Curtò, inviato del Tg4; quella di Roberto Gervaso, che reclutò il Cavaliere nella P2, al Tg5; e la sorella dell'avvocato Dotti al Tg4. Ora, 12 anni dopo, la lista va aggiornata. Alla Camera siede Mariella Bocciardo, prima moglie di Paolo Berlusconi. Al Giornale ha una rubrica fissa l'ex fidanzata dello stesso Paolo, Katia Noventa, mentre Silvia Toffanin, compagna di Dudi, conduce "Verissimo" su Canale5 e ha una rubrica su Libero. Ma il meglio è il Tg5: più che un telegiornale, un Family Day, pieno com'è - direbbe il padrone - "di fratelli, sorelle, cugini, parenti e affini dei protagonisti della vecchia e nuova politica". Lucrezia Agnes, figlia del dc Biagio. Chiara Geronzi, figlia del banchiere Cesare e cofondatrice della Gea con i figli di Moggi, Tanzi, Cragnotti, Lippi, Calleri e De Mita. Giancarlo Mazzucchelli, figlio della moglie di Petruccioli. Fabio Tricoli, nipote dell'avvocato di Dell'Utri. Valentina Loiero, figlia del governatore Agazio. La vaticanista Marina Ricci, sorella di Rocco e Angela Buttiglione. Giulio De Gennaro, figlio del capo della Polizia Gianni. Sebastiano Sterpa, figlio del forzista Egidio. Elena Caputo, figlia del giornalista e poi sottosegretario forzista Livio. Silvia Reviglio, figlia dell'ex ministro socialista Franco. Giuliano Torlontano, figlio del ds Glauco. Ultimo arrivo: Barbara Palombelli in Rutelli. A Studio Aperto lavora Alessandro Del Turco, figlio del più noto Ottaviano, e da pochi giorni Alfredo Vaccarella, figlio del giudice costituzionale uscente Romano. Il figlio dell'ex presidente della Consulta Vincenzo Caianiello invece si chiama Guido e lavora per Rete4. Poi ci sono Martelli e Pivetti. Non sono parenti dell'ex ministro pregiudicato e dell'ex presidente della Camera. Sono proprio loro.


 

Il Giorno 20-5-2007 Di CLAUDIA MARIN ? ROMA ? "DELEGIFICAZIONE e liberalizzazioni" alla base dell'alleggerimento della pesante macchina della burocrazia e della politica. Questi i due ingredienti fondamentali, spiega Raffaele Costa, nella "missione sempre più difficile" di tagliare i costi della politica italiana.

 

Obiettivo a lui caro da oltre un ventennio. Perché il presidente della Provincia di Cuneo ? già ministro, sottosegretario e membro di commissioni parlamentari in diverse legislature ? è soprattutto uno storico fustigatore di lussi e sperperi della classe dirigente del Bel Paese. "L'Italia degli sprechi" e "L'Italia dei privilegi" i due saggi in cui, anni fa, Costa denunciava vizi e cifre preoccupanti. Pagine che fecero scalpore, ma sortirono un effetto minimo. "Si evitò, ma solo per un periodo, che alcuni eccessi progredissero ulteriormente", ricorda l'autore. Per il resto, non cambiò niente. Anzi. "Allora venivo dileggiato per le mie proposte di legge che derivavano dalla riflessione che tutta la macchina pubblica costasse troppo". Oggi, invece, assistiamo a un revival delle accuse sugli eccessi di spesa. Con Prodi in prima linea, che annuncia un disegno di legge in questo senso. "Prendo atto dell'impegno di parte del mondo politico e mi auguro sia sostanziale e non demagogico. Un tempo, tra i miei pochissimi alleati c'era Stella, che adesso è uscito con un volume molto interessante. Oggi il tema sembra essere tornato di moda. Cosa che mi fa piacere, ma va detto che, oggi, ridurre i costi della politica è più difficile di vent'anni fa". Perché? "Certe constatazioni sugli sprechi arrivano in ritardo. Spese che si sono protratte per anni, e che si sono diffuse dal Quirinale al Comune e alle Province, non saranno facilmente cancellabili. Il privilegio nasce magari stentatamente ma, una volta che si è radicato, è molto difficile da estirpare". Ma qual è lo spreco principe? "Nessuno in particolare. A costare è la struttura burocratica. La burocrazia pesa anzitutto perché comporta spese, tra oneri e uffici. A differenza di Prodi, non sono preoccupato perché non si fanno abbastanza leggi. Anzi, meno se ne fanno e meglio è". Dunque, bisogna delegificare? "È importantissimo. Il governo Berlusconi aveva cominciato e spero che si vada avanti per questa strada. Ogni legge comporta un ufficio, una scrivania, un telefono, una persona che vi lavora. Tutto, moltiplicato per ogni legge nel corso degli anni, appesantisce la macchina burocratica. Che rallenta l'impresa e alla fine anche gli enti pubblici". Assieme alla delegificazione che cosa farebbe? "Una serie di ulteriori liberalizzazioni. Per fare perdere al motore pubblico delle rotelle e quindi dei costi. Ma alla base di tutto deve consolidarsi un atteggiamento: ragionare con il denaro pubblico come se fosse il proprio". Passiamo agli stipendi dei politici. "Parrà strano, ma penso che un parlamentare non guadagni in modo strepitoso rispetto magari a un dirigente d'azienda. Il problema è il numero dei parlamentari. Fino al 1970 potevano anche essere 1000. Ma da quando esistono le regioni, ne basterebbero 500 tra Camera e Senato". E le pensioni degli onorevoli e dei senatori? "Qualche anno fa bastava fare il parlamentare per un minuto per avere diritto alla pensione. Adesso siamo già a due anni e mezzo. Si può fare di più. 5 anni o l'intera legislatura". Infine un 'dettaglio': le auto blu. "L'auto viene messa a disposizione di una persona, e il problema è l'esclusività della macchina. Che comporta il pagamento da parte dell'ente di un autista che fa solo quello. Magari per la stessa persona diventano anche 2 o 3. Con costi nel complesso improponibili".

 

 


 

Il Corriere della Sera 20-5-2007 Applausi bipartisan alle sette ministre. Ma intanto noi restiamo in coda tra i Paesi Ue Le donne di Sarkozy e l'ipocrisia degli italiani di GIAN ANTONIO STELLA

 

Che belle, le donne degli altri. I compiaciuti applausi bipartisan alla scelta di Nicolas Sar- kozy di varare in Francia un esecutivo composto per metà di ministre tra cui perfino una maghrebina che il gentleman Roberto Calderoli definirebbe "molto abbronzata", grondano d'ipocrisia come i cachi d'autunno. Non c'è Paese al mondo, infatti, che abbia assistito negli ultimi anni a un tormentone sfacciatamente bugiardo sulla donna in politica quanto il nostro. Ricordate cosa giurò Romano Prodi, prima delle elezioni che l'avrebbero riportato a Palazzo Chigi? "Nel mio governo ci saranno molte donne e avranno portafogli pesanti". Sì, ciao: 6 ministre su 26 (meno di un quarto, quasi tutte senza portafogli) e 14 sottosegretarie su 76, compresi i vice-ministri. "Mi aspettavo di più", fu il suo indimenticabile commento, dopo aver dato vita a un gabinetto cinque volte più obeso (11 ministri e 72 sottosegretari in più) di quello appena nato in Francia. E da chi se lo aspettava quel "qualcosa di più", se la Costituzione dava a lui la facoltà (spesso rivendicata) di scegliere i membri del governo? Risposta: "I partiti non mi hanno proposto un numero di donne da poter arrivare a otto". Alla faccia delle promesse di Piero Fassino ("Il nostro progetto riformista intende mettere al centro le donne, le loro aspirazioni, la loro libertà"), dei mea culpa di Francesco Rutelli ("I partiti italiani che non danno spazio alle donne, Margherita compresa, fanno schifo"), delle lettere pubbliche di Fausto Bertinotti sul sogno di "un governo dell'Unione che vedesse la metà delle donne tra i suoi ministri e viceministri". Con Silvio Berlusconi, del resto, all'"altra metà del cielo" era andata anche peggio. Dice oggi il Cavaliere, con un occhio alla trionfale cavalcata sarkoziana, che alle prossime politiche ha "intenzione di portare in Parlamento molti più giovani, ma soprattutto il 50% saranno donne". Evviva. Ma nel '94, nonostante corteggiasse le casalinghe raccontando amabili storielle ("Anch'io sono stato un po' donnina di casa, perché quando studiavo ed ero un ragazzo di famiglia, buttavo giù la polvere e ogni tanto facevo la spesa. So quanta fatica ci vuole per lavorare a casa e creare un clima di serenità quando il marito torna dal lavoro...") nel suo primo governo c'era una donna sola, Adriana Poli Bortone, impostagli da Gianfranco Fini. Come da Umberto Bossi gli era stata imposta Irene Pivetti. E le cose erano appena appena migliorate con il suo secondo e il terzo esecutivo: una donna alla Istruzione (Letizia Moratti) e una (Stefania Prestigiacomo) alle pari opportunità. Fine. Conosciamo l'obiezione: il peso della storia, le stratificazioni culturali... Giusto. Da noi le donne poterono votare solo nel 1946 e cioè 66 anni dopo la concessione del diritto di voto delle inglesi alle amministrative e 52 dopo il voto universale in Nuova Zelanda. E sempre quel 1946 le prime deputate si sedettero in Parlamento 39 anni dopo le finlandesi. La prima sottosegretaria, Angela Cingolani Guidi, lo diventò nel 1951 dopo 186 maschi nel solo dopoguerra e a distanza di 33 anni dalla nomina della prima sottosegretaria al mondo, la polacca Irena Kosmowska. Così come Tina Anselmi arrivò a giurare come ministra, nel 1976, nel III governo Andreotti, solo dopo 115 anni di unità d'Italia e 836 ministri. Tutto vero. Ma un quarto di secolo fa il resto dell'Europa non era poi così diverso da noi. Un'inchiesta di Maria Antonietta Macciocchi spiegava che era "appena del 7,17% la presenza delle donne nei governi e nei centri decisionali, nella magistratura, nella diplomazia, nei grandi centri culturali e nelle università" del vecchio continente. E che su 187 ministri dei vari governi, c'erano solo 16 donne. E ancora 16 erano le donne "tra i 222 segretari o sottosegretari di Stato". Insomma, eravamo ultimi, con una sola ministra e una sola sottosegretaria, ma tutta la politica continentale era marcata ancora da una forte impronta maschile. Da allora, però, è cambiato tutto: noi siamo rimasti fermi, gli altri hanno no. Già nella primavera 2004 c'erano 5 donne su 21 ministri in Gran Bretagna, 4 su 32 in Irlanda, 5 su 16 in Olanda, 6 su 21 in Belgio, 4 su 14 in Lussemburgo, 11 su 39 in Francia, 8 su 16 in Spagna, 4 su 18 in Portogallo, 8 su 18 in Finlandia, 11 su 22 in Svezia, 6 su 18 in Danimarca, 8 su 33, 2 su 18 in Austria, 8 su 33 in Germania... E da allora hanno accelerato tutti. È donna il presidente della Repubblica (Mary McAleese) in Irlanda. Sono donne la cancelliera (Angela Merkel) e 5 ministre su 18 dell'esecutivo tedesco. Donne 7 su 14 ministri del governo di François Fillon in Francia. Donne 9 membri (compresa la responsabile dell'Economia e quella della Difesa) su 19 del governo norvegese. Donne addirittura 12 contro 8 dei nuovi ministri della Finlandia, che già aveva come capo dello Stato quella Tarja Halonen che andò su tutte le furie il giorno in cui Silvio Berlusconi le dedicò una battuta da galletto ("Per portare l'authority alimentare a Parma ho rispolverato le mie doti di playboy col presidente finlandese") che al di là delle scelte sessuali non si sarebbe mai permesso con uno statista maschio. E non siamo rimasti al palo solo in Europa. A pochi anni dal giorno in cui Giuliano Amato s'indignò per le ironie che avevano accolto la sua proposta di mandare al Quirinale una donna ("Manco avessi proposto un coleottero!"), ci sono oggi sei donne, regine a parte, che ricoprono il ruolo di capo dello Stato: le già citate Halonen e McAleese più Michelle Bachelet (Cile), Vaira Vike-Freiberga (Lettonia), Ellen Johnson Sirleaf (Liberia) e Gloria Macapagal Arroyo (Filippine). Diciassette sono quelle alla guida dei delicati ministeri degli Esteri, dall'austriaca Ursula Plassnik all'americana Condoleezza Rice, dall'israeliana Tzipi Livni alla mozambicana Alcinda Abreu, dalla britannica Margaret Beckett alla paraguaiana Leila Rashid De Cowles. E traboccano di donne i parlamenti non solo del Nord scandinavo ma anche di Paesi sudamericani o perfino africani quali il Ruanda (30% nella camera alta, 48,8% in quella bassa). E poi i governi della Colombia (dove Alvaro Uribe ha affidato al "gentil sesso" la difesa, gli esteri, l'ambiente e la cultura), del Cile o della Bolivia, dove Evo Morales ha voluto al ministero degli Interni Alicia Munoz Alá. Per non dire dell'ascesa negli Stati Uniti di Hillary Rodham Clinton e Nancy Pelosi o della sfida, perduta ma finalmente lanciata, di Ségolène Royal. E di altri centinaia di casi registrati giorno dopo giorno. Solo noi stiamo fermi. Solo noi. A consolarci buttando un occhio a quanto accade in Turchia. Dove un movimento di tremila attiviste ha cominciato a irrompere in certe riunioni politiche ("Dobbiamo essere maschi, per entrare?") appiccicandosi un paio di baffoni. Solo noi. Irrimediabilmente legati a un vecchio aforisma di Roberto Gervaso: "Le donne degli altri mi piacciono finché restano degli altri". CONTINUA A PAGINA 13 Gian Antonio Stella.

 


 

La Repubblica 20-5-2007 LE BANCHE E LA NUOVA RAZZA PADRONA EUGENIO SCALFARI

 

NASCE oggi a Milano la sesta banca mondiale e la prima italiana per quanto riguarda la capitalizzazione, superando la concentrazione Intesa-Sanpaolo, con 100 miliardi di euro contro 77, novemila sportelli contro settemila, 40 miliardi di ricavi contro 18. Ma queste cifre, di per sé eloquenti, non dicono ancora tutto. L'Unicredito di Profumo e Geronzi avrà il 9 per cento di partecipazione in Mediobanca mentre Intesa ha acquistato di recente il 2,5 della maggiore banca d'affari italiana ma fuori sindacato. Nelle Generali la stessa Mediobanca detiene il 14 per cento e la nuova Unicredito il 6 per cento contro il 2,3 di Intesa. Impressionante è la mappa delle partecipazioni industriali del nuovo colosso, presente nei sindacati di Pirelli, Camfin, Gemina, Investimenti Infrastrutture, Rizzoli-Corsera, Parmalat, Borsa Italiana, Autostrade, Fiat. Senza contare le posizioni di sostegno finanziario consolidato in molte altre imprese. In sostanza la fusione tra Unicredit e Capitalia oltre a costituire una concentrazione bancaria perfettamente complementare quanto a distribuzione di sportelli dal Piemonte fino alla Sicilia, è anche una grande holding presente con dimensioni importanti nei punti nodali dell'economia industriale italiana. Un "monstrum" quale ancora non si era mai visto in Italia dagli anni Trenta del secolo scorso, quando la crisi mondiale tagliò le gambe all'altro "monstrum" dell'epoca che faceva capo alla Banca Commerciale di Toeplitz e finì poi nelle braccia dell'Iri appositamente creato per salvare dal collasso l'intera economia italiana. Il "monstrum" di oggi è profondamente diverso da quello di allora che aveva immobilizzato le banche con investimenti rischiosissimi nell'industria pesante. Oggi non è così. La finanza domina l'industria ma l'impegno diretto delle banche e quindi l'immobilizzazione del capitale e i rischi che ne conseguono sono infinitamente minori. Inoltre il mercato bancario conta molti operatori, sia italiani che europei, la vigilanza delle banche centrali è notevolmente aumentata e gli istituti di credito sono tutti contendibili. Insomma la concorrenza è rilevante e obbliga i vari operatori ad una continua attenzione e ad un continuo ammodernamento del quale i clienti non possono che beneficiare. Sta di fatto però che la rete degli incroci tra banche e imprese e i conflitti d'interesse che ne derivano è enorme. La nascita del nuovo Unicredito non solo non li elimina ma li moltiplica e questo non è certo un bene.

Aggiungo anche che l'Unicredit che fin qui abbiamo conosciuto soltanto come "predatore" può diventare una preda per i "private equity" e per le grandi banche americane. Pur non essendo tra i difensori per principio dell'italianità delle aziende e delle banche, suscita preoccupazione pensare che eventuali operazioni di conquista del nuovo Unicredito metterebbero le mani su una parte rilevante dell'economia del nostro paese. Per non parlare del dislivello di potere tra i colossi banco - finanziari e l'autorità politica che, dopo queste operazioni (ma già da prima) diventa incommensurabile. * * * Trent'anni fa il problema degli incroci azionari tra banche e imprese provocò un dibattito molto acceso. La legge bancaria, redatta quasi contemporaneamente alla nascita dell'Iri, poneva un divieto assoluto che per molti anni restò invalicabile. Proprio per ovviare ad una separazione così rigida fu creata Mediobanca (e con minori dimensioni l'Imi): istituzioni di proprietà pubblica che non potevano raccogliere depositi ma soltanto emettere obbligazioni, collocate tra i risparmiatori dalle banche di credito ordinario. La particolarità di Mediobanca (quella fondata e diretta per tre decadi da Cuccia) fu proprio questa: le sue azioni erano in mano all'Iri il quale tuttavia non aveva poteri di indirizzo sulle operazioni e neppure di vigilanza: quest'ultima era esercitata dalla Banca d'Italia, quanto alle erogazioni del credito a lungo termine, cioè di finanziamento delle imprese, era Mediobanca a decidere in piena autonomia. L'Iri in sostanza funzionava come una cassaforte nella quale erano chiuse a doppio mandato e congelate le azioni di Mediobanca. Per dire che Mediobanca non era scalabile e per certi aspetti simile ad una fondazione. Il sostegno finanziario alla Fiat, alla Pirelli, alla Montecatini, alla Orlando, all'industria tessile, alla Ferruzzi, a De Benedetti, insomma all'industria italiana di grandi dimensioni, faceva capo a Mediobanca. Le fusioni facevano anch'esse capo a Cuccia, lo sviluppo dell'economia privata era insomma finanziato da una società pubblica. Da allora fu chiamata il salotto buono. Buono per chi ci stava dentro, nient'affatto buono per chi ne era fuori. L'internazionalizzazione dell'economia e i progressi tecnologici, insieme alla crisi del modello familiare sempre più inadatto a gestire imprese di grandi dimensioni, mandarono a gambe all'aria questo modello. Le banche ordinarie cominciarono ad eludere il divieto della legge bancaria; prese piede il modello della banca totale, diversificata, che accanto all'esercizio del credito di funzionamento cominciò ad erogare crediti finanziari a medio e lungo termine. I rischi assunti crearono sofferenze sempre più ampie e nuove immobilizzazioni, anche se in misura molto minore di quanto era avvenuto nei primi trent'anni del Novecento. La legge bancaria fu modificata, l'ingresso delle banche nel capitale industriale fu di nuovo consentito sia pure con rigidi limiti. Gli incroci presero nuovo slancio. La legge Draghi cercò di dare una sistemazione a tutta questa materia. Fu introdotta l'Opa obbligatoria al di sopra del 30 per cento. Gli incroci azionari furono limitatamente legalizzati. Fu creata la Consob e altre autorità di regolamentazione a cominciare dall'antitrust. Perché rievoco questo (recente) passato? Perché da allora, com'era facile prevedere, la rete degli incroci è diventata una foresta vergine. Oggi l'attualità ci suggerisce di rivisitare questa foresta almeno per quanto riguarda l'operazione Unicredito - Capitalia. Ho sotto gli occhi un grafico pubblicato su "24 ore" di venerdì. Queste sono le reciproche presenze tra di loro dei vari soggetti coinvolti: Unicredit detiene il 3,7 per cento di Generali; Generali il 2,3 di Capitalia; Capitalia il 2,6 di Generali; Intesa il 2 per cento di Capitalia; Capitalia il 9 per cento di Mediobanca (ma Profumo si è impegnato a venderlo agli azionisti di quella banca); Generali hanno il 2,1 di Mediobanca ma quest'ultima detiene il 14 di Generali; ancora Generali hanno il 5 per cento di Intesa; Intesa ha il 2,2 di Generali e il 2,5 di Unicredit. Infine Unicredit ha il 9 di Mediobanca. Che ne dite, voi lettori, di questa rete? Anzi di questo gomitolo che a districarne i capi ci vorrebbero anni? Non vi ingannino le percentuali di partecipazione apparentemente modeste: alle spalle di esse esistono patti di sindacato tra i vari soggetti che raggiungono quote di controllo assai consistenti e si basano sul rispetto dei reciproci interessi. Non a caso il 9 per cento di Capitalia in Mediobanca, che insieme alla nascita del nuovo Unicredito sarà venduto, non andrà sul mercato ma verrà offerto in prelazione agli attuali membri del sindacato e ad altri graditi ai predetti. Tra questi spuntano le Casse di risparmio di Torino e di Verona e la società Perseo. Le due Casse fanno parte del sindacato che controlla Unicredit. Perseo è invece una società con un azionariato molto interessante; ne fanno infatti parte la Cassa di risparmio di Torino, le Generali, Mediobanca, Aviva: controllori e controllati tutti insieme come la Sacra Famiglia. Ancora una volta incroci, incroci, incroci. La nebulosa del conflitto di interessi avvolge ormai l'intera economia del pianeta, globalizzata e - specie in Occidente - finanziarizzata. Lo stesso Guido Rossi, che negli ultimi vent'anni ne è stato il principale studioso e il più tenace avversario, sembra ormai essersi rassegnato di fronte alla vastità del fenomeno. Questa ormai è la più aggiornata edizione del capitalismo di fronte alla quale sia l'autorità politica, sia le sempre più deboli organizzazioni sindacali si dimostrano impotenti. La politica resiste nel suo ruolo di guida soltanto nei regimi strutturalmente dittatoriali: in Cina, in Russia e in pochi altri luoghi di incerta fisionomia sociale. Nuove disuguaglianze esplodono, nuove ingiustizie agitano la società. Ma questo è un discorso più vasto e non riguarda soltanto la piccola Italia. * * * Personalmente sono favorevole all'operazione Profumo di fusione tra Unicredit e Capitalia. E' perfetta dal punto di vista strettamente bancario, crea un "campione" italiano nel settore del "banking" con una proiezione all'estero robusta; non affievolisce la concorrenza sul mercato italiano e l'accentua su quello europeo. Infine si compie nel rispetto di tutti gli azionisti dei due istituti promotori. Naturalmente crea molto potere aggiuntivo al management in carica. Accresce la densità degli incroci. Raccoglie in un solo punto la concentrazione e la guida d'una parte rilevante del sistema economico-finanziario italiano. Questi sono gli aspetti negativi o quanto meno inquietanti dell'operazione. Si dice che Profumo voglia correggere tali aspetti ma non sarà certo un'impresa facile. Dubito molto che i suoi potenti azionisti lo lasceranno procedere autonomamente su questa strada. Certo ha dimezzato la partecipazione del nuovo Unicredito in Mediobanca dal 18 per cento al 9, ma questa "virtuosa" iniziativa è avvenuta per evitare una guerra senza esclusione di colpi con gli azionisti francesi guidati da Bolloré e per venire incontro alla "moral suasion" di Draghi, al broncio di Bazoli, all'opposizione della stessa Mediobanca e delle Generali. Vedremo il seguito, per ora siamo agli inizi. Il governo non ha influito in nessun modo sull'operazione. Chi parla di ingerenze e di alleanze politiche non sa quel che dice per la semplice ragione che la politica - l'abbiamo già detto - non è in grado di influire in nessun modo sul potere bancario. Quanto al potere bancario, esso è neutrale rispetto al mondo della politica, lo considera irrilevante dal suo punto di vista ed ha perfettamente ragione. Però c'è un però. Non riguarda le singole operazioni ma l'erogazione del credito nel suo complesso. Può quell'erogazione obbedire semplicemente alla creazione di valore per gli azionisti? La moralità aziendale esaurisce e soddisfa la moralità pubblica complessiva? E quella individuale dei protagonisti? L'erogazione del credito è lo strumento di potere più efficace che esista perché crea e distrugge ricchezze e destini di individui, regioni, nazioni. Non è affatto neutrale sulla felicità delle persone e delle comunità, nel presente e nel futuro delle generazioni. Credo che questi pensieri ci siano nella mente dei protagonisti dell'operazione Unicredito o almeno nel suo primo attore. Sarebbe interessante se volesse dirci come la pensa in proposito.

 


 

Il Corriere Veneto 20-5-2007 Il Veneto e la lingua " Qui c'è la culla dell'italiano " Sabatini, presidente dell'accademia della Crusca: il dialetto non è un rivale

 

La fiorentina Accademia della Crusca, nata nel Cinquecento per promuovere la tradizione e l'eccellenza della lingua italiana - cioè della discendente del toscano letterario del Trecento - non è più, nel Duemila, un consesso di accigliati puristi bensì un organismo formato dai massimi studiosi della storia dell'italiano, ma anche delle sue molteplici tradizioni dialettali. Il suo attuale presidente, Francesco Sabatini ( 75 anni, abruzzese, professore alla Terza università di Roma) ha fatto della difesa dell'italiano - soprattutto a livello internazionale, e in particolare in seno alle istituzioni comunitarie europee - la sua missione. Ma non dimentica, ovviamente, l'importanza che le " piccole patrie " hanno avuto nella storia linguistica d'Italia. E non considera i dialetti nemici, ma alleati nella battaglia in difesa della nostra lingua. Lingua e dialetti non devono considerarsi, dunque, come rivali, almeno oggi? " Premetto che giusto la grande forza, la tradizione, la storia gloriosa dei dialetti in Italia - e in particolare in alcune regioni, come appunto il Veneto - vanno riconosciute proprio da chi crede nell'italiano e nella sua dignità: perché se ammettiamo che l'italiano è la lingua che è stata capace di imporsi, come modello unitario, su dialetti così illustri, il valore di entrambi ne risulta aumentato grandemente. Ciò detto, non ha senso parlare oggi di rapporto tra italiano e dialetto come di una guerra di sterminio reciproco: la lingua e il dialetto non sono in competizione purché si riconosca quali sono le funzioni che svolgono di fatto nella società. La lingua, l'italiano, è ciò di cui abbiamo bisogno per la comunicazione culturale e per lo scambio con le altre nazioni, insomma per il nostro ruolo internazionale. I dialetti possono invece rivendicare una funzione complementare, che è espressiva ( penso al loro uso in canzoni, proverbi, espressioni della nostra antica saggezza) e comunicativa: grande è la loro utilità nella conversazione quotidiana, e nello svolgimento di attività tipicamente legate a contesti locali " . Per quanto riguarda il Veneto, poi, si potrebbe dire che la nostra regione ha con l'italiano - e col toscano letterario - un conto aperto molto antico. Tanto da poter considerare Venezia, dopo Firenze, seconda patria della lingua nazionale. è così? " Certamente. Venezia ha avuto la funzione di culla dell'italiano in alcune fasi della nostra storia. A parte il suo poderoso e ininterrotto ruolo nella storia della letteratura e in generale della cultura italiana, la grande vitalità del Veneto nell'età della nascita dell'industria tipografica gli attribuì un ruo lo decisivo. Non si può capire Bembo ( il veneziano autore della prima grande grammatica dell'italiano, nel 1525, ndr) senza Manuzio, il suo editore, attivo a Venezia. Ma, non dimentichiamolo, di origine laziale " . In effetti, la visione fiorentino- centrica dell'italiano ha precise ragioni storiche, ma va integrata, forse, con il concetto di policentrismo della nostra cultura. Ai fatti che lei ha citato si potrebbe aggiungere che la prima edizione del Vocabolario della Crusca fu stampata, nel 1612, a Venezia. " Certo. In tal senso c'è un ruolo tipico di Firenze, che è quello di propulsore della riflessione e della valorizzazione della nostra lingua. Anche per questo proprio a Firenze verrà celebrata, all'inizio di luglio, una cerimonia di grande significato: la piazza antistante la villa in cui ha sede l'Accademia della Crusca verrà intitolata " Piazza delle lingue d'Europa". Non dell'italiano, si noti, ma appunto delle lingue d'Europa. è un'iniziativa che vuole porre la nostra cultura e la nostra terra come crocevia di esperienze diverse, che non puntano a sopraffarsi reciprocamente ma a convivere. Dopotutto, è quello che accadde all'italiano: lingua che, nonostante l'assenza di uno Stato nazionale, prosperò per secoli grazie alla forza delle sue idee culturali, al suo fascino, al suo prestigio letterario " . Torniamo ai dialetti: in un'epoca in cui, anche grazie alla scuola, l'italiano è ormai patrimonio comune dei cittadini della nazione, in molte zone - tra cui il Veneto - si assiste alla riscoperta e alla valorizzione del dialetto da parte delle giovani generazioni, che spesso non lo hanno " ereditato " durante l'infanzia, e lo recuperano ora fa cendone la voce di esperienze artistiche, dal teatro alla canzone, alla poesia. Come valuta questo fenomeno? " Come un fatto piacevole e positivo. I dialetti italiani sono ancora ricchi di espressività, e non è strano che proprio i giovani vi siano sensibili: lo spirito giovanile si accorda naturalmente con la ricerca dell'espressività, dell'invenzione, dell'innovazione artistica. Proprio per questo penso che simili processi siano ancora più efficaci se non si pretende di riscoprire il dialetto in modo forzato o innaturale, ad esempio insegnandolo nelle scuole, e magari imponendolo a una società italiana sempre più composita, sempre più in movimento. Con un paradosso solo apparente potremmo dire che il dialetto si impara, ma non si insegna. Non nelle scuole, almeno: dove per esempio è importante che i nuovi italiani immigrati imparino la lingua nazionale, acquisendo anche il dialetto ma in altri contesti, come quello del gioco, della socializzazione, dell'esperienza quotidiana " . Esiste una vitalità internazionale dei nostri dialetti che, in qualche modo, può aiutare la diffusione e la promozione dell'italiano? " Senz'altro sì, e in particolare in questi tempi, nei quali in molti paesi del mondo si sono ormai superati gli stereotipi e i pregiudizi che gravavano sulle nostre tradizioni dialettali: a lungo sentite - spesso dagli stessi emigranti - come segni di arretratezza culturale, economica e sociale, e oggi invece sempre più legate, nella sensibilità degli stranieri, agli aspetti più positivi della nostra nazione. Ad esempio alla nostra tradizione gastronomica, i cui prodotti hanno, ovviamente, nomi dialettali, del tutto intraducibili in altre lingue e capaci di diventare simboli apprezzati della nostra cultura e della nostra identità. è forse questo, più di qualsiasi altro, un patrimonio da difendere e da promuovere: un patrimonio che è linguistico e insieme materiale, insomma culturale " . Lorenzo Tomasin ( 4. Fine. Le puntate precenti dell'inchiesta sul dialetto sono uscite i giorni 22 aprile, 1 maggio e 13 maggio 2007) Il " Canton delle Busie " a Padova. " I dialetti italiani sono ancora ricchi di espressività - dice Sabatini - e i giovani sono sensibili " ( Gobbi) Francesco Sabatini, presidente della Crusca.


 

La Repubblica 20-5-2007Il caso. Santoro ha acquisito i diritti per "Annozero" ma c'è imbarazzo tra i vertici dell'azienda Inchiesta sui preti pedofili in forse sulla Rai il video Bbc E "l'Avvenire" attacca: "Infami calunnie" Sandro Curzi: "La par condicio non c'entra Quel reportage va mandato in onda" SILVIA FUMAROLA ROMA

 

- Il consigliere di amministrazione della Rai Sandro Curzi promette che si batterà perché vada in onda. "Dobbiamo imitare la Bbc, la citiamo sempre come un modello? Quale migliore occasione trasmettere l'inchiesta inglese sul Vaticano e i preti pedofili. D'altronde, è dimostrato, la cosa che va meglio sono proprio le inchieste". La Rai si prepara ad affrontare il caso Bbc: Michele Santoro ha chiesto di acquistare il reportage "Sex crimes and the Vatican" l'inchiesta sul coinvolgimento di sacerdoti cattolici in alcune vicende di abusi sessuali, in cui viene citato anche Papa Benedetto XVI, all'epoca ancora cardinale, quale garante dei preti accusati. Vuole proporre l'inchiesta ad "Annozero", giovedì su RaiDue nella puntata dedicata alla pedofilia. Realizzato dalla Bbc, il filmato è finito su Internet il 5 maggio diventando il video più visto su Google, da oltre 100 mila persone. Trattativa con la tv pubblica inglese chiusa (costo sui 25mila euro, nel rispetto del budget della trasmissione di RaiDue), finora nessun "no" ufficiale alla messa in onda, ma l'operazione Bbc, di fatto, non è chiusa. L'atto formale d'acquisto è passato su diverse scrivanie. Tra scuse e intoppi burocratici, sembra che in Rai nessuno voglia assumersi la responsabilità di firmarlo. Adesso più che mai, alla luce della durissima presa di posizione dell'Avvenire che definisce il video "infame calunnia via Internet" ai danni "della Chiesa e di Ratzinger". Il documentario crea imbarazzo a Viale Mazzini, preoccupa i vertici per le ripercussioni che può avere nei rapporti col Vaticano. L'Avvenire respinge l'accusa "rivolta a Joseph Ratzinger di essere stato niente meno che il responsabile massimo della copertura di crimini pedofili commessi da sacerdoti in varie parti del globo, in quanto "garante" per 20 anni - da quando fu nominato prefetto vaticano - del testo Crimen sollicitationis, che è un'istruzione emanata in realtà dal Sant'Uffizio il 16 marzo 1962". Secondo Avvenire, "quel documento veniva presentato dalla Bbc come un marchingegno furbesco, escogitato dal Vaticano per coprire reati di pedofilia, quando invece si trattava di un'importante istruzione atta ad "istruire" i casi canonici e portare alla riduzione allo stato laicale i presbiteri coinvolti in nefandezze pedofile". "Insomma" ribadisce il quotidiano della Cei "un insieme di norme rigorose, che nulla aveva a che fare con la volontà di insabbiare potenziali scandali". Domani il caso verrà discusso in Rai. Mentre Curzi promette di battersi perché vada in onda, la trappola burocratica potrebbe fermare Santoro (anche se gli amici scommettono che sarebbe pronto a fare la puntata lo stesso, denunciando la censura). "Annozero" è un programma d'informazione, dipende solo formalmente dal direttore di RaiDue Antonio Marano. In periodo elettorale, quindi durante la par condicio, è ricondotto alla testata giornalistica, non il Tg2 ma il Tg3 (da cui dipendono ben 13 trasmissioni, tra cui una sola della seconda rete, appunto "Annozero"). Il direttore del Tg3 Antonio Di Bella è tenuto a sovrintendere sulla presenza di soggetti politici (la lista degli ospiti viene consegnata 48 ore prima della puntata). Ma la par condicio stavolta non c'entra. A questo punto l'ultima parola spetta al direttore generale della Rai Claudio Cappon.

 


INDICE 19-5-2007

 

+ La Repubblica 19-5-2007 DAL FALLIMENTO TREVITEX SPUNTA UN CODICE SALVA GRANDI BANCHE  DI WALTER GALBIATI 1

La Repubblica 19-5-2007 IL RETROSCENA Lunghe telefonate di Napolitano a Bertinotti e Prodi per evitare il corto circuito istituzionale E il Quirinale lancia l'allarme "Attenti ai costi della politica" CLAUDIO TITO  2

La Repubblica 19-5-2007Veltroni: "Mercoledì l'approvazione in giunta comunale delle delibera che stabilisce nuovi criteri legati ai risultati" Stipendi dei manager, ecco i tagli Causi: "Ridotti del 18,9 per cento i costi della politica" Le novità valgono 500 mila euro di risparmi all'anno GABRIELE ISMAN  3

L’Unità 19-5-2007 Raipolitik di Marco Travaglio  4

Il Riformista 19-5-2007 E' capogruppo socialista, ma non parla del Pse  4

L’Arena di verona 19-5-2007 Come previsto, Paul Wolfowitz, 63 anni, si è dimesso e lascia la presidenza della Banca Mondiale. In lizza anche Tony Blair, amico di Bush Banca mondiale, corsa per sostituire Wolfowitz New York. 5

Milano Finanza 19-5-2007 Che gran business la CO2. Stefania Peveraro. 6

Milano Finanza 19-5-2007 Via alla competizione con il gigante nato dalla fusione tra Intesa e Sanpaolo. La sfida lanciata da Intesa Sanpaolo è stata raccolta. Andrea Di Biase. 7

 


 

 

+ La Repubblica 19-5-2007 DAL FALLIMENTO TREVITEX SPUNTA UN CODICE SALVA GRANDI BANCHE  DI WALTER GALBIATI

 

 

IL DOCUMENTO. Pubblicate le motivazioni della sentenza che ha condannato i Dalle Carbonare e 33 dirigenti del credito Dal fallimento Trevitex spunta un codice salva-grandi banche Accordi per garantire i maggiori istituti ed evitare abusi da parte dell'imprenditore

MILANO - Mors tua vita mea. Un motto latino che non ha molto di finanziario, ma che, stando alle accuse, ben si addice al comportamento delle banche nel fallimento Trevitex. E che viene teorizzato in un "codice di comportamento del sistema bancario", rimasto finora inedito e trovato durante una perquisizione nello studio di Angelo Casò, nominato ai tempi liquidatore della società e ora presidente del collegio sindacale di Mediobanca. La Trevitex, il secondo gruppo tessile italiano, fallì l'8 giugno 1995. Ma le banche, a conoscenza dello stato di dissesto almeno fin dal 1992, chiusero da subito i rubinetti del credito alla famiglia Dalle Carbonare, proprietaria della società. E, proprio sotto la regia di Mediobanca, si accordarono fra loro per subire i minor danni possibili a scapito degli altri creditori. A metterlo nero su bianco sono stati i giudici della seconda sezione penale di Milano che ieri hanno pubblicato le motivazioni relative alla sentenza di primo grado. Un giudizio che ha condannato non solo Sebastiano (sette anni e nove mesi), Pietro (cinque anni) e Diego (quattro anni) Dalle Carbonare, ma anche 33 banchieri di quattro istituti di credito. Tra questi, Antonio Nottola, condirettore della Banca di Roma, Alberto Cravero, direttore del Credito Italiano, Luigi Coccioli, presidente del Banco di Napoli, Giuliano Segre al vertice della Cassa di Risparmio di Venezia. Condannato a tre anni e mezzo per via di una perizia, giudicata falsa, e grazie alla quale vennero alterati i bilanci del gruppo anche Stefano Podestà, docente della Bocconi e nel 1994 ministro dell'Università. L'inchiesta curata dal pm Alfredo Robledo ipotizza per le banche il concorso in bancarotta e getta una luce oscura sul comportamento dei principali istituti di credito italiani. Nessuno escluso, perché le posizioni di altri 18 banchieri, rappresentanti del Banco Ambrosiano Veneto (Giovanni Bazoli), del SanPaolo di Torino (Luigi Maranzana) e del Monte dei Paschi di Siena (Carlo Zini) sono state stralciate a Vicenza. Il "codice di comportamento del sistema bancario", rinvenuto dalla Guardia di Finanza, porta un titolo incontrovertibile, "Crisi di impresa". E suggerisce il comportamento che, durante tutte le fasi di una crisi come appunto quella della Trevitex, dovrebbero tenere le banche. O meglio le grandi banche e non le piccole, perché le prime vengono spesso "danneggiate - si legge nel documento - dalle azioni di recupero crediti delle banche marginali". Un motivo questo che consiglia tra l'altro di escludere i piccoli istituti, anche attraverso una moral suasion dell'Abi, da operazioni di finanziamento molto redditizie come quelle in pool. L'accordo tra le banche dovrebbe non solo evitare "abusi da parte dell'imprenditore", ma anche la penalizzazione dei grandi gruppi "rispetto ad altri creditori non vincolati dal "codice"". I suggerimenti vanno dalla fase di conoscenza della crisi, che secondo il documento avviene, proprio come nel caso Trevitex, con il rientro dei crediti, fino all'attuazione del piano di intervento. Il codice prevede la costituzione di un Comitato Ristretto di banche (3 o 5 istituti) che garantisca in modo equo gli interessi di tutti gli istituti e che soprattutto pieghi l'imprenditore in difficoltà al volere dei grandi istituti. Per essere salvato, se le banche lo richiedono, l'azionista deve "consentire il rinnovo degli organi amministrativi", "impegnarsi a consentire l'inserimento di managers qualificati proposti dalle banche" e "costituire in pegno a garanzia dei crediti del sistema bancario le azioni in suo possesso". Non andò molto diversamente la storia di Trevitex. Il 2 giugno 1992 la famiglia Dalle Carbonare fu invitata a rinnovare il cda e a farsi da parte. Giuseppe Maranghi, fratello di Vincenzo, venne indicato da Mediobanca come il manager qualificato per risolvere la crisi. E lo stesso Maranghi, il 2 ottobre, invitò le banche a realizzare le garanzie in loro possesso.

 


La Repubblica 19-5-2007 IL RETROSCENA Lunghe telefonate di Napolitano a Bertinotti e Prodi per evitare il corto circuito istituzionale E il Quirinale lancia l'allarme "Attenti ai costi della politica" CLAUDIO TITO

 

Pensioni, domani vertice a Palazzo Chigi con Padoa-Schioppa ROMA - "Così non si può andare avanti". Il rischio di un corto circuito istituzionale, il pericolo di una paralisi parlamentare. Per Giorgio Napolitano lo scontro di ieri mattina tra il presidente del consiglio e il presidente della Camera è stata solo l'ennesima prova che qualcosa non va nel rapporto tra l'esecutivo e il Parlamento. Così ha preso carta e penna per bacchettare Palazzo Chigi, ma anche per richiamare l'opposizione ad una maggiore collaborazione almeno sulle procedure. Uno degli obiettivi centrali del Quirinale resta la riforma elettorale. A ognuno, però, ha ricordato anche che i "costi della politica" rappresentano uno dei temi più sentiti dall'opinione pubblica. Un argomento troppo "sensibile" per essere preso sotto gamba. E che richiede almeno una risposta iniziale: quella di assicurare una "produttività" decisamente maggiore rispetto a quella messa in mostra in questo primo anno di legislatura. "Vi siete fatti eleggere - è il ragionamento del Colle - e allora adesso impegnatevi". Il capo dello Stato ha fatto sentire la sua voce sia con i leader dell'Unione che con quelli della Cdl e in serata ha avuto una lunga telefonata con Romano Prodi. Il premier, appunto. Il monito del Quirinale è arrivato poco dopo l'affondo di Fausto Bertinotti. Uno schiaffo con un valore non solo istituzionale. Ma anche politico. "Il governo - si è lamentato l'inquilino di Montecitorio - farebbe bene a rispondere sulle grandi questioni sociali, sulle pensioni, sugli stipendi piuttosto che occuparsi del suo rapporto con il Parlamento. E comunque il Parlamento non può essere mortificato in questo modo". Parole durissime. Che fanno riferimento al delicato passaggio che la maggioranza sta attraversando in questi giorni. Alla riforma previdenziale, alla battaglia con i sindacati sulle rinnovo del contratto degli statali, alle critiche che diversi settori del centrosinistra stanno muovendo al ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. E all'accoglienza riservata nei giorni scorsi a Franco Giordano e Paolo Ferrero dagli operai milanesi di Mirafiori. Anche a Palazzo Chigi, dunque, dopo il botta e risposta con Bertinotti, è scattato l'allarme. Il Professore ha convocato per domenica prossima un vertice con i due vicepremier, Massimo D'Alema e Francesco Rutelli, e il titolare del Tesoro per dare un segno definitivo alla proposta del governo sulla riforma delle pensioni. Un modo per tendere la mano alla sinistra radicale e provare ad ammorbidire la posizione di Cgil Cisl e Uil sul pubblico impiego. "è evidente - ripete in queste ore il presidente del consiglio - che noi puntiamo a evitare lo sciopero generale, ma nemmeno ci possiamo piegare davanti a qualsiasi richiesta pur di ottenere una revoca". Del resto le direttive di Tps a questo proposito sono nette. "Io non posso mettere la firma su un accordo con cifre sproporzionate. Eppure su questo c'è una grossa sponda dentro la maggioranza", ha avvertito il capo dell'Economia. Parole che hanno messo in subbuglio Palazzo Chigi e che ha qualcuno hanno fatto temere il peggio. Tant'è che per tutto il giorno, il Professore ha fatto in modo che il ruolo del suo ministro non venisse sminuito o commissariato. Nemmeno sul contratto per il pubblico impiego. L'immediata opera di ricucitura con Bertinotti ha risposto anche a questa esigenza. "Forse mi sono espresso male", si è spiegato al telefono con il presidente della Camera. Un messaggio rivolto anche a Palazzo Madama. Anche al Senato non hanno preso bene l'uscita prodiana. Franco Marini, all'estero per un impegno privato, non ha parlato direttamente con il premier ma gli ha fatto recapitare il suo pensiero senza nascondere un certo "fastidio": valutazioni "poco accorte" soprattutto in considerazione del fatto che nella Camera Alta l'opposizione potrebbe bloccare tutto in ogni momento. Il cerchio, poi, si è chiuso proprio con l'altolà di Napolitano. Che, però, a Palazzo Chigi interpretano "positivamente". La bacchettata sull'uso eccessivo della decretazione d'urgenza, infatti, non è nuovo. Ma l'invito alla collaborazione tra i due poli e alla "funzionalità" del parlamento costituisce "un tema che va discusso davvero". Anzi, per il Professore rappresenterebbe per il suo governo una vera e propria "svolta".


 

La Repubblica 19-5-2007Veltroni: "Mercoledì l'approvazione in giunta comunale delle delibera che stabilisce nuovi criteri legati ai risultati" Stipendi dei manager, ecco i tagli Causi: "Ridotti del 18,9 per cento i costi della politica" Le novità valgono 500 mila euro di risparmi all'anno GABRIELE ISMAN

 

Meno soldi per i manager delle società partecipate dal Comune, con criteri di rigore e merito: ad annunciarlo ieri il sindaco Walter Veltroni. Mercoledì la giunta comunale esaminerà la delibera con i nuovi parametri. "Secondo una prima stima, il costo delle aziende comunali si ridurrà progressivamente di circa 500 mila euro l'anno", spiega il sindaco. La vera novità è la divisione dei compensi dei manager in due parti: una fissa - che non potrà essere superiore al 70, al 75 o all'80% delle indennità del sindaco, a seconda che il fatturato dell'azienda annuo sia fino a 100 milioni, da 100 a 500, o superiore a 500 - e una variabile. Quest'ultima non potrà superare, per ciascuna delle tre tipologie, il 50, il 60 o il 70% della fissa, e sarà legata al raggiungimento degli obiettivi di servizio e al miglioramento della qualità. "Questa delibera - spiega Veltroni - contiene da un lato il segno del rigore legato all'applicazione obbligatoria di una nuova normativa introdotta dall'ultima Finanziaria e dall'altro il segno dell'innovazione con un nuovo sistema che ancora lo stipendio degli amministratori delle aziende pubbliche alla loro capacità di raggiungere obiettivi di miglioramento della gestione aziendale e del servizio offerto. Roma è il primo Comune italiano ad applicare una normativa rigorosa sul contenimento delle indennità che spettano agli amministratori di aziende pubbliche". Ridotti quindi anche i compensi dei consiglieri di amministrazione: il tetto massimo annuo scende da 36 a 30 mila euro. In realtà i costi della politica a Roma sono già scesi: solo per le indennità di sindaco, assessori e consiglieri comunali e soltanto nell'ultimo anno il taglio è del 18,9%, passando da 3 milioni 781 mila a 3 milioni e 67 mila euro. I dati - tanti, e tutti improntati al risparmio - sono stati diffusi ieri in una nota dall'assessore comunale al Bilancio Marco Causi. Tra il 2006 e il 2007 le spese per rappresentanza, consulenze e missioni dell'intero Comune è scesa da 13,64 milioni a 11,23, e i soldi destinati ai beni di consumo sono passati da 21,03 a 16,90 milioni. Se poi si allarga il confronto al 2001, i risparmio percentuali arrivano al 31,02 (rappresentanza) e 20,2 (beni di consumo). "Queste voci di per sé rappresentano solo lo 0,7 per cento di tutto il bilancio comunale" precisa l'assessore. E ancora tagli: meno 26% (da 2,097 milioni a 1.551.384 euro) per le consulenze, meno 33,3 (da 806.339 a 537.620 euro) per i convegni, meno 24 (da 738.155 a 560.363 euro) per le spese di rappresentanza, meno 3,9 per missioni e trasferte, da 682.809 a 656.213 euro. "Il programma di razionalizzazione dell'amministrazione avviato nel 2001 - spiega Causi - porterà per il 2007 a un risparmio complessivo di 10 milioni di euro sulle spese di autoamministrazione". Ma il risparmio passa anche per le aziende controllate dal Comune, con l'indirizzo generale di cedere le partecipazioni in attività non strategiche. E così il Campidoglio ha rinunciato alla propria partecipazione, diretta o indiretta, in 42 società: tra queste, All Clean Roma, Ama International (azzerata). A Risorse per Roma, l'incarico di dismettere le partecipazioni in Alta Roma e nel Polo tecnologico romano. E nel settore energia, un programma approvato dal cda di Acea nel 2003 prevede la dimissione, chiusura o cessione di 35 società. E 32 di queste hanno già un nuovo indirizzo.


 

L’Unità 19-5-2007 Raipolitik di Marco Travaglio

 

Immaginate la scena e dite se non vi piacerebbe: Romano Prodi e Paolo Gentiloni si affacciano in conferenza stampa e annunciano: "Da domani la Rai non sarà più governata dai partiti. Il Cda lo nomina una fondazione dove i rappresentanti della politica sono in minoranza, e per concorrere bisogna esibire un curriculum professionale di prim'ordine. Comandano i dipendenti e gli utenti. Abolita la commissione parlamentare di Vigilanza, perché è la tv che deve vigilare sul Parlamento e non viceversa. Riforma totale delle Authority, con divieto assoluto di farne parte per gli iscritti ai partiti e per chiunque abbia ricoperto cariche elettive o di governo locale o nazionale. Le norme hanno effetto immediato perché contenute in un decreto - motivato da ragioni di urgenza visibili a tutti - che manda a casa l'attuale Cda della Rai: tutte brave persone, per carità, ma da oggi si volta pagina. Il fatto che Mastella minacci la crisi di governo significa che siamo sulla strada giusta. E ora, al lavoro". Purtroppo è un sogno, un bellissimo sogno che i 60 cittadini che avevano firmato la proposta di legge di iniziativa popolare "Perunaltratv" promossa da Tana de Zulueta, Sabina Guzzanti e tanti altri s'erano impegnati a tradurre in realtà. Quella proposta, intendiamoci, non è stata inutile: ha, almeno inizialmente, costretto l'Unione a porsi il problema della departitizzazione della Rai. E a partorire un disegno di legge, quello varato l'altroieri dal Consiglio dei ministri ritoccando un po' il testo portato da Gentiloni, che le somiglia parecchio. Fuorché in due punti, purtroppo decisivi: la mancata abrogazione della Vigilanza; e il rapporto di forze stanza dei bottoni, dove la legge Perunaltratv dava la maggioranza ai rappresentanti della società civile e della cultura esterni al Palazzo, mentre la Gentiloni garantisce la preponderanza dei partiti (6 contro 5 "esterni", che poi tutti esterni non sono). Ecco perché, nonostante le apparenze e alcune apprezzabili novità rispetto all'indecenza del sistema attuale, è troppo ottimistico il titolo de l'Unità di ieri: "Riforma Rai, messa fuori la politica". Magari fosse così. Com'è noto, il ddl varato dal governo, e da oggi sottoposto al prevedibile mercato delle vacche partitocratico tra Camera e Senato, trasferisce la proprietà azionaria della Rai dal Tesoro a una Fondazione pubblica governata da 11 consiglieri con mandato di 6 anni non rinnovabile. Chi li nomina? I seguenti soggetti: 4 la Vigilanza, 2 la Conferenza delle Regioni, 1 i dipendenti Rai, 1 il Cnel, 1 il Consiglio nazionale utenti e consumatori, 1 l'Accademia dei Lincei, 1 l'Accademia dei rettori. Facciamo i conti della serva. La Vigilanza, per non scontentare nessuno, manderà in Fondazione due politici di destra e due politici di sinistra. La Conferenza delle Regioni manderà un politico di destra e uno di sinistra, con un bell'accordo nazionale. E già questi 6 su 11 bastano a fare il bello e il cattivo tempo. Ma non è finita, perché il Cnel è un organo che più partitocratico non si può: sulla carta (costituzionale), è il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. In realtà è uno dei tanti uffici di collocamento per politici trombati. Basti pensare che il presidente è l'italoforzuto Antonio Marzano, l'ex ministro delle Attività produttive, così meritevole da essere scartato persino dal governo Berlusconi. La conferenza dei rettori universitari, visto come funziona l'università in Italia e quante interferenze politiche nasconde, è un altro ente a rischio: potrebbe nominare Umberto Eco come un amico degli amici (o, più probabilmente, un parente dei parenti). Restano, di veramente "esterno", i Lincei, i Consumatori e i dipendenti Rai (almeno i non raccomandati, che non sono molti): 3 rappresentanti su 11. Pochini per poter incidere sulla nomina del Cda della Holding, che gestirà la Rai con 1 presidente più 5 amministratori (tra i quali verrà scelto il direttore generale). Mastella non è ancora contento, parla di "demonizzazione del Parlamento" (come se la gente eleggesse i parlamentari perché occupino la tv) e annuncia "modifiche in aula", ovviamente per partitocratizzare la Rai ancor di più: infatti, comprensibilmente spaventato per l'ingresso del mondo della cultura in un'azienda culturale, trova "singolare dare un rappresentante ai Lincei, con tutto il rispetto": meglio darlo all'Udeur, dall'alto del suo 1,4 per cento. Dopo Pomicino e Nuvoli, avrà qualche altro pregiudicato da sistemare. Uliwood party.

 


 

Il Riformista 19-5-2007 E' capogruppo socialista, ma non parla del Pse


L’esordio, forse in quanto un po’ digiuna di politica, non è stato dei migliori. Nella prima intervista concessa ieri, al quotidiano del Prc Liberazione (scelta che è già tutta un programma) si è dilungata su molti argomenti, dalla globalizzazione neoliberista all’agenda del cantiere bertinottiano che verrà, ma non ha speso neanche una parola che fosse una, sul socialismo europeo, tema che - in teoria - dovrebbe essere uno dei core business del gruppo alla Camera di cui è a capo da tre giorni.
Titti Di Salvo - 55 anni a giugno, nativa di Gonzaga, una figlia (Marta), una laurea (in Scienza bancarie) e una vita passata a Torino, la sua città d’adozione - ha però anche diversi meriti. E’, per dire, seria, preparata, perbene. Ma, a detta di amici e avversari, gode pure di una indubitabile fortuna: «quella di trovarsi sempre al posto giusto nel momento giusto». La sua recentissima nomina, formalizzata l’altra sera all’unanimità ma dopo molte e complicate discussioni, a capogruppo dei 24 deputati del nuovo gruppo nato alla Camera dei deputati, quello di Sinistra democratica, è stata infatti il frutto di una serie di veti e controveti incrociati che, alla fine, hanno fatto uscire dal cilindro il suo nome. Nome che ha accontentato (quasi) tutti. Cesare Salvi, capogruppo di Sd al Senato e Gavino Angius premevano perché l’incarico andasse al socialista Valdo Spini, l’ala sinistra del gruppo e in particolare gli ex comunisti democratici, capeggiati da Marco Fumagalli, volevano fosse assegnato a Fulvia Bandoli o, in subordine, a Gloria Buffo. Mussi e i suoi, alla fine, hanno optato per una soluzione salomonica che ha, in parte, salvato capra e cavoli: una donna (come volevano molti, dentro Sd), la Titti, capogruppo, e Spini, che ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco, vice.
Si è formata a Torino, la Di Salvo, dove ha cominciato come impiegata nella Cassa di risparmio della città e, soprattutto, dalla Cgil. Sindacato all’interno del quale ha svolto per intero il suo cursus honorum e al quale è, ancora oggi, legatissima. All’ultimo congresso della Cgil, il XV, quello svoltosi ai primi di marzo a Rimini, annunciò la decisione di lasciare il sindacato per candidarsi con i Ds, in quota “Correntone”, con un discorso teso ed emozionato. «Questa resterà sempre la mia casa», disse. Il rapporto con la Cgil, per la Di Salvo, è sempre stato centrale, al punto che - in un primo momento - aveva rinunciato alla candidatura che gli era stata offerta ma che per lei non era certo un ripiego visto che, diventata segretaria confederale nel 2002, era al primo mandato. Morale, avrebbe potuto restare lì a lungo. «Poi morì mio padre - spiega al Riformista - e pensai che era il momento di dare una svolta alla mia vita. Così, quando tornarono alla carica per offrirmi un posto in lista nel mio Piemonte, accettai». Prima di entrare in segreteria confederale, dove si è occupata di rapporti internazionali e cooperazione allo sviluppo («Con lei la Cgil era diventata una succursale dei movimenti no-global e pacifisti», dicono i suoi detrattori) la Di Salvo fu la prima segretaria donna di una federazione regionale della Cgil, quella piemontese. Vi era entrata “portata” dal mitico leader dei metalmeccanici Claudio Sabattini. Cofferatiana di ferro ieri, epifaniana poi, Di Salvo è sempre stata dall’altra parte della barricata, dentro la Cgil, rispetto all’attuale ministro del Lavoro Cesare Damiano, riformista doc e ai suoi tempi segretario generale aggiunto dei metalmeccanici della Cgil ma «i rapporti tra noi - precisa lei - sono sempre stati buoni». Del resto, quando il Pci si sciolse e nacque il Pds, la Di Salvo aderì convinta alla “svolta”, che giudicò «una scelta giusta per dare un futuro alla sinistra». Poi cambiò idea ed entrò nella minoranza Ds per costruire il “Correntone” cui aderì mentre era in pieno dispiegamento l’offensiva cofferatiana nel Paese contro il governo Berlusconi e nel partito contro D’Alema. «Quella Cgil ha avuto il grande merito di aver tenuto aperta una battaglia a difesa della qualità della democrazia», sostiene Titti, che in Parlamento vuole lanciare «un Forum», aperto a tutta la sinistra, «contro la precarietà».
Di certo, il rapporto della Di Salvo - che in Parlamento ha scelto di continuare a occuparsi di problemi del lavoro - con il sindacato resterà forte anche ora che è diventata capogruppo di Sd. Non a caso, la sua critica alle parole e alle posizioni di Padoa-Schioppa, in merito alla redistribuzione del “tesoretto” e alla riforma delle pensioni, è netta almeno quanto le sue posizioni a difesa della laicità e dei diritti. In testa a tutti, naturalmente, quelli delle donne. Poi c’è la questione pace e guerra, che la Di Salvo ha seguito a lungo, per la Cgil: «quando ci fu la guerra in Iraq la Cgil contribuì, con tante associazioni e movimenti, a lanciare una forte mobilitazione pacifista. Dobbiamo rilanciare quel movimento». Per ora, Mussi e i suoi intendono lanciare, nella loro nuova sinistra, la Di Salvo. In quanto donna, certo, e soprattutto in quanto ex cigiellina. Non a caso, Titti scommette che nel dopo Epifani «c’è una donna». (e. co.)

 


 

L’Arena di verona 19-5-2007 Come previsto, Paul Wolfowitz, 63 anni, si è dimesso e lascia la presidenza della Banca Mondiale. In lizza anche Tony Blair, amico di Bush Banca mondiale, corsa per sostituire Wolfowitz New York.

 

A sconfiggerlo è stata la decisione di concedere un aumento a dir poco eccessivo dello stipendio alla sua compagna Shaha Riza, dipendente della Banca Mondiale. L'uscita di scena, effettiva dal 30 giugno, è accettata "con riluttanza" da George W. Bush. Il presidente Usa avrebbe preferito che l'ex sottosegretario alla Difesa, sotto tiro da diverse settimane, rimanesse al suo posto. Bush proporrà un suo successore nei prossimi giorni, senza perdere tempo. Secondo quanto reso noto dal portavoce della Casa Bianca Tony Fratto, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush "annuncerà presto un nuovo candidato, aprendo così la strada a una transizione che consentirà alla Banca Mondiale di focalizzare di nuovo l'attenzione sulla propria missione". La scelta di Bush sarà poi sottoposta all'approvazione del consiglio di amministrazione dell'istituzione. Non è al momento possibile dire su chi potrebbe essere la persona indicata dal presidente. Fra i candidati più papabili vi sono l'ex caponegoziatore commerciale ed ex vicesegretario di stato Robert Zoellick e il vice segretario del tesoro Robert Kimmitt. In lizza anche l'ex capogruppo repubblicano al Senato Bill Frist. Ieri è rimbalzata dall'Europa anche la voce che Bush sarebbe pronto ad appoggiare la candidatura dell'ex premier inglese, Tony Blair. Una soluzione alquanto anomala, dato che sarebbe il primo presidente non americano della Banca Mondiale. Le dimissioni di Wolfowitz potrebbero essere classificate come la noiosa appendice di un romanzetto rosa, o lo scontato epilogo di una liaison dangereuse. Di mezzo c'è una, per nulla avvenente, assistente che Wolfowitz ha portato con sé dal Pentagono e, promozione dopo promozione, l'ha beneficata di un salario, netto ed esentasse, che supera persino quello del segretario di Stato americano: 193.000 dollari l'anno. La privacy da noi avrebbe richiesto di sorvolare sul fatto che la signora fosse un'assistente latu sensu. Quando la contestata nomina di Wolfowitz fu imposta da George W. Bush, l'ex vice del capo del Pentagono e artefice della guerra all'Iraq, , Donald Ramsfeld, si presentò al Consiglio della Banca con un rigoroso programma di "lotta alla corruzione e al nepotismo; innovazione, efficienza e trasparenza". Non proprio le caratteristiche della carriera del personaggio. Nel turbine delle tensioni fra le due sponde dell'Atlantico, che la seconda Guerra del Golfo aveva scatenato, gli europei fecero buon viso a cattivo gioco. Chiusero anche gli occhi sulle qualifiche del personaggio, considerato dai neoconservatori americani e da Bush un brillante stratega, anche se privo di requisiti di bank management e pianificazione dello sviluppo, che sarebbero, poi, le competenze richieste da un presidente della World Bank. Il tutto potrebbe considerarsi banale amministrazione. Chi ben conosce il reale funzionamento delle organizzazioni internazionali, dall'Onu in giù, e delle loro faraoniche missioni nel mondo sa che nepotismo, corruzione e liaison dangereuse d'ogni tipo e gusto abbondano. Spesso fra una coltre di ovattata complicità, discrezione e silenzio. In Kosovo - per citare una piaga ancora aperta della politica internazionale - l'Amministrazione delle Nazioni Unite resistette quanto più poté alle richieste della magistratura di Berlino, prima di concedere "la sospensione dell'immunità diplomatica" a un solerte funzionario tedesco che dai bilanci della Compagnia elettrica aveva trasferito a Gibilterra su di un conto personale 4,6 milioni di euro. Uno degli ultimi amministratori Onu della martoriata regione aveva anch'egli delle liaison dangereuse: per l'esattezza due! Una delle assistenti latu sensu fu nominata direttrice della tv pubblica kosovare; per l'altra, invece, si creò uno speciale ufficio che gestiva la sommetta di 17 milioni di euro l'anno. Il caso di Wolfowitz potrebbe, però, ben presto uscire dal gossip per diventare un caso politico. L'istituzione di Washington, creata dagli accordi di Bretton Woods nel 1944, è - per così dire - una banca d'affari privata. I suoi soci sono gli Stati. Le sue regole quelle di una banca. I suoi scopi: promuovere lo sviluppo nelle aree più arretrate del pianeta. Infine, i capitali di base provengono - come al solito - dalle tasche dei contribuenti dei Paesi più sviluppati. I Paesi europei ne detengono il 36 per cento; gli Usa meno del 16. Dal 1944 ad oggi, tuttavia, un tacito accordo lascia al leader della Casa Bianca l'indiscussa facoltà di nominare il capo della Banca mondiale. Il caso Wolfowitz potrebbe aprire un delicato dossier politico. Anzittutto, perché l'affaire scuote un'istituzione già fortemente criticata per le sue politiche di sviluppo. Infine, perché Wolfowitz discreditando ulteriormente l'Amministrazione Bush, rischia di provocare ancora l'Europa. I soci di maggioranza - gli europei, appunto - potrebbero voler modificare quel tacito accordo che fa dell'inquilino della Casa Bianca il deus ex machina della Banca.


 

Milano Finanza 19-5-2007 Che gran business la CO2. Stefania Peveraro.

 

TRATTATO DI KYOTO I diritti di emissione di anidride carbonica sono scambiati in mercati dedicati sui quali dominano le grandi banche d'investimento Per fare trading proprietario, ma anche per strutturare prodotti per i retail. La lotta all'inquinamento non interessa soltanto gli ecologisti e le aziende che costruiscono impianti di produzione di energia pulita. Interessa sempre più anche il mondo della finanza, con le banche d'investimento protagoniste fisse dei mercati dei diritti di emissione di anidride carbonica (CO2) con l'obiettivo di fare profitti per i loro bilanci con il trading, ma anche di coprire posizioni quando vanno a strutturare prodotti derivati dedicati alla clientela. E quindi alle aziende e agli investitori istituzionali, ma anche ai privati. Insomma, 'le banche si stanno concentrando su quella che è una vera e propria nuova commodity, appunto la CO2', spiega a Milano Finanza Andrea Selvaggi, responsabile del commodity origination per Italia e Svizzera di Barclays capital, che aggiunge: 'I nostri trader lavorano sul mercato delle emissioni con i loro libri e spesso sono le controparti dei nostri clienti istituzionali per operazioni in derivati otc'.Il prezzo dei diritti di emissione in Europa dipende in prima battuta da quanto stabilito a livello di Unione europea nell'ambito dell'Emission trading scheme (Ets), lanciato nel 2005 come parte integrante del protocollo di Kyoto per il taglio delle emissioni di CO2 responsabili dei mutamenti climatici. L'Ets assegna dei diritti di emissione ai vari paesi Ue e poi a cascata il governo di ogni paese stabilisce quanti diritti vanno a ogni settore e quindi a ogni azienda: chiunque, interi paesi compresi, voglia produrre più CO2 di quanto ha diritto, può acquistare altri diritti sul mercato da altri che si ritrovino ad averne in eccesso. 'Sulla nostra piattaforma abbiamo ospitato per esempio l'asta dell'Ungheria', spiega Pietro Valaguzza, country manager di Sendeco2 in Italia, società spagnola che gestisce il mercato secondario spot dei diritti di emissione di CO2 in Spagna, Portogallo e Italia, permettendo alle medie e piccole aziende di accedere alla piattaforma paneuropea di negoziazione della Climex alliance. I mercati più importanti a livello europeo, però, sono l'European climate exchange (Ecx), mercato dei derivati di Londra e Powernext, mercato spot di Parigi. 'I nostri trader lavorano sull'Ecx di Londra, che è il mercato più importante in Europa sul quale Abn svolge anche la funzione di clearing member', spiega Gerhard Mulder, vice president commodities derivatives marketer di Abn Amro, che aggiunge: 'Fanno trading proprietario e sono spesso controparte della clientela istituzionale in operazioni otc. E non solo. Perché Abn ha anche strutturato una serie di prodotti che hanno come sottostante i diritti di emissione di CO2 e che sono destinati alla clientela retail'. Molto attiva sul settore è anche Dresdner Kleinwort, che è stata la prima banca nel 2005 a lanciare un certificato sui diritti di emissione. Nessuno di questi prodotti è quotato in Italia, ma possono essere comunque acquistati dagli italiani.In un prossimo futuro, poi, una grande quota di trading si posterà anche sui Cers, cioè i diritti di emissione di CO2 derivanti da progetti di produzione di energia pulita in paesi in via di sviluppo condotti da specialisti, in particolare dai cosiddetti carbon fund. 'Abbiamo una serie di accordi di distribuzione di Cer con le più importanti boutique e carbon fund internazionali', spiega Donatella Cuocci, responsabile della distribuzione di environmental products per l'Europa per JP Morgan, che aggiunge: 'Un Cer ha la stessa fungibilità di un Eua, ovvero di una quota autorizzata di CO2. Questi crediti di emissione possono essere utilizzati anche al di fuori dell'Eu-Ets (per esempio in Giappone e Canada) e in questo senso il mercato dei Cers è da considerarsi un vero e proprio mercato globale'. (riproduzione riservata) Milano Finanza Numero 099, pag. 25 del 19/5/2007


 

Milano Finanza 19-5-2007 Via alla competizione con il gigante nato dalla fusione tra Intesa e Sanpaolo. La sfida lanciata da Intesa Sanpaolo è stata raccolta. Andrea Di Biase.

 

Grazie a una capitalizzazione di borsa di oltre 100 miliardi di euro, più di 9 mila sportelli in Europa, di cui oltre 5 mila in Italia, ma soprattutto grazie a un rischio di esecuzione minore rispetto alla fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo Imi (almeno sotto il profilo delle sovrapposizioni), dalle nozze tra Unicredit e Capitalia nascerà una superbanca a tutto tondo, pronta a giocare da protagonista sia sul mercato interno sia su quello internazionale, dove invece Intesa Sanpaolo sconta ancora qualche ritardo.Nel piano di integrazione, messo a punto da Alessandro Profumo e Cesare Geronzi, presentato venerdì 18 maggio a Banca d'Italia, Consob e Antitrust e che sarà ratificato dai cda dei due istituti di credito nella mattina di domenica 20, è già stata individuata gran parte delle soluzioni organizzative necessarie a chiudere il cantiere della fusione in tempi brevi. Al di là degli aspetti finanziari, sintetizzati nel concambio di 1,12 titoli UniCredit ogni azione Capitalia (valorizzata attorno a 8,5 euro) e accolti con favore dai grandi soci di via Minghetti, è sotto il profilo organizzativo che Profumo è riuscito a ottenere di più.Anche dopo l'incorporazione di Capitalia, infatti, il gruppo UniCredit (che non cambierà nome) continuerà a operare in base al modello divisionale. Un modello organizzativo che in questi anni è stata la carta vincente del banchiere genovese e grazie al quale Profumo è riuscito a digerire, a tempo di record, due bocconi delle dimensioni di Hvb e Bank Austria e le loro controllate nell'Europa centro orientale. Un'integrazione a marce forzate che Profumo intende replicare anche con Capitalia. La soluzione proposta dai milanesi e condivisa dai romani prevede dunque il passaggio sotto la divisione retail di UniCredit, guidata da Roberto Nicastro, delle tre banche commerciali attualmente controllate al 100% da Capitalia.In particolare Bipop Carire sarà integrata in UniCredit banca, mentre Banca di Roma e Banco di Sicilia continueranno a operare con i loro marchi e saranno banche di riferimento del nuovo gruppo rispettivamente nel Centro e nel Sud. Ma se la Banca di Roma non sarà molto di più che una semplice rete di sportelli, per il Banco di Sicilia, anche per ragioni di opportunità politica, sarebbe stata pensata una soluzione più strutturata, tanto che sarebbe possibile anche un investimento diretto nella banca da parte della Fondazione Bds e della stessa Regione Sicilia, attualmente azioniste di Capitalia.Definito anche il destino delle banche specializzate e delle società prodotto del gruppo Capitalia. In particolare Mcc, attualmente specializzata nel credito industriale, leasing, factoring e finanza strutturata, diventerà la banca per le infrastrutture e per la pubblica amministrazione del nuovo gruppo. Le attività di leasing verranno conferite invece a Locat, attualmente già il secondo player nel settore in Italia.Un ruolo di primo piano dovrebbe averlo anche Fineco, la controllata di via Minghetti attiva nel canale online e nei mutui, che potrebbe essere utilizzata come la piattaforma nella quale integrare le varie fabbriche prodotto dei due gruppi, a partire da UniCredit banca per la casa a Clarima, la società di Piazza Cordusio che gestisce le carte dei credito.Diverso il destino di altre due contollate dell'istituto romano. Capitalia merchant, l'istituto specializzato nell'assunzione di partecipazione nel capitale di rischio delle imprese, dovrebbe finire nella divisione corporate di UniCredit. Il suo destino verrà deciso in un secondo tempo, ma è probabile che il portafoglio partecipazioni possa essere sfoltito, considerando che Piazza Cordusio vanta un'attività di merchant banking estremamente limitata.Lo scrigno del tesoro è invece Capitalia Partecipazioni. La società, (costituita nel giugno 2006) che custodisce le partecipazioni di via Minghetti in Mediobanca, Generali e Rcs, dovrebbe finire sotto il controllo della holding Unicredito Italiano e affidata alle cure di Cesare Geronzi. L'attuale numero uno di Capitalia si accinge infatti a essere nominato vicepresidente del nuovo gruppo con delega sulle partecipazioni. Una delega che Geronzi dovrebbe rimettere al momento della sua nomina a presidente del consiglio di sorveglianza di Mediobanca. Non entrerà a far parte del nuovo gruppo, invece, Matteo Arpe. Venerdì 18 il giovane manager ha infatti rassegnato le dimissioni dalle cariche di a.d. e direttore generale (vedere box a pagina 12) e non parteciperà dunque al consiglio di amministrazione di via Minghetti che darà il via libera alla fusione. A guidare l'istituto romano nei mesi caldi dell'integrazione con UniCredit, oltre a Geronzi ci saranno dunque il direttore generale Carmine Lamanda e il condirettore generale Alberto Giordano. Entrambi continueranno a essere affiancati dal superconsulente Claudio Costamagna.Ormai varato il merger, l'ultimo tassello da sistemare riguarda la cessione di parte della quota in Mediobanca. Profumo e Geronzi si sono impegnati infatti a vendere circa l'8% di Piazzetta Cuccia per non pesare troppo nell'azionariato della merchant bank. Ma chi rileverà il pacchetto messo in vendita dalla nuova superbanca? Le fondazioni azioniste di Unicredit si sono dette disponibili a rilevare parte delle azioni, ma sia Geronzi sia il management di Mediobanca punterebbero a una ripartizione più equilibrata. Tra gli interessati ad accrescere la propria quota potrebbe esserci Ennio Doris. 'Siamo favorevoli a intensificare i rapporti con Mediobanca', ha dichiarato venerdì 18 il patron di Mediolanum. Una promessa? (riproduzione riservata) Milano Finanza Numero 099, pag. 12 del 19/5/2007


INDICE 18-5-2007

+ La Repubblica 18-5-2007 Il premier Fillon presenta il governo. Sette ministri su 15 sono donne  1

+ Il Messaggero 18-5-2007 L'Estonia è sotto attacco informatico. E per un paese che ha strutturato il proprio sistema amministrativo su base informatica, con una quasi totale dipendenza dai computer, la cosa è grave. Di Marco Berti 2

+ La Stampa 18-5-2007 "E' l'ora di tagliare i costi". Degli altri Paolo Baroni 3

+ L’Espresso 18-5-2007 Ma il debito non è democratico di Francesco Bonazzi Il passivo dei Ds. Il valore dei contributi. Il problema delle sedi. Ecco i conti in tasca a Margherita e Quercia  3

Da asgmedia.it  17-5-2007 Alla Camera indagine conoscitiva sui "costi della politica". Lo ha deciso la commissione Affari costituzionali 5

Europa 18-5-2007 Crisi Rai, colpa anche del Tesoro  Nino Rizzo Nervo  5

Il Riformista  Il deficit del Pd è di cultura politica, non di laicità. di Claudia Mancina  6

Il Riformista 18-5-2007 TERRORISMO Ci spiega di che cosa parla viceministro Minniti? 7

La Stampa 18-5-2007Entusiasmo record dei gestori per le azioni europee, anche se temono l'aumento dei tassi http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifI guru mondiali dei fondi: profitti ed inflazione, tutto sta crescendo http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifOttimismo dal sondaggio mensile di Merrill Lynch. 7

Il Sole 24 Ore 17-5-2007 Bernanke (Fed) sui mutui casa: «in aumento fino al 2008 i pignoramenti»  8

Il Sole 24 Ore 14-5-2007 Stop alla Camera ai portaborse in nero. Ddl ad hoc al Senato di Nicoletta Cottone  9

Il Sole 24 Ore 17-5-2007 Liberalizzazioni, un successo di Dino Pesole  10

MF Dow Jones 17-5-2007 Telecom I.: Catricala', italianita' rete non e' problema reale  11

 


 

+ La Repubblica 18-5-2007 Il premier Fillon presenta il governo. Sette ministri su 15 sono donne

Numero due dell'esecutivo l'ex premier Alain Juppé, allo Sviluppo Sostenibile. La prima riunione è stata annunciata per le 16:30 di oggi

 

PARIGI - Il premier francese Francois Fillon ha nominato il suo governo. Sette dei quindici ministeri sono stati affidati a donne e come si prevedeva gli Esteri sono stati affidati al socialista Bernard Kouchner. Numero due dell'esecutivo è l'ex premier Alain Juppè, 61 anni, alla guida dello Sviluppo sostenibile, un maxi ministero che raggruppa anche Trasporti ed Energia.

Il presidente Nicolas Sarkozy aveva promesso un governo 'snello' e ha mantenuto la parola, con quindici ministri in tutto. Rispettato anche l'impegno all'apertura verso altre forze politiche. Oltre al socialista Kouchner della squadra fa parte il centrista Hervè Morin, cui è stata affidata la Difesa. Il nuovo esecutivo terrà la sua prima riunione alle 16:30 di oggi.

Ecco l'elenco dei ministri:
- Jean-Louis Borloo, 56 anni, ministro dell'Economia
- Michele Alliot-Marie, 60 anni, Interni
- Bernard Kouchner, 66 anni, Esteri
- Hervè Morin, 46 anni, Difesa
- Rachida Dati, 41 anni, Giustizia
- Brice Hortefeux, 48 anni, Immigrazione e Identità nazionale
- Xavier Bertrand, 42 anni, Lavoro e affari sociali
- Eric Woerth, 50 anni, Contabilità e finanze
- Xavier Darcos, 59 anni, Educatione nazionale
- Roselyne Bachelot, 60 anni, Sanità e Sport
- Christine Boutin, 63 anni, Coesione sociale
- Christine Albanel, 52 anni, Cultura
- Valerie Pecresse, 39 anni, Università e Ricerca
- Christine Lagarde, 51 anni, Agricoltura

 

 


+ Il Messaggero 18-5-2007 L'Estonia è sotto attacco informatico. E per un paese che ha strutturato il proprio sistema amministrativo su base informatica, con una quasi totale dipendenza dai computer, la cosa è grave. Di Marco Berti

 

ROMA - Da una ventina di giorni i siti internet delle banche, del Parlamento, dei ministeri, dei giornali, in sostanza di tutte le istituzioni politiche, amministrative e informative, sono oggetto di continue aggressioni telematiche che ne rendono impossibile l'utilizzo. La gravità della situazione estone è tale che la Nato ha inviato a Tallin i suoi migliori tecnici informatici per cercare di controbattere questa ondata di attacchi cibernetici. Ma da dove vengono questi nemici che marciano sul web? Il dito è puntato su Mosca che da qualche tempo è in aperta crisi con Tallin, da quando il governo estone ha deciso di rimuovere dal centro della capitale il monumento bronzeo al soldato sovietico della seconda guerra mondiale. Per Mosca la statua simboleggia il sacrificio dei militari russi morti combattendo il nazismo, per Tallin è invece l'emblema del dominio sovietico. La Russia ha reagito duramente a questa iniziativa, tanto che, sull'onda della protesta, l'ambasciatore estone a Mosca, Marina Kaljurand, è stata aggredita da un gruppo di giovani. Tutto questo ha provocato un'altra reazione, quella dell'Unione europea, solidale con l'Estonia e la controreazione russa che ha contestato alla Ue di non aver mosso un dito per la brutale repressione della polizia estone nei confronti dei manifestanti filo russi che protestavano per la rimozione della statua e dell'uccisione di uno di loro. Ed è in questo contesto che si apre oggi in Russia, a Samara, sulle rive del Volga, il vertice Mosca-Ue. Il clima non è certo dei migliori in quanto, oltre al problema della crisi con l'Estonia, aleggiano altre situazione critiche che dividono profondamente la Russia dai membri dell'Unione. In testa la questione polacca che in queste ore ha assunto toni pesanti dopo il rifiuto del ministro degli esteri di Varsavia, Anna Fotyga, di un invito per una visita di lavoro a Mosca, circostanza che ha creato "stupore", per dirla con un termine diplomatico, al Cremlino. Nel novembre del 2005 Mosca ha deciso un embargo sui prodotti animali e vegetali della Polonia e Varsavia, di conseguenza, sta bloccando alla Ue l'approvazione del mandato per aprire i negoziati sul Pca, un accordo di cooperazione Ue-Russia. C'è anche il problema del petrolio lituano: Vilnius si è schierata con Varsavia per protestare contro l'interruzione delle forniture che, secondo la Russia, derivano da un guasto tecnico. In realtà il sospetto è che Mosca lo faccia per rappresaglia contro la Lituania che, nella privatizzazione della raffineria di Mazeikiu ha preferito una società polacca, mettendo fuori gioco la Russia. Sul vertice aleggia anche indirettamente (la questione riguarda infatti la Nato) il problema della scudo antimissile Usa che Washington vuole installare in Polonia e nella Repubblica ceca. E c'è il Kosovo e il suo status. Indipendenza o semplicemente una forte autonomia continuando a far parte della Serbia? La Russia è schierata con Belgrado, contro Pristina, su questa seconda posizione, non così la Ue che spinge per una risoluzione Onu che affermi una sorta di indipendenza controllata.Sul tavolo della conferenza Ue-Russia ci sarà anche l'Iran con il suo nucleare e l'eterna crisi Israele-Palestina. Se il vertice si apre nel vento della discordia, il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso getta acqua sul fuoco. "la Russia e l'Ue sono dei partner strategici. È nel nostro comune interesse avere una relazione buona e costruttiva", ha detto al suo arrivo a Samara.

 


 

+ La Stampa 18-5-2007 "E' l'ora di tagliare i costi". Degli altri Paolo Baroni

 

ROMA "Se ci fosse un accordo ve lo avrei annunciato". Prodi ci crede e continua a spingere perché si arrivi in tempi rapidi ad un taglio dei costi della politica: il suo desiderio è quello di varare già nelle prossime settimane "provvedimenti concreti". Però il premier deve fare i conti con gli interessi dei partiti, le burocrazie dei ministeri e la suscettibilità di Comuni e Regioni. Mettere in campo "un discorso molto esteso e completo" come vuole lui, e evitare al tempo stesso di scadere nella demagogia, non è cosa facile. "A parole sono sempre tutti d'accordo, ma purché i tagli riguardino gli altri - spiega il responsabile economico della Margherita, Tiziano Treu -. Mentre intervenire in maniera seria sulla miriade di enti e società pubbliche, su comuni, province o comunità montane non è per niente facile. E' evidente che gli ostacoli ci sono anche all'interno della nostra maggioranza". I comuni per bocca del presidente dell'Anci Leonardo Domenici si sono già detti disposti a discutere di tagli, ma come contropartita, pretendono che governo, ministeri e Parlamento facciano altrettanto. "Non pensino di scaricare tutto sulle nostre spalle" ha dichiarato sabato a "la Stampa". A palazzo Chigi, dove questa settimana si è insediata la commissione guidata dal ministro per l'Attuazione del programma Giulio Santagata, stanno studiando la questione. "Il consiglio di Stato ha bocciato il taglio del 10% delle indennità degli amministratori locali perché lede l'autonomia degli enti? D'accordo, ma questo non esclude che si possano ridurre i trasferimenti, poi decidano loro come fare". Quattro i filoni di intervento individuati dalla task force composta dai rappresentanti dei principali ministeri: enti locali, società pubbliche, organizzazione dei dicasteri, organi costituzionali. Si parla di risparmi è ovvio, ma soprattutto in una logica di maggiore efficienza. E si cerca di seguire tre distinti principi ispiratori: comunicazione, trasparenza ed etica. Santagata, incoraggiato da Prodi, marcia spedito: già mercoledì prossimo si dovrebbe tenere un nuovo incontro che servirà ad effettuare una prima scrematura delle proposte per comporre un vero e proprio "libro bianco" sui costi della politica. Che poi, Parlamento permettendo, dovrà essere tradotto in interventi concreti, da inserire già nel prossimo Documento di programmazione economico-finanziaria (e quindi in Finanziaria), oppure in un apposito disegno di legge. "Santagata assieme alla commissione sta facendo un lavoro serio e imparziale" ha spiegato ieri il premier durante la conferenza stampa tenuta a palazzo Chigi. Dal canto suo Treu è convinto che Prodi andrà avanti: "Ridurre le pensioni dei parlamentari, oltre che rappresentare un intervento simbolico, è sacrosanto. Ma poi bisognerebbe andare giù molto più duri su tutto il resto, io questo a Prodi l'ho detto chiaramente. E lui concorda". Intanto, per mettere le cose in chiaro, Comuni, Province e Comunità montane hanno diffuso i loro conti: il costo annuo dei nostri 205 mila amministratori locali è pari ad 890 milioni di euro, 702 milioni vanno ai comuni, 115 alle Province e 71,9 alle Comunità montane. Sempre ieri l'ufficio di presidenza della Commissione Affari costituzionali della Camera ha deciso di avviare una indagine conoscitiva con l'obiettivo di arrivare ad elaborare una proposta di legge quadro. Ma anche qui non sono mancate le polemiche. "Più che un'indagine - ha commentato caustico Giorgio La Malfa - servirebbe una commissione d'inchiesta".

 

 


 

+ L’Espresso 18-5-2007 Ma il debito non è democratico di Francesco Bonazzi Il passivo dei Ds. Il valore dei contributi. Il problema delle sedi. Ecco i conti in tasca a Margherita e Quercia

 

Una testa, un voto. Certo. Ma anche una testa, 180 euro di debiti. Se il partito democratico nascesse oggi, sommando i tesserati di Ds e Margherita, avrebbe circa un milione di iscritti e 180 milioni di euro di debiti. Tutti di origine diessina. Non accadrà, naturalmente, perché al partito di Rutelli e Marini non sono nati ieri. E poi perché non sarebbe una bella trovata d'immagine partire con una zavorra simile. La cruda cifra dei debiti, però, aiuta a capire che cosa bolle nelle cucine del Pd. Ovvero nelle stanze dei tesorieri. Dove il problema non è chi mettere nel Pantheon ideale del grande nascituro, ma dove parcheggiare debiti, contributi, rimborsi elettorali, immobili, contratti di locazione, giornali, fondazioni, i marchi delle feste e possedimenti vari. Dove l'imbarazzo sui Dico non è da che parte stare e in quale piazza andare, ma su come metterne a punto uno che regoli in modo equo e civile la futura convivenza tra Ds e Margherita. E su come limitare al massimo il danno economico della separazione a sinistra con Mussi, Angius e Salvi. Uno scherzetto rosso che rischia di costare almeno 16 milioni di euro di qui alla fine della legislatura, solo a calcolare i rimborsi elettorali che spettano ai 36 deputati che lasciano i gruppi dell'Ulivo. "I compagni non fanno che chiedermi dove ci compriamo la sede...", butta lì Ugo Sposetti, tesoriere della Quercia, quando incontra il suo omologo della Margherita, Luigi Lusi. Pare che un bel palazzone di proprietà, magari nel centro più centro di Roma, rassicurerebbe la base diessina sul fatto che il Pd non sia l'ennesima roulotte politica dalla quale entrare e uscire ogni cinque anni. C'è chi ancora rimpiange il mitico Bottegone, venduto nel 1997 sotto il peso di un debito che allora sfiorava i mille miliardi di lire e che Sposetti ha pazientemente portato dai 580 milioni di euro del 2001 agli odierni 180. E c'è chi non vede l'ora di mollare il triste Botteghino affittato in via Nazionale. La Margherita, invece, la sede se l'è appena comprata e ristrutturata a Sant'Andrea delle Fratte, contraendo un mutuo quinquennale da 3,75 milioni di euro che è anche l'unico debito a lunga scadenza del partito. è bellissima, ma non ha le dimensioni necessarie per ospitare la futura direzione del Pd. "La sede del nuovo partito? L'affitteremo e basta", taglia corto Lusi, che ha in mente una struttura snella e con i conti sempre in equilibrio. Non sarà facile, ma il primo problema sarà proprio farli, i conti. Intanto, nei prossimi mesi dovrebbe nascere la classica 'newco', una società priva di debiti che farà da veicolo verso il Pd. Potrà contare su un cospicuo attivo da sventolare con banche e fornitori, ovvero la titolarità di quei contributi pubblici che con i deputati di oggi varrebbero almeno quaranta milioni l'anno. Debiti e rapporti economici dei vecchi partiti, invece, rimarrebbero parcheggiati in entità giuridiche rigorosamente separate. E qui la partita delicata si gioca in Parlamento, dove la Quercia (ma anche Forza Italia) ha bisogno come il pane di far approvare un emendamento alla legge sul finanziamento pubblico che consenta alle fondazioni di ricevere cespiti patrimoniali e attività economiche dei partiti. Si tratterebbe di recepire l'intesa già trovata a gennaio tra Giulio Tremonti e Sposetti, sulla quale però ci sono la netta contrarietà delle formazioni minori e i dubbi di coscienza di vari deputati, preoccupati che il costo dei partiti lieviti ancora e divenga meno trasparente. Il giochetto sulle fondazioni 'di area', però, è fondamentale per una nascita serena del Pd perché permetterebbe di trasferire in capo a una fondazione le poste che non si vogliono o non si possono portare nella nascente casa comune. Per fare un esempio, i Ds potrebbero metterci gran parte dei debiti e farvi confluire anche finanziamenti di soggetti privati, immobili attualmente parcheggiati in società vicine al Botteghino, oppure le quote della tv satellitare e perfino il marchio delle feste di partito. Ma se è vero che il sistema Feste dell'Unità è un gioiello con un giro d'affari da 300 milioni di euro, pochi sanno però che a guadagnarci sono esclusivamente le piccole sezioni locali. Il che rende complicatissimo fare i conti, sia in previsione di una futuribile festa del Pd (tanto l'obiettivo vero sono le Europee del 2009), sia alla vigilia della separazione economica con l'ex Correntone. L'altro fronte che occupa i 'ragionieri' del Pd è quello delle strutture territoriali. La Margherita ha 460 mila iscritti e oltre 15 mila circoli, in gran parte affittati. La Quercia pre-scissione può invece contare su 615 mila iscritti e quasi 7 mila sezioni. Una vera trattativa tra Sposetti e Gianni Zagato, coordinatore organizzativo di Sinistra democratica, non è ancora iniziata. Per ora siamo solo alle schermaglie. E ogni volta che i mussiani hanno fatto capire che vorrebbero almeno le sezioni dove la mozione Fassino è minoritaria (specie a Roma, Milano, Genova, Torino), Sposetti ha mandato a dire che allora si devono dividere pro-quota anche i famosi debiti. La realtà è che qualunque conteggio con il bilancino è praticamente impossibile. A Lamezia Terme, per fare un esempio, quattro sezioni su quattro sarebbero in mano a Mussi. In alcune zone, invece, le sezioni sono state comprate dai compagni con l'autotassazione (e vai a capire di chi sono le quote), oppure sono ospitate dal locale circolo Arci. Poi vi sono regioni come il Piemonte dove sono quasi tutte in affitto. Anzi, secondo una stima ufficiosa, sarebbero di proprietà del partito non più del 40 per cento delle sezioni. Che fare? Zagato lancia messaggi di pace: "Evitiamo di far lavorare i fabbri e sediamoci intorno a un tavolo per venire a capo della questione entro l'estate, anche perché noi abbiamo bisogno di fare attività politica subito". Sinistra democratica, però, sembra più che altro orientata agli affitti. 'Sobrietà e rigore' sono le due parole d'ordine di Zagato, e c'è da credergli. Ma sotto sotto c'è anche una buona dose di prudenza, visto che i cantieri della nuova Cosa Rossa sono appena cominciati e alla fine non è detto che servano poi tutte queste nuove 'case del popolo'. La sola Rifondazione ha già la bellezza di 2.500 circoli per 93 mila iscritti (con bilanci in attivo e pochi debiti). Basta che Mussi non si faccia appioppare i debiti della Quercia, e anche qui tutto si può fare. n.

 


Da asgmedia.it  17-5-2007 Alla Camera indagine conoscitiva sui "costi della politica". Lo ha deciso la commissione Affari costituzionali

 

 

 

La Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, nella odierna riunione dell'Ufficio di presidenza, ha deciso di avviare una indagine conoscitiva sui "costi della politica", nell'ambito dell'esame di alcune proposte di legge presentate in materia da rappresentanti di diversi gruppi parlamentari. L'indagine è finalizzata a raccogliere ogni elemento di conoscenza utile per individuare i criteri di migliore regolazione e di massima trasparenza dei costi connessi in maniera diretta all'esercizio delle funzioni istituzionali degli organi rappresentativi ed esecutivi dei diversi livelli territoriali di governo, e di taluni organismi amministrativi di particolare rilevanza, compresi i vertici dei ministeri e delle società a partecipazione pubblica.
La Commissione opererà secondo un metodo di consultazione tra le diverse istituzioni, chiamate a collaborare sulla base del generale principio di accountability che impone alle istituzioni di rendere conto ai cittadini delle loro spese. La trasparenza è, infatti, nel mondo occidentale il piú importante fattore di legittimazione per chi spende il denaro pubblico. L'indagine coinvolgerà un'ampia platea di rappresentanti degli organismi interessati, nonché giuristi, economisti, sociologi, addetti al sistema della comunicazione ed altri esperti della materia. La Commissione procederà anche ad una raccolta di dati sulla esperienza di altri paesi comparabili con il nostro, a partire dai costi connessi all'esercizio delle funzioni parlamentari, in correlazione con una valutazione anche quantitativa dell'attività svolta dalle istituzioni parlamentari nei diversi paesi.

Al termine del percorso conoscitivo la Commissione intende elaborare una proposta di legge quadro volta a contenere, razionalizzare e rendere trasparente la spesa nel settore e al tempo stesso a tutelare la fondamentale esigenza del migliore e piú efficiente funzionamento delle istituzioni democratiche, nel rispetto delle sfere di autonomia riconosciute agli organi costituzionali e ai diversi livelli territoriali (red).

 


 

Europa 18-5-2007 Crisi Rai, colpa anche del Tesoro  Nino Rizzo Nervo

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I tecnici si sa sono diversi dai politici: hanno competenze specifiche, sono concreti, parlano chiaro, come quando tengono lezioni magistrali nelle università o partecipano a workshop o seminari, usano studiare i dossier e per questo vanno subito al cuore del problema.
Ecco perché non posso non essere grato al professor Tommaso Padoa-Schioppa che mercoledì ha spiegato alla commissione parlamentare di vigilanza perché ha deciso di rimuovere il suo rappresentante nel consiglio di amministrazione della Rai.
Tra quelle pronunciate dal ministro dell’economia c’è una frase chiave e rivelatrice che vale la pena di segnalare: «La responsabilità però non è di uno solo». Ha ragione signor ministro. C’è un altro grande responsabile delle gravi difficoltà in cui versano la Rai e il suo consiglio di amministrazione da più di un anno: l’Azionista, a causa della sua r e i t e r a t a inerzia di fronte alla crisi evidente dell’azienda di sua proprietà.
Ogni volta che accadeva un fatto che in qualsiasi altra spa avrebbe messo in allarme i soci proprietari, il quasi unico azionista della Rai preferiva girare la testa dall’altro lato per non vedere. Così è avvenuto nel maggio dello scorso anno quando l’incompatibile Meocci si vide costretto a mettersi in aspettativa ed il consiglio di amministrazione, con mossa ardita ma dettata dalla necessità di non chiudere la baracca, si autodelegò per circa due mesi i poteri del direttore generale conferendoli al presidente. Così si è ripetuto il 21 luglio del 2006 quando il Tar confermò la sanzione plurimilionaria dell’Agcom per aver dato il consiglio, con una maggioranza risicata di 5 a 4, lo scettro di direttore generale a chi per legge non poteva averlo e lo stesso è avvenuto il 19 dicembre del 2006 quando il Consiglio di stato rese definitiva quella sanzione. È evidente che gli Azionisti non solo non vogliono perdere tempo a comunicare di tanto in tanto con le proprie aziende ma, troppo impegnati, non leggono neanche i giornali.
Altrimenti quello della Rai almeno si sarebbe accorto che sin dall’insediamento del consiglio il suo rappresentante era stato sempre indicato come uno dei cinque membri della Casa delle libertà. Poi ci fu l’8 marzo di quest’anno quando il nuovo direttore generale si vide bocciare autorevolissime proposte per il rilancio e la riqualificazione dell’offerta editoriale che è il core business dell’azienda.
Quella volta l’Azionista oltre a non leggere i giornali non vide neanche la tv.
Peccato, si sarebbe accorto che il suo presidente del consiglio a Matrix aveva detto: «A me il consiglio di amministrazione della Rai sembra paralizzato », aggiungendo che «quando un direttore generale si vede bloccate alcune proposte fondamentali, si può andare avanti un po’, poi bisogna trovare una soluzione». Dalle mie parti, in Sicilia, si dice: «Io non c’ero e se c’ero dormivo». Eppure nel settore in cui opera la Rai, quello della televisione, come dice spesso uno che se ne intende, Rupert Murdoch, a causa delle continue innovazioni tecnologiche e delle opportunità del mercato, più che le decisioni conta la velocità con cui esse si prendono.
Adesso che comunque l’Azionista ha battuto un colpo, anzi come spesso accade, per strafare ne ha sferrati maldestramente più di uno, conviene guardare avanti. Un goal, infatti, finalmente il governo lo sta per segnare: il disegno di legge sulla governance della Rai per cancellare la Gasparri, vera responsabile delle difficoltà di oggi.
Diciamo subito che ci piace: perché attenua fortemente il legame perverso con i partiti, perché nel rispetto delle sentenze della Corte costituzionale toglie il servizio pubblico dall’influenza del governo, perché rende finalmente la Rai un’azienda normale dove gli amministratori dovranno rispondere soltanto al codice civile e potranno prendere decisioni tempestive in relazione all’evoluzione del mercato, perché con la creazione di più società operative consentirà ai cittadini di controllare da soli se il canone di abbonamento è utilizzato per fini di servizio pubblico o commerciali, ma soprattutto perché nei momenti difficili non sarà più il ministro dell’economia a doversene occupare.

 


 

Il Riformista  Il deficit del Pd è di cultura politica, non di laicità. di Claudia Mancina


La questione cattolica agita sempre di più il dibattito sul Partito democratico. Le divisioni tra i Ds e la Margherita, le evidenti difficoltà dei Ds, lacerati da tensioni opposte, fanno apparire difficile la realizzazione del Pd. Il cui primo obiettivo, nelle parole di Prodi, dovrebbe essere il superamento degli storici steccati tra laici e cattolici. C’è chi dispera, e pensa che il nuovo partito nascerà sotto l’ala della Chiesa, e metterà fuori gioco la cultura politica della sinistra e il suo tradizionale impegno sul fronte della laicità. Ma un esito di questo tipo equivarrebbe al fallimento sostanziale del progetto. Anche pensare a una componente laica del Pd non rappresenta una soluzione, anzi non sarebbe che un altro modo di dichiarare fallimento. La laicità dev’essere nel Dna del Pd, non può essere solo una componente.
È presumibile però che la laicità riuscirà più facile al Pd che alla Margherita e perfino ai Ds, se si tratterà di un soggetto forte e capace di svolgere un ruolo autonomo nella politica nazionale. Se sarà così, è naturalmente l’interrogativo. Ma l’ottica dev’essere rovesciata: non è che il Pd sarà debole perché c’è un conflitto tra laici e cattolici; ci sarà questo conflitto se il Pd sarà debole. E dunque la questione fondamentale è sempre quella del modo in cui si costruisce questo partito: se si riuscirà a radicarlo nelle motivazioni politiche degli italiani, se si riuscirà a farne quella cosa nuova che è stata promessa. La scelta di un coordinamento puramente organizzativo per la fase costituente determina uno stato di transizione tra i vecchi partiti che non ci sono più e il nuovo che non c’è ancora, non riempito da una guida politica. Così si rischia di prolungare un vuoto di politica. Da questo derivano i problemi sul fronte della laicità, un fronte oggi particolarmente delicato, che richiederebbe una guida forte e unitaria.
Quello che si dovrebbe fare oggi nei Ds, e tra i Ds e la Margherita, è un chiarimento di cultura politica, una riflessione che vada oltre la quotidianità delle dichiarazioni, che spesso si contraddicono tra di loro. Non è un problema che i Ds siano per la famiglia e aderiscano al Gay pride, è un problema che non riescano a fare emergere il filo che lega queste opzioni, che altri reputano incompatibili, ma che, in una cultura politica laica e liberale, sono perfettamente compatibili. Non è un problema che i Ds non siano andati né a piazza Navona né a San Giovanni, è un problema che non abbiano un discorso, delle categorie, per dire che non si trattava di neutralità o peggio di imbarazzo, ma di una scelta che guarda più avanti. Non è un problema che nella Margherita qualcuno sia andato al Family Day, è un problema che su questo si facciano dei giochi politici e si ricatti il governo. Insomma, il difetto del futuro Pd non è un deficit di laicità, ma un deficit di cultura politica, che determina un eccesso di tatticismo e di piccolo cabotaggio.
La questione cattolica è una questione troppo seria per essere affrontata in questo modo. Ha ragione Caldarola a dire che una Chiesa preoccupata dalla secolarizzazione, timorosa di una sconfitta epocale, sta tentando una Reconquista in Europa, a partire dall’Italia, non casualmente identificata come il ventre molle del continente, per la debolezza del suo sistema di partiti e la conseguente difficoltà di governare le spinte dell’opinione pubblica. Proprio per questo però ci vorrebbe una riflessione più avanzata, che sappia vedere le novità (positive e negative) del fenomeno religioso e il modo in cui esso si intreccia con le difficoltà della democrazia. La riproposizione automatica di vecchi schemi della laicità novecentesca non serve a capire; non consente di vedere le divisioni in seno al mondo cattolico, tanto meno di approntare politiche all’altezza dei problemi di una società multireligiosa, attraversata dai rischi del fanatismo e dell’intolleranza. Senza questo approfondimento, ci si illude di offrire resistenza all’influenza aggressiva della Chiesa, ma si finisce invece per legittimarla ulteriormente.

 


 

Il Riformista 18-5-2007 TERRORISMO Ci spiega di che cosa parla viceministro Minniti?

Non è escluso che quando leggerete questo giornale vi cada un mattone in testa, anche se al momento non c’è alcun indizio che spinga a pensare che ciò possa accadere. Che cosa pensereste di qualcuno che vi facesse un discorso simile? È quello che pensiamo noi delle dichiarazioni rese, ieri alla Camera, dal viceministro dell’Interno Marco Minniti sulla vicenda dell’autobus dirottato in Piemonte. Stando alle agenzie, il viceministro ha detto esattamente quanto segue: «Al momento e fermo restando che le indagini procedono per accertare tutti gli aspetti di questo gravissimo episodio e pure non emergendo alcun indizio che possa far ricondurre l’episodio ad atti di terrorismo, la valutazione dei fatti e delle circostanze non consente di escludere alcuna finalità dell’atto criminoso». Ci scusi, signor viceministro, ma che logica è mai la sua? Che senso ha evocare il fantasma del terrorismo se, come dice lei, non emerge «alcun indizio» che di terrorismo si sia trattato?
Fatto sta che un effetto il flatus vocis viceministeriale lo ha avuto: per tutto il pomeriggio e fino a sera agenzie di stampa, radio e televisioni hanno parlato di un allarme terrorismo che, dobbiamo pensare (e speriamo vivamente), non è mai esistito. Oppure, signor viceministro, lei non ha parlato per così dire sul nulla ed è a conoscenza di qualcosa che la spinge a pensare che quell’ipotesi abbia un qualche fondamento. Nel qual caso, se può, potrebbe farlo sapere anche a noi? Non vogliamo che ci racconti segreti (se ci sono), ma abbiamo il diritto, come cittadini, di non essere trattati come cretini che da un lato vengono rassicurati dicendo che indizi non ci sono e dall’altro invitati ad avere paura.

 


 

La Stampa 18-5-2007Entusiasmo record dei gestori per le azioni europee, anche se temono l'aumento dei tassi http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifI guru mondiali dei fondi: profitti ed inflazione, tutto sta crescendo http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifOttimismo dal sondaggio mensile di Merrill Lynch.

 

http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif NEW YORK.  I gestori internazionali dei fondi comuni hanno confermato di avere fiducia nella forza attuale dell'economia globale e nelle prospettive degli investimenti azionari, e le loro previsioni positive sul miglioramento dei profitti delle aziende stanno superando, per ora, i timori di una ripresa dell'inflazione e di una conseguente stretta monetaria. Per i circa 200 money manager, che amministrano 586 miliardi di dollari di risparmio mondiale e che hanno partecipato al sondaggio di maggio organizzato dalla Merrill Lynch, l'Indicatore Composto delle Aspettative di Crescita Globale Merrill Lynch è cresciuto di 10 punti in un mese, da 33 a 43. Le nubi che si erano addensate nel primo trimestre sul futuro dell'economia globale, prospettando la possibilità di una recessione americana che avrebbe compromesso l'espansione in Asia ed Europa, si sono dunque diradate. La differenza netta di ottimisti sul rafforzamento generale delle economie internazionali è passata dal -29% di aprile al -18% di maggio, con gli investitori assai meno preoccupati di un mese fa sugli utili delle corporation: se prima la differenza tra chi prevedeva un aumento e chi no era negativa per 32 punti percentuali, adesso il gap tra positivi e negativi si è ridotto drasticamente a -12 punti. Ancor più significativo del migliorato clima tra gli asset managers è che la quota di coloro che puntano oggi su una crescita a due cifre dei profitti nei prossimi 12 mesi è salita dal 25% di aprile al 35% di maggio. L'ottimismo crescente sui mercati, che è ben simboleggiato dai continui record del Dow Jones delle 30 blue chips americane, che ha guadagnato circa 1500 punti in meno di due mesi e punta ai 14mila punti, porta con sè una preoccupazione, come ha detto David Bowers, il consulente esterno della banca d'investimenti Merrill Lynch che cura la ricerca mensile tra i gestori: "Insieme alle aspettative di una crescita più sostenuta aumenta il timore che l'inflazione, al di là di cibo ed energia, possa salire nel breve-medio termine. E ciò ha alzato la soglia della paura che le banche centrali possano rispondere con aumenti dei tassi di interesse". Gli investitori sono sulle spine sotto questo aspetto: il bilancio netto di coloro che si attendono una salita dell'inflazione da qui a un anno è cresciuto dall'11% al 34% di maggio, con la logica conseguenza che la percentuale netta di chi prevede più alti tassi d'interessi a breve è schizzata al 29% dal 2% che era all'inizio di aprile. E la metà degli interpellati, contro il 37% del mese di marzo, scommette che ci saranno entro un anno più elevati tassi di interesse a lungo termine. Passando alle Borse, la percezione sulla sopravvalutazione delle quotazioni azionarie non è stata per ora influenzata negativamente dai nuovissimi timori su inflazione e tassi: l'indice ML relativo per l'appunto a questa percezione, che era a quota 46 in febbraio, 45 in marzo e 48 in aprile, in maggio si è confermato in linea, a quota 47. L'indice dell'Appetito per il Rischio combinato con il tasso di Liquidità, a quota 42, è in linea con il mese precedente (41) e con febbraio, e appena più alto che a marzo (quando era a 37). Lo spettro di inflazione e tassi più alti non ha sconvolto i portafogli, poichè i money manager credono ancora che i prezzi delle azioni siano equi: una percentuale netta del 52% sovrappesa le azioni, rispetto al 50% di aprile. I responsabili dell'asset allocation continuano a credere che le azioni siano più a buon mercato delle obbligazioni, con l'entusiasmo per le azioni europee che ha raggiunto nuovi picchi. E non solo percentuali record di gestori credono che l'eurozona abbia le migliori prospettive di crescita dei profitti (non si fa fatica a crederlo, vista la crescita del PIL europeo al 3,1% nel primo trimestre 2007); tra gli investitori è diffusa la convinzione che le società in Europa abbiano profitti di miglior qualità rispetto alle aziende concorrenti americane. Non stupisce così che il 56% netto degli interpellati sia oggi sovrappeso sulle azioni europee, e che il 36% preveda comunque che lo sarà in un arco temporale di 12 mesi. Per trovare un approccio tanto bullish, positivo, verso il Vecchio Continente rispetto agli Usa occorre riandare al gennaio 2000. A quel tempo, giova ricordare, le azioni europee si preparavano a cadere in un letargo di tre anni, nei quali furono sempre superate da Wall Street che pure fu colpita dal famoso sboom di Internet.
 glauco.maggi@lastampa.it 

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VOCI DIZIONARIO 
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EURO, è la moneta usata dagli Stati della Unione Europea Monetaria, per ora 13 (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Spagna), e da altri 6 Stati minori in virtù di accordi con l'Unione o che hanno assunto l'euro unilateralemente (Andorra, Kosovo, Monaco, Montenegro, San Marino, Vaticano). La Banca emittente è la Banca Centrale Europea e l'euro è in circolazione materiale dal 01/01/2002, sebbene sia entrato in vigore il primo gennaio 1999, con la fissazione delle parità immodificabili tra le vecchie valute e l'euro. La parità fissata per la lira, per esempio, fu di 1936,27 lire per 1 Euro. 
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EUROZONA, è l'area geografica e valutaria dei Paesi che hanno adottato l'euro; per ora sono tredici Stati, che fanno parte dell'Unione Economica e Monetaria europea (UEM): Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia e Spagna. Nel suo complesso l'Eurozona conta (inizio 2007) oltre 317 milioni di abitanti. L'eurozona è termine molto usato, nel mercato obbligazionario e azionario, per indicare bond e azioni espressi in euro. Gli indici europei, infatti, si dividono in indici "europei" o "euro" a seconda se comprendono titoli di tutta Europa o solo titoli dell'Eurozona.


 

Il Sole 24 Ore 17-5-2007 Bernanke (Fed) sui mutui casa: «in aumento fino al 2008 i pignoramenti»

 

La crisi in atto nel mercato dei mutui «subprime» - mutui erogati a clienti con basso merito creditizio, caratterizzati pertanto da elevati rischi e rendimenti - non produrrà un sostanziale effetto domino sull'economia degli Stati Uniti; tuttavia, i casi di inadempienza e anche di pignoramento aumenteranno fino al 2008. È quanto ha detto, nel corso di una conferenza organizzata dalla Chicago Fed,il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke.

«Il rallentamento delle attività dei prestiti subprime frenerà l'acquisto di case e gli investimenti in immobili residenziali nei trimestri a venire - ha detto Bernanke - In più, è probabile che assisteremo a ulteriori casi di inadempienze e di pignoramento sia nel corso di quest'anno che nel prossimo, dal momento che molti prestiti a tasso variabile faranno fronte all'aggiustamento dei tassi di interesse». Grazie alle condizioni favorevoli del mercato del lavoro, le conseguenze della crisi del mercato subrpime sull'intero comparto immobiliare saranno però «probabilmente limitate, e non ci aspettiamo effetti significativi sul resto dell'economia o sul sistema finanziario», ha aggiunto il presidente della Fed. Riguardo al modo in cui il problema dovrebbe essere risolto, Bernanke ha spiegato che Fedaral Reserve farà il possibile per limitare il ricorso troppo facile al credito che ha provocato i numerosi casi di default (mancato ripagamento del debito). Tuttavia non ha fatto alcun riferimento specifico alla necessità di regole più severe nel mercato del credito.


 

Il Sole 24 Ore 14-5-2007 Stop alla Camera ai portaborse in nero. Ddl ad hoc al Senato di Nicoletta Cottone

 

Per dare regole alla situazione dei portaborse al Senato è in arrivo un disegno di legge ad hoc ed è allo studio il varo di un contratto nazionale collettivo di lavoro, mentre alla Camera, dove da oggi scattava il divieto di ingresso ai portaborse senza contratto, è stata scelta la linea morbida, senza controlli all'ingresso. Su questo fronte dall'Ufficio di presidenza potrebbe arrivare già mercoledì mattina una proroga in risposta al pressing di quei deputati che hanno avviato le pratiche per regolarizzare i collaboratori. Nonostante, però, sia scaduto l'ultimatum del presidente della Camera Fausto Bertinotti per la regolarizzazione dei portaborse in nero, i tempi di risoluzione del problema si annunciano lunghi. La denuncia del marzo scorso da parte del programma di Italia Uno «Le iene», aveva nuovamente portato alla ribalta l'annoso problema, che prima si era consumato solo nelle aule di Camera e Senato, di legislatura in legislatura. L'inchiesta condotta dalle Iene aveva messo in luce che a Montecitorio su 683 collaboratori degli onorevoli deputati solo 54 erano in regola.

Percorsi a due vie per Camera e Senato. Oggi a distanza di due mesi non è cambiato molto, anche se alla Camera l'Ufficio di presidenza ha adottato una delibera con precisi paletti. «Tutti gli assistenti accreditati - spiega l'onorevole Francesco Piro (Ulivo) - dovranno avere un regolare contratto di lavoro. Scompariranno, dunque, i cosiddetti volontari». Dentro i locali, precisa il questore della Camera Gabriele Albonetti (Ulivo) «potranno entrare solo i collaboratori per i quali i parlamentari abbiano depositato copia del contratto vistato da esperti della materia». È stato anche presentato un disegno di legge nel quale l'onorevole Luciano D'Ulizia (Italia dei valori) invitava i parlamentari a costituire enti o cooperative per assumere gli assistenti, con una maggiorazione del 50% della quota mensile di rimborso forfetario per le spese di rapporto con l'elettorato. Proposta che peserebbe ben 22 milioni di euro sui bilanci di Camera e Senato. A Palazzo Madama, invece, è stato nominato il comitato ristretto, costituito da due senatori della maggioranza e due dell'opposizione, che sta elaborando un disegno di legge ad hoc e sta studiando l'opportunità di un contratto collettivo nazionale per i collaboratori dei parlamentari.

In questa legislatura a sollevare il velo sulla controversa vicenda dei portaborse in nero aveva contribuito lo scorso anno il senatore Antonio Paravia (An) che appena eletto si era visto invadere la casella di posta di Palazzo Madama da lettere di persone che si offrivano come collaboratori. Una piccola indagine svolta ascoltando i precari che si erano proposti aveva messo in luce che moltissimi collaboratori, precari anche da oltre dieci anni, guadagnavano dai 500 ai 1.500 euro, a seconda dell'impegno profuso, lavorando senza alcun tipo di contratto. Complice, al Senato, come spiega in una lettera del 28 luglio 2006, il segretario generale di Palazzo Madama, il fatto che «il contributo per il supporto di attività e compiti degli onorevoli senatori connessi con lo svolgimento del mandato parlamentare - erogato mensilmente - non ha alcun vincolo di destinazione rispetto a eventuali prestazioni lavorative svolte da terzi, o a possibili configurazioni contrattuali, né in particolare, può essere messa in relazione con la facoltà, concessa ai senatori, di accreditare due collaboratori esterni». La soluzione pilatesca adottata dal Senato consente, infatti, un rimborso forfetario per tutte le attività di supporto utili a mantenere il contatto del senatore con l'elettorato del collegio di riferimento (attualmente si tratta di circa 4.600 euro). Diversa la soluzione adottata alla Camera, dove gli onorevoli deputati ottengono un rimborso per l'ausilio di due collaboratori, attualmente pari a 4.180 euro, che molti, però, incassano lo stesso. «Il problema - sottolinea Paravia - è che chi non ha collaboratori o li ha in nero non dovrebbe percepire nulla». Ora il Comitato nominato a Palazzo Madama, spiega Paravia, «sta raccogliendo le delibere sul trattamento dei collaboratori adottate a Bruxelles, in altri Paesi dell'Unione e nelle Regioni italiane per studiarne analogie e diversità e giungere all'elaborazione di un testo condivisibile».


La roulette degli stipendi. Per gli assistenti dei parlamentari, dunque, che hanno risposto alle domande del Sole 24 Ore.com, ma che preferiscono non essere citati, lunghi anni di lavoro nero malpagato, sperando nella fortuna del parlamentare, con due opzioni finali: l'oblio se l'onorevole a fine legislatura non veniva rieletto o l'inquadramento con un contratto a termine se il parlamentare aveva la fortuna di ottenere un incarico nel corso della Legislatura, per esempio, come questore, vicepresidente o segretario di presidenza. In questo caso per il portaborse è come vincere un terno al lotto: l'inquadramento a termine, legato al mantenimento della carica dell'onorevole, è a carico dell'amministrazione e lo stipendio può variare, in base all'inquadramento, da un minimo di 2mila euro fino a 6mila, con quindici mensilità, tredicesima e Tfr. Alla Camera, infatti. esistono decreti di nomina per gli assistenti che prevedono un trattamento economico parificato ai livelli funzionali dei dipendenti della Camera.
Già nella fase di elaborazione della Finanziaria per il 2007 era stato studiato un emendamento che prevedeva che in caso di cariche pubbliche elettive il contratto a tempo determinato avesse la durata del singolo mandato. I deputati questori della Camera avevano, però, respinto l'emendamento, rilevando profili di inammissibilità.
La necessità di trovare una soluzione era stata messa in luce da una serie di ordini del giorno firmati dagli onorevoli Rino Piscitello (Ulivo) e Francesco Piro (Ulivo) e dal senatore Antonio Paravia (An) che, senza entrare nel merito del rapporto fiduciario fra parlamentare e collaboratore, assicurasse però un rapporto rispettoso della legislazione vigente, evitando che proprio in Parlamento si registrassero episodi di evasione fiscale, contributiva e assicurativa.
Per gli assistenti parlamentari il ministero del Lavoro, in una lettera dell'agosto dello scorso anno, aveva lasciato ampia discrezionalità nell'inquadramento: subordinazione, autonomia o collaborazione a progetto. Sul fronte dell'inquadramento, sempre secondo il ministero, non sussistono ostacoli alla commisurazione economica della retribuzione dei lavoratori a quella dei collaboratori degli studi professionali. L'associazione dei portaborse ritiene la soluzione «un palliativo per salvare la faccia, tralasciando il fatto che ognuno deve lottare individualmente per avere uno stipendio dignitoso». I portaborse raccontano di lavoro in nero anche per 4 legislature di fila, di ferie non pagate, anche se l'onorevole incassava l'indennità, di maternità senza alcun riconoscimento. Per ora molto è affidato alla fortuna, visto che lo stipendio è lasciato alla discrezionalità del parlamentare e un portaborse può trovarsi a guadagnare da 500 a 6mila euro. Visto il rapporto fiduciario con il parlamentare, però, può anche restare da un giorno all'altro senza lavoro.

nicoletta.cottone@ilsole24ore.com


 

Il Sole 24 Ore 17-5-2007 Liberalizzazioni, un successo di Dino Pesole

 

 

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Foto/Speciali/Sole24Ore/bottone_x%20pagina_link.gif        Contro il sommerso uno sforzo insufficiente

 

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Foto/Speciali/Sole24Ore/bottone_x%20pagina_link.gif        Riforma pensioni ma senza fretta

 

 

Giudizio largamente positivo sulle liberalizzazioni, che si estende, se pur con percentuali diverse, alla politica di bilancio e all'azione di risanamento dei conti pubblici messa in atto dal Governo. Non va altrettanto bene per le tasse e la politica fiscale. Dal sondaggio Ipsos per il Sole 24 Ore, il bilancio del primo anno del Governo Prodi sul versante chiave della politica economica premia senza ombra di dubbio le misure attuate sul fronte dell'apertura al mercato dei settori coinvolti dalle liberalizzazioni.

La domanda, al riguardo,
è circostanziata, e investe le norme relative a taxi, farmacie, l'indennizzo diretto per le assicurazioni, i costi di ricarica dei telefonini. Il giudizio positivo è del 70% del campione, con una scomposizione sostanzialmente "bipartisan": 85% di elettori dell'Unione, 61% della Cdl, e 60% di elettori di altre liste. Il giudizio negativo è del 23% degli intervistati: 13% di elettori dell'Unione, 35% della Cdl, 17% di altre liste. Il 7% non ha indicato una preferenza per l'una o l'altra risposta.

Se ne pu
ò dedurre che, pur con i limiti più volte evidenziati (misure ancora insufficienti che non toccano i grandi monopoli) il pacchetto Bersani, nelle sue due edizioni (la prima è nel decreto del 4 luglio 2006), piace. Investe da vicino la vita dei cittadini, e dunque è ad alto tasso di popolarità, anche se poi, nella scomposizione del giudizio sulle singole misure il gradimento si presenta molto più articolato. La maggioranza del campione (48%) ritiene ad esempio che vi siano stati dei "miglioramenti" per quel che riguarda il prezzo dei farmaci generici, mentre per i taxi la percezione va in altra direzione: il 57% del campione «non sa», il 19% ritiene che non via stato alcun miglioramento, il 18% qualche novità positiva e solo l'1% ritiene che si possa parlare di«molti miglioramenti ».

Interessante notare come nel 57% di «non so» la percentuale di elettori dei due schieramenti sia simile: 55% per l'Unione, 59% per la Cdl.
Passi in avanti evidenti, invece, per i telefoni cellulari, con il 49% del campione che ritiene vi sia stato «qualche miglioramento », mentre per il 23% la situazione non
è mutata. Sui costi bancari, non si rileva per il 36% del campione un grande cambiamento rispetto alla situazione precedente al varo delle liberalizzazioni targate Bersani, mentre si osserva un «qualche miglioramento» (34%) per quel che riguarda i costi del passaggio di proprietà dell'auto. Percentuale che sale al 40% se si includono anche coloro che hanno riscontrato «molti miglioramenti».

Sul versante della politica di bilancio, la risposta
è incoraggiante per il Governo, poiché il 45% del campione esprime un giudizio positivo (68% di elettori dell'Unione, 25% della Cdl), mentre il giudizio negativo è pari al 35% (25% di elettori dell'Unione, 47% Cdl). Per l'11% del campione il giudizio è «molto negativo». Evidentemente, stando al sondaggio,la maximanovra varata dal Governo tra luglio e settembre dello scorso anno è servita a ricollocare la finanza pubblica in un sentiero di maggiore stabilità, in linea con gli impegni assunti in sede europea. Come accadde per l'euro, il Paese sembra rispondere positivamente quando in gioco vi è lo stato di salute dei conti pubblici, con il «vincolo esterno» imposto dall'Europa.

Sulle grandi opere, per il 49% del campione la Tav fa fatta «ma bisogna trovare un accordo con i residenti della Val di Susa», mentre il 39% ritiene che la scelta di rinunciare alla costruzione del Ponte sullo Stretto sia giusta. Sulla politica fiscale, la strada per un giudizio positivo dell'operato del Governo appare impervia: il 63%del campione esprime un giudizio tra il negativo e il molto negativo,con una larghissima maggioranza di elettori della Cdl. Nella percentuale di risposte positive (28%), il 53% proviene da elettori dell'Unione.


MF Dow Jones 17-5-2007 Telecom I.: Catricala', italianita' rete non e' problema reale

ROMA (MF-DJ)--Quello dell'italianita' della rete non e' un problema reale. Lo ha affermato il presidente dell'Antitrust, Antonio Catricala', parlando della rete Telecom Italia. Secondo Catricala' si tratta di un problema "di know-how e investimenti. Siamo indietro sull'alta velocita' di connessione. Chi lo sa fare, che sia spagnolo o messicano, ben venga". "Wind - ha ricordato - non e' italiana, come Vodafone. Wind ha la gestione della telefonia mobile dello Stato italiano. Se questo e' possibile, non credo che il problema dell'italianita' della rete sia reale". pev/ren

 (END) Dow Jones Newswires

 


INDICE 17-5-2007

 

+ Il Sole 24 Ore 17-5-2007  SONDAGGIO Il fisco fa perdere consensi a Prodi 1

+ La Stampa 17-5-2007 Fillon è il nuovo primo ministro francese. Lo ha nominato il neo presidente Sarkozy  1

+ Il Corriere della sera 17-5-2007 In Italia rallentano i prezzi delle abitazioni  I dati nel bollettino della Banca centrale europea  2

Il Corriere della Sera 17-5-2007 Un anno di governo e tante divisioni Compleanno senza brindisi di  Pierluigi Battista  2

L’Unità 17-5-2007 Silenzio, si mafia Marco Travaglio  3

Europa 17-5-2007 Carabinieri, sindaci, aborti, trasferimenti: il potere mafioso non sta solo a Palermo FEDERICO ORLANDO RISPONDE  4

La Stampa 17-5-2007 Il SENATO DICE SÌ AL DECRETO CHE ENTRA IN VIGORE SUBITO Sanità: addio ticket da 10 euro su tutti gli esami specialistici E il difensore civico contesta i prezzi praticati da "Arte" specie in RivieraMIRIANA REBAUDO  5

La Repubblica 17-5-2007 Via libera bipartisan "Costi della politica abnormi" e Bertinotti apre un'indagine  5

La Provincia pavese 17-5-2007 PARTITO DEMOCRATICO, IL DIBATTITO Lezione che arriva dall'Europa. Eugenio Alberici Pavia  6

La Stampa 17-5-2007 Pearl Harbor dimenticata per l’alleanza nel Pacifico http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifGli Usa vogliono che il Giappone torni una potenza militarehttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif. Maurizio Molinari 8

 


 

+ Il Sole 24 Ore 17-5-2007  SONDAGGIO Il fisco fa perdere consensi a Prodi

 

 

 

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Immagini/Speciali/2006/auto_fisco/quadratino_default_autoefis.gif        Tutte le tabelle del sondaggio divise per argomento

 

Voto negativo per il primo anno a Palazzo Chigi di Romano Prodi. Nel sondaggio realizzato da Ipsos per «Il Sole 24 Ore»,il 55% degli intervistati boccia l'azione di Governo, mentre il 42% dà un voto positivo. A pesare sul giudizio globale la politica fiscale, l'indulto, la riforma dell'immigrazione e le politiche per la sicurezza. Gradimento netto e bipartisan, invece, per i provvedimenti di Bersani, che secondo la maggioranza hanno ridotto i prezzi dei farmaci da banco e le tariffe dei cellulari. Netto consenso (65%) anche per i Dico, purché non estesi alle coppie gay. Sul sistema elettorale il 52% del campione s'è detto favorevole a un sistema bipartitico.


+ La Stampa 17-5-2007 Fillon è il nuovo primo ministro francese. Lo ha nominato il neo presidente Sarkozy

PARIGI
Francois Fillon, ex ministro, è stato ufficialmente nominato primo ministro dal presidente Nicolas Sarkozy che lo ha incaricato di formare un nuovo governo. Lo ha annunciato l’Eliseo.
Il senatore dell’Ump e consigliere politico del nuovo presidente francese, stamattina aveva incontrato per circa un’ora Nicolas Sarkozy all’Eliseo.
Alle 11 è già prevista la cerimonia del passaggio dei poteri fra il dimissionario primo ministro Dominique de Villepin e il suo successore a Matignon.

È la prima nomina fatta da Sarkozy dallinsediamento, avvenuto ieri; il resto della composizione dellesecutivo sarà annunciato domani. Fillon, 53 anni, conservatore moderato, succede a Dominique de Villepin. Già ministro per gli Affari Sociali fra il 2002 e il 2004, è anche senatore dellUmp, lUnione per un Movimento Popolare, il partito conservatore fondato dallex presidente Jacques Chirac e di cui lattuale capo dello Stato ha ormai assunto la guida. Nel proprio discorso inaugurale Sarkozy, che del premier è più giovane di un anno, aveva confermato lintenzione di introdurre profonde riforme in campo economico, compito che in concreto spetterà al capo del governo espletare.

Non solo per gli stretti rapporti che lo legano al nuovo inquilino dellEliseo, è stato direttore della sua campagna elettorale durante le recenti presidenziali vinte al ballottaggio il 6 maggio scorso dallesponente del centro-destra sulla socialista Segolene Royal, Fillon è considerato dagli analisti la persona ideale per tale obiettivo: da ministro ha già realizzato ampie modifiche al sistema pensionistico, e ha una lunga esperienza di trattative con i sindacati, che dovrebbe essergli utile nel porre mano anche alla normativa sul lavoro.


+ Il Corriere della sera 17-5-2007 In Italia rallentano i prezzi delle abitazioni  I dati nel bollettino della Banca centrale europea

 

Il 2006 è stato il primo anno in cui il tasso di incremento dei prezzi degli immobili è calato. Anche per l'aumento dei tassi d'interesse

 

BRUXELLES - Il caro mattone rallenta la corsa. Nel 2006 in Italia, come in Belgio e in Francia, il tasso di incremento dei prezzi delle abitazioni è calato per il primo anno. Effetto della stretta monetaria avviata a dicembre 2005 dalla Banca centrale europea che inizia a far sentire i suoi effetti sui mutui immobiliari. Le valutazioni sono contenute nell'ultimo bollettino della Bce.

Nel 2006 il tasso di crescita dei prezzi degli immobili in Eurolandia è stato del 6,4%, rispetto al 7,9% del 2005. Come detto, in Italia, Belgio e Francia si tratta del primo anno di frenata. In Spagna, invece, è proseguita la decelerazione iniziata nel 2005. A fronte del rallentamento dei prezzi, si registra inoltre un raffreddamento della domanda. Se non è il tanto temuto scoppio della bolla immobiliare, visto che il rallentamento dei prezzi è piuttosto contenuto, si tratta comunque di un segnale rilevante. Negli anni precedenti, infatti, l’incremento percentuale dei prezzi delle abitazioni è sempre stato molto sostenuto. E in aumento, anno dopo anno. Ora, per la prima volta, la Banca centrale indica una flessione nel ritmo di crescita, e non nasconde un certo grado di soddisfazione riguardo alle cause: a stoppare il caro mattone sarebbe in primo luogo l’efficacia della politica monetaria restrittiva, inaugurata dalla Bce alla fine del 2005. Il che lascia presagire due cose: primo, l’incremento del prezzo delle case dovrebbe frenare anche nei prossimi mesi; secondo, la Bce dovrebbe proseguire nella manovra restrittiva ancora per qualche tempo, visti i riscontri sull’efficacia, portando i tassi al 4% prima della fine dell’estate, probabilmente già a giugno.


Il Corriere della Sera 17-5-2007 Un anno di governo e tante divisioni Compleanno senza brindisi di  Pierluigi Battista           

 

STRUMENTI

«Cara Unione, così non va», è il titolo dell'Unità all'indomani della sconfitta delle elezioni siciliane. Perché «l'Unione e il suo governo sono in difficoltà» e perché, come spiega il direttore Antonio Padellaro, «adesso occorre una spinta in più». Adesso, cioè a un anno esatto dalla nascita del governo Prodi. Adesso, ossia quando la maggioranza di centro-sinistra sembra scricchiolare una volta ancora: vulnerabile, esposta a infinite tensioni, preda di una sindrome ossessiva del litigio e della ripicca, depressa e sfiduciata. Evidentemente quel «così non va» non è solo lo sfogo di un giornale-sismografo intelligente e sensibile degli umori e malumori che attraversano la sinistra.

Si tratta di un brutto segno, proprio nei giorni in cui si celebra (senza brindisi) il primo compleanno del governo. E se è vero che il governo Prodi è passato indenne attraverso le più fosche profezie che regolarmente ne hanno pronosticato il collasso (sull'indulto, sul primo rifinanziamento della missione in Afghanistan, sulla Finanziaria), è altrettanto vero che tante e multiformi voci di «così non va» si erano addensate anche alla vigilia del trauma di una non dimenticata disfatta in Senato, nel febbraio scorso. Quel colpo dagli effetti micidiali procurò nell'Unione un sussulto di orgoglio, o almeno il ridestarsi di un sopito istinto di sopravvivenza. Si stilarono in fretta «dodecaloghi», si decretò con imperio che il governo comunicasse con una sola voce, si ascoltarono promesse di concordia perpetua, si siglarono patti che sancissero la difesa della stabilità come prima missione della maggioranza.

E invece, dopo pochi giorni, e incassato il voto salvifico sull'Afghanistan, tutto è ricominciato come prima. Se non peggio di prima. Se si scorre l'elenco delle controversie che hanno tempestato il percorso della maggioranza in questi mesi, se ne ricava l'impressione di una guerriglia logorante e infinita. Si comincia con lo psicodramma dei Dico, che esplode e si placa per poi riesplodere con più fragore. Si prosegue con le defatiganti dispute sull'uso del «tesoretto». Con i contrasti sulla riduzione dell'Ici (addirittura interpretati da Europa, l'organo della Margherita, come il sintomo di uno scontro tra «due diverse idee dell'Italia»). Con le tensioni sulla legge elettorale e sul referendum. Con il palesarsi di visioni contrapposte («due diverse idee dell'Italia» anche qui?)sul rapporto tra Stato e mercato nei dossier economico- finanziari. Con le accuse della sinistra massimalista alla linea del ministro dell'Economia sulla riforma delle pensioni. Con le divisioni sulla Rai. Con il divaricarsi sempre più accentuato sulla frontiera della nuova legge sul conflitto di interessi. Con il deflagrare della questione cattolica. Una lunga e debordante lista di querelles da cui, e non è un paradosso, resta fuori il tema della politica estera, proprio quello su cui la maggioranza si era dissolta.

Litigi e scontri destinati a non sfociare automaticamente in una crisi catastrofica della coalizione. Ma non è detto che questa certezza — il vero punto di forza di un governo che non conosce alternative che non siano il suicidio dell'intera maggioranza — non possa trasformarsi alla lunga in un handicap paralizzante e nella premessa di una stagione di immobilismo rissoso. Se poi i risultati delle prossime elezioni amministrative dovessero risultare severi per la maggioranza, i lamenti sul «così non va» potrebbero moltiplicarsi a dismisura.


 

L’Unità 17-5-2007 Silenzio, si mafia Marco Travaglio

 

Due giorni fa la Corte d'appello di Milano ha confermato la condanna di Marcello Dell'Utri e del boss mafioso Vincenzo Virga a 2 anni di reclusione per tentata estorsione aggravata ai danni dell'imprenditore Vincenzo Garraffa. Nessun telegiornale ha dato la notizia. Così come nessun quotidiano, a parte un paio di trafiletti sul Corriere e su l'Unità. Il che è comprensibile: visti i suoi rapporti con la mafia, Dell'Utri fa paura. E i giornalisti italiani, come pure i loro editori, tengono famiglia. Si sarebbero scatenati con fior di articoli, commenti e interviste se fosse stato assolto, come la settimana scorsa quando la stessa Corte ha dichiarato innocente Berlusconi per la tangente che, con i suoi soldi, il suo avvocato pagò a un giudice. Ecco: per sapere che Dell'Utri è sotto processo per estorsione, bisogna sperare che lo assolvano. Se lo condannano, nessuno ne parla e nessuno lo sa. Ma forse è meglio così: stiamo parlando del braccio destro di Berlusconi, ideatore di Forza Italia, senatore della Repubblica, membro del Consiglio d'Europa, già condannato in via definitiva a 2 anni per false fatture e a 9 anni in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Per molto meno si sciolgono i consigli comunali, qui bisognerebbe sciogliere il Parlamento. La tentata estorsione riguarda un fatto del 1992, quando Publitalia intermediò una sponsorizzazione della Heinecken sulle magliette della Pallacanestro Trapani per 1,5 miliardi di lire. Ricevuto il denaro, il presidente del club Vincenzo Garraffa (medico e senatore del Pri) si vide chiedere indietro da Publitalia 750 milioni, cioè metà dell'incasso, ovviamente in nero. Rispose di non avere fondi neri e chiese la fattura. Niet. A quel punto - l'ha denunciato lui stesso ai giudici - Dell'utri lo minacciò: "Le consiglio di ripensarci, abbiamo uomini e mezzi che possono convincerla a cambiare opinione". Di lì a poco, invitato al "Maurizio Costanzo Show" con tutta la squadra, ricevette la disdetta senz'alcuna spiegazione. Poi, un bel mattino, al pronto soccorso dove lavorava, andò a trovarlo Vincenzo Virga, capomafia di Trapani: gli disse di essere lì per quel "debito" con gli "amici" milanesi. Garraffa resistette e denunciò tutto alla Procura di Palermo, che trasmise il fascicolo a Milano. Di lì il processo e la doppia condanna. Che, se confermata in Cassazione, si aggiungerebbe a quella definitiva per false fatture, porterebbe il totale a 4 anni e Dell'Utri in carcere (l'indulto, almeno per i reati con aggravante mafiosa, non dovrebbe scattare). Una notizia gravissima e importantissima. Invece, silenzio. Onde evitare che qualche giornale, magari per sbaglio, ne parlasse, l'Ansa l'ha nascosta sotto un titolo depistante: "Sponsorizzazioni: confermata in appello condanna Dell'Utri". Come se il pover' uomo fosse stato condannato perché sponsorizzava. Il testo, poi, è ancor meglio del titolo: "Dell'Utri era accusato, insieme a Vincenzo Virga, di tentata estorsione, in relazione alle modalità di sponsorizzazione della Pallacanestro Trapani.". Roba da bocciatura immediata all'asilo del giornalismo: non si dice che Vincenzo Virga è un capomafia arrestato dopo lunga latitanza per vari omicidi; e si fa credere che il processo riguardi "le modalità di sponsorizzazione", mentre si riferisce a un caso di vero e proprio racket mafioso, con un manager che, da Milano, manda il boss di Trapani a riscuotere un credito non dovuto, per giunta in nero, a un imprenditore siciliano. Del resto, se si sapesse in giro che un senatore della Repubblica è condannato per racket, sarebbe più difficile interpellarlo su qualunque cosa accada nella politica, nella cultura, nell'arte e nello spettacolo, come fa il fior fiore della stampa italiota dipingendolo come un vecchio saggio e un sopraffino bibliofilo (infatti ha preso per buona persino la patacca dei diari del Duce). Martedì, giorno dell'ennesima condanna, il Corriere pubblicava un'intervista a Dell'Utri sulla sconfitta di Leoluca Orlando, definito dal senatore pregiudicato "un cadavere che cammina". Lo chiamavano così anche i mafiosi, tra gli anni 80 e i 90, quando lo volevano accoppare per le sue battaglie antimafia. L'ultima volta ci provarono i narcos, tre anni fa, in Sudamerica. Purtroppo fallirono il bersaglio, e il cadavere di Olando ancora cammina. Altri, invece, hanno smesso di camminare nel 1992-'93. Avevano il grave torto di non frequentare Vittorio Mangano, Vincenzo Virga e Marcello Dell'Utri. Gentaglia. Uliwood party.


 

Europa 17-5-2007 Carabinieri, sindaci, aborti, trasferimenti: il potere mafioso non sta solo a Palermo FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, sono rimasto sgomento di quel che ha scritto il 15 maggio per Repubblica Antonello Caporale, che denuncia – con indicazione di identikit, sezioni elettorali, leggi violate, ecc. – il potere mafioso della destra siciliana, che riesce con la violenza e l’intimidazione a sfondare perfino nei quartieri popolari come lo Zen, vicini a Leoluca Orlando. Nulla di nuovo, certo, ma che dire dei finanzieri che accorrono quando un “omone” intima agli scrutatori di riammettere come valida una scheda dichiarata nulla, e del presidente che si limita a dire “Vattene e sarai servito anche meglio di quel che credi”? ALFIO SIRACUSANO, BARI Caro Siracusano, la cosa più triste è che, temo, non ci sarà alcuna indagine giudiziaria a carico dell’“omone” e del presidente della sezione. Il potere antistatuale coinvolge tanti, anche nelle istituzioni più delicate (magistratura, forze dell’ordine) e presso di loro trovano complicità e amicizia corrotti, violenti, mafiosi, sepolcri imbiaccati, persone dalla doppia e triplice morale, spesso padroni della società e della democrazia.
Ma non sempre. Lo stesso giorno in cui Repubblica rendeva note le vicende siciliane, l’Unità pubblicava una pagina di Massimo Solani sotto un titolo da sgomento: «Molise, in manette agenti e carabinieri. Arrestavano le inchieste». Avevano costituito da anni, secondo la procura di Larino, «un’associazione a delinquere che occultava le prove dell’indagine Black Hole sulla malasanità » nel Molise. Il caso era diventato nazionale oltre un anno fa, quando si scoprì che la signora Patrizia De Palma, primaria ginecologa dell’ospedale di Termoli e moglie del sindaco di quella città Remo di Giandomenico, deputato dell’Udc, praticava in un suo studio aborti che rifiutava in ospedale come “obbiettrice di coscienza”. Arrestata e trasferita nelle carceri di Larino, la devota vi fu raggiunta poche settimane dopo dal marito, che l’on.Casini, scoppiato lo scandalo, non aveva potuto riproporre agli elettori molisani, e perciò rimasto privo dell’immunità parlamentare. Insieme a carabinieri,poliziotti e vigili urbani, il sindaco e la signora avevano costituito – sempre secondo la procura – una vera lobby, capace di far propri interi «comparti istituzionali» (Asl, Comune, appalti, assunzioni). In galera è finito lo stesso comandante dei carabinieri della provincia di Campobasso, accusato d’aver infiltrato nella stazione di Termoli un militare dell’Arma perché avvertisse per tempo gli indagati e indagasse sugli inquirenti.
Ma il peggio, caro Siracusano, l’ha raccontato Bianca Berlinguer nel telegiornale di martedì 15 maggio, e cioè che alte gerarchie dell’Arma avrebbero trasferito in Kosovo il capitano Fabio Muscatelli, attivissimo collaboratore della procura di Larino nell’inchiesta Black Hole. Tornato dal Kosovo e ripreso testardamente il suo lavoro, il capitano Muscatelli è di nuovo sotto trasferimento in Calabria. È vero? È vera la storia raccontata martedì dall’Unità e dal Tg3? Dai ministri Amato e Parisi aspettiamo risposte, che avremmo voluto leggere già nei giornali di ieri.


 

La Stampa 17-5-2007 Il SENATO DICE SÌ AL DECRETO CHE ENTRA IN VIGORE SUBITO Sanità: addio ticket da 10 euro su tutti gli esami specialistici E il difensore civico contesta i prezzi praticati da "Arte" specie in RivieraMIRIANA REBAUDO

 

GENOVA Mentre da Roma il senatore Graziano Mazzarello (Ulivo) annuncia che il Senato dà il via libera al decreto che elimina, da subito e completamente, il ticket di 10 euro sulla diagnostica, Rifondazione comunista ottiene l'unanimità sulla sua proposta di legge per ridurre la durata dei brevetti sui farmaci a 36 mesi. Intanto, però, si accendono le polemiche dopo l'annuncio fatto martedì scorso dall'assessore alla sanità Claudio Montaldo sul S. Corona di Pietra Ligure, destinato ad essere "deaziendalizzato". come Villa Scassi a Genova. Ieri la Sanità l'ha di nuova fatta da padrona. TICKET "Grazie ad un fondo di 511 milioni di euro, il ticket di 10 euro per il 2007 verrà interamente coperto. Non è più prevista la compartecipazione delle Regioni". L'annuncio di Mazzarello chiude definitivamente, dunque, il capitolo relativo alla quota fissa che, dall'inizio dell'anno, è prevista sugli esami e le visite specialistiche. Un balzello che ha creato non pochi problemi (spesso il ticket è finito col costare più dell'esame stesso), andando ad incidere anche sulla prevenzione. "Non appena il provvedimento verrà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale - precisa il senatore diessino - il ticket sarà ufficialmente abolito". Questione di pochi giorni, assicura. FARMACI Sedici milioni di euro dalla riduzione automatica del 20% dei prezzi dei farmaci sotto brevetto. E' il risparmio per la Liguria quantificato da Marco Nesci, capogruppo di Rifondazione comunista grazia alla proposta di legge presentata dal suo gruppo e approvata all'unanimità. Si tratta della richiesta di anticipare a 36 mesi la durata dei brevetti per i farmaci. La legge ora dovrà essere portata all'esame del Parlamento per l'approvazione definitiva. Oggi in Italia la durata del brevetto non è specificata con precisione. "Il provvedimento - ha aggiunto Nesci - consentirà inoltre di fare iniziare le produzioni di farmaci generici equivalenti a quelli brevettati e di fare crescere così ulteriormente la concorrenza a vantaggio dei malati". FERROVIA Fuori dai temi sanitari, ma sempre l'unanimità ha incontrato l'ordine del giorno che impegna la giunta affinché definisca il contenzioso aperto, la ripresa dei lavori, il completamento dell'opera e la tutela dei 240 lavoratori impegnati per il raddoppio e lo spostamento a monte della ferrovia nel tratto San Lorenzo-Andora. DEMANIO Approvato, e sempre all'unanimità, anche il disegno di legge sulla conservazione, gestione e valorizzazione del demanio e del patrimonio regionale. Forza Italia, ha spiegato in aula il capogruppo Luigi Morgillo, ha votato a favore dopo avere ottenuto chiarimenti e modifiche su alcuni punti. DIFENSORE CIVICO L'aula, infine, ha preso atto della relazione annuale del difensore civico, Annamaria Faganelli che, nel suo bilancio, ha puntato il dito soprattutto contro Arte, definendo "poco equa" la vendita dei suoi alloggi popolari, per i quali vengono fissati prezzi di mercato, soprattutto in zone come la Riviera. Nel documento si spiega anche che molte lamentele giunte al difensore civico riguardano la scarsa manutenzione degli immobili e danni ai singoli alloggi "mai riparati nonostante formali e reiterate richieste di intervento".

 


 

La Repubblica 17-5-2007 Via libera bipartisan "Costi della politica abnormi" e Bertinotti apre un'indagine

 

L'INIZIATIVA Al vaglio le indennità di parlamentari, assessori e manager pubblici. Progetto di legge dell'Idv: al massimo 12 ministri Di Pietro mette sotto accusa un suo deputato per avere partecipato alla ripartizione della "legge mancia" Nel mirino anche auto blu e giunte locali. Il presidente della Camera: vanno corrette alcune distorsioni CARMELO LOPAPA ROMA - Un'indagine conoscitiva cercherà di fare luce sulla proliferazione ormai incontrollabile dei costi della politica. Lo ha deciso il presidente della Camera Fausto Bertinotti, che ha affidato alla commissione Affari costituzionali, presieduta da Luciano Violante, il compito di gestire l'inchiesta. Sarà la prima del genere, ma il problema è talmente avvertito che la terza carica dello Stato intende lanciare un segnale concreto, ora che anche il governo lavora alla stesura di un libro bianco sugli sprechi. Il lavoro, spiegano dalla Presidenza della Camera, servirà da base per eventuali iniziative parlamentari. "Si sa che la democrazia ha un costo - spiega Bertinotti - ma non c'è ragione che questo costo sia abnorme. Ci sono elementi distorti che vanno corretti". E il presidente della Camera fa riferimento alla proliferazione di cariche elettive retribuite, fino ai più piccoli comitati pubblici compresi. Il suo parere è che "c'è una parte della rappresentanza politica che deve essere gratuita". Favorevoli con l'iniziativa tutti i capigruppo, opposizione compresa. Pur con qualche distinguo. "L'indagine va fatta - secondo il capogruppo di An Ignazio La Russa - Ma proporrò con un emendamento che sia anche comparativa, che le indennità parlamentari siano cioè confrontate con quelle di chi ricopre analoghi ruoli di responsabilità, dai manager pubblici a certe star del giornalismo tv". Il vicecapogruppo forzista Antonio Leone plaude anche lui ma invita a partire dalle "poltrone e strapuntini con cui questo governo ha battuto ogni record". Un primo segnale sarà dato oggi dalla stessa commissione Affari costituzionali della Camera, che inserirà in calendario per essere discusso entro fine mese l'unico disegno di legge sulla "riduzione dei costi della politica", quello presentato dai dipietristi Donadi, Mura e Borghesi. E basta scorrere i 18 articoli che lo compongono per comprendere quanto sarà arduo il cammino del testo. Che parte con l'abolizione di tutte le indennità accessorie dei parlamentari da sostituire con rimborsi spese per proseguire con il riconoscimento della pensione ai soli ex deputati che hanno maturato due legislature. E poi, un tetto di 12 ministri per il governo, il dimezzamento degli assessori provinciali, l'abolizione delle comunità montane e delle circoscrizioni nelle città sotto i 250 mila abitanti. "Se passasse tutto questo - spiegano i tre proponenti - si avrebbe un risparmio stimato in tre miliardi di euro l'anno". Tra i costi sostenuti dal Parlamento ci sono anche quelli ad appannaggio dei deputati per pagare i collaboratori. Il giro di vite per vincolare il rilascio dei badge ai soli portaborse con contratto ha fatto flop. Ieri l'Ufficio di presidenza della Camera ha prorogato di un mese la scadenza del 13 maggio. Si è scoperto che su 688 collaboratori esistenti, i contratti sono stati regolarizzati per 176. Ma per 108 il pagamento era a carico della Camera per i deputati che ricoprono ruoli di vertice (presidenti di commissione e altro). Dunque, solo 68 sarebbero i neo contrattualizzati effettivi. Ieri sera invece il gruppo di Italia dei valori si è trasformato in una sorta di minitribunale per giudicare, alla presenza di Di Pietro, il deputato Salvatore Raiti, accusato di aver partecipato alla ripartizione dei 17 milioni di euro della cosiddetta "legge mancia". La sua "colpa", aver dirottato sul suo comune di Linguaglossa 100 mila euro. "Non li ho regalati a un'associazione amica, ma al Comune per mettere a norma antisismica la scuola Luigi Pirandello. Sono orgoglioso di quel che ho fatto e se possibile lo rifaccio pure", è stata la sua arringa davanti ai colleghi. Che non hanno apprezzato: "Non ne sapevamo nulla, hai agito da solo in commissione Bilancio e valuteremo se trasferirti in altra commissione" ha attaccato il capogruppo Donadi. E il ministro Di Pietro: "Sono deluso, le tue ragioni non sono in linea con i principi etici del partito".


 

La Provincia pavese 17-5-2007 PARTITO DEMOCRATICO, IL DIBATTITO Lezione che arriva dall'Europa. Eugenio Alberici Pavia

 

Riteniamo con forza che il Partito Democratico sia la giusta risposta alle molte domande che la politica italiana ci pone. Ci preme l'unità della coalizione e la capacità di governare secondo efficacia, efficienza e giustizia. La capacità di governare si costruisce con un sistema più semplice e non con 14 partiti del 5% arroccati a difendere identità che sono spesso solo strumentali difese di orticelli o posizione di poteri o di condizionamento. Il grande Ulivo si sfalda proprio perchè è facile tirarsene fuori (vedi crisi governo Prodi) essendo solamente una coalizione di governo. Entrare nel PD è un legarsi le mani per un progetto che guarda al futuro. In Europa non è necessario fondere partiti: l'Italia è l'unica democrazia moderna (Europa Occidentale, Usa, Canada, Australia, Giappone) in cui ci sono 14 gruppi parlamentari. Essendo pochi i partiti delle democrazie occidentali, sono grossi ed essendo grossi sono percorsi al loro interno da forte dialettica culturale e politica (per fortuna) che non ha mai portato a scissioni infinite e improduttive. Nelle moderne democrazie i partiti politici di grosse dimensioni hanno grandi vizi ma i grandi partiti garantiscono presenza di donne e ricambio generazionale, formazione alle nuove classi politiche ed elaborazione culturale. Analizziamo brevemente alcuni partiti che aderiscono al Pse che dovrebbe fare a loro da collante. Inghilterra. I Laburisti hanno varie correnti a volte anche molto conflittuali che convivono e decidono poi di seguire la linea che prevale (la famosa democrazia in cui si decide a maggioranza, senza che ciò porti a scissioni, ovviamente). Nel caso della politica internazionale hanno deciso l'adesione alla guerra di Bush contro L'Iraq al di fuori di ogni legittimazione Onu, un'aggressione unilaterale. Germania. Spd, i socialdemocratici tedeschi nella consapevolezza dei valori della socialdemocrazia, rifiutano ogni forma di collaborazione con i comunisti tedeschi tanto da allearsi con la Democrazia cristiana per poter metter mano alle riforme. Francia. Socialisti francesi: con Ségolène Royal, dopo la tragedia dell'esclusione dal ballottaggio delle scorse presidenziali, hanno cercato di seguire il modello inglese (in piccole dosi). In parte hanno votato No nel referendum sulla costituzione europea. Spagna. I socialisti spagnoli con il giovane Zapatero stanno seguendo la strada dell'emancipazione dei diritti personali, strada del tutto ostica per gran parte del socialismo europeo. La visione forte è quella di una società e di una democrazia che esce da ogni idea dei sacri testi, liberali o marxisti, in cui i protagonisti non sono le classi o i gruppi sociali, ma gli individui che costruiscono fra loro forme di dialogo, di alleanza. Zapatero non ama più definirsi socialdemocratico, ma democratico sociale. Da questa breve carrellata risulta evidente che sotto un nome comune (Pse) vi sono posizioni molto diverse. Ma allora basta evocare un nome? D'altra parte risulta del tutto evidente che il Partito Popolare Europeo appare come un partito conservatore a tutti gli effetti. I processi politici richiedono tempo, ma non è difficile immaginare che anche in Europa si andrà verso un blocco conservatore e un blocco democratico (che piaccia o no). Con un gruppo di sinistra radicale conservatore. Il Partito Democratico trova la sua ideale collocazione nel blocco democratico-socialista europeo. Noi vogliamo costruire un grande partito, radicato sul territorio, aperto, pluralista, in grado di proporre una sintesi fra le varie identità del centro-sinistra, senza annularne alcuna, ma arricchendosi con il contributo democratico di ognuna. Un partito in cui queste identità coinfluiscono trovando una nuova sintesi che dia risposte a problemi nuovi come quelli posti dalla globalizzazione, dal progresso scientifico e tecnologico, dall'ambiente. Abbiamo quindi bisogno di nuovi riferimenti e profonde analisi. L'auspicio è che anche la sinistra conservatrice si unisca nel soggetto unitario della sinistra europea che avrà, come il Partito Democratico, al suo interno tante, ma tante correnti e idee diverse (forse, come dice Diliberto, come simbolo la falce e il martello) che sono una ricchezza, poiché non tutti gli uomini, per fortuna, la pensano allo stesso modo. Mattia Barosi Alessandro Fabbri Guido Ascari Guido Giuliani Stefano Ramat e Simonetta Coldesina associazione per il Partito Democratico della provincia di Pavia A difesa della famiglia anche qui a Pavia La grande manifestazione di popolo a cui abbiamo partecipato sabato, insieme ad altri 200 pavesi, non può essere letta in termini riduttivi di appartenenza religiosa. Il Family Day è stato piuttosto la testimonianza di laici, credenti e non credenti, convinti dell'importanza della famiglia per il bene presente e futuro del nostro Paese. Tra i cartelli esposti, uno ci ha colpito particolarmente: "Non sono credente, ma sono felice di essere padre". A Piazza San Giovanni abbiamo assistito al miracolo di un popolo, fatto di bambini, ragazzi, uomini e donne di ogni età e ceto sociale, radunato in massa non per protestare in modo becero contro qualcosa, ma per affermare che l'unica speranza per l'Italia è quella di aiutare e sostenere la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna. L'esperienza vissuta a Roma non può però restare isolata. Nella nostra città e nella nostra provincia c'è bisogno di un impegno quotidiano, civile o politico che sia, in cui la famiglia - intesa come principale ambito per l'educazione della persona - sia messa al centro di ogni azione. Dopo il Family Day vigileremo con un'attenzione ancora più grande affinché tutto ciò accada. A questo proposito, vorremmo invitare tutti coloro che fossero interessati a coinvolgersi in modo stabile in iniziative a favore della famiglia, a contattarci a: paviaperlafamiglia@hotmail.it Sandro Assanelli e Filippo Cavazza Pavia La Chiesa cattolica il Family Day e l'Italia La Chiesa Cattolica è contraddittoria: sostiene la famiglia fondata sul matrimonio ma impedisce ai suoi preti di farsene una. Inoltre, la ferma convinzione di rappresentare genuinamente il pensiero di Dio, la rende restia ad accettare che un sistema democratico e multiculturale non possa avere modelli unici. Avendo la propria sede centrale in Italia, la Chiesa avversa l'ipotesi di uno Stato pienamente indipendente perchè teme che il suo proselitismo e la sua influenza vengano inficiati. La classe politica italiana, poco coesa e molto litigiosa, preferisce evitare un aperto confronto con la Chiesa anche quando si tratta di temi in cui la valenza politica è almeno pari a quella religiosa. Ne consegue che attualmente gli unici aiuti che possono venire all'Italia laica sono la legislazione del Parlamento Europeo e la giurisprudenza della Corte Costituzionale. Fabrizio Anselmi Voghera Asp di Pavia, troppi giochi sul direttore generale Scriviamo come rappresentanti sindacali della Rsu (componente Cgil) dell'Azienda dei Servizi alla Persona II.AA.RR. di Pavia in merito all'articolo intitolato "Risiko della Sanità pavese". Noi, che quotidianamente operiamo all'interno dell'Asp (Pertusati, Santa Margherita e Gerolamo Emiliani), siamo quasi stupefatti dai "balletti" e dai "retroscena" che interessano la nomina del direttore generale. Perchè nessuno si è preoccupato di accenare alle politiche riguardanti l'utenza (i nostri ospiti e ricoverati) o gli operatori (medici, infermieri, tecnici, impiegati)? E' mai possibile che tutto si riduca ad un "gioco", ad un risiko che passa sopra le teste di tutti? Certo, non siamo "nati ieri" e comprendiamo le ragioni della politica, ma le domande che sorgono in questo momento sono numerose; riguardano soprattutto la professionalità e la capacità dei pretendenti. E qui ci rivolgiamo espressamente a coloro i quali sono incaricati per legge alla scelta del futuro direttore generale ed alla nomina dell'eventuale nuovo consigliere d'amministrazione. Allora, se è vero che un'era è finita, quando inizierà quella nuova? Che senso ha il "tandem" a cui si accenna nell'articolo? Sarà, forse, solo il direttore sanitario che collaborerà con il direttore generale? E tutti gli altri operatori che faranno? "Remeranno contro"? Non verranno chiamati alla collaborazione? Siamo veramente preoccupati! Tante sono le cose, iniziate nell'"era precedente", da condurre a termine in maniera fattiva e collaborativa, come è stato finora. Ci penserà il "tandem"? Ci si augura che i giochi politici non prevalgano sul buon senso, sull'interesse degli utenti e degli operatori, e che pesi di più la preparazione e l'esperienza di coloro che sono chiamati ad occuparsi della cosa pubblica, a scapito, questo sì, dei pacchetti di voti. I rappresentanti sindacali Cgil della Rsu Asp II.AA.RR. di Pavia Questo il mio ricordo di Giancarlo Magenta La morte di una persona conosciuta, non può, non deve lasciarci indifferenti. Tanto più se si tratta di un personaggio politico - e quindi discutibile - il quale, già giornalista, ebbe mandati, incarichi a livello sia locale che regionale. Conobbi Giancarlo Magenta tanti anni fa nella sede di questo giornale (curava l'Oltrepo) e poi nell'Avis e nel Psi e così via. Di lui - affabile e disponibile, estroverso - forse si potrebbe dire ricordando i versi del Leopardi: "Virtù viva sprezziam / lodiamo estinta". Si era salvato da "tangentopoli" ma le chiacchiere denigranti a volte sono dure a morire... La morte di un personaggio come Giancalo Magenta, oggi almeno, suscita il pensiero di questo transeunte vivere che, senza la fede, s'intristisce talvolta e ricorda che, se il sale diventa scipito, senza sapore, diviene inutile. Io cerco ora di esprimermi nel modo che posso, ma rimango consapevole dei miei limiti. Buon Dio, accogli nel tuo seno l'anima di chi ci ha lasciato e che seguiremo nel termine da te stabilito. Grazie per avercelo dato, insieme ad altri doni. Perdona la ingratitudine... Aiutaci ad amare e servire per la vita che ci rimane. Che non si dica con il Foscolo, disperato per la morte del fratello: "Questo di tanta speme oggi mi resta". Sauro Razzano Pavia Binasco, la classe di ferro è quella del 1933 Non saremo più tanto di ferro come si suol dire, ma non siamo poi tanto da buttar via. Siamo degli arzilli 74enni che ogni anno agli inizi di maggio si ritrovano per passare una giornata in qualche bella località e, perché no, fare una buona mangiata. Quest'anno Lucia, la nostra organizzatrice, ha scelto Bocca di Magra e Lerici. A Bocca di Magra abbiamo pranzato in una caratteristica terrazza coperta, proprio sul fiume, così che quando a metà pranzo è venuto un acquazzone, non ci siamo per niente preoccupati. Pranzo a base di pesce squisito e poi via a Lerici per una passeggiata sul lungomare con un sole splendido. Alle 19 si riparte per il ritorno e guardando dai finestrini vediamo, oltre agli splendidi paesaggi della Liguria, un grandissimo arcobaleno dove prevale il colore rosso. E, dai miei ricordi di ragazzina sentivo dire dai contadini che il "rosso" prevedeva una buona annata per il vino, il "verde" per i foraggi e il "giallo" per il frumento. Ciao a tutti e all'anno prossimo! Un pensiero affettuoso a tutti quelli che non hanno potuto venire. Luciana Pezzini Beoni Binasco Area ex-Snia, il coraggio di fare proprio bene Destinazione dell'area ex Snia a Pavia. Se ne parla da anni con obiettivi sempre diversi e non sempre razionali. Sembra si sia giunti ad un progetto ancora fumoso ma vicino alla realtà conclusiva. Trattandosi di un nuovo quartiere senza vincoli storici, paesaggistici, o di opere già esistenti che obbligano a soluzioni irrazionali, si auspica che proprietà, progettisti ed assessori all'Urbanistica, Lavori pubblici, Ecologia ed Ambiente e Politiche culturali, dimostrino realmente la loro competenza e non si sottomettano come è sempre avvenuto in passato ed ancora sta avvenendo nel presente, alla sudditanza di interessi privati o politici..

 


 

La Stampa 17-5-2007 Pearl Harbor dimenticata per l’alleanza nel Pacifico http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifGli Usa vogliono che il Giappone torni una potenza militarehttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif. Maurizio Molinari


http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifCORRISPONDENTE DA NEW YORK http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifL’esercito del Giappone «è uno dei più avanzati del mondo e può avere un ruolo cruciale nel mantenimento della pace in Asia». Le parole di Richard Haass, presidente del «Council on Foreign Relation di New York», riassumono i due motivi all’origine dell’impegno della Casa Bianca per il riarmo di Tokyo a 62 anni di distanza dal lancio delle atomiche su Hiroshima a Nagasaki. Primo: le forze di difesa giapponesi sono fra le più tecnologicamente avanzate sebbene non dispongono di bombardieri, missili e carri armati. Secondo: rafforzarle significa aumentare la capacità di neutralizzazione di attacchi provenienti dalla Corea del Nord, che la scorsa estate lanciò una salva di missili verso il Mar del Giappone, e anche bilanciare il riarmo della Cina, la cui spesa militare nel 2006 è cresciuta del 14,7 per cento.

Per riuscire a trasformare il Giappone in una sentinella della stabilità del Pacifico l’amministrazione Bush deve però superare un ostacolo ereditato dal generale Douglas McArthur: l’articolo 9 della Costituzione giapponese del 1947 scritta sotto l’influenza degli Stati Uniti, che vedevano nel pacifismo il miglior antitodo contro possibili ritorni del militarismo imperiale che aveva provocato l’attacco a Pearl Harbor nel dicembre 1941. L’articolo 9 impedisce al Giappone tanto di adoperare la forza delle armi per regolare dispute internazionali quanto di avere delle forze armate di tipo tradizionale. Se è vero che lo spirito pacifista della Costituzione è stato già indebolito dalla decisione del precedente premier Jonuchiro Koizumi di inviare truppe «non combattenti» in Iraq, senza modificare l’articolo 9 Tokyo non potrà avere un ruolo da protagonista negli equilibri militari del Pacifico né dotarsi della difesa antimissile nazionale della quale in questi giorni sta discutendo con i vertici del Pentagono.

Da qui l’importanza dell’annuncio del nuovo premier, Shinzo Abe, che pochi giorni dopo essere tornato da Washington ha fatto sapere di essere a favore di un referendum nazonale, da tenersi non più tardi del 2010, per approvare la revisione dell’articolo 9. La sfida politica per Abe si presenta al momento tutta in salita perché i sondaggi attestano che ben oltre la metà dei nipponici restano fedeli alla Costituzione pacifista «made in Usa». Ma la variabile che potrebbe giovare ad Abe è la minaccia portata dalla Corea del Nord. Il regime di Kim Jong Il nel 1998 sorprese il Giappone lanciando il primo missile in grado di raggiungerne il territorio e negli anni seguenti ha continuato una corsa militare culminata la scorsa estate nel primo test nucleare (anche se non tutti credono che abbia avuto successo) e nel lancio verso Est di vettori di diverse dimensioni.

La somma di prossimità geografica e imprevidibilità politica fa della Corea del Nord una potenziale minaccia per la sicurezza nazionale giapponese, consentendo ad Abe di aprire la campagna referendaria mentre la macchina militare è in gran fermento. Fonti diplomatiche americane a Washington assicurano che Stati Uniti e Giappone hanno già provato con successo il dispiegamento a largo della Corea del Nord delle navi antimissile «Aegis», dotate di tecnologia e armamenti in grado di abbattere missili a corto o medio raggio. Il vulnus potrebbe però essere costituito da missili intercontinentali, capaci di colpire a lunga distanza dopo aver percorso una traiettoria a quote molto alte e dunque in grado di evadere lo scudo delle unità «Aegis».

Washington scommette sulla possibilità di Abe di vincere il referendum sull’abolizione dell’articolo 9 perché, indipendentemente dal nome del successore di Bush, l’interesse dell’America è quello descritto dal politologo Chris Hughes nel recente libro «Il ritorno del Giappone come potenza militare "normale"»: «Una solida alleanza nippo-americana consentirebbe agli Stati Uniti di mobilitare con più efficacia gli altri partner». Ovvero, se il Giappone diventerà la Gran Bretagna del Pacifico sarà più facile costruirgli attorno un’alleanza militare regionale capace di vegliare su Taiwan e nella quale potrebbero entrare India, Australia e Corea del Sud.

 


INDICE 16-5-2007

+  Il Sole 24 Ore Allarme furto di identità per una falsa mail della polizia  1

+  Il Manifesto 16-5-2007 Ultimo messaggio presidenziale ai francesi, senza mai nominare il successore, che oggi entra all'Eliseo. Se ne va anche de Villepin Anna Maria Merlo  2

+ Il Giorno 16-5-2007 "Tagliare i costi della politica? Iniziamo dai giornali di partito" Matteo Spicuglia. 3

Avanti! 15-5-2007 I TANTI ACCIACCHI DELLA DEMOCRAZIA ITALIANA  Un Paese in ritardo. Giulio Scarrone  3

L’Unità 16-5-2007 Berlusconi, con il bonifico mica è corruzione... MOTIVAZIONI L'assoluzione per il caso Squillante della Corte d'Appello. di Marco Travaglio  5

L’Unità 16-5-2007 Conflitto d'interessi, il sorriso di Berlusconi Elio Veltri Francesco Paola  6

L’Arena di Verona 16-5-2007  Cambiano le regole in farmacia. Alessandra Galetto. 7

Il Giornale di Brescia 16-5-2007 Accordo a Bruxelles per ridurre le tariffe di roaming  8

Il Corriere della Sera 16-5-2007 IL MONOPOLIO DELLE ROTTE L'Alitalia e le deroghe alle norme antitrust di FRANCESCO GIAVAZZI 8

Italia Oggi 16-5-2007 Difensore civico. Molte regioni coprono d'oro l'organismo. Pagina a cura di Stefano Sansonetti 9

Milano Finanza 16-5-2007 America attenta, l'Europa delle banche scalpita Alberto Caruso. 10

Il Sole 24 Ore 16-5-2007 Arriva in aula a Palazzo Madama il disegno di legge che rivoluziona l'attribuzione del cognome ai figli. Nicoletta Cottone  10

 


 

+  Il Sole 24 Ore Allarme furto di identità per una falsa mail della polizia

 

Una mail che sembra provenire dalla Polizia di Stato nasconde un pericolo, il furto d'identità Virtuale e dunque problemi di phishing o per l'integrità dei dati memorizzati su pc e server. A lanciare l'allarme è la polizia postale che denuncia come da questa mattina migliaia di mail con la falsa intestazione "Prisco Mazzi Polizia" hanno cominciato a girare sulla rete web.

Nella mail un sedicente capitano di polizia avverte che dal computer del destinatario della mail sono stati scaricati illegalmente file musicali mp3. Per sottrarsi alla punizione è necessario impegnarsi a non visitare più i siti illegali: necessario quindi leggere e memorizzare una lettera sul computer, contenuta in un file zippato. Molti dei destinatari della mail si sono rivolti alla polizia tramite il «commissariato o line», un 113 virtuale. La polizia postale, che sta indagando per risalire ai responsabili, mette comunque sull'avviso. È una mail completamente falsa che installa un trojan sul computer per carpire l'identità destinatario della mail.

 

Ecco il testo della mail, peraltro scritto in modo approssimativo

 

Da: Prisco Mazzi / Polizia [mailto:prima@poliziadistato.it]

Inviato: mercoledì 16 maggio 2007 10.32

A: xxxx.xxx@xxxx.xx

Oggetto: Polizia - Avviso

 

Avviso

Sono capitano della polizia Prisco Mazzi. I rusultati dell'ultima verifica hanno rivelato che dal Suo computer sono stati visitati i siti che trasgrediscono i diritti d'autore e sono stati scaricati i file pirati nel formato mp3. Quindi Lei e un complice del reato e puo avere la responsabilita amministrativa.

Il suo numero nel nostro registro e 00098361420.

Non si puo essere errore, abbiamo confrontato l'ora dell'entrata al sito nel registro del

server e l'ora del Suo collegamento al Suo provider. Come e l'unico fatto, puo sottrarsi

alla punizione se si impegna a non visitare piu i siti illegali e non trasgredire i diritti

d'autore.

Per questo per favore conservate l'archivio (avviso_98361420.zip parola d'accesso: 1605) allegato alla lettera al Suo computer, desarchiviatelo in una cartella e leggete l'accordo che si trova dentro.

La vostra parola d'accesso personale per l'archivio: 1605

E obbligatorio.

Grazie per la collaborazione


 

+  Il Manifesto 16-5-2007 Ultimo messaggio presidenziale ai francesi, senza mai nominare il successore, che oggi entra all'Eliseo. Se ne va anche de Villepin Anna Maria Merlo

 

Parigi Ieri sera, per l'ultima volta, Jacques Chirac si è rivolto ai francesi, in un breve messaggio di addio a reti unificate. Stile sobrio e solenne, ha equiparato la Francia a una " famiglia ", con un messaggio di " unione ", di " fierezza " e di " fiducia " nell'avvenire, ma rendendo un servizio minimo al suo successore Sarkozy. Un successore citato, mai per nome, senza alcun affetto e al quale manda un avvertimento subliminale: attenzione alla questione dell'identità, in una società del " dialogo " e della " concordia ", la cui tradizione deve essere rispettata. Nessun riferimento alle minacce rivolte ieri contro la Francia dalla brigate Abu Haps al-Masri, filiale di Al Quaeda che aveva rivendicato gli attentati di Londra e Madrid. Nel pomeriggio, un parlamentare Ump ha organizzato l'invio di sms a pagamento per congratulare Jacques Chirac : 1,50 euro per ogni messaggino di felicitazioni al presidente uscente (soldi destinati, in linea di principio, alla nuova fondazione per l'ambiente di Chirac). Oggi, regolato nei minimi dettagli dal protocollo repubblicano, ci sarà il passaggio dei poteri a Nicolas Sarkozy all'Eliseo. Malgrado appartengano allo stesso campo politico, tra i due presidenti le differenze non potrebbero essere più grandi. Per Chirac, Sarkozy è " liberista, atlantista, comunitarista" e, per di più "populista". Sarkozy ha promesso la "rottura" con l'era Chirac. Ieri nel tardo pomeriggio, il primo ministro Dominique de Villepin ha rassegnato le dimissioni, assieme al suo governo. Rimarrà in carica fino a venerdì, quando avverrà la nomina del suo successore, molto probabilmente François Fillon. Villepin dovrebbe ritirarsi dalla vita politica. Cosa resterà nella storia di Jacques Chirac? E' in politica da 40 anni, ha iniziato nel '68, all'epoca di De Gaulle, ha fatto e disfatto maggioranze, ha eliminato i suoi nemici senza pietà, è stato l'uomo di un clan più che di un partito. Ma ora, a 74 anni, lascia un ricordo quasi affettuoso anche se, secondo un sondaggio, la maggioranza dei francesi giudica " negativo " il bilancio dei 12 anni di presidenza. La sua permanenza all'Eliseo si riassume in due decisioni, che passeranno alla storia: il rifiuto di partecipare alla guerra americana in Iraq nel 2003 - con il famoso discorso all'Onu di Dominique de Villepin, allora ministro degli esteri - e l'abolizione del servizio di leva obbligatorio. Si ricorderà di lui anche il lavoro sulla memoria della Francia, l'ammissione dei crimini antisemiti di Vichy, il pentimento sulla schiavitù e il colonialismo. Resterà negli annali della repubblica come il presidente meglio eletto (82% nel 2002 contro Le Pen) al secondo turno, dopo aver preso il minimo dei voti al primo. Aveva promesso, nella penultima campagna (nel '95), di lottare contro la " frattura sociale ", ma lascia una Francia dove la differenza tra ricchi e poveri è più forte di prima. Appena eletto, nel '95, ha dovuto affrontare uno dei più lunghi scioperi del paese (che sono costati il posto al primo ministro di allora Alain Juppé e la sconfitta alle legislative del '97). Nel suo ultimo mandato (il primo di durata ridotta a 5 anni nella V Repubblica) aveva limitato le ambizioni a progetti concreti: lotta contro il cancro, contro la violenza sulle strade e a favore dell'inserimento sociale degli handicappati. Gli ultimi anni del suo secondo mandati sono trascorsi nella tormenta: il 2005, annus horribilis per il presidente, vede la sconfitta del referendum sul trattato costituzionale europeo (dopo il quale, però, Chirac non si dimette) e, a fine anno, le banlieues in fiamme. Rivolta popolare seguita, all'inizio del 2006, dal movimento degli studenti e dei giovani contro il Cpe, il contratto di primo impiego (precario). Si salva in campo internazionale, dove riesce a mantenere viva l'idea di una Francia eterna, paladina dei valori di libertà e eguaglianza (anche se, nel concreto, è l'alleato dei peggiori dittatori, dall'Africa all'Europa dell'est). Sarkozy gli rimprovera "l'immobilismo", il non aver saputo rifondare la destra, l'aver governato "a sinistra". "Incarna un gollismo impotente - dice di lui il filosofo Yves Michaud - che si accontenta delle parole. Non è una cattiva persona, ma incarna una certa idea dell'impotenza politica". Chirac ha già creato una Fondazione " per lo sviluppo durevole e il dialogo tra le culture", che farà concorrenza a quelle dei suoi omolghi Clinton o Gorbaciov. Chirac, prima di entrare nell'appartamento con vista sul Ouvre prestato dalla famiglia di Hariri (il presidente del Libano assassinato), andrà in vacanza in Marocco. Il 16 giugno diventerà un cittadino come gli altri: almeno tre inchieste giudiziarie lo attentono, su assunzioni fittizie e abuso di beni sociali.

 


 

+ Il Giorno 16-5-2007 "Tagliare i costi della politica? Iniziamo dai giornali di partito" Matteo Spicuglia.

 

Angelo Piazza (Sdi): "Sarebbe un segnale importante" ? ROMA ? "SI PARLA TANTO di costi della politica: credo che ripensare il sistema di finanziamento alla stampa di partito sia una prima risposta". È la convinzione del deputato dello Sdi, Angelo Piazza, già ministro della Funzione pubblica nel governo D'Alema, secondo il quale il progetto di riforma dell'editoria deve fissare "regole certe", valorizzando anche le nuove tecnologie. La comunicazione politica del futuro è sul web? "Per il nostro partito, Internet è già una realtà. Lo dimostra la scelta di interrompere la pubblicazione cartacea de "L'Avanti della domenica", disponibile oggi solo su Internet. Le spese sono minori e la diffusione effettiva è più ampia, specie tra i giovani che devono essere avvicinati alla politica". E' un modello generalizzabile? "In assoluto no. Il fascino di un giornale di carta non verrà messo in discussione, però per quanto riguarda la comunicazione politica il discorso è diverso. Oggi, la stampa di partito ha enormi difficoltà a stare sul mercato tradizionale e dato che non vive di mezzi propri, è ragionevole che percorra strade alternative più economiche per lo Stato". E per chi decide di non andare in rete, come deve cambiare il sistema di finanziamento? "Credo che si debba alzare la soglia di rappresentatività, verificando che le testate siano collegate a forze politiche effettivamente presenti nel Paese. La libertà di stampa è assoluta e non viene messa in discussione, ma il finanziamento pubblico deve riguardare solo chi è radicato nel territorio". Non basta quindi avere un gruppo parlamentare di riferimento? "Non è un criterio valido al cento per cento. Noi per esempio, siamo un partito rappresentativo, presente però in un gruppo parlamentare più grande ? la Rosa nel Pugno ?, mentre magari ci sono altri gruppi, di per sé legittimi, che tuttavia non hanno rappresentatività". Insomma, dovrebbero essere considerate anche la formazione delle liste o il numero di voti? "Sì, tenendo conto anche dei risultati delle amministrative che rendono bene l'idea della rappresentanza effettiva dei partiti". Lo stesso ragionamento vale anche per le testate edite da cooperative, già organi di movimenti politici di due parlamentari? "La regola dei due parlamentari non esiste più e oggi è difficile ragionare in termini retroattivi. Per il futuro, però, bisogna tenere alta la guardia". Venendo al disegno di legge di riforma, atteso per la fine di giugno, sarà approvato entro fine legislatura? "Ci credo e lo auspico. Viviamo in un momento difficile e si parla spesso dei costi della politica. Cominciare a risparmiare in un settore che comunque impegna lo Stato in modo consistente, sarebbe un segnale molto positivo".

 

 

 


Avanti! 15-5-2007 I TANTI ACCIACCHI DELLA DEMOCRAZIA ITALIANA  Un Paese in ritardo. Giulio Scarrone

 

Se ricordiamo bene, è stato Winston Churchill a dire che la democrazia è un sistema imperfetto, ma non ne esiste uno migliore. Per cui ce la dobbiamo tenere, anche quando fa acqua da tutte le parti. Per esempio, come quella italiana. Esageriamo? Vediamo. Siamo l’unico Paese al mondo che continua ad avere un vero e proprio doppione tra Camera e Senato, con sprechi economici e di tempo senza eguali. Tra un rimpallo e l’altro delle leggi dall’uno all’altro ramo del Parlamento, molto spesso, quando alla fine le leggi vengono approvate, non servono più a niente, perchè nel frattempo le cose sono cambiate per loro conto. Buon senso vorrebbe che si arrivasse a una diversificazione dei ruoli tra i due rami del Parlamento, con una Camera che facesse le leggi e un Senato delle regioni che si occupasse, invece, della realtà degli enti locali. Ma proprio perchè si tratta di una ragione di buon senso, chissà quando questa riforma verrà realizzata. Abbiamo il più alto numero di parlamentari. Nemmeno gli Stati Uniti e la Russia ne hanno tanti. E sono anche i più pagati: a Roma, in Europa, ma anche gli eletti nelle Regioni, nelle Province e nei Comuni. Per non parlare delle Comunità montane (anche dove non ci sono alture al di sopra dei cento metri), dei Consigli circoscrizionali, dei vari enti e delle varie consulenze, per un totale che si avvicina al mezzo milione di persone che “vivono” di politica. In media, negli altri Paesi i parlamentari sono la metà di quelli italiani e sono pagati la metà di quanto non lo siano i nostri. Se si riducesse il loro numero e i loro emolumenti venissero adeguati allo standard europeo e si abolissero i troppi enti inutili, i miliardi risparmiati potrebbero essere spesi, per esempio, per aumentare gli stipendi dei ricercatori ed evitare così la fuga dei cervelli, di coloro, cioè, che appena possono vanno a lavorare all’estero, dove guadagnano il doppio o il triplo rispetto all’Italia. Tra tutti gli enti superati dall’evolversi del tempo, ce n’è uno che ormai ha dimostrato chiaramente la sua inutilità, ed è la Provincia, soprattutto dopo l’avvento dell’istituto regionale. Eppure ce la teniamo ben stretta, non solo: ma non passa giorno senza che venga presentata l’ennesima richiesta per la costituzione di una nuova provincia, vale a dire di un nuovo carrozzone burocratico e clientelare. Se pensiamo che il costo annuo per le casse dello Stato dei presidenti di Provincia, assessori e consiglieri è di 115 milioni di euro, si ha un’idea di come potrebbe essere impiegati per scopi più produttivi una somma del genere. Abbiamo una frammentazione politica unica al mondo. Qualcosa come venticinque formazioni politiche sono rappresentate in Parlamento. Nessuna istituzione parlamentare al mondo potrebbe funzionare in condizioni del genere. In tutte le altre democrazie si è provveduto a sventare questo pericolo con appropriate leggi elettorali che stabiliscono una soglia elettorale, al di sotto della quale non si entra in Parlamento. Sono decenni che in Italia si sta discutendo di una legge elettorale del genere e coloro che la sostengono vengono più o meno indicati come nemici della democrazia, che da noi viene scambiata con la confusione, quando i suoi nemici sono proprio coloro che con i loro arzigogoli non consentono alla democrazia di funzionare. Altro discorso riguarda i sindacati che sono ormai diventati strumenti di conservazione, dal momento che la maggioranza dei loro iscritti o sono pensionati o rappresentanti di categorie che difendono a denti stretti i loro privilegi. In queste condizioni, la tanto invocata “concertazione” tra governo e parti sociali si riduce a poco più di una formalità protocollare, essendo ben lontana dallo stabilire un rapporto con la vera realtà sociale del Paese, e soprattutto con le nuove realtà sociali emergenti da una organizzazione della produzione e del lavoro che non ha più nulla a che vedere con la situazione anche soltanto di qualche anno fa. Avrà pure un senso che a fare della “concertazione” una “conditio sine qua non” sia proprio la sinistra radicale, che è, sotto questo profilo, la più strenua alleata del sindacato. Prendiamo, al riguardo, l’esempio della riforma delle pensioni. Negli ultimi decenni, la vita media degli italiani è aumentata di almeno dieci anni. di conseguenza si pone il problema di elevare l’età pensionabile, se non si vuole, da una parte, avere un popolo di pensionati al quale nessuno sarebbe più in grado di assicurare il pagamento di una pensione decente, pena la bancarotta delle casse dello Stato, e, dall’altra parte, non poter più consentire alle giovani generazioni l’accesso al mercato del lavoro. Chiaro, no? Ebbene non si riesce a trasformare queste ovvietà in riforme, per le insormontabili difese corporative dei sindacati, cui si accompagna la cieca intransigenza della sinistra radicale, con il bel risultato che aumenta a dismisura (fino a quando?) la spesa pubblica e il diritto di veto è la sola e unica regola che determina negoziati infiniti e inconcludenti. Se c’è una lezione, valida anche per l’Italia, da ricavare dalle recenti elezioni presidenziali che si sono svolte in Francia, riguarda la rottura che sia Ségolène Royal, sia Nicola Sarkozy hanno compiuto nei confronti degli stereotipi ottocenteschi della politica, che nel mondo globalizzato di oggi non portano più da nessuna parte. Sia l’una che l’altro si sono lasciati alle spalle i condizionamenti clientelari dei rispettivi partiti e hanno parlato direttamente alla gente: ciò che ci interessa, hanno detto, è trovare risposte per i problemi che riguardano il “tuo” lavoro, la “tua” famiglia, la scuola per i “tuoi” figli, la “tua” pensione, un’Europa che sia degli europei e quindi parta da una realtà che è anche quella francese piuttosto che dagli scartafacci dei burocrati. Su questo piano, Sarkozy è stato più convincente e ha vinto. Diritti, ma anche doveri, riassunti nell’immagine che da sola è un programma: quando il professore entra in classe, gli studenti si alzano in piedi. In Inghilterra, Tony Blair ha annunciato di lasciare il governo del suo Paese, dopo dieci anni di potere. Gli viene riconosciuto il merito di aver portato i laburisti fuori da un passato dominato da nazionalizzazioni, sindacati e categorie che stavano uscendo dalla produzione del nostro tempo, proseguendo quel cammino (perchè non riconoscerlo?) iniziato da Margaret Thatcher che aveva già eliminato molte incrostazioni della vecchia Inghilterra. Da questo punto di vista, va detto che non è stato il Partito laburista a cambiare le sue valutazioni sul mondo, ma è stato il mondo a cambiare e a chiedere al partito di prenderne atto. Una rottura culturale necessaria, come è stato riconosciuto da più parti, davanti alle resistenze di chi, vivendo le ideologie, non vede i fatti, e scambia il cambiamento, rispetto ai principi ideologici precedenti, come “revisionismo”. “Revisionista” non è stato il Partito laburista, ma il mondo, che è passato dal fordismo al lavoro individuale, dall’industria ai servizi. In Italia, anziché prendere atto di questa realtà e comportarci di conseguenza, siamo ancora seduti attorno al caminetto, a raccontarci la favola di Cappuccetto Rosso.

Giulio Scarrone

 

 


L’Unità 16-5-2007 Berlusconi, con il bonifico mica è corruzione... MOTIVAZIONI L'assoluzione per il caso Squillante della Corte d'Appello. di Marco Travaglio

 

Poniamo che un rapinatore venga ripreso a volto scoperto dalla telecamera di una banca mentre la svaligia. E che i giudici lo assolvano, con formula dubitativa, con questa argomentazione: ma vi pare possibile che un rapinatore sia cosi cretino da farsi riprendere dalla telecamera senza coprirsi il volto? Con un ragionamento (si fa per dire) analogo, Silvio Berlusconi è stato assolto dalla II Corte d'appello di Milano dall'accusa di aver corrotto il giudice Renato Squillante con il bonifico di 434.404 dollari (500 milioni di lire) partito il 6 marzo 1991 dal conto svizzero "Ferrido", alimentato con suoi fondi privati, approdato al conto svizzero "Mercier" del suo avvocato Cesare Previti, e di lì al conto svizzero "Rowena" di Squillante. "Perché mai - domanda la Corte - un imprenditore avveduto come Berlusconi, dotato di immense disponibilità finanziarie, avrebbe dovuto effettuare (o meglio far effettuare) un pagamento corruttivo attraverso una modalità (bonifico bancario) destinata a lasciare traccia, anziché con denaro contante? E per quale ragione il pagamento avrebbe dovuto essere eseguito attraverso il transito sul conto di Previti anziché direttamente al destinatario? (.). Lo stesso risultato pratico sarebbe stato perseguibile più prudentemente con versamenti, sia pure all'estero, per contanti". Detto ciò, è "ragionevole" che quel pagamento "avesse funzione corruttiva". È pura "fantasia" la versione Previti. Ed è "macroscopica l'inverosimiglianza che Berlusconi fosse del tutto all'oscuro dei pagamenti esteri compiuti dai suoi dipendenti e che costoro avessero mano libera per movimentazioni bancarie illecite (effettuate in nero su conti esteri)". Ma pagare un giudice non equivale a corromperlo, anche perché poi Squillante "non fece nulla" per Berlusconi. Ergo "questo complesso di elementi indiziari, tra loro contrastanti, non permettono di sostenere la incrollabile convinzione che Silvio Berlusconi, al di là di ogni ragionevole dubbio, sia colpevole, (.) indipendentemente dalla ben diversa consistenza che le prove possono assumere nei confronti di terzi". Cioè di Previti. Squillante era a libro paga di Previti ("propenso a pratiche corruttive di magistrati"), ma non è sufficientemente provato che Berlusconi lo sapesse. È la "prova impossibile": se l'imputato non lascia tracce, è innocente perché manca la prova; se invece lascia tracce, è impossibile che le abbia lasciate, così la prova a carico diventa prova a discarico e lui è innocente lo stesso. A prescindere. I giudici non devono credere neppure ai propri occhi. Una sentenza a dir poco sorprendente, che ignora montagne di prove e di indizi contenuti nei 200 faldoni di atti, liquidando 12 anni di processo e 160 pagine di ricorsi in appello in una quindicina di paginette striminzite di motivazioni, scritte in appena cinque giorni. Ora il Pg ricorrerà in Cassazione, contestando la sentenza d'appello sia in punto di diritto, sia di fatto. In diritto la tesi della Corte è smentita dalla Cassazione su Imi-Sir: la "corruzione propria antecedente", cioè le mazzette al giudice perché "venda la sua funzione" una volta per tutte e si tenga a disposizione del corruttore per ogni esigenza futura, non richiede la prova della successiva controprestazione: basta il pagamento preventivo. Quanto ai fatti, i giudici domandano: perché mai Berlusconi avrebbe dovuto pagare Squillante via bonifico, tramite Previti, quando poteva portargli le mazzette cash senza lasciare traccia? Domanda assurda, visto che è documentalmente provato che negli stessi mesi del '91 Berlusconi bonificò in Svizzera 23 miliardi di lire a Craxi (sentenza definitiva All Iberian) e 1 miliardo e mezzo a Previti per ricompensare lui e il giudice Vittorio Metta dell'annullamento del lodo Mondadori (condanna in appello di Previti e Metta, Berlusconi salvo per prescrizione). Sarà pure strano che Berlusconi usi i bonifici, ma quei bonifici risultano dagli atti. E non è forse più strano immaginarlo mentre valica la frontiera di Chiasso con una borsa piena di contanti, per consegnarli brevi manu ai giudici amici? Perché mai uno dovrebbe pagare cash, quando dispone di 64 società off-shore, di decine di conti esteri e di tre avvocati (Previti, Pacifico e Acampora) dotati conti esteri comunicanti con quelli di alcuni giudici? Perché questa bella gente apriva conti in Svizzera, se poi non li usava? Oggi quei conti sono noti grazie alle rogatorie. Ma 20 anni fa nessuno immaginava che sarebbero stati scoperti: se l'Ariosto non avesse parlato, nessuno li avrebbe cercati. Tanto le mazzette a Craxi quanto quelle ai giudici passarono per la Svizzera. Anche quelle del caso Imi-Sir, che seguono lo stesso percorso di quelle targate Fininvest: i Rovelli bonificano in Svizzera 68 miliardi ai tre avvocati, che ne girano una parte ai giudici. La domanda della Corte va dunque ribaltata: perché Berlusconi NON avrebbe dovuto pagare con bonifici svizzeri? Che il denaro usato da Previti per pagare Squillante provenisse "dal patrimonio personale di Berlusconi" lo dicono, al processo All Iberian, gli stessi suoi difensori. E risulta dalle carte. Il 1° marzo '91 uno spallone porta 316,8 milioni di lire dalla sede Fininvest di Palazzo Donatello alla Diba Cambi di Lugano. Diba li versa sul conto Polifemo (All Iberian), gestito dal cassiere del Cavaliere, Giuseppino Scabini.Grazie a quei fondi Polifemo può bonificare 5 giorni dopo i 434.404 dollari a Previti, che li gira a Squillante. Polifemo va in rosso,ma in 2 giorni viene rabboccato con 6 miliardi da All Iberian. Subito dopo Polifemo gira altri 2 miliardi a Previti e 10 miliardi a Craxi, che con la Mammì ha appena salvato le tv Fininvest. Polifemo finanzia esclusivamente Craxi e Previti (non come avvocato: come corruttore di giudici), nell'interesse di Berlusconi e con fondi del suo "patrimonio personale". Ma Berlusconi, per la Corte, non c'entra. Previti sostiene che quei fondi erano "normalissime parcelle". Ma, anche per la Corte, mente. Il direttore finanziario Fininvest, Livio Gironi, dice di aver concordato con lui una mega-parcella di 10 miliardi in nero, che Previti doveva farsi liquidare da Scabini. Ma Previti dice di non conoscere Scabini. In compenso conosce Berlusconi. Pure Squillante conosce Berlusconi. Anche Barilla conosce Berlusconi, ma non Previti, né Squillante: eppure Barilla, alleato di Berlusconi nella causa Sme, appena la vince nel 1988 bonifica 1 miliardo a Previti che gira 100 milioni a Squillante. Anche di questo, per la Corte, Berlusconi non sa nulla. Ci sarebbe poi la testimonianza dell'Ariosto: Previti le disse che i soldi per pagare i giudici glieli dava Berlusconi. Cinque pm, un gip, una trentina di giudici l'han ritenuta attendibile, più tutti quelli che l'hanno assolta dall'accusa di aver diffamato e han condannato decine di persone per averla diffamata, più lo stesso Previti che le ha chiesto scusa. Ma, per la Corte, la Teste Omega è un po' credibile e un po' no. Il suo racconto "suscita ovvie perplessità laddove accredita la tesi, deviante rispetto all'esperienza, che persone accorte e professionalmente qualificate come Previti e Squillante si spartissero mazzette coram populo". È la prova impossibile rovesciata. Triplo salto mortale carpiato: se Berlusconi lascia tracce su un bonifico, è impossibile che abbia lasciato tracce su un bonifico; se Previti viene visto spartire mazzette, è impossibile che l'abbiano visto spartire mazzette. La corruzione c'è soltanto se nessuno la scopre. Ma, se nessuno la scopre, non è mai punibile. Non è meraviglioso?.

 


 

L’Unità 16-5-2007 Conflitto d'interessi, il sorriso di Berlusconi Elio Veltri Francesco Paola

 

Nel giorno in cui la Camera dei deputati inizia la discussione della proposta di legge del centro sinistra sul conflitto di interessi, Berlusconi annuncia l'acquisto di Endemol e dice che la televisione, tutta la televisione, è sua. Anzi, che Lui è la Televisione. Berlusconi, come diceva Indro Montanelli che lo conosceva bene, chiagne e fotte. Lo fa da una vita e gli è andata sempre bene. Lui (così "americano") rifiuta di consegnare il suo patrimonio, "frutto di una vita di lavoro" a uno sconosciuto, fondo cieco, che la proposta di legge, per di più, gli consente di scegliersi. Operazione che i Presidenti degli Stati Uniti, appena eletti, compiono da sempre e spontaneamente, così come i rappresentanti delle altre cariche elettive. Berlusconi sa che la proposta Franceschini e il testo base della commissione Affari Costituzionali non modificano nella sostanza la situazione attuale prevista dalla legge Frattini e sa anche che per un'azienda come la sua il Blind Trust inefficace, perché, come ha scritto Giovanni Sartori: "Un conflitto di interessi non sparisce se viene camuffato. Se c'è, c'è. E aiutare a camuffarlo è aiutare ad aggravarlo". Eppure, grida allo scandalo e al golpe perché, se proprio dovesse ingoiare il piccolo rospo, vorrebbe che a dirigere il Blind Trust fosse Confalonieri. E dal suo punto di vista è comprensibile perché con la tecnica collaudata del "chiagne e fotte" è riuscito a farsi approvare dal Parlamento, con il voto degli avversari o sedicenti tali, tutte le leggi che ha voluto; a farsi dichiarare eleggibile alla unanimità per ben due volte dalla Giunta delle elezioni in barba alla legge del 1957; a vanificare tutte le sentenze della Corte Costituzionale; ad avere un aiutino nella scrittura della legge Gasparri dal prof Pilati, membro dell'Autorità per le comunicazioni e, poi, una volta assolto il compito, nominato dal governo Berlusconi all'Antitrust, dalla cui postazione, come ha ironizzato Paolo Mieli, avrebbe dovuto controllare se Berlusconi da Palazzo Chigi avesse favorito o no le sue aziende. Geniale il Cavaliere: mentre trattava l'acquisto di Endemol, si è anche fatto pregare dagli (inconsapevoli?) esponenti del centro sinistra per entrare nel capitale di Telecom, incassando politicamente le ricadute positive della richiesta, ben sapendo dall'inizio che Telecom non gli interessava minimamente perché in modo diverso e impegnando meno soldi può ottenere molto di più, ferma restando la intangibilità delle sue tre reti, la dominanza sul mercato tv e sulle nuove tecnologie dei prossimi anni. Il Cavaliere, qualora diventasse capo del governo, non sarebbe minimamente preoccupato di essere danneggiato da una gestione di un Blind Trust, ma gioca la carta del perseguitato che fa sempre presa e, forse, non vuole che occhi men che fedeli, guardino nelle sue aziende. Perciò, inventando uno scontro inesistente, che il segretario Udc con perfidia tutta democristiana considera addirittura un gioco delle parti con Prodi, cercherà di bloccare la proposta di legge del centro sinistra, chiamando alle armi tutta la Casa delle libertà e poi tratterà perché tutto rimanga come prima: reti e tetti pubblicitari e, magari, nel nome della difesa della italianità proporrà anche una collaborazione con la Rai per mettere insieme strutture e impianti e rafforzare il duopolio a parole, ma nei fatti, sempre e solo Mediaset. E il centro sinistra? Al governo sembra che manchino i fondamentali. Esso infatti ignora che il conflitto di interessi è "epidemico" e sistemico e come tale ferisce a morte valori costituzionali espliciti come l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e impliciti come la concorrenza sul mercato e la competitività delle imprese. Tanto è vero che nella classifica della Banca Mondiale sulla competitività l'Italia viaggia tra il 60° e 70° posto. Pertanto, non riguarda solo i membri dei governi delle istituzioni, ma imperversa nelle università, nella sanità, nel calcio, nella finanza e nelle banche, nell' industria, nelle società di servizi pubblici, nella Rai e, soprattutto, nei partiti e nella politica. Quindi una legge, ammesso che sia approvata, che si occupa solo dei membri del governo è non solo inutile, ma anche dannosa per la semplice ragione che non scalfisce il problema e fornisce alibi al Cavaliere. Diverso sarebbe stato il discorso se governo e maggioranza avessero informato i cittadini sulle caratteristiche e sulla diffusione dei conflitti di interessi nelle istituzioni, nell'economia e nella società e avessero proposto una Legge Costituzionale, di sistema, evitando, peraltro, l'Istituzione dell'ennesima Autorità e affidando ad apposito servizio della Presidenza della Repubblica, la valutazione costituzionale degli atti del governo e dei comportamenti dei suoi componenti.

 


L’Arena di Verona 16-5-2007  Cambiano le regole in farmacia. Alessandra Galetto.

Sta per entrare in vigore un decreto legge che modifica le norme per l'acquisto dei medicinali con prescrizione medica Cambiano le regole in farmacia Insieme alla ricetta sarà obbligatorio presentare anche la nuova tessera sanitaria Pochi lo sanno: ancora per poco sarà possibile richiedere farmaci per i quali è necessaria la ricetta senza mostrare al farmacista la nuova tessera sanitaria. Sta infatti per entrare in vigore anche in Veneto un decreto legge del 2003 che prescrive l'obbligo di presentare al farmacista, al momento dell'acquisto dei farmaci prescritti dal medico di base e a carico del servizio sanitario nazionale, della nuova tessera sanitaria a fianco della ricetta rossa. Proprio per questo Federfarma Verona sta conducendo una campagna informativa in modo che tutti gli utenti siano aggiornati su questa normativa che avrebbe dovuto entrare definitivamente in vigore già col mese di aprile ma di cui proprio l'associazione dei farmacisti è riuscita a posticipare l'inizio, al fine di testare nel frattempo il sistema e di spiegarlo ai clienti. "Questa fase di sperimentazione è molto importante", ha ribadito ieri la presidente di Federfarma Verona Daniela Veneri. "Gli utenti della farmacia devono comprendere grazie anche all'aiuto dei mezzi di informazione per evitare in un futuro molto prossimo disguidi e problemi a carica del paziente stesso che necessita di farmaci. In pratica chi deve ritirare per sé o per altri un medicinale prescritto dal medico e a carico del servizio sanitario nazionale deve presentare anche la tessera del paziente stesso. Questo vuol dire che un figlio, un parente o per esempio la badante devono ricordare di portare al farmacista anche la tessera sanitaria legata a quella prescrizione, a quel paziente". "E' chiaro che ciò comporta anche qualche disagio: per questo noi farmacisti eravamo contrari. Speriamo comunque nella collaborazione dei medici di base, che devono apporre sulle ricette il codice fiscale a barre, che verrà poi confrontato in farmacia, tramite il visore ottico, con quello della tessera sanitaria per l'esatta identificazione del paziente". I dati della ricetta fino ad oggi erano comunicati dal farmacista al ministero della Sanità, adesso invece dovrà essere comunicato al ministero delle Finanze il codice fiscale del paziente: il senso di questa iniziativa sta nella necessità di monitorare la spesa sanitaria, ma la procedura rischia di creare parecchi disagi, almeno fino a quando non diventerà più abituale. "E' solo a Federfarma che anche in questo caso si deve un servizio fondamentale di informazione", interviene Flavio Magarini, responsabile per il Veneto del Tribunale del Malato - Cittadinanza attiva. "Del problema di informazione per il cittadino non si è fatto carico nessun altro organismo: davvero dobbiamo dire che ormai gli unici informati sono i farmacisti. Nel merito della legge poi credo che ci saranno molti disagi: intanto il 30-40 per cento dei medici di base non dispone nemmeno di un computer, e poi mettere in rete dati così personali può creare serie preoccupazioni". Su questo punto interviene anche l'Unione nazionale consumatori. Marina Fracasso, responsabile per Verona, afferma: "Già nella nostra vita quotidiana siamo spesso spiati, questo ci pare davvero un colpo ulteriore alla privacy, oltre che un nuovo disagio ai danni delle persone anziane, soprattutto quanti vivono con badanti. Non solo: il numero verde delle tessera sanitaria non risponde praticamente mai".

 


Il Giornale di Brescia 16-5-2007 Accordo a Bruxelles per ridurre le tariffe di roaming

 

L'Europa taglia i costi del cellulare all'estero BRUXELLES Accordo in extremis a Bruxelles per il taglio delle tariffe di roaming: i rappresentanti di Commissione, Consiglio e Parlamento Ue, dopo una lunga e dura tornata di negoziati, hanno raggiunto un compromesso proprio nell'ultimo giorno utile, passato il quale non sarebbe più stato possibile varare il regolamento prima dell'estate. Già dalle prossime vacanze, dunque, usare il telefonino cellulare mentre si è in viaggio o in villeggiatura in un altro Pese dell'Ue potrebbe costare di meno. Le nuove tariffe. L'accordo - che è ancora preliminare ed andrà approvato definitivamente sia dal Parlamento che dal Consiglio Ue - è comunque un successo per il commissario Ue alle Tlc, l'olandese Viviane Reding, la cui proposta iniziale - dello scorso luglio - prevedeva in media un abbattimento delle tariffe di roaming del 70%. Il compromesso raggiunto fissa tetti un po' meno ambiziosi, ma che danno un taglio netto - circa il 50% - ai costi sostenuti da chi viaggia all'estero. Nel dettaglio, l'accordo prevede una riduzione graduale delle tariffe di roaming, spalmata in tre anni. Tre i tetti fissati e che, dal momento dell'entrata in vigore del nuovo regolamento, non potranno in alcun modo essere superati: uno per le chiamate effettuate (49 centesimi al minuto), uno per quelle ricevute (24 centesimi), uno per le tariffe all'ingrosso praticate da un operatore all'altro (30 centesimi). Nel 2008 questi tetti scenderanno rispettivamente a 46 centesimi, 22 centesimi e 28 centesimi al minuto. Nel 2009 a 43 centesimi, 19 centesimi e 26 centesimi. Ad oggi in Europa per le chiamate effettuate o ricevute il roaming costa in media 1 euro al minuto. Modalità di adesione. Anche su questo punto è stato trovato un compromesso tra chi sosteneva l'adesione automatica di tutti i clienti alle nuove tariffe europee e chi invece sosteneva l'applicazione dei nuovi prezzi solo a chi ne faceva richiesta esplicita. Secondo l'intesa raggiunta tutti gli operatori di telefonia mobile dovranno informare subito tutti i clienti sulle nuove tariffe europee di roaming. I clienti che risponderanno potranno immediatamente aderire alla tariffa di protezione del consumatore. I tempi. La parola ora passa al Parlamento europeo. Prima l'intesa dovrà essere votata dalla commissione Industria, poi dall'assemblea in seduta plenaria, la prossima settimana a Strasburgo. Dopo, salvo sorprese, sarà la volta della ratifica definitiva da parte del Consiglio dei ministri Ue delle telecomunicazioni, che si riunirà a Lussemburgo il prossimo 7 giugno.

 


 

Il Corriere della Sera 16-5-2007 IL MONOPOLIO DELLE ROTTE L'Alitalia e le deroghe alle norme antitrust di FRANCESCO GIAVAZZI

 

"Il 45% mi sembra perfino tanto!" disse Romano Prodi commentando il disegno di legge del ministro Gentiloni, ove si stabilisce che nel mercato della pubblicità televisiva nessuna azienda possa superare la soglia del 45% (oggi Mediaset ha circa il 65%). Ciò che vale per la pubblicità evidentemente non vale nel mercato del trasporto aereo. Nella gara per Alitalia sono rimasti tre concorrenti: Texas Pacific Group - il fondo che ha risanato Continental e che, con British Airways, vorrebbe acquistare Iberia - Aeroflot e Air One. Per i primi due concorrenti non si pone un problema di antitrust . Se invece vincesse Air One, la nuova linea aerea avrebbe oltre il 90% del mercato sulla nostra rotta più ricca, Linate-Fiumicino (e anche su Catania-Fiumicino). Domani, quando riferirà in Parlamento sullo stato della privatizzazione, il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, spiegherà che il governo non offre alcuna garanzia e che chi comprerà Alitalia dovrà farsi carico del "rischio antitrust ". Cioè, Air One dovrebbe prima acquistare e poi verificare con l'Antitrust quale percentuale degli slot Linate-Fiumicino dovrà cedere ad altri. La concorrenza, dirà il ministro, non è questione che riguardi il governo. Purtroppo non è così. Il ministero dell'Economia chiede che chi partecipa alla gara presenti un piano industriale: vuol sapere quanti dipendenti prevede di licenziare, di quanto taglierà gli stipendi, quanto investirà, quali rotte abbandonerà. E' facile prevedere che per accontentare i sindacati e la sinistra massimalista il governo guarderà con favore ai progetti che prevedono pochi tagli. Ma i piani industriali sono costruiti sulla base delle ipotesi di traffico sulle varie rotte e in particolare sulla più redditizia, Linate-Fiumicino. Nel momento in cui accettasse il piano proposto da Air One, il governo implicitamente ne approverebbe anche le ipotesi, inclusa quella relativa alla quota di mercato sulla rotta più importante. A quel punto la palla passerà all'Antitrust che si troverà in una posizione molto scomoda. Dovrà valutare un piano approvato dal governo ma costruito su un'ipotesi monopolista inaccettabile per un'autorità preposta alla difesa di concorrenza e consumatori. E per di più sotto la minaccia di una spada di Damocle: il governo, per evitare che la privatizzazione fallisca, o che Air One modifichi il suo piano, con costi "inaccettabili" per i sindacati (in Alitalia hostess e steward guadagnano circa il doppio dei loro colleghi negli Usa, dove i piloti raggiungono l'aeroporto in metropolitana, non con l'autista) potrebbe ricorrere all'articolo 25 della legge che istituì l'Antitrust. La norma consente al governo di autorizzare "per rilevanti interessi dell'economia nazionale" operazioni di concentrazione altrimenti vietate. L'obiezione che il governo tedesco usò una clausola analoga per consentire la fusione tra due imprese elettriche vietata dall'Antitrust, e che in Francia gli aeroporti di Parigi favoriscono Air France, non concedendo slot ad altri concorrenti, è debole. Se Francia e Germania difendono le imprese nazionali a scapito dei consumatori non si vede perché se ne debba seguire il cattivo esempio. Padoa-Schioppa non può far finta di non vedere. Se venderà Alitalia ad Air One dovrà prima chiedere all'Antitrust se il piano industriale che si appresta ad accettare è compatibile con la concorrenza. Non si può un giorno criticare la privatizzazione di Telecom sostenendo che avrebbe regalato ai privati il monopolio dei telefoni, e il giorno dopo consentire che Air One acquisisca il monopolio della rotta aerea più ricca solo per far contenti i sindacati.

 


 

Italia Oggi 16-5-2007 Difensore civico. Molte regioni coprono d'oro l'organismo. Pagina a cura di Stefano Sansonetti

 

Gettone ricco anche in Valle D'Aosta, con ben 270 mila €. Un difensore civico da 400 mila € In Veneto il garante dei cittadini è più ricco di un consigliere Il compito che è chiamato a svolgere è di assoluta delicatezza. La difesa di ultima istanza del cittadino, alle prese con i meandri della burocrazia regionale, è infatti una funzione di tutto rispetto. Sarà soprattutto per questo che in Veneto, sbaragliando la concorrenza degli altri colleghi, l'ufficio del difensore civico costa la bellezza di 406 mila euro all'anno. E di queste risorse, attenzione, la fetta più consistente, ovvero 231 mila euro, se ne va via come indennità di carica e di missione del garante dei cittadini. Roba da far invidia a un qualsiasi consigliere regionale, che certo non può lamentarsi del volume complessivo del suo stipendio (vedi in proposito l'inchiesta di ItaliaOggi del 10 maggio scorso).Fatto sta che per dotare gli utenti di un valido interlocutore regionale non si bada a spese. La regione governata da Giancarlo Galan, in questo senso, non è la sola a coprire d'oro il suo ombudsman cittadino. A seguire, tra le regioni che mettono in evidenza una voce di spesa ad hoc, si trova la Valle D'Aosta, realtà tanto piccola quanto attenta alle esigenze della cittadinanza. Forse anche un po' troppo, se si considera che il suo difensore civico raccoglie un gettone di 270 mila euro. Insomma, la questione del buon andamento della pubblica amministrazione, richiamato persino all'interno della Carta costituzionale, deve essere preso sul serio. Anche la Toscana se l'è ripetuto diverse volte, giungendo alla conclusione che il garante nel 2007 meritava 207.350 euro. E poi c'è chi se la prende con i consiglieri, additati come una specie di colonna infame degli sprechi regionali e degli elevati costi della politica. In realtà, ma l'ufficio del difensore civico è soltanto uno dei vari casi che si possono citare, sono in molti a spremere il limone. Non mancano, naturalmente, i contesti che cercano di essere quanto più possibile virtuosi. Tra le regioni che contabilizzano in bilancio le spese per il garante dei cittadini, per esempio, la Basilicata prevede uno stanziamento di 63 mila euro, che peraltro andranno divisi in due, dal momento che lì i difensori civici regionali sono due. Ognuno di loro è chiamato a scendere in campo a fianco dei cittadini con una dote di poco più di 30 mila euro. Naturalmente ogni raptus d'invidia che si dovessero scatenare nei confronti del collega veneto è più che comprensibile. Ci sono poi regioni, come la Campania e l'Umbria, le cui assemblee legislative mettono in conto la voce 'difensore civico', ma lasciano la casella delle cifre completamente vuota. E questo vuol dire che, tra i mille rivoli della spesa, quello relativo al garante dei cittadini non è stato in cima alla lista dei pensieri. Un'altra regione che invece ha posto grande attenzione all'argomento, peraltro a poca distanza dal Veneto di Galan, è il Friuli Venezia Giulia di Riccardo Illy. Anche in questo caso il bonus che il difensore civico si porta a casa è particolarmente profumato, con i suoi 155 mila euro. Dopo tutto la cittadinanza ha bisogno di sentirsi protetta. E pazienza se per far questo bisogna svuotarsi le tasche per finanziare chi poi è il tuo paladino, il tuo angelo custode di fronte ai soprusi della burocrazia locale. Certo è che che se un difensore civico si accontentasse di un po' meno di 400 mila euro, forse i suoi protetti non si sentirebbero troppo abbandonati.

 


 

Milano Finanza 16-5-2007 America attenta, l'Europa delle banche scalpita Alberto Caruso.

 

MF Il processo di consolidamento del settore bancario europeo è solo all'inizio, considerato anche che nei 21 mega-merger realizzati nel vecchio continente dal 1998 al 2005 solo due hanno coinvolto istituti basati in paesi diversi (Santander-Abbey nel 2004 e Unicredit-Hvb nel 2005). Nonostante ciò, come emerge dall'indagine sulle maggiori banche internazionali realizzata da R&S-Mediobanca, gli istituti europei, pur in un mercato ancora scarsamente concentrato, primeggiano in termini di 'totale attivo' sui loro concorrenti americani e giapponesi. E non è escluso che al termine del nuovo risiko europeo, inaugurato dalla sfida per il controllo di Abn Amro tra Barclays e il consorzio composto da Royal bank of Scotland, Fortis e Santander, le banche del vecchio continente possano essere le vere padrone della scena. Basti considerare che, secondo i dati rielaborati da R&S, la prima banca al mondo in termini di attivo nel 2005 risulta essere l'inglese Barclays con 1,35 miliardi di euro, davanti alla nipponica Mitubishi Ufj (1,34 miliardi) e all'americana Citigroup (1,26 miliardi). Ma se negli Stati Uniti e in Giappone il sistema è già concentrato attorno a tre soli player, in Europa, vuoi anche per le tendenze protezionistiche che hanno fin qui caratterizzato i diversi sistemi nazionali, sono ben sette le banche con attivi totali superiori al miliardo di euro. E alcune di queste, come appunto Barclays e Rbos, sono tra le protagoniste della nuova ondata di fusioni e acquisizioni.Dobbiamo dunque aspettarci che in futuro siano le banche europee ad essere potenzialmente aggressive verso i concorrenti americani? Il gap in termini di capitalizzazione che ancora oggi separa i colossi Usa dai principali istituti europei non sembra lasciare spazio a questa ipotesi. In qualche ufficio studi però si annida qualcuno che non considera così remota tale ipotesi, perlomeno relativamente al medio periodo, quando anche nel vecchio continente il sistema bancario avrà raggiunto un grado di concentrazione pari a quello delle altre due macroaree.Sempre stando ai dati rielaborati da R&S-Mediobanca, anche guardando al conto economico le banche europee hanno messo a segno performance migliori rispetto a quelle degli istituti americani. Sul fronte dei ricavi, nel 2005 l'Europa ha mostrato una crescita dell'11% rispetto al 5% registrato negli Usa e al 3% in Giappone. Una crescita che si è tradotta anche sull'ultima riga di bilancio dove le banche del vecchio continente hanno registrato in media una crescita degli utili del 25% contro il 14% realizzato delle banche Usa.Su un punto, per R&S, gli americani continuano a essere leader incontrastati: il capitale disponibile, pari al 5,3% della provvista, contro il 2,5% relativo alle banche europee. Munizioni che i grandi player Usa potrebbero mettere in campo prima che le banche del vecchio continente possano diventare una minaccia.Alberto Caruso MF  - commenti & Analisi Numero 096, pag. 4 del 16/5/2007 Autore:

 


 

Il Sole 24 Ore 16-5-2007 Arriva in aula a Palazzo Madama il disegno di legge che rivoluziona l'attribuzione del cognome ai figli. Nicoletta Cottone


Da giovedì 17 maggio, infatti, inizia in aula al Senato la discussione del disegno di legge che consentirà di adeguare la normativa in materia di trasmissione o acquisizione del cognome e di cancellare dal vocabolario i residui negativi della condizione di figlio nato al di fuori del matrimonio. Dall'entrata in vigore della legge ci saranno solo figli nati nel matrimonio o fuori del matrimonio, scomparirà per le donne l'obbligo di aggiungere il proprio cognome a quello del marito, sarà eliminata ogni discriminazione basata sul sesso nella scelta del cognome familiare. Il Legislatore, dunque, risponde all'invito della Corte costituzionale, che con la sentenza 12 febbraio 2006 n. 61 ha affermato che «l'attuale sistema di attribuzione del cognome dei figli è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistica, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'eguaglianza tra uomo e donna». La Corte ha anche richiamato il vincolo imposto dai trattati internazionali che impegnano l'Italia, come gli altri Stati, a eliminare ogni discriminazione basata sul sesso nella scelta del cognome familiare. In realtà l'attribuzione del cognome paterno ai figli è fonte di una prassi comune alimentata dal fatto che fino alla riforma del diritto di famiglia, per effetto della perdita del cognome della madre, era il cognome paterno a identificare la famiglia. «L'attuale sistema di trasmissione necessaria del cognome paterno - spiega la relazione della commissione Giustizia al provvedimento (relatore il senatore Cesare Salvi) – si configura come una sopravvivenza dell'istituto della potestà maritale, e dunque di una condizione anche sotto questo profilo incompatibile con il principio di uguaglianza prevosto dall'articolo 3 della Costituzione».
Dopo un lungo dibattito la commissione Giustizia del Senato ha elaborato un testo che ha assunto come base quello presentato dalla senatrice Vittoria Franco (Ulivo), assorbendo i disegni di legge presentati dai senatori Roberto Manzione (Ulivo) e Milziade Caprili (Rifondazione comunista). «Le nuove disposizioni - spiega la senatrice Vittoria Franco - adeguano le norme alle risoluzioni e alle raccomandazioni del Consiglio d'Europa e alla convenzione di New York sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna».


Il cognome nel matrimonio. In otto articoli viene stabilito che con il matrimonio il coniuge conserva il proprio cognome, che al figlio di genitori coniugati è attribuito il cognome del padre o della madre o di entrambi i genitori, nell'ordine da questi concordato. La scelta, revocabile, si effettua all'atto del matrimonio o all'atto della nascita del primo figlio. In caso di mancato accordo o in caso di morte, irreperibilità o incapacità di entrambi, sono attribuiti al figlio i cognomi di entrambi i genitori in ordine alfabetico, limitatamente al primo cognome di ciascuno. Ai figli comuni successivi al primo, anche se nato prima del matrimonio, è attribuito lo stesso cognome del primo. Il figlio al quale viene trasmesso il cognome di entrambi i genitori può trasmetterne solo uno, a sua scelta.


Figli dentro il matrimonio, o fuori. Scompaiono dalle disposizioni normative le espressioni «figlio legittimo» e «figlio naturale», sostituite da «figlio nato nel matrimonio» e «figlio nato fuori dal matrimonio». Al figlio nato fuori dal matrimonio, riconosciuto contemporaneamente dai genitori, il cognome è attribuito secondo la volontà dei genitori (o quello della madre, o quello del padre o entrambi, nell'ordine concordato dai genitori). Se il figlio è riconosciuto da un solo genitore ne assume il cognome. Se la filiazione viene accertata o riconosciuta dopo il riconoscimento dell'altro genitore, al primo cognome del genitore che ha effettuato il riconoscimento si aggiunge il primo cognome dell'altro genitore, con il consenso dell'altro genitore. È necessario il consenso espresso del minore che abbia compiuto 14 anni.


Adozioni. Regole anche per il cognome dell'adottato, che assume quello dell'adottante e lo antepone al proprio. Se il cognome dell'adottato è doppio egli indica quale conservare. Se il cognome di chi adotta è doppio si deve indicare quale assegnare all'adottato. Se l'adozione è compiuta da coniugi essi dichiarano congiuntamente quale dei loro cognomi intendono assegnare. In caso di mancato accordo si attribuisce all'adottando uno solo tra i primi cognomi degli adottanti. Per effetto dell'adozione l'adottato acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio e cessa i rapporti con la famiglia d'origine, fatti salvi i divieti matrimoniali.


Figli legittimati. Il figlio legittimato assume il cognome che i genitori stabiliscono, tuttavia, se è maggiorenne alla data della legittimazione, può scegliere, entro un anno da quando ne viene a conoscenza, di mantenere il cognome portato in precedenza o, se diverso, di aggiungere o anteporre il primo cognome di uno dei genitori che lo hanno legittimato. Identica facoltà spetta al figlio maggiorenne che subisce il cambiamento o la modifica del proprio cognome a seguito della variazione di quello dei genitori o al figlio di ignoti riconosciuto, dopo la maggiore età, da uno o da entrambi i genitori.

Nomi. È vietato imporre al figlio lo stesso nome del padre, della madre, di un fratello o di una sorella viventi se ne deriva l'omonimia con il congiunto. No anche all'attribuzione di un cognome come nome, o di nomi ridicoli o vergognosi. Le disposizioni non sono retroattive, ma si applicano a tutti i nati dopo l'entrata in vigore delle nuove disposizioni che non abbiano fratelli nati dagli stessi genitori. I cognomi che alla data di entrata in vigore della legge siano composti da più parole di considerano come cognome unico. Il disegno di legge detta le regole anche per la dimostrazione di filiazione e di parentela fra una persona e la famiglia alla quale reclama di appartenere.