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Archivio rassegna   1-15 MAGGIO 2007

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INDICE 15-5-2007

Antitrust. Comunicato stampa 15-5-2007 TELEFONIA MOBILE: ANTITRUST, GARANTIRE IMMEDIATA PORTABILITA’ NUMERO E CREDITO RESIDUO AGLI UTENTI IN CASO DI MODIFICA UNILATERALE DELLE CONDIZIONI 1

La Repubblica 15-5-2007 Palermo Dieci sindaci alla Cdl, tre all'Unione Ventuno comuni vanno al ballottaggio: c'è anche Agrigento la Sicilia A Ragusa il Polo a valanga A Trapani vince Fazio, Buscaino si dimette A Cefalù la spunta l'alleanza anomala tra Ds e Udc Zambuto, ribelle dello Scudocrociato sfiderà Camilleri 2

L’Unità 15-5-2007 Conflitto di interessi, 42 ore di dibattito. Ma si finirà solo dopo le amministrative Tempi contingentati per la discussione. Ma, con altre votazioni e la campagna elettorale, la Camera voterà tra qualche settimana. Critici Idv e Pdci Quarantadue ore. Dieci per la discussione generale e altre trentadue per l'esame della proposta. 3

L’Unità 15-5-2007 Bush contro l'Europa vuole cancellare il clima dall'agenda del G8 Gli Usa preparano un colpo di mano sul piano per fermare la febbre del pianeta di Roberto Rezzo  3

Il Tirreno 15-5-2007 L'Europa critica gli americani I ministri della Difesa Ue criticano l'uso eccessivo della forza "Le operazioni militari non devono coinvolgere gli inermi" 4

Il Giornale di Brescia 15-5-2007 Il sistema sanitario americano, nuovo bersaglio di Michael Moore  5

Il Piccolo di Trieste 15-5-2007 Lettera aperta di Dipiazza La Caritas raccomanda: basta agli interventi-spot nel campo sociale  5

Il Resto del Carlino 15-5-2007 Ravenna. Tat ci dicono che solo il 50 per cento delle famiglie è in regola con i canoni del family day. 6

Marketpress.info 15-5-2007  Secondo una recente relazione elaborata dai centri studi Demos e The Centre, l'Ue dovrebbe essere considerata come un sostenitore ed un esempio di collaborazione internazionale in materia di ricerca e sviluppo. 6

Marketpress.info 15-5-2007- La Commissione europea ha adottato una comunicazione sul ruolo della cultura nel contesto della mondializzazione, che propone per la prima volta una strategia europea della cultura. 7

 


 

Antitrust. Comunicato stampa 15-5-2007 TELEFONIA MOBILE: ANTITRUST, GARANTIRE IMMEDIATA PORTABILITA’ NUMERO E CREDITO RESIDUO AGLI UTENTI IN CASO DI MODIFICA UNILATERALE DELLE CONDIZIONI

 

 

COMUNICATO STAMPA


No alla variazione dei piani tariffari via sms: violano Codice delle Comunicazioni. Vessatoria modifica unilaterale senza giustificato motivo.

Gli utenti di telefonia mobile, ai quali viene comunicata la modifica unilaterale dei piani tariffari, devono poter avere immediatamente la portabilità del numero telefonico presso un altro operatore, con il riconoscimento del credito residuo.

Lo sottolinea l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che nella riunione del 10 maggio 2007 ha esaminato le numerose denunce ricevute dai clienti Wind, avvisati dall’operatore attraverso l’invio di un sintetico sms del passaggio, non richiesto, ad un altro piano tariffario, meno vantaggioso. L’Autorità ha deciso di inviare le segnalazioni dei consumatori all’Agcom per gli interventi di sua competenza e ha dato incarico al presidente Antonio Catricalà di scrivere al ministro dello Sviluppo Economico Pierluigi Bersani, per informarlo delle questioni sollevate dai consumatori.

L’Antitrust ricorda che il Codice delle comunicazioni elettroniche attribuisce agli abbonati il diritto di recedere dal contratto, senza penali, al momento della notifica di proposte di modifica delle condizioni contrattuali: la comunicazione relativa alla variazione dei piani tariffari, inviata con sms e senza l’indicazione sulla possibilità di esercitare tale diritto, sembrerebbe dunque violare la regolamentazione in vigore e potrebbe, in base alla normativa, essere sanzionata.
Per l’Autorità rientra ovviamente nella disponibilità delle imprese offrire nuovi e più costosi piani tariffari ma occorre garantire agli utenti, che conseguentemente intendono cambiare operatore, la portabilità immediata del numero di telefono, assicurando il mantenimento del credito residuo. All’Agcom l’Antitrust chiede dunque che venga assicurato, in questi casi, uno speciale regime di immediata portabilità.
L’Autorità sottolinea infine che il messaggio inviato da Wind non contiene neanche l’indicazione del giustificato motivo che legittimerebbe l’operatore telefonico a realizzare le modifiche del piano tariffario. Se la possibilità di variazione unilaterale fosse prevista dalle condizioni generali di contratto, potrebbero esistere gli estremi per una valutazione di vessatorietà delle stesse clausole contrattuali. In base al Codice del Consumo, le associazioni dei consumatori possono richiedere al giudice di proibire l’uso di clausole ritenute vessatorie.


Roma, 14 maggio 2007


 

La Repubblica 15-5-2007 Palermo Dieci sindaci alla Cdl, tre all'Unione Ventuno comuni vanno al ballottaggio: c'è anche Agrigento la Sicilia A Ragusa il Polo a valanga A Trapani vince Fazio, Buscaino si dimette A Cefalù la spunta l'alleanza anomala tra Ds e Udc Zambuto, ribelle dello Scudocrociato sfiderà Camilleri

 

La Casa delle libertà si conferma in due dei tre Comuni capoluogo dove si è votato e ottiene il successo anche alla Provincia di Ragusa. Per il resto, la partita resta aperta, con 21 contese finite al ballottaggio su 35 grandi centri (quelli con più di 10 mila abitanti) interessati dalle elezioni. A Palermo Diego Cammarata stoppa il tentativo di ritorno di Leoluca Orlando e il centrodestra conquista facilmente anche Trapani, dove il sindaco uscente Girolamo Fazio, sostenuto da tutta la Casa delle Libertà, supera al primo turno la prova lasciando le briciole ai candidati del centrosinistra, Mario Buscaino (Ds e Margherita) e Giuseppe Ortisi (Verdi e cespugli dell'Unione). Buscaino ha denunciato di essere stato "abbandonato da Roma" e ha annunciato le dimissioni da segretario provinciale della Margherita. La Cdl è costretta al ballottaggio ad Agrigento, feudo del governatore Salvatore Cuffaro. Enzo Camilleri (Mpa) deve andare al secondo turno con Marco Zambuto, appoggiato da tre liste civiche, Udeur e Ds. L'Udc ha appoggiato ufficialmente Camilleri ma Zambuto è l'ex coordinatore del partito nella città dei Templi e ha raccolto anche l'appoggio di altri importanti "pezzi" dello scudocrociato di Casini. Cefalù, dopo dieci anni di guida forzista, sperimenta la "strana alleanza": vince al primo turno Giuseppe Guercio, esponente dell'Udc, appoggiato da Ds, Sdi, e 4 liste civiche. L'altra alleanza anomala, quella fra Udc e Margherita che a Barcellona Pozzo di Gotto sosteneva Carmelo Torre, è stata sconfitta da Candeloro Nania (An), sindaco uscente che si conferma. Alla Cdl va anche la Provincia di Ragusa, tradizionalmente zona "rossa" della Sicilia dove il presidente uscente, Franco Antoci, ha ottenuto una percentuale superiore al 65 per cento, lasciando all'avversario dell'unione Giuseppe Barone al 25 per cento. Al primo turno, dieci comuni vanno al centrodestra (ne aveva 24) e tre (su 9) al centrosinistra: fra questi Gela, dove il sindaco uscente Rosario Crocetta centra l'affermazione secca, respingendo l'assalto del polista Tonino Gagliano e malgrado un ex alleato come Salvatore Morinello sostenesse un terzo candidato, Orazio Rinelli. L'Mpa non sfonda nella partita dei sindaci: Camilleri costretto al secondo turno ad Agrigento, Gagliano battuto a Gela. Un esponente di spicco degli autonomisti come l'assessore regionale Rossana Interlandi va al ballottaggio a Niscemi, contro Giovanni Di Martino del centrosinistra. A Marsala il candidato della forzista Giulia Adamo e di Massimo Grillo, l'avvocato Renzo Carini, va al secondo turno contro il vicesindaco uscente Leonardo Giacalone (Ds), anche se fino a tarda ora rimaneva in corsa pure Ottavio Navarra, esponente dei cespugli dell'Unione. Ad Alcamo Giuseppe Benenati (Udc) porta al ballottaggio l'uscente Giacomo Scala (Margherita). Appuntamento al secondo turno anche a Castelvetrano ed Erice. Il segretario regionale dei Ds, Tonino Russo, parla di "avanzamento in Sicilia in termini percentuali" e cita Agrigento come esempio di "stop" a Cuffaro. Il presidente della Regione segnala che "dieci ballottaggi riguardano candidati del centrodestra: il sindaco, comunque vada, resterà del centrodestra". Il coordinatore regionale di Forza Italia, Angelino Alfano dedica "il successo siciliano al presidente Berlusconi". "Dopo un anno - dice - arrivano, per il presidente, le prime soddisfazioni, giusto premio per la sua straordinaria tenacia e per la sua grande capacità di resistenza alle oppressioni di ogni tipo. Ci auguriamo che al risultato della Sicilia faccia seguito, tra quindici giorni, quello del resto del Paese". Ma il segretario regionale del Prc, Rosario Rappa, invita gli esponenti della Cdl alla calma e cita il successo di Rosario Crocetta, comunista che continua a governare nella terra del Polo. e. la.

 


 

L’Unità 15-5-2007 Conflitto di interessi, 42 ore di dibattito. Ma si finirà solo dopo le amministrative Tempi contingentati per la discussione. Ma, con altre votazioni e la campagna elettorale, la Camera voterà tra qualche settimana. Critici Idv e Pdci Quarantadue ore. Dieci per la discussione generale e altre trentadue per l'esame della proposta.

 

Con questi tempi, da oggi, l'aula della Camera prende in esame il nuovo provvedimento sul "conflitto di interessi". Il testo, che dovrebbe arrivare a votazione dopo il primo turno delle amministrative di fine maggio (la Camera chiude dal 21 al 27, per il "silenzio" che precede le amministrative), non trova per adesso il favore di Forza Italia, ma nemmeno quello (da punti di vista opposti) di Udeur, Verdi, Pdci e Idv. Il partito di Berlusconi prova a rovesciare il problema. "Il centrosinistra - afferma Fabrizio Cicchitto - per colpire Berlusconi adotta la linea di sparare a raffica contro imprenditori e professionisti per cui l'attività di governo nazionale, regionale e locale è inibita non solo a coloro che raggiungono il tetto dei 15 milioni di euro, o che svolgano attività economiche derivanti da concessioni dello Stato, ma anche per coloro che siano titolari di interessi economici privati che possano condizionarli nell'esercizio delle loro funzioni". Sarebbe, quindi, un criterio "classista". Che, citiamo dalla dichiarazione dell'Udc Maurizio Ronconi "imporrebbe una nuova casta di politici fatta di dipendenti pubblici e privati, di funzionari di partito e dalla quale siano esclusi gli imprenditori, piccoli e grandi, e tutti i lavoratori autonomi che si troveranno con questa legge nelle obiettive condizioni di rinunciare a qualsiasi impegno politico" (da notare che nel testo varato dalla Commissione Affari Costituzionali l'incompatibilità è per i membri del governo). Veniamo quindi alle distinzioni che da giorni sono maturate all'interno dello schieramento di centrosinistra. Per il capogruppo Udeur Mauro Fabbris, "il testo può essere migliorato per fare in modo che abbia un carattere più generale ed evitare così che sia contro qualcuno o che impedisca al leader dell'opposizione di fare politica". Dall'altro lato Pino Sgobio, capogruppo del Pdci, avverte: "Se il testo sul conflitto di interessi rimane così com'è avremo difficoltà a votarlo, perché è troppo debole e sciapo". E Massimo Donadi, capogruppo Idv alla Camera: "La legge licenziata dalla Commissione è un'arma spuntata che, tanto è più grande il conflitto di interessi, tanto più dà una risposta inadeguata: forte con i deboli, si fa per dire, e debole con i forti veri, con un blind trust che, per i grandi patrimoni, è tutto tranne che cieco. Per quanto ci riguarda, per i casi di grande e grave conflitto di interessi l'unica soluzione è l'assoluta incompatibilità con i ruoli di Governo. Su questo, saremo irremovibili fino all'estrema conseguenza di bocciare il provvedimento in Aula qualora non si arrivi ad una disciplina veramente seria della materia". Dal punto di vista tecnico, oggi pomeriggio scade il termine per presentare emendamenti.


 

L’Unità 15-5-2007 Bush contro l'Europa vuole cancellare il clima dall'agenda del G8 Gli Usa preparano un colpo di mano sul piano per fermare la febbre del pianeta di Roberto Rezzo

 

/ New York COLPO DI MANO sull'ambiente. L'amministrazione Bush sta tentando di far deragliare l'agenda del prossimo del G8, quella incentrata sulla riduzione dei gas che causano l'effetto serra. Nelle ultime riunioni in preparazione del vertice - che si terrà all'inizio di giugno a Rostock in Germania - i rappresentanti di Washigton hanno chiesto di cancellare dalla bozza di documento gli impegni a non far innalzare la temperatura del pianeta oltre i 2 gradi centigradi nel corso di questo secolo e a dimezzare le emissioni di anidride carbonica entro il 2050. Obiettivi che nel testo originale, preparato dalla presidenza tedesca, vengono definiti "imperativi". Non è tutto. Nella versione riscritta e sostenuta dalla delegazione americana spariscono nell'ordine: la clausola che recita "è in corso un'accelerazione delle mutazioni climatiche che danneggerà l'ambiente naturale comune e indebolirà severamente l'economia globale... è necessaria un'azione urgente e risoluta"; la frase "siamo profondamente preoccupati dalle ultime conclusioni confermate dalla Commissione intergovernativa sul cambiamento di clima (Ipcc)"; l'impegno a mandare "un messaggio chiaro" sugli sforzi internazionali per contrastare l'aumento della temperatura del pianeta al prossimo tavolo di negoziati che si terrà a novembre all'Onu; gli obiettivi sul miglioramento dell'efficienza nel settore dei trasporti e in quello dell'edilizia; il protocollo d'intesa per la creazione di un mercato globale del carbone. Si tratta di un vero e proprio scempio che di fatto mette gli Usa su un altro binario rispetto a tutte le principali potenze del mondo industrializzato. La Ue, che include la metà dei membri del G8, si è già impegnata a osservare l'obiettivo di contenere l'incremento della temperatura e di ridurre entro il 2020 le emissioni gassose del 20% rispetto ai livelli del 1990. È stata la cancelliera Angela Merkel a spingere perché l'ambiente fosse la priorità del vertice, con il particolare sostegno di Blair che con Rostock prenderà congedo dalla comunità internazionale. Il premier giapponese Shinzo Abe ha segnalato l'intenzione di spingere per un'accelerazione dei tempi e per obiettivi ancora più stringenti. Bush non ne vuole sapere. Una portavoce del Consiglio per l'ambiente della Casa Bianca, senza confermare le manovre sottobanco, ha per tutta risposta rilasciato la seguente dichiarazione: "Esiste consenso sul fatto che la Terra si sta riscaldando, e stiamo lavorando tanto con i nostri partner del G8 che con le nazioni in via di sviluppo per identificare nuove tecnologie che aiutino il mondo intero ad affrontare la sfida del cambiamento climatico. Gli Usa continuano a guidare lo sforzo globale sul cambiamento di clima". In sostanza confermando la linea che il ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio aveva così sintetizzato a margine dell'intervento della scorsa settimana all'Onu: "Promettono sempre che faranno molto senza mai assumersi nessun impegno". Ieri Bush ha chiesto all'Agenzia Federale per l'Ambiente di regolare in qualche modo l'emissioni di autoveicoli e centrali entro la fine del suo mandato. Lo ha fatto senza convinzione perché costretto da una sentenza della Corte Suprema. Le manovre americane vengono a galla proprio mentre un nuovo studio pubblicato da Christian Aid sulla base dei dati raccolti dall'Onu prevede che nei prossimi 50 anni oltre un miliardo di persone saranno costrette ad abbandonare le proprie case in conseguenza del cambiamento di clima, dando vita a una vera e propria crisi migratoria che coinvolgerà un abitante su sette del pianeta. "Il vero obiettivo della Casa Bianca non è solo quello di bloccare ogni iniziativa sino a quando Bush è presidente, ma di minare il terreno su qualsiasi accordo post Kyoto" commenta il presidente del Fondo per l'ambiente di Washington.

 

 


Il Tirreno 15-5-2007 L'Europa critica gli americani I ministri della Difesa Ue criticano l'uso eccessivo della forza "Le operazioni militari non devono coinvolgere gli inermi"

 

 

BRUXELLES. I ministri degli esteri e della difesa europei hanno dato il via alla missione di addestramento della polizia e della magistratura afgana condotta da personale dell'Unione europea e a cui partecipano anche specialisti italiani. Riuniti a Bruxelles per discutere di un'agenda fitta di scadenze, i ministri hanno duramente criticato il comportamento delle truppe americane in Afghanistan. Comportamento che ha ripetutamente causato perdite tra la popolazione civile. Il vicepremier Massimo D'Alema ha ricordato di aver più volte espresso la preoccupazione che "le operazioni militari non coinvolgano gli inermi" in Afghanistan. Nel paese "c'è un conflitto sanguinoso - ha detto - ma non ha acquistato le dimensioni di quell'offensiva generale che era stata preannunciata". Secondo D'Alema è necessario moltiplicare gli sforzi "che devono anche essere politici per ottenere l'effettiva pacificazione dell'Afghanistan". Il ministro ha citato come modello la recente conferenza internazionale sull'Iraq. Sulla stessa linea del vicepremier italiano Franz Joseph Jung ministro della difesa della Germania, che esercita la presidenza della Ue, il quale parlando a nome di tutti i colleghi ha detto che "bisogna fare tutto il possibile per evitare vittime tra i civili ed è necessario prendere tutte le misure necessarie per proteggere la popolazione". "è fondamentale che ci sia una discussione sulle regole di ingaggio - ha aggiunto - ne abbiamo parlato anche con il segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer che ha pertecipato alla nostra riunione". Secondo Jung, il comportamento degli americani è incongruente perchè le ripetute, indiscriminate uccisioni di civili, donne e bambini compresi, "possono indurre la popolazione a rivoltarsi contri i nostri soldati. Bisogna perciò fare di tutto per evitare situazioni di questo tipo perchè se vogliamo ristabilire la pace nel paese, abbiamo bisogno di conquistare innanzitutto la fiducia della popolazione". Jung ha anche espresso "partecipazione e solidarietà" al collega italiano Arturo Parisi per il ferimento dei due militari italiani in Afghanistan. "I soldati sono soldati ovunque, non solo quelli che sono a sud o a est - ha detto in polemica con inglesi e americani - tutti sono esposti a rischi perchè rischi ce ne sono ovunque".(a.b.).

 


 

Il Giornale di Brescia 15-5-2007 Il sistema sanitario americano, nuovo bersaglio di Michael Moore

 

FUORI CONCORSO A CANNES, IN PRIMA MONDIALE, "SICKO", IL NUOVO FILM-DOCUMENTARIO DEL REGISTA DI "FAHRENHEIT 9/11"

Nuovo docu-film di denuncia del regista Michael Moore CANNES - A tre anni dalla clamorosa Palma d'oro con il film-documentario "Fahrenheit 9/11", plateale attacco alla presidenza di George W Bush, Michael Moore torna sulla Croisette portando, fuori concorso e in anteprima mondiale, un'altra storia di denuncia, "Sicko", questa volta sul sistema sanitario americano. Il documentario è sulle HMO americane (Health Maintenance Organization, organizzazione sanitaria autonoma) e sulle compagnie farmaceutiche del Paese e il regista di "Bowling Columbine" promette di rivelare quel che nessuno neppure immagina. Moore definisce "Sicko" "una commedia sui 45 milioni di persone senza assicurazione sanitaria nel Paese più ricco del mondo". Se il filmaker guru del partito anti-Bush, per niente tenero però neanche con i democratici, un Beppe Grillo al cubo (anche per il peso oversize) riuscirà ad attrarre polemiche, scandali, ovazioni e premi come per "9/11" è azzardato affermarlo. Con "9/11" (che incassò nel mondo 222.4 milioni di dollari), Moore ebbe il merito di intercettare il pacifismo internazionale sulla guerra in Iraq, mentre "Sicko" sembra sulla carta un pur sconvolgente ma circoscritto caso americano. La denuncia del sistema per cui se sei ricco ti curi e bene e se sei povero muori per strada o sei oggetto di sperimentazioni di farmaci, farà almeno in Italia guardare in altra luce la sanità pubblica, anche là dove appare disastrata, e perfino farci apprezzare il letto sbattuto in corsia. Intanto, solo pochi giorni fa, il regista è finito sotto inchiesta in America per un viaggio della speranza che ha effettuato a Cuba per "Sicko" a febbraio per far curare alcuni membri di una organizzazione di pronto soccorso che soffrono di disturbi, dopo aver lavorato a Ground Zero dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001. Al regista è stato contestato di aver violato l'embargo su Cuba. Un segnale indubbio delle grane che arriveranno al film prodotto da Weinstein Co. e che uscirà in America, distribuito come Fahrenheit 9/11 da Lionsgate, il 29 giugno. Gli stratagemmi che avrebbe usato nella lavorazione del film, come quello appunto di organizzare un viaggio della speranza, per dimostrare che la sanità degli Stati Uniti è inferiore anche a quella dei Paesi più poveri come Cuba, sono già stati evidenziati da alcuni detrattori di Moore, come Debbie Melnyk e Rick Caine, che lo aiutarono in "Fahrenheit 9/11" e che sono diventati suoi accusatori: il loro documentario "Manufacturing dissent" (Manipolare il dissenso) sbugiarda alcuni dei momenti chiave dei film di Moore ed è considerato una delle principali minacce al lancio di "Sicko" "Politicamente siamo d'accordo con lui, ma è difficile continuare a pensare al suo lavoro come a una rappresentazione fedele della realtà: pur di dimostrare le sue idee talvolta Michael è molto spregiudicato", ha raccontato Rick Caine. Ma Moore ha già replicato: "Mi indagano per intimidirmi, per motivi politici grossolani. Alessandra Magliaro.

 


 

Il Piccolo di Trieste 15-5-2007 Lettera aperta di Dipiazza La Caritas raccomanda: basta agli interventi-spot nel campo sociale

 

L'APPELLO Attenzione alla fasce più deboli, riduzione dei costi della politica, monitoraggio dei servizi sociali. Sono alcune delle raccomandazioni che la Caritas diocesana fa ai sette candidati-sindaco. "I candidati si impegnino ad incontrare le persone più o meglio che a gestire progetti o eventi; anche perché continuando così avverrà lo spostamento verso una 'città di individui', la negazione stessa del comune - scrive don Ruggero Dipiazza -. Perché questo dialogo favorisca una migliore conoscenza e presa d'atto delle difficoltà di tante persone proponiamo alcune priorità e criticità che potrebbero essere evidenziate già nella stesura dei programmi dei vari candidati: attenzione alle fasce più deboli evitando gli interventi spot, che tacitano l'emergenza per un momento e risorgono subito dopo come problemi; riduzione del costo della politica: chiediamo ai candidati sindaci di porre delle scelte orientate alla riduzione della spesa pubblica nei capitoli di bilancio che riguardano i compensi agli amministratori; monitoraggio dei servizi sociali: deve essere cura dei sindaci e degli assessori di pretendere una verifica continua in termini di efficienza, efficacia e analisi costi/benefici dei servizi sociali erogati direttamente dai comuni; protocollo d'intesa con la cooperazione sociale: le amministrazioni comunali dovrebbero siglare dei protocolli di intesa con la cooperazione sociale per vincolare gli appalti dei servizi di bassa professionalità a cooperative sociali al fine di inserire lavoratori svantaggiati; sviluppo economico: una politica economica che porti uno sviluppo del settore industriale e dei servizi capace di ridurre la disoccupazione oltre ai diktat delle lobby d'interesse; politiche giovanili: una politica educativa che prenda seriamente in considerazione i giovani; integrazione culturale verso i cittadini immigrati: creare percorsi di integrazione per gli stranieri residenti che si esplichino su più fronti". Secondo la Caritas, "queste priorità sono possibili da perseguire se c'è un'alleanza forte tra istituzioni pubbliche e soggetti del privato sociale in cui ci sia una co-progettazione delle politiche sociali".


 

Il Resto del Carlino 15-5-2007 Ravenna. Tat ci dicono che solo il 50 per cento delle famiglie è in regola con i canoni del family day.

 

E quindi chi tutelerà da oggi i diritti dell'altro 50 per cento delle famiglie? Andando avanti di questo passo e per non scontentare le gerarchie cattoliche, si comincerà a mettere in discussione la legge 194 ed anche la legge sul divorzio. Di questo passo, come già è avvenuto a Modena, per racimolare voti anche dai cattolici-moderati, si comincerà ad intitolare strade ad estremisti di destra e di sinistra morti durante gli anni di piombo. Di questo passo si comincerà a parlare anche di condivisione della guerra civile mettendo sullo stesso piano chi voleva gasare gli ebrei e chi, invece, voleva un' Italia libera. Ravenna non è più una città laica perchè non ci sono più i laici. Non vogliamo una guerra di religione, un muro contro muro, vogliamo solo che i laici riacquistino la loro dignità. Con i cattolici si può e si deve collaborare su tutto ma la nostra idea di società e di etica è diversa e non possiamo rinnegare la nostra storia solo per creare un nuovo partito o per andare a raccattare voti. Cosa farà,ora, il nostro sindaco? Continuerà con la politica dei 'laici con le braghe abbassate' o prenderà esempio dai nostri fratelli turchi che a milioni sfilano nelle strade per evitare che il loro paese venga scaraventato nel medioevo ? Dobbiamo abbassare le braghe o prendere esempio dalla cattolica Francia dove esistono sia i Pacs e sia una politica di sostegno alle famiglie? Cesare Sama Gruppi di Impegno Laico. )


 

Marketpress.info 15-5-2007  Secondo una recente relazione elaborata dai centri studi Demos e The Centre, l'Ue dovrebbe essere considerata come un sostenitore ed un esempio di collaborazione internazionale in materia di ricerca e sviluppo.

 

Bruxelles, 15 maggio 2007 -La relazione, dal titolo "The Atlas of Ideas" (L'atlante delle idee), è il risultato di uno studio durato 18 mesi e descrive l'avvento dell'innovazione in Cina, India e Corea del Sud. Essa formula quattro raccomandazioni fondamentali su come l'Ue potrebbe rispondere al meglio alle sfide poste da questi paesi. "Siamo convinti che l'atteggiamento migliore sia la condivisione della conoscenza e non la sua protezione", ha dichiarato James Wilsdon, uno degli autori della relazione, nel corso della manifestazione tenutasi a Bruxelles per il lancio dell'atlante. Secondo Simon O'connor di The Centre, tuttavia, l'Europa deve agire adesso che la capacità di innovazione dell'Asia è ancora in via di sviluppo. "Fra 10 anni sarà troppo tardi", ha avvertito. La prima raccomandazione della relazione è che l'Ue dovrebbe "favorire la collaborazione di massa". Il documento rileva che, grazie all'aumento dei finanziamenti e alla maggiore attenzione dedicata alla collaborazione internazionale, il Settimo programma quadro (7Pq) dell'Ue rappresenta un passo nella direzione giusta. Adesso, la sfida è garantire che nei piani di bilancio a lungo termine dell'Ue sia accordata alla R&s una priorità ancora più elevata. "L'obiettivo dovrebbe essere raddoppiare la quota di bilancio destinata alla "competitività per la crescita e l'occupazione" e, in quest'ambito, garantire che i finanziamenti per l'8Pq, che coprirà il periodo dal 2014 al 2020, superino i 100 Mrd Eur", scrivono gli autori. Inoltre, nell'ambito dell'Ottavo programma quadro, alla cooperazione internazionale dovrebbe essere attribuita una maggiore priorità, e l'efficacia dei nuovi meccanismi di cooperazione internazionale introdotti attraverso il 7Pq andrebbe rivista entro il 2010. Questo processo offrirà il tempo necessario per incorporare nel prossimo programma quadro quanto si è appreso fino a quel momento. La seconda raccomandazione è che l'Ue diventi una "calamita del talento". "La mobilità di scienziati e imprenditori costituisce la linfa vitale delle reti di innovazione globale", si legge nella relazione. Il primo passo dell'Ue è portare avanti la ricerca sulla circolazione dei talenti internazionali negli Stati membri dell'Ue e sul rapporto fra migrazione e innovazione. Migliorare la partecipazione dei ricercatori asiatici ai programmi comunitari di mobilità Marie Curie è un modo grazie al quale l'Ue potrebbe attirare i talenti al suo interno. Oggi, purtroppo, la partecipazione asiatica ai programmi è molto modesta. Al contempo, l'Ue deve inviare un numero maggiore di propri scienziati in Asia; attualmente, quasi tutti i borsisti Marie Curie che si recano in paesi terzi hanno scelto come destinazione gli Usa, il Canada o l'Australia. La terza raccomandazione è "costruire le banche della conoscenza". "In ogni momento potrebbero verificarsi nuovi sviluppi e l'Ue deve essere pronta", ha osservato Simon O'connor. Ciò comporta la creazione e il rafforzamento dei legami con le comunità scientifica e di ricerca dei paesi terzi. Attualmente, le rappresentanze della Commissione in Cina e in India hanno solo un consigliere scientifico ciascuna, mentre molti Stati membri hanno équipe considerevoli di consiglieri scientifici e consulenti in questi paesi. "Questa situazione serve l'interesse a lungo termine dell'Europa?", si chiede la relazione. "O piuttosto incoraggia i paesi terzi a mettere i singoli Stati dell'Ue uno contro l'altro e contro partner più grandi come gli Usa?" La raccomandazione finale è "guidare la scienza globale verso obiettivi globali". Il progetto di fusione nucleare Iter e il sistema di navigazione satellitare Galileo sono validi esempi di progetti che riuniscono la conoscenza globale al fine di risolvere sfide globali. Altri settori individuati dalla relazione che potrebbero beneficiare di questo approccio sono l'energia a bassa emissione di carbonio, i trasporti sostenibili e la prevenzione delle malattie pandemiche. Mary Minch, direttore della Cooperazione internazionale presso la Direzione generale "Ricerca" della Commissione europea, ha accolto positivamente la relazione sottolineando che la questione di come promuovere la cooperazione a livello mondiale è una parte importante del Libro verde sullo Spazio europeo della ricerca, pubblicato di recente. "La cooperazione internazionale occuperà una parte importante del dibattito", ha fatto presente. Per ulteriori informazioni consultare: http://www. Atlasofideas. Org .

 


 

Marketpress.info 15-5-2007- La Commissione europea ha adottato una comunicazione sul ruolo della cultura nel contesto della mondializzazione, che propone per la prima volta una strategia europea della cultura.

 

Bruxelles, 15 maggio 2007 José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, ha dichiarato: "La cultura e la creatività riguardano direttamente la vita quotidiana dei cittadini. Sono fattori importanti di sviluppo personale, coesione sociale e crescita economica. Ma sono anche molto di più: sono gli elementi centrali di un progetto europeo basato su valori comuni e su un patrimonio comune, che al tempo stesso riconosce e rispetta la diversità. Questa strategia, diretta a favorire la comprensione tra le culture, conferma che la cultura è al centro delle nostre politiche". La nuova strategia politica, intitolata "Un'agenda europea della cultura in un mondo globale", si presenta in forma di comunicazione della Commissione, che afferma il ruolo fondamentale della cultura nel processo dell'integrazione europea e propone un'agenda culturale per l'Europa e le sue relazioni con i paesi terzi. Essa è completata da un documento di lavoro dei servizi della Commissione che presenta le varie iniziative dell'Unione europea a favore della cultura. La comunicazione e il documento di lavoro sono il risultato di una vasta consultazione pubblica. La comunicazione definisce tre grandi obiettivi che costituiscono nel loro insieme una strategia culturale per le istituzioni europee, gli Stati membri e il settore della cultura e della creazione artistica: 1. Promozione della diversità delle culture e del dialogo tra le culture; 2. Promozione della cultura come catalizzatore della creatività nel quadro della strategia di Lisbona; 3. Promozione della cultura come elemento vitale nelle relazioni esterne dell'Unione. Se l'Ue vede con favore l'applicazione della convenzione dell'Unesco sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, la comunicazione afferma anche la dimensione esterna della cultura in Europa. Riconosce la necessità di una strategia europea della cultura aperta alla diversità in Europa e, allo stesso tempo, aperta al mondo. Propone misure per rafforzare l'importanza della cultura come componente del dialogo politico con i paesi e le regioni partner, promuovere gli scambi culturali, integrare sistematicamente la cultura nei programmi e progetti di sviluppo. Al fine di sostenere azioni specifiche nei paesi Acp, la Commissione europea propone di creare un Fondo culturale Ue-acp come contributo europeo comune destinato a favorire la diffusione e, in alcuni casi, la produzione di prodotti culturali dei paesi Acp. Questo Fondo favorirà lo sviluppo dei mercati e delle industrie locali e l'accesso dei prodotti culturali dei paesi Acp ai mercati europei. La Commissione europea propone di destinare al Fondo un contributo comunitario di circa 30 milioni di euro per il periodo 2007?2013 e invita gli Stati membri ad alimentare questo Fondo con ulteriori contributi. Un elemento fondamentale è la proposta di introdurre un sistema di cooperazione più strutturato tra gli Stati membri e le istituzioni europee nel settore culturale, basato sul "metodo di coordinamento aperto" che è stato utilizzato con successo per organizzare la collaborazione tra gli Stati membri e l'Ue nei settori dell'istruzione e formazione, della gioventù e della protezione sociale. Gli Stati membri e la Commissione europea dovranno stabilire obiettivi generali e valuteranno ogni due anni i progressi realizzati nella direzione di questi obiettivi. La comunicazione cerca anche di coinvolgere più direttamente il mondo della cultura ? singoli operatori e industrie - nelle questioni europee, anche con la creazione di un "forum culturale" che costituisca un'efficace struttura di dialogo e cooperazione. La strategia europea della cultura sarà completata da altre azioni dell'Ue nel settore della cultura, come nel 2008 l'Anno europeo del dialogo interculturale.


 

INDICE 14-5-2007

 

+ +  Il Sole 24 Ore 14-5-2007 Rapporto Ue: l'Italia arranca nella banda larga nelle case di Gianni Rusconi 1

+ + Wall Street Italia 14-5-2007 L'iniziativa "Trentino in Rete - T. Net.", tra i 49 migliori progetti 2

+ Il Sole 24 Ore Plus 14-5-2007 GOVERNANCE di Riccardo Sabbatini Authority, un codice sui conflitti 3

+ La Stampa 14-5-2007 Giallo sulla salute di Gheddafi Il colonnello avrebbe telefonato a Prodi poco fa  3

+ La Stampa 14-5-2007 Gheddafi in coma per un ictus  4

+ La Stampa 14-5-2007 Poliziotti e carabinieri arrestati per truffa. Gli arresti - disposti dal gip di Larino - sono stati eseguiti in un’inchiesta coordinata dal procuratore della repubblica Nicola Magrone  4

+ Il Sole 24 Ore 14-5-2007 Tasse e servizi:a casa il saldo è negativo Un nucleo con un figlio dà allo Stato 11.600 euro e ne riceve 10.500 In coda alla Ue sul Welfare Mauro Meazza Gianni Trovati 4

+ Il Corriere della sera 14-5-2007 Il sondaggio. I vescovi in campo, sì dal 54% Dico: maggiornaza contraria. Il nodo sono i diritti ai gay. Ma scende la popolarità delle gerachie ecclesiastiche . Renato Mannheimer 5

Il Centro 14-5-2007 Galloni: quando Kissinger minacciò Moro A Pescara l'ex ministro rivela due retroscena nel rapimento dello statista Dc. Saverio Occhiuto  6

Il Corriere della Sera 14-5-2007 La fragile tregua. Kabul e il "No Bush day" della sinistra. di Angelo Panebianco  7

Il Sole 24 Ore 14-5-2007 Unione europea. Il cancelliere tedesco rilancia l'attività diplomatica per firmare la Costituzione entro il giugno 2008 Carta Ue, la Merkel ci riprova Ma il nuovo Trattato rischia di ridurre al minimo le riforme istituzionali Adriana Cerretelli 8

Il Manifesto 14-5-2007"Dio, famiglia e volontariato", il laicato cattolico si ritrova unito Da destra a sinistra In piazza associazioni vicine al centrodestra, da Cl al Movimento per la vita. Ma anche le Acli e gli scout dell'Agesci Mimmo de Cillis* 9

La Repubblica 14-5-2007 IL RETROSCENA Il ministro Fioroni: "Va ascoltata la piazza". Latorre, Ds: "Un errore la contromanifestazione" E i teodem vanno all'attacco "Cambiare o il governo rischia" GIOVANNA CASADIO  10

La Stampa 14-5-2007 L'obiettivo è coprire il "nuovo vuoto a sinistra" del Pd. Paradossi politici Dalla fine del Pci al patto con Di Pietro. Fabrizio Rondolino  10

Il Riformista 14-5-2007 De profundis per i Dico, su cui si è persa pure l’ultima speranza di Tommaso Labate  11

Garante 11-5-2007 Privacy Paissan: i giornalisti misurino la loro libertà con la tutela della dignità delle persone  12

Il Corriere della Sera 14-5-2007 L'INCHIESTA I trafficanti di cellule e i bimbi spariti KIEV - Traffico d'organi, neonati scomparsi e il nuovo business delle cellule staminali. di Andrea Nicastro  12

 


 

+ +  Il Sole 24 Ore 14-5-2007 Rapporto Ue: l'Italia arranca nella banda larga nelle case di Gianni Rusconi

 

Guarda il rapporto Ue 2007 Bocciati. Il rapporto Commissione Europea sulla società dell'informazione per il 2007, e cioè il termometro più affidabile per misurare i livelli di adozione delle tecnologie (personal computer, servizi di telecomunicazione e Intertnet) mette l'Italia dietro la lavagna per quanto riguarda la diffusione della banda larga nelle case. E ciò che balza subito all'occhio è il fatto che il ritardo del nostro Paese rispetto al resto dell'Europa comunitaria allargata a 27 Paesi è addirittura aumentato nel corso del 2006. La riflessione è quindi d'obbligo: dove sono finite le promesse sbandierate in questi anni dal governo (e dall'ex ministro delle Comunicazioni Gasparri in particolare) circa le iniziative volte ad abbattere il "digital divide" italiano? Perché la crescita degli accessi veloci alla Rete non decolla e le aree più scoperte dai servizi a banda larga - quelle rurali e montane dove la fibra non arriva, pari a sei milioni di persone, secondo Altroconsumo trovano solo di rado soluzioni adeguate nella tecnologia wireless? Nel broadband dietro alla Lituania, nei cellulari davanti a tutti Il rapporto compilato in sede di Commissione europea è oggettivamente il più completo fra quelli disponibili in materia di tecnologie dell'informazione in quanto elaborato sulal base delle risposte di un campione di oltre 25 mila famiglie europee. I numeri relativi al 2006, per quanto riguarda la disponibilità di un accesso a banda larga negli ambienti domestici, è il seguente: l'Italia vanta una penetrazione del 14%, l'esatta metà della media europea, e denota un gap imbarazzante verso i più bravi della classe, che sono Paesi Bassi (con il 65% di utenze attive), Danimarca (60%), Finlandia (49%), Belgio (47%) e Svezia (43%) e Paesi di seconda fascia come Estonia (41%) e Malta (40%). Raffrontando la diffusione degli accessi veloci nel Bel APese con quelli rilevati nelle altre nazioni più importanti della Ue il resoconto è altrettanto impietoso: il Regno Unito è al 41%, la Francia al 40% e la Spagna e la Germania appaiate al 25%. E meglio di noi fanno anche Austria, Portogallo, Slovenia, Polonia Repubblica Ceca, Lituania e Ungheria. Il solco che ci divide dai Paesi guida cresce perché l'Italia corre a rilento: la diffusione del broadband in Francia e Germania è cresciuta dal 2005 del 6% e del 9% in Spagna e Regno Unito, contro il 2% nostrano mentre l'intera Unione ha fatto un salto in avanti di cinque punti percentuali. Il fatto che i disservizi nell'erogazione della banda larga (velocità della linea e assistenza clienti su tutte) non siano una prerogativa italiana non può essere un motivo di consolazione. Tutt'altra faccia mostriamo sul fronte dei servizi di telefonia. Il numero di famiglie che abbandona la rete fissa per dedicarsi solo a quella mobile è in costante aumento arrivando nel 2006 al 22% (contro il 18% del 2005) e in questo ambito l'Italia segna l'indice di incremento migliore (13% al pari dell'Ungheria) portando al 38% la quota di nuclei familiari che utilizzano solo il cellulare per telefonare rinunciando all'apparecchio tradizionale. Le brutte notizie tornano a galla invece per ciò che concerne la dotazione del computer fra le mura di casa: il risultato italiano è del 50%, quattro punti sotto la media europea, che ci posiziona nella terza fascia per livello di diffusione (Germania, Uk e Francia sono nella seconda). La situazione in Europa: una famiglia su sei telefona via Internet Scorrendo velocemente il rapporto emergono consuetudini ormai più o meno radicate come il fatto di avere almeno una linea telefonica attiva (vale per il 95% delle famiglie dell'Unione) e tendenze che evolvono molto rapidamente, determinate dalle diverse modalità con le quali gli utenti usufruiscono dei diversi servizi. Cresce come già detto la propensione all'utilizzo della sola linea mobile (mentre è stabile, all'81%, la diffusione complessiva delle utenze ai telefonini) e a fatica prende piede anche l'abitudine a telefonare via Internet dal proprio pc, abitudine che riguarda il 17% delle famiglie dotate di connessione in Rete. Solo il 12% della popolazione Ue, invece, fa ancora uso degli apparecchi pubblici. Sul fronte Internet, invece, c'è da segnalare come addirittura il 34% degli utenti attivi disponga in casa di un apparato di connessione Wi-fi e come la banda larga sia in generale doppiamente diffusa rispetto ai collegamenti "narrowband" via doppino (28% contro il 12%, mentre in Italia il rapporto è 14% contro 17%) e come l'Adsl sia la tecnologia a banda larga preferita (copre il 53% degli accessi a banda larga continentali). Un ultimo dato degno di nota, infine, conferma la buona "educazione" degli utenti dell'Unione quanto a utilizzo di software antivirus e antispamming a bordo dei propri computer, pari all'81% e al 60% rispettivamente. Lasciamo ai lettori il compito di paragonare tali dati a quello che ci riguardano da vicino.

 


 

+ + Wall Street Italia 14-5-2007 L'iniziativa "Trentino in Rete - T. Net.", tra i 49 migliori progetti

 

Trento, 14 mag - L'iniziativa "Trentino in Rete - T. Net.", con la quale la Provincia autonoma di Trento porterà internet ad alta velocità in tutto il Trentino entro il 2010, è stata selezionata tra i 49 migliori progetti (sui 163 proposti) che saranno presentati alla prossima conferenza "Bridging the Broadband Gap", che si tiene oggi e domani a Bruxelles. L'evento è organizzato dalla Commissione Ue per evidenziare come l'uso delle tecnologie basate sulla banda larga possa incentivare lo sviluppo in particolare delle aree rurali e svantaggiate e si inserisce nel panorama delineato dalla comunicazione della Commissione europea adottata nel marzo 2006 per diffondere la consapevolezza di quanto possa influire la mancanza di un'infrastruttura di rete di alto livello sullo sviluppo delle regioni più isolate. Dotarsi di una rete capillare, che fornisca uguale accesso per tutti alle opportunità offerte dalla società dell'informazione, è da tempo obiettivo prioritario della Provincia trentina, soprattutto per evitare l'ulteriore marginalizzazione di vaste aree già oggi scarsamente abitate e ad alto rischio di spopolamento. Il progetto trentino sarà finanziato per l'80% dalla Provincia e prevede un investimento di oltre 100 milioni di euro per l'allestimento di 92 nodi di rete sul territorio provinciale, la posa di oltre 700 km di fibre ottiche e l'installazione degli impianti necessari per realizzare la rete wireless. Ricerca archivio articoli e quotazioni Invia questo articolo a un amico Che tu sia d'accordo o no, fai conoscere a tutti la tua opinione. Per scriverci utilizza il link Scrivi a WSI Per continuare a dibattere "dal vivo" questo tema iscriviti al Forum di Wall Street Italia

 


+ Il Sole 24 Ore Plus 14-5-2007 GOVERNANCE di Riccardo Sabbatini Authority, un codice sui conflitti

 

I regulator disciplinano minuziosamente i potenziali conflitti d'interesse di amministratori e intermediari finanziari. Ma con i loro, di conflitti, come si comportano? La problematica sta assumendo una rilevanza sempre maggiore in relazione al dilatarsi del raggio d'azione delle authority. Più facilmente di quanto accadeva in passato un regulator è maggiormente esposto al rischio di imbattersi in una "parte correlata". Cioè, in un interesse in conflitto con quello istituzionale. Qualche esempio? L'avvocato Claudio Tesauro, nipote dell'ex presidente dell'Antitrust Giuseppe Tesauro, svolge la sua attività professionale in uno studio legale che si occupa della concorrenza. Marco Cardia, figlio del presidente della Consob Lamberto, è tra i membri del comitato di vigilanza di Premafin (holding del gruppo FondiariaSai), che svolge i controlli interni per il rispetto della legge 231 (sulla responsabilità amministrativa delle imprese). E sovrintende pertanto anche sulle procedure per prevenire reati finanziari soggette, ovviamente, anche allo scrutinio della Consob. Un problema analogo, tra i membri della stessa commissione, potrebbe averlo anche Paolo Di Benedetto la cui consorte, Paola Severino, è uno dei più conosciuti ed apprezzati avvocati specializzati nelle tematiche della legge 231. Altrove esistono norme specifiche per affrontare simili problematiche. Quanti lavorano alla Financial Services Authority (Fsa), il regulator anglosassone, debbono rispettare le minuzione norme del Code of conduct che disciplina regali, viaggi, attività di impiegati e dirigenti per evitare anche l'apparenza di un conflitto. Ad occuparsene è anche uno specifico ufficio (ethics officer). Regole simili sono previste dal Codigo General de Conducta della Cnmv spagnola. In Italia l'Antitrust è già in linea con gli stessi standard e anche la Banca d'Italia ha varato un codice etico per i membri del direttorio, ma soltanto dopo le polemiche sorte sulle relazioni dell'ex governatore Antonio Fazio con la Popolare di Lodi. Quanto alla Consob c'è un regolamento del personale che disciplina la materia, in termini molto generali, ma non vale per i commissari. Questi ultimi, naturalmente, possono fare affidamento sui principi generali del pubblico impiego e della legge istitutiva. Ma nulla di più. è una lacuna che andrebbe colmata anche per non creare eccessive asimmetrie con le medesime regole, spesso molto dettagliate, che la stessa Consob impone ad amministratori e intermediari.


 

+ La Stampa 14-5-2007 Giallo sulla salute di Gheddafi Il colonnello avrebbe telefonato a Prodi poco fa

BETLEMME
Il leader libico Muammar Gheddafi smentisce in prima persona le allarmanti notizie sulla sua salute rimbalzate questa mattina da Israele. Con una telefonata al premier italiano Prodi Gheddafi ha confermato di star bene. A quanto si apprende da fonti di Palazzo Chigi il leader libico avrebbe espresso a Prodi anche la sua incredulità per le notizie diffuse sul suo stato di salute. Scherzosa la risposta di Prodi: «In Italia si dice che certe voci allungano la vita».

Stamattina l’allarme. Il leader libico Muammar Gheddafi - ha riferiva Radio Israele citata dal Jerusalm Post - è stato ricoverato ieri in ospedale con un ictus celebrale e sarebbe in coma. Secondo alcune indiscrezioni, un figlio di Gheddafi, che risiede in Europa, è stato richiamato urgentemente a Tripoli per assistere il padre. Secondo l’agenzia Màan, «le condizioni del leader libico Muammar Gheddafi sono molto serie». Gheddafi, si aggiunge, «è stato portato in stato di incoscienza all’ospedale».

Ma l’Ambasciata libica in Italia aveva già smentito la notizia «Per noi il colonnello sta benissimo», ha detto una fonte della sede diplomatica in via Nomentana a Roma, «Tripoli ce lo ha confermato». Poi la notizia della telefonata a Prodi.

 

+ La Stampa 14-5-2007 Gheddafi in coma per un ictus

 

Il presidente libico è stato vittima di un malore la scorsa notte ed è stato ricoverato in un ospedale di Tripoli, dove si trova tuttora

BETLEMME
Il presidente libico Muammar Gheddafi è stato vittima di un ictus la scorsa notte ed è stato ricoverato in un ospedale di Tripoli, dove si trova tuttora in coma. Lo afferma la agenzia di stampa palestinese Maan.
L’agenzia, che di solito diffonde soltanto notizie che riguardano i palestinesi nei territori, aggiunge che i figli di Gheddafi, che erano in Europa, sono stati richiamati in patria.
Secondo l’agenzia Màan, «le condizioni del leader libico Muammar Gheddafi sono molto serie». Gheddafi, si aggiunge, «è stato portato in stato di incoscienza all’ospedale».


 

+ La Stampa 14-5-2007 Poliziotti e carabinieri arrestati per truffa. Gli arresti - disposti dal gip di Larino - sono stati eseguiti in un’inchiesta coordinata dal procuratore della repubblica Nicola Magrone

ROMA
Il comandante provinciale dei Carabinieri di Campobasso, il comandante della sezione di polizia giudiziaria dei Carabinieri presso la procura di Larino, i componenti della sezione di pg della Polizia di Stato presso la stessa procura, altri appartenenti alle forze dell’ordine ed un avvocato - nove persone in tutto - sono stati arrestati all’alba di oggi su disposizione della magistratura.

Gli arresti - disposti dal gip di Larino - sono stati eseguiti in un’inchiesta coordinata dal procuratore della repubblica Nicola Magrone per reati che vanno dall’associazione per delinquere alla truffa, da una serie ripetuta di falsi alla sistematica rivelazione del segreto d’ufficio.

Gli arrestati avrebbero costituito, secondo l’accusa, un vero e proprio corpo separato all’interno della struttura giudiziaria.


 

+ Il Sole 24 Ore 14-5-2007 Tasse e servizi:a casa il saldo è negativo Un nucleo con un figlio dà allo Stato 11.600 euro e ne riceve 10.500 In coda alla Ue sul Welfare Mauro Meazza Gianni Trovati

 

MILANO Nel suo confronto con lo Stato, la famiglia italiana media non riesce proprio a far quadrare i conti: per quanto si possa ingegnare, la sua contabilità chiude in rosso, per un migliaio di euro circa ogni anno (89 ogni mese). La cifra,naturalmente,è un indicatore approssimativo, perché soffre di un doppio difetto: è una media (proprio come il pollo di Trilussa) che risulta per di più da valori medi. Ma, pur con tutte queste cautele, è un numero che conferma una percezione diffusa, non solo tra le famiglie: quella di dare allo Stato più di quel che si riceve. Anche le statistiche internazionali, d'altra parte, segnalano che l'Italia non si impegna quanto altri Paesi. Qui accanto riportiamo la graduatoria Eurostat, che misura l'impegno dello Stato per famiglie e bambini in termini di percentuale del prodotto interno lordo: con una media europea del 2,1%, il nostro Paese è all'1,1 per cento. Il bilancio medio della famiglia media è un po' la traduzione individuale del dato di Eurostat: cioé il significato concreto di una spesa sociale troppo bassa. Le uscite Il nostro bilancio medio tiene conto di tutti i rapporti diretti (escluso, dunque, il dare/avere legato al sistema previdenziale) fra le famiglie e il settore pubblico in generale, che comprende le attività di Stato, Regioni, enti locali e servizio sanitario nazionale. Per il Fisco, non si è tenuto conto dei comportamenti medi di consumo (che avrebbero aumentato il prelievo della componente Iva) e si è partiti dalla curva Irpef disegnata dalla Finanziaria per il 2007 per i redditi da lavoro dipendente. Ai 10.743 euro richiesti per un reddito lordo di 42mila euro (ottenuto attribuendo a un solo componente il doppio del reddito medio netto italiano di 1.312 euro al mese) si aggiungono addizionali regionali e locali sul reddito, ricavate applicando le aliquote medie a livello locale per il 2007. La famiglia tipo italiana, inoltre, abita in una casa di proprietà di 80 metri quadri, che sulla base dei valori catastali medi (lontano dalle metropoli) divengono un'Ici di 13 euro, grazie alla detrazione media di 103 euro; per il servizio di rifiuti, le tariffe medie impongono un conto annuo di 166 euro. A fine anno,questo concerto di richieste "alleggerisce" il bilancio di 11.623 euro. Le entrate Una quota consistente di queste risorse rientra sotto forma di servizi e contributi, ma il 9,2% (1072 euro) non emerge più.La forma più direttadi ritorno nelle tasche delle famiglie è quella degli assegni al nucleo, per chi ha familiari a carico. Secondo le regole fissate dalla manovra per il 2007, alla famiglia tipo considerata nell'inchiesta vanno 455 euro all'anno. Si tratta, è il caso di ricordarlo, di un "premio" fiscale che nel 2006 non era presente,perché la parabola dei vecchi assegni familiari atterrava a quota zero a 41mila euro di reddito lordo. Passando ai servizi, l'impegno più consistente dello Stato è legato alla sanità; secondo le stime Censis, il servizio sanitario nazionale spende per ogni cittadino 1.288 euro all'anno, esclusele spese sostenute per la copertura dei farmaci, stimate in una spesa pro capite di 212 euro. Nel bilancio dei rapporti con lo Stato non entrano i farmaci per automedicamento, perché la famiglia media italiana manca di pochi euro il superamento della franchigia di 129 euro che le permetterebbe di fruire di qualche vantaggio fiscale. Una quota importante del sostegno viene poi dalle amministrazioni locali: dalle Regioni, in primo luogo, che per ogni cittadino spendono 1.165 euro all'anno in varie attività legate ad esempio aitrasporti o a sostegni economici. Non rientra nel calcolo il settore sanitario, già considerato in precedenza. I Comuni, secondo l'indagine Istat pubblicata il mese scorso, spendono invece 92 euro per cittadino nello sviluppo dei servizi locali, dall'asilo nido ai servizi sociali e all'assistenza domiciliare. Anche in questo caso è inevitabile che i valori medi nascondano le differenze territoriali, che soprattutto per il welfare locale sono consistenti: se la famigliatipo vivesse in Emilia Romagna, infatti, riceverebbe dal proprio Comune servizi per 450 euro, e la dote crescerebbe ancora trasferendosi in Val d'Aosta o in Trentino Alto Adige; la scelta di andare in Calabria, invece, farebbe calare il contributo del Comune a 81 euro all'anno.

 

 


+ Il Corriere della sera 14-5-2007 Il sondaggio. I vescovi in campo, sì dal 54% Dico: maggiornaza contraria. Il nodo sono i diritti ai gay. Ma scende la popolarità delle gerachie ecclesiastiche . Renato Mannheimer       

 

ROMA —Family Day, il giorno dopo. Con il Polo all'attacco: tutti i leader del centrodestra chiedono al governo di fare marcia indietro sui Dico, ormai «affossati» dalla manifestazione di piazza San Giovanni. Di fronte all'offensiva del Polo, l'Unione tenta di mediare ma si presenta divisa: Fassino difende la legge, i prodiani parlano di «strumentalizzazione» del Family Day, Mastella minaccia guai se non saranno accolte le richieste delle famiglie. Dal Brasile, dove ha concluso il suo viaggio, il Papa ha sottolineato che fare politica «non è competenza della Chiesa», che intende rispettare «una sana laicità» e riconosce «la pluralità delle posizioni politiche». Marxismo e capitalismo, ha detto il Pontefice, hanno fallito.

Il Family Day ha ottenuto un'ampia partecipazione popolare. E vede l'approvazione della maggioranza relativa della popolazione. Con, però, una quasi altrettanto ampia quota di contrari. D'altra parte, l'intera vicenda che lo ha originato ha coinvolto fortemente (si dichiara interessato oltre il 90% degli italiani) ma anche diviso il Paese. Ad esempio, riguardo ai Dico, i contrari (47%) sono poco più dei favorevoli (45%). La contrapposizione non dipende solo dall'orientamento politico, che vede comunque la maggioranza (non la totalità) del centrosinistra favorevole e l'opposto nel centrodestra: nel giudizio convergono sentimenti differenti in relazione alle diverse situazioni che la legge intende regolare. Più di tre italiani su quattro sono infatti favorevoli a riconoscere alle coppie conviventi non sposate almeno qualche diritto degli sposati. Ma, al tempo stesso, la maggioranza si oppone a concedere le stesse prerogative alle coppie gay. Insomma, ciò che motiva l'ostilità verso i Dico è soprattutto la questione degli omosessuali. Che evoca credenze, timori, pregiudizi antichi e assai radicati. Anche le opinioni sull'intervento diretto della Chiesa evidenziano due ampi segmenti contrapposti, con una prevalenza (54%) di giudizi favorevoli.

Non sorprende, dunque, che la maggioranza relativa (47%) dei cittadini ritenga «opportuno» l'avere promosso il Family Day. Con un'ovvia accentuazione tra i cattolici praticanti (58%) ed una ancora maggiore tra gli elettori del centrodestra (64%). Ma l'opinione è condivisa anche da quote importanti di laici (26%) e di elettori del centrosinistra (32%). Al tempo stesso, esprime un giudizio sfavorevole all'iniziativa del family day una parte rilevante (40%) della popolazione, con segmenti consistenti di cattolici praticanti (29%) e di votanti per il centrodestra (30%). Insomma, la questione continua a spezzare il Paese, come accadde a suo tempo per il divorzio e per l'aborto. Oggi come allora, tuttavia, sembrerebbe gradatamente accrescersi — pur rimanendo, come si è detto, una minoranza consistente — la numerosità di chi giudica criticamente l'azione della Chiesa. Negli ultimi 20 mesi, i favorevoli all'intervento più o meno diretto delle autorità ecclesiastiche sulle scelte legislative dello Stato si sono contratti del 5%. Nello stesso periodo, si è erosa la fiducia espressa nei confronti della Chiesa. E' un decremento relativo, dato che essa continua a godere del consenso di due italiani su tre. Ma, nella graduatoria del favore verso le istituzioni, la Chiesa risulta oggi superata dalla presidenza della Repubblica, che simboleggia per molti l'essenza stessa dello Stato laico. Questo declino di popolarità dipende certo dal processo di progressiva secolarizzazione del Paese. Secondo alcuni osservatori, però, esso potrebbe essere stato accentuato dal recente clima di «scontro frontale», ritenuto poco consono e scarsamente costruttivo per la soluzione di questioni cosi articolate.


 

Il Centro 14-5-2007 Galloni: quando Kissinger minacciò Moro A Pescara l'ex ministro rivela due retroscena nel rapimento dello statista Dc. Saverio Occhiuto

 

PESCARA. Può apparire singolare - ma non per la storia d'Italia - che a 29 anni dalla morte di Aldo Moro, Giovanni Galloni avverta il bisogno di suggerire "una commemorazione di tipo nuovo" dell'amico statista rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo del 1978 e ucciso il 9 maggio dello stesso anno. Da Pescara, ospite assieme a Mauro Fotia di un recente convegno organizzato dall'Istituto "Spataro", è lo stesso ex Guardasigilli ad annunciare un suo libro-testimonianza di prossima pubblicazione su via Fani e dintorni. "Ci sono dei fatti nuovi da scoprire e da introdurre", dice Galloni, "perché non tutte le cose su Moro sono state dette, soprattutto quelle che riguardano la sua fine". Perché solo adesso? Perché, a quasi trent'anni di distanza dalla strage di via Fani e dal ritrovamento del cadavere di Moro nel bagagliaio della famosa R4 rossa, l'ultraottantenne Giovanni Galloni avverte la necessità di riaprire questo capitolo della storia italiana e, soprattutto, della Democrazia Cristiana di cui entrambi furono esponenti di primissimo piano? Gli aspetti ancora nell'ombra, per Galloni, sono soprattutto due: "Le quattro sentenze che ci sono state sulla morte di Moro non hanno soddisfatto la magistratura. Una parte di quei magistrati, compreso il fratello di Moro, mi ha detto di aver rifiutato i verdetti dei tribunali. Sono convinti che le Br abbiamo negato di avere avuto alle loro spalle altri esecutori solo per ottenere degli sconti di pena, che ci sono stati. E ora anche questo va chiarito". L'altra questione messa sul tavolo da Galloni riguarda l'interpretazione autentica della strategia politica di Moro: "E' giunto anche il tempo di chiarire perché Moro abbia parlato di una terza fase. E qui mi riferisco soprattutto a colloqui personali avuti con lui poco prima di via Fani: il bipolarismo di cui oggi tanto si parla. Per capire cosa Moro volesse dire parlando di terza fase, bisogna anche approfondire che cosa intendesse per prima e seconda fase. I più hanno sempre ritenuto che per prima fase Moro intendesse la politica centrista, per la seconda fase la politica di centrosinistra e per la terza quella della solidarietà nazionale. Non è così. La mia vicinanza continua con Moro, di oltre venti anni, mi dice che per prima fase egli intendeva quella della resistenza, della lotta antifascista, della Costituente. E non si trattava affatto, come già allora i giornali dicevano, di un compromesso ideologico tra cattolici e marxisti ma del superamento delle rispettive posizioni per cercare di avviare qualcosa di nuovo". Ed ecco la seconda fase secondo Galloni: "Quale era stata la grande illusione, prima di De Gasperi e poi di Moro? Quella che formando un governo insieme con i partiti laici, ai quali eravamo contrapposti da posizioni ideali, si creassero le condizioni per arrivare in Italia ad una democrazia compiuta, come esisteva negli altri paesi europei. Democrazia compiuta per De Gasperi era l'esistenza di quel bipolarismo per cui da una parte c'erano partiti di ispirazione cristiana e dall'altra partiti di ispirazione socialista e democratica". "L'illusione di De Gasperi era quella di portare avanti la socialdemocrazia di Saragat, con l'idea che questa potesse ad un certo momento assumere quella funzione che negli altri paesi europei avevano assunto i partiti socialisti, cosa che non avvenne, perché in Italia la realtà del partito comunista era diversa e radicata nella situazione italiana". La politica bifronte: "I condizionamenti internazionali e l'accordo di Yalta", spiega ancora Galloni, "avevano portato l'Italia in una posizione di collaborazione con la Nato, ma contemporaneamente a sostenere una linea di autonomia del nostro Paese rispetto al regime occidentale. Una politica che in un primo momento fu portata avanti da Mattei e altri per arrivare ad una collaborazione con i paesi del Medio Oriente e, soprattutto, di pacificazione tra Israele e Palestina. Queste sono le linee sulle quali poi si sono battuti in Italia Moro, Fanfani e lo stesso Andreotti e da cui nacquero le ostilità degli Stati Uniti". Gli americani non si fidano più. E Galloni spiega anche questo: "Nel 1974, il presidente Ford e Kissinger (allora ministro degli esteri e capo della Cia) convocarono a Washington il nostro presidente della Repubblica, che era Giovanni Leone e il ministro degli Esteri, Moro. Gli americani erano preoccupati per le frasi di Aldo Moro, quando, dopo il referendum sul divorzio, iniziò a parlare dell'attenzione che si doveva rivolgere al partito comunista. Ad un certo momento della riunione Kissinger chiamò Moro e gli disse chiaramente che se continuava su quella linea ne avrebbe avuto delle conseguenze gravissime sul piano personale". Una scoperta recente: "Di questa minaccia di morte siamo venuti a conoscenza in modo più dettagliato solo pochi anni fa. Oggi sappiamo che le dichiarazioni rese successivamente dai brigatisti "noi siamo gli unici responsabili del rapimento Moro" non rispondono a verità e siamo in grado di smentirle". Ecco gli elementi forniti da Galloni a sostegno di questa: "Primo, non tutti i partecipanti all'operazione militare del 16 marzo 1978 erano delle Brigate rosse. Alcuni di loro, che non si sono mai voluti scoprire, non erano terroristi. Dall'accertamento sui colpi esplosi in via Fani risulta che non c'erano tra le Br uomini così esperti nell'uso delle armi, perché i cinque uomini della scorta di Moro sono stati tutti uccisi da due sole armi, utilizzate da uomini eccezionalmente esperti e che si suppone fossero stati richiamati da Catania e dalla mafia calabrese. I nomi di queste due persone non sono mai stati fatte. C'è poi una mia frase, una cosa che ho sempre detto senza ottenere mai attenzione, su alcune confidenze che Moro mi fece alcuni mesi prima di essere catturato. Mi disse che era preoccupato perché riteneva che i servizi segreti degli Stati uniti e di Israele avessero degli infiltrati nelle Br e se questi infiltrati ci avessero dato degli elementi avremmo potuto scoprire facilmente i covi delle Br". "Adesso ho la certezza che questa stessa cosa Moro la riferì all'ambasciatore italiano a Washington, il quale si mise in contatto con la Segreteria di Stato americana ricevendo un netto diniego, anzi un diniego ambiguo: "Non è vero, tutto quello che sappiamo o abbiamo saputo lo abbiamo sempre riferito ai servizi segreti italiani"". "Quali servizi segreti?", si chiede oggi Galloni, "quelli veri o quelli, invece, che erano in mano loro?". Altro elemento: "Durante la prigionia di Moro, attorno al 20 aprile, un ex capo dei servizi segreti italiani, un certo Miceli (il generale passato poi nelle file del Msi ndr) che era stato espulso dai servizi segreti perché compromesso nel colpo di Stato di Borghese, parte in missione segreta e va a Washington dove prende contatti con i più alti esponenti della Cia. Dopo di che si forma la mentalità che Moro era riuscito ad ottenere dalle Br di essere liberato. Lo dicono anche le ultime dichiarazioni dello stesso Moro in quel rapporto che fu poi trovato dove lui afferma: "Devo, più che alla Democrazia cristiana che non è voluta intervenire nelle trattative, alla benevolenza delle Brigate rosse che mi hanno liberato"". Ma nasce un dubbio sollevato ancora oggi da Galloni: "Che per intervento della Cia gli americani avessero deciso di liberare Aldo Moro, ma che questa operazione non andò in porto. Infatti, Moro, fu solo illuso che lo avrebbero liberato: una volta messo in macchina è stato ucciso".

 


 

Il Corriere della Sera 14-5-2007 La fragile tregua. Kabul e il "No Bush day" della sinistra. di Angelo Panebianco

 

Dopo una breve tregua la politica internazionale torna a essere il solito incubo per il governo italiano. Le questioni sono sempre le stesse: l'Afghanistan, il rapporto con gli Stati Uniti. Ogni notizia dal fronte afghano, quelle cattive come quelle buone, accentua i brontolii minacciosi delle componenti antioccidentali della maggioranza di governo. In Afghanistan la guerra continua con alterne vicende. L'uccisione, in combattimento, del mullah Dadullah, il capo talebano responsabile del sequestro Mastrogiacomo e la cui stella, secondo alcuni osservatori, stava addirittura per oscurare quella del mullah Omar quale punto di riferimento politico della galassia talebana, è un indubbio successo del legittimo governo dell'Afghanistan e della coalizione antitalebani ma, ovviamente, non pone termine alla guerra. Non c'è stata fino ad oggi la preannunciata e temuta offensiva in grande stile dei talebani ma i combattimenti proseguono in tutto il Sud del Paese, e anche nella zona di Herat dove sono acquartierati gli italiani. L'incursione di alcune settimane fa degli americani in quella zona contro forze talebane ha creato nuove tensioni con il governo di Roma che teme un coinvolgimento non sporadico, come fino ad oggi è stato, ma permanente, dei nostri soldati nei combattimenti. La situazione però è sul filo del rasoio e il ministro della Difesa Arturo Parisi, nonostante gli ostacoli politici che ciò comporta, ha risposto positivamente alle sollecitazioni dei comandi militari promettendo più mezzi al nostro contingente. Il governo si muove su un terreno politicamente minato e la sua sopravvivenza è legata alla piega che prenderanno gli avvenimenti in quel teatro di guerra. I problemi che l'esecutivo ha sempre incontrato nella vicenda afghana sono parte di un più generale contenzioso fra le componenti moderate e massimaliste della maggioranza, e che riguarda il rapporto con gli Stati Uniti. Tra meno di un mese, il 9 giugno, Bush verrà in visita in Italia. Verrà accolto, oltre che dalle pubbliche autorità, da una grande manifestazione antiamericana che è già in corso di allestimento e che minaccia di essere, per la stabilità del governo, ancor più pericolosa di quella di alcuni mesi fa contro l'ampliamento della base americana di Vicenza. Non solo nell'organizzazione della manifestazione è già coinvolto (a titolo personale, viene detto) un esponente di rilievo dei comunisti italiani, Marco Rizzo, ma è probabile che tutta l'area massimalista della maggioranza, pur stretta fra la necessità di non affossare il governo e quella di non perdere il contatto con il proprio elettorato, finirà per essere presente. Che si verifichino o meno certi consueti episodi (bandiere americane bruciate, Bush effigiato come un criminale di guerra, eccetera), è certo che la partecipazione di partiti della maggioranza darà un'altra batosta alla credibilità internazionale del governo: sarà difficile spiegare all'opinione pubblica, nazionale e internazionale, come si concilino l'immutato rapporto di amicizia e di alleanza con gli Stati Uniti, e la nostra presenza nella Nato, con il comportamento di alcuni partiti di governo. Nell'ipotesi migliore, l'esecutivo ne verrà fuori con una grossa ammaccatura in più. E con nuova conferma della debolezza strutturale di una sinistra che sui temi di fondo della pace, della guerra, delle alleanze, sa imbastire solo fragili tregue fra le sue componenti ma nessuna vera sintesi.

 


 

Il Sole 24 Ore 14-5-2007 Unione europea. Il cancelliere tedesco rilancia l'attività diplomatica per firmare la Costituzione entro il giugno 2008 Carta Ue, la Merkel ci riprova Ma il nuovo Trattato rischia di ridurre al minimo le riforme istituzionali Adriana Cerretelli

 

BRUXELLES. Dal nostro inviato Cinque settimane e mezzo per uscire dal pantano costituzionale. In gennaio, davanti all'Europarlamento,Angela Merkel aveva promesso che avrebbe salvato la "sostanza" della Costituzione europea bocciata due anni fa dal verdetto popolare di francesi e olandesi. Il rischio è che quel testo finisca invece abbondantemente spolpato, come il grande pesce in "Il vecchio e il mare". Il cancelliere tedesco lo sa, quindi tenta di ridurre i danni. Con realismo. Non sarà facile. Nel weekend a Sintra, in Portogallo, brainstorming tra presidenti: attuali e futuri dell'Unione, la Merkel, i premier portoghese José Socrates e sloveno Janesz Jansa, quellidella Commissione José Barroso e dell'Europarlamento HansGert PÖttering. Lunedì sera a Bruxelles cena organizzata da Lussemburgo e Grecia, invitati Italia, Belgio, Spagna e Portogallo. Martedì a Berlino incontro tra i 27 sherpa nazionali nella speranza di cominciare a mettere qualche punto fermo. Poi il vertice MerkelSarkozy, dopo quello tra il neopresidente francese e l'uscente Tony Blair. Dopo il grande sonno, l'attività diplomatica è in piena ripresa, il tempo stringe ma i segnali che arrivano non sono esaltanti.Arrivando a Sintra la Merkel ha lanciato un appello a firmare il nuovo accordo entro il giugno 2008. Ma il punto ancora più fondamentale è un altro: con quali contenuti. La partita è complessa perché si deve decidere all'unanimità dei 27. Da una parte c'è il fronte dei "conservatori",cioè dei 18 Paesi, tra cui l'Italia,che hanno ratificato la Costituzione. Dall'altra quello degli "euroscettici", Gran Bretagna, Polonia, Repubblica Ceca e Olanda, che puntano a svuotarla al massimo. In mezzo c'è la Francia di Sarkozy ansiosa di chiudere con un Trattato semplice e ridotto. Svezia e Danimarca in stand by. Guardando i numeri in campo, si potrebbe desumere che la schiacciante maggioranza di chi ha già ratificato sia quella che conduce ilgioco e si impone agli altri.Invece con la legge dell'unanimismo avviene esattamente il contrario.Sono le minoranze,soprattutto se molto determinate, a fare bello e cattivo tempo. Anche con una presidenza forte e non meno determinata come quella tedesca, decisa, a quanto si sussurra,a ricordare ai Governi renitenti che non ci si possono rimangiare impegni presi con tanto di firma in calce al progetto di Trattato costituzionale. Polemiche inutili. La corsa al ribasso attacca simboli e sostanza del testo. Via il nome "Costituzione" e quello di "ministro" degli Esteri Ue, via bandiera e inno. Via la personalità giuridica dell'Unione,cioè la sua possibilità di firmare accordi internazionali. Via la supremazia delle norme Ue su quelle nazionali.Via la Carta dei diritti fondamentali: un articolo per farvi riferimento e consentire a chiunque diinterpretarne l'applicazione come meglio preferisce. Non basta.L'Olanda con Polonia e Repubblica ceca si batte perché venga riconosciuto ai parlamenti nazionali, qualora si raccolga il quorum di un terzo tra i27,il diritto di veto sulla legislazione europea. Peggio.Martedì a Berlino lo sherpa ceco si presenterà con la proposta di inserire nel testo una clausola di optout per gruppi di Paesi minoritari che non intendano accettare la legislazionevolutadallamaggioranza. Il rischio per la tenuta del mercato interno è evidente. La giustificazione è semplice:siccome il sistema di voto previsto dalla Costituzione, con l'inserimento della variabile demografica, dà maggior peso ai grandi rispetto ai piccoli Paesi, va introdotto il contrappeso dell'opt out. E siamo ai nervi più scoperti del negoziato: il sistema di voto che la Germania non intende toccare ma la Polonia ritiene del tutto inaccettabile, perché ridimensiona fortemente il suo peso rispetto a quello vigente che invece le è molto favorevole. E poi la riduzione del campo di applicazione del voto a maggioranza, esteso a 49 nuovi settori dal testo costituzionale. Ora vari Governi, in primis quello inglese, vogliono fare marcia indietro, mantenere il veto sulle politiche di immigrazione,sicurezza e giustizia. Su quest'ultimo punto il futuro premier Gordon Brown rischia di rivelarsi ancora più duro di Blair. Con questi chiari di luna non sarà facile per la Merkel mediare trachi vuole più Europa e chi invece preferisce smontarla pezzo a pezzo per restituire spazio agli Stati nazionali.Non sarà facile nemmeno trovare un accordo entro giugno che contenga non solo una tabella di marcia,ma tutti i paletti entro cui dovrà muoversi la trattativa nei prossimi mesi. Di positivo c'è che la Francia di Sarkozy sembra ansiosadi lasciarsi alle spalle la crisi. Il che aiuta. Ma non basta per costruire il consenso nell'Unione a 27. http://europeanconvention.europa.eu Sul sito della Convenzione, il progetto di Trattato costituzionale SCENARIO DIVERSO Dopo la bocciatura del 2005, con Sarkozy la Francia sembra volersi mettere la crisi alle spalle. Ma con un testo più semplice e ridotto GLI EUROSCETTICI Su immigrazione e sicurezza alcuni Paesi intendono mantenere il veto. E sulla giustizia, Brown potrebbe rivelarsi più rigido di Blair Cinque settimane per Angela. La Merkel (nella foto con il commissario Ue José Barroso a Sintra) ha fatto del rilancio della Costituzione europea la priorità della presidenza tedesca della Ue, che si conclude in giugno REUTERS.


 

Il Manifesto 14-5-2007"Dio, famiglia e volontariato", il laicato cattolico si ritrova unito Da destra a sinistra In piazza associazioni vicine al centrodestra, da Cl al Movimento per la vita. Ma anche le Acli e gli scout dell'Agesci Mimmo de Cillis*

 

Roma Il Moige (Movimento italiano genitori) distribuiva volantini chiedendo "equità fiscale per chi ha figli" e denunciando che "sulla famiglia ci sono troppi pesi e pochi aiuti". L'associazione Famiglia domani sbandierava un testo un po' più aggressivo, puntato contro la legge sui Dico. Il Movimento per la vita, in prima fila per il Family Day, ha realizzato e distribuito gratuitamente un numero speciale della sua rivista "Sì alla vita". In piazza san Giovanni l'associazionismo cattolico italiano ha dato il meglio di sé, articolato in tutte le sue forme, da quelle più spiritualiste e integraliste a quelle più razionali; dai movimenti che preferiscono cimentarsi su un terreno prettamente culturale alle realtà che operano nel sociale, nei consultori familiari o con centri di accoglienza per ragazze madri. L'adesione delle aggregazioni laicali cattoliche è stata multiforme e variegata. In primis c'erano le associazioni che hanno aderito al manifesto "Più famiglia" lanciato dal Forum della famiglia, con lo slogan "ciò che è bene per la famiglia, è bene per il paese". Una galassia di sigle che, partite da poco più di una decina, hanno pian piano raggiunto e superato quota 100, anche sotto la spinta sempre più forte delle gerarchie e del clero, che ha avuto dalla Cei l'ordine di mobilitare le parrocchie. E' stata una partecipazione di orientamento socio-politico del tutto trasversale: accanto a realtà da sempre collocabili nel panorama di centrosinistra (come Azione Cattolica, Acli, Comunità di Sant'Egidio, Ex allievi di don Bosco, Ordine Francescano Scolare, Agesci) vi erano movimenti assestati sul versante di centrodestra (Comunione e Liberazione, Movimento per la vita, Movimento cristiano lavoratori) o gruppi di carattere spiccatamente spirituale (Comunità neocatecumenali, Rinnovamento nello spirito, Associazione Famiglie nuove, legate al movimento dei Focolari, Comunità papa Giovanni XXIII). Interessante, anche se a volte meno gridata e dunque meno evidente, la presenza di sigle che spesso operano nel silenzio in favore dei bambini o delle donne, come l'Associazione per le famiglie di emigrati (Anfe), la Charles Peguy (ChP) che accoglie adulti e minori in difficoltà, l'associazione Famiglie per l'accoglienza, che si dedica alla medesima opera, l'Aibi, costituita da famiglie adottive, e altre. Molti dei rappresentanti hanno concordato su un punto: non strumentalizzare la manifestazione con etichette politiche, non contrapporre i cattolici di piazza san Giovanni ai laici di piazza Navona. "Vogliamo solo sottolineare al Parlamento che abbiamo bisogno di una politica familiare che faciliti il compito alle persone sposate e ai giovani che intendono sposarsi. Una politica che promuova la famiglia e non l'assista come soggetto debole, incapace di agire", afferma Maurizio Salvi dell'Aig. Il che significa consentire solidità e serenità alle famiglie ripensando il welfare, realizzando un sistema di tutele e un sistema fiscale in chiave familiare. Parla di "rilancio di una sussidiarietà orizzontale e verticale, degna di un paese che può avere nella solidarietà il più grande moltiplicatore economico" Salvatore Martinez, presidente del Rinnovamento nello spirito, mentre don Oreste Benzi rivendica più spazio "alle agenzie educative come la chiesa" e punta a "sviluppare il volontariato, al cui interno i giovani possono trovare senso". La proposta unificante del laicato cattolico, contenuta nel manifesto firmato da tutti, è quella di un "rinnovato umanesimo familiare", che racconti come il benessere della famiglia, fondato sull'amore coniugale, rappresenti "un'opportunità per l'intera società italiana", per riscoprire che, quando una famiglia si disgrega, tutta la società soffre. * Lettera22.

 


 

La Repubblica 14-5-2007 IL RETROSCENA Il ministro Fioroni: "Va ascoltata la piazza". Latorre, Ds: "Un errore la contromanifestazione" E i teodem vanno all'attacco "Cambiare o il governo rischia" GIOVANNA CASADIO

 

ROMA - Nessuna delle due è pentita. Rosy Bindi si limita a osservare: "Sui Dico per quanto mi riguarda non cambia nulla, la linea del governo è sempre la stessa: politiche per la famiglia e tutela dei diritti dei conviventi". La piazza del Family day ha voluto colpire il simbolo-Dico? "Ora mi auguro che al di là delle ideologie e dei simboli, si possa ragionare serenamente". Barbara Pollastrini, poi, rilancia: "L'Italia è uscita più aperta e tollerante 33 anni fa dal sì al divorzio e così sarà anche per i Dico, alla fine avremo un paese più civile". E avverte: "Nel dna del Partito democratico dovrà esserci il valore della laicità". Ma le due autrici della legge sui diritti dei conviventi sanno bene che il successo del raduno cattolico di Piazza San Giovanni - nato sulla spinta del "no ai Dico" - pesa e peserà. Non è solo il centrodestra a cantare vittoria e a sostenere, come fa Gianfranco Fini, che "i Dico sono affossati", ma anche i Teodem della Margherita pongono l'aut-aut: "O si archiviano i Dico o rischia il governo". Non sarebbe concepibile dopo una manifestazione come il Family day - ragiona Paola Binetti - che la contrarietà ai Dico resti lettera morta. "Allora quella piazza si organizzerebbe. Diciamola con Giulio Andreotti: i Dico sono stati un infortunio di percorso e il milione di persone che sabato erano in piazza sono la rappresentanza di quel 75% di italiani che al referendum sulla fecondazione assistita si sono astenuti". Quindi sui diritti individuali di chi convive si può trovare un accordo "nel senso dell'applicazione del codice civile e se ci sono dei buchi, si colmano". Non altro, nulla di più. "Con buona pace di Bindi e Franceschini, i Dico in quanto tali devono essere messi da parte - afferma la Binetti - Il cattolicesimo democratico dei Castagnetti, Franceschini e Bindi non è più il riferimento del mondo cattolico: il cattolicesimo popolare oggi è un'altra cosa". Al di là delle posizioni teodem, a fare pressing affinché si ascolti Piazza San Giovanni è un altro esponente della Margherita, il ministro Beppe Fioroni. Era al Family day con il figlio Marco, a suo agio tra gli amici dell'Azione cattolica, gli scout e le Acli, e afferma: "Non si può non ascoltare la piazza cattolica, il Family day conta". Non può però pesare al punto da far arretrare l'Unione sulla questione delle unioni civili etero e omosessuali. Difficilmente ci saranno i Dico, ammette Cesare Salvi, presidente della commissione Giustizia del Senato dove sono attualmente in discussione. "I Dico non sono sostenuti, quindi cercheremo un altro testo-base". Anche se "il punto politico e di principio è la difesa di una norma sulle unioni civili, il centrosinistra e il Partito democratico saranno giudicati anche su questo", contrattacca il ds Gianni Cuperlo. Nella Quercia, il futuro dei Dico e il dibattito sulle due manifestazioni del 12 maggio, piazza San Giovanni e Piazza Navona - provocano fibrillazione e malumori. In primo piano c'è il tema della laicità, cavallo di battaglia anti-Pd dei transfughi ds riuniti nella Sinistra democratica. Replica Nicola Latorre, vicecapogruppo dell'Ulivo al Senato: "La contromanifestazione laica nel giorno del Family day è stata comunque un errore e si sapeva che se ne sarebbe fatto un uso politico anti Pd. I Dico però non saranno archiviati, sarebbe un errore gravissimo non tutelare i diritti dei conviventi, vedremo le soluzioni". Mentre Emma Bonino, ministro radicale e animatrice della piazza laica concorda per una volta con il forzista Sandro Bondi: "La maggioranza li ha già affossati, come sostiene Bondi, dal momento che il Cdm vara i Dico e, arrivati in Parlamento, parti consistenti della maggioranza, quelli che "se non fossi ministro andrei al Family day"... - riferendosi a Rutelli - Temo che non ci sia una maggioranza sui Dico, il che la dice lunga sullo stato della laicità nel nostro paese".

 


 

La Stampa 14-5-2007 L'obiettivo è coprire il "nuovo vuoto a sinistra" del Pd. Paradossi politici Dalla fine del Pci al patto con Di Pietro. Fabrizio Rondolino

 

Con i vecchi nemici riparte la terza vita del compagno Achille Ad appoggiare la sua iniziativa ci sono gli stessi che venti anni fa lo boicottarono ROMA La Bolognina Il 12 novembre 1989, tre giorni dopo la caduta del muro di Berlino, Achille Occhetto annunciò "grandi cambiamenti". Fu questa la cosiddetta "Svolta della Bolognina" nella quale il leader del Pci, prendendo da solo la decisione, aprì un nuovo corso politico che preludeva al superamento del Pci e alla nascita di un nuovo partito della sinistra italiana, il Pds.D ue sabati fa, al convegno fondativo della Sinistra democratica di Mussi e Angius, è stato accolto con una lunga, commovente standing ovation. E sabato scorso, ad ascoltare una sua relazione non a caso intitolata "Coprire un vuoto a sinistra", c'erano i capi di Rifondazione e del Pdci, dei Verdi e dello Sdi. La terza vita di Achille Occhetto - dopo la "svolta" che salvò il Pci dalle macerie del Muro, e dopo i lunghi anni della "carovana", qualche volta immalinconiti dal risentimento - si preannuncia come la vera novità della nuova "cosa rossa" che prima o poi nascerà a sinistra del Partito democratico. Quando bisognò trovare un nuovo nome e un nuovo simbolo per il partito che avrebbe sostituito il Pci, i riformisti di Napolitano suggerirono "Partito del lavoro", per segnalare così l'appartenenza alla famiglia socialista e socialdemocratica. Occhetto, che pure portò il post-Pci nell'Internazione socialista, scelse invece un altro nome: "Partito democratico". Cui aggiunse, per segnalare la prospettiva bipolare al cui interno la nuova formazione intendeva muoversi, la specificazione "della sinistra". Oggi, a quasi vent'anni di distanza, Occhetto si ritrova, per quelle ironie della storia di cui la politica è ricca, al centro di un movimento ancora informe e confuso, ma incredibilmente affollato e potenzialmente forte, che potrebbe dar vita ad un nuovo "Partito democratico della sinistra" - o, per usare le parole di Occhetto al convegno di sabato scorso del suo "Cantiere", "una sinistra plurale, moderna e democratica". E' stato detto più volte, con ammirazione e con scherno, che soltanto un "pazzo" come Occhetto avrebbe potuto gettarsi senza rete nell'impresa di sciogliere il Pci. E tuttavia, nella lucida follia dell'Occhetto post-'89 c'è un'indubbia lungimiranza e una modernità innegabile, a cominciare proprio dall'oltrepassamento delle ideologie e delle identità di appartenenza. Di fronte al crollo del comunismo, Occhetto disse che bisognava andare anche "oltre" il socialismo. Sembrò una furbizia, o un episodio dello scontro con il Psi di Craxi: in realtà, è esattamente ciò di cui discute tuttora il nascente Partito democratico. Oggi che "molta acqua è passata sotto i ponti" e "ci muoviamo tutti oltre l'Ottantanove", l'idea di Occhetto è rimasta la stessa di una famosa intervista sulla Rivoluzione francese, che precedette la "svolta" di qualche mese e che ne fu, per molti aspetti, l'incompiuto manifesto teorico: riunificare i riformismi congelati dalla guerra fredda, contaminarli, e fondare così "una nuova sinistra con il cuore antico". E' un "falso dilemma", sostiene Occhetto, contrapporre sinistra di governo e sinistra radicale, "sinistre identitarie, ciascuna avvolta nella propria bandiera, e sinistra tecnocratica", perché "la sinistra è di governo solo se sa stare nel Paese, ed è democratica solo se ricerca le nuove vie di scorrimento tra partiti e movimenti". In questa prosa più sessantottina che marxista, più ingraiana che togliattiana, c'è buona parte della biografia intellettuale di Occhetto: ma c'è anche una ragionevole soluzione al problema che la sinistra radicale deve oggi affrontare. Può darsi insomma che questa volta, nei panni del padre nobile anziché del segretario generale, l'operazione riesca meglio di vent'anni fa. L'aspetto paradossale - non certo il solo del paesaggio politico italiano contemporaneo - è che a tentare l'impresa, questa volta, ci sono più o meno tutti coloro che vent'anni fa la boicottarono, da Rifondazione, sorta proprio per "salvare" il Pci da Occhetto, fino ad Aldo Tortorella, che ancora nel raffinato intervento di sabato scorso si è confermato l'ultimo, grande intellettuale comunista del nostro Paese. A tutti costoro - a tutti coloro che in questi vent'anni hanno contrastato lo sciogliemento prima del Pci e poi dei Ds - Occhetto forse ha ancora qualcosa da dire, e l'"oltrismo" che un tempo gli veniva rimproverato come un'esagerazione o un espediente è forse oggi la miglior garanzia contro il cristallizzarsi di una "nuova" sinistra ideologicamente pura quanto politicamente sterile. L'addio al partito Si è definitivamente allontanato dai Ds nel 2004, quando aderì ad un progetto con Antonio Di Pietro, dando vita alla lista Di Pietro-Occhetto alle elezioni europee dove raccolse il 2,1% dei consensi. Un risultato non incoraggiante, in quanto il solo movimento di Di Pietro, l'Italia dei Valori, in passato aveva raggiunto risultati maggiori.

 


 

Il Riformista 14-5-2007 De profundis per i Dico, su cui si è persa pure l’ultima speranza di Tommaso Labate

Nel day after dello scontro tra la piazza laica e quella cattolica - al di là delle tante schermaglie trasversali che non accennano a diminuire - rimane una certezza. Per i Dico, almeno nella versione che abbiamo conosciuto attraverso il ddl dell’esecutivo a firma Bindi-Pollastrini, non c’è futuro. Le speranze di vederli approvati dal Senato, più che ridotte al lumicino, sembrano non esserci.
Per il de profundis non serve rivolgersi agli organizzatori di quel Family day che ha dimostrato la compattezza del fronte dei contrari, che va dalla Lega ai teodem della Margherita, passando per le truppe mastellate dell’Udeur. Basta bussare alla porta dell’ultra-laico Cesare Salvi, che presiede la commissione Giustizia del Senato. Quella in cui è ancora in corso la discussione preliminare sui Dico. Dice al Riformista il senatore (e futuro capogruppo) di Sinistra democratica che «per quel disegno di legge non ci sono né numeri né margini di manovra». Il ragionamento di Salvi è molto semplice. «Durante la crisi dell’esecutivo, il presidente del Consiglio ha escluso i Dico dalle priorità. E, soprattutto, ha più volte dichiarato che con la presentazione del ddl il governo considera esaurito il suo compito». Di conseguenza, aggiunge, «visto che il Parlamento è sovrano, continueremo a lavorare in commissione per trovare una proposta che abbia quei numeri che il testo Bindi-Pollastrini, di fatto, non ha».


 

Garante 11-5-2007 Privacy Paissan: i giornalisti misurino la loro libertà con la tutela della dignità delle persone

 

"La privacy non può essere evocata per negare la necessaria trasparenza dei poteri, ma non è vero che ogni notizia deve essere comunque data: il giornalista è chiamato a misurare la propria libertà rispetto al dovere di tutelare la dignità delle persone".

Intervenendo alla tradizionale Conferenza di primavera dei Garanti europei, in corso a Larnaka (Cipro), Mauro Paissan, sintetizza così i punti fermi che devono guidare il delicato rapporto tra tutela della privacy e diritto all'informazione.

Dopo aver ripercorso la specificità del caso italiano riguardo in particolare ai poteri del Garante in materia di informazione, Paissan si è soffermato sulle recenti polemiche che hanno visto protagonista l'Autorità. Esse "hanno posto sotto i riflettori temi cruciali come il confine tra tutela della privacy delle persone note e i criteri per individuare cosa è essenziale per ricostruire fatti di interesse pubblico e cosa no".

Proprio sul concetto fondamentale di essenzialità dell'informazione, il componente del Garante ha ricordato come spetti proprio al giornalista la precisa responsabilità di "valutare se, nel riferire di una notizia, la diffusione di un dato personale è essenziale per l'interesse pubblico" o meno, sottolineando come sia "curiosa la pretesa dei giornalisti di non dover rendere conto a nessuno di come fanno informazione".

Infine, Internet e i motori di ricerca. La Rete fa venire meno ogni limite di spazio e di tempo e ciò "comporta la lesione del diritto all'oblio, cioè del diritto a veder dimenticata una notizia che ci riguarda passato un ragionevole periodo di tempo", mentre i motori di ricerca pongono il problema ancor più rilevante delle notizie errate e incomplete che, girando senza controllo sul web, possono ledere gravemente l'immagine delle persone.

Larnaka, 11 maggio 2007


 

Il Corriere della Sera 14-5-2007 L'INCHIESTA I trafficanti di cellule e i bimbi spariti KIEV - Traffico d'organi, neonati scomparsi e il nuovo business delle cellule staminali. di Andrea Nicastro

 

Leggende metropolitane, si è sempre detto. Ora la prova che il traffico esiste potrebbe arrivare tra breve. Basterebbe che si concludessero indagini affossate da anni e l'Ucraina potrebbe scoprire di essere un supermercato segreto di organi e cellule umane. Il Consiglio d'Europa s'interroga, in un rapporto riservato, sulla scomparsa di duecento bambini dalle sale parto dell'ex Repubblica sovietica. In Ucraina il Corriere è venuto in possesso di un documento della Procura di Kiev in cui si chiede l'aiuto dei servizi segreti per il proseguimento delle indagini sulla scomparsa di neonati. - Alle pagine 12 e 13.

12 Trapianti cellulari, chirurghi clandestini, annunci di preparati biologici in grado di stimolare naturalmente la guarigione, iniezioni di embrionali per cancellare le rughe: è il grande affare delle staminali. Che comprende traffici di esseri umani DAL NOSTRO INVIATO KIEV - Bambini venduti come pezzi di ricambio. Feti frullati per infondere vitalità a vecchi e malati. Sono voci che girano da anni. Traffico d'organi, neonati scomparsi, chirurghi clandestini e il nuovo business delle cellule staminali. Ma si è sempre potuto considerarle leggende metropolitane. Ne sono fiorite in Brasile, in India, in Africa. Mai nulla che, fino ad oggi, sia stato confermato. L'Interpol, che si attiva ad ogni denuncia, non ha trovato alcunché. Questa volta però è diverso. La prova che il traffico esiste potrebbe arrivare in pochi mesi. Sarebbe sufficiente che si concludessero indagini affossate da cinque anni e l'Ucraina potrebbe scoprire di essere un supermercato segreto di organi, tessuti e cellule umane. Il Consiglio d'Europa s'interroga, in un rapporto ancora riservato, sulla scomparsa di duecento bambini dalle sale parto dell'ex Repubblica sovietica. Spaventoso, ma non è tutto. In Ucraina, attivisti per i diritti umani chiedono di sapere che cosa succede non a duecento, ma a tremila neonati ogni anno: le mamme li sentono piangere alla nascita, gli obitori ne certificano la morte, eppure secondo i registri delle sale parto e dei cimiteri non esistono. I loro cadaveri scompaiono. Due medici sono scappati da Kiev (e stanno chiedendo asilo politico in Irlanda) perché hanno paura di essere uccisi proprio per aver dato voce all'orribile sospetto. In Ucraina il Corriere è venuto in possesso di un documento della Procura generale di Kiev in cui si chiede l'aiuto dei servizi segreti per il proseguimento delle indagini sulla scomparsa di alcuni neonati. Motivo? I misteriosi infarti che hanno chiuso la bocca a due testimoni chiave. Da quando è stato redatto il documento, invece di ricevere l'aiuto degli 007, il magistrato si è visto togliere il caso. E le morti sospette sono diventate sei. Che cosa sta succedendo? Poche settimane fa il primo ministro Viktor Yanukovich era a Bruxelles, per una seduta del Comitato per gli affari esteri dell'Unione Europea. La deputata irlandese Kathy Sinnott gliel'ha chiesto. La risposta è sconvolgente perché conferma l'esistenza di un traffico di parti umane ("embrioni" secondo Yanukovich): "Grazie per aver sollevato il doloroso problema del commercio di embrioni - ha detto il premier ucraino in presenza di diversi testimoni -. Spero siate d'accordo con me che non si tratta solo di fermare chi vende, ma anche chi compra. Purtroppo leggi insufficienti permettono che, oggi, questo traffico esista. Con la vostra assistenza confido che riusciremo a mettere fine a tutto ciò. Ho dato pieni poteri ai servizi segreti e al ministero dell'Interno

 

 

SPERIMENTAZIONE E FUTURO La fabbrica dell'eterna giovinezza Cellule staminali e tessuti di ghiandole preziose. La "fabbrica" dei pezzi di ricambio umani e dell'eterna giovinezza parte da questi "mattoni". Le prime, meglio se embrionali (perché anche i fattori che le attivano e che le fermano sono fondamentali), in teoria possono "trasformarsi" in qualsiasi altro tessuto specializzato. Già si sono avuti risultati, anche se controversi, nel "riparare" cuori e vasi. Sono in sperimentazione per sostituire il pancreas che non produce più insulina (diabete) e a livello cerebrale (per Parkinson e Alzheimer). Le staminali embrionali promettono anche di riparare le vie nervose danneggiate da gravi traumi (paralisi dopo incidenti alla spina dorsale). Quelle del grasso, ma in questo caso vanno bene anche quelle degli adulti, potrebbero risanare il derma da ustioni e segni dell'età (rughe). Già pelle e cornee sono state ricreate da staminali. Osso e cartilagine sono allo studio: forse basta solo iniettarle nei punti in cui mancano questi tessuti. L'ormone della crescita, dalle ghiandole alla base del cervello, e quelli prodotti dal timo (che si atrofizza con l'età) sarebbero potenti anti-aging.

 


INDICE 13-5-2007

AprileOnline.info 12-5-2007 Dibattito a sinistra. Se il movimento è nato proprio sabato 5 maggio, com'è possibile che ci sia già un così consolidato e folto "gruppo dirigente" Stefano Palandri, 1

La Repubblica 13-5-2007 I cammelli al galoppo nella cruna dell'ago. Eugenio Scalfari 2

Il Tirreno 13-5-2007 Di Gianfranco Micali In crisi l'Università Formava uomini ora trasmette nozioni 3

L’Unità 13-5-2007 Iraq, sul petrolio la lunga mano della corruzione Inchiesta americana: ogni giorno spariscono 300mila barili. 4

Il Giornale di Vicenza 13-5-2007 Dal "Times" al Vietnam la base Usa fa discutere di Gian Maria Maselli 5

Il Centro 13-5-2007 Armi, aumentano le esportazioni italiane Un incremento record: + 61,12% Di Andrea Palombi 6

 

 


 

AprileOnline.info 12-5-2007 Dibattito a sinistra Se il movimento è nato proprio sabato 5 maggio, com'è possibile che ci sia già un così consolidato e folto "gruppo dirigente" Stefano Palandri,

 

12 maggio 2007? L'autobus è partito ora dal capolinea e i posti a sedere sono già tutti occupati Ho partecipato sabato scorso all'iniziativa che si è tenuta a Roma per la nascita della Sinistra Democratica. Che emozione, quanta passione! Quanto desiderio di riscatto, di voglia di manifestare tutto quella necessità di partecipazione, di sentirsi soggetti attivi della politica, delle scelte, di tornare ad essere protagonisti e non più solo numeri (una testa - magari che ha smesso di pensare - un voto) da utilizzare dal leader di turno per affermare il suo ruolo dominante. Se questo è quanto mi è parso di capire aleggiasse in sala, devo dire che quanto è accaduto sul palco mi ha fatto venire un brivido lungo la schiena. Gli interventi che si sono succeduti (pur fra l'entusiasmo dei presenti) hanno sempre avuto un incipit del tipo: "E ora parlerà il compagno tal dei tali dirigente del movimento Sinistra Democratica ..." e, per finire, Cesare Salvi che saluta la platea, ringraziando tutti per la numerosa e calorosa partecipazione, con un enfatico "Compagni, non vi deluderemo!!!". Come dire: "Ecco, i capi ci sono, ora troviamo la truppa!" La domanda che mi pongo, allora, è la seguente: se il movimento Sinistra Democratica è nato proprio sabato, com'è possibile che ci sia già un così consolidato e folto "gruppo dirigente"? L'autobus è partito ora dal capolinea e i posti a sedere sono già tutti occupati. Non credo che sia questo il metodo per riavvicinare le persone alla politica, forse perché non condivido la definizione che D'Alema dà della politica "un ramo specialistico delle professioni intellettuali". Già il problema sta proprio qui: la politica come professione! Ma quello che penso io, povero vecchio romantico, illuso che la politica sia passione e servizio, ha ben poca importanza.. Ciò che è nato, ne sono profondamente convinto, è un progetto politico importantissimo per la sinistra ed il paese, ma è ancora più importante per noi cittadini che aspettiamo un cambiamento, un CAMBIAMENTO VERO non solo nelle scelte politiche, ma anche nei metodi. Un cambiamento che faccia capire che tutto ciò che saremo in grado di costruire lo faremo con il contributo del pensiero di tutti, che l'opinione di ognuno ha dignità e valore e va accolta, ascoltata e valutata con rispetto, con il massimo rispetto. La sensazione, per le volontà, gli entusiasmi ed i contenuti espressi, è che qualcosa di nuovo, sul piano politico, sia nato. Il timore è che sia nato con metodi vecchi. Se così fosse dobbiamo, tutti noi che ci crediamo, impegnarci ad esaltare e valorizzare il nuovo e buttare a mare tutto quanto è in odore di vecchio dirigismo, di opportunismo, di rifiuto e dileggio delle scelte partecipate e condivise. La SINISTRA DEMOCRATICA LO MERITA! Il POPOLO DELLA SINISTRA LO MERITA! . . . IO CI CREDO, CI VOGLIO CREDERE!.

 

 


 

La Repubblica 13-5-2007 I cammelli al galoppo nella cruna dell'ago. Eugenio Scalfari

 

IL familismo è la base della società italiana, così ha scritto ieri su questo giornale Francesco Merlo e tutti concordiamo con lui. Lo è nel bene e nel male. Tutti siamo figli di mamma ? si dice e si sa ? e di mamma ce n'è una sola; a lei si ricorre anche nell'età adulta per ritrovare serenità, conforto, ristoro ed anche, con l'avanzare degli anni, per proteggerla e accompagnarla affinché non si senta sola in vista dell'ultimo appuntamento. Familismo non è necessariamente sinonimo di famiglia. Il primo è un modo d'essere e di sentire, la seconda è un'istituzione convalidata da un contratto che per i cattolici realizza anche un sacramento. Spesso però quei due termini coincidono ibridandosi reciprocamente. Quando questa compenetrazione avviene la micro-istituzione familiare si chiude a riccio, esclude e non include, rischiando di diventare omertosa e di far prevalere la difesa dei propri confini sulla solidarietà civica e perfino sull'amore del prossimo. Le società profondamente cristiane ? se ancora ce ne sono ? conoscono questo contrasto che ha le sue radici addirittura nella predicazione di Gesù di Nazareth. Dopo aver incitato i discepoli e il popolo che lo seguiva all'amore e alla carità, egli aggiunse: "Voi credete che io sia venuto a portare la pace ma io ho portato la spada. Io metterò il padre contro il figlio, la figlia contro la madre, il fratello contro il fratello. Chi verrà con me abbandonerà la famiglia. La mia famiglia non sono mio padre e mia madre ma siete voi che credete in me". è un passo dei Vangeli molto controverso che ha una sola interpretazione possibile: Gesù pone se stesso come simbolo di carità e amor del prossimo e vede i legami familiari e l'egoismo di gruppo che li può intridere come una barriera da abbattere se il cristiano vuole aprirsi al comandamento dell'amore del prossimo. In questa visione la famiglia, luogo di amore, non può che essere aperta e inclusiva. Se non lo è il Maestro esorta i suoi seguaci ad abbattere il muro che la protegge e ad aprire le braccia e il cuore al Dio della misericordia, della tenerezza, del bene. Noi laici, ma non ghibellini, vorremmo che questa fosse la visione della famiglia che ha radunato ieri, in piazza San Giovanni, una gran folla di persone per iniziativa di molte associazioni cattoliche, dei preti e dei Vescovi italiani. I promotori di quel raduno hanno sostenuto che proprio questa è stata la sua motivazione. E poiché l'istituzione familiare vive nel nostro tempo e deve sopperire ai bisogni e alle sfide quotidiane, gli obiettivi concreti della manifestazione sono stati anche quelli di premere sul governo affinché delinei una politica di sostegno economico alle famiglie per renderle più sicure del loro futuro e indurle anche per questa via a crescere e a moltiplicarsi.

Ebbene, spiace dirlo ma le cose ieri pomeriggio non sono andate così. Né era possibile - ammettetelo - che quella moltitudine non fosse strumentalizzata. Basta aver visto con quale entusiasmo sono stati accolti prima Fini e poi Berlusconi. Basta aver ascoltato le parole pronunciate da quest'ultimo un minuto prima di fare la sua comparsa e incassare l'ovazione che gli è stata tributata dalla piazza di San Giovanni. "Io sono qui" ha detto "per testimoniare che i veri cattolici non possono stare a sinistra; non possono stare con i comunisti che hanno ridotto la Chiesa al silenzio e ancora vorrebbero ridurre la religione a un fatto privato. Io sono qui per far sì che la Chiesa possa liberamente parlare e affermare la propria verità e i propri valori che sono anche i nostri". E così è stato servito il buon Pezzotta, organizzatore ufficiale del raduno, affannatosi per settimane a rassicurare che nessun colore politico avrebbe prevalso in quella piazza e in quella moltitudine, che cattolici e non cattolici avrebbero potuto e dovuto affratellarsi in nome della famiglia, dei suoi diritti e dei suoi doveri. Se Pezzotta - come ci ostiniamo a sperare per lui - è un uomo di buona fede, dovrebbe aver passato una pessima nottata nel constatare che i suoi sforzi sono stati ridicolizzati dalla realtà. Oppure - se si rallegrerà per quanto è accaduto - dovremo concludere che ha tentato di prendere in giro gli italiani che la pensano diversamente dalle piazzate berlusconiane. Che Pezzotta sia un ingenuo si può anche concedere, ma sono altrettanto ingenui i vescovi della Conferenza episcopale? E il papa che anche dal Brasile ha seguito con attenta intenzione la manifestazione romana? (Apprendo ora dal telegiornale che Pezzotta con aria felice ha detto: "Il papa sarà contento di questa giornata". Tanto ingenuo dunque non è). In realtà il Vaticano e le diocesi italiane stanno assordando da anni gli italiani con lo sventolio dei loro interessi e dei valori usati per ricoprirli. Hanno trasformato la Chiesa italiana nella più potente delle "lobby". Hanno voluto il raduno di Roma per mettere in scena una prova di forza politica e muscolare. Hanno attinto a piene mani ai fondi provenienti dall'8 per mille versato nelle loro casse dallo Stato italiano. Stanno risuscitando il clericalismo e l'anticlericalismo. Sono entrati a gamba tesa nell'agone politico a dispetto della lettera e dello spirito del Concordato. Questo è accaduto ieri. Non vorremmo usare parole gravi ma la giornata di ieri ha indebolito la democrazia italiana. Non perché tanta gente si sia riunita per far sentire la sua adesione ai valori e agli interessi delle famiglie; ma perché quella stessa gente è stata manipolata dalle destre e dalla Chiesa in perfetta sintonia tra loro. Trono e altare, come ai vecchi tempi. Vengono in mente i farisei denunciati da Gesù come sepolcri imbiancati e viene in mente anche la biografia privata di molti capi della destra a cominciare dal suo leader massimo. Ho già detto: non siamo ghibellini. Ma sentiamo che forze potenti ci spingono a diventarlo. Siamo contro chi volesse ridurre la Chiesa al silenzio, anche se non c'è nessuno che lo voglia. Ma siamo soprattutto contro chi sta riducendo al silenzio i laici e facendo a pezzi la laicità. * * * Da questo punto di vista bene hanno fatto i radicali e quanti ne hanno condiviso l'iniziativa a promuovere il raduno del "coraggio laico" a piazza Navona. La sproporzione delle forze in campo era evidente e proprio per questo è stata usata la parola coraggio. Il grosso del centrosinistra era assente. In ascolto, hanno detto i suoi leader. Ebbene, ora hanno ascoltato. Di incoraggiamenti per una politica di sostegno finanziario alle famiglie non c'era bisogno: una parte delle scarse risorse disponibili è già stata impegnata dal governo in quella direzione; altre provvidenze saranno decise nel convegno di Firenze promosso dal governo e Rosy Bindi. Resta l'accoppiata tra la Chiesa italiana e la destra, fragorosamente espressa da mesi e culminata nella giornata di ieri. Si spera che i leader del Partito democratico abbiano ascoltato con profitto e che almeno un briciolo di coraggio laico sia penetrato nelle loro menti. Gesù di Nazareth rovesciò i tavoli dei mercanti e li scacciò a frustate dal Tempio. Gesù di Nazareth predicava la pace ma sapeva usare la spada quando fosse necessario. Ha detto tante cose Gesù di Nazareth. Forse i laici dovrebbero promuovere un raduno di massa intitolato al suo nome per vedere fino a che punto la Chiesa di oggi abbia ancora il diritto di usarlo e non parli invece sempre di più con lingua biforcuta. Per vedere se il ritorno al nuovo temporalismo sia un fatto positivo o negativo per il sentimento religioso. Per vedere se i papisti di oggi lottino ancora affinché gli ultimi siano i primi. Infine per capire se i cammelli riescano a passare nella cruna dell'ago o se quella cruna non sia diventata una ampia autostrada dove i cammelli transitano al galoppo con tutto il carico delle loro ricche mercanzie. Sì, bisognerebbe proprio farlo un raduno di massa su Gesù di Nazareth. Non credo che il trono e l'altare uniti insieme siano di suo gusto, figlio dell'Uomo o figlio di Dio che lo si voglia considerare.


 

Il Tirreno 13-5-2007 Di Gianfranco Micali In crisi l'Università Formava uomini ora trasmette nozioni

 

Credo nel Partito democratico, però non vedo ancora un assetto di valori e questo mi sembra un limite teorico "L'università come l'ho vissuta io da studente non esiste più", dice Michele Ciliberto, docente di filosofia contemporanea alla Normale di Pisa. "Allora era una struttura di formazione dei ricercatori che prima di tutto miravano a sentirsi cittadini. Adesso è uno strumento di trasmissione di alcuni elementi del sapere". Fa un certo effetto ascoltare questa affermazione da chi appartiene a uno degli ultimi baluardi intellettuali dell'Italia moderna. La Scuola Normale di Pisa è considerata da sempre tra le migliori università europee. Ciliberto, nato a Napoli il 16 luglio del 1945, dirige anche le Edizioni della Normale ed è dal 1996 presidente dell'Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento. "Professore, che cosa sta accadendo? "Il mio discorso non riguarda certo la nostra università e a un giovane bravo consiglierei di fare il concorso per entrare alla Normale, specialmente se ha una vocazione scientifica di ricerca molto forte. Ma certi contraccolpi arrivano anche da noi che eravamo abituati ad avere come interlocutori università di altro tipo. Cito uno dei cambiamenti peggiorativi. Una riforma ha portato la Facoltà di Lettere a cinque anni, e i nostri ragazzi abituati a studiare proficuamente in tre anni, rischiano di rimanere in parcheggio gli altri due". "A parte le riforme, quali altri mutamenti sono avvenuti nella nostra società? "Tanti. Oggi sono troppo pochi i genitori che invogliano allo studio e alla cultura. Io ho avuto la fortuna di vivere una gioventù privilegiata in questo senso, grazie a una madre eccezionale, una donna meridionale di quelle che nutrivano ferme convinzioni sociali. A cominciare da quella che la scuola e la cultura rappresentavano uno strumento di crescita civile e di promozione individuale. Ricordo che all'età di dodici-tredici anni mi trovavo in regalo la storia della rivoluzione francese e a 15 i testi di Epicuro in greco. E poi mia madre mi ha insegnato, per quanto era nelle sue possibilità, il senso della vita...". Si poteva definire filosofa anche sua madre? "Gramsci chiamava questa disposizione culturale "la filosofia della vita quotidiana"". è stata lei a inculcarle la passione per questa materia? "Non saprei dire, mi piaceva pensare e riflettere fin da bambino. Invece che ai fumetti mi interessavo alla politica già in giovanissima età". Un legame che sembra essersi perso, questo, tra filosofia e politica... "In Italia si è trattato di un legame a corrente alternata. Il periodo migliore e più fervido è stato alla fine della Seconda guerra mondiale. Fu allora che uomini come Togliatti, e Nenni presero coscienza che la questione degli intellettuali era decisiva e che un partito di massa senza la cultura non poteva avere un respiro sufficiente. La loro analisi a posteriori sulla vittoria del fascismo per un ventennio prendeva atto che negli anni Dieci e Venti del Novecento si era verificata un'autentica divaricazione tra movimento operaio e filosofia, tanto è vero che i grandi intellettuali come Gentile e Pirandello, per fare qualche nome, divennero fascisti. Nel 1945 quindi la parola d'ordine fu: coinvolgere gli intellettuali nella costruzione di una democrazia antifascista". E quando questo legame si è di nuovo interrotto? "Con le nuove generazioni, ma a sinistra non si è interrotto. Direi che oggi, ad esempio, per un intellettuale è più facile parlare con il presidente Napolitano che con Veltroni. è un fatto generazionale". La filosofia ha sempre avuto una precisa e profonda attinenza con la politica e con l'organizzazione degli stati... "Come si fa ad immaginare la costituzione americana senza la filosofia? La Repubblica Italiana ha una costituzione che senza la filosofia cattolica, liberale e socialista risulterebbe davvero povera. Si pensi all'articolo 3 che recita: "è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". E poi la politica si nutre di questi scontri, di queste divergenze, che secondo me sono sempre positive. C'è un pensiero di Giordano Bruno che dice: "Profonda magia è trarre il contrario dopo avere trovato il punto dell'unione". Io credo che si potrebbe applicare anche al nuovo Partito democratico". Di cui lei è un convinto sostenitore, dopo essere stato uno degli intellettuali organici al Pci, al Pds e a ai Ds. E di questo parleremo dopo, ma l'accenno a Giordano Bruno fa rammentare che lei è il massimo esperto del personaggio... Quanto di lui rimane attuale in questo attuale dibattito tra Chiesa e laici? "è sempre difficile situare qualcuno in un'altra epoca. Posso dire che lui era per una religione universale che poneva al centro la filantropia. In un testo bellissimo del 1588 diceva: "Il Dio al quale penso io è il Dio che illumina tutti gli uomini, i bianchi, i neri, le donne e che non distingue tra razze e sesso". Un Dio dell'amore universale, di cui era un grande e convinto filosofo. Il suo Dio era decisamente opposto al Dio cristiano di quel periodo, il Dio dei conquistadores e dell'Inquisizione. Lui era per gli indios. Non si considerava però un pensatore anticristiano, ma postcristiano. Per quanto fu nelle sue possibilità, cercò di evitare lo scontro con la Chiesa, ma per quello che diceva e scriveva, è alla chiesa romana che risultò impossibile non entrare in conflitto con lui. Esiste una frase che sintetizza tale posizione. Il Papa Clemente VIII dopo averlo condannato al rogo a Campo dei Fiori dice ai veneziani che glielo avevano consegnato: "Io spero che voi non mi vogliate dare da rodere altre ossa di questo tipo"". Qual è la differenza tra la filosofia del passato e quella attuale? "La filosofia non è mai stata la stessa cosa. Una serie di discipline di volta in volta si sono chiamate così. La filosofia di Platone non è quella di Marsilio Ficino né quella di Locke. Nel Rinascimento una parte costitutiva era rappresentata dall'astrologia e dal ragionamento sugli astri. è insomma un termine con cui si sono definite cose molto diverse che hanno avuto in comune qualcosa: l'interrogazione sul senso della vita. Noi oggi abbiamo invece vari modelli di filosofia che vanno dalla filosofia della scienza, del linguaggio, al senso del discorso. Una pluralità di campi, ma io penso che nei confronti del passato non bisogna avere un atteggiamento di chiusura, nel senso che il passato contiene una serie di domande mai soddisfatte e si chiama "il passato che non è ancora diventato futuro". Domande di liberazione, di costruzione di elementi di liberazione che si sono persi e che è fondamentale recuperare". Lei che è un convinto assertore del Partito democratico, che cosa si aspetta, prima che in termini pratici, riguardo all'aspetto teorico. Col linguaggio di un tempo diremmo: che si attende dalla sua ideologia?". "Questo è per ora il limite del partito che sta per nascere: non avere definito un proprio assetto di valori, di non avere detto fino in fondo e con precisione che cosa significano libertà, uguaglianza, merito individuale. Torniamo insomma alla necessità di un rapporto proficuo tra politica e cultura. Se tale rapporto non esiste, qualsiasi partito rischia di rimanere chiuso all'interno dell'autoreferenzialità politica".

 


 

L’Unità 13-5-2007 Iraq, sul petrolio la lunga mano della corruzione Inchiesta americana: ogni giorno spariscono 300mila barili.

 

Nel Paese uccisi 5 soldati Usa e tre rapiti di Roberto Rezzo / New York Mercato nero, furti e corruzione sono la spiegazione più probabile per gli ammanchi che saltano fuori dalla contabilità petrolifera irachena. Si tratta di miliardi di dollari, una cifra al confronto della quale anche lo scandalo oil-for-food è roba di spiccioli. Un rapporto del General Accounting Office (Gao), l'equivalente della Corte dei Conti in Italia, rivela che negli ultimi quattro anni in Iraq sono spariti dai 100mila ai 300mila barili di greggio al giorno. In totale, secondo le stime più prudenti, qualcosa come 250 milioni di barili; a 50 dollari l'uno, prezzo di mercato, fanno oltre una dozzina di miliardi di dollari. Ne fornisce anticipazione il New York Times mentre da Baghdad arriva notizia che sette soldati americani e un interprete iracheno sono caduti in un'imboscata all'alba di ieri nei pressi della cittadina di Mahmoudiya, a una ventina di chilometri dalla capitale, una zona controllata dai ribelli sunniti che fa parte del cosiddetto Triangolo della morte. Il generale William Caldwell, portavoce del comando Usa in Iraq, ha fatto sapere che una pattuglia di ricognitori ha trovato sul posto cinque cadaveri, mentre altri tre soldati sono al momento scomparsi. Immediatamente sono scattate le ricerche con mezzi terrestri e dell'aviazione. Lo scorso anno due militari americani erano stati sequestrati a un posto di blocco a Yusufiya; furono trovati cadaveri tre giorni dopo. "Stiamo facendo progressi", aveva ribadito ancora la scorsa settimana George W. Bush, sulle barricate per respingere ogni tentativo del Congresso d'imporre una data per la fine della guerra. Se - a parte i morti - il gettito petrolifero è un valido criterio di misura, la situazione è tragica. Non solo il volume delle estrazioni rimane ben al di sotto dell'obbiettivo di tre milioni di barili giornalieri indicati dall'amministrazione americana, ma in gran parte finisce nelle mani dei ribelli sunniti o delle milizie sciite. "Stiamo parlando di una quantità di greggio enorme - commenta Philip Verleger, un economista specializzato nel settore - Ma considerato tutto quello che succede in Iraq non è una sorpresa". In linea di massima è anche possibile calcolare come venga spartita la torta: i sunniti rubano prodotto finito dalle raffinerie del Nord; le milizie sciite che controllano il Sud trafficano invece col greggio, che viene indirizzato per la lavorazione a raffinerie non controllate dalle multinazionali occidentali, ovvero verso la cina e l'Europa dell'Est. Il documento del Gao contiene anche una complessiva valutazione di come sono stati spesi i soldi per la ricostruzione, il cui impiego ha visto come obiettivi prioritari l'ammodernamento degli impianti di estrazione e distribuzione petrolifera e della disastrata rete elettrica irachena. Per queste due voci i contribuenti americani hanno pagato 5,1 miliardi di dollari, altri 3,8 miliardi quelli iracheni. A fronte di cotanti investimenti a Baghdad l'elettricità c'è in media per cinque ore al giorno, per poco più di nove nel resto del Paese. I paragoni son sempre odiosi, ma secondo i dati ai tempi di Saddam la capacità complessiva della rete elettrica irachena era di 4,3 megawatt, quella attuale è di 3,8.

 


 

Il Giornale di Vicenza 13-5-2007 Dal "Times" al Vietnam la base Usa fa discutere di Gian Maria Maselli

 

Dal Molin Un convegno, "Vicenza, da città Unesco a città militarizzata". Per divulgare tre opinioni molto nette: "Primo: ospitare basi militari per una città è un costo, non un guadagno. Secondo: una volta che una città diventa a vocazione militare, non si torna più indietro. Come a Vicenza, che anziché smilitarizzarsi, sta per tornare ad essere un centro nevralgico della strategia militare americana.Terzo: in Italia, a differenza che negli Usa, non c'è trasparenza su cosa succede quando viene costruita una base militare americana". Ieri pomeriggio al teatro dei Carmini per argomentare e sostenere questi tesi sono piovuti esperti un po' da tutte le parti. Da Boston il pacifista americano Michael Uhl, veterano del Vietnam dove con il grado di tenente comandava un team di spionaggio militare. Da Cagliari il giornalista d'inchiesta Marco Mostallino. Da Roma Richard Owen, corrispondente italiano del Times, quotidiano inglese che on line conta 6 milioni di lettori e in cartaceo 700mila. Dalla Germania il parlamentare Wolfgang Greke e da Trieste Andrea Licata, del centro studi per la pace. I primi tre hanno proposto le testimonianze più significative. Mostallino: "Per le basi Usa su suolo americano Pentagono e ministero della Difesa pubblicano su internet pile di documenti relativi all'impatto ambientale. Analisi dell'acqua, dell'aria, delle falde acquifere, dello stato di salute della popolazione delle città che ospitano le basi. In Italia invece le nostre autorità fingono di cascare dalle nuvole. Eppure in ogni base Usa in Italia c'è un comandante italiano, e non si muove foglia senza che lui ne sia informato". Mostallino ha poi raccontato la storia della base di sottomarini nucleari americani della Maddalena. "L'Isola di Santo Stefano nel 1972 venne espropriata al proprietario, Pasqualino Serra. Un democristiano che poi nel 1996 divenne sindaco della Maddalena. Una volta sindaco, commissionò ai suoi tecnici uno studio: la base navale Usa è un affare? Scoprì che a fronte di 300 lavoratori italiani occupati e di 6 milioni di euro l'anno di giro d'affari, ogni anno si determinava un buco di bilancio di 900mila euro. Colpa delle spese per rete fognaria, allacciamenti elettrici, fabbisogno energetico, smaltimento rifiuti eccetera. Da quando esiste, la base Usa è costata alla comunità della Maddalena 23 milioni di euro, e come tutte le basi ha inquinato la zona con solventi, lubrificanti, carburanti e scorie di vario genere". "Nel 2008 gli americani se ne andranno, ma solo perché hanno deciso di trasferire tutto a Napoli. Intanto la marina italiana ha chiesto il rinnovo della servitù militare fino al 2012. Altro che riconversione: una volta che diventi città militarizzata rischi di restarlo per sempre". Mostallino ha concluso ricordando che "i poliziotti militari Usa hanno lo status di ausiliari di giustizia, affiancano i nostri carabinieri e possono disporre perquisizioni personali a italiani che si muovono per i fatti loro nei paraggi della base". Questo invece ciò che ha detto Uhl: "In America i movimenti pacifisti, come il mio Veterani per la pace, sanno poco di cosa avviene con le basi Usa costruite fuori dai nostri confini. Vogliamo raccordarci maggiormente con i movimenti pacifisti internazionali per far aprire gli occhi all'opinione pubblica americana. Temo però che finchè essa non maturerà, cambieranno tante cose ma non la nostra politica in ambito Nato: democratici e repubblicani oggi come oggi su quel terreno sono uguali". Ma tra il sano realismo che ieri si respirava al teatro dei Carmini, è arrivata anche una dichiarazione d'amore. "Sto informando i lettori del Times su cosa sta accadendo alla città del Palladio - ha spiegato Owen -. Vicenza ha molti ammiratori tra i turisti e gli studiosi inglesi. Sanno che i vicentini non si stanno arrendendo nella difesa del loro gioiello Unesco, ricco di tante opere d'arte come il quadro del Bellini nella chiesa di Santa Corona. E guardate che il Times online ha un sacco di lettori anche negli Usa.".

 


 

 

Il Centro 13-5-2007 Armi, aumentano le esportazioni italiane Un incremento record: + 61,12% Di Andrea Palombi

 

Sono i livelli più alti da 15 anni Elicotteri, blindati aerei e missili: vendiamo di tutto... quasi a tutti

ROMA. Il "made in Italy" va, ma non è il vino né la moda a registrare la maggiore crescita nell'ultimo anno. C'è un settore delle esportazioni del Belpaese che nel 2006 ha messo a segno l'incremento record del più 61,12 per cento rispetto all'anno precedente. Si tratta del mercato internazionale delle armi di cui siamo ancora fra i primi produttori mondiali. In un settore coperto da una fitta coltre di segretezza, non ci si può che affidare alle cifre ufficiali. Ma anche stando alla relazione annuale sulle autorizzazioni alle esportazioni di armi, presentata da poco dal governo Prodi, non ci sono dubbi: nel primo anno di governo di centrosinistra il nostro export bellico ha avuto una straordinaria impennata che lo ha fatto schizzare ai livelli più alti degli ultimi 15 anni. Certo, in un "mercato" così delicato e fittamente intrecciato con politica e diplomazia, i contratti maturano in anni e gli effetti si vedono a distanza. Motivo per cui quest'anno si è registrata anche l'onda lunga di affari maturati sotto il governo Berlusconi. Prima fra tutti la maxi-commessa di 23 elicotteri della Agusta-Westland (Gruppo Finmeccanica) da parte della presidenza degli Stati Uniti. Come va anche considerato che è tutto il mercato internazionale delle armi che va a gonfie vele, con un aumento che non si registrava da 10 anni a questa parte. Primi fornitori come al solito gli Usa, mentre Francia e Russia si contendono la seconda piazza. A spingere la "domanda" sono sia le guerre in atto, sia il rischio terrorismo. Fatto sta che il terreno è particolarmente scivoloso per il centrosinistra che da sempre, almeno a parole, fa della riduzione degli armamenti un suo cavallo di battaglia. Nel 2006 sono state 1183 (erano state 1065 nel 2005) le autorizzazioni concesse dal governo alle esportazioni di armi. Il valore complessivo è stato di oltre 2 miliardi 192 milioni di euro, con un incremento di circa 832 milioni di euro sull'anno precedente. E a far la parte del leone, come avviene spesso, è il Gruppo Finmeccanica che controlla aziende come Alenia, Agusta-Westland, Oto Melara. Gruppo pubblico che conta oltre 56 mila dipendenti e che è uno dei principali produttori mondiali, ad esempio, nel campo degli elicotteri, dei sistemi missilistici, dei sistemi di puntamento elettronico. Nella relazione di Palazzo Chigi non si nasconde comunque una certa soddisfazione quando si sostiene che "l'industria italiana per la difesa ha di fatto consolidato e rilanciato la propria capacità produttiva nel campo delle esportazioni di materiale per la sicurezza e difesa". A chi vendiamo Il 63,68 per cento delle esportazioni di armamenti italiani è stata assorbita nel 2006 dai paesi Nato e Unione europea, fra cui, come s'è detto, la commessa principale è stata degli Stati Uniti. Ma anche per quanto riguarda i paesi destinatari il discorso è particolarmente delicato. Cinque autorizzazioni alle esportazioni, seppure per un importo complessivo di poco conto, circa un milione e 738 mila euro, sono state rilasciate verso la Cina, uno dei paesi verso cui vige ancora l'embargo stabilito dalla Ue. Anche se la relazione del Ministero degli Esteri assicura si tratta di materiali "del tutto compatibili con le vigenti limitazioni" (tubi elettronici per comunicazioni terrestri, ricambi per radio, antenne per navigazione aeroportuale). Ma i comboniani sospettano che Finmeccanica sia già in trattativa per concludere ben più corposti contratti appena si allenterà un po' l'embargo verso Pechino. Fra i nuovi clienti si registrano invece i paesi dell'Est ormai entrati nell'Unione europea come Polonia (armamento per veicoli blindati), Bulgaria e Lituania (aerei da trasporto). Ma al di là delle grandi cifre, piccole commesse, come indicato nella relazione del governo, sono state effettuate verso Arabia Saudita ("armi o sistemi d'arma di calibro superiore a 12,7 mm, apparecchiature per la direzione del tiro", ecc.), Bangladesh ("armi o sistemi d'arma di calibro superiore a 12,7 mm; munizioni, bombe, siluri, razzi, missili ed accessori; agenti tossici, chimici o biologici, gas lacrimogeni, materiali radioattivi"; ecc.), e poi ancora Kuwait, Libia, Malaysia, Nigeria, Pakistan, Qatar, Tunisia. Molte associazioni pacifiste, e in prima fila i missionari comboniani, contestano la fornitura di armi a paesi a rischio guerra. "Amnesty International" contesta invece la fornitura a paesi in cui la polizia usa ancora la tortura, come Tunisia, Tanzania o Russia. I primi acquirenti nel 2006 sono stati comunque gli Stati Uniti, grazie alla commessa di elicotteri italo-inglesi con cui, si dice, Bush ha voluto premiare i suoi due partner più fedeli nella guerra in Iraq. Al secondo posto gli Emirati Arabi Uniti ("elicotteri da trasporto pesante, elicotteri multiruolo non da attacco, apparati di comando e controllo di sistemi di artiglieria e cannoni navali") al terzo la Polonia e a seguire Regno Unito, Austria, Germania Bulgaria, Oman ("armi o sistemi d'arma di calibro superiore a 12,7 mm; aeromobili"), Lituania e Nigeria. Paese quest'ultimo verso cui i codici indicano forniture di "armi o sistemi d'arma di calibro superiore a 12,7 mm.; veicoli terrestri; aeoromobili", ecc. Ma nella relazione del ministero degli Esteri c'è una sorta di rassicurazione: non si tratterebbe di "forniture di nuove sistemi d'arma, ma della cessione di un G222 - velivolo da trasporto disarmato ormai fuori produzione e dismesso dalla nostra Aeronautica militare". Come a dire, ferraglia d'avanzo.


INDICE 12-5-2007

 

+ Europa 12-5-2007 Siamo noi cittadini la “terza piazza” dove stanno i diritti di singoli e famiglie FEDERICO ORLANDO RISPONDE  1

+ Il Sole 24 Ore 12-5-2007 Le due Rome, la famiglia e gli interrogativi per la politica. Stefano Folli 2

+ Wallstreetitalia.com 11-5-2007 GREENSPAN VEDE ANCORA PROBABILITA' DI RECESSIONE  3

L’Unità 12-5-2007 Multifamily Day Marco Travaglio  3

La Repubblica 11-5-2007 Lasciate che i fanciulli di VITTORIO ZUCCONI 4

L’Unità 12-5-2007 La marmellata Antonio Padellaro  5

La Repubblica 12-5-2007 Il senatore Salvi inaugura le tre stanze di Sd in via Melisurgo E accusa la Regione  5

Il Piccolo di Trieste 12-5-2007 le informazioni su oltre 500 imposte in vigore nei 27 Paesi dell'Ue Europa del Fisco senza segreti 6

Milano Finanza 12-5-2007 La governance dei miracoli UNICREDIT-CAPITALIA Il via libera dei grandi soci di Mediobanca all'introduzione del modello duale spiana la strada alle nozze Milano-Roma. 6

 


+ Europa 12-5-2007 Siamo noi cittadini la “terza piazza” dove stanno i diritti di singoli e famiglie FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, che bel 12 maggio. Il papa in Brasile, Ruini acquattato, Prodi a Stoccarda, Rutelli e D’Alema in bisticcio sul manifestare contro una legge votata in consiglio dei ministri, Casini e altri politicanti in imbarazzo su quale moglie portare a San Giovanni, Berlusconi incerto tra odor di tonache e odor di donna (Michela Brambilla, che fa incavolare Tremonti), radicali che miscugliano la celebrazione del divorzio con la legge dei Dico. Il solito paese di opportunisti. Io sono dell’Unione (c’è ancora?) ma ho nostalgia di politici come Sarkozy, con idee chiare e distinte.
ALDO CASALINUOVO, ROMA
 

Caro Casalinuovo, apprezzo le cartesiane “idee chiare e distinte”, ma non c’è bisogno di sperare in un Sarkozy. Ci basterebbe un liberaldemocratico vero come John F. Kennedy, di cui La Stampa ha pubblicato ieri il discorso, pronunciato in campagna elettorale nel 1960, sui rapporti fra chiesa e stato. Kennedy affrontò il sinedrio dei pastori protestanti che avevano sollevato il problema dell’indipendenza di un eventuale presidente cattolico dal papa di Roma e disse: «Io credo in un’America in cui la separazione di chiesa e stato sia assoluta e in cui nessun prelato cattolico possa insegnare al presidente (cattolico) quel che deve fare e nessun pastore protestante possa imporre ai suoi parrocchiani per chi votare; un’America in cui a nessuna chiesa o scuola di carattere confessionale siano concesse sovvenzioni tratte dal pubblico denaro… Io credo in un’America che ufficialmente non sia cattolica, né protestante, né ebraica… un’America in cui nessun organismo confessionale cerchi di imporre la propria volontà al popolo… un’America in cui prima o poi l’intolleranza religiosa sia destinata a sparire e in cui tutti gli individui e tutte le chiese siano trattati da uguali… in cui non si diano voti cattolici o protestanti…».
E via così, caro amico, per una pagina intera. Anche il nostro Giuliano Amato ha ripreso il tema in un’intervista, da cittadino adulto; mentre il premier Prodi, benché a Stoccarda, ci ha ricordato che «senza laicità della politica torniamo indietro di secoli». C’è poi chi, come Valerio Zanone, rammenta che ci sono due principi base della Costituzione, l’articolo 2 che garantisce la libertà degli individui «senza distinzioni» e l’articolo 29 che garantisce la famiglia «fondata sul matrimonio». Il leader liberale lamenta che a San Giovanni si difenderà solo il 29 rinnegando il 2 e che a piazza Navona si farà l’opposto, sicché manca una terza piazza per gente rispettosa egualmente della famiglia e degli individui. Ma, a parte che è Pezzotta ad aver qualificato San Giovanni per la famiglia e “contro i Dico”; mentre nessuno ha convocato piazza Navona per i Dico e contro la famiglia”. E perciò ci vado.
La terza piazza siamo noi cittadini che difendiamo tutta la Costituzione come Kennedy, e non solo la parte che piace alla “mia Ditta”, come la chiamava don Milani.


+ Il Sole 24 Ore 12-5-2007 Le due Rome, la famiglia e gli interrogativi per la politica. Stefano Folli

Solo stasera potremo trarre un bilancio di questo 12 maggio diviso tra la piazza cattolica e la piazza laica. Stasera capiremo se è stato compiuto un passo avanti o un passo indietro sulla via del dialogo e della tolleranza reciproca. Certo, bisogna convenire con Giuliano Amato: non sentiamo il bisogno di dividerci in Guelfi e Ghibellini. Ma tant'è.Scrive Claudia Mancina sul«Riformista »: «Simbolicamente sembra quasi che si separino due mondi: da una parte la famiglia, dall'altra i diritti delle persone. Da una parte la libertà della Chiesa di sostenere la sua visione etica, dall'altra la laicità.Ma questi due mondi possono davvero separarsi?». Qui è la domanda chiave. Può separarsi il mondo che difende la famiglia dalla società che difende i diritti di tutti? La laicità, ovvero l'autonomia della politica, è la garanzia che i due livelli non si separino, fusi entrambi in una cornice di garanzie generali. Dovrebbe essere sempre così, eppure il rischio di una frattura fra laici e cattolici esiste. Per evitarlo occorre molto buon senso. Gli organizzatori di Piazza San Giovanni parlano di un «clima gioioso». Di una «festa » di popolo.
Hanno ragione:è l'unico modo per dare alla giornata della famiglia il suo significato più naturale e meno politicamente scabroso. Non un raduno contro gli omosessuali e i loro diritti e in un certo senso nemmeno contro il governo Prodi. Non una rivincita della Chiesa contro la società secolarizzata. Certo, come ha detto il portavoce Pezzotta, la manifestazione è contro i cosiddetti Dico, contro gli pseudomatrimoni. E questo è il punto politico che apre un conflitto insanabile nel centrosinistra e in particolare in quello che sarà il Partito Democratico.
Allo stesso modo, Piazza Navona deve essere soprattutto un modo per ricordare il 12 maggio del '74, la grande vittoria nel referendum sul divorzio.Marco Pannella protagonista allora e oggi ancora sul palco. I valori dell'«orgoglio laico». Ma senza dubbio non può essere,e non sarà,un tentativo di chiudere la bocca alla Chiesa, di impedirle di esercitare i suoi diritti.
Si diceva dei nodi politici. Essi investono la natura del Partito Democratico. Dove è evidente che non esiste ancora una sintesi fra le posizioni laiche e quelle cattoliche. E se questa condizione si può accettare all'interno della coalizione (ad esempio la Bonino a Piazza Navona e Mastella a Piazza San Giovanni), essa diventa parecchio singolare quando si manifesta nello stesso partito (vedi la polemica fra Rutelli e D'Alema). Prova ne sia che per tamponare i danni i Ds hanno scelto il basso profilo e di fatto il silenzio. Il che può essere una scelta obbligata, ma non è mai una scelta felice.
In ogni caso, è possibile che stasera il bilancio sia positivo. Che abbia prevalso il carattere festoso delle due manifestazioni. Che i politici abbiano rinunciato a strumentalizzare Piazza San Giovanni (e questo è più difficile). Che l'Italia non si sia divisa in Guelfi e Ghibellini.
Comunque vada il governo avrà il dovere di ascoltare la voce della gente in piazza; anzi, nelle due piazze. Per un paio di buone ragioni. La prima è, appunto, che il mondo della famiglia non può separarsi dal mondo dei diritti:e spetta allapolitica evitarlo.La seconda è che le famiglie hanno bisogno di sostegno e di attenzione. Ma è una necessità che non nasce oggi. Sono anni che i governi, di qualsiasi colore, sono distratti al riguardo. Forse è giunto il momento di speculare meno e agire di più.

 


+ Wallstreetitalia.com 11-5-2007 GREENSPAN VEDE ANCORA PROBABILITA' DI RECESSIONE

L'ex presidente della Fede vede ancora una probabilitа su tre che ci sia una recessione quest'anno negli Stati Uniti.

11 Maggio 2007 http://www.wallstreetitalia.com/toolbox/dotclear.gif11:51 http://www.wallstreetitalia.com/toolbox/dotclear.gifNEW YORK http://www.wallstreetitalia.com/toolbox/dotclear.gif(WSI)

 

L'ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan vede ancora una probabilitа su tre che ci sia una recessione quest'anno negli Usa. Greenspan - parlando via satellite a un forum organizzato a Singapore, riportato dall'agenzia Bloomberg - ha cosм ripetuto quanto affermato all'inizio di marzo, quando aveva voluto 'correggere' una sua precedente affermazione secondo cui non era da escludere la possibilitа di recessione negli Stati Uniti alla fine del 2007. Parole che avevano contribuito a mettere in subbuglio i mercati azionari nel martedм nero delle borse dello scorso 27 febbraio. La tesi di Greenspan prende le mosse dalle preoccupazioni per l'indebolimento dei consumi e per la perdurante crisi del mercato immobiliare.

 


L’Unità 12-5-2007 Multifamily Day Marco Travaglio

 

Segue dalla Prima Quell'Europa che Buttiglione e Ferrara vedono infestata di massoni, mangiapreti, satanisti, e Tremaglia anche di culattoni. I paesi che non hanno avuto la fortuna di avere in casa la Dc, Berlusconi e il Vaticano, danno alle famiglie il 2,4% del Pil; noi l'1,1. Per aiutare i disoccupati a tirare avanti e a farsi una famiglia, l'Europa investe il 6% della spesa sociale: noi il 2. La Spagna di quel satanasso di Zapatero, il 12,5. In Italia i disoccupati che ricevono un sussidio sono il 17%: in Francia il 71, in Germania l'80, in Austria l'84, in Belgio il 92, in Olanda il 95, nel Regno Unito il 100%. Per i nostri giovani è anche peggio: sotto 25 anni, da noi, riceve il sussidio solo lo 0,65%; in Francia il 43, in Belgio il 51, in Danimarca il 53, nel Regno Unito il 57. Poi c'è la casa: solo lo 0,06% della spesa sociale italiana va in politiche abitative (la media Ue è il 2%, il Regno Unito è al 5,5). Quanto ai benefici alle madri, siamo al 19° posto al mondo. Sarà un caso, ma l'Italia ristagna da anni a crescita sottozero, mentre la Francia ha il record occidentale dei nuovi nati, con 2 figli per donna: la media europea è 1,5, la nostra 1,3. Nascono più figli dove esistono i Pacs e non si fanno i Family Day. Noi facciamo il Family Day, abbiamo paura persino dei Dico, e siamo il paese con meno bambini. Un trionfo. In compenso i nostri politici più affezionati ai sacri valori della famiglia ne hanno almeno un paio a testa. Silvio Berlusconi, che ha aderito a distanza all'iniziativa, ha avuto - come dice Benigni - "diverse mogli, di cui alcune sue": due, per la precisione. Ma oggi in piazza San Giovanni non ci sarà: lui il Family Day lo celebra tutti i week end a villa La Certosa, con almeno cinque attiviste di Forza Italia. Anche la Lega Nord ha dato la sua adesione. Infatti Bossi ha due mogli. Calderoli due mogli (la seconda sposata con rito celtico), più l'attuale compagna. Castelli, una moglie in chiesa e l'altra davanti al druido. Poi c'è l'Udc, che com'è noto vuol dire Unione Divorziati Cattolici: divorziato Casini, che ha avuto due figlie dalla prima moglie e ora vive con Azzurra; divorziato l'ex segretario Follini; divorziato il vicecapogruppo Giuseppe Drago, mentre la vicesegretaria Erminia Mazzoni sta con un divorziato; D'Onofrio ha avuto l'annullamento dalla Sacra Rota e non c'è più ricascato. Anche An è ferocissima contro i Dico. Fini ha sposato una divorziata. Poi ci sono i due capigruppo: alla Camera c'è Ignazio La Russa, avvocato divorzista, divorziato e convivente; al Senato Altero Matteoli, divorziato e risposato con l'ex assistente. Adolfo Urso è separato. Divorziati gli ex ministri Baldassarri (risposato) e Martinat (convivente). La Santanchè ha avuto le prime nozze annullate dalla Sacra Rota, ha convissuto a lungo, ma conserva il cognome del primo marito. Il meglio, come sempre, è Forza Italia. A parte Berlusconi, sono divorziati il capogruppo alla Camera Elio Vito e il vice-capogruppo Antonio Leone. L'altro vice, Paolo Romani, è già al secondo matrimonio: "E non è finita qui", dichiara a "Libero". Gaetano Pecorella ha alle spalle "una moglie e varie convivenze". Divorziato anche Adornato, che sfilerà al Family Day non si sa con quale famiglia."Libero" cita tra gl'"irregolari" persino Elisabetta Gardini, che ha un figlio e convive con un regista. Anche lei sarà in piazza San Giovanni, come Letizia Moratti e il marito Gianmarco, ovviamente divorziato. Poi c'è chi, come Francesco Rutelli, dopo tante battaglie anticlericali per il divorzio e l'aborto, vorrebbe tanto sfilare, ma "non posso perché purtroppo sono vicepremier". Si potrebbe scioglierlo dal vincolo, rendendolo deputato semplice: i classici due piccioni con una fava. Per evitare che qualche "irregolare" diserti il Family Day per imbarazzo, o per paura di beccarsi una scomunica, il Vaticano potrebbe concedere un'indulgenza plenaria almeno per la giornata di sabato, autorizzandoli a sfilare con tutte le rispettive famiglie, magari al di sotto del numero di tre. Basterebbe ribattezzare l'iniziativa "Multifamily Day". Uliwood party.

 


 

La Repubblica 11-5-2007 Lasciate che i fanciulli di VITTORIO ZUCCONI


ANDRO' anche io alla festa della famiglia, oggi, anzi al Family Day come lo chiama Buttiglione che infatti parla bene il tedesco. Alla festa della mia famiglia, qui a Washington. Andrò a mettere a dormire quella di dieci mesi, Anna, che gattona per tutta la casa, si incastra sotto tutti i mobili e poi pretende di mettersi seduta prendendo capocciate tremende e quello di tre anni, Devin, che vorrebbe leggersi da solo i libri di storielle e poi s'incazza come un flipper quando si accorge di non saper leggere.

Mia moglie e io siamo di corvèe , comandati come baby sitter, lettori di storielle, spalmatori di crema sui sederini arrossati, provveditori di mangimi che naturalmente la nonna italiana trova abominevoli, al posto dei genitori che vogliono andare al cinema. Andrò a festeggiare e celebrare la famiglia nella sola maniera che io conosca e che consideri decente e umana, che è quella di prendersi cura con amore, pazienza (e qualche occasionale imprecazione) di chi ha scelto di vivere con te e di chi non lo ha scelto, ma si trova a vivere con te egualmente, come i figli o i nipoti.

Ma per niente al mondo, danari, onori, inquadrature in televisione, applausi, benedizioni di presbiteri od orazioni di presuntuosi, la porterei su una piazza. Perché non c'è nulla di più triste e osceno che adoperare i bambini come props, si dice al cinema, come attrezzi, mobilia, scene, comparse, effetti speciali per servire gli interessi e i rancori politici degli adulti. Se noi grandi, relativamente parlando, abbiamo un osso da rosicchiare con altri grandi, vediamocela tra noi, da adulti.

Utilizziamo gli strumenti che noi adulti possediamo, media, internet, voti, pulpiti, congressi, associazioni, marce, campagne di lettere, manifesti. Ma portare in processione, come pupazzi, come amuleti, come bandiere di un club di calcio, bambini che non sanno, che non possono sapere (chi lo spiegherà, e come, a un bambini di 4 anni, che cosa sia un Dico, che cosa sia un omosessuale?) che al massimo ripetono le giaculatorie che hanno sentito dire in casa, adoperarli come teneri randelli da pestare in testa a coloro che non ne hanno, che non ne vogliono, che non ne hanno potuti avere, che li hanno perduti o che li hanno avuti in maniera "non naturale", come se ai figli facesse alcuna differenza, è una prepotenza che rasenta l'abuso.

E' sfruttamento politico ideologico, non molto diverso dai bambini tedeschi, italiani o russi o irakeni vestiti con i costumini del regime di turno a gridare Du-ce Du-ce o Lunga vita all'amato Rais. Una scena squallida, come quei poveri bambinetti trascinati in campo da giocatori di calcio per mettersi la coscienza a posto e predicare il volesemo bene, a tifosi che non vedono l'ora di prendersi a sprangate in testa, di insolentire i tifosi avversari e di caricare "gli sbirri".

Se ho bisogno di andare su una piazza con il bambino in collo e quello più grandicello a rimorchio che dopo un po' comincerà a non poterne più, per dimostrare quanto ami la famiglia, quanto io sia buono e quanto odi coloro che non ce l'hanno o l'hanno formata in altre maniere, dimostro di non credere poi tanto alla famiglia, di avere bisogno di una conferma esteriore ed estetizzante della mia incerta dedizione, di voler esibire quello che per dovrebbe essere naturale e indiscutibile, il fatto che sono fedele a mia moglie (vero?) e fedele all'impegno che mi sono preso mettendo al mondo bambini.

Il "Family Day", come si dice in Italia, non è un biglietto Trenitalia con lo sconto del 20% o una pullmanata al seguito del buon parroco o del segretario provinciale del partito, un giorno di maggio. Il giorno della famiglia è oggi, domani, dopodomani, perché ogni day è un family day, per chi ce l'ha e per chi l'ha costruita sul solo materiale che serve, e che non conosce sesso o età, ed è l'amore. L'esibizionismo della piazza è l'esatto contrario della tenerezza, della intimità, che la famiglia dovrebbe rappresentare.

Parlate male di chi volete. Negate le leggi che volete negare. Chiedete ciò che volete, dalla piazza, perché è vostro pieno diritto farlo, come è mio diritto non ascoltare chi predica l'esclusione, e non l'inclusione, ma abbiate pudore degli innocenti. Non diamo scandalo, come diceva Quello. Lasciate che i fanciulli stiano a casa.

(11 maggio 2007)

 

 


L’Unità 12-5-2007 La marmellata Antonio Padellaro

 

Segue dalla Prima. Gli risponde il sindaco di Roma che la legalità è un diritto di tutti e non ha, quindi, colore politico. Segue ampio dibattito con il contorno di presunte amare verità del tipo: dobbiamo avere il coraggio di dire che non è più di destra ammettere che la criminalità e il disordine sociale vanno combattuti. Insomma: lo slogan Legge e Ordine non è più bestemmia. Fermiamoci a riprendere fiato. Qualche tempo fa in uno sketch televisivo memorabile il comico Antonio Albanese era un intellettuale di sinistra che con l'aiuto di uno psicologo di sostegno cercava di recuperare la memoria politica perduta in un eccesso, pensiamo, di modernità. Cerchiamo, allora anche noi di ricordarci qualcosa. Primo. La difesa della legalità è stata sempre un cavallo di battaglia della sinistra a fronte della destra (di Berlusconi) più antilegalitaria che si conosca. Come ha scritto su queste pagine Marco Travaglio chi in questi anni ha osato parlare di legalità, grazie all'ospitalità di qualche giornale temerario è stato regolarmente massacrato come forcaiolo e giustizialista dagli stessi che ora invocano Legge e Ordine perché l'ha detto Sarkò. Secondo. Il razzismo è stupidità. Non si è razzisti se si reagisce davanti alla maleducazione o agli insulti o alla violenza di una tale che è slava, tunisina o filippina ma potrebbe benissimo essere nata anche a Roma. Si è però stupidi (e non necessariamente di destra) se non si capisce che il problema, per esempio, di quei rom dediti al teppismo non si risolve deportandoli in qualche isola lontana dai nostri appartamenti. Ma, come ha spiegato Veltroni, agendo con gli strumenti della politica. Quella che da una parte introduce condizioni di vita migliori, scolarizzazione e inserimento lavorativo (solidarietà, se si può ancora dire). E che dall'altra pretende fermezza e assoluta severità per chi di queste regole non si cura e queste regole infrange. Certo che è una strada molto più complicata da seguire. Ma è la differenza che passa tra civiltà e barbarie. Terzo. Stupisce non poco che chi lavora a questa sorta di marmellata in cui tutto si confonde non si sia accorto delle cose laiche e di sinistra dette da Sarkozy. E non le abbia rivendicate come tali. Per esempio, la difesa dei pacs anche tra coppie omosessuali del nuovo presidente francese che mai si sognerebbe di andare in piazza a manifestare con le gerarchie vaticane. O il monito lanciato all'alleato Usa sulla questione del clima e delle misure non più rinviabili per evitare una catastrofe planetaria. La sinistra dunque ha ancora molte cose da dire. Così come il centro alleato della sinistra quando sostiene il provvedimento di legge sulla cittadinanza. O si impegna sui Dico. O fornisce il suo contributo sui temi legati alle sofferenze dei malati e all'accanimento terapeutico. Il problema nasce quando il centrosinistra perde la voce. O si perde in sottigliezze. O si mostra vittima di una sorta di orientamento perduto. Senza più coordinate e memoria orgogliosa per i propri valori. Non sarà (anche) questo il motivo di quel calo dei consensi segnalati dai sondaggi? E delle arrabbiature per le leggi sbagliate e ingiuste fatte da chi abbiamo votato? apadellaro@unita.it

 


 

La Repubblica 12-5-2007 Il senatore Salvi inaugura le tre stanze di Sd in via Melisurgo E accusa la Regione

 

I PROTAGONISTI Sinistra democratica si presenta sede gremita, attacco a Bassolino Prima sezione in Italia, alle pareti foto di De Martino e Berlinguer. Gli ex diessini "Ecco il nostro pantheon" ANGELO CAROTENUTO Un senatore e due deputati, un sindaco e un assessore, tre consiglieri locali e tre stanze piene di gente al quinto piano di un palazzo in pieno centro. Le foto alle pareti di Enrico Berlinguer e Francesco De Martino. "Eccolo, il nostro pantheon". è così che nasce Sinistra democratica, lo strappo dei diessini che divergono dal cammino in corso della Quercia verso il Pd. "Mentre al nord discutono e si arrovellano, voi siete già partiti. Noi da Roma non la dobbiamo deludere, questa spinta che arriva da Napoli", s'infiamma con voce stentorea Cesare Salvi, il senatore che lungo la strada di un tour elettorale pre-amministrative (ieri a Torre del Greco), passa in via Melisurgo per aprire le porte della sezione del movimento. La prima in tutta Italia. S'infiamma così tanto, Salvi, che dimentica di avere tuttora per alleati due dei suoi obiettivi, Padoa-Schioppa e Bassolino. Al ministro: "Ma come si permette di dire che sulle pensioni si fa come dice lui?". Al governatore: "Ho sentito parlare di una sua grande vittoria. Pensavo fosse la soluzione per i rifiuti. Pensavo fosse un piano per la disoccupazione. Invece ho scoperto che si trattava del ricorso alla Corte costituzionale per farsi restituire l'importo dei tagli della Finanziaria agli esponenti degli enti locali. Per quattro soldi che gli avevano tolto". Un furore esibito per un centinaio di militanti ("la sede è già piccola"), e per i "generali" dell'esercito dei mussiani: il portavoce regionale Barra, Villone, Scotto, Aurisicchio, Vozza, Oddati, Giusto, Santangelo, Parisi, Coppeto, Porta. Parole impetuose che a Nicola Oddati preme levigare. "Mettiamo da parte le punte polemiche. Siamo stati per anni nello stesso partito. Bassolino è un alleato - dice l'assessore comunale alla Cultura - con lui bisogna governare. Lavoriamo per unire la sinistra e per riformare la politica italiana: non sarebbe significativo farlo da soli". Del resto, la Federazione regionale dei Ds è lì per portare un saluto con Ciro Iacovelli (dipartimento organizzazione). "Non bisogna sostituire persone con altre persone. è il modo di fare politica che va cambiato. Proviamo a rispondere a quell'esigenza di svolta presente in chi è stufo dei cambiamenti che abbiamo promesso", così Francesco Barra. Mentre Michele Giardiello, due volte deputato, promette "diecimila adesioni al movimento entro fine anno". L'11 giugno a Napoli torna Mussi. La Calabria ospita entro l'estate una manifestazione sul tema del Sud, e a settembre ancora Napoli sarà sede di un'iniziativa a carattere nazionale su lavoro e legalità. Nel frattempo si vota per i sindaci. "Mobilitatevi con entusiasmo per i nostri candidati alle amministrative. è un primo test significativo". Un test senza una lista propria, da ospiti, e non sempre dei Ds.

 


 

Il Piccolo di Trieste 12-5-2007 le informazioni su oltre 500 imposte in vigore nei 27 Paesi dell'Ue Europa del Fisco senza segreti

 

BRUXELLES L'Europa del fisco non ha più segreti. Tutte le informazioni possibili su oltre 500 imposte in vigore nei 27 Paesi dell'Unione europea saranno d'ora in poi reperibili su internet grazie a un'iniziativa della Commissione Ue in collaborazione con i ministeri delle Finanze dei vari Stati membri. Cittadini e imprese potranno così collegarsi gratuitamente al database ed avere informazioni su tutte le principali tasse esistenti in Europa, dalla base imponibile, alle detrazioni alle varie aliquote applicabili. Sarà possibile anche avere informazioni sul gettito generato da ogni singola imposta e sulle principali forme di contribuzione e oneri sociali. "Questo strumento - spiega il commissario Ue alla fiscalità, Laszlo Kovacs - dà ai cittadini, alle imprese, ai professionisti del settore fiscale, ai ricercatori e alla stampa accesso diretto a informazioni che finora sono stati disponibili poco alla volta. Inoltre - prosegue il commissario - è uno strumento che promuove la trasparenza permettendo di comparare sistemi fiscali tra Paese e Paese dell'Unione europea". Intanto il viceministro dell'Economia e Finanze Vincenzo Visco verrà ascoltato martedì 15 maggio alle 14,30 dalla Commissione Finanze del Senato per l'atto di indirizzo riguardante gli sviluppi di politica fiscale, le linee generali e gli obiettivi della gestione tributaria, le grandezze finanziarie e le altre condizioni nelle quali si sviluppa l'attività delle agenzie fiscali per il periodo 2007-2009. E il gettito tributario dei primi 3 mesi del 2007 è stato di 78,7 miliardi di euro, cioè del 6% in più rispetto al periodo gennaio-marzo del 2006. Sono questi gli ultimi dati delle entrate fiscali calcolati secondo il criterio della cassa della Banca d'Italia, nel supplemento 'Finanza Pubblicà del Bollettino Statistico. Nel solo mese di marzo il gettito di cassa è stato pari a 25,3 miliardi di euro, in linea con i 25,4 miliardi dello stesso mese del 2006.

 


 

Milano Finanza 12-5-2007 La governance dei miracoli UNICREDIT-CAPITALIA Il via libera dei grandi soci di Mediobanca all'introduzione del modello duale spiana la strada alle nozze Milano-Roma.

 

Il doppio board garantirà l'indipendenza di Piazzetta Cuccia e darà un nuovo ruolo a Geronzi. Lo tsunami finanziario che potrebbe essere scatenato dalla fusione UniCredit-Capitalia non sembra più preoccupare come qualche tempo fa. L'accelerazione impressa dai soci di Mediobanca sull'adozione del sistema di governance duale, che potrebbe essere varato già con l'assemblea straordinaria di giugno, ha infatti rassicurato molti sul fatto che l'unione tra le due ex Bin non attenterà all'indipendenza di Piazzetta Cuccia e delle sue principali controllate: Generali e Rcs. Due realtà dove forti sono anche gli interessi del mondo che ruota attorno a Intesa Sanpaolo, non solo perché le Generali sono uno dei principali azionisti della superbanca, ma anche perché Ca' de Sass è tuttora uno degli azionisti forti della società editrice del Corriere della Sera. Il merger tra UniCredit e Capitalia, infatti, avrebbe ripercussioni non solo nel mercato domestico del credito, dove il nuovo istituto raggiungerebbe una dimensione analoga (in termini di sportelli) a quella della stessa Intesa Sanpaolo, ma soprattutto sugli equilibri del sistema finanziario nel suo complesso. UniCredit-Capitalia diventerebbe infatti il primo azionista di Mediobanca con circa il 18% del capitale e di conseguenza avrebbe un'influenza notevole anche sulle due principali partecipazioni di Piazzetta Cuccia. Al 14,1% del Leone in portafoglio a Mediobanca si aggiungerebbe infatti una quota del 6,36% derivante dall'unione delle attuali partecipazioni detenute nelle due banche. Lo stesso dicasi per Rcs, dove al 13,2% di Mediobanca si sommerebbe il 2,2% attualmente in portafoglio a Capitalia e il 3,5% delle stesse Generali. Insomma, se Alessandro Profumo e Cesare Geronzi dovessero, come ormai sembra, raggiungere un'intesa, l'istituto che nascerebbe diverrebbe il centro della più grande concentrazione di potere che si ricordi dai tempi dell'asse tra Enrico Cuccia e Giovanni Agnelli. E proprio per questo motivo fino a poco tempo fa, erano in molti a ritenere che l'operazione tra piazza Cordusio e via Minghetti non si sarebbe mai potuta fare.La svolta è arrivata invece nella giornata di venerdì 11 maggio quando i grandi soci di Piazzetta Cuccia, a cominciare proprio da UniCredit e Capitalia, in una riunione informale del direttivo del patto di sindacato hanno dato un via libera sostanziale all'adozione della governance duale pura per Mediobanca. Un sistema pensato per rendere più netta la separazione tra il ruolo degli azionisti e quello del management e in grado, proprio per questo, di garantire maggiormente l'indipendenza della merchant bank, tanto cara agli azionisti francesi riuniti attorno a Vincent Bolloré.In questo senso vanno dunque lette le dichiarazioni del direttore generale di Mediobanca, Alberto Nagel, e quelle del presidente del patto di sindacato, Piergaetano Marchetti. 'Non siamo spaventati per quello che potrebbe accadere', ha detto Nagel interpellato sulle ricadute del merger UniCredit-Capitalia sul futuro di Mediobanca. 'La governance che potremmo adottare nel futuro', ha aggiunto, 'ci darà la libertà di cui abbiamo bisogno per valutare quello che è nel migliore interesse dei nostri azionisti'. Un'opinione condivisa dallo stesso Marchetti. 'Non vedo problemi' per Mediobanca, ha detto il presidente del patto. Più cauto invece è stato Bolloré, da tempo schierato per l'indipendenza di Capitalia e a cascata di Mediobanca e Generali. 'Siamo molto vigili sull'avvenire di Capitalia', ha spiegato Bolloré, 'siamo per l'indipendenza della banca romana e per il rispetto degli equilibri in Mediobanca'.Equilibri che però dovrebbero restare sostanzialmente immutati, considerato che sia Profumo sia Geronzi sono consapevoli della delicatezza della partita che si sta giocando. Non per niente nel faccia a faccia tra i due banchieri, avvenuto proprio prima della riunione del cda di Mediobanca di venerdì 11 maggio, si è parlato, come svelato dallo stesso Profumo, proprio della futura governance di Piazzetta Cuccia.L'adozione del modello dualistico, oltre ad avere l'effetto di attutire l'impatto della fusione UniCredit-Capitalia sul sistema Mediobanca-Generali-Rcs, avrebbe anche un'altra importante conseguenza positiva per le nozze Milano-Roma: quella di spianare la strada a Geronzi verso la presidenza del consiglio di sorveglianza della merchant bank milanese.Le condizioni per un matrimonio in tempi brevi, dunque, sembrano esserci tutte. Ma Profumo, che non ha mai nascosto l'ambizione a crescere più in Europa che in Italia, è pronto a dire sì all'unione con via Minghetti? Negli ambienti finanziari c'è chi è pronto a scommetterci. 'Lo stop imposto alle ambizioni francesi di UniCredit e il gradimento del governo e della Banca d'Italia per una soluzione nazionale al destino di Capitalia, ha reso ineluttabile l'operazione', spiega un banchiere d'affari da sempre vicino alle cose dell'istituto romano. 'Ne è una garanzia il fatto che un uomo con la storia e i legami di Claudio Costamagna sia stato scelto da Geronzi per condurre in porto l'operazione'. All'ex banchiere di Goldman Sachs, vicino sia al presidente del consiglio, Romano Prodi, sia al governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, spetterà dunque il compito di condurre le danze per quest'ultimo giro di risiko. (riproduzione riservata) Milano Finanza Numero 094, pag. 13 del 12/5/2007 Autore: Andrea Di Biase.

 


INDICE 11-5-2007

 

++ Il Sole 24 Ore La Tfa nomina l'olandese van den Berg, Buenos Aires sceglie l'egiziano Abi Saab Tango bond, avanza l'arbitrato GRAZIA NERI 1

+ La Repubblica 11-5-2007 Rai, il Tesoro sfiducia il proprio consigliere Prodi: "Nel prossimo Cdm il Ddl riforma" 2

Il ministro dell'Economia Padoa-Schioppa ha scritto al premier una lettera. nella quale mette in evidenza "lo stato di stallo nel quale si trova l'azienda televisiva" 2

L'Usigrai annuncia una giornata di sciopero "se rimarranno immutate le attuali condizioni" La Cdl: "Un tentativo inaccettabile contro il consiglio". Un golpe del governo". Gasparri: "Un atto banditesco" 2

+ Il Mattino 11-5-2007 Ecco il Nord che chiede gli aiuti In Lombardia ci sarà lo stop ai fondi statali nel 2008 In Veneto e Liguria si arriverà al 2013 MARCO ESPOSITO  3

+ Italia Oggi 11-5-2007 Il Caso La Bonino Ai Governatori: Troppe Multe Salatissime Per Le Sentenze Ue di Giampiero Di Santo  4

+ Il Corriere della Sera 11-5-2007 LA SENTENZA "Sme, Squillante fu pagato Ma non ci fu corruzione" Luigi Ferrarella  4

Il Giornale 11-5-2007 Banche boom nel 2006: utili a 22 miliardi di Angelo Allegri – 5

La Stampa 11-5-2007  IL CANDIDATO DEMOCRATICO NEL MIRINO DI UN COMICO CONSERVATORE DEL SUD.Canzone razzista contro Obama  In "Barack il Magic Negro" diventa un nero a misura di bianco. Maurizio Molinari 6

La Stampa 10-5-2007 Sanità, il governo ottiene la fiducia Con 298 sì e 150 no la Camera ha votato la fiducia al governo sul decreto per il ripiano del deficit 7

Europa 11-5-2007 La famiglia fondata sul matrimonio non ha impedito divorzio e laicizzazione  FEDERICO ORLANDO RISPONDE  8

Il Riformista 11-5-2007 Per me il 12 maggio è un errore diviso su due piazze  8

Il Giornale 11-5-2007 Corruzione a Perugia, sospetti su altre 6 toghe  di Gianluigi Nuzzi – 9

Italia Oggi 11-5-2007 E con un gioco di prestigio il patrimonio del Ppi finisce in un pollaio La vecchia Dc prima ancora di perdere pezzi, cominciava a perdere soprattutto mattoni 10

La Nuova Venezia 11-5-2007 Vertice europeo sulla sicurezza a Venezia Terrorismo, droga e immigrazione all'attenzione degli interni del G6 ROBERTA DE ROSSI 11

Italia Oggi 11-5-2007 Nuovo scontro dopo la decisione al senato. Moratoria sull'acqua, possibile stralcio dal ddl Bersani. Servizi locali, riforma paralizzante Prc non vota sul ddl Lanzillotta  11

Il Corriere della Sera 10-5-2007 Una ricerca globale dell’agenzia pubblicitaria BBDO mette in luce i cinque rituali giornalieri compiuti in tutto il mondo. L’obiettivo è aiutare le aziende a insediarsi nell’intimità dei consumatori. I riti quotidiani transnazionali. Carola Frediani 12

 


 

++ Il Sole 24 Ore La Tfa nomina l'olandese van den Berg, Buenos Aires sceglie l'egiziano Abi Saab Tango bond, avanza l'arbitrato GRAZIA NERI

 

A giugno saranno presentate le memorie, poi via al procedimento Isabella Bufacchi ROMA Un avvocato olandese esperto di arbitrati internazionali designato dagli italiani, un egiziano exgiudice e professore di diritto prescelto dagli argentini: ecco le nomine fresche di firma dei due arbitri del tribunale internazionale presso la Banca Mondiale "Icsid" che dovrà esaminare il ricorso presentato da 195mila investitori italiani detentori di vecchi Tango bond che intendono recuperare almeno 4,4 miliardi di dollari prestati allo Stato argentino. Il terzo e ultimo arbitro Icsid dovrà essere nominato in 30 giorni, entro i primi di giugno. Ultimata la formazione del Tribunale a Washington, in giugno avrà inizio l'arbitrato: le due controparti depositeranno le memorie, poi scatterà un lungo procedimento con udienze, testimonianze, ricorsi ad esperti e consulenti. Infine il lodo. La notizia della nomina dell'avvocato olandese Albert Jan van den Berg è stata comunicata ieri dalla Task Force Argentina (Tfa), l'associazione finanziata dalle banche italiane con il compito di tutelare gli interessi degli obbligazionisti colpiti dal default dell'Argentina. La Tfa, che agisce per procura,ha avallato la scelta dell'arbitro effettuata dai tre studi legali (White & Case, Grimaldi & associati e Perez Alati, Grondona Benites, Arntsen & Martinez de Hoz Jr) che si occupano del ricorso Icsid. Van den Berg, fondatore di un noto studio legaleboutique in Belgio con il partner Hanotiau, ha ricevuto nel 2006 il premio della rivista "Whoswholegal" per il miglior avvocato su scala mondiale specializzato in arbitrati. Anche l'Argentina ha attinto il suo arbitro da una rosa di avvocati di fama internazionale: l'egiziano George Abi Saab è professore onorario di diritto presso l'Istituto superiore di studi internazionali di Ginevra ma è stato anche giudice della Corte di Giustizia internazionale e del Tribunale delle Nazioni Unite. I tempi dell'arbitrato Icsid sono notoriamente lunghi e gli investitori italiani aderenti al ricorso presso la Banca mondiale potrebbero dover attendere anni prima di conoscere l'esito del lodo. Un accordo extragiudiziale tra i bondholder e l'Argentina è l'unico modo per ridurre i tempi: una strada che lo Stato argentino sta già percorrendo nei ricorsi Icsidavviati da imprese internazionali operanti nel settore idrico, dell'energia, delle comunicazioni in Argentina. Nel frattempo, Nicola Stock, presidente della Tfa, continua a perorare in tuttele sedi possibili la causa degli obbligazionisti italiani che non hanno partecipato allo swap di ristrutturazione del debito argentino. Il 23 maggio prossimo Stock parteciperà alla riunione annuale del Paris Club che attende il rimborso di 5,3 miliardi di dollari dall'Argentina mentre Buenos Aires che ha accumulato 40 miliardi di dollari di riserve ha rimborsato anticipatamente 10 miliardi al Fmi e ha saldato il conto da 1 miliardo con la Spagna. isabella.bufacchi@ilsole24ore.com I TEMPI Il dibattimento sarà lungo e gli investitori italiani potrebbero attendere anni prima di conoscere l'esito finale del lodo

 


+ La Repubblica 11-5-2007 Rai, il Tesoro sfiducia il proprio consigliere Prodi: "Nel prossimo Cdm il Ddl riforma"

Il ministro dell'Economia Padoa-Schioppa ha scritto al premier una lettera. nella quale mette in evidenza "lo stato di stallo nel quale si trova l'azienda televisiva"

L'Usigrai annuncia una giornata di sciopero "se rimarranno immutate le attuali condizioni"
La Cdl: "Un tentativo inaccettabile contro il consiglio". Un golpe del governo". Gasparri: "Un atto banditesco"

 

ROMA - Il ministro dell'Economia ha comunicato alla Rai che "si è interrotto il rapporto di fiducia con il proprio rappresentante" nel Cda, ed ha chiesto all'Azienda di viale Mazzini di convocare l'Assemblea. Lo ha detto il ministro per le comunicazioni Paolo Gentiloni alla conferenza stampa a fine Consiglio ministri.
L'analoga notizia è stata comunicata anche dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Enrico Letta nel corso di una conferenza stampa al termine del Consiglio dei Ministri. "Il presidente del Consiglio ha informato nel corso della riunione di aver ricevuto una lettera dal ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa in cui mette in evidenza lo stato di stallo in cui si trova la Rai", ha detto Letta.
"Prodi - ha aggiunto - ha annunciato nel Cdm che scriverà una lettera al presidente della Rai in modo tale da discutere la vicenda nelle sedi opportune".
"Quello di Padoa Schioppa - ha commentato il vicepresidente della Commissione di vigilanza Rai Paolo Bonaiuti - è un tentativo inaccettabile di attacco contro il consiglio di amministrazione regolarmente in carica, un tentativo per di più insostenibile dal punto di vista giuridico. Mai nella storia della Rai si era giunti ad una revoca del genere da parte del governo".
"Un'azione illegale, condotta da un ministro non eletto dal popolo che attua un comportamento banditesco assieme a tutto il governo per delegittimare il servizio pubblico", accusa l'ex ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri (An).
"Un'operazione costruita a tavolino per creare le precondizioni del colpo di mano da parte del governo in perfetto stile del vecchio golpismo sudamericano - ha detto Margherita Boniver, componente del direttivo del gruppo di Forza Italia alla Camera - Un attacco gravissimo nei confronti di un Consiglio di Amministrazione regolarmente in carica, cosa che non era mai avvenuto nella storia della Repubblica. Un attacco politico inaccettabile che, in ogni caso, dovrà fare i conti con la forza della legge".
"Il presidente del Consiglio ha annunciato - ha detto infine Letta - che nel prossimo Consiglio dei ministri sarà presentato il Ddl di riforma delle norme che regolano le governance della Rai".
Il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni ha spiegato che gli obiettivi del Ddl sono tre: "1) rafforzare l'autonomia della Rai dal governo e dalla politica; 2) dare maggiore efficienza aziendale; 3) consentire un percorso di innovazione all'azienda, che oggi è obiettivamente bloccato, separando meglio ciò che è finanziato dal canone e ciò che è finanziato dalla pubblicità".
Intanto l'Usigrai ha annunciato una giornata di sciopero dei giornalisti: "Oggi in tutte le pagine
informative della Rai nei Giornali Radio e nei Tg viene letto un comunicato dell'Usigrai che è un appello agli utenti, ai cittadini, ma anche a tutte le organizzazioni che rappresentano i lavoratori della Rai - si legge in un comunicato sindacale - I giornalisti, se resteranno immutate le condizioni di stallo nel Cda, attueranno nei prossimi giorni la prima delle due giornate di sciopero che l'Assemblea dei Comitati di Redazione hanno affidato, con voto unanime, all'Usigrai. Sarebbe ancora più efficace se in quella stessa giornata si potesse dare un segnale in tutta l'azienda mobilitando tutti i lavoratori".

 


 

+ Il Mattino 11-5-2007 Ecco il Nord che chiede gli aiuti In Lombardia ci sarà lo stop ai fondi statali nel 2008 In Veneto e Liguria si arriverà al 2013 MARCO ESPOSITO

 

C'è un Nord che chiede aiuto all'Unione europea. E non è un Nord marginale, fatto di piccoli comuni di montagna come quelli che cercano di passare dal Veneto al Trentino. È un Nord - secondo le statistiche - in piena ripresa economica e al top della ricchezza in Europa, che comprende aree industriali come Torino, Genova, Venezia-Mestre e la cintura a Nord di Milano. È quanto si ricava dalla "Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale" con la mappa delle aree in regioni ricche finanziabili in base a una specifica deroga chiamata "87.3 c". Un documento ufficiale, inviato dal governo italiano a Bruxelles, ma non ancora operativo perché in attesa di approvazione da parte della Commissione europea. È un documento che riguarda anche il Mezzogiorno. Finché infatti proseguirà la discussione per capire se le aree richieste siano davvero meritevoli di aiuti, l'intero programma comunitario 2007-2013 non potrà partire, neppure nelle regioni come la Campania che entrano nella Carta degli aiuti perché la ricchezza per abitante è inferiore al 75% di quella media comunitaria. La mappa degli aiuti copre un'area piuttosto vasta del Nord, ma si ridurrà nel tempo. Tutta l'area torinese e quella a Nord di Milano, in particolare, esaurirà i propri effetti a fine 2008. L'area di Genova e Venezia - ma anche una fetta non trascurabile della Valle d'Aosta, che pure è la Regione più ricca d'Italia - continueranno a essere agevolate fino al 2013. L'Unione europea ha posto dei severi limiti di popolazione per le aree ricche da agevolare, con un tetto pari al 3,9% della popolazione totale, cioè 2,3 milioni di persone. Solo la Sardegna (che fino al 2006 era tra le aree povere d'Europa) ha utilizzato oltre 900 mila abitanti. Le regioni del Nord si sono viste assegnare per la stagione di aiuti 2007-2013 quote di popolazione ridottissime: 57mila in Piemonte, 50mila in Liguria, 50mila in Veneto, 50mila in Emilia Romagna, nessuno in Lombardia. Per estendere i benefici si è ricorsi a due tecniche. La prima è chiedere agevolazioni solo transitorie (2007-2008) per alcune aree industriali significative, come appunto la gran parte della provincia di Torino e la parte Nord di quella di Milano. La seconda tecnica è non chiedere l'agevolazione per l'intero Comune ma soltanto per alcuni quartieri poco popolosi ma con forti insediamenti industriali. Come accade a Genova, che riesce così a restare nel tetto dei 50mila abitanti scegliendo con attenzione zone censuarie appetibili per gli imprenditori ma con pochi residenti. Un trucco piuttosto banale, perché è ovvio che i beneficiari dei contributi a un'area industriale sono gli abitanti dei quartieri limitrofi, ma un trucco che Bruxelles fece passare per il periodo di aiuti 2000-2006. Da segnalare che il Veneto, nonostante il disagio dei comuni montani - che con i referendum chiedono di passare alle regioni confinanti - ha chiesto aiuti per la costa (Venezia e Rovigo). Invece il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Enrico Letta, ha proposto di usare i fondi Ue per i territori di confine. Un'indicazione che contraddice quanto chiesto a Bruxelles.


 

+ Italia Oggi 11-5-2007 Il Caso La Bonino Ai Governatori: Troppe Multe Salatissime Per Le Sentenze Ue di Giampiero Di Santo

 

   Pesano già molto sulle tasche dei cittadini, come ha documentato ieri ItaliaOggi nella sua inchiesta sulle spese pazze delle regioni. Ma anche senza fare nulla, o proprio per questo, le regioni, i loro governatori e i consigli regionali (o assemblea nel caso della Sicilia) possono causare danni al bilancio dello stato. Come teme il ministro delle politiche europee e del commercio internazionale, Emma Bonino, che nella sua relazione sull'Unione europea depositata in parlamento, paventa il rischio che il mancato adeguamento da parte delle regioni alle disposizioni di Bruxelles si traduca in un vero salasso per l'Italia. Sembra infatti che siano in forte aumento le procedure di infrazione disposte nei confronti dell'Italia per il mancato rispetto di sentenze di condanna già pronunciate dalla Corte di giustizia europea. Nella relazione la Bonino scrive: 'Va sottolineato l'elevato numero di ricorsi alla Corte di giustizia, ai quali si aggiunge il crescente numero (9) delle procedure ex articolo 228, di quelle procedure cioè che riguardano mancati adempimenti di precedenti sentenze di condanna della Corte di giustizia e sono quindi suscettibili di portare a nuove condanna'. Qualcuno potrebbe obiettare che in fondo nove casi non sono poi molti, per un paese non certo di secondo piano come l'Italia, che tra l'altro ha appunto venti regioni. Ma questi casi potrebbero costare molto cari. 'Le eventuali nuove condanne sarebbero accompagnate da pesanti sanzioni pecuniarie nei confronti dello stato', avverte la relazione. La Bonino spiega che Bruxelles ha deciso di accelerare il processo di recepimento, da parte degli stati dell'Ue, delle direttive europee. E aggiunge con preoccupazione che dal 13 dicembre del 2005, con una nuova Comunicazione sull'articolo 228, la commissione ha chiarito che 'non rinuncerà più agli atti, una volta introdotto in Corte di Giustizia un ricorso ai sensi di tale articolo' e che 'proporrà sistematicamente la condanna dello stato tanto a una somma forfettaria per l'inadempimento pregresso, quanto una penalità di mora per l'eventuale ritardo nell'adeguamento alla nuova sentenza'. Detto questo, si scopre, anzi, la Bonino in propositi è chiarissima, che le multe sarebbero salatissime. Per le inadempienze delle disposizione della prima sentenza di condanna l'Italia sarebbe condannata a pagare una somma non inferiore a 9,92 milioni di euro. La penalità di mora per ogni giorno di ritardo nell'adeguamento alla seconda sentenza di condanna, invece, oscillerebbe tra 22.000 e 700.000 euro. Una vera stangata, per di più inevitabile, spiega allarmatissima la relazione messa a punto dal ministero delle politiche europee e del commercio internazionale. 'La conseguenza è che una volta adita la Corte, una sanzione sarà inevitabile anche in caso di sopravvenuto adempimento durante il procedimento dinanzi a alla Corte'. Un monito rivolto in particolare ai governatori, perché, spiega ancora la relazione, sono proprio le regioni, molto spesso a non rispettare le sentenze di condanna della Corte e più in generale a causare l'apertura di procedure di infrazione. 'Già oggi 57 (delle 226 riscontrate nel 2006,ndr) procedure di infrazione sono dovute alle autonomie territoriali', sottolinea la Bonino. 'Ma è soprattutto allarmante la constatazione che cinque delle nove procedure ex articolo 228 sono di responsabilità di regioni o di enti locali'. C'è da dire, però, che il pugno duro di Bruxelles ha già convinto alcuni governatori italiani ad agire rapidamente per evitare guai. Lombardia e Puglia, per esempio, non avevano provveduto a bonificare le discariche di Rodano e Manfredonia e così Roberto Formigoni, presidente della regione del Nord, e Nichi Vendola, governatore pugliese, avrebbero rischiato di pagare multe enormi: addirittura 19 milioni di euro più 193.000 di mora giornaliera il primo, 9,92 milioni più 85.000 euro il secondo. Così, spiega la Bonino, le due regioni si sono convinte 'ad adottare in tempi rapidissimi una serie di provvedimenti che ha permesso di convincere la commissione a rinviare per il momento il deposito dei ricorsi in corte di giustizia'. La morale, insomma, è sempre la stessa. Dove la carota nulla può, serve il bastone, soprattutto se colpisce i governatori nelle tasche. E se ciò non bastasse, la Bonino ha in tasca la soluzione di riserva: 'Non va esclusa l'eventualità di un ricorso meno eccezionale al potere sostitutivo disciplinato dalla legge 4 febbraio 2005n.11', conclude, né la possibilità, offerta dalla Finanziaria 2007, che lo stato chieda alle regioni di restituire all'amministrazione centrale i soldi sborsati per colpa loro. Governatore avvisato

 


 

+ Il Corriere della Sera 11-5-2007 LA SENTENZA "Sme, Squillante fu pagato Ma non ci fu corruzione" Luigi Ferrarella

 

MILANO - In effetti "è ragionevole la deduzione che il versamento" da Cesare Previti al giudice Renato Squillante il 6 marzo 1991 di 434mila dollari, "provenienti da un conto estero alimentato da fondi extracontabili di pertinenza della Fininvest, avesse funzione corruttiva". In effetti la versione difensiva di Previti "sembra più confacente a una partita di poker nella quale i giocatori "passano" senza "vedere"": una "ricostruzione fantastica, miseramente naufragata di fronte all'assoluta mancanza di alcun riscontro". In effetti "macroscopica" è poi "l'inverosimiglianza che Berlusconi fosse del tutto all'oscuro dei pagamenti esteri compiuti dai suoi dipendenti, e soprattutto che avessero mano libera per le movimentazioni bancarie sicuramente illecite (se non altro perché effettuate in nero su conti esteri)". Dunque se ne "dovrebbe ricavare l'ulteriore corollario che Squillante era un giudice a libro paga di Berlusconi". E tuttavia - distingue la seconda Corte d'Appello (presidente Nese ed estensore Lapertosa) nel motivare l'assoluzione nel merito di Berlusconi nel processo Sme -, pagare il giudice non equivale di per sè a corromperlo. "Per affermare che Berlusconi abbia corrotto Squillante, non basta provare che questi abbia ricevuto denaro, ma occorre anche accertare che l'interferenza addebitata al magistrato sia stata collegata con l'attività funzionale da lui esplicata". E invece "è assolutamente incontroverso (e tuttavia ignorato dai pm)" che "nessun procedimento nel quale Squillante avrebbe potuto effettivamente influire ha rivelato aspetti irregolari o discutibili". E quand'anche Squillante fosse stato pagato "per condizionare l'operato di altri magistrati estranei all'ufficio di appartenenza, non sarebbe configurabile" il reato di corruzione, "ma la diversa ipotesi di traffico di influenza", che però in Italia "non può considerarsi penalmente perseguibile" perchè "non è stata tradotta in norma di legge". Tutto ciò "non permette" alla Corte "di sostenere l'incrollabile convinzione che Berlusconi, al di là ogni ragionevole dubbio (come esige l'articolo 533 significativamente novellato con la recezione della formula di derivazione americana"), sia colpevole della corruzione per la quale va assolto, "indipendentemente dalla ben diversa consistenza che le prove a carico possono assumere nei confronti di terzi". Traduzione: di Previti. Che la Corte - pur dicendosi convinta della "particolare inattendibilità" della teste Ariosto "per lacune, confusioni, incompletezze e contraddizioni nelle sue deposizioni" - qualifica "propenso a pratiche corruttive". Ma "nessun serio indizio può trarsene a carico di Berlusconi, a meno di non ritenere che tra lui e Previti, che certo era l'avvocato d'affari di Fininvest, si sia attuata una inedita fusione identitaria, dando luogo a un nuovo e complesso soggetto di diritto in deroga al principio" per cui "la responsabilità penale è personale". lferrarella@corriere.it Le motivazioni della Corte d'Appello di Milano che ha assolto Berlusconi nel merito.

 


Il Giornale 11-5-2007 Banche boom nel 2006: utili a 22 miliardi di Angelo Allegri –


Nel 2006 hanno portato a casa utili netti per oltre 22 miliardi di euro. La stima, ancora approssimata (i dati ufficiali arriveranno a fine maggio con la relazione del governatore della Banca d’Italia), corrisponde a un aumento del 32,3% rispetto al 2005. E la corsa al profitto del sistema bancario italiano («una forma di governo occulto», secondo l’ex commissario europeo Mario Monti) sembra destinata a continuare. Secondo le Previsioni dei bilanci bancari di Prometeia, presentate ieri, gli utili netti cresceranno del 17% nel 2007, del 15,7% nel 2008, e del 18% nel 2009. Non proprio un boom come quello dell’anno scorso, ma poco ci manca.
Gli istituti potranno approfittare del contesto economico favorevole, che spingerà le imprese a più investimenti con connesso aumento della richiesta di credito. D’altra parte la maggiore concorrenza comprimerà i margini unitari, mentre proprio dai rapporti con le imprese arriva l’incognita maggiore per il futuro: l’abolizione della cosiddetta commissione di massimo scoperto, la somma dovuta alle banche, calcolata sulla massima esposizione, in aggiunta ai normali interessi. Il provvedimento, ancora in via di adozione, si riferirà a tutti i conti, ma i suoi effetti si sentiranno soprattutto nei rapporti con le imprese. Secondo Prometeia potrebbe costare alle banche fino a 4 miliardi di euro. Anche se, avverte il centro studi, gli istituti faranno con tutta probabilità come i gestori di telefonini dopo l’abolizione dei costi di ricarica, cercando di recuperare altrimenti le somme perse. Una prima strada dovrebbe essere quella dell’aumento dei tassi di interesse sulle nuove operazioni di finanziamento; poi le banche potrebbero calcare la mano su altre commissioni (spese di istruzione della pratica, penalità per il mancato utilizzo del credito); infine, potrebbe essere aumentata la pressione al ribasso gli interessi concessi ai clienti sui depositi. In tutti i casi, comunque, l’impatto del provvedimento potrà essere solo addolcito.
Quanto ai rapporti con i clienti privati anche qui la maggiore concorrenza si farà sentire. Crescerà un po’meno il settore dei mutui immobiliari dopo la corsa forsennata degli ultimi anni, mentre gli istituti punteranno tutto sul credito al consumo. In questo campo si registreranno forse le novità maggiori.

Prenderanno piede nuovi prodotti «all’americana», come la possibilità di ricevere un nuovo prestito ampliando l’importo di un mutuo in essere, approfittando dell’aumento di valore registrato dall’immobile. Continuerà la crisi del risparmio gestito, con una diminuzione del peso relativo del canale di distribuzione bancario, e conseguente stasi delle commissioni, mentre per i conti correnti la tendenza è ormai chiara: costi minori, ma rendimenti per i depositanti ormai inesistenti.
E anche questa viene segnalata da Prometeia come un’incognita: se i risparmiatori si accorgeranno che non conviene più tenere sul conto i propri soldi e li dirotteranno verso altre forme di impiego le banche potrebbero veder ridursi una forma di provvista a buon mercato. Sicuro invece il controllo dei costi: secondo Prometeia cresceranno meno del 4% annuo portando gli istituti italiani vicini a medie europee.


 

La Stampa 11-5-2007  IL CANDIDATO DEMOCRATICO NEL MIRINO DI UN COMICO CONSERVATORE DEL SUD.Canzone razzista contro Obama  In "Barack il Magic Negro" diventa un nero a misura di bianco. Maurizio Molinari

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Arriva da Rush Limbaugh il primo siluro contro Barack Obama che chiama in causa il suo colore della pelle. L’irriverente e ultraconservatore conduttore radiofonico ha iniziato a trasmettere durante il proprio talk show - uno dei più ascoltati d’America - una canzone che chiama il candidato democratico «Magic Negro». Si tratta di una definizione coniata negli anni Sessanta da alcuni sociologi per descrivere gli afroamericani che sembravano «venire dal nulla» ovvero correvano a integrarsi nella società bianca senza più alcun rapporto con le loro radici. A cantare sulle note di «Puff, the Magic Dragon» è il cantante conservatore bianco del Tennessee Paul Shanklin, imitando il reverendo Al Sharpton ovvero il volto più militante della comunità nera. Le strofe sono un atto d’accusa nei confronti del senatore dell’Illinois, già sospettato alcuni leader afroamericani di «non essere abbastanza nero» essendo nato da padre kenyota e mamma bianca.

«Barack il Magic Negro vive a Washington, il Los Angeles Times lo chiama così perché non è vero come me» recitano le strofe del motivo che Limbaugh manda in onda, citando a piene mani l’articolo «Obama the Magic Negro» scritto sul quotidiano di Los Angeles da David Ehrenstein, anch’egli afroamericano. «Oltre che a candidarsi per la Casa Bianca Obama è in corsa per una carica ufficiosa dell’immaginazione popolare, quella del Magic Negro» ha scritto Ehrenstein, parlando di una figura tesa a «minimizzare il complesso di colpa dei bianchi per la schiavitù e la segregazione sostituendo lo stereotipo dei neri pericolosi e sessualmente iperattivi con quello di esseri benigni per i quali il Congresso non ha troppo interesse». L’accusa sollevata a Obama è di essere un «nero meno reale, più desiderabile per i bianchi» e rilanciandola nell’etere Rush Limbaugh punta a fare leva sulle ferite interne alla comunità afroamericana, scavando un solco fra il senatore dell’Illinois e la sua base elettorale.

«Magic Negro fa sentire bene i bianchi, voteranno per lui e non per me - canta Shanklin, con forte accento del sud - perché i veri neri sono quelli come me o Farrakhan», l’ex leader fondamentalista della Nazione dell’Islam. «Non votate per il Magic Negro - conclude la canzone, svelando l’obiettivo politico - perché a me non verrà nulla in tasca dopo anni di sacrificio, non avrò giustizia nè offerte per la Chiesa». L’irriverente attacco musicale a Obama condito di stereotipi ancora molto diffusi in alcune regioni del Sud - dove gli afroamericani vengono chiamati «melanzane» - ha fatto denunciare a Karl Frish, portavoce di «Media Matters» che monitorizza il razzismo sui mezzi di informazione, «l’intenzione di Limbaugh di infiammare il pubblico» confermata dalla scelta del conduttore di definire il candidato un «Halfrican American», un mezzo afroamericano.

Di fronte alla prima tempesta di sapore razzista sulla strada della Casa Bianca, la scelta di Barack Obama è stata di andare nella tana del lupo e farsi intervistare da Paul Smith, conduttore da Detroit per Rush Limbaugh. «Non mi sono offeso per la canzone - ha esordito il senatore, con tono minimalista - e non mi preoccupa più di tanto quando mi prendono in giro, fa parte del gioco, non sono una di quelle persone che si prendono a tal punto sul serio da offendersi per qualsiasi cosa, Rush fa spettacolo anche se non lo seguo molto». Più il conduttore lo provocava sul «Magic Negro» più Obama rifiutava di vestire i panni dell’offeso, evitando così di avvalorare una polemica che da decenni lacera la comunità afroamericana. Anziché difendersi dagli attacchi razzisti ha preferito giocare su un altro tavolo, contestando con forza al talk show solo il fatto averlo descritto come «Odumbo» a causa delle orecchie molto grandi: «Vi avverto, su questa cosa sono molto sensibile perché mi hanno preso molto in giro da piccolo».

LE PAROLE
Il L.A. Times lo chiama così/Perché non è vero come me/Yeah, quelli del L.A./ dicono che i perfidi bianchi con lui si senton candidi/Così voteranno lui e non me/ Perché lui non viene dalla feccia/un vero nero come Snoop Dogg (un rapper, ndr), come me o Farrakhan (leader dei neri islamic, ndr)/Lui ha detto il dicibile, fatto il fattibile./Non tardare e vinci!/ Ritornello: Oh, Barack il Magico Negro, vive nel D.C. (Il distretto di Washington, ndr)/Il L.A. Times l’ha chiamato così/ Perché è nero ma non per davvero/C’è chi dice che è “articolato” /e brillante e nuovo e “pulito”/I media lo amano tanto/il sogno di un intruso bianco/Ma quando voti per il presidente/stai attento, non farti ingannare/Non votare il Magico Negro/Perché - perché?-non voglio un pugno di mosche dopo tutti questi sacrifici/È una questione di giustizia/una questione di buffet/Io non ho buffet né contributi della chiesa/Niente dollari nel mio piatto/Niente cash, né soldi che girano, Né denaro tirato su al telefono/Vieni Barack vieni.

 

 


La Stampa 10-5-2007 Sanità, il governo ottiene la fiducia Con 298 sì e 150 no la Camera ha votato la fiducia al governo sul decreto per il ripiano del deficit

 

ROMA Con 298 sì e 150 no la Camera ha votato la fiducia al governo sul decreto per il ripiano del deficit della Sanità. Subito dopo la votazione, il presidente di turno Carlo Leoni ha sospeso la seduta.

SPARISCONO I SUPER TICKET
Spariscono i ticket sulla diagnostica, che il Senato aveva portato da 10 a 3,5 euro, e la moratoria dei pignoramenti contro le Asl che era stata introdotta da Palazzo Madama. Il testo su cui il governo ha chiesto in Aula la fiducia utilizza infatti come base il testo licenziato dal Consiglio dei Ministri e introduce alcune modifiche prodotte dall’esame delle commissioni di merito, Bilancio e Affari sociali, a Montecitorio. Il provvedimento ripiana per altri 3 miliardi i deficit sanitari di alcune Regioni. Per la terza lettura il Senato ha soltanto la prossima settimana, visto che il decreto va convertito per il 19 maggio pena decadenza.

3 MILIARDI PER DEFICIT REGIONI
È autorizzato il concorso straordinario dello Stato nel ripiano dei disavanzi strutturali dei servizi sanitari regionali registrati nel periodo 2001-2005. Per raggiungere questo obiettivo sono messi a disposizione 3 miliardi di euro per il 2007.

TICKET RICETTE SPECIALISTICA
I senatori lo avevano ridotto dai 10 euro stabiliti con la Finanziaria a 3,5 euro, coprendo però la misura con tagli ai bilanci dei ministeri. Il costo è pari a 511 milioni di euro. Per la copertura vengono utilizzati 100 milioni del fondo dei debiti pregressi e 411 milioni del fondo di rotazione per le politiche comunitarie.

PIGNORAMENTI
Tornando al testo iniziale, il blocco per 12 mesi dei pignoramenti contro le aziende sanitarie che non pagano i fornitori è stato sparisce, come chiesto anche da un emendamento dei relatori alla Camera Piro e Zanotti.

CONTROLLI
Ogni anno i risultati della verifica dei piani di rientro sono «tempestivamente» trasmessi dal ministro dell’Economia al presidente della Corte dei Conti, che, nel caso di irregolarità, potrebbe far partire «un giudizio di responsabilità amministrativa e contabile». Ci sarà un maggior coinvolgimento del Parlamento: il decreto, che ripartisce le risorse tra le regioni interessate, dovrà essere trasmesso alle commissioni di Camera e Senato competenti. Il Parlamento riceverà una relazione sullo stato dei debiti.

 


 

Europa 11-5-2007 La famiglia fondata sul matrimonio non ha impedito divorzio e laicizzazione  FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, ho molto apprezzato il vostro “pluralismo”, almeno quando avete presentato in prima pagina tre posizioni di tre amici della Margherita: uno a San Giovanni, uno a piazza Navona, uno al mare. Purtroppo non l’ha apprezzata Mario Adinolfi, vostro collaboratore, non teodem e mio idolo, che , pur avendone i titoli, come dice, non andrà a piazza Navona e chiede che il Pd guardi là dove sono i numeri. Non è contrario ai Dico, ma non vuol incoraggiare «quella solita platea di radical chic che si sente figa a impegnarsi in battaglie marginali».
Questo non lo capisco.
Laura Delli Santi, Roma

 

Io sì, cara amica, perché l’ottimo Adinolfi ha tutto, ma non è liberale.
Condivido con lui due cose: la prima, ho avuto anch’io una famiglia normale fino al momento della separazione (come lui) e ho messo al mondo dei figli a loro volta creatori di famiglie normali e di altri figli: quindi appartengo anch’io alla stragrande maggioranza degli italiani.
La seconda cosa è che anch’io, come il nostro blogger, non coltivo in materia alcun approccio ideologico. Qui però le nostre strade si dividono. Adinolfi, ci ricorda che da una parte esistono 33 milioni di individui come lui e come me, che sono passati o vivono nel matrimonio, più i loro figli.
Dall’altra esistono 500mila coppie stabili che vivono sotto lo stesso tetto ma non sono coniugate. L’Italia vera, profonda – dice -–, è la prima e «ad essa, politicamente, deve essere rivolta la maggiore attenzione». Elettoralmente ineccepibile.
Ma la civiltà liberaldemocratica è un’altra cosa. Non si tratta di imporre, per gusto di «battaglie marginali», le esigenze di un’«Italia minima» all’Italia massima. Benché ciò sia accaduto anche nella storia moderna. E non per gusto di «battaglie marginali», ma per battaglie d’avanguardia.
La stessa unità d’Italia fu fatta da una così sparuta minoranza, contro papi, re, duchi e popolo tutto, da meritare la definizione di «eroico sopruso». E non è che Cavour e Vittorio Emanuele, Crispi e Garibaldi, Rattazzi e Mazzini, facessero quel sopruso per sentirsi fighi, apprezzati dai radical chic di Vienna di Parigi e di Londra. Ma questo è il meno. Il più, che è il cuore della civiltà moderna, sta nel fatto che una maggioranza del 99 per cento dei cittadini non può negare all’uno per cento il diritto di essere e pensare diverso. Si guarderà dall’imitarne la diversità, ma non gli negherà il diritto di vivere uguale agli altri nella comunità.
Ecco perché vado a piazza Navona: per sostenere il diritto della minoranza, degli eretici, dei miscredenti, di poter essere, nell’ambito della legge, ciò che vogliono e che io non sarò mai. Del resto, neanche quando abbiamo giocato a ruoli rovesciati, e noi maggioranza di padri,madri, mariti, mogli, figli, zii, nonni e cugini, tutti provenienti da “matrimonio normale”, abbiamo integrato quell’istituzione col divorzio e abbiamo laicizzato la società, ci siamo sognati di imporre alla minoranza dissenziente di divorziare o di abortire. Abbiamo soltanto creato un’ opportunità legislativa per chi ne avesse sentito l’esigenza. Sbaglierò, ma credo (lo dico ai miei nipoti studenti) che qualche tecnologia in meno e qualche libro in più ci proteggerebbero da una pericolosa marcia indietro.


 

Il Riformista 11-5-2007 Per me il 12 maggio è un errore diviso su due piazze

di Claudia Mancina
Domani due piazze, ovvero due Italie, si schierano sul tema della famiglia e della laicità. Per chi crede che la democrazia non sia soltanto un metodo di voto, ma un percorso complesso che prima del voto prevede il libero confronto tra diverse concezioni, non si tratta di un evento negativo. È bene che i cittadini prendano posizione e la esprimano, sui grandi problemi, e che tutti abbiano voce, laici e credenti di ogni religione. E tuttavia c’è qualcosa di sgradevole in queste due piazze romane che domani si riempiranno di milizie contrapposte. Simbolicamente, sembra quasi che si separino due mondi: da un parte la famiglia, dall’altra i diritti delle persone. Da una parte la libertà della Chiesa di sostenere la sua visione etica, dall’altra la laicità. Ma questi due mondi possono davvero separarsi?
La famiglia è stata oggetto di lotte antiautoritarie da parte dei giovani e antipatriarcali da parte del femminismo. Ma oggi patriarcalismo e autoritarismo sono scomparsi e sarebbe ridicolo, oltre che sbagliato, essere «contro la famiglia». Nessuno mette in discussione la funzione della famiglia nella società, come struttura che assicura la prima formazione dei bambini in un contesto di intimità, di fiducia e di amore (pur nei limiti e con i fallimenti inevitabili), e come interlocutrice principale dello stato sociale. Ma nemmeno si può pensare di concepire la famiglia come una comunità arcaica, separata dalla società in un idillico isolamento. Una famiglia da difendere. Non è così. La famiglia è una comunità sempre più aperta e sempre più permeabile ai problemi e alle tendenze della società. Bisognerebbe sostenerla, più che difenderla. Sostenerla significa darle aiuti economici e organizzativi (quelli che il nostro paese con tutto il suo familismo ideologico non le ha mai dato), e considerarla per quello che è: una comunità in trasformazione, coinvolta nella storia della contemporaneità e dei diritti.
Allora vedere i diritti civili come contrapposti al bene della famiglia è un errore: perché è una forzatura non voler vedere che ci sono oggi (come peraltro ci sono state nel passato) diverse forme di famiglia, che possono avere una graduazione diversa dal punto di vista giuridico, e quindi un diverso titolo alla tutela statale - secondo l’articolo 29 della Costituzione - ma meritano comunque rispetto e tutela, come diverse sentenze della Corte costituzionale hanno stabilito. Introdurre una rigida delimitazione del concetto di famiglia è un’operazione ideologica, che non tiene conto della realtà. Ma qual è il compito della politica se non quello di governare la realtà?
Altrettanto forzato è contrapporre la laicità alla libertà di parola, e di manifestazione, della Chiesa. La laicità, irrinunciabile nello Stato democratico, non esiste senza una piena libertà religiosa, che comporta anche un ruolo nel dibattito pubblico. La stessa laicità impone alle chiese di accettare le regole che sono proprie di tale dibattito: la disponibilità alla critica, la rinuncia a una pretesa assolutista della propria etica, il riconoscimento della legittimità delle decisioni democratiche. Invece abbiamo da una parte una Chiesa che considera le critiche terrorismo e pretende di influire in modo determinante sulla legislazione; dall’altra dei laici che vorrebbero farla tacere. Si determina così una situazione del tutto unica e anomala tra i paesi democratici, nella quale la distinzione tra laici e cattolici assume una valenza politica dominante rispetto ad altre identità. È una situazione grave, che produce effetti paralizzanti sul piano politico e certamente non favorisce la maturazione di un vero pluralismo e di una vera tolleranza. La giornata di domani non ci porterà più avanti, ma se mai un po’ più indietro.

 


 

Il Giornale 11-5-2007 Corruzione a Perugia, sospetti su altre 6 toghe  di Gianluigi Nuzzi –

 

Almeno una dozzina i procedimenti che potrebbero esser stati condizionati, tra Consiglio di Stato, Commissioni tributarie e Cassazione. Dai semplici processi per gli incidenti stradali alle guerre giudiziarie, tutte nella finanza rossa e su importanti commesse, tra il costruttore vicino alle coop, Leonardo Giombini e colossi come la Cmc di Ravenna.
L’inchiesta sul comitato d’affari di Perugia dopo i quattro arresti di martedì (oltre all’imprenditore Carlo Gradassi e allo stesso Giombini, in manette sono finiti il sostituto procuratore generale della Cassazione Vincenzo Maccarone e Lanfranco Balucani del Consiglio di Stato), potrebbe rapidamente estendersi. Il procuratore capo Nicola Miriano potrebbe infatti raccogliere gli stimoli investigativi del gip Claudia Matteini. Che nei suoi atti individua una «cricca di persone», un «comitato d’affari» organizzato per condizionare sistematicamente, grazie a magistrati compiacenti, le più disparate vicende processuali umbre approdate a Roma.
Un comitato al quale avrebbe partecipato anche Mario Gradassi, padre di Carlo, indagato per associazione a delinquere e notissimo imprenditore della città. Un comitato perché, come dicono al telefono alcuni inquisiti «Semo in famiglia, è come al cimitero dentro una tomba». Tutti insieme. «Se in pochi mesi di indagini - sottolinea quindi il magistrato - sono stati ben cinque gli episodi giunti all’attenzione di questa procura, vi è da pensare che molti altri ne siano stati commessi in passato».
E in effetti nei brogliacci delle intercettazioni telefoniche e ambientali si fa riferimento ad almeno una dozzina di procedimenti «attenzionati», cioè sotto i riflettori dei magistrati inquirenti. Perché sono vicende sulle quali, si dice in un’intercettazione, «bisogna fare tutti squadra» e portare a casa il risultato. Quello che interessa agli indagati per associazione a delinquere e corruzione in atti giudiziari. Anche perché, aggiungono gli inquirenti, «vi è il fondato sospetto che l’azione di imprenditori affermati (come appunto quella di Giombini, ndr ) sia stata in larga misura favorita dall’appartenenza a un sodalizio ben radicato sul territorio e ben collegato con soggetti con incarichi istituzionali». Significa che le pressioni sui «colleghi giudicanti che non potevano esimersi dalla richiesta di cortesia», su quelli dell’«oggi faccio un favore a te, domani tu farai un favore a me», determinavano sentenze favorevoli agli imprenditori inseriti nella «cricca». Imprenditori che ne beneficiavano e che quindi grazie alla propulsione giudiziaria illegale sbaragliavano la concorrenza.
Ma il quadro che emerge da questa inchiesta lontana dai riflettori delle grandi città è ancor più allarmante. Perché i magistrati arrestati, secondo l’accusa non dimostravano solo spregiudicatezza nel piegare la legge agli interessi privati. Ma dalle intercettazioni, dalla ricostruzione degli inquirenti emerge un quadro di connivenze di giudici che si scambiano favori sugli esiti dei procedimenti, di corsie preferenziali che lasciano nel cittadino una grave inquietudine. Così che i colleghi inavvicinabili, quelli con i quali non c’è dialogo, diventano come mosche bianche tanta era la disinvoltura nei movimenti ritenuti illeciti e attribuiti ai magistrati finiti in carcere.
Si tratterà ora di capire se il procuratore capo intende allargare le indagini, andando a vedere, sentenza dopo sentenza, l’attività professionale di queste due toghe accusate di corruzione e di tutti quei giudici «avvicinati» o citati nelle decine di intercettazioni. Secondo l’ordinanza di custodia cautelare sono almeno sei i magistrati indicati nelle conversazioni tra indagati, alcuni dei quali avevano rapporti assai intensi con i due giudici ora in carcere. Una ragnatela di influenze tutta da decifrare. C’è la conoscenza con il consigliere del Csm, c’è la collega che si può avvicinare essendo un’ex auditrice. C'è il giudice che incontra quelli ai quali «non posso dire di no». Anche perché insomma, come quasi urla il consigliere Balucani al telefono, «quello che si può fare si fa... per gli amici... per voi senza problemi». E così è talmente forte la colleganza, che Giombini si arrabbia quando non viene attivato il giudice amico sul processo che vedeva la coop Cmc come controparte. A saperlo si chiamava Balucani e «si poteva anche rovesciare il piattino».


 

Italia Oggi 11-5-2007 E con un gioco di prestigio il patrimonio del Ppi finisce in un pollaio La vecchia Dc prima ancora di perdere pezzi, cominciava a perdere soprattutto mattoni

 

La Scheda.. Quelli che messi uno sull'altro al momento della trasformazione nel Partito popolare italiano componevano 131 proprietà immobiliari. Erano le proprietà della 'balena bianca' gestite da un ragioniere. Si chiama Giuseppe Morelli (leggi articolo in apertura), era un dipendente della Dc promosso a consulente immobiliare. Un fiuto per gli affari sul mattone, uno capace, dimostrerà la storia e non solo quella, capace di bucare con uno spillo anche la più ostica delle bolle immobiliari. Uno che fa affari con Angiolino Zandomeneghi. Nome noto alle cronache che con un milione e 500mila euro fece piazza pulita delle 131 proprietà immobiliari. Il nome di Zandomeneghi è sparso nelle decine e decine di pagine del procedimento penale per bancarotta che muove i passi alla procura della repubblica del tribunale di Roma. E andrà ancora avanti per le lunghe. Zandomeneghi e Giuseppe Morelli sono spesso associati nel procedimento sul fallimento della Immobiliare Europa. Una società rivoltata come un calzino, della quale Zandomeneghi è amministratore unico con 'un comportamento a dir poco spregiudicato', dicono gli inquirenti 'nella gestione degli affari aziendali' svolti 'direttamente oppure per il tramite di ricorrenti intestatari fiduciari e prestanome', tra i quali viene citato Giuseppe Morelli. Certo, l'immobiliare Europa, ma questa è soltanto la società madre. Altre ne sono finite nel mirino della procura che 'nei casi di pericolo, magari a seguito di verifiche fiscali o di pericolo di fallimento venivano sistematicamente svuotate dei mezzi finanziari, nonché dei beni immobili che transitavano in altre società del gruppo, preferibilmente neocostituite'. Una di queste scatole porta dritta dritta in terra istriana dove diventa una finanziaria con tanto di sede in un pollaio e intestata a un croato, scaricatore di porto a Trieste. Non sorprenda. C'è dell'altro. Per esempio che quando il curatore del fallimento, l'avvocato Oreste Michele Fasano insieme al cancelliere del tribunale di Verona si presentano alla sede della società Immobiliare Europa per fare l'inventario dei beni rimangono con tanto di occhi sgranati quando si trovano 'in un gabiotto di due metri per tre all'interno di un circolo abbandonato'. Ecco che cosa scrive nella sua relazione il curatore fallimentare: 'Incredulo che il gabiotto in cui ero stato condotto potesse verosimilmente farsi passare come la sede della Immobiliare Europa, il sottoscritto ha incaricato il cancelliere di verificare se il luogo dove si era svolto l'inventario rispondesse effettivamente al civico 87 D di via Villabella. La verifica effettuata dai carabinieri ha confermato che il luogo corrisponde a dove si trova il centro sportivo Villabella o Sporting club Villabella, peraltro in stato di abbandono'. Un personaggio eclettico per il caro e vecchio mattone Dc. Neanche mai pagato, visto che l'assegno risultò scoperto. Sbriciolato, svenduto attraverso rivoli societari. 'La strategia di smembramento delle società da parte di Zandomeneghi sembrerebbe sempre la medesima. Infatti, una volta acquisite le quote di controllo delle società per lo più a responsabilità limitata, le utilizza per farvi transitare immobili aggredibili dai creditori di altre società a lui facenti capo, per poi svuotarle e metterle in liquidazione, se prima non interviene la dichiarazione di fallimento', relaziona il curatore. Secondo il curatore del fallimento della Euro Pool, invece, 'da entrambe le relazioni dei consulenti contabili, emerge che, sebbene alcune volte formalmente sostituito nella carica di amministratore unico della società da figure più o meno rilevanti, Zandomeneghi debba considerarsi non soltanto l'amministratore della fallita, ma anche il deus ex machina'. Vittima il Partito popolare italiano, l'ex Dc, il primo creditore a presentare istanza di fallimento nei confronti della Immobiliare Europa. Anche con il vecchio scudocrociato non sono mancati abili giochi di mano. 'In fase prefallimentare, in una memoria difensiva del 14 agosto 2002 a sostegno dell'inesistenza del suo stato di insolvenza, produceva un estratto conto della Banca agricola mantovana da cui risulta al 9 agosto 2002 una disponibilità a saldo di 3.126.879. Successivamente è stato appurato che tale documento è stato alterato e falsificato in quanto l'originale riporta un saldo liquido di 126.879 euro al quale è stato aggiunto fraudolentemente un 3 che ne gonfia la consistenza di circa 6 miliardi di vecchie lire', dicono gli inquirenti tanto per avere un'idea del signor Zandomeneghi.Emilio Gioventù.


 

La Nuova Venezia 11-5-2007 Vertice europeo sulla sicurezza a Venezia Terrorismo, droga e immigrazione all'attenzione degli interni del G6 ROBERTA DE ROSSI

 

VENEZIA. Venezia (e i veneziani) ancora una volta "sotto scorta". Oggi e domani, infatti, i ministri dell'Interno dei paesi europei del G6 - con una delegazione Usa, in aggiunta - si ritroveranno nei saloni dell'hotel all'isola di San Clemente, 17 ettari di parco isolati nella laguna, per discutere di terrorismo internazionale, l'immigrazione, la lotta alla criminalità organizzata e al traffico di droga. A fare gli onori di casa sarà il ministro Giuliano Amato, che accoglierà i colleghi (con relative delegazioni) di Germania, Spagna, Francia, Italia, Polonia e Regno Unito. Così - una volta di più - Venezia sarà blindata per motivi di sicurezza, anche se il questore Carlo Morselli promette che si tratterà di "un controllo soft": i servizi di controllo saranno accentuati e ci saranno occhi "in borghese" puntati su tutti gli obiettivi potenzialmente sensibili. Ma - assicura il questore - non ci sarà "nessuna atmosfera da città blindata": non sono in programma chiusure di Piazza o campi, né calli intercluse. In cambio, viaggeranno decine e decine di convogli di motoscafi: i rappresentanti dei governi europei vivranno, infatti, a San Clemente. Eventuali visite culturali in città saranno organizzate senza troppa pubblicità. "Saranno attuate tutte le misure necessarie per fare in modo che l'evento si svolga nel migliore dei modi", spiega il questore, verranno rinforzati gli organici messi in campo, i servizi di controllo, anche agli obiettivi sensibili, mentre le scorte dei servizi segreti seguiranno le autorità presenti. "Stiamo dando il massimo perché tutto proceda al meglio", sottolinea Morselli, "senza che la cittadinanza subisca dei disagi". Ma il contemporaneo massiccio arrivo di autorità di livello internazionale finirà per incidere anche sul già difficile rapporto tra residenti e visitatori della città, che il sindaco Massimo Cacciari considera irrimediabilmente schiacciata dall'"emergenza turisti", pur continuando ad accogliere a braccia aperte gli eventi internazionali. Il programma della riunione che si terrà nell'isola di San Clemente, è articolato in due sessioni: la prima nel pomeriggio di oggi e l'altra nella mattina di domani, nel corso della quale interverranno anche il vice presidente della Commissione Europea, Franco Frattini, ed il responsabile dell'Homeland Security degli Stati Uniti, Michael Chertoff. La riunione - giunta al suo decimo appuntamento, come riferisce il Viminale - prevede la presenza di Germania, Spagna, Francia, Italia, Regno Unito e, dal marzo 2006, anche della Polonia, ed è finalizzata ad intensificare gli sforzi dei principali Paesi europei allo scopo di accelerare la ricerca di soluzioni condivise per i lavori comunitari nelle materie che costituiscono i grandi filoni del dibattito internazionale.


 

Italia Oggi 11-5-2007 Nuovo scontro dopo la decisione al senato. Moratoria sull'acqua, possibile stralcio dal ddl Bersani. Servizi locali, riforma paralizzante Prc non vota sul ddl Lanzillotta

 

. E il ministro: rotto l'accordo Sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali torna la polemica nella maggioranza. Con Rifondazione comunista che decide di non votare sulla copertura finanziaria del ddl e il ministro per gli affari regionali Linda Lanzillotta che lamenta il mancato rispetto degli impegni. Intanto, sulla delicata questione della sospensione per la privatizzazione della gestione delle acque, il relatore al ddl Bersani propone che la moratoria sia spostata da quest'ultimo provvedimento al ddl Lanzillotta sui servizi locali.Il no di Prc'Oggi (ieri, ndr) i senatori Prc della commissione bilancio non hanno partecipato al voto su testo del ddl Lanzillotta sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali', hanno dichiarato i senatori Raffaele Tecce e Martino Albonetti. La commissione era chiamata a pronunciarsi sulle coperture finanziarie del testo e degli emendamenti. Il motivo dell'assenza dal voto del Prc è 'il mancato accordo con il ministro su un punto essenziale del ddl, ossia la possibilità reale per i comuni di scegliere alternativamente la gara o la gestione diretta. Le soluzioni prefigurate dal ministro, gestione in economia e azienda speciale, non sono infatti compatibili con l'attuale situazione finanziaria degli enti locali e dunque sono sostanzialmente non attuabili. Le direttive Ue mettono gara e gestione diretta sullo stesso piano, mentre il ddl prefigura sostanzialmente un obbligo alla privatizzazione'.La risposta del ministroSulle liberalizzazioni dei servizi pubblici locali, Rifondazione comunista deve rispettare gli impegni, ha ammonito il ministro Lanzillotta, dopo che Prc ha fatto saltare, con il mancato voto gli accordi presi lo scorso gennaio. 'La legge sui servizi pubblici locali traduce un accordo di maggioranza già inserito nel programma dell'Unione', ha evidenziato il ministro a margine di un convegno di Confartigianato, 'questo accordo è stato rispettato nella parte che sta a cuore a Rifondazione e pertanto il disegno di legge non si applica al settore dell'acqua che avrà una disciplina specifica'. è stato inoltre precisato che l'accordo 'condurrà alla verifica anche delle procedure di affidamento in corso e quindi va attuata anche l'altra parte dell'intesa, che è quella di procedere sulla liberalizzazione di tutto il restante settore perché altrimenti non c'è parità di trattamento tra i vari pezzi del programma e tra le varie anime della coalizione'. 'Non è vero', è stata la pronta risposta del capogruppo al senato di Prc Giovanni Russo Spena, 'come dichiara la Lanzillotta, che Rifondazione si è tirata indietro da un accordo sul ddl sulla privatizzazione dei servizi pubblici per i comuni. L'accordo c'è, su diversi importanti punti, ma non c'è, e non c'è mai stato, sull'affidamento obbligatorio ai privati dei servizi. La ministra insiste per lasciare la possibilità della gestione pubblica dei servizi solo in economia, cioè solo per i piccoli comuni, mentre noi riteniamo che il pubblico vada migliorato e rilanciato anche per quegli enti locali più grandi che scelgono di farlo. Condividiamo le preoccupazioni di tutti coloro che denunciano vistose irregolarità, illeciti e mancanza di trasparenza che in alcune città esistono e che vanno combattute. Noi stessi abbiamo presentato al ddl degli emendamenti sulla trasparenza della gestione. Sosterremo una proposta forte per il dirigente unico, per assunzioni tramite concorso e per il netto rafforzamento sui controlli alle amministrazioni'. Casini preoccupatoL'opposizione di Rifondazione comunista al disegno di legge Lanzillotta desta preoccupazione nell'Udc, ha detto il leader del partito, Pier Ferdinando Casini. 'Sul tema della liberalizzazione dei servizi pubblici si gioca la partita vera', ha dichiarato l'ex presidente della camera, che poi ha aggiunto: 'Se l'opposizione volesse fare una cosa intelligente dovrebbe seriamente esaminare la possibilità di votare il ddl'.L'acqua in altalenaL'emendamento al disegno di legge Bersani sulla moratoria per la cosiddetta privatizzazione dell'acqua, 'sarà ovviamente esaminato attentamente', ma 'sarebbe più opportuno' che fosse discusso nell'ambito del disegno di legge Lanzillotta all'esame del senato. Lo ha sostenuto il relatore al ddl sulle liberalizzazioni Andrea Lulli (Ulivo). L'emendamento, un articolo aggiuntivo all'articolo 4, è firmato da quattro esponenti di maggioranza: Marilde Provera (Prc), Ruggero Ruggeri (Ulivo), Silvana Mura (Idv) e Ferdinando Pignataro (Pdci. E il relatore sottolinea come l'esame in commissione sarà portato avanti 'non in modo scontato'. Dal momento che però il ddl Bersani e quello Lanzillotta saranno all'esame di palazzo Madama in contemporanea e che la moratoria sull'acqua 'impatta direttamente' con il provvedimento sui servizi pubblici locali, 'suggerirò che questa sia la strada'.


Il Corriere della Sera 10-5-2007 Una ricerca globale dell’agenzia pubblicitaria BBDO mette in luce i cinque rituali giornalieri compiuti in tutto il mondo. L’obiettivo è aiutare le aziende a insediarsi nell’intimità dei consumatori. I riti quotidiani transnazionali. Carola Frediani

               

Forse voi non lo sapete, ma qualcuno guarda con bramosia quegli insulsi momenti d’intimità della giornata, in cui vi lavate i denti o sbadigliate davanti al caffé. I consumatori di tutto il mondo sono infatti accomunati da alcuni quotidiani riti di passaggio, situazioni ripetitive ma simboliche che stanno per diventare la nuova terra di frontiera (e di conquista) delle imprese. Lo sostiene uno studio globale realizzato dall’agenzia di pubblicità BBDO con l’obiettivo di offrire ai responsabili del marketing la conoscenza dettagliata dei comportamenti giornalieri dei potenziali clienti.

CINQUE RITI – Lo studio – di cui riferisce oggi Business Week – non vuole individuare tanto le abitudini, troppo meccaniche e scarsamente emozionali, quanto i rituali che scandiscono la giornata e che rinviano evidentemente a comportamenti antichi, ad «azioni che aiutano a trasformare uno stato emotivo in un altro». La ricerca della BBDO ne ha individuati cinque: «prepararsi per la battaglia» (i riti del mattino); «banchettare» (riconnettersi con la tribù e mangiare); «agghindarsi» (farsi belli); «tornare al villaggio» (uscire dal lavoro); e infine «proteggersi per il futuro« (i riti serali prima di dormire). Si tratta di scansioni del ritmo quotidiano presenti in tutte le culture, ma vissute diversamente a seconda del Paese. L’analisi – che ha coinvolto 5 mila persone in 21 Stati – si è dunque soffermata sulle declinazioni nazionali di questi riti, col risultato di abbozzare un ritratto globale di quelle piccole, intime preferenze che, fino ad oggi, rimanevano nascoste tra le mura domestiche o all’interno dei circoli familiari.

USI QUOTIDIANI DAL MONDO – Scopriamo così che il 41 per cento dei Cinesi intervistati programma la propria attività sessuale, mentre lo fa solo il 3 per cento dei Russi. O che quei viveur dei Brasiliani amano leggere nella vasca da bagno (44 per cento), diversamente dai Sauditi (solo 10 per cento). I quali, in compenso, meditano o pregano in massa prima di andare a lavorare (80 per cento): attività che in Germania viene svolta solo dal 3 per cento degli intervistati. Per quanto riguarda invece la propensione a controllare la e-mail di mattina, prima di andare al lavoro, gli Indiani sembrano essere più fissati di Statunitensi o Canadesi. Mentre non tutti sapranno che le donne colombiane, brasiliane e giapponesi tendono maggiormente a truccarsi in macchina. Minuzie di vissuto quotidiano che fanno sorridere, ma da cui le aziende possono trarre preziose indicazioni di rotta. Perché se i Polacchi, come emerge dalla ricerca, tendono a fare la doccia di sera, è bene che i detergenti a loro indirizzati contengano sostanze rilassanti; mentre per i Messicani che si lavano di mattina sarà opportuno fare esattamente l’opposto.

MATTINO E SERA – Dei cinque rituali analizzati, quelli di mezza giornata sembrano però risentire dei ritmi e delle trasformazioni della vita moderna. Il «riconnettersi con la tribù per mangiare», ad esempio, non è più un’abitudine così diffusa, mentre i pasti affrettati e nevrotici consumati quotidianamente sono una ben triste vestigia degli antichi banchetti. Al contrario, i riti del mattino e della sera sono più marcati e più facili da utilizzare ai fini della ricerca. Nella fase di «preparazione per la battaglia» infatti sono svolte in media 7 attività, dal lavarsi i denti al fare colazione fino appunto a controllare la posta elettronica. La sera invece, durante la «preservazione per il futuro», si mette a posto l’armatura e si chiude la tana: ciò significa spalmarsi la crema anti-rughe, preparare i vestiti per l’indomani, chiudere serrature. «Se ci fosse un modo per essere in casa mentre le persone iniziano a serrare porte e finestre – ha commentato il presidente di BBDO Andrei Robertson, che ha un passato da assicuratore – si venderebbero un sacco di polizze». Sempre che non si riceva una pallottola in fronte. Scardinare certi riti può essere ancora pericoloso.


INDICE 10-5-2007

La Repubblica 10-5-2007 "Troppo personale in politica, va tagliato" . SEBASTIANO MESSINA  1

L’Unione Sarda 10-5-2007  La Corte costituzionale giudica "illegittima" la riduzione del 10% prevista in Finanziaria  2

Italia Oggi 10-5-2007 Gli staterelli della cuccagna.Franco Bechis. 3

L’Unità 10-5-2007 A ciascuno il suo indulto Marco Travaglio  3

La Stampa 10-5-2007 Pensioni, Padoa-Schioppa: "Vera riforma o resta scalone" 4

Il Corriere della sera 10-5-2007 Occupazione Sorbona: studenti contro Sarko Appello ai lavoratori: «Unitevi a noi» Alessandra Coppola  5

La Repubblica 10-5-2007 E la sinistra di Mussi lancia la "Festa d'Aprile" GOFFREDO DE MARCHIS  6

Europa 10-5-2007 Le due piazze del 12 maggio e la Rai: monitoriamo eventuali faziosità di regime FEDERICO ORLANDO RISPONDE  6

 


 

La Repubblica 10-5-2007 "Troppo personale in politica, va tagliato" . SEBASTIANO MESSINA

 

Il ministro annuncia le misure per ridurre gli assessori e le indennità degli amministratori locali. Andranno nel Dpef o in un disegno di legge ad hoc  Santagata: ecco il piano del governo. Ma sul Parlamento decidono i partiti Sfoltiremo le 7.535 società controllate dagli enti locali. Ma su deputati e senatori non abbiamo alcun potere Noi abbiamo già ridotto le indennità dei ministri e portato da 600 a 345 i comitati dei vari dicasteri Allora ministro Santagata, è arrivato il momento di cominciare a tagliare i costi della politica? Anche per voi deputati, e per voi ministri, è l'ora dei tagli? "A dire la verità noi abbiamo già cominciato. Ma l'unica che se n'è accorta è mia moglie". In che senso? "Nel senso che ha visto con i suoi occhi il taglio netto che ha avuto il mio compenso da ministro: 18 mila euro l'anno in meno. La mia indennità di ministro è scesa a 2500 euro". Poi ci sarebbe l'indennità parlamentare, visto che lei è anche deputato. "E sono altri 12 mila euro". Fanno 14.500 euro. In Francia il presidente della Repubblica ha un assegno mensile di 6700 euro... "Chiariamo subito un punto. Il governo non ha alcun titolo per intervenire sulle spese degli altri organi costituzionali. Se lo facessimo, invaderemmo la loro sfera di competenza". Quindi non è su questo fronte che pensate di ridurre i costi della politica? "Ripeto: non abbiamo titolo per farlo. Se vuole però posso dirle la mia opinione. Io penso che l'indennità parlamentare non sia troppo alta, ma troppo bassa". Prego? "Parlo dell'indennità vera e propria, che è di 4750 euro. Quello che non va bene, secondo me, è tutto il resto, quelle prebende varie che permettono di arrivare a 12 mila euro. Io non dico "tagliamole". Però penso che sarebbe ora di renderle trasparenti e razionali. Abolendo le forfettizzazioni e rimborsando ai parlamentari, entro un certo tetto, le spese effettivamente sostenute per l'attività di collegio, gli assistenti, l'affitto dell'ufficio eccetera. Rimborsi trasparenti a piè di lista, a fronte di ricevute e fatture". E sulle pensioni d'oro dei parlamentari, cosa pensa che andrebbe fatto? "Io introdurrei il contributivo anche per noi parlamentari. La Camera versa i contributi all'istituto di previdenza del deputato. Se lui non ne ha uno, li versa a un'assicurazione. Così si chiude il capitolo dei vitalizi agli ex parlamentari". Ottimo: pensate di proporlo subito? "Allora non mi sono spiegato. Questa è la mia opinione personale, di parlamentare. Come ministro non ho titolo per intervenire". Eppure il settimo punto del dodecalogo prodiano era proprio il taglio dei costi della politica. "E infatti noi stiamo lavorando su questo fronte. Capisco che gli stipendi dei parlamentari siano una cosa che colpisce l'opinione pubblica, ma questa è solo la punta dell'iceberg". E di che cosa è fatto, l'iceberg? "Di uno spaventoso aumento dei numeri del personale politico. Non si riesce più a tenerne il conto". Da dove cominciamo? "Prendiamo le comunità montane. Non nego che abbiano un ruolo. Ma quando leggo che ne fanno parte 4201 comuni, su un totale di 8101, mi risulta difficile pensare che il 51,8 per cento dei comuni italiani sia in montagna. Bisogna ridurne il numero, fissando per esempio un'altitudine minima. Magari dando di più, ma a chi ne ha davvero bisogno". E uno. Capitolo due? "Le circoscrizioni. Un prezioso strumento di partecipazione democratica, non discuto. Ma dubito che un comune di 50 mila abitanti abbia bisogno delle circoscrizioni, come invece accade. Facciamo che restano solo quelle nelle città sopra i 250 mila abitanti". Mi pare saggio. Terzo capitolo. "Le società controllate dagli enti locali. Sa quante sono? Settemilacinquecentotrentacinque. E ognuna ha il suo presidente, i suoi consiglieri, i suoi amministratori, il suo personale. Ci sono comuni che ne hanno 30, dalla promozione del turismo alla gestione delle aree. Non parlo delle municipalizzate che gestiscono i trasporti o i rifiuti, ma di tutto il resto". Che sarebbe? "Un mare magnum. Le faccio un solo esempio: le authority sui trasporti. Sarebbe una competenza delle province, basterebbe un assessorato ai trasporti. E invece si crea un'authority, con il suo presidente, i suoi consiglieri, le sue auto blu, il suo organico. Ma è un doppione. O si aboliscono i doppioni, o si aboliscono le province, che a questo punto non si capisce cosa ci stiano a fare". Ecco, e se lo abolissimo davvero, un ente barzotto come le Province? "Risparmieremmo un fracco di soldi, ma mi pare che la tendenza sia nella direzione opposta. E siccome io sono un riformista e non un rivoluzionario, lavoro affinché le Province si riprendano i compiti dei quali si sono spogliate". Rimangono le società comunali. Sono il frutto delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, o no? "Benissimo, ma allora non si capisce perché debbano essere al 100 per cento a capitale pubblico. A me viene il dubbio che siano solo delle scatole che servono a generare posizioni di potere. Stabiliamo che debbano essere obbligatoriamente a capitale misto, pubblico e privato, e vediamo quante sopravvivono". Ma le Regioni, le Province e i Comuni possono dirle: scusi, ma sono affari nostri, non volevate il decentramento, non parlavate di federalismo? "Questo è il problema. Dobbiamo trovare lo spazio politico per spingere gli enti locali a cambiare rotta. C'è un gruppo di lavoro tecnico-giuridico, a Palazzo Chigi, che sta lavorando proprio su questo". Mi dica qualcosa di concreto che avete già fatto, per tagliare i costi della politica. "Intanto abbiamo fatto un po' di pulizia in casa nostra. Quando siamo arrivati abbiamo trovato 600 comitati ministeriali. Ogni governo ne creava di nuovi, ma non chiudeva mai quelli vecchi. Noi li abbiamo ridotti a 345. Stabilendo la regola che durano al massimo tre anni. E' un risparmio di 20 milioni di euro". E cos'altro avete in cantiere, visto che non potete fare i conti in tasca agli onorevoli? "Tante cose, dalla riduzione del numero degli assessori all'abolizione dell'indennità di missione per gli amministratori locali. Le metteremo nel Dpef, e finiranno nella Finanziaria. Sempre che non decidiamo di accorparle in un disegno di legge sui costi della politica". Quello che avevate inserito nell'ultima Finanziaria è stato cancellato all'ultimo momento dai partiti. Cosa la spinge a essere ottimista sul prossimo round? "Il fatto che non metteremo in campo delle misure sparse, ma un progetto serio, magari partendo da un libro bianco. Il governo farà la sua parte, mettendo la questione sul tavolo. Poi toccherà ai partiti, prendersi le loro responsabilità e decidere se vogliono rischiare di essere travolti dall'ondata di anti-politica o se cogliere questa occasione per fare un'operazione di buona politica".


 

L’Unione Sarda 10-5-2007  La Corte costituzionale giudica "illegittima" la riduzione del 10% prevista in Finanziaria

 

Nessun taglio alle indennità dei politici La Corte costituzionale giudica "illegittima" la riduzione del 10% prevista in Finanziaria La Consulta salva gli stipendi di sindaci e consiglieri regionali --> La Consulta salva gli stipendi di sindaci e consiglieri regionali È illegittimo il taglio del 10 per cento previsto dalla Finanziaria 2006 delle indennità corrisposte agli esponenti degli organi politici regionali. Lo ha stabilito la Corte costituzionale, considerando fondata la questione sollevata dalla Regione Campania che aveva presentato ricorso contestando l' articolo 1, comma 54, della legge 23 dicembre numero 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge Finanziaria 2006). La norma prevede che "per esigenze di coordinamento della finanza pubblica" sono ridotti del "10 per cento le indennità di funzione spettanti ai sindaci, ai presidenti delle province e delle regioni, delle comunità montane, ai presidenti dei consigli circoscrizionali comunali, provinciali e regionali, ai componenti degli organi esecutivi e degli uffici di presidenza dei consigli dei citati enti". La consultaLa legge statale può prescrivere criteri e obiettivi, come ad esempio il contenimento della spesa pubblica - afferma la Consulta (sentenza numero 157, redattore Sabino Cassese) "ma non imporre alle Regioni minutamente gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi". Ciò si risolve in una "indebita invasione dell'area riservata dall'articolo 119 della Costituzione alle autonomie regionali". Il comma 54, osservano i giudici costituzionali, fissando una riduzione delle indennità per i titolari degli organi politici regionali "pone un precetto specifico e puntuale, comprimendo l'autonomia finanziaria regionale ed eccedendo dall'ambito dei poteri statali in materia di coordinamento della finanza pubblica". La Regione Campania aveva lamentato la lesione "sia della propria autonomia finanziaria sia di quella degli organi politici regionali" e aveva osservato che la violazione dell'autonomia finanziaria incide addirittura sull'autonomia degli organi regionali" ponendosi come strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni degli stessi". L'ex governoNel giudizio si era costituito il presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso fosse dichiarato inammissibile. La difesa erariale aveva fatto notare che la Finanziaria prevedeva la riduzione delle indennità mensili ai parlamentari, ai sottosegretari, per le consulenze, ai componenti degli organi di autogoverno della Magistratura, ai componenti della giustizia amministrativa della Regione siciliana e ai componenti del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. 10/05/2007 La Corte costituzionale ha giudicato illegittimo il taglio del 10% delle indennità corrisposte ai politici di Province, Comuni e Regioni. 10/05/2007.


 

 

Italia Oggi 10-5-2007 Gli staterelli della cuccagna.Franco Bechis.

 

Un miliardo ai consiglieri regionali. Nel Lazio quelli più costosi Con soli 306.700 euro all'anno si può conquistare il cuore di un consigliere regionale del Lazio; Poco meno e se ne paga uno in Calabria, tutto incluso ovviamente: indennità, straordinari, missioni, viaggi ecc. Fare il politico negli staterelli italiani, figurarsi il governatore, è diventato uno degli impieghi più pagati in Italia. Non proprio in tutta Italia, perché in Valle d'Aosta ci si deve accontentare di 138 mila euro: sono i politici-operai della penisola. Ma ormai siamo a livello di top manager, superando perfino i contestatissimi emolumenti dei deputati e dei senatori. Nel 2007 si spenderà 1 miliardo di euro per pagare i consigli regionali. Lo rivela un'inchiesta di ItaliaOggi (...) Tutti i particolari su come si può spendere con fantasia il denaro pubblico si possono leggere alle pagine 4 e 5 grazie alla minuziosa inchiesta di Stefano Sansonetti. Stipendi super, ma anche cuore generoso dei consiglieri regionali disposti (eclatante il caso del Lazio) a dividere con i propri cari o simpatizzanti tanto benessere. Esultano i portieri di palazzo in Campania, così cari a Sandra Lonardo in Mastella (presidente del Consiglio regionale) e alle truppe di Antonio Bassolino (ivi governatore). Si tengono svegli a forza di litri di caffè i dipendenti del consiglio regionale del Friuli venezia Giulia, guarda caso guidato da Riccardo Illy. è una delle regioni al top nelle spese per il servizio di caffetteria. Carissime le divise dei dipendenti del consiglio regionale della Sicilia. Evidentemente Gianfranco Miccichè (presidente del consiglio regionale isolano), dopo una vita votata al casual, ora ci tiene al look e alla forma dei suoi collaboratori e non bada a spese per assicurarlo. Ci sono nostalgici come Claudio Burlando, presidente della giunta regionale ligure, che stanziano centinaia di migliaia di euro per difendere i ”valori della Resistenza” (e chissà come...). Possiamo citarne all'infinito, ma non discuterne. E tanto meno appellarci al solito Romano Prodi per averne in cambio la decima promessa di moralizzazione della vita pubblica e di taglio dei costi della politica. Non si può. Anzi, è vietato. Vietatissimo. Lo ha stabilito proprio ieri la Corte Costituzionale che ha bocciato la norma della finanziaria 2006 che aveva stabilito una riduzione del dieci per cento delle indennità dei consiglieri regionali. Per una volta che ne avevano decisa una buona, è già nel cestino: spetta alle Regioni scegliere quel voto di castità, che non si può imporre dall'alto. Figurarsi se a qualcuno verrà in mente di farlo. Già si sente una vocina: prima diano il buon esempio deputati e senatori. Quelli che si sono tagliati del dieci per cento stipendi aumentati la notte prima della stessa misura. E che ora appoggiano le richieste salariali dei magistrati cui i loro stipendi sono automaticamente agganciati..

 


 

L’Unità 10-5-2007 A ciascuno il suo indulto Marco Travaglio

 

Ora che la Polizia segnala 1.952 rapine e 28.830 furti in più nei primi tre mesi di indulto, forse lorsignori la smetteranno di raccontare frottole. Ne abbiamo lette tante sulla legge di un anno fa che ha quasi dimezzato la popolazione carceraria. Un breve promemoria non guasterà, per difenderci in futuro da simili manipolazioni politico-mediatiche. La prima balla uscì alla vigilia del voto parlamentare: il ministro Mastella e un paio di sagaci sottosegretari diedero le stime di quanti detenuti sarebbero usciti abbuonando 3 anni ai condannati per reati commessi fino al 2 maggio 2006: "15 mila", non uno di più. Così chi, come D'Ambrosio, proponeva un abbuono di 1 o 2 anni fu zittito: per liberare 15 mila posti cella lo sconto doveva per forza essere di 3 anni (proprio quel che occorreva a Previti per uscire dai domiciliari). Ora si scopre che in 9 mesi sono usciti 26.201 condannati, più circa 10 mila imputati in custodia cautelare (senza contare le decine di migliaia che in carcere non sono più entrati): oltre il 100% in più di quelli preventivati. Il preventivo, insomma, era falso: con quello vero, il Parlamento avrebbe potuto limitare l'indulto a 1-2 anni, evitando di scarcerare tanti condannati a pene fino a 6 anni. Tra cui un certo onorevole. Altra bufala, la più spettacolare: quella sui recidivi, cioè sugli indultati rientrati in carcere. Prima erano "solo l'1%", poi "solo il 2%", poi "solo il 3%". Ora sono "solo il 12%" e chissà quanti tra un mese. Ma comunque è un calcolo che non sta in piedi. Intanto perché va fatto sul lungo periodo, non dopo pochi mesi: chi esce di galera senza alternative se non tornare alla vecchia professione, ha bisogno di tempo per riorganizzarsi. E poi l'attuale 12% non corrisponde al totale dei recidivi, ma ai recidivi che sono stati scoperti. Visto che il 90% dei delitti rimangono impuniti, quel 12 andrebbe moltiplicato, se non per 9, per una cifra molto vicina. In ogni caso, anche se per miracolo tutti i recidivi, nessuno escluso, fossero stati assicurati alla giustizia, l'avverbio "solo" suonerebbe lievemente stonato, soprattutto se si vuole come ci raccomanda il Quirinale, rispettare le vittime. Perché il 12% dei 26 mila indultati corrisponde a 3144 malfattori che, grazie all'indulto, hanno potuto tornare a delinquere, facendo almeno 3144 nuove vittime che senza indulto non sarebbero tali. Insigni esperti di nonsisachè ci spiegano poi che la recidiva post-indulto è infinitamente più bassa di quella dei detenuti scarcerati a fine pena: "solo il 12% contro il 60-70". Dunque l'indulto è molto meglio del carcere: fa diventare tutti più buoni. Da semplice eccezione, l'indulto potrebbe diventare regola. Tre anni di sconto a tutti i colpevoli per sempre: saldi di fine stagione. Il motto è già pronto: "sentenze virtuali, condannati (pardon, condonati) virtuosi. Purtroppo l'altroieri il ministero dell'Interno (che fa parte dello stesso governo del ministro della Giustizia) pubblicava i dati sugli aumenti dei delitti tra agosto e ottobre 2006, primi tre mesi di applicazione dell'indulto: mentre Mastella annunciava che "i reati sono in lieve ma costante diminuzione" (arrivò persino a dire che "Milano ha più omicidi di Napoli"), i reati come furto e rapina non facevano che aumentare, mentre fino al giorno dell'indulto erano in discesa. "Fino al mese di luglio ­ si legge nel rapporto del Viminale ­ i reati presentavano una leggera flessione: tra gennaio e luglio 2006 c'era stata una diminuzione di 1.048 rapine e di 23.323 furti rispetto allo stesso periodo del 2005". Poi, il 31 luglio, arrivò l'indulto. E si fece subito sentire: con un "tendenziale incremento dei reati predatori, quelli che più negativamente condizionano la percezione di sicurezza dei cittadini". Due mesi fa sul Foglio Sofri, beneficiario dell'indulto, sbeffeggiava chi scrive e Curzio Maltese per aver osato sostenere che le carceri si stanno riempiendo come prima. Ora lo sostiene anche il Dap: siamo di nuovo ai limiti dei posti cella (42.702 detenuti su 43.500 posti), e il dato aumenterà ancora perchè gli uscenti sono meno degli entranti. Forse perchè in Italia il problema non sono i troppi detenuti. Sono i troppi delinquenti. Uliwood party.

 


 

La Stampa 10-5-2007      Pensioni, Padoa-Schioppa: "Vera riforma o resta scalone"

 

Parte male il tavolo su pensioni e welfare. Il ministro gela i sindacati e la sinistra radicale insorge

ROMA
Il confronto sulle pensioni parte male. Il tavolo di concertazione tra Governo e parti sociali, che si è aperto a Palazzo Chigi, ha evidenziato la frattura tra la sinistra radicale e il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, sui temi più caldi: scalone e coefficienti. Ma ha anche confermato le distanze tra esecutivo e sindacati, che hanno chiesto di rivedere i parametri con cui viene calcolata la spesa previdenziale e ribadito che i 2,5 miliardi di euro (una quota del tesoretto) messi a disposizione dal ministro dell’Economia per i vari capitoli della concertazione «sono insufficienti».

Neanche le aperture sui coefficienti del ministro del Lavoro, Cesare Damiano, hanno soddisfatto in pieno Cgil, Cisl e Uil. Se infatti Damiano ha lasciato una porticina aperta su questo argomento, ci ha pensato Padoa-Schioppa a chiuderla immediatamente a chiave, avvertendo che senza un accordo entro giugno scatta l’applicazione dello scalone e dei nuovi coefficienti previsti dalle riforme Maroni e Dini.

Parole, quelle del ministro dell’Economia, che hanno provocato la reazione della sinistra. «Le dichiarazioni di Padoa-Schioppa - ha commentato il capogruppo alla Camera di Rifondazione comunista, Gennaro Migliore - non rappresentano nè la posizione dell’Unione nè possono rappresentare la posizione del Governo». Dino Tibaldi (Pdci), componente della commissione Lavoro del Senato, ha invece osservato che continuare a insistere sull`esigenza di aumentare l`età pensionabile e di rivedere i coefficienti «è una scelta di politica economica scellerata».Manuela Palermi, capogruppo a Palazzo Madama del gruppo Verdi-Pdci, ha inoltre invitato «alcuni ministri a regolare meglio il rapporto con la propria maggioranza» ribadendo il no allo ’scalonè e ai coefficienti.

L’esecutivo vorrebbe chiudere il confronto prima della presentazione del Documento di programmazione economica e finanziaria. Per il momento, però, appare complicato trovare una sintesi sia all’interno del Governo che tra l’esecutivo e i sindacati. «Prima di dire al sindacato cosa fare - ha dichiarato il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, rivolgendosi a Padoa-Schioppa - dico al ministro di chiedere al Governo se riesce a presentarsi con una sola voce al confronto. Noi siamo nella condizione di farlo, lo faccia anche il Governo». La Cisl si è detta pronta a discutere dello scalone, di come superarlo e di come aumentare gradualmente l’età solo su base volontaria. E ha confermato il no a una revisione dei coefficienti secondo i parametri definiti dalla legge Dini. Il ’congelamentò dei coefficienti ha soddisfatto solo in parte anche il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, che ha ribadito come su questo tema il sindacato sia unito a differenza di quanto accade nell’esecutivo.


Il Corriere della sera 10-5-2007 Occupazione Sorbona: studenti contro Sarko Appello ai lavoratori: «Unitevi a noi» Alessandra Coppola

 

Lo sciopero approvato da 800 universitari. Il principale sindacato si dissocia

               

 

DAL NOSTRO INVIATO
PARIGI — Non ha fatto ancora in tempo a insediarsi Nicolas Sarkozy e già deve affrontare la prima occupazione della sua presidenza. Un'assemblea di 800 studenti della Sorbona ha votato ieri lo sciopero e la chiusura della sede di Tolbiac, nel Sud-Est di Parigi. Appello ai lavoratori: «Unitevi a noi. Mettiamo insieme le forze per combattere la politica liberale, autoritaria e razzista» della destra. Per il nuovo inquilino dell'Eliseo si annunciano cinque anni difficili. Vero che Tolbiac è roccaforte degli studenti della sinistra più dura e arrabbiata, che viene scelta spesso per le occupazioni perché è una sorta di torre facile da bloccare: l'unico accesso alle aule è attraverso gli ascensori, chiusi quelli non sale più nessuno. E vero anche che il principale sindacato degli studenti, l'Unef, si è dissociato: «Troppo presto — ha detto il presidente Bruno Julliard — manifestazioni con l'unico scopo di contestare la vittoria dell'Ump rischiano di essere controproducenti».

Ma non vanno sottovalutate. Innanzi tutto perché contro le misure per l'università disegnate nel programma di Sarkozy già si erano espressi in campagna elettorale molti rappresentanti degli studenti, di varia provenienza. E potrebbe ricompattarsi tutto il fronte anti-Cpe (il contratto primo impiego) che aveva segnato la sconfitta l'anno scorso del governo Villepin (con l'uscita di scena del premier dalla corsa all'Eliseo) e aveva costretto all'intervento lo stesso Chirac, con il risultato di una sostanziale abolizione della misura. L'idea contestata del nuovo presidente è quella di fare per l'insegnamento superiore «uno sforzo complessivo di 15 miliardi di euro in cinque anni», ma accordando «un'autonomia reale alle università». E qui che si appunta la critica degli studenti: all'«autonomia» e al modo in cui Sarkozy la disegna.

Il leader della destra ha in sostanza l'idea di liberalizzare il sistema. Si prefigge di «rinnovare la governance » degli Istituti, e propone tra l'altro «un consiglio di amministrazione più solido e aperto al mondo esterno, un presidente eletto per quattro anni con poteri rafforzati». Una sorta di supermanager, sembrerebbe. Da cui la risposta-slogan degli studenti dell'Unsa, tra gli altri: «No, Signor Sarkozy, le università non sono imprese!». A questi movimenti si salda la preoccupazione delle periferie. Sugli incidenti tra domenica e lunedì il ministero degli Interni ha minimizzato, ma la sensazione è che il migliaio di auto bruciate nelle banlieue, più gli scontri in molte città (per lo più grandi centri universitari), più l'occupazione di ieri, insieme ai mugugni che già si avvertono dal mondo sindacale, siano sì episodi isolati, ma anche possibili assaggi di qualcosa che verrà.

10 maggio 2007


 

La Repubblica 10-5-2007 E la sinistra di Mussi lancia la "Festa d'Aprile" GOFFREDO DE MARCHIS

 

IL RETROSCENA Farà concorrenza a quella dell'Unità . Primi appuntamenti a Orvieto e Livorno il mese prossimo Ds già al lavoro per la kermesse nazionale che quest'anno torna a Bologna ROMA - Nascerà a giugno ma si chiamerà Festa d'Aprile. Sarà la kermesse di Sinistra democratica, la costola dei diessini anti-Partito democratico guidata da Mussi e Angius. Aprile come il giornale on line dell'ormai ex correntone della Quercia. Ma anche, simbolicamente, "Festa d'Aprile" come una celebre canzone della Resistenza scritta dal partigiano Franco Antonicelli. "Forza che è giunta l'ora, infuria la battaglia per conquistare la pace, per liberare l'Italia; scendiamo giù dai monti a colpi di fucile; evviva i partigiani! è festa d'Aprile", recita il ritornello. Il mese prossimo i primi due appuntamenti: ad Orvieto e a Livorno, la città della prima grande scissione della sinistra italiana. Saranno manifestazioni organizzate a livello locale. In queste ore invece il gruppo dirigente pensa al grande momento d'incontro nazionale da celebrare dopo l'estate. In concorrenza con la festa dell'Unità. La tradizionale iniziativa che fu del Pci e ora è dei Ds non scompare, anche se il Pd è alle porte. Il tesoriere del Botteghino Ugo Sposetti lo ripetuto in tutte le salse, anche nel modo brusco che gli è congeniale. "La festa non si tocca. è un marchio che funziona da decenni. è come la Nutella, guai a chi la mette in discussione". A Via Nazionale, la sede della Quercia, sono già partite le riunioni tecniche per preparare il terreno a un appuntamento che giocoforza non potrà essere lo stesso di sempre. Dovrà tenere insieme la passione dei militanti di sinistra per un appuntamento identitario e il futuro che corre verso il Pd. Ed è proprio questo che preoccupa i Ds. La fase di transizione rischia infatti di appannare il significato della festa, di raffreddare il calore della gente diessina e dunque di ridurre in parte il prezioso contributo dei volontari. Volontari, per meglio dire, indispensabili. Per il successo della festa, che però non è solo d'immagine, ma rappresenta una fonte di finanziamento consistente per i Ds. Questa festa in mezzo al guado (la kermesse nazionale torna a Bologna dopo aver girato un po' l'Italia, nel capoluogo emiliano gli incassi sono più garantiti) dunque va studiata per bene. Nelle difficoltà diessine cercano di infilarsi i transfughi. La festa d'Aprile, per loro vuole dire anche un lancio in grande stile del movimento Sinistra democratica, la possibilità di farsi conoscere e un luogo, più luoghi, dove raccogliere adesioni e fondi. I soldi sono il primo scoglio. Con la costituzione dei gruppi parlamentari (la prossima settimana verranno eletti i presidenti) la nuova forza potrà contare su un fido di 600 mila euro solo per la Camera. Cioè la cifra che deriva dai contributi ai singoli parlamentari (in tutto saranno 24) durante l'anno. Poi ovviamente vanno reperiti altri finanziamenti. E i tra i primi impegni di Sd c'è la ricerca di un tesoriere. Ma oltre ai problemi tecnico-organizzativi, Sinistra democratica è alle prese con il primo braccio di ferro della sua storia, quello sul capogruppo della Camera. Al Senato è certa l'investitura di Cesare Salvi, dissidente che da tempo guarda a sinistra, in particolare a Rifondazione. A Montecitorio, per mantenere l'equivicinanza con i socialisti, l'ex Psi Valdo Spini è deciso a giocare fino in fondo le sue chance. Sul nome di Spini però si è aperta una lotta intestina. Molti giurano che con il voto segreto quel nome non passerebbe mai. Le donne di Sd, che sono molte, chiedono un segnale di rinnovamento e una compagna alla presidenza del gruppo. I nomi sono quelli di Fulvia Bandoli o Katia Zanotti. Spini però è stato netto: se non fa il capogruppo lascia Sinistra democratica. E apre una questione politica dentro il neonato movimento che punta a un dialogo aperto a tutto campo con le forze di sinistra.


 

Europa 10-5-2007 Le due piazze del 12 maggio e la Rai: monitoriamo eventuali faziosità di regime FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, martedì sera a Ballarò, in una interessante trasmissione sui problemi delle famiglie, c’è stato chi, come Formigoni o la segretaria dell’Ugl (sindacato di destra) ha parlato anche di piazza San Giovanni. Non altrettanto – a meno di mia distrazione – si è fatto per ricordare che nello stesso giorno c’è anche l’altra manifestazione a piazza Navona, come il vostro giornale ricorda da giorni. Con quali intenzioni la Rai si avvia al sabato dello scontro?
Vito Dell’Eramo, Napoli

Premetto, caro Dell’Eramo, che non ci sarà nessuno scontro. In entrambe le piazze il tema è quello della famiglia e dei suoi diritti: a San Giovanni i cattolici parleranno in nome della famiglia tradizionale (nella quale più o meno tutti siamo nati e che poi abbiamo riprodotto a nostra volta); a piazza Navona i laici – tra cui chi le scrive – difenderanno egualmente le ragioni della famiglia, ma come essa è oggi, col divorzio non più riservato solo ai graziati della Sacra Rota, con la possibilità per gli ex coniugi di risposarsi, col nuovo diritto di famiglia che mette uomini e donne sullo stesso piano giuridico, con l’aborto legale che sottrae mogli, compagne, conviventi all’infamia delle mammane e alla rapina dei medici “cucchiai d’oro”, tutti sottoscala e devozione. Non dunque, famiglia da una parte e sfasciafamiglia dall’altra, ma due modi diversi, quello codificato negli ultimi nei secoli e quello dinamico nella storia, d’intendere e realizzare la coppia e la generazione. Donde, quanto meno, la pari dignità concettuale delle due posizioni, anche se la delicatezza del problema, caricato della passionalità indotta dal tardivo revanchismo clericale e dalla non meditata reazione anticlericale, avrebbe dovuto consigliare più prudenza ai governanti. Per esempio, se i Dico per i conviventi fossero stati discussi non prima ma insieme a sostanziosi provvedimenti che la famiglia (ogni famiglia) attende da sempre, non sarebbe sorta la questione delle piazze; e la Conferenza della Famiglia indetta a Firenze dall’amica Rosy Bindi non si vedrebbe oggi costretta a evitare inviti alle famiglie di fatto o alle coppie omosessuali. Quanto alla Rai, la “diretta” da piazza San Giovanni, senza escludere ovviamente piazza Navona, è stata chiesta in commissione parlamentare di vigilanza da un deputato di centrosinistra, l’on. Giulietti, in nome dell’articolo 21 della Costituzione (libertà di manifestare il proprio pensiero). È appena il caso di ricordare che quando, un mese fa, i gay chiesero la diretta per la loro manifestazione pro-Dico (sempre un po’ goliardica, per non dire carnevalesca), Viale Mazzini pretese che nello studio di Rai Tre fosse assicurata la presenza teocon, Buttiglione in testa, per garantire il pluralismo delle voci. Fece bene, e altrettanto deve fare stavolta: garantendo la diretta dalle due piazze e la presenza di opinioni plurali negli studi che le commenteranno. Dipende anche da noi utenti e contribuenti.
Per esempio, se la censura a danno delle famiglie laiche fosse confermata, potremmo portare a piazza Navona vecchi televisori in disuso e farne un rogo. Dopo tanti roghi (di libri e non solo) contro la libertà, potremmo farne uno (di media) per la libertà. E per le nostre cantine da svuotare.


INDICE 9-5-2007

 

+ La Repubblica 9-5-2007 Il Papa:"La Chiesa non fa politica. Giusta la scomunica per l'aborto" 1

+ La Stampa 9-5-2007 Pensioni, Padoa-Schioppa: "Senza accordo resta scalone" 2

+ Il Corriere della Sera 9-5-2007 Monito del presidente Napolitano: «Se viene buttato via la pagheremo cara. Scandalosa la mancata ratifica della Gb» «Dalla Francia contributo positivo per uscire dall'impasse»  3

Europa 9-5-2007 Perché dopo dodici anni la destra in Francia cambia e in Italia no?  FEDERICO ORLANDO RISPONDE  3

L’Unità 9-5-2007 Sarkoqui, Sarkolà. Marco Travaglio  4

Il Riformista 9-5-2007 INDIGNAZIONI Prodi, Telecom e il mercato aperto  4

La Repubblica 8-5-2007 Perugia, per corruzione in atti giudiziari arrestati 2 magistrati e 2 costruttori. Colpiti da ordinanze di custodia (insieme ai due imprenditori) il sostituto procuratore generale della Cassazione, Vincenzo Maccarone, e un consigliere di Stato  5

Il Sole 24 Ore 9-5-2007"Il Governo regolatore forte, non intrusore" Mario Margiocco  5

Il Corriere della Sera 9-5-2007 Se la rivoluzione arriva anche in Italia La scoperta di merito e concorrenza. Danilo Taino  6

La Stampa 8-5-2007 Indulto, dopo 9 mesi il 12% è tornato in cella. La Regione con il primato del maggior numero di scarcerati grazie all’indulto è la Lombardia  7

Italia Oggi 9-5-2007 Ai politici 200 milioni in più Finita in nulla la promessa di Prodi di ridurre i costi del sistema. di Franco Bechis  8

 


 

+ La Repubblica 9-5-2007 Il Papa:"La Chiesa non fa politica. Giusta la scomunica per l'aborto"

Viaggio apostolico di Benedetto XVI in Brasile, è il sesto internazionale
Il messaggio di Napolitano: "saprà riaffermare i valori di dignità e solidarietà"

"La Chiesa come tale non fa politica, rispettiamo la laicità, ma la Chiesa indica le condizioni in cui i problemi sociali possono maturare". Lo ha detto il Papa sull'aereo che lo sta portando in Brasile, aggiungendo che quella della Chiesa "è una missione religiosa, ma apre a soluzione dei grandi problemi sociali".

Benedetto XVI è partito questa mattina per San Paolo: si tratta del sesto viaggio internazionale del Pontefice, che lo porta in Brasile in occasione della V Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi.

Scomunica per l'aborto. Il Pontefice ha anche toccato il tema della scomunica che i vescovi del Messico hanno indicato come sanzione per i politici che hanno approvato la liberalizzazione dell'aborto a Città del Messico. "Non era una cosa arbitraria: è prevista dal Codice di diritto canonico. Sta nel diritto - ha detto il Papa - che l'uccisione di un bimbo è incompatibile con il nutrirsi del corpo di Cristo, i vescovi non hanno fatto niente di arbitrario e hanno solo messo in luce ciò che è previsto dal diritto della Chiesa".

Teologia della liberazione. Dall'aereo il Papa ha anche parlato della teologia della liberazione. Nella Chiesa "c'è spazio per un dibattito legittimo su come creare le condizioni per la liberazione umana e su come rendere efficace la dottrina della Chiesa e indicare le condizioni umane e sociali, le grandi linee in cui i valori possono crescere". Benedetto XVI ha osservato che "è profondamente cambiata la situazione" in cui la teologia della liberazione è nata: "E' evidente che i facili millenarismi che credono di poter realizzare da una rivoluzione le condizioni per una vita completa, erano sbagliati, questo ora lo sanno tutti e il punto è come la Chiesa debba essere presente nella lotta per la giustizia: su questo si dividono teologi e sociologi".
"Preoccupanti le sette pentecostali". La diffusione delle sette pentecostali in America Latina è "nostra comune preoccupazione e l'assemblea generale dei vescovi vuole trovare risposte convincenti per questo, e già si lavora a questo", ha detto ancora il Papa, aggiungendo che queste formazioni religiose dimostrano "che c'è sete di Dio, che le persone vogliono essere vicine a Dio e che cercano un appoggio dal cristianesimo per la soluzione dei loro problemi di vita".

"Rilanciare il messaggio di Giovanni Paolo II". Sull'aereo il Papa ha anche ricordato la "grande lotta della Chiesa per la vita, di cui Giovanni Paolo II ha fatto un punto fondamentale del suo pontificato" e ha sottolineato che "questo messaggio che la vita è un dono e non una minaccia, messaggio che sta alla radice di queste legislazioni" dev'essere rilanciato dalla Chiesa.

Il messaggio di Napolitano. In occasione del suo viaggio, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha inviato al Papa un messaggio nel quale lo ringrazia per la tradizionale comunicazione augurale indirizzatagli questa mattina dal Pontefice e, sottolineando il processo di crescita del Brasile e le sue contraddizioni si dice certo che la parola del Papa, in questo viaggio, "saprà ancora una volta riaffermare i valori di dignità della persona e di solidarietà posti al centro della sua alta missione apostolica".


+ La Stampa 9-5-2007 Pensioni, Padoa-Schioppa: "Senza accordo resta scalone"

 

Non fare l’accordo significherebbe «perdere un’occasione per fare due cose fondamentali: ammortizzatori sociali e aumento delle pensioni»

ROMA
«I tempi per la chiusra del tavolo sul Welfare sono molto vicini al limite, che è fine giugno. La conseguenza di un mancato accordo sarebbe l’applicazione dell’attuale legislazione con lo scalone e la revisione dei coefficienti». È questo il monito che è giunto dal ministro dell’Economia e delle finanze, Tommaso Padoa-Schioppa, al tavolo sul Welfare in corso a Palazzo Chigi.

Non fare l’accordo significherebbe «perdere un’occasione formidabile per fare due cose fondamentali: ammortizzatori sociali per i giovani e aumento delle pensioni minime».

La trattativa sul welfare è come un pranzo al ristorante nel quale la fattura non può eccedere 2,5 miliardi. Il ministro ha fatto l’esempio del conto del ristorante per il costo degli interventi sul welfare. Se Governo e parti sociali non faranno l’accordo entro giugno sulla riforma del sistema previdenziale sarà applicata la legislazione vigente ovvero lo scalone (il passaggio e la revisione al ribasso dei coefficienti). È come un menù al ristorante, ha spiegato il ministro, a fianco di ogni piatto c’è un prezzo. Così avviene per gli interventi. La fattura del ristorante non può eccedere i 2,5 miliardi.

IL PRESIDENTE DEI DEPUTATI DEL PRC: «NON E' LA POSIZIONE DEL GOVERNO»
«Le dichiarazioni di Padoa Schioppa non rappresentano nè la posizione dell’Unione nè possono rappresentare la posizione del governo. È una assurdità cominciare una trattativa con le parti sociali portando una posizione pericolosa per la stessa coesione del governo». È quanto afferma Gennaro Migliore, presidente dei deputati di Rifondazione comunista. «Padoa Schioppa già l’anno scorso voleva tagliare le pensioni: è stato sconfitto una volta e la sua proposta non passerà neanche questa. Il vero costo della politica che bisognerebbe ridurre da parte del governo -continua Migliore- è dato dalle dichiarazioni non concordate e non condivise di Tommaso Padoa Schioppa. Le decisioni sulle risorse devono essere una scelta condivisa e collegiale. Ora bisognerebbe invertire l’ordine dei fattori: al risanamento vadano 2,5 miliardi, al risarcimento sociale 7,5».


+ Il Corriere della Sera 9-5-2007 Monito del presidente Napolitano: «Se viene buttato via la pagheremo cara. Scandalosa la mancata ratifica della Gb» «Dalla Francia contributo positivo per uscire dall'impasse»

«Senza trattato Europa si sconfessa»

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Ap)

ROMA - Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, torna a insistere sulla necessità per l'Ue di uscire dalla crisi e di rilanciare il Trattato di Costituzione europea. Incontrando al Quirinale alcune scuole in occasione della Festa dell'Europa, il capo dello Stato ha ribadito che «se, dopo averci lavorato per anni, questo Trattato viene buttato via e si ripiega sulla soluzione meschina di includere quello che si può nei vecchi Trattati quel che si può del nuovo questa sarebbe a mio avviso una clamorosa sconfessione dell'Europa e la pagheremmo cara». Il presidente ha poi sottolineato di essere «fiducioso» sul contributo che Parigi potrà dare per uscire dall'impasse: «Credo che possa venire un contributo positivo da parte della Francia per superare questo momento e lo attendiamo con fiducia». Il presidente della Repubblica definisce «scandaloso» che la Gran Bretagna, dopo aver firmato il Trattato costituzionale europeo, non lo abbia ancora ratificato.

09 maggio 2007

 


Europa 9-5-2007 Perché dopo dodici anni la destra in Francia cambia e in Italia no?  FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, dopo i dodici anni della monarchia di Chirac, la Francia ha cambiato sovrano. Sempre di destra, cioè della stessa dinastia, ma un nuovo sovrano, con un consenso rafforzato, mi pare, rispetto a quello del declinante predecessore. Ora mi domando perché in Italia la monarchia di Berlusconi, che dura nella destra da quattordici anni, non riesca a cambiare il monarca.
Eppure non mancano i principini ultracinquantenni, più o meno coetanei di Carlo d’Inghilterra. Mi sapete spiegare perché?
Sibilla Di Lauro, Napoli

 

Cara amica, lei è una Sibilla molto chiara, e ciò mi aiuta a sciogliere i suoi enigmi. Pier Ferdinando Casini, appunto uno de i principini, ha dichiarato la sera stessa del ballottaggio che Sarkozy ha vinto perché ha sfidato il vecchio presidente Chirac, che non lo voleva. Non so se Casini pensasse a stesso e a Berlusconi, mentre diceva quelle parole, ma direi di sì. In ogni caso è vero che le successioni non sono mai pacifiche.
Nemmeno De Gasperi, esaurito il centrismo nelle elezioni del l953, voleva andarsene. Nemmeno Malagodi, La Malfa, De Martino che avevano ridotto i loro partiti al lumicino pensavano di farsi da parte. Ci vollero le rivolte, spesso tardive, dei giovani (si fa per dire) leoni (anche questo si fa per dire). Berlusconi è e resterà il leader della destra fino a quando i suoi aspiranti successori, invece di spiegare agli italiani che la democrazia pretende, per esempio, soluzioni integrali del conflitto d’interessi e del monopolio dei media, faranno blocco col vecchio capo conflittuale e monopolista, accreditando la sua favola del killeraggio e della persecuzione da parte della sinistra. Se questa lo perseguita, perché il popolo di destra non dovrebbe stringersi intorno al capo fondatore e perseguitato? Parlando come lui “contro la sinistra”, invece di spingerlo ad aprire un confronto con questa, Fini e Casini contribuiscono a mantenere Berlusconi nella botte di ferro per cui, se si fanno le leggi, è un perseguitato, se non si fanno si dimostra che il più forte è lui. E allora perché sostituire il più forte con mezze tacche incapaci di autonomia, e speranzose, come certi disoccupati napoletani, che la pappa della successione reale gli cada in bocca, mentre prendono il sole a Mergellina? Naturalmente, non è solo l’inettitudine dei principini a rendere eterna la monarchia berlusconiana nella destra e temo nel paese, ma anche l’inettitudine del centrosinistra a parlare ai cittadini di cose nuove: valorizzazione della casa, riduzione delle tasse per sviluppare produzione, commerci, famiglie, occupazione; sicurezza in strada e a casa, scuola con insegnanti capaci, sanità con medici all’altezza e Nas e giudici ad ogni stanza, stipendi e promozioni per merito e non per anzianità, pensioni più tardi e orari di lavoro più lunghi, progetti di accompagnamento dei giovani (prestiti d’onore per gli studi, per acquisto della casa, per apertura di studi professionali o attività economiche) eccetera eccetera. Lei mi dirà: ma queste cose le vuole o le dice anche la destra, dov’è la differenza? La differenza è nei diritti civili, che la destra non vuole e la sinistra dovrebbe volere.
O no? Perché, se la sinistra non li vuole, allora che senso avrebbe cambiare dinastia?


 

L’Unità 9-5-2007 Sarkoqui, Sarkolà. Marco Travaglio

 

Ora che Sarkozy ha vinto in Francia, in Italia saltano tutti sul carro del vincitore. Anche quelli che fino all'altroieri stavano su quello di Ségò a portar sfiga. Nella destra all'italiana, Bellachioma in testa, son diventati tutti più sarkoziani di Sarkò, dimenticando che Sarkò non si è mai alleato coi fascisti né coi nazisti, mentre i nostri sì; che lui ha difeso i Pacs, mentre i nostri sono contrari persino ai Dico; che lui ha difeso i gay dagli attacchi del Vaticano, mentre i nostri li brucerebbero; che lui ha annunciato il ritiro dall'Afghanistan, mentre da noi nemmeno la sinistra oserebbe tanto; che lui le ha cantate a Bush anche sul clima, mentre i nostri non sanno nemmeno cosa sia. Ma dove i nostri provincialotti danno il meglio di sé è sul tema della legalità e dei doveri. Come ha scritto Michele Serra, "abbiamo la destra più antilegalitaria del mondo" che esalta il legalitario Sarkozy: uno che, a sentirlo parlare, se gli capitasse a tiro un Bellachioma, un Previti o un Dell'Utri, chiamerebbe la Gendarmerie. Qui destra e sinistra si tengono da un anno alla Camera un pregiudicato interdetto dai pubblici uffici, con l'aggiunta di altri 24 condannati e una sessantina di inquisiti. Perfino Mastella è un fervente ammiratore di Sarkò. Pare sia lo stesso Mastella che, nella sua qualità di ministro della Giustizia,ha fatto sapere al Brasile che può tranquillamente estradare il pluriomicida Cesare Battisti perché tanto, da noi, le condanne sono un'opinione e anche l'ergastolo è trattabile. Poi, quando i parenti delle vittime han protestato, li ha tranquillizzati spiegando che ha dovuto dire così per farselo consegnare. Da qualche giorno lo assiste l'ottimo Gianpaolo Nuvoli, quello che voleva impiccare Borrelli a un lampione e dava dell'assassino a Caselli, poi è stato condannato per diffamazione a ben 400 mila lire, ma non ha mai pagato nemmeno quelle. Appena s'è saputo che era a spasso, Mastella l'ha promosso direttore generale del ministero della Giustizia. Poi, naturalmente, tutti sul palco di Sarkozy a predicare legge e ordine. L'altra sera a Report è bastata un'intervista di tre minuti a un giudice francese per capire di che stiamo parlando: "Da noi la prescrizione scatta 3 anni dopo un reato minore, 10 anni dopo un reato grave, mai dopo un omicidio o una strage, ma solo se restano impuniti. Se viene incriminato qualcuno, la prescrizione s'interrompe fino al termine del processo. Così nessuno ha interesse a tirare in lungo e ai colpevoli conviene patteggiare". Basterebbe una legge di tre righe per farlo anche da noi, così si riuscirebbe persino a cancellare la ex-Cirielli e a rispettare almeno una delle 13.947 promesse elettorali dell'Unione. Ma pare brutto, e nessuno ci pensa. Così in Francia la prescrizione è a quota zero, in Italia falcidia un quarto dei processi. Ci vuole Sarkò per capire che il problema non sono le pene scritte nel codice, ma la certezza che vengano applicate? Che una giustizia che non spaventa i malfattori produce nuovi malfattori e li importa pure dall'estero? Che siamo il paradiso dei delinquenti, colletti bianchi e colletti neri, stranieri e nostrani? Quanti esaltano il programma "legge e ordine" di Sarkò sono gli stessi che fino all'altroieri la menavano con le "troppe intercettazioni" e i "troppi detenuti" (rispetto a cosa?), anziché con i troppi reati e i troppi delinquenti. Gli stessi che ripetono "in carcere ci sono troppi tossicodipendenti ed extracomunitari", come se in Italia si arrestasse la gente perché si droga o per il colore della pelle. Gli stessi che un anno fa, con l'indulto extralarge, hanno liberato 30 mila furfanti e per 10 anni costringeranno la polizia e le Procure a indagare inutilmente, e i giudici a processare gente che, se colpevole, sarà condannata a pene virtuali. Intanto Cofferati, che ha preteso il rispetto della legge prima dagl'imprenditori (articolo 18) e poi dagl'immigrati e dai teppisti (le politiche per la sicurezza a Bologna), ha preso sberle da destra e da sinistra. Gherardo Colombo ha lasciato la toga denunciando la morte della legalità nell'indifferenza generale. E chi, in questi anni, ha parlato di legalità su MicroMega, l'Unità, Repubblica, Diario, in qualche oasi felice della tv o in piazza, è stato massacrato come criminoso, demonizzatore, forcaiolo, giustizialista, girotondino dagli stessi che ora s'innamorano della legalità perché l'ha detto Sarkò. A proposito: che sia un girotondino anche lui? Uliwood party.

 


 

Il Riformista 9-5-2007 INDIGNAZIONI Prodi, Telecom e il mercato aperto

Difendersi è sempre legittimo, perfino da colpevoli. Ma indignarsi, anche solo da sospettati, in certi frangenti è davvero troppo. È questo il caso, ci pare, delle parole che ieri Romano Prodi ha vibrato per tornare ancora una volta sulla vicenda Telecom, e per autocertificare, ancora una volta, la neutralità dell’azione di governo, e la propria, rispetto alla lenta evoluzione della vicenda giunta all’epilogo circa dieci giorni fa. In particolare, il premier non ha temuto di usare parole forti contro chi ha messo in dubbio l’apertura del nostro paese agli investitori stranieri. Un’apertura che, secondo gli accusatori colpiti dagli strali di Prodi, nel corso della vicenda Telecom sarebbe stata ostacolata proprio dal Professore e dal suo governo. Dalle sue manovre, dalla sua rete di potere politico, dal solido asse costruito a livello internazionale con Zapatero, dagli antichi rapporti che intrattiene col mondo delle banche, della finanza e dell’industria italiana. Che la regìa prodiana a un’operazione di mercato sia stata apertamente enfatizzata, non c’è alcun dubbio. Che la polemica, sul piano politico, abbia assunto toni eccessivi e pretestuosi, è pure vero. Ma lanciarsi a definire addirittura «indecente» la contestazione, e la naturale dialettica scatenata da una vicenda così contorta, ci pare francamente eccessivo. Prodi, ad esempio, vanta l’ingresso di Telefonica come segno dell’apertura del mercato italiano. Sembra dimenticare che è un ingresso minore rispetto a quello cui ambiva, in un primo momento, il colosso spagnolo che trovò resistenze di varia natura, anche sul piano politico.
E ancora, Prodi vorrebbe vedere tradotta la vicenda Telecom in America dove - è vero - esistono paletti ben rigidi, soprattutto nel campo delle tlc, per l’ingresso del capitale straniero. C’è però una differenza: là i limiti li fissa la legge una volta per tutte. E qui?

 


 

La Repubblica 8-5-2007 Perugia, per corruzione in atti giudiziari arrestati 2 magistrati e 2 costruttori. Colpiti da ordinanze di custodia (insieme ai due imprenditori) il sostituto procuratore generale della Cassazione, Vincenzo Maccarone, e un consigliere di Stato


PERUGIA - Due magistrati - uno in servizio presso la Cassazione, l'altro al Consiglio di Stato - sono stati arrestati questa sera, su ordine del gip di Perugia, insieme a due costruttori del capoluogo umbro. A carico dei quattro verrebbero ipotizzati i reati di associazione per delinquere e corruzione in atti giudiziari.

I provvedimenti sono stati eseguiti in serata, tra Perugia e Roma. Uno degli arrestati è il costruttore perugino Leonardo Giombini; l'altro imprenditote è Carlo Gradassi. Il terzo destinatario è il sostituto procuratore generale della Cassazione Vincenzo Maccarone; e poi c'è il consigliere di Stato Lanfranco Balucani. Per tutti il gip ha disposto il divieto di incontro con i difensori. Dopo l'arresto Giombini è stato condotto per accertamenti in ospedale, e quindi portato al carcere di Perugia.

E, a quanto sembra, l'inchiesta ruoterebbe proprio intorno alla figura di Giombini. Il costruttore venne arrestato, sempre dalla Guardia di finanza, il 29 maggio dell'anno scorso, per un presunto giro di fatture per operazioni inesistenti per più di nove milioni di euro. Tornò libero dopo 71 giorni di carcere, ma nel provvedimento con il quale fu autorizzato a uscire dal carcere il gip aveva sottolineato che il quadro indiziario emerso era comunque "ampiamente confermato".

Al centro della nuova fase dell'inchiesta perugina ci sarebbero alcuni aspetti dell'attività dei due magistrati e i loro presunti rapporti con Giombini. Accertamenti che al momento sono coperti dal massimo riserbo. Intanto domani, davanti al tribunale del riesame di Perugia, è in programma l'udienza nella quale verrà esaminato il provvedimento con il quale gli stessi giudici avevano confermato il sequestro preventivo di parte delle azioni della Giombini costruzioni, disposto dal gip su richiesta della Procura. Decisione poi annullata con rinvio dalla Cassazione, che aveva accolto un'istanza dei difensori del costruttore.


 

Il Sole 24 Ore 9-5-2007"Il Governo regolatore forte, non intrusore" Mario Margiocco

 

MILANO L a svolta attesa in Europa, e attesa in particolare dopo il voto presidenziale francese, si è avvertita ieri sera a Milano. "Abbiamo fatto due anni di lutto, e in qualsiasi società chiusa dopo due anni di lutto si va avanti", figuriamoci in una società aperta, ha detto il presidente del Consiglio Romano Prodi partecipando ieri sera all'inaugurazione dei quattro giorni di Forum su Economia e società aperta organizzati a Milano, in varie sedi cittadine, da Università Bocconi e Corriere della Sera.Il cammino europeo deve riprendere, dopo la bocciatura francoolandese della Costituzione Ue. La riforma istituzionale dell'Unione europea "è indispensabile"e la presidenza tedesca dovrebbe stabilire un tracciato che la realizzi entro il 2009, ha detto il presidente della Commissione Ue, José Barroso, che con Prodi ha inaugurato il Forum. Nominato direttamente da Prodi, preso a esempio implicitamente dal sindaco Letizia Moratti nel suo indirizzo di saluto ( il ritorno alla "responsabilità individuale"), il neopresidente francese Nicolas Sarkozy che vuole un rilancio dell'Europa e la soluzione dei suoi nodi istituzionali ha brevemente aleggiato nella sala di Palazzo Reale. E questo non contrasta con lo spirito di un'iniziativa che, come ha detto nel saluto introduttivo il presidente della Bocconi, Mario Monti, vuol far sentire in Europa la voce di Milano sui temi dell'economia e della società, nella convinzione che molti problemi non sono italiani ma comuni, e alla loro soluzione il contributo italiano può essere rilevante. La "società aperta" si misura con tutte le realtà, compresa una svolta politica francese di sicuro impatto sulle prossime mosse dell'Unione. Prodi, che non ha toccato direttamente temi di politica interna italiana, ha ricordato che l'Italia può e deve dare un contributo significativo a una stagione nuova. Personalmente spingerà, ha detto, per "fare passi avanti sulla nuova Costituzione e contro regole come l'unanimità", un punto toccato anche dal neopresidente francese. "Se alcuni stati membri non se la sentono ci potrà essere un gruppo di Paesi disposti a fare un passo ulteriore - ha detto il presidente del Consiglio -. Non si possono aspettare i membri più restii". L'Italia deve essere aperta agli investimenti stranieri - il riferimento era soprattutto alle public utilities - ma in modo simmetrico rispetto ad altri Paesi. "Il concetto deve essere quello di un governo regolatore e non più intrusore - ha detto Prodi che parlava mentre in seconda fila in una platea ristretta di invitati sedeva Marco Tronchetti Provera, e poco più in là Carlo De Benedetti, Alessandro Profumo, Corrado Passera, tra gli altri -. Ma che sia un regolatore forte che sappia imporre regole trasparenti nell'economia e sappia aprire ad altri Paesi". Cosa che l'Italia ha saputo fare più di altri,ha aggiunto il presidente del Consiglio, invocando la necessità di aperture "simmetriche". "Dobbiamo andare avanti con regole condivise anche da altri, altrimenti la società si ribella e si chiude anche di più". Spetta alla Commissione garantire il rispetto di tutte le regole del mercato interno, ha detto Barroso,precisando i ruoli. "Se si lasciasse agli Stati membri la responsabilità di decidere su questioni riguardanti il mercato interno,credo che rischieremmo di decretarne rapidamente la fine". Prodi ha anche spezzato una lancia in favore degli accordi commerciali bilaterali, che nelle difficoltà in cui si trovano quelli multilaterali del Doha round possono offrire una via d'uscita, purché temporanei e non esclusivi. E ha riservato una dura critica alla scuola e all'università italiane, che sono l'opposto dell'apertura e devono cambiare radicalmente: "Vogliamo una società aperta, ma i nostri ragazzi non hanno le stesse esperienze di altri", ha detto Prodi di un'università italiana che rifiuta i docenti stranieri, arroccata in difesa delle corporazioni nazionali, e ha pochissimi studenti stranieri. E dove gli studenti cinesi sono, a confronto di quelli che studiano in Germania ad esempio, in rapporto di uno a cento. Oggi la quattro giorni di Bocconi Corriere della Sera incomincia la sua maratona con vari gruppi di lavoro e oratori di primo piano, ospitata in numerose sedi cittadine (il sito del Forum con il programma è raggiungibile attraverso www.ilsole24ore. com). Nazionalismo, protezionismo, disintegrazione, sono rischi e contro questi rischi Milano vuole lanciare il suo messaggio di operosa fiducia, ha detto Mario Monti. lI "sistemacittà" vuole portare il suo contributo, è stato il saluto di Piergaetano Marchetti, presidente di Rcs. mario.margiocco@ilsole24ore.com IL PREMIER "Sì a un'apertura economica che sia simmetrica e compatibile con quella che vige negli altri Paesi europei" BARROSO "Se gli Stati membri decidessero in autonomia i nodi del mercato interno rischieremmo la fine. Riforma Ue entro il 2009" "Mercati aperti".

 


 

Il Corriere della Sera 9-5-2007 Se la rivoluzione arriva anche in Italia La scoperta di merito e concorrenza. Danilo Taino

 

Giavazzi: «Erano idee minoritarie, ora sono esigenze sentite da tutti»    

MILANO — Volete una, anche una sola ragione per apprezzare la globalizzazione dell’economia? E per difenderla? Questa mattina, nell’aula magna dell’Università Bocconi di Milano, Francesco Giavazzi proporrà questa: «Fino a 15 anni fa — dice l’economista — il merito e la concorrenza erano concetti minoritari in Italia. Trovo straordinario che oggi, invece, la grande maggioranza degli intervistati da un sondaggio presentato da Alberto Martinelli metta la concorrenza e il merito al primo posto delle esigenze italiane. È successo che la globalizzazione ha aperto i mercati, ha diminuito i costi della comunicazione e in questo modo ha accresciuto la concorrenza. Per rispondere alla quale non si può che puntare sul riconoscimento del merito ». Il convegno di questa mattina — che darà l’avvio al Forum internazionale Economia e Società Aperta — ha proprio l’obiettivo di analizzare i cambiamenti positivi introdotti dall’economia globale e di vedere quali rischi corra questo processo fatto di frontiere che cadono, mercati che si integrano, comunicazioni che azzerano le distanze. Perché il fenomeno non è un fatto acquisito e scontato, sottolinea Giavazzi: «La prima globalizzazione, quella tra il 1890 e la prima guerra mondiale, finì male: con un backlash formidabile, una reazione forte che sfociò nel protezionismo degli anni Venti». L’incontro — che si intitola Merito, Concorrenza e Globalizzazione e sarà preceduto da due interventi, uno del rettore della Bocconi Angelo Provasoli e l’altro del direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli — cercherà di individuare tendenze e pericoli che in qualche modo accomunano la prima e la seconda globalizzazione (quella che viviamo da una quindicina d’anni).

In particolare, Jeffry Frieden, economista di Harvard, punterà a capire cosa fu a determinare, poco meno di un secolo fa, la fine dell’apertura e dell’integrazione mondiale: il ruolo che giocarono il protezionismo agricolo, che sopravvive ancora nel 2007, e il mercato del lavoro, a quel tempo ancora più sconvolto di oggi da migrazioni eccezionali. Lant Pritchett, un economista della Banca Mondiale, cercherà di analizzare perché «l’anello mancante della globalizzazione »— come lo definisce Giavazzi—oggi sia proprio il lavoro: il fattore che, rispetto alla fine dell’800, si muove meno, in particolare se confrontato a merci, servizi, denaro. È questo un fattore di rischio in meno, per la globalizzazione, oppure nasconde esso stesso insidie? Difendere la mondializzazione dell’economia, la ricchezza che crea e la spinta che dà alla riduzione della povertà significa però anche cautelarsi dai fenomeni negativi, o percepiti come tali, che la accompagnano. «Nella prima e nella seconda globalizzazione — dice Giavazzi — l’ampliarsi della diseguaglianza dei redditi è andata avanti di pari passo. All’interno dei singoli Paesi, tra chi è ricco e chi è povero. E tra i Paesi stessi. Non si tratta di aumento della povertà, anzi. Ma anche in una crescita generale del reddito, quello che conta è il reddito relativo: non è importante se finalmente riesco ad andare a Rimini se, ora, il mio vicino che fino all’anno scorso già ci andava, può andare ai Caraibi. Anche questo ampliarsi della diseguaglianza crea rischi di rifiuto della globalizzazione».

In positivo, il convegno cercherà di trovare proposte per migliorare l’integrazione delle economie. «Non difendendo le rendite e il posto fisso — dice Giavazzi —. Puntando a mercati che funzionano e aiutando chi perde il lavoro a sopravvivere e a trovare un’altra occupazione». In più, spingendo per ulteriori aperture. Zhaohui Chen, presidente del centro di ricerca First Light Academy di Shanghai, parlerà del reale livello di apertura della Cina ai capitali internazionali. E il ministro Emma Bonino sarà chiamata a discutere delle tendenze protezionistiche nel commercio internazionale, in particolare dello stallo del Doha Round, il negoziato che dovrebbe aprire ulteriormente gli scambi mondiali. Perché, come si sa da quasi un secolo, quando il protezionismo vince, i guai in arrivo sono seri.

 

09 maggio 2007

 


La Stampa 8-5-2007 Indulto, dopo 9 mesi il 12% è tornato in cella. La Regione con il primato del maggior numero di scarcerati grazie all’indulto è la Lombardia

 

ROMA
Sono 26.201 (di cui 16.158 italiani e 10.043 stranieri) gli ex detenuti usciti dal carcere negli ultimi nove mesi grazie all’indulto, varato il 31 luglio scorso dal Parlamento. Di questi - sottolinea il ministro della Giustizia Clemente Mastella - «soltanto» il 12% sono tornati a delinquere e, quindi, hanno fatto rientro in cella. Dall’ultimo 'screening' del Dipartimento dell’ amministrazione penitenziaria (Dap) emerge che 18.189 (pari al 69,4% del totale) sono gli ex detenuti condannati in via definitiva che hanno beneficiato dell’indulto, mentre 8.012 sono coloro che grazie al provvedimento di clemenza hanno avuto una revoca della misura cautelare su decisione del magistrato di sorveglianza.

La Regione con il primato del maggior numero di scarcerati grazie all’indulto è la Lombardia (3.787), seguita da Campania (2.988), Sicilia (2.724) e Lazio (2.530). In coda alla lista ci sono invece Valle D’Aosta (164 scarcerati), Molise (198) e Basilicata (241). Ad oggi, nelle 258 carceri italiane ci sono 42.702 detenuti (la capienza regolamentare è di circa 43.500 posti) Rispetto a 9 mesi fa, quando subito dopo l’indulto i detenuti negli istituti penitenziari scesero da circa 60mila a 38-39mila, si sta registrando un aumento della popolazione carceraria.

E questo perchè - spiega Sebastiano Ardita, responsabile della direzione generale detenuti del Dap - il numero degli ingressi resta superiore a quello delle uscite dal carcere. Ecco perchè il Guardasigilli Mastella insiste sulla necessità di puntare sulle pene alternative al carcere in caso di reati non gravi.


 

Italia Oggi 9-5-2007 Ai politici 200 milioni in più Finita in nulla la promessa di Prodi di ridurre i costi del sistema. di Franco Bechis 

 

 Nel raccontarla hanno messo tutta la fantasia possibile, e qualcuno forse se l'è anche bevuta. Ma il promesso, anzi, più volte annunciato, taglio dei costi della politica è il principale fantasma nel menù del consiglio dei ministri guidato da Romano Prodi. Qualche codicillo un po' furbesco è stato inserito nelle ultime due leggi finanziarie, dal governo vecchio e da quello nuovo. Ma la realtà è svelata ora dal rapporto della Ragioneria generale dello stato sulle spese del 2006 raffrontate con i due anni precedenti. I costi della politica in un biennio sono aumentati di poco meno di 200 milioni di euro, altro che tagli. Saliti del 28,68% i trasferimenti ai partiti politici, e dell'8,5% quelli agli eletti (...) Erano di 156 milioni di euro i contributi ai partiti politici italiani nel 2005, sono diventati di 201 milioni. Costavano 1 miliardo e 605 milioni i tre organi costituzionali (Quirinale, Senato e Camera), nel giro di un biennio la spesa per il loro funzionamento è salita a 1 miliardo e 742 milioni. E non basta, perché non poche altre promesse legate alla cura dimagrante (fallita) per uno Stato-monstre sono rimaste lettera morta. Si guardi al costo del lavoro nella pubblica amministrazione, quella che il tribuno di questo o quel partito hanno sempre promesso più snella. Bene, in due anni la sola presidenza del Consiglio dei ministri ha portato la spesa per stipendi da 140 a 169 milioni di euro, con un incremento del 20%. L'intera spesa per il personale della pubblica amministrazione è cresciuta da 84 a 92 miliardi di euro. In clima di mancata riforma delle pensioni, lievitati anche i trasferimenti agli enti di previdenza. Ammontavano nel 2004 a 69,9 miliardi, due anni più tardi sono saliti a 75,3 miliardi di euro. Attenzione, perché come dimostra bene il servizio a pagina 5, nello stesso arco di tempo non sono mancati tagli ai trasferimenti pubblici. Solo che hanno preservato come sempre la casta al comando e gettato ulteriore benzina sugli incendi della finanza pubblica che si doveva spegnere. Mentre la cinghia è stata tirata da imprese private, disoccupati, associazioni senza fine di lucro, scuole private, perfino dalla Chiesa cattolica. Il dilagare dei costi della politica a questo punto è diventato un'emergenza nazionale, dovrebbe essere al primo punto della prossima manovra economica. Perché quel malcostume che lo Stato mostra a livello centrale si è propagato in tutta la periferia. Nelle regioni (e domani pubblicheremo una ampia inchiesta sui costi locali della politica), ma anche nelle province e nei comuni. Che invece di aiutare la società a crescere e svilupparsi, occupano per pochi spazi di tutti, drenano risorse facendole marcire, allargano la loro ombra minacciosa su interi settori dell'economia (come si è visto nell'inchiesta sui piccoli Iri regionali). Bisogna fermare questa piovra...Franco Bechis.


INDICE 8-5-2007

 

++ Agenparl 8-5-2007 PD: LC   1

++ AgenParl 8-5-2007 IL CANTIERE DELLA SINISTRA PRENDE FORMA CON IL COORDINAMENTO  1

+ Il Sole 24 Ore 8-5-2997 Chevron e i barili di Saddam Tangenti al regime iracheno per avere greggio nel programma Onu di Claudio Gatti 2

+ Il Giorno 8-5-2007 Spie in Procura: "Processatele" Chiesto giudizio per 11, tra finanzieri, carabinieri, vigili e una cancelliera. di MARINELLA ROSSI 4

Il Corriere della Sera 8-5-2007 Il modernizzatore di Alberto Ronchey  4

Europa 8-5-2007 Per il Ps il treno è passato THIERRY PECH  5

L’Unità 8-5-2007 Una sfida per i socialisti Stefano Ceccanti 6

La Repubblica 8-5-2007 Tutte le donne del presidente. Un governo con 7 "sarkozettes" 7

L’Unità 8-5-2007 "La sinistra? Ha perso perché non aveva un'idea", parola di Bertinotti 8

Il Giornale 8-5-2007 L'Europa e "l'équipe dei sogni" Gian Pietro Caliari 8

Il Messaggero Veneto 8-5-2007  Napolitano: Francia essenziale per l'UE  9

La Nuova Ferrara 8-5-2007 A PARIGI UNA DESTRA MODERNA DA NOI POPULISMO E SAGRESTIA. GIANCESARE FLESCA  10

La Repubblica 8-5-2007 Veltroni: "Né di destra, né di sinistra la legalità è un diritto" di WALTER VELTRONI 10

Il Riformista 8-5-2007 Cari Mussi e Angius,  chiariteci la linea politica di Emanuele Macaluso  12

Il Piccolo di Trieste 8-5-2007  Family day, lite tra ministri bindi a mastella: non andare  12

Il Messaggero Veneto 8-5-2007 MODERNE CROCIATE di ALCIDE PAOLINI 13

 


 

++ Agenparl 8-5-2007 PD: LC

 

Roma, 8 Maggio 2007 – AgenParl – Ici, coordinatore, collocazione europea, Family day, equilibri di potere: all’interno del costituendo Partito Democratico è già una lotta continua.
Le polemiche tra Ds e Margherita sono ormai all’ordine del giorno. Chi, forse, è l’unico a giovarsi di questa situazione è Romano Prodi. Il vero arbitro della partita.
Il Professore infatti esce rafforzato nel suo ruolo di “uomo super-partes”, mediando di volta in volta sulle singole questioni che si presentano. Compito questo reso più facile dal fatto che il premier non è interno a nessuno dei due partiti. Inoltre – come viene fatto notare malignamente all’AgenParl – getta di continuo benzina sul fuoco in modo che dallo scontro tra Ds e Dl esca consolidata la sua leadership e il suo ruolo di “bussola” dei liberal-riformisti. (F.C.)


 

++ AgenParl 8-5-2007 IL CANTIERE DELLA SINISTRA PRENDE FORMA CON IL COORDINAMENTO

 

Roma, 8 Maggio 2007 – AgenParl – La sinistra italiana non è intenzionata a perder tempo nei confronti dei liberal-riformisti. Al Partito Democratico (nascituro, sembra, ad ottobre) vuole contrapporre una “forza unitaria alternativa”.
Così Rifondazione Comunista e Pdci, i partiti che più stanno spingendo per il “patto d’unità d’azione” (per dirla alla Franco Giordano), stanno intensificando il dialogo per una futura intesa programmatica. L’idea è quella di creare un coordinamento parlamentare tra i vari gruppi. In questo progetto dovrebbero entrare (almeno così sperano i “comunisti”) i Verdi e il neonato movimento Sinistra Democratica di Mussi e Angius, del quale si attende la settimana prossima l’ufficializzazione della nascita del gruppo parlamentare.
Proprio il corteggiamento nei confronti degli ex-diessini è tra i “nodi cruciali” del Cantiere. Se ieri Diliberto invitava Mussi a “guardarsi le spalle” da Angius (orientato invece ad aderire alla Costituente socialista di Boselli) oggi spunta una nuova ipotesi. Il ministro dell’Università come futuro leader di questa Federazione della Sinistra. A confermare questa voce ci pensa Piero Fassino, il quale ha lanciato una “frecciata” a Mussi: “pensa di fare il leader invece è solo un subalterno”. (G.R.S.)


 

+ Il Sole 24 Ore 8-5-2997 Chevron e i barili di Saddam Tangenti al regime iracheno per avere greggio nel programma Onu di Claudio Gatti

 

L' inchiesta de Il Sole 24Ore ha appurato che la Chevron ha comprato greggio iracheno da un cittadino italiano che ha ammesso di aver pagato milioni di dollari in tangenti a Baghdad con denaro ricevuto dalle sue controparti. Chevron inclusa. 30 milioni di dollari sono una piccola cifra per una multinazionale che nel 2006 ha guadagnato oltre 17 miliardi di dollari. L'imbarazzo di un'accusa di aver indirettamente sostenuto il regime di Saddam Hussein potrebbe invece essere decisamente più costoso. Così,per evitare un processo potenzialmente imbarazzante, Chevron, guidata da David O'Reilly,sta negoziando multe per un totale che potrebbe raggiungere i 30 milioni di dollari in un patteggiamento con le autorità giudiziarie newyorkesi. Di fronte al rischio di un rinvio a giudizio da parte di una speciale task force creata dalla Procura federale e quella distrettuale, la Chevron è pronta anche ad ammettere che avrebbe dovuto sapere del pagamento di tangenti agli iracheni sul petrolio comprato tra il 2000 e il 2002 nel corso del programma Oil for food. Programma Onu che intendeva prevenire il riarmo del regime di Saddam pur consentendo l'esportazione di greggio. La Commissione Volcker,presieduta dall'ex capo della Fed e che per quasi due anni e mezzo ha indagato su possibili illeciti nel programma Oil for Food,ha concluso che,dal pagamento di tangenti illegali sulla vendita di petrolio la cosiddetta sovrattassa il regime di Saddam Hussein era riuscito a creare fondi neri per 228 milioni di dollari. Soldi pagati alla società petrolifera di stato irachena,la Somo,al di fuori dei canali finanziari creatidal programma Oilfor food e usati per fondi neri a disposizione del dittatore iracheno per qualsiasi attività non autorizzata dalle Nazioni Unite.Incluso il riarmo.Di fronte a una richiesta di commenti, Ken Robertson, consigliere per i rapporti con la stampa per la Chevron, si e' limitato a dire che "per quel che riguarda il Programma Oilforfood,laChevronhaacquistatogreggioirachenoprincipalmenteperlesueraffinerieamericaneeleNazioniUnitehannoapprovatol'acquistodituttii arichi.La Chevron ha cooperato con le varie indagini sul programma e continuerà a farlo ".Il gigante Usa ha avuto un ruolo molto importante nel programma Oil for food, essendo stato il singolo maggior acquirente di petrolio iracheno. Secondo i calcoli della Commissione Volcker,tra il 2000 e il 2002 ,il gruppo ha acquistato circa 100 milioni di barili di petrolio sul qualerisultano essere stati pagati circa 30 milioni di dollari in sovrattassa illegale. La Commissione Volcker ha scoperto che la sovrattassa era stata introdotta nell'agosto del 2000 dalla Somo su precise istruzioni di Saddam ed era stata applicata sulle esportazioni di petrolio iracheno a partire da settembre. Non appena la notizia della sua esistenza era cominciata a diffondersi sul mercato, le grandi società petrolifere internazionali si erano rese conto che violava le sanzioni Onu e che quindi sarebbe stato illegale pagarle. O anche solo finanziarne il pagamento indirettamente. IlSole24Oreha ottenuto copia di una comunicazione interna della Chevron inviata il 26 gennaio 2001 da Patricia Woertz, all'epoca presidente di Chevron Products Co. Ecco cosa dice:"Il pagamento di tale sovrattassa è proibito dalle sanzioni dell'Onu contro l'Iraq... Nell'attuale situazione è molto importante per noi non comprare alcun carico iracheno nel caso ci sia motivo di credere che qualcun altro abbia pagato o pagherà una sovrattassa proibita su un carico...Ho affidato a C.L.Blackwellla responsabilità di approvare, per iscritto,ogni singola transazione sulla base della proceduta allegata... Prima di dare la propria autorizzazione, il signor Blackwell dovrà essere convinto che non ci sia motivo per pensare che la sovrattassa sia stata o sarà pagata agli iracheni su quella transazione. Nel decidere,il signor Blackwell dovrà prendere in considerazione una serie di fattori... incluso l'identità,l'esperienza e la reputazione della società venditrice... e qualsiasi deviazione anomala nel prezzo del petrolio". Lo stesso elenco degli acquisti di greggio iracheno fatti da Chevron tra il giugno 2000 e il dicembre 2002 consegnato alla Commissione Volcker fa pensare agli investigatori che la multinazional non abbia mai veramente rispettato la procedura d'acquisto annunciata da Patricia Woertz. Nel periodo della sovrattassa, la società ha infatti comprato circa 100 milioni di barili da società che includevano realtà sconosciute e prive di qualsiasi esperienza nel settore pagando "provvigioni", in aggiunta al costo del greggio,più alte di quelle pagate prima dell'introduzione della sovrattassa. Gli inquirenti hanno adesso ragione di credere che quelle provvigioni piu' alte incorporassero la sovrattassa. Il 15 febbraio 2001, Chevron acquistò per esempio 1,8 milioni di barili dalla ErdemHolding, societàdi un uomod'affari turcolegato a Baghdad ( era membro del Consiglio Turco Iracheno), pagando una provvigione di 0,36 dollari.In altre  occasioni,la provvigion arrivò anche a sfiorare i 50 cents. In tutto,la Erdem vendette circa 13 milioni di barili di greggio iracheno alla società petrolifera californiana. "Vendetti io il grosso del loro petrolio iracheno alla Chevron", conferma a Il Sole 24Ore Fadel Othman, un ex funzionario della Somo all'epoca consulente per la Erkem, che non esita ad ammettere di essere stato a conoscenza della sovrattassa."Lo sapevano tutti ",si schernisce. Un'entità ancor più dubbia da cui Chevron ha comprato greggio iracheno era la Machinoimport, società russa che da un rapporto del Congresso Usa risulta essere stata usata dal regime di Saddam per finanziare il politico ultranazionalista russo amico di Baghdad, Vladimir Zhirinowsky. La Guardia di Finanza italiana ha inoltre trovato prove documentali del fatto che un'altra societa' sconosciuta, la Betoil, di proprieta' del cittadino italiano Fabrizio Loioli, ha pagato la sovrattassa su un carico di greggio iracheno comprato dalla Chevron. I documenti, sequestrati negli uffici della Betoil, dimostrano che Loioli ha versato 45.000 dollari su un conto aperto segretamente dagli iracheni in Giordania come pagamento della sovrattassa sul carico di una petroliera la Overseas Ann che trasportava un carico della Chevron. Un contributo essenziale all'inchiesta Usa è venuto proprio dal lavoro su Loioli condotto dal sostituto procuratore di Milano Alfredo Robledo, che indaga su Oil for food dal 2004,e da un team guidato dal maresciallo  Domenico Siravosotto la direzione del colonnello Virgilio Pomponi, comandante del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano. Dalle loro indagini, è infatti emerso che Loioli risulta aver intermediato la vendita di oltre 150 milioni di barili di greggio iracheno e aver pagato,direttamente o indirettamente, sovrattasse per oltre 4,5 milioni di dollari. Il suo strumento operativo si chiamava Betoil,ed era una società di trading da lui creata in Grecia per fungere da cuscinetto tra l'acquirente finale e chi deteneva il contratto della Somo. "Lo ioli non è un santo –spiega una nostra fonte -, è stato condannato per frode negli Emirati Arabi uniti ed è attualmente sotto inchiesta in Grecia e in Italia. Ciò nonostante, prove documentali dimostrano che nel periodo della sovrattassa riuscì a crearsi un proprio spazio sul mercato. Aveva capito che le grandi compagnie erano interessateacontinuare acomprare ilgreggio iracheno ma non potevano pagare la sovrattassa e quindi avevano bisogno di qualcuno come lui che lo facesse per loro". In una dichiarazione fatta al sostituto Robledo trasmessa in Usa, Lo ioli ha ammesso di aver venduto petrolio iracheno a svariate società, incluso la Chevron,e di aver ripetutamente pagato la sovrattassa. "Tutti gli acquirenti -spiega - ,nessuno escluso, erano perfettamente a conoscenza della richiesta irachena relativa al pagamento di questa tangente e del suo preciso ammontare. Tanto che ciascuna società acquirente finale la aggiungeva al prezzo ufficiale di acquisto, mascherandola come se fosse la provvigione da pagare alla società intermediaria...In realtà erano perfettament a conoscenza del fatto che alla società intermediaria sarebbe rimasta solo una parte di questa somma, mentre la parte residua sarebbe stata pagata agli iracheni. Per quanto concerne la Chevron,sono stato sempre in contatto con il direttore della divisione della società presso il loro ufficio di Londra che si occupava specificamente degli acquisti di petrolio dall'Iraq...Lui mi chiedeva sempre se potevo negoziare ulteriormente congli iracheni per ottenere di pagare una tangente più bassa.... Il suo nome era Michael Dugdale". Documenti della Commissione Volcker sembrano attestare la veridicità di quest'ultima affermazione. Agli inizi del 2002,la sovrattassa su carichi intermediati da Loioli e destinati alla Chevron risulta infatti essere stata ridotta. La stessa cosa Loioli sarebbe riuscito a fare per i carichi di un'altra società Usa, la Koch. Raggiunto telefonicamente a Londra,dove tuttora lavora nonostante abbia lasciato la Chevron, il trader citato da Loioli, Michael Dugdale,ha confermato di aver condotto affari con l'italiano ma ha negato di aver consapevolmente pagato sovrattasse agli iracheni. O di averne negoziato lo sconto."Per quel che mi riguarda -si giustifica - io negoziavo l'ammontare della provvigione non della sovrattassa". Ma una email interna della Chevron rinvenuta dagli investigatori americani lascia pensare che Dugdale fosse invece consapevole della necessità di pagare la sovrattassa e avesse informato la società che la provvigione di Loioli incorporava la tangente irachena. La Chevron ha respinto la nostra richiesta di commenti sulle asserzioni di Loioli su Dugdalee sul grado di consapevolezza della società stessa. Quando abbiamo chiesto a Dugdale se i suoi superiori negli Usa erano informati dei dettagli delle transazioni con Loioli, la risposta è stata che "ogni singolo affare è stato approvato dal management. Non ero nelle condizioni di concluderli altrimenti....Non so se ho parlatospecificatamente della sovrattassa, ma certamente ho sempre riportato tutto quello che mi diceva Loioli. Ho un'abbondanza di prove che dimostrano che alla Chevron erano perfettamente consapevoli di quello che stava succedendo". cgatti@ilsole24ore.us Primo di una serie di articoli LO SCAMBIO Tra il 2000 e il 2002 pagata una "sovrattassa" di 30 milioni Determinante il ramo italiano dell'indagine con le ammissioni del mediatore delle transazioni In trattative con le autorità giudiziarie Usa. David O'Reilly, amministratore delegato di Chevron AP.


 

+ Il Giorno 8-5-2007 Spie in Procura: "Processatele" Chiesto giudizio per 11, tra finanzieri, carabinieri, vigili e una cancelliera. di MARINELLA ROSSI

 

MILANO- SPIAVANO a tutto tondo, almeno duecento i nomi passati sotto lente d'ingrandimento, senza un motivo apparente se non quello di costituire una banca dati illegale, una libera circolazione di dati privati e vietati, a disposizione di varie agenzie private. E la piccola banda di spie con punti d'osservazione privilegiata quali Procura e Guardia di finanza che nel settembre scorso finì agli arresti, alla fine si è allargata. Si è allargata, dalla cancelliera di un procuratore aggiunto (Domenica Privinzano), dall'ex addetto stampa delle fiamem gialle milanesi (Fabio Rattazzo), da un vigile urbano (Massimo Menoncello) braccio destro dell'investigatore privato più interessato alla libera circolazione dei dati sensibili (Salvatore Jean Congiu) ad almeno altri due detective e soprattutto a diversi esponenti delle forze dell'ordine. Tra questi due vigili dell'Annonaria, un finanziere e quattro carabinieri. Due dei quali in pianta più o meno stabile dentro il palazzaccio: uno all'interno dell'ufficio intercettazioni della Procura, l'altro applicato per un certo periodo proprio nell'ufficio del sostituto Fabio Napoleone, che conduce l'inchiesta sulle spie, quelle di prima classe, della Telecom di Giuliano Tavaroli. E persino un maresciallo del Ros che otteneva dal suo ignaro comandante richieste di accertamenti su tabulati telefonici, per girarli, a sua volta, a Tim, Vodafone e Wind. LA RICHIESTA di rinvio a giudizio appena firmata dal sostituto procuratore della Repubblica Tiziana Siciliano che comporterà un'udienza preliminare di fronte al giudice Simone Luerti a partire dal 2 luglio prossimo conta undici imputati. Accusati a vario titolo di accessi abusivi a sistemi informatici, scientifiche violazioni del registro degli indagati (Rege), anagrafe del Comune, anagrafe tributaria, database delle indagini delle forze dell'ordine (Sdi). Accusati di corruzione e divulgazione di atti coperti dal segreto. MA QUESTA STORIA che riporta a scandali di serie A, allo spionaggio internazionale in atto attraverso la struttura privilegiata di Telecom, dipinge più generalmente un'Italia divisa tra spioni e spiati. La cancelliera, all'epoca del procuratore aggiunto Ferdinando Vitiello e ora trasferita in attesa di nuove processuali in altro ufficio, giustificò le sue incursioni informatiche con una sorta di infatuazione verso il fascinoso detective Jean Congiu che, dal canto suo, oltre a essere ex carabiniere, candidato di Alleanza Nazionale alle ultime elezioni amministrative e affiliato a loggia massonica, si era aggiudicato con lei e con il finanziere il controllo di due anticamente-chiave (Procura e Guardia di finanza) a favore della sua New Global Agency. Le informazioni utili a Congiu (ed evidentemente anche ad altri detective) venivano consegnate in busta sigillata direttamente in Procura e al corpo di guardia della caserma di via Melchiorre Gioia. Il tutto pagato a forfait (orologi, computer, o una tantum di 50 euro) oppure con tariffe differenziate, 10 o 5 euro ad accesso, a seconda che emergessero o no precedenti penali nella vita dello spiato.

 


Il Corriere della Sera 8-5-2007 Il modernizzatore di Alberto Ronchey          

 

L'interesse verso la contesa presidenziale francese, in Italia, s'è concentrato anzitutto sulle immagini e sui caratteri degli antagonisti, com'è consueto. Poi, gli osservatori hanno prestato quasi ogni attenzione agli schieramenti politici, somiglianze o differenze rispetto alle schermaglie italiane. S'è detto poco, invece, sulla diversità dei problemi che i governi di Parigi e Roma devono affrontare. Molta politique politicienne, poco sulle sostanziali condizioni amministrative d'oltrefrontiera. Eppure, certi ragguagli non si possono ignorare. In Francia il debito pubblico ha superato di poco il 60% del prodotto interno lordo, mentre in Italia è al 105%, con tassi d'interesse pesanti. C'è di più, su altre questioni essenziali per l'economia. In Francia, il 77% dell'elettricità prodotta deriva da una ventina di centrali nucleari, vantaggio non da poco.

Nell'Italia sempre più vulnerabile ai costi di petrolio e gas, dinanzi all'incombente penuria energetica dobbiamo rassegnarci al pericolo del blackout. La Francia, da tempo, vanta primati come l'alta velocità ferroviaria e in genere le vaste prestazioni della rete. In Italia, fra gli altri annosi ritardi dell'assetto infrastrutturale, siamo sempre al «No Tav» per la Torino-Lione o ancora spesso al binario unico. Simili ritardi possono imputarsi a numerosi governi, compresi quelli dell' ultimo decennio. S'intende che l'efficienza dello Stato in Francia, la nazione dalla storia unitaria più antica d'Europa, non si può assumere a modello per ogni confronto. La storia è andata così. Oggi tuttavia in Italia ci si dovrebbe almeno persuadere che ogni governo va giudicato sulla base del più semplice quesito: «Funziona o non funziona?».

E la risposta dovrebbe fondarsi non su pregiudizi favorevoli o contrari, ma su fatti e cifre affidabili. Ormai parteggiare tra destra e sinistra sulla base ideologica o psicologica d'ogni «appartenenza » non ha senso razionale, anzi risulta pregiudizievole per tutti... Si tratta invece di capire dove i modernizzatori possono prevalere sugli ostacolatori, che in materia di servizi pubblici e infrastrutture stanno sia dall'una sia dall'altra parte. Discutendo sulla Francia, dall'autunno 2005 appare allarmante il fenomeno delle sommosse incendiarie nelle periferie urbane, protagoniste le ultime generazioni delle masse immigrate non integrate, che si considerano vittime in credito verso gli eredi del prolungato colonialismo francese nel Maghreb e oltre.

Quel rigetto sembra destinato a persistere. Ma l'Italia, vulnerabile all'immigrazione clandestina, già subisce le costanti calamità di mafia o camorra e anche gli attentati ricorrenti del terrorismo brigatista cronicizzato fra noi da quattro generazioni. Alcune prove difficili per la Francia d'oggi e dei prossimi tempi risultano simili a quelle dell'Italia e di altre società europee, come disoccupazione, precariato, rivendicazioni generazionali, età pensionabile nell'era della longevità di massa, congestioni metropolitane, criminalità. Peraltro anche in tempi di relativa tranquillità e prosperità la Francia è stata spesso incline, come ricordava Raymond Aron, a una sorta di satisfaction querelleuse.

Ma il suo sistema di elezioni, e di governo, è almeno al riparo dalla paralizzante frammentazione di partiti e poteri decisionali. Non sembra che fra i 61 milioni di francesi, confortati da politiche fattive malgrado le variabili obiezioni e contestazioni, siano frequenti gli umori votati o rassegnati al fatalismo. Simili umori si manifestano invece fra noi, magari a giorni alterni.

08 maggio 2007


 

Europa 8-5-2007 Per il Ps il treno è passato THIERRY PECH

 

http://www.europaquotidiano.it/site/images/transparent.gifStrana atmosfera a Parigi, domenica, la sera del secondo turno delle elezioni presidenziali.
Con la sinistra che registrava una netta sconfitta e la destra che riceveva un mandato chiaro e senza appello, non si è assistito al solito balletto di vinti e vincitori. Talvolta si è avuta persino la sensazione di una doppia vittoria, come se ciascuno dei due campi avesse ritrovato il gusto dell’avvenire.
Mentre i conservatori celebravano l’elezione di Nicolas Sarkozy sullo sfondo di concetti come autorità, morale, lavoro e orgoglio nazionale, Ségolène Royal invece, col sorriso sulle labbra, dava appuntamento ai suoi sostenitori per il rinnovamento del Partito socialista e per le scadenze future. La candidata socialista ha voluto così far valere il vantaggio che aveva registrato nel suo campo facendo “muovere i confini” del proprio partito d’origine, e in questo modo dare continuità alla mutazione socialdemocratica annunciata in queste ultime settimane. Ci riuscirà? Sta qui il punto.
Per tentare di vederci più chiaro, esaminiamo gli elementi che giocano favore e gli ostacoli che si frappongono a questa strategia.
Tra i primi bisogna menzionare il fatto che Ségolène Royal esce da questa campagna con un risultato vicino a quello ottenuto da Lionel Jospin nel 1995. Che è lontano dall’essere un successo, ma che ne fa la leader dei socialisti per gli anni a venire.
Va inoltre menzionata l’erosione dell’estrema sinistra e la maggiore disponibilità di una parte dei centristi a dei giochi di alleanza inediti per la Francia. Infine, il semplice e legittimo “desiderio di vincere” che anima i nuovi aderenti del Partito socialista giocherà forse in suo favore al momento della designazione del rappresentante della sinistra socialista per le scadenze future.
Restano gli ostacoli. Il primo è che i concorrenti hanno già bussato alla porta, anche quelli che si identificano con la linea socialdemocratica.
È il caso di Dominique Strauss-Kahn, che si è dichiarato “disponibile” già da domenica sera. Il secondo ostacolo nascerà dal bilancio di questa campagna. Numerosi dirigenti socialisti accuseranno Ségolène Royal di aver mancato di accuratezza nelle sue proposte, e di non essere riuscita a costruirsi una credibilità di donna di stato all’indomani delle primarie.
Se tuttavia resistesse agli assalti della concorrenza così come alla battaglia del bilancio, le resterebbe da superare un ultimo ostacolo: precisare nei dettagli il contenuto del suo nuovo progetto “socialdemocratico”. Questa parola è chiara quando designa un posizionamento generale (il centrosinistra).
Ma è molto problematica quando designa un modello sociale più sostanziale, come suggerisce Ségolène Royal evocando più volte la via nordica. Perché la Francia non ha né il tasso di sindacalizzazione dei paesi scandinavi, né un partito operaio di tipo svedese. Inoltre, se la destra porta a termine il suo programma, tra cinque anni la Francia non avrà più nemmeno il livello di prelievi obbligatori necessari a un tale modello.
I conservatori hanno infatti programmato la distruzione del motore finanziario dello stato assistenziale: propongono di abbassare i prelievi obbligatori del 4 per cento del pil in cinque anni, ovvero due volte di più di quanto abbia fatto la signora Thatcher in un tempo due volte inferiore… Se realizzassero appena la metà di questo obiettivo, finanziando appena la metà delle spese contenute nel loro programma, sarebbero spinti a lasciar crescere il debito pubblico, e noi dovremmo inevitabilmente dare l’arrivederci a una politica di rigore più o meno a lungo termine.
A meno che non immaginino di fare campagna elettorale, nel 2012, su un programma di alte imposte – che accelererebbe una nuova sconfitta – i socialisti dovranno senza dubbio convenire sul fatto che il treno scandinavo, per loro, è bello che passato.


L’Unità 8-5-2007 Una sfida per i socialisti Stefano Ceccanti

 

Segue dalla Prima Così come, due anni prima, i Progressisti e il centro di Martinazzoli e Segni, andando divisi, con un equilibrio in voti molto simile a quello tra Royal e Bayrou al primo turno, avevano determinato il successo di Berlusconi. Fermiamo però un attimo il gioco dei paragoni e dei rigidi determinismi delle regole elettorali e dei dati numerici. Non basta allearsi all'improvviso: gli elettorati sono fluidi, non si riportano meccanicamente. Basti vedere il 65% dei votanti di le Pen al primo turno che hanno votato Sarkozy a dispetto dell'astensione richiesta dal loro candidato. Non sarebbe bastato un accordo esplicito tra il primo e il secondo turno tra Royal e Bayrou, in assenza di una convergenza politico-programmatica che si poteva forse trovare. Del resto Sarkozy da tempo aveva messo in cantiere uno sfondamento a destra che lo scopriva però tra gli elettori di centro. Forse non basterebbe neanche ora un accordo per le imminenti elezioni legislative senza il quale, però, Bayrou rischia di essere cancellato dalla prossima Assemblea Nazionale e il Ps di essere ridimensionato. Forse, se ci fosse stato il doppio turno nell'Italia del 1994, Progressisti e Popolari non avrebbero sommato i voti perché il ritiro del Pds dal Governo Ciampi aveva privato entrambi della possibilità di capire quanto fossero vicini in termini programmatici. L'Ulivo del 1996 non era la mera somma dei due schieramenti perdenti del 1994 e fu preparato per tempo, individuando una leadership di cerniera, quella di Prodi, e sommando il radicamento residuo dei partiti con un certo grado di mobilitazione dal basso, di riconoscimento in un'identità nuova, anche pagando i prezzi di alcune rotture (Buttiglione a destra, Rifondazione a sinistra). È pertanto giusto, nonostante tutte le differenze, guardare alla Francia e chiedere all'arco delle forze riformiste che non hanno votato Sarkozy di non aspettare passivamente il Godot dell'alternanza politica tra cinque anni perché essa non verrà da sola. La nuova capacità di rompere la barriera con gli elettori del Fronte Nazionale è un dato strutturale, difficilmente reversibile. Il centrosinistra non potrà più vincere con una minoranza di voti grazie alle divisioni del campo avverso. In situazioni del genere solo una nuova offerta politica può cambiare gli orientamenti stabilizzati nell'elettorato. In astratto un Ulivo francese, l'Olivier da costruire invece del Godot da aspettare, può certo realizzarsi in modi diversi. Si può accordarsi con Bayrou e quella parte dell'Udf che in raccordo con Prodi e Rutelli concepisce il Partito Democratico europeo in coerenza con una scelta bipolare. Si potrebbe forse, in assenza di accordi, sul lungo periodo tentare la strada ben più difficile e dolorosa di convincere direttamente gli elettori di centro, al prezzo di una svolta radicale come fece il New Labour di Tony Blair. Quel che è certo è che il Partito socialista francese non può più vivere di rendita. Fino dalla sua genesi del 1971 era la stessa esistenza del Partito Comunista alla sua sinistra a darne un'immagine riformista, mentre si dibatteva nell'incoerenza tra un discorso massimalista e una prassi moderata, senza mai riconciliare il primo con la seconda. Svanito il Pcf e frammentatisi la sinistra estrema in una serie di rivoli protestatari, quell'appuntamento, l'età adulta, non può più essere rinviato. Non sarà una vecchia sinistra a soppiantare una nuova destra. Sbaglieremmo anche noi, però, a cullarci sugli allori, limitandoci a guardare alla Francia come l'Italia del 1994. C'è una tendenza masochistica forte nell'esperienza italiana che si rivela in questo periodo in almeno tre fenomeni. Il primo è quello di dichiarare aperta anzitempo una corsa alla leadership del 2011 quando gli elettori attendono risposte a quella eletta solo un anno fa con le Politiche e scelta nelle Primarie due anni fa. Fatta per tempo è una competizione sana che allarga la partecipazione, decretata anzitempo è una gara fratricida. Il secondo è quello di anticipare un calendario per la Costituente che, proprio perché lo si vuole partecipato, deve poter decollare articolando proposte, progetti, persone in grado di renderli visibili. Almeno un mese di visibilità dei candidati alla Costituente è il minimo per suscitare questo movimento. Il terzo è la legge elettorale, la condizione di abitabilità di un sistema politico. Gli elettori potranno accettare a regime anche vari limiti dell'azione di Governo perché sanno che essi sono dovuti in modo preponderante alla brutta legge "porcata". Ma saranno comprensivi solo se noi la rimuoveremo con una riforma radicale perché ci può essere comprensione per l'inerzia sugli effetti, ma non per non averne rimosse le cause. Neanche noi che abbiamo costruito l'Ulivo possiamo aspettare Godot.

 


 

La Repubblica 8-5-2007 Tutte le donne del presidente. Un governo con 7 "sarkozettes"

 

L'esecutivo avrà 15 membri. Primo ministro FranÇois Fillon i vincitori Nel toto-ministri una forte presenza femminile. Molte novità e alcune conferme GIAMPIERO MARTINOTTI dal nostro corrispondente PARIGI - Sarà lei il volto nuovo della Francia sarkozysta, il simbolo di una giovane classe politica femminile che tenta di emergere. Rachida Dati, 41 anni, era una sconosciuta fino a quattro mesi fa, quando il neo-eletto presidente della Repubblica l'ha scelta come sua portavoce. Nata in una famiglia di dodici figli, padre marocchino e madre algerina, magistrato, la Dati è un puro prodotto della "République", cioè di quel modello francese che un tempo offriva a tutti la speranza di un'ascesa sociale e che oggi, invece, perde colpi e non garantisce più uguali possibilità a tutti i giovani. In queste settimane la Dati si è conquistata una certa popolarità: bella, intelligente, capace di esprimersi con un linguaggio comprensibile, calma e gentile ma sempre determinata, ha finito per rivelarsi una persona chiave nel dispositivo della campagna. E Nicolas Sarkozy sembra deciso a premiarla, a darle la chance di far vedere quel che vale: secondo il toto-ministri, l'attività più gettonata del mondo politico in queste ore, potrebbe prendere la guida della Giustizia o del nuovo dicastero dell'Immigrazione e dell'identità nazionale. Il nuovo governo sarà composto da appena quindici membri, cui si aggiungerà un numero ancora imprecisato di sottosegretari, che verranno nominati soltanto dopo le politiche di giugno. Sette posti dovrebbero essere riservati alle donne. Nel 1995, le donne del governo Juppé vennero ribattezzate "juppettes" e adesso, con ben poca fantasia, si parla già di "sarkozettes". Tra di loro alcune vecchie conoscenze, come Michèle Alliot-Marie (attuale titolare della Difesa) o Catherine Lagarde (ora al Commercio estero). Ma fra i volti nuovi potrebbe esserci anche Anne Lauvergeon, presidente del gruppo nucleare Areva e "sherpa" di FranÇois Mitterrand. Da tempo conosce Sarkozy, con il quale è in buoni rapporti, e potrebbe essere lei la figura di quell'"apertura" tanto vantata dal neo-presidente. Nel genere "giovane, bella e intelligente" molti puntano su Valérie Pecresse, stella nascente dell'Ump ed ex collaboratrice di Jacques Chirac, mentre fra i difensori della morale cattolica si cita il nome di Christine Boutin, capofila della lotta contro i Pacs nel 2000. Fra le nuove stelle, probabilmente solo come sottosegretario, ci potrebbe essere anche Nathalie Kosciusko-Morizet, specialista dei problemi ecologici. A guidare la compagine governativa sarà però un uomo, FranÇois Fillon, 53 anni. Da tempo si è conquistato la fiducia di Sarkozy, che ne aveva fatto il suo consigliere politico. Esponente di quell'ala del gollismo attenta alle problematiche sociali, è conosciuto dai francesi soprattutto per aver varato la riforma delle pensioni del 2003. è un uomo calmo e pacato, un carattere diametralmente opposto a quello di Sarkozy. Nel governo ci dovrebbe essere anche il popolarissimo Jean-Louis Borloo (attualmente al Lavoro) e un dosaggio tra personaggi con esperienze ministeriali e giovani alle prime armi. Inoltre il nuovo governo dovrebbe ridisegnare i contorni dei dicasteri: sarà creato un grande raggruppamento per la Strategia economica e il Lavoro, mentre i Conti pubblici (cioè il Bilancio) sarà staccato; la Pubblica istruzione ingloberà Cultura e comunicazione; il ministro dell'Ambiente sarà titolare anche di Energia e Trasporti. Tra i vecchi nomi spunta quello di Alain Juppé: potrebbe andare agli Esteri oppure presiedere l'Assemblea nazionale. Infine, non bisogna dimenticare l'uomo che l'altra sera ha accompagnato sul palco della Salle Gaveau Sarkozy, la sua eminenza grigia: Claude Guéant. Un prefetto che in cinque anni di collaborazione con il leader della destra ha dato prova di un raro fiuto politico e di capacità organizzative non comuni. Sarà lui il nuovo segretario generale dell'Eliseo, cioè l'uomo chiave nel palazzo del potere.

 


 

L’Unità 8-5-2007 "La sinistra? Ha perso perché non aveva un'idea", parola di Bertinotti

 

Il presidente della Camera in viaggio in Israele commenta i risultati francesi: "Sarkozy mi ha spiazzato, non mi piace ma è forte" di Natalia Lombardo inviata a Ramallah "Scusate se uso questa parola, ma la sinistra in Europa ha bisogno di una "rifondazione". In Francia ha perso perché è debole e non ha un'idea di fondo, e la sinistra alternativa è rimasta isolata, ognuna abbarbicata alla propria bandiera di partito". Fausto Bertinotti ha molta voglia di commentare la sconfitta di Sègoléne Royal, parlando da Gerusalemme dopo aver incontrato le autorità palestinesi a Ramallah. "Spiazzato" dalla forza del messaggio di Sarkozy vede nella crisi della sinistra francese lo specchio di quella europea. Delle questioni italiane non vuole parlare ("no, altrimenti sembra che penso alle alleanze con questo o quel partito."). Ma alla luce di quel che è successo a Parigi l'ex leader di Rifondazione insiste proprio su questa parola: ritrovare i "fondamentali", l'ordine dei problemi che si ripropongono "ogni cinquant'anni, negli anni 20, nel dopoguerra e ora", anziché perdersi nel contingente della presa di posizione sui singoli temi, quel "mimetismo" dare una risposta ai temi del giorno, siano pure i diritti o le pensioni. Problema europeo, ma il fine è il contraltare al Partito Democratico, quindi la ricerca di "una soggettività unitaria e plurale della sinistra alternativa, che pungoli la sinistra riformista in un costante corpo a corpo". Superare i vecchi schemi anche sociali, sfidare la modernizzazione e la globalizzazione, terreno in cui la destra è in vantaggio dal momento che si fonda "sulla libertà di mercato", mentre a sinistra, sia in quella riformista che in quella alternativa, un "valore fondante non c'è". Ma se perde il connotato sociale, "la sinistra si perde" e la destra vince perché ha dalla sua parte i poteri forti. Il problema, per Bertinotti, è ricreare una cultura politica (non avendo più quel "vento in poppa" delle lotte operaie, quando "il contratto dei metalmeccanici dettava la scena"). Ora hai il contratto ma non più gli operai che si mobilitano. Quanto ai riformisti, "facciano vedere cosa sanno fare". A Bertinotti non interessa: "Piuttosto che dare una risposta socialdemocratica classica è meglio riproporre la categoria di Antonio Gramsci dell'egemonia di una classe sulla società". Questo il concetto, da estendere ai mutamenti di una classe debole che non ha più solo il marchio operaio. Bertinotti sembra pensare che in Francia la sinistra abbia sbagliato tutto, mentre è rimasto colpito, anzi "spiazzato" dalla "forza del messaggio" del vincitore Sarkozy, se pur di destra: "Bastava vederlo esultare a Place de la Concorde, tutta la piazza che cantava la Marsigliese, questo richiamo alla Francia, un segno identitario fortissimo. un colpo d'ala". Una destra compatta perché ha "un'idea forte", anche se sposata al populismo, l'"antipolitica". Niente di più che l'alleanza di Berlusconi con la Lega. E non è bastato il "nuovismo" di Ségolène, l'essere andata avanti contro "tutti gli elefanti" (i grandi vecchi del Partito socialista francese). Il nodo di fondo, per Bertinotti "è la mancanza di un'idea: qual è l'idea di società per una forza riformista? Quale modello economico, sociale e di democrazia propone anche in Europa?". Però non salva neppure la sinistra che chiama alternativa, frantumata e chiusa nei recinti dei partiti (non lo dice, ma il pensiero vola dritto ai satelliti italiani, preoccupati di essere annullati in una Rifondazione al quadrato). Insomma, senza perdersi nella lista della spesa quotidiana, la sinistra se vuole vincere trovi la sua ragione di esistenza in "un'idea di società". Ma senza far passare cinquant'anni.

 


 

Il Giornale 8-5-2007 L'Europa e "l'équipe dei sogni" Gian Pietro Caliari

 

Per un continente, il nostro, abituato alla gerontocrazia del potere, l'elezione del cinquantenne Nicolas Sarkozy alla guida della Francia è già in sé un notizia positiva. A Bruxelles, qualcuno già indica la nuova squadra di potere europeo come il "l'equipe dei sogni". Sarkozy e il Cancelliere tedesco Angela Merkel, stessa età anagrafica; stessa provenienza geografica, l'Europa orientale; e uguale tempera spirituale: dal nulla delle famiglie d'origine alla vetta del potere. Non sarà difficile per loro - si pronostica - trovare una facile intesa anche con l'altro cinquantenne, in realtà di un anno più giovane, José Manuel Barroso, il Presidente della Commissione Europea. La Merkel, per motivi di vicinanza politica, contava sulla vittoria di Sarkozy. Più, in generale, l'Europa politica diffidava della sfidante Ségolène Royal: troppo debole politicamente nell'intricato gioco del socialismo d'Oltralpe, dove conta assai meno del marito, con idee assai più confuse sulla futura politica europea della Francia. Persino da noi, chi aveva emotive vicinanze politiche con la Royal, ha tirato un sospiro di sollievo alla vittoria dell'ex ministro degli interni francese. Il presidente eletto - lo sarà di fatto solo dal prossimo 17 maggio - ha già annunciato i suoi primi viaggi, nell'ordine: Bruxelles, Berlino, Washington, e l'Africa. Bruxelles, per riaffermare che nella diplomazia francese l'Europa rimane "l'invariabile variabile" della collocazione geopolitica della Francia, ma anche che Parigi vuole molto e molto di più. Per esempio, una politica più aggressiva della Banca Centrale Europea sui tassi di cambio e una politica più efficace della Commissione in favore dell'impiego. Berlino, perché l'asse franco-tedesco - nella tradizionale visione gaullista - è essenziale alle relazioni bilaterali e sostanziale a quelle europee. La Merkel, presidente di turno, cerca un successo limitato nel riportare in vita il trattato costituzionale: per questo sta facendo circolare un breve documento in dodici punti. Sarkosy condivide: ma, questa volta, il popolo e i referendum devono essere lasciati fuori dalle strategie dei leader. Washington. Tempo di cambiamenti dopo la fierezza di toni e di modi di Jacques Chirac. Sarkozy, avrà di fronte a sé un presidente americano reso più flessibile dal calo di popolarità, ma soprattutto dalla guida della fedele, ma soprattutto, brillante cinquantenne Condoleezza Rice, vera eminenza grigia di questa fase finale della presidenza Bush. L'Africa, paradigma di una Potenza quella francese mai rassegnata al ruolo di ex-coloniale. Ogni presidente ha cercato il suo sogno africano. Sarkozy si giocherà l'Africa in termini interni: dopo aver definito i giovani sbandati delle periferie - soprattutto provenienti dalle ex-colonie francesi dell'Africa - della "racaille (immondezza) da pulire con gli idranti della pulizia", userà le aspettative e le miserie del continente nero per dimostrare che la destra al potere non esclude nessuno. Non l'ha certo fatto con lui, immigrante di padre ungherese e di madre greca ed ebrea - quando a suoi tempi il termine racaille includeva di certo anche queste categorie etniche.

 


 

Il Messaggero Veneto 8-5-2007  Napolitano: Francia essenziale per l'UE

 

Rutelli: prova che la sinistra da sola non è autosufficiente Bertinotti: bisogna creare il socialismo del XXI secolo Forza Italia e An applaudono al successo del neogollista Napolitano: Francia essenziale per l'Ue Prodi: il voto di Parigi spinge per il Dp. Casini: anche da noi un cambio generazionale LE REAZIONI IN ITALIA ROMA. In attesa che Monsieur Sarkò arrivi a Roma (nel già annunciato Grand tour delle capitali europee da inquilino dell'Eliseo) centrodestra e centrosinistra italiani continuano a cercare risvolti nostrani nella grande vittoria del candidato gollista, nella sconfitta della gauche e della Royal, nel nuovo "patto presidenziale" già proposto da Sarkozy ai centristi di Bayrou per le vicinissime legislative. Il neopresidente francese ha ricevuto ieri dal Capo dello Stato italiano, Giorgio Napolitano, un messaggio di auguri e una telefonata di congratulazioni. Sarkozy ha poi chiamato Romano Prodi per ringraziarlo dell'apprezzamento espresso subito dopo la vittoria dal premier italiano (che ieri ha avuto una cordiale conversazione con Segolene Royal). Dalla Farnesina è partito invece il messaggio personale del ministro degli Esteri Massimo D'Alema. Tutti - Napolitano, Prodi e D'Alema - hanno voluto ringraziare Sarkozy per aver riportato al centro della politica francese la costruzione europea. Intanto, al centrosinistra resta il rimpianto che in Francia non sia maturato prima - come in Italia - un processo politico di unione delle forze socialiste e di quelle del centro moderato. "La lezione per noi è quella di andare avanti decisamente con il partito democratico", sprona Prodi. La sconfitta di Madame Royale diventa anche per Piero Fassino, segretario dei Ds, "la conferma della strada intrapresa in Italia per la costruzione di un forte soggetto politico riformista di centrosinistra che abbia consenso maggioritario". "La sinistra da sola non è autosufficiente - assicura Francesco Rutelli -. L'intuizione dell'Ulivo si è rivelata azzeccata e l'Italia fa da battistrada ad alleanze nuove, anche nelle idee e nei temi". Anche Giuliano Amato e Walter Veltroni invitano la sinistra a dare risposte nuove, in Francia ma non solo. "I socialisti francesi - osserva il sindaco di Roma - tolto il caso Mitterand hanno perso tutte le elezioni da decine di anni. È venuto il momento di capire che i linguaggi e i temi della politica sono quelli del nuovo millennio e non più quelli del novecento". "La crisi della sinistra è profonda - ammette anche Fausto Bertinotti, presidente della Camera -, deve rifondarsi per dar vita al socialismo del ventunesimo secolo". L'auspicio del centrodestra, intanto, è che anche in Italia arrivi l'onda lunga della vittoria Sarkozy. "Con i temi giusti e la giusta campagna elettorale la vittoria arriva - garantisce Gianfranco Fini, leader di An e personale amico di Sarkozy -. La vera parola magica è stata "rottura", qualcosa di più del rinnnovamento: rottura di vecchi schemi, del modello anchilosato del vecchio gollismo che parlava più alle elites che alle masse". Identità nazionale, sicurezza e giustizia sociale, per il leader della destra italiana, possono diventare anche da noi le parole d'ordine vincenti. "Dalla Francia viene un no ai vecchi e logori schemi della sinistra", esulta Paolo Bonaiuti, portavoce di Silvio Berlusconi. "L'inizio della fine di Prodi e del Partito democratico", assicura l'azzurra Isabella Bertolini, annunciando sorprese alle prossime amministrative. La vicina Francia, dice invece Pier Ferdinando Casini, insegna anche a noi che "è l'ora di cambiare tutto: politica, classe dirigente, logori stereotipi destra-sinistra e persino leadership". Silvio Berlusconi, ancora una volta, è servito.

 


 

La Nuova Ferrara 8-5-2007 A PARIGI UNA DESTRA MODERNA DA NOI POPULISMO E SAGRESTIA. GIANCESARE FLESCA

 

 Il merito maggiore della elezione di Nicholas Sarkozy all'Eliseo sta nel fatto che essa chiude un trentennio imbalsamato dal duo Mitterrand-Chirac e porta al potere una nuova generazione di cinquantenni. Basterebbe questa constatazione a dire che il voto francese dovrebbe insegnare molte cose all'Italia. Ma il successo di "Sarkò" va ben oltre il dato anagrafico. Riguarda piuttosto il tipo di destra che il neo-presidente ha voluto costruire a sua immagine e somiglianza. Una destra che ha saputo tagliare l'erba sotto ai piedi di Jean Marie Le Pen senza compromettere troppo la sua immagine democratica. La destra "à la Sarkozy" ha cavalcato spregiudicatamente il tema della sicurezza nelle città e nelle banlieu musulmane riuscendo a convincere gli elettori che non avevano mai dato credito a Chirac su questo terreno. Il neo presidente ha rassicurato le classi popolari sperdute di fronte alle prospettive di "globalizzazione", mentre ha promesso alla borghesia riforme e riduzioni fiscali. Di se stesso ha saputo esprimere un'immagine granitica anche se sovente, in questi anni di training per l'Eliseo, ha detto di tutto e il contrario di tutto. Come ministro delle Finanze e degli Interni è stato interventista e liberista nei confronti di un mercato che però è rimasto negli anni il Moloch cui offrire sacrifici ed onori. Filoamericano al cento per cento, "Sarkò" ha capito che per conquistare gli elettori francesi bisognava criticare Bush per la guerra in Iraq. E appena eletto ha spiegato che lui sarebbe stato sempre amico degli americani, senza cadere però nel servilismo. Da lui la Francia si aspetta un europeismo temperato, capace, com'è avvenuto in passato, di mostrarsi protezionista e nazionalista. Quanto alle sue minacce di brandire la scopa con la "feccia" delle periferie, non va preso troppo alla lettera, se è vero com'è vero che tiene forte a braccetto l'Uoif (Unione islamica dei musulmani di Francia) e le gerarchie degli ulema. In più, il neo presidente ha saputo tenere legato al proprio carro tutto il padronato francese, che ha mobilitato le proprie ingenti risorse mediatiche in suo favore. Una destra così, l'Italia se la sogna. Incapaci di costruire sul nulla una gerarchia di valori, gli uomini della destra italiana vivacchiano fra populismo e sagrestia. A 71 anni il fascino non può bastare a Berlusconi, se non si incarna in un progetto politico a tutto campo come quello costruito sapientemente da Sarkozy. Ma anche a sinistra il voto francese dà di che pensare. La Royal infatti ha spolverato le ragnatele di cui era pieno l'edificio storico del PS e, tralasciando la mitologia dell'"unitè de la gauche", ha saputo trovare nuove alleanze al centro, con Francois Bayrou. Anche se non ha vinto, s'è dimostrato una volta di più che la sinistra può farcela se guarda non ai rimpianti del passato, ma alle proposte del futuro.

 


 

La Repubblica 8-5-2007 Veltroni: "Né di destra, né di sinistra la legalità è un diritto" di WALTER VELTRONI

 

Il sindaco di Roma risponde al nostro lettore: così si sta dalla parte dei deboli
"Invocare la legalità non è politacamente scorretto". Moltiplicare gli strumenti di integrazione per chi rispetta la legge

 

ROMA - Caro direttore, Repubblica ha ospitato ieri in prima pagina la lettera di una persona di sinistra, colta, attenta a quel che avviene nella sua comunità, che insegna alle sue figlie i valori della tolleranza e della nonviolenza, e che al tempo stesso non ne può più dei reati compiuti dagli immigrati (e ovviamente non solo da loro) e chiede sicurezza, pretende legalità, vuole che chi sbaglia paghi. Qualcuno vede in questo una contraddizione? Un uscir fuori dai binari del "politicamente corretto"? Se fosse così questo qualcuno sarebbe a mio avviso fuori strada, o meglio: sarebbe fermo a schemi che il nostro tempo, e la vita vera delle persone, si sono incaricati di superare.

La legalità non è di destra o di sinistra. La legalità non ha, e non deve avere, colore politico. E' un diritto fondamentale dei cittadini, e chiunque è al governo di una comunità sa che assicurarne il rispetto è un suo compito, un suo dovere. Soprattutto oggi, perché ogni persona che abbia occhi per vedere e orecchie per sentire percepisce che effettivamente, nella nostra società, le braci dell'insicurezza e della diffidenza verso gli stranieri rischiano di trasformarsi in un incendio di intolleranza e poi di odio, di chiusura e poi di esclusione. Quanto di più assurdo e pericoloso per la convivenza di tutti. E' il paradosso di un tempo globalizzato: riemergono barriere e conflitti di identità, religiosa o etnica. E' il rischio che dobbiamo evitare.

Cosa fare, dunque. Si evitino, intanto, le facili polemiche, i tentativi di cavalcare i problemi per fini di parte, per avere dei piccoli tornaconti dopo aver alimentato le paure dei cittadini. Una volta fatto questo, c'è secondo me un duplice atteggiamento da tenere, e per darne l'idea vorrei portare un esempio concreto. Qualche mese fa ho incontrato i ragazzi di un liceo di Roma, che mi hanno raccontato di atti di teppismo, di furti di motorini, di un clima sempre più pesante. Tutto ad opera di alcuni rom del vicino campo di via Lombroso. In quei ragazzi non ho trovato alcuna forma di razzismo, nelle loro parole non c'era nulla di pregiudiziale: c'era la volontà di vedersi assicurato il diritto di vivere serenamente nel loro quartiere, c'era una richiesta di legalità, alla quale abbiamo risposto concretamente. Con l'assessore competente abbiamo svolto diverse assemblee nel campo, purtroppo senza esito. Le famiglie responsabili di quegli atti sono state quindi allontanate, mentre tutte le altre sono rimaste a vivere in quello che è uno dei tanti villaggi attrezzati nei quali in questi anni abbiamo trasferito i rom che prima vivevano in insediamenti abusivi e non controllati.
Ecco il duplice atteggiamento: condizioni di vita migliori, scolarizzazione e inserimento lavorativo, in una parola solidarietà, per chi rispetta la legge e le regole di convivenza civile. Fermezza e assoluta severità per chi di queste leggi non si cura e queste regole le infrange.
Fare così è indispensabile. Pensiamo a cosa sono e a cosa stanno diventando sempre più velocemente le nostre società. Pensiamo all'Italia, dove gli stranieri sono passati dal milione e seicentomila del 2000 ai tre milioni e seicentomila di oggi. Sono due milioni di persone in più, in pochi anni. Sono storie e culture diverse, sono modi diversi di credere e di rapportarsi agli altri. O tutto questo saprà convivere, o si rafforzerà nel rispetto delle differenze un patrimonio comune di regole condivise, oppure i problemi sono destinati a moltiplicarsi.

Noi, come italiani, sappiamo cosa vuol dire emigrare, cosa vuol dire lasciare la propria terra, la propria casa, in cerca di speranza, di una vita migliore per sé e per i propri figli. L'Italia è stato un paese povero, che dopo la guerra si è risollevato grazie agli aiuti della comunità internazionale. Possibile non si riesca a comprendere che ora spetta a noi fare altrettanto, non solo perché è giusto moralmente, ma perché la prima radicale risposta in tema di immigrazione e di sicurezza è riuscire a fare in modo che dai paesi poveri non si debba più fuggire? Contemporaneamente, con la stessa radicalità si devono governare i flussi di entrata e moltiplicare gli strumenti di integrazione. E con la stessa radicalità bisogna affermare il principio che per chi sceglie di vivere in Italia, non ci sono solo diritti: ci sono i doveri, ci sono le leggi da rispettare. Integrazione e legalità devono sempre convivere.

Bisogna evitare ogni generalizzazione a danno di rom o immigrati, ricordando sempre che molti dei delitti più efferati sono opera di italiani come noi. Ma è anche tempo, per chi si sente di sinistra, di comprendere che battersi per la legalità significa stare, come è sempre giusto fare, dalla parte dei più deboli. Se c'è un rom che ruba la pensione ad una vecchietta, per poi andarsene in giro in Mercedes, chi è il più debole? E se alcuni immigrati spacciano droga o sfruttano la prostituzione, a danno del ragazzo che distrugge la sua vita, della minorenne buttata in mezzo a una strada dalla quale va tolta, e di tutti gli abitanti di quel quartiere, chi sono i più deboli? Per chi minaccia il diritto alla sicurezza e alla legalità dei cittadini, per chi ruba alla società quel bene prezioso che è la serenità, c'è solo una risposta, ed è la severità e la fermezza con cui pretendere che rispetti la legge e che paghi il giusto prezzo quando questo non accade, quale che sia la sua nazionalità. Allora saremo anche più forti nel momento in cui vogliamo far vivere concretamente parole come solidarietà, accoglienza e integrazione. Allora potremo sperare che quelle braci non si trasformino in un incendio, perché saremo riusciti a spegnerle.


 

Il Riformista 8-5-2007 Cari Mussi e Angius,  chiariteci la linea politica di Emanuele Macaluso


Negli anni della “rivoluzione conservatrice” di Reagan e della Thatcher molti becchini diedero per morto il socialismo europeo. Poi abbiamo assistito a smentite clamorose testimoniate dai successi dei partiti socialisti in quasi tutti i Paesi europei negli anni Novanta. Partiti che avevano aggiornato, anche attraverso una dura lotta politica, le loro piattaforme politiche e culturali. Oggi siamo in una fase in cui i partiti socialisti si ritrovano in difficoltà. La tardiva riscossa del socialismo francese, con Ségolène Royal, non aveva alle spalle una elaborazione critica e una piattaforma politica condivisa per sconfiggere un Sarkozy che, invece, aveva costruito un retroterra solido sulla base di un revisionismo conservatore cui si sono arresi Le Pen e lo stesso Chirac. Tuttavia la Ségolène ha creato le premesse, come notava Paolo Franchi ieri, per riaprire un discorso che non sia, come molti sperano, una “resa dei conti”.
Ma ecco che in Italia si rifanno vivi i certificatori della morte del socialismo democratico. Un pensatore della Margherita e teorico del Partito democratico, come Antonio Polito, che tifava Sarkozy, ha dichiarato che il risultato francese «mette in soffitta la funzione del socialismo di stampo classico anche nella versione della donna giovane e aggressiva». Lasciando stare le soffitte, bisogna invece ragionare su come reagire, come fecero i socialisti europei alla fine degli anni Ottanta, dopo la caduta del muro di Berlino, che seppellì il comunismo ma non il socialismo democratico. Il quale riuscì a mettere in campo politiche innovative conquistando consensi in una vasta area di centrosinistra. Su questa strada occorre andare ancora più avanti.
In Italia questo compito non potrà essere assolto dal Pd. Questo partito è destinato a perdere sia frange centriste perché considerato un partito di sinistra sia gruppi di sinistra che lo vedono come una forza centrista. La manifestazione con cui Mussi e Angius hanno inaugurato il loro percorso politico lo testimonia. Dico subito che la linea che è emersa nella assemblea di Sinistra democratica è confusa e contraddittoria. La proclamata adesione al Pse non può essere un distintivo da mettere all’occhiello, ma una politica nettamente distinta dalla sinistra antagonista. Una sinistra, questa, che nessuno vuole demonizzare, ma che deve fare i conti con se stessa, come partito di governo e forza che si definisce antagonista al sistema. Il pericolo che io intravedo è il congelamento di una sinistra pasticciata e di un Partito democratico asfittico, entrambi in cerca di identità all’interno di un quadro politico sempre più confuso e incerto. La costituente socialista, proposta a Bertinoro e a Fiuggi, potrebbe essere un’occasione per costruire un punto di riferimento (non per dare vita a un partito socialista del 3 o 4%) ovvero una forza in grado di offrire a tutti i socialisti che si riconoscono nel Pse una casa in grado di essere stimolo critico anche per il Partito democratico.
Dominique Strauss-Kahn, antagonista della Ségolène, fautore di una politica di centrosinistra non ha detto di «mettere in soffitta il socialismo» e di dar vita a un partito democratico ma di costruire la socialdemocrazia. Mussi, Angius e i loro compagni devono dirci quale è la loro prospettiva, dopo una manifestazione calorosa ma senza una chiara e comprensibile linea politica.


Il Piccolo di Trieste 8-5-2007  Family day, lite tra ministri bindi a mastella: non andare

 

Il Guardasigilli replica: "Ci sarò, anzi invito tutti" Il rabbino di Roma contro i Dico. Grillini, Arcigay: "Questo è razzismo" Family day, lite tra ministri Bindi a Mastella: non andare ROMA Scontro nel governo sul Family Day. In vista della manifestazione che si terrà sabato prossimo a piazza San Giovanni, Rosi Bindi chiede a Clemente Mastella di non partecipare e fa notare che "per sobrietà e correttezza" si dovrebbe rimanere a casa. "I ministri non debbono scendere in piazza perché è una contraddizione in termini, anche nelle manifestazioni che appoggiano il governo" dice il ministro per la Famiglia. Ma l'invito non viene raccolto da Mastella che non cede e anzi rilancia: "Io ci sarò, anzi, invito tutti a partecipare. Se ci saranno anche i giornalisti mi farà un gran piacere" risponde il Guardasigilli, che conferma la sua netta contrarietà al ddl sui Dico e sceglie l'ironia per contrastare la sua collega di governo: "Se domenica mattina il ministro Bindi mi invita a pranzo volentieri accolgo l'invito, ma sabato sono impegnato al Family Day". La macchina organizzativa del Family Day continua a marciare senza sosta, con 1.500 volontari del Forum delle Famiglie pronti la kermesse del 12 maggio. Ieri ,oltre alle consuete schermaglie politiche tra i due schieramenti, con Emma Bonino che difende l'incontro "Coraggio Laico" di piazza Navona ("Noi manifestiamo a favore di qualcosa, a San Giovanni contro"), i toni si sono alzati anche per la presa di posizione di Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma: "Ci sono buoni motivi" per rompere il silenzio della comunità ebraica sui Dico, ha scritto il rabbino sulla rivista Shalom, affermando che questi contengono "una prima forma di riconoscimento legale" dell'omosessualità maschile che, dice citando a sostegno il Talmud, è "inaccettabile". Durissima la reazione della comunità gay. Rispondendo al rabbino, Franco Grillini, presidente onorario di Arcigay, ha parlato di "razzismo anti-omosessuale, inaccettabile. Forse - ha aggiunto con un filo d'ironia - hanno dimenticato che insieme agli ebrei, nei campi di sterminio nazisti, c'erano anche degli omosessuali". Grillini, sorpreso perchè si è sempre schierato a difesa di Israele. ha fatto appello alla comunità di dissociarsi da Di Segni e di non partecipare al Family day. La contro replica è stata di Riccardo Pacifici, portavoce della Comunità, che ha chiesto più rispetto per la posizione del rabbino: "Sono dispiaciuto che su un tema così delicato, sul quale, ovunque si possono assumere posizioni e soprattutto opinioni diverse, ci sia una reazione così feroce come quella che ha espresso l'amico Grillini". Prende le distanze da Di Segni, invece, il deputato Ds Emanuele Fiano, esponente della comunità ebraica romana, mentre Amos Luzzatto, ex presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane non vede "in quale forma dobbiamo temere che questa legge possa influenzare la famiglia e il matrimonio ebraico". Timori per la tenuta della famiglia che invece ha ribadito da parte cattolica il teologo monsignor Rino Fisichella, rettore della Pontificia università Lateranense: "Non potremo mai accettare che sulla famiglia lo Stato si dia una legge che stravolga quello che lo Stato stesso si è dato nella sua Costituzione". Sul piano politico, continuano gli inviti a lasciare fuori i partiti, con la teodem della Margherita, Paola Binetti, che avverte: "non permetteremo alcuna strumentalizzazione della destra". Cdl che continua a criticare il governo, mentre il leader dei Ds, Piero Fassino assicura che le "forze del futuro Partito democratico guardano senza ostilità e con attenzione" alla piazza di San Giovanni, "anche se questo non vuol dire condividere. Con loro noi possiamo interloquire", e il Pd su questo tema "può costruire una sintesi politica".

 


 

Il Messaggero Veneto 8-5-2007 MODERNE CROCIATE di ALCIDE PAOLINI

 

LA PROTESTA CONTRO I DICO Ancora una volta viene da chiedersi quale scopo possa prefiggersi la manifestazione cattolica del Family day, indetta per il 12 maggio (anniversario della legge sul divorzio) a Roma, se non quello di esprimere una decisa volontà di rivincita, capace di tagliare la testa ai Dico e di dimostrare la propria forza. Ma era davvero il caso di organizzarla questa manifestazione in un momento così delicato dei rapporti tra Stato e Chiesa? Le autorità religiose ne sono proprio convinte? Intanto, come conseguenza, a Milano, il giorno prima, il movimento internazionale dei cattolici conciliari si riunirà per dire no a quella che considera una crociata dei vescovi contro i Dico. Nello stesso giorno a piazza Navona ci sarà una contromanifestazione. La contromanifestazione del coraggio laico organizzata da socialisti e radicali. Mentre la cattolica ministra Rosy Bindi considera il Family day un attacco strumentale alla legge da parte di una destra che cerca di specularci per ragioni puramente politiche. Insomma, come era prevedibile il clima si è fatto di nuovo incandescente e rischioso, perché è in tal modo che si solletica la voglia di violenza da parte delle frange estreme alla ricerca di occasioni di scontro. E gli scontri, quando sono reiterati, finiscono spesso allo stesso modo: con gli animi più infiammabili che si accendono fino a farci scappare la provocazione. Il caso di monsignor Angelo Bagnasco, purtroppo, insegna. Come mai allora questa fiducia della Chiesa nella forzatura a ogni costo, anziché nel dialogo ad oltranza, fosse pure col rischio di non concludere niente? E comunque, quale potrebbe essere il risultato della manifestazione, anche se finisse con un risultato eclatante? Sì, potrà dare qualche soddisfazione a chi vede il confronto come una sfida, come una rivalsa, indipendentemente dal significato che esso finirà per assumere, ma per la Chiesa, di sicuro, questo non favorirà il proselitismo né le conquisterà un solo nuovo fedele. Può solo perderne. Quello che sorprende, perciò, in questo insistito contrasto innestato da un discutibile "basta!" è la mancanza di ogni riflessione, anche banale, sul fatto che la società è in continuo movimento già da qualche secolo e con maggior velocità in questi ultimi decenni. Pensare di fermarne l'evoluzione sarebbe ingenuo e la Chiesa questo non può non saperlo e non considerarlo. Senza contare che nessuno, nemmeno il più laicista dei laicisti, si sogna di cancellare la famiglia, che continua a restare, per la stragrande maggioranza degli esseri umani, a ogni latitudine, il luogo eletto per il suo percorso terreno. Inclusi tra questi coloro che la famiglia non ce l'hanno perché non hanno saputo o potuto o voluto costruirsela. Il fatto è che la società cambia. La scienza, la tecnologia, l'arte, la conoscenza, nella loro corsa sempre più imprevedibile e, perché no?, affascinante stanno trasformando il mondo, quindi la società, quindi i suoi modi di vivere. Chi ha conosciuto la società dell'inizio del secolo scorso fa fatica a starle dietro. Il mondo evolve in tutte le sue specificità. La società contadina non esiste più e neppure quella artigiana e comincia a sparire anche quella operaia. I rapporti interpersonali e quindi anche interfamiliari si modificano di conseguenza, non potrebbe essere diversamente. I bambini vanno all'asilo, le donne lavorano, le distanze tra l'abitazione e il luogo di lavoro aumentano, l'istruzione è sempre più necessaria, gli spostamenti da un paese all'altro, da una città all'altra, da uno Stato all'altro sono ormai una norma. I mezzi di comunicazione diventano sempre più pervasivi, le distanze si annullano, quasi tutti, presto proprio tutti, potranno collegarsi con tutti; le notizie si diffondono in contemporanea a ogni latitudine, il mondo sta ormai davanti a noi su una console in tempo reale. Ciò che ieri era privilegio di pochi, oggi è a disposizioni di molti. Quanto a ciò che ci riserva il futuro prossimo, nel bene e nel male, è inimmaginabile perfino per la fantascienza. Come è concepibile, a questo punto, fare una crociata per una legge che regolamenta socialmente, nel modo più soft, le coppie che stanno insieme, perfino con figli, indecise o impreparate, per qualche ragione, a volte pratica a volte psicologica a volte di necessità, a contrarre il matrimonio regolare? Il legame delle coppie legalmente sposate sarà sempre più debole e per contro ci saranno sempre più secondi e terzi matrimoni e allora come non pensare che si dovranno prevedere delle regole conseguenti? Ma davvero la Chiesa (o i suoi vescovi) pensa di poter impedire che la società, nel suo continuo modificarsi, modifichi di conseguenza (e di necessità), prima o poi, anche i suoi rapporti statuali? Certo, l'evoluzione sociale comporta un aumento dell'individualismo, ma ciò non contrasta affatto con la fondamentalità della famiglia, sia pure non sempre sotto le forme tradizionali. E allora, quanto potrà resistere questa ostinazione della Chiesa ai suoi cambiamenti? Non sarebbe meglio cercare forme di compromesso che salvaguardino, regolamentandole, le unioni familiari, sia pure sotto forme meno istituzionali? Può essere uno stimolo anziché un'imposizione. Dopotutto rende di più la persuasione che la condanna.


INDICE 7-5-2007

+ La Gazzetta del Mezzogiorno 7-5-2007 Partiti, più diminuiscono gli iscritti più aumentano i costi per i contribuenti Mario Caligiuri 1

+ La Repubblica 7-5-2007. LA LETTERA. Aiuto, sono di sinistra ma sto diventando razzista. Risponde C. Augias. 2

+ Il Corriere della sera 7-5-2007 La rottura di Massimo Nava  4

+ La Stampa 7-5-2007 L’homo novus  Di Barbara Spinelli 5

Teatronaturale.it 6-5-2007  LA CASTA, OVVERO QUANDO I POLITICI ITALIANI DIVENTANO DEGLI INTOCCABILI di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, edito da Rizzoli 6

Tuttoconsumatori.it 5-5-2007 SESSIONE PROGRAMMATICA 2007. Gli interventi dei presidenti delle associazioni del CNCU  8

CorriereEconomia 7-5-2007 Riformare stanca I colpevoli sono due di Marcello Messori 9

Italia Oggi sette 7-5-2007  Un Libro verde per chiarire gli obiettivi della politica dell'Ue nei servizi finanziari al dettaglio  10

La Stampa 7-5-2007 Nicolas Sarkozy rappresenta un'importante opportunità per il rafforzamento dei rapporti tr A Francia e Stati Uniti e di questi ultimi con l'Unione Europea. 11

Il Riformista 7-5-2007 Eliseo La battaglia bella e impossibile di Ségolène  12

La Repubblica 6-5-2007 Tensione dopo la vittoria di Sarkozy  Scontri a Parigi, nelle banlieue e in provincia  13

La Repubblica 6-5-2007 Sarkozy, primo discorso da presidente "Voglio restituire l'orgoglio alla Francia " 14

Il Corriere della sera 6-5-2007 Le reazioni dopo il risultato elettorale in Francia  Prodi a Sarkozy: «Lavoriamo insieme»  15

Europa 5-5-2007 Libertà d’informazione e conflitto d’interessi due leggi che l’Italia “non vuol proprio votare”? FEDERICO ORLANDO RISPONDE  16

La Stampa 5-5-2007 Torino Più o meno, 500 "spioni" lavorano ogni giorno, in città e nella prima cintura  16

Il Riformista 5-5-2007 I conti da fare con l’islam moderato  17

 

 


+ La Gazzetta del Mezzogiorno 7-5-2007 Partiti, più diminuiscono gli iscritti più aumentano i costi per i contribuenti Mario Caligiuri

 

Bilanci costituiti in gran parte dai finanziamenti pubblici autoassegnati in modo... bipartisan Partiti, più diminuiscono gli iscritti più aumentano i costi per i contribuenti Mario Caligiuri Il problema non è di poco conto. Con la cosiddetta seconda Repubblica, più i partiti diminuiscono in iscritti e più costano ai contribuenti. Il ceto politico prima del 1992, è stato spazzato via sull'onda di un legittimo rigetto contro un affarismo imperante e la difficile sostituzione dei governanti al potere. Ma adesso come siamo messi? Dopo quindici anni, per molti aspetti anche peggio. Potremmo allora dire che il rimedio è stato peggiore del male? Se analizziamo la presenza delle forze politiche all'interno della società, è facile constatare come i militanti siano ridotti a poco più di 2,3 milioni su oltre 47 milioni di elettori per la Camera che diventano quasi 50 con la circoscrizione estera. Magicamente, è invece aumentato il numero dei professionisti della politica, anche sulla base del federalismo che, trasferendo compiti e funzioni dal centro alla periferia, ha aumentato a dismisura il numero, ed i costi, di chi si dovrebbe occupare della cosa pubblica. Non sono processi casuali. Nel 1975, in uno studio della Trilateral Commission si sosteneva che le democrazie per essere efficienti avevano bisogno di una bassa partecipazione dei cittadini. Per una serie di fattori, dalla trasmissione di valori rivolti al consumismo all'imporsi di un sistema mediatico sempre più pervasivo ed "educante", il riflusso dalla vita pubblica è evidente. E questo a prescindere dalla rinnovata partecipazione formale di questi ultimi anni, iniziata con le elezioni presidenziali americane e confermata anche dalle elezioni italiane del 2006 (quelle delle liste bloccate) e adesso dalle presidenziali francesi. Una partecipazione che si basa esclusivamente sulle spinte emotive e mediatiche, conseguenza di attente e costose politiche di marketing. Infatti, è palese che il consenso è fortemente condizionato dalle disponibilità economiche che vengono impegnate nelle campagne pubblicitarie. In questo senso Fareed Zakaria, parla addirittura di "democrazia senza libertà" e c'è anche chi come Noreena Hertz, la quale da anni sostiene che in assenza di chiare distinzioni ideologiche, i partiti cercano di distinguersi solo in termini di marketing, e afferma che "in un ambiente politico sempre più globale in cui i politici sono sempre meno in grado di esprimere strategie e contenuti autentici, essi dipendono sempre di più dal denaro per catturare l'attenzione del pubblico". Per comprendere che la musica è questa anche in Italia, basta leggere i bilanci dei partiti, che sono costituiti in grandissima parte dai finanziamenti pubblici che i diretti beneficiari si autoassegnano in modo assolutamente bipartisan. Il "costo della politica" è anche quello delle campagne elettorali, ma incide soprattutto nella selezione di una classe dirigente che pensa prevalentemente a tutelare le proprie rendite, perché non ha alcuna necessità di affrontare i problemi veri, e seri, che investono il Paese. La stella polare è essere funzionali esclusivamente alle ristrettissime oligarchie che decidono le candidature nelle elezioni politiche, dalle quali discendono poi tutti i mali, che si allargano a macchia d'olio nel resto del Paese. Infatti, per mantenere i propri privilegi diventa poi automatico estenderli alle categorie più prossime. Solo così si possono spiegare, tanto per dirne una, le indecenze dei medici della Camera dei deputati che percepiscono stipendi di 250 mila euro annui. Gli esempi sono innumerevoli ma tutti dello stesso segno, dimostrando come sia strutturale il fenomeno dei costi della politica per mantenere in vita un sistema che favorisce una cerchia molto ristretta. Va detto chiaro e tondo che la degenerazione è nata alla Camera ed al Senato, dove vengono dettate, o più facilmente stravolte, le regole. E' dal Parlamento che dunque occorrerebbe partire. Ma poco lo si potrà fare con le leggi elettorali. Si tratta di semplici palliativi che, nella migliore delle ipotesi, spostano di poco il problema. Per capirci: se c'è chi lo vuole, nessuna legge elettorale potrà mai impedire che veline e diretti congiunti possano ritornare in Parlamento. Questo, lo sanno tutti. C'è un modo per difenderci? Secondo me, sono maturi i tempi per la creazione di un movimento di opinione tipo la "Common Cause" statunitense che monitora i costi delle politiche pubbliche. Perché passa proprio dall'abbattimento di questi costi, la selezione di una nuova classe dirigente capace di riallacciare un rapporto nuovo e moderno con i cittadini. (lunedì 7 maggio 2007).

 


+ La Repubblica 7-5-2007. LA LETTERA. Aiuto, sono di sinistra ma sto diventando razzista. Risponde C. Augias.


GENTILE Augias, ho 49 anni, vivo a Roma, lavoro al Quirinale, ho studiato, leggo buoni libri (credo e spero), mi interesso di politica, leggo ogni giorno 2 quotidiani, guardo in tv Ballarò e Matrix e voto a sinistra, sono stato candidato municipale per la Lista Roma per Veltroni. Cerco di insegnare alle mie figlie i valori della tolleranza e della nonviolenza, dell'importanza dell'istruzione, delle buone letture e dello studio, l'etica del lavoro e del sacrificio per ottenere qualcosa di duraturo e vero nella vita.
Lotto ogni giorno, al loro fianco, contro la cultura del nulla e dell'apparire, contro i Tronisti e le Veline e i Grandi Fratelli.
Ma questo è un altro discorso e quindi torno subito a me ed alla mia richiesta di aiuto.
A 49 anni sto diventando un grandissimo razzista e non riesco a sopportarlo.
Non c'è stata una molla scatenante, un atto di violenza compiuto verso di me o la mia famiglia o amici, ma un continuo stillicidio di fatti letti, di violenza vista, di sicumera da impunità, di moralità calpestata, di identità violata e violentata, di fatti raccontati da persone sconosciute su un tram o una metropolitana.
Ad una signora anziana che ha tossito (forte e ripetutamente) sul tram la giovane ragazza slava seduta davanti a lei ha detto: "Se sei malata devi scendere, vecchia!!". Alle mie rimostranze sia la ragazza che il suo accompagnatore hanno semplicemente risposto: "Tu che c.. o vuoi, fatti i c.. i tua", proprio così tua, alla romana.
Altro giro sul tram, affollato. Sale una vecchietta, si avvicina ad una ragazza di colore, la più vicina all'entrata e seduta tra altre 2 persone anziane e, gentilmente, le chiede il posto: prima non risponde e poi, all'insistenza dell'anziana biascica un "vaffanc.. vecchia puttana". Il vecchietto seduto si alza per darle il posto: io intervengo per dire che non è giusto, lei è giovane e può benissimo alzarsi per una vecchietta. Quella si alza, mi guarda, dice qualcosa e poi mi sputa la gomma americana che ciancicava: l'ho presa per il colletto e l'ho sbattuta fuori dal tram, alla fermata. Tutti ad applaudire ma io mi sono vergognato come un ladro per la mia reazione ed alla fermata successiva sono sceso.
Lavorando al Quirinale ogni tanto vado a comprare un panino in piazza Fontana di Trevi: ho sventato 2 borseggi da parte delle zingarelle. Ad un turista di Palermo ho fatto recuperare tutto il bottino che gli era stato trafugato e, appena mi accorgo della loro presenza di branco in caccia, avverto la polizia che staziona alla fontana: nessuno si muove perché devono stare vicino alle moto o alle macchine.
Ed allora capisco che Fontana di Trevi è terra di nessuno, tra decine di venditori di pistolette che fanno le bolle di sapone e di quegli aggeggi rumorosissimi che si lanciano in aria e fanno il verso dei grilli mentre le bande imperversano.
Di fronte agli stupri che avvengono, troppo frequentemente, in varie città italiane, mi chiedo: e se io stuprassi una giovane araba alla Mecca o a Casablanca, se venissi preso dalla locale polizia a cosa andrei incontro? E se a Bucarest, in metropolitana, avessi accoltellato un giovane rumeno per una spinta ricevuta, che mi avrebbero fatto le locali autorità? Perché devo essere sempre buono ed accogliente con i nomadi, ahi tasto dolentissimo e pericolosissimo, quando questi rubano, si ubriacano, violano la mia casa e la mia intimità, quando rovistano nei cassonetti e buttano tutto fuori, quando mendicano con cattiveria e violenza, quando bastonano le immigrate che non vogliono prostituirsi, quando sbattono i bambini in strada o mandano i figli a scuola con i pidocchi?
Perché se chiedo l'espulsione immediata dei clandestini violenti e ladri e meretrici e protettori di meretrici vengo immediatamente accostato a Eichmann?
Perché lo schieramento politico che mi rappresenta, se io chiedo certezza delle pene e della detenzione, mi risponde con Mastella che nomina direttore generale del Ministero di Grazia e Giustizia quel Nuvoli Gianpaolo che, secoli fa ormai, ai tempi di Mani Pulite, ebbe a dire di Borrelli "se il procuratore fosse condotto alla forca sarei in prima fila per assistere all'esecuzione"?
Perché quando Fini, allora competitor di Rutelli a sindaco di Roma, propose di spostare i campi nomadi fuori dal Gra di Roma, tutti noi della sinistra (quindi me incluso ed in prima fila) gridammo "tutti i fascisti fuori dal raccordo" ed ora, a più di quindici anni di distanza, prevale l'idea del mio sindaco e del prefetto di compiere in tutta fretta questa operazione smentendo così, sostanzialmente, tutta la politica fin qui seguita dell'integrazione e dell'accoglienza solidale?
Perché devo sopportare lo strazio umano di vedere per le strade, di giorno e di notte, giovanissime prostitute schiave senza che a qualcuno, di destra prima e di sinistra ora, sia venuto in mente di vietare la prostituzione in strada cambiando semplicemente la legge in vigore? Però se i cittadini delle zone interessate scendono in strada e reclamano, con le ronde e con le fiaccole, un minimo di decenza ed anche di lotta alla schiavitù ecco subito le anime belle gridare al fascismo ed al ritorno delle camicie brune.
Sta crescendo ogni giorno di più l'intolleranza, sta montando l'odio per lo straniero e nessuno fa nulla per spegnere queste pericolosissime braci. Centinaia di persone come me, che hanno sempre litigato con tutti per difendere chi entra in questo Paese, che si sono battute come leoni contro l'intolleranza e la violenza xenofoba, sono stremate e ridotte, ormai, alla schizofrenia. Io voglio spegnere quelle braci prima che si trasformino in un incendio di rancori e violenza, non voglio lasciare più il monopolio della legalità alla destra e quindi non capisco, perché dare il voto locale agli immigrati, dopo 5 anni di permanenza nel nostro Paese, quando in nessun grande Paese dell'Europa Occidentale questo avviene.
So benissimo, come tutti gli italiani, che in Italia, ogni giorno, mille e più reati, anche odiosissimi, vengono compiuti da miei connazionali, nessuno crede veramente che la sicurezza venga messa a repentaglio solo dagli immigrati, non voglio e mi opporrò con tutte le mie forze al dagli allo straniero. Ma voglio legalità, voglio la cultura della legalità in questo benedetto Paese, voglio che chi sbaglia paghi.
Claudio Poverini

Se Nicolas Sarkozy ha conquistato l'Eliseo è anche per come ha affrontato prima da ministro dell'Interno, poi durante la campagna elettorale il tema dell'immigrazione. Con durezza, diciamolo. Senza negare, almeno a parole, una tradizione d'accoglienza che si vuole generosa, ma senza risparmiarsi l'elenco dettagliato di tutti i casi in cui i nuovi arrivati saranno immediatamente espulsi. La sua è stata una campagna visibilmente di destra appoggiata dai media e dall'industria ma, anche alla luce della lettera che pubblichiamo (necessariamente tagliata) ciò che dobbiamo chiederci è: sul punto specifico dell'immigrazione dove si collocano oggi i confini tra destra e sinistra?

Ricordo perfettamente gli anni in cui 'Law and Order', slogan della destra americana, era stato adottato nelle campagne elettorali fasciste: 'Legge e Ordine'. Dobbiamo avere il coraggio di dire che non è più di destra ammettere che la criminalità e il disordine sociale rappresentano un problema grave per l'equità della nostra convivenza. Non è di destra sostenere che l'immigrazione deve essere controllata, o chiedere agli immigrati di farsi carico di una serie di responsabilità civili, ivi compreso (per fare un esempio) l'obbligo di apprendere la lingua nazionale. Non è di destra reclamare una cultura della legalità che valga per tutti.

Al contrario, la cultura della legalità (a ogni livello - qui il discorso sarebbe lungo) è ciò di cui abbiamo più bisogno per evidenti ragioni di giustizia. Non si possono lasciare impegni così delicati alla destra che li assolverebbe a modo suo, con brutalità cieca anche senza arrivare alle cannonate che qualcuno minacciava tempo fa. È la sinistra che deve farsene carico ed è un carico pesante, forse il compito più difficile che oggi debba affrontare. Bisogna cominciare a dirlo con parole forti e chiare, con lucidità di visione, con il coraggio di chi sa innovare, prima che la denuncia del signor Claudio Poverini venga sommersa nel caos di episodi sempre più frequenti di rigetto, di intolleranza. Perché a quel punto la battaglia l'avrebbero persa tutti, gli immigrati e i cittadini.

Corrado Augias

(7 maggio 2007)


 

+ Il Corriere della sera 7-5-2007 La rottura di Massimo Nava  

 

Un Blair di destra. Lo sceriffo di Francia. Un nazionalista che guarda all'Europa. Il rampollo ribelle di Chirac. E infine, il successore trionfante. La biografia si confonde con il personaggio, il progetto con la demagogia mediatica. Ma l'uomo che entra all'Eliseo non è soltanto il leader ambizioso che esalta patria e ordine, criminalizza il Maggio '68 e piace alla Casa Bianca. I francesi che lo hanno atteso e temuto come un nuovo Napoleone hanno premiato un progetto di rigenerazione del sistema- Paese. Sarkozy vuole aprire i cantieri delle riforme, ma ha già aperto quello della mentalità collettiva, piuttosto conservatrice, e quello della cultura politica della destra. Molti, in Europa, ne faranno un campione ideologico, il conservatore e l'amico americano, esaltando il lato più pubblicizzato e dimenticando il lato riformista che piace anche a sinistra. La sua è una destra di movimento, che mette sulle spalle della sinistra la resistenza ai cambiamenti e promette la «nuova frontiera» del successo individuale e della solidarietà. Sarkozy è un gollista geneticamente modificato che ieri sera ha subito ricordato al mondo valori e orizzonti della Francia, compreso il rapporto di non sudditanza con gli Usa. Sarkozy non vuole distruggere lo Stato sociale, sapendo che i francesi vi si aggrappano come le cozze agli scogli, ma modernizzarlo, con l'ambizione di ridurre privilegi della funzione pubblica e garantire davvero l'eguaglianza delle possibilità.

Sarkozy vuole più flessibilità nel mondo del lavoro, nel sistema previdenziale, nel sistema fiscale: «Il modello che funziona è quello che dà un lavoro a tutti, non quello che generalizza i sussidi. Altrimenti perdiamo tutti: gli operai, le imprese, la Francia». Sarkozy ha svuotato a suo vantaggio il serbatoio di xenofobia del Fronte nazionale, ma non farà passi indietro sul terreno delle libertà civili, della laicità dello Stato e dell'integrazione di milioni di francesi umiliati dai principi della Rivoluzione. L'«uomo pericoloso per la democrazia», come l'ha definito Ségolène, vuole mettere in pratica ciò che governi di destra e di sinistra hanno vanamente promesso: il ripristino della legalità, nella convinzione che la sicurezza sia un diritto, al pari di salute e scuola, che quando manca sono i più poveri e i più deboli a farne le spese. «Severi con il crimine come verso le cause del crimine», fu lo slogan di Blair all'inizio della marcia nell'archeologia ideologica del Labour. Nei confronti dell'Europa, Sarkozy è un teorico di quel «patriottismo» industriale che accomuna i predecessori. Non sarà un cliente facile, a giudicare dalla posizione critica sull'euro forte. Ma la Francia da ieri non è più il Paese che ha urlato un rabbioso «no» alla Costituzione europea, alla classe politica e al sistema malato. In politica, come in economia, la psicologia e il carisma possono molto. Sarkozy ha ridato fierezza a un popolo brontolone. I francesi si sono anche entusiasmati per la soluzione al femminile, più rassicurante e solidale, ma hanno preferito la cultura del risultato. Per il Paese con il record mondiale di vacanze e il record europeo di disoccupati, è già una rivoluzione.

07 maggio 2007

 


 

+ La Stampa 7-5-2007 L’homo novus  Di Barbara Spinelli

 

http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://adv.ilsole24ore.it/5/www.lastampa.it/06/stampa2/news_giornale/486398229/SpotLight_01/OasDefault/default/empty.gif/64343232643061333435366664633030http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifI francesi hanno scelto l'homo novus, Nicolas Sarkozy, con determinazione. Gli hanno dato una maggioranza del 53 per cento. A Ségolène hanno dato il 47. Il desiderio d'un cambiamento radicale è stato più possente della paura suscitata dal leader gollista, più vigoroso dello slogan che raccomandava «Tutto tranne Sarkozy».

Il sesto Presidente è homo novus nel senso latino del termine. Nella Roma antica era homo novus chi veniva dalla provincia, chi era nobile da poco tempo, chi pur aspirando alle alte cariche non aveva la formazione requisita. Cicerone fu homo novus, e Catone il Censore, Mario, Agrippa. Lui, Sarkozy, non è di ceppo francese - il padre si chiamava Pál Sárkozy, lasciò l'Ungheria quando l'Armata Rossa vi esportò il comunismo. Da giovane non ha nemmeno frequentato l'Ena, la mitica Scuola Nazionale di Amministrazione che è il lasciapassare per le grandi ascese politiche. Ha preso il controllo del proprio partito (Ump, Unione per un movimento popolare) nel 2004, ma ha subito ostracismi lunghi. È un outsider, e come tutti gli outsider ha ambizioni smisurate.

È stato paragonato a Rastignac, l'eroe di Balzac che dalla lontana provincia guarda Parigi scintillante, ombelico delle umane commedie, dicendo a se stesso e al mondo: «A noi due, Parigi!», per diventare poi conte, due volte ministro, e cinico. Lui non vuol esserlo: fin da ieri sera ha teso la mano agli elettori di Ségolène, promettendo di governare anche in loro nome. Si vedrà.

L’homo novus ha i difetti tutti dell'arrivista, ma possiede un pregio. Vede la realtà con occhio più spietato, avendo studiato ogni minimo difetto del potere che ha scalato. Scruta meglio di altri quel che s'è inceppato nella sua meccanica, e non è un caso che alla sorridente Ségolène, la sera del duello televisivo, ha risposto che se lei sognava d'esser «Presidente della Francia che funziona», lui no, voleva diventare Presidente della Francia che non funziona. Gli outsider sanno gli scricchiolii dei più gloriosi monumenti.

La biografia di Sarkozy e il suo carattere spiegano non solo la straordinaria energia della campagna, ma la visione severa che egli ha del paese. È sua convinzione che la Francia debba guardarsi allo specchio e smettere infine la storia incantata che racconta a se stessa. La Grande Nation non è più grande, ma in un mondo dominato da giganti come America e Cina s'è rattrappita, immobilizzata. Rischia di cadere nell'irrilevanza, ha detto più volte: di divenire un «parco per turisti». Nel libro Testimonianza questa visione è ricorrente: «La Francia non parla più al mondo perché non lo comprende più e non ha più niente da dirgli». I suoi leader s'ostinano a proporre sogni: cioè menzogne, corregge Sarkozy. La Francia si presenta come un modello - economico, d'integrazione - senza più esserlo: «La nostra maniera di far politica è divenuta insipida, mentre la società resta piena di foga e impazienza».

L'esperienza dell'Iraq è stata essenziale per lui: pur con una posizione giusta, Chirac ha creduto in splendidi isolamenti e non ha offerto che inefficace arroganza. Qui è la rottura promessa da Sarkozy, di qui il suo slogan: «La Francia del dopo - la France d'après». Significativo è che ambedue i contendenti hanno cessato di credere nell'eccezionalità francese, mettendosi a cercar lumi in modelli stranieri: una rivoluzione copernicana nella francocentrica iconografia nazionale. I modelli sono l'Inghilterra ma soprattutto il Nord Europa, dove riforme rigorose si combinano con la preservazione dello stato sociale.

Non mancano i pericoli in questa vittoria, e alcune accuse non sono inappropriate. C'è in Sarkozy un enorme desiderio di regolare conti, con toni vendicativi. C'è un'ansia di usare politicamente la storia, di denigrare con rancoroso risentimento la memoria autocritica inaugurata da Chirac: un'«abitudine al pentimento» che il nuovo Presidente vuol abolire. Sarkozy è pronto a rischiare conflitti, e quasi sembra suscitarli. È ovvio che quando usò la parola racaille (feccia) per descrivere i comportamenti devianti nelle banlieue, contribuì alle terribili 25 notti di violenza, nel novembre 2005. Il fatto che queste parole siano state ripetute in questi giorni inquieta molti. Così come inquieta il suo appello a «liquidare» la cultura del '68, che è parte della storia nazionale: il pentimento, in questo caso, è d'un tratto ammesso e la parola liquidare è violenta. Il rischio è quello di suscitare la paura per esserne il pompiere. Un rischio acuito dall'influenza che Sarkozy esercita su stampa e audiovisivo, attraverso tanti editori a lui vicini. Ségolène e Bayrou hanno denunciato queste connivenze.

E qui veniamo al secondo evento cruciale del voto: al fallimento di Ségolène, dei socialisti. La sinistra aveva un'opportunità grande, di vincere. Michel Rocard (socialista riformatore da sempre minoritario) ha detto giustamente che la maggioranza del paese aveva votato contro Sarkozy al primo turno, essendo questa la volontà degli elettori socialisti, della sinistra radicale, e di Bayrou. Se il socialismo francese ha perso, è perché la strategia era inadatta e forse anche la linea della candidata. Col senno di poi, si può dire che la sinistra non s’è veramente preparata a vincere, avendo intuito tardi, e in maniera improvvisata, poco sincera, che da sola non poteva farcela. Non avendo compreso che la vecchia Unione delle Sinistre di Mitterrand, buona per i tempi in cui ci si alleava solo col Pc, era inane a partire dal momento in cui i comunisti crollavano e Bayrou saliva.

Se il socialismo francese avesse intuito tutto ciò, avrebbe cominciato a lavorare in questa direzione non negli ultimi giorni ma molto prima, sin da quando Bayrou ruppe con la destra nelle elezioni europee del '99. Eppure la verità è apparsa chiara nella campagna: Ségolène sarebbe magari passata al primo turno, ripetevano i sondaggi, ma le forze per battere Sarkozy non le bastavano. Al secondo turno solo la visione del mondo di Bayrou avrebbe vinto, e con ampio margine. Certo, sarebbe stata una mutazione dolorosa per il socialismo: si trattava di divenire socialdemocratici presto, di cambiare programmi, amici. Non avendo agito prima, occorreva farlo a caldo. Si trattava di capire che Ségolène doveva esser qualcosa di più che una originale, combattiva invenzione femminista.

Fin dal 22 aprile la strategia femminista è fallita: la maggioranza delle donne ha votato Sarkozy al primo turno. Alcuni osservano la combattività di Ségolène e dicono che un leader politico è nato, il che è possibile ma non sicuro: il partito e lei stessa ci credono, e forti del 47 per cento puntano sulle legislative del 10 e 17 giugno, sperando di conquistare il parlamento e costringere Sarkozy alla coabitazione. Per il momento, tuttavia, Ségolène non esercita sul socialismo un'autentica leadership. E anche quando si è mostrata veemente e forte, nel duello televisivo con Sarkozy, ha dato prova di debolezza. La sua collera, quando ha denunciato l'immoralità dell'avversario accusandolo d'aver ridotto il numero degli scolari handicappati, era non solo violenta ma artefatta. Un vero leader non scatena putiferi morali per esser smentito subito dopo (gli handicappati scolarizzati sono raddoppiati dopo il governo Jospin). La sinistra non ha sino in fondo voluto vincere le elezioni. Se avesse voluto, si sarebbe comportata con granitica volontà di guardare in faccia le mutazioni francesi e di cambiare. Non ha capito che in politica la parte della necessità è grandissima. Riconoscerlo è servitù gravosa ma la libertà e anche il successo sono a questo prezzo.

Sarkozy si è lungamente preparato. È un politico tenace, studioso, in fondo non ha l'improvvisato arrivismo di Rastignac. È come se la meta per lui fosse una necessità, se non un'avversità. Si può predisporre un destino politico con lo stesso spirito con cui si vive monaci nel deserto o si traversa un dolore. Non a caso c'è una parola, singolare per la cultura politica francese, che Sarkozy usa spesso quando racconta la propria pluriennale conquista: ascesi, che letteralmente vuol dire esercizio spirituale e fisico fatto di isolamento, preghiera, meditazione, perfezionamento e volontà ferrei. La parola araba è gihàd.

 


Teatronaturale.it 6-5-2007  LA CASTA, OVVERO QUANDO I POLITICI ITALIANI DIVENTANO DEGLI INTOCCABILI di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, edito da Rizzoli


Nel libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, edito da Rizzoli, il quadro terribile di un Paese che non conosce il senso della misura e del buon senso. Non si tratta di qualunquismo, ma l'inchiesta dei due giornalisti del "Corriere della Sera" lascia l'amaro in bocca
(06 Maggio 2007 TN 17 Anno 5)

di T N

E' inutile nascondere i nostri sentimenti. Ci fa un immenso piacere segnalare un libro che va, a nostro parere, acquistato in tutta fretta e con gusto, non tanto perché ci sia qualcosa di nuovo all'orizzonte, ma semplicemente per confermare ( e confermarci) quanto già sapevamo: siamo messi piuttosto male.

Il mondo politico italiano non brilla di luce propria, perché, come tutti sanno, è ricoperto da uno spesso strato di fango, piuttosto melmoso.
Troppe le ingiustizie, troppi i soprusi, troppi gli inganni, troppi gli arricchimenti.
I politici italiani non esprimono nulla di buono. Con ciò non vogliamo certo cadere nel luogo comune di chi considera la politica marcia fino all'osso (in realtà lo è),anche perché sappiamo che esiste una minoranza di politici che crede nei valori alti della politica; tuttavia, è bene anche esprimere un sentimento comune, che non è poi così campato in aria: la nostra classe politica non merita alcuna stima, le peggiori parole, le peggiori ingiurie, i politici nostrani le meritano ampiamente.
Qualunquistio noi? No, in modo assoluto no!
Per questo, vi invitiamo a leggere un libro serio, onesto, sincero, maledettamente terribile.
Riportiamo le note di copertina, in modo da avere un percorso di lettura; ma il nostro invito è ad acquistarlo, perché ci si renda conto di cosa sia l'Italia dei politici.
Buona lettura.


Alcune domande impertimenti
Che futuro ha un Paese dove la fame di poltrone ha spinto a inventare le comunità montane al livello del mare?
Dove il Quirinale spende il quadruplo di Buckingham Palace?
Dove una “lasagnetta al ragù bianco e scamorza” dello chef del Senato costa la metà di una pastasciutta alla mensa degli spazzini?
Dove ci sono partiti nati dalla mutazione genetica di una bottega di cuoio e ombrelli?
Dove conviene fiscalmente regalare soldi a una forza politica piuttosto che ai bambini lebbrosi?
Che futuro ha un Paese così?

Alcuni esempi su cui è bene riflettere
Aerei di Stato che volano 37 ore al giorno, pronti al decollo per portare Sua Eccellenza anche a una festa a Parigi.

Palazzi parlamentari presi in affitto a peso d’oro da scuderie di cavalli.

Finanziamenti pubblici quadruplicati rispetto a quando furono aboliti dal referendum.

“Rimborsi” elettorali 180 volte più alti delle spese sostenute.

Organici di presidenza nelle regioni più “virtuose” moltiplicati per tredici volte in venti anni.

Spese di rappresentanza dei governatori fino a dodici volte più alte di quelle del presidente della Repubblica tedesco.

Province che continuano ad aumentare nonostante da decenni siano considerate inutili.

Indennità impazzite al punto che il sindaco di un paese aostano di 91 abitanti può guadagnare quanto il collega di una città di 249mila.

Candidati “trombati” consolati con 5 buste paga. Presidenti di circoscrizione con l’autoblu.

La denuncia di come una certa politica, o meglio la sua caricatura obesa e ingorda, sia diventata una oligarchia insaziabile e abbia allagato l’intera società italiana.

Storie stupefacenti, numeri da bancarotta, aneddoti spassosi nel reportage di due grandi giornalisti. Un dossier impressionante, ricchissimo di notizie inedite e ustionanti. Che dovrebbe spingere la classe dirigente a dire: basta.

Chi sono gli autori
Sergio Rizzo è nato a Ivrea nel 1956. Responsabile della redazione economica romana del “Corriere della Sera”, ha lavorato a “Milano Finanza”, al “Mondo” e al “Giornale”. Ha scritto con Franco Bechis In nome della rosa. La storia della casa editrice Mondadori, pubblicato dalla “Newton Compton” nel 1992.
Gian Antonio Stella è nato ad Asolo (Treviso) nel 1953. Inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”, dopo l’esordio nella saggistica con Schei. Il mitico Nordest dal boom alla rivolta, ha scritto numerosi libri. Tra i quali Tribù. Foto di gruppo con Cavaliere, L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi, Odissee. Italiani sulle rotte del sogno e del dolore, Sogni e fagotti (con Maria Rosaria Ostuni), Avanti popolo. Figure e figuri del nuovo potere italiano e il romanzo Il maestro magro.


 

Tuttoconsumatori.it 5-5-2007 SESSIONE PROGRAMMATICA 2007. Gli interventi dei presidenti delle associazioni del CNCU

 

I vertici delle associazioni del Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti sono intervenuti sul palco di San Benedetto del Tronto. Questa una sintesi dei loro interventi.

Per Paolo Landi, segreterio generale dell’Adiconsum occorre “mettere a fuoco il tema della rappresentatività e rappresentanza delle associazioni che valorizzi la partecipazione e il ruolo dei consumatori”. In merito al provvedimento sui servizi pubblici locali è necessario “riflettere se siano rispettati gli standard di qualità e, nel caso, occorre denunciarli”. Per il segretario non bastano le carte dei servizio, ma occorre intervenire con provvedimenti in Parlamento. Serve un’authority a livello nazionale, ma senza una proliferazione di organismi di garanzia, ma associazioni dei consumatori con poteri forti. Le Regioni hanno il diritto di deliberare senza, però, surrogare il ruolo delle associazioni dei consumatori che, con i loro sportelli sul territorio, hanno il potere di dialogare con le istituzioni con autonomia, cercando di risolvere con più autonomia e forza le problematiche segnalate dai cittadini.

“Non bisogna aspirare ad aumentare la capacità di tutela delle associazioni, ma bisogna puntare a diminuire il numero di chi ha bisogno di tutela”. È quanto ha affermato Mauro Novelli dell’Adusbef spiegando il proprio punto di vista sul ruolo delle associazioni di consumatori. Novelli ha sostenuto la necessità di formare i cittadini per metterli in grado di auto-tutelarsi fino ad arrivare, paradossalmente, a creare una società che non abbia bisogno di regole in quanto già consapevole dei propri diritti.

Sono quattro i punti che le associazioni devono affrontare secondo Rosario Trefiletti, presidente di Federconsumatori. Il primo è sul ruolo delle associazioni che devono “essere in grado di dare risposte sia al singolo consumatore sia a problemi di principio contro “l’arroganza delle offerte proposte dal mercato.
Il secondo aspetto riguarda la necessità di mantenere autonomia da chiunque “senza essere amico di nessuno, se non dei cittadini, per potersi sedere con dignità a ogni tavolo di trattativa”. Servono poi proposte radicali perché “non ha senso contrattare miglioramenti visto che il diritto non può essere un aspetto oggetto di trattazione tra le parti”. Infine, ultima questione da affrontare è la rappresentatività: “È importante sapere dire chi siamo e per conto di chi operiamo, un’operazione che non può essere fatta solo contando le tessere, ma dobbiamo creare un metodo che possa tenere conto anche di altri aspetti”.

Ivano Giacomelli, presidente del Codici, ha esordito affrontando il nodo della rappresentatività, un aspetto da risolvere creando “un metodo che possa tenere conto delle singole e specifiche esperienze distinguendo tra livello nazionale e regionale”. Sulla condizione delle Regioni, “le leggi locali adeguarsi a situazioni già più avanzate nella realtà, è importante però, mantenere la possibilità per chiunque soddisfi certi requisiti di iscriversi all’albo delle associazioni. È sufficiente, al massimo, intervenire sui criteri di ripartizione e utilizzo delle risorse: non è possibile che i soldi delle multe Antitrust vadano a finanziare i programmi politici delle Regioni”.

“Chi siamo? Siamo il popolo del front –office, un popolo sempre più giovane che ha vissuto Caserta e Palermo ieri e che oggi riparte da San Benedetto del Tronto”. Così Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori (Unc) ha definito le associazioni intervenute alla Sessione Programmatica. Per il rappresentante di Unc in passato “si è indugiato troppo nello scontro, mentre, invece, serve un dialogo che eviti la via della radicalità fine a se stessa e privilegi la ricerca di un accordo. L’esperienza fatta nella trattativa Abi ha insegnato che la diversità è una risorsa se si riesce a indirizzarla in un’unica direzione”.

“Siamo un’associazione giovane e per questo da quelle più anziane abbiamo solo da imparare”. Così Giovanni Ferrari, vice presidente della Casa del Consumatore ha definito la propria associazione. Esiste, però, una difficoltà comune che riguarda la formazione dei nostri quadri, “un compito sempre più necessario per affrontare temi ogni giorno più complessi”.

Mario Finzi, presidente di Assoutenti ha espresso un parere favore riguardo alla proposta di un tavolo permanente di dialogo tra le regioni e le associazioni di consumatori definendola “un’idea che dobbiamo riuscire a realizzare”.

Secondo Lorenzo Miozzi, presidente Movimento Consumatori, “questo incontro, in questo momento post liberalizzazioni, è una conferenza di svolta”. Per Miozzi vengono definite tante politiche, ma poi queste devono anche concretizzarsi perché i cittadini si aspettano di più dagli enti locali perché sono ancora tanti i problemi: dalla distribuzione dei carburanti ai trasporti pubblici locali alle professioni.

Per Pietro Praderi, presidente della Lega consumatori, le associazioni sono state fondamentali per accompagnare i cittadini nel loro “percorso di crescita sociale nella consapevolezza dei propri diritti”. I casi di unità, secondo Praderi, sono stati basilari per il raggiungimento dei risultati più importanti: “Nei momenti chiave le associazioni hanno sempre avuto la capacità di assumersi le proprie responsabilità e il caso della trattativa con l’Abi ne è un esempio mirabile”. Allo stesso modo, però, le rotture del fronte hanno creato grossi problemi, “il mancato accordo con l’Ania, ad esempio, ha creato problemi tra assicurazioni e consumatori che i cittadini stanno ancora affrontando”.

“Le regole del gioco si fissano sempre di più attraverso quello che gli inglesi chiamano ‘soft law’ ovvero grazie ad accordi tra privati e pubblico evitando le tradizionali vie degli interventi legislativi”. L’ha dichiarato, Pia Valota, presidente per le relazione internazionali dell’Associazione consumatori utenti (Acu).
Sul versante regionale “la grande sfida è sostenere il cittadino-consumatore come soggetto della società civile dalla quale deve arrivare l’impulso al rinnovamento di istituzioni e enti locali”.

“Il movimento dei consumatori è in costante crescita e se cinque anni fa eravamo circa un milione e mezzo adesso è raddoppiato”. Sono i dati citati da Claudio Melchiorre, vice presidente dell’Adoc. Oltre ai numeri, anche la rappresentatività è cambiata: “basta vedere l’accordo erga omnes concluso con l’Abi”. Le associazioni, per ottenere risultati, sono “condannate a stare insieme pur mantenendo ognuna le proprie specificità e differenze magari trovando un punto di collegamento che aiuti il movimento.

Due proposte per gli incontri futuri sono arrivate da Giustino Trincia, vice presidente di Cittadinanzattiva: dare maggiore spazio alle esperienze regionali e creare gruppi di lavoro per approfondire i principali temi. Rispetto alle edizioni passate, invece, la differenza “è il vento del cambiamento arrivato grazie alle scelte governative”. Il vice presidente ha espresso l’apprezzamento per la creazione di un tavolo permanente purché garantisca un confronto paritario con le Regioni.
“Di tavoli, di osservatori e di consulte – ha detto Trincia - non ne possiamo più. Sono necessari nuovi luoghi e procedure che garantiscano un migliore accesso e qualità dei servizi, che combattano gli sprechi e concorrano alla definizione delle politiche regionali sui consumatori, magari con nuovi strumenti di tutela come la class action”. Servono valori condivisi e “una aggregazione che non sia legata esclusivamente ai bandi”.

 


 

CorriereEconomia 7-5-2007 Riformare stanca I colpevoli sono due di Marcello Messori

 

Fino a qualche mese fa il declino dell'economia italiana era dato quasi per scontato dalla maggior parte degli addetti ai lavori; e la discussione riguardava gli strumenti di politica economica da mettere in campo per rallentare una tendenza così preoccupante. Nell'ultimo semestre sta invece prevalendo la tesi secondo cui l'Italia ha agganciato, seppure con ritardo, la robusta ripresa dell'economia europea grazie alla ristrutturazione del proprio settore industriale; le residue difficoltà non deriverebbero più dall'inadeguata dimensione delle imprese o dalla specializzazione produttiva troppo tradizionale ma dalle inefficienze e dai costi della politica. Il corollario è pressoché scontato: se governo e legislatori non interferissero con lo spontaneo funzionamento dei mercati, l'economia italiana tornerebbe a una "età dell'oro". Tale interpretazione è distorta, ma coglie alcuni fatti reali. La lunga stagnazione del periodo tra il 2001 e il 2005, caratterizzata dalla negativa dinamica nella produttività del lavoro e nella produttività totale dei fattori, ha indotto sia l'uscita dal mercato di un certo numero di imprese manifatturiere inefficienti sia la ristrutturazione di una parte dell'apparato produttivo più esposto alla pressione della concorrenza internazionale. Di conseguenza, come mostrano i dati della Banca d'Italia, nel 2006 si è verificato un parziale recupero nella dinamica della produttività del lavoro nel settore industriale e un rafforzamento qualitativo delle esportazioni che dovrebbero garantire un buon tasso aggregato di crescita anche per il 2007. Per di più, gli interventi di policy del governo Prodi sono stati efficaci per la riduzione degli squilibri macroeconomici ma non hanno rafforzato in modo significativo questi positivi effetti microeconomici; anzi, gli eccessivi costi della politica e le inefficienze della pubblica amministrazione hanno continuato a fungere da zavorra (le cosiddette esternalità negative) per l'operare delle nostre imprese nei mercati internazionali aperti. Diversamente da quanto suggerito da alcuni analisti, tali dati di fatto non implicano però che l'economia italiana abbia superato i suoi deficit di competitività o che il mercato sia in grado di risolvere da solo i problemi residui. Accanto all'affermarsi di un ristretto nucleo di medie imprese e al recupero di profittabilità di qualche grande impresa, si ha che: larga parte delle nostre maggiori attività industriali e dei servizi continua a operare in mercati protetti, la transizione verso una specializzazione produttiva meno esposta alla pressione concorrenziale dei Paesi a basso costo del lavoro è ancora in una fase iniziale, una quota troppo esigua delle nostre piccole imprese più efficienti effettua un salto dimensionale e apre la propria struttura proprietaria. Inoltre, a differenza di molti Paesi economicamente avanzati, in Italia le maggiori innovazioni e la crescita della produttività non si concentrano nel settore dei servizi che continua a godere di pervasive rendite monopolistiche e ad accrescere così i costi per gli altri attori nazionali. Se questo è lo stato del sistema economico italiano, sarebbe essenziale dare spazio a una moderna politica industriale e dei servizi. Sfruttando le opportunità offerte dal parziale risanamento macroeconomico e dalla ripresa congiunturale, si tratterebbe di: ridurre le rendite mediante liberalizzazioni nei servizi che non siano solo simboliche ma che comprimano i costi effettivi delle imprese utilizzatrici e aumentino il potere di acquisto delle famiglie; adeguare la qualità delle risorse umane e delle infrastrutture (materiali e immateriali) agli standard europei; facilitare i processi di ristrutturazione delle imprese migliori e l'apertura dei loro assetti proprietari; minimizzare i costi sociali della ristrutturazione nel settore industriale e in quello dei servizi mediante utilizzazioni più razionali ed eque della spesa pubblica. Una simile politica economica e sociale non impone esborsi finanziari tanto elevati da essere incompatibili con l'incidenza del nostro debito pubblico. Essa comporta però l'erosione di grandi e piccoli privilegi per molti aggregati sociali; il che, in una società "bloccata" quale quella italiana, determina elevati costi politici. Detto in altri termini: in Italia le scelte di policy dovrebbero perseguire obiettivi di sistema di lungo termine; al riguardo, gli ostacoli più severi sono però costituiti dalle derive autoreferenziali della politica e dalla diffusa miopia dei nostri principali attori economici.

 


 

Italia Oggi sette 7-5-2007  Un Libro verde per chiarire gli obiettivi della politica dell'Ue nei servizi finanziari al dettaglio

 

Un Libro verde per chiarire gli obiettivi della politica futura dell'Unione europea in materia di servizi finanziari (conti bancari, prestiti, ipoteche, investimenti e assicurazioni forniti a singoli consumatori). è questa l'ultima iniziativa promossa da Bruxelles per consentire di comprendere in modo più approfondito i problemi cui devono far fronte i consumatori e l'industria del settore finanziario del Vecchio continente. 'Basandosi sul Libro bianco della Commissione sui servizi finanziari, sui risultati dell'inchiesta settoriale in materia di servizi bancari al dettaglio e sulla relazione intermedia sull'assicurazione destinata alle imprese', si legge nel documento, 'il Libro verde definisce gli obiettivi fondamentali della politica della Commissione nel settore dei servizi finanziari al dettaglio, presenta le azioni necessarie affinché gli utenti possano beneficiare dei vantaggi dell'integrazione del mercato finanziario Ue e chiede un feedback sugli orientamenti dati'. Ma quali sono i versanti su cui punta la Commissione per promuovere l'integrazione dei mercati europei? In primo luogo, bisogna garantire la fornitura di prodotti che soddisfino le esigenze dei consumatori offrendo scelta, valore e qualità, tramite mercati aperti regolati adeguatamente e una forte concorrenza. Oltre a questo, è necessario instaurare un clima di fiducia tra i consumatori di Eurolandia per consentire loro di compiere le scelte finanziarie più adeguate alle loro esigenze. A tal fine occorre garantire che i consumatori siano protetti adeguatamente e che i prestatori siano finanziariamente solidi e affidabili. In terzo luogo, si dovrà cercare di promuovere la fiducia dei consumatori nella ricerca delle offerte più adatte alle proprie necessità, indipendentemente dall'ubicazione del prestatore di servizi finanziari, insegnando loro a prendere le decisioni giuste in funzione della loro situazione finanziaria. Per questa ragione la Commissione punta sulla promozione dell'alfabetizzazione finanziaria, sulla fornitura di informazioni chiare, appropriate e tempestive, sulla consulenza di elevata qualità, oltre che sulla garanzia di condizioni eque di concorrenza tra prodotti percepiti come aventi qualità analoghe. Secondo la Commissione, i servizi finanziari al dettaglio costituiscono una parte essenziale della vita quotidiana dei cittadini Ue ma nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni l'integrazione dei servizi mercati al dettaglio non ha ancora raggiunto il proprio potenziale, la concorrenza appare insufficiente in molti settori e questo impedisce ai consumatori di beneficiare pienamente del mercato unico. Per queste ragioni 'il Libro verde rappresenta un contributo importante al riesame del mercato interno che la Commissione sta attualmente realizzando per accertarsi che le sue politiche siano adeguate al 21° secolo', si legge nel documento stilato da Bruxelles che ha invitato gli interessati a presentare osservazioni sul documento entro il 16 luglio 2007. 'Vogliamo creare un vero mercato unico per i servizi finanziari al dettaglio e apportare ai consumatori europei una serie di benefici tangibili: prodotti di qualità che soddisfino le loro esigenze, maggiore fiducia nei prodotti e nei servizi offerti e una migliore informazione e consulenza su cui possano basare le loro scelte', ha dichiarato il commissario per il mercato interno e i servizi, Charlie McCreevy.Il quintetto delle impresepiù apprezzateGeneral electrics, Toyota motor, Procter & Gamble, Johnson & Johnson e Apple. è questo il quintetto di testa dell'ultima edizione della classifica Fortune sulle 50 imprese più ammirate al mondo. Per arrivare a questo risultato, gli esperti della rivista americana hanno preso in esame nove parametri: livello di innovazione, utilizzo degli asset societari, reputazione e qualità del management, ambiente di lavoro, solidità finanziaria, investimenti di lungo termine, qualità dei prodotti e servizi e presenza sui mercati globali. Molti i nomi illustri presenti nelle retrovie della classifica: si va da Microsoft (8"), a BMW (9"), da Wal Disney (16") a Nokia (20"), senza dimenticare Coca Cola (24"), Intel (29"), Siemens (37"), Sony (41"), Canon (46"). Chiude la lista l'americana Dow Chemicals alle spalle della connazionale Xerox e della britannica Hsbc holding. Molte le nazioni presenti in una classifica dominata dalle imprese a stelle e strisce. La rappresentanza più consistente, alle spalle di quella americana, monta la bandiera nipponica con ben cinque società presenti tra le 50 più ammirate al mondo. Seguono la Gran Bretagna con 3, la Germania con 2 e poi Francia, Corea del Sud, Svizzera e Singapore con una sola presenza in classifica. Ma gli esperti di Fortune sono andati oltre estendendo l'analisi alle 358 imprese più importanti del mondo. Anche in questo caso gli americani non hanno avuto rivali (135 imprese su 358), seguiti dai giapponesi (61), da quelle di Francia, Germania e Gran Bretagna (26) e Olanda con nove. In questa classifica allargata ecco spuntare anche il nome di sette colossi italiani: Edison, Eni, Telecom Italia, Finmeccanica, Fiat, Assicurazioni generali e Poste italiane. Edison si è posizionata al 4º posto tra le imprese del comparto energetico selezionate da Fortune, alle spalle di Oneok, Williams e Txu. Più indietro invece il posizionamento di Eni che ha ottenuto il 10º gradino del podio all'interno del comparto 'petrolifero e raffinerie'. Il colosso italiano ha dovuto competere con veri e propri mostri sacri del comparto come Exxon mobil, Chevron, Bp, Royal dutch shell, Conoco phillips, Total, Valero energy, Statoil e Marathon. Ancora più indietro Telecom Italia. In base alla classifica settoriale di Fortune, infatti, il colosso italiano delle Tlc ha conquistato soltanto il 15º posto a livello globale dietro, tra gli altri, a Verizon (1º), AT&T, Comcast, BT, Vodafone, Telefonica e China mobile. Stessa performance ma diverso settore di attività per Finmeccanica e Fiat. Il colosso pubblico italiano si è piazzato 15º nel comparto difesa e spazio mentre il gruppo Fiat ha ottenuto lo stesso piazzamento nel comparto veicoli. è andata meglio alle Assicurazioni Generali, 13" nel settore Life and Health, mentre l'ultima azienda italiana entrata nella classifica di Fortune, Poste italiane, è riuscita a strappare il 10º posto del segmento 'consegne', alle spalle di FedEx, Ups, Tnt, Nippon express, Japan post, Royal mail, Deutsche post, La Post e US postal service.

 

 


 

La Stampa 7-5-2007 Nicolas Sarkozy rappresenta un'importante opportunità per il rafforzamento dei rapporti tr A Francia e Stati Uniti e di questi ultimi con l'Unione Europea.

 

Non solo perché più vicino agli Usa rispetto ai suo predecessori, ma perché portatore di una dottrina pragmatica e meno ideologica con la quale ha promesso alla Francia una leadership forte. Lo afferma Charles Kupchan, direttore degli Studi europei del Council of Foreign Relations di New York e docente di Affari internazionali alla Georgetown University di Washington. Perché Sarkozy ha conquistato l'Eliseo? "Dalla fine della Seconda guerra mondiale il centro-destra ha contato su una solida maggioranza di elettori nelle presidenziali francesi, grazie alla quale la gran parte dei governi che si sono avvicendati proveniva da quella sponda politica. Il centro-sinistra aveva quindi bisogno di un candidato forte, molto forte. Non è stato il caso di Ségolène Royal, che a causa di alcuni errori commessi durante la sua campagna, anche in politica estera, e nel dibattito di mercoledì, è stata percepita come non matura, e ha avvantaggiato il suo avversario forte, di un'esperienza politica più solida". Che cosa cambierà ora nelle relazioni tra Francia e Stati Uniti? "Sarkozy rappresenta un'importante opportunità di rafforzamento dei rapporti tra Stati Uniti e Francia, non solo per le posizioni apertamente più vicine a quelle americane, ma anche perché garante di una leadership più forte rispetto a quella del suo predecessore Jacques Chirac. È chiaro, non mi aspetto nessun cambiamento radicale nel brevissimo termine, ma senza dubbio vi sono oggi, più di ieri, prospettive importanti". In che direzione? "In primo luogo l'uscita di scena di Chirac consente un avvicinamento tra Washington e Parigi, dal momento che il presidente George W. Bush ha voluto sempre mantenere una certa distanza con chi si opponeva radicalmente alla guerra e sposava posizioni distanti da quelle dell'amministrazione americana. In secondo luogo perché Sarkozy, che rappresenta la generazione "post Seconda guerra mondiale", nei rapporti con gli Usa e in generale sui temi di politica estera offre soluzioni molto più pragmatiche che ideologiche, che renderanno più facile il dialogo. Infine la prospettiva di un governo più forte rispetto al passato appare un punto di svolta importante, non solo nelle relazioni tra Usa e Francia, ma anche in quelle tra Usa e Unione Europea". Quindi Sarkozy è un fattore di rafforzamento anche della partnership tra Vecchio e Nuovo Continente? "La debolezza mostrata dalla leadership francese nei recenti anni ha inciso non solo sui rapporti tra Francia e Stati Uniti, ma tra questi ultimi e l'Unione Europea. Nel corso del suo primo mandato, George W. Bush non accettava l'idea di una Europa forte. Ma nel secondo mandato ha capito che la partnership con l'Ue è necessaria per una serie di motivi che riguardano l'intero scacchiere internazionale. Tuttavia l'Europa rischiava di non imporsi in questo senso anche per la debolezza del governo francese, come dimostrato dalla mancata firma del trattato costituzionale". Esiste il rischio per la Francia che Sarkozy radicalizzi la contrapposizione sociale interna, come è avvenuto nelle Banlieue lo scorso anno? "Il rischio esiste. Lo dimostra il fatto che il neopresidente abbia raccolto nel primo turno solo l'1% dei voti degli immigrati. Ma ritengo che Sarkozy si muoverà con molta cautela anche sulle questioni sociali, specie nei prossimi mesi, per evitare di infiammare il dibattito su questioni interne particolarmente delicate, come quelle delle Banlieue". Sul piano della dottrina politica possiamo definire Sarkozy un "neocon" alla francese? "Non mi spingerei così lontano. Lo considero piuttosto un conservatore tradizionale, un liberalizzatore che vuole migliorare i rapporti con l'America, non di più. E del resto la sua posizione sulla guerra in Iraq lo conferma".

 


 

Il Riformista 7-5-2007 Eliseo La battaglia bella e impossibile di Ségolène

 

Dunque niente sorprese, niente colpi di scena, niente magie dell’ultimo minuto. Come era da un pezzo nelle previsioni universali, vince Nicolas Sarkozy, il Sarkozy che in questi anni ha cambiato tra strappi e lacerazioni volto e pelle alla destra francese e si è presentato con successo come il campione del cambiamento possibile, concedendosi senza timore di pagare dazi troppo elevati, lui che un populista non è, tutte le radicalità e le durezze del caso, compresa la legittimazione non di Le Pen, certo, ma di molti umori dell’elettorato lepenista profondo altrettanto certamente sì. E perde Sègoléne Royal, che pure era riuscita a mettere in condizione di non nuocerle gli elefanti del suo partito (che adesso, c’è da scommetterlo, si trasformeranno in avvoltoi) e anche a fare il miracolo di restituire la voglia di combattere a una sinistra estenuata, divisa e prigioniera dei suoi vecchi fantasmi. Sègo ha fatto, crediamo, tutto quello che ha potuto, e anche qualcosa di più, mettendo in campo, lei, donna, una personalità più forte e appassionata, e comunque assai meno incline alla manovra politicante, di tanti maschietti: con ogni probabilità nessun altro candidato socialista avrebbe preso i suoi voti, né al primo né al secondo turno. Ma non ce l’ha fatta, e non poteva farcela, a convincere la maggioranza dei francesi che il rinnovamento della gauche da lei incarnato o almeno simboleggiato fosse già adesso qualcosa di più significativo di un rinnovamento di immagine, la promessa e la speranza concreta di una svolta modernizzatrice, per il socialismo francese e per una Francia che ha smarrito tante delle sue orgogliose certezze, più credibile della modernizzazione à la Sarko.
Di sicuro non l’ha aiutata la tendenza alla demonizzazione dell’avversario, quel «tutti ma non Sarkozy» che ha circolato ampiamente nelle manifestazioni pubbliche, sui giornali, in rete, negli ultimi giorni della campagna elettorale, di sicuro le ha fatto del male l’evocazione, poi solo in parte ritrattata, delle banlieue in fiamme in caso di vittoria del candidato della destra. Verrebbe da dire che gli strateghi della sua sfortunata corsa all’Eliseo le avrebbero risparmiato errori simili, se solo avessero guardato con un po’ di spocchia in meno all’America, dove la parola d’ordine «anyone but Bush» certo non ha aiutato Kerry, o all’Italia, dove l’antiberlusconismo puro e duro è valso pressoché solo a fare le fortune del Cavaliere. Ma c’è, ovviamente, qualcosa di più profondo e di più serio, il male oscuro di una sinistra (e davvero non parliamo solo del Ps francese) che quanto meno coglie le trasformazioni, le ambizioni e le paure della società che gonfiano le vele dell’avversario tanto più si intestardisce nelle sue parole di sempre. Sègo ci è caduta solo in parte. In generale ha giocato la sua partita declinando le parole in questione nel modo più appassionato e convincente possibile, e aggiungendone di nuove e non facili, dalla sicurezza all’Europa. Non solo: ha cercato, forse tardi, ma ha cercato, di gettare un ponte verso quei francesi (milioni) che nella gauche non si riconoscono, ma in Sarko si riconoscono anche meno. Un risultato, importantissimo, lo ha ottenuto, visto che quasi la metà degli elettori (anche se non la metà più uno, che è quella che conta) ha votato per lei. È una sconfitta, certo, ma è anche un miracolo: cinque anni fa, non un secolo fa, Jospin non era nemmeno arrivato al ballottaggio. Dovessimo dare un consiglio non richiesto ai socialisti francesi, diremmo: rinfoderate subito le armi della lotta intestina, risparmiateci il gioco al massacro, ripartite con lei, ripartite da lei, dalle speranze che ha rianimato, dalle forze che ha messo in movimento.

 


 

La Repubblica 6-5-2007 Tensione dopo la vittoria di Sarkozy  Scontri a Parigi, nelle banlieue e in provincia

 

Proteste nelle piazze della capitale, la polizia lancia i lacrimogeni
Auto incendiate nelle periferie, nel mirino sedi dell'Ump in varie città

PARIGI - Quello che si temeva, con gli allarmi per la possibilità di contestazioni, se dal ballottaggio fosse uscito vincitore Nicolas Sarkozy, è avvenuto. La protesta contro l'elezione del candidato neogollista è partita da Parigi, con gli scontri fra manifestanti e polizia in Place de la Bastille e un presidio in Place de la République, e si è allargata alle province, da Nantes a Tolosa a Lione, fino alle banlieue. E se nella capitale le forze dell'ordine, seppure a fatica, hanno fronteggiato i manifestanti con idranti e lacrimogeni, ricevendo in risposta razzi e pietre, nelle periferie il bilancio è più presante: decine di macchine incendiate, anche un parco giochi e una scuola dati alle fiamme.

Parigi. Circa un migliaio di manifestanti si sono riuniti in Place de la Bastille per esprimere delusione e rabbia per l'elezione del candidato della destra, ma sono stati fronteggiati da un ingente schieramento delle forze dell'ordine in assetto antisommossa. Di fronte ai lacrimogeni usati dalla polizia, i manifestanti hanno risposto con il lancio di razzi e con una violenta sassaiola. Un gruppo di persone, alcune delle quali a volto coperto, con il vessillo rosso e nero degli anarchici, ha dato fuoco a un ritratto di Sarkozy. Centinaia di giovani, soprattutto liceali, con le insegne del Movimento dei giovani socialisti, si sono radunati anche in Place de la République.

Le banlieue. La polizia ha ricevuto decine di chiamate nei dipartimenti Val-de-Marne e Val-d'Oise, dove sono state incendiate numerose automobili. Nell'Haute-des-Seine le forze dell'ordine hanno segnalato la presenza di "gruppi di giovani, armati di mazze da baseball, in tutto il dipartimento". Ad Asnières-sur-Seine sono bruciati i locali dell'associazione "Le Trait d'Union", per cause ancora sconosciute. Nell'Essonne, sono stati incendiati un parco giochi e una scuola, "senza conseguenze gravi", come riferisce la polizia.

Le province. Tensioni a Nantes, nel nordovest del Paese: la polizia ha disperso alcuni manifestanti che tentavano di avvicinarsi alla sede dell'Ump, il partito di Sarkozy. Circa 600 persone, in gran parte attivisti di estrema sinistra e del Movimento dei giovani socialisti, si sono radunate nel centro della città e hanno tentato di avvicinarsi ai locali del partito, presidiati dalle forze dell'ordine, contro i quali sono stati lanciati oggetti. Anche in questo caso i manifestanti sono stati dispersi con il lancio di lacrimogeni. Manifestazioni anche a Lione, e a Rennes e Brest, in Bretagna: una cinquantina di persone ha occupato un presidio dell'Ump. A Tolosa circa 2.500 persone si sono radunate nel centro della città scandendo slogan contro Sarkozy. Alcune si sono arrampicate sulla facciata del Comune, hanno staccato alcune bandiere francesi e suonato una campana, poi si sono dirette verso la sede dell'Ump ma sono state disperse dalla polizia.

L'appello di Hollande. Un appello "alla calma e alla coerenza" è giunto dal segretario generale del Partito socialista francese, Francois Hollande, che ha detto di capire la delusione degli elettori di sinistra e il loro disorientamento ma "nella Repubblica vale la legge del voto" ed è necessario "controllare collera e frustrazione".


 

La Repubblica 6-5-2007 Sarkozy, primo discorso da presidente "Voglio restituire l'orgoglio alla Francia "

 

Accolto da una folla festante, ha invitato a "rispettare l'avversaria"
"Il popolo ha scelto di rompere col passato, vincono democrazia e unità"

PARIGI - Un pensiero "a tutti i francesi che non hanno votato per me", e un invito: "Rispettate l'avversaria, la socialista Segolene Royal e i milioni di francesi che l'hanno votata". A poco più di mezzora dalla chiusura dei seggi, e a vittoria ormai certa, Nicolas Sarkozy si è presentato davanti a una folla festante di sostenitori, nel suo quartier generale, e ha reso l'onore delle armi alla candidata sconfitta. "Amo la Francia come si amano tutti coloro che ci hanno dato tanto. Ora voglio restituirle tutto quel che mi ha dato". La Francia, ha aggiunto, "sarà dalla parte degli oppressi. E' il messaggio della Francia. E' l'identità della Francia. E' la storia della Francia".

Nel suo primo discorso da presidente, Sarkozy ha voluto ringraziare "i milioni di francesi che mi hanno votato, che mi hanno fatto il più grande onore che abbia mai avuto". Il popolo francese, ha aggiunto, "ha scelto di rompere con le abitudini del passato, e a questo popolo voglio restituire l'orgoglio. Lo farò con uno spirito di unione e fratellanza in cui ognuno si sentirà riconosciuto nella sua dignità di cittadino e di uomo". Stasera, ha sottolineato Sarkozy, "non è la vittoria di una Francia contro un'altra Francia, ma la vittoria della democrazia e dell'unità per far sì che i francesi abbiano sempre voglia di parlarsi l'uno con l'altro".

Dal neopresidente, un segnale importante dopo la bocciatura del referendum sul trattato costituzionale europeo: "Voglio lanciare un appello agli alleati europei, da questa sera la Francia è rientrata in Europa". Si è detto europeista convinto, e si è rivolto ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ribadendo che la Francia vuole collaborare con loro. Resta saldo anche il legame con gli Stati Uniti dei quali, ha detto, "la Francia resta amica".
E proprio quella con il presidente George W. Bush è stata una delle prime telefonate di Sarkozy dopo i risultati, oltre a quella con il suo predecessore Jacques Chirac, e con Segolene Royal. Secondo l'Eliseo, "George W. Bush ha chiamato Sarkozy per congratularsi ed esprimergli gli auguri di successo nella missione di servire gli uomini e le donne di Francia". "Siamo partner e alleati storici" ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, Gordon Johndroe, "il presidente Bush non vede l'ora di lavorare con il presidente eletto Sarkozy per portare avanti la nostra forte alleanza".

Che non sarebbe stata lei a varcare la soglia dell'Eliseo, si era capito ben prima della chiusura dei seggi. Così, dopo le 20, Segolene Royal era pronta ad ammettere la propria sconfitta e a inviare al "prossimo presidente della Repubblica i migliori auguri nel compimento della sua missione al servizio di tutto il popolo francese". Parlando ai suoi sostenitori ha detto di aver "avviato un profondo rinnovamento della vita politica" e che "qualche cosa è nato e non si fermerà". E che "come donna di sinistra continuerò la mia lotta, insieme a voi. Quel che abbiamo cominciato, porteremo avanti. Potete contare su di me per approfondire il rinnovamento della sinistra. Nuove battaglie democratiche ci attendono".


Il Corriere della sera 6-5-2007 Le reazioni dopo il risultato elettorale in Francia  Prodi a Sarkozy: «Lavoriamo insieme»

 

Il premier invia un messaggio di felicitazioni al nuovo presidente: «Continueremo a guardare al vostro Paese come a un alleato»            

 

Così il quotidiano Le Monde ha dato, nella sua versione online, la notizia della vittoria di Sarkozy

 

ROMA - «Caro Nicolas, desidero farti giungere le mie più sincere, amichevoli e affettuose felicitazioni per la tua bella vittoria elettorale e per la nomina alla presidenza della Repubblica francese». È quanto scrive il presidente del Consiglio Romano Prodi in un messaggio ufficiale inviato a Nicolas Sarkozy per la sua vittoria elettorale. «Il nostro lavoro comune in Europa e nel mondo - continua il premier - non inizia oggi. L'abbiamo intrapreso già diversi anni or sono nelle nostre funzioni precedenti. Così come i rapporti tra Italia e Francia non iniziano oggi, perché da secoli i nostri Paesi sono legati da un destino comune». Più tardi il capo del governo ha commentato il voto: «Non ha funzionato la rigidità del Partito socialista francese. Alla fine ha tentato di costruire alleanze, ma queste cose si preparano in tempi lunghi».

BERLUSCONI - «L'affermazione di Sarkozy dimostra la volontà di cambiamento che sta attraversando tutta l'Europa», ha commentato il capo di Forza Italia, Silvio Berlusconi. «La sconfitta della Royal è un'ulteriore prova del fatto che gli europei considerano ormai esaurita la capacità di governare della sinistra. Sarkozy condivide i valori e i principi che sono alla base del nostro impegno politico».

FASSINO - Piero Fassino, segretario dei Ds: «Anche il voto francese dimostra come il rapporto tra sinistra e centro sia ormai un nodo strategico e come la costruzione di un moderno centrosinistra riformista rappresenti la nuova frontiera per ogni politica di progresso».

FINI - Per il leader di Alleanza nazionale «la vittoria di Sarkozy dimostra che quando la destra coniuga sicurezza, giustizia sociale e rinnovamento, è vincente».

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DI PIETRO - «Il dato interessante su cui anche l'Italia dovrebbe riflettere è quello anagrafico, per un ricambio delle classi dirigenti», dichiara il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro.

BORGHEZIO - «La vittoria di Sarkozy in Francia, che fa seguito a quella degli indipendentisti scozzesi, è stata ottenuta con parole d'ordine storiche della Lega: stop all'immigrazione, difesa dell'ordine e della sicurezza, no alla Turchia in Europa e salvaguardia dell'identità minacciata dall'omologazione», ha riassunto l'esponente politico della Lega Nord Mario Borghezio.

MASTELLA - «Non ci sarà alcun Partito democratico o di sinistra al mondo che, senza una politica aperta al centro o collegata in alleanza con l'area di centro, possa sconfiggere gli avversari politici», è l'opinione diClemente Mastella, ministro della Giustizia e leader dell'Udeur.

CASINI - «La straordinaria affermazione di Sarkozy è un grande risultato del Partito popolare europeo e di tutti quei moderati che credono al rinnovamento della politica», ha detto Pier Ferdinando Casini, esponente dell'Udc.

PECORARO SCANIO - «La vittoria di Sarkozy dimostra che il doppio turno alla francese impedisce l'alternanza, ostacolando le alleanze». Lo dice il presidente dei Verdi e ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, il quale ha espresso «apprezzamento per le dichiarazioni di Sarkozy sulla lotta ai cambiamenti climatici, che dev'essere una priorità mondiale».

CAPEZZONE - «Il successo di Sarkozy è di portata storica e apre una grande opportunità. Sarkozy, come Blair, ha la possibilità di aiutare non solo il suo schieramento, ma anche i suoi avversari a cambiare», secondo Daniele Capezzone, presidente della Commissione attività produttive della Camera.

06 maggio 2007

 


 

Europa 5-5-2007 Libertà d’informazione e conflitto d’interessi due leggi che l’Italia “non vuol proprio votare”? FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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  Cara Europa, leggo sul Corriere che, secondo il rapporto di Freedom House, diffuso alla vigilia del World Press Freedom Day, la libertà di stampa in Italia è migliorata con l’uscita di Berlusconi dal governo. Siamo a “quoziente 29”, con Israele e Capo Verde, dopo Grecia e Polonia. Parecchio lontani dai primi, Finlandia e Islanda. NUCCIO PAPAFAVA, VERONA

Caro Papafava, grazie della segnalazione.
La notizia aggiunge che «l’Italia era l’unico membro della Ue che figurava come ‘parzialmente libero’, ma nel 2006 è tornata in ‘serie A’, primariamente per il fatto che Berlusconi non è più premier. Pur rimanendo l’informazione privata nelle mani di Berlusconi, la Rai non è più sotto il suo controllo».
Naturalmente, lasciamo a chi compila queste classifiche la responsabilità scientifica del giudizio. Noi ci limitiamo invece a riportare dal sito di Articolo 21, che pubblica un articolo del giurista comunitario Roberto Mastroianni su informazione e politica, alcuni giudizi su conflitto d’interessi e pluralismo dei mezzi di comunicazione in Italia.
Il giurista richiama la Raccomandazione n.2 del 2007 del Consiglio d’Europa, che chiede agli Stati membri di porre, mediante leggi appropriate, «una netta e chiara separazione tra l’esercizio del potere politico e la proprietà o l’influenza sui media».
Poiché anche il governo italiano ha votato questa raccomandazione, «ci saremmo aspettati – scrive Mastroianni – due cose: una forte accelerazione verso l’adozione della legge Gentiloni e una proposta risolutiva sul conflitto d’interessi essendo stata definita insufficiente, dallo stesso Consiglio d’Europa, la legge Frattini. E invece nulla di tutto ciò sembra stia per avvenire.Il ddl Gentiloni muove passi lenti nelle aule parlamentari, mentre il ddl sul conflitto d’interessi, presentato alla Camera e in discussione nei prossimi giorni, appare lontano dalle richieste dell’Europa riproponendo la soluzione del blind trust, che in settori come le comunicazioni di massa, non contribuisce a risolvere in radice il problema».
Che dirle, caro Papafava? L’autore della suddetta critica ricorda che c’è al Senato un ddl di Furio Colombo,che, sull’esempio delle leggi tedesca, inglese, ecc., prevede l’incompatibilità fra cariche di governo e controllo di media. Quanto all’ineleggibilità di chi detiene posizioni di controllo, sarebbe sufficiente una «interpretazione autentica» del divieto contenuto nel dpr 361 del 1957. «Più in generale – conclude Mastroianni – mi pare necessario ravvivare un dibattito che sembra un po’ assopito, mentre si tratta di ridisegnare le regole di base del funzionamento della democrazia nel nostro paese». Auspicio condiviso. E da condividere.


 

La Stampa 5-5-2007 Torino Più o meno, 500 "spioni" lavorano ogni giorno, in città e nella prima cintura

 

. Sono 46 le agenzie investigative autorizzate dalla prefettura che operano su fronti diversi e spesso in contrasto fra loro. Si parte dai temi classici (separazioni, indagini prematrimoniali) sino alla sicurezza delle imprese e allo spionaggio industriale. "Ma solo una decina - dicono gli esperti - possono valersi di tecnologie costose e sofisticate. Con quelle puoi fare quasi tutto". Cioè? "Intercettazioni ambientali, videoriprese, registrazioni, violazioni delle reti informatiche. Ci vogliono molti soldi, gli hacker che sanno come violare i siti. Niente è impossibile". Per intercettare un telefono Gsm ci vogliono apparecchiature costruite in Israele. Costi proibitivi. Ma non per tutti. Ma si può anche aiutare i clienti a "non" essere intercettati. I "private eyes" consigliano l'utilizzo di Gsm Scra (costo 1100 euro) che consente di criptare le conversazioni in entrata e in uscita. Chi è in ascolto con le cuffie avvertirà solo un fastidioso gracidio. Ancora più facile agire sulle linee fisse. Ci si può scatenare con poche decine di euro: basta un microfono dotato di radiofrequenza. Lo puoi sistemare nella presa del telefono. Gli investigatori più tecnologici consigliano bene: con un "disturbatore cellulare tribanda" puoi mettere fuori uso Gsm e Umts. Poi gli inibitori di microspie e di registratori analogici. Altro che pedinamenti, macchine fotografiche nascoste nel trench e giornali forati. Anche se buona parte delle agenzie torinesi seguono ancora i vecchi modelli. Un ristretto gruppo, l'élite, si avvale di microvideocamere - in libera vendita - ad altissima definizione. La Tel Pic è un gioiello, dicono alla Selavio di Moncalieri, di solo 8 millimetri per 8 millimetri, 3 grammi di peso. E rarissimi clienti - ma a Torino è già successo - possono permettersi il lusso di rivolgersi a investigatori privati che sanno valersi di un sistema di intercettazione a raggi laser: trasmette e decodifica su un ricevitore le vibrazioni della voce umana su un qualsiasi vetro, a cento metri di distanza. "Bisogna ammettere che non sempre sono efficaci - dice un esperto - ma si può comunque tentare". Inutile specificare che si tratta di azioni completamente illegali. Come le schede per intercettare i fax in entrata e in uscita. E le bonifiche? Capitolo interessante ma rischioso. Oggi è una delle specialità più raffinate di molte agenzie. Ma attenzione ai rischi. "Pochi giorni fa abbiamo individuato una cimice nell'ufficio di un cliente. Uno strumento sicuramente sistemato lì dalle forze dell'ordine. Noi dobbiamo limitarci a segnalarlo, né possiamo rimuoverlo, né possiamo suggerire nulla al cliente", racconta un cacciatore di microspie. Amarcord: "Accadde con un tizio, individuata la "cimice", era nella sua auto. Lui non ci credeva. Il giorno dopo lo hanno arrestato". Oggi il detective privato è soprattutto un consulente: "A 360 gradi, ma con le nuove normative si corrono ogni giorno rischi enormi. Come dimostrano le ultime indagini".\.


 

Il Riformista 5-5-2007 I conti da fare con l’islam moderato

Nessuna democrazia è possibile, a lungo termine, senza uno dei protagonisti ineludili della politica mediorientale: l’islam politico, che raccoglie i più importanti movimenti di massa della regione. Senza gli islamisti, qualsiasi ipotesi di riforma seria - in quell’area che denominiamo Grande Medio Oriente - non avrà alcuna possibilità. E la stessa capacità d’influenza dell’Unione Europea sarà sempre più ridotta, meno realistica, limitata a fette di società civile irrilevanti dal punto di vista politico. Lontano dai riflettori spesso deformanti della cronaca spicciola su islamismo, jihadismo, regimi arabi e riforma mediorientale, il dibattito politologico prosegue tutto sommato tranquillo. Ma non per questo meno dirompente, nelle sue conclusioni. E le conclusioni dell’ultimo rapporto della prestigiosa Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) di Berlino non fanno difetto, se la linea espressa dal più importante think tank tedesco sulla politica internazionale stravolge la direzione seguita nei fatti dall’Unione Europea, al di là di alcuni tentativi (teorici) fatti negli anni scorsi.
Nessun futuro credibile, per l’influenza di Bruxelles, senza una lettura del fenomeno islamista che vada oltre gli stereotipi che negli ultimi anni hanno catalizzato la discussione politica, anche all’interno dei circoli intellettuali. Una lettura che si può raggiungere solo superando gli schemi e stravolgendo le prospettive seguite sinora.
Gli esempi sono tanti, nel centinaio di pagine del rapporto, Moderate Islamists as Reform Actors. Conditions and Programmatic Change, curato da Muriel Asseburg, fine analista e responsabile della sezione Medio Oriente e Africa della SWP. Il più eclatante è il caso iracheno, dove gli islamisti (sciiti) governano con gli Stati Uniti, e “grazie” al cambiamento del regime manu militari voluto dall’amministrazione Bush. Una osservazione (tautologica) che però serve a stravolgere l’idea (imperante) che la linea neocon di Washington sia tetragona, contro chi si richiama all’islam politico. Il parlamento uscito dalle ultime elezioni vede una maggioranza islamista di 177 seggi su 275. Negli scorsi quattro anni, sottolinea Guido Steinberg, lo studioso che ha curato il saggio sull’Iraq, gli islamisti sciiti si sono dimostrati «partner affidabili per gli Stati Uniti», ed è fuor di dubbio che quello di Baghdad sia «il test per la politica americana verso gli islamisti» nella regione.

 


 

INDICE 3-5-2007

La Stampa 2-5-2007 Duello tv tra Sarkozy e Ségolène  1

VIII SESSIONE PROGRAMMATICA Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti 1 con le Regioni 1

Sanbenedettooggi.it 2-5-2007 Comunità montane senza montagne ma molti sussidi di Nazzareno Perotti 2

La Repubblica 30-4-2007 Oltre il giardino. L’Umberto, il Cavaliere e il pasticcio veronese di ALBERTO STATERA  3

 


 

 

La Stampa 2-5-2007 Duello tv tra Sarkozy e Ségolène

 

Per i due candidati stili radicalmente opposti: concentrato il moderato, aggressiva ma serena la socialista

PARIGI
Nel corso della prima ora di dibattito televisivo, Ségoléne Royal ha messo a segno almeno un punto a proprio favore, mostrandosi più aggressiva rispetto all’avversario, il «duro» Nicolas Sarkozy: smentendo chi la voleva poco determinata, la candidata socialista ha più volte monopolizzato il confronto, tenendo la parola per un tempo maggiore rispetto all’avversario di centro-destra, al punto da constringere in varie occasioni i due moderatori a far presente che l’ex ministro dell’Interno avrebbe dovuto recuperare il tempo strappatogli dall’interlocutrice.
Lei tuttavia ha continuato a interromperlo, costringendolo talora a una sorta di inseguimento.
La «dolce» Segolene guardava sempre dritto negli occhi il rivale, che invece, pur molto determinato, spesso fissava nel vuoto o si rivolgeva con lo sguardo ai moderatori. A parte qualche digressione sull’ordine pubblico, l’economia ha tenuto banco.


 

VIII SESSIONE PROGRAMMATICA
Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti

con le Regioni

 

Si aprirà domani, venerdì 4 maggio, l'edizione 2007 dell'incontro del Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli utenti (CNCU) con le Regioni. A fare gli onori di casa sarà la Regione Marche che ospiterà i lavori dell'ottava Sessione Programmatica a San Benedetto del Tronto, nel Palazzo dei Congressi. Quest’anno il confronto – dal titolo "Il cittadino-consumatore visto dalle competenze regionali" – avrà come ospite d'onore il ministro dello Sviluppo Economico, Pier Luigi Bersani. Ma il parterre delle autorità vedrà la presenza anche del vice ministro dello Sviluppo Economico, Sergio D'Antoni, del presidente della Regione Marche, Gian Mario Spacca, del direttore generale per l'Armonizzazione del Mercato e la Tutela del Consumatore, Antonio Lirosi; del rappresentante italiano al Gruppo Consultivo Europeo dei Consumatori, Anna Bartolini, del sindaco di San Benedetto del Tronto, Giovanni Gaspari. Ma soprattutto i protagonisti di quest'incontro saranno gli oltre 500 rappresentanti di enti locali e delle 16 associazioni dei consumatori del CNCU.

 

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Per informazioni:
Segreteria organizzativa
Atlante Congressi – via Paganini, 10
63039 - S. Benedetto del Tronto (AP)
Tel. 0735.757277
Fax 0735.652836
E-mail:
info@atlantecongressi.it

www.tuttoconsumatori.it è il portale del Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti (CNCU) dove è possibile avere informazioni sull’attività del Consiglio, sulle normative in materia di tutela dei consumatori e tutte le notizie sulle principali problematiche: dalla sicurezza e qualità dei prodotti alla salute, dai trasporti ai servizi assicurativi, dall’alimentazione fino al tema delle banche e dei servizi di credito.

 

Ai sensi dell'Art. 13 del D.LGS 196/2003 la informiamo che il suo indirizzo di posta elettronica è nei nostri archivi in conseguenza di precedenti comunicazioni intercorse.


 

Sanbenedettooggi.it 2-5-2007 Comunità montane senza montagne ma molti sussidi di Nazzareno Perotti

E' il risultato di un'inchiesta del Corriere della Sera a firma di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. Silenzio da parte delle Istituzioni. Una gran brutta cosa che aiuta il malaffare ed evidenzia "una certa politica che non ha come obiettivo il bene comune ed una sana amministrazione ma solo quello di alimentare se stessa", la conclusione degli autori.

Politica. Stavo riflettendo in questi giorni sull'utilità di certe nostre inchieste: abusi edilizi finora sconosciuti, massima trasparenza sull'eredità Rambelli, denaro pubblico al vento, i clamorosi casi Samb: Francesco Agnello, Alberto Soldini, Antonio Venturato quelle che mi vengano in mente ma ce ne sono sicuramente altre. Come altre inchieste continueranno a far parte del nostro progetto editoriale.

Però, perché, mi sono chiesto, i politici che sono preposti a prenderne atto (maggioranza e minoranza) fanno finta di niente o quasi? Dovrebbe essere il loro pane quotidiano eliminare ciò che non va e approfittare di quegli organi di informazione che fanno indagini e le testimoniano. Solo qualche intervento di giovani politici all'opposizione ma senza mai andare a fondo. Rischierebbero di rispolverare vecchi e nuovi inciuci?

Nella foga mi sono allungato troppo perché il vero motivo di questo mio DisAppunto è un altro: vista la disattenzione dei poltici verso le nostre inchieste, ero arrivato a pensare che siamo una testata relativamente giovane e che (nonostante i nostri 5000 lettori quotidiani), per questo motivo, ci sottovalutano. Non è così, il problema ha connotazioni molto più gravi e profonde.

L'ho capito ascoltando la trasmissione radiofonica Zapping condotta da Aldo Forbice. Un illustre ospite ha fatto questa denuncia: Sergio Rizzo un bravissimo giornalista del giornale italiano più letto ha dedicato una pagina intera ad un'inchiesta sulle Comunità Montane, dimostrando che ne esistono troppe e che ci sono associazioni praticamente inutili pur avendo un costo pubblico considerevole. Assurdo e incredibile, oltretutto, che buon numero di esse siano a livello del mare o qualche metro sopra!

Clicca qui: http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/04_Aprile/29/stella_montagne.shtml

Bene, bravo, direte. E' vero ma lo scandalo è un altro: nonostante il giornalista avesse smascherato con grande fatica Montanopoli, nessuno dei numerosissimi partiti politici italiani ha trasformato in fatti il prezioso inchiostro del più importante giornale italiano. Veramente una gran brutta cosa che non porterà nulla di buono alla democrazia e alla civiltà italiana.


 

La Repubblica 30-4-2007 Oltre il giardino. L’Umberto, il Cavaliere e il pasticcio veronese di ALBERTO STATERA

 

"Su Verona Berlusconi ha fatto un po' di pasticci", ha sospirato Umberto Bossi commentando la triplice candidatura a sindaco di uomini del centrodestra alle comunali di maggio. Conciliante, l'ex premier ha sbuffato e rispedito la palla accusando genericamente "gli egoismi dei partiti, che invece di scegliere il miglior candidato possibile antepongono il loro interesse e mandano avanti il nome sbagliato". Assai meno conciliante, il sanguigno governatore veneto Giancarlo Galan ha esclamato: "Siamo coglioni o cosa?!" Ma, non potendo dare del coglione direttamente al Cavaliere, suo datore di lavoro fin dai tempi di Publitalia, né a se stesso che in Veneto gestisce una sorta di satrapia, se l'è presa con Nicolò Ghedini, il ringhioso avvocato berlusconiano che è anche coordinatore regionale di Forza Italia, ma soprattutto con i coordinatori nazionali Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto chiedendone la testa perché che non sono riusciti a mettere d'accordo tutti su una candidatura unitaria. Cosicchè a Verona Alfredo Meocci, ex commissario dell'AgCom con fama di sciupone per l'uso disinvolto delle carte di credito aziendali ed ex direttore generale della Rai estromesso per incompatibilità, cui il Cavaliere deve parte della "fininvestizzazione" del servizio pubblico, stava per correre, appoggiato da Udc e FI, contro il leghista Flavio Tosi, assessore regionale alla Sanità, sostenuto anche da An, e un terzo candidato con una lista civica. Ma all’ultimo momento Meocci ha accettato di fare ‘ticket’ con Tosi, accontentandosi del ruolo di vicesindaco.
"Ma gli attributi non li abbiamo?" ha insistito urologicamente Galan di fronte ai casi di Chioggia e Belluno e alla candidatura alla presidenza della Provincia di Vicenza di un altro leghista, l'ex sindaco di Thiene Attilio Schneck, mentre la leghista Manuela Dal Lago si appresta l'anno prossimo a candidarsi a sindaco della città. Per non parlare di Treviso, dove l'ormai storica gestione leghista è indiscutibile.
"Verona spacca Forza Italia", ha titolato "La Padania" e "La Nuova Venezia", sotto il titolo "Lega egemone, FI in crisi", ha osservato che il quadro d'assieme delle prossime elezioni amministrative rivela che il Carroccio è in lizza nelle gare più importanti, con Forza Italia che rischia di scoprirsi residuale negli enti locali. E non solo nel Veneto, ma in tutto il LombardoVeneto. A Monza per la Cdl è candidato il leghista Mariani, a Varese il leghista Reguzzoni. Candidati leghisti corrono col centrodestra o da soli a Sesto San Giovanni, a Cantù e altrove.
Ma non si era detto, dopo gli ultimi rovesci elettorali, che si marciava ormai verso un nord senza Lega? Le elezioni del 2006 segnarono una forte contrazione del Carroccio soprattutto nelle grandi città e oggi lo scontro interno per l'eredità della leadership è dissimulato ma aspro. Espulsioni, purghe e scissioni sono continue, frange protestatarie si organizzano in Veneto, i "duri e puri" di un tempo non perdonano i banchetti della nomenklatura romanoleghista al ristorante "Capricci siciliani", i militanti che misero i soldi nell'operazione Credieuronord sono imbufaliti. L'identità e la collocazione del partito non è mai stata così confusa. Eppure, Berlusconi, sbuffando, consente il pieno delle candidature alle amministrative di maggio che fa infuriare il suo governatore più visibile. Che significa?
Forse il tentativo di un passo verso il "Partito settentrionale", un contenitore capace di intercettare meglio le istanze di rappresentanza di questo pezzo d'Italia, non solo la fascia pedemontana e la valli, ma anche le grandi città? L'ipotesi, evocata dallo stesso Berlusconi nei giorni della delusione postreferendaria, è rilanciata in un libro di Diego Motta e Alessandro Amadori ("Le questioni settentrionali Perché l'Italia deve ripartire dal Nord") e descritta come "una specie di normalizzazione che chiuderebbe per sempre il ciclo inaugurato sui prati di Pontida. Ma l'arroccamento leghista sul voto di maggio va in un'altra direzione: difendere allo stremo l'ultima "riserva indiana" di Bossi.
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