HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli
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13-5-2007
12-5-2007
11-5-2007
10-5-2007
9-5-2007
8-5-2007
7-5-2007
3-5-2007
INDICE
15-5-2007
Antitrust.
Comunicato stampa 15-5-2007 TELEFONIA MOBILE: ANTITRUST, GARANTIRE IMMEDIATA PORTABILITA’
NUMERO E CREDITO RESIDUO AGLI UTENTI IN CASO DI MODIFICA UNILATERALE DELLE
CONDIZIONI 1
La Repubblica 15-5-2007 Palermo Dieci sindaci alla Cdl,
tre all'Unione Ventuno comuni vanno al ballottaggio: c'è anche
Agrigento la Sicilia A Ragusa il Polo a valanga A Trapani vince Fazio,
Buscaino si dimette A Cefalù la spunta l'alleanza anomala tra Ds e Udc
Zambuto, ribelle dello Scudocrociato sfiderà Camilleri 2
L’Unità 15-5-2007 Conflitto di interessi, 42 ore
di dibattito. Ma si finirà solo dopo le amministrative Tempi
contingentati per la discussione. Ma, con altre votazioni e la campagna
elettorale, la Camera voterà tra qualche settimana. Critici Idv e Pdci
Quarantadue ore. Dieci per la discussione generale e altre trentadue per
l'esame della proposta. 3
L’Unità 15-5-2007 Bush contro l'Europa vuole cancellare
il clima dall'agenda del G8 Gli Usa preparano un colpo di mano sul piano per
fermare la febbre del pianeta di Roberto Rezzo 3
Il Tirreno 15-5-2007 L'Europa critica gli americani I
ministri della Difesa Ue criticano l'uso eccessivo della forza "Le
operazioni militari non devono coinvolgere gli inermi" 4
Il Giornale di Brescia 15-5-2007 Il sistema sanitario
americano, nuovo bersaglio di Michael Moore 5
Il Piccolo di Trieste 15-5-2007 Lettera aperta di
Dipiazza La Caritas raccomanda: basta agli interventi-spot nel campo sociale 5
Il Resto del Carlino 15-5-2007 Ravenna. Tat ci dicono
che solo il 50 per cento delle famiglie è in regola con i canoni del
family day. 6
Marketpress.info 15-5-2007 Secondo una recente relazione elaborata dai
centri studi Demos e The Centre, l'Ue dovrebbe essere considerata come un
sostenitore ed un esempio di collaborazione internazionale in materia di
ricerca e sviluppo. 6
Marketpress.info 15-5-2007- La Commissione europea ha
adottato una comunicazione sul ruolo della cultura nel contesto della
mondializzazione, che propone per la prima volta una strategia europea della
cultura. 7
COMUNICATO
STAMPA
No alla variazione dei piani
tariffari via sms: violano Codice delle Comunicazioni. Vessatoria modifica
unilaterale senza giustificato motivo.
Gli utenti di
telefonia mobile, ai quali viene comunicata la modifica unilaterale dei piani
tariffari, devono poter avere immediatamente la portabilità del numero
telefonico presso un altro operatore, con il riconoscimento del credito
residuo.
Lo sottolinea
l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che nella riunione
del 10 maggio 2007 ha
esaminato le numerose denunce ricevute dai clienti Wind, avvisati
dall’operatore attraverso l’invio di un sintetico sms del passaggio, non
richiesto, ad un altro piano tariffario, meno vantaggioso. L’Autorità
ha deciso di inviare le segnalazioni dei consumatori all’Agcom per gli
interventi di sua competenza e ha dato incarico al presidente Antonio
Catricalà di scrivere al ministro dello Sviluppo Economico Pierluigi
Bersani, per informarlo delle questioni sollevate dai consumatori.
L’Antitrust ricorda che il
Codice delle comunicazioni elettroniche attribuisce agli abbonati il diritto
di recedere dal contratto, senza penali, al momento della notifica di
proposte di modifica delle condizioni contrattuali: la comunicazione relativa
alla variazione dei piani tariffari, inviata con sms e senza l’indicazione
sulla possibilità di esercitare tale diritto, sembrerebbe dunque
violare la regolamentazione in vigore e potrebbe, in base alla normativa,
essere sanzionata.
Per l’Autorità
rientra ovviamente nella disponibilità delle imprese offrire nuovi e
più costosi piani tariffari ma occorre garantire agli utenti, che
conseguentemente intendono cambiare operatore, la portabilità
immediata del numero di telefono, assicurando il mantenimento del credito
residuo. All’Agcom l’Antitrust chiede dunque che venga assicurato, in questi
casi, uno speciale regime di immediata portabilità.
L’Autorità sottolinea
infine che il messaggio inviato da Wind non contiene neanche l’indicazione
del giustificato motivo che legittimerebbe l’operatore telefonico a
realizzare le modifiche del piano tariffario. Se la possibilità di
variazione unilaterale fosse prevista dalle condizioni generali di contratto,
potrebbero esistere gli estremi per una valutazione di vessatorietà
delle stesse clausole contrattuali. In base al Codice del Consumo, le
associazioni dei consumatori possono richiedere al giudice di proibire l’uso
di clausole ritenute vessatorie.
Roma, 14 maggio 2007
La Casa delle libertà si conferma in due dei tre Comuni
capoluogo dove si è votato e ottiene il successo anche alla Provincia
di Ragusa. Per il resto, la partita resta aperta, con 21 contese finite al
ballottaggio su 35 grandi centri (quelli con più di 10 mila abitanti)
interessati dalle elezioni. A Palermo Diego Cammarata stoppa il tentativo di
ritorno di Leoluca Orlando e il centrodestra conquista facilmente anche
Trapani, dove il sindaco uscente Girolamo Fazio, sostenuto da tutta la Casa
delle Libertà, supera al primo turno la prova lasciando le briciole ai
candidati del centrosinistra, Mario Buscaino (Ds e Margherita) e Giuseppe
Ortisi (Verdi e cespugli dell'Unione). Buscaino ha denunciato di essere stato
"abbandonato da Roma" e ha annunciato le dimissioni da segretario
provinciale della Margherita. La Cdl è costretta al ballottaggio ad
Agrigento, feudo del governatore Salvatore Cuffaro. Enzo Camilleri (Mpa) deve
andare al secondo turno con Marco Zambuto, appoggiato da tre liste civiche,
Udeur e Ds. L'Udc ha appoggiato ufficialmente Camilleri ma Zambuto è
l'ex coordinatore del partito nella città dei Templi e ha raccolto
anche l'appoggio di altri importanti "pezzi" dello scudocrociato di
Casini. Cefalù, dopo dieci anni di guida forzista, sperimenta la
"strana alleanza": vince al primo turno Giuseppe Guercio, esponente
dell'Udc, appoggiato da Ds, Sdi, e 4 liste civiche. L'altra alleanza anomala,
quella fra Udc e Margherita che a Barcellona Pozzo di Gotto sosteneva Carmelo
Torre, è stata sconfitta da Candeloro Nania (An), sindaco uscente che
si conferma. Alla Cdl va anche la Provincia di Ragusa, tradizionalmente zona
"rossa" della Sicilia dove il presidente uscente, Franco Antoci, ha
ottenuto una percentuale superiore al 65 per cento, lasciando all'avversario
dell'unione Giuseppe Barone al 25 per cento. Al primo turno, dieci comuni
vanno al centrodestra (ne aveva 24) e tre (su 9) al centrosinistra: fra
questi Gela, dove il sindaco uscente Rosario Crocetta centra l'affermazione
secca, respingendo l'assalto del polista Tonino Gagliano e malgrado un ex
alleato come Salvatore Morinello sostenesse un terzo candidato, Orazio
Rinelli. L'Mpa non sfonda nella partita dei sindaci: Camilleri costretto al
secondo turno ad Agrigento, Gagliano battuto a Gela. Un esponente di spicco
degli autonomisti come l'assessore regionale Rossana Interlandi va al
ballottaggio a Niscemi, contro Giovanni Di Martino del centrosinistra. A
Marsala il candidato della forzista Giulia Adamo e di Massimo Grillo,
l'avvocato Renzo Carini, va al secondo turno contro il vicesindaco uscente
Leonardo Giacalone (Ds), anche se fino a tarda ora rimaneva in corsa pure
Ottavio Navarra, esponente dei cespugli dell'Unione. Ad Alcamo Giuseppe
Benenati (Udc) porta al ballottaggio l'uscente Giacomo Scala (Margherita).
Appuntamento al secondo turno anche a Castelvetrano ed Erice. Il segretario
regionale dei Ds, Tonino Russo, parla di "avanzamento in Sicilia in
termini percentuali" e cita Agrigento come esempio di "stop" a
Cuffaro. Il presidente della Regione segnala che "dieci ballottaggi
riguardano candidati del centrodestra: il sindaco, comunque vada,
resterà del centrodestra". Il coordinatore regionale di Forza
Italia, Angelino Alfano dedica "il successo siciliano al presidente
Berlusconi". "Dopo un anno - dice - arrivano, per il presidente, le
prime soddisfazioni, giusto premio per la sua straordinaria tenacia e per la
sua grande capacità di resistenza alle oppressioni di ogni tipo. Ci
auguriamo che al risultato della Sicilia faccia seguito, tra quindici giorni,
quello del resto del Paese". Ma il segretario regionale del Prc, Rosario
Rappa, invita gli esponenti della Cdl alla calma e cita il successo di
Rosario Crocetta, comunista che continua a governare nella terra del Polo. e.
la.
Con questi tempi, da oggi, l'aula della Camera prende in esame
il nuovo provvedimento sul "conflitto di interessi". Il testo, che dovrebbe
arrivare a votazione dopo il primo turno delle amministrative di fine maggio
(la Camera chiude dal 21 al 27, per il "silenzio" che precede le
amministrative), non trova per adesso il favore di Forza Italia, ma nemmeno
quello (da punti di vista opposti) di Udeur, Verdi, Pdci e Idv. Il partito di
Berlusconi prova a rovesciare il problema. "Il centrosinistra - afferma
Fabrizio Cicchitto - per colpire Berlusconi adotta la linea di sparare a
raffica contro imprenditori e professionisti per cui l'attività di
governo nazionale, regionale e locale è inibita non solo a coloro che
raggiungono il tetto dei 15 milioni di euro, o che svolgano attività
economiche derivanti da concessioni dello Stato, ma anche per coloro che
siano titolari di interessi economici privati che possano condizionarli
nell'esercizio delle loro funzioni". Sarebbe, quindi, un criterio
"classista". Che, citiamo dalla dichiarazione dell'Udc Maurizio
Ronconi "imporrebbe una nuova casta di politici fatta di dipendenti pubblici
e privati, di funzionari di partito e dalla quale siano esclusi gli
imprenditori, piccoli e grandi, e tutti i lavoratori autonomi che si
troveranno con questa legge nelle obiettive condizioni di rinunciare a
qualsiasi impegno politico" (da notare che nel testo varato dalla
Commissione Affari Costituzionali l'incompatibilità è per i
membri del governo). Veniamo quindi alle distinzioni che da giorni sono
maturate all'interno dello schieramento di centrosinistra. Per il capogruppo
Udeur Mauro Fabbris, "il testo può essere migliorato per fare in
modo che abbia un carattere più generale ed evitare così che
sia contro qualcuno o che impedisca al leader dell'opposizione di fare
politica". Dall'altro lato Pino Sgobio, capogruppo del Pdci, avverte:
"Se il testo sul conflitto di interessi rimane così com'è
avremo difficoltà a votarlo, perché è troppo debole e
sciapo". E Massimo Donadi, capogruppo Idv alla Camera: "La legge
licenziata dalla Commissione è un'arma spuntata che, tanto è
più grande il conflitto di interessi, tanto più dà una
risposta inadeguata: forte con i deboli, si fa per dire, e debole con i forti
veri, con un blind trust che, per i grandi patrimoni, è tutto tranne
che cieco. Per quanto ci riguarda, per i casi di grande e grave conflitto di
interessi l'unica soluzione è l'assoluta incompatibilità con i
ruoli di Governo. Su questo, saremo irremovibili fino all'estrema conseguenza
di bocciare il provvedimento in Aula qualora non si arrivi ad una disciplina
veramente seria della materia". Dal punto di vista tecnico, oggi pomeriggio
scade il termine per presentare emendamenti.
/ New York COLPO DI MANO sull'ambiente. L'amministrazione Bush
sta tentando di far deragliare l'agenda del prossimo del G8, quella
incentrata sulla riduzione dei gas che causano l'effetto serra. Nelle ultime
riunioni in preparazione del vertice - che si terrà all'inizio di
giugno a Rostock in Germania - i rappresentanti di Washigton hanno chiesto di
cancellare dalla bozza di documento gli impegni a non far innalzare la
temperatura del pianeta oltre i 2 gradi centigradi
nel corso di questo secolo e a dimezzare le emissioni di anidride carbonica
entro il 2050. Obiettivi che nel testo originale, preparato dalla presidenza
tedesca, vengono definiti "imperativi". Non è tutto. Nella
versione riscritta e sostenuta dalla delegazione americana spariscono
nell'ordine: la clausola che recita "è in corso un'accelerazione
delle mutazioni climatiche che danneggerà l'ambiente naturale comune e
indebolirà severamente l'economia globale... è necessaria
un'azione urgente e risoluta"; la frase "siamo profondamente
preoccupati dalle ultime conclusioni confermate dalla Commissione
intergovernativa sul cambiamento di clima (Ipcc)"; l'impegno a mandare
"un messaggio chiaro" sugli sforzi internazionali per contrastare
l'aumento della temperatura del pianeta al prossimo tavolo di negoziati che
si terrà a novembre all'Onu; gli obiettivi sul miglioramento
dell'efficienza nel settore dei trasporti e in quello dell'edilizia; il
protocollo d'intesa per la creazione di un mercato globale del carbone. Si
tratta di un vero e proprio scempio che di fatto mette gli Usa su un altro
binario rispetto a tutte le principali potenze del mondo industrializzato. La
Ue, che include la metà dei membri del G8, si è già
impegnata a osservare l'obiettivo di contenere l'incremento della temperatura
e di ridurre entro il 2020 le emissioni gassose del 20% rispetto ai livelli
del 1990. È stata la cancelliera Angela Merkel a spingere perché
l'ambiente fosse la priorità del vertice, con il particolare sostegno
di Blair che con Rostock prenderà congedo dalla comunità
internazionale. Il premier giapponese Shinzo Abe ha segnalato l'intenzione di
spingere per un'accelerazione dei tempi e per obiettivi ancora più
stringenti. Bush non ne vuole sapere. Una portavoce del Consiglio per
l'ambiente della Casa Bianca, senza confermare le manovre sottobanco, ha per
tutta risposta rilasciato la seguente dichiarazione: "Esiste consenso
sul fatto che la Terra si sta riscaldando, e stiamo lavorando tanto con i
nostri partner del G8 che con le nazioni in via di sviluppo per identificare
nuove tecnologie che aiutino il mondo intero ad affrontare la sfida del
cambiamento climatico. Gli Usa continuano a guidare lo sforzo globale sul
cambiamento di clima". In sostanza confermando la linea che il ministro
dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio aveva così sintetizzato a
margine dell'intervento della scorsa settimana all'Onu: "Promettono
sempre che faranno molto senza mai assumersi nessun impegno". Ieri Bush
ha chiesto all'Agenzia Federale per l'Ambiente di regolare in qualche modo
l'emissioni di autoveicoli e centrali entro la fine del suo mandato. Lo ha
fatto senza convinzione perché costretto da una sentenza della Corte Suprema.
Le manovre americane vengono a galla proprio mentre un nuovo studio
pubblicato da Christian Aid sulla base dei dati raccolti dall'Onu prevede che
nei prossimi 50 anni oltre un miliardo di persone saranno costrette ad
abbandonare le proprie case in conseguenza del cambiamento di clima, dando
vita a una vera e propria crisi migratoria che coinvolgerà un abitante
su sette del pianeta. "Il vero obiettivo della Casa Bianca non è
solo quello di bloccare ogni iniziativa sino a quando Bush è
presidente, ma di minare il terreno su qualsiasi accordo post Kyoto"
commenta il presidente del Fondo per l'ambiente di Washington.
Il
Tirreno 15-5-2007 L'Europa
critica gli americani I ministri della Difesa Ue criticano l'uso eccessivo
della forza "Le operazioni militari non devono coinvolgere gli
inermi"
BRUXELLES. I ministri degli esteri e della difesa europei hanno
dato il via alla missione di addestramento della polizia e della magistratura
afgana condotta da personale dell'Unione europea e a cui partecipano anche
specialisti italiani. Riuniti a Bruxelles per discutere di un'agenda fitta di
scadenze, i ministri hanno duramente criticato il comportamento delle truppe
americane in Afghanistan. Comportamento che ha ripetutamente causato perdite
tra la popolazione civile. Il vicepremier Massimo D'Alema ha ricordato di
aver più volte espresso la preoccupazione che "le operazioni
militari non coinvolgano gli inermi" in Afghanistan. Nel paese
"c'è un conflitto sanguinoso - ha detto - ma non ha acquistato le
dimensioni di quell'offensiva generale che era stata preannunciata".
Secondo D'Alema è necessario moltiplicare gli sforzi "che devono
anche essere politici per ottenere l'effettiva pacificazione
dell'Afghanistan". Il ministro ha citato come modello la recente
conferenza internazionale sull'Iraq. Sulla stessa linea del vicepremier
italiano Franz Joseph Jung ministro della difesa della Germania, che esercita
la presidenza della Ue, il quale parlando a nome di tutti i colleghi ha detto
che "bisogna fare tutto il possibile per evitare vittime tra i civili ed
è necessario prendere tutte le misure necessarie per proteggere la
popolazione". "è fondamentale che ci sia una discussione
sulle regole di ingaggio - ha aggiunto - ne abbiamo parlato anche con il
segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer che ha pertecipato alla
nostra riunione". Secondo Jung, il comportamento degli americani
è incongruente perchè le ripetute, indiscriminate uccisioni di
civili, donne e bambini compresi, "possono indurre la popolazione a
rivoltarsi contri i nostri soldati. Bisogna perciò fare di tutto per
evitare situazioni di questo tipo perchè se vogliamo ristabilire la
pace nel paese, abbiamo bisogno di conquistare innanzitutto la fiducia della
popolazione". Jung ha anche espresso "partecipazione e
solidarietà" al collega italiano Arturo Parisi per il ferimento
dei due militari italiani in Afghanistan. "I soldati sono soldati ovunque,
non solo quelli che sono a sud o a est - ha detto in polemica con inglesi e
americani - tutti sono esposti a rischi perchè rischi ce ne sono
ovunque".(a.b.).
FUORI CONCORSO A CANNES, IN PRIMA MONDIALE, "SICKO",
IL NUOVO FILM-DOCUMENTARIO DEL REGISTA DI "FAHRENHEIT 9/11"
Nuovo docu-film di denuncia del regista Michael Moore CANNES - A
tre anni dalla clamorosa Palma d'oro con il film-documentario
"Fahrenheit 9/11", plateale attacco alla presidenza di George W
Bush, Michael Moore torna sulla Croisette portando, fuori concorso e in
anteprima mondiale, un'altra storia di denuncia, "Sicko", questa
volta sul sistema sanitario americano. Il documentario è sulle HMO
americane (Health Maintenance Organization, organizzazione sanitaria
autonoma) e sulle compagnie farmaceutiche del Paese e il regista di
"Bowling Columbine" promette di rivelare quel che nessuno neppure
immagina. Moore definisce "Sicko" "una commedia sui 45 milioni
di persone senza assicurazione sanitaria nel Paese più ricco del
mondo". Se il filmaker guru del partito anti-Bush, per niente tenero
però neanche con i democratici, un Beppe Grillo al cubo (anche per il
peso oversize) riuscirà ad attrarre polemiche, scandali, ovazioni e
premi come per "9/11" è azzardato affermarlo. Con
"9/11" (che incassò nel mondo 222.4 milioni di dollari),
Moore ebbe il merito di intercettare il pacifismo internazionale sulla guerra
in Iraq, mentre "Sicko" sembra sulla carta un pur sconvolgente ma
circoscritto caso americano. La denuncia del sistema per cui se sei ricco ti
curi e bene e se sei povero muori per strada o sei oggetto di sperimentazioni
di farmaci, farà almeno in Italia guardare in altra luce la sanità
pubblica, anche là dove appare disastrata, e perfino farci apprezzare
il letto sbattuto in corsia. Intanto, solo pochi giorni fa, il regista
è finito sotto inchiesta in America per un viaggio della speranza che
ha effettuato a Cuba per "Sicko" a febbraio per far curare alcuni
membri di una organizzazione di pronto soccorso che soffrono di disturbi,
dopo aver lavorato a Ground Zero dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001. Al
regista è stato contestato di aver violato l'embargo su Cuba. Un segnale
indubbio delle grane che arriveranno al film prodotto da Weinstein Co. e che
uscirà in America, distribuito come Fahrenheit 9/11 da Lionsgate, il
29 giugno. Gli stratagemmi che avrebbe usato nella lavorazione del film, come
quello appunto di organizzare un viaggio della speranza, per dimostrare che
la sanità degli Stati Uniti è inferiore anche a quella dei
Paesi più poveri come Cuba, sono già stati evidenziati da
alcuni detrattori di Moore, come Debbie Melnyk e Rick Caine, che lo aiutarono
in "Fahrenheit 9/11" e che sono diventati suoi accusatori: il loro
documentario "Manufacturing dissent" (Manipolare il dissenso)
sbugiarda alcuni dei momenti chiave dei film di Moore ed è considerato
una delle principali minacce al lancio di "Sicko"
"Politicamente siamo d'accordo con lui, ma è difficile continuare
a pensare al suo lavoro come a una rappresentazione fedele della
realtà: pur di dimostrare le sue idee talvolta Michael è molto
spregiudicato", ha raccontato Rick Caine. Ma Moore ha già
replicato: "Mi indagano per intimidirmi, per motivi politici grossolani.
Alessandra Magliaro.
L'APPELLO Attenzione alla fasce più deboli, riduzione dei
costi della politica, monitoraggio dei servizi sociali. Sono alcune delle
raccomandazioni che la Caritas diocesana fa ai sette candidati-sindaco.
"I candidati si impegnino ad incontrare le persone più o meglio
che a gestire progetti o eventi; anche perché continuando così
avverrà lo spostamento verso una 'città di individui', la
negazione stessa del comune - scrive don Ruggero Dipiazza -. Perché questo
dialogo favorisca una migliore conoscenza e presa d'atto delle
difficoltà di tante persone proponiamo alcune priorità e
criticità che potrebbero essere evidenziate già nella stesura
dei programmi dei vari candidati: attenzione alle fasce più deboli
evitando gli interventi spot, che tacitano l'emergenza per un momento e
risorgono subito dopo come problemi; riduzione del costo della politica:
chiediamo ai candidati sindaci di porre delle scelte orientate alla riduzione
della spesa pubblica nei capitoli di bilancio che riguardano i compensi agli
amministratori; monitoraggio dei servizi sociali: deve essere cura dei
sindaci e degli assessori di pretendere una verifica continua in termini di
efficienza, efficacia e analisi costi/benefici dei servizi sociali erogati
direttamente dai comuni; protocollo d'intesa con la cooperazione sociale: le
amministrazioni comunali dovrebbero siglare dei protocolli di intesa con la
cooperazione sociale per vincolare gli appalti dei servizi di bassa
professionalità a cooperative sociali al fine di inserire lavoratori
svantaggiati; sviluppo economico: una politica economica che porti uno
sviluppo del settore industriale e dei servizi capace di ridurre la
disoccupazione oltre ai diktat delle lobby d'interesse; politiche giovanili: una
politica educativa che prenda seriamente in considerazione i giovani;
integrazione culturale verso i cittadini immigrati: creare percorsi di
integrazione per gli stranieri residenti che si esplichino su più
fronti". Secondo la Caritas, "queste priorità sono possibili
da perseguire se c'è un'alleanza forte tra istituzioni pubbliche e
soggetti del privato sociale in cui ci sia una co-progettazione delle
politiche sociali".
E quindi chi tutelerà da oggi i diritti dell'altro 50 per
cento delle famiglie? Andando avanti di questo passo e per non scontentare le
gerarchie cattoliche, si comincerà a mettere in discussione la legge
194 ed anche la legge sul divorzio. Di questo passo, come già è
avvenuto a Modena, per racimolare voti anche dai cattolici-moderati, si
comincerà ad intitolare strade ad estremisti di destra e di sinistra
morti durante gli anni di piombo. Di questo passo si comincerà a
parlare anche di condivisione della guerra civile mettendo sullo stesso piano
chi voleva gasare gli ebrei e chi, invece, voleva un' Italia libera. Ravenna
non è più una città laica perchè non ci sono
più i laici. Non vogliamo una guerra di religione, un muro contro
muro, vogliamo solo che i laici riacquistino la loro dignità. Con i
cattolici si può e si deve collaborare su tutto ma la nostra idea di
società e di etica è diversa e non possiamo rinnegare la nostra
storia solo per creare un nuovo partito o per andare a raccattare voti. Cosa
farà,ora, il nostro sindaco? Continuerà con la politica dei
'laici con le braghe abbassate' o prenderà esempio dai nostri fratelli
turchi che a milioni sfilano nelle strade per evitare che il loro paese venga
scaraventato nel medioevo ? Dobbiamo abbassare le braghe o prendere esempio
dalla cattolica Francia dove esistono sia i Pacs e sia una politica di
sostegno alle famiglie? Cesare Sama Gruppi di Impegno Laico. )
Bruxelles, 15 maggio 2007 -La relazione, dal titolo "The
Atlas of Ideas" (L'atlante delle idee), è il risultato di uno
studio durato 18 mesi e descrive l'avvento dell'innovazione in Cina, India e
Corea del Sud. Essa formula quattro raccomandazioni fondamentali su come l'Ue
potrebbe rispondere al meglio alle sfide poste da questi paesi. "Siamo
convinti che l'atteggiamento migliore sia la condivisione della conoscenza e
non la sua protezione", ha dichiarato James Wilsdon, uno degli autori
della relazione, nel corso della manifestazione tenutasi a Bruxelles per il
lancio dell'atlante. Secondo Simon O'connor di The Centre, tuttavia, l'Europa
deve agire adesso che la capacità di innovazione dell'Asia è
ancora in via di sviluppo. "Fra 10 anni sarà troppo tardi",
ha avvertito. La prima raccomandazione della relazione è che l'Ue
dovrebbe "favorire la collaborazione di massa". Il documento rileva
che, grazie all'aumento dei finanziamenti e alla maggiore attenzione dedicata
alla collaborazione internazionale, il Settimo programma quadro (7Pq) dell'Ue
rappresenta un passo nella direzione giusta. Adesso, la sfida è
garantire che nei piani di bilancio a lungo termine dell'Ue sia accordata
alla R&s una priorità ancora più elevata. "L'obiettivo
dovrebbe essere raddoppiare la quota di bilancio destinata alla "competitività
per la crescita e l'occupazione" e, in quest'ambito, garantire che i
finanziamenti per l'8Pq, che coprirà il periodo dal 2014 al 2020,
superino i 100 Mrd Eur", scrivono gli autori. Inoltre, nell'ambito
dell'Ottavo programma quadro, alla cooperazione internazionale dovrebbe
essere attribuita una maggiore priorità, e l'efficacia dei nuovi
meccanismi di cooperazione internazionale introdotti attraverso il 7Pq
andrebbe rivista entro il 2010. Questo processo offrirà il tempo
necessario per incorporare nel prossimo programma quadro quanto si è
appreso fino a quel momento. La seconda raccomandazione è che l'Ue
diventi una "calamita del talento". "La mobilità di
scienziati e imprenditori costituisce la linfa vitale delle reti di
innovazione globale", si legge nella relazione. Il primo passo dell'Ue
è portare avanti la ricerca sulla circolazione dei talenti
internazionali negli Stati membri dell'Ue e sul rapporto fra migrazione e
innovazione. Migliorare la partecipazione dei ricercatori asiatici ai
programmi comunitari di mobilità Marie Curie è un modo grazie
al quale l'Ue potrebbe attirare i talenti al suo interno. Oggi, purtroppo, la
partecipazione asiatica ai programmi è molto modesta. Al contempo,
l'Ue deve inviare un numero maggiore di propri scienziati in Asia; attualmente,
quasi tutti i borsisti Marie Curie che si recano in paesi terzi hanno scelto
come destinazione gli Usa, il Canada o l'Australia. La terza raccomandazione
è "costruire le banche della conoscenza". "In ogni
momento potrebbero verificarsi nuovi sviluppi e l'Ue deve essere
pronta", ha osservato Simon O'connor. Ciò comporta la creazione e
il rafforzamento dei legami con le comunità scientifica e di ricerca
dei paesi terzi. Attualmente, le rappresentanze della Commissione in Cina e
in India hanno solo un consigliere scientifico ciascuna, mentre molti Stati
membri hanno équipe considerevoli di consiglieri scientifici e consulenti in
questi paesi. "Questa situazione serve l'interesse a lungo termine
dell'Europa?", si chiede la relazione. "O piuttosto incoraggia i
paesi terzi a mettere i singoli Stati dell'Ue uno contro l'altro e contro
partner più grandi come gli Usa?" La raccomandazione finale
è "guidare la scienza globale verso obiettivi globali". Il
progetto di fusione nucleare Iter e il sistema di navigazione satellitare Galileo
sono validi esempi di progetti che riuniscono la conoscenza globale al fine
di risolvere sfide globali. Altri settori individuati dalla relazione che
potrebbero beneficiare di questo approccio sono l'energia a bassa emissione
di carbonio, i trasporti sostenibili e la prevenzione delle malattie
pandemiche. Mary Minch, direttore della Cooperazione internazionale presso la
Direzione generale "Ricerca" della Commissione europea, ha accolto
positivamente la relazione sottolineando che la questione di come promuovere
la cooperazione a livello mondiale è una parte importante del Libro
verde sullo Spazio europeo della ricerca, pubblicato di recente. "La
cooperazione internazionale occuperà una parte importante del
dibattito", ha fatto presente. Per ulteriori informazioni consultare:
http://www. Atlasofideas. Org .
Bruxelles, 15 maggio 2007 José Manuel Barroso, presidente della
Commissione europea, ha dichiarato: "La cultura e la creatività
riguardano direttamente la vita quotidiana dei cittadini. Sono fattori
importanti di sviluppo personale, coesione sociale e crescita economica. Ma
sono anche molto di più: sono gli elementi centrali di un progetto
europeo basato su valori comuni e su un patrimonio comune, che al tempo
stesso riconosce e rispetta la diversità. Questa strategia, diretta a
favorire la comprensione tra le culture, conferma che la cultura è al
centro delle nostre politiche". La nuova strategia politica, intitolata
"Un'agenda europea della cultura in un mondo globale", si presenta
in forma di comunicazione della Commissione, che afferma il ruolo
fondamentale della cultura nel processo dell'integrazione europea e propone
un'agenda culturale per l'Europa e le sue relazioni con i paesi terzi. Essa
è completata da un documento di lavoro dei servizi della Commissione
che presenta le varie iniziative dell'Unione europea a favore della cultura.
La comunicazione e il documento di lavoro sono il risultato di una vasta
consultazione pubblica. La comunicazione definisce tre grandi obiettivi che
costituiscono nel loro insieme una strategia culturale per le istituzioni
europee, gli Stati membri e il settore della cultura e della creazione
artistica: 1. Promozione della diversità delle culture e del dialogo
tra le culture; 2. Promozione della cultura come catalizzatore della
creatività nel quadro della strategia di Lisbona; 3. Promozione della
cultura come elemento vitale nelle relazioni esterne dell'Unione. Se l'Ue
vede con favore l'applicazione della convenzione dell'Unesco sulla protezione
e la promozione della diversità delle espressioni culturali, la
comunicazione afferma anche la dimensione esterna della cultura in Europa.
Riconosce la necessità di una strategia europea della cultura aperta
alla diversità in Europa e, allo stesso tempo, aperta al mondo.
Propone misure per rafforzare l'importanza della cultura come componente del
dialogo politico con i paesi e le regioni partner, promuovere gli scambi
culturali, integrare sistematicamente la cultura nei programmi e progetti di
sviluppo. Al fine di sostenere azioni specifiche nei paesi Acp, la
Commissione europea propone di creare un Fondo culturale Ue-acp come
contributo europeo comune destinato a favorire la diffusione e, in alcuni casi,
la produzione di prodotti culturali dei paesi Acp. Questo Fondo
favorirà lo sviluppo dei mercati e delle industrie locali e l'accesso
dei prodotti culturali dei paesi Acp ai mercati europei. La Commissione
europea propone di destinare al Fondo un contributo comunitario di circa 30
milioni di euro per il periodo 2007?2013 e invita gli Stati membri ad
alimentare questo Fondo con ulteriori contributi. Un elemento fondamentale
è la proposta di introdurre un sistema di cooperazione più
strutturato tra gli Stati membri e le istituzioni europee nel settore
culturale, basato sul "metodo di coordinamento aperto" che è
stato utilizzato con successo per organizzare la collaborazione tra gli Stati
membri e l'Ue nei settori dell'istruzione e formazione, della gioventù
e della protezione sociale. Gli Stati membri e la Commissione europea
dovranno stabilire obiettivi generali e valuteranno ogni due anni i progressi
realizzati nella direzione di questi obiettivi. La comunicazione cerca anche
di coinvolgere più direttamente il mondo della cultura ? singoli
operatori e industrie - nelle questioni europee, anche con la creazione di un
"forum culturale" che costituisca un'efficace struttura di dialogo
e cooperazione. La strategia europea della cultura sarà completata da
altre azioni dell'Ue nel settore della cultura, come nel 2008 l'Anno europeo del
dialogo interculturale.
INDICE 14-5-2007
+ + Il Sole 24 Ore 14-5-2007 Rapporto Ue:
l'Italia arranca nella banda larga nelle case di Gianni Rusconi 1
+ + Wall Street Italia 14-5-2007 L'iniziativa "Trentino in Rete -
T. Net.", tra i 49 migliori progetti 2
+ Il Sole 24 Ore Plus 14-5-2007 GOVERNANCE di Riccardo Sabbatini
Authority, un codice sui conflitti 3
+ La Stampa 14-5-2007 Giallo sulla salute di Gheddafi Il colonnello
avrebbe telefonato a Prodi poco fa 3
+ La Stampa 14-5-2007 Gheddafi in coma per un ictus 4
+ La Stampa 14-5-2007 Poliziotti e carabinieri arrestati per truffa.
Gli arresti - disposti dal gip di Larino - sono stati eseguiti in
un’inchiesta coordinata dal procuratore della repubblica Nicola Magrone 4
+ Il Sole 24 Ore 14-5-2007 Tasse e servizi:a casa il saldo è negativo Un nucleo con un
figlio dà allo Stato 11.600 euro e ne riceve 10.500 In coda alla Ue
sul Welfare Mauro Meazza Gianni Trovati 4
+ Il Corriere della sera 14-5-2007 Il sondaggio. I vescovi in campo,
sì dal 54% Dico: maggiornaza contraria. Il nodo sono i diritti ai gay.
Ma scende la popolarità delle gerachie ecclesiastiche . Renato
Mannheimer 5
Il Centro 14-5-2007 Galloni: quando Kissinger minacciò Moro A
Pescara l'ex ministro rivela due retroscena nel rapimento dello statista Dc.
Saverio Occhiuto 6
Il Corriere della Sera 14-5-2007 La fragile tregua. Kabul e il "No
Bush day" della sinistra. di Angelo Panebianco 7
Il Sole 24 Ore 14-5-2007 Unione europea. Il cancelliere tedesco
rilancia l'attività diplomatica per firmare la Costituzione entro il
giugno 2008 Carta Ue, la Merkel ci riprova Ma il nuovo Trattato rischia di
ridurre al minimo le riforme istituzionali Adriana Cerretelli 8
Il Manifesto 14-5-2007"Dio, famiglia e volontariato", il
laicato cattolico si ritrova unito Da destra a sinistra In piazza
associazioni vicine al centrodestra, da Cl al Movimento per la vita. Ma anche
le Acli e gli scout dell'Agesci Mimmo de Cillis* 9
La Repubblica 14-5-2007 IL RETROSCENA Il ministro Fioroni: "Va
ascoltata la piazza". Latorre, Ds: "Un errore la contromanifestazione"
E i teodem vanno all'attacco "Cambiare o il governo rischia"
GIOVANNA CASADIO 10
La Stampa 14-5-2007 L'obiettivo è coprire il "nuovo vuoto a
sinistra" del Pd. Paradossi politici Dalla fine del Pci al patto con Di
Pietro. Fabrizio Rondolino 10
Il Riformista 14-5-2007 De profundis per i Dico, su cui si è
persa pure l’ultima speranza di Tommaso Labate 11
Garante 11-5-2007 Privacy Paissan: i giornalisti misurino la loro
libertà con la tutela della dignità delle persone 12
Il Corriere della Sera 14-5-2007 L'INCHIESTA I trafficanti di cellule e
i bimbi spariti KIEV - Traffico d'organi, neonati scomparsi e il nuovo
business delle cellule staminali. di Andrea Nicastro 12
Guarda il
rapporto Ue 2007 Bocciati. Il rapporto Commissione Europea sulla società
dell'informazione per il 2007, e cioè il termometro più
affidabile per misurare i livelli di adozione delle tecnologie (personal
computer, servizi di telecomunicazione e Intertnet) mette l'Italia dietro la
lavagna per quanto riguarda la diffusione della banda larga nelle case. E
ciò che balza subito all'occhio è il fatto che il ritardo del
nostro Paese rispetto al resto dell'Europa comunitaria allargata a 27 Paesi
è addirittura aumentato nel corso del 2006. La riflessione è
quindi d'obbligo: dove sono finite le promesse sbandierate in questi anni dal
governo (e dall'ex ministro delle Comunicazioni Gasparri in particolare)
circa le iniziative volte ad abbattere il "digital divide"
italiano? Perché la crescita degli accessi veloci alla Rete non decolla e le
aree più scoperte dai servizi a banda larga - quelle rurali e montane
dove la fibra non arriva, pari a sei milioni di persone, secondo Altroconsumo
trovano solo di rado soluzioni adeguate nella tecnologia wireless? Nel
broadband dietro alla Lituania, nei cellulari davanti a tutti Il rapporto
compilato in sede di Commissione europea è oggettivamente il
più completo fra quelli disponibili in materia di tecnologie
dell'informazione in quanto elaborato sulal base delle risposte di un
campione di oltre 25 mila famiglie europee. I numeri relativi al 2006, per
quanto riguarda la disponibilità di un accesso a banda larga negli
ambienti domestici, è il seguente: l'Italia vanta una penetrazione del
14%, l'esatta metà della media europea, e denota un gap imbarazzante
verso i più bravi della classe, che sono Paesi Bassi (con il 65% di
utenze attive), Danimarca (60%), Finlandia (49%), Belgio (47%) e Svezia (43%)
e Paesi di seconda fascia come Estonia (41%) e Malta (40%). Raffrontando la
diffusione degli accessi veloci nel Bel APese con quelli rilevati nelle altre
nazioni più importanti della Ue il resoconto è altrettanto
impietoso: il Regno Unito è al 41%, la Francia al 40% e la Spagna e la
Germania appaiate al 25%. E meglio di noi fanno anche Austria, Portogallo,
Slovenia, Polonia Repubblica Ceca, Lituania e Ungheria. Il solco che ci
divide dai Paesi guida cresce perché l'Italia corre a rilento: la diffusione
del broadband in Francia e Germania è cresciuta dal 2005 del 6% e del
9% in Spagna e Regno Unito, contro il 2% nostrano mentre l'intera Unione ha
fatto un salto in avanti di cinque punti percentuali. Il fatto che i
disservizi nell'erogazione della banda larga (velocità della linea e
assistenza clienti su tutte) non siano una prerogativa italiana non può
essere un motivo di consolazione. Tutt'altra faccia mostriamo sul fronte dei
servizi di telefonia. Il numero di famiglie che abbandona la rete fissa per
dedicarsi solo a quella mobile è in costante aumento arrivando nel
2006 al 22% (contro il 18% del 2005) e in questo ambito l'Italia segna
l'indice di incremento migliore (13% al pari dell'Ungheria) portando al 38%
la quota di nuclei familiari che utilizzano solo il cellulare per telefonare
rinunciando all'apparecchio tradizionale. Le brutte notizie tornano a galla
invece per ciò che concerne la dotazione del computer fra le mura di
casa: il risultato italiano è del 50%, quattro punti sotto la media
europea, che ci posiziona nella terza fascia per livello di diffusione
(Germania, Uk e Francia sono nella seconda). La situazione in Europa: una
famiglia su sei telefona via Internet Scorrendo velocemente il rapporto
emergono consuetudini ormai più o meno radicate come il fatto di avere
almeno una linea telefonica attiva (vale per il 95% delle famiglie
dell'Unione) e tendenze che evolvono molto rapidamente, determinate dalle
diverse modalità con le quali gli utenti usufruiscono dei diversi
servizi. Cresce come già detto la propensione all'utilizzo della sola
linea mobile (mentre è stabile, all'81%, la diffusione complessiva
delle utenze ai telefonini) e a fatica prende piede anche l'abitudine a
telefonare via Internet dal proprio pc, abitudine che riguarda il 17% delle
famiglie dotate di connessione in Rete. Solo il 12% della popolazione Ue,
invece, fa ancora uso degli apparecchi pubblici. Sul fronte Internet, invece,
c'è da segnalare come addirittura il 34% degli utenti attivi disponga
in casa di un apparato di connessione Wi-fi e come la banda larga sia in
generale doppiamente diffusa rispetto ai collegamenti "narrowband"
via doppino (28% contro il 12%, mentre in Italia il rapporto è 14%
contro 17%) e come l'Adsl sia la tecnologia a banda larga preferita (copre il
53% degli accessi a banda larga continentali). Un ultimo dato degno di nota,
infine, conferma la buona "educazione" degli utenti dell'Unione
quanto a utilizzo di software antivirus e antispamming a bordo dei propri
computer, pari all'81% e al 60% rispettivamente. Lasciamo ai lettori il
compito di paragonare tali dati a quello che ci riguardano da vicino.
+
+ Wall Street Italia 14-5-2007 L'iniziativa
"Trentino in Rete - T. Net.", tra i 49 migliori progetti
Trento, 14 mag -
L'iniziativa "Trentino in Rete - T. Net.", con la quale la Provincia
autonoma di Trento porterà internet ad alta velocità in tutto
il Trentino entro il 2010, è stata selezionata tra i 49 migliori
progetti (sui 163 proposti) che saranno presentati alla prossima conferenza
"Bridging the Broadband Gap", che si tiene oggi e domani a
Bruxelles. L'evento è organizzato dalla Commissione Ue per evidenziare
come l'uso delle tecnologie basate sulla banda larga possa incentivare lo
sviluppo in particolare delle aree rurali e svantaggiate e si inserisce nel
panorama delineato dalla comunicazione della Commissione europea adottata nel
marzo 2006 per diffondere la consapevolezza di quanto possa influire la
mancanza di un'infrastruttura di rete di alto livello sullo sviluppo delle
regioni più isolate. Dotarsi di una rete capillare, che fornisca
uguale accesso per tutti alle opportunità offerte dalla società
dell'informazione, è da tempo obiettivo prioritario della Provincia
trentina, soprattutto per evitare l'ulteriore marginalizzazione di vaste aree
già oggi scarsamente abitate e ad alto rischio di spopolamento. Il
progetto trentino sarà finanziato per l'80% dalla Provincia e prevede
un investimento di oltre 100 milioni di euro per l'allestimento di 92 nodi di
rete sul territorio provinciale, la posa di oltre 700 km di fibre ottiche e
l'installazione degli impianti necessari per realizzare la rete wireless.
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I regulator
disciplinano minuziosamente i potenziali conflitti d'interesse di
amministratori e intermediari finanziari. Ma con i loro, di conflitti, come si
comportano? La problematica sta assumendo una rilevanza sempre maggiore in
relazione al dilatarsi del raggio d'azione delle authority. Più
facilmente di quanto accadeva in passato un regulator è maggiormente
esposto al rischio di imbattersi in una "parte correlata".
Cioè, in un interesse in conflitto con quello istituzionale. Qualche
esempio? L'avvocato Claudio Tesauro, nipote dell'ex presidente dell'Antitrust
Giuseppe Tesauro, svolge la sua attività professionale in uno studio
legale che si occupa della concorrenza. Marco Cardia, figlio del presidente
della Consob Lamberto, è tra i membri del comitato di vigilanza di
Premafin (holding del gruppo FondiariaSai), che svolge i controlli interni
per il rispetto della legge 231 (sulla responsabilità amministrativa
delle imprese). E sovrintende pertanto anche sulle procedure per prevenire
reati finanziari soggette, ovviamente, anche allo scrutinio della Consob. Un
problema analogo, tra i membri della stessa commissione, potrebbe averlo
anche Paolo Di Benedetto la cui consorte, Paola Severino, è uno dei
più conosciuti ed apprezzati avvocati specializzati nelle tematiche
della legge 231. Altrove esistono norme specifiche per affrontare simili
problematiche. Quanti lavorano alla Financial Services Authority (Fsa), il
regulator anglosassone, debbono rispettare le minuzione norme del Code of
conduct che disciplina regali, viaggi, attività di impiegati e
dirigenti per evitare anche l'apparenza di un conflitto. Ad occuparsene
è anche uno specifico ufficio (ethics officer). Regole simili sono
previste dal Codigo General de Conducta della Cnmv spagnola. In Italia
l'Antitrust è già in linea con gli stessi standard e anche la
Banca d'Italia ha varato un codice etico per i membri del direttorio, ma
soltanto dopo le polemiche sorte sulle relazioni dell'ex governatore Antonio
Fazio con la Popolare di Lodi. Quanto alla Consob c'è un regolamento
del personale che disciplina la materia, in termini molto generali, ma non
vale per i commissari. Questi ultimi, naturalmente, possono fare affidamento
sui principi generali del pubblico impiego e della legge istitutiva. Ma nulla
di più. è una lacuna che andrebbe colmata anche per non creare
eccessive asimmetrie con le medesime regole, spesso molto dettagliate, che la
stessa Consob impone ad amministratori e intermediari.
BETLEMME
Il leader libico Muammar Gheddafi smentisce in prima persona le allarmanti
notizie sulla sua salute rimbalzate questa mattina da Israele. Con una
telefonata al premier italiano Prodi Gheddafi ha confermato di star bene. A
quanto si apprende da fonti di Palazzo Chigi il leader libico avrebbe
espresso a Prodi anche la sua incredulità per le notizie diffuse sul suo
stato di salute. Scherzosa la risposta di Prodi: «In Italia si dice che certe
voci allungano la vita».
Stamattina l’allarme. Il leader libico Muammar Gheddafi - ha riferiva Radio
Israele citata dal Jerusalm Post - è stato ricoverato ieri in ospedale
con un ictus celebrale e sarebbe in coma. Secondo alcune indiscrezioni, un
figlio di Gheddafi, che risiede in Europa, è stato richiamato
urgentemente a Tripoli per assistere il padre. Secondo l’agenzia Màan,
«le condizioni del leader libico Muammar Gheddafi sono molto serie».
Gheddafi, si aggiunge, «è stato portato in stato di incoscienza
all’ospedale».
Ma l’Ambasciata libica in Italia aveva già smentito la notizia «Per
noi il colonnello sta benissimo», ha detto una fonte della sede diplomatica
in via Nomentana a Roma, «Tripoli ce lo ha confermato». Poi la notizia della
telefonata a Prodi.
Il presidente
libico è stato vittima di un malore la scorsa notte ed è stato
ricoverato in un ospedale di Tripoli, dove si trova tuttora
BETLEMME
Il presidente libico Muammar Gheddafi è stato vittima di un ictus la
scorsa notte ed è stato ricoverato in un ospedale di Tripoli, dove si
trova tuttora in coma. Lo afferma la agenzia di stampa palestinese Maan.
L’agenzia, che di solito diffonde soltanto notizie che riguardano i
palestinesi nei territori, aggiunge che i figli di Gheddafi, che erano in
Europa, sono stati richiamati in patria.
Secondo l’agenzia Màan, «le condizioni del leader libico Muammar
Gheddafi sono molto serie». Gheddafi, si aggiunge, «è stato portato in
stato di incoscienza all’ospedale».
ROMA
Il comandante provinciale dei Carabinieri di Campobasso, il comandante della
sezione di polizia giudiziaria dei Carabinieri presso la procura di Larino, i
componenti della sezione di pg della Polizia di Stato presso la stessa
procura, altri appartenenti alle forze dell’ordine ed un avvocato - nove
persone in tutto - sono stati arrestati all’alba di oggi su disposizione
della magistratura.
Gli arresti - disposti dal gip di Larino - sono stati eseguiti
in un’inchiesta coordinata dal procuratore della repubblica Nicola Magrone
per reati che vanno dall’associazione per delinquere alla truffa, da una
serie ripetuta di falsi alla sistematica rivelazione del segreto d’ufficio.
Gli arrestati avrebbero costituito, secondo l’accusa, un vero e
proprio corpo separato all’interno della struttura giudiziaria.
+ Il
Sole 24 Ore 14-5-2007 Tasse e servizi:a casa il
saldo è negativo Un nucleo con un figlio dà allo Stato 11.600
euro e ne riceve 10.500
In coda alla Ue sul Welfare Mauro Meazza Gianni
Trovati
MILANO Nel suo
confronto con lo Stato, la famiglia italiana media non riesce proprio a far
quadrare i conti: per quanto si possa ingegnare, la sua contabilità
chiude in rosso, per un migliaio di euro circa ogni anno (89 ogni mese). La
cifra,naturalmente,è un indicatore approssimativo, perché soffre di un
doppio difetto: è una media (proprio come il pollo di Trilussa) che
risulta per di più da valori medi. Ma, pur con tutte queste cautele,
è un numero che conferma una percezione diffusa, non solo tra le
famiglie: quella di dare allo Stato più di quel che si riceve. Anche
le statistiche internazionali, d'altra parte, segnalano che l'Italia non si
impegna quanto altri Paesi. Qui accanto riportiamo la graduatoria Eurostat,
che misura l'impegno dello Stato per famiglie e bambini in termini di
percentuale del prodotto interno lordo: con una media europea del 2,1%, il
nostro Paese è all'1,1 per cento. Il bilancio medio della famiglia
media è un po' la traduzione individuale del dato di Eurostat: cioé il
significato concreto di una spesa sociale troppo bassa. Le uscite Il nostro
bilancio medio tiene conto di tutti i rapporti diretti (escluso, dunque, il
dare/avere legato al sistema previdenziale) fra le famiglie e il settore
pubblico in generale, che comprende le attività di Stato, Regioni,
enti locali e servizio sanitario nazionale. Per il Fisco, non si è
tenuto conto dei comportamenti medi di consumo (che avrebbero aumentato il
prelievo della componente Iva) e si è partiti dalla curva Irpef
disegnata dalla Finanziaria per il 2007 per i redditi da lavoro dipendente.
Ai 10.743 euro richiesti per un reddito lordo di 42mila euro (ottenuto
attribuendo a un solo componente il doppio del reddito medio netto italiano
di 1.312 euro al mese) si aggiungono addizionali regionali e locali sul
reddito, ricavate applicando le aliquote medie a livello locale per il 2007.
La famiglia tipo italiana, inoltre, abita in una casa di proprietà di 80 metri quadri, che
sulla base dei valori catastali medi (lontano dalle metropoli) divengono
un'Ici di 13 euro, grazie alla detrazione media di 103 euro; per il servizio
di rifiuti, le tariffe medie impongono un conto annuo di 166 euro. A fine
anno,questo concerto di richieste "alleggerisce" il bilancio di
11.623 euro. Le entrate Una quota consistente di queste risorse rientra sotto
forma di servizi e contributi, ma il 9,2% (1072 euro) non emerge
più.La forma più direttadi ritorno nelle tasche delle famiglie
è quella degli assegni al nucleo, per chi ha familiari a carico.
Secondo le regole fissate dalla manovra per il 2007, alla famiglia tipo
considerata nell'inchiesta vanno 455 euro all'anno. Si tratta, è il
caso di ricordarlo, di un "premio" fiscale che nel 2006 non era
presente,perché la parabola dei vecchi assegni familiari atterrava a quota
zero a 41mila euro di reddito lordo. Passando ai servizi, l'impegno
più consistente dello Stato è legato alla sanità;
secondo le stime Censis, il servizio sanitario nazionale spende per ogni
cittadino 1.288 euro all'anno, esclusele spese sostenute per la copertura dei
farmaci, stimate in una spesa pro capite di 212 euro. Nel bilancio dei
rapporti con lo Stato non entrano i farmaci per automedicamento, perché la famiglia
media italiana manca di pochi euro il superamento della franchigia di 129
euro che le permetterebbe di fruire di qualche vantaggio fiscale. Una quota
importante del sostegno viene poi dalle amministrazioni locali: dalle
Regioni, in primo luogo, che per ogni cittadino spendono 1.165 euro all'anno
in varie attività legate ad esempio aitrasporti o a sostegni
economici. Non rientra nel calcolo il settore sanitario, già
considerato in precedenza. I Comuni, secondo l'indagine Istat pubblicata il
mese scorso, spendono invece 92 euro per cittadino nello sviluppo dei servizi
locali, dall'asilo nido ai servizi sociali e all'assistenza domiciliare.
Anche in questo caso è inevitabile che i valori medi nascondano le
differenze territoriali, che soprattutto per il welfare locale sono
consistenti: se la famigliatipo vivesse in Emilia Romagna, infatti,
riceverebbe dal proprio Comune servizi per 450 euro, e la dote crescerebbe
ancora trasferendosi in Val d'Aosta o in Trentino Alto Adige; la scelta di
andare in Calabria, invece, farebbe calare il contributo del Comune a 81 euro
all'anno.
+ Il Corriere
della sera 14-5-2007 Il
sondaggio. I vescovi in campo, sì dal 54%
Dico:
maggiornaza contraria. Il nodo sono i diritti ai gay. Ma scende la
popolarità delle gerachie ecclesiastiche
. Renato Mannheimer
ROMA —Family
Day, il giorno dopo. Con
il Polo all'attacco: tutti i leader del centrodestra chiedono al governo di
fare marcia indietro sui Dico, ormai «affossati» dalla manifestazione di
piazza San Giovanni. Di fronte all'offensiva del Polo, l'Unione tenta di
mediare ma si presenta divisa: Fassino difende la legge, i prodiani parlano
di «strumentalizzazione» del Family Day, Mastella minaccia guai se non
saranno accolte le richieste delle famiglie. Dal Brasile, dove ha concluso il
suo viaggio, il Papa ha sottolineato che fare politica «non è competenza
della Chiesa», che intende rispettare «una sana laicità» e riconosce
«la pluralità delle posizioni politiche». Marxismo e capitalismo, ha
detto il Pontefice, hanno fallito.
Il Family Day
ha ottenuto un'ampia partecipazione popolare. E vede l'approvazione della maggioranza
relativa della popolazione. Con, però, una quasi altrettanto ampia
quota di contrari. D'altra parte, l'intera vicenda che lo ha originato ha
coinvolto fortemente (si dichiara interessato oltre il 90% degli italiani) ma
anche diviso il Paese. Ad esempio, riguardo ai Dico, i contrari (47%) sono
poco più dei favorevoli (45%). La contrapposizione non dipende solo
dall'orientamento politico, che vede comunque la maggioranza (non la
totalità) del centrosinistra favorevole e l'opposto nel centrodestra:
nel giudizio convergono sentimenti differenti in relazione alle diverse
situazioni che la legge intende regolare. Più di tre italiani su
quattro sono infatti favorevoli a riconoscere alle coppie conviventi non
sposate almeno qualche diritto degli sposati. Ma, al tempo stesso, la
maggioranza si oppone a concedere le stesse prerogative alle coppie gay.
Insomma, ciò che motiva l'ostilità verso i Dico è
soprattutto la questione degli omosessuali. Che evoca credenze, timori, pregiudizi
antichi e assai radicati. Anche le opinioni sull'intervento diretto della
Chiesa evidenziano due ampi segmenti contrapposti, con una prevalenza (54%)
di giudizi favorevoli.
Non
sorprende, dunque, che la maggioranza relativa (47%) dei cittadini ritenga «opportuno» l'avere
promosso il Family Day. Con un'ovvia accentuazione tra i cattolici praticanti
(58%) ed una ancora maggiore tra gli elettori del centrodestra (64%). Ma
l'opinione è condivisa anche da quote importanti di laici (26%) e di
elettori del centrosinistra (32%). Al tempo stesso, esprime un giudizio
sfavorevole all'iniziativa del family day una parte rilevante (40%) della
popolazione, con segmenti consistenti di cattolici praticanti (29%) e di
votanti per il centrodestra (30%). Insomma, la questione continua a spezzare
il Paese, come accadde a suo tempo per il divorzio e per l'aborto. Oggi come
allora, tuttavia, sembrerebbe gradatamente accrescersi — pur rimanendo, come
si è detto, una minoranza consistente — la numerosità di chi
giudica criticamente l'azione della Chiesa. Negli ultimi 20 mesi, i
favorevoli all'intervento più o meno diretto delle autorità
ecclesiastiche sulle scelte legislative dello Stato si sono contratti del 5%.
Nello stesso periodo, si è erosa la fiducia espressa nei confronti
della Chiesa. E' un decremento relativo, dato che essa continua a godere del
consenso di due italiani su tre. Ma, nella graduatoria del favore verso le
istituzioni, la Chiesa risulta oggi superata dalla presidenza della
Repubblica, che simboleggia per molti l'essenza stessa dello Stato laico.
Questo declino di popolarità dipende certo dal processo di progressiva
secolarizzazione del Paese. Secondo alcuni osservatori, però, esso
potrebbe essere stato accentuato dal recente clima di «scontro frontale»,
ritenuto poco consono e scarsamente costruttivo per la soluzione di questioni
cosi articolate.
PESCARA. Può apparire singolare - ma non per la storia
d'Italia - che a 29 anni dalla morte di Aldo Moro, Giovanni Galloni avverta
il bisogno di suggerire "una commemorazione di tipo nuovo"
dell'amico statista rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo del 1978 e ucciso
il 9 maggio dello stesso anno. Da Pescara, ospite assieme a Mauro Fotia di un
recente convegno organizzato dall'Istituto "Spataro", è lo
stesso ex Guardasigilli ad annunciare un suo libro-testimonianza di prossima
pubblicazione su via Fani e dintorni. "Ci sono dei fatti nuovi da
scoprire e da introdurre", dice Galloni, "perché non tutte le cose
su Moro sono state dette, soprattutto quelle che riguardano la sua
fine". Perché solo adesso? Perché, a quasi trent'anni di distanza dalla
strage di via Fani e dal ritrovamento del cadavere di Moro nel bagagliaio
della famosa R4 rossa, l'ultraottantenne Giovanni Galloni avverte la
necessità di riaprire questo capitolo della storia italiana e,
soprattutto, della Democrazia Cristiana di cui entrambi furono esponenti di
primissimo piano? Gli aspetti ancora nell'ombra, per Galloni, sono
soprattutto due: "Le quattro sentenze che ci sono state sulla morte di
Moro non hanno soddisfatto la magistratura. Una parte di quei magistrati,
compreso il fratello di Moro, mi ha detto di aver rifiutato i verdetti dei
tribunali. Sono convinti che le Br abbiamo negato di avere avuto alle loro
spalle altri esecutori solo per ottenere degli sconti di pena, che ci sono
stati. E ora anche questo va chiarito". L'altra questione messa sul
tavolo da Galloni riguarda l'interpretazione autentica della strategia
politica di Moro: "E' giunto anche il tempo di chiarire perché Moro
abbia parlato di una terza fase. E qui mi riferisco soprattutto a colloqui
personali avuti con lui poco prima di via Fani: il bipolarismo di cui oggi
tanto si parla. Per capire cosa Moro volesse dire parlando di terza fase,
bisogna anche approfondire che cosa intendesse per prima e seconda fase. I
più hanno sempre ritenuto che per prima fase Moro intendesse la
politica centrista, per la seconda fase la politica di centrosinistra e per
la terza quella della solidarietà nazionale. Non è così.
La mia vicinanza continua con Moro, di oltre venti anni, mi dice che per
prima fase egli intendeva quella della resistenza, della lotta antifascista,
della Costituente. E non si trattava affatto, come già allora i
giornali dicevano, di un compromesso ideologico tra cattolici e
marxisti ma del superamento delle rispettive posizioni per cercare di avviare
qualcosa di nuovo". Ed ecco la seconda fase secondo Galloni: "Quale
era stata la grande illusione, prima di De Gasperi e poi di Moro? Quella che
formando un governo insieme con i partiti laici, ai quali eravamo
contrapposti da posizioni ideali, si creassero le condizioni per arrivare in
Italia ad una democrazia compiuta, come esisteva negli altri paesi europei.
Democrazia compiuta per De Gasperi era l'esistenza di quel bipolarismo per
cui da una parte c'erano partiti di ispirazione cristiana e dall'altra
partiti di ispirazione socialista e democratica". "L'illusione di
De Gasperi era quella di portare avanti la socialdemocrazia di Saragat, con
l'idea che questa potesse ad un certo momento assumere quella funzione che
negli altri paesi europei avevano assunto i partiti socialisti, cosa che non
avvenne, perché in Italia la realtà del partito comunista era diversa
e radicata nella situazione italiana". La politica bifronte: "I
condizionamenti internazionali e l'accordo di Yalta", spiega ancora
Galloni, "avevano portato l'Italia in una posizione di collaborazione
con la Nato, ma contemporaneamente a sostenere una linea di autonomia del
nostro Paese rispetto al regime occidentale. Una politica che in un primo
momento fu portata avanti da Mattei e altri per arrivare ad una collaborazione
con i paesi del Medio Oriente e, soprattutto, di pacificazione tra Israele e
Palestina. Queste sono le linee sulle quali poi si sono battuti in Italia
Moro, Fanfani e lo stesso Andreotti e da cui nacquero le ostilità
degli Stati Uniti". Gli americani non si fidano più. E Galloni
spiega anche questo: "Nel 1974, il presidente Ford e Kissinger (allora
ministro degli esteri e capo della Cia) convocarono a Washington il nostro
presidente della Repubblica, che era Giovanni Leone e il ministro degli
Esteri, Moro. Gli americani erano preoccupati per le frasi di Aldo Moro,
quando, dopo il referendum sul divorzio, iniziò a parlare
dell'attenzione che si doveva rivolgere al partito comunista. Ad un certo
momento della riunione Kissinger chiamò Moro e gli disse chiaramente
che se continuava su quella linea ne avrebbe avuto delle conseguenze
gravissime sul piano personale". Una scoperta recente: "Di questa
minaccia di morte siamo venuti a conoscenza in modo più dettagliato
solo pochi anni fa. Oggi sappiamo che le dichiarazioni rese successivamente
dai brigatisti "noi siamo gli unici responsabili del rapimento
Moro" non rispondono a verità e siamo in grado di
smentirle". Ecco gli elementi forniti da Galloni a sostegno di questa:
"Primo, non tutti i partecipanti all'operazione militare del 16 marzo
1978 erano delle Brigate rosse. Alcuni di loro, che non si sono mai voluti
scoprire, non erano terroristi. Dall'accertamento sui colpi esplosi in via
Fani risulta che non c'erano tra le Br uomini così esperti nell'uso delle
armi, perché i cinque uomini della scorta di Moro sono stati tutti uccisi da
due sole armi, utilizzate da uomini eccezionalmente esperti e che si suppone
fossero stati richiamati da Catania e dalla mafia calabrese. I nomi di queste
due persone non sono mai stati fatte. C'è poi una mia frase, una cosa
che ho sempre detto senza ottenere mai attenzione, su alcune confidenze che
Moro mi fece alcuni mesi prima di essere catturato. Mi disse che era
preoccupato perché riteneva che i servizi segreti degli Stati uniti e di
Israele avessero degli infiltrati nelle Br e se questi infiltrati ci avessero
dato degli elementi avremmo potuto scoprire facilmente i covi delle Br".
"Adesso ho la certezza che questa stessa cosa Moro la riferì
all'ambasciatore italiano a Washington, il quale si mise in contatto con la
Segreteria di Stato americana ricevendo un netto diniego, anzi un
diniego ambiguo: "Non è vero, tutto quello che sappiamo o abbiamo
saputo lo abbiamo sempre riferito ai servizi segreti italiani"".
"Quali servizi segreti?", si chiede oggi Galloni, "quelli veri
o quelli, invece, che erano in mano loro?". Altro elemento:
"Durante la prigionia di Moro, attorno al 20 aprile, un ex capo dei
servizi segreti italiani, un certo Miceli (il generale passato poi nelle file
del Msi ndr) che era stato espulso dai servizi segreti perché
compromesso nel colpo di Stato di Borghese, parte in missione segreta
e va a Washington dove prende contatti con i più alti esponenti della
Cia. Dopo di che si forma la mentalità che Moro era riuscito ad
ottenere dalle Br di essere liberato. Lo dicono anche le ultime dichiarazioni
dello stesso Moro in quel rapporto che fu poi trovato dove lui afferma:
"Devo, più che alla Democrazia cristiana che non è voluta
intervenire nelle trattative, alla benevolenza delle Brigate rosse che mi
hanno liberato"". Ma nasce un dubbio sollevato ancora oggi da
Galloni: "Che per intervento della Cia gli americani avessero deciso di
liberare Aldo Moro, ma che questa operazione non andò in porto.
Infatti, Moro, fu solo illuso che lo avrebbero liberato: una volta messo in
macchina è stato ucciso".
Dopo una breve tregua la politica internazionale
torna a essere il solito incubo per il governo italiano. Le questioni sono
sempre le stesse: l'Afghanistan, il rapporto con gli Stati Uniti. Ogni notizia
dal fronte afghano, quelle cattive come quelle buone, accentua i brontolii
minacciosi delle componenti antioccidentali della maggioranza di governo. In
Afghanistan la guerra continua con alterne vicende. L'uccisione, in
combattimento, del mullah Dadullah, il capo talebano responsabile del
sequestro Mastrogiacomo e la cui stella, secondo alcuni osservatori, stava
addirittura per oscurare quella del mullah Omar quale punto di riferimento
politico della galassia talebana, è un indubbio successo del legittimo
governo dell'Afghanistan e della coalizione antitalebani ma, ovviamente, non
pone termine alla guerra. Non c'è stata fino ad oggi la preannunciata
e temuta offensiva in grande stile dei talebani ma i combattimenti proseguono
in tutto il Sud del Paese, e anche nella zona di Herat dove sono
acquartierati gli italiani. L'incursione di alcune settimane fa degli
americani in quella zona contro forze talebane ha creato nuove tensioni con
il governo di Roma che teme un coinvolgimento non sporadico, come fino ad
oggi è stato, ma permanente, dei nostri soldati nei combattimenti. La
situazione però è sul filo del rasoio e il ministro della
Difesa Arturo Parisi, nonostante gli ostacoli politici che ciò
comporta, ha risposto positivamente alle sollecitazioni dei comandi militari
promettendo più mezzi al nostro contingente. Il governo si muove su un
terreno politicamente minato e la sua sopravvivenza è legata alla
piega che prenderanno gli avvenimenti in quel teatro di guerra. I problemi
che l'esecutivo ha sempre incontrato nella vicenda afghana sono parte di un
più generale contenzioso fra le componenti moderate e massimaliste
della maggioranza, e che riguarda il rapporto con gli Stati Uniti. Tra meno
di un mese, il 9 giugno, Bush verrà in visita in Italia. Verrà
accolto, oltre che dalle pubbliche autorità, da una grande
manifestazione antiamericana che è già in corso di allestimento
e che minaccia di essere, per la stabilità del governo, ancor
più pericolosa di quella di alcuni mesi fa contro l'ampliamento della
base americana di Vicenza. Non solo nell'organizzazione della manifestazione
è già coinvolto (a titolo personale, viene detto) un esponente
di rilievo dei comunisti italiani, Marco Rizzo, ma è probabile che
tutta l'area massimalista della maggioranza, pur stretta fra la
necessità di non affossare il governo e quella di non perdere il
contatto con il proprio elettorato, finirà per essere presente. Che si
verifichino o meno certi consueti episodi (bandiere americane bruciate, Bush
effigiato come un criminale di guerra, eccetera), è certo che la
partecipazione di partiti della maggioranza darà un'altra batosta alla
credibilità internazionale del governo: sarà difficile
spiegare all'opinione pubblica, nazionale e internazionale, come si
concilino l'immutato rapporto di amicizia e di alleanza con gli Stati Uniti,
e la nostra presenza nella Nato, con il comportamento di alcuni partiti di
governo. Nell'ipotesi migliore, l'esecutivo ne verrà fuori con una
grossa ammaccatura in più. E con nuova conferma della debolezza strutturale
di una sinistra che sui temi di fondo della pace, della guerra, delle
alleanze, sa imbastire solo fragili tregue fra le sue componenti ma nessuna
vera sintesi.
BRUXELLES. Dal nostro inviato Cinque settimane e mezzo per
uscire dal pantano costituzionale. In gennaio, davanti
all'Europarlamento,Angela Merkel aveva promesso che avrebbe salvato la
"sostanza" della Costituzione europea bocciata due anni fa dal
verdetto popolare di francesi e olandesi. Il rischio è che quel testo
finisca invece abbondantemente spolpato, come il grande pesce in "Il
vecchio e il mare". Il cancelliere tedesco lo sa, quindi tenta di
ridurre i danni. Con realismo. Non sarà facile. Nel weekend a Sintra,
in Portogallo, brainstorming tra presidenti: attuali e futuri dell'Unione, la
Merkel, i premier portoghese José Socrates e sloveno Janesz Jansa,
quellidella Commissione José Barroso e dell'Europarlamento HansGert
PÖttering. Lunedì sera a Bruxelles cena organizzata da Lussemburgo e
Grecia, invitati Italia, Belgio, Spagna e Portogallo. Martedì a
Berlino incontro tra i 27 sherpa nazionali nella speranza di cominciare a
mettere qualche punto fermo. Poi il vertice MerkelSarkozy, dopo quello tra il
neopresidente francese e l'uscente Tony Blair. Dopo il grande sonno,
l'attività diplomatica è in piena ripresa, il tempo stringe ma
i segnali che arrivano non sono esaltanti.Arrivando a Sintra la Merkel ha
lanciato un appello a firmare il nuovo accordo entro il giugno 2008. Ma il
punto ancora più fondamentale è un altro: con quali contenuti.
La partita è complessa perché si deve decidere all'unanimità
dei 27. Da una parte c'è il fronte dei "conservatori",cioè
dei 18 Paesi, tra cui l'Italia,che hanno ratificato la Costituzione.
Dall'altra quello degli "euroscettici", Gran Bretagna, Polonia,
Repubblica Ceca e Olanda, che puntano a svuotarla al massimo. In mezzo
c'è la Francia di Sarkozy ansiosa di chiudere con un Trattato semplice
e ridotto. Svezia e Danimarca in stand by. Guardando i numeri in campo, si
potrebbe desumere che la schiacciante maggioranza di chi ha già
ratificato sia quella che conduce ilgioco e si impone agli altri.Invece con
la legge dell'unanimismo avviene esattamente il contrario.Sono le
minoranze,soprattutto se molto determinate, a fare bello e cattivo tempo.
Anche con una presidenza forte e non meno determinata come quella tedesca,
decisa, a quanto si sussurra,a ricordare ai Governi renitenti che non ci si
possono rimangiare impegni presi con tanto di firma in calce al progetto di
Trattato costituzionale. Polemiche inutili. La corsa al ribasso attacca
simboli e sostanza del testo. Via il nome "Costituzione" e quello
di "ministro" degli Esteri Ue, via bandiera e inno. Via la
personalità giuridica dell'Unione,cioè la sua
possibilità di firmare accordi internazionali. Via la supremazia delle
norme Ue su quelle nazionali.Via la Carta dei diritti fondamentali: un
articolo per farvi riferimento e consentire a chiunque diinterpretarne l'applicazione
come meglio preferisce. Non basta.L'Olanda con Polonia e Repubblica ceca si
batte perché venga riconosciuto ai parlamenti nazionali, qualora si raccolga
il quorum di un terzo tra i27,il diritto di veto sulla legislazione europea.
Peggio.Martedì a Berlino lo sherpa ceco si presenterà con la
proposta di inserire nel testo una clausola di optout per gruppi di Paesi
minoritari che non intendano accettare la legislazionevolutadallamaggioranza.
Il rischio per la tenuta del mercato interno è evidente. La giustificazione
è semplice:siccome il sistema di voto previsto dalla Costituzione, con
l'inserimento della variabile demografica, dà maggior peso ai grandi
rispetto ai piccoli Paesi, va introdotto il contrappeso dell'opt out. E siamo
ai nervi più scoperti del negoziato: il sistema di voto che la
Germania non intende toccare ma la Polonia ritiene del tutto inaccettabile,
perché ridimensiona fortemente il suo peso rispetto a quello vigente che
invece le è molto favorevole. E poi la riduzione del campo di applicazione
del voto a maggioranza, esteso a 49 nuovi settori dal testo costituzionale.
Ora vari Governi, in primis quello inglese, vogliono fare marcia indietro,
mantenere il veto sulle politiche di immigrazione,sicurezza e giustizia. Su
quest'ultimo punto il futuro premier Gordon Brown rischia di rivelarsi ancora
più duro di Blair. Con questi chiari di luna non sarà facile
per la Merkel mediare trachi vuole più Europa e chi invece
preferisce smontarla pezzo a pezzo per restituire spazio agli Stati
nazionali.Non sarà facile nemmeno trovare un accordo entro giugno che
contenga non solo una tabella di marcia,ma tutti i paletti entro cui
dovrà muoversi la trattativa nei prossimi mesi. Di positivo c'è
che la Francia di Sarkozy sembra ansiosadi lasciarsi alle spalle la crisi. Il
che aiuta. Ma non basta per costruire il consenso nell'Unione a 27.
http://europeanconvention.europa.eu Sul sito della Convenzione,
il progetto di Trattato costituzionale SCENARIO DIVERSO Dopo la bocciatura
del 2005, con Sarkozy la Francia sembra volersi mettere la crisi alle spalle.
Ma con un testo più semplice e ridotto GLI EUROSCETTICI Su
immigrazione e sicurezza alcuni Paesi intendono mantenere il veto. E sulla
giustizia, Brown potrebbe rivelarsi più rigido di Blair Cinque
settimane per Angela. La Merkel (nella foto con il commissario Ue José
Barroso a Sintra) ha fatto del rilancio della Costituzione europea la
priorità della presidenza tedesca della Ue, che si conclude in
giugno REUTERS.
Roma Il Moige (Movimento italiano genitori) distribuiva
volantini chiedendo "equità fiscale per chi ha figli" e denunciando
che "sulla famiglia ci sono troppi pesi e pochi aiuti".
L'associazione Famiglia domani sbandierava un testo un po' più
aggressivo, puntato contro la legge sui Dico. Il Movimento per la vita, in
prima fila per il Family Day, ha realizzato e distribuito gratuitamente un
numero speciale della sua rivista "Sì alla vita". In piazza
san Giovanni l'associazionismo cattolico italiano ha dato il meglio di sé,
articolato in tutte le sue forme, da quelle più spiritualiste e
integraliste a quelle più razionali; dai movimenti che preferiscono
cimentarsi su un terreno prettamente culturale alle realtà che operano
nel sociale, nei consultori familiari o con centri di accoglienza per ragazze
madri. L'adesione delle aggregazioni laicali cattoliche è stata
multiforme e variegata. In primis c'erano le associazioni che hanno aderito
al manifesto "Più famiglia" lanciato dal Forum della
famiglia, con lo slogan "ciò che è bene per la famiglia,
è bene per il paese". Una galassia di sigle che, partite da poco
più di una decina, hanno pian piano raggiunto e superato quota 100,
anche sotto la spinta sempre più forte delle gerarchie e del clero,
che ha avuto dalla Cei l'ordine di mobilitare le parrocchie. E' stata una
partecipazione di orientamento socio-politico del tutto trasversale: accanto
a realtà da sempre collocabili nel panorama di centrosinistra (come
Azione Cattolica, Acli, Comunità di Sant'Egidio, Ex allievi di don
Bosco, Ordine Francescano Scolare, Agesci) vi erano movimenti assestati sul
versante di centrodestra (Comunione e Liberazione, Movimento per la vita,
Movimento cristiano lavoratori) o gruppi di carattere spiccatamente
spirituale (Comunità neocatecumenali, Rinnovamento nello spirito,
Associazione Famiglie nuove, legate al movimento dei Focolari, Comunità
papa Giovanni XXIII). Interessante, anche se a volte meno gridata e dunque
meno evidente, la presenza di sigle che spesso operano nel silenzio in favore
dei bambini o delle donne, come l'Associazione per le famiglie di emigrati
(Anfe), la Charles Peguy (ChP) che accoglie adulti e minori in
difficoltà, l'associazione Famiglie per l'accoglienza, che si dedica
alla medesima opera, l'Aibi, costituita da famiglie adottive, e altre. Molti
dei rappresentanti hanno concordato su un punto: non strumentalizzare la
manifestazione con etichette politiche, non contrapporre i cattolici
di piazza san Giovanni ai laici di piazza Navona. "Vogliamo solo
sottolineare al Parlamento che abbiamo bisogno di una politica familiare che
faciliti il compito alle persone sposate e ai giovani che intendono sposarsi.
Una politica che promuova la famiglia e non l'assista come soggetto debole,
incapace di agire", afferma Maurizio Salvi dell'Aig. Il che significa
consentire solidità e serenità alle famiglie ripensando il
welfare, realizzando un sistema di tutele e un sistema fiscale in chiave
familiare. Parla di "rilancio di una sussidiarietà orizzontale e
verticale, degna di un paese che può avere nella solidarietà il
più grande moltiplicatore economico" Salvatore Martinez,
presidente del Rinnovamento nello spirito, mentre don Oreste Benzi rivendica
più spazio "alle agenzie educative come la chiesa" e punta a
"sviluppare il volontariato, al cui interno i giovani possono trovare
senso". La proposta unificante del laicato cattolico, contenuta nel manifesto
firmato da tutti, è quella di un "rinnovato umanesimo
familiare", che racconti come il benessere della famiglia, fondato
sull'amore coniugale, rappresenti "un'opportunità per l'intera
società italiana", per riscoprire che, quando una famiglia si disgrega,
tutta la società soffre. * Lettera22.
ROMA - Nessuna delle due è pentita. Rosy Bindi si limita
a osservare: "Sui Dico per quanto mi riguarda non cambia nulla, la linea
del governo è sempre la stessa: politiche per la famiglia e tutela dei
diritti dei conviventi". La piazza del Family day ha voluto colpire il
simbolo-Dico? "Ora mi auguro che al di là delle ideologie e dei
simboli, si possa ragionare serenamente". Barbara Pollastrini, poi,
rilancia: "L'Italia è uscita più aperta e tollerante 33
anni fa dal sì al divorzio e così sarà anche per i Dico,
alla fine avremo un paese più civile". E avverte: "Nel dna
del Partito democratico dovrà esserci il valore della
laicità". Ma le due autrici della legge sui diritti dei
conviventi sanno bene che il successo del raduno cattolico di Piazza San
Giovanni - nato sulla spinta del "no ai Dico" - pesa e
peserà. Non è solo il centrodestra a cantare vittoria e a
sostenere, come fa Gianfranco Fini, che "i Dico sono affossati", ma
anche i Teodem della Margherita pongono l'aut-aut: "O si archiviano i
Dico o rischia il governo". Non sarebbe concepibile dopo una
manifestazione come il Family day - ragiona Paola Binetti - che la
contrarietà ai Dico resti lettera morta. "Allora quella piazza si
organizzerebbe. Diciamola con Giulio Andreotti: i Dico sono stati un
infortunio di percorso e il milione di persone che sabato erano in piazza
sono la rappresentanza di quel 75% di italiani che al referendum sulla
fecondazione assistita si sono astenuti". Quindi sui diritti individuali
di chi convive si può trovare un accordo "nel senso
dell'applicazione del codice civile e se ci sono dei buchi, si colmano".
Non altro, nulla di più. "Con buona pace di Bindi e Franceschini,
i Dico in quanto tali devono essere messi da parte - afferma la Binetti - Il
cattolicesimo democratico dei Castagnetti, Franceschini e Bindi non è
più il riferimento del mondo cattolico: il cattolicesimo popolare oggi
è un'altra cosa". Al di là delle posizioni teodem, a fare
pressing affinché si ascolti Piazza San Giovanni è un altro esponente
della Margherita, il ministro Beppe Fioroni. Era al Family day con il figlio
Marco, a suo agio tra gli amici dell'Azione cattolica, gli scout e le Acli, e
afferma: "Non si può non ascoltare la piazza cattolica, il Family
day conta". Non può però pesare al punto da far arretrare
l'Unione sulla questione delle unioni civili etero e omosessuali.
Difficilmente ci saranno i Dico, ammette Cesare Salvi, presidente della
commissione Giustizia del Senato dove sono attualmente in discussione.
"I Dico non sono sostenuti, quindi cercheremo un altro testo-base".
Anche se "il punto politico e di principio è la difesa di una
norma sulle unioni civili, il centrosinistra e il Partito democratico saranno
giudicati anche su questo", contrattacca il ds Gianni Cuperlo. Nella
Quercia, il futuro dei Dico e il dibattito sulle due manifestazioni del 12
maggio, piazza San Giovanni e Piazza Navona - provocano fibrillazione e
malumori. In primo piano c'è il tema della laicità, cavallo di
battaglia anti-Pd dei transfughi ds riuniti nella Sinistra democratica.
Replica Nicola Latorre, vicecapogruppo dell'Ulivo al Senato: "La
contromanifestazione laica nel giorno del Family day è stata comunque
un errore e si sapeva che se ne sarebbe fatto un uso politico anti Pd. I Dico
però non saranno archiviati, sarebbe un errore gravissimo non tutelare
i diritti dei conviventi, vedremo le soluzioni". Mentre Emma Bonino,
ministro radicale e animatrice della piazza laica concorda per una volta con
il forzista Sandro Bondi: "La maggioranza li ha già affossati,
come sostiene Bondi, dal momento che il Cdm vara i Dico e, arrivati in
Parlamento, parti consistenti della maggioranza, quelli che "se non
fossi ministro andrei al Family day"... - riferendosi a Rutelli - Temo
che non ci sia una maggioranza sui Dico, il che la dice lunga sullo stato
della laicità nel nostro paese".
La
Stampa 14-5-2007 L'obiettivo
è coprire il "nuovo vuoto a sinistra" del Pd. Paradossi
politici Dalla fine del Pci al patto con Di Pietro. Fabrizio Rondolino
Con i vecchi nemici riparte la terza vita del compagno Achille
Ad appoggiare la sua iniziativa ci sono gli stessi che venti anni fa lo
boicottarono ROMA La Bolognina Il 12 novembre 1989, tre giorni dopo la caduta
del muro di Berlino, Achille Occhetto annunciò "grandi
cambiamenti". Fu questa la cosiddetta "Svolta della Bolognina"
nella quale il leader del Pci, prendendo da solo la decisione, aprì un
nuovo corso politico che preludeva al superamento del Pci e alla nascita di
un nuovo partito della sinistra italiana, il Pds.D ue sabati fa, al convegno
fondativo della Sinistra democratica di Mussi e Angius, è stato
accolto con una lunga, commovente standing ovation. E sabato scorso, ad
ascoltare una sua relazione non a caso intitolata "Coprire un vuoto a
sinistra", c'erano i capi di Rifondazione e del Pdci, dei Verdi e dello
Sdi. La terza vita di Achille Occhetto - dopo la "svolta" che
salvò il Pci dalle macerie del Muro, e dopo i lunghi anni della
"carovana", qualche volta immalinconiti dal risentimento - si
preannuncia come la vera novità della nuova "cosa rossa" che
prima o poi nascerà a sinistra del Partito democratico. Quando
bisognò trovare un nuovo nome e un nuovo simbolo per il partito che
avrebbe sostituito il Pci, i riformisti di Napolitano suggerirono
"Partito del lavoro", per segnalare così l'appartenenza alla
famiglia socialista e socialdemocratica. Occhetto, che pure portò il
post-Pci nell'Internazione socialista, scelse invece un altro nome:
"Partito democratico". Cui aggiunse, per segnalare la prospettiva
bipolare al cui interno la nuova formazione intendeva muoversi, la specificazione
"della sinistra". Oggi, a quasi vent'anni di distanza, Occhetto si
ritrova, per quelle ironie della storia di cui la politica è ricca, al
centro di un movimento ancora informe e confuso, ma incredibilmente affollato
e potenzialmente forte, che potrebbe dar vita ad un nuovo "Partito
democratico della sinistra" - o, per usare le parole di Occhetto al
convegno di sabato scorso del suo "Cantiere", "una sinistra
plurale, moderna e democratica". E' stato detto più volte, con
ammirazione e con scherno, che soltanto un "pazzo" come Occhetto
avrebbe potuto gettarsi senza rete nell'impresa di sciogliere il Pci. E
tuttavia, nella lucida follia dell'Occhetto post-'89 c'è un'indubbia
lungimiranza e una modernità innegabile, a cominciare proprio
dall'oltrepassamento delle ideologie e delle identità di appartenenza.
Di fronte al crollo del comunismo, Occhetto disse che bisognava andare anche
"oltre" il socialismo. Sembrò una furbizia, o un episodio
dello scontro con il Psi di Craxi: in realtà, è esattamente
ciò di cui discute tuttora il nascente Partito democratico. Oggi che
"molta acqua è passata sotto i ponti" e "ci muoviamo
tutti oltre l'Ottantanove", l'idea di Occhetto è rimasta la
stessa di una famosa intervista sulla Rivoluzione francese, che precedette la
"svolta" di qualche mese e che ne fu, per molti aspetti,
l'incompiuto manifesto teorico: riunificare i riformismi congelati dalla
guerra fredda, contaminarli, e fondare così "una nuova sinistra
con il cuore antico". E' un "falso dilemma", sostiene Occhetto,
contrapporre sinistra di governo e sinistra radicale, "sinistre
identitarie, ciascuna avvolta nella propria bandiera, e sinistra
tecnocratica", perché "la sinistra è di governo solo se sa
stare nel Paese, ed è democratica solo se ricerca le nuove vie di
scorrimento tra partiti e movimenti". In questa prosa più
sessantottina che marxista, più ingraiana che togliattiana, c'è
buona parte della biografia intellettuale di Occhetto: ma c'è anche
una ragionevole soluzione al problema che la sinistra radicale deve oggi
affrontare. Può darsi insomma che questa volta, nei panni del padre
nobile anziché del segretario generale, l'operazione riesca meglio di
vent'anni fa. L'aspetto paradossale - non certo il solo del paesaggio
politico italiano contemporaneo - è che a tentare l'impresa, questa
volta, ci sono più o meno tutti coloro che vent'anni fa la
boicottarono, da Rifondazione, sorta proprio per "salvare" il Pci
da Occhetto, fino ad Aldo Tortorella, che ancora nel raffinato intervento di
sabato scorso si è confermato l'ultimo, grande intellettuale comunista
del nostro Paese. A tutti costoro - a tutti coloro che in questi vent'anni
hanno contrastato lo sciogliemento prima del Pci e poi dei Ds - Occhetto
forse ha ancora qualcosa da dire, e l'"oltrismo" che un tempo gli
veniva rimproverato come un'esagerazione o un espediente è forse oggi
la miglior garanzia contro il cristallizzarsi di una "nuova"
sinistra ideologicamente pura quanto politicamente sterile. L'addio al
partito Si è definitivamente allontanato dai Ds nel 2004, quando
aderì ad un progetto con Antonio Di Pietro, dando vita alla lista Di
Pietro-Occhetto alle elezioni europee dove raccolse il 2,1% dei consensi. Un
risultato non incoraggiante, in quanto il solo movimento di Di Pietro,
l'Italia dei Valori, in passato aveva raggiunto risultati maggiori.
Il
Riformista 14-5-2007 De profundis per i Dico, su cui si è persa pure
l’ultima speranza di Tommaso Labate
Nel day after dello scontro tra la piazza laica e quella cattolica - al di
là delle tante schermaglie trasversali che non accennano a diminuire -
rimane una certezza. Per i Dico, almeno nella versione che abbiamo conosciuto
attraverso il ddl dell’esecutivo a firma Bindi-Pollastrini, non c’è
futuro. Le speranze di vederli approvati dal Senato, più che ridotte
al lumicino, sembrano non esserci.
Per il de profundis non serve rivolgersi agli organizzatori di quel Family
day che ha dimostrato la compattezza del fronte dei contrari, che va dalla
Lega ai teodem della Margherita, passando per le truppe mastellate dell’Udeur.
Basta bussare alla porta dell’ultra-laico Cesare Salvi, che presiede la
commissione Giustizia del Senato. Quella in cui è ancora in corso la
discussione preliminare sui Dico. Dice al Riformista il senatore (e futuro
capogruppo) di Sinistra democratica che «per quel disegno di legge non ci
sono né numeri né margini di manovra». Il ragionamento di Salvi è
molto semplice. «Durante la crisi dell’esecutivo, il presidente del Consiglio
ha escluso i Dico dalle priorità. E, soprattutto, ha più volte
dichiarato che con la presentazione del ddl il governo considera esaurito il
suo compito». Di conseguenza, aggiunge, «visto che il Parlamento è
sovrano, continueremo a lavorare in commissione per trovare una proposta che
abbia quei numeri che il testo Bindi-Pollastrini, di fatto, non ha».
"La privacy non può essere evocata per negare la
necessaria trasparenza dei poteri, ma non è vero che ogni notizia deve
essere comunque data: il giornalista è chiamato a misurare la propria
libertà rispetto al dovere di tutelare la dignità delle
persone".
Intervenendo alla tradizionale Conferenza di primavera dei
Garanti europei, in corso a Larnaka (Cipro), Mauro Paissan, sintetizza
così i punti fermi che devono guidare il delicato rapporto tra tutela
della privacy e diritto all'informazione.
Dopo aver ripercorso la specificità del caso italiano
riguardo in particolare ai poteri del Garante in materia di informazione,
Paissan si è soffermato sulle recenti polemiche che hanno visto
protagonista l'Autorità. Esse "hanno posto sotto i riflettori
temi cruciali come il confine tra tutela della privacy delle persone note e i
criteri per individuare cosa è essenziale per ricostruire fatti di
interesse pubblico e cosa no".
Proprio sul concetto fondamentale di essenzialità
dell'informazione, il componente del Garante ha ricordato come spetti proprio
al giornalista la precisa responsabilità di "valutare se, nel
riferire di una notizia, la diffusione di un dato personale è
essenziale per l'interesse pubblico" o meno, sottolineando come sia
"curiosa la pretesa dei giornalisti di non dover rendere conto a nessuno
di come fanno informazione".
Infine, Internet e i motori di ricerca. La Rete fa venire meno
ogni limite di spazio e di tempo e ciò "comporta la lesione del
diritto all'oblio, cioè del diritto a veder dimenticata una notizia
che ci riguarda passato un ragionevole periodo di tempo", mentre i
motori di ricerca pongono il problema ancor più rilevante delle notizie
errate e incomplete che, girando senza controllo sul web, possono ledere
gravemente l'immagine delle persone.
Larnaka, 11 maggio 2007
Il
Corriere della Sera 14-5-2007 L'INCHIESTA
I trafficanti di cellule e i bimbi spariti KIEV - Traffico d'organi, neonati
scomparsi e il nuovo business delle cellule staminali. di Andrea Nicastro
Leggende metropolitane, si è sempre detto. Ora la prova
che il traffico esiste potrebbe arrivare tra breve. Basterebbe che si
concludessero indagini affossate da anni e l'Ucraina potrebbe scoprire di
essere un supermercato segreto di organi e cellule umane. Il Consiglio
d'Europa s'interroga, in un rapporto riservato, sulla scomparsa di duecento
bambini dalle sale parto dell'ex Repubblica sovietica. In Ucraina il Corriere
è venuto in possesso di un documento della Procura di Kiev in cui si
chiede l'aiuto dei servizi segreti per il proseguimento delle indagini sulla
scomparsa di neonati. - Alle pagine 12 e 13.
12 Trapianti cellulari, chirurghi clandestini, annunci di
preparati biologici in grado di stimolare naturalmente la guarigione,
iniezioni di embrionali per cancellare le rughe: è il grande affare
delle staminali. Che comprende traffici di esseri umani DAL NOSTRO INVIATO
KIEV - Bambini venduti come pezzi di ricambio. Feti frullati per infondere
vitalità a vecchi e malati. Sono voci che girano da anni. Traffico
d'organi, neonati scomparsi, chirurghi clandestini e il nuovo business delle
cellule staminali. Ma si è sempre potuto considerarle leggende
metropolitane. Ne sono fiorite in Brasile, in India, in Africa. Mai nulla
che, fino ad oggi, sia stato confermato. L'Interpol, che si attiva ad ogni
denuncia, non ha trovato alcunché. Questa volta però è diverso.
La prova che il traffico esiste potrebbe arrivare in pochi mesi. Sarebbe
sufficiente che si concludessero indagini affossate da cinque anni e
l'Ucraina potrebbe scoprire di essere un supermercato segreto di organi,
tessuti e cellule umane. Il Consiglio d'Europa s'interroga, in un rapporto
ancora riservato, sulla scomparsa di duecento bambini dalle sale parto
dell'ex Repubblica sovietica. Spaventoso, ma non è tutto. In Ucraina,
attivisti per i diritti umani chiedono di sapere che cosa succede non a
duecento, ma a tremila neonati ogni anno: le mamme li sentono piangere alla
nascita, gli obitori ne certificano la morte, eppure secondo i registri delle
sale parto e dei cimiteri non esistono. I loro cadaveri scompaiono. Due
medici sono scappati da Kiev (e stanno chiedendo asilo politico in Irlanda)
perché hanno paura di essere uccisi proprio per aver dato voce all'orribile
sospetto. In Ucraina il Corriere è venuto in possesso di un documento
della Procura generale di Kiev in cui si chiede l'aiuto dei servizi segreti
per il proseguimento delle indagini sulla scomparsa di alcuni neonati.
Motivo? I misteriosi infarti che hanno chiuso la bocca a due testimoni
chiave. Da quando è stato redatto il documento, invece di ricevere
l'aiuto degli 007, il magistrato si è visto togliere il caso. E le
morti sospette sono diventate sei. Che cosa sta succedendo? Poche settimane
fa il primo ministro Viktor Yanukovich era a Bruxelles, per una seduta del
Comitato per gli affari esteri dell'Unione Europea. La deputata irlandese
Kathy Sinnott gliel'ha chiesto. La risposta è sconvolgente perché
conferma l'esistenza di un traffico di parti umane ("embrioni"
secondo Yanukovich): "Grazie per aver sollevato il doloroso problema del
commercio di embrioni - ha detto il premier ucraino in presenza di diversi
testimoni -. Spero siate d'accordo con me che non si tratta solo di fermare
chi vende, ma anche chi compra. Purtroppo leggi insufficienti permettono che,
oggi, questo traffico esista. Con la vostra assistenza confido che riusciremo
a mettere fine a tutto ciò. Ho dato pieni poteri ai servizi segreti e
al ministero dell'Interno
SPERIMENTAZIONE E FUTURO La fabbrica dell'eterna giovinezza
Cellule staminali e tessuti di ghiandole preziose. La "fabbrica"
dei pezzi di ricambio umani e dell'eterna giovinezza parte da questi
"mattoni". Le prime, meglio se embrionali (perché anche i fattori
che le attivano e che le fermano sono fondamentali), in teoria possono
"trasformarsi" in qualsiasi altro tessuto specializzato. Già
si sono avuti risultati, anche se controversi, nel "riparare" cuori
e vasi. Sono in sperimentazione per sostituire il pancreas che non produce
più insulina (diabete) e a livello cerebrale (per Parkinson e
Alzheimer). Le staminali embrionali promettono anche di riparare le vie
nervose danneggiate da gravi traumi (paralisi dopo incidenti alla spina
dorsale). Quelle del grasso, ma in questo caso vanno bene anche quelle degli
adulti, potrebbero risanare il derma da ustioni e segni dell'età
(rughe). Già pelle e cornee sono state ricreate da staminali. Osso e
cartilagine sono allo studio: forse basta solo iniettarle nei punti in cui
mancano questi tessuti. L'ormone della crescita, dalle ghiandole alla base
del cervello, e quelli prodotti dal timo (che si atrofizza con l'età)
sarebbero potenti anti-aging.
INDICE 13-5-2007
AprileOnline.info
12-5-2007 Dibattito a sinistra. Se il movimento è nato proprio sabato
5 maggio, com'è possibile che ci sia già un così consolidato
e folto "gruppo dirigente" Stefano Palandri, 1
La Repubblica 13-5-2007 I cammelli al galoppo nella cruna dell'ago. Eugenio
Scalfari 2
Il Tirreno 13-5-2007 Di Gianfranco Micali In crisi l'Università
Formava uomini ora trasmette nozioni 3
L’Unità 13-5-2007 Iraq, sul petrolio la lunga mano della
corruzione Inchiesta americana: ogni giorno spariscono 300mila barili. 4
Il Giornale di Vicenza 13-5-2007 Dal "Times" al Vietnam la
base Usa fa discutere di Gian Maria Maselli 5
Il Centro 13-5-2007 Armi, aumentano le esportazioni italiane Un
incremento record: + 61,12% Di Andrea Palombi 6
12 maggio 2007? L'autobus è partito ora dal capolinea e
i posti a sedere sono già tutti occupati Ho partecipato sabato scorso
all'iniziativa che si è tenuta a Roma per la nascita della Sinistra
Democratica. Che emozione, quanta passione! Quanto desiderio di riscatto, di
voglia di manifestare tutto quella necessità di partecipazione, di
sentirsi soggetti attivi della politica, delle scelte, di tornare ad essere
protagonisti e non più solo numeri (una testa - magari che ha smesso
di pensare - un voto) da utilizzare dal leader di turno per affermare il suo
ruolo dominante. Se questo è quanto mi è parso di capire
aleggiasse in sala, devo dire che quanto è accaduto sul palco mi ha
fatto venire un brivido lungo la schiena. Gli interventi che si sono
succeduti (pur fra l'entusiasmo dei presenti) hanno sempre avuto un incipit
del tipo: "E ora parlerà il compagno tal dei tali dirigente del
movimento Sinistra Democratica ..." e, per finire, Cesare Salvi che
saluta la platea, ringraziando tutti per la numerosa e calorosa
partecipazione, con un enfatico "Compagni, non vi deluderemo!!!".
Come dire: "Ecco, i capi ci sono, ora troviamo la truppa!" La
domanda che mi pongo, allora, è la seguente: se il movimento Sinistra
Democratica è nato proprio sabato, com'è possibile che ci sia
già un così consolidato e folto "gruppo dirigente"?
L'autobus è partito ora dal capolinea e i posti a sedere sono
già tutti occupati. Non credo che sia questo il metodo per
riavvicinare le persone alla politica, forse perché non condivido la
definizione che D'Alema dà della politica "un ramo specialistico
delle professioni intellettuali". Già il problema sta proprio
qui: la politica come professione! Ma quello che penso io, povero vecchio
romantico, illuso che la politica sia passione e servizio, ha ben poca
importanza.. Ciò che è nato, ne sono profondamente convinto,
è un progetto politico importantissimo per la sinistra ed il paese, ma
è ancora più importante per noi cittadini che aspettiamo un
cambiamento, un CAMBIAMENTO VERO non solo nelle scelte politiche, ma anche
nei metodi. Un cambiamento che faccia capire che tutto ciò che saremo
in grado di costruire lo faremo con il contributo del pensiero di tutti, che
l'opinione di ognuno ha dignità e valore e va accolta, ascoltata e
valutata con rispetto, con il massimo rispetto. La sensazione, per le volontà,
gli entusiasmi ed i contenuti espressi, è che qualcosa di nuovo, sul
piano politico, sia nato. Il timore è che sia nato con metodi vecchi.
Se così fosse dobbiamo, tutti noi che ci crediamo, impegnarci ad
esaltare e valorizzare il nuovo e buttare a mare tutto quanto è in
odore di vecchio dirigismo, di opportunismo, di rifiuto e dileggio
delle scelte partecipate e condivise. La SINISTRA DEMOCRATICA LO MERITA! Il
POPOLO DELLA SINISTRA LO MERITA! . . . IO CI CREDO, CI VOGLIO CREDERE!.
IL familismo è la base della società italiana,
così ha scritto ieri su questo giornale Francesco Merlo e tutti
concordiamo con lui. Lo è nel bene e nel male. Tutti siamo figli di
mamma ? si dice e si sa ? e di mamma ce n'è una sola; a lei si ricorre
anche nell'età adulta per ritrovare serenità, conforto, ristoro
ed anche, con l'avanzare degli anni, per proteggerla e accompagnarla affinché
non si senta sola in vista dell'ultimo appuntamento. Familismo non è
necessariamente sinonimo di famiglia. Il primo è un modo d'essere e di
sentire, la seconda è un'istituzione convalidata da un contratto che
per i cattolici realizza anche un sacramento. Spesso però quei due
termini coincidono ibridandosi reciprocamente. Quando questa compenetrazione
avviene la micro-istituzione familiare si chiude a riccio, esclude e non
include, rischiando di diventare omertosa e di far prevalere la difesa dei
propri confini sulla solidarietà civica e perfino sull'amore del
prossimo. Le società profondamente cristiane ? se ancora ce ne sono ?
conoscono questo contrasto che ha le sue radici addirittura nella
predicazione di Gesù di Nazareth. Dopo aver incitato i discepoli e il
popolo che lo seguiva all'amore e alla carità, egli aggiunse:
"Voi credete che io sia venuto a portare la pace ma io ho portato la
spada. Io metterò il padre contro il figlio, la figlia contro la
madre, il fratello contro il fratello. Chi verrà con me
abbandonerà la famiglia. La mia famiglia non sono mio padre e mia
madre ma siete voi che credete in me". è un passo dei Vangeli
molto controverso che ha una sola interpretazione possibile: Gesù pone
se stesso come simbolo di carità e amor del prossimo e vede i legami
familiari e l'egoismo di gruppo che li può intridere come una barriera
da abbattere se il cristiano vuole aprirsi al comandamento dell'amore del
prossimo. In questa visione la famiglia, luogo di amore, non può che
essere aperta e inclusiva. Se non lo è il Maestro esorta i suoi
seguaci ad abbattere il muro che la protegge e ad aprire le braccia e il
cuore al Dio della misericordia, della tenerezza, del bene. Noi laici, ma non
ghibellini, vorremmo che questa fosse la visione della famiglia che ha
radunato ieri, in piazza San Giovanni, una gran folla di persone per
iniziativa di molte associazioni cattoliche, dei preti e dei Vescovi
italiani. I promotori di quel raduno hanno sostenuto che proprio questa
è stata la sua motivazione. E poiché l'istituzione familiare vive nel
nostro tempo e deve sopperire ai bisogni e alle sfide quotidiane, gli
obiettivi concreti della manifestazione sono stati anche quelli di premere
sul governo affinché delinei una politica di sostegno economico alle famiglie
per renderle più sicure del loro futuro e indurle anche per questa via
a crescere e a moltiplicarsi.
Ebbene, spiace dirlo ma le cose ieri pomeriggio non sono
andate così. Né era possibile - ammettetelo - che quella moltitudine
non fosse strumentalizzata. Basta aver visto con quale entusiasmo sono stati
accolti prima Fini e poi Berlusconi. Basta aver ascoltato le parole
pronunciate da quest'ultimo un minuto prima di fare la sua comparsa e
incassare l'ovazione che gli è stata tributata dalla piazza di San
Giovanni. "Io sono qui" ha detto "per testimoniare che i veri cattolici
non possono stare a sinistra; non possono stare con i comunisti che hanno
ridotto la Chiesa al silenzio e ancora vorrebbero ridurre la religione a un
fatto privato. Io sono qui per far sì che la Chiesa possa liberamente
parlare e affermare la propria verità e i propri valori che sono anche
i nostri". E così è stato servito il buon Pezzotta,
organizzatore ufficiale del raduno, affannatosi per settimane a rassicurare
che nessun colore politico avrebbe prevalso in quella piazza e in quella
moltitudine, che cattolici e non cattolici avrebbero potuto e
dovuto affratellarsi in nome della famiglia, dei suoi diritti e dei suoi
doveri. Se Pezzotta - come ci ostiniamo a sperare per lui - è un uomo
di buona fede, dovrebbe aver passato una pessima nottata nel constatare che i
suoi sforzi sono stati ridicolizzati dalla realtà. Oppure - se si
rallegrerà per quanto è accaduto - dovremo concludere che ha
tentato di prendere in giro gli italiani che la pensano diversamente dalle
piazzate berlusconiane. Che Pezzotta sia un ingenuo si può anche
concedere, ma sono altrettanto ingenui i vescovi della Conferenza episcopale?
E il papa che anche dal Brasile ha seguito con attenta intenzione la
manifestazione romana? (Apprendo ora dal telegiornale che Pezzotta con aria
felice ha detto: "Il papa sarà contento di questa giornata".
Tanto ingenuo dunque non è). In realtà il Vaticano e le diocesi
italiane stanno assordando da anni gli italiani con lo sventolio dei loro
interessi e dei valori usati per ricoprirli. Hanno trasformato la Chiesa
italiana nella più potente delle "lobby". Hanno voluto il
raduno di Roma per mettere in scena una prova di forza politica e muscolare.
Hanno attinto a piene mani ai fondi provenienti dall'8 per mille versato
nelle loro casse dallo Stato italiano. Stanno risuscitando il
clericalismo e l'anticlericalismo. Sono entrati a gamba tesa nell'agone
politico a dispetto della lettera e dello spirito del Concordato. Questo
è accaduto ieri. Non vorremmo usare parole gravi ma la giornata di
ieri ha indebolito la democrazia italiana. Non perché tanta gente si sia
riunita per far sentire la sua adesione ai valori e agli interessi delle
famiglie; ma perché quella stessa gente è stata manipolata dalle
destre e dalla Chiesa in perfetta sintonia tra loro. Trono e altare, come ai
vecchi tempi. Vengono in mente i farisei denunciati da Gesù come
sepolcri imbiancati e viene in mente anche la biografia privata di molti capi
della destra a cominciare dal suo leader massimo. Ho già detto: non
siamo ghibellini. Ma sentiamo che forze potenti ci spingono a diventarlo.
Siamo contro chi volesse ridurre la Chiesa al silenzio, anche se non
c'è nessuno che lo voglia. Ma siamo soprattutto contro chi sta
riducendo al silenzio i laici e facendo a pezzi la laicità. * * * Da
questo punto di vista bene hanno fatto i radicali e quanti ne hanno condiviso
l'iniziativa a promuovere il raduno del "coraggio laico" a piazza
Navona. La sproporzione delle forze in campo era evidente e proprio per
questo è stata usata la parola coraggio. Il grosso del centrosinistra
era assente. In ascolto, hanno detto i suoi leader. Ebbene, ora hanno
ascoltato. Di incoraggiamenti per una politica di sostegno finanziario alle
famiglie non c'era bisogno: una parte delle scarse risorse disponibili
è già stata impegnata dal governo in quella direzione; altre
provvidenze saranno decise nel convegno di Firenze promosso dal governo e
Rosy Bindi. Resta l'accoppiata tra la Chiesa italiana e la destra,
fragorosamente espressa da mesi e culminata nella giornata di ieri. Si spera
che i leader del Partito democratico abbiano ascoltato con profitto e che
almeno un briciolo di coraggio laico sia penetrato nelle loro menti.
Gesù di Nazareth rovesciò i tavoli dei mercanti e li
scacciò a frustate dal Tempio. Gesù di Nazareth predicava la
pace ma sapeva usare la spada quando fosse necessario. Ha detto tante cose
Gesù di Nazareth. Forse i laici dovrebbero promuovere un raduno di
massa intitolato al suo nome per vedere fino a che punto la Chiesa di oggi
abbia ancora il diritto di usarlo e non parli invece sempre di più con
lingua biforcuta. Per vedere se il ritorno al nuovo temporalismo sia un fatto
positivo o negativo per il sentimento religioso. Per vedere se i papisti di
oggi lottino ancora affinché gli ultimi siano i primi. Infine per capire se i
cammelli riescano a passare nella cruna dell'ago o se quella cruna non sia
diventata una ampia autostrada dove i cammelli transitano al galoppo con
tutto il carico delle loro ricche mercanzie. Sì, bisognerebbe proprio
farlo un raduno di massa su Gesù di Nazareth. Non credo che il trono e
l'altare uniti insieme siano di suo gusto, figlio dell'Uomo o figlio di Dio
che lo si voglia considerare.
Credo nel Partito democratico, però non vedo ancora un
assetto di valori e questo mi sembra un limite teorico
"L'università come l'ho vissuta io da studente non esiste
più", dice Michele Ciliberto, docente di filosofia contemporanea
alla Normale di Pisa. "Allora era una struttura di formazione dei
ricercatori che prima di tutto miravano a sentirsi cittadini. Adesso è
uno strumento di trasmissione di alcuni elementi del sapere". Fa un
certo effetto ascoltare questa affermazione da chi appartiene a uno degli
ultimi baluardi intellettuali dell'Italia moderna. La Scuola Normale di Pisa
è considerata da sempre tra le migliori università europee.
Ciliberto, nato a Napoli il 16 luglio del 1945, dirige anche le Edizioni
della Normale ed è dal 1996 presidente dell'Istituto Nazionale di
Studi sul Rinascimento. "Professore, che cosa sta accadendo? "Il
mio discorso non riguarda certo la nostra università e a un giovane
bravo consiglierei di fare il concorso per entrare alla Normale, specialmente
se ha una vocazione scientifica di ricerca molto forte. Ma certi contraccolpi
arrivano anche da noi che eravamo abituati ad avere come interlocutori
università di altro tipo. Cito uno dei cambiamenti peggiorativi. Una
riforma ha portato la Facoltà di Lettere a cinque anni, e i nostri
ragazzi abituati a studiare proficuamente in tre anni, rischiano di rimanere
in parcheggio gli altri due". "A parte le riforme, quali altri
mutamenti sono avvenuti nella nostra società? "Tanti. Oggi sono
troppo pochi i genitori che invogliano allo studio e alla cultura. Io ho
avuto la fortuna di vivere una gioventù privilegiata in questo senso,
grazie a una madre eccezionale, una donna meridionale di quelle che nutrivano
ferme convinzioni sociali. A cominciare da quella che la scuola e la cultura
rappresentavano uno strumento di crescita civile e di promozione individuale.
Ricordo che all'età di dodici-tredici anni mi trovavo in regalo la
storia della rivoluzione francese e a 15 i testi di Epicuro in greco. E poi
mia madre mi ha insegnato, per quanto era nelle sue possibilità, il
senso della vita...". Si poteva definire filosofa anche sua madre?
"Gramsci chiamava questa disposizione culturale "la filosofia della
vita quotidiana"". è stata lei a inculcarle la passione per
questa materia? "Non saprei dire, mi piaceva pensare e riflettere fin da
bambino. Invece che ai fumetti mi interessavo alla politica già in
giovanissima età". Un legame che sembra essersi perso, questo,
tra filosofia e politica... "In Italia si è trattato di un legame
a corrente alternata. Il periodo migliore e più fervido è stato
alla fine della Seconda guerra mondiale. Fu allora che uomini come Togliatti,
e Nenni presero coscienza che la questione degli intellettuali era decisiva e
che un partito di massa senza la cultura non poteva avere un respiro
sufficiente. La loro analisi a posteriori sulla vittoria del fascismo per un
ventennio prendeva atto che negli anni Dieci e Venti del Novecento si era
verificata un'autentica divaricazione tra movimento operaio e filosofia,
tanto è vero che i grandi intellettuali come Gentile e Pirandello, per
fare qualche nome, divennero fascisti. Nel 1945 quindi la parola d'ordine fu:
coinvolgere gli intellettuali nella costruzione di una democrazia
antifascista". E quando questo legame si è di nuovo interrotto?
"Con le nuove generazioni, ma a sinistra non si è interrotto.
Direi che oggi, ad esempio, per un intellettuale è più facile
parlare con il presidente Napolitano che con Veltroni. è un fatto
generazionale". La filosofia ha sempre avuto una precisa e profonda
attinenza con la politica e con l'organizzazione degli stati... "Come si
fa ad immaginare la costituzione americana senza la filosofia? La Repubblica
Italiana ha una costituzione che senza la filosofia cattolica, liberale e
socialista risulterebbe davvero povera. Si pensi all'articolo 3 che recita:
"è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione
politica, economica e sociale del Paese". E poi la politica si nutre di
questi scontri, di queste divergenze, che secondo me sono sempre positive.
C'è un pensiero di Giordano Bruno che dice: "Profonda magia
è trarre il contrario dopo avere trovato il punto dell'unione".
Io credo che si potrebbe applicare anche al nuovo Partito democratico".
Di cui lei è un convinto sostenitore, dopo essere stato uno degli
intellettuali organici al Pci, al Pds e a ai Ds. E di questo parleremo dopo,
ma l'accenno a Giordano Bruno fa rammentare che lei è il massimo
esperto del personaggio... Quanto di lui rimane attuale in questo attuale
dibattito tra Chiesa e laici? "è sempre difficile situare
qualcuno in un'altra epoca. Posso dire che lui era per una religione
universale che poneva al centro la filantropia. In un testo bellissimo del
1588 diceva: "Il Dio al quale penso io è il Dio che illumina
tutti gli uomini, i bianchi, i neri, le donne e che non distingue tra razze e
sesso". Un Dio dell'amore universale, di cui era un grande e convinto
filosofo. Il suo Dio era decisamente opposto al Dio cristiano di quel periodo,
il Dio dei conquistadores e dell'Inquisizione. Lui era per gli indios. Non si
considerava però un pensatore anticristiano, ma postcristiano. Per
quanto fu nelle sue possibilità, cercò di evitare lo scontro
con la Chiesa, ma per quello che diceva e scriveva, è alla chiesa
romana che risultò impossibile non entrare in conflitto con lui.
Esiste una frase che sintetizza tale posizione. Il Papa Clemente VIII dopo
averlo condannato al rogo a Campo dei Fiori dice ai veneziani che glielo
avevano consegnato: "Io spero che voi non mi vogliate dare da rodere
altre ossa di questo tipo"". Qual è la differenza tra la
filosofia del passato e quella attuale? "La filosofia non è mai
stata la stessa cosa. Una serie di discipline di volta in volta si sono
chiamate così. La filosofia di Platone non è quella di Marsilio
Ficino né quella di Locke. Nel Rinascimento una parte costitutiva era
rappresentata dall'astrologia e dal ragionamento sugli astri. è
insomma un termine con cui si sono definite cose molto diverse che hanno
avuto in comune qualcosa: l'interrogazione sul senso della vita. Noi oggi
abbiamo invece vari modelli di filosofia che vanno dalla filosofia della
scienza, del linguaggio, al senso del discorso. Una pluralità di
campi, ma io penso che nei confronti del passato non bisogna avere un
atteggiamento di chiusura, nel senso che il passato contiene una serie di
domande mai soddisfatte e si chiama "il passato che non è ancora
diventato futuro". Domande di liberazione, di costruzione di elementi di
liberazione che si sono persi e che è fondamentale recuperare".
Lei che è un convinto assertore del Partito democratico, che cosa si
aspetta, prima che in termini pratici, riguardo all'aspetto teorico. Col
linguaggio di un tempo diremmo: che si attende dalla sua ideologia?".
"Questo è per ora il limite del partito che sta per nascere: non
avere definito un proprio assetto di valori, di non avere detto fino in fondo
e con precisione che cosa significano libertà, uguaglianza, merito
individuale. Torniamo insomma alla necessità di un rapporto proficuo
tra politica e cultura. Se tale rapporto non esiste, qualsiasi partito
rischia di rimanere chiuso all'interno dell'autoreferenzialità
politica".
Nel Paese uccisi 5 soldati Usa e tre rapiti di Roberto Rezzo /
New York Mercato nero, furti e corruzione sono la spiegazione
più probabile per gli ammanchi che saltano fuori dalla
contabilità petrolifera irachena. Si tratta di miliardi di dollari,
una cifra al confronto della quale anche lo scandalo oil-for-food è
roba di spiccioli. Un rapporto del General Accounting Office (Gao), l'equivalente
della Corte dei Conti in Italia, rivela che negli ultimi quattro anni in Iraq
sono spariti dai 100mila ai 300mila barili di greggio al giorno. In totale,
secondo le stime più prudenti, qualcosa come 250 milioni di barili; a
50 dollari l'uno, prezzo di mercato, fanno oltre una dozzina di miliardi di
dollari. Ne fornisce anticipazione il New York Times mentre da Baghdad arriva
notizia che sette soldati americani e un interprete iracheno sono caduti in
un'imboscata all'alba di ieri nei pressi della cittadina di Mahmoudiya, a una
ventina di chilometri dalla capitale, una zona controllata dai ribelli
sunniti che fa parte del cosiddetto Triangolo della morte. Il generale
William Caldwell, portavoce del comando Usa in Iraq, ha fatto sapere che una
pattuglia di ricognitori ha trovato sul posto cinque cadaveri, mentre altri
tre soldati sono al momento scomparsi. Immediatamente sono scattate le
ricerche con mezzi terrestri e dell'aviazione. Lo scorso anno due militari
americani erano stati sequestrati a un posto di blocco a Yusufiya; furono
trovati cadaveri tre giorni dopo. "Stiamo facendo progressi", aveva
ribadito ancora la scorsa settimana George W. Bush, sulle barricate per
respingere ogni tentativo del Congresso d'imporre una data per la fine della
guerra. Se - a parte i morti - il gettito petrolifero è un valido
criterio di misura, la situazione è tragica. Non solo il volume delle
estrazioni rimane ben al di sotto dell'obbiettivo di tre milioni di barili
giornalieri indicati dall'amministrazione americana, ma in gran parte finisce
nelle mani dei ribelli sunniti o delle milizie sciite. "Stiamo parlando
di una quantità di greggio enorme - commenta Philip Verleger, un
economista specializzato nel settore - Ma considerato tutto quello che
succede in Iraq non è una sorpresa". In linea di massima è
anche possibile calcolare come venga spartita la torta: i sunniti rubano
prodotto finito dalle raffinerie del Nord; le milizie sciite che controllano
il Sud trafficano invece col greggio, che viene indirizzato per la lavorazione
a raffinerie non controllate dalle multinazionali occidentali, ovvero verso
la cina e l'Europa dell'Est. Il documento del Gao contiene anche una
complessiva valutazione di come sono stati spesi i soldi per la
ricostruzione, il cui impiego ha visto come obiettivi prioritari
l'ammodernamento degli impianti di estrazione e distribuzione petrolifera e
della disastrata rete elettrica irachena. Per queste due voci i contribuenti
americani hanno pagato 5,1 miliardi di dollari, altri 3,8 miliardi quelli iracheni.
A fronte di cotanti investimenti a Baghdad l'elettricità c'è in
media per cinque ore al giorno, per poco più di nove nel resto del
Paese. I paragoni son sempre odiosi, ma secondo i dati ai tempi di Saddam la
capacità complessiva della rete elettrica irachena era di 4,3
megawatt, quella attuale è di 3,8.
Dal Molin Un convegno, "Vicenza, da città Unesco a
città militarizzata". Per divulgare tre opinioni molto nette:
"Primo: ospitare basi militari per una città è un costo,
non un guadagno. Secondo: una volta che una città diventa a vocazione
militare, non si torna più indietro. Come a Vicenza, che anziché
smilitarizzarsi, sta per tornare ad essere un centro nevralgico della strategia
militare americana.Terzo: in Italia, a differenza che negli Usa, non
c'è trasparenza su cosa succede quando viene costruita una base
militare americana". Ieri pomeriggio al teatro dei Carmini per
argomentare e sostenere questi tesi sono piovuti esperti un po' da tutte le
parti. Da Boston il pacifista americano Michael Uhl, veterano del Vietnam
dove con il grado di tenente comandava un team di spionaggio militare. Da
Cagliari il giornalista d'inchiesta Marco Mostallino. Da Roma Richard Owen,
corrispondente italiano del Times, quotidiano inglese che on line conta 6
milioni di lettori e in cartaceo 700mila. Dalla Germania il parlamentare
Wolfgang Greke e da Trieste Andrea Licata, del centro studi per la pace. I
primi tre hanno proposto le testimonianze più significative. Mostallino:
"Per le basi Usa su suolo americano Pentagono e ministero della
Difesa pubblicano su internet pile di documenti relativi all'impatto
ambientale. Analisi dell'acqua, dell'aria, delle falde acquifere, dello stato
di salute della popolazione delle città che ospitano le basi. In
Italia invece le nostre autorità fingono di cascare dalle nuvole.
Eppure in ogni base Usa in Italia c'è un comandante italiano, e
non si muove foglia senza che lui ne sia informato". Mostallino ha poi
raccontato la storia della base di sottomarini nucleari americani della
Maddalena. "L'Isola di Santo Stefano nel 1972 venne espropriata al
proprietario, Pasqualino Serra. Un democristiano che poi nel 1996 divenne
sindaco della Maddalena. Una volta sindaco, commissionò ai suoi tecnici
uno studio: la base navale Usa è un affare? Scoprì che a
fronte di 300 lavoratori italiani occupati e di 6 milioni di euro l'anno di
giro d'affari, ogni anno si determinava un buco di bilancio di 900mila euro.
Colpa delle spese per rete fognaria, allacciamenti elettrici, fabbisogno
energetico, smaltimento rifiuti eccetera. Da quando esiste, la base Usa
è costata alla comunità della Maddalena 23 milioni di euro, e
come tutte le basi ha inquinato la zona con solventi, lubrificanti,
carburanti e scorie di vario genere". "Nel 2008 gli americani se ne
andranno, ma solo perché hanno deciso di trasferire tutto a Napoli. Intanto
la marina italiana ha chiesto il rinnovo della servitù militare fino
al 2012. Altro che riconversione: una volta che diventi città
militarizzata rischi di restarlo per sempre". Mostallino ha concluso
ricordando che "i poliziotti militari Usa hanno lo status di
ausiliari di giustizia, affiancano i nostri carabinieri e possono disporre
perquisizioni personali a italiani che si muovono per i fatti loro nei
paraggi della base". Questo invece ciò che ha detto Uhl: "In
America i movimenti pacifisti, come il mio Veterani per la pace, sanno poco
di cosa avviene con le basi Usa costruite fuori dai nostri confini.
Vogliamo raccordarci maggiormente con i movimenti pacifisti internazionali
per far aprire gli occhi all'opinione pubblica americana. Temo però
che finchè essa non maturerà, cambieranno tante cose ma non la
nostra politica in ambito Nato: democratici e repubblicani oggi come
oggi su quel terreno sono uguali". Ma tra il sano realismo che ieri si
respirava al teatro dei Carmini, è arrivata anche una dichiarazione
d'amore. "Sto informando i lettori del Times su cosa sta accadendo alla
città del Palladio - ha spiegato Owen -. Vicenza ha molti ammiratori
tra i turisti e gli studiosi inglesi. Sanno che i vicentini non si stanno
arrendendo nella difesa del loro gioiello Unesco, ricco di tante opere d'arte
come il quadro del Bellini nella chiesa di Santa Corona. E guardate che il
Times online ha un sacco di lettori anche negli Usa.".
Sono i livelli più alti da 15 anni Elicotteri, blindati
aerei e missili: vendiamo di tutto... quasi a tutti
ROMA. Il "made in Italy" va, ma non è il vino
né la moda a registrare la maggiore crescita nell'ultimo anno. C'è un
settore delle esportazioni del Belpaese che nel 2006 ha messo a segno
l'incremento record del più 61,12 per cento rispetto all'anno
precedente. Si tratta del mercato internazionale delle armi di cui
siamo ancora fra i primi produttori mondiali. In un settore coperto da una
fitta coltre di segretezza, non ci si può che affidare alle cifre ufficiali.
Ma anche stando alla relazione annuale sulle autorizzazioni alle esportazioni
di armi, presentata da poco dal governo Prodi, non ci sono dubbi: nel primo
anno di governo di centrosinistra il nostro export bellico ha avuto una
straordinaria impennata che lo ha fatto schizzare ai livelli più alti
degli ultimi 15 anni. Certo, in un "mercato" così delicato e
fittamente intrecciato con politica e diplomazia, i contratti maturano
in anni e gli effetti si vedono a distanza. Motivo per cui quest'anno si
è registrata anche l'onda lunga di affari maturati sotto il governo
Berlusconi. Prima fra tutti la maxi-commessa di 23 elicotteri della
Agusta-Westland (Gruppo Finmeccanica) da parte della presidenza degli Stati
Uniti. Come va anche considerato che è tutto il mercato internazionale
delle armi che va a gonfie vele, con un aumento che non si registrava da 10
anni a questa parte. Primi fornitori come al solito gli Usa, mentre
Francia e Russia si contendono la seconda piazza. A spingere la
"domanda" sono sia le guerre in atto, sia il rischio terrorismo.
Fatto sta che il terreno è particolarmente scivoloso per il
centrosinistra che da sempre, almeno a parole, fa della riduzione degli
armamenti un suo cavallo di battaglia. Nel 2006 sono state 1183 (erano state
1065 nel 2005) le autorizzazioni concesse dal governo alle esportazioni di
armi. Il valore complessivo è stato di oltre 2 miliardi 192 milioni di
euro, con un incremento di circa 832 milioni di euro sull'anno precedente. E
a far la parte del leone, come avviene spesso, è il Gruppo
Finmeccanica che controlla aziende come Alenia, Agusta-Westland, Oto Melara.
Gruppo pubblico che conta oltre 56 mila dipendenti e che è uno dei
principali produttori mondiali, ad esempio, nel campo degli elicotteri, dei sistemi
missilistici, dei sistemi di puntamento elettronico. Nella relazione di
Palazzo Chigi non si nasconde comunque una certa soddisfazione quando si
sostiene che "l'industria italiana per la difesa ha di fatto consolidato
e rilanciato la propria capacità produttiva nel campo delle
esportazioni di materiale per la sicurezza e difesa". A chi vendiamo Il
63,68 per cento delle esportazioni di armamenti italiani è stata
assorbita nel 2006 dai paesi Nato e Unione europea, fra cui, come s'è
detto, la commessa principale è stata degli Stati Uniti. Ma anche per
quanto riguarda i paesi destinatari il discorso è particolarmente
delicato. Cinque autorizzazioni alle esportazioni, seppure per un importo
complessivo di poco conto, circa un milione e 738 mila euro, sono state rilasciate
verso la Cina, uno dei paesi verso cui vige ancora l'embargo stabilito dalla
Ue. Anche se la relazione del Ministero degli Esteri assicura si tratta di
materiali "del tutto compatibili con le vigenti limitazioni" (tubi
elettronici per comunicazioni terrestri, ricambi per radio, antenne per
navigazione aeroportuale). Ma i comboniani sospettano che Finmeccanica sia
già in trattativa per concludere ben più corposti contratti
appena si allenterà un po' l'embargo verso Pechino. Fra i nuovi
clienti si registrano invece i paesi dell'Est ormai entrati nell'Unione
europea come Polonia (armamento per veicoli blindati), Bulgaria e Lituania
(aerei da trasporto). Ma al di là delle grandi cifre, piccole
commesse, come indicato nella relazione del governo, sono state effettuate
verso Arabia Saudita ("armi o sistemi d'arma di calibro superiore a 12,7 mm, apparecchiature
per la direzione del tiro", ecc.), Bangladesh ("armi o sistemi
d'arma di calibro superiore a 12,7
mm; munizioni, bombe, siluri, razzi, missili ed
accessori; agenti tossici, chimici o biologici, gas lacrimogeni, materiali
radioattivi"; ecc.), e poi ancora Kuwait, Libia, Malaysia, Nigeria,
Pakistan, Qatar, Tunisia. Molte associazioni pacifiste, e in prima fila i
missionari comboniani, contestano la fornitura di armi a paesi a rischio
guerra. "Amnesty International" contesta invece la fornitura a
paesi in cui la polizia usa ancora la tortura, come Tunisia, Tanzania
o Russia. I primi acquirenti nel 2006 sono stati comunque gli Stati Uniti,
grazie alla commessa di elicotteri italo-inglesi con cui, si dice, Bush ha
voluto premiare i suoi due partner più fedeli nella guerra in Iraq. Al
secondo posto gli Emirati Arabi Uniti ("elicotteri da trasporto pesante,
elicotteri multiruolo non da attacco, apparati di comando e controllo di
sistemi di artiglieria e cannoni navali") al terzo la Polonia e a
seguire Regno Unito, Austria, Germania Bulgaria, Oman ("armi o sistemi
d'arma di calibro superiore a 12,7
mm; aeromobili"), Lituania e Nigeria. Paese
quest'ultimo verso cui i codici indicano forniture di "armi o sistemi
d'arma di calibro superiore a 12,7
mm.; veicoli terrestri; aeoromobili", ecc. Ma
nella relazione del ministero degli Esteri c'è una sorta di
rassicurazione: non si tratterebbe di "forniture di nuove sistemi d'arma,
ma della cessione di un G222 - velivolo da trasporto disarmato ormai fuori
produzione e dismesso dalla nostra Aeronautica militare". Come a dire,
ferraglia d'avanzo.
INDICE 12-5-2007
+ Europa
12-5-2007 Siamo noi cittadini la “terza piazza” dove stanno i diritti di
singoli e famiglie FEDERICO ORLANDO RISPONDE 1
+ Il Sole 24 Ore 12-5-2007 Le due Rome, la famiglia e gli interrogativi
per la politica. Stefano Folli 2
+ Wallstreetitalia.com 11-5-2007 GREENSPAN VEDE ANCORA PROBABILITA' DI
RECESSIONE 3
L’Unità 12-5-2007 Multifamily Day Marco Travaglio 3
La Repubblica 11-5-2007 Lasciate che i fanciulli di VITTORIO ZUCCONI 4
L’Unità 12-5-2007 La marmellata Antonio Padellaro 5
La Repubblica 12-5-2007 Il senatore Salvi inaugura le tre stanze di Sd
in via Melisurgo E accusa la Regione 5
Il Piccolo di Trieste 12-5-2007 le informazioni su oltre 500 imposte in
vigore nei 27 Paesi dell'Ue Europa del Fisco senza segreti 6
Milano Finanza 12-5-2007 La governance dei miracoli UNICREDIT-CAPITALIA
Il via libera dei grandi soci di Mediobanca all'introduzione del modello
duale spiana la strada alle nozze Milano-Roma. 6
Cara
Europa, che bel 12 maggio. Il papa in Brasile, Ruini acquattato, Prodi a
Stoccarda, Rutelli e D’Alema in bisticcio sul manifestare contro una legge
votata in consiglio dei ministri, Casini e altri politicanti in imbarazzo su
quale moglie portare a San Giovanni, Berlusconi incerto tra odor di tonache e
odor di donna (Michela Brambilla, che fa incavolare Tremonti), radicali che
miscugliano la celebrazione del divorzio con la legge dei Dico. Il solito
paese di opportunisti. Io sono dell’Unione (c’è ancora?) ma ho
nostalgia di politici come Sarkozy, con idee chiare e distinte.
ALDO CASALINUOVO, ROMA
Caro Casalinuovo, apprezzo le cartesiane
“idee chiare e distinte”, ma non c’è bisogno di sperare in un Sarkozy.
Ci basterebbe un liberaldemocratico vero come John F. Kennedy, di cui La
Stampa ha pubblicato ieri il discorso, pronunciato in campagna elettorale nel
1960, sui rapporti fra chiesa e stato. Kennedy affrontò il sinedrio
dei pastori protestanti che avevano sollevato il problema dell’indipendenza
di un eventuale presidente cattolico dal papa di Roma e disse: «Io credo in
un’America in cui la separazione di chiesa e stato sia assoluta e in cui
nessun prelato cattolico possa insegnare al presidente (cattolico) quel che
deve fare e nessun pastore protestante possa imporre ai suoi parrocchiani per
chi votare; un’America in cui a nessuna chiesa o scuola di carattere
confessionale siano concesse sovvenzioni tratte dal pubblico denaro… Io credo
in un’America che ufficialmente non sia cattolica, né protestante, né
ebraica… un’America in cui nessun organismo confessionale cerchi di imporre
la propria volontà al popolo… un’America in cui prima o poi
l’intolleranza religiosa sia destinata a sparire e in cui tutti gli individui
e tutte le chiese siano trattati da uguali… in cui non si diano voti
cattolici o protestanti…».
E via così, caro amico, per una pagina intera. Anche il nostro
Giuliano Amato ha ripreso il tema in un’intervista, da cittadino adulto;
mentre il premier Prodi, benché a Stoccarda, ci ha ricordato che «senza
laicità della politica torniamo indietro di secoli». C’è poi
chi, come Valerio Zanone, rammenta che ci sono due principi base della
Costituzione, l’articolo 2 che garantisce la libertà degli individui
«senza distinzioni» e l’articolo 29 che garantisce la famiglia «fondata sul
matrimonio». Il leader liberale lamenta che a San Giovanni si difenderà
solo il 29 rinnegando il 2 e che a piazza Navona si farà l’opposto,
sicché manca una terza piazza per gente rispettosa egualmente della famiglia
e degli individui. Ma, a parte che è Pezzotta ad aver qualificato San
Giovanni per la famiglia e “contro i Dico”; mentre nessuno ha convocato
piazza Navona per i Dico e contro la famiglia”. E perciò ci vado.
La terza piazza siamo noi cittadini che difendiamo tutta la Costituzione come
Kennedy, e non solo la parte che piace alla “mia Ditta”, come la chiamava don
Milani.
Solo stasera
potremo trarre un bilancio di questo 12 maggio diviso tra la piazza cattolica
e la piazza laica. Stasera capiremo se è stato compiuto un passo
avanti o un passo indietro sulla via del dialogo e della tolleranza
reciproca. Certo, bisogna convenire con Giuliano Amato: non sentiamo il
bisogno di dividerci in Guelfi e Ghibellini. Ma tant'è.Scrive Claudia
Mancina sul«Riformista »: «Simbolicamente sembra quasi che si separino due
mondi: da una parte la famiglia, dall'altra i diritti delle persone. Da una
parte la libertà della Chiesa di sostenere la sua visione etica,
dall'altra la laicità.Ma questi due mondi possono davvero separarsi?».
Qui è la domanda chiave. Può separarsi il mondo che difende la
famiglia dalla società che difende i diritti di tutti? La
laicità, ovvero l'autonomia della politica, è la garanzia che i
due livelli non si separino, fusi entrambi in una cornice di garanzie
generali. Dovrebbe essere sempre così, eppure il rischio di una
frattura fra laici e cattolici esiste. Per evitarlo occorre molto buon senso.
Gli organizzatori di Piazza San Giovanni parlano di un «clima gioioso». Di
una «festa » di popolo.
Hanno ragione:è l'unico modo per dare alla giornata della famiglia il
suo significato più naturale e meno politicamente scabroso. Non un
raduno contro gli omosessuali e i loro diritti e in un certo senso nemmeno
contro il governo Prodi. Non una rivincita della Chiesa contro la società
secolarizzata. Certo, come ha detto il portavoce Pezzotta, la manifestazione
è contro i cosiddetti Dico, contro gli pseudomatrimoni. E questo
è il punto politico che apre un conflitto insanabile nel
centrosinistra e in particolare in quello che sarà il Partito
Democratico.
Allo stesso modo, Piazza Navona deve essere soprattutto un modo per ricordare
il 12 maggio del '74, la grande vittoria nel referendum sul divorzio.Marco
Pannella protagonista allora e oggi ancora sul palco. I valori dell'«orgoglio
laico». Ma senza dubbio non può essere,e non sarà,un tentativo
di chiudere la bocca alla Chiesa, di impedirle di esercitare i suoi diritti.
Si diceva dei nodi politici. Essi investono la natura del Partito
Democratico. Dove è evidente che non esiste ancora una sintesi fra le
posizioni laiche e quelle cattoliche. E se questa condizione si può
accettare all'interno della coalizione (ad esempio la Bonino a Piazza Navona
e Mastella a Piazza San Giovanni), essa diventa parecchio singolare quando si
manifesta nello stesso partito (vedi la polemica fra Rutelli e D'Alema).
Prova ne sia che per tamponare i danni i Ds hanno scelto il basso profilo e
di fatto il silenzio. Il che può essere una scelta obbligata, ma non
è mai una scelta felice.
In ogni caso, è possibile che stasera il bilancio sia positivo. Che
abbia prevalso il carattere festoso delle due manifestazioni. Che i politici
abbiano rinunciato a strumentalizzare Piazza San Giovanni (e questo è
più difficile). Che l'Italia non si sia divisa in Guelfi e Ghibellini.
Comunque vada il governo avrà il dovere di ascoltare la voce della
gente in piazza; anzi, nelle due piazze. Per un paio di buone ragioni. La
prima è, appunto, che il mondo della famiglia non può separarsi
dal mondo dei diritti:e spetta allapolitica evitarlo.La seconda è che
le famiglie hanno bisogno di sostegno e di attenzione. Ma è una
necessità che non nasce oggi. Sono anni che i governi, di qualsiasi
colore, sono distratti al riguardo. Forse è giunto il momento di
speculare meno e agire di più.
L'ex presidente della Fede vede ancora una
probabilitа su tre che ci sia una recessione quest'anno negli Stati
Uniti.
11 Maggio 2007 11:51 NEW YORK (WSI)
L'ex presidente della
Federal Reserve Alan Greenspan vede ancora una probabilitа su tre che
ci sia una recessione quest'anno negli Usa. Greenspan - parlando via
satellite a un forum organizzato a Singapore, riportato dall'agenzia
Bloomberg - ha cosм ripetuto quanto affermato all'inizio di marzo,
quando aveva voluto 'correggere' una sua precedente affermazione secondo cui
non era da escludere la possibilitа di recessione negli Stati Uniti
alla fine del 2007. Parole che avevano contribuito a mettere in subbuglio i
mercati azionari nel martedм nero delle borse dello scorso 27 febbraio.
La tesi di Greenspan prende le mosse dalle preoccupazioni per l'indebolimento
dei consumi e per la perdurante crisi del mercato immobiliare.
Segue dalla Prima Quell'Europa che Buttiglione e Ferrara vedono infestata
di massoni, mangiapreti, satanisti, e Tremaglia anche di culattoni. I paesi
che non hanno avuto la fortuna di avere in casa la Dc, Berlusconi e il
Vaticano, danno alle famiglie il 2,4% del Pil; noi l'1,1. Per aiutare i
disoccupati a tirare avanti e a farsi una famiglia, l'Europa investe il 6%
della spesa sociale: noi il 2. La Spagna di quel satanasso di Zapatero, il
12,5. In Italia i disoccupati che ricevono un sussidio sono il 17%: in
Francia il 71, in
Germania l'80, in
Austria l'84, in
Belgio il 92, in
Olanda il 95, nel Regno Unito il 100%. Per i nostri giovani è anche
peggio: sotto 25 anni, da noi, riceve il sussidio solo lo 0,65%; in Francia
il 43, in
Belgio il 51, in
Danimarca il 53, nel Regno Unito il 57. Poi c'è la casa: solo lo 0,06%
della spesa sociale italiana va in politiche abitative (la media Ue è
il 2%, il Regno Unito è al 5,5). Quanto ai benefici alle madri, siamo
al 19° posto al mondo. Sarà un caso, ma l'Italia ristagna da anni a
crescita sottozero, mentre la Francia ha il record occidentale dei nuovi
nati, con 2 figli per donna: la media europea è 1,5, la nostra 1,3.
Nascono più figli dove esistono i Pacs e non si fanno i Family Day.
Noi facciamo il Family Day, abbiamo paura persino dei Dico, e siamo il paese
con meno bambini. Un trionfo. In compenso i nostri politici più
affezionati ai sacri valori della famiglia ne hanno almeno un paio a testa.
Silvio Berlusconi, che ha aderito a distanza all'iniziativa, ha avuto - come
dice Benigni - "diverse mogli, di cui alcune sue": due, per la precisione.
Ma oggi in piazza San Giovanni non ci sarà: lui il Family Day lo
celebra tutti i week end a villa La Certosa, con almeno cinque attiviste di
Forza Italia. Anche la Lega Nord ha dato la sua adesione. Infatti Bossi ha
due mogli. Calderoli due mogli (la seconda sposata con rito celtico),
più l'attuale compagna. Castelli, una moglie in chiesa e l'altra
davanti al druido. Poi c'è l'Udc, che com'è noto vuol dire
Unione Divorziati Cattolici: divorziato Casini, che ha avuto due figlie dalla
prima moglie e ora vive con Azzurra; divorziato l'ex segretario Follini;
divorziato il vicecapogruppo Giuseppe Drago, mentre la vicesegretaria Erminia
Mazzoni sta con un divorziato; D'Onofrio ha avuto l'annullamento dalla Sacra
Rota e non c'è più ricascato. Anche An è ferocissima
contro i Dico. Fini ha sposato una divorziata. Poi ci sono i due capigruppo:
alla Camera c'è Ignazio La Russa, avvocato divorzista, divorziato e
convivente; al Senato Altero Matteoli, divorziato e risposato con l'ex
assistente. Adolfo Urso è separato. Divorziati gli ex ministri
Baldassarri (risposato) e Martinat (convivente). La Santanchè ha avuto
le prime nozze annullate dalla Sacra Rota, ha convissuto a lungo, ma conserva
il cognome del primo marito. Il meglio, come sempre, è Forza Italia. A
parte Berlusconi, sono divorziati il capogruppo alla Camera Elio Vito e il
vice-capogruppo Antonio Leone. L'altro vice, Paolo Romani, è
già al secondo matrimonio: "E non è finita qui",
dichiara a "Libero". Gaetano Pecorella ha alle spalle "una
moglie e varie convivenze". Divorziato anche Adornato, che
sfilerà al Family Day non si sa con quale famiglia."Libero"
cita tra gl'"irregolari" persino Elisabetta Gardini, che ha un
figlio e convive con un regista. Anche lei sarà in piazza San
Giovanni, come Letizia Moratti e il marito Gianmarco, ovviamente divorziato.
Poi c'è chi, come Francesco Rutelli, dopo tante battaglie
anticlericali per il divorzio e l'aborto, vorrebbe tanto sfilare, ma
"non posso perché purtroppo sono vicepremier". Si potrebbe
scioglierlo dal vincolo, rendendolo deputato semplice: i classici due
piccioni con una fava. Per evitare che qualche "irregolare" diserti
il Family Day per imbarazzo, o per paura di beccarsi una scomunica, il
Vaticano potrebbe concedere un'indulgenza plenaria almeno per la giornata di
sabato, autorizzandoli a sfilare con tutte le rispettive famiglie, magari al
di sotto del numero di tre. Basterebbe ribattezzare l'iniziativa
"Multifamily Day". Uliwood party.
ANDRO' anche io alla festa
della famiglia, oggi, anzi al Family Day come lo chiama Buttiglione che
infatti parla bene il tedesco. Alla festa della mia famiglia, qui a
Washington. Andrò a mettere a dormire quella di dieci mesi, Anna, che
gattona per tutta la casa, si incastra sotto tutti i mobili e poi pretende di
mettersi seduta prendendo capocciate tremende e quello di tre anni, Devin,
che vorrebbe leggersi da solo i libri di storielle e poi s'incazza come un
flipper quando si accorge di non saper leggere.
Mia moglie e io siamo di corvèe , comandati come baby sitter, lettori
di storielle, spalmatori di crema sui sederini arrossati, provveditori di
mangimi che naturalmente la nonna italiana trova abominevoli, al posto dei
genitori che vogliono andare al cinema. Andrò a festeggiare e celebrare
la famiglia nella sola maniera che io conosca e che consideri decente e
umana, che è quella di prendersi cura con amore, pazienza (e qualche
occasionale imprecazione) di chi ha scelto di vivere con te e di chi non lo
ha scelto, ma si trova a vivere con te egualmente, come i figli o i nipoti.
Ma per niente al mondo, danari, onori, inquadrature in televisione, applausi,
benedizioni di presbiteri od orazioni di presuntuosi, la porterei su una
piazza. Perché non c'è nulla di più triste e osceno che
adoperare i bambini come props, si dice al cinema, come attrezzi, mobilia,
scene, comparse, effetti speciali per servire gli interessi e i rancori
politici degli adulti. Se noi grandi, relativamente parlando, abbiamo un osso
da rosicchiare con altri grandi, vediamocela tra noi, da adulti.
Utilizziamo
gli strumenti che noi adulti possediamo, media, internet, voti, pulpiti,
congressi, associazioni, marce, campagne di lettere, manifesti. Ma portare in
processione, come pupazzi, come amuleti, come bandiere di un club di calcio,
bambini che non sanno, che non possono sapere (chi lo spiegherà, e
come, a un bambini di 4 anni, che cosa sia un Dico, che cosa sia un
omosessuale?) che al massimo ripetono le giaculatorie che hanno sentito dire
in casa, adoperarli come teneri randelli da pestare in testa a coloro che non
ne hanno, che non ne vogliono, che non ne hanno potuti avere, che li hanno
perduti o che li hanno avuti in maniera "non naturale", come se ai
figli facesse alcuna differenza, è una prepotenza che rasenta l'abuso.
E' sfruttamento politico ideologico, non molto diverso dai bambini tedeschi,
italiani o russi o irakeni vestiti con i costumini del regime di turno a
gridare Du-ce Du-ce o Lunga vita all'amato Rais. Una scena squallida, come
quei poveri bambinetti trascinati in campo da giocatori di calcio per
mettersi la coscienza a posto e predicare il volesemo bene, a tifosi che non
vedono l'ora di prendersi a sprangate in testa, di insolentire i tifosi
avversari e di caricare "gli sbirri".
Se ho bisogno di andare su una piazza con il bambino in collo e quello
più grandicello a rimorchio che dopo un po' comincerà a non
poterne più, per dimostrare quanto ami la famiglia, quanto io sia
buono e quanto odi coloro che non ce l'hanno o l'hanno formata in altre
maniere, dimostro di non credere poi tanto alla famiglia, di avere bisogno di
una conferma esteriore ed estetizzante della mia incerta dedizione, di voler
esibire quello che per dovrebbe essere naturale e indiscutibile, il fatto che
sono fedele a mia moglie (vero?) e fedele all'impegno che mi sono preso
mettendo al mondo bambini.
Il "Family Day", come si dice in Italia, non è un biglietto
Trenitalia con lo sconto del 20% o una pullmanata al seguito del buon parroco
o del segretario provinciale del partito, un giorno di maggio. Il giorno
della famiglia è oggi, domani, dopodomani, perché ogni day è un
family day, per chi ce l'ha e per chi l'ha costruita sul solo materiale che
serve, e che non conosce sesso o età, ed è l'amore.
L'esibizionismo della piazza è l'esatto contrario della tenerezza,
della intimità, che la famiglia dovrebbe rappresentare.
Parlate male di chi volete. Negate le leggi che volete
negare. Chiedete ciò che volete, dalla piazza, perché è vostro
pieno diritto farlo, come è mio diritto non ascoltare chi predica
l'esclusione, e non l'inclusione, ma abbiate pudore degli innocenti. Non
diamo scandalo, come diceva Quello. Lasciate che i fanciulli stiano a casa.
(11 maggio 2007)
Segue dalla Prima. Gli risponde il sindaco di Roma che la
legalità è un diritto di tutti e non ha, quindi, colore politico.
Segue ampio dibattito con il contorno di presunte amare verità del
tipo: dobbiamo avere il coraggio di dire che non è più di
destra ammettere che la criminalità e il disordine sociale vanno
combattuti. Insomma: lo slogan Legge e Ordine non è più bestemmia.
Fermiamoci a riprendere fiato. Qualche tempo fa in uno sketch televisivo
memorabile il comico Antonio Albanese era un intellettuale di sinistra che
con l'aiuto di uno psicologo di sostegno cercava di recuperare la memoria
politica perduta in un eccesso, pensiamo, di modernità. Cerchiamo,
allora anche noi di ricordarci qualcosa. Primo. La difesa della
legalità è stata sempre un cavallo di battaglia della sinistra
a fronte della destra (di Berlusconi) più antilegalitaria che si
conosca. Come ha scritto su queste pagine Marco Travaglio chi in
questi anni ha osato parlare di legalità, grazie all'ospitalità
di qualche giornale temerario è stato regolarmente massacrato come
forcaiolo e giustizialista dagli stessi che ora invocano Legge e Ordine
perché l'ha detto Sarkò. Secondo. Il razzismo è
stupidità. Non si è razzisti se si reagisce davanti alla
maleducazione o agli insulti o alla violenza di una tale che è slava,
tunisina o filippina ma potrebbe benissimo essere nata anche a Roma. Si
è però stupidi (e non necessariamente di destra) se non si
capisce che il problema, per esempio, di quei rom dediti al teppismo non si
risolve deportandoli in qualche isola lontana dai nostri appartamenti. Ma,
come ha spiegato Veltroni, agendo con gli strumenti della politica. Quella
che da una parte introduce condizioni di vita migliori, scolarizzazione e
inserimento lavorativo (solidarietà, se si può ancora dire). E
che dall'altra pretende fermezza e assoluta severità per chi di queste
regole non si cura e queste regole infrange. Certo che è una strada
molto più complicata da seguire. Ma è la differenza che passa
tra civiltà e barbarie. Terzo. Stupisce non poco che chi lavora a
questa sorta di marmellata in cui tutto si confonde non si sia accorto delle
cose laiche e di sinistra dette da Sarkozy. E non le abbia rivendicate come
tali. Per esempio, la difesa dei pacs anche tra coppie omosessuali del nuovo
presidente francese che mai si sognerebbe di andare in piazza a manifestare
con le gerarchie vaticane. O il monito lanciato all'alleato Usa sulla
questione del clima e delle misure non più rinviabili per evitare una
catastrofe planetaria. La sinistra dunque ha ancora molte cose da dire.
Così come il centro alleato della sinistra quando sostiene il
provvedimento di legge sulla cittadinanza. O si impegna sui Dico. O fornisce
il suo contributo sui temi legati alle sofferenze dei malati e
all'accanimento terapeutico. Il problema nasce quando il centrosinistra perde
la voce. O si perde in sottigliezze. O si mostra vittima di una sorta di
orientamento perduto. Senza più coordinate e memoria orgogliosa per i
propri valori. Non sarà (anche) questo il motivo di quel calo dei
consensi segnalati dai sondaggi? E delle arrabbiature per le leggi sbagliate
e ingiuste fatte da chi abbiamo votato? apadellaro@unita.it
I PROTAGONISTI Sinistra democratica si presenta sede gremita,
attacco a Bassolino Prima sezione in Italia, alle pareti foto di De Martino e
Berlinguer. Gli ex diessini "Ecco il nostro pantheon" ANGELO
CAROTENUTO Un senatore e due deputati, un sindaco e un assessore, tre
consiglieri locali e tre stanze piene di gente al quinto piano di un palazzo
in pieno centro. Le foto alle pareti di Enrico Berlinguer e Francesco De
Martino. "Eccolo, il nostro pantheon". è così che
nasce Sinistra democratica, lo strappo dei diessini che divergono dal cammino
in corso della Quercia verso il Pd. "Mentre al nord discutono e si
arrovellano, voi siete già partiti. Noi da Roma non la dobbiamo
deludere, questa spinta che arriva da Napoli", s'infiamma con voce
stentorea Cesare Salvi, il senatore che lungo la strada di un tour elettorale
pre-amministrative (ieri a Torre del Greco), passa in via Melisurgo per
aprire le porte della sezione del movimento. La prima in tutta Italia.
S'infiamma così tanto, Salvi, che dimentica di avere tuttora per
alleati due dei suoi obiettivi, Padoa-Schioppa e Bassolino. Al ministro:
"Ma come si permette di dire che sulle pensioni si fa come dice
lui?". Al governatore: "Ho sentito parlare di una sua grande
vittoria. Pensavo fosse la soluzione per i rifiuti. Pensavo fosse un piano
per la disoccupazione. Invece ho scoperto che si trattava del ricorso alla
Corte costituzionale per farsi restituire l'importo dei tagli della
Finanziaria agli esponenti degli enti locali. Per quattro soldi che gli
avevano tolto". Un furore esibito per un centinaio di militanti
("la sede è già piccola"), e per i
"generali" dell'esercito dei mussiani: il portavoce regionale Barra,
Villone, Scotto, Aurisicchio, Vozza, Oddati, Giusto, Santangelo, Parisi,
Coppeto, Porta. Parole impetuose che a Nicola Oddati preme levigare.
"Mettiamo da parte le punte polemiche. Siamo stati per anni nello stesso
partito. Bassolino è un alleato - dice l'assessore comunale alla
Cultura - con lui bisogna governare. Lavoriamo per unire la sinistra e per
riformare la politica italiana: non sarebbe significativo farlo da
soli". Del resto, la Federazione regionale dei Ds è lì per
portare un saluto con Ciro Iacovelli (dipartimento organizzazione). "Non
bisogna sostituire persone con altre persone. è il modo di fare
politica che va cambiato. Proviamo a rispondere a quell'esigenza di svolta
presente in chi è stufo dei cambiamenti che abbiamo promesso",
così Francesco Barra. Mentre Michele Giardiello, due volte deputato,
promette "diecimila adesioni al movimento entro fine anno". L'11
giugno a Napoli torna Mussi. La Calabria ospita entro l'estate una
manifestazione sul tema del Sud, e a settembre ancora Napoli sarà sede
di un'iniziativa a carattere nazionale su lavoro e legalità. Nel
frattempo si vota per i sindaci. "Mobilitatevi con entusiasmo per i
nostri candidati alle amministrative. è un primo test
significativo". Un test senza una lista propria, da ospiti, e non sempre
dei Ds.
BRUXELLES L'Europa del fisco non ha più segreti.
Tutte le informazioni possibili su oltre 500 imposte in vigore nei 27 Paesi
dell'Unione europea saranno d'ora in poi reperibili su internet grazie a
un'iniziativa della Commissione Ue in collaborazione con i
ministeri delle Finanze dei vari Stati membri. Cittadini e imprese potranno
così collegarsi gratuitamente al database ed avere informazioni su
tutte le principali tasse esistenti in Europa, dalla base imponibile,
alle detrazioni alle varie aliquote applicabili. Sarà possibile anche
avere informazioni sul gettito generato da ogni singola imposta e sulle
principali forme di contribuzione e oneri sociali. "Questo strumento -
spiega il commissario Ue alla fiscalità, Laszlo Kovacs -
dà ai cittadini, alle imprese, ai professionisti del settore fiscale,
ai ricercatori e alla stampa accesso diretto a informazioni che finora sono
stati disponibili poco alla volta. Inoltre - prosegue il commissario -
è uno strumento che promuove la trasparenza permettendo di comparare
sistemi fiscali tra Paese e Paese dell'Unione europea". Intanto il
viceministro dell'Economia e Finanze Vincenzo Visco verrà ascoltato
martedì 15 maggio alle 14,30 dalla Commissione Finanze del
Senato per l'atto di indirizzo riguardante gli sviluppi di politica fiscale,
le linee generali e gli obiettivi della gestione tributaria, le grandezze
finanziarie e le altre condizioni nelle quali si sviluppa l'attività
delle agenzie fiscali per il periodo 2007-2009. E il gettito tributario dei
primi 3 mesi del 2007 è stato di 78,7 miliardi di euro, cioè
del 6% in più rispetto al periodo gennaio-marzo del 2006. Sono questi
gli ultimi dati delle entrate fiscali calcolati secondo il criterio della
cassa della Banca d'Italia, nel supplemento 'Finanza Pubblicà del
Bollettino Statistico. Nel solo mese di marzo il gettito di cassa è
stato pari a 25,3 miliardi di euro, in linea con i 25,4 miliardi dello stesso
mese del 2006.
Il doppio board garantirà l'indipendenza di Piazzetta
Cuccia e darà un nuovo ruolo a Geronzi. Lo tsunami finanziario che
potrebbe essere scatenato dalla fusione UniCredit-Capitalia non sembra
più preoccupare come qualche tempo fa. L'accelerazione impressa dai
soci di Mediobanca sull'adozione del sistema di governance duale, che
potrebbe essere varato già con l'assemblea straordinaria di giugno, ha
infatti rassicurato molti sul fatto che l'unione tra le due ex Bin non
attenterà all'indipendenza di Piazzetta Cuccia e delle sue principali
controllate: Generali e Rcs. Due realtà dove forti sono anche gli
interessi del mondo che ruota attorno a Intesa Sanpaolo, non solo perché le
Generali sono uno dei principali azionisti della superbanca, ma anche perché
Ca' de Sass è tuttora uno degli azionisti forti della società
editrice del Corriere della Sera. Il merger tra UniCredit e Capitalia,
infatti, avrebbe ripercussioni non solo nel mercato domestico del credito,
dove il nuovo istituto raggiungerebbe una dimensione analoga (in termini di
sportelli) a quella della stessa Intesa Sanpaolo, ma soprattutto sugli
equilibri del sistema finanziario nel suo complesso. UniCredit-Capitalia
diventerebbe infatti il primo azionista di Mediobanca con circa il 18% del
capitale e di conseguenza avrebbe un'influenza notevole anche sulle due
principali partecipazioni di Piazzetta Cuccia. Al 14,1% del Leone in
portafoglio a Mediobanca si aggiungerebbe infatti una quota del 6,36%
derivante dall'unione delle attuali partecipazioni detenute nelle due banche.
Lo stesso dicasi per Rcs, dove al 13,2% di Mediobanca si sommerebbe il 2,2%
attualmente in portafoglio a Capitalia e il 3,5% delle stesse Generali.
Insomma, se Alessandro Profumo e Cesare Geronzi dovessero, come ormai sembra,
raggiungere un'intesa, l'istituto che nascerebbe diverrebbe il centro della
più grande concentrazione di potere che si ricordi dai tempi dell'asse
tra Enrico Cuccia e Giovanni Agnelli. E proprio per questo motivo fino a poco
tempo fa, erano in molti a ritenere che l'operazione tra piazza Cordusio e
via Minghetti non si sarebbe mai potuta fare.La svolta è arrivata
invece nella giornata di venerdì 11 maggio quando i grandi soci di
Piazzetta Cuccia, a cominciare proprio da UniCredit e Capitalia, in una
riunione informale del direttivo del patto di sindacato hanno dato un via
libera sostanziale all'adozione della governance duale pura per Mediobanca.
Un sistema pensato per rendere più netta la separazione tra il ruolo
degli azionisti e quello del management e in grado, proprio per questo, di
garantire maggiormente l'indipendenza della merchant bank, tanto cara agli
azionisti francesi riuniti attorno a Vincent Bolloré.In questo senso vanno
dunque lette le dichiarazioni del direttore generale di Mediobanca, Alberto
Nagel, e quelle del presidente del patto di sindacato, Piergaetano Marchetti.
'Non siamo spaventati per quello che potrebbe accadere', ha detto Nagel
interpellato sulle ricadute del merger UniCredit-Capitalia sul futuro di
Mediobanca. 'La governance che potremmo adottare nel futuro', ha aggiunto,
'ci darà la libertà di cui abbiamo bisogno per valutare quello
che è nel migliore interesse dei nostri azionisti'. Un'opinione
condivisa dallo stesso Marchetti. 'Non vedo problemi' per Mediobanca, ha
detto il presidente del patto. Più cauto invece è stato
Bolloré, da tempo schierato per l'indipendenza di Capitalia e a cascata di
Mediobanca e Generali. 'Siamo molto vigili sull'avvenire di Capitalia', ha
spiegato Bolloré, 'siamo per l'indipendenza della banca romana e per il
rispetto degli equilibri in Mediobanca'.Equilibri che però dovrebbero
restare sostanzialmente immutati, considerato che sia Profumo sia Geronzi
sono consapevoli della delicatezza della partita che si sta giocando. Non per
niente nel faccia a faccia tra i due banchieri, avvenuto proprio prima della
riunione del cda di Mediobanca di venerdì 11 maggio, si è
parlato, come svelato dallo stesso Profumo, proprio della futura governance
di Piazzetta Cuccia.L'adozione del modello dualistico, oltre ad avere
l'effetto di attutire l'impatto della fusione UniCredit-Capitalia sul sistema
Mediobanca-Generali-Rcs, avrebbe anche un'altra importante conseguenza
positiva per le nozze Milano-Roma: quella di spianare la strada a Geronzi
verso la presidenza del consiglio di sorveglianza della merchant bank milanese.Le
condizioni per un matrimonio in tempi brevi, dunque, sembrano esserci tutte.
Ma Profumo, che non ha mai nascosto l'ambizione a crescere più in
Europa che in Italia, è pronto a dire sì all'unione con via
Minghetti? Negli ambienti finanziari c'è chi è pronto a
scommetterci. 'Lo stop imposto alle ambizioni francesi di UniCredit e il
gradimento del governo e della Banca d'Italia per una soluzione nazionale al
destino di Capitalia, ha reso ineluttabile l'operazione', spiega un banchiere
d'affari da sempre vicino alle cose dell'istituto romano. 'Ne è una
garanzia il fatto che un uomo con la storia e i legami di Claudio Costamagna
sia stato scelto da Geronzi per condurre in porto l'operazione'. All'ex
banchiere di Goldman Sachs, vicino sia al presidente del consiglio, Romano
Prodi, sia al governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, spetterà
dunque il compito di condurre le danze per quest'ultimo giro di risiko.
(riproduzione riservata) Milano Finanza Numero 094, pag. 13 del 12/5/2007
Autore: Andrea Di Biase.
INDICE 11-5-2007
++ Il Sole
24 Ore La Tfa nomina l'olandese van den Berg, Buenos Aires sceglie l'egiziano
Abi Saab Tango bond, avanza l'arbitrato GRAZIA NERI 1
+ La Repubblica 11-5-2007 Rai, il Tesoro sfiducia il proprio
consigliere Prodi: "Nel prossimo Cdm il Ddl riforma" 2
Il ministro dell'Economia Padoa-Schioppa ha scritto al premier una
lettera. nella quale mette in evidenza "lo stato di stallo nel quale si
trova l'azienda televisiva" 2
L'Usigrai annuncia una giornata di sciopero "se rimarranno
immutate le attuali condizioni" La Cdl: "Un tentativo inaccettabile
contro il consiglio". Un golpe del governo". Gasparri: "Un
atto banditesco" 2
+ Il Mattino 11-5-2007 Ecco il Nord che chiede gli aiuti In Lombardia
ci sarà lo stop ai fondi statali nel 2008 In Veneto e Liguria si
arriverà al 2013 MARCO ESPOSITO 3
+ Italia Oggi 11-5-2007 Il Caso La Bonino Ai Governatori: Troppe Multe
Salatissime Per Le Sentenze Ue di Giampiero Di Santo 4
+ Il Corriere della Sera 11-5-2007 LA SENTENZA "Sme, Squillante fu
pagato Ma non ci fu corruzione" Luigi Ferrarella 4
Il Giornale 11-5-2007 Banche boom nel 2006: utili a 22 miliardi di
Angelo Allegri – 5
La Stampa 11-5-2007 IL CANDIDATO
DEMOCRATICO NEL MIRINO DI UN COMICO CONSERVATORE DEL SUD.Canzone razzista
contro Obama In "Barack il Magic
Negro" diventa un nero a misura di bianco. Maurizio Molinari 6
La Stampa 10-5-2007 Sanità, il governo ottiene la fiducia Con
298 sì e 150 no la Camera ha votato la fiducia al governo sul decreto
per il ripiano del deficit 7
Europa 11-5-2007 La famiglia fondata sul matrimonio non ha impedito
divorzio e laicizzazione FEDERICO
ORLANDO RISPONDE 8
Il Riformista 11-5-2007 Per me il 12 maggio è un errore diviso
su due piazze 8
Il Giornale 11-5-2007 Corruzione a Perugia, sospetti su altre 6
toghe di Gianluigi Nuzzi – 9
Italia Oggi 11-5-2007 E con un gioco di prestigio il patrimonio del Ppi
finisce in un pollaio La vecchia Dc prima ancora di perdere pezzi, cominciava
a perdere soprattutto mattoni 10
La Nuova Venezia 11-5-2007 Vertice europeo sulla sicurezza a Venezia
Terrorismo, droga e immigrazione all'attenzione degli interni del G6 ROBERTA
DE ROSSI 11
Italia Oggi 11-5-2007 Nuovo scontro dopo la decisione al senato.
Moratoria sull'acqua, possibile stralcio dal ddl Bersani. Servizi locali,
riforma paralizzante Prc non vota sul ddl Lanzillotta 11
Il Corriere della Sera 10-5-2007 Una ricerca globale dell’agenzia
pubblicitaria BBDO mette in luce i cinque rituali giornalieri compiuti in
tutto il mondo. L’obiettivo è aiutare le aziende a insediarsi
nell’intimità dei consumatori. I riti quotidiani transnazionali.
Carola Frediani 12
A giugno saranno
presentate le memorie, poi via al procedimento Isabella Bufacchi ROMA Un
avvocato olandese esperto di arbitrati internazionali designato dagli
italiani, un egiziano exgiudice e professore di diritto prescelto dagli
argentini: ecco le nomine fresche di firma dei due arbitri del tribunale
internazionale presso la Banca Mondiale "Icsid" che dovrà
esaminare il ricorso presentato da 195mila investitori italiani detentori di
vecchi Tango bond che intendono recuperare almeno 4,4 miliardi di dollari
prestati allo Stato argentino. Il terzo e ultimo arbitro Icsid dovrà
essere nominato in 30 giorni, entro i primi di giugno. Ultimata la formazione
del Tribunale a Washington, in giugno avrà inizio l'arbitrato: le due
controparti depositeranno le memorie, poi scatterà un lungo
procedimento con udienze, testimonianze, ricorsi ad esperti e consulenti.
Infine il lodo. La notizia della nomina dell'avvocato olandese Albert Jan van
den Berg è stata comunicata ieri dalla Task Force Argentina (Tfa),
l'associazione finanziata dalle banche italiane con il compito di tutelare
gli interessi degli obbligazionisti colpiti dal default dell'Argentina. La
Tfa, che agisce per procura,ha avallato la scelta dell'arbitro effettuata dai
tre studi legali (White & Case, Grimaldi & associati e Perez Alati,
Grondona Benites, Arntsen & Martinez de Hoz Jr) che si occupano del
ricorso Icsid. Van den Berg, fondatore di un noto studio legaleboutique in
Belgio con il partner Hanotiau, ha ricevuto nel 2006 il premio della rivista
"Whoswholegal" per il miglior avvocato su scala mondiale
specializzato in arbitrati. Anche l'Argentina ha attinto il suo arbitro da una
rosa di avvocati di fama internazionale: l'egiziano George Abi Saab è
professore onorario di diritto presso l'Istituto superiore di studi
internazionali di Ginevra ma è stato anche giudice della Corte di
Giustizia internazionale e del Tribunale delle Nazioni Unite. I tempi
dell'arbitrato Icsid sono notoriamente lunghi e gli investitori italiani
aderenti al ricorso presso la Banca mondiale potrebbero dover attendere anni
prima di conoscere l'esito del lodo. Un accordo extragiudiziale tra i
bondholder e l'Argentina è l'unico modo per ridurre i tempi: una
strada che lo Stato argentino sta già percorrendo nei ricorsi
Icsidavviati da imprese internazionali operanti nel settore idrico,
dell'energia, delle comunicazioni in Argentina. Nel frattempo, Nicola Stock,
presidente della Tfa, continua a perorare in tuttele sedi possibili la causa
degli obbligazionisti italiani che non hanno partecipato allo swap di
ristrutturazione del debito argentino. Il 23 maggio prossimo Stock
parteciperà alla riunione annuale del Paris Club che attende il
rimborso di 5,3 miliardi di dollari dall'Argentina mentre Buenos Aires che ha
accumulato 40 miliardi di dollari di riserve ha rimborsato anticipatamente 10
miliardi al Fmi e ha saldato il conto da 1 miliardo con la Spagna.
isabella.bufacchi@ilsole24ore.com I TEMPI Il dibattimento sarà lungo e
gli investitori italiani potrebbero attendere anni prima di conoscere l'esito
finale del lodo
ROMA - Il ministro dell'Economia ha comunicato alla Rai che
"si è interrotto il rapporto di fiducia con il proprio
rappresentante" nel Cda, ed ha chiesto all'Azienda di viale Mazzini di
convocare l'Assemblea. Lo ha detto il ministro per le comunicazioni Paolo
Gentiloni alla conferenza stampa a fine Consiglio ministri.
L'analoga notizia è stata comunicata anche dal sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio Enrico Letta nel corso di una conferenza stampa al
termine del Consiglio dei Ministri. "Il presidente del Consiglio ha
informato nel corso della riunione di aver ricevuto una lettera dal ministro
dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa in cui mette in evidenza lo stato di
stallo in cui si trova la Rai", ha detto Letta.
"Prodi - ha aggiunto - ha annunciato nel Cdm che scriverà una
lettera al presidente della Rai in modo tale da discutere la vicenda nelle
sedi opportune".
"Quello di Padoa Schioppa - ha commentato il vicepresidente della
Commissione di vigilanza Rai Paolo Bonaiuti - è un tentativo
inaccettabile di attacco contro il consiglio di amministrazione regolarmente
in carica, un tentativo per di più insostenibile dal punto di vista
giuridico. Mai nella storia della Rai si era giunti ad una revoca del genere
da parte del governo".
"Un'azione illegale, condotta da un ministro non eletto dal popolo che
attua un comportamento banditesco assieme a tutto il governo per
delegittimare il servizio pubblico", accusa l'ex ministro delle
Telecomunicazioni Maurizio Gasparri (An).
"Un'operazione costruita a tavolino per creare le precondizioni del
colpo di mano da parte del governo in perfetto stile del vecchio golpismo
sudamericano - ha detto Margherita Boniver, componente del direttivo del
gruppo di Forza Italia alla Camera - Un attacco gravissimo nei confronti di
un Consiglio di Amministrazione regolarmente in carica, cosa che non era mai
avvenuto nella storia della Repubblica. Un attacco politico inaccettabile
che, in ogni caso, dovrà fare i conti con la forza della legge".
"Il presidente del Consiglio ha annunciato - ha detto infine Letta - che
nel prossimo Consiglio dei ministri sarà presentato il Ddl di riforma
delle norme che regolano le governance della Rai".
Il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni ha spiegato che gli obiettivi
del Ddl sono tre: "1) rafforzare l'autonomia della Rai dal governo e
dalla politica; 2) dare maggiore efficienza aziendale; 3) consentire un
percorso di innovazione all'azienda, che oggi è obiettivamente
bloccato, separando meglio ciò che è finanziato dal canone e
ciò che è finanziato dalla pubblicità".
Intanto l'Usigrai ha annunciato una giornata di sciopero dei giornalisti:
"Oggi in tutte le pagine
informative della Rai nei Giornali Radio e nei Tg viene letto un comunicato
dell'Usigrai che è un appello agli utenti, ai cittadini, ma anche a
tutte le organizzazioni che rappresentano i lavoratori della Rai - si legge
in un comunicato sindacale - I giornalisti, se resteranno immutate le
condizioni di stallo nel Cda, attueranno nei prossimi giorni la prima delle
due giornate di sciopero che l'Assemblea dei Comitati di Redazione hanno
affidato, con voto unanime, all'Usigrai. Sarebbe ancora più efficace
se in quella stessa giornata si potesse dare un segnale in tutta l'azienda
mobilitando tutti i lavoratori".
C'è un
Nord che chiede aiuto all'Unione europea. E non è un Nord marginale,
fatto di piccoli comuni di montagna come quelli che cercano di passare dal
Veneto al Trentino. È un Nord - secondo le statistiche - in piena
ripresa economica e al top della ricchezza in Europa, che comprende
aree industriali come Torino, Genova, Venezia-Mestre e la cintura a Nord di
Milano. È quanto si ricava dalla "Carta degli aiuti di Stato a
finalità regionale" con la mappa delle aree in regioni ricche
finanziabili in base a una specifica deroga chiamata "87.3 c". Un
documento ufficiale, inviato dal governo italiano a Bruxelles, ma non ancora
operativo perché in attesa di approvazione da parte della Commissione
europea. È un documento che riguarda anche il Mezzogiorno. Finché
infatti proseguirà la discussione per capire se le aree richieste
siano davvero meritevoli di aiuti, l'intero programma comunitario 2007-2013
non potrà partire, neppure nelle regioni come la Campania che entrano
nella Carta degli aiuti perché la ricchezza per abitante è inferiore
al 75% di quella media comunitaria. La mappa degli aiuti copre un'area
piuttosto vasta del Nord, ma si ridurrà nel tempo. Tutta l'area
torinese e quella a Nord di Milano, in particolare, esaurirà i propri
effetti a fine 2008. L'area
di Genova e Venezia - ma anche una fetta non trascurabile della Valle
d'Aosta, che pure è la Regione più ricca d'Italia -
continueranno a essere agevolate fino al 2013. L'Unione europea ha
posto dei severi limiti di popolazione per le aree ricche da agevolare, con
un tetto pari al 3,9% della popolazione totale, cioè 2,3 milioni di
persone. Solo la Sardegna (che fino al 2006 era tra le aree povere d'Europa)
ha utilizzato oltre 900 mila abitanti. Le regioni del Nord si sono viste
assegnare per la stagione di aiuti 2007-2013 quote di popolazione
ridottissime: 57mila in Piemonte, 50mila in Liguria, 50mila in Veneto, 50mila
in Emilia Romagna, nessuno in Lombardia. Per estendere i benefici si è
ricorsi a due tecniche. La prima è chiedere agevolazioni solo
transitorie (2007-2008) per alcune aree industriali significative, come
appunto la gran parte della provincia di Torino e la parte Nord di quella di
Milano. La seconda tecnica è non chiedere l'agevolazione per l'intero
Comune ma soltanto per alcuni quartieri poco popolosi ma con forti
insediamenti industriali. Come accade a Genova, che riesce così a
restare nel tetto dei 50mila abitanti scegliendo con attenzione zone
censuarie appetibili per gli imprenditori ma con pochi residenti. Un trucco
piuttosto banale, perché è ovvio che i beneficiari dei contributi a
un'area industriale sono gli abitanti dei quartieri limitrofi, ma un trucco
che Bruxelles fece passare per il periodo di aiuti 2000-2006. Da segnalare
che il Veneto, nonostante il disagio dei comuni montani - che con i
referendum chiedono di passare alle regioni confinanti - ha chiesto aiuti per
la costa (Venezia e Rovigo). Invece il sottosegretario alla presidenza del
Consiglio, Enrico Letta, ha proposto di usare i fondi Ue per i
territori di confine. Un'indicazione che contraddice quanto chiesto a
Bruxelles.
Pesano già molto sulle tasche dei
cittadini, come ha documentato ieri ItaliaOggi nella sua inchiesta sulle
spese pazze delle regioni. Ma anche senza fare nulla, o proprio per questo, le
regioni, i loro governatori e i consigli regionali (o assemblea nel caso
della Sicilia) possono causare danni al bilancio dello stato. Come teme il
ministro delle politiche europee e del commercio internazionale, Emma Bonino,
che nella sua relazione sull'Unione europea depositata in parlamento, paventa
il rischio che il mancato adeguamento da parte delle regioni alle
disposizioni di Bruxelles si traduca in un vero salasso per l'Italia. Sembra
infatti che siano in forte aumento le procedure di infrazione disposte nei
confronti dell'Italia per il mancato rispetto di sentenze di condanna
già pronunciate dalla Corte di giustizia europea. Nella relazione la
Bonino scrive: 'Va sottolineato l'elevato numero di ricorsi alla Corte di
giustizia, ai quali si aggiunge il crescente numero (9) delle procedure ex
articolo 228, di quelle procedure cioè che riguardano mancati
adempimenti di precedenti sentenze di condanna della Corte di giustizia e
sono quindi suscettibili di portare a nuove condanna'. Qualcuno potrebbe obiettare
che in fondo nove casi non sono poi molti, per un paese non certo di secondo
piano come l'Italia, che tra l'altro ha appunto venti regioni. Ma questi casi
potrebbero costare molto cari. 'Le eventuali nuove condanne sarebbero
accompagnate da pesanti sanzioni pecuniarie nei confronti dello stato',
avverte la relazione. La Bonino spiega che Bruxelles ha deciso di accelerare
il processo di recepimento, da parte degli stati dell'Ue, delle
direttive europee. E aggiunge con preoccupazione che dal 13 dicembre del
2005, con una nuova Comunicazione sull'articolo 228, la commissione ha
chiarito che 'non rinuncerà più agli atti, una volta introdotto
in Corte di Giustizia un ricorso ai sensi di tale articolo' e che
'proporrà sistematicamente la condanna dello stato tanto a una somma
forfettaria per l'inadempimento pregresso, quanto una penalità di mora
per l'eventuale ritardo nell'adeguamento alla nuova sentenza'. Detto questo,
si scopre, anzi, la Bonino in propositi è chiarissima, che le multe
sarebbero salatissime. Per le inadempienze delle disposizione della prima
sentenza di condanna l'Italia sarebbe condannata a pagare una somma non
inferiore a 9,92 milioni di euro. La penalità di mora per ogni giorno
di ritardo nell'adeguamento alla seconda sentenza di condanna, invece,
oscillerebbe tra 22.000 e 700.000 euro. Una vera stangata, per di più
inevitabile, spiega allarmatissima la relazione messa a punto dal ministero
delle politiche europee e del commercio internazionale. 'La conseguenza
è che una volta adita la Corte, una sanzione sarà inevitabile
anche in caso di sopravvenuto adempimento durante il procedimento dinanzi a
alla Corte'. Un monito rivolto in particolare ai governatori, perché, spiega
ancora la relazione, sono proprio le regioni, molto spesso a non rispettare
le sentenze di condanna della Corte e più in generale a causare
l'apertura di procedure di infrazione. 'Già oggi 57 (delle 226
riscontrate nel 2006,ndr) procedure di infrazione sono dovute alle autonomie
territoriali', sottolinea la Bonino. 'Ma è soprattutto allarmante la
constatazione che cinque delle nove procedure ex articolo 228 sono di
responsabilità di regioni o di enti locali'. C'è da dire,
però, che il pugno duro di Bruxelles ha già convinto alcuni
governatori italiani ad agire rapidamente per evitare guai. Lombardia e
Puglia, per esempio, non avevano provveduto a bonificare le discariche di
Rodano e Manfredonia e così Roberto Formigoni, presidente della
regione del Nord, e Nichi Vendola, governatore pugliese, avrebbero rischiato
di pagare multe enormi: addirittura 19 milioni di euro più 193.000 di
mora giornaliera il primo, 9,92 milioni più 85.000 euro il secondo.
Così, spiega la Bonino, le due regioni si sono convinte 'ad adottare
in tempi rapidissimi una serie di provvedimenti che ha permesso di convincere
la commissione a rinviare per il momento il deposito dei ricorsi in
corte di giustizia'. La morale, insomma, è sempre la stessa. Dove la
carota nulla può, serve il bastone, soprattutto se colpisce i
governatori nelle tasche. E se ciò non bastasse, la Bonino ha in tasca
la soluzione di riserva: 'Non va esclusa l'eventualità di un ricorso
meno eccezionale al potere sostitutivo disciplinato dalla legge 4 febbraio
2005n.11', conclude, né la possibilità, offerta dalla Finanziaria
2007, che lo stato chieda alle regioni di restituire all'amministrazione
centrale i soldi sborsati per colpa loro. Governatore avvisato
MILANO - In effetti "è ragionevole la
deduzione che il versamento" da Cesare Previti al giudice Renato
Squillante il 6 marzo 1991 di 434mila dollari, "provenienti da un conto
estero alimentato da fondi extracontabili di pertinenza della Fininvest,
avesse funzione corruttiva". In effetti la versione difensiva di Previti
"sembra più confacente a una partita di poker nella quale i
giocatori "passano" senza "vedere"": una "ricostruzione
fantastica, miseramente naufragata di fronte all'assoluta mancanza di alcun
riscontro". In effetti "macroscopica" è poi
"l'inverosimiglianza che Berlusconi fosse del tutto all'oscuro dei
pagamenti esteri compiuti dai suoi dipendenti, e soprattutto che avessero
mano libera per le movimentazioni bancarie sicuramente illecite (se non altro
perché effettuate in nero su conti esteri)". Dunque se ne "dovrebbe
ricavare l'ulteriore corollario che Squillante era un giudice a libro paga di
Berlusconi". E tuttavia - distingue la seconda Corte d'Appello
(presidente Nese ed estensore Lapertosa) nel motivare l'assoluzione nel
merito di Berlusconi nel processo Sme -, pagare il giudice non equivale di
per sè a corromperlo. "Per affermare che Berlusconi abbia
corrotto Squillante, non basta provare che questi abbia ricevuto denaro, ma
occorre anche accertare che l'interferenza addebitata al magistrato sia stata
collegata con l'attività funzionale da lui esplicata". E invece
"è assolutamente incontroverso (e tuttavia ignorato dai pm)"
che "nessun procedimento nel quale Squillante avrebbe potuto
effettivamente influire ha rivelato aspetti irregolari o discutibili". E
quand'anche Squillante fosse stato pagato "per condizionare l'operato di
altri magistrati estranei all'ufficio di appartenenza, non sarebbe configurabile"
il reato di corruzione, "ma la diversa ipotesi di traffico di
influenza", che però in Italia "non può considerarsi
penalmente perseguibile" perchè "non è stata tradotta
in norma di legge". Tutto ciò "non permette" alla Corte
"di sostenere l'incrollabile convinzione che Berlusconi, al di là
ogni ragionevole dubbio (come esige l'articolo 533 significativamente
novellato con la recezione della formula di derivazione americana"), sia
colpevole della corruzione per la quale va assolto,
"indipendentemente dalla ben diversa consistenza che le prove a carico
possono assumere nei confronti di terzi". Traduzione: di Previti. Che la
Corte - pur dicendosi convinta della "particolare
inattendibilità" della teste Ariosto "per lacune, confusioni,
incompletezze e contraddizioni nelle sue deposizioni" - qualifica
"propenso a pratiche corruttive". Ma "nessun serio indizio
può trarsene a carico di Berlusconi, a meno di non ritenere che tra
lui e Previti, che certo era l'avvocato d'affari di Fininvest, si sia attuata
una inedita fusione identitaria, dando luogo a un nuovo e complesso soggetto
di diritto in deroga al principio" per cui "la
responsabilità penale è personale".
lferrarella@corriere.it Le motivazioni della Corte d'Appello di Milano che ha
assolto Berlusconi nel merito.
Nel 2006 hanno portato a casa utili netti per oltre 22 miliardi di euro. La
stima, ancora approssimata (i dati ufficiali arriveranno a fine maggio con la
relazione del governatore della Banca d’Italia), corrisponde a un aumento del
32,3% rispetto al 2005. E la corsa al profitto del sistema bancario italiano
(«una forma di governo occulto», secondo l’ex commissario europeo Mario
Monti) sembra destinata a continuare. Secondo le Previsioni dei bilanci
bancari di Prometeia, presentate ieri, gli utili netti cresceranno del 17%
nel 2007, del 15,7% nel 2008, e del 18% nel 2009. Non proprio un boom come
quello dell’anno scorso, ma poco ci manca.
Gli istituti potranno approfittare del contesto economico favorevole, che
spingerà le imprese a più investimenti con connesso aumento
della richiesta di credito. D’altra parte la maggiore concorrenza
comprimerà i margini unitari, mentre proprio dai rapporti con le
imprese arriva l’incognita maggiore per il futuro: l’abolizione della
cosiddetta commissione di massimo scoperto, la somma dovuta alle banche,
calcolata sulla massima esposizione, in aggiunta ai normali interessi. Il
provvedimento, ancora in via di adozione, si riferirà a tutti i conti,
ma i suoi effetti si sentiranno soprattutto nei rapporti con le imprese.
Secondo Prometeia potrebbe costare alle banche fino a 4 miliardi di euro.
Anche se, avverte il centro studi, gli istituti faranno con tutta
probabilità come i gestori di telefonini dopo l’abolizione dei costi
di ricarica, cercando di recuperare altrimenti le somme perse. Una prima
strada dovrebbe essere quella dell’aumento dei tassi di interesse sulle nuove
operazioni di finanziamento; poi le banche potrebbero calcare la mano su
altre commissioni (spese di istruzione della pratica, penalità per il
mancato utilizzo del credito); infine, potrebbe essere aumentata la pressione
al ribasso gli interessi concessi ai clienti sui depositi. In tutti i casi,
comunque, l’impatto del provvedimento potrà essere solo addolcito.
Quanto ai rapporti con i clienti privati anche qui la maggiore concorrenza si
farà sentire. Crescerà un po’meno il settore dei mutui
immobiliari dopo la corsa forsennata degli ultimi anni, mentre gli istituti
punteranno tutto sul credito al consumo. In questo campo si registreranno
forse le novità maggiori.
Prenderanno
piede nuovi prodotti «all’americana», come la possibilità di ricevere
un nuovo prestito ampliando l’importo di un mutuo in essere, approfittando
dell’aumento di valore registrato dall’immobile. Continuerà la crisi
del risparmio gestito, con una diminuzione del peso relativo del canale di
distribuzione bancario, e conseguente stasi delle commissioni, mentre per i
conti correnti la tendenza è ormai chiara: costi minori, ma rendimenti
per i depositanti ormai inesistenti.
E anche questa viene segnalata da Prometeia come un’incognita: se i
risparmiatori si accorgeranno che non conviene più tenere sul conto i
propri soldi e li dirotteranno verso altre forme di impiego le banche
potrebbero veder ridursi una forma di provvista a buon mercato. Sicuro invece
il controllo dei costi: secondo Prometeia cresceranno meno del 4% annuo
portando gli istituti italiani vicini a medie europee.
Arriva da Rush Limbaugh
il primo siluro contro Barack Obama che chiama in causa il suo colore della
pelle. L’irriverente e ultraconservatore conduttore radiofonico ha iniziato a
trasmettere durante il proprio talk show - uno dei più ascoltati
d’America - una canzone che chiama il candidato democratico «Magic Negro». Si
tratta di una definizione coniata negli anni Sessanta da alcuni sociologi per
descrivere gli afroamericani che sembravano «venire dal nulla» ovvero
correvano a integrarsi nella società bianca senza più alcun
rapporto con le loro radici. A cantare sulle note di «Puff, the Magic Dragon»
è il cantante conservatore bianco del Tennessee Paul Shanklin,
imitando il reverendo Al Sharpton ovvero il volto più militante della
comunità nera. Le strofe sono un atto d’accusa nei confronti del
senatore dell’Illinois, già sospettato alcuni leader afroamericani di
«non essere abbastanza nero» essendo nato da padre kenyota e mamma bianca.
«Barack il Magic Negro vive a Washington, il Los Angeles Times lo chiama
così perché non è vero come me» recitano le strofe del motivo
che Limbaugh manda in onda, citando a piene mani l’articolo «Obama the Magic
Negro» scritto sul quotidiano di Los Angeles da David Ehrenstein, anch’egli
afroamericano. «Oltre che a candidarsi per la Casa Bianca Obama è in
corsa per una carica ufficiosa dell’immaginazione popolare, quella del Magic
Negro» ha scritto Ehrenstein, parlando di una figura tesa a «minimizzare il
complesso di colpa dei bianchi per la schiavitù e la segregazione
sostituendo lo stereotipo dei neri pericolosi e sessualmente iperattivi con
quello di esseri benigni per i quali il Congresso non ha troppo interesse».
L’accusa sollevata a Obama è di essere un «nero meno reale, più
desiderabile per i bianchi» e rilanciandola nell’etere Rush Limbaugh punta a
fare leva sulle ferite interne alla comunità afroamericana, scavando
un solco fra il senatore dell’Illinois e la sua base elettorale.
«Magic Negro fa sentire bene i bianchi, voteranno per lui e non per me -
canta Shanklin, con forte accento del sud - perché i veri neri sono quelli
come me o Farrakhan», l’ex leader fondamentalista della Nazione dell’Islam.
«Non votate per il Magic Negro - conclude la canzone, svelando l’obiettivo
politico - perché a me non verrà nulla in tasca dopo anni di sacrificio,
non avrò giustizia nè offerte per la Chiesa». L’irriverente
attacco musicale a Obama condito di stereotipi ancora molto diffusi in alcune
regioni del Sud - dove gli afroamericani vengono chiamati «melanzane» - ha
fatto denunciare a Karl Frish, portavoce di «Media Matters» che monitorizza
il razzismo sui mezzi di informazione, «l’intenzione di Limbaugh di
infiammare il pubblico» confermata dalla scelta del conduttore di definire il
candidato un «Halfrican American», un mezzo afroamericano.
Di fronte alla prima tempesta di sapore razzista sulla strada della Casa
Bianca, la scelta di Barack Obama è stata di andare nella tana del
lupo e farsi intervistare da Paul Smith, conduttore da Detroit per Rush
Limbaugh. «Non mi sono offeso per la canzone - ha esordito il senatore, con
tono minimalista - e non mi preoccupa più di tanto quando mi prendono
in giro, fa parte del gioco, non sono una di quelle persone che si prendono a
tal punto sul serio da offendersi per qualsiasi cosa, Rush fa spettacolo anche
se non lo seguo molto». Più il conduttore lo provocava sul «Magic
Negro» più Obama rifiutava di vestire i panni dell’offeso, evitando
così di avvalorare una polemica che da decenni lacera la
comunità afroamericana. Anziché difendersi dagli attacchi razzisti ha
preferito giocare su un altro tavolo, contestando con forza al talk show solo
il fatto averlo descritto come «Odumbo» a causa delle orecchie molto grandi:
«Vi avverto, su questa cosa sono molto sensibile perché mi hanno preso molto
in giro da piccolo».
LE PAROLE
Il L.A. Times lo chiama così/Perché non è vero come me/Yeah,
quelli del L.A./ dicono che i perfidi bianchi con lui si senton
candidi/Così voteranno lui e non me/ Perché lui non viene dalla
feccia/un vero nero come Snoop Dogg (un rapper, ndr), come me o Farrakhan
(leader dei neri islamic, ndr)/Lui ha detto il dicibile, fatto il
fattibile./Non tardare e vinci!/ Ritornello: Oh, Barack il Magico Negro, vive
nel D.C. (Il distretto di Washington, ndr)/Il L.A. Times l’ha chiamato
così/ Perché è nero ma non per davvero/C’è chi dice che
è “articolato” /e brillante e nuovo e “pulito”/I media lo amano
tanto/il sogno di un intruso bianco/Ma quando voti per il presidente/stai
attento, non farti ingannare/Non votare il Magico Negro/Perché - perché?-non
voglio un pugno di mosche dopo tutti questi sacrifici/È una questione
di giustizia/una questione di buffet/Io non ho buffet né contributi della
chiesa/Niente dollari nel mio piatto/Niente cash, né soldi che girano, Né
denaro tirato su al telefono/Vieni Barack vieni.
ROMA Con 298
sì e 150 no la Camera ha votato la fiducia al governo sul decreto per
il ripiano del deficit della Sanità. Subito dopo la votazione, il
presidente di turno Carlo Leoni ha sospeso la seduta.
SPARISCONO I SUPER TICKET
Spariscono i ticket sulla diagnostica, che il Senato aveva portato da 10 a 3,5 euro, e la
moratoria dei pignoramenti contro le Asl che era stata introdotta da Palazzo
Madama. Il testo su cui il governo ha chiesto in Aula la fiducia utilizza
infatti come base il testo licenziato dal Consiglio dei Ministri e introduce
alcune modifiche prodotte dall’esame delle commissioni di merito, Bilancio e
Affari sociali, a Montecitorio. Il provvedimento ripiana per altri 3 miliardi
i deficit sanitari di alcune Regioni. Per la terza lettura il Senato ha
soltanto la prossima settimana, visto che il decreto va convertito per il 19
maggio pena decadenza.
3 MILIARDI PER DEFICIT REGIONI
È autorizzato il concorso straordinario dello Stato nel ripiano dei
disavanzi strutturali dei servizi sanitari regionali registrati nel periodo
2001-2005. Per raggiungere questo obiettivo sono messi a disposizione 3
miliardi di euro per il 2007.
TICKET RICETTE SPECIALISTICA
I senatori lo avevano ridotto dai 10 euro stabiliti con la Finanziaria a 3,5
euro, coprendo però la misura con tagli ai bilanci dei ministeri. Il
costo è pari a 511 milioni di euro. Per la copertura vengono
utilizzati 100 milioni del fondo dei debiti pregressi e 411 milioni del fondo
di rotazione per le politiche comunitarie.
PIGNORAMENTI
Tornando al testo iniziale, il blocco per 12 mesi dei pignoramenti contro le
aziende sanitarie che non pagano i fornitori è stato sparisce, come
chiesto anche da un emendamento dei relatori alla Camera Piro e Zanotti.
CONTROLLI
Ogni anno i risultati della verifica dei piani di rientro sono
«tempestivamente» trasmessi dal ministro dell’Economia al presidente della
Corte dei Conti, che, nel caso di irregolarità, potrebbe far partire
«un giudizio di responsabilità amministrativa e contabile». Ci
sarà un maggior coinvolgimento del Parlamento: il decreto, che
ripartisce le risorse tra le regioni interessate, dovrà essere
trasmesso alle commissioni di Camera e Senato competenti. Il Parlamento
riceverà una relazione sullo stato dei debiti.
Cara Europa, ho molto apprezzato il vostro “pluralismo”, almeno
quando avete presentato in prima pagina tre posizioni di tre amici della
Margherita: uno a San Giovanni, uno a piazza Navona, uno al mare. Purtroppo
non l’ha apprezzata Mario Adinolfi, vostro collaboratore, non teodem e mio
idolo, che , pur avendone i titoli, come dice, non andrà a piazza Navona
e chiede che il Pd guardi là dove sono i numeri. Non è
contrario ai Dico, ma non vuol incoraggiare «quella solita platea di radical
chic che si sente figa a impegnarsi in battaglie marginali».
Questo non lo capisco.
Laura Delli Santi, Roma
Io sì, cara amica, perché l’ottimo Adinolfi ha tutto, ma
non è liberale.
Condivido con lui due cose: la prima, ho avuto anch’io una famiglia normale
fino al momento della separazione (come lui) e ho messo al mondo dei figli a
loro volta creatori di famiglie normali e di altri figli: quindi appartengo
anch’io alla stragrande maggioranza degli italiani.
La seconda cosa è che anch’io, come il nostro blogger, non coltivo in
materia alcun approccio ideologico. Qui però le nostre strade si
dividono. Adinolfi, ci ricorda che da una parte esistono 33 milioni di
individui come lui e come me, che sono passati o vivono nel matrimonio,
più i loro figli.
Dall’altra esistono 500mila coppie stabili che vivono sotto lo stesso tetto
ma non sono coniugate. L’Italia vera, profonda – dice -–, è la prima e
«ad essa, politicamente, deve essere rivolta la maggiore attenzione».
Elettoralmente ineccepibile.
Ma la civiltà liberaldemocratica è un’altra cosa. Non si tratta
di imporre, per gusto di «battaglie marginali», le esigenze di un’«Italia
minima» all’Italia massima. Benché ciò sia accaduto anche nella storia
moderna. E non per gusto di «battaglie marginali», ma per battaglie
d’avanguardia.
La stessa unità d’Italia fu fatta da una così sparuta
minoranza, contro papi, re, duchi e popolo tutto, da meritare la definizione
di «eroico sopruso». E non è che Cavour e Vittorio Emanuele, Crispi e
Garibaldi, Rattazzi e Mazzini, facessero quel sopruso per sentirsi fighi,
apprezzati dai radical chic di Vienna di Parigi e di Londra. Ma questo
è il meno. Il più, che è il cuore della civiltà
moderna, sta nel fatto che una maggioranza del 99 per cento dei cittadini non
può negare all’uno per cento il diritto di essere e pensare diverso.
Si guarderà dall’imitarne la diversità, ma non gli
negherà il diritto di vivere uguale agli altri nella comunità.
Ecco perché vado a piazza Navona: per sostenere il diritto della minoranza,
degli eretici, dei miscredenti, di poter essere, nell’ambito della legge,
ciò che vogliono e che io non sarò mai. Del resto, neanche
quando abbiamo giocato a ruoli rovesciati, e noi maggioranza di padri,madri,
mariti, mogli, figli, zii, nonni e cugini, tutti provenienti da “matrimonio
normale”, abbiamo integrato quell’istituzione col divorzio e abbiamo
laicizzato la società, ci siamo sognati di imporre alla minoranza
dissenziente di divorziare o di abortire. Abbiamo soltanto creato un’
opportunità legislativa per chi ne avesse sentito l’esigenza.
Sbaglierò, ma credo (lo dico ai miei nipoti studenti) che qualche
tecnologia in meno e qualche libro in più ci proteggerebbero da una
pericolosa marcia indietro.
di Claudia Mancina
Domani due piazze, ovvero due Italie, si schierano sul tema della famiglia e
della laicità. Per chi crede che la democrazia non sia soltanto un
metodo di voto, ma un percorso complesso che prima del voto prevede il libero
confronto tra diverse concezioni, non si tratta di un evento negativo.
È bene che i cittadini prendano posizione e la esprimano, sui grandi
problemi, e che tutti abbiano voce, laici e credenti di ogni religione. E
tuttavia c’è qualcosa di sgradevole in queste due piazze romane che
domani si riempiranno di milizie contrapposte. Simbolicamente, sembra quasi
che si separino due mondi: da un parte la famiglia, dall’altra i diritti
delle persone. Da una parte la libertà della Chiesa di sostenere la
sua visione etica, dall’altra la laicità. Ma questi due mondi possono
davvero separarsi?
La famiglia è stata oggetto di lotte antiautoritarie da parte dei
giovani e antipatriarcali da parte del femminismo. Ma oggi patriarcalismo e
autoritarismo sono scomparsi e sarebbe ridicolo, oltre che sbagliato, essere
«contro la famiglia». Nessuno mette in discussione la funzione della famiglia
nella società, come struttura che assicura la prima formazione dei
bambini in un contesto di intimità, di fiducia e di amore (pur nei
limiti e con i fallimenti inevitabili), e come interlocutrice principale
dello stato sociale. Ma nemmeno si può pensare di concepire la
famiglia come una comunità arcaica, separata dalla società in
un idillico isolamento. Una famiglia da difendere. Non è così.
La famiglia è una comunità sempre più aperta e sempre
più permeabile ai problemi e alle tendenze della società.
Bisognerebbe sostenerla, più che difenderla. Sostenerla significa
darle aiuti economici e organizzativi (quelli che il nostro paese con tutto
il suo familismo ideologico non le ha mai dato), e considerarla per quello
che è: una comunità in trasformazione, coinvolta nella storia
della contemporaneità e dei diritti.
Allora vedere i diritti civili come contrapposti al bene della famiglia
è un errore: perché è una forzatura non voler vedere che ci
sono oggi (come peraltro ci sono state nel passato) diverse forme di famiglia,
che possono avere una graduazione diversa dal punto di vista giuridico, e
quindi un diverso titolo alla tutela statale - secondo l’articolo 29 della
Costituzione - ma meritano comunque rispetto e tutela, come diverse sentenze
della Corte costituzionale hanno stabilito. Introdurre una rigida
delimitazione del concetto di famiglia è un’operazione ideologica, che
non tiene conto della realtà. Ma qual è il compito della
politica se non quello di governare la realtà?
Altrettanto forzato è contrapporre la laicità alla
libertà di parola, e di manifestazione, della Chiesa. La
laicità, irrinunciabile nello Stato democratico, non esiste senza una
piena libertà religiosa, che comporta anche un ruolo nel dibattito
pubblico. La stessa laicità impone alle chiese di accettare le regole
che sono proprie di tale dibattito: la disponibilità alla critica, la
rinuncia a una pretesa assolutista della propria etica, il riconoscimento
della legittimità delle decisioni democratiche. Invece abbiamo da una
parte una Chiesa che considera le critiche terrorismo e pretende di influire
in modo determinante sulla legislazione; dall’altra dei laici che vorrebbero
farla tacere. Si determina così una situazione del tutto unica e
anomala tra i paesi democratici, nella quale la distinzione tra laici e
cattolici assume una valenza politica dominante rispetto ad altre
identità. È una situazione grave, che produce effetti
paralizzanti sul piano politico e certamente non favorisce la maturazione di
un vero pluralismo e di una vera tolleranza. La giornata di domani non ci
porterà più avanti, ma se mai un po’ più indietro.
Almeno una
dozzina i procedimenti che potrebbero esser stati condizionati, tra Consiglio
di Stato, Commissioni tributarie e Cassazione. Dai semplici processi per gli
incidenti stradali alle guerre giudiziarie, tutte nella finanza rossa e su
importanti commesse, tra il costruttore vicino alle coop, Leonardo Giombini e
colossi come la Cmc di Ravenna.
L’inchiesta sul comitato d’affari di Perugia dopo i quattro arresti di
martedì (oltre all’imprenditore Carlo Gradassi e allo stesso Giombini,
in manette sono finiti il sostituto procuratore generale della Cassazione
Vincenzo Maccarone e Lanfranco Balucani del Consiglio di Stato), potrebbe
rapidamente estendersi. Il procuratore capo Nicola Miriano potrebbe infatti
raccogliere gli stimoli investigativi del gip Claudia Matteini. Che nei suoi
atti individua una «cricca di persone», un «comitato d’affari» organizzato
per condizionare sistematicamente, grazie a magistrati compiacenti, le
più disparate vicende processuali umbre approdate a Roma.
Un comitato al quale avrebbe partecipato anche Mario Gradassi, padre di
Carlo, indagato per associazione a delinquere e notissimo imprenditore della
città. Un comitato perché, come dicono al telefono alcuni inquisiti
«Semo in famiglia, è come al cimitero dentro una tomba». Tutti
insieme. «Se in pochi mesi di indagini - sottolinea quindi il magistrato - sono
stati ben cinque gli episodi giunti all’attenzione di questa procura, vi
è da pensare che molti altri ne siano stati commessi in passato».
E in effetti nei brogliacci delle intercettazioni telefoniche e ambientali si
fa riferimento ad almeno una dozzina di procedimenti «attenzionati»,
cioè sotto i riflettori dei magistrati inquirenti. Perché sono vicende
sulle quali, si dice in un’intercettazione, «bisogna fare tutti squadra» e
portare a casa il risultato. Quello che interessa agli indagati per
associazione a delinquere e corruzione in atti giudiziari. Anche perché,
aggiungono gli inquirenti, «vi è il fondato sospetto che l’azione di
imprenditori affermati (come appunto quella di Giombini, ndr ) sia stata in
larga misura favorita dall’appartenenza a un sodalizio ben radicato sul
territorio e ben collegato con soggetti con incarichi istituzionali».
Significa che le pressioni sui «colleghi giudicanti che non potevano esimersi
dalla richiesta di cortesia», su quelli dell’«oggi faccio un favore a te,
domani tu farai un favore a me», determinavano sentenze favorevoli agli
imprenditori inseriti nella «cricca». Imprenditori che ne beneficiavano e che
quindi grazie alla propulsione giudiziaria illegale sbaragliavano la
concorrenza.
Ma il quadro che emerge da questa inchiesta lontana dai riflettori delle
grandi città è ancor più allarmante. Perché i magistrati
arrestati, secondo l’accusa non dimostravano solo spregiudicatezza nel
piegare la legge agli interessi privati. Ma dalle intercettazioni, dalla
ricostruzione degli inquirenti emerge un quadro di connivenze di giudici che
si scambiano favori sugli esiti dei procedimenti, di corsie preferenziali che
lasciano nel cittadino una grave inquietudine. Così che i colleghi
inavvicinabili, quelli con i quali non c’è dialogo, diventano come
mosche bianche tanta era la disinvoltura nei movimenti ritenuti illeciti e
attribuiti ai magistrati finiti in carcere.
Si tratterà ora di capire se il procuratore capo intende allargare le
indagini, andando a vedere, sentenza dopo sentenza, l’attività professionale
di queste due toghe accusate di corruzione e di tutti quei giudici
«avvicinati» o citati nelle decine di intercettazioni. Secondo l’ordinanza di
custodia cautelare sono almeno sei i magistrati indicati nelle conversazioni
tra indagati, alcuni dei quali avevano rapporti assai intensi con i due
giudici ora in carcere. Una ragnatela di influenze tutta da decifrare.
C’è la conoscenza con il consigliere del Csm, c’è la collega
che si può avvicinare essendo un’ex auditrice. C'è il giudice
che incontra quelli ai quali «non posso dire di no». Anche perché insomma,
come quasi urla il consigliere Balucani al telefono, «quello che si
può fare si fa... per gli amici... per voi senza problemi». E
così è talmente forte la colleganza, che Giombini si arrabbia
quando non viene attivato il giudice amico sul processo che vedeva la coop
Cmc come controparte. A saperlo si chiamava Balucani e «si poteva anche
rovesciare il piattino».
La Scheda.. Quelli che messi uno sull'altro al momento della
trasformazione nel Partito popolare italiano componevano 131 proprietà
immobiliari. Erano le proprietà della 'balena bianca' gestite da un
ragioniere. Si chiama Giuseppe Morelli (leggi articolo in apertura), era un
dipendente della Dc promosso a consulente immobiliare. Un fiuto per
gli affari sul mattone, uno capace, dimostrerà la storia e non solo
quella, capace di bucare con uno spillo anche la più ostica delle
bolle immobiliari. Uno che fa affari con Angiolino Zandomeneghi. Nome noto
alle cronache che con un milione e 500mila euro fece piazza pulita delle 131
proprietà immobiliari. Il nome di Zandomeneghi è sparso nelle
decine e decine di pagine del procedimento penale per bancarotta che muove i
passi alla procura della repubblica del tribunale di Roma. E andrà
ancora avanti per le lunghe. Zandomeneghi e Giuseppe Morelli sono spesso
associati nel procedimento sul fallimento della Immobiliare Europa.
Una società rivoltata come un calzino, della quale Zandomeneghi
è amministratore unico con 'un comportamento a dir poco
spregiudicato', dicono gli inquirenti 'nella gestione degli affari aziendali'
svolti 'direttamente oppure per il tramite di ricorrenti intestatari
fiduciari e prestanome', tra i quali viene citato Giuseppe Morelli. Certo, l'immobiliare
Europa, ma questa è soltanto la società madre. Altre ne sono
finite nel mirino della procura che 'nei casi di pericolo, magari a seguito
di verifiche fiscali o di pericolo di fallimento venivano sistematicamente
svuotate dei mezzi finanziari, nonché dei beni immobili che transitavano in
altre società del gruppo, preferibilmente neocostituite'. Una di
queste scatole porta dritta dritta in terra istriana dove diventa una
finanziaria con tanto di sede in un pollaio e intestata a un croato,
scaricatore di porto a Trieste. Non sorprenda. C'è dell'altro. Per
esempio che quando il curatore del fallimento, l'avvocato Oreste Michele
Fasano insieme al cancelliere del tribunale di Verona si presentano alla sede
della società Immobiliare Europa per fare l'inventario dei beni
rimangono con tanto di occhi sgranati quando si trovano 'in un gabiotto di
due metri per tre all'interno di un circolo abbandonato'. Ecco che cosa
scrive nella sua relazione il curatore fallimentare: 'Incredulo che il
gabiotto in cui ero stato condotto potesse verosimilmente farsi passare come
la sede della Immobiliare Europa, il sottoscritto ha incaricato il
cancelliere di verificare se il luogo dove si era svolto l'inventario
rispondesse effettivamente al civico 87 D di via Villabella. La verifica
effettuata dai carabinieri ha confermato che il luogo corrisponde a dove si
trova il centro sportivo Villabella o Sporting club Villabella, peraltro in
stato di abbandono'. Un personaggio eclettico per il caro e vecchio mattone
Dc. Neanche mai pagato, visto che l'assegno risultò scoperto.
Sbriciolato, svenduto attraverso rivoli societari. 'La strategia di
smembramento delle società da parte di Zandomeneghi sembrerebbe sempre
la medesima. Infatti, una volta acquisite le quote di controllo delle
società per lo più a responsabilità limitata, le
utilizza per farvi transitare immobili aggredibili dai creditori di altre
società a lui facenti capo, per poi svuotarle e metterle in liquidazione,
se prima non interviene la dichiarazione di fallimento', relaziona il
curatore. Secondo il curatore del fallimento della Euro Pool, invece, 'da
entrambe le relazioni dei consulenti contabili, emerge che, sebbene alcune
volte formalmente sostituito nella carica di amministratore unico della
società da figure più o meno rilevanti, Zandomeneghi debba
considerarsi non soltanto l'amministratore della fallita, ma anche il deus ex
machina'. Vittima il Partito popolare italiano, l'ex Dc, il primo creditore a
presentare istanza di fallimento nei confronti della Immobiliare
Europa. Anche con il vecchio scudocrociato non sono mancati abili giochi di
mano. 'In fase prefallimentare, in una memoria difensiva del 14 agosto 2002 a sostegno
dell'inesistenza del suo stato di insolvenza, produceva un estratto conto
della Banca agricola mantovana da cui risulta al 9 agosto 2002 una
disponibilità a saldo di 3.126.879. Successivamente è stato
appurato che tale documento è stato alterato e falsificato in quanto
l'originale riporta un saldo liquido di 126.879 euro al quale è stato
aggiunto fraudolentemente un 3 che ne gonfia la consistenza di circa 6
miliardi di vecchie lire', dicono gli inquirenti tanto per avere un'idea del
signor Zandomeneghi.Emilio Gioventù.
VENEZIA. Venezia (e i veneziani) ancora una volta "sotto
scorta". Oggi e domani, infatti, i ministri dell'Interno dei paesi
europei del G6 - con una delegazione Usa, in aggiunta - si
ritroveranno nei saloni dell'hotel all'isola di San Clemente, 17 ettari di parco
isolati nella laguna, per discutere di terrorismo internazionale,
l'immigrazione, la lotta alla criminalità organizzata e al traffico di
droga. A fare gli onori di casa sarà il ministro Giuliano Amato, che
accoglierà i colleghi (con relative delegazioni) di Germania, Spagna,
Francia, Italia, Polonia e Regno Unito. Così - una volta di più
- Venezia sarà blindata per motivi di sicurezza, anche se il questore
Carlo Morselli promette che si tratterà di "un controllo
soft": i servizi di controllo saranno accentuati e ci saranno occhi
"in borghese" puntati su tutti gli obiettivi potenzialmente
sensibili. Ma - assicura il questore - non ci sarà "nessuna
atmosfera da città blindata": non sono in programma chiusure di
Piazza o campi, né calli intercluse. In cambio, viaggeranno decine e decine
di convogli di motoscafi: i rappresentanti dei governi europei vivranno,
infatti, a San Clemente. Eventuali visite culturali in città saranno
organizzate senza troppa pubblicità. "Saranno attuate tutte le
misure necessarie per fare in modo che l'evento si svolga nel migliore dei
modi", spiega il questore, verranno rinforzati gli organici messi in
campo, i servizi di controllo, anche agli obiettivi sensibili, mentre le
scorte dei servizi segreti seguiranno le autorità presenti.
"Stiamo dando il massimo perché tutto proceda al meglio",
sottolinea Morselli, "senza che la cittadinanza subisca dei
disagi". Ma il contemporaneo massiccio arrivo di autorità di
livello internazionale finirà per incidere anche sul già
difficile rapporto tra residenti e visitatori della città, che il
sindaco Massimo Cacciari considera irrimediabilmente schiacciata
dall'"emergenza turisti", pur continuando ad accogliere a braccia
aperte gli eventi internazionali. Il programma della riunione che si
terrà nell'isola di San Clemente, è articolato in due sessioni:
la prima nel pomeriggio di oggi e l'altra nella mattina di domani, nel corso
della quale interverranno anche il vice presidente della Commissione Europea,
Franco Frattini, ed il responsabile dell'Homeland Security degli Stati Uniti,
Michael Chertoff. La riunione - giunta al suo decimo appuntamento, come
riferisce il Viminale - prevede la presenza di Germania, Spagna, Francia,
Italia, Regno Unito e, dal marzo 2006, anche della Polonia, ed è
finalizzata ad intensificare gli sforzi dei principali Paesi europei allo
scopo di accelerare la ricerca di soluzioni condivise per i lavori comunitari
nelle materie che costituiscono i grandi filoni del dibattito internazionale.
. E il ministro: rotto l'accordo Sulla liberalizzazione dei
servizi pubblici locali torna la polemica nella maggioranza. Con Rifondazione
comunista che decide di non votare sulla copertura finanziaria del ddl e il
ministro per gli affari regionali Linda Lanzillotta che lamenta il mancato
rispetto degli impegni. Intanto, sulla delicata questione della sospensione
per la privatizzazione della gestione delle acque, il relatore al ddl Bersani
propone che la moratoria sia spostata da quest'ultimo provvedimento al ddl
Lanzillotta sui servizi locali.Il no di Prc'Oggi (ieri, ndr) i senatori Prc
della commissione bilancio non hanno partecipato al voto su testo del
ddl Lanzillotta sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali', hanno
dichiarato i senatori Raffaele Tecce e Martino Albonetti. La commissione
era chiamata a pronunciarsi sulle coperture finanziarie del testo e degli
emendamenti. Il motivo dell'assenza dal voto del Prc è 'il mancato
accordo con il ministro su un punto essenziale del ddl, ossia la
possibilità reale per i comuni di scegliere alternativamente la gara o
la gestione diretta. Le soluzioni prefigurate dal ministro, gestione in economia
e azienda speciale, non sono infatti compatibili con l'attuale situazione
finanziaria degli enti locali e dunque sono sostanzialmente non attuabili. Le
direttive Ue mettono gara e gestione diretta sullo stesso piano,
mentre il ddl prefigura sostanzialmente un obbligo alla privatizzazione'.La
risposta del ministroSulle liberalizzazioni dei servizi pubblici locali,
Rifondazione comunista deve rispettare gli impegni, ha ammonito il ministro
Lanzillotta, dopo che Prc ha fatto saltare, con il mancato voto gli accordi
presi lo scorso gennaio. 'La legge sui servizi pubblici locali traduce un
accordo di maggioranza già inserito nel programma dell'Unione', ha
evidenziato il ministro a margine di un convegno di Confartigianato, 'questo
accordo è stato rispettato nella parte che sta a cuore a Rifondazione
e pertanto il disegno di legge non si applica al settore dell'acqua che
avrà una disciplina specifica'. è stato inoltre precisato che
l'accordo 'condurrà alla verifica anche delle procedure di affidamento
in corso e quindi va attuata anche l'altra parte dell'intesa, che è
quella di procedere sulla liberalizzazione di tutto il restante settore
perché altrimenti non c'è parità di trattamento tra i vari
pezzi del programma e tra le varie anime della coalizione'. 'Non è
vero', è stata la pronta risposta del capogruppo al senato di Prc
Giovanni Russo Spena, 'come dichiara la Lanzillotta, che Rifondazione si
è tirata indietro da un accordo sul ddl sulla privatizzazione dei
servizi pubblici per i comuni. L'accordo c'è, su diversi importanti
punti, ma non c'è, e non c'è mai stato, sull'affidamento
obbligatorio ai privati dei servizi. La ministra insiste per lasciare la
possibilità della gestione pubblica dei servizi solo in economia,
cioè solo per i piccoli comuni, mentre noi riteniamo che il pubblico
vada migliorato e rilanciato anche per quegli enti locali più grandi
che scelgono di farlo. Condividiamo le preoccupazioni di tutti coloro che
denunciano vistose irregolarità, illeciti e mancanza di trasparenza
che in alcune città esistono e che vanno combattute. Noi stessi
abbiamo presentato al ddl degli emendamenti sulla trasparenza della gestione.
Sosterremo una proposta forte per il dirigente unico, per assunzioni tramite
concorso e per il netto rafforzamento sui controlli alle amministrazioni'.
Casini preoccupatoL'opposizione di Rifondazione comunista al disegno di legge
Lanzillotta desta preoccupazione nell'Udc, ha detto il leader del partito,
Pier Ferdinando Casini. 'Sul tema della liberalizzazione dei servizi pubblici
si gioca la partita vera', ha dichiarato l'ex presidente della camera, che
poi ha aggiunto: 'Se l'opposizione volesse fare una cosa intelligente
dovrebbe seriamente esaminare la possibilità di votare il ddl'.L'acqua
in altalenaL'emendamento al disegno di legge Bersani sulla moratoria per la
cosiddetta privatizzazione dell'acqua, 'sarà ovviamente esaminato
attentamente', ma 'sarebbe più opportuno' che fosse discusso
nell'ambito del disegno di legge Lanzillotta all'esame del senato. Lo ha sostenuto
il relatore al ddl sulle liberalizzazioni Andrea Lulli (Ulivo).
L'emendamento, un articolo aggiuntivo all'articolo 4, è firmato da
quattro esponenti di maggioranza: Marilde Provera (Prc), Ruggero Ruggeri
(Ulivo), Silvana Mura (Idv) e Ferdinando Pignataro (Pdci. E il relatore
sottolinea come l'esame in commissione sarà portato avanti 'non
in modo scontato'. Dal momento che però il ddl Bersani e quello
Lanzillotta saranno all'esame di palazzo Madama in contemporanea e che la
moratoria sull'acqua 'impatta direttamente' con il provvedimento sui servizi
pubblici locali, 'suggerirò che questa sia la strada'.
Il
Corriere della Sera 10-5-2007 Una ricerca
globale dell’agenzia pubblicitaria BBDO mette in luce i cinque rituali giornalieri
compiuti in tutto il mondo. L’obiettivo è aiutare le aziende a
insediarsi nell’intimità dei consumatori.
I riti
quotidiani transnazionali. Carola Frediani
Forse
voi non lo sapete, ma qualcuno guarda con bramosia quegli insulsi momenti
d’intimità della giornata, in cui vi lavate i denti o sbadigliate
davanti al caffé. I consumatori di tutto il mondo sono infatti accomunati da
alcuni quotidiani riti di passaggio, situazioni ripetitive ma simboliche che
stanno per diventare la nuova terra di frontiera (e di conquista) delle
imprese. Lo sostiene uno studio globale realizzato dall’agenzia di
pubblicità BBDO con l’obiettivo di offrire ai responsabili del
marketing la conoscenza dettagliata dei comportamenti giornalieri dei
potenziali clienti.
CINQUE RITI –
Lo studio – di cui
riferisce oggi Business Week – non vuole individuare tanto le
abitudini, troppo meccaniche e scarsamente emozionali, quanto i rituali che
scandiscono la giornata e che rinviano evidentemente a comportamenti antichi,
ad «azioni che aiutano a trasformare uno stato emotivo in un altro». La ricerca della BBDO ne ha individuati cinque: «prepararsi per la battaglia» (i riti
del mattino); «banchettare» (riconnettersi con la tribù e mangiare);
«agghindarsi» (farsi belli); «tornare al villaggio» (uscire dal lavoro); e
infine «proteggersi per il futuro« (i riti serali prima di dormire). Si
tratta di scansioni del ritmo quotidiano presenti in tutte le culture, ma
vissute diversamente a seconda del Paese. L’analisi – che ha coinvolto 5 mila
persone in 21 Stati – si è dunque soffermata sulle declinazioni
nazionali di questi riti, col risultato di abbozzare un ritratto globale di
quelle piccole, intime preferenze che, fino ad oggi, rimanevano nascoste tra
le mura domestiche o all’interno dei circoli familiari.
USI
QUOTIDIANI DAL MONDO –
Scopriamo così che il 41 per cento dei Cinesi intervistati programma
la propria attività sessuale, mentre lo fa solo il 3 per cento dei
Russi. O che quei viveur dei Brasiliani amano leggere nella vasca da bagno
(44 per cento), diversamente dai Sauditi (solo 10 per cento). I quali, in
compenso, meditano o pregano in massa prima di andare a lavorare (80 per
cento): attività che in Germania viene svolta solo dal 3 per cento
degli intervistati. Per quanto riguarda invece la propensione a controllare
la e-mail di mattina, prima di andare al lavoro, gli Indiani sembrano essere
più fissati di Statunitensi o Canadesi. Mentre non tutti sapranno che
le donne colombiane, brasiliane e giapponesi tendono maggiormente a truccarsi
in macchina. Minuzie di vissuto quotidiano che fanno sorridere, ma da cui le
aziende possono trarre preziose indicazioni di rotta. Perché se i Polacchi,
come emerge dalla ricerca, tendono a fare la doccia di sera, è bene
che i detergenti a loro indirizzati contengano sostanze rilassanti; mentre
per i Messicani che si lavano di mattina sarà opportuno fare
esattamente l’opposto.
MATTINO E
SERA – Dei cinque
rituali analizzati, quelli di mezza giornata sembrano però risentire
dei ritmi e delle trasformazioni della vita moderna. Il «riconnettersi con la
tribù per mangiare», ad esempio, non è più un’abitudine
così diffusa, mentre i pasti affrettati e nevrotici consumati
quotidianamente sono una ben triste vestigia degli antichi banchetti. Al
contrario, i riti del mattino e della sera sono più marcati e
più facili da utilizzare ai fini della ricerca. Nella fase di
«preparazione per la battaglia» infatti sono svolte in media 7
attività, dal lavarsi i denti al fare colazione fino appunto a
controllare la posta elettronica. La sera invece, durante la «preservazione
per il futuro», si mette a posto l’armatura e si chiude la tana: ciò
significa spalmarsi la crema anti-rughe, preparare i vestiti per l’indomani,
chiudere serrature. «Se ci fosse un modo per essere in casa mentre le persone
iniziano a serrare porte e finestre – ha commentato il presidente di BBDO
Andrei Robertson, che ha un passato da assicuratore – si venderebbero un
sacco di polizze». Sempre che non si riceva una pallottola in fronte.
Scardinare certi riti può essere ancora pericoloso.
INDICE 10-5-2007
L’Unione Sarda 10-5-2007 La
Corte costituzionale giudica "illegittima" la riduzione del 10%
prevista in Finanziaria 2
Italia Oggi 10-5-2007 Gli staterelli della cuccagna.Franco Bechis. 3
L’Unità 10-5-2007 A ciascuno il suo indulto Marco Travaglio 3
La Stampa 10-5-2007 Pensioni,
Padoa-Schioppa: "Vera riforma o resta scalone" 4
Il Corriere della sera 10-5-2007 Occupazione Sorbona: studenti contro
Sarko Appello ai lavoratori: «Unitevi a noi» Alessandra Coppola 5
La Repubblica 10-5-2007 E la sinistra di Mussi lancia la "Festa
d'Aprile" GOFFREDO DE MARCHIS 6
Europa 10-5-2007 Le due piazze del 12 maggio e la Rai: monitoriamo
eventuali faziosità di regime FEDERICO ORLANDO RISPONDE 6
Il ministro annuncia le misure per ridurre gli assessori e le
indennità degli amministratori locali. Andranno nel Dpef o in un
disegno di legge ad hoc Santagata:
ecco il piano del governo. Ma sul Parlamento decidono i partiti Sfoltiremo le
7.535 società controllate dagli enti locali. Ma su deputati e senatori
non abbiamo alcun potere Noi abbiamo già ridotto le indennità
dei ministri e portato da 600
a 345 i comitati dei vari dicasteri Allora ministro
Santagata, è arrivato il momento di cominciare a tagliare i costi
della politica? Anche per voi deputati, e per voi ministri, è
l'ora dei tagli? "A dire la verità noi abbiamo già
cominciato. Ma l'unica che se n'è accorta è mia moglie".
In che senso? "Nel senso che ha visto con i suoi occhi il taglio netto
che ha avuto il mio compenso da ministro: 18 mila euro l'anno in meno. La mia
indennità di ministro è scesa a 2500 euro". Poi ci sarebbe
l'indennità parlamentare, visto che lei è anche deputato.
"E sono altri 12 mila euro". Fanno 14.500 euro. In Francia il
presidente della Repubblica ha un assegno mensile di 6700 euro... "Chiariamo
subito un punto. Il governo non ha alcun titolo per intervenire sulle spese
degli altri organi costituzionali. Se lo facessimo, invaderemmo la loro sfera
di competenza". Quindi non è su questo fronte che pensate di
ridurre i costi della politica? "Ripeto: non abbiamo
titolo per farlo. Se vuole però posso dirle la mia opinione. Io penso
che l'indennità parlamentare non sia troppo alta, ma troppo
bassa". Prego? "Parlo dell'indennità vera e propria, che
è di 4750 euro. Quello che non va bene, secondo me, è tutto il
resto, quelle prebende varie che permettono di arrivare a 12 mila euro. Io
non dico "tagliamole". Però penso che sarebbe ora di
renderle trasparenti e razionali. Abolendo le forfettizzazioni e rimborsando
ai parlamentari, entro un certo tetto, le spese effettivamente sostenute per
l'attività di collegio, gli assistenti, l'affitto dell'ufficio
eccetera. Rimborsi trasparenti a piè di lista, a fronte di ricevute e
fatture". E sulle pensioni d'oro dei parlamentari, cosa pensa che
andrebbe fatto? "Io introdurrei il contributivo anche per noi
parlamentari. La Camera versa i contributi all'istituto di previdenza del
deputato. Se lui non ne ha uno, li versa a un'assicurazione. Così si
chiude il capitolo dei vitalizi agli ex parlamentari". Ottimo: pensate
di proporlo subito? "Allora non mi sono spiegato. Questa è la mia
opinione personale, di parlamentare. Come ministro non ho titolo per
intervenire". Eppure il settimo punto del dodecalogo prodiano era
proprio il taglio dei costi della politica. "E infatti noi
stiamo lavorando su questo fronte. Capisco che gli stipendi dei parlamentari
siano una cosa che colpisce l'opinione pubblica, ma questa è solo la
punta dell'iceberg". E di che cosa è fatto, l'iceberg? "Di
uno spaventoso aumento dei numeri del personale politico. Non si riesce
più a tenerne il conto". Da dove cominciamo? "Prendiamo le
comunità montane. Non nego che abbiano un ruolo. Ma quando leggo che
ne fanno parte 4201 comuni, su un totale di 8101, mi risulta
difficile pensare che il 51,8 per cento dei comuni italiani sia in montagna.
Bisogna ridurne il numero, fissando per esempio un'altitudine minima. Magari
dando di più, ma a chi ne ha davvero bisogno". E uno. Capitolo
due? "Le circoscrizioni. Un prezioso strumento di partecipazione
democratica, non discuto. Ma dubito che un comune di 50 mila abitanti abbia
bisogno delle circoscrizioni, come invece accade. Facciamo che restano solo
quelle nelle città sopra i 250 mila abitanti". Mi pare saggio.
Terzo capitolo. "Le società controllate dagli enti locali. Sa
quante sono? Settemilacinquecentotrentacinque. E ognuna ha il suo presidente,
i suoi consiglieri, i suoi amministratori, il suo personale. Ci sono comuni
che ne hanno 30, dalla promozione del turismo alla gestione delle aree. Non
parlo delle municipalizzate che gestiscono i trasporti o i rifiuti, ma di
tutto il resto". Che sarebbe? "Un mare magnum. Le faccio un solo
esempio: le authority sui trasporti. Sarebbe una competenza delle province,
basterebbe un assessorato ai trasporti. E invece si crea un'authority, con il
suo presidente, i suoi consiglieri, le sue auto blu, il suo organico. Ma
è un doppione. O si aboliscono i doppioni, o si aboliscono le
province, che a questo punto non si capisce cosa ci stiano a fare".
Ecco, e se lo abolissimo davvero, un ente barzotto come le Province?
"Risparmieremmo un fracco di soldi, ma mi pare che la tendenza sia nella
direzione opposta. E siccome io sono un riformista e non un rivoluzionario,
lavoro affinché le Province si riprendano i compiti dei quali si sono spogliate".
Rimangono le società comunali. Sono il frutto delle liberalizzazioni e
delle privatizzazioni, o no? "Benissimo, ma allora non si capisce perché
debbano essere al 100 per cento a capitale pubblico. A me viene il dubbio che
siano solo delle scatole che servono a generare posizioni di potere.
Stabiliamo che debbano essere obbligatoriamente a capitale misto, pubblico e
privato, e vediamo quante sopravvivono". Ma le Regioni, le Province e i
Comuni possono dirle: scusi, ma sono affari nostri, non volevate il
decentramento, non parlavate di federalismo? "Questo è il
problema. Dobbiamo trovare lo spazio politico per spingere gli enti locali a
cambiare rotta. C'è un gruppo di lavoro tecnico-giuridico, a Palazzo
Chigi, che sta lavorando proprio su questo". Mi dica qualcosa di
concreto che avete già fatto, per tagliare i costi della politica.
"Intanto abbiamo fatto un po' di pulizia in casa nostra. Quando siamo
arrivati abbiamo trovato 600 comitati ministeriali. Ogni governo ne creava di
nuovi, ma non chiudeva mai quelli vecchi. Noi li abbiamo ridotti a 345.
Stabilendo la regola che durano al massimo tre anni. E' un risparmio di 20
milioni di euro". E cos'altro avete in cantiere, visto che non potete
fare i conti in tasca agli onorevoli? "Tante cose, dalla riduzione del
numero degli assessori all'abolizione dell'indennità di missione per
gli amministratori locali. Le metteremo nel Dpef, e finiranno nella
Finanziaria. Sempre che non decidiamo di accorparle in un disegno di legge
sui costi della politica". Quello che avevate inserito
nell'ultima Finanziaria è stato cancellato all'ultimo momento dai
partiti. Cosa la spinge a essere ottimista sul prossimo round? "Il fatto
che non metteremo in campo delle misure sparse, ma un progetto serio, magari
partendo da un libro bianco. Il governo farà la sua parte, mettendo la
questione sul tavolo. Poi toccherà ai partiti, prendersi le loro
responsabilità e decidere se vogliono rischiare di essere travolti
dall'ondata di anti-politica o se cogliere questa occasione per fare
un'operazione di buona politica".
Nessun taglio alle indennità dei politici La Corte
costituzionale giudica "illegittima" la riduzione del 10% prevista
in Finanziaria La Consulta salva gli stipendi di sindaci e consiglieri
regionali --> La Consulta salva gli stipendi di sindaci e consiglieri
regionali È illegittimo il taglio del 10 per cento previsto dalla
Finanziaria 2006 delle indennità corrisposte agli esponenti degli
organi politici regionali. Lo ha stabilito la Corte costituzionale,
considerando fondata la questione sollevata dalla Regione Campania che aveva
presentato ricorso contestando l' articolo 1, comma 54, della legge 23
dicembre numero 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato - legge Finanziaria 2006). La norma prevede che
"per esigenze di coordinamento della finanza pubblica" sono ridotti
del "10 per cento le indennità di funzione spettanti ai sindaci,
ai presidenti delle province e delle regioni, delle comunità montane,
ai presidenti dei consigli circoscrizionali comunali, provinciali e
regionali, ai componenti degli organi esecutivi e degli uffici di presidenza
dei consigli dei citati enti". La consultaLa legge statale
può prescrivere criteri e obiettivi, come ad esempio il contenimento
della spesa pubblica - afferma la Consulta (sentenza numero 157, redattore
Sabino Cassese) "ma non imporre alle Regioni minutamente gli strumenti
concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi". Ciò si
risolve in una "indebita invasione dell'area riservata dall'articolo 119
della Costituzione alle autonomie regionali". Il comma 54, osservano i
giudici costituzionali, fissando una riduzione delle indennità per i
titolari degli organi politici regionali "pone un precetto specifico e
puntuale, comprimendo l'autonomia finanziaria regionale ed eccedendo
dall'ambito dei poteri statali in materia di coordinamento della finanza
pubblica". La Regione Campania aveva lamentato la lesione "sia della
propria autonomia finanziaria sia di quella degli organi politici
regionali" e aveva osservato che la violazione dell'autonomia
finanziaria incide addirittura sull'autonomia degli organi regionali"
ponendosi come strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato
nell'esercizio delle funzioni degli stessi". L'ex governoNel giudizio si
era costituito il presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso fosse
dichiarato inammissibile. La difesa erariale aveva fatto notare che la
Finanziaria prevedeva la riduzione delle indennità mensili ai
parlamentari, ai sottosegretari, per le consulenze, ai componenti degli
organi di autogoverno della Magistratura, ai componenti della giustizia amministrativa
della Regione siciliana e ai componenti del Consiglio nazionale dell'economia
e del lavoro. 10/05/2007 La Corte costituzionale ha giudicato illegittimo il
taglio del 10% delle indennità corrisposte ai politici di Province,
Comuni e Regioni. 10/05/2007.
Un miliardo ai consiglieri regionali. Nel Lazio quelli
più costosi Con soli 306.700 euro all'anno si può conquistare il
cuore di un consigliere regionale del Lazio; Poco meno e se ne paga uno in
Calabria, tutto incluso ovviamente: indennità, straordinari, missioni,
viaggi ecc. Fare il politico negli staterelli italiani, figurarsi il
governatore, è diventato uno degli impieghi più pagati in
Italia. Non proprio in tutta Italia, perché in Valle d'Aosta ci si deve
accontentare di 138 mila euro: sono i politici-operai della penisola. Ma
ormai siamo a livello di top manager, superando perfino i contestatissimi
emolumenti dei deputati e dei senatori. Nel 2007 si spenderà 1
miliardo di euro per pagare i consigli regionali. Lo rivela un'inchiesta di
ItaliaOggi (...) Tutti i particolari su come si può spendere con
fantasia il denaro pubblico si possono leggere alle pagine 4 e 5 grazie alla
minuziosa inchiesta di Stefano Sansonetti. Stipendi super, ma anche cuore
generoso dei consiglieri regionali disposti (eclatante il caso del Lazio) a
dividere con i propri cari o simpatizzanti tanto benessere. Esultano i
portieri di palazzo in Campania, così cari a Sandra Lonardo in
Mastella (presidente del Consiglio regionale) e alle truppe di Antonio
Bassolino (ivi governatore). Si tengono svegli a forza di litri di
caffè i dipendenti del consiglio regionale del Friuli venezia Giulia,
guarda caso guidato da Riccardo Illy. è una delle regioni al top nelle
spese per il servizio di caffetteria. Carissime le divise dei dipendenti del
consiglio regionale della Sicilia. Evidentemente Gianfranco Miccichè
(presidente del consiglio regionale isolano), dopo una vita votata al casual,
ora ci tiene al look e alla forma dei suoi collaboratori e non bada a spese
per assicurarlo. Ci sono nostalgici come Claudio Burlando, presidente della
giunta regionale ligure, che stanziano centinaia di migliaia di euro per difendere
i ”valori della Resistenza” (e chissà come...).
Possiamo citarne all'infinito, ma non discuterne. E tanto meno appellarci al
solito Romano Prodi per averne in cambio la decima promessa di moralizzazione
della vita pubblica e di taglio dei costi della politica. Non si può.
Anzi, è vietato. Vietatissimo. Lo ha stabilito proprio ieri la Corte
Costituzionale che ha bocciato la norma della finanziaria 2006 che aveva
stabilito una riduzione del dieci per cento delle indennità dei
consiglieri regionali. Per una volta che ne avevano decisa una buona,
è già nel cestino: spetta alle Regioni scegliere quel voto di
castità, che non si può imporre dall'alto. Figurarsi se a
qualcuno verrà in mente di farlo. Già si sente una vocina:
prima diano il buon esempio deputati e senatori. Quelli che si sono tagliati
del dieci per cento stipendi aumentati la notte prima della stessa misura. E
che ora appoggiano le richieste salariali dei magistrati cui i loro stipendi
sono automaticamente agganciati..
L’Unità
10-5-2007 A
ciascuno il suo indulto Marco Travaglio
Ora che la Polizia segnala 1.952 rapine e 28.830 furti in
più nei primi tre mesi di indulto, forse lorsignori la smetteranno di
raccontare frottole. Ne abbiamo lette tante sulla legge di un anno fa che ha
quasi dimezzato la popolazione carceraria. Un breve promemoria non
guasterà, per difenderci in futuro da simili manipolazioni
politico-mediatiche. La prima balla uscì alla vigilia del voto
parlamentare: il ministro Mastella e un paio di sagaci sottosegretari diedero
le stime di quanti detenuti sarebbero usciti abbuonando 3 anni ai condannati
per reati commessi fino al 2 maggio 2006: "15 mila", non uno di
più. Così chi, come D'Ambrosio, proponeva un abbuono di 1 o 2
anni fu zittito: per liberare 15 mila posti cella lo sconto doveva per forza
essere di 3 anni (proprio quel che occorreva a Previti per uscire dai
domiciliari). Ora si scopre che in 9 mesi sono usciti 26.201 condannati,
più circa 10 mila imputati in custodia cautelare (senza contare le
decine di migliaia che in carcere non sono più entrati): oltre il 100%
in più di quelli preventivati. Il preventivo, insomma, era falso: con
quello vero, il Parlamento avrebbe potuto limitare l'indulto a 1-2 anni,
evitando di scarcerare tanti condannati a pene fino a 6 anni. Tra cui un
certo onorevole. Altra bufala, la più spettacolare: quella sui
recidivi, cioè sugli indultati rientrati in carcere. Prima erano
"solo l'1%", poi "solo il 2%", poi "solo il
3%". Ora sono "solo il 12%" e chissà quanti tra un
mese. Ma comunque è un calcolo che non sta in piedi. Intanto perché va
fatto sul lungo periodo, non dopo pochi mesi: chi esce di galera senza
alternative se non tornare alla vecchia professione, ha bisogno di tempo per
riorganizzarsi. E poi l'attuale 12% non corrisponde al totale dei recidivi,
ma ai recidivi che sono stati scoperti. Visto che il 90% dei delitti
rimangono impuniti, quel 12 andrebbe moltiplicato, se non per 9, per una
cifra molto vicina. In ogni caso, anche se per miracolo tutti i recidivi,
nessuno escluso, fossero stati assicurati alla giustizia, l'avverbio
"solo" suonerebbe lievemente stonato, soprattutto se si vuole come
ci raccomanda il Quirinale, rispettare le vittime. Perché il 12% dei 26 mila
indultati corrisponde a 3144 malfattori che, grazie all'indulto, hanno potuto
tornare a delinquere, facendo almeno 3144 nuove vittime che senza indulto non
sarebbero tali. Insigni esperti di nonsisachè ci spiegano poi che la
recidiva post-indulto è infinitamente più bassa di quella dei
detenuti scarcerati a fine pena: "solo il 12% contro il 60-70".
Dunque l'indulto è molto meglio del carcere: fa diventare tutti
più buoni. Da semplice eccezione, l'indulto potrebbe diventare regola.
Tre anni di sconto a tutti i colpevoli per sempre: saldi di fine stagione. Il
motto è già pronto: "sentenze virtuali, condannati
(pardon, condonati) virtuosi. Purtroppo l'altroieri il ministero dell'Interno
(che fa parte dello stesso governo del ministro della Giustizia) pubblicava i
dati sugli aumenti dei delitti tra agosto e ottobre 2006, primi tre mesi di
applicazione dell'indulto: mentre Mastella annunciava che "i reati sono
in lieve ma costante diminuzione" (arrivò persino a dire che
"Milano ha più omicidi di Napoli"), i reati come furto e rapina
non facevano che aumentare, mentre fino al giorno dell'indulto erano in
discesa. "Fino al mese di luglio si legge nel rapporto del Viminale
i reati presentavano una leggera flessione: tra gennaio e luglio 2006 c'era
stata una diminuzione di 1.048 rapine e di 23.323 furti rispetto allo stesso
periodo del 2005". Poi, il 31 luglio, arrivò l'indulto. E si fece
subito sentire: con un "tendenziale incremento dei reati predatori,
quelli che più negativamente condizionano la percezione di sicurezza
dei cittadini". Due mesi fa sul Foglio Sofri, beneficiario dell'indulto,
sbeffeggiava chi scrive e Curzio Maltese per aver osato sostenere che le
carceri si stanno riempiendo come prima. Ora lo sostiene anche il Dap: siamo
di nuovo ai limiti dei posti cella (42.702 detenuti su 43.500 posti), e il dato
aumenterà ancora perchè gli uscenti sono meno degli entranti.
Forse perchè in Italia il problema non sono i troppi detenuti. Sono i
troppi delinquenti. Uliwood party.
Parte male il
tavolo su pensioni e welfare. Il ministro gela i sindacati e la sinistra
radicale insorge
ROMA
Il confronto sulle pensioni parte male. Il tavolo di concertazione tra
Governo e parti sociali, che si è aperto a Palazzo Chigi, ha
evidenziato la frattura tra la sinistra radicale e il ministro dell’Economia,
Tommaso Padoa-Schioppa, sui temi più caldi: scalone e coefficienti. Ma
ha anche confermato le distanze tra esecutivo e sindacati, che hanno chiesto
di rivedere i parametri con cui viene calcolata la spesa previdenziale e
ribadito che i 2,5 miliardi di euro (una quota del tesoretto) messi a
disposizione dal ministro dell’Economia per i vari capitoli della concertazione
«sono insufficienti».
Neanche le aperture sui coefficienti del ministro del Lavoro, Cesare Damiano,
hanno soddisfatto in pieno Cgil, Cisl e Uil. Se infatti Damiano ha lasciato
una porticina aperta su questo argomento, ci ha pensato Padoa-Schioppa a
chiuderla immediatamente a chiave, avvertendo che senza un accordo entro
giugno scatta l’applicazione dello scalone e dei nuovi coefficienti previsti
dalle riforme Maroni e Dini.
Parole, quelle del ministro dell’Economia, che hanno provocato la reazione
della sinistra. «Le dichiarazioni di Padoa-Schioppa - ha commentato il
capogruppo alla Camera di Rifondazione comunista, Gennaro Migliore - non
rappresentano nè la posizione dell’Unione nè possono
rappresentare la posizione del Governo». Dino Tibaldi (Pdci), componente
della commissione Lavoro del Senato, ha invece osservato che continuare a
insistere sull`esigenza di aumentare l`età pensionabile e di rivedere
i coefficienti «è una scelta di politica economica scellerata».Manuela
Palermi, capogruppo a Palazzo Madama del gruppo Verdi-Pdci, ha inoltre
invitato «alcuni ministri a regolare meglio il rapporto con la propria
maggioranza» ribadendo il no allo ’scalonè e ai coefficienti.
L’esecutivo vorrebbe chiudere il confronto prima della presentazione del
Documento di programmazione economica e finanziaria. Per il momento,
però, appare complicato trovare una sintesi sia all’interno del
Governo che tra l’esecutivo e i sindacati. «Prima di dire al sindacato cosa
fare - ha dichiarato il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, rivolgendosi a
Padoa-Schioppa - dico al ministro di chiedere al Governo se riesce a
presentarsi con una sola voce al confronto. Noi siamo nella condizione di
farlo, lo faccia anche il Governo». La Cisl si è detta pronta a
discutere dello scalone, di come superarlo e di come aumentare gradualmente
l’età solo su base volontaria. E ha confermato il no a una revisione
dei coefficienti secondo i parametri definiti dalla legge Dini. Il
’congelamentò dei coefficienti ha soddisfatto solo in parte anche il
segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, che ha ribadito come su
questo tema il sindacato sia unito a differenza di quanto accade
nell’esecutivo.
Il
Corriere della sera 10-5-2007 Occupazione
Sorbona: studenti contro Sarko Appello ai lavoratori: «Unitevi a noi» Alessandra
Coppola
Lo sciopero
approvato da 800 universitari. Il principale sindacato si dissocia
DAL
NOSTRO INVIATO
PARIGI — Non ha fatto ancora in tempo a insediarsi Nicolas Sarkozy e
già deve affrontare la prima occupazione della sua presidenza.
Un'assemblea di 800 studenti della Sorbona ha votato ieri lo sciopero e la
chiusura della sede di Tolbiac, nel Sud-Est di Parigi. Appello ai lavoratori:
«Unitevi a noi. Mettiamo insieme le forze per combattere la politica
liberale, autoritaria e razzista» della destra. Per il nuovo inquilino
dell'Eliseo si annunciano cinque anni difficili. Vero che Tolbiac è
roccaforte degli studenti della sinistra più dura e arrabbiata, che
viene scelta spesso per le occupazioni perché è una sorta di torre
facile da bloccare: l'unico accesso alle aule è attraverso gli
ascensori, chiusi quelli non sale più nessuno. E vero anche che il
principale sindacato degli studenti, l'Unef, si è dissociato: «Troppo
presto — ha detto il presidente Bruno Julliard — manifestazioni con l'unico
scopo di contestare la vittoria dell'Ump rischiano di essere
controproducenti».
Ma non vanno sottovalutate. Innanzi tutto perché
contro le misure per l'università disegnate nel programma di Sarkozy
già si erano espressi in campagna elettorale molti rappresentanti
degli studenti, di varia provenienza. E potrebbe ricompattarsi tutto il
fronte anti-Cpe (il contratto primo impiego) che aveva segnato la sconfitta
l'anno scorso del governo Villepin (con l'uscita di scena del premier dalla
corsa all'Eliseo) e aveva costretto all'intervento lo stesso Chirac, con il
risultato di una sostanziale abolizione della misura. L'idea contestata del
nuovo presidente è quella di fare per l'insegnamento superiore «uno
sforzo complessivo di 15 miliardi di euro in cinque anni», ma accordando
«un'autonomia reale alle università». E qui che si appunta la critica
degli studenti: all'«autonomia» e al modo in cui Sarkozy la disegna.
Il leader della destra ha in sostanza l'idea di liberalizzare
il sistema. Si prefigge di «rinnovare la governance » degli
Istituti, e propone tra l'altro «un consiglio di amministrazione più
solido e aperto al mondo esterno, un presidente eletto per quattro anni con
poteri rafforzati». Una sorta di supermanager, sembrerebbe. Da cui la
risposta-slogan degli studenti dell'Unsa, tra gli altri: «No, Signor Sarkozy,
le università non sono imprese!». A questi movimenti si salda la
preoccupazione delle periferie. Sugli incidenti tra domenica e lunedì
il ministero degli Interni ha minimizzato, ma la sensazione è che il
migliaio di auto bruciate nelle banlieue, più gli scontri in molte
città (per lo più grandi centri universitari), più
l'occupazione di ieri, insieme ai mugugni che già si avvertono dal
mondo sindacale, siano sì episodi isolati, ma anche possibili assaggi
di qualcosa che verrà.
10 maggio 2007
IL RETROSCENA Farà concorrenza a quella dell'Unità
. Primi appuntamenti a Orvieto e Livorno il mese prossimo Ds già al lavoro
per la kermesse nazionale che quest'anno torna a Bologna ROMA -
Nascerà a giugno ma si chiamerà Festa d'Aprile. Sarà la
kermesse di Sinistra democratica, la costola dei diessini anti-Partito
democratico guidata da Mussi e Angius. Aprile come il giornale on line
dell'ormai ex correntone della Quercia. Ma anche, simbolicamente, "Festa
d'Aprile" come una celebre canzone della Resistenza scritta dal
partigiano Franco Antonicelli. "Forza che è giunta l'ora, infuria
la battaglia per conquistare la pace, per liberare l'Italia; scendiamo
giù dai monti a colpi di fucile; evviva i partigiani! è festa
d'Aprile", recita il ritornello. Il mese prossimo i primi due
appuntamenti: ad Orvieto e a Livorno, la città della prima grande
scissione della sinistra italiana. Saranno manifestazioni organizzate a
livello locale. In queste ore invece il gruppo dirigente pensa al grande
momento d'incontro nazionale da celebrare dopo l'estate. In concorrenza con
la festa dell'Unità. La tradizionale iniziativa che fu del Pci e ora
è dei Ds non scompare, anche se il Pd è alle porte. Il
tesoriere del Botteghino Ugo Sposetti lo ripetuto in tutte le salse, anche
nel modo brusco che gli è congeniale. "La festa non si tocca.
è un marchio che funziona da decenni. è come la Nutella, guai a
chi la mette in discussione". A Via Nazionale, la sede della Quercia,
sono già partite le riunioni tecniche per preparare il terreno a un
appuntamento che giocoforza non potrà essere lo stesso di sempre.
Dovrà tenere insieme la passione dei militanti di sinistra per un
appuntamento identitario e il futuro che corre verso il Pd. Ed è
proprio questo che preoccupa i Ds. La fase di transizione rischia infatti di
appannare il significato della festa, di raffreddare il calore della gente
diessina e dunque di ridurre in parte il prezioso contributo dei volontari.
Volontari, per meglio dire, indispensabili. Per il successo della festa, che
però non è solo d'immagine, ma rappresenta una fonte di
finanziamento consistente per i Ds. Questa festa in mezzo al guado (la kermesse
nazionale torna a Bologna dopo aver girato un po' l'Italia, nel capoluogo
emiliano gli incassi sono più garantiti) dunque va studiata per bene.
Nelle difficoltà diessine cercano di infilarsi i transfughi. La festa
d'Aprile, per loro vuole dire anche un lancio in grande stile del movimento
Sinistra democratica, la possibilità di farsi conoscere e un luogo,
più luoghi, dove raccogliere adesioni e fondi. I soldi sono il primo
scoglio. Con la costituzione dei gruppi parlamentari (la prossima settimana
verranno eletti i presidenti) la nuova forza potrà contare su un fido
di 600 mila euro solo per la Camera. Cioè la cifra che deriva dai
contributi ai singoli parlamentari (in tutto saranno 24) durante l'anno. Poi
ovviamente vanno reperiti altri finanziamenti. E i tra i primi impegni di Sd
c'è la ricerca di un tesoriere. Ma oltre ai problemi
tecnico-organizzativi, Sinistra democratica è alle prese con il primo
braccio di ferro della sua storia, quello sul capogruppo della Camera. Al
Senato è certa l'investitura di Cesare Salvi, dissidente che da tempo
guarda a sinistra, in particolare a Rifondazione. A Montecitorio, per
mantenere l'equivicinanza con i socialisti, l'ex Psi Valdo Spini è
deciso a giocare fino in fondo le sue chance. Sul nome di Spini però
si è aperta una lotta intestina. Molti giurano che con il voto segreto
quel nome non passerebbe mai. Le donne di Sd, che sono molte, chiedono un
segnale di rinnovamento e una compagna alla presidenza del gruppo. I nomi
sono quelli di Fulvia Bandoli o Katia Zanotti. Spini però è
stato netto: se non fa il capogruppo lascia Sinistra democratica. E apre una
questione politica dentro il neonato movimento che punta a un dialogo aperto
a tutto campo con le forze di sinistra.
Cara Europa, martedì sera a Ballarò, in una
interessante trasmissione sui problemi delle famiglie, c’è stato chi, come
Formigoni o la segretaria dell’Ugl (sindacato di destra) ha parlato anche di
piazza San Giovanni. Non altrettanto – a meno di mia distrazione – si
è fatto per ricordare che nello stesso giorno c’è anche l’altra
manifestazione a piazza Navona, come il vostro giornale ricorda da giorni.
Con quali intenzioni la Rai si avvia al sabato dello scontro?
Vito Dell’Eramo, Napoli
Premetto, caro Dell’Eramo, che non ci sarà nessuno
scontro. In entrambe le piazze il tema è quello della famiglia e dei
suoi diritti: a San Giovanni i cattolici parleranno in nome della famiglia
tradizionale (nella quale più o meno tutti siamo nati e che poi
abbiamo riprodotto a nostra volta); a piazza Navona i laici – tra cui chi le
scrive – difenderanno egualmente le ragioni della famiglia, ma come essa
è oggi, col divorzio non più riservato solo ai graziati della
Sacra Rota, con la possibilità per gli ex coniugi di risposarsi, col
nuovo diritto di famiglia che mette uomini e donne sullo stesso piano
giuridico, con l’aborto legale che sottrae mogli, compagne, conviventi
all’infamia delle mammane e alla rapina dei medici “cucchiai d’oro”, tutti
sottoscala e devozione. Non dunque, famiglia da una parte e sfasciafamiglia
dall’altra, ma due modi diversi, quello codificato negli ultimi nei secoli e
quello dinamico nella storia, d’intendere e realizzare la coppia e la
generazione. Donde, quanto meno, la pari dignità concettuale delle due
posizioni, anche se la delicatezza del problema, caricato della
passionalità indotta dal tardivo revanchismo clericale e dalla non
meditata reazione anticlericale, avrebbe dovuto consigliare più
prudenza ai governanti. Per esempio, se i Dico per i conviventi fossero stati
discussi non prima ma insieme a sostanziosi provvedimenti che la famiglia
(ogni famiglia) attende da sempre, non sarebbe sorta la questione delle
piazze; e la Conferenza della Famiglia indetta a Firenze dall’amica Rosy
Bindi non si vedrebbe oggi costretta a evitare inviti alle famiglie di fatto
o alle coppie omosessuali. Quanto alla Rai, la “diretta” da piazza San
Giovanni, senza escludere ovviamente piazza Navona, è stata chiesta in
commissione parlamentare di vigilanza da un deputato di centrosinistra, l’on.
Giulietti, in nome dell’articolo 21 della Costituzione (libertà di manifestare
il proprio pensiero). È appena il caso di ricordare che quando, un
mese fa, i gay chiesero la diretta per la loro manifestazione pro-Dico
(sempre un po’ goliardica, per non dire carnevalesca), Viale Mazzini pretese
che nello studio di Rai Tre fosse assicurata la presenza teocon, Buttiglione
in testa, per garantire il pluralismo delle voci. Fece bene, e altrettanto
deve fare stavolta: garantendo la diretta dalle due piazze e la presenza di
opinioni plurali negli studi che le commenteranno. Dipende anche da noi utenti
e contribuenti.
Per esempio, se la censura a danno delle famiglie laiche fosse confermata,
potremmo portare a piazza Navona vecchi televisori in disuso e farne un rogo.
Dopo tanti roghi (di libri e non solo) contro la libertà, potremmo
farne uno (di media) per la libertà. E per le nostre cantine da
svuotare.
INDICE 9-5-2007
+ La
Repubblica 9-5-2007 Il Papa:"La Chiesa non fa politica. Giusta la
scomunica per l'aborto" 1
+ La Stampa 9-5-2007 Pensioni, Padoa-Schioppa: "Senza accordo
resta scalone" 2
+ Il Corriere della Sera 9-5-2007 Monito del presidente Napolitano: «Se
viene buttato via la pagheremo cara. Scandalosa la mancata ratifica della Gb»
«Dalla Francia contributo positivo per uscire dall'impasse» 3
Europa 9-5-2007 Perché dopo dodici anni la destra in Francia cambia e
in Italia no? FEDERICO ORLANDO
RISPONDE 3
L’Unità 9-5-2007 Sarkoqui, Sarkolà. Marco Travaglio 4
Il Riformista 9-5-2007 INDIGNAZIONI Prodi, Telecom e il mercato aperto 4
La Repubblica 8-5-2007 Perugia, per corruzione in atti giudiziari
arrestati 2 magistrati e 2 costruttori. Colpiti da ordinanze di custodia
(insieme ai due imprenditori) il sostituto procuratore generale della
Cassazione, Vincenzo Maccarone, e un consigliere di Stato 5
Il Sole 24 Ore 9-5-2007"Il Governo regolatore forte, non
intrusore" Mario Margiocco 5
Il Corriere della Sera 9-5-2007 Se la rivoluzione arriva anche in
Italia La scoperta di merito e concorrenza. Danilo Taino 6
La Stampa 8-5-2007 Indulto, dopo 9 mesi il 12% è tornato in
cella. La Regione con il primato del maggior numero di scarcerati grazie
all’indulto è la Lombardia 7
Italia Oggi 9-5-2007 Ai politici 200 milioni in più Finita in
nulla la promessa di Prodi di ridurre i costi del sistema. di Franco Bechis 8
"La
Chiesa come tale non fa politica, rispettiamo la laicità, ma la Chiesa
indica le condizioni in cui i problemi sociali possono maturare". Lo ha detto
il Papa sull'aereo che lo sta portando in Brasile, aggiungendo che quella
della Chiesa "è una missione religiosa, ma apre a soluzione dei
grandi problemi sociali".
Benedetto XVI è partito questa mattina per San Paolo: si tratta del
sesto viaggio internazionale del Pontefice, che lo porta in Brasile in
occasione della V Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano e dei
Caraibi.
Scomunica per l'aborto. Il Pontefice ha anche toccato il tema della
scomunica che i vescovi del Messico hanno indicato come sanzione per i
politici che hanno approvato la liberalizzazione dell'aborto a Città
del Messico. "Non era una cosa arbitraria: è prevista dal Codice
di diritto canonico. Sta nel diritto - ha detto il Papa - che l'uccisione di
un bimbo è incompatibile con il nutrirsi del corpo di Cristo, i
vescovi non hanno fatto niente di arbitrario e hanno solo messo in luce
ciò che è previsto dal diritto della Chiesa".
Teologia della liberazione. Dall'aereo il Papa ha anche parlato della
teologia della liberazione. Nella Chiesa "c'è spazio per un
dibattito legittimo su come creare le condizioni per la liberazione umana e
su come rendere efficace la dottrina della Chiesa e indicare le condizioni
umane e sociali, le grandi linee in cui i valori possono crescere".
Benedetto XVI ha osservato che "è profondamente cambiata la
situazione" in cui la teologia della liberazione è nata: "E'
evidente che i facili millenarismi che credono di poter realizzare da una
rivoluzione le condizioni per una vita completa, erano sbagliati, questo ora
lo sanno tutti e il punto è come la Chiesa debba essere presente nella
lotta per la giustizia: su questo si dividono teologi e sociologi".
"Preoccupanti le sette pentecostali". La
diffusione delle sette pentecostali in America Latina è "nostra
comune preoccupazione e l'assemblea generale dei vescovi vuole trovare
risposte convincenti per questo, e già si lavora a questo", ha
detto ancora il Papa, aggiungendo che queste formazioni religiose dimostrano
"che c'è sete di Dio, che le persone vogliono essere vicine a Dio
e che cercano un appoggio dal cristianesimo per la soluzione dei loro
problemi di vita".
"Rilanciare il messaggio di Giovanni Paolo II". Sull'aereo
il Papa ha anche ricordato la "grande lotta della Chiesa per la vita, di
cui Giovanni Paolo II ha fatto un punto fondamentale del suo
pontificato" e ha sottolineato che "questo messaggio che la vita
è un dono e non una minaccia, messaggio che sta alla radice di queste
legislazioni" dev'essere rilanciato dalla Chiesa.
Il messaggio di Napolitano. In occasione del suo viaggio, il
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato al Papa un
messaggio nel quale lo ringrazia per la tradizionale comunicazione augurale
indirizzatagli questa mattina dal Pontefice e, sottolineando il processo di
crescita del Brasile e le sue contraddizioni si dice certo che la parola del
Papa, in questo viaggio, "saprà ancora una volta riaffermare i
valori di dignità della persona e di solidarietà posti al
centro della sua alta missione apostolica".
Non fare
l’accordo significherebbe «perdere un’occasione per fare due cose
fondamentali: ammortizzatori sociali e aumento delle pensioni»
ROMA
«I tempi per la chiusra del tavolo sul Welfare sono molto vicini al limite,
che è fine giugno. La conseguenza di un mancato accordo sarebbe
l’applicazione dell’attuale legislazione con lo scalone e la revisione dei
coefficienti». È questo il monito che è giunto dal ministro
dell’Economia e delle finanze, Tommaso Padoa-Schioppa, al tavolo sul Welfare
in corso a Palazzo Chigi.
Non fare l’accordo significherebbe «perdere un’occasione formidabile per fare
due cose fondamentali: ammortizzatori sociali per i giovani e aumento delle
pensioni minime».
La trattativa sul welfare è come un pranzo al ristorante nel quale la
fattura non può eccedere 2,5 miliardi. Il ministro ha fatto l’esempio
del conto del ristorante per il costo degli interventi sul welfare. Se
Governo e parti sociali non faranno l’accordo entro giugno sulla riforma del
sistema previdenziale sarà applicata la legislazione vigente ovvero lo
scalone (il passaggio e la revisione al ribasso dei coefficienti). È
come un menù al ristorante, ha spiegato il ministro, a fianco di ogni
piatto c’è un prezzo. Così avviene per gli interventi. La
fattura del ristorante non può eccedere i 2,5 miliardi.
IL PRESIDENTE DEI DEPUTATI DEL PRC: «NON E' LA POSIZIONE DEL GOVERNO»
«Le dichiarazioni di Padoa Schioppa non rappresentano nè la
posizione dell’Unione nè possono rappresentare la posizione del
governo. È una assurdità cominciare una trattativa con le parti
sociali portando una posizione pericolosa per la stessa coesione del
governo». È quanto afferma Gennaro Migliore, presidente dei deputati
di Rifondazione comunista. «Padoa Schioppa già l’anno scorso voleva
tagliare le pensioni: è stato sconfitto una volta e la sua proposta
non passerà neanche questa. Il vero costo della politica che
bisognerebbe ridurre da parte del governo -continua Migliore- è dato
dalle dichiarazioni non concordate e non condivise di Tommaso Padoa Schioppa.
Le decisioni sulle risorse devono essere una scelta condivisa e collegiale.
Ora bisognerebbe invertire l’ordine dei fattori: al risanamento vadano 2,5
miliardi, al risarcimento sociale 7,5».
+
Il Corriere della Sera 9-5-2007 Monito del
presidente Napolitano: «Se viene buttato via la pagheremo cara. Scandalosa la
mancata ratifica della Gb» «Dalla Francia contributo positivo per uscire
dall'impasse»
«Senza trattato
Europa si sconfessa»
Il presidente
della Repubblica, Giorgio Napolitano (Ap)
ROMA - Il presidente della Repubblica,
Giorgio Napolitano, torna a insistere sulla necessità per l'Ue di
uscire dalla crisi e di rilanciare il Trattato di Costituzione europea.
Incontrando al Quirinale alcune scuole in occasione della Festa dell'Europa,
il capo dello Stato ha ribadito che «se, dopo averci lavorato per anni,
questo Trattato viene buttato via e si ripiega sulla soluzione meschina di
includere quello che si può nei vecchi Trattati quel che si può
del nuovo questa sarebbe a mio avviso una clamorosa sconfessione dell'Europa
e la pagheremmo cara». Il presidente ha poi sottolineato di essere
«fiducioso» sul contributo che Parigi potrà dare per uscire dall'impasse:
«Credo che possa venire un contributo positivo da parte della Francia per
superare questo momento e lo attendiamo con fiducia». Il presidente della
Repubblica definisce «scandaloso» che la Gran Bretagna, dopo aver firmato il
Trattato costituzionale europeo, non lo abbia ancora ratificato.
09 maggio 2007
Cara Europa, dopo i dodici anni della monarchia di Chirac, la
Francia ha cambiato sovrano. Sempre di destra, cioè della stessa
dinastia, ma un nuovo sovrano, con un consenso rafforzato, mi pare, rispetto
a quello del declinante predecessore. Ora mi domando perché in Italia la
monarchia di Berlusconi, che dura nella destra da quattordici anni, non
riesca a cambiare il monarca.
Eppure non mancano i principini ultracinquantenni, più o meno coetanei
di Carlo d’Inghilterra. Mi sapete spiegare perché?
Sibilla Di Lauro, Napoli
Cara amica, lei è una Sibilla molto chiara, e ciò
mi aiuta a sciogliere i suoi enigmi. Pier Ferdinando Casini, appunto uno de i
principini, ha dichiarato la sera stessa del ballottaggio che Sarkozy ha
vinto perché ha sfidato il vecchio presidente Chirac, che non lo voleva. Non
so se Casini pensasse a stesso e a Berlusconi, mentre diceva quelle parole,
ma direi di sì. In ogni caso è vero che le successioni non sono
mai pacifiche.
Nemmeno De Gasperi, esaurito il centrismo nelle elezioni del l953, voleva
andarsene. Nemmeno Malagodi, La Malfa, De Martino che avevano ridotto i loro
partiti al lumicino pensavano di farsi da parte. Ci vollero le rivolte,
spesso tardive, dei giovani (si fa per dire) leoni (anche questo si fa per
dire). Berlusconi è e resterà il leader della destra fino a
quando i suoi aspiranti successori, invece di spiegare agli italiani che la
democrazia pretende, per esempio, soluzioni integrali del conflitto
d’interessi e del monopolio dei media, faranno blocco col vecchio capo
conflittuale e monopolista, accreditando la sua favola del killeraggio e
della persecuzione da parte della sinistra. Se questa lo perseguita, perché
il popolo di destra non dovrebbe stringersi intorno al capo fondatore e
perseguitato? Parlando come lui “contro la sinistra”, invece di spingerlo ad
aprire un confronto con questa, Fini e Casini contribuiscono a mantenere
Berlusconi nella botte di ferro per cui, se si fanno le leggi, è un
perseguitato, se non si fanno si dimostra che il più forte è
lui. E allora perché sostituire il più forte con mezze tacche incapaci
di autonomia, e speranzose, come certi disoccupati napoletani, che la pappa
della successione reale gli cada in bocca, mentre prendono il sole a
Mergellina? Naturalmente, non è solo l’inettitudine dei principini a
rendere eterna la monarchia berlusconiana nella destra e temo nel paese, ma
anche l’inettitudine del centrosinistra a parlare ai cittadini di cose nuove:
valorizzazione della casa, riduzione delle tasse per sviluppare produzione,
commerci, famiglie, occupazione; sicurezza in strada e a casa, scuola con
insegnanti capaci, sanità con medici all’altezza e Nas e giudici ad
ogni stanza, stipendi e promozioni per merito e non per anzianità,
pensioni più tardi e orari di lavoro più lunghi, progetti di
accompagnamento dei giovani (prestiti d’onore per gli studi, per acquisto
della casa, per apertura di studi professionali o attività economiche)
eccetera eccetera. Lei mi dirà: ma queste cose le vuole o le dice
anche la destra, dov’è la differenza? La differenza è nei diritti
civili, che la destra non vuole e la sinistra dovrebbe volere.
O no? Perché, se la sinistra non li vuole, allora che senso avrebbe cambiare
dinastia?
Ora che Sarkozy ha vinto in Francia, in Italia saltano tutti sul
carro del vincitore. Anche quelli che fino all'altroieri stavano su quello di
Ségò a portar sfiga. Nella destra all'italiana, Bellachioma in testa,
son diventati tutti più sarkoziani di Sarkò, dimenticando che
Sarkò non si è mai alleato coi fascisti né coi nazisti, mentre
i nostri sì; che lui ha difeso i Pacs, mentre i nostri sono contrari
persino ai Dico; che lui ha difeso i gay dagli attacchi del Vaticano, mentre
i nostri li brucerebbero; che lui ha annunciato il ritiro dall'Afghanistan,
mentre da noi nemmeno la sinistra oserebbe tanto; che lui le ha cantate a
Bush anche sul clima, mentre i nostri non sanno nemmeno cosa sia. Ma dove i
nostri provincialotti danno il meglio di sé è sul tema della
legalità e dei doveri. Come ha scritto Michele Serra, "abbiamo la
destra più antilegalitaria del mondo" che esalta il legalitario
Sarkozy: uno che, a sentirlo parlare, se gli capitasse a tiro un Bellachioma,
un Previti o un Dell'Utri, chiamerebbe la Gendarmerie. Qui destra e sinistra
si tengono da un anno alla Camera un pregiudicato interdetto dai pubblici
uffici, con l'aggiunta di altri 24 condannati e una sessantina di inquisiti.
Perfino Mastella è un fervente ammiratore di Sarkò. Pare sia lo
stesso Mastella che, nella sua qualità di ministro della Giustizia,ha
fatto sapere al Brasile che può tranquillamente estradare il pluriomicida
Cesare Battisti perché tanto, da noi, le condanne sono un'opinione e anche
l'ergastolo è trattabile. Poi, quando i parenti delle vittime han
protestato, li ha tranquillizzati spiegando che ha dovuto dire così
per farselo consegnare. Da qualche giorno lo assiste l'ottimo Gianpaolo
Nuvoli, quello che voleva impiccare Borrelli a un lampione e dava
dell'assassino a Caselli, poi è stato condannato per diffamazione a
ben 400 mila lire, ma non ha mai pagato nemmeno quelle. Appena s'è
saputo che era a spasso, Mastella l'ha promosso direttore generale del
ministero della Giustizia. Poi, naturalmente, tutti sul palco di Sarkozy a
predicare legge e ordine. L'altra sera a Report è bastata
un'intervista di tre minuti a un giudice francese per capire di che stiamo parlando:
"Da noi la prescrizione scatta 3 anni dopo un reato minore, 10 anni dopo
un reato grave, mai dopo un omicidio o una strage, ma solo se restano
impuniti. Se viene incriminato qualcuno, la prescrizione s'interrompe fino al
termine del processo. Così nessuno ha interesse a tirare in lungo e ai
colpevoli conviene patteggiare". Basterebbe una legge di tre righe per
farlo anche da noi, così si riuscirebbe persino a cancellare la
ex-Cirielli e a rispettare almeno una delle 13.947 promesse elettorali dell'Unione.
Ma pare brutto, e nessuno ci pensa. Così in Francia la prescrizione
è a quota zero, in Italia falcidia un quarto dei processi. Ci vuole
Sarkò per capire che il problema non sono le pene scritte nel codice,
ma la certezza che vengano applicate? Che una giustizia che non spaventa i
malfattori produce nuovi malfattori e li importa pure dall'estero? Che siamo
il paradiso dei delinquenti, colletti bianchi e colletti neri, stranieri e
nostrani? Quanti esaltano il programma "legge e ordine" di Sarkò
sono gli stessi che fino all'altroieri la menavano con le "troppe
intercettazioni" e i "troppi detenuti" (rispetto a cosa?),
anziché con i troppi reati e i troppi delinquenti. Gli stessi che ripetono
"in carcere ci sono troppi tossicodipendenti ed extracomunitari",
come se in Italia si arrestasse la gente perché si droga o per il colore
della pelle. Gli stessi che un anno fa, con l'indulto extralarge, hanno
liberato 30 mila furfanti e per 10 anni costringeranno la polizia e le
Procure a indagare inutilmente, e i giudici a processare gente che, se
colpevole, sarà condannata a pene virtuali. Intanto Cofferati, che ha
preteso il rispetto della legge prima dagl'imprenditori (articolo 18) e poi
dagl'immigrati e dai teppisti (le politiche per la sicurezza a Bologna), ha
preso sberle da destra e da sinistra. Gherardo Colombo ha lasciato la toga
denunciando la morte della legalità nell'indifferenza generale. E chi,
in questi anni, ha parlato di legalità su MicroMega, l'Unità,
Repubblica, Diario, in qualche oasi felice della tv o in piazza, è
stato massacrato come criminoso, demonizzatore, forcaiolo, giustizialista,
girotondino dagli stessi che ora s'innamorano della legalità perché
l'ha detto Sarkò. A proposito: che sia un girotondino anche lui? Uliwood
party.
Difendersi è sempre legittimo, perfino da colpevoli. Ma
indignarsi, anche solo da sospettati, in certi frangenti è davvero
troppo. È questo il caso, ci pare, delle parole che ieri Romano Prodi
ha vibrato per tornare ancora una volta sulla vicenda Telecom, e per
autocertificare, ancora una volta, la neutralità dell’azione di
governo, e la propria, rispetto alla lenta evoluzione della vicenda giunta
all’epilogo circa dieci giorni fa. In particolare, il premier non ha temuto
di usare parole forti contro chi ha messo in dubbio l’apertura del nostro
paese agli investitori stranieri. Un’apertura che, secondo gli accusatori colpiti
dagli strali di Prodi, nel corso della vicenda Telecom sarebbe stata
ostacolata proprio dal Professore e dal suo governo. Dalle sue manovre, dalla
sua rete di potere politico, dal solido asse costruito a livello
internazionale con Zapatero, dagli antichi rapporti che intrattiene col mondo
delle banche, della finanza e dell’industria italiana. Che la regìa
prodiana a un’operazione di mercato sia stata apertamente enfatizzata, non
c’è alcun dubbio. Che la polemica, sul piano politico, abbia assunto
toni eccessivi e pretestuosi, è pure vero. Ma lanciarsi a definire
addirittura «indecente» la contestazione, e la naturale dialettica scatenata
da una vicenda così contorta, ci pare francamente eccessivo. Prodi, ad
esempio, vanta l’ingresso di Telefonica come segno dell’apertura del mercato
italiano. Sembra dimenticare che è un ingresso minore rispetto a
quello cui ambiva, in un primo momento, il colosso spagnolo che trovò
resistenze di varia natura, anche sul piano politico.
E ancora, Prodi vorrebbe vedere tradotta la vicenda Telecom in America dove -
è vero - esistono paletti ben rigidi, soprattutto nel campo delle tlc,
per l’ingresso del capitale straniero. C’è però una differenza:
là i limiti li fissa la legge una volta per tutte. E qui?
PERUGIA
- Due magistrati - uno in servizio presso la Cassazione, l'altro al Consiglio
di Stato - sono stati arrestati questa sera, su ordine del gip di Perugia,
insieme a due costruttori del capoluogo umbro. A carico dei quattro
verrebbero ipotizzati i reati di associazione per delinquere e corruzione in
atti giudiziari.
I provvedimenti sono stati eseguiti in serata, tra Perugia e Roma. Uno degli
arrestati è il costruttore perugino Leonardo Giombini; l'altro
imprenditote è Carlo Gradassi. Il terzo destinatario è il
sostituto procuratore generale della Cassazione Vincenzo Maccarone; e poi
c'è il consigliere di Stato Lanfranco Balucani. Per tutti il gip ha
disposto il divieto di incontro con i difensori. Dopo l'arresto Giombini
è stato condotto per accertamenti in ospedale, e quindi portato al
carcere di Perugia.
E, a quanto sembra, l'inchiesta ruoterebbe proprio intorno alla figura di
Giombini. Il costruttore venne arrestato, sempre dalla Guardia di finanza, il
29 maggio dell'anno scorso, per un presunto giro di fatture per operazioni
inesistenti per più di nove milioni di euro. Tornò libero dopo
71 giorni di carcere, ma nel provvedimento con il quale fu autorizzato a
uscire dal carcere il gip aveva sottolineato che il quadro indiziario emerso
era comunque "ampiamente confermato".
Al centro della nuova fase dell'inchiesta perugina ci sarebbero alcuni
aspetti dell'attività dei due magistrati e i loro presunti rapporti
con Giombini. Accertamenti che al momento sono coperti dal massimo riserbo.
Intanto domani, davanti al tribunale del riesame di Perugia, è in
programma l'udienza nella quale verrà esaminato il provvedimento con
il quale gli stessi giudici avevano confermato il sequestro preventivo di
parte delle azioni della Giombini costruzioni, disposto dal gip su richiesta
della Procura. Decisione poi annullata con rinvio dalla Cassazione, che aveva
accolto un'istanza dei difensori del costruttore.
MILANO L a svolta attesa in Europa, e attesa in
particolare dopo il voto presidenziale francese, si è avvertita ieri
sera a Milano. "Abbiamo fatto due anni di lutto, e in qualsiasi
società chiusa dopo due anni di lutto si va avanti", figuriamoci
in una società aperta, ha detto il presidente del Consiglio Romano
Prodi partecipando ieri sera all'inaugurazione dei quattro giorni di Forum su
Economia e società aperta organizzati a Milano, in varie sedi
cittadine, da Università Bocconi e Corriere della Sera.Il cammino
europeo deve riprendere, dopo la bocciatura francoolandese della Costituzione
Ue. La riforma istituzionale dell'Unione europea "è indispensabile"e
la presidenza tedesca dovrebbe stabilire un tracciato che la realizzi entro
il 2009, ha
detto il presidente della Commissione Ue, José Barroso, che con Prodi ha
inaugurato il Forum. Nominato direttamente da Prodi, preso a esempio
implicitamente dal sindaco Letizia Moratti nel suo indirizzo di saluto ( il
ritorno alla "responsabilità individuale"), il neopresidente
francese Nicolas Sarkozy che vuole un rilancio dell'Europa e la soluzione dei
suoi nodi istituzionali ha brevemente aleggiato nella sala di Palazzo Reale.
E questo non contrasta con lo spirito di un'iniziativa che, come ha detto nel
saluto introduttivo il presidente della Bocconi, Mario Monti, vuol far
sentire in Europa la voce di Milano sui temi dell'economia e della società,
nella convinzione che molti problemi non sono italiani ma comuni, e alla loro
soluzione il contributo italiano può essere rilevante. La
"società aperta" si misura con tutte le realtà,
compresa una svolta politica francese di sicuro impatto sulle prossime mosse dell'Unione.
Prodi, che non ha toccato direttamente temi di politica interna italiana, ha
ricordato che l'Italia può e deve dare un contributo significativo a
una stagione nuova. Personalmente spingerà, ha detto, per "fare
passi avanti sulla nuova Costituzione e contro regole come
l'unanimità", un punto toccato anche dal neopresidente francese.
"Se alcuni stati membri non se la sentono ci potrà essere un
gruppo di Paesi disposti a fare un passo ulteriore - ha detto il presidente
del Consiglio -. Non si possono aspettare i membri più restii".
L'Italia deve essere aperta agli investimenti stranieri - il riferimento era
soprattutto alle public utilities - ma in modo simmetrico rispetto ad altri
Paesi. "Il concetto deve essere quello di un governo regolatore e non
più intrusore - ha detto Prodi che parlava mentre in seconda fila in
una platea ristretta di invitati sedeva Marco Tronchetti Provera, e poco
più in là Carlo De Benedetti, Alessandro Profumo, Corrado
Passera, tra gli altri -. Ma che sia un regolatore forte che sappia imporre
regole trasparenti nell'economia e sappia aprire ad altri Paesi". Cosa
che l'Italia ha saputo fare più di altri,ha aggiunto il presidente del
Consiglio, invocando la necessità di aperture "simmetriche".
"Dobbiamo andare avanti con regole condivise anche da altri, altrimenti
la società si ribella e si chiude anche di più". Spetta
alla Commissione garantire il rispetto di tutte le regole del mercato
interno, ha detto Barroso,precisando i ruoli. "Se si lasciasse agli
Stati membri la responsabilità di decidere su questioni riguardanti il
mercato interno,credo che rischieremmo di decretarne rapidamente la
fine". Prodi ha anche spezzato una lancia in favore degli accordi
commerciali bilaterali, che nelle difficoltà in cui si trovano quelli
multilaterali del Doha round possono offrire una via d'uscita, purché
temporanei e non esclusivi. E ha riservato una dura critica alla scuola e
all'università italiane, che sono l'opposto dell'apertura e devono
cambiare radicalmente: "Vogliamo una società aperta, ma i nostri
ragazzi non hanno le stesse esperienze di altri", ha detto Prodi di
un'università italiana che rifiuta i docenti stranieri, arroccata in
difesa delle corporazioni nazionali, e ha pochissimi studenti stranieri. E
dove gli studenti cinesi sono, a confronto di quelli che studiano in Germania
ad esempio, in rapporto di uno a cento. Oggi la quattro giorni di Bocconi
Corriere della Sera incomincia la sua maratona con vari gruppi di lavoro e
oratori di primo piano, ospitata in numerose sedi cittadine (il sito del
Forum con il programma è raggiungibile attraverso www.ilsole24ore.
com). Nazionalismo, protezionismo, disintegrazione, sono rischi e contro
questi rischi Milano vuole lanciare il suo messaggio di operosa fiducia, ha
detto Mario Monti. lI "sistemacittà" vuole portare il suo
contributo, è stato il saluto di Piergaetano Marchetti, presidente di
Rcs. mario.margiocco@ilsole24ore.com IL PREMIER "Sì a un'apertura
economica che sia simmetrica e compatibile con quella che vige negli altri
Paesi europei" BARROSO "Se gli Stati membri decidessero in
autonomia i nodi del mercato interno rischieremmo la fine. Riforma Ue entro
il 2009" "Mercati aperti".
Il
Corriere della Sera 9-5-2007 Se la
rivoluzione arriva anche in Italia La scoperta di merito e concorrenza.
Danilo Taino
Giavazzi: «Erano
idee minoritarie, ora sono esigenze sentite da tutti»
MILANO — Volete una, anche una sola ragione per
apprezzare la globalizzazione dell’economia? E per difenderla? Questa
mattina, nell’aula magna dell’Università Bocconi di Milano, Francesco
Giavazzi proporrà questa: «Fino a 15 anni fa — dice l’economista — il
merito e la concorrenza erano concetti minoritari in Italia. Trovo
straordinario che oggi, invece, la grande maggioranza degli intervistati da
un sondaggio presentato da Alberto Martinelli metta la concorrenza e il
merito al primo posto delle esigenze italiane. È successo che la
globalizzazione ha aperto i mercati, ha diminuito i costi della comunicazione
e in questo modo ha accresciuto la concorrenza. Per rispondere alla quale non
si può che puntare sul riconoscimento del merito ». Il convegno di
questa mattina — che darà l’avvio al Forum internazionale Economia e
Società Aperta — ha proprio l’obiettivo di analizzare i cambiamenti
positivi introdotti dall’economia globale e di vedere quali rischi corra
questo processo fatto di frontiere che cadono, mercati che si integrano,
comunicazioni che azzerano le distanze. Perché il fenomeno non è un
fatto acquisito e scontato, sottolinea Giavazzi: «La prima globalizzazione,
quella tra il 1890 e la prima guerra mondiale, finì male: con un
backlash formidabile, una reazione forte che sfociò nel protezionismo
degli anni Venti». L’incontro — che si intitola Merito, Concorrenza e
Globalizzazione e sarà preceduto da due interventi, uno del rettore
della Bocconi Angelo Provasoli e l’altro del direttore del Corriere della
Sera Paolo Mieli — cercherà di individuare tendenze e pericoli che in
qualche modo accomunano la prima e la seconda globalizzazione (quella che
viviamo da una quindicina d’anni).
In
particolare, Jeffry Frieden, economista di Harvard, punterà a capire cosa fu a determinare,
poco meno di un secolo fa, la fine dell’apertura e dell’integrazione
mondiale: il ruolo che giocarono il protezionismo agricolo, che sopravvive
ancora nel 2007, e il mercato del lavoro, a quel tempo ancora più
sconvolto di oggi da migrazioni eccezionali. Lant Pritchett, un economista
della Banca Mondiale, cercherà di analizzare perché «l’anello mancante
della globalizzazione »— come lo definisce Giavazzi—oggi sia proprio il
lavoro: il fattore che, rispetto alla fine dell’800, si muove meno, in particolare
se confrontato a merci, servizi, denaro. È questo un fattore di
rischio in meno, per la globalizzazione, oppure nasconde esso stesso insidie?
Difendere la mondializzazione dell’economia, la ricchezza che crea e la
spinta che dà alla riduzione della povertà significa
però anche cautelarsi dai fenomeni negativi, o percepiti come tali,
che la accompagnano. «Nella prima e nella seconda globalizzazione — dice
Giavazzi — l’ampliarsi della diseguaglianza dei redditi è andata
avanti di pari passo. All’interno dei singoli Paesi, tra chi è ricco e
chi è povero. E tra i Paesi stessi. Non si tratta di aumento della
povertà, anzi. Ma anche in una crescita generale del reddito, quello
che conta è il reddito relativo: non è importante se finalmente
riesco ad andare a Rimini se, ora, il mio vicino che fino all’anno scorso
già ci andava, può andare ai Caraibi. Anche questo ampliarsi
della diseguaglianza crea rischi di rifiuto della globalizzazione».
In positivo,
il convegno cercherà di trovare proposte per migliorare l’integrazione delle
economie. «Non difendendo le rendite e il posto fisso — dice Giavazzi —.
Puntando a mercati che funzionano e aiutando chi perde il lavoro a
sopravvivere e a trovare un’altra occupazione». In più, spingendo per
ulteriori aperture. Zhaohui Chen, presidente del centro di ricerca First
Light Academy di Shanghai, parlerà del reale livello di apertura della
Cina ai capitali internazionali. E il ministro Emma Bonino sarà
chiamata a discutere delle tendenze protezionistiche nel commercio internazionale,
in particolare dello stallo del Doha Round, il negoziato che dovrebbe aprire
ulteriormente gli scambi mondiali. Perché, come si sa da quasi un secolo,
quando il protezionismo vince, i guai in arrivo sono seri.
09 maggio 2007
ROMA
Sono 26.201 (di cui 16.158 italiani e 10.043 stranieri) gli ex detenuti
usciti dal carcere negli ultimi nove mesi grazie all’indulto, varato il 31
luglio scorso dal Parlamento. Di questi - sottolinea il ministro della
Giustizia Clemente Mastella - «soltanto» il 12% sono tornati a delinquere e,
quindi, hanno fatto rientro in cella. Dall’ultimo 'screening' del
Dipartimento dell’ amministrazione penitenziaria (Dap) emerge che 18.189
(pari al 69,4% del totale) sono gli ex detenuti condannati in via definitiva
che hanno beneficiato dell’indulto, mentre 8.012 sono coloro che grazie al
provvedimento di clemenza hanno avuto una revoca della misura cautelare su
decisione del magistrato di sorveglianza.
La Regione con
il primato del maggior numero di scarcerati grazie all’indulto è la
Lombardia (3.787), seguita da Campania (2.988), Sicilia (2.724) e Lazio
(2.530). In coda alla lista ci sono invece Valle D’Aosta (164 scarcerati),
Molise (198) e Basilicata (241). Ad oggi, nelle 258 carceri italiane ci sono
42.702 detenuti (la capienza regolamentare è di circa 43.500 posti)
Rispetto a 9 mesi fa, quando subito dopo l’indulto i detenuti negli istituti
penitenziari scesero da circa 60mila a 38-39mila, si sta registrando un
aumento della popolazione carceraria.
E questo perchè
- spiega Sebastiano Ardita, responsabile della direzione generale detenuti
del Dap - il numero degli ingressi resta superiore a quello delle uscite dal
carcere. Ecco perchè il Guardasigilli Mastella insiste sulla
necessità di puntare sulle pene alternative al carcere in caso di
reati non gravi.
Nel raccontarla hanno messo tutta la
fantasia possibile, e qualcuno forse se l'è anche bevuta. Ma il
promesso, anzi, più volte annunciato, taglio dei costi della politica
è il principale fantasma nel menù del consiglio dei ministri
guidato da Romano Prodi. Qualche codicillo un po' furbesco è stato
inserito nelle ultime due leggi finanziarie, dal governo vecchio e da quello
nuovo. Ma la realtà è svelata ora dal rapporto della Ragioneria
generale dello stato sulle spese del 2006 raffrontate con i due anni
precedenti. I costi della politica in un biennio sono aumentati
di poco meno di 200 milioni di euro, altro che tagli. Saliti del 28,68% i
trasferimenti ai partiti politici, e dell'8,5% quelli agli eletti (...) Erano
di 156 milioni di euro i contributi ai partiti politici italiani nel 2005,
sono diventati di 201 milioni. Costavano 1 miliardo e 605 milioni i tre
organi costituzionali (Quirinale, Senato e Camera), nel giro di un biennio la
spesa per il loro funzionamento è salita a 1 miliardo e 742 milioni. E
non basta, perché non poche altre promesse legate alla cura dimagrante
(fallita) per uno Stato-monstre sono rimaste lettera morta. Si guardi al
costo del lavoro nella pubblica amministrazione, quella che il tribuno di
questo o quel partito hanno sempre promesso più snella. Bene, in due
anni la sola presidenza del Consiglio dei ministri ha portato la spesa per
stipendi da 140 a
169 milioni di euro, con un incremento del 20%. L'intera spesa per il
personale della pubblica amministrazione è cresciuta da 84 a 92 miliardi di euro. In
clima di mancata riforma delle pensioni, lievitati anche i trasferimenti agli
enti di previdenza. Ammontavano nel 2004 a 69,9 miliardi, due anni più
tardi sono saliti a 75,3 miliardi di euro. Attenzione, perché come dimostra
bene il servizio a pagina 5, nello stesso arco di tempo non sono mancati
tagli ai trasferimenti pubblici. Solo che hanno preservato come sempre la
casta al comando e gettato ulteriore benzina sugli incendi della finanza
pubblica che si doveva spegnere. Mentre la cinghia è stata tirata da
imprese private, disoccupati, associazioni senza fine di lucro, scuole
private, perfino dalla Chiesa cattolica. Il dilagare dei costi della politica
a questo punto è diventato un'emergenza nazionale, dovrebbe essere al
primo punto della prossima manovra economica. Perché quel malcostume che lo
Stato mostra a livello centrale si è propagato in tutta la periferia.
Nelle regioni (e domani pubblicheremo una ampia inchiesta sui costi
locali della politica), ma anche nelle province e nei comuni. Che
invece di aiutare la società a crescere e svilupparsi, occupano per
pochi spazi di tutti, drenano risorse facendole marcire, allargano la loro
ombra minacciosa su interi settori dell'economia (come si è visto
nell'inchiesta sui piccoli Iri regionali). Bisogna fermare questa
piovra...Franco Bechis.
INDICE 8-5-2007
++ Agenparl
8-5-2007 PD: LC 1
++ AgenParl 8-5-2007 IL CANTIERE DELLA SINISTRA PRENDE FORMA CON IL
COORDINAMENTO 1
+ Il Sole 24 Ore 8-5-2997 Chevron e i barili di Saddam Tangenti al
regime iracheno per avere greggio nel programma Onu di Claudio Gatti 2
+ Il Giorno 8-5-2007 Spie in Procura: "Processatele" Chiesto
giudizio per 11, tra finanzieri, carabinieri, vigili e una cancelliera. di
MARINELLA ROSSI 4
Il Corriere della Sera 8-5-2007 Il modernizzatore di Alberto
Ronchey 4
Europa 8-5-2007 Per il Ps il treno è passato THIERRY PECH 5
L’Unità 8-5-2007 Una sfida per i socialisti Stefano Ceccanti 6
La Repubblica 8-5-2007 Tutte le donne del presidente. Un governo con 7
"sarkozettes" 7
L’Unità 8-5-2007 "La sinistra? Ha perso perché non aveva
un'idea", parola di Bertinotti 8
Il Giornale 8-5-2007 L'Europa e "l'équipe dei sogni" Gian
Pietro Caliari 8
Il Messaggero Veneto 8-5-2007
Napolitano: Francia essenziale per l'UE 9
La Nuova Ferrara 8-5-2007 A PARIGI UNA DESTRA MODERNA DA NOI POPULISMO
E SAGRESTIA. GIANCESARE FLESCA 10
La Repubblica 8-5-2007 Veltroni: "Né di destra, né di sinistra la
legalità è un diritto" di WALTER VELTRONI 10
Il Riformista 8-5-2007 Cari Mussi e Angius, chiariteci la linea politica di Emanuele
Macaluso 12
Il Piccolo di Trieste 8-5-2007
Family day, lite tra ministri bindi a mastella: non andare 12
Il Messaggero Veneto 8-5-2007 MODERNE CROCIATE di ALCIDE PAOLINI 13
Roma, 8 Maggio 2007 – AgenParl
– Ici, coordinatore, collocazione europea, Family day, equilibri di potere:
all’interno del costituendo Partito
Democratico è già una lotta continua.
Le polemiche tra Ds e Margherita sono ormai all’ordine del
giorno. Chi, forse, è l’unico a giovarsi di questa situazione è
Romano Prodi. Il vero arbitro
della partita.
Il Professore infatti esce rafforzato nel suo ruolo di “uomo super-partes”,
mediando di volta in volta sulle singole questioni che si presentano. Compito
questo reso più facile dal fatto che il premier non è interno a
nessuno dei due partiti. Inoltre – come viene fatto notare malignamente all’AgenParl – getta di continuo benzina
sul fuoco in modo che dallo scontro tra Ds e Dl esca consolidata la sua
leadership e il suo ruolo di “bussola” dei liberal-riformisti. (F.C.)
Roma, 8 Maggio 2007 – AgenParl
– La sinistra italiana non è intenzionata a perder tempo nei confronti
dei liberal-riformisti. Al Partito Democratico
(nascituro, sembra, ad ottobre) vuole contrapporre una “forza unitaria
alternativa”.
Così Rifondazione Comunista
e Pdci, i partiti che più
stanno spingendo per il “patto d’unità d’azione” (per dirla alla
Franco Giordano), stanno
intensificando il dialogo per una futura intesa programmatica. L’idea
è quella di creare un coordinamento parlamentare tra i vari gruppi. In
questo progetto dovrebbero entrare (almeno così sperano i “comunisti”)
i Verdi e il neonato movimento Sinistra Democratica di Mussi e Angius, del quale si attende la settimana prossima
l’ufficializzazione della nascita del gruppo parlamentare.
Proprio il corteggiamento nei confronti degli ex-diessini è tra i
“nodi cruciali” del Cantiere. Se ieri Diliberto
invitava Mussi a “guardarsi le spalle” da Angius (orientato invece ad aderire
alla Costituente socialista di Boselli)
oggi spunta una nuova ipotesi. Il ministro dell’Università come futuro leader di questa Federazione della
Sinistra. A confermare questa voce ci pensa Piero Fassino, il quale ha lanciato una “frecciata” a Mussi: “pensa di
fare il leader invece è solo un subalterno”. (G.R.S.)
+ Il Sole 24 Ore 8-5-2997 Chevron e i barili di Saddam
Tangenti al regime iracheno per avere greggio nel programma Onu di Claudio
Gatti
L' inchiesta de
Il Sole 24Ore ha appurato che la Chevron ha comprato greggio iracheno da un
cittadino italiano che ha ammesso di aver pagato milioni di dollari in
tangenti a Baghdad con denaro ricevuto dalle sue controparti. Chevron inclusa.
30 milioni di dollari sono una piccola cifra per una multinazionale che nel 2006 ha guadagnato oltre
17 miliardi di dollari. L'imbarazzo di un'accusa di aver indirettamente
sostenuto il regime di Saddam Hussein potrebbe invece essere decisamente
più costoso. Così,per evitare un processo potenzialmente
imbarazzante, Chevron, guidata da David O'Reilly,sta negoziando multe per un
totale che potrebbe raggiungere i 30 milioni di dollari in un patteggiamento
con le autorità giudiziarie newyorkesi. Di fronte al rischio di un
rinvio a giudizio da parte di una speciale task force creata dalla Procura
federale e quella distrettuale, la Chevron è pronta anche ad ammettere
che avrebbe dovuto sapere del pagamento di tangenti agli iracheni sul
petrolio comprato tra il 2000 e il 2002 nel corso del programma Oil for food.
Programma Onu che intendeva prevenire il riarmo del regime di Saddam pur
consentendo l'esportazione di greggio. La Commissione Volcker,presieduta
dall'ex capo della Fed e che per quasi due anni e mezzo ha indagato su
possibili illeciti nel programma Oil for Food,ha concluso che,dal pagamento
di tangenti illegali sulla vendita di petrolio la cosiddetta sovrattassa il
regime di Saddam Hussein era riuscito a creare fondi neri per 228 milioni di
dollari. Soldi pagati alla società petrolifera di stato irachena,la
Somo,al di fuori dei canali finanziari creatidal programma Oilfor food e
usati per fondi neri a disposizione del dittatore iracheno per qualsiasi
attività non autorizzata dalle Nazioni Unite.Incluso il riarmo.Di
fronte a una richiesta di commenti, Ken Robertson, consigliere per i rapporti
con la stampa per la Chevron, si e' limitato a dire che "per quel che
riguarda il Programma
Oilforfood,laChevronhaacquistatogreggioirachenoprincipalmenteperlesueraffinerieamericaneeleNazioniUnitehannoapprovatol'acquistodituttii
arichi.La Chevron ha cooperato con le varie indagini sul programma e
continuerà a farlo ".Il gigante Usa ha avuto un ruolo molto
importante nel programma Oil for food, essendo stato il singolo maggior
acquirente di petrolio iracheno. Secondo i calcoli della Commissione
Volcker,tra il 2000 e il 2002 ,il gruppo ha acquistato circa 100 milioni di
barili di petrolio sul qualerisultano essere stati pagati circa 30 milioni di
dollari in sovrattassa illegale. La Commissione Volcker ha scoperto che la
sovrattassa era stata introdotta nell'agosto del 2000 dalla Somo su precise
istruzioni di Saddam ed era stata applicata sulle esportazioni di petrolio
iracheno a partire da settembre. Non appena la notizia della sua esistenza
era cominciata a diffondersi sul mercato, le grandi società
petrolifere internazionali si erano rese conto che violava le sanzioni Onu e
che quindi sarebbe stato illegale pagarle. O anche solo finanziarne il
pagamento indirettamente. IlSole24Oreha ottenuto copia di una comunicazione
interna della Chevron inviata il 26 gennaio 2001 da Patricia Woertz,
all'epoca presidente di Chevron Products Co. Ecco cosa dice:"Il
pagamento di tale sovrattassa è proibito dalle sanzioni dell'Onu
contro l'Iraq... Nell'attuale situazione è molto importante per noi
non comprare alcun carico iracheno nel caso ci sia motivo di credere che
qualcun altro abbia pagato o pagherà una sovrattassa proibita su un
carico...Ho affidato a C.L.Blackwellla responsabilità di approvare,
per iscritto,ogni singola transazione sulla base della proceduta allegata...
Prima di dare la propria autorizzazione, il signor Blackwell dovrà
essere convinto che non ci sia motivo per pensare che la sovrattassa sia
stata o sarà pagata agli iracheni su quella transazione. Nel
decidere,il signor Blackwell dovrà prendere in considerazione una
serie di fattori... incluso l'identità,l'esperienza e la reputazione
della società venditrice... e qualsiasi deviazione anomala nel prezzo
del petrolio". Lo stesso elenco degli acquisti di greggio iracheno fatti
da Chevron tra il giugno 2000 e il dicembre 2002 consegnato alla Commissione
Volcker fa pensare agli investigatori che la multinazional non abbia mai
veramente rispettato la procedura d'acquisto annunciata da Patricia Woertz.
Nel periodo della sovrattassa, la società ha infatti comprato circa
100 milioni di barili da società che includevano realtà
sconosciute e prive di qualsiasi esperienza nel settore pagando
"provvigioni", in aggiunta al costo del greggio,più alte di
quelle pagate prima dell'introduzione della sovrattassa. Gli inquirenti hanno
adesso ragione di credere che quelle provvigioni piu' alte incorporassero la
sovrattassa. Il 15 febbraio 2001, Chevron acquistò per esempio 1,8 milioni
di barili dalla ErdemHolding, societàdi un uomod'affari turcolegato a
Baghdad ( era membro del Consiglio Turco Iracheno), pagando una provvigione
di 0,36 dollari.In altre occasioni,la
provvigion arrivò anche a sfiorare i 50 cents. In tutto,la Erdem
vendette circa 13 milioni di barili di greggio iracheno alla società
petrolifera californiana. "Vendetti io il grosso del loro petrolio
iracheno alla Chevron", conferma a Il Sole 24Ore Fadel Othman, un ex
funzionario della Somo all'epoca consulente per la Erkem, che non esita ad
ammettere di essere stato a conoscenza della sovrattassa."Lo sapevano
tutti ",si schernisce. Un'entità ancor più dubbia da cui
Chevron ha comprato greggio iracheno era la Machinoimport, società
russa che da un rapporto del Congresso Usa risulta essere stata usata dal
regime di Saddam per finanziare il politico ultranazionalista russo amico di
Baghdad, Vladimir Zhirinowsky. La Guardia di Finanza italiana ha inoltre
trovato prove documentali del fatto che un'altra societa' sconosciuta, la
Betoil, di proprieta' del cittadino italiano Fabrizio Loioli, ha pagato la
sovrattassa su un carico di greggio iracheno comprato dalla Chevron. I
documenti, sequestrati negli uffici della Betoil, dimostrano che Loioli ha
versato 45.000 dollari su un conto aperto segretamente dagli iracheni in
Giordania come pagamento della sovrattassa sul carico di una petroliera la
Overseas Ann che trasportava un carico della Chevron. Un contributo
essenziale all'inchiesta Usa è venuto proprio dal lavoro su Loioli
condotto dal sostituto procuratore di Milano Alfredo Robledo, che indaga su
Oil for food dal 2004,e da un team guidato dal maresciallo Domenico Siravosotto la direzione del
colonnello Virgilio Pomponi, comandante del Nucleo di polizia tributaria
della Guardia di Finanza di Milano. Dalle loro indagini, è infatti
emerso che Loioli risulta aver intermediato la vendita di oltre 150 milioni
di barili di greggio iracheno e aver pagato,direttamente o indirettamente,
sovrattasse per oltre 4,5 milioni di dollari. Il suo strumento operativo si
chiamava Betoil,ed era una società di trading da lui creata in Grecia
per fungere da cuscinetto tra l'acquirente finale e chi deteneva il contratto
della Somo. "Lo ioli non è un santo –spiega una nostra fonte -,
è stato condannato per frode negli Emirati Arabi uniti ed è
attualmente sotto inchiesta in Grecia e in Italia. Ciò nonostante,
prove documentali dimostrano che nel periodo della sovrattassa riuscì
a crearsi un proprio spazio sul mercato. Aveva capito che le grandi compagnie
erano interessateacontinuare acomprare ilgreggio iracheno ma non potevano
pagare la sovrattassa e quindi avevano bisogno di qualcuno come lui che lo
facesse per loro". In una dichiarazione fatta al sostituto Robledo
trasmessa in Usa, Lo ioli ha ammesso di aver venduto petrolio iracheno a
svariate società, incluso la Chevron,e di aver ripetutamente pagato la
sovrattassa. "Tutti gli acquirenti -spiega - ,nessuno escluso, erano
perfettamente a conoscenza della richiesta irachena relativa al pagamento di
questa tangente e del suo preciso ammontare. Tanto che ciascuna
società acquirente finale la aggiungeva al prezzo ufficiale di
acquisto, mascherandola come se fosse la provvigione da pagare alla
società intermediaria...In realtà erano perfettament a conoscenza
del fatto che alla società intermediaria sarebbe rimasta solo una
parte di questa somma, mentre la parte residua sarebbe stata pagata agli
iracheni. Per quanto concerne la Chevron,sono stato sempre in contatto con il
direttore della divisione della società presso il loro ufficio di
Londra che si occupava specificamente degli acquisti di petrolio
dall'Iraq...Lui mi chiedeva sempre se potevo negoziare ulteriormente congli
iracheni per ottenere di pagare una tangente più bassa.... Il suo nome
era Michael Dugdale". Documenti della Commissione Volcker sembrano
attestare la veridicità di quest'ultima affermazione. Agli inizi del
2002,la sovrattassa su carichi intermediati da Loioli e destinati alla
Chevron risulta infatti essere stata ridotta. La stessa cosa Loioli sarebbe
riuscito a fare per i carichi di un'altra società Usa, la Koch.
Raggiunto telefonicamente a Londra,dove tuttora lavora nonostante abbia
lasciato la Chevron, il trader citato da Loioli, Michael Dugdale,ha
confermato di aver condotto affari con l'italiano ma ha negato di aver
consapevolmente pagato sovrattasse agli iracheni. O di averne negoziato lo
sconto."Per quel che mi riguarda -si giustifica - io negoziavo
l'ammontare della provvigione non della sovrattassa". Ma una email
interna della Chevron rinvenuta dagli investigatori americani lascia pensare
che Dugdale fosse invece consapevole della necessità di pagare la
sovrattassa e avesse informato la società che la provvigione di Loioli
incorporava la tangente irachena. La Chevron ha respinto la nostra richiesta
di commenti sulle asserzioni di Loioli su Dugdalee sul grado di
consapevolezza della società stessa. Quando abbiamo chiesto a Dugdale
se i suoi superiori negli Usa erano informati dei dettagli delle transazioni
con Loioli, la risposta è stata che "ogni singolo affare è
stato approvato dal management. Non ero nelle condizioni di concluderli
altrimenti....Non so se ho parlatospecificatamente della sovrattassa, ma
certamente ho sempre riportato tutto quello che mi diceva Loioli. Ho
un'abbondanza di prove che dimostrano che alla Chevron erano perfettamente
consapevoli di quello che stava succedendo". cgatti@ilsole24ore.us Primo
di una serie di articoli LO SCAMBIO Tra il 2000 e il 2002 pagata una
"sovrattassa" di 30 milioni Determinante il ramo italiano
dell'indagine con le ammissioni del mediatore delle transazioni In trattative
con le autorità giudiziarie Usa. David O'Reilly, amministratore
delegato di Chevron AP.
MILANO- SPIAVANO a tutto tondo, almeno duecento i
nomi passati sotto lente d'ingrandimento, senza un motivo apparente se non
quello di costituire una banca dati illegale, una libera circolazione di dati
privati e vietati, a disposizione di varie agenzie private. E la piccola
banda di spie con punti d'osservazione privilegiata quali Procura e Guardia
di finanza che nel settembre scorso finì agli arresti, alla fine si
è allargata. Si è allargata, dalla cancelliera di un
procuratore aggiunto (Domenica Privinzano), dall'ex addetto stampa delle
fiamem gialle milanesi (Fabio Rattazzo), da un vigile urbano (Massimo Menoncello)
braccio destro dell'investigatore privato più interessato alla libera
circolazione dei dati sensibili (Salvatore Jean Congiu) ad almeno altri due
detective e soprattutto a diversi esponenti delle forze dell'ordine. Tra
questi due vigili dell'Annonaria, un finanziere e quattro carabinieri. Due
dei quali in pianta più o meno stabile dentro il palazzaccio: uno
all'interno dell'ufficio intercettazioni della Procura, l'altro applicato per
un certo periodo proprio nell'ufficio del sostituto Fabio Napoleone, che
conduce l'inchiesta sulle spie, quelle di prima classe, della Telecom di
Giuliano Tavaroli. E persino un maresciallo del Ros che otteneva dal suo
ignaro comandante richieste di accertamenti su tabulati telefonici, per
girarli, a sua volta, a Tim, Vodafone e Wind. LA RICHIESTA di rinvio a
giudizio appena firmata dal sostituto procuratore della Repubblica Tiziana Siciliano che comporterà un'udienza
preliminare di fronte al giudice Simone Luerti a partire dal 2 luglio
prossimo conta undici imputati. Accusati a vario titolo di accessi abusivi a
sistemi informatici, scientifiche violazioni del registro degli indagati
(Rege), anagrafe del Comune, anagrafe tributaria, database delle indagini
delle forze dell'ordine (Sdi). Accusati di corruzione e divulgazione di atti
coperti dal segreto. MA QUESTA STORIA che riporta a scandali di serie A, allo
spionaggio internazionale in atto attraverso la struttura privilegiata di
Telecom, dipinge più generalmente un'Italia divisa tra spioni e
spiati. La cancelliera, all'epoca del procuratore aggiunto Ferdinando
Vitiello e ora trasferita in attesa di nuove processuali in altro ufficio,
giustificò le sue incursioni informatiche con una sorta di
infatuazione verso il fascinoso detective Jean Congiu che, dal canto suo, oltre
a essere ex carabiniere, candidato di Alleanza Nazionale alle ultime elezioni
amministrative e affiliato a loggia massonica, si era aggiudicato con lei e
con il finanziere il controllo di due anticamente-chiave (Procura e Guardia
di finanza) a favore della sua New Global Agency. Le informazioni utili a
Congiu (ed evidentemente anche ad altri detective) venivano consegnate in
busta sigillata direttamente in Procura e al corpo di guardia della caserma
di via Melchiorre Gioia. Il tutto pagato a forfait (orologi, computer, o una
tantum di 50 euro) oppure con tariffe differenziate, 10 o 5 euro ad accesso,
a seconda che emergessero o no precedenti penali nella vita dello spiato.
L'interesse
verso la contesa presidenziale francese, in Italia, s'è concentrato anzitutto sulle
immagini e sui caratteri degli antagonisti, com'è consueto. Poi, gli
osservatori hanno prestato quasi ogni attenzione agli schieramenti politici,
somiglianze o differenze rispetto alle schermaglie italiane. S'è detto
poco, invece, sulla diversità dei problemi che i governi di Parigi e
Roma devono affrontare. Molta politique politicienne, poco sulle sostanziali
condizioni amministrative d'oltrefrontiera. Eppure, certi ragguagli non si
possono ignorare. In Francia il debito pubblico ha superato di poco il 60%
del prodotto interno lordo, mentre in Italia è al 105%, con tassi
d'interesse pesanti. C'è di più, su altre questioni essenziali
per l'economia. In Francia, il 77% dell'elettricità prodotta deriva da
una ventina di centrali nucleari, vantaggio non da poco.
Nell'Italia
sempre più vulnerabile ai costi di petrolio e gas, dinanzi all'incombente penuria
energetica dobbiamo rassegnarci al pericolo del blackout. La Francia, da
tempo, vanta primati come l'alta velocità ferroviaria e in genere le
vaste prestazioni della rete. In Italia, fra gli altri annosi ritardi dell'assetto
infrastrutturale, siamo sempre al «No Tav» per la Torino-Lione o ancora
spesso al binario unico. Simili ritardi possono imputarsi a numerosi governi,
compresi quelli dell' ultimo decennio. S'intende che l'efficienza dello Stato
in Francia, la nazione dalla storia unitaria più antica d'Europa, non
si può assumere a modello per ogni confronto. La storia è
andata così. Oggi tuttavia in Italia ci si dovrebbe almeno persuadere
che ogni governo va giudicato sulla base del più semplice quesito:
«Funziona o non funziona?».
E la risposta
dovrebbe fondarsi non su
pregiudizi favorevoli o contrari, ma su fatti e cifre affidabili. Ormai
parteggiare tra destra e sinistra sulla base ideologica o psicologica d'ogni
«appartenenza » non ha senso razionale, anzi risulta pregiudizievole per
tutti... Si tratta invece di capire dove i modernizzatori possono prevalere
sugli ostacolatori, che in materia di servizi pubblici e infrastrutture
stanno sia dall'una sia dall'altra parte. Discutendo sulla Francia,
dall'autunno 2005 appare allarmante il fenomeno delle sommosse incendiarie
nelle periferie urbane, protagoniste le ultime generazioni delle masse
immigrate non integrate, che si considerano vittime in credito verso gli
eredi del prolungato colonialismo francese nel Maghreb e oltre.
Quel rigetto
sembra destinato a persistere. Ma l'Italia, vulnerabile all'immigrazione clandestina,
già subisce le costanti calamità di mafia o camorra e anche gli
attentati ricorrenti del terrorismo brigatista cronicizzato fra noi da
quattro generazioni. Alcune prove difficili per la Francia d'oggi e dei
prossimi tempi risultano simili a quelle dell'Italia e di altre
società europee, come disoccupazione, precariato, rivendicazioni
generazionali, età pensionabile nell'era della longevità di
massa, congestioni metropolitane, criminalità. Peraltro anche in tempi
di relativa tranquillità e prosperità la Francia è stata
spesso incline, come ricordava Raymond Aron, a una sorta di satisfaction
querelleuse.
Ma il suo
sistema di elezioni, e
di governo, è almeno al riparo dalla paralizzante frammentazione di
partiti e poteri decisionali. Non sembra che fra i 61 milioni di francesi,
confortati da politiche fattive malgrado le variabili obiezioni e
contestazioni, siano frequenti gli umori votati o rassegnati al fatalismo.
Simili umori si manifestano invece fra noi, magari a giorni alterni.
08 maggio 2007
Strana atmosfera a Parigi, domenica, la
sera del secondo turno delle elezioni presidenziali.
Con la sinistra che registrava una netta sconfitta e la destra che riceveva
un mandato chiaro e senza appello, non si è assistito al solito
balletto di vinti e vincitori. Talvolta si è avuta persino la
sensazione di una doppia vittoria, come se ciascuno dei due campi avesse
ritrovato il gusto dell’avvenire.
Mentre i conservatori celebravano l’elezione di Nicolas Sarkozy sullo sfondo
di concetti come autorità, morale, lavoro e orgoglio nazionale,
Ségolène Royal invece, col sorriso sulle labbra, dava appuntamento ai
suoi sostenitori per il rinnovamento del Partito socialista e per le scadenze
future. La candidata socialista ha voluto così far valere il vantaggio
che aveva registrato nel suo campo facendo “muovere i confini” del proprio
partito d’origine, e in questo modo dare continuità alla mutazione
socialdemocratica annunciata in queste ultime settimane. Ci riuscirà?
Sta qui il punto.
Per tentare di vederci più chiaro, esaminiamo gli elementi che giocano
favore e gli ostacoli che si frappongono a questa strategia.
Tra i primi bisogna menzionare il fatto che Ségolène Royal esce da
questa campagna con un risultato vicino a quello ottenuto da Lionel Jospin
nel 1995. Che è lontano dall’essere un successo, ma che ne fa la
leader dei socialisti per gli anni a venire.
Va inoltre menzionata l’erosione dell’estrema sinistra e la maggiore
disponibilità di una parte dei centristi a dei giochi di alleanza
inediti per la Francia. Infine, il semplice e legittimo “desiderio di
vincere” che anima i nuovi aderenti del Partito socialista giocherà
forse in suo favore al momento della designazione del rappresentante della
sinistra socialista per le scadenze future.
Restano gli ostacoli. Il primo è che i concorrenti hanno già
bussato alla porta, anche quelli che si identificano con la linea
socialdemocratica.
È il caso di Dominique Strauss-Kahn, che si è dichiarato
“disponibile” già da domenica sera. Il secondo ostacolo nascerà
dal bilancio di questa campagna. Numerosi dirigenti socialisti accuseranno
Ségolène Royal di aver mancato di accuratezza nelle sue proposte, e di
non essere riuscita a costruirsi una credibilità di donna di stato
all’indomani delle primarie.
Se tuttavia resistesse agli assalti della concorrenza così come alla
battaglia del bilancio, le resterebbe da superare un ultimo ostacolo:
precisare nei dettagli il contenuto del suo nuovo progetto
“socialdemocratico”. Questa parola è chiara quando designa un
posizionamento generale (il centrosinistra).
Ma è molto problematica quando designa un modello sociale più
sostanziale, come suggerisce Ségolène Royal evocando più volte
la via nordica. Perché la Francia non ha né il tasso di sindacalizzazione dei
paesi scandinavi, né un partito operaio di tipo svedese. Inoltre, se la
destra porta a termine il suo programma, tra cinque anni la Francia non
avrà più nemmeno il livello di prelievi obbligatori necessari a
un tale modello.
I conservatori hanno infatti programmato la distruzione del motore
finanziario dello stato assistenziale: propongono di abbassare i prelievi
obbligatori del 4 per cento del pil in cinque anni, ovvero due volte di
più di quanto abbia fatto la signora Thatcher in un tempo due volte
inferiore… Se realizzassero appena la metà di questo obiettivo,
finanziando appena la metà delle spese contenute nel loro programma,
sarebbero spinti a lasciar crescere il debito pubblico, e noi dovremmo
inevitabilmente dare l’arrivederci a una politica di rigore più o meno
a lungo termine.
A meno che non immaginino di fare campagna elettorale, nel 2012, su un
programma di alte imposte – che accelererebbe una nuova sconfitta – i
socialisti dovranno senza dubbio convenire sul fatto che il treno scandinavo,
per loro, è bello che passato.
Segue dalla Prima Così come, due anni prima, i
Progressisti e il centro di Martinazzoli e Segni, andando divisi, con un
equilibrio in voti molto simile a quello tra Royal e Bayrou al primo turno,
avevano determinato il successo di Berlusconi. Fermiamo però un attimo
il gioco dei paragoni e dei rigidi determinismi delle regole elettorali e dei
dati numerici. Non basta allearsi all'improvviso: gli elettorati sono fluidi,
non si riportano meccanicamente. Basti vedere il 65% dei votanti di le Pen al
primo turno che hanno votato Sarkozy a dispetto dell'astensione richiesta
dal loro candidato. Non sarebbe bastato un accordo esplicito tra il primo e
il secondo turno tra Royal e Bayrou, in assenza di una convergenza
politico-programmatica che si poteva forse trovare. Del resto Sarkozy
da tempo aveva messo in cantiere uno sfondamento a destra che lo scopriva
però tra gli elettori di centro. Forse non basterebbe neanche ora un
accordo per le imminenti elezioni legislative senza il quale, però,
Bayrou rischia di essere cancellato dalla prossima Assemblea Nazionale e il
Ps di essere ridimensionato. Forse, se ci fosse stato il doppio turno
nell'Italia del 1994, Progressisti e Popolari non avrebbero sommato i voti
perché il ritiro del Pds dal Governo Ciampi aveva privato entrambi della
possibilità di capire quanto fossero vicini in termini programmatici.
L'Ulivo del 1996 non era la mera somma dei due schieramenti perdenti del 1994
e fu preparato per tempo, individuando una leadership di cerniera, quella di
Prodi, e sommando il radicamento residuo dei partiti con un certo grado di
mobilitazione dal basso, di riconoscimento in un'identità nuova, anche
pagando i prezzi di alcune rotture (Buttiglione a destra, Rifondazione a
sinistra). È pertanto giusto, nonostante tutte le differenze, guardare
alla Francia e chiedere all'arco delle forze riformiste che non hanno votato Sarkozy
di non aspettare passivamente il Godot dell'alternanza politica tra cinque
anni perché essa non verrà da sola. La nuova capacità di
rompere la barriera con gli elettori del Fronte Nazionale è un dato
strutturale, difficilmente reversibile. Il centrosinistra non potrà
più vincere con una minoranza di voti grazie alle divisioni del campo
avverso. In situazioni del genere solo una nuova offerta politica può
cambiare gli orientamenti stabilizzati nell'elettorato. In astratto un Ulivo
francese, l'Olivier da costruire invece del Godot da aspettare, può
certo realizzarsi in modi diversi. Si può accordarsi con Bayrou e
quella parte dell'Udf che in raccordo con Prodi e Rutelli concepisce il
Partito Democratico europeo in coerenza con una scelta bipolare. Si potrebbe
forse, in assenza di accordi, sul lungo periodo tentare la strada ben
più difficile e dolorosa di convincere direttamente gli elettori di
centro, al prezzo di una svolta radicale come fece il New Labour di Tony
Blair. Quel che è certo è che il Partito socialista francese
non può più vivere di rendita. Fino dalla sua genesi del 1971
era la stessa esistenza del Partito Comunista alla sua sinistra a darne
un'immagine riformista, mentre si dibatteva nell'incoerenza tra un discorso
massimalista e una prassi moderata, senza mai riconciliare il primo con la
seconda. Svanito il Pcf e frammentatisi la sinistra estrema in una serie di
rivoli protestatari, quell'appuntamento, l'età adulta, non può
più essere rinviato. Non sarà una vecchia sinistra a
soppiantare una nuova destra. Sbaglieremmo anche noi, però, a cullarci
sugli allori, limitandoci a guardare alla Francia come l'Italia del 1994. C'è una
tendenza masochistica forte nell'esperienza italiana che si rivela in questo
periodo in almeno tre fenomeni. Il primo è quello di dichiarare aperta
anzitempo una corsa alla leadership del 2011 quando gli elettori attendono
risposte a quella eletta solo un anno fa con le Politiche e scelta nelle
Primarie due anni fa. Fatta per tempo è una competizione sana che
allarga la partecipazione, decretata anzitempo è una gara fratricida.
Il secondo è quello di anticipare un calendario per la Costituente
che, proprio perché lo si vuole partecipato, deve poter decollare articolando
proposte, progetti, persone in grado di renderli visibili. Almeno un mese di
visibilità dei candidati alla Costituente è il minimo per
suscitare questo movimento. Il terzo è la legge elettorale, la
condizione di abitabilità di un sistema politico. Gli elettori potranno
accettare a regime anche vari limiti dell'azione di Governo perché sanno che
essi sono dovuti in modo preponderante alla brutta legge "porcata".
Ma saranno comprensivi solo se noi la rimuoveremo con una riforma radicale
perché ci può essere comprensione per l'inerzia sugli effetti, ma non
per non averne rimosse le cause. Neanche noi che abbiamo costruito l'Ulivo
possiamo aspettare Godot.
L'esecutivo avrà 15 membri. Primo ministro FranÇois
Fillon i vincitori Nel toto-ministri una forte presenza femminile. Molte
novità e alcune conferme GIAMPIERO MARTINOTTI dal nostro
corrispondente PARIGI - Sarà lei il volto nuovo della Francia sarkozysta,
il simbolo di una giovane classe politica femminile che tenta di emergere.
Rachida Dati, 41 anni, era una sconosciuta fino a quattro mesi fa, quando il
neo-eletto presidente della Repubblica l'ha scelta come sua portavoce. Nata
in una famiglia di dodici figli, padre marocchino e madre algerina,
magistrato, la Dati è un puro prodotto della "République",
cioè di quel modello francese che un tempo offriva a tutti la speranza
di un'ascesa sociale e che oggi, invece, perde colpi e non garantisce
più uguali possibilità a tutti i giovani. In queste settimane
la Dati si è conquistata una certa popolarità: bella,
intelligente, capace di esprimersi con un linguaggio comprensibile, calma e
gentile ma sempre determinata, ha finito per rivelarsi una persona chiave nel
dispositivo della campagna. E Nicolas Sarkozy sembra deciso a
premiarla, a darle la chance di far vedere quel che vale: secondo il
toto-ministri, l'attività più gettonata del mondo politico in
queste ore, potrebbe prendere la guida della Giustizia o del nuovo dicastero
dell'Immigrazione e dell'identità nazionale. Il nuovo governo
sarà composto da appena quindici membri, cui si aggiungerà un
numero ancora imprecisato di sottosegretari, che verranno nominati soltanto
dopo le politiche di giugno. Sette posti dovrebbero essere riservati alle
donne. Nel 1995, le donne del governo Juppé vennero ribattezzate
"juppettes" e adesso, con ben poca fantasia, si parla già di
"sarkozettes". Tra di loro alcune vecchie conoscenze, come Michèle
Alliot-Marie (attuale titolare della Difesa) o Catherine Lagarde (ora al
Commercio estero). Ma fra i volti nuovi potrebbe esserci anche Anne
Lauvergeon, presidente del gruppo nucleare Areva e "sherpa" di
FranÇois Mitterrand. Da tempo conosce Sarkozy, con il quale è
in buoni rapporti, e potrebbe essere lei la figura di
quell'"apertura" tanto vantata dal neo-presidente. Nel genere
"giovane, bella e intelligente" molti puntano su Valérie Pecresse,
stella nascente dell'Ump ed ex collaboratrice di Jacques Chirac, mentre fra i
difensori della morale cattolica si cita il nome di Christine Boutin,
capofila della lotta contro i Pacs nel 2000. Fra le nuove stelle,
probabilmente solo come sottosegretario, ci potrebbe essere anche Nathalie
Kosciusko-Morizet, specialista dei problemi ecologici. A guidare la compagine
governativa sarà però un uomo, FranÇois Fillon, 53 anni. Da
tempo si è conquistato la fiducia di Sarkozy, che ne aveva
fatto il suo consigliere politico. Esponente di quell'ala del gollismo
attenta alle problematiche sociali, è conosciuto dai francesi
soprattutto per aver varato la riforma delle pensioni del 2003. è un
uomo calmo e pacato, un carattere diametralmente opposto a quello di Sarkozy.
Nel governo ci dovrebbe essere anche il popolarissimo Jean-Louis Borloo
(attualmente al Lavoro) e un dosaggio tra personaggi con esperienze
ministeriali e giovani alle prime armi. Inoltre il nuovo governo dovrebbe
ridisegnare i contorni dei dicasteri: sarà creato un grande
raggruppamento per la Strategia economica e il Lavoro, mentre i Conti
pubblici (cioè il Bilancio) sarà staccato; la Pubblica
istruzione ingloberà Cultura e comunicazione; il ministro
dell'Ambiente sarà titolare anche di Energia e Trasporti. Tra i vecchi
nomi spunta quello di Alain Juppé: potrebbe andare agli Esteri oppure presiedere
l'Assemblea nazionale. Infine, non bisogna dimenticare l'uomo che l'altra
sera ha accompagnato sul palco della Salle Gaveau Sarkozy, la sua
eminenza grigia: Claude Guéant. Un prefetto che in cinque anni di
collaborazione con il leader della destra ha dato prova di un raro fiuto
politico e di capacità organizzative non comuni. Sarà lui il
nuovo segretario generale dell'Eliseo, cioè l'uomo chiave nel palazzo
del potere.
Il presidente della Camera in viaggio in Israele commenta i
risultati francesi: "Sarkozy mi ha spiazzato, non mi piace ma
è forte" di Natalia Lombardo inviata a Ramallah "Scusate se
uso questa parola, ma la sinistra in Europa ha bisogno di una
"rifondazione". In Francia ha perso perché è debole e non ha
un'idea di fondo, e la sinistra alternativa è rimasta isolata, ognuna
abbarbicata alla propria bandiera di partito". Fausto Bertinotti ha
molta voglia di commentare la sconfitta di Sègoléne Royal, parlando da
Gerusalemme dopo aver incontrato le autorità palestinesi a Ramallah.
"Spiazzato" dalla forza del messaggio di Sarkozy vede nella
crisi della sinistra francese lo specchio di quella europea. Delle questioni
italiane non vuole parlare ("no, altrimenti sembra che penso alle
alleanze con questo o quel partito."). Ma alla luce di quel che è
successo a Parigi l'ex leader di Rifondazione insiste proprio su questa
parola: ritrovare i "fondamentali", l'ordine dei problemi che si
ripropongono "ogni cinquant'anni, negli anni 20, nel dopoguerra e
ora", anziché perdersi nel contingente della presa di posizione sui
singoli temi, quel "mimetismo" dare una risposta ai temi del
giorno, siano pure i diritti o le pensioni. Problema europeo, ma il fine
è il contraltare al Partito Democratico, quindi la ricerca di
"una soggettività unitaria e plurale della sinistra alternativa,
che pungoli la sinistra riformista in un costante corpo a corpo". Superare
i vecchi schemi anche sociali, sfidare la modernizzazione e la
globalizzazione, terreno in cui la destra è in vantaggio dal momento
che si fonda "sulla libertà di mercato", mentre a sinistra,
sia in quella riformista che in quella alternativa, un "valore fondante
non c'è". Ma se perde il connotato sociale, "la sinistra si
perde" e la destra vince perché ha dalla sua parte i poteri forti. Il
problema, per Bertinotti, è ricreare una cultura politica (non avendo
più quel "vento in poppa" delle lotte operaie, quando
"il contratto dei metalmeccanici dettava la scena"). Ora hai il
contratto ma non più gli operai che si mobilitano. Quanto ai
riformisti, "facciano vedere cosa sanno fare". A Bertinotti non
interessa: "Piuttosto che dare una risposta socialdemocratica classica
è meglio riproporre la categoria di Antonio Gramsci dell'egemonia di
una classe sulla società". Questo il concetto, da estendere ai
mutamenti di una classe debole che non ha più solo il marchio operaio.
Bertinotti sembra pensare che in Francia la sinistra abbia sbagliato tutto,
mentre è rimasto colpito, anzi "spiazzato" dalla "forza
del messaggio" del vincitore Sarkozy, se pur di destra:
"Bastava vederlo esultare a Place de la Concorde, tutta la piazza che
cantava la Marsigliese, questo richiamo alla Francia, un segno identitario
fortissimo. un colpo d'ala". Una destra compatta perché ha "un'idea
forte", anche se sposata al populismo, l'"antipolitica".
Niente di più che l'alleanza di Berlusconi con la Lega. E non è
bastato il "nuovismo" di Ségolène, l'essere andata avanti
contro "tutti gli elefanti" (i grandi vecchi del Partito socialista
francese). Il nodo di fondo, per Bertinotti "è la mancanza di
un'idea: qual è l'idea di società per una forza riformista?
Quale modello economico, sociale e di democrazia propone anche in
Europa?". Però non salva neppure la sinistra che chiama
alternativa, frantumata e chiusa nei recinti dei partiti (non lo dice, ma il
pensiero vola dritto ai satelliti italiani, preoccupati di essere annullati
in una Rifondazione al quadrato). Insomma, senza perdersi nella lista della
spesa quotidiana, la sinistra se vuole vincere trovi la sua ragione di
esistenza in "un'idea di società". Ma senza far passare
cinquant'anni.
Il
Giornale 8-5-2007 L'Europa
e "l'équipe dei sogni" Gian Pietro Caliari
Per un continente, il nostro, abituato alla gerontocrazia del
potere, l'elezione del cinquantenne Nicolas Sarkozy alla guida della
Francia è già in sé un notizia positiva. A Bruxelles, qualcuno
già indica la nuova squadra di potere europeo come il "l'equipe
dei sogni". Sarkozy e il Cancelliere tedesco Angela Merkel,
stessa età anagrafica; stessa provenienza geografica, l'Europa
orientale; e uguale tempera spirituale: dal nulla delle famiglie d'origine
alla vetta del potere. Non sarà difficile per loro - si pronostica -
trovare una facile intesa anche con l'altro cinquantenne, in realtà di
un anno più giovane, José Manuel Barroso, il Presidente della Commissione
Europea. La Merkel, per motivi di vicinanza politica, contava sulla vittoria
di Sarkozy. Più, in generale, l'Europa politica diffidava della
sfidante Ségolène Royal: troppo debole politicamente nell'intricato
gioco del socialismo d'Oltralpe, dove conta assai meno del marito, con idee
assai più confuse sulla futura politica europea della Francia. Persino
da noi, chi aveva emotive vicinanze politiche con la Royal, ha tirato un
sospiro di sollievo alla vittoria dell'ex ministro degli interni francese. Il
presidente eletto - lo sarà di fatto solo dal prossimo 17 maggio - ha
già annunciato i suoi primi viaggi, nell'ordine: Bruxelles, Berlino,
Washington, e l'Africa. Bruxelles, per riaffermare che nella diplomazia
francese l'Europa rimane "l'invariabile variabile" della
collocazione geopolitica della Francia, ma anche che Parigi vuole molto e
molto di più. Per esempio, una politica più aggressiva della
Banca Centrale Europea sui tassi di cambio e una politica più efficace
della Commissione in favore dell'impiego. Berlino, perché l'asse
franco-tedesco - nella tradizionale visione gaullista - è essenziale
alle relazioni bilaterali e sostanziale a quelle europee. La Merkel,
presidente di turno, cerca un successo limitato nel riportare in vita il trattato
costituzionale: per questo sta facendo circolare un breve documento in dodici
punti. Sarkosy condivide: ma, questa volta, il popolo e i referendum devono
essere lasciati fuori dalle strategie dei leader. Washington. Tempo di
cambiamenti dopo la fierezza di toni e di modi di Jacques Chirac. Sarkozy,
avrà di fronte a sé un presidente americano reso più flessibile
dal calo di popolarità, ma soprattutto dalla guida della fedele, ma
soprattutto, brillante cinquantenne Condoleezza Rice, vera eminenza grigia di
questa fase finale della presidenza Bush. L'Africa, paradigma di una Potenza
quella francese mai rassegnata al ruolo di ex-coloniale. Ogni presidente ha
cercato il suo sogno africano. Sarkozy si giocherà l'Africa in
termini interni: dopo aver definito i giovani sbandati delle periferie -
soprattutto provenienti dalle ex-colonie francesi dell'Africa - della
"racaille (immondezza) da pulire con gli idranti della pulizia",
userà le aspettative e le miserie del continente nero per dimostrare
che la destra al potere non esclude nessuno. Non l'ha certo fatto con lui,
immigrante di padre ungherese e di madre greca ed ebrea - quando a suoi tempi
il termine racaille includeva di certo anche queste categorie etniche.
Rutelli: prova che la sinistra da sola non è
autosufficiente Bertinotti: bisogna creare il socialismo del XXI secolo Forza
Italia e An applaudono al successo del neogollista Napolitano: Francia
essenziale per l'Ue Prodi: il voto di Parigi spinge per il Dp. Casini: anche
da noi un cambio generazionale LE REAZIONI IN ITALIA ROMA. In attesa che
Monsieur Sarkò arrivi a Roma (nel già annunciato Grand tour
delle capitali europee da inquilino dell'Eliseo) centrodestra e
centrosinistra italiani continuano a cercare risvolti nostrani nella grande
vittoria del candidato gollista, nella sconfitta della gauche e della Royal,
nel nuovo "patto presidenziale" già proposto da Sarkozy
ai centristi di Bayrou per le vicinissime legislative. Il neopresidente
francese ha ricevuto ieri dal Capo dello Stato italiano, Giorgio Napolitano,
un messaggio di auguri e una telefonata di congratulazioni. Sarkozy ha
poi chiamato Romano Prodi per ringraziarlo dell'apprezzamento espresso subito
dopo la vittoria dal premier italiano (che ieri ha avuto una cordiale
conversazione con Segolene Royal). Dalla Farnesina è partito invece il
messaggio personale del ministro degli Esteri Massimo D'Alema. Tutti -
Napolitano, Prodi e D'Alema - hanno voluto ringraziare Sarkozy per
aver riportato al centro della politica francese la costruzione europea.
Intanto, al centrosinistra resta il rimpianto che in Francia non sia maturato
prima - come in Italia - un processo politico di unione delle forze
socialiste e di quelle del centro moderato. "La lezione per noi è
quella di andare avanti decisamente con il partito democratico", sprona
Prodi. La sconfitta di Madame Royale diventa anche per Piero Fassino,
segretario dei Ds, "la conferma della strada intrapresa in Italia per la
costruzione di un forte soggetto politico riformista di centrosinistra che
abbia consenso maggioritario". "La sinistra da sola non è
autosufficiente - assicura Francesco Rutelli -. L'intuizione dell'Ulivo si
è rivelata azzeccata e l'Italia fa da battistrada ad alleanze nuove,
anche nelle idee e nei temi". Anche Giuliano Amato e Walter Veltroni
invitano la sinistra a dare risposte nuove, in Francia ma non solo. "I
socialisti francesi - osserva il sindaco di Roma - tolto il caso Mitterand
hanno perso tutte le elezioni da decine di anni. È venuto il momento
di capire che i linguaggi e i temi della politica sono quelli del nuovo
millennio e non più quelli del novecento". "La crisi della
sinistra è profonda - ammette anche Fausto Bertinotti, presidente
della Camera -, deve rifondarsi per dar vita al socialismo del ventunesimo
secolo". L'auspicio del centrodestra, intanto, è che anche in
Italia arrivi l'onda lunga della vittoria Sarkozy. "Con i temi
giusti e la giusta campagna elettorale la vittoria arriva - garantisce
Gianfranco Fini, leader di An e personale amico di Sarkozy -. La vera
parola magica è stata "rottura", qualcosa di più del
rinnnovamento: rottura di vecchi schemi, del modello anchilosato del vecchio
gollismo che parlava più alle elites che alle masse".
Identità nazionale, sicurezza e giustizia sociale, per il leader della
destra italiana, possono diventare anche da noi le parole d'ordine vincenti.
"Dalla Francia viene un no ai vecchi e logori schemi della
sinistra", esulta Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi.
"L'inizio della fine di Prodi e del Partito democratico", assicura
l'azzurra Isabella Bertolini, annunciando sorprese alle prossime
amministrative. La vicina Francia, dice invece Pier Ferdinando Casini,
insegna anche a noi che "è l'ora di cambiare tutto: politica,
classe dirigente, logori stereotipi destra-sinistra e persino
leadership". Silvio Berlusconi, ancora una volta, è servito.
La
Nuova Ferrara 8-5-2007 A
PARIGI UNA DESTRA MODERNA DA NOI POPULISMO E SAGRESTIA. GIANCESARE FLESCA
Il merito maggiore della
elezione di Nicholas Sarkozy all'Eliseo sta nel fatto che essa chiude
un trentennio imbalsamato dal duo Mitterrand-Chirac e porta al potere una
nuova generazione di cinquantenni. Basterebbe questa constatazione a dire che
il voto francese dovrebbe insegnare molte cose all'Italia. Ma il successo di
"Sarkò" va ben oltre il dato anagrafico. Riguarda piuttosto
il tipo di destra che il neo-presidente ha voluto costruire a sua immagine e
somiglianza. Una destra che ha saputo tagliare l'erba sotto ai piedi di Jean
Marie Le Pen senza compromettere troppo la sua immagine democratica. La
destra "à la Sarkozy" ha cavalcato spregiudicatamente
il tema della sicurezza nelle città e nelle banlieu musulmane
riuscendo a convincere gli elettori che non avevano mai dato credito a Chirac
su questo terreno. Il neo presidente ha rassicurato le classi popolari
sperdute di fronte alle prospettive di "globalizzazione", mentre ha
promesso alla borghesia riforme e riduzioni fiscali. Di se stesso ha saputo
esprimere un'immagine granitica anche se sovente, in questi anni di training
per l'Eliseo, ha detto di tutto e il contrario di tutto. Come ministro delle
Finanze e degli Interni è stato interventista e liberista nei
confronti di un mercato che però è rimasto negli anni il Moloch
cui offrire sacrifici ed onori. Filoamericano al cento per cento,
"Sarkò" ha capito che per conquistare gli elettori francesi
bisognava criticare Bush per la guerra in Iraq. E appena eletto ha spiegato
che lui sarebbe stato sempre amico degli americani, senza cadere però
nel servilismo. Da lui la Francia si aspetta un europeismo temperato, capace,
com'è avvenuto in passato, di mostrarsi protezionista e nazionalista.
Quanto alle sue minacce di brandire la scopa con la "feccia" delle
periferie, non va preso troppo alla lettera, se è vero com'è
vero che tiene forte a braccetto l'Uoif (Unione islamica dei musulmani di
Francia) e le gerarchie degli ulema. In più, il neo presidente ha
saputo tenere legato al proprio carro tutto il padronato francese, che ha
mobilitato le proprie ingenti risorse mediatiche in suo favore. Una destra
così, l'Italia se la sogna. Incapaci di costruire sul nulla una
gerarchia di valori, gli uomini della destra italiana vivacchiano fra
populismo e sagrestia. A 71 anni il fascino non può bastare a
Berlusconi, se non si incarna in un progetto politico a tutto campo come
quello costruito sapientemente da Sarkozy. Ma anche a sinistra il voto
francese dà di che pensare. La Royal infatti ha spolverato le
ragnatele di cui era pieno l'edificio storico del PS e, tralasciando la
mitologia dell'"unitè de la gauche", ha saputo trovare nuove
alleanze al centro, con Francois Bayrou. Anche se non ha vinto, s'è
dimostrato una volta di più che la sinistra può farcela se
guarda non ai rimpianti del passato, ma alle proposte del futuro.
Il sindaco di
Roma risponde al nostro lettore: così si sta dalla parte dei deboli
"Invocare la legalità non è politacamente scorretto".
Moltiplicare gli strumenti di integrazione per chi rispetta la legge
ROMA - Caro direttore, Repubblica ha ospitato
ieri in prima pagina la lettera di una persona di sinistra, colta, attenta a
quel che avviene nella sua comunità, che insegna alle sue figlie i
valori della tolleranza e della nonviolenza, e che al tempo stesso non ne
può più dei reati compiuti dagli immigrati (e ovviamente non
solo da loro) e chiede sicurezza, pretende legalità, vuole che chi
sbaglia paghi. Qualcuno vede in questo una contraddizione? Un uscir fuori dai
binari del "politicamente corretto"? Se fosse così questo
qualcuno sarebbe a mio avviso fuori strada, o meglio: sarebbe fermo a schemi
che il nostro tempo, e la vita vera delle persone, si sono incaricati di
superare.
La legalità non è di destra o di sinistra. La legalità
non ha, e non deve avere, colore politico. E' un diritto fondamentale dei
cittadini, e chiunque è al governo di una comunità sa che
assicurarne il rispetto è un suo compito, un suo dovere. Soprattutto
oggi, perché ogni persona che abbia occhi per vedere e orecchie per sentire
percepisce che effettivamente, nella nostra società, le braci
dell'insicurezza e della diffidenza verso gli stranieri rischiano di
trasformarsi in un incendio di intolleranza e poi di odio, di chiusura e poi
di esclusione. Quanto di più assurdo e pericoloso per la convivenza di
tutti. E' il paradosso di un tempo globalizzato: riemergono barriere e
conflitti di identità, religiosa o etnica. E' il rischio che dobbiamo
evitare.
Cosa fare, dunque. Si evitino, intanto, le facili polemiche, i tentativi di
cavalcare i problemi per fini di parte, per avere dei piccoli tornaconti dopo
aver alimentato le paure dei cittadini. Una volta fatto questo, c'è
secondo me un duplice atteggiamento da tenere, e per darne l'idea vorrei
portare un esempio concreto. Qualche mese fa ho incontrato i ragazzi di un
liceo di Roma, che mi hanno raccontato di atti di teppismo, di furti di
motorini, di un clima sempre più pesante. Tutto ad opera di alcuni rom
del vicino campo di via Lombroso. In quei ragazzi non ho trovato alcuna forma
di razzismo, nelle loro parole non c'era nulla di pregiudiziale: c'era la
volontà di vedersi assicurato il diritto di vivere serenamente nel
loro quartiere, c'era una richiesta di legalità, alla quale abbiamo
risposto concretamente. Con l'assessore competente abbiamo svolto diverse
assemblee nel campo, purtroppo senza esito. Le famiglie responsabili di
quegli atti sono state quindi allontanate, mentre tutte le altre sono rimaste
a vivere in quello che è uno dei tanti villaggi attrezzati nei quali
in questi anni abbiamo trasferito i rom che prima vivevano in insediamenti
abusivi e non controllati.
Ecco il duplice atteggiamento: condizioni di vita migliori,
scolarizzazione e inserimento lavorativo, in una parola solidarietà,
per chi rispetta la legge e le regole di convivenza civile. Fermezza e
assoluta severità per chi di queste leggi non si cura e queste regole
le infrange.
Fare così è indispensabile. Pensiamo a cosa sono e a cosa
stanno diventando sempre più velocemente le nostre società.
Pensiamo all'Italia, dove gli stranieri sono passati dal milione e
seicentomila del 2000 ai tre milioni e seicentomila di oggi. Sono due milioni
di persone in più, in pochi anni. Sono storie e culture diverse, sono
modi diversi di credere e di rapportarsi agli altri. O tutto questo
saprà convivere, o si rafforzerà nel rispetto delle differenze
un patrimonio comune di regole condivise, oppure i problemi sono destinati a
moltiplicarsi.
Noi, come italiani, sappiamo cosa vuol dire emigrare, cosa vuol dire lasciare
la propria terra, la propria casa, in cerca di speranza, di una vita migliore
per sé e per i propri figli. L'Italia è stato un paese povero, che
dopo la guerra si è risollevato grazie agli aiuti della
comunità internazionale. Possibile non si riesca a comprendere che ora
spetta a noi fare altrettanto, non solo perché è giusto moralmente, ma
perché la prima radicale risposta in tema di immigrazione e di sicurezza
è riuscire a fare in modo che dai paesi poveri non si debba più
fuggire? Contemporaneamente, con la stessa radicalità si devono
governare i flussi di entrata e moltiplicare gli strumenti di integrazione. E
con la stessa radicalità bisogna affermare il principio che per chi
sceglie di vivere in Italia, non ci sono solo diritti: ci sono i doveri, ci
sono le leggi da rispettare. Integrazione e legalità devono sempre
convivere.
Bisogna evitare ogni generalizzazione a danno di rom o
immigrati, ricordando sempre che molti dei delitti più efferati sono
opera di italiani come noi. Ma è anche tempo, per chi si sente di
sinistra, di comprendere che battersi per la legalità significa stare,
come è sempre giusto fare, dalla parte dei più deboli. Se
c'è un rom che ruba la pensione ad una vecchietta, per poi andarsene
in giro in Mercedes, chi è il più debole? E se alcuni immigrati
spacciano droga o sfruttano la prostituzione, a danno del ragazzo che
distrugge la sua vita, della minorenne buttata in mezzo a una strada dalla
quale va tolta, e di tutti gli abitanti di quel quartiere, chi sono i
più deboli? Per chi minaccia il diritto alla sicurezza e alla
legalità dei cittadini, per chi ruba alla società quel bene
prezioso che è la serenità, c'è solo una risposta, ed
è la severità e la fermezza con cui pretendere che rispetti la
legge e che paghi il giusto prezzo quando questo non accade, quale che sia la
sua nazionalità. Allora saremo anche più forti nel momento in
cui vogliamo far vivere concretamente parole come solidarietà,
accoglienza e integrazione. Allora potremo sperare che quelle braci non si
trasformino in un incendio, perché saremo riusciti a spegnerle.
Negli anni della “rivoluzione conservatrice” di Reagan e della Thatcher molti
becchini diedero per morto il socialismo europeo. Poi abbiamo assistito a
smentite clamorose testimoniate dai successi dei partiti socialisti in quasi
tutti i Paesi europei negli anni Novanta. Partiti che avevano aggiornato,
anche attraverso una dura lotta politica, le loro piattaforme politiche e
culturali. Oggi siamo in una fase in cui i partiti socialisti si ritrovano in
difficoltà. La tardiva riscossa del socialismo francese, con
Ségolène Royal, non aveva alle spalle una elaborazione critica e una
piattaforma politica condivisa per sconfiggere un Sarkozy che, invece, aveva
costruito un retroterra solido sulla base di un revisionismo conservatore cui
si sono arresi Le Pen e lo stesso Chirac. Tuttavia la Ségolène ha
creato le premesse, come notava Paolo Franchi ieri, per riaprire un discorso
che non sia, come molti sperano, una “resa dei conti”.
Ma ecco che in Italia si rifanno vivi i certificatori della morte del
socialismo democratico. Un pensatore della Margherita e teorico del Partito
democratico, come Antonio Polito, che tifava Sarkozy, ha dichiarato che il
risultato francese «mette in soffitta la funzione del socialismo di stampo
classico anche nella versione della donna giovane e aggressiva». Lasciando
stare le soffitte, bisogna invece ragionare su come reagire, come fecero i
socialisti europei alla fine degli anni Ottanta, dopo la caduta del muro di
Berlino, che seppellì il comunismo ma non il socialismo democratico.
Il quale riuscì a mettere in campo politiche innovative conquistando
consensi in una vasta area di centrosinistra. Su questa strada occorre andare
ancora più avanti.
In Italia questo compito non potrà essere assolto dal Pd. Questo
partito è destinato a perdere sia frange centriste perché considerato
un partito di sinistra sia gruppi di sinistra che lo vedono come una forza
centrista. La manifestazione con cui Mussi e Angius hanno inaugurato il loro
percorso politico lo testimonia. Dico subito che la linea che è emersa
nella assemblea di Sinistra democratica è confusa e contraddittoria.
La proclamata adesione al Pse non può essere un distintivo da mettere
all’occhiello, ma una politica nettamente distinta dalla sinistra
antagonista. Una sinistra, questa, che nessuno vuole demonizzare, ma che deve
fare i conti con se stessa, come partito di governo e forza che si definisce
antagonista al sistema. Il pericolo che io intravedo è il congelamento
di una sinistra pasticciata e di un Partito democratico asfittico, entrambi
in cerca di identità all’interno di un quadro politico sempre
più confuso e incerto. La costituente socialista, proposta a Bertinoro
e a Fiuggi, potrebbe essere un’occasione per costruire un punto di riferimento
(non per dare vita a un partito socialista del 3 o 4%) ovvero una forza in
grado di offrire a tutti i socialisti che si riconoscono nel Pse una casa in
grado di essere stimolo critico anche per il Partito democratico.
Dominique Strauss-Kahn, antagonista della Ségolène, fautore di una
politica di centrosinistra non ha detto di «mettere in soffitta il
socialismo» e di dar vita a un partito democratico ma di costruire la
socialdemocrazia. Mussi, Angius e i loro compagni devono dirci quale è
la loro prospettiva, dopo una manifestazione calorosa ma senza una chiara e
comprensibile linea politica.
Il Guardasigilli replica: "Ci sarò, anzi invito
tutti" Il rabbino di Roma contro i Dico. Grillini, Arcigay: "Questo
è razzismo" Family day, lite tra ministri Bindi a Mastella: non
andare ROMA Scontro nel governo sul Family Day. In vista della manifestazione
che si terrà sabato prossimo a piazza San Giovanni, Rosi Bindi chiede
a Clemente Mastella di non partecipare e fa notare che "per
sobrietà e correttezza" si dovrebbe rimanere a casa. "I
ministri non debbono scendere in piazza perché è una contraddizione in
termini, anche nelle manifestazioni che appoggiano il governo" dice il
ministro per la Famiglia. Ma l'invito non viene raccolto da Mastella che non
cede e anzi rilancia: "Io ci sarò, anzi, invito tutti a
partecipare. Se ci saranno anche i giornalisti mi farà un gran
piacere" risponde il Guardasigilli, che conferma la sua netta
contrarietà al ddl sui Dico e sceglie l'ironia per contrastare la sua
collega di governo: "Se domenica mattina il ministro Bindi mi invita a
pranzo volentieri accolgo l'invito, ma sabato sono impegnato al Family
Day". La macchina organizzativa del Family Day continua a marciare senza
sosta, con 1.500 volontari del Forum delle Famiglie pronti la kermesse del 12
maggio. Ieri ,oltre alle consuete schermaglie politiche tra i due
schieramenti, con Emma Bonino che difende l'incontro "Coraggio
Laico" di piazza Navona ("Noi manifestiamo a favore di qualcosa, a
San Giovanni contro"), i toni si sono alzati anche per la presa di
posizione di Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma: "Ci sono buoni
motivi" per rompere il silenzio della comunità ebraica sui Dico,
ha scritto il rabbino sulla rivista Shalom, affermando che questi contengono
"una prima forma di riconoscimento legale" dell'omosessualità
maschile che, dice citando a sostegno il Talmud, è
"inaccettabile". Durissima la reazione della comunità gay.
Rispondendo al rabbino, Franco Grillini, presidente onorario di Arcigay, ha
parlato di "razzismo anti-omosessuale, inaccettabile. Forse - ha aggiunto
con un filo d'ironia - hanno dimenticato che insieme agli ebrei, nei campi di
sterminio nazisti, c'erano anche degli omosessuali". Grillini, sorpreso
perchè si è sempre schierato a difesa di Israele. ha fatto
appello alla comunità di dissociarsi da Di Segni e di non partecipare
al Family day. La contro replica è stata di Riccardo Pacifici,
portavoce della Comunità, che ha chiesto più rispetto per la
posizione del rabbino: "Sono dispiaciuto che su un tema così
delicato, sul quale, ovunque si possono assumere posizioni e soprattutto opinioni
diverse, ci sia una reazione così feroce come quella che ha espresso
l'amico Grillini". Prende le distanze da Di Segni, invece, il deputato
Ds Emanuele Fiano, esponente della comunità ebraica romana, mentre
Amos Luzzatto, ex presidente dell'Unione delle comunità ebraiche
italiane non vede "in quale forma dobbiamo temere che questa legge possa
influenzare la famiglia e il matrimonio ebraico". Timori per la tenuta
della famiglia che invece ha ribadito da parte cattolica il teologo monsignor
Rino Fisichella, rettore della Pontificia università Lateranense:
"Non potremo mai accettare che sulla famiglia lo Stato si dia una
legge che stravolga quello che lo Stato stesso si è dato nella
sua Costituzione". Sul piano politico, continuano gli inviti a lasciare
fuori i partiti, con la teodem della Margherita, Paola Binetti, che avverte:
"non permetteremo alcuna strumentalizzazione della destra". Cdl che
continua a criticare il governo, mentre il leader dei Ds, Piero Fassino
assicura che le "forze del futuro Partito democratico guardano senza
ostilità e con attenzione" alla piazza di San Giovanni,
"anche se questo non vuol dire condividere. Con loro noi possiamo
interloquire", e il Pd su questo tema "può costruire una
sintesi politica".
LA PROTESTA CONTRO I DICO Ancora una volta viene da chiedersi
quale scopo possa prefiggersi la manifestazione cattolica del Family day,
indetta per il 12 maggio (anniversario della legge sul divorzio) a Roma, se
non quello di esprimere una decisa volontà di rivincita, capace di
tagliare la testa ai Dico e di dimostrare la propria forza. Ma era davvero il
caso di organizzarla questa manifestazione in un momento così delicato
dei rapporti tra Stato e Chiesa? Le autorità religiose ne sono
proprio convinte? Intanto, come conseguenza, a Milano, il giorno prima, il
movimento internazionale dei cattolici conciliari si riunirà
per dire no a quella che considera una crociata dei vescovi contro i Dico. Nello
stesso giorno a piazza Navona ci sarà una contromanifestazione. La
contromanifestazione del coraggio laico organizzata da socialisti e radicali.
Mentre la cattolica ministra Rosy Bindi considera il Family day un attacco
strumentale alla legge da parte di una destra che cerca di specularci per
ragioni puramente politiche. Insomma, come era prevedibile il clima si
è fatto di nuovo incandescente e rischioso, perché è in tal
modo che si solletica la voglia di violenza da parte delle frange estreme
alla ricerca di occasioni di scontro. E gli scontri, quando sono reiterati,
finiscono spesso allo stesso modo: con gli animi più infiammabili che
si accendono fino a farci scappare la provocazione. Il caso di monsignor
Angelo Bagnasco, purtroppo, insegna. Come mai allora questa fiducia della
Chiesa nella forzatura a ogni costo, anziché nel dialogo ad oltranza, fosse
pure col rischio di non concludere niente? E comunque, quale potrebbe essere
il risultato della manifestazione, anche se finisse con un risultato eclatante?
Sì, potrà dare qualche soddisfazione a chi vede il confronto
come una sfida, come una rivalsa, indipendentemente dal significato che esso
finirà per assumere, ma per la Chiesa, di sicuro, questo non
favorirà il proselitismo né le conquisterà un solo nuovo
fedele. Può solo perderne. Quello che sorprende, perciò, in
questo insistito contrasto innestato da un discutibile "basta!"
è la mancanza di ogni riflessione, anche banale, sul fatto che la
società è in continuo movimento già da qualche secolo e
con maggior velocità in questi ultimi decenni. Pensare di fermarne
l'evoluzione sarebbe ingenuo e la Chiesa questo non può non saperlo e
non considerarlo. Senza contare che nessuno, nemmeno il più laicista
dei laicisti, si sogna di cancellare la famiglia, che continua a restare, per
la stragrande maggioranza degli esseri umani, a ogni latitudine, il luogo
eletto per il suo percorso terreno. Inclusi tra questi coloro che la famiglia
non ce l'hanno perché non hanno saputo o potuto o voluto costruirsela. Il fatto
è che la società cambia. La scienza, la tecnologia, l'arte, la
conoscenza, nella loro corsa sempre più imprevedibile e, perché no?,
affascinante stanno trasformando il mondo, quindi la società, quindi i
suoi modi di vivere. Chi ha conosciuto la società dell'inizio del
secolo scorso fa fatica a starle dietro. Il mondo evolve in tutte le sue
specificità. La società contadina non esiste più e
neppure quella artigiana e comincia a sparire anche quella operaia. I
rapporti interpersonali e quindi anche interfamiliari si modificano di
conseguenza, non potrebbe essere diversamente. I bambini vanno all'asilo, le
donne lavorano, le distanze tra l'abitazione e il luogo di lavoro aumentano,
l'istruzione è sempre più necessaria, gli spostamenti da un paese
all'altro, da una città all'altra, da uno Stato all'altro sono
ormai una norma. I mezzi di comunicazione diventano sempre più
pervasivi, le distanze si annullano, quasi tutti, presto proprio tutti,
potranno collegarsi con tutti; le notizie si diffondono in contemporanea a
ogni latitudine, il mondo sta ormai davanti a noi su una console in tempo
reale. Ciò che ieri era privilegio di pochi, oggi è a
disposizioni di molti. Quanto a ciò che ci riserva il futuro prossimo,
nel bene e nel male, è inimmaginabile perfino per la fantascienza.
Come è concepibile, a questo punto, fare una crociata per una legge
che regolamenta socialmente, nel modo più soft, le coppie che stanno
insieme, perfino con figli, indecise o impreparate, per qualche ragione, a
volte pratica a volte psicologica a volte di necessità, a contrarre il
matrimonio regolare? Il legame delle coppie legalmente sposate sarà
sempre più debole e per contro ci saranno sempre più secondi e
terzi matrimoni e allora come non pensare che si dovranno prevedere delle
regole conseguenti? Ma davvero la Chiesa (o i suoi vescovi) pensa di poter
impedire che la società, nel suo continuo modificarsi, modifichi di
conseguenza (e di necessità), prima o poi, anche i suoi rapporti
statuali? Certo, l'evoluzione sociale comporta un aumento dell'individualismo,
ma ciò non contrasta affatto con la fondamentalità della
famiglia, sia pure non sempre sotto le forme tradizionali. E allora, quanto
potrà resistere questa ostinazione della Chiesa ai suoi cambiamenti?
Non sarebbe meglio cercare forme di compromesso che salvaguardino,
regolamentandole, le unioni familiari, sia pure sotto forme meno
istituzionali? Può essere uno stimolo anziché un'imposizione.
Dopotutto rende di più la persuasione che la condanna.
INDICE 7-5-2007
+ La Gazzetta
del Mezzogiorno 7-5-2007 Partiti, più diminuiscono gli iscritti
più aumentano i costi per i contribuenti Mario Caligiuri 1
+ La Repubblica 7-5-2007. LA LETTERA. Aiuto, sono di sinistra ma sto
diventando razzista. Risponde C. Augias. 2
+ Il Corriere della sera 7-5-2007 La rottura di Massimo Nava 4
+ La Stampa 7-5-2007 L’homo novus
Di Barbara Spinelli 5
Teatronaturale.it 6-5-2007 LA
CASTA, OVVERO QUANDO I POLITICI ITALIANI DIVENTANO DEGLI INTOCCABILI di Sergio
Rizzo e Gian Antonio Stella, edito da Rizzoli 6
Tuttoconsumatori.it 5-5-2007 SESSIONE PROGRAMMATICA 2007. Gli interventi
dei presidenti delle associazioni del CNCU 8
CorriereEconomia 7-5-2007 Riformare stanca I colpevoli sono due di Marcello
Messori 9
Italia Oggi sette 7-5-2007 Un
Libro verde per chiarire gli obiettivi della politica dell'Ue nei servizi finanziari
al dettaglio 10
La Stampa 7-5-2007 Nicolas Sarkozy rappresenta un'importante
opportunità per il rafforzamento dei rapporti tr A Francia e Stati
Uniti e di questi ultimi con l'Unione Europea. 11
Il Riformista 7-5-2007 Eliseo La battaglia bella e impossibile di
Ségolène 12
La Repubblica 6-5-2007 Tensione dopo la vittoria di Sarkozy Scontri a Parigi, nelle banlieue e in
provincia 13
La Repubblica 6-5-2007 Sarkozy, primo discorso da presidente "Voglio
restituire l'orgoglio alla Francia " 14
Il Corriere della sera 6-5-2007 Le reazioni dopo il risultato
elettorale in Francia Prodi a Sarkozy:
«Lavoriamo insieme» 15
Europa 5-5-2007 Libertà d’informazione e conflitto d’interessi
due leggi che l’Italia “non vuol proprio votare”? FEDERICO ORLANDO RISPONDE 16
La Stampa 5-5-2007 Torino Più o meno, 500 "spioni"
lavorano ogni giorno, in città e nella prima cintura 16
Il Riformista 5-5-2007 I conti da fare con l’islam moderato 17
Bilanci
costituiti in gran parte dai finanziamenti pubblici autoassegnati in modo...
bipartisan Partiti, più diminuiscono gli iscritti più aumentano
i costi per i contribuenti Mario Caligiuri Il problema non è di poco
conto. Con la cosiddetta seconda Repubblica, più i partiti
diminuiscono in iscritti e più costano ai contribuenti. Il ceto
politico prima del 1992, è stato spazzato via sull'onda di un
legittimo rigetto contro un affarismo imperante e la difficile sostituzione
dei governanti al potere. Ma adesso come siamo messi? Dopo quindici anni, per
molti aspetti anche peggio. Potremmo allora dire che il rimedio è
stato peggiore del male? Se analizziamo la presenza delle forze politiche
all'interno della società, è facile constatare come i militanti
siano ridotti a poco più di 2,3 milioni su oltre 47 milioni di
elettori per la Camera che diventano quasi 50 con la circoscrizione estera.
Magicamente, è invece aumentato il numero dei professionisti della
politica, anche sulla base del federalismo che, trasferendo compiti e
funzioni dal centro alla periferia, ha aumentato a dismisura il numero, ed i
costi, di chi si dovrebbe occupare della cosa pubblica. Non sono processi
casuali. Nel 1975, in
uno studio della Trilateral Commission si sosteneva che le democrazie per
essere efficienti avevano bisogno di una bassa partecipazione dei cittadini.
Per una serie di fattori, dalla trasmissione di valori rivolti al consumismo
all'imporsi di un sistema mediatico sempre più pervasivo ed
"educante", il riflusso dalla vita pubblica è evidente. E
questo a prescindere dalla rinnovata partecipazione formale di questi ultimi
anni, iniziata con le elezioni presidenziali americane e confermata anche
dalle elezioni italiane del 2006 (quelle delle liste bloccate) e adesso dalle
presidenziali francesi. Una partecipazione che si basa esclusivamente sulle
spinte emotive e mediatiche, conseguenza di attente e costose politiche di
marketing. Infatti, è palese che il consenso è fortemente
condizionato dalle disponibilità economiche che vengono impegnate
nelle campagne pubblicitarie. In questo senso Fareed Zakaria, parla
addirittura di "democrazia senza libertà" e c'è anche
chi come Noreena Hertz, la quale da anni sostiene che in assenza di chiare
distinzioni ideologiche, i partiti cercano di distinguersi solo in termini di
marketing, e afferma che "in un ambiente politico sempre più
globale in cui i politici sono sempre meno in grado di esprimere strategie e
contenuti autentici, essi dipendono sempre di più dal denaro per
catturare l'attenzione del pubblico". Per comprendere che la musica
è questa anche in Italia, basta leggere i bilanci dei partiti, che
sono costituiti in grandissima parte dai finanziamenti pubblici che i diretti
beneficiari si autoassegnano in modo assolutamente bipartisan. Il "costo
della politica" è anche quello delle campagne elettorali, ma
incide soprattutto nella selezione di una classe dirigente che pensa prevalentemente
a tutelare le proprie rendite, perché non ha alcuna necessità di
affrontare i problemi veri, e seri, che investono il Paese. La stella polare
è essere funzionali esclusivamente alle ristrettissime oligarchie che
decidono le candidature nelle elezioni politiche, dalle quali discendono poi
tutti i mali, che si allargano a macchia d'olio nel resto del Paese. Infatti,
per mantenere i propri privilegi diventa poi automatico estenderli alle
categorie più prossime. Solo così si possono spiegare, tanto per
dirne una, le indecenze dei medici della Camera dei deputati che percepiscono
stipendi di 250 mila euro annui. Gli esempi sono innumerevoli ma tutti dello
stesso segno, dimostrando come sia strutturale il fenomeno dei costi della
politica per mantenere in vita un sistema che favorisce una cerchia molto
ristretta. Va detto chiaro e tondo che la degenerazione è nata alla
Camera ed al Senato, dove vengono dettate, o più facilmente stravolte,
le regole. E' dal Parlamento che dunque occorrerebbe partire. Ma poco lo si
potrà fare con le leggi elettorali. Si tratta di semplici palliativi
che, nella migliore delle ipotesi, spostano di poco il problema. Per capirci:
se c'è chi lo vuole, nessuna legge elettorale potrà mai
impedire che veline e diretti congiunti possano ritornare in Parlamento.
Questo, lo sanno tutti. C'è un modo per difenderci? Secondo me, sono
maturi i tempi per la creazione di un movimento di opinione tipo la
"Common Cause" statunitense che monitora i costi delle politiche
pubbliche. Perché passa proprio dall'abbattimento di questi costi, la
selezione di una nuova classe dirigente capace di riallacciare un rapporto
nuovo e moderno con i cittadini. (lunedì 7 maggio 2007).
GENTILE Augias, ho 49 anni,
vivo a Roma, lavoro al Quirinale, ho studiato, leggo buoni libri (credo e
spero), mi interesso di politica, leggo ogni giorno 2 quotidiani, guardo in
tv Ballarò e Matrix e voto a sinistra, sono stato candidato municipale
per la Lista Roma per Veltroni. Cerco di insegnare alle mie figlie i valori
della tolleranza e della nonviolenza, dell'importanza dell'istruzione, delle
buone letture e dello studio, l'etica del lavoro e del sacrificio per
ottenere qualcosa di duraturo e vero nella vita.
Lotto ogni giorno, al loro fianco, contro la cultura del nulla e
dell'apparire, contro i Tronisti e le Veline e i Grandi Fratelli.
Ma questo è un altro discorso e quindi torno subito a me ed alla mia
richiesta di aiuto.
A 49 anni sto diventando un grandissimo razzista e non riesco a sopportarlo.
Non c'è stata una molla scatenante, un atto di violenza compiuto verso
di me o la mia famiglia o amici, ma un continuo stillicidio di fatti letti,
di violenza vista, di sicumera da impunità, di moralità
calpestata, di identità violata e violentata, di fatti raccontati da
persone sconosciute su un tram o una metropolitana.
Ad una signora anziana che ha tossito (forte e ripetutamente) sul tram la
giovane ragazza slava seduta davanti a lei ha detto: "Se sei malata devi
scendere, vecchia!!". Alle mie rimostranze sia la ragazza che il suo
accompagnatore hanno semplicemente risposto: "Tu che c.. o vuoi, fatti i
c.. i tua", proprio così tua, alla romana.
Altro giro sul tram, affollato. Sale una vecchietta, si avvicina ad una
ragazza di colore, la più vicina all'entrata e seduta tra altre 2
persone anziane e, gentilmente, le chiede il posto: prima non risponde e poi,
all'insistenza dell'anziana biascica un "vaffanc.. vecchia
puttana". Il vecchietto seduto si alza per darle il posto: io intervengo
per dire che non è giusto, lei è giovane e può benissimo
alzarsi per una vecchietta. Quella si alza, mi guarda, dice qualcosa e poi mi
sputa la gomma americana che ciancicava: l'ho presa per il colletto e l'ho
sbattuta fuori dal tram, alla fermata. Tutti ad applaudire ma io mi sono
vergognato come un ladro per la mia reazione ed alla fermata successiva sono
sceso.
Lavorando al Quirinale ogni tanto vado a comprare un panino in
piazza Fontana di Trevi: ho sventato 2 borseggi da parte delle zingarelle. Ad
un turista di Palermo ho fatto recuperare tutto il bottino che gli era stato
trafugato e, appena mi accorgo della loro presenza di branco in caccia, avverto
la polizia che staziona alla fontana: nessuno si muove perché devono stare
vicino alle moto o alle macchine.
Ed allora capisco che Fontana di Trevi è terra di nessuno, tra decine
di venditori di pistolette che fanno le bolle di sapone e di quegli aggeggi
rumorosissimi che si lanciano in aria e fanno il verso dei grilli mentre le
bande imperversano.
Di fronte agli stupri che avvengono, troppo frequentemente, in varie
città italiane, mi chiedo: e se io stuprassi una giovane araba alla
Mecca o a Casablanca, se venissi preso dalla locale polizia a cosa andrei
incontro? E se a Bucarest, in metropolitana, avessi accoltellato un giovane
rumeno per una spinta ricevuta, che mi avrebbero fatto le locali
autorità? Perché devo essere sempre buono ed accogliente con i nomadi,
ahi tasto dolentissimo e pericolosissimo, quando questi rubano, si ubriacano,
violano la mia casa e la mia intimità, quando rovistano nei cassonetti
e buttano tutto fuori, quando mendicano con cattiveria e violenza, quando
bastonano le immigrate che non vogliono prostituirsi, quando sbattono i
bambini in strada o mandano i figli a scuola con i pidocchi?
Perché se chiedo l'espulsione immediata dei clandestini violenti e ladri e
meretrici e protettori di meretrici vengo immediatamente accostato a
Eichmann?
Perché lo schieramento politico che mi rappresenta, se io chiedo certezza
delle pene e della detenzione, mi risponde con Mastella che nomina direttore
generale del Ministero di Grazia e Giustizia quel Nuvoli Gianpaolo che,
secoli fa ormai, ai tempi di Mani Pulite, ebbe a dire di Borrelli "se il
procuratore fosse condotto alla forca sarei in prima fila per assistere
all'esecuzione"?
Perché quando Fini, allora competitor di Rutelli a sindaco di Roma, propose
di spostare i campi nomadi fuori dal Gra di Roma, tutti noi della sinistra
(quindi me incluso ed in prima fila) gridammo "tutti i fascisti fuori
dal raccordo" ed ora, a più di quindici anni di distanza, prevale
l'idea del mio sindaco e del prefetto di compiere in tutta fretta questa
operazione smentendo così, sostanzialmente, tutta la politica fin qui
seguita dell'integrazione e dell'accoglienza solidale?
Perché devo sopportare lo strazio umano di vedere per le strade, di giorno e
di notte, giovanissime prostitute schiave senza che a qualcuno, di destra
prima e di sinistra ora, sia venuto in mente di vietare la prostituzione in
strada cambiando semplicemente la legge in vigore? Però se i cittadini
delle zone interessate scendono in strada e reclamano, con le ronde e con le
fiaccole, un minimo di decenza ed anche di lotta alla schiavitù ecco
subito le anime belle gridare al fascismo ed al ritorno delle camicie brune.
Sta crescendo ogni giorno di più l'intolleranza, sta montando l'odio
per lo straniero e nessuno fa nulla per spegnere queste pericolosissime
braci. Centinaia di persone come me, che hanno sempre litigato con tutti per
difendere chi entra in questo Paese, che si sono battute come leoni contro
l'intolleranza e la violenza xenofoba, sono stremate e ridotte, ormai, alla
schizofrenia. Io voglio spegnere quelle braci prima che si trasformino in un
incendio di rancori e violenza, non voglio lasciare più il monopolio
della legalità alla destra e quindi non capisco, perché dare il voto
locale agli immigrati, dopo 5 anni di permanenza nel nostro Paese, quando in
nessun grande Paese dell'Europa Occidentale questo avviene.
So benissimo, come tutti gli italiani, che in Italia, ogni giorno, mille e
più reati, anche odiosissimi, vengono compiuti da miei connazionali,
nessuno crede veramente che la sicurezza venga messa a repentaglio solo dagli
immigrati, non voglio e mi opporrò con tutte le mie forze al dagli
allo straniero. Ma voglio legalità, voglio la cultura della
legalità in questo benedetto Paese, voglio che chi sbaglia paghi.
Claudio Poverini
Se Nicolas Sarkozy ha conquistato l'Eliseo è anche per come ha
affrontato prima da ministro dell'Interno, poi durante la campagna elettorale
il tema dell'immigrazione. Con durezza, diciamolo. Senza negare, almeno a
parole, una tradizione d'accoglienza che si vuole generosa, ma senza
risparmiarsi l'elenco dettagliato di tutti i casi in cui i nuovi arrivati
saranno immediatamente espulsi. La sua è stata una campagna
visibilmente di destra appoggiata dai media e dall'industria ma, anche alla
luce della lettera che pubblichiamo (necessariamente tagliata) ciò che
dobbiamo chiederci è: sul punto specifico dell'immigrazione dove si
collocano oggi i confini tra destra e sinistra?
Ricordo perfettamente gli anni in cui 'Law and Order', slogan della destra
americana, era stato adottato nelle campagne elettorali fasciste: 'Legge e
Ordine'. Dobbiamo avere il coraggio di dire che non è più di
destra ammettere che la criminalità e il disordine sociale
rappresentano un problema grave per l'equità della nostra convivenza.
Non è di destra sostenere che l'immigrazione deve essere controllata,
o chiedere agli immigrati di farsi carico di una serie di
responsabilità civili, ivi compreso (per fare un esempio) l'obbligo di
apprendere la lingua nazionale. Non è di destra reclamare una cultura
della legalità che valga per tutti.
Al contrario, la cultura della legalità (a ogni livello - qui il
discorso sarebbe lungo) è ciò di cui abbiamo più bisogno
per evidenti ragioni di giustizia. Non si possono lasciare impegni
così delicati alla destra che li assolverebbe a modo suo, con
brutalità cieca anche senza arrivare alle cannonate che qualcuno
minacciava tempo fa. È la sinistra che deve farsene carico ed è
un carico pesante, forse il compito più difficile che oggi debba
affrontare. Bisogna cominciare a dirlo con parole forti e chiare, con
lucidità di visione, con il coraggio di chi sa innovare, prima che la
denuncia del signor Claudio Poverini venga sommersa nel caos di episodi
sempre più frequenti di rigetto, di intolleranza. Perché a quel punto
la battaglia l'avrebbero persa tutti, gli immigrati e i cittadini.
Corrado Augias
(7
maggio 2007)
Un Blair di
destra. Lo sceriffo di Francia. Un nazionalista che guarda all'Europa. Il rampollo ribelle di
Chirac. E infine, il successore trionfante. La biografia si confonde con il
personaggio, il progetto con la demagogia mediatica. Ma l'uomo che entra
all'Eliseo non è soltanto il leader ambizioso che esalta patria e
ordine, criminalizza il Maggio '68 e piace alla Casa Bianca. I francesi che
lo hanno atteso e temuto come un nuovo Napoleone hanno premiato un progetto
di rigenerazione del sistema- Paese. Sarkozy vuole aprire i cantieri delle
riforme, ma ha già aperto quello della mentalità collettiva,
piuttosto conservatrice, e quello della cultura politica della destra. Molti,
in Europa, ne faranno un campione ideologico, il conservatore e l'amico
americano, esaltando il lato più pubblicizzato e dimenticando il lato
riformista che piace anche a sinistra. La sua è una destra di
movimento, che mette sulle spalle della sinistra la resistenza ai cambiamenti
e promette la «nuova frontiera» del successo individuale e della
solidarietà. Sarkozy è un gollista geneticamente modificato che
ieri sera ha subito ricordato al mondo valori e orizzonti della Francia,
compreso il rapporto di non sudditanza con gli Usa. Sarkozy non vuole
distruggere lo Stato sociale, sapendo che i francesi vi si aggrappano come le
cozze agli scogli, ma modernizzarlo, con l'ambizione di ridurre privilegi
della funzione pubblica e garantire davvero l'eguaglianza delle possibilità.
Sarkozy vuole
più flessibilità nel mondo del lavoro, nel sistema previdenziale, nel sistema
fiscale: «Il modello che funziona è quello che dà un lavoro a
tutti, non quello che generalizza i sussidi. Altrimenti perdiamo tutti: gli
operai, le imprese, la Francia». Sarkozy ha svuotato a suo vantaggio il
serbatoio di xenofobia del Fronte nazionale, ma non farà passi
indietro sul terreno delle libertà civili, della laicità dello
Stato e dell'integrazione di milioni di francesi umiliati dai principi della
Rivoluzione. L'«uomo pericoloso per la democrazia», come l'ha definito
Ségolène, vuole mettere in pratica ciò che governi di destra e
di sinistra hanno vanamente promesso: il ripristino della legalità,
nella convinzione che la sicurezza sia un diritto, al pari di salute e
scuola, che quando manca sono i più poveri e i più deboli a
farne le spese. «Severi con il crimine come verso le cause del crimine», fu
lo slogan di Blair all'inizio della marcia nell'archeologia ideologica del
Labour. Nei confronti dell'Europa, Sarkozy è un teorico di quel
«patriottismo» industriale che accomuna i predecessori. Non sarà un
cliente facile, a giudicare dalla posizione critica sull'euro forte. Ma la
Francia da ieri non è più il Paese che ha urlato un rabbioso
«no» alla Costituzione europea, alla classe politica e al sistema malato. In
politica, come in economia, la psicologia e il carisma possono molto. Sarkozy
ha ridato fierezza a un popolo brontolone. I francesi si sono anche
entusiasmati per la soluzione al femminile, più rassicurante e
solidale, ma hanno preferito la cultura del risultato. Per il Paese con il
record mondiale di vacanze e il record europeo di disoccupati, è
già una rivoluzione.
07 maggio 2007
I francesi hanno scelto l'homo novus,
Nicolas Sarkozy, con determinazione. Gli hanno dato una maggioranza del 53
per cento. A Ségolène hanno dato il 47. Il desiderio d'un cambiamento
radicale è stato più possente della paura suscitata dal leader
gollista, più vigoroso dello slogan che raccomandava «Tutto tranne
Sarkozy».
Il sesto Presidente è homo novus nel senso latino del termine. Nella
Roma antica era homo novus chi veniva dalla provincia, chi era nobile da poco
tempo, chi pur aspirando alle alte cariche non aveva la formazione requisita.
Cicerone fu homo novus, e Catone il Censore, Mario, Agrippa. Lui, Sarkozy,
non è di ceppo francese - il padre si chiamava Pál Sárkozy,
lasciò l'Ungheria quando l'Armata Rossa vi esportò il
comunismo. Da giovane non ha nemmeno frequentato l'Ena, la mitica Scuola
Nazionale di Amministrazione che è il lasciapassare per le grandi
ascese politiche. Ha preso il controllo del proprio partito (Ump, Unione per
un movimento popolare) nel 2004, ma ha subito ostracismi lunghi. È un
outsider, e come tutti gli outsider ha ambizioni smisurate.
È stato paragonato a Rastignac, l'eroe di Balzac che dalla lontana
provincia guarda Parigi scintillante, ombelico delle umane commedie, dicendo
a se stesso e al mondo: «A noi due, Parigi!», per diventare poi conte, due
volte ministro, e cinico. Lui non vuol esserlo: fin da ieri sera ha teso la
mano agli elettori di Ségolène, promettendo di governare anche in loro
nome. Si vedrà.
L’homo novus ha i difetti tutti dell'arrivista, ma possiede un pregio. Vede
la realtà con occhio più spietato, avendo studiato ogni minimo
difetto del potere che ha scalato. Scruta meglio di altri quel che s'è
inceppato nella sua meccanica, e non è un caso che alla sorridente
Ségolène, la sera del duello televisivo, ha risposto che se lei
sognava d'esser «Presidente della Francia che funziona», lui no, voleva
diventare Presidente della Francia che non funziona. Gli outsider sanno gli
scricchiolii dei più gloriosi monumenti.
La biografia di Sarkozy e il suo carattere spiegano non solo la straordinaria
energia della campagna, ma la visione severa che egli ha del paese. È
sua convinzione che la Francia debba guardarsi allo specchio e smettere
infine la storia incantata che racconta a se stessa. La Grande Nation non
è più grande, ma in un mondo dominato da giganti come America e
Cina s'è rattrappita, immobilizzata. Rischia di cadere
nell'irrilevanza, ha detto più volte: di divenire un «parco per
turisti». Nel libro Testimonianza questa visione è ricorrente: «La
Francia non parla più al mondo perché non lo comprende più e
non ha più niente da dirgli». I suoi leader s'ostinano a proporre
sogni: cioè menzogne, corregge Sarkozy. La Francia si presenta come un
modello - economico, d'integrazione - senza più esserlo: «La nostra
maniera di far politica è divenuta insipida, mentre la società
resta piena di foga e impazienza».
L'esperienza dell'Iraq è stata essenziale per lui: pur con una posizione
giusta, Chirac ha creduto in splendidi isolamenti e non ha offerto che
inefficace arroganza. Qui è la rottura promessa da Sarkozy, di qui il
suo slogan: «La Francia del dopo - la France d'après». Significativo
è che ambedue i contendenti hanno cessato di credere
nell'eccezionalità francese, mettendosi a cercar lumi in modelli
stranieri: una rivoluzione copernicana nella francocentrica iconografia
nazionale. I modelli sono l'Inghilterra ma soprattutto il Nord Europa, dove
riforme rigorose si combinano con la preservazione dello stato sociale.
Non mancano i pericoli in questa vittoria, e alcune accuse non sono
inappropriate. C'è in Sarkozy un enorme desiderio di regolare conti,
con toni vendicativi. C'è un'ansia di usare politicamente la storia,
di denigrare con rancoroso risentimento la memoria autocritica inaugurata da
Chirac: un'«abitudine al pentimento» che il nuovo Presidente vuol abolire.
Sarkozy è pronto a rischiare conflitti, e quasi sembra suscitarli.
È ovvio che quando usò la parola racaille (feccia) per
descrivere i comportamenti devianti nelle banlieue, contribuì alle
terribili 25 notti di violenza, nel novembre 2005. Il fatto che queste parole
siano state ripetute in questi giorni inquieta molti. Così come
inquieta il suo appello a «liquidare» la cultura del '68, che è parte
della storia nazionale: il pentimento, in questo caso, è d'un tratto
ammesso e la parola liquidare è violenta. Il rischio è quello
di suscitare la paura per esserne il pompiere. Un rischio acuito
dall'influenza che Sarkozy esercita su stampa e audiovisivo, attraverso tanti
editori a lui vicini. Ségolène e Bayrou hanno denunciato queste
connivenze.
E qui veniamo al secondo evento cruciale del voto: al fallimento di
Ségolène, dei socialisti. La sinistra aveva un'opportunità
grande, di vincere. Michel Rocard (socialista riformatore da sempre
minoritario) ha detto giustamente che la maggioranza del paese aveva votato
contro Sarkozy al primo turno, essendo questa la volontà degli
elettori socialisti, della sinistra radicale, e di Bayrou. Se il socialismo
francese ha perso, è perché la strategia era inadatta e forse anche la
linea della candidata. Col senno di poi, si può dire che la sinistra
non s’è veramente preparata a vincere, avendo intuito tardi, e in
maniera improvvisata, poco sincera, che da sola non poteva farcela. Non
avendo compreso che la vecchia Unione delle Sinistre di Mitterrand, buona per
i tempi in cui ci si alleava solo col Pc, era inane a partire dal momento in
cui i comunisti crollavano e Bayrou saliva.
Se il socialismo francese avesse intuito tutto ciò, avrebbe cominciato
a lavorare in questa direzione non negli ultimi giorni ma molto prima, sin da
quando Bayrou ruppe con la destra nelle elezioni europee del '99. Eppure la
verità è apparsa chiara nella campagna: Ségolène sarebbe
magari passata al primo turno, ripetevano i sondaggi, ma le forze per battere
Sarkozy non le bastavano. Al secondo turno solo la visione del mondo di
Bayrou avrebbe vinto, e con ampio margine. Certo, sarebbe stata una mutazione
dolorosa per il socialismo: si trattava di divenire socialdemocratici presto,
di cambiare programmi, amici. Non avendo agito prima, occorreva farlo a
caldo. Si trattava di capire che Ségolène doveva esser qualcosa di
più che una originale, combattiva invenzione femminista.
Fin dal 22 aprile la strategia femminista è fallita: la maggioranza
delle donne ha votato Sarkozy al primo turno. Alcuni osservano la
combattività di Ségolène e dicono che un leader politico
è nato, il che è possibile ma non sicuro: il partito e lei
stessa ci credono, e forti del 47 per cento puntano sulle legislative del 10
e 17 giugno, sperando di conquistare il parlamento e costringere Sarkozy alla
coabitazione. Per il momento, tuttavia, Ségolène non esercita sul
socialismo un'autentica leadership. E anche quando si è mostrata
veemente e forte, nel duello televisivo con Sarkozy, ha dato prova di
debolezza. La sua collera, quando ha denunciato l'immoralità
dell'avversario accusandolo d'aver ridotto il numero degli scolari handicappati,
era non solo violenta ma artefatta. Un vero leader non scatena putiferi
morali per esser smentito subito dopo (gli handicappati scolarizzati sono
raddoppiati dopo il governo Jospin). La sinistra non ha sino in fondo voluto
vincere le elezioni. Se avesse voluto, si sarebbe comportata con granitica
volontà di guardare in faccia le mutazioni francesi e di cambiare. Non
ha capito che in politica la parte della necessità è
grandissima. Riconoscerlo è servitù gravosa ma la libertà
e anche il successo sono a questo prezzo.
Sarkozy si è lungamente preparato. È un politico tenace,
studioso, in fondo non ha l'improvvisato arrivismo di Rastignac. È
come se la meta per lui fosse una necessità, se non
un'avversità. Si può predisporre un destino politico con lo
stesso spirito con cui si vive monaci nel deserto o si traversa un dolore.
Non a caso c'è una parola, singolare per la cultura politica francese,
che Sarkozy usa spesso quando racconta la propria pluriennale conquista:
ascesi, che letteralmente vuol dire esercizio spirituale e fisico fatto di
isolamento, preghiera, meditazione, perfezionamento e volontà ferrei.
La parola araba è gihàd.
Nel libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, edito da Rizzoli, il
quadro terribile di un Paese che non conosce il senso della misura e del buon
senso. Non si tratta di qualunquismo, ma l'inchiesta dei due giornalisti del
"Corriere della Sera" lascia l'amaro in bocca
(06 Maggio 2007 TN 17 Anno 5)
di T N
E' inutile nascondere i nostri sentimenti. Ci fa un immenso
piacere segnalare un libro che va, a nostro parere, acquistato in tutta
fretta e con gusto, non tanto perché ci sia qualcosa di nuovo all'orizzonte,
ma semplicemente per confermare ( e confermarci) quanto già sapevamo:
siamo messi piuttosto male.
Il mondo politico italiano non brilla di luce propria, perché, come tutti
sanno, è ricoperto da uno spesso strato di fango, piuttosto melmoso.
Troppe le ingiustizie, troppi i soprusi, troppi gli inganni, troppi gli
arricchimenti.
I politici italiani non esprimono nulla di buono. Con ciò non vogliamo
certo cadere nel luogo comune di chi considera la politica marcia fino
all'osso (in realtà lo è),anche perché sappiamo che esiste una
minoranza di politici che crede nei valori alti della politica; tuttavia,
è bene anche esprimere un sentimento comune, che non è poi
così campato in aria: la nostra classe politica non merita alcuna
stima, le peggiori parole, le peggiori ingiurie, i politici nostrani le
meritano ampiamente.
Qualunquistio noi? No, in modo assoluto no!
Per questo, vi invitiamo a leggere un libro serio, onesto, sincero,
maledettamente terribile.
Riportiamo le note di copertina, in modo da avere un percorso di lettura; ma
il nostro invito è ad acquistarlo, perché ci si renda conto di cosa
sia l'Italia dei politici.
Buona lettura.
Alcune domande impertimenti
Che futuro ha un Paese dove la fame di poltrone ha spinto a inventare le
comunità montane al livello del mare?
Dove il Quirinale spende il quadruplo di Buckingham Palace?
Dove una “lasagnetta al ragù bianco e scamorza” dello chef del Senato
costa la metà di una pastasciutta alla mensa degli spazzini?
Dove ci sono partiti nati dalla mutazione genetica di una bottega di cuoio e
ombrelli?
Dove conviene fiscalmente regalare soldi a una forza politica piuttosto che
ai bambini lebbrosi?
Che futuro ha un Paese così?
Alcuni esempi su cui è bene riflettere
Aerei di Stato che volano 37 ore al giorno, pronti al decollo per portare Sua
Eccellenza anche a una festa a Parigi.
Palazzi parlamentari presi in affitto a peso d’oro da scuderie di cavalli.
Finanziamenti pubblici quadruplicati rispetto a quando furono aboliti dal
referendum.
“Rimborsi” elettorali 180 volte più alti delle spese sostenute.
Organici di presidenza nelle regioni più “virtuose” moltiplicati per
tredici volte in venti anni.
Spese di rappresentanza dei governatori fino a dodici volte più alte
di quelle del presidente della Repubblica tedesco.
Province che continuano ad aumentare nonostante da decenni siano considerate
inutili.
Indennità impazzite al punto che il sindaco di un paese aostano di 91
abitanti può guadagnare quanto il collega di una città di
249mila.
Candidati “trombati” consolati con 5 buste paga. Presidenti di circoscrizione
con l’autoblu.
La denuncia di come una certa politica, o meglio la sua caricatura obesa e
ingorda, sia diventata una oligarchia insaziabile e abbia allagato l’intera
società italiana.
Storie stupefacenti, numeri da bancarotta, aneddoti spassosi nel reportage di
due grandi giornalisti. Un dossier impressionante, ricchissimo di notizie
inedite e ustionanti. Che dovrebbe spingere la classe dirigente a dire:
basta.
Chi sono gli autori
Sergio Rizzo è nato a Ivrea nel 1956. Responsabile della
redazione economica romana del “Corriere della Sera”, ha lavorato a “Milano
Finanza”, al “Mondo” e al “Giornale”. Ha scritto con Franco Bechis In nome
della rosa. La storia della casa editrice Mondadori, pubblicato dalla
“Newton Compton” nel 1992.
Gian Antonio Stella è nato ad Asolo (Treviso) nel 1953. Inviato
ed editorialista del “Corriere della Sera”, dopo l’esordio nella saggistica
con Schei. Il mitico Nordest dal boom alla rivolta, ha scritto
numerosi libri. Tra i quali Tribù. Foto di gruppo con Cavaliere,
L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi, Odissee. Italiani sulle
rotte del sogno e del dolore, Sogni e fagotti (con Maria Rosaria
Ostuni), Avanti popolo. Figure e figuri del nuovo potere italiano e il
romanzo Il maestro magro.
Tuttoconsumatori.it 5-5-2007 SESSIONE
PROGRAMMATICA 2007. Gli interventi dei presidenti delle associazioni del CNCU
I vertici delle
associazioni del Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti sono
intervenuti sul palco di San Benedetto del Tronto. Questa una sintesi dei
loro interventi.
Per Paolo Landi,
segreterio generale dell’Adiconsum occorre “mettere a fuoco il tema della
rappresentatività e rappresentanza delle associazioni che valorizzi la
partecipazione e il ruolo dei consumatori”. In merito al provvedimento sui
servizi pubblici locali è necessario “riflettere se siano rispettati
gli standard di qualità e, nel caso, occorre denunciarli”. Per il
segretario non bastano le carte dei servizio, ma occorre intervenire con
provvedimenti in Parlamento. Serve un’authority a livello nazionale, ma senza
una proliferazione di organismi di garanzia, ma associazioni dei consumatori
con poteri forti. Le Regioni hanno il diritto di deliberare senza,
però, surrogare il ruolo delle associazioni dei consumatori che, con i
loro sportelli sul territorio, hanno il potere di dialogare con le
istituzioni con autonomia, cercando di risolvere con più autonomia e
forza le problematiche segnalate dai cittadini.
“Non bisogna
aspirare ad aumentare la capacità di tutela delle associazioni, ma
bisogna puntare a diminuire il numero di chi ha bisogno di tutela”. È
quanto ha affermato Mauro Novelli dell’Adusbef spiegando il proprio punto di
vista sul ruolo delle associazioni di consumatori. Novelli ha sostenuto la
necessità di formare i cittadini per metterli in grado di
auto-tutelarsi fino ad arrivare, paradossalmente, a creare una società
che non abbia bisogno di regole in quanto già consapevole dei propri diritti.
Sono quattro i
punti che le associazioni devono affrontare secondo Rosario
Trefiletti, presidente di Federconsumatori. Il primo
è sul ruolo delle associazioni che devono “essere in grado di dare
risposte sia al singolo consumatore sia a problemi di principio contro
“l’arroganza delle offerte proposte dal mercato.
Il secondo aspetto riguarda la necessità di mantenere autonomia da
chiunque “senza essere amico di nessuno, se non dei cittadini, per potersi
sedere con dignità a ogni tavolo di trattativa”. Servono poi proposte
radicali perché “non ha senso contrattare miglioramenti visto che il diritto
non può essere un aspetto oggetto di trattazione tra le parti”.
Infine, ultima questione da affrontare è la rappresentatività:
“È importante sapere dire chi siamo e per conto di chi operiamo,
un’operazione che non può essere fatta solo contando le tessere, ma
dobbiamo creare un metodo che possa tenere conto anche di altri aspetti”.
Ivano
Giacomelli, presidente del Codici, ha esordito affrontando il nodo della
rappresentatività, un aspetto da risolvere creando “un metodo che
possa tenere conto delle singole e specifiche esperienze distinguendo tra
livello nazionale e regionale”. Sulla condizione delle Regioni, “le leggi
locali adeguarsi a situazioni già più avanzate nella
realtà, è importante però, mantenere la
possibilità per chiunque soddisfi certi requisiti di iscriversi
all’albo delle associazioni. È sufficiente, al massimo, intervenire
sui criteri di ripartizione e utilizzo delle risorse: non è possibile che
i soldi delle multe Antitrust vadano a finanziare i programmi politici delle
Regioni”.
“Chi siamo?
Siamo il popolo del front –office, un popolo sempre più giovane che ha
vissuto Caserta e Palermo ieri e che oggi riparte da San Benedetto del
Tronto”. Così Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale
consumatori (Unc) ha definito le associazioni intervenute alla Sessione
Programmatica. Per il rappresentante di Unc in passato “si è indugiato
troppo nello scontro, mentre, invece, serve un dialogo che eviti la via della
radicalità fine a se stessa e privilegi la ricerca di un accordo.
L’esperienza fatta nella trattativa Abi ha insegnato che la diversità
è una risorsa se si riesce a indirizzarla in un’unica direzione”.
“Siamo
un’associazione giovane e per questo da quelle più anziane abbiamo
solo da imparare”. Così Giovanni Ferrari, vice presidente della Casa
del Consumatore ha definito la propria associazione. Esiste, però, una
difficoltà comune che riguarda la formazione dei nostri quadri, “un
compito sempre più necessario per affrontare temi ogni giorno
più complessi”.
Mario Finzi,
presidente di Assoutenti ha espresso un parere favore riguardo alla proposta
di un tavolo permanente di dialogo tra le regioni e le associazioni di
consumatori definendola “un’idea che dobbiamo riuscire a realizzare”.
Secondo Lorenzo
Miozzi, presidente Movimento Consumatori, “questo incontro, in questo momento
post liberalizzazioni, è una conferenza di svolta”. Per Miozzi vengono
definite tante politiche, ma poi queste devono anche concretizzarsi perché i
cittadini si aspettano di più dagli enti locali perché sono ancora
tanti i problemi: dalla distribuzione dei carburanti ai trasporti pubblici
locali alle professioni.
Per Pietro Praderi,
presidente della Lega consumatori, le associazioni sono state fondamentali
per accompagnare i cittadini nel loro “percorso di crescita sociale nella
consapevolezza dei propri diritti”. I casi di unità, secondo Praderi,
sono stati basilari per il raggiungimento dei risultati più
importanti: “Nei momenti chiave le associazioni hanno sempre avuto la
capacità di assumersi le proprie responsabilità e il caso della
trattativa con l’Abi ne è un esempio mirabile”. Allo stesso modo,
però, le rotture del fronte hanno creato grossi problemi, “il mancato
accordo con l’Ania, ad esempio, ha creato problemi tra assicurazioni e
consumatori che i cittadini stanno ancora affrontando”.
“Le regole del
gioco si fissano sempre di più attraverso quello che gli inglesi chiamano
‘soft law’ ovvero grazie ad accordi tra privati e pubblico evitando le
tradizionali vie degli interventi legislativi”. L’ha dichiarato, Pia Valota,
presidente per le relazione internazionali dell’Associazione consumatori
utenti (Acu).
Sul versante regionale “la grande sfida è sostenere il
cittadino-consumatore come soggetto della società civile dalla quale
deve arrivare l’impulso al rinnovamento di istituzioni e enti locali”.
“Il movimento
dei consumatori è in costante crescita e se cinque anni fa eravamo
circa un milione e mezzo adesso è raddoppiato”. Sono i dati citati da
Claudio Melchiorre, vice presidente dell’Adoc. Oltre ai numeri, anche la
rappresentatività è cambiata: “basta vedere l’accordo erga
omnes concluso con l’Abi”. Le associazioni, per ottenere risultati, sono
“condannate a stare insieme pur mantenendo ognuna le proprie
specificità e differenze magari trovando un punto di collegamento che
aiuti il movimento.
Due proposte per
gli incontri futuri sono arrivate da Giustino Trincia, vice presidente di
Cittadinanzattiva: dare maggiore spazio alle esperienze regionali e creare
gruppi di lavoro per approfondire i principali temi. Rispetto alle edizioni
passate, invece, la differenza “è il vento del cambiamento arrivato
grazie alle scelte governative”. Il vice presidente ha espresso
l’apprezzamento per la creazione di un tavolo permanente purché garantisca un
confronto paritario con le Regioni.
“Di tavoli, di osservatori e di consulte – ha detto Trincia - non ne possiamo
più. Sono necessari nuovi luoghi e procedure che garantiscano un
migliore accesso e qualità dei servizi, che combattano gli sprechi e
concorrano alla definizione delle politiche regionali sui consumatori, magari
con nuovi strumenti di tutela come la class action”. Servono valori condivisi
e “una aggregazione che non sia legata esclusivamente ai bandi”.
CorriereEconomia 7-5-2007
Riformare stanca I colpevoli sono due di Marcello Messori
Fino a qualche mese fa il declino dell'economia italiana era
dato quasi per scontato dalla maggior parte degli addetti ai lavori; e la
discussione riguardava gli strumenti di politica economica da mettere
in campo per rallentare una tendenza così preoccupante. Nell'ultimo
semestre sta invece prevalendo la tesi secondo cui l'Italia ha agganciato,
seppure con ritardo, la robusta ripresa dell'economia europea grazie alla
ristrutturazione del proprio settore industriale; le residue
difficoltà non deriverebbero più dall'inadeguata dimensione
delle imprese o dalla specializzazione produttiva troppo tradizionale ma
dalle inefficienze e dai costi della politica. Il corollario
è pressoché scontato: se governo e legislatori non interferissero con
lo spontaneo funzionamento dei mercati, l'economia italiana tornerebbe a una
"età dell'oro". Tale interpretazione è distorta, ma
coglie alcuni fatti reali. La lunga stagnazione del periodo tra il 2001 e il
2005, caratterizzata dalla negativa dinamica nella produttività del
lavoro e nella produttività totale dei fattori, ha indotto sia
l'uscita dal mercato di un certo numero di imprese manifatturiere
inefficienti sia la ristrutturazione di una parte dell'apparato produttivo
più esposto alla pressione della concorrenza internazionale. Di
conseguenza, come mostrano i dati della Banca d'Italia, nel 2006 si è
verificato un parziale recupero nella dinamica della produttività del
lavoro nel settore industriale e un rafforzamento qualitativo delle
esportazioni che dovrebbero garantire un buon tasso aggregato di crescita
anche per il 2007. Per di più, gli interventi di policy del governo
Prodi sono stati efficaci per la riduzione degli squilibri macroeconomici ma
non hanno rafforzato in modo significativo questi positivi effetti microeconomici;
anzi, gli eccessivi costi della politica e le inefficienze
della pubblica amministrazione hanno continuato a fungere da zavorra (le
cosiddette esternalità negative) per l'operare delle nostre imprese
nei mercati internazionali aperti. Diversamente da quanto suggerito da alcuni
analisti, tali dati di fatto non implicano però che l'economia
italiana abbia superato i suoi deficit di competitività o che il
mercato sia in grado di risolvere da solo i problemi residui. Accanto
all'affermarsi di un ristretto nucleo di medie imprese e al recupero di
profittabilità di qualche grande impresa, si ha che: larga parte delle
nostre maggiori attività industriali e dei servizi continua a operare
in mercati protetti, la transizione verso una specializzazione produttiva
meno esposta alla pressione concorrenziale dei Paesi a basso costo del lavoro
è ancora in una fase iniziale, una quota troppo esigua delle nostre
piccole imprese più efficienti effettua un salto dimensionale e apre
la propria struttura proprietaria. Inoltre, a differenza di molti Paesi
economicamente avanzati, in Italia le maggiori innovazioni e la crescita
della produttività non si concentrano nel settore dei servizi che
continua a godere di pervasive rendite monopolistiche e ad accrescere così
i costi per gli altri attori nazionali. Se questo è lo stato
del sistema economico italiano, sarebbe essenziale dare spazio a una moderna politica
industriale e dei servizi. Sfruttando le opportunità offerte dal
parziale risanamento macroeconomico e dalla ripresa congiunturale, si
tratterebbe di: ridurre le rendite mediante liberalizzazioni nei servizi che
non siano solo simboliche ma che comprimano i costi effettivi delle
imprese utilizzatrici e aumentino il potere di acquisto delle famiglie;
adeguare la qualità delle risorse umane e delle infrastrutture
(materiali e immateriali) agli standard europei; facilitare i processi di
ristrutturazione delle imprese migliori e l'apertura dei loro assetti
proprietari; minimizzare i costi sociali della ristrutturazione nel
settore industriale e in quello dei servizi mediante utilizzazioni più
razionali ed eque della spesa pubblica. Una simile politica economica
e sociale non impone esborsi finanziari tanto elevati da essere incompatibili
con l'incidenza del nostro debito pubblico. Essa comporta però
l'erosione di grandi e piccoli privilegi per molti aggregati sociali; il che,
in una società "bloccata" quale quella italiana, determina
elevati costi politici. Detto in altri termini: in Italia le scelte di
policy dovrebbero perseguire obiettivi di sistema di lungo termine; al
riguardo, gli ostacoli più severi sono però costituiti dalle
derive autoreferenziali della politica e dalla diffusa miopia dei
nostri principali attori economici.
Italia Oggi sette 7-5-2007 Un Libro verde per chiarire gli obiettivi
della politica dell'Ue nei servizi finanziari al dettaglio
Un Libro verde per chiarire gli obiettivi della politica futura
dell'Unione europea in materia di servizi finanziari (conti bancari,
prestiti, ipoteche, investimenti e assicurazioni forniti a singoli
consumatori). è questa l'ultima iniziativa promossa da Bruxelles per
consentire di comprendere in modo più approfondito i problemi cui
devono far fronte i consumatori e l'industria del settore finanziario del
Vecchio continente. 'Basandosi sul Libro bianco della Commissione sui
servizi finanziari, sui risultati dell'inchiesta settoriale in materia di servizi
bancari al dettaglio e sulla relazione intermedia sull'assicurazione
destinata alle imprese', si legge nel documento, 'il Libro verde definisce
gli obiettivi fondamentali della politica della Commissione nel
settore dei servizi finanziari al dettaglio, presenta le azioni necessarie
affinché gli utenti possano beneficiare dei vantaggi dell'integrazione del
mercato finanziario Ue e chiede un feedback sugli orientamenti dati'.
Ma quali sono i versanti su cui punta la Commissione per promuovere
l'integrazione dei mercati europei? In primo luogo, bisogna garantire la
fornitura di prodotti che soddisfino le esigenze dei consumatori offrendo
scelta, valore e qualità, tramite mercati aperti regolati
adeguatamente e una forte concorrenza. Oltre a questo, è necessario
instaurare un clima di fiducia tra i consumatori di Eurolandia per consentire
loro di compiere le scelte finanziarie più adeguate alle loro
esigenze. A tal fine occorre garantire che i consumatori siano protetti
adeguatamente e che i prestatori siano finanziariamente solidi e affidabili.
In terzo luogo, si dovrà cercare di promuovere la fiducia dei
consumatori nella ricerca delle offerte più adatte alle proprie
necessità, indipendentemente dall'ubicazione del prestatore di servizi
finanziari, insegnando loro a prendere le decisioni giuste in funzione della
loro situazione finanziaria. Per questa ragione la Commissione punta
sulla promozione dell'alfabetizzazione finanziaria, sulla fornitura di
informazioni chiare, appropriate e tempestive, sulla consulenza di elevata
qualità, oltre che sulla garanzia di condizioni eque di concorrenza
tra prodotti percepiti come aventi qualità analoghe. Secondo la Commissione,
i servizi finanziari al dettaglio costituiscono una parte essenziale della
vita quotidiana dei cittadini Ue ma nonostante i progressi compiuti
negli ultimi anni l'integrazione dei servizi mercati al dettaglio non ha
ancora raggiunto il proprio potenziale, la concorrenza appare insufficiente
in molti settori e questo impedisce ai consumatori di beneficiare pienamente
del mercato unico. Per queste ragioni 'il Libro verde rappresenta un
contributo importante al riesame del mercato interno che la Commissione
sta attualmente realizzando per accertarsi che le sue politiche siano
adeguate al 21° secolo', si legge nel documento stilato da Bruxelles che ha
invitato gli interessati a presentare osservazioni sul documento entro il 16
luglio 2007. 'Vogliamo creare un vero mercato unico per i servizi finanziari
al dettaglio e apportare ai consumatori europei una serie di benefici
tangibili: prodotti di qualità che soddisfino le loro esigenze,
maggiore fiducia nei prodotti e nei servizi offerti e una migliore
informazione e consulenza su cui possano basare le loro scelte', ha
dichiarato il commissario per il mercato interno e i servizi, Charlie
McCreevy.Il quintetto delle impresepiù apprezzateGeneral electrics,
Toyota motor, Procter & Gamble, Johnson & Johnson e Apple. è
questo il quintetto di testa dell'ultima edizione della classifica Fortune
sulle 50 imprese più ammirate al mondo. Per arrivare a questo
risultato, gli esperti della rivista americana hanno preso in esame nove
parametri: livello di innovazione, utilizzo degli asset societari,
reputazione e qualità del management, ambiente di lavoro,
solidità finanziaria, investimenti di lungo termine, qualità
dei prodotti e servizi e presenza sui mercati globali. Molti i nomi illustri
presenti nelle retrovie della classifica: si va da Microsoft (8"), a BMW
(9"), da Wal Disney (16") a Nokia (20"), senza dimenticare Coca
Cola (24"), Intel (29"), Siemens (37"), Sony (41"), Canon
(46"). Chiude la lista l'americana Dow Chemicals alle spalle della
connazionale Xerox e della britannica Hsbc holding. Molte le nazioni presenti
in una classifica dominata dalle imprese a stelle e strisce. La
rappresentanza più consistente, alle spalle di quella americana, monta
la bandiera nipponica con ben cinque società presenti tra le 50
più ammirate al mondo. Seguono la Gran Bretagna con 3, la Germania con
2 e poi Francia, Corea del Sud, Svizzera e Singapore con una sola presenza in
classifica. Ma gli esperti di Fortune sono andati oltre estendendo l'analisi
alle 358 imprese più importanti del mondo. Anche in questo caso gli
americani non hanno avuto rivali (135 imprese su 358), seguiti dai giapponesi
(61), da quelle di Francia, Germania e Gran Bretagna (26) e Olanda con nove.
In questa classifica allargata ecco spuntare anche il nome di sette colossi
italiani: Edison, Eni, Telecom Italia, Finmeccanica, Fiat, Assicurazioni
generali e Poste italiane. Edison si è posizionata al 4º posto
tra le imprese del comparto energetico selezionate da Fortune, alle spalle di
Oneok, Williams e Txu. Più indietro invece il posizionamento di Eni
che ha ottenuto il 10º gradino del podio all'interno del comparto 'petrolifero
e raffinerie'. Il colosso italiano ha dovuto competere con veri e propri
mostri sacri del comparto come Exxon mobil, Chevron, Bp, Royal dutch shell,
Conoco phillips, Total, Valero energy, Statoil e Marathon. Ancora più
indietro Telecom Italia. In base alla classifica settoriale di Fortune,
infatti, il colosso italiano delle Tlc ha conquistato soltanto il 15º
posto a livello globale dietro, tra gli altri, a Verizon (1º), AT&T,
Comcast, BT, Vodafone, Telefonica e China mobile. Stessa performance ma
diverso settore di attività per Finmeccanica e Fiat. Il colosso
pubblico italiano si è piazzato 15º nel comparto difesa e spazio
mentre il gruppo Fiat ha ottenuto lo stesso piazzamento nel comparto veicoli.
è andata meglio alle Assicurazioni Generali, 13" nel settore Life
and Health, mentre l'ultima azienda italiana entrata nella classifica di
Fortune, Poste italiane, è riuscita a strappare il 10º posto del
segmento 'consegne', alle spalle di FedEx, Ups, Tnt, Nippon express, Japan
post, Royal mail, Deutsche post, La Post e US postal service.
Non solo perché più vicino agli Usa rispetto ai
suo predecessori, ma perché portatore di una dottrina pragmatica e meno
ideologica con la quale ha promesso alla Francia una leadership forte. Lo
afferma Charles Kupchan, direttore degli Studi europei del Council of Foreign
Relations di New York e docente di Affari internazionali alla Georgetown
University di Washington. Perché Sarkozy ha conquistato l'Eliseo? "Dalla
fine della Seconda guerra mondiale il centro-destra ha contato su una solida
maggioranza di elettori nelle presidenziali francesi, grazie alla quale la
gran parte dei governi che si sono avvicendati proveniva da quella sponda politica.
Il centro-sinistra aveva quindi bisogno di un candidato forte, molto forte.
Non è stato il caso di Ségolène Royal, che a causa di alcuni
errori commessi durante la sua campagna, anche in politica estera, e
nel dibattito di mercoledì, è stata percepita come non matura,
e ha avvantaggiato il suo avversario forte, di un'esperienza politica
più solida". Che cosa cambierà ora nelle relazioni tra
Francia e Stati Uniti? "Sarkozy rappresenta un'importante opportunità
di rafforzamento dei rapporti tra Stati Uniti e Francia, non solo per le
posizioni apertamente più vicine a quelle americane, ma anche perché
garante di una leadership più forte rispetto a quella del suo
predecessore Jacques Chirac. È chiaro, non mi aspetto nessun
cambiamento radicale nel brevissimo termine, ma senza dubbio vi sono oggi,
più di ieri, prospettive importanti". In che direzione? "In
primo luogo l'uscita di scena di Chirac consente un avvicinamento tra
Washington e Parigi, dal momento che il presidente George W. Bush ha voluto
sempre mantenere una certa distanza con chi si opponeva radicalmente alla
guerra e sposava posizioni distanti da quelle dell'amministrazione americana.
In secondo luogo perché Sarkozy, che rappresenta la generazione "post
Seconda guerra mondiale", nei rapporti con gli Usa e in generale
sui temi di politica estera offre soluzioni molto più
pragmatiche che ideologiche, che renderanno più facile il dialogo.
Infine la prospettiva di un governo più forte rispetto al passato
appare un punto di svolta importante, non solo nelle relazioni tra Usa
e Francia, ma anche in quelle tra Usa e Unione Europea". Quindi
Sarkozy è un fattore di rafforzamento anche della partnership tra
Vecchio e Nuovo Continente? "La debolezza mostrata dalla leadership
francese nei recenti anni ha inciso non solo sui rapporti tra Francia e Stati
Uniti, ma tra questi ultimi e l'Unione Europea. Nel corso del suo primo
mandato, George W. Bush non accettava l'idea di una Europa forte. Ma nel
secondo mandato ha capito che la partnership con l'Ue è necessaria per
una serie di motivi che riguardano l'intero scacchiere internazionale.
Tuttavia l'Europa rischiava di non imporsi in questo senso anche per la
debolezza del governo francese, come dimostrato dalla mancata firma del
trattato costituzionale". Esiste il rischio per la Francia che Sarkozy
radicalizzi la contrapposizione sociale interna, come è avvenuto nelle
Banlieue lo scorso anno? "Il rischio esiste. Lo dimostra il fatto che il
neopresidente abbia raccolto nel primo turno solo l'1% dei voti degli
immigrati. Ma ritengo che Sarkozy si muoverà con molta cautela anche
sulle questioni sociali, specie nei prossimi mesi, per evitare di infiammare
il dibattito su questioni interne particolarmente delicate, come quelle delle
Banlieue". Sul piano della dottrina politica possiamo definire
Sarkozy un "neocon" alla francese? "Non mi spingerei
così lontano. Lo considero piuttosto un conservatore tradizionale, un
liberalizzatore che vuole migliorare i rapporti con l'America, non di
più. E del resto la sua posizione sulla guerra in Iraq lo
conferma".
Dunque niente sorprese, niente colpi di scena, niente magie
dell’ultimo minuto. Come era da un pezzo nelle previsioni universali, vince
Nicolas Sarkozy, il Sarkozy che in questi anni ha cambiato tra strappi e lacerazioni
volto e pelle alla destra francese e si è presentato con successo come
il campione del cambiamento possibile, concedendosi senza timore di pagare
dazi troppo elevati, lui che un populista non è, tutte le
radicalità e le durezze del caso, compresa la legittimazione non di Le
Pen, certo, ma di molti umori dell’elettorato lepenista profondo altrettanto
certamente sì. E perde Sègoléne Royal, che pure era riuscita a
mettere in condizione di non nuocerle gli elefanti del suo partito (che
adesso, c’è da scommetterlo, si trasformeranno in avvoltoi) e anche a
fare il miracolo di restituire la voglia di combattere a una sinistra
estenuata, divisa e prigioniera dei suoi vecchi fantasmi. Sègo ha
fatto, crediamo, tutto quello che ha potuto, e anche qualcosa di più,
mettendo in campo, lei, donna, una personalità più forte e
appassionata, e comunque assai meno incline alla manovra politicante, di
tanti maschietti: con ogni probabilità nessun altro candidato
socialista avrebbe preso i suoi voti, né al primo né al secondo turno. Ma non
ce l’ha fatta, e non poteva farcela, a convincere la maggioranza dei francesi
che il rinnovamento della gauche da lei incarnato o almeno simboleggiato
fosse già adesso qualcosa di più significativo di un
rinnovamento di immagine, la promessa e la speranza concreta di una svolta
modernizzatrice, per il socialismo francese e per una Francia che ha smarrito
tante delle sue orgogliose certezze, più credibile della
modernizzazione à la Sarko.
Di sicuro non l’ha aiutata la tendenza alla demonizzazione dell’avversario,
quel «tutti ma non Sarkozy» che ha circolato ampiamente nelle manifestazioni
pubbliche, sui giornali, in rete, negli ultimi giorni della campagna
elettorale, di sicuro le ha fatto del male l’evocazione, poi solo in parte
ritrattata, delle banlieue in fiamme in caso di vittoria del candidato della
destra. Verrebbe da dire che gli strateghi della sua sfortunata corsa
all’Eliseo le avrebbero risparmiato errori simili, se solo avessero guardato
con un po’ di spocchia in meno all’America, dove la parola d’ordine «anyone
but Bush» certo non ha aiutato Kerry, o all’Italia, dove l’antiberlusconismo
puro e duro è valso pressoché solo a fare le fortune del Cavaliere. Ma
c’è, ovviamente, qualcosa di più profondo e di più
serio, il male oscuro di una sinistra (e davvero non parliamo solo del Ps
francese) che quanto meno coglie le trasformazioni, le ambizioni e le paure
della società che gonfiano le vele dell’avversario tanto più si
intestardisce nelle sue parole di sempre. Sègo ci è caduta solo
in parte. In generale ha giocato la sua partita declinando le parole in
questione nel modo più appassionato e convincente possibile, e
aggiungendone di nuove e non facili, dalla sicurezza all’Europa. Non solo: ha
cercato, forse tardi, ma ha cercato, di gettare un ponte verso quei francesi
(milioni) che nella gauche non si riconoscono, ma in Sarko si riconoscono
anche meno. Un risultato, importantissimo, lo ha ottenuto, visto che quasi la
metà degli elettori (anche se non la metà più uno, che
è quella che conta) ha votato per lei. È una sconfitta, certo,
ma è anche un miracolo: cinque anni fa, non un secolo fa, Jospin non
era nemmeno arrivato al ballottaggio. Dovessimo dare un consiglio non
richiesto ai socialisti francesi, diremmo: rinfoderate subito le armi della
lotta intestina, risparmiateci il gioco al massacro, ripartite con lei,
ripartite da lei, dalle speranze che ha rianimato, dalle forze che ha messo
in movimento.
Proteste
nelle piazze della capitale, la polizia lancia i lacrimogeni
Auto incendiate nelle periferie, nel mirino sedi dell'Ump in varie
città
PARIGI - Quello che si temeva, con gli allarmi
per la possibilità di contestazioni, se dal ballottaggio fosse uscito
vincitore Nicolas Sarkozy, è avvenuto. La protesta contro l'elezione
del candidato neogollista è partita da Parigi, con gli scontri fra
manifestanti e polizia in Place de la Bastille e un presidio in Place de la
République, e si è allargata alle province, da Nantes a Tolosa a
Lione, fino alle banlieue. E se nella capitale le forze dell'ordine, seppure
a fatica, hanno fronteggiato i manifestanti con idranti e lacrimogeni,
ricevendo in risposta razzi e pietre, nelle periferie il bilancio è
più presante: decine di macchine incendiate, anche un parco giochi e
una scuola dati alle fiamme.
Parigi. Circa un migliaio di manifestanti si sono riuniti in Place de
la Bastille per esprimere delusione e rabbia per l'elezione del candidato
della destra, ma sono stati fronteggiati da un ingente schieramento delle
forze dell'ordine in assetto antisommossa. Di fronte ai lacrimogeni usati
dalla polizia, i manifestanti hanno risposto con il lancio di razzi e con una
violenta sassaiola. Un gruppo di persone, alcune delle quali a volto coperto,
con il vessillo rosso e nero degli anarchici, ha dato fuoco a un ritratto di
Sarkozy. Centinaia di giovani, soprattutto liceali, con le insegne del
Movimento dei giovani socialisti, si sono radunati anche in Place de la
République.
Le banlieue. La polizia ha ricevuto decine di chiamate nei
dipartimenti Val-de-Marne e Val-d'Oise, dove sono state incendiate numerose
automobili. Nell'Haute-des-Seine le forze dell'ordine hanno segnalato la
presenza di "gruppi di giovani, armati di mazze da baseball, in tutto il
dipartimento". Ad Asnières-sur-Seine sono bruciati i locali
dell'associazione "Le Trait d'Union", per cause ancora sconosciute.
Nell'Essonne, sono stati incendiati un parco giochi e una scuola, "senza
conseguenze gravi", come riferisce la polizia.
Le province. Tensioni a Nantes, nel nordovest del Paese:
la polizia ha disperso alcuni manifestanti che tentavano di avvicinarsi alla
sede dell'Ump, il partito di Sarkozy. Circa 600 persone, in gran parte
attivisti di estrema sinistra e del Movimento dei giovani socialisti, si sono
radunate nel centro della città e hanno tentato di avvicinarsi ai
locali del partito, presidiati dalle forze dell'ordine, contro i quali sono
stati lanciati oggetti. Anche in questo caso i manifestanti sono stati
dispersi con il lancio di lacrimogeni. Manifestazioni anche a Lione, e a
Rennes e Brest, in Bretagna: una cinquantina di persone ha occupato un presidio
dell'Ump. A Tolosa circa 2.500 persone si sono radunate nel centro della
città scandendo slogan contro Sarkozy. Alcune si sono arrampicate
sulla facciata del Comune, hanno staccato alcune bandiere francesi e suonato
una campana, poi si sono dirette verso la sede dell'Ump ma sono state
disperse dalla polizia.
L'appello di Hollande. Un appello "alla calma e alla
coerenza" è giunto dal segretario generale del Partito socialista
francese, Francois Hollande, che ha detto di capire la delusione degli elettori
di sinistra e il loro disorientamento ma "nella Repubblica vale la legge
del voto" ed è necessario "controllare collera e
frustrazione".
Accolto
da una folla festante, ha invitato a "rispettare l'avversaria"
"Il popolo ha scelto di rompere col passato, vincono democrazia e
unità"
PARIGI - Un pensiero "a tutti i francesi
che non hanno votato per me", e un invito: "Rispettate
l'avversaria, la socialista Segolene Royal e i milioni di francesi che
l'hanno votata". A poco più di mezzora dalla chiusura dei seggi,
e a vittoria ormai certa, Nicolas Sarkozy si è presentato
davanti a una folla festante di sostenitori, nel suo quartier generale, e ha
reso l'onore delle armi alla candidata sconfitta. "Amo la Francia come
si amano tutti coloro che ci hanno dato tanto. Ora voglio restituirle tutto
quel che mi ha dato". La Francia, ha aggiunto, "sarà dalla
parte degli oppressi. E' il messaggio della Francia. E' l'identità
della Francia. E' la storia della Francia".
Nel suo primo discorso da presidente, Sarkozy ha voluto ringraziare "i
milioni di francesi che mi hanno votato, che mi hanno fatto il più
grande onore che abbia mai avuto". Il popolo francese, ha aggiunto,
"ha scelto di rompere con le abitudini del passato, e a questo popolo
voglio restituire l'orgoglio. Lo farò con uno spirito di unione e
fratellanza in cui ognuno si sentirà riconosciuto nella sua
dignità di cittadino e di uomo". Stasera, ha sottolineato
Sarkozy, "non è la vittoria di una Francia contro un'altra Francia,
ma la vittoria della democrazia e dell'unità per far sì che i
francesi abbiano sempre voglia di parlarsi l'uno con l'altro".
Dal neopresidente, un segnale importante dopo la bocciatura del referendum
sul trattato costituzionale europeo: "Voglio lanciare un appello agli
alleati europei, da questa sera la Francia è rientrata in
Europa". Si è detto europeista convinto, e si è rivolto ai
Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ribadendo che la Francia vuole
collaborare con loro. Resta saldo anche il legame con gli Stati Uniti dei
quali, ha detto, "la Francia resta amica".
E proprio quella con il presidente George W. Bush è stata
una delle prime telefonate di Sarkozy dopo i risultati, oltre a quella con il
suo predecessore Jacques Chirac, e con Segolene Royal. Secondo l'Eliseo,
"George W. Bush ha chiamato Sarkozy per congratularsi ed esprimergli gli
auguri di successo nella missione di servire gli uomini e le donne di
Francia". "Siamo partner e alleati storici" ha detto il
portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, Gordon Johndroe, "il
presidente Bush non vede l'ora di lavorare con il presidente eletto Sarkozy
per portare avanti la nostra forte alleanza".
Che non sarebbe stata lei a varcare la soglia dell'Eliseo, si era capito ben
prima della chiusura dei seggi. Così, dopo le 20, Segolene Royal era
pronta ad ammettere la propria sconfitta e a inviare al "prossimo
presidente della Repubblica i migliori auguri nel compimento della sua
missione al servizio di tutto il popolo francese". Parlando ai suoi sostenitori
ha detto di aver "avviato un profondo rinnovamento della vita
politica" e che "qualche cosa è nato e non si
fermerà". E che "come donna di sinistra continuerò la
mia lotta, insieme a voi. Quel che abbiamo cominciato, porteremo avanti.
Potete contare su di me per approfondire il rinnovamento della sinistra.
Nuove battaglie democratiche ci attendono".
Il
Corriere della sera 6-5-2007 Le reazioni
dopo il risultato elettorale in Francia Prodi
a Sarkozy: «Lavoriamo insieme»
Il premier invia
un messaggio di felicitazioni al nuovo presidente: «Continueremo a guardare al
vostro Paese come a un alleato»
Così
il quotidiano Le Monde ha dato, nella sua versione online, la notizia della
vittoria di Sarkozy
ROMA - «Caro Nicolas, desidero farti giungere
le mie più sincere, amichevoli e affettuose felicitazioni per la tua bella
vittoria elettorale e per la nomina alla presidenza della Repubblica
francese». È quanto scrive il presidente del Consiglio Romano Prodi in
un messaggio ufficiale inviato a Nicolas Sarkozy per la sua vittoria
elettorale. «Il nostro lavoro comune in Europa e nel mondo - continua il
premier - non inizia oggi. L'abbiamo intrapreso già diversi anni or
sono nelle nostre funzioni precedenti. Così come i rapporti tra Italia
e Francia non iniziano oggi, perché da secoli i nostri Paesi sono legati da
un destino comune». Più tardi il capo del governo ha commentato il
voto: «Non ha funzionato la rigidità del Partito socialista francese.
Alla fine ha tentato di costruire alleanze, ma queste cose si preparano in
tempi lunghi».
BERLUSCONI - «L'affermazione di
Sarkozy dimostra la volontà di cambiamento che sta attraversando tutta
l'Europa», ha commentato il capo di Forza Italia, Silvio Berlusconi. «La
sconfitta della Royal è un'ulteriore prova del fatto che gli europei
considerano ormai esaurita la capacità di governare della sinistra.
Sarkozy condivide i valori e i principi che sono alla base del nostro impegno
politico».
FASSINO - Piero Fassino, segretario
dei Ds: «Anche il voto francese dimostra come il rapporto tra sinistra e
centro sia ormai un nodo strategico e come la costruzione di un moderno
centrosinistra riformista rappresenti la nuova frontiera per ogni politica di
progresso».
FINI - Per il leader di Alleanza nazionale «la vittoria di Sarkozy
dimostra che quando la destra coniuga sicurezza, giustizia sociale e
rinnovamento, è vincente».
■ Vai allo Speciale Elezioni Francesi
DI PIETRO - «Il dato interessante su cui anche l'Italia dovrebbe
riflettere è quello anagrafico, per un ricambio delle classi
dirigenti», dichiara il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro.
BORGHEZIO - «La vittoria di Sarkozy
in Francia, che fa seguito a quella degli indipendentisti scozzesi, è
stata ottenuta con parole d'ordine storiche della Lega: stop
all'immigrazione, difesa dell'ordine e della sicurezza, no alla Turchia in
Europa e salvaguardia dell'identità minacciata dall'omologazione», ha
riassunto l'esponente politico della Lega Nord Mario Borghezio.
MASTELLA - «Non ci sarà alcun
Partito democratico o di sinistra al mondo che, senza una politica aperta al
centro o collegata in alleanza con l'area di centro, possa sconfiggere gli
avversari politici», è l'opinione diClemente Mastella, ministro della
Giustizia e leader dell'Udeur.
CASINI - «La straordinaria
affermazione di Sarkozy è un grande risultato del Partito popolare
europeo e di tutti quei moderati che credono al rinnovamento della politica»,
ha detto Pier Ferdinando Casini, esponente dell'Udc.
PECORARO SCANIO - «La vittoria di
Sarkozy dimostra che il doppio turno alla francese impedisce l'alternanza,
ostacolando le alleanze». Lo dice il presidente dei Verdi e ministro
dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, il quale ha espresso «apprezzamento
per le dichiarazioni di Sarkozy sulla lotta ai cambiamenti climatici, che
dev'essere una priorità mondiale».
CAPEZZONE - «Il successo di Sarkozy è di portata storica e apre
una grande opportunità. Sarkozy, come Blair, ha la possibilità
di aiutare non solo il suo schieramento, ma anche i suoi avversari a
cambiare», secondo Daniele Capezzone, presidente della Commissione
attività produttive della Camera.
06 maggio 2007
Cara Europa, leggo sul Corriere che, secondo il rapporto
di Freedom House, diffuso alla vigilia del World Press Freedom Day, la
libertà di stampa in Italia è migliorata con l’uscita di
Berlusconi dal governo. Siamo a “quoziente 29”, con Israele e Capo
Verde, dopo Grecia e Polonia. Parecchio lontani dai primi, Finlandia e
Islanda. NUCCIO PAPAFAVA, VERONA
Caro Papafava, grazie della segnalazione.
La notizia aggiunge che «l’Italia era l’unico membro della Ue che figurava
come ‘parzialmente libero’, ma nel 2006 è tornata in ‘serie A’,
primariamente per il fatto che Berlusconi non è più premier.
Pur rimanendo l’informazione privata nelle mani di Berlusconi, la Rai non
è più sotto il suo controllo».
Naturalmente, lasciamo a chi compila queste classifiche la
responsabilità scientifica del giudizio. Noi ci limitiamo invece a
riportare dal sito di Articolo 21, che pubblica un articolo del giurista
comunitario Roberto Mastroianni su informazione e politica, alcuni giudizi su
conflitto d’interessi e pluralismo dei mezzi di comunicazione in Italia.
Il giurista richiama la Raccomandazione n.2 del 2007 del Consiglio d’Europa,
che chiede agli Stati membri di porre, mediante leggi appropriate, «una netta
e chiara separazione tra l’esercizio del potere politico e la
proprietà o l’influenza sui media».
Poiché anche il governo italiano ha votato questa raccomandazione, «ci
saremmo aspettati – scrive Mastroianni – due cose: una forte accelerazione
verso l’adozione della legge Gentiloni e una proposta risolutiva sul
conflitto d’interessi essendo stata definita insufficiente, dallo stesso
Consiglio d’Europa, la legge Frattini. E invece nulla di tutto ciò
sembra stia per avvenire.Il ddl Gentiloni muove passi lenti nelle aule
parlamentari, mentre il ddl sul conflitto d’interessi, presentato alla Camera
e in discussione nei prossimi giorni, appare lontano dalle richieste
dell’Europa riproponendo la soluzione del blind trust, che in settori come le
comunicazioni di massa, non contribuisce a risolvere in radice il problema».
Che dirle, caro Papafava? L’autore della suddetta critica ricorda che
c’è al Senato un ddl di Furio Colombo,che, sull’esempio delle leggi
tedesca, inglese, ecc., prevede l’incompatibilità fra cariche di
governo e controllo di media. Quanto all’ineleggibilità di chi detiene
posizioni di controllo, sarebbe sufficiente una «interpretazione autentica» del
divieto contenuto nel dpr 361 del 1957. «Più in generale – conclude
Mastroianni – mi pare necessario ravvivare un dibattito che sembra un po’
assopito, mentre si tratta di ridisegnare le regole di base del funzionamento
della democrazia nel nostro paese». Auspicio condiviso. E da condividere.
. Sono 46 le agenzie investigative autorizzate dalla prefettura
che operano su fronti diversi e spesso in contrasto fra loro. Si parte dai
temi classici (separazioni, indagini prematrimoniali) sino alla sicurezza delle
imprese e allo spionaggio industriale. "Ma solo una decina - dicono gli
esperti - possono valersi di tecnologie costose e sofisticate. Con quelle
puoi fare quasi tutto". Cioè? "Intercettazioni ambientali,
videoriprese, registrazioni, violazioni delle reti informatiche. Ci vogliono
molti soldi, gli hacker che sanno come violare i siti. Niente è
impossibile". Per intercettare un telefono Gsm ci vogliono
apparecchiature costruite in Israele. Costi proibitivi. Ma non per
tutti. Ma si può anche aiutare i clienti a "non" essere
intercettati. I "private eyes" consigliano l'utilizzo di Gsm Scra
(costo 1100 euro) che consente di criptare le conversazioni in entrata e in
uscita. Chi è in ascolto con le cuffie avvertirà solo un
fastidioso gracidio. Ancora più facile agire sulle linee fisse. Ci si
può scatenare con poche decine di euro: basta un microfono dotato di
radiofrequenza. Lo puoi sistemare nella presa del telefono. Gli investigatori
più tecnologici consigliano bene: con un "disturbatore cellulare
tribanda" puoi mettere fuori uso Gsm e Umts. Poi gli inibitori di
microspie e di registratori analogici. Altro che pedinamenti, macchine
fotografiche nascoste nel trench e giornali forati. Anche se buona parte
delle agenzie torinesi seguono ancora i vecchi modelli. Un ristretto gruppo,
l'élite, si avvale di microvideocamere - in libera vendita - ad altissima
definizione. La Tel Pic è un gioiello, dicono alla Selavio di
Moncalieri, di solo 8
millimetri per 8 millimetri, 3 grammi di peso. E
rarissimi clienti - ma a Torino è già successo - possono
permettersi il lusso di rivolgersi a investigatori privati che sanno valersi
di un sistema di intercettazione a raggi laser: trasmette e decodifica su un
ricevitore le vibrazioni della voce umana su un qualsiasi vetro, a cento
metri di distanza. "Bisogna ammettere che non sempre sono efficaci -
dice un esperto - ma si può comunque tentare". Inutile
specificare che si tratta di azioni completamente illegali. Come le schede
per intercettare i fax in entrata e in uscita. E le bonifiche? Capitolo
interessante ma rischioso. Oggi è una delle specialità
più raffinate di molte agenzie. Ma attenzione ai rischi. "Pochi
giorni fa abbiamo individuato una cimice nell'ufficio di un cliente. Uno
strumento sicuramente sistemato lì dalle forze dell'ordine. Noi
dobbiamo limitarci a segnalarlo, né possiamo rimuoverlo, né possiamo
suggerire nulla al cliente", racconta un cacciatore di microspie.
Amarcord: "Accadde con un tizio, individuata la "cimice", era
nella sua auto. Lui non ci credeva. Il giorno dopo lo hanno arrestato".
Oggi il detective privato è soprattutto un consulente: "A 360
gradi, ma con le nuove normative si corrono ogni giorno rischi enormi. Come
dimostrano le ultime indagini".\.
Il
Riformista 5-5-2007 I conti da fare con l’islam moderato
Nessuna democrazia è possibile, a lungo termine, senza uno dei
protagonisti ineludili della politica mediorientale: l’islam politico, che
raccoglie i più importanti movimenti di massa della regione. Senza gli
islamisti, qualsiasi ipotesi di riforma seria - in quell’area che denominiamo
Grande Medio Oriente - non avrà alcuna possibilità. E la stessa
capacità d’influenza dell’Unione Europea sarà sempre più
ridotta, meno realistica, limitata a fette di società civile
irrilevanti dal punto di vista politico. Lontano dai riflettori spesso
deformanti della cronaca spicciola su islamismo, jihadismo, regimi arabi e
riforma mediorientale, il dibattito politologico prosegue tutto sommato
tranquillo. Ma non per questo meno dirompente, nelle sue conclusioni. E le
conclusioni dell’ultimo rapporto della prestigiosa Stiftung Wissenschaft und
Politik (SWP) di Berlino non fanno difetto, se la linea espressa dal
più importante think tank tedesco sulla politica internazionale
stravolge la direzione seguita nei fatti dall’Unione Europea, al di là
di alcuni tentativi (teorici) fatti negli anni scorsi.
Nessun futuro credibile, per l’influenza di Bruxelles, senza una lettura del
fenomeno islamista che vada oltre gli stereotipi che negli ultimi anni hanno
catalizzato la discussione politica, anche all’interno dei circoli
intellettuali. Una lettura che si può raggiungere solo superando gli
schemi e stravolgendo le prospettive seguite sinora.
Gli esempi sono tanti, nel centinaio di pagine del rapporto, Moderate Islamists
as Reform Actors. Conditions and Programmatic Change, curato da Muriel
Asseburg, fine analista e responsabile della sezione Medio Oriente e Africa
della SWP. Il più eclatante è il caso iracheno, dove gli
islamisti (sciiti) governano con gli Stati Uniti, e “grazie” al cambiamento
del regime manu militari voluto dall’amministrazione Bush. Una osservazione
(tautologica) che però serve a stravolgere l’idea (imperante) che la
linea neocon di Washington sia tetragona, contro chi si richiama all’islam
politico. Il parlamento uscito dalle ultime elezioni vede una maggioranza
islamista di 177 seggi su 275. Negli scorsi quattro anni, sottolinea Guido
Steinberg, lo studioso che ha curato il saggio sull’Iraq, gli islamisti
sciiti si sono dimostrati «partner affidabili per gli Stati Uniti», ed
è fuor di dubbio che quello di Baghdad sia «il test per la politica
americana verso gli islamisti» nella regione.
INDICE
3-5-2007
La Stampa 2-5-2007
Duello tv tra Sarkozy e Ségolène 1
VIII
SESSIONE PROGRAMMATICA Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti 1 con le
Regioni 1
Sanbenedettooggi.it
2-5-2007 Comunità montane senza montagne ma molti sussidi di Nazzareno
Perotti 2
La Repubblica
30-4-2007 Oltre il giardino. L’Umberto, il Cavaliere e il pasticcio veronese
di ALBERTO STATERA 3
Per i due
candidati stili radicalmente opposti: concentrato il moderato, aggressiva ma
serena la socialista
PARIGI
Nel corso della prima ora di dibattito televisivo, Ségoléne Royal ha messo a
segno almeno un punto a proprio favore, mostrandosi più aggressiva
rispetto all’avversario, il «duro» Nicolas Sarkozy: smentendo chi la voleva
poco determinata, la candidata socialista ha più volte monopolizzato
il confronto, tenendo la parola per un tempo maggiore rispetto all’avversario
di centro-destra, al punto da constringere in varie occasioni i due
moderatori a far presente che l’ex ministro dell’Interno avrebbe dovuto
recuperare il tempo strappatogli dall’interlocutrice.
Lei tuttavia ha continuato a interromperlo, costringendolo talora a una sorta
di inseguimento.
La «dolce» Segolene guardava sempre dritto negli occhi il rivale, che invece,
pur molto determinato, spesso fissava nel vuoto o si rivolgeva con lo sguardo
ai moderatori. A parte qualche digressione sull’ordine pubblico, l’economia
ha tenuto banco.
Si aprirà domani, venerdì 4 maggio, l'edizione
2007 dell'incontro del Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli utenti
(CNCU) con le Regioni. A fare gli onori di casa sarà la Regione
Marche che ospiterà i lavori dell'ottava Sessione Programmatica a San
Benedetto del Tronto, nel Palazzo dei Congressi. Quest’anno il confronto
– dal titolo "Il cittadino-consumatore visto dalle competenze
regionali" – avrà come ospite d'onore il ministro dello
Sviluppo Economico, Pier Luigi Bersani. Ma il parterre delle
autorità vedrà la presenza anche del vice ministro dello
Sviluppo Economico, Sergio D'Antoni, del presidente della Regione
Marche, Gian Mario Spacca, del direttore generale per l'Armonizzazione
del Mercato e la Tutela del Consumatore, Antonio Lirosi; del
rappresentante italiano al Gruppo Consultivo Europeo dei Consumatori, Anna
Bartolini, del sindaco di San Benedetto del Tronto, Giovanni Gaspari.
Ma soprattutto i protagonisti di quest'incontro saranno gli oltre 500
rappresentanti di enti locali e delle 16 associazioni dei consumatori del
CNCU.
Scarica
il programma
Vai alla storia delle Sessioni
programmatiche…
Per informazioni:
Segreteria organizzativa
Atlante Congressi – via Paganini, 10
63039 - S. Benedetto del Tronto (AP)
Tel. 0735.757277
Fax 0735.652836
E-mail: info@atlantecongressi.it
www.tuttoconsumatori.it è il portale del Consiglio
Nazionale dei Consumatori e degli Utenti (CNCU) dove è possibile avere
informazioni sull’attività del Consiglio, sulle normative in materia
di tutela dei consumatori e tutte le notizie sulle principali problematiche:
dalla sicurezza e qualità dei prodotti alla salute, dai trasporti ai
servizi assicurativi, dall’alimentazione fino al tema delle banche e dei
servizi di credito.
Ai sensi dell'Art. 13 del D.LGS 196/2003 la informiamo che il
suo indirizzo di posta elettronica è nei nostri archivi in conseguenza
di precedenti comunicazioni intercorse.
E' il risultato
di un'inchiesta del Corriere della Sera a firma di Sergio Rizzo e Gian
Antonio Stella. Silenzio da parte delle Istituzioni. Una gran brutta cosa che
aiuta il malaffare ed evidenzia "una certa politica che non ha come
obiettivo il bene comune ed una sana amministrazione ma solo quello di
alimentare se stessa", la conclusione degli autori.
Politica.
Stavo riflettendo in questi giorni sull'utilità di certe nostre
inchieste: abusi edilizi finora sconosciuti, massima trasparenza
sull'eredità Rambelli, denaro pubblico al vento, i clamorosi casi
Samb: Francesco Agnello, Alberto Soldini, Antonio Venturato quelle che mi
vengano in mente ma ce ne sono sicuramente altre. Come altre inchieste
continueranno a far parte del nostro progetto editoriale.
Però,
perché, mi sono chiesto, i politici che sono preposti a prenderne atto
(maggioranza e minoranza) fanno finta di niente o quasi? Dovrebbe essere il
loro pane quotidiano eliminare ciò che non va e approfittare di quegli
organi di informazione che fanno indagini e le testimoniano. Solo qualche
intervento di giovani politici all'opposizione ma senza mai andare a fondo.
Rischierebbero di rispolverare vecchi e nuovi inciuci?
Nella foga mi
sono allungato troppo perché il vero motivo di questo mio DisAppunto è
un altro: vista la disattenzione dei poltici verso le nostre inchieste, ero
arrivato a pensare che siamo una testata relativamente giovane e che
(nonostante i nostri 5000 lettori quotidiani), per questo motivo, ci
sottovalutano. Non è così, il problema ha connotazioni molto
più gravi e profonde.
L'ho capito
ascoltando la trasmissione radiofonica Zapping condotta da Aldo Forbice. Un
illustre ospite ha fatto questa denuncia: Sergio Rizzo un bravissimo
giornalista del giornale italiano più letto ha dedicato una pagina intera
ad un'inchiesta sulle Comunità Montane, dimostrando che ne esistono
troppe e che ci sono associazioni praticamente inutili pur avendo un costo
pubblico considerevole. Assurdo e incredibile, oltretutto, che buon numero di
esse siano a livello del mare o qualche metro sopra!
Clicca qui: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/04_Aprile/29/stella_montagne.shtml
Bene, bravo, direte.
E' vero ma lo scandalo è un altro: nonostante il giornalista avesse
smascherato con grande fatica Montanopoli, nessuno dei numerosissimi partiti
politici italiani ha trasformato in fatti il prezioso inchiostro del
più importante giornale italiano. Veramente una gran brutta cosa che
non porterà nulla di buono alla democrazia e alla civiltà
italiana.
"Su
Verona Berlusconi ha fatto un po' di pasticci", ha sospirato Umberto
Bossi commentando la triplice candidatura a sindaco di uomini del
centrodestra alle comunali di maggio. Conciliante, l'ex premier ha sbuffato e
rispedito la palla accusando genericamente "gli egoismi dei partiti, che
invece di scegliere il miglior candidato possibile antepongono il loro
interesse e mandano avanti il nome sbagliato". Assai meno conciliante,
il sanguigno governatore veneto Giancarlo Galan ha esclamato: "Siamo
coglioni o cosa?!" Ma, non potendo dare del coglione direttamente al
Cavaliere, suo datore di lavoro fin dai tempi di Publitalia, né a se stesso
che in Veneto gestisce una sorta di satrapia, se l'è presa con
Nicolò Ghedini, il ringhioso avvocato berlusconiano che è anche
coordinatore regionale di Forza Italia, ma soprattutto con i coordinatori
nazionali Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto chiedendone la testa perché che
non sono riusciti a mettere d'accordo tutti su una candidatura unitaria.
Cosicchè a Verona Alfredo Meocci, ex commissario dell'AgCom con fama
di sciupone per l'uso disinvolto delle carte di credito aziendali ed ex
direttore generale della Rai estromesso per incompatibilità, cui il
Cavaliere deve parte della "fininvestizzazione" del servizio
pubblico, stava per correre, appoggiato da Udc e FI, contro il leghista
Flavio Tosi, assessore regionale alla Sanità, sostenuto anche da An, e
un terzo candidato con una lista civica. Ma all’ultimo momento Meocci ha
accettato di fare ‘ticket’ con Tosi, accontentandosi del ruolo di
vicesindaco.
"Ma gli attributi non li abbiamo?" ha insistito urologicamente
Galan di fronte ai casi di Chioggia e Belluno e alla candidatura alla
presidenza della Provincia di Vicenza di un altro leghista, l'ex sindaco di
Thiene Attilio Schneck, mentre la leghista Manuela Dal Lago si appresta
l'anno prossimo a candidarsi a sindaco della città. Per non parlare di
Treviso, dove l'ormai storica gestione leghista è indiscutibile.
"Verona spacca Forza Italia", ha titolato "La Padania" e
"La Nuova Venezia", sotto il titolo "Lega egemone, FI in
crisi", ha osservato che il quadro d'assieme delle prossime elezioni
amministrative rivela che il Carroccio è in lizza nelle gare
più importanti, con Forza Italia che rischia di scoprirsi residuale
negli enti locali. E non solo nel Veneto, ma in tutto il LombardoVeneto. A
Monza per la Cdl è candidato il leghista Mariani, a Varese il leghista
Reguzzoni. Candidati leghisti corrono col centrodestra o da soli a Sesto San
Giovanni, a Cantù e altrove.
Ma non si era detto, dopo gli ultimi rovesci elettorali, che si marciava
ormai verso un nord senza Lega? Le elezioni del 2006 segnarono una forte
contrazione del Carroccio soprattutto nelle grandi città e oggi lo
scontro interno per l'eredità della leadership è dissimulato ma
aspro. Espulsioni, purghe e scissioni sono continue, frange protestatarie si
organizzano in Veneto, i "duri e puri" di un tempo non perdonano i
banchetti della nomenklatura romanoleghista al ristorante "Capricci
siciliani", i militanti che misero i soldi nell'operazione Credieuronord
sono imbufaliti. L'identità e la collocazione del partito non è
mai stata così confusa. Eppure, Berlusconi, sbuffando, consente il
pieno delle candidature alle amministrative di maggio che fa infuriare il suo
governatore più visibile. Che significa?
Forse il tentativo di un passo verso il "Partito settentrionale",
un contenitore capace di intercettare meglio le istanze di rappresentanza di
questo pezzo d'Italia, non solo la fascia pedemontana e la valli, ma anche le
grandi città? L'ipotesi, evocata dallo stesso Berlusconi nei giorni
della delusione postreferendaria, è rilanciata in un libro di Diego
Motta e Alessandro Amadori ("Le questioni settentrionali Perché l'Italia
deve ripartire dal Nord") e descritta come "una specie di
normalizzazione che chiuderebbe per sempre il ciclo inaugurato sui prati di
Pontida. Ma l'arroccamento leghista sul voto di maggio va in un'altra
direzione: difendere allo stremo l'ultima "riserva indiana" di
Bossi.
a.statera@repubblica.it
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