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Archivio 16/31 MARZO 2007   Piccola Rassegna

 

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INDICE ARCHIVIO 16/31 marzo 2007

 

31-3-2007

30-3-2007

29-3-2007

28-3-2007

27-3-2007

26-3-2007

25-3-2007

24-3-2007

23-3-2007

22-3-2007

21-3-2007

20-3-2007

19-3-2007

18-3-2007

17-3-2007

16-3-2007

 


 

INDICE 31-3-2007

 

+ Il Corriere della Sera 31-3-2007  Mons. Bagnasco: no a Dico, incesto e pedofili  Se cade l'etica, dopo i Dico saranno legalizzati incesto e pedofilia»

Da Antitrust  30 marzo 2007 Comunicato stampa BANCOMAT: ANTITRUST AD ABI-COGEBAN, 1

La Stampa 31-3-2007 Washington Post "Forse i Guardiani della Rivoluzione vogliono usarli come merce di scambio" "La banca iraniana Sepah finanzia l'acquisto di missili e armi" "La succursale di Roma risulta implicata in modo significativo" 1

La Repubblica 31-3-2007 Il Sabato Del Villaggio Le Vere Colpe Di Vallettopoli Giovanni Valentini 2

L’Arena 31-3-2007 LA STIMA L'abusivismo edilizio rimane un triste primato Le più recenti stime ci dicono che nel nostro Paese in media il 17% degli edifici costruiti in un anno sia abusivo. 3

La Stampa 31-3-2007 Il caso L'intreccio di parentele in Calabria La storia Cupola degli affari Scacco al giudice Salta il pm dell'inchiesta sul finanziamento ai partiti ANTONIO MASSARI 4

L’Unità 31-3-2007 Partiti e finanziamenti, la storia infinita Giuseppe Tamburano  5

Il Mattino di Padova 31-3-2007 Di Silvia Bergamin Sanità per una popolazione che invecchia  6

Milano Finanza 31-3-2007. Banca del Sud Piccole banche unitevi 6

 


+ Il Corriere della Sera 31-3-2007  Mons. Bagnasco: no a Dico, incesto e pedofili  Se cade l'etica, dopo i Dico saranno legalizzati incesto e pedofilia»

 

L'arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana

«Se il criterio dominante è l'opinione pubblica, è difficile dire "no". Se cade l'etica, dopo i Dico saranno legalizzati incesto e pedofilia»

 

GENOVA - «Quando si perde la concezione corretta autotrascendente della persona umana, non vi è più un criterio per valutare il bene e il male. Quando il criterio dominante è l'opinione pubblica o le maggioranze vestite di democrazia - che possono diventare antidemocratiche o violente - allora è difficile dire dei "no"». Lo ha spiegato mons. Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, venerdì sera in un intervento con gli animatori della comunicazione della diocesi genovese.

INCESTO E PEDOFILIA - «Perché quindi dire no a varie forme di convivenza stabile giuridicamente, di diritto pubblico, riconosciute e quindi creare figure alternative alla famiglia?», si domanda il prelato riferendosi ai Dico. «
Perché dire di no all'incesto, come in Inghilterra dove un fratello e sorella hanno figli, vivono insieme e si vogliono bene? (in realtà il caso è avvenuto in Germania, ndr). Perchè dire di no al partito dei pedofili in Olanda se ci sono due libertà che si incontrano? Bisogna avere in mente queste aberrazioni secondo il senso comune e che sono già presenti almeno come germogli iniziali».

IL BENE E IL MALE - «Oggi ci scandalizziamo», ha concluso il presidente della Cei, «ma se viene a cadere il criterio dell'etica che riguarda la natura umana, che è anzitutto un dato di natura e non di cultura, è difficile dire no. Se il criterio sommo del bene e del male è la libertà di ciascuno, come autodeterminazione, come scelta, allora se uno, due o più sono consenzienti, fanno quello che vogliono perché non esiste più un criterio oggettivo sul piano morale e questo criterio riguarda non più l'uomo nella sua libertà di scelta, ma nel suo dato di natura».

31 marzo 2007


Da Antitrust  30 marzo 2007 Comunicato stampa BANCOMAT: ANTITRUST AD ABI-COGEBAN,

 

 

COMUNICATO STAMPA
BANCHE TENGANO CONTO, NEL PREZZO AI CONSUMATORI, DELLA RIDUZIONE DELLE COMMISSIONI INTEBANCARIE.

PROVVEDIMENTO SU IMPEGNI INVIATO A BRUXELLES PER PARERE


Le banche tengano conto, nella loro autonoma determinazione del prezzo finale praticato ai consumatori per il bancomat, delle riduzioni delle commissioni interbancarie attuate alla luce degli impegni presentati all’Antitrust da Abi e Co.Ge.Ban.
E’ l’auspicio espresso dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in una lettera alle due associazioni.
Gli impegni presentati dalle parti, nell’ambito dell’istruttoria avviata nel novembre 2006 per intesa restrittiva della concorrenza, sono stati inviati alla Commissione Europea, per il parere di competenza. Nello specifico le parti si sono impegnate a ridurre del 10,67 per cento le commissioni interbancarie (quelle applicate tra azienda ed azienda) per il prelievo bancomat da sportelli di altre banche, già a partire dal primo gennaio 2007.
L’Autorità aveva deliberato l’avvio dell’istruttoria per accertare l’esistenza di violazioni della normativa antitrust, consistenti nella fissazione collettiva a livello associativo del valore massimo delle commissioni interbancarie che governano l’offerta dei servizi per il prelievo di contanti con il Bancomat presso sportelli di altre banche e per i servizi di pagamento RID (Rapporti Interbancari Diretti) e Ri.Ba (Ricevuta Bancaria Elettronica).
Il procedimento per la valutazione degli impegni si concluderà entro il 30 aprile 2007.
Roma, 30 marzo 2007


La Stampa 31-3-2007 Washington Post "Forse i Guardiani della Rivoluzione vogliono usarli come merce di scambio" "La banca iraniana Sepah finanzia l'acquisto di missili e armi" "La succursale di Roma risulta implicata in modo significativo"

Washington Post Rapporto Usa Stuart Levey Editoriale del 30 marzo Ambasciata degli Stati Uniti a Roma Sottosegretario al Tesoro Usa ROMA Di affari ne faceva pochi, ma era necessario bloccarla: un "atto dovuto" dopo la risoluzione 1747 del Consiglio di sicurezza Onu la settimana scorsa. La succursale italiana della Sepah, la più antica delle banche iraniane, da ieri è in "gestione provvisoria" agli ordini di due commissari straordinari nominati dalla Banca d'Italia. Già nell'estate 2006 un'ispezione della Vigilanza bancaria era entrata nelle blindatissima sede al secondo piano di un palazzo di via Barberini, per accertare che non fossero compiute operazioni irregolari. Da tempo, alle banche italiane che intrattenevano rapporti con la Sepah era stato consigliato di lasciar perdere. L'ambasciata degli Stati Uniti il 9 gennaio aveva segnalato la Bank Sepah come "chiave di volta finanziaria della rete di acquisizione di missili da parte dell'Iran"; da allora, non le era stato più possibile operare in dollari. Come grandezza, si tratta solo della quinta tra le grandi banche iraniane pubbliche, che sono sette; ma è controllata dai militari e secondo gli Usa è operatore di fiducia dell'Aio, la società dipendente dal ministero della Difesa di Teheran che si occupa della produzione di missili. La succursale italiana, insediata da oltre 25 anni, a quanto risulta alla Banca d'Italia si occupava di crediti all'import-export, senza effettuare alcuna raccolta di capitali. Imprenditori italiani che esportavano in Iran l'hanno conosciuta come intermediaria dei pagamenti. Ma per gli americani c'era qualcos'altro. In gennaio il sottosegretario al Tesoro Stuart Levey, incaricato della lotta finanziaria al terrorismo, aveva dichiarato che "la succursale di Roma risultava implicata in modo significativo in transazioni finanziarie relative al programma missilistico iraniano". Nessun mistero che con la Sepah i militari c'entrino molto: l'hanno fondata nel 1925, e in lingua farsi "sepah" significa esercito. All'ispezione compiuta dalla Banca d'Italia l'estate scorsa, tuttavia, il giro di affari in Italia era risultato modestissimo. Gli ispettori della Vigilanza avevano formulato dei "richiami". Forse una parziale smobilitazione era già avvenuta. L'attività era ancora diminuita; il sito internet era stato disattivato. Già da tempo "le banche italiane non accettavano avalli bancari degli istituti finanziari della Repubblica islamica ed eravamo costretti a utilizzare banche di Paesi terzi" racconta Parwiz N., un imprenditore iraniano in affari con l'Italia. Dietro le porte sempre chiuse dell'appartamento di via Barberini, circa 500 metri quadri, c'è una sala con sei sportelli, dove troneggiano i ritratti dell'Ayatollah Khomeini e dell'attuale "guida spirituale" dell'Iran, Ali Khamenei. Il direttore si chiama H. Mohammadi; prendono il suo posto i due commissari straordinari, un professore universitario e un ex dirigente bancario, dei quali non sono stati comunicati i nomi. \.

 


La Repubblica 31-3-2007 Il Sabato Del Villaggio Le Vere Colpe Di Vallettopoli Giovanni Valentini

 

 Alla voce "valletta", nella Garzantina sulla Televisione a cura di Aldo Grasso, si legge: "Giovane ragazza che affianca il presentatore di uno spettacolo televisivo, con funzioni ausiliarie (consegnare le buste, accompagnare i concorrenti ecc.) e decorative". E più avanti: "L'immagine della valletta si è andata negli anni modificando: se il prototipo della valletta della tv delle origini era rappresentato da Edy Campagnoli (assistente di Mike Bongiorno a Lascia o raddoppia?), che incarnava alla perfezione il tipo della "valletta muta", in seguito le vallette - da Sabina Ciuffini ad Antonella Elia - hanno avuto un ruolo più attivo ed è stata loro concessa nonché sollecitata una certa loquacità". Non c'era bisogno di compulsare questo testo per sapere che Vallettopoli esiste perché esistono le vallette e, a loro volta, le vallette esistono perché esiste la televisione. Ma da una tale autorevole fonte apprendiamo che la valletta, con funzioni ausiliarie e decorative, in origine era muta, mentre adesso è più attiva e loquace. E a giudicare dall'inchiesta che sta svolgendo l'ardito pubblico ministero di Potenza, Henry John Woodcock, soprannominato "il mastino", si direbbe che ormai le vallette sono diventate sempre più attive e loquaci. Nella sua ansia di verità e di giustizia, avrà pure commesso qualche errore o qualche abuso il magistrato inquirente, come sostengono i difensori degli accusati. E vista la carriera politica e ministeriale di altri ex colleghi, non è da escludere che prima o poi anche Woodcock si guadagni un incarico governativo. Ma l'origine dello scandalo non è certamente lui e neppure il suo presunto protagonismo: la vera fonte di Vallettopoli sta in quell'infernale impasto di politica, di denaro e di sesso, che modella il nostro sistema televisivo, intorno a cui ruota una larga parte della vita pubblica nazionale. Per carità, non vogliamo fare assolutamente i moralisti. Da che mondo è mondo, si sa che il potere - politico ed economico - attiva un circuito più o meno perverso di malcostume e malaffare, se non proprio di corruzione dei costumi, degli uomini e anche delle donne. La televisione italiana, tuttavia, sia quella pubblica sia quella privata, rappresenta un paradigma universale d'indecenza e di degrado che forse non ha uguali al mondo. La Rai è considerata, da sempre, una sorta di alcova di Stato: un'azienda (pubblica) all'interno della quale le prestazioni professionali rischiano a volte di confondersi con quelle personali. E dove sbocciano relazioni, flirt, amori in cui s'intrecciano spesso passioni politiche e passioni più intime, a spese del cittadino telespettatore e abbonato. Da parte sua, all'insegna del "machismo" berlusconiano, Mediaset s'ispira - per così dire - a una filosofia di vita su cui la signora Veronica Lario ha già ampiamente manifestato la propria opinione, parlando del marito e delle sue abituali inclinazioni alla galanteria. L'inchiesta del dottor Woodcock, dunque, sta soltanto mettendo a nudo un "inquinamento ambientale" che era già noto a tutti. Una commistione di politica e televisione, sesso e denaro, droga e prostituzione, che è diventata tanto usuale da apparire quasi naturale, scontata: si potrebbe anche dire fisiologica, se non si corresse il rischio di cadere nell'equivoco e nella volgarità. E che ovviamente danneggia tanti professionisti, giornalisti, conduttori e conduttrici, presentatori e presentatrici, che fanno correttamente il proprio lavoro. Vogliamo prendercela, allora, con il solerte pubblico ministero di Potenza? Oppure con i fotografi e i giornalisti che, quando non compiono reati come il ricatto, l'estorsione o la ricettazione, fanno semplicemente il loro mestiere? O ancora, con i parlamentari della Repubblica - di destra, di centro e di sinistra - che tra un dico e un non dico, un faccio e un non faccio, una passeggiata nel Transatlantico e un'esplorazione notturna nei viali del peccato, non hanno avuto ancora il tempo di approvare una nuova legge sulle intercettazioni telefoniche? Ha ragione piuttosto un top manager di un grande gruppo nazionale quando dice, alla luce della sua lunga esperienza di lavoro all'estero, che in nessun altro Paese al mondo si vedono in televisione tante fanciulle mezze vestite, o mezze nude, che portano le buste o accompagnano i concorrenti come fossero nelle "case chiuse" a suo tempo dalla legge Merlin. Un Paese in cui per la stragrande maggioranza delle adolescenti l'aspirazione principale della vita è quella di fare la "velina". è proprio la televisione, questa televisione, la vera origine di Vallettopoli, di uno scandalo quotidiano che si consuma sotto i nostri occhi. La tv come "fabbrica dei sogni": sogni di successo, di popolarità, di arricchimento facile, a qualsiasi costo, magari anche a costo di impoverirsi moralmente. Una tv che, come scrive il sociologo Franco Ferrarotti in un libro sui cinquant'anni che hanno cambiato gli usi e costumi degli italiani, dal 1954 in avanti, esercita la sua influenza maggiore alimentando un "bisogno" che è alla base della cultura di massa: "La felicità privata da raggiungere nel presente". Per cui, a confronto della vita virtuale rappresentata sullo schermo televisivo, in quella reale tutto risulta inadeguato rispetto ai propri desideri, alle proprie aspirazioni e velleità: lo stipendio, la casa, l'auto, le vacanze e perfino la moglie, se non ha o non ha più le fattezze di una valletta. No, la televisione non è il demonio, ma - per chi ci crede - quella italiana gli assomiglia sempre di più. (sabatorepubblica. it)


L’Arena 31-3-2007 LA STIMA L'abusivismo edilizio rimane un triste primato Le più recenti stime ci dicono che nel nostro Paese in media il 17% degli edifici costruiti in un anno sia abusivo.

 

Il percorso delle illegalità è piuttosto variegato e ci si muove fra veri e propri abusivismi, abusivismi legalizzati, ed edilizia semilegale o solo formalmente legale. La legge 47/85 aveva stabilito il condono per tutti quegli abusi realizzati sino al 31 ottobre 1983; la Legge finanziaria del 1995 aveva creato un'analoga possibilità per gli abusi realizzati fino al 31 dicembre 1993; l'ultimo condono, invece, viene a sanare le opere ultimate entro il 31 marzo 2003. Oltre mezzo secolo di abusivismo edilizio è stato condonato progressivamente per prevenirne dell'altro. I dati del Cresme forniscono una griglia eloquente sull'andamento crescente di tre distinti picchi produttivi, coincidenti cronologicamente con i tre diversi condoni edilizi. Tra il 1983 ed il 1984 si registra infatti una produzione di circa 737mila nuovi edifici ed un'attività di ristrutturazione che interessa 113mila strutture, per un totale di 850mila edifici (tra nuovi e ristrutturati-ampliati); di questi 225mila sono edifici abusivi. La percentuale di edilizia abusiva sul totale balza dal 15,8% nel 1982 al 25,3% nel 1983 per arrivare al 28,7% nel 1984. Un analogo trend caratterizza il settore immobiliare a cavallo del secondo (1994-1995) e terzo (2003-2004) condono, sebbene con picchi meno elevati a causa della forte espansione del mercato immobiliare; quel che è certo è che tutti questi picchi produttivi terminano con una sanatoria. Dall'analisi del livello e delle tipologie delle richieste di sanatoria presentate agli uffici comunali competenti nel 2003, emerge una diminuzione generalizzata rispetto al secondo condono, pari ad un valore nazionale del 30,9%. Nonostante tutto, il maggior numero di domande presentate si concentra nel Nord (circa il 47% del totale del 2004), mentre i dati relativi ai sequestri e alle infrazioni registrate dalle Forze dell'ordine confermano che il fenomeno dell'abusivismo più preoccupante dilaga al Sud. Nel Centro-Nord prevale un abusivismo più "leggero", prevalentemente di trasformazione (ristrutturazioni e manutenzioni straordinarie), mentre al Sud si concentra un abusivismo pesante da costruzione. Diminuiscono sensibilmente le richieste di sanatoria per abusivismo pesante al Nord (-33,1%) e al Centro (-10,6%), mentre queste aumentano lievemente al Sud (+0,3%), e, di contro, crescono notevolmente le richieste di condono per i fenomeni di abusivismo di trasformazione al Centro-Nord. Quali i costi dell'ultimo condono? Secondo le elaborazioni dell'Eurispes, dal quadro dei costi di oblazione, emerge chiaramente come l'ultimo condono sia stato quello più oneroso per il cittadino: la legge parte da un minimo di 516 euro per gli abusi di minor rilievo (contro le 200mila del condono del 1985), fino ad arrivare ai 150 euro per metro quadrato (contro le 36 mila lire del condono 1985) per gli interventi abusivi più gravi realizzati in assenza o difformità sostanziale dal titolo abilitativo ed in difformità rispetto allo strumento urbanistico al momento dell'esecuzione ed al momento dell'entrata in vigore della legge. Al comune di Roma si è cercato di effettuare una stima dei costi effettivi che ha sostenuto l'Amministrazione capitolina nei primi due condoni. Secondo Legambiente, al 31 marzo 2004, le 314.347 concessioni in sanatoria rispetto alle 506mila richieste totali presentate ai sensi del primo e secondo condono, hanno portato allo Stato 440.197.539,80 euro, cifra articolata in euro 216.237.396,80 per il primo condono, mentre per il secondo la cifra è di euro 223.960.143,00. Al 31 marzo, il comune di Roma ha incassato per gli oneri concessi euro 514.592.243,27. Il Comune da quei 2.527 ettari, ricadenti nelle tipologie di abuso 1,2,3 con destinazione residenziale, prevede di incassare euro 464.965.960,33. Per effettuare la stima dei costi di urbanizzazione relativa alle superfici condonate, Legambiente utilizza due parametri: i costi di urbanizzazione che il Comune deve sostenere nelle aree completamente o parzialmente infrastrutturate, stimati attorno ai 350mila euro per ettaro, ed i costi che invece deve sostenere in aree totalmente sprovviste di infrastrutture, stimati attorno ai 600mila euro. Dal calcolo effettuato utilizzando i due parametri, commisurati ai dati relativi alle due tipologie di abusivismo (quello ricadente nelle aree di primo tipo e quello ricadente nelle aree di secondo tipo) è risultato che, per dotare dei servizi urbanistici necessari quei 2.527 ettari di abusivismo condonato, il comune avrebbe dovuto incassare qualcosa come 1.126.850.000 di euro, con una differenza tra le entrate stimate e le uscite stimate pari ad euro 612.257.756,73; senza calcolare, per altro, le pesanti ripercussioni dovute alla perdita di fiducia del cittadino rispettoso delle leggi nei confronti degli Enti Pubblici, tra cui Stato e Comuni.


La Stampa 31-3-2007 Il caso L'intreccio di parentele in Calabria La storia Cupola degli affari Scacco al giudice Salta il pm dell'inchiesta sul finanziamento ai partiti ANTONIO MASSARI

CATANZARO Un terremoto giudiziario con pochi precedenti. Per capirlo basta fare due passi nei corridoi: nella Procura di Catanzaro si respira un'aria tesa. Il pm Luigi De Magistris sorride, ma non rilascia commenti, ed è chiaro che non mollerà facilmente la sua preda. La preda in questione è l'inchiesta "Poseidon", nata nel 2005 indagando sul settore della depurazione e degli impianti per rifiuti. Un'inchiesta che il procuratore capo di Catanzaro, Mariano Lombardi, gli ha sottratto da 48 ore. Le motivazioni, ufficialmente, non sono ancora note. A quanto pare, però, riguardano le modalità con cui De Magistris, solo pochi giorni fa, con l'accusa di associazione a delinquere, finalizzata al riciclaggio, ha iscritto nel registro degli indagati un senatore di Forza Italia: Giancarlo Pittelli. C'è un particolare, però, che in Procura si fa largo strisciando. E getta ombre che molti vorrebbero dissipare: Pittelli è socio di tale Pierpaolo Greco. Entrambi, con una quota nominale di 2.500 euro, partecipano alla società "Roma 9 s.r.l.", costituita nel 2006 a Catanzaro. Non solo. De Magistris avrebbe verificato, attraverso una serie di accertamenti bancari che tra il senatore Pittelli e Greco sarebbero intercorsi diversi rapporti finanziari . Chi è Pierpaolo Greco? Un parente acquisito del procuratore capo, Mariano Lombardi, ovvero: il figlio della sua attuale compagna. Greco non risulta tra gli indagati. Ma è il socio di un indagato eccellente: il senatore Pittelli. E il compagno di sua madre, il procuratore capo Mariano Lombardi, dopo l'avviso di garanzia a Pittelli, sottese l'inchiesta al pm. Un'inchiesta che non ha risparmiato nomi noti della politica nazionale. Il senatore Pittelli - secondo l'accusa - avrebbe versato, in violazione delle leggi contro il riciclaggio, parecchio denaro a Fabrizio Schettini: ex segretario, all'epoca della sua vicepresidenza europea, di Franco Frattini. Ma c'è di più. Gli appalti per 900 milioni di euro, destinati all'ambiente e alla depurazione, avrebbero prodotto ben poco. In compenso, però, avrebbero gonfiato parecchie casse. Finanziamenti europei, accordi romani, appalti calabresi: De Magistrisi ritiene di aver scoperto un'asse tra la Calabria, Roma e Bruxelles. Un'asse blindato: un "comitato d'affari" politico ed economico. Passa al setaccio decine di società. Ricostruisce i passaggi finanziari. Inquisisce oltre cinquanta persone. Tra queste, anche Lorenzo Cesa, segretario nazionale dell'Udc: la Global Media, società riconducibile alla sua famiglia, possiede una quota della Digitaleco, che per De Magistris avrebbe truffato l'Ue per 5 milioni di euro. Ancora una volta la stessa traiettoria: Bruxelles, Roma, Calabria. Il sospetto, secondo fonti vicine alla procura, è che la Globalmedia sia il "polmone finanziario" dell'Udc. Pare che gli investigatori abbiano ricostruito passaggi di denaro per circa 50 milioni di euro. Ma nel mirino del pm non c'è solo l'Udc. Continuando a setacciare visure camerali, scartabellando tra gli elenchi di decine di società, si imbatte nella "I borghi s.r.l.". Decide di indagare ancora: il presidente, questa volta, è direttamente Lorenzo Cesa. L'amministratore delegato, invece, è tale Francesco Artenisio Calducci: uomo vicino alla Margherita. Tanto da esserne definito "responsabile del settore spettacolo" e nominato, da Francesco Rutelli, amministratore delegato della "Cinecittà Holding". La società "I borghi" spazia dalla compravendita di beni immobiliari alla produzione di eventi culturali. Centrodestra e centrosinistra divisi in parlamento, quindi, ma uniti negli affari. Affari sui quali il pm stava ancora indagando. In cerca dei "polmoni finanziari" dei partiti. Ora l'inchiesta non gli appartiene più e il Csm, a breve, dovrà pronunciarsi sulla sua "destituzione". Nella procura di Catanzaro, in queste ore, si gioca una partita a scacchi. De Magistris sorride, non commenta, cela la tensione. Ma prima dello scacco matto, lascia intendere, serviranno altre mosse. L'articolo della "Stampa" che ha denunciato la rete di parentele che condiziona l'attività della magistratura calabrese.


L’Unità 31-3-2007 Partiti e finanziamenti, la storia infinita Giuseppe Tamburano

 

Parlare di finanziamento pubblico dei partiti mi fa tornare giovane (e ringrazio Sposetti di avermici indotto). Alla fine degli anni '60 nacque il Movimento di opinione pubblica. Tra le varie iniziative - prese senza girotondi ma studiando le questioni e promuovendo incontri - ci fu la proposta di finanziamento pubblico ai partiti. I primi anni '50 era esploso lo scandalo Ingic (Istituto nazionale gestione imposte di consumo) che aveva rivelato le tangenti incassate da tutti i partiti (per non parlare dei tanti altri scandali che coinvolsero soprattutto la Dc). Un grande penalista, il senatore democristiano Bettiol, sostenne che i partiti versavano in "uno stato di necessità" dovendo provvedere al loro mantenimento. Irridendo all'enormità giuridica della tesi, il Movimento propose il finanziamento pubblico per sollevare i partiti dal loro "stato di necessità". Ma rimase inascoltato. Ai primi del 1974 esplose un nuovo più grave scandalo, quello delle tangenti pagate dai petrolieri ai politici attraverso l'Enel per ottenere che si optasse per la scelta dell'energia prodotta da centrali termoelettriche invece che da quelle nucleari. Produsse un certo scalpore l'affermazione del ministro dell'Industria, De Mita, il quale in una intervista a Cesare Zappulli sul "Corriere della Sera", disse: e dov'è lo scandalo? "Come se non si sapesse che il finanziamento dei partiti è tra gli obblighi sub-istituzionali dell'Enel". L'inchiesta partì da giovani pretori di Genova, definiti "pretori d'assalto" (Almerighi, Brusco, Sansa). I partiti si allarmarono: "Qui arrivano i giudici!". In un battibaleno costituirono una commissione e in men che non si dica dettero vita al finanziamento pubblico (Legge 2 maggio 1974). I socialisti (ho elaborato io la bozza) proposero sovvenzioni controllate, ma democristiani e comunisti si opposero ai controlli. E nacque un finanziamento pubblico che doveva sostituire i finanziamenti occulti ed illegali ed invece - mancando seri controlli - finì con l'aggiungersi, sommarsi a quelli tradizionali. Nel 1978 un referendum spazzò via quella legge, ma non l'inventiva del "genio giuridico" dei politici italiani, e le pratiche del finanziamento illecito proseguirono in un contesto collusorio. Tangentopoli ferì a morte la classe di governo ma non sradicò il fenomeno. Sul piano legale fu deciso il finanziamento con misure di carattere fiscale e soprattutto attraverso i rimborsi delle spese elettorali. Oggi si è arrivati a cifre rilevanti, che scorrono verso i partiti per numerosi rivoli. *** In Parlamento giacciono numerose proposte di legge di varie parti politiche (la più organica è quella Del Pennino e altri). Ma se si vuole concludere questa lunga vicenda con una soluzione seria e duratura occorre affrontare alcuni punti. Il primo è la legge quadro sui partiti. Dovrebbe essere superata l'ostilità verso la regolamentazione dei partiti, che era forte nella Dc e soprattutto nel Pci, timoroso questo di sguardi e di controlli da parte dello Stato "borghese" sulla sua "democrazia" interna e sull' "oro di Mosca". E dunque si deve accettare la legge sulla quale ha scritto tanto il compianto Paolo Ungari, la quale deve prescrivere la pubblicità dei bilanci, regolare le procedure democratiche interne, i diritti delle minoranze compresa la partecipazione al finanziamento pubblico, e la soglia minima d'accesso, il cosiddetto quorum, previsto eventualmente per le elezioni politiche e il riparto dei fondi tra centro e periferia. Oltre al conferimento della personalità giuridica che è il presupposto della disciplina. Il finanziamento dovrà essere distinto in due grandi voci: le sovvenzioni per il funzionamento (una parte uguale per tutti e la restante in proporzione ai voti ottenuti alle elezioni politiche) e il rimborso delle spese elettorali. Dovranno essere previsti rigorosi controlli o attraverso la certificazione di un collegio di revisori dei conti o adottando la normativa che riguarda le fondazioni culturali: conferimento della personalità giuridica, contributi dallo Stato previsti in apposite tabelle e rendiconto dettagliato sulle spese di questi contributi ordinari e di quelli straordinari erogati dallo Stato o da enti pubblici. Dovranno essere consentite anche elargizioni private che vanno annotate anche nei bilanci dei benefattori e introdotte sanzioni gravi a carico sia di chi dà sia di chi riceve in caso di irregolarità. Ci vorrà inoltre una normativa seria per le spese dei singoli, specie quelle elettorali, e sulla propaganda elettorale, specie televisiva, riformando in meglio l'esistente disciplina. Ci sono delle norme etiche che non si possono stabilire con legge: la riduzione delle spese politiche, in particolare quelle elettorali che crescono in modo esponenziale. Ricordo che un giorno dissi a Bettino Craxi: dovresti proporre l'adozione di severi controlli sul finanziamento pubblico con l'aumento anche cospicuo dell'ammontare delle sovvenzioni: sarebbe una grande iniziativa moralizzatrice che gioverebbe al partito, perché i cittadini non sono contro il finanziamento pubblico ma non accettano che i partiti prendano sia i soldi dello Stato che quelli sottobanco dei privati. Mi rispose: perché tu credi che il finanziamento pubblico potrebbe mai bastare con questi partiti?.


Il Mattino di Padova 31-3-2007 Di Silvia Bergamin Sanità per una popolazione che invecchia

I dati del direttore generale al convegno di Cittadella "Nel 2040 un terzo degli italiani avrà più di 65 anni" CITTADELLA. La sanità dell'Alta Padovana, e non solo: nel dibattito di giovedì sera, in Villa Rina, le sorti degli ospedali di Cittadella e Camposampiero si sono intrecciate con il progetto di un "Policlinico della Regione Veneto", che dovrebbe sorgere a Padova Ovest. Il direttore del mattino di Padova, Omar Monestier, ha moderato il dibattito, al quale sono intervenuti il sindaco della città murata, Massimo Bitonci, il consigliere Udc, Silvano Liviero, il senatore Antonio De Poli, il direttore generale dell'Usl 15, Pietro Gonella, il presidente della commissione regionale Sanità, Raffaele Bazzoni, Giancarlo Ruscitti, della segreteria regionale Sanità, l'assessore provinciale Stefano Peraro. Gonella ha fornito alcuni dati, sviluppando un ragionamento sulle linee guida per il futuro del sistema sanitario: evoluzione demografica, progresso scientifico e tecnologico, aspettative di salute. "L'Italia, nel 2040, sarà seconda solo al Giappone quanto a vecchiaia: gli over 65 saranno il 33,7%, gli over 80 addirittura il 10%", la premessa del direttore generale. Che poi ha messo in luce come la nuova frontiera sia rappresentata dalla cosiddetta "Long Term Care": "Il sistema - ha spiegato Gonella - dovrà soddisfare i bisogni di una popolazione sempre più anziana, interessata all'assistenza a lungo termine, in quanto affetta da malattie croniche e degenerative. A questo proposito si impone un cambiamento radicale dell'organizzazione, da sviluppare attraverso passaggi successivi: cure domiciliari, ambulatoriali, residenziali extraospedaliere, residenziali ospedaliere". Nel 2005, la sanità è costata 334.188.778 euro, pari a 1.426,29 euro per ciascuno dei 235.000 abitanti nei due distretti sanitari dell'Usl 15. Di rilievo anche il dato sui posti letto: in ospedale, in 5 anni, i posti letto sono diminuiti di 85 unità (ora sono 810 complessivi fra i due presidi di Cittadella e Camposampiero); da registrare il "sorpasso" dei posti letto nelle strutture di assistenza extraospedaliera per anziani non autosufficienti: sono 839. Da questi dati, il via al dibattito, con Bitonci e il sindaco di Camposampiero, Marcello Volpato, allineati nella difesa degli ospedali dei rispettivi comuni, definiti "modelli virtuosi". De Poli si è soffermato sulla necessità di "valorizzare le eccellenze: non dobbiamo aver paura del Policlinico della Regione a Padova, ma neppure di Vicenza, Castelfranco, Bassano. Il nostro territorio era uno dei meno avanzati, ora ci siamo messi in rete: i nostri due ospedali sono importanti, vanno implementati con nuove risorse". L'ex sindaco, ora assessore del comune di Piazzola sul Brenta, Dino Cavinato, a margine dell'incontro, ha tenuto a sottolineare "l'inopportunità di una serata di questo tipo, in chiaro clima elettorale; il tema della sanità non può essere utilizzato strumentalmente dal senatore De Poli". "Nel merito - ha aggiunto Cavinato - andavano approfondite maggiormente alcune tematiche (liste d'attesa, il ruolo dei medici di base) e coinvolti gli amministratori locali, a partire dal presidente della Conferenza dei sindaci".


Milano Finanza 31-3-2007. Banca del Sud Piccole banche unitevi

 

Milano Finanza MEZZOGIORNO L'a.d. della neonata Banca del Sud, Andreozzi, lancia un appello agli istituti di credito locali per tentare di creare un'alternativa ai grandi gruppi. Come prime mosse, una sgr comune e l'apertura di uffici condivisi in Cina e India. 'Le piccole banche del Centrosud Italia devono unire le loro forze se vogliono sopravvivere in un mercato concentrato ormai nelle mani di pochi grandi gruppi. Le fusioni inseguono una logica di risparmio dei costi, ma non producono aumenti di ricavi. Per i piccoli, quindi, si aprono spazi di mercato, ma occorre proporsi come un interlocutore unico ed efficiente'. A lanciare l'appello è Francesco Andreozzi, amministratore delegato e vice presidente della neonata Banca del Sud. Quest'ultima nei giorni scorsi ha ricevuto l'autorizzazione a operare dalla Banca d'Italia e venerdì 30 marzo ha visto riunito il suo primo consiglio d'amministrazione. Nata con 18 milioni di euro di capitale sociale, la Banca del Sud ha come primo azionista la Fondazione Banco di Napoli e come secondo il gruppo Fonsai. Tra i soci minori, inoltre, c'è la Pentar della famiglia Romiti. Presto potrebbe esserci un nuovi aumento di capitale per soddisfare le richieste di partecipazione provenienti da tutta l'Italia. Domanda. Quando parla di unione delle banche del Centrosud ipotizza l'aggregazione di più realtà in un unico soggetto?Risposta. Non ci sono le condizioni per un progetto del genere, anche se a mio parere sarebbe auspicabile. Mi riferisco, piuttosto, a una grande alleanza di tipo commerciale.D. Cioé?R. In molte regioni dell'Italia centrale e meridionale le grandi banche, pur disponendo della rete di sportelli, non sono radicate nel territorio e spesso si rivelano poco sensibili alle esigenze delle piccole imprese. Le banche locali possono rappresentare una valida alternativa, ma solo se riescono a offrire prodotti e servizi validi e a prezzi competitivi.D. Ma di preciso in che modo dovrebbero unirsi le piccole banche?R. Creando, per esempio, delle sgr comuni oppure aprendo degli uffici di rappresentanza unici in alcuni paesi esteri come Cina e India.D. Una sorta di fusione ma fuori dai confini nazionali...R. è indispensabile. Oggi le piccole imprese del sud investono tanto nei mercati emergenti ma non sempre trovano una banca italiana disposta a seguirli. E i grandi istituti, quando ci sono, si rivelano troppo cari.D. La Banca del Sud nasce come piccola realtà con appena due sportelli. Come sarà domani?R. Mi auguro, naturalmente, che cresca con l'apporto di nuovi soci oppure con ulteriori investimenti da parte degli attuali azionisti. Ma resterà una realtà flessibile con una forte attenzione ai costi. (riproduzione riservata) Milano Finanza Numero 065, pag. 23 del 31/3/2007 Autore: Mariarosaria Marchesano.


INDICE  30-3-2007

 

++ (Agi) – TAV: IN ITALIA COSTA OLTRE IL TRIPLO DI FRANCIA E SPAGNA…

++ La Stampa 30-3-2007   L'imam: gli infedeli vanno uccisi. Torino, propaganda per Al Qaeda tra i musulmani: no a ogni forma di integrazione. MAURIZIO TROPEANO

++ Il Corriere della sera 30-3-2007 Liberalizzazioni, il decreto diventa legge

++ AgenParl 30-3-2007  BEPPE GRILLO: REFERENDUM PER IL MATRIMONIO DEGLI ECCLESIASTICI

+ La Stampa 30-3-2007 - SANZIONI ONU Bankitalia commissaria succursale italiana dell'iraniana Bank Sepah

+ La Repubblica 30-3-2007 Coppola e le banche intreccio pericoloso Due anni fa imperversavano a Piazza Affari. Oggi, i "furbetti" sono accusati di reati finanziari e gravi irregolarità. ALESSANDRO PENATI

Romagnaoggi.it 30-3-2007 CESENA - Titolari ''Eurotecnica'' denunciano ex vertici Banca d'Italia per usura

Milano Finanza 30-3-2007 La Riforma delle Authority: il nuovo disegno di legge approvato dal Governo. Nel mirino azioni discrezionali e asimmetrie informative

Il Corriere della Sera 30-3-2007  Usa: anche il Senato vota il ritiro dall'Iraq Ma Bush preannuncia: metterò il veto alle legge  1

La Stampa 29-3-2007  SUMMIT DELLA LEGA ARABA. Riad a Israele: "Sedetevi con noi" I sauditi rilanciano il piano di pace: è arrivato il momento per un negoziato diretto LORENZO TROMBETTA  2

Il Corriere della Sera 30-3-2007 Cdl e centristi condannati alla coabitazione. Dietro gli attacchi a Casini il timore di perdere alle amministrative Massimo Franco  3

Il Riformista 30-3-2007 Non esistono convivenze buone e convivenze cattive di Claudia Mancina  4

La Repubblica 30-3-2007 "Io prete tra coppie di fatto e omosessuali Porte aperte a tutti, no alle divisioni" Don Adelino Bortoluzzi: invece il Family day crea divisioni DAL NOSTRO INVIATO JENNER MELETTI 4

La Stampa 30-3-2007 Amato alla Cei: "Non siamo l'Islam". Appello di intellettuali, da Eco alla Hack: non devolvete l'otto per mille alla Chiesa MARCO TOSATTI 6

Europa 30-3-2007  A sessant’anni dal voto sull’articolo 7 la sinistra continua nell’errore di furberia  FEDERICO ORLANDO RISPONDE  7

Il Centro 30-3-2007 Di Davide Pace * Partito democratico, la passione è finita

Il Riformista 30-3-2007 L'OPINIONE DI PETRUCCIOLI  Finita la stagione dei reality? 7

 


++ (Agi) – TAV: IN ITALIA COSTA OLTRE IL TRIPLO DI FRANCIA E SPAGNA…

 

I 564 chilometri di linee ferroviarie ad alta velocita' realizzate in Italia hanno avuto un costo medio per chilometro di 32 mln di euro, contro i 10 pagati dai francesi per 1.548 chilometri di linee e i 9 mln pagati dagli spagnoli per 1030 chilometri di linee. E' quanto l'Agi e' in grado di anticipare sulla base di un documento riservato delle Ferrovie dello Stato. Il documento di 32 pagine conferma che anche per il futuro il nostro Paese e' destinato a spendere piu' dei nostri 'cugini' francesi e spagnoli: i 647 chilometri di linea in progettazione o in realizzazione avranno, per il nostro Paese, un costo medio per chilometro di 45 mln di euro contro i 15 che spenderanno i spagnoli e i 13 dei francesi. Secondo il documento elaborato a piazza della Croce Rossa, le principali cause di questo forte divario tra l'Italia e gli altri due paesi e' da addebitarsi a: le modalita' di affidamento, le specifiche progettuali (alta capacita', orografia e sismicita' del territorio) le prescrizioni ambientali e territoriali, l'antropizzazione del territorio e l'acquisizione delle aree, l'innovazione tecnologica e l'adeguamento a nuove norme".

 

Lo stesso studio delle Ferrovie evidenzia come le modalita' di affidamento pesino tra i 4 e i 6 mln di euro per chilometro di linea: "il ricorso ad una gara ad evidenza pubblica - si legge nel documento - avrebbe sicuramente comportato una riduzione dell'ordine del 14-20% dell'importo delle opere". Nel caso di negoziazione diretta tra committente e general contractor, spiega il documento, "la congruita' del prezzo che viene esperita prima dell'affidamento dal soggetto tecnico che supporta la committenza, deve necessariamente tenere conto - oltre che dei costi di costruzione diretti - anche degli oneri organizzativi e finanziari, degli attrezzaggi e delle prestazioni previste dall'affidatario in termini ed entita' difficilmente contestabili". "In un affidamento mediante gara, invece, prosegue la spiegazione delle Ferrovie, tali oneri incidono generalmente di meno, poiche' gli stessi concorrenti, per potersi aggiudicare l'affidamento, operano nel proprio ambito imprenditoriale specifiche ottimizzazioni organizzative e gestionali tenendo conto di capacita', risorse, attrezzature gia' di loro proprieta', sinergie operative ed economiche realizzabili nell'esecuzione delle opere".


++ La Stampa 30-3-2007   L'Imam: gli infedeli vanno uccisi. Torino, propaganda per Al Qaeda tra i musulmani: no a ogni forma di integrazione. MAURIZIO TROPEANO

TORINO
La moschea è in un cortile di via Cottolengo, a Torino, la stessa dove predicava l’imam Bouchta espulso dall’Italia per sospetta attività terroristica, è nel cuore di Porta Palazzo, dietro il grande mercato dell’ortofrutta. L’altra è in via Saluzzo, quartiere San Salvario. Due pezzi di città dove i cittadini extracomunitari si sono insediati in modo massiccio nel corso degli anni. Sono stranieri. Arrivano da Marocco, Tunisia, Egitto. Tutti di religione musulmana. In questi luoghi di culto salafiti, almeno secondo le riprese di una telecamera nascosta di una troupe di Annozero, si fa propaganda ad Al Qaeda e si chiamano alle armi i fedeli: «Nessun compromesso con gli atei. Si uccidono e basta».
Il filmato
Immagini che durano pochi minuti ma che a partire da oggi potrebbero essere acquisite dalla squadra antiterrorismo di Torino. Il suo capo, Giuseppe Petronzi, afferma di aver «guardato con molta attenzione il servizio televisivo. Nessuno ci aveva informato delle riprese e adesso valuteremo in che nodo acquisire la documentazione». Petronzi, però, non risponde a chi gli chiede se ci siano indagini in corso sui terroristi islamici.
L’inchiesta giornalistica di Maria Grazia Mazzola partita per documentare la violenza sulle donne perpetuate in nome del Corano si è servita di una telecamera nascosta, grande come uno spillo, per fare le riprese all’interno dei luoghi di culto. Mazzola racconta l’«ostilità e la diffidenza» riscontrata in questo viaggio di due settimane in alcuni dei luoghi frequentati da una parte dei fedeli musulmani torinesi. Poi l’inchiesta prende una piega diversa e arriva a documentare come in quelle due moschee si faccia propaganda in favore del terrorismo islamico. L’iman Kuhaila invita i credenti a non integrarsi con gli infedeli perché l’Islam e l’unica via di salvezza. Poi la microcamera riprende le fotocopie di fogli di propaganda del gruppo terroristico. Per la giornalista si tratta del «giornale di Al Qaeda» e lì si può leggere l’esaltazione della Jihad si parla di Al Zarkawi, il capo della cellula irachena dell’organizzazione terroristica ucciso dagli americani, e lo si porta come modello per il martirio. Tra quelle pagine ci sono anche la descrizione di strategie militari. La stessa propaganda di esaltazione della guerra santa contro gli infedeli, cioè ebrei e cristiani, si ripete nella moschea di via Saluzzo. Qui le informazioni si possono leggere su una bacheca dove sono stati affissi i fogli del giornale. Fin qui il video. Che faranno gli inquirenti? Petronzi non si sbilancia. Nel corso degli anni la Digos di Torino ha cercato di contrastare il terrorismo di matrice islamica. La prima inchiesta è del 1997 contro la Gia algerina. Poi nell’aprile del 2001 partono le indagini che portano ad accertare l’esistenza di una campagna di arruolamento partita dalle moschee del Nord-Ovest per i capi dell’Afghanistan. A Guantanamo sono detenuti quattro combattenti catturati in battaglia dagli americani. Poi nel 2003 l’inchiesta che portò all’espulsione di cinque marocchini accusati di star preparando attentati in Italia. L’anno dopo toccherà all’imam della moschea di via Cottolengo


++ Il Corriere della sera 30-3-2007 Liberalizzazioni, il decreto diventa legge

La Lega protesta per la Tav. La Cdl: svuotato il Parlamento

Via libera del Senato: fiducia con 161 sì e 153 no. Assenti 4 senatori a vita. Andreotti annuncia il sì ma poi esce dall'aula             STRUMENTI

ROMA - Il decreto sulle liberalizzazioni diventa legge. Dopo il via libera della Camera la settimana scorsa, il Senato ha votato la fiducia sul decreto Bersani con 161 favorevoli, 153 contrari e nessun astenuto. Quella di oggi è la diciassettesima fiducia posta dal governo Prodi. L'esecutivo aveva deciso di blindare anche a Palazzo Madama il provvedimento per evitare sorprese a pochi giorni dalla sua decadenza, lunedì 2 aprile. Una prospettiva, questa, che il consiglio dei ministri voleva decisamente scongiurare anche per evitare la scomparsa di norme, come quella sui costi di ricarica dei telefonini (che ha però portato alcune compagnie ad alzare le tariffe, scatenando le ire delle associazioni di consumatori), che avrebbero notevoli ricadute nella vita di tutti i giorni.

Il decreto sulle liberalizzazioni è diventato legge: ecco le novità.



4 SENATORI ASSENTI
- Su un totale di 315 senatori votanti, spiccavano in aula le assenze di quattro senatori a vita: Cossiga, Ciampi, Pininfarina e Andreotti. Sul comportamento di quest'ultimo è giallo: Andreotti aveva infatti annunciato il suo sì al decreto ma è sparito dall'Aula durante le due chiame per la fiducia. Assente anche il presidente della commissione Difesa, Sergio De Gregorio, per un impegno a Reggio Calabria dove premierà Silvio Berlusconi con il riconoscimento degli Italiani nel mondo.
Hanno votato sì invece il senatore Marco Follini, leader dell'Italia di mezzo, e il senatore indipendente eletto nelle circoscrizioni estere, Luigi Pallaro.

PROTESTA DELLA LEGA PER LA TAV - Prima del voto, l'atmosfera distesa dell'Aula è stata interrotta quando il senatore Stefano Stefani stava per concludere il suo intervento annunciando il voto contrario del suo gruppo. Stefani ha alzato la voce prendendosela con il governo che ha revocato le concessioni alla Tav Spa per alcune tratte dell'Alta Velocità sostenendo che «la Padania è penalizzata» e il leghista Polledri ha mostrato uno striscione dove era scritto «meno tasse, più ferrovie, più strade». Slogan gridato anche dai senatori leghisti in un emiciclo semivuoto. La curiosità è che a presiedere l'aula era Roberto Calderoli che ha dovuto invitare Polledri a ritirare lo striscione pena l'espulsione dall'aula e ai compagni di partito di far silenzio. La Lega Nord protesta per la revoca delle concessioni di tre tratte dell'Alta velocità e il conferimento delle stesse tramite gara perché ritiene che questo comporti il rinvio alle calende greche dei lavori per l'ammodernamento del sistema ferroviario.

LA CDL: SVUOTATO IL PARLAMENTO - Protesta anche la Cdl per l'ulteriore ricorso alla fiducia del governo Prodi. E' «un ulteriore e ancora più pesante schiaffo al Senato. Oggi siamo arrivati al monocameralismo imperfetto» tuona il capogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama Vito Schifani. Secondo il senatore azzurro il decreto, che contiene la revoca delle concessioni Tav, «blocca lo sviluppo del Paese. Domani nessun investitore internazionale verrà, sapendo che i contratti possono essere cancellati. Ma la cancellazione non danneggia nessuna Coop rossa» denuncia.
Accusa analoga da parte del presidente dei senatori di An, Altero Matteoli: il decreto contiene «norme che rischiano di bloccare la realizzazione delle grandi infrastrutture inerenti i trasporti del Paese. A parte la gravissima lesione del ruolo legislativo del Senato - sottolinea Matteoli - queste liberalizzazioni, propagandate dal governo come una panacea per i cittadini, sono finte perchè non toccano i grandi monopoli». La Cdl accusa l'esecutivo di avere adottato con il decreto Bersani provvedimenti punitivi nei confronti di categorie, come tassisti o artigiani e piccoli commercianti, considerate, da un punto di vista elettorale, in quota al centrodestra e di non essere stato disponibile ad un confronto serio nel merito delle nuove norme.
LA MAGGIORANZA
- Soddisfatta per l'esito del voto la presidente dei senatori dell’Ulivo, Anna Finocchiaro, che ironizza però sulla Cdl che vota contro la missione in Afghanistan e contro misure di liberalizzazione. Per la Finocchiaro la prova di fiducia è stata superata «brillantemente, anche se rimane l’amarezza dei soli 3 giorni per discutere un decreto. Vorrei ricordare - ha aggiunto - che il provvedimento è dovuto stazionare alla Camera per circa 45-50 giorni in ragione dell’ostruzionismo che, non solo ha tolto al Senato la possibilità di valutare il testo e intervenire, ma ha anche inspiegabilmente registrato ostruzionismo e voto contrario di quelle che dovrebbero essere le forze liberali di questo Paese».
Al voto si è infatti arrivati dopo contrasti e schermaglie tra maggioranza e opposizione. «Io non avrei mai immaginato - ha commentato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti - che sulle liberalizzazioni un governo di centrosinistra avrebbe dovuto mettere la fiducia a causa di un'opposizione di centrodestra».


++ AgenParl 30-3-2007  BEPPE GRILLO: REFERENDUM PER IL MATRIMONIO DEGLI ECCLESIASTICI

 

BEPPE GRILLO: REFERENDUM PER IL MATRIMONIO DEGLI ECCLESIASTICI

Roma, 30 Marzo 2007 - AgenParl - Beppe Grillo propone un referendum per consentire il matrimonio degli ecclesiastici, “così almeno sanno di cosa parlare quando parlano di famiglia”.
Caustico e terribile come sempre, Grillo non ha risparmiato né il Vaticano, né la stampa italiana.
Per la seconda, gli è bastato ricordare come “sarebbe bastato un servizio di 30 secondi sul caso Parmalat a salvare milioni di risparmiatori”.
Intanto, un wc accoglie le foto di D’Alema, Berlusconi, Mastella, Fassino etc… ciascuna accompagnata dal suono dello sciacquone.
La folla gremita ha ascoltato anche la voce di Gino Strada, in collegamento video dall’Afghanistan, per parlare della sorte del manager di Emergency catturato dai servizi di sicurezza di Kabul. A quel punto, Grillo ha fatto un riferimento all’apparente inerzia del ministro degli Esteri D’Alema sul caso Hanefi “lo prendiamo e lo mandiamo a calci in culo in Afghanistan per muoversi”.
Dopo le consuete informazioni sull’altra economia ecosostenibile e sui vantaggi che i consumatori potrebbero trarre dall’accesso a servizi e beni non pubblicizzati, si è conclusa la tappa romana del tour “Reset”.
Un tour promosso da Grillo per portare nel mondo reale i contenuti del suo blog, l’unico italiano in cima alle classifiche mondiali, per “resettare questa democrazia con il buco intorno che è fallita”. (F.Mi.)

 


+ La Stampa 30-3-2007 - SANZIONI ONU Bankitalia commissaria succursale italiana dell'iraniana Bank Sepah

 

La Banca d'Italia ha invitato la filiale ad adeguarsi alle sanzioni Onu

La Banca d’Italia ha commissariato la succursale italiana della Bank Sepah e ha richiamato gli operatori finanziari a rispettare le sanzioni decise dal Consiglio di sicurezza dell’Onu nei confronti dell’Iran.
«Con provvedimento del 26 marzo 2007, la Banca d’Italia ha disposto, ai sensi degli articoli 76 e 77 del Testo unico bancario - si legge in una nota di Via Nazionale - la gestione provvisoria della succursale italiana della Bank Sepah, con sede a Roma».
Bankitalia spiega anche che «a seguito delle misure restrittive assunte dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite nei confronti dell’Iran», ha «richiamato l’attenzione degli intermediari sui rischi reputazionali ed operativi insiti nei rapporti con soggetti destinatari delle misure medesime, tra i quali figura Bank Sepah».


+ La Repubblica 30-3-2007 Coppola e le banche intreccio pericoloso Due anni fa imperversavano a Piazza Affari. Oggi, i "furbetti" sono accusati di reati finanziari e gravi irregolarità. ALESSANDRO PENATI

Storie personali diverse, ma non isolate e casuali: sono spie di un sistema finanziario che ha ancora tanta strada da fare, quanto a trasparenza e rispetto delle regole. Finanzieri disinvolti ce ne saranno sempre. Il problema sono le banche che li finanziano, rischiando di perdere per aver concesso troppi crediti, troppo generosamente, a clienti troppo amici. Banca Intermobiliare, nel caso Coppola, è solo l'ultimo esempio dei danni della compiacente vicinanza di una banca a un imprenditore. Intermobiliare è esposta nei confronti di Coppola, che della banca è azionista rilevante, per 118 milioni: quasi un quarto del patrimonio netto; come se Intesa-Sanpaolo avesse prestato 15 miliardi a Zaleski, suo azionista con circa il 2% (come Coppola in Intermobiliare). Tanta concentrazione del rischio nei confronti di un proprio azionista è difficile da giustificare. E la scelta della banca di non considerarla come operazione con parti correlate è forse legittima, ma poco trasparente. Il peggio è che l'amministratore delegato e un consigliere di Intermobiliare (entrambi anche azionisti della holding che controlla la banca) sedevano nel consiglio di Ipi, la società immobiliare quotata, controllata da Coppola, sulla quale la magistratura indaga per irregolarità di bilancio, e le cui azioni sono a garanzia dei crediti di Banca Intermobiliare: un intreccio inaccettabile per un mercato finanziario evoluto. Ma in Italia ci sono stati troppi i casi di banche compiacenti o avventate (Bpi, Meliorbanca, Popolare Intra): forse c'è qualcosa da rivedere nella Vigilanza della Banca d'Italia. Ben prima dell'intervento della magistratura, la gestione Coppola dell'Ipi avrebbe dovuto allarmare, soprattutto gli amministratori-banchieri. Dopo averla acquisita da Zunino nel gennaio 2005, Coppola l'ha immediatamente gravata di 380 milioni di debiti e lanciata in un vorticoso trading con parti correlate. L'Ipi di Coppola vende a Coppola 104 milioni di immobili, il quale ne paga 48 con soldi presi a prestito dall'Ipi stessa, che rimborsa parzialmente con dividendi Ipi, frutto degli utili frutto di transazioni con i soci. Dal gruppo Zunino, che rimane azionista rilevante, Ipi acquista immobili per 293 milioni, che finanzia in parte cedendo immobili, partecipazioni e crediti allo stesso Zunino. Il valore di alcuni immobili acquistati cresce in un baleno da 153 a 193 milioni, quando Ipi li cede in leasing. Fatta la plusvalenza, spariscono, insieme al leasing: il contratto viene girato a un fondo immobiliare. Così, nel primo anno di gestione Coppola, gli utili quadruplicano e il titolo vola in Borsa. Anche se a fronte di 41 milioni di profitti, in bilancio si riscontrano non meno di 70 milioni di rivalutazioni e plusvalenze da transazioni con parti correlate. Finite queste, finiscono anche i profitti: nei primi 9 mesi del 2006 solo 1,5 milioni; e anche questi grazie a 2,6 milioni di utili derivanti da uno swap finanziario. La magistratura indaga: se dovesse provare le irregolarità, saremmo di fronte all'ennesimo esempio di un sistema di controlli (amministratori, banche creditrici e Consob) che non funziona. La trasparenza avrebbe potuto evitare i danni, ma è fondamentale anche per raccogliere i cocci: bisogna estromettere i vecchi amministratori, fare pulizia nei bilanci, valutando prudenzialmente attività e debiti; e mettere all'asta quel che resta. Ma in Italia le cose non vanno sempre così. A luglio Consob e Banca d'Italia hanno permesso a Bpi di fare un aumento di capitale in Borsa senza aver svalutato adeguatamente le attività ereditate dalla gestione Fiorani. Bpi lo fa oggi, per 240 milioni (un terzo dell'aumento): ma il ritardo le ha permesso, grazie all'aumento, di negoziare da una posizione di forza la fusione più gradita a manager, dipendenti e interessi locali, evitando l'asta. Banca Intermobiliare ha escusso il 27% di Ipi in pegno, e vuole venderlo. Ma quanto vale una società col principale azionista (47%, parzialmente sotto sequestro) in custodia cautelare; un altro 10% in mano a Intesa-Sanpaolo, che presumibilmente vuole realizzare; un'indagine per falso in bilancio; una situazione patrimoniale di Coppola non chiara (con eventuali altri pretendenti alle azioni Ipi); crediti non quantificabili che fisco e magistratura potrebbero vantare in futuro; oneri per eventuali illeciti degli amministratori (legge 231); e possibili azioni revocatorie di fallimenti? Intermobiliare deve anche recuperare 26 milioni garantiti da titoli sotto sequestro e 20 da mutui che andranno all'incanto. Senza contare le eventuali responsabilità dei suoi amministratori, che sedevano nel consiglio Ipi. La soluzione? Un compratore amico per Ipi che tolga le castagne dal fuoco per tutti, nasconda sotto il tappeto i cocci e faccia dimenticare l'imbarazzante avventura. Per la trasparenza, c'è tempo.


Romagnaoggi.it 30-3-2007 CESENA - Titolari ''Eurotecnica'' denunciano ex vertici Banca d'Italia per usura

 

CESENA – I coniugi Mariani, titolari dell'azienda Eurotecnica, hanno presentato mercoledì una denuncia nei confronti degli ex coordinatori della Banca d'Italia e di altre dieci banche colpevoli di aver applicato nei loro confronti tassi di interesse da usurai. Le accuse sono di associazione a delinquere finalizzata all'omissione di atti d'ufficio, al peculato, truffa, concussione, usura, turbativa di mercato, abuso d'ufficio e interessi privati in atti d'ufficio.

L'atto di denuncia riguarda l'ex governatore della Banca D'Italia, Antonio Fazio, il direttore generale Vincenzio Desario e il vice direttore Antonio Finocchiaro, Aristide Canosani (presidente Unicredit), Gianguido Sacchi Marsiani (presidente Cassa di Risparmio di Bologna) e Alfredo Cariello (presidente Banca Toscana).

I coniugi Giulio Mariani e Maria Grazia Lucchi, che avevano chiesto in precedenza 12milioni di euro di risarcimento, avevano denunciato le dieci banche implicate nella vicenda perchè avevano applicato nei loro confronti dei tassi d'interesse usurai. Il Gip di Forlì, Andrea Montagni, archiviò il caso per nove banche ad eccezione del Banco Antoniano Veneto. Queste, infatti, furono tratte in inganno da specifiche direttive imposte dalla Banca d'Italia. La battaglia di titolari dell'azienda cesenate ''Eurotecnica'', gestita da Giulio Mariani e Maria Grazia Lucchi, prosegue con il sostegno dei propri legali Francesco Sessa e Maria Cozza.

La ditta tra il 1998 e il 2001 entrò in crisi di liquidità e le banche, per rilanciare le attività, applicarono tassi d'interessa definiti dal Pm Monica Galassi da usurai. La difesa presentò documenti nel quale evidenziò i tassi tra il 17,11% e il 219,49%, quando la soglia d'usura è del 15,3%

Delle dieci banche denunciate, dalle analisi dei periti, due risultarono con tassi sotto la soglia di usura. Nel mirino finirono La Banca Nazionale dell'Agricoltura, Carisbo, la Cassa di Risparmio di Forlì e Cesena, la Banca Popolare di Ancona, la Banca Popolare dell'Emilia Romagna e la Banca di Toscana. I tassi furono calcolati tra il 20,83% e il 284,9%.


Milano Finanza 30-3-2007 La Riforma delle Authority: il nuovo disegno di legge approvato dal Governo. Nel mirino azioni discrezionali e asimmetrie informative

 

MF Il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il disegno di legge sul riordino delle Authority. Il provvedimento composto di ventidue articoli fissa nuove regole per il corretto funzionamento dei mercati nell'ambito di una completa informazione concorrenziale. L'obiettivo è quello di rafforzare i poteri delle autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, a partire da quella per le garanzie nelle comunicazioni, alla quale vengono attribuite le funzioni di autorità nazionale di regolamentazione, previste dalla disciplina comunitaria, fino all'istituzione di una nuova Autorità per i trasporti. Per ciò che concerne i settori di intervento, un esempio è dato dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, la quale controllerà anche i servizi idrici. Nel settore finanziario la Banca d'Italia, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB) e il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio si ripartiranno le competenze svolte finora dall'ISVAP, dalla COVIP e dall'Ufficio Cambi. In particolare, con il nuovo disegno di legge la Banca d'Italia diventa l'unico soggetto regolatore, nonché vigilante unico sulla stabilità degli operatori bancari, assicurativi, e finanziari, mentre la CONSOB si occuperà di trasparenza e informazione al mercato. Nelle modalità di nomina la designazione spetta al Consiglio dei Ministri con il parere vincolante espresso a maggioranza dei due terzi di un'apposita commissione parlamentare bicamerale, previa audizione dei designati. La previsione non si applica, tuttavia, alla Banca d'Italia, il cui statuto è stato di recente modificato. Il mandato viene fissato in sette anni, non rinnovabile nemmeno in altre Autorità. Ulteriori disposizioni di carattere organizzativo sono state introdotte per assicurare la necessaria funzionalità delle Autorità, con norme sui compiti del Segretario generale e del Capo di gabinetto, l'ordinamento degli uffici e le clausole di flessibilità sull'organizzazione interna e del personale. Diverse sono le norme, quindi, che assicurano la massima trasparenza e partecipazione, oltre ad un adeguato contraddittorio nei procedimenti contenziosi e sanzionatori. Il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR) viene soppresso, in linea con l'esperienza di altri ordinamenti europei, e sostituito dalla costituzione presso il Ministero dell'economia e delle finanze di un Comitato per la stabilità finanziaria, tutto questo al fine di consentire una più stringente vigilanza del sistema finanziario.Come bene messo in evidenza nella relazione illustrativa fornita dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri vengono regolati i rapporti istituzionali ed è istituita la Commissione parlamentare bicamerale per le politiche della concorrenza e la regolazione dei mercati e i rapporti con le Autorità indipendenti, che esprime il parere sulla nomina dei componenti delle autorità e cura il raccordo istituzionale tra il Parlamento e le Autorità stesse con riguardo alle funzioni legislative e regolamentari di rilevanza strategica sull'assetto concorrenziale dei mercati e sulla tutela dei consumatori e degli utenti. Il disegno di legge in commento attraverso la dizione, ”le disposizioni della presente legge stabiliscono principi e norme in materia di funzioni, organizzazione e attività delle Autorità indipendenti di regolazione, vigilanza e garanzia dei mercati, al fine di rafforzarne e razionalizzarne i compiti di promozione della concorrenza e dei diritti dei consumatori e degli utenti” è soprattutto volto a confermare la tendenza di eliminare quelle distorsioni esistenti nel campo della libera concorrenza, facilitando così un più rapido processo di liberalizzazione dei mercati. Le disposizioni della presente legge si inseriscono in un contesto dove viene assicurato l'esercizio della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza, di tutela del risparmio e dei mercati finanziari, di garanzia dei livelli essenziali dei diritti civili e sociali di consumatori e utenti, nonché in materia di ordinamento degli enti pubblici nazionali, nel pieno rispetto delle funzioni di indirizzo e di vigilanza del Governo e dei Ministri e delle competenze di regioni ed enti locali. Il delicato equilibrio del mercato può essere controllato solo da un minore intervento dello Stato centrale, il quale può essere semplice spettatore e non controllore dei continui mutamenti caratterizzanti il sistema socio-economico di un Paese. Ecco che allora, l'obiettivo delle nuove Authority sarà non più quello di regolatore, bensì di garante della trasparenza dei mercati e di vigilanza prudenziale, della corretta evoluzione dei mercati nei casi in cui la concorrenza non sia sufficiente, di tutela della concorrenza stessa. E' stato fatto notare come informazioni imperfette possano provocare ostacoli nell'accesso ai servizi, i quali se non conosciuti nel momento in cui vengono usufruiti, forniscono una percezione negativa ai consumatori, in termini di prezzi dei beni per loro rilevanti, ossia dei beni che acquisteranno nel corso del periodo di applicazione dei servizi stessi. Tale considerazione può essere trasposta nella nuova disciplina delle Authority, le quali hanno il compito di aprire definitivamente le frontiere della liberalizzazione, al fine di contenere i costi di transazione che gravano sulla collettività.L'eliminazione di comportamenti discrezionali e di asimmetrie informative rappresenta, allo stato attuale, la sola ricetta in grado di rimediare alla perdita di benessere collettivo, in termini di competitività e stabilità economica. MF  - Dircredito - Fd Numero 064, pag. 23 del 30/3/2007 Autore: Andrea Miglionico.


Il Corriere della Sera 30-3-2007  Usa: anche il Senato vota il ritiro dall'Iraq Ma Bush preannuncia: metterò il veto alle legge

 

Come la Camera, i senatori chiedono alle truppe di andar via da Bagdad, ma in una data diversa: dovranno mettersi d'accordo

 

WASHINGTON (USA) - Un voto che non cambia nulla sul piano operativo per quanto riguarda la situazione in Iraq, ma che acuisce lo scontro tra il Congresso (a maggioranza democratica) e il presidente degli Stati Uniti (che è repubblicano).

IL VOTO - A dispetto infatti del veto minacciato dal presidente George W. Bush, il Senato americano ha infatti approvato la richiesta di fondi straordinari destinati per la maggior parte alle missioni in Iraq e in Afghanistan, ma con il vincolo di ritirare i soldati statunitensi dal territorio iracheno entro il 2008. L'aula si è espressa con 51 voti a favore e 47 contro il disegno di legge che Bush ha minacciato di bloccare con il veto se fosse passato con questo vincolo. Il testo chiede che il ritiro delle truppe inizi entro quattro mesi e si completi entro il 31 marzo del 2008. L'iniziativa è legata a uno stanziamento di 121,7 miliardi di dollari. La Camera dei Rappresentanti l'aveva votata la settimana scorsa ponendo come data per il ritiro dall'Iraq il primo settembre del 2008. I due rami del Congresso dovranno trovare una compromesso, prima che il testo sia mandato alla firma del presidente il mese prossimo. Firma che probabilmente non ci sarà.

L'OPPOSIZIONE DEL PRESIDENTE - A questo punto però non è chiaro cosa succederà. Quella del Senato non è infatti la stessa lettura della legge approvata la settimana scorsa dall’altro ramo del Congresso. Con una maggioranza più robusta i democratici della Camera hanno varato un testo che, se tradotto in legge, obbligherebbe Bush a definire un calendario certo per il ritiro nel settembre del 2008. La formula scelta dalla Camera alta è più timida e si limita a «suggerire» al presidente di impegnarsi per la fine delle ostilità entro l’anno prossimo, senza imporre alcun vincolo concreto. Per due volte i democratici avevano già provato in passato a approvare una misura simile a quella di oggi, scontrandosi tuttavia con il muro dell’ostruzionismo parlamentare repubblicano, che questa volta non è scattato. Dietro, un calcolo politico preciso: i repubblicani preferiscono che sia il presidente in persona, esercitando il suo diritto di veto, a bocciare la legge. Per vanificare il veto, i democratici avrebbero bisogno dei consensi dei due terzi di Camera e Senato, numeri di cui per ora non dispongono.

L'ESITO FINALE - Ma ogni volta che si vota sulla guerra i voti critici sulla gestione Bush sembrano aumentare" Bush resta fermo sulle sue posizione. Parlando al termine di un incontro con i leader del suo partito e mentre il voto al Senato era già in corso, il presidente ha ribadito che bloccherà sia il testo del Senato che quello della Camera, qualora gli fossero sottoposti. «I nostri soldati sono in pericolo, e vogliamo che loro arrivino i finanziamenti necessari. I nostri generali sono alle prese con decisioni difficili e non possiamo legare loro le mani. Le conseguenze di imporre una data precisa e arbitraria per il ritiro - aveva aggiunto mercoledì il presidente - sarebbero disastrose. I nostri nemici si segnerebbero semplicemente il giorno sul calendario, passerebbero mesi a preparare il modo migliore per sfruttare il loro nuovo santuario, quando ce ne saremo andati. Non ha senso per politici a Washington dettare la strategia ai comandanti che operano in una zona di guerra a 10.000 chilometri di distanza». Bush sempre mercoledì ha criticato le spese aggiuntive che la maggioranza democratica ha allegato alla finanziaria sulla guerra. E’ una consuetudine parlamentare americana che si abbinino a leggi di spesa voci che poco hanno a che fare con la materia del provvedimento principale, ma in una situazione politica così tesa su questo fronte le polemiche sono state asprissime. Non si è lasciata attendere la risposta dei democratici all’ultima invettiva del presidente George W. Bush sull’Iraq. «Il presidente si calmi e la pianti con le minacce - aveva detto la presidente della Camera Nancy Pelosi - c’è un nuovo Congresso in città. Noi rispettiamo il ruolo istituzionale del presidente, il presidente rispetti il nostro. Questa guerra deve finire, gli americani hanno perso la fiducia nella capacità del presidente di portarla avanti. Il presidente faccia un respiro profondo e capisca che dobbiamo rispettare i nostri rispettivi ruoli. Gli tendiamo la mano in segno di amicizia».

30 marzo 2007


La Stampa 29-3-2007  SUMMIT DELLA LEGA ARABA. Riad a Israele: "Sedetevi con noi" I sauditi rilanciano il piano di pace: è arrivato il momento per un negoziato diretto LORENZO TROMBETTA

RIAD
Crisi, guerra civile, divisioni. Sono queste le parole pronunciate più spesso ieri dai leader e sovrani arabi presenti al diciannovesimo vertice della Lega Araba in corso a Riad, in Arabia Saudita, boicottato solo dal presidente libico Muammar Gheddafi. «L’unità araba è un obiettivo oggi assai più difficile da raggiungere di cinquant’anni fa, di quando venne formata la Lega Araba», ha detto il padrone di casa, il sovrano saudita Abdallah, aprendo la seduta inaugurale del vertice. Dopo aver elencato i tristi scenari della Somalia, del Darfur, dell’Iraq, dei Territori palestinesi e del Libano, l’anziano e malato re Abdallah ha ammesso: «Siamo prima di tutto noi, leader arabi, ad esser responsabili di questa situazione». Non è un segreto che Riad voglia tornare ad avere un ruolo guida nell’azione diplomatica nella regione, e che in questi giorni si gioca una partita fondamentale per tentare la via dell’accordo con Israele e dare una svolta storica al processo di pace.
Il sovrano della più importante monarchia del Golfo principale alleato regionale degli Stati Uniti ha poi dato voce a gran parte dell’opinione pubblica araba, definendo «illegittima» l’occupazione dell’Iraq da parte di «forze straniere» e chiedendo ai presidenti e ai sovrani arabi di «impegnarsi perché venga tolto l’assedio politico ed economico a cui è sottoposto il popolo palestinese». Parole analoghe erano state spese poco prima dal presidente sudanese, Omar al-Bashir, rappresentante del paese dove si era svolto l’ultimo vertice arabo. Sul palco degli oratori è poi salito il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, di recente accusato di essere troppo vicino alle posizioni israeliane. Nel suo intervento ha sapientemente evitato di menzionare lo Stato ebraico, ribadendo la necessità di «metter fine all’occupazione di territori arabi» e di creare lo «Stato palestinese».
Altre parole sono state pronunciate da altri ospiti invitati al vertice, mentre la platea di leader arabi iniziava a dare segni di stanchezza: il presidente iracheno, il curdo Jalal Talabani, ancora convalescente, veniva ripreso dalle telecamere mentre in modo svogliato sceglieva alcune noccioline da un piatto vicino. Poco dopo, il siriano Bashar al-Asad, solo martedì sera riconciliatosi con i vertici sauditi dopo le tensioni seguite alla guerra in Libano dell’estate scorsa, si allontanava dalla sala assieme ai membri della delegazione iraniana dando vita a non poche speculazioni.
In cima all’agenda della sessione a porte chiuse c’è stato il rilancio dell’«iniziativa di pace araba», proposta dalla stessa Arabia Saudita nel 2002, centrata sull’equazione: ritiro israeliano dalle terre arabe occupate nel 1967 (Golan siriano incluso), soluzione equa per la questione dei profughi palestinesi, in cambio di pace e riconoscimento dello Stato ebraico.
Da Tel Aviv avevano chiesto di modificare la proposta del 2002, in particolare per quanto riguarda la questione dei profughi, ma il segretario della Lega Araba, Amr Musa, dal pulpito di Riad ha ribadito: «Non modifichiamo i termini dell’iniziativa. Se gli israeliani vogliono la pace, vengano a sedersi con noi attorno a un tavolo per discutere i dettagli». Lo stesso ministro degli Esteri saudita, Saud al-Faysal, aveva già detto: «Quel che potevamo concedere a Israele lo abbiamo concesso. Ora tocca a loro». Ma i termini della risoluzione approvata ieri all’unanimità, «ribadiscono l’appello a Israele e a tutti gli israeliani ad accettare l’iniziativa di pace araba e a cogliere l’opportunità per far ripartire un processo negoziale serio e diretto in tutti i settori». I due leader palestinesi presenti al vertice, il presidente dell’Anp, Mahmud Abbas (Abu Mazen), e il premier in quota Hamas, Ismail Haniyye, hanno chiesto ai loro «fratelli arabi» un «chiaro sostegno politico ed economico». Parole vaghe anche per quanto riguarda l’Iraq e le due crisi africane, mentre la divisione libanese, ben rappresentata a Riad da due contrapposte delegazioni di Beirut (una guidata dal presidente filosiriano Emile Lahoud, l’altra capeggiata dal premier filoccidentale Fuad Siniora), sembra essere il nodo più difficile da risolvere e, forse, anche da affrontare.


Il Corriere della Sera 30-3-2007 Cdl e centristi condannati alla coabitazione. Dietro gli attacchi a Casini il timore di perdere alle amministrative Massimo Franco

 

                Si scrive «separazione», ma si legge «coabitazione»; conflittuale, guardinga, e giocata sul tentativo di delegittimare l'alleato. Ma l'opposizione appare condannata a litigare furiosamente, senza però dividersi alle elezioni. Quando Silvio Berlusconi accusa Pier Ferdinando Casini di voler fare il Bettino Craxi del Duemila, l'«ago della bilancia», proietta un'ombra passatista sull'Udc. E quando spiega che «il grande centro c'è già, è FI», ha qualche ragione: nel sistema bipolare, il partito del Cavaliere è un perno che riduce fin quasi ad azzerarli i margini per qualunque manovra centrista.
Ma l'azzardo di Casini è di scommettere sullo sgretolamento dei due schieramenti attuali; e di arrivare ad un altro governo e ad un'altra legge elettorale, che renda possibile di qui a due anni quanto oggi appare velleitario. Su questo sfondo, la metafora di Fini di un centrodestra composto da FI, An e Lega che corre avanti come una lepre, e costringe l'Udc a inseguire, rischia di essere fuorviante. Fotografa la frustrazione della Cdl, e l'adesione ad uno schema monolitico, che mal sopporta ambiguità, scarti e furbizie. Ma dà troppo per scontato che Casini sia la causa e non il risultato della crisi berlusconiana.
Altrimenti, a risolvere i problemi basterebbe «fare a meno dell'Udc», come suggerisce la «pancia» dell'opposizione; lasciarla andare «per la sua strada», nella prosa liquidatoria di Umberto Bossi. Ma l'idea di una Cdl «al 52 per cento anche senza i centristi», come assicura il Cavaliere, per paradosso contraddice l'imperativo del bipolarismo: «ricostruire l'alleanza» per vincere, avverte lucidamente Roberto Formigoni. Il governatore della Lombardia dà voce al partito degli amministratori, preoccupati per le amministrative di maggio.
Il segnale è accolto a metà. Ciò che resta della Cdl è incline ad attaccare l'Udc. E, in sintonia con gli umori del cuore duro dell'elettorato, martella sull'inaffidabilità di Casini in nome di una chiarezza che sarebbe stata inquinata dal voto sull'Afghanistan. Il tentativo è di far passare l'idea che il governo di Romano Prodi si sia salvato al Senato grazie all'Udc: sebbene non sia esattamente così. Ma certo non dà smalto all'ex premier l'ammissione di non aver votato la missione perché «sapevamo che comunque sarebbe stata approvata».
È la conferma di una scelta dettata da calcoli di politica interna. Può darsi che il dettaglio sia poco avvertito dall'opinione pubblica; ma gli avversari non mancano di segnalarlo. A rendere insidiosa la «separazione» fra Cdl e Udc c'è anche il voto del 1996, quando la Lega si presentò da sola e l'Ulivo vinse. Oltre tutto, le strategie del trio FI-An-lumbard non sempre combaciano. Gli strali di Bossi contro Fini sulla riforma e il referendum elettorali sono indizi di tensioni interne che esistono e continueranno: con o senza l'Udc.


Il Riformista 30-3-2007 Non esistono convivenze buone e convivenze cattive di Claudia Mancina


Che fanno i Ds sulla famiglia? Si può insieme sostenere i Dico e aderire al Family day? Il dilemma è reale. Si capisce che una manifestazione del genere, che si preannuncia molto partecipata, crei qualche malessere ai dirigenti di un partito che, giustamente, ha sempre rivendicato di essere anche un partito di cattolici. E si capisce che non ci si voglia identificare con una posizione radicale o passare per nemici della famiglia. Ma qual è la concezione della famiglia nella sinistra riformista? Qualche giorno fa sulla Stampa Lucia Annunziata ha sostenuto che «il movimento operaio e i suoi dirigenti hanno sempre abbracciato (fino al moralismo) un sistema di vita personale e familiare di massima austerità, indicando in questa scelta una intera scala di valori che si opponeva orgogliosamente alla “libertà” con cui il mondo borghese viveva i suoi legami familiari». Le cose in verità stanno un po’ diversamente. L’austerità familiare è stata abbracciata dai dirigenti comunisti solo dopo la guerra, come parte della rilegittimazione popolare del partito. Nella tradizione comunista la famiglia era una sovrastruttura, destinata ad essere superata nella sua forma giuridica: vedere il convegno dell’Istituto Gramsci ancora nel 1964. Proprio per questo le questioni attinenti i diritti civili e la stessa liberazione della donna erano ritenute secondarie rispetto alla questione sociale. O vogliamo pensare che la tepidezza del Pci nei confronti del divorzio e in genere delle istanze femministe fosse dovuta al suo attaccamento alla famiglia? Sappiamo bene che era dovuta a una politica di prudenza nei confronti della Chiesa e delle masse cattoliche, oltre che alla generale indifferenza ai temi civili.
Questa svalutazione della libertà individuale - in primo luogo delle donne - è durata sino alla fine del Pci. Soltanto l’implosione di quel partito negli anni Ottanta ha consentito di superarla. E soltanto la fondazione del Pds ha consentito che si potesse parlare, non solo di diritti individuali, ma anche di famiglia e di politiche familiari. L’apertura alla libertà è andata di pari passo con l’apertura alla famiglia, quando è venuto meno il dogma della questione sociale. Perciò ha ragione Chiara Saraceno, che invita a correggere «la contrapposizione tra diritti individuali e difesa della famiglia». Questa contrapposizione è tipica di una concezione conservatrice della famiglia; mentre fuori di essa c’è tutto lo spazio per una concezione democratica, liberale, e anche realistica. Perché la famiglia è un istituto importantissimo della società, e oggi siamo tutti d’accordo su questo: oggi, non ieri. Vorrei ricordare le difficoltà che si incontrarono per inserire nel programma del Pds un capitolo sulle politiche per le famiglie. Difficoltà che venivano da destra e da sinistra, da vecchi comunisti e da nuove femministe.
Ma una concezione realistica della famiglia comporta prendere atto che oggi nella nostra società ci sono diversi tipi di convivenze che si propongono di essere famiglie e ne svolgono la funzione, senza nulla togliere alla famiglia tutelata dalla costituzione. Dunque non è l’importanza della famiglia che divide una concezione riformista e liberale da quella che in questi mesi una parte del mondo cattolico sta fortemente sostenendo. La linea di divisione è un’altra: se si pretende che una sola di quelle diverse forme di convivenza sia buona e giusta, o se si pensa che anche le altre abbiano una funzione positiva e vadano valorizzate. In modi diversi e con strumenti diversi. È ciò che stanno facendo tutti i paesi europei, spesso con risultati ottimi, come in Francia, dove abbiamo insieme i Pacs, le politiche per la famiglia, l’aumento dei matrimoni e della natalità. Perciò sarà bene non andare al Family day: perché, tra una visione radicale e una visione conservatrice, ambedue irrealistiche, i riformisti dovrebbero tenere la loro posizione, senza temere di essere travolti.


La Repubblica 30-3-2007 "Io prete tra coppie di fatto e omosessuali Porte aperte a tutti, no alle divisioni" Don Adelino Bortoluzzi: invece il Family day crea divisioni DAL NOSTRO INVIATO JENNER MELETTI

 

Qui una rete di educatori e gente che ascolta e aiuta

 

A Treviso una parrocchia con una strada piena di persone separate. "Soffrono già, perché ignorarle?"

TREVISO - Sul muro, dietro la scrivania, c'è un manifesto del 1948, firmato Democrazia cristiana. Un sacerdote sullo sfondo annuncia: "Meglio un prete oggi che un boia domani". In primo piano, un rosso bolscevico accanto a una forca. Il messaggio è chiaro: se non obbedisci ai preti, sarai preda dei comunisti. Don Adelino Bortoluzzi, parroco di Olmi-San Floriano, si mette a ridere. "E' un manifesto originale, me l'hanno regalato, forse per ricordarmi un passato non tanto lontano. E ricordare, anche in questi giorni, fa solo bene". Non è facile trovare sacerdoti che abbiano voglia di parlare del mega raduno annunciato a Roma. C'è chi dice che "la sola protesta permessa è il silenzio", c'è chi sostiene che "come sempre i parroci sono tagliati fuori da ogni decisione". "Vadano a Roma, quelli che credono che per salvare la famiglia basti uno slogan. Io non organizzerò certo dei pullman. Resterò qui, con le famiglie vere, che ci parlano di figli da crescere e da educare, e non di Pacs o Dico. Ma protestare non conta nulla. La gerarchia della Chiesa non ha certo smesso di essere una gerarchia".

Don Bortoluzzi (per tutti Adelino e basta) accetta di parlare, ma solo della sua parrocchia. "Io posso solo spiegare cosa succede qui, in questa periferia di Treviso, che 15 anni fa, quando sono arrivato, era solo un dormitorio costruito attorno a una strada. Posso raccontare cosa ho cercato di fare in questa terra degli schei e del consumismo, dove i figli venivano mandati a lavorare a 14 anni e la scuola era giudicata solo una perdita di tempo. Parlo delle persone che abitano qui, persone vere, una diversa dall'altra, che alla parrocchia chiedono di essere luogo di accoglienza. L'incontro di Roma? Rischia di creare solo tensione e divisione. Nella mia chiesa entrano coppie di fatto, separati, omosessuali che non possono ricevere la Comunione ma che sono in comunione con gli altri fedeli. La chiesa è l'unico posto dove queste persone possono entrare senza che nessuno chieda loro un pass. Si sentono accolti da qualcuno più grande di tutti noi, dalle braccia della misericordia di un Dio che vuole bene a tutti".
C'è una strana strada, nella parrocchia, che qualcuno chiama "la via delle coppie di fatto". "Hanno costruito dei monolocali che sono stati affittati o comprati da uomini e donne che si sono separati ed hanno lasciato la casa in centro al coniuge e ai figli. Alcuni hanno nuove compagne. Come prete, posso ignorare queste persone? Il matrimonio è formato da coppie di diritto e da coppie di fatto, ma è anche dono e mistero, ed io lavoro per il dono e il mistero. Ci sono anche persone che si sentono sconfitte dalla vita. Non è bello separarsi, non è bello vivere in conflitto con la stessa persona con la quale hai fatto dei figli. Io cerco di trovare quello stile che Gesù aveva con le persone sofferenti. Chi sta già pagando un alto prezzo, deve trovare nella chiesa bontà e misericordia".
Anche qui i matrimoni in chiesa sono merce rara. L'anno scorso solo 4, contro 30 battesimi e 16 funerali. "Qualcuno si è sposato in altre parrocchie, ma la crisi c'è. La mia preoccupazione di parroco è comunque quella di fare sapere a chi si sposa che il matrimonio è una vocazione, da vivere con quella pienezza che è frutto di libertà di stare assieme ma anche grazia dello spirito. Dobbiamo poi ripensare anche alla "penitenza". Io posso assolvere un aborto o un assassinio, non una separazione. Su questo dramma aspetto un nuovo magistero dalla Chiesa. Se non avremo il coraggio di affrontare questi temi, per tanti la liturgia e il Vangelo saranno ridotti a norme e riti, facendo perdere la forza che hanno per aiutare l'uomo a vivere bene".
Non è facile trovare preti come don Adelino. In quindici anni ha costruito il centro sociale per gli anziani, con campi bocce al coperto, una grande palestra, un centro incontri per le famiglie... "Non ho il male della pietra. Ho cercato di trasformare un dormitorio in un paese. I soldi? Per raccoglierli, organizziamo anche la sagra del toro allo spiedo. Ci sono famiglie che si tassano, e poi ci sono i debiti. Ma adesso Olmi non è più solo una strada fra i dormitori. Sono diventato prete nel 1974, in tempi in cui i referendum sull'aborto e sul divorzio hanno segnato il crollo della cristianità. Ero cappellano vicino a Mestre e in quegli anni di tensioni fortissime vissute dagli operai di Marghera la parrocchia faceva campagna elettorale, per la Dc, ed era il centro di potere più grande del paese. Il parroco allora faceva e disfaceva la giunta comunale. Adesso noi preti, su questa questione, per fortuna non contiamo più nulla. Chi crede che possano tornare i tempi del manifesto con il prete e il comunista, si illude. Con altri sacerdoti ho imparato che la parrocchia deve essere un centro di spiritualità, non di potere. Arrivato qui, potevo vivere come un "manager di azienda di servizi religiosi". Battesimi e prediche, benedizioni e funerali. Faccio tutto questo, ma ho scelto anche un'altra strada. Ho studiato, ho chiamato qui degli specialisti. Ci sono soprattutto psicoterapeuti. E così a Olmi non c'è un "prete educatore" ma una vera comunità educante".
Cento ragazzi e ragazze, in questo pezzetto di nord est così refrattario agli atenei, si sono già laureati. "Seguiamo i ragazzi delle superiori, per completare un discorso culturale che la scuola non riesce a dare. Gli universitari fanno comunità: organizziamo appartamenti a Milano, Bologna, Padova. Dicono che "Adelino porta via i ragazzi dalle famiglie". E' vero. Io dico che bisogna studiare davvero e trovare un lavoro, fare un mutuo per uscire di casa subito dopo la laurea, farsi una famiglia. Anche in questo campo voglio essere un manager che riunisce persone competenti. Ragazzi in crisi trovano qui in parrocchia una risposta e soprattutto un aiuto a individuare la strada giusta. E così abbiamo gli anziani che gestiscono il bar portando orgogliosi il grembiule con scritto "Noi di Olmi" ma anche psicologi, psicoterapisti, analisti con i quali abbiamo costruito una rete di sostegno che serve tutta la comunità. Una rete, questa, che ci ha aiutato ad esempio ad organizzare famiglie che hanno deciso di andare ad abitare tutte nello stesso condominio, per una solidarietà reciproca. Ma è una rete che, se necessario, consiglia anche la separazione di una coppia, se questa appare come la soluzione più opportuna. Può sembrare strano che certi consigli arrivino da una parrocchia, ma la crisi arriva anche nelle famiglie sposate in chiesa. Non puoi fare finta di nulla".
A Olmi (1.200 dei 3.500 abitanti partecipano alle messe della domenica, 25 mamme insegnano il catechismo e 180 volontari organizzano le attività della parrocchia) l'altro giorno sono stati battezzati quattro bambini. "C'erano due neonati, il figlio di un ricco industriale e il figlio di un operaio. E c'erano due bambini più grandi, figli di una coppia di fatto. Sono amici di bambini battezzati, anche loro hanno voluto il sacramento. I loro genitori erano presenti ed hanno chiesto alla nostra comunità di farsi carico dell'educazione cristiana dei loro figli. Sono cose che succedono, se una parrocchia tiene davvero le porte aperte a tutti".
(2. continua)
(30 marzo 2007)

 


La Stampa 30-3-2007 Amato alla Cei: "Non siamo l'Islam". Appello di intellettuali, da Eco alla Hack: non devolvete l'otto per mille alla Chiesa MARCO TOSATTI

 

CITTÀ DEL VATICANO
Il giorno dopo la «Nota» dei vescovi sui Dico la polemica si fa rovente. Sono falangi le dichiarazioni e le prese di posizione; e fra queste spiccano soprattutto le parole del ministro dell’Interno, Giuliano Amato, quelle del segretario dei Ds, Piero Fassino, e del presidente della Commissione famiglia della Cei, Giuseppe Anfossi, vescovo di Aosta, mentre la rivista MicroMega lancia due appelli paralleli contro quella che definisce la «”crociata” clericale» e per opporsi alla «subalternità e passività dello Stato nelle sue istituzioni parlamentari e governative».
Il primo è firmato da atei, agnostici e comunque non credenti (Umberto Eco, Margherita Hack, Vasco Rossi, Giorgio Bocca, Simone Cristicchi, Andrea Camilleri, Dario Fo e Franca Rame, Ferzan Ozpetek e Mario Monicelli); il secondo da personalità cattoliche, fra cui Giovanni Franzoni e Enzo Mazzi. Entrambi gli appelli chiedono di devolvere l’otto per mille alla Chiesa valdese.
Amato, senza citare i «Dico», si è espresso contro chi cerca di «imporre la propria visione unilaterale, perché ciò viene fatto nelle società che critichiamo in quanto islamizzate». Ha stigmatizzato «gli estremismi che non permettono di individuare un bene comune» e «l’unilateralismo etico e culturale». Ha poi detto: «Io sono tra coloro che richiamano spesso elementi delle gerarchie ecclesiastiche al ricordo di Maritain e quindi al principio che il bene comune di una società lo si realizza se si tiene conto delle diverse visioni del bene comune di quella società».
Più diretto Fassino sulla «Nota»: «È un documento che contiene molte cose interessanti, ma su questo punto va al di là del giusto», ha detto, aggiungendo che le politiche per la famiglia debbano andare di pari passo con i Dico: «È giusto che chi convive abbia dei diritti. Anche i gay? Certo, non c’è alcun dubbio». Dai microfoni di Radio vaticana parla invece Giuseppe Anfossi, che interpreta la «Nota» come «un grosso appello alla coerenza dei cristiani consapevoli della fede». Sostiene che i vescovi vogliono «suscitare nella coscienza delle persone, comprese coloro che sono impegnate in politica, un lavoro per illuminare tale coscienza, perché si intende che noi non vogliamo fare pressioni indebite su di loro». I Dico possono essere votati da «un legislatore che è un buon cristiano»? Il presule risponde che «è una risposta che potremo dire anche quasi tecnica: il legislatore che si sente parte della Chiesa non può».
Monsignor Anfossi sottolinea la volontà di parlare con «stile evangelico», ma rivendica alla «Nota» un carattere peculiare: «Questa è anche indirettamente una difesa dei semplici: si tratta di difenderli da pressioni ideologiche, da lobby vere e proprie, a cominciare da quella che è legata al mondo dell’omosessualità. Al limite, noi rispondiamo che il nostro modo di intervenire difende una parte di popolazione da ingerenze che sono altrettanto violente e non democratiche». Sul problema si è espresso anche il Presidente della Camera, Bertinotti: «La religione è un fenomeno pubblico, non più un fatto privato che propone la ricerca di un interrogativo sul senso della nostra esistenza. La cosa importante è che questa interrogazione non diventi un modo per mettere in discussione la laicità dello Stato».


Europa 30-3-2007  A sessant’anni dal voto sull’articolo 7 la sinistra continua nell’errore di furberia  FEDERICO ORLANDO RISPONDE

Cara Europa, adesso che, per far folla e apparire al disopra delle parti politiche, le gerarchie hanno scelto un’ex femminista pentita, Eugenia Roccella, e un grande elettore di centrosinistra, Savino Pezzotta, come portavoce del family day, vedremo anche la sinistra a piazza San Giovanni, come preannuncia la Annunziata? E magari la Serafini, moglie del segretario dei Ds? Dico o non Dico – m’interessano poco –, nonostante le legnate papali di Ruini e ora di Bagnasco, i miei compagni restano sempre quelli del 1947, s’illudono di farsi accettare mettendo il concordato fascista nella Costituzione. Ora vanno a piazza San Giovanni?
COMPAGNOX, ROMA(AVENTINO)

Caro compagno x, spero che sull’Aventino lei ci viva per l’aria buona e non per la simbologia politica di quel colle: rifugio (sterile) di una classe politica che per protestare contro abusi e prevaricazioni, rinuncia a combattere i nemici della libertà e dei diritti del cittadino.
Premetto che anch’io sono poco interessato ai Dico, perché – come ho scritto un’ altra volta – sono tremila anni che il diritto romano ha definito la famiglia coniunctio maris et foeminae et quasi fundamentum rei publicae. Non mi muovo da questa scultorea definizione, anche se le famiglie, come so per esperienza personale, continuano a sfasciarsi a velocità crescente. Ma allo sfascio si può riparare con politiche per la famiglia e con riconoscimenti di diritto privato a singoli e a coppie di fatto eterosessuali (di cui la Chiesa teme la concorrenza al “modello” familiare). Ciò premesso, e ricordando che le famiglie uomo-donna-figli non sono né di destra né di sinistra, né cattoliche né atee, né bianche né nere, ma soltanto famiglie, al raduno di San Giovanni io non ci vado proprio per la ragione appena detta, e cioè che nessuna agenzia o associazione, può mettere sulla famiglia la targa “cosa nostra”. Tuttavia, non mi meravigliano i richiami che lei fa alle sue compagne Serafini, Annunziata, e aggiungiamo il ministro (valdese) della solidarietà Ferrero, prima di tutto perché non entro mai nelle scelte di coscienza degli altri, secondo perché se dovessi dare un giudizio politico di quelle partecipazioni, farei mia la replica di Chiara Saraceno a Lucia Annunziata: «Non si può dialogare con chi delegittima a priori ogni posizione diversa e spesso manca di rispetto per le vite e le scelte altrui, specie quando non sono ipocrite ma alla luce del sole. Attaccarsi al carro del family day non solo non porterà alcun beneficio al centrosinistra ma rafforzerà la contrapposizione tra diritti individuali e difesa della famiglia che invece occorrerebbe correggere».
Purtroppo per la laicità dello Stato e la libertà e sovranità delle istituzioni repubblicane, questo vizietto della sinistra comunista è antico come la nascita della repubblica. La quale, estratta col forcipe da un popolo riluttante a rinunciare alle sue istituzioni risorgimentali, fu «curata» da Togliatti con l’inserimento dell’art. 7 nella Costituzione.
Sperava così di avere un appoggio clericale alla traballante istituzione nata il 2 giugno 1946. Lo ricorda senza infingimenti su L’unità del 27 marzo Michele Prospero, per i sessant’anni da quel voto sciagurato: «La lezione del referendum tormentava la sua coscienza di capo politico.
Non ci fu una sola regione del Sud in cui la repubblica avesse vinto». E siccome Togliatti sapeva quanto l’opposizione della chiesa avesse minato la monarchia negli ottant’anni del regno, sperò di evitare la stessa sorte alla repubblica nata altrettanto avventurosamente; di salvare con essa anche il Pci, che invece fu relegato nel ghetto per mezzo secolo. Dicono che la storia è maestra di vita, ma i maestri sono in crisi e gli alunni distratti.


Il Centro 30-3-2007 Di Davide Pace * Partito democratico, la passione è finita

 

* Consigliere Ds al Comune di Pescara.

Scivoliamo stancamente verso il congresso Ds, con esito già scritto. Enrico Berlinguer diceva: "Quando i partiti non fanno più politica, degenerano in macchine di potere e di clientela, ignorano la vita e i problemi della società e della gente. Idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Per noi comunisti la passione non è finita". Queste parole sono per me estremamente significative e costituiscono il "vangelo" del mio modo di fare politica. Nel dibattito sul nuovo partito democratico non riscontro riflessioni approfondite né proposte di soluzione circa la degenerazione della politica, né tanto meno trovo l'affermazione della necessità - irrinunciabile - di ripartire da un codice etico. Si parla solo di "rigore etico e civile" e di "sobrietà dei costi della politica". Poco, molto poco, solo una piccolissima sollecitazione, non sufficiente per sradicare le cattive abitudini già denunciate dal compagno Berlinguer. Sono invece necessarie regole chiare e precise sia per i comportamenti da tenere nelle istituzioni che per le linee da seguire negli enti di gestione. Se si fossero seguite le parole di Berlinguer non avremmo le situazioni che sono sotto gli occhi di tutti (vedi Montesilvano e Fira). Invece partiamo con la teorizzazione di qualcosa di improponibile, "coniando" lo slogan del partito plurale. Partito "plurale" significa forse rappresentare più parti contemporaneamente? La nostra base resta quella proletaria oppure diventa una macedonia? La tutela dei diritti resta un nostro obiettivo insostituibile? La lotta per la pace, resta anch'essa di importanza fondamentale? La laicità dello Stato e i diritti civili sono ancora nostri temi fondamentali? La collocazione europea sarà nella famiglia socialista? Ci impegneremo per risolvere: i costi della politica, gli incarichi negli enti di gestione, l'efficienza della pubblica amministrazione? Siamo ancora per il socialismo e per il superamento della logica del mercato, oppure ci stiamo ripiegando in una corsa al centro, dove la difesa dei più deboli scompare dai programmi? Sono domande retoriche: le risposte le conosciamo, ma molti non si rassegnano. Anziché aprire un dibattito sui temi vitali di cui sopra, ci apprestiamo al congresso per sancire la nascita del Partito democratico. Il tempo fugge via ed è necessità impellente per la sinistra impegnarsi a coagulare tutte le varie forze della sinistra, affronti il tema dei diritti, del lavoro non precario e dei pensionati al minimo, della giustizia e della pace in ogni parte del mondo. Urge mettere al centro lo spirito di "servizio" teorizzando e applicando il volontariato politico come missione. Tutto è andato oltre il limite. La sinistra europea può assolvere al compito che ci attende. La democrazia deve poggiare sui valori etici. Penso che valga la pena impegnarsi a fondo per realizzarlo; anche per tutto ciò non sono interessati a costruire aggregazioni plurali, senz'anima, senza cuore, con la conseguenza di un partito leggerissimo, dal punto di vista della mediazione politica, dove la parte soccombente è nota già in partenza. Deluso e amareggiato, ritengo conclusa la mia esperienza all'interno dei Ds, non solo per il progetto del partito democratico, e il congresso di base sarà l'ultimo impegno che assolverò. E voglio tuttavia continuare a sperare.


Il Riformista 30-3-2007 L'OPINIONE DI PETRUCCIOLI  Finita la stagione dei reality?

Non c’era momento più adatto per dare il segnale di una ristrutturazione profonda dell’immaginario collettivo italiano, bombardato da foto e notizie di grandi fratelli - e tanti piccoli porcellini al seguito - che ritraggono - plausibilmente a fini di lucro ed estorsione - politici e cittadini nella loro vita privata. Claudio Petruccioli ha anticipato ieri la decisione di proporre al Cda una totale messa in discussione della presenza dei reality nel palinsesto Rai, perché questi format rappresentano una «stagione finita», ha detto. Forse non è vero, la stagione del reality non è finita, ma certamente bisogna valutare che cosa ha prodotto per la Rai, che resta un servizio pubblico, il cui compito più importante è informare, formare e divertire. Non propinare al pubblico italiano, sulla Rai, luoghi di recupero per ex tele-star, come l’Isola dei Famosi e simili. Il centro-destra, da Paolo Bonaiuti a Mauro Landolfi, con qualche eccezione metodologica - Urbani e Maugeri hanno criticato il fatto che Petruccioli abbia anticipato la comunicazione - ha approvato la decisione del presidente Rai. Meno chiaro il fronte del centro-sinistra, con i suoi consiglieri Sandro Curzi e Rizzo Nervo che da Repubblica e Liberazione vengono dati per favorevoli alla proposta di Petruccioli, con virgolettati poco chiari, mentre sul Corriere risultano piuttosto critici. Per Curzi sarebbe «sbagliato bocciare i reality come genere, ideologicamente. Si possono fare in maniera diversa». Per Nino Rizzo Nervo, invece, «il reality è ormai un genere delle televisione moderna, li fa anche la Bbc». E poi, buttando alle ortiche McLuhan, aggiunge: «Petruccioli confonde il contenitore con il contenuto». Forse Curzi e soprattutto Rizzo Nervo dovrebbero non confondere il contenitore della Rai con gli altri contenitori. Privati, per esempio.


INDICE 29-3-2007

 

++ La Stampa 29.3.2007 "In Italia salari tra i più bassi dell'Ue". Lavoro, i dati dell'Eurispes: «Potere d'acquisto ai minimi. L'inflazione ha prosciugato le busta paga»

++ Il Sole 24 Ore 29-3-2007 Nota della Santa Sede Israele rinvia l'incontro Gelo con il Vaticano

+ Il Sole 24 Ore 29-3-2007  Italia nelle retrovie d'Europa di Adriana Cerretelli

+ Il Sole 24 Ore 29-3-2007 Stop all'aliquota unica sulle rendite. Si cercano i fondi per sgravi Ici e detrazione affitti. di Isabella Bufacchi

+ La Repubblica 29-3-2007 Telefonini, esplode la rabbia gli utenti "Tariffe che salgono, servizi non richiesti" di ALESSANDRO LONGO

La Repubblica 29-3-2007 Telecom, spunta il nome di Provenzano Dossier illegali e coperture al boss, i pm ascoltano Cipriani e Mancini 1

Il Corriere delle Sera 29-3-2007 Un asse trasversale contro le elezioni. Casini scommette sullo sgretolamento dei poli, ma per ora ci guadagna l'Unione. Massimo Franco  2

Il Corriere della Sera 29-3-2007. La politica estera e il futuro del governo. Opposizione spiazzata. di Angelo Panebianco

La Stampa 29-3-2007 La Cei: no ai Dico  ma nessuna "scomunica". Resta l'invito ai cattolici credenti: votate contro. Bertinotti: lo stato difenda la propria laicità. Marco Tosatti

Il Riformista 29-3-2007 Una conferma di chiusure e ingerenze intollerabili 3

L’Unità 29-3-2007 I partiti e l'articolo 49 una storia italiana Elio Veltri Ugo  3

Il Centro  29-3-2007 La storia della Ue raccontata agli studenti. Pescara: Consiglio provinciale straordinario aperto a sindaci, scuole e società Di Lalla D'Ignazio  5

Finanza & Mercati 29-3-2007 Preoccupati per i super poteri a Banca d'Italia e Consob gli istituti criticano Padoa-Schioppa "Troppo vago il testo del decreto legislativo" Di Francesco De Dominicis  5

Il Giornale di Brescia 29-3-2007 A Brescia le banche nel mirino I furti sono stati 31mila di cui 3mila in appartamento.

 

 


++ La Stampa 29.3.2007 "In Italia salari tra i più bassi dell'Ue". Lavoro, i dati dell'Eurispes: «Potere d'acquisto ai minimi. L'inflazione ha prosciugato le busta paga»

 

ROMA
I salari in Italia sono tra i più bassi in Europa, e in termini di potere d’acquisto addirittura inferiori a quelli della Grecia e superiori, in Europa, solo a quelli del Portogallo. È quanto emerge da una ricerca dell’Eurispes intitolata «Povero lavoratore: l’inflazione ha prosciugato i salari» che prende in considerazione il periodo 2000-2005.

I salari lordi in effetti, ossia quelli percepiti dal lavoratore dipendente ed inclusivi dei contributi sociali a suo carico nonchè dell’imposta sul reddito, hanno mostrato nel nostro Paese una dinamica poco pronunciata, come viene evidenziato dal confronto con gli altri Paesi europei.

Laddove la crescita media del salario comunitario è stata del 18%, in Italia i lavoratori dell’industria e dei servizi (con esclusione della Pubblica amministrazione) hanno visto la propria busta paga crescere solo del 13,7%. L’inflazione ha giocato un ruolo non trascurabile nel deprimere i salari dei nostri lavoratori in termini di potere d’acquisto: essa infatti negli ultimi quattro anni, e cioè dal 2002, ha avuto un andamento decisamente superiore alla crescita dei salari lordi calcolati in euro riducendo ulteriormente il valore reale dei salari netti in termini di potere d’acquisto.

L’effetto congiunto dell’erosione del potere d’acquisto causata dall’inflazione, dell’elevato peso del cuneo fiscale e della contenuta dinamica salariale spiega perchè, pur essendo il costo del lavoro nel nostro Paese ben più alto che in Spagna e Grecia ed è di poco inferiore a quello britannico, il reddito che resta al lavoratore (salario netto a parità di potere d’acquisto) sia sceso nel 2006 al di sotto di quello degli spagnoli e dei greci e a poco più della metà (57%) di quello del lavoratore del Regno Unito.

Ma da un punto di vista della competitività, la modesta dinamica salariale, se confrontata con quella dei nostri partner europei, ci assicura un discreto vantaggio in termini di costi. In Italia il costo medio in euro per ora di lavoro, calcolato sui dati forniti dallo Yearbook dell’Eurostat, è inferiore a quello di tutti i paesi europei ad eccezione della Spagna, della Grecia e del Portogallo, che è anche il paese dove i costi del lavoro sono minimi (9,5 euro all’ora) mentre Danimarca e Svezia fanno registrare i valori massimi (30,7 e 30,4 euro per ora rispettivamente).

Inoltre, osserva l’Eurispes, la posizione del nostro lavoratore rispetto ai suoi omologhi d’oltralpe è peggiorata nel corso degli anni a causa degli oneri. Difatti mentre il costo del lavoro è da noi inferiore del 30,6% (-9,4 euro) rispetto a quello della Danimarca (dove è il più caro), se passiamo a confrontare il salario lordo, vediamo che al lavoratore dipendente italiano medio spetta solo il 52% del salario lordo del lavoratore medio danese: questo perchè i contributi sociali sono da noi più gravosi che in Danimarca.

Il cuneo fiscale appare, se confrontato con quello degli altri paesi europei, particolarmente gravoso nel nostro Paese. Mentre, infatti, nella classifica dei diversi paesi europei, il lavoratore italiano dipendente ha un salario lordo più leggero di quello degli altri paesi (ad eccezione di Spagna, Grecia e Portogallo), il cuneo fiscale (comprensivo dei contributi, delle assicurazioni e delle imposte dirette) che si inserisce fra il costo del lavoro così come pesa sulle imprese ed il «netto» in busta del lavoratore, è fra i più gravosi, tanto più punitivo in quanto, come abbiamo visto, la base di partenza, ossia il salario lordo, è molto al di sotto della media europea e poco più della metà di quello dei tedeschi, degli inglesi e dei danesi.

Quanto al peso delle diverse politiche della famiglia sui salari l’Eurispes mette a confronto il cuneo fiscale del lavoratore single, ossia senza persone a carico, e quello del lavoratore con moglie e due figli a carico. Con due sole eccezioni (Francia e Grecia) il cuneo fiscale è più lieve, com’è giusto, nei confronti del lavoratore con carichi familiari, ma alcuni paesi (Irlanda, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo, ad esempio) si mostrano abbastanza insensibili alle necessità familiari, ed il cuneo fiscale si riduce solo di poco per favorire la famiglia.

Germania e Olanda invece attuano decurtazioni del cuneo superiori al 14% del costo complessivo del lavoro e quindi nella fiscalità complessiva sul lavoro danno vita a una decisa politica «familiare». L’Italia, nell’ambito della imposizione sul lavoro, attua una moderata politica «familiare». Infatti il cuneo che si inserisce fra il costo complessivo del lavoro ed il salario netto in busta è del 9% inferiore per il lavoratore con tre persone a carico, rispetto a quello senza carichi familiari.


++ Il Sole 24 Ore 29-3-2007 Nota della Santa Sede Israele rinvia l'incontro Gelo con il Vaticano

 

Diplomazia. CITTà DEL VATICANO Nuovo stop nel negoziato tecnico sullo status dei beni cattolici in Israele e cala il gelo diplomatico tra Santa Sede e Gerusalemme. Oggi in Vaticano si sarebbe dovuta riunire la Commissione bilaterale di lavoro per discutere il contenzioso ancora aperto tra i due Stati dopo l'accordo quadro del 1993. Ma la delegazione israeliana, a sole 72 ore dall'appuntamento, ha invocato le "contingenze politiche internazionali " (visita del segretario di Stato americano Rice in Medio Oriente e vertice arabo di Riad) per non presentarsi all'appuntamento. Immediata la reazione della Santa Sede che,"pur comprendendo le ragioni, ha preso atto con rammarico della circostanza e attende di poter concordare al più presto con la parte israelianala nuova data della convocazione della plenaria". Era da cinque anni che la Commissione plenaria,ora presieduta dal sottosegretario vaticano Pietro Parolin, non si riunisce. L'incontro di oggi avrebbe dovuto portare alla firma di un "trattato globale"per la conferma delle esenzioni fiscali sui beni ecclesiastici cattolici in Terra Santa,principio acquisito dalla creazione dello Stato di Israele nel 1948,la restituzione di alcune proprietà ecclesiastiche confiscate come la Chiesa santuario di Cesarea e la definizione da parte dei tribunali di Israele e non in sede politica delle proprietà della Chiesa finite in mano israeliane. Nel '93 la Santa Sede aveva deciso di procedere alla firma dell'Accordo fondamentale con lo Stato di Israele e di allacciare con esso, pochi mesi dopo, i pieni rapporti diplomatici, affidando a successivi negoziati gli accordi sulle singole materie. "In realtà precisa uno dei membri vaticani del gruppo misto - il Governo di Gerusalemme non aveva nulla da offrire di nuovo, soprattutto sulle proprietà della Chiesa. Capita che cimiteri, chiese o terreni cattolici vengano occupati da privati israeliani. Per riaverli non possiamo rivolgerci all'autorità giudiziaria israeliana perché ci viene risposto che,in base a un vecchio decreto del protettorato britannico, tali vertenze possono essere avocate a livello politico e tutto resta quindi affidato alla discrezione del momento".


+ Il Sole 24 Ore 29-3-2007  Italia nelle retrovie d'Europa di Adriana Cerretelli


«Risultati scarsi, progressi insufficienti»: si riassume in queste quattro parole il voto impietoso che incassa l'Italia in marcia verso il traguardo di Lisbona, cioè verso le riforme strutturali destinate a darle crescita e competitività globali in Europa e fuori. Sui 27 Paesi dell'Unione a ottenere risultati così scadenti sono soltanto Portogallo e Malta.
Il giudizio apre la ricerca "L'Italia vista dall'Europa", giunta ormai alla quarta edizione, che Confindustria ha presentato ieri a Bruxelles. Nel plotone dei migliori Irlanda, Danimarca e Olanda. Tra i Grandi risultati eccellenti con progressi medi per la Gran Bretagna, mentre la Francia è nella media però con notevoli progressi insieme alla Germania i cui progressi però risultano scarsi.
Anche se per l'Italia qualche piccolo segnale di miglioramento c'è, per esempio il numero di giorni per aprire un'impresa è sceso da 23 a 13 contro i 5 della Danimarca e la disoccupazione con il 7,1% resta inferiore alla media Ue (7,9%), nel complesso la sua performance resta tutt'altro che brillante. E la schiarita congiunturale per ora non si è riverberata in positivo sul fronte strutturale. Qualche esempio: la crescita economica è in ripresa ma resta inferiore di circa un terzo alla media europea (+2% contro + 2,9 l'anno scorso). La produttività del lavoro non solo è bassa ma sempre più divergente rispetto a quella dei maggiori partners europei: +0,4% nel 2006 contro il +1,3 Ue e il +2% della Germania.
Le lacune più allarmanti comunque si riscontrano nella cosiddetta economia della conoscenza, quella che possiede le chiavi dello sviluppo futuro nel mondo globale. C'è soltanto la Spagna che fa peggio di noi in ricerca e sviluppo. In cifre assolute spendiamo 18 miliardi di dollari all'anno, contro i 40 della Francia, i 60 della Germania, gli oltre 100 di Cina e Giappone, gli oltre 300 degli Stati Uniti. Ultimi in classifica poi per numero di ricercatori: 72.000 contro quasi il quadruplo in Germania, i 930.000 della Cina e gli 1,3 milioni degli Usa.
Fanalino di coda anche per deposito di brevetti: 68 per milione di abitanti nel 2004 contro i 116 degli Stati Uniti, i 162 del Giappone, i 261 della Germania, i 132 della Francia, i 137 dell'Ue a 27. In questo caso però la media non racconta tutta la storia italiana: ci sono infatti aree di eccellenza nel paese che riescono a bruciare molti risultati altrui. Tra queste l'Emilia Romagna con Modena (202) e Reggio (166). In Veneto Vicenza con 191 e Treviso con 136. Invece Biella (27) e Belluno (47) si distinguono per ragioni opposte.
Siamo messi piuttosto male anche in fatto di istruzione e formazione permanente: nel primo caso siamo al terz'ultimo posto, seguiti da Germania e Spagna, per conseguimento di titoli di studio di scuola secondaria superiore nei giovani tra 20 e 24 anni. Dove la Francia è al primo posto. Siamo all'ultimo, se il parametro è quello dell'aggiornamento professionale permanente: in testa compare la Gran Bretagna, Germania e Francia sono in fondo alla classifica.
Il sistema Italia si conferma, sottolinea il documento, una meta poco attraente per gli investimenti diretti esteri: meno di 20 miliardi di dollari nel 2005, cioè un terzo di quelli accolti dalla Francia, per non dire dei 160 miliardi degli inglesi. Le ragioni? Siamo all'82mo posto dell'indice "Doing Business" 2006 della Banca mondiale, la Gran Bretagna sta al sesto, la Germania al 21mo, la Francia al 35mo. Per il recupero crediti per via giudiziale in Italia ci vogliono 1.210 giorni, contro i 229 dell'Inghilterra, i 331 della Francia, i 394 della Germania. Per non parlare dei prezzi dell'energia per Kwh: 15,36 euro in Italia contro gli 11,86 della Germania, i 10,39 della media Ue e i 6,91 della vicina Francia.
Sono tutti numeri che in fondo si commentano da soli.


 + Il Sole 24 Ore 29-3-2007 Stop all'aliquota unica sulle rendite. Si cercano i fondi per sgravi Ici e detrazione affitti. di Isabella Bufacchi

 

Priorità alta al pacchetto casa: sgravi importanti sull'Ici prima casa (al limite dell'abolizione) e detrazione Irpef sugli affitti, due provvedimenti inseriti nella riforma del catasto con una speciale norma transitoria per anticipare a quest'anno la misura sulla base della copertura finanziaria disponibile. Stralcio dell'aliquota unica al 20% nella riforma della tassazione sulle rendite finanziarie: invariato il regime suiredditi di capitale e redditi diversi, mantenute le due ritenute al 12,50% e al 27 per cento. Avanti tutta, infine, sull'equiparazione dei fondi comuni italiani con i fondi esteri per assicurare parità di condizioni all'industria finanziaria italiana. Sono queste le tre colonne portanti dell'accordo raggiunto ieri tra il Governo —rappresentato dal viceministro Vincenzo Visco e i due sottosegretari Mario Lettieri e Alfiero Grandi — e i capigruppo della Maggioranza in commissione Finanze alla Camera che ha all'esame il ddl delega sulla riforma delle rendite finanziarie e del catasto.
Su richiesta della Maggioranza il pacchetto abitativo per agevolare fiscalmente chi possiede la prima casa e chi è in affitto è riuscito a salire sul treno in corsa della legge delega.I dettagli saranno definiti in fase di stesura del ddl. Ieri intanto si è appreso che gli sgravi sull'Ici potrebbero essere molto rilevanti: si è già discusso di un'esenzione fino a 100 metri quadrati, che toccherebbe l'80% delle prime case. Una quasiabolizione dell'Ici. Per chi paga l'affitto sono in arrivo agevolazioni nella formula di detrazioni dall'Irpef. «Sono soddisfatto dell'intesa tra Maggioranza e Governo sulla volontà di agevolare fiscalmente la casa,perché sono statotra iprimi a spingere in questa direzione », ha commentato Lettieri.
Le misure del pacchettocasa non saranno coperte con la riforma delle rendite finanziarie perché lo stralcio dell'aliquota unica al 20% farà venir meno i 2 miliardi di euro l'anno previsti dall'Esecutivo (1,1 nel 2007): e l'equiparazione dei fondi italiani con i fondi esteri potrebbe tradursi in un costo per l'Erario. La delega, che marcerà a passo spedito per approdare in aula a Montecitorio agli inizi di maggio, conterrà una norma transitoria indicando la copertura per applicare gli sgravi su Ici prima casa e affitti a partire da quest'anno:i fondi saranno prelevati dal "tesoretto" disponibile, ma solo dopo che Maggioranza e Governo abbiano individuato le priorità, come ha puntualizzato ieri il viceministro Vincenzo Visco.
La strada dell'unificazione delle aliquote al 20% per contro si è rivelata impraticabile: da un punto di vista tecnico non si è trovato alcun meccanismo che consentisse di evitare l'aumento della ritenuta sui titoli già in circolazione e al tempo stesso di escludere la segmentazione del mercato; da un punto di vista politico nessuno se l'è sentita di ritirare in ballo l'aumento della pressione fiscale sul risparmio degli italiani in prossimità delle elezioni amministrative a fine maggio. Così l'argomento è chiuso: chiuso fino a quando non saranno messe a punto procedure che garantiscano l'aliquota al 12,50% sui titoli emessi prima della riforma, senza segmentazioni.
Lo stralcio sulle rendite finanziarie non getta il bambino con l'acqua calda: l'appello dei fondi comuni italiani tassati sul maturato, che lamentano per questo un handicap fiscale nei confronti dei fondi esteri tassati sul realizzato, è stato ascoltato. Gli investitori istituzionali italiani (i fondi di sicuro, le gestioni patrimoniali da stabilirsi) saranno equiparati a quelli stranieri, anche se sarà inevitabile introdurre un coefficiente di correzione temporale (da non chiamarsi equalizzatore) che permetterà all'Erario di recuperare il ritardo sul pagamento della ritenuta.
«Siamo andati nell'unica direzione possibile e ora ci sono tutte le condizioni per procedere velocemente»,ha detto il deputato Alberto Fluvi (Ds/Ulivo) della commissione Finanze alla Camera (si veda il Sole24 Ore del 10 marzo 2007). A fine aprile, salvo imprevisti, il nuovo testo della ddl sarà licenziato dalla commissione.


+ La Repubblica 29-3-2007 Telefonini, esplode la rabbia gli utenti "Tariffe che salgono, servizi non richiesti" di ALESSANDRO LONGO

Protestano i consumatori. Wind aumenterà un piano già sottoscritto. E costerà di più. Vodafone attiva l'Sms Vocale, senza alcuna richiesta. Poi le proteste e lo stop

Ecco come l'abolizione dei costi di ricarica decisa dal decreto Bersani rischia di diventare una vittoria di Pirro per i clienti

ROMA - Cresce la protesta verso gli operatori della telefonia mobile. L'abolizione dei costi di ricarica rischia di diventare una vittoria di Pirro per i consumatori, perché è già in agguato l'aumento dei prezzi delle tariffe telefoniche. La redazione di Repubblica.it, così come le associazioni dei consumatori e vari siti Internet, sono stati sommersi dalle proteste degli utenti che segnalano due casi: Wind dal primo giugno aumenterà una tariffa già sottoscritta dagli utenti; Vodafone nei giorni scorsi ha attivato a tappeto il servizio Sms Vocale, senza che i clienti l'avessero richiesto. L'ha poi sospeso nel coro delle proteste.
A fare rumore è soprattutto la mossa di Wind anche perché sembra destinata a scattare senza scampo. Dietro lo scudo delle norme.
I lettori di Repubblica.it segnalano di avere ricevuto un Sms da Wind con l'annuncio lapidario: "Gentile Cliente, dal 01/05 il suo piano tariffario Wind 10 diventerà Wind 12. Per info sulle nuove condizioni chiami il 158". Il problema è che la nuova tariffa è più cara: 12 centesimi di euro al minuto e uno scatto alla risposta di 16 centesimi (contro i precedenti 15 cent). Per ogni Sms, 15 centesimi (contro i 10 cent di prima).

"Non era mai capitato che un operatore mobile cambiasse una tariffa anche agli utenti che l'avevano già sottoscritta", spiega Marco Pierani, responsabile settore hi-tech per l'associazione dei consumatori Altroconsumo. "Ma è una possibilità prevista dal Codice delle Comunicazioni Elettroniche, se l'operatore dà 30 giorni di preavviso durante i quali l'utente può decidere di rifiutare il cambio e quindi di passare a un'altra tariffa o operatore".
Conferma, a Repubblica.it, Enzo Savarese, consigliere dell'Autorità Garante delle Comunicazioni (Agcom): "In un libero mercato il nostro potere è quello di assicurare la trasparenza dei prezzi, non di imporli agli operatori. Certo, se tutti gli operatori aumentassero di concerto le tariffe potrebbe scattare un'indagine dell'Antitrust. Ma non è successo". Wind, nello specifico, è infatti un caso isolato.
Ci sono anche voci contro. A dichiarare illegittima la mossa di Wind è l'associazione Aduc, secondo cui la modifica è ottenuta grazie a clausole di contratto vessatorie. Ci sono poi utenti secondo cui Wind potrebbe essere accusata di pubblicità ingannevole, "perché ha reclamizzato Wind 10 con frasi tipo "Parli e scrivi a 10 centesimi, per sempre"", dice Alberto dal sito di Aduc.it.
Wind dice a Repubblica.it che "non ci saranno altri ritocchi di tariffa"; e che "questa mossa è stata necessaria per attutire almeno in parte la perdita dei costi di ricarica. Non potevamo fare altrimenti, considerato che abbiamo appena raggiunto l'utile e che le nostre tariffe erano e sono le più economiche sul mercato. Anche se purtroppo ora lo saranno un po' di meno".
"Piuttosto - ribatte Pierani - bisognerebbe far notare che la possibilità di cambiare operatore per opporsi alle modifiche volute da Wind è una libertà azzoppata da vari problemi. La portabilità del numero può prendere fino a sei mesi; inoltre non è ancora chiaro se e come gli operatori si adegueranno alle novità prescritte dal decreto Bersani, secondo cui il credito della Sim prepagata deve sopravvivere al cambio operatore".
Ad oggi, solo Vodafone ha detto pubblicamente che si adeguerà a questa norma; in un modo- tra l'altro- che ha sollevato ulteriori polemiche: dice che sottrarrà otto euro dalla Sim degli utenti che abbandonano Vodafone, per le spese di gestione del processo.
I clienti Vodafone sono già sul chi va là a causa della querelle dell'Sms vocale. Funzionava solo tra utenti Vodafone. Quando si telefonava a un numero non raggiungibile, scattava la possibilità di lasciargli un messaggio, che veniva spedito al chiamato in forma di messaggio vocale. Gratis per chi lo riceveva; a pagamento (29 cent) per chi lo mancava. Subito si è messa a girare un'e-mail, a mo' di catena di Sant'Antonio, che metteva in guardia contro questo nuovo servizio. L'e-mail sosteneva che i 29 centesimi venivano addebitati immediatamente al chiamante. Vodafone ha replicato con una nota, in cui annunciava di averlo sospeso e specificava che quell'e-mail diceva cose errate. "Se il cliente non parla, o parla meno di 2 secondi, il messaggio non parte e il cliente non paga", si legge nella nota. Un errore che senza dubbio Vodafone ha fatto è stato di non aver comunicato subito in modo completo agli utenti come funzionava il servizio. È così che è nato il sospetto tra i clienti; secondo Paolo Attivissimo, massimo esperto di bufale su internet, l'e-mail contro Vodafone è frutto della paranoia di alcuni utenti, massima in questa fase, all'indomani della sparizione dei costi di ricarica.
La paura degli utenti è in realtà giustificata dalle circostanze. Gli operatori hanno già protestato contro le perdite che il decreto Bersani porterà loro ed è quindi prevedibile che cercheranno qualche modo per attutire i danni.
Il punto è che il decreto Bersani arriva come una mannaia che non distingue tra operatori piccoli o grandi. Un distinguo che forse l'Autorità Garante delle Comunicazioni avrebbe ritenuto opportuno fare, in una delibera che stava preparando sui costi di ricarica. I piccoli operatori soffrono di più per la perdita dei costi di ricarica. Avendo una minore quota di mercato, è loro interesse, più che dei grandi, premere su tariffe aggressive, per farsi spazio. Se i piccoli adesso sono incapaci di abbassare le tariffe e anzi sono costrette ad aumentarle, non c'è rischio che l'abolizione dei costi di ricarica abbia nel lungo periodo un effetto svantaggioso per i consumatori? È il pericolo segnalato nei giorni scorsi da Elserino Piol, uno dei padri delle telecomunicazioni italiane. Il paradosso è che la battaglia della politica per fare risparmiare gli utenti mobili non è finita ma comincia proprio ora.
(29 marzo 2007)


La Repubblica 29-3-2007 Telecom, spunta il nome di Provenzano Dossier illegali e coperture al boss, i pm ascoltano Cipriani e Mancini

 

Cronaca Milano, qualcuno avrebbe utilizzato informazioni riservate manipolando il traffico telefonico. Oggi i nuovi interrogatori in carcere La trasferta dei magistrati siciliani Le carte sequestrate durante le perquisizioni WALTER GALBIATI EMILIO RANDACIO MILANO - Le telefonate degli investigatori sulle tracce di Bernardo Provenzano potevano essere sotto controllo. è su questa ipotesi che, ieri pomeriggio, i pm palermitani Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino hanno ascoltato a Milano Emanuele Cipriani, l'investigatore privato arrestato nell'inchiesta sul dossieraggio illegale della Telecom. I pm siciliani non escludono al momento l'ipotesi che, all'interno del colosso telefonico, qualcuno possa aver utilizzato informazioni riservate, forse manipolando il traffico telefonico, per aiutare, in qualche modo, la latitanza del boss di Cosa nostra. Pignatone e Prestipino sono i magistrati titolari dell'inchiesta sugli appoggi e le coperture che hanno garantito la lunga latitanza del capo di Cosa nostra. Dopo Cipriani, questa mattina nel carcere di San Vittore, sarà interrogato anche Marco Mancini, l'ex numero tre del Sismi finito in carcere con l'accusa di aver "soffiato" notizie riservate dei nostri Servizi alla Security di Giuliano Tavaroli, ma anche imputato per un'altra vicenda oscura, quella che ha portato al rapimento dell'ex imam di viale Jenner Abu Omar. Al momento, appare certo che Mancini abbia fornito informazioni a Cipriani in merito al report denominato "operazione Cestino 6". L'investigatore privato fiorentino, stando alle sue stesse ammissioni, avrebbe ottenuto dal numero tre del Sismi informazioni su "un'attività di riciclaggio" che aveva "l'intenzione di costituire un parco marino nei pressi di Roma, con finanziamenti che vedono coinvolto il nominativo in indagine". Il soggetto in questione, da quello che emerge dal report sequestrato dalla procura milanese, "risulta monitorato direttamente da organi occidentali della Sicurezza per attività di riciclaggio. La società viene utilizzata da un gruppo di criminali il cui capo risulterebbe essere un ex esponente di apparato pubblico di telecomunicazioni della "prima Repubblica - D. G. - ", in linea parentale con uno dei capi storici della mafia". A questo punto il report cita tra parentesi le iniziali "B. e P.", e il riferimento sembra andare direttamente a Bernardo Provenzano. Ma ci sarebbe anche altro. A Pignatone e Prestipino sono stati sottoposti alcune settimane fa dalla procura di Milano gli strani intrecci di nomi emersi dalla perquisizione effettuata negli uffici di Cipriani al momento del suo arresto a Firenze, nel settembre scorso. Tra quei personaggi vi sarebbero persone che sono finite nell'operazione della squadra Mobile di Palermo che ha portato alla cattura di Provenzano, nell'aprile del 2006, dopo 43 anni di latitanza. Nelle carte processuali sulle presunte irregolarità commesse dalla banda Tavaroli, in più punti si parlava di riferimenti a esponenti siciliani, in alcune circostanze anche di pregiudicati che volevano inserirsi nelle gare d'appalto che riguardavano la società Pirelli. Ma se questa schedatura, seppur illecita, poteva fare intravedere un reale interesse da parte dell'azienda per cui Tavaroli lavorava, la nuova ipotesi investigativa apre scenari non certo tranquillizzanti. Chi poteva avere interesse a raccogliere informazioni sulle indagini per la cattura di Provenzano? Forse Mancini, nel prossimo interrogatorio, potrà fugare già oggi ogni dubbio su quelli che potrebbero essere i nuovi scenari dell'inchiesta.

 


 

Il Corriere delle Sera 29-3-2007 Un asse trasversale contro le elezioni. Casini scommette sullo sgretolamento dei poli, ma per ora ci guadagna l'Unione. Massimo Franco

 

 

È difficile contestare la tesi di Fausto Bertinotti, secondo il quale «la maggioranza non è cambiata» dopo il voto sull'Afghanistan. Naturalmente, il presidente della Camera lo dice anche per azzerare in anticipo le manovre di chi nell'Unione vorrebbe calamitare più spesso l'Udc nell'orbita governativa. Ma, numeri alla mano, non si può dire che abbia torto. Semmai, la sensazione è che si stia inasprendo il braccio di ferro nell'opposizione. Pier Ferdinando Casini tende a dire che è cambiata fin dalle elezioni di un anno fa: sarebbe stato quello il punto di non ritorno per la Cdl, la Casa delle libertà. Silvio Berlusconi, invece, cerca di farla sopravvivere, se non altro come finzione. Fino al voto al Senato di martedì, in qualche modo l'ambiguità rimaneva. Ma adesso sembra caduto anche l'ultimo velo. Rimane forte il sospetto che l'ex premier, e con lui Gianfranco Fini e Umberto Bossi, abbiano commesso un errore.

Non si spiega altrimenti la decisione, presa ieri dai capi dell'opposizione, di riunire i parlamentari del centrodestra (senza l'Udc) per spiegare l'atteggiamento parlamentare sulla missione in Afghanistan. Nonostante i commenti ufficiali, perfino dentro FI le idee sono tutt'altro che unanimi. Esponenti come l'ex presidente del Senato, Marcello Pera, raffigurano un sistema politico che esce dalla prova «con le spalle slogate»: Berlusconi compreso. L'astensione, equivalente al «no», alla missione voluta dagli Stati uniti, non è di immediata comprensione per uno schieramento fortemente atlantista e filoamericano. I commenti positivi della Nato e del dipartimento di Stato Usa sono sale sulle ferite del centrodestra.

Così, l'irritazione contro Casini non cancella del tutto il dubbio di una scelta fatta troppo «a dispetto»; e dunque non del tutto calcolata. Si indovina la tentazione di «fare senza l'Udc»; di perpetuare l'idea della Cdl rimuovendo la scheggia centrista, o magari di frantumarla cercando di provocare una scissione. Ma la manovra presenta più di un'incognita. E rischia di compromettere l'immagine di un'opposizione che aggrega e non esclude. Anche perché Casini insiste di volere la caduta di Prodi. E probabilmente la vuole davvero: solo, con tempi sfasati rispetto a quelli berlusconiani. La visita fatta ieri dai vertici dell'Udc al Quirinale è servita più per difendersi dalle critiche alleate che per chiedere con convinzione un «governo di salute pubblica»: anche perché Giorgio Napolitano non può nemmeno prenderlo in considerazione se non cade Prodi.

«Non siamo interessati a maggioranze variabili o a forme di cooptazione» nell'Unione, ha voluto insistere Casini dopo il colloquio col capo dello Stato: quasi parlasse ai propri elettori. Come spiega il ministro della Giustizia Clemente Mastella, dopo il voto al Senato «non siamo né più vicini né più lontani». E allora «che cosa hanno avuto in cambio? Per ora l'unico risultato è stato di spaccare noi», si sarebbe lamentato Berlusconi, che sembra sperasse nella caduta di Prodi. La sensazione di FI è che esista un interesse comune fra Unione e Udc, per allontanare le elezioni anticipate: quelle che FI e Lega invocano tuttora come «strada maestra» ma sempre più impervia; e che l'Udc e, secondo Umberto Bossi, anche An vogliono evitare per non ritrovarsi Berlusconi candidato a palazzo Chigi.

La scommessa di Casini è che nel limbo fra Prodi e le urne maturino nuove alleanze e si sgretoli l'Unione. Per ora, tuttavia, si tratta di scenari acerbi. Il centrodestra è sicuramente scheggiato: benché le amministrative di maggio costringeranno gli alleati- coltelli a ritrovare un'intesa. L'Unione, invece, incassa la defezione dell'Udc. E sogna di inserire un cuneo nelle file dell'opposizione, lasciando balenare riforme elettorali gradite a Udc e Lega, senza dividersi. E va avanti coi suoi numeri striminziti, felice del «grazie» che una volta tanto l'Amministrazione Usa trasmette, dopo il voto sulla missione afghana: un apprezzamento rivendicato da Romano Prodi, e che suona come critica implicita per Berlusconi. Anche se davanti al premier si è già riaperto il fronte col Vaticano sulle coppie di fatto. Prodi schiva lo scontro dicendo: «Non ho letto» la nota della Cei». Ma prima o poi dovrà farlo.

29 marzo 2007

 


Il Corriere della Sera 29-3-2007. La politica estera e il futuro del governo. Opposizione spiazzata. di Angelo Panebianco

 

 

La politica è una attività complicata e incerta e tutti commettono errori. Ma alcuni errori sono così clamorosi da instillare dubbi negli osservatori sulla lucidità di chi li compie. Scegliendo l'astensione (al Senato significa voto contrario) sulla missione in Afghanistan, Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega intendevano raggiungere, presumibilmente, tre obiettivi.
Intendevano colpire il «traditore» Pier Ferdinando Casini, stigmatizzare, di fronte agli elettori, la sua «intelligenza» col nemico, col centrosinistra. Intendevano poi dimostrare agli alleati dell'Italia la superiore affidabilità, in politica estera, del centrodestra rispetto al centrosinistra. Intendevano, infine, mettere a nudo le contraddizioni della maggioranza e, eventualmente, dare al governo la spallata definitiva.

Hanno ottenuto l'opposto. Casini, come ha scritto Pierluigi Battista sul Corriere di ieri, esce rafforzato dalla prova del Senato. I suoi voti si sono solo aggiunti a quelli della maggioranza, egli non ha «salvato» il governo. In compenso, ha mostrato una coerenza di comportamento sulle questioni internazionali che il resto dell'opposizione, invece, non può più vantare: è difficile spiegare perché al Senato si voti contro un provvedimento che si è approvato solo pochi giorni prima alla Camera. Ed è difficile spiegare perché si voti contro una missione pur essendo a favore della missione.
Anche il secondo obiettivo è stato mancato. All'estero non ci sono molti esperti dei bizantinismi della politica italiana. L'unica cosa che gli alleati capiranno è che l'opposizione non si è espressa a favore del mantenimento delle truppe italiane in Afghanistan.

Per quanto riguarda il terzo obiettivo, mettere a nudo le contraddizioni della politica estera della maggioranza, è stato, anch'esso, largamente mancato. Se, come la razionalità politica dettava, tutta l'opposizione avesse votato a favore del provvedimento, la debolezza del governo, il fatto che esso non abbia una maggioranza di eletti sulla politica estera, terrebbe ora banco nei commenti. Prodi non sarebbe caduto ma si sarebbe ulteriormente indebolito. Il comportamento suicida di Berlusconi e dei suoi alleati ha consentito al governo di nascondere sotto il tappeto le sue contraddizioni.

Non sarà forse la grande svolta che dice Prodi ma una svolta c'è. Nel senso che fino ad oggi era stato il centrosinistra a farsi del male. Se ne era fatto tanto, per tanti mesi, al punto da provocare un crollo dei consensi nel Paese. Ora è il centrodestra che ha cominciato a farsi seriamente del male. È difficile, ad esempio, che le divisioni entro l'opposizione, ufficializzate dal voto del Senato, non abbiano riflessi sulle prossime amministrative. Come è difficile che ciò non comporti anche un certo calo di consensi per il centrodestra nel Paese.

La politica estera e di sicurezza resta il più grande punto debole del governo. Si pensi alle ripercussioni in sede Nato della vicenda Mastrogiacomo, alle pressioni degli alleati, fin qui disattese, di cambiare le regole d'ingaggio dei nostri soldati, o anche all'ennesimo incidente (l'ultimo di una serie così lunga da apparire ormai imbarazzante) fra il nostro ministro degli Esteri e gli Stati Uniti a proposito dei presunti sostegni americani ad Al Qaeda. È sempre plausibile pensare che sulla politica estera, forse proprio sull'Afghanistan, il governo vada incontro prima o poi alla sua crisi definitiva. Da oggi però si può dubitare che quando quella crisi arriverà sarà Berlusconi a intercettarla e a ricavarne i maggiori benefici.

29 marzo 2007


La Stampa 29-3-2007 La Cei: no ai Dico  ma nessuna "scomunica". Resta l'invito ai cattolici credenti: votate contro. Bertinotti: lo stato difenda la propria laicità

MARCO TOSATTI

 

CITTÀ DEL VATICANO
Attesa, e prevista, è uscita la nota pastorale della Cei sui «Dico»
[vai]; che può essere sintetizzata in tre aggettivi: inaccettabile e pericoloso il Ddl, e insuperabile la differenza uomo-donna. Nel documento di tre pagine vengono posti paletti rigidi ai politici cattolici, ma in toni sufficientemente morbidi da nascondere la durezza dei contenuti. Due sono i capoversi sostanziali della «Nota». «Riteniamo la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio - afferma il documento -, pericolosa sul piano sociale ed educativo. Quale che sia l'intenzione di chi propone questa scelta, l'effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro. Del resto, la storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume». E subito dopo: «Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile».
Inaccettabile e pericoloso sono gli aggettivi che il neo-presidente della Cei aveva usato nella sua prolusione lunedì. Ai capoversi di condanna, i vescovi del Consiglio Permanente hanno fatto precedere un lungo prologo, per illustrare il valore della famiglia, per richiamare le parole della Costituzione su questo argomento e per difendere il loro diritto-dovere a parlarne. «Non abbiamo interessi politici da affermare», scrivono; «solo sentiamo il dovere di dare il nostro contributo al bene comune». E’ ribadito il concetto di una via diversa per risolvere le situazioni concrete di disagio: «Siamo però convinti che questo obiettivo sia perseguibile nell'ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare».
Sul ruolo dei politici i vescovi esprimono comprensione, e ribadiscono la fermezza. «Sarebbe quindi incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto» è la prima affermazione chiave, seguita dal ricordo del «dovere morale» di votare contro ogni legge che riconosca le unioni omosessuali, e dall’avvertimento che su questi temi non ci si può appellare «al principio del pluralismo e dell'autonomia dei laici». Infine, un po’ di zucchero: «Comprendiamo la fatica e le tensioni sperimentate dai cattolici impegnati in politica in un contesto culturale come quello attuale, nel quale la visione autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale. Ma è anche per questo che i cristiani sono chiamati a impegnarsi in politica».
Prevedibile la tempesta di reazioni. Prima di presenziare a una messa officiata dal Segretario di Stato, il cardinale Bertone, Fausto Bertinotti ha detto che «il tema della laicità dello Stato è un valore fondativo delle nostre istituzioni». Certo, la Chiesa deve potersi esprimere, «ma resta fermo il dovere delle istituzioni a difendere la propria laicità che altrimenti farebbe aprire un vulnus dovendo ammettere che la Costituzione non esprime valori capaci di fondare su di essi la facoltà autonoma del legislatore divenendo elemento di fortissima delegittimazione». Il ministro Rosy Bindi ha risposto soddisfatta con una nota a quella dei vescovi («è un apporto a un clima di dialogo») difendendo il «suo» Ddl, che «non crea alcuna nuova figura giuridica alternativa... e non dà alcun rilievo a patti o accordi tra le persone conviventi, ma esclusivamente al fatto della convivenza stabile, proprio al fine di non istituire, neanche alla lontana, paralleli con la disciplina matrimoniale». Rosy Bindi rivendica l’autonomia dei credenti: «Con una coscienza limpida, il cattolico è chiamato a muoversi con discernimento di fronte alle sue responsabilità pubbliche».
Se per Grillini la «Nota» sancisce un «brutale razzismo antigay», per Boselli «poco ci manca alla scomunica» e per Dario Franceschini «laicità dello Stato e autonomia politica dei cattolici non sono materia disponibile», l’impressione è che i cattolici della Margherita abbiano apprezzato i toni «morbidi» usati dalla Cei; comune (Fioroni, Ceccanti, Finocchiaro) l’opinione secondo cui la «Nota» non sarebbe in contrasto con il Ddl governativo. E la denuncia di Angius (Ds), su «un conflitto aperto» fra Chiesa e Stato, trova una certa consonanza con la dichiarazione di Chiara Moroni (FI) contro le «interferenze» della Chiesa in Parlamento.


Il Riformista 29-3-2007 Una conferma di chiusure e ingerenze intollerabili

La nota diffusa ieri dalla conferenza episcopale italiana [vai] «a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto» non contiene novità clamorose. Rispecchia, più o meno, le indiscrezioni che circolavano da tempo e ribadisce argomentazioni e toni cui la Cei ci aveva già abbondantemente abituato. Crediamo non di meno utile, se non altro ai fini della chiarezza, sottolineare alcuni aspetti che riguardano i princìpi: i nostri «non possumus», ci verrebbe da dire se questa espressione non fosse, di per sé, una insostenibile aporìa riguardo al nostro sentire di persone laiche, rispettose delle idee e dei diritti altrui ed aperte al dialogo con tutti.
Ci sono tre punti, nella nota, che meritano a nostro avviso un commento. Il primo è, per così dire, la concezione delle libertà che i vescovi ritengono di poter (o non poter) riconoscere alle persone che decidono di vivere in coppia. I vescovi ribadiscono che l'unica forma accettabile di convivenza è la famiglia fondata sul matrimonio e che questa tale si definisce «proprio per l'impegno che essa porta con sé: impegno di fedeltà stabile tra i coniugi e impegno di amore ed educazione dei figli». E' come dire che l'amore tra un uomo e una donna intanto esiste in quanto è finalizzato alla procreazione dei figli: «Solo la famiglia aperta alla vita - si legge infatti nella nota - può essere considerata vera cellula della società perché garantisce la continuità e la cura delle generazioni».
Ora, a parte l'assenza, in questa impostazione, dell'ipotesi di coppie che, pur regolarmente sposate, non siano in grado di procreare, ciò che colpisce in modo negativo è la scarsa considerazione che viene di fatto riservata proprio all'amore, al sentimento disinteressato di volere il bene dell'altro insieme con il bene comune che è tipico delle unioni tra persone che si scelgono.
Questa mancanza di comprensione umana, questa aridità nella considerazione del rapporto di amore diventa ancor più dura, addirittura crudele, nei confronti delle coppie omosessuali. «Un problema ancor più grave - si legge nella nota dei vescovi italiani - sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni dello stesso sesso». Ritenendo inaccettabile la «negazione della differenza sessuale, che è insuperabile», il documento dei vescovi italiani pronuncia a questo punto una condanna senza appello dell'omosessualità, rendendo fastidiosamente ipocrita l'affermazione di non voler pregiudicare «il riconoscimento della dignità di ogni persona».
La terza considerazione riguarda la pretesa di proporre «una parola impegnativa» che viene rivolta «specialmente ai cattolici che operano in ambito politico». Appoggiandosi alle recenti esternazioni del papa, e particolarmente alla Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis in cui Benedetto XVI sosteneva che «i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, debbono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondamentali nella natura umana», la nota ribadisce i toni pesanti e ultimativi che avevamo già sentito in passato, soprattutto nei tempi più recenti. La pretesa che il «fedele cristiano» non possa «appellarsi al principio del pluralismo e dell'autonomia dei laici in politica» è non solo un'ingerenza molto pesante della chiesa sugli affari dello stato, ma una pressione esercitata innanzitutto verso lo stesso mondo cattolico, verso la parte che, cosciente dei suoi diritti, delle sue prerogative e anche dei suoi doveri nei confronti della stessa comunità cattolica oltre che della più vasta comunità nazionale, rivendica la propria libertà di scelta. Un passo indietro, anche rispetto ai tempi in cui l'unità politica dei cattolici c'era, incarnata nella Dc, che metterà in difficoltà una parte grande dello stesso mondo cattolico.

 


L’Unità 29-3-2007 I partiti e l'articolo 49 una storia italiana Elio Veltri

 

Ugo Sposetti, tesoriere nazionale dei Ds, sull'Unità del 23 marzo pone il problema dell'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione e del "riconoscimento giuridico dei partiti" e cioè, della responsabilità dei partiti di fronte alla legge. Sposetti ricorda il dibattito alla Costituente e l'opposizione di Togliatti e Marchesi alla proposta di controllo dell'attività interna dei partiti. Essa era sostenuta da Mortati e da altri Costituenti i quali chiesero con forza di conferire anche "rilevanza interna" al metodo democratico richiamato dall'articolo 49, attraverso il controllo delle attività più significative della vita interna di partiti: rispetto degli Statuti, trasparenza e provenienza dei finanziamenti, tutela delle minoranze, selezione delle candidature, certificazione dei bilanci, che lo stesso Sposetti ritiene necessarie per porre rimedio al degrado della politica e restituirle la necessaria e urgente dignità. Le cose, purtroppo, sono andate diversamente perché nella discussione prevalse infine il cosiddetto "complesso del tiranno" e cioè la preoccupazione di Togliatti e di chi ne condivideva le posizioni di dare un'arma in mano agli avversari dei partiti con il rischio di controllarne e limitarne l'azione. Preoccupazione giustificata dalla recente esperienza della dittatura fascista che aveva sciolto i partiti e azzerato la vita democratica del paese. Il compromesso tra le due scuole di pensiero fu la scrittura dell'articolo 49 della Costituzione che fa riferimento solo alla "rilevanza esterna" del metodo democratico senza alcun riferimento alla democrazia dell'organizzazione interna. Togliatti, a giustificazione della sua posizione e di quella dei comunisti affermò: "domani potrebbe svilupparsi un movimento nuovo, anarchico, per esempio. Io mi domando su quali basi si dovrebbe combatterlo. Sono del parere che bisognerebbe combatterlo sul terreno della competizione democratica, convincendo gli aderenti al movimento delle falsità delle loro idee. Ora non si può negargli il diritto di esistere e di svilupparsi, solo perché rinuncia al metodo democratico". È evidente, che se era difficile condividere gli argomenti a difesa della posizione del leader comunista nel contesto di allora, oggi è del tutto inaccettabile perché un movimento politico che rinuncia al suo interno al metodo democratico tende a comportarsi nello stesso modo nelle istituzioni. L'onorevole Merlin, relatore sull'argomento, nel concludere il dibattito disse che ognuno degli articoli "esigeva una legge particolare". Invece, non se n'è fatto nulla e davvero pochi parlamentari, negli anni, hanno riproposto il problema: Luigi Sturzo al Senato nel 1958; la Commissione bicamerale presieduta dall'Onorevole Bozzi e nella legislatura 1996-2001 l'onorevole Claudia Mancina e chi scrive. Nessuno dei proponenti ha avuto fortuna perché chiunque abbia assunto iniziative tese a vigilare sulla democrazia interna dei partiti, sia pure con l'obiettivo di conferire dignità alla politica, migliorarne la trasparenza, restituire ai partiti il ruolo costituzionale di mediazione tra la società e le istituzioni, esaltandone così la funzione, reclamare la trasparenza e la liceità dei finanziamenti, azzerare i conflitti di interesse tra i partiti, le istituzioni e i cittadini, contenere i costi della politica, ha dovuto subire l'accusa di essere un nemico dei partiti e quindi della democrazia. "Quello, che vogliamo abbattere è la partitocrazia", scriveva Occhetto nel 1998, "per sostituirla con la Repubblica dei cittadini. La differenza è che nella Repubblica dei partiti il partito è l'alfa e l'omega, l'inizio e la fine di tutta l'attività politica. Nella Repubblica dei cittadini il punto di partenza è il cittadino che naturalmente può costituirsi in partito; ma il partito è uno strumento secondario rispetto al soggetto principale". In questa legislatura sono state depositate in Parlamento alcune proposte( Salvi e Villone; Castagnetti) e c'è da augurarsi che vengano prese in seria considerazione, dal momento che i problemi si sono aggravati con evidente distacco tra i cittadini, i palazzi della politica e le istituzioni. La riforma della politica, della quale la responsabilità dei partiti di fronte alla legge, costituisce un punto fondamentale e qualificante, insieme alla costituzionalizzazione dei conflitti di interesse e alla riduzione dei costi della politica, è diventata una vera emergenza democratica. I partiti politici, infatti, sono associazioni private, che decidono la vita pubblica del paese: i programmi dei governi a tutti i livelli istituzionali, la selezione dei gruppi dirigenti, le nomine nelle società e negli enti che di volta in volta suggeriscono o impongono ai governi e alle assemblee elettive. Essi si occupano anche dei rapporti tra politica e affari, dai quali dovrebbero astenersi, perchè fonte di gravi conflitti di interessi. Sono associazioni private, senza alcuna disciplina legale e quindi "deresponsabilizzate", per cui di fatto sono "legibus soluti" nonostante le rilevantissime funzioni pubbliche che essi svolgono. E questo, come ha scritto Pierluigi Mantini, costituisce un paradosso giuridico e istituzionale dal momento che la disciplina legale di attività fondamentali quali l'iniziativa economica e la proprietà privata e di molti soggetti privati che esercitano funzioni pubbliche (associazioni di categoria, ordini professionali, formazioni sociali) non è affatto trascurabile. I finanziamenti privati sono spesso opachi, ingiustificati e illeciti e i finanziamenti pubblici, oltre 3,5 miliardi di euro, dal 1974, decisi nelle aule parlamentari e con accordi trasversali, sono tutt'altro che trasparenti. I bilanci mancano dei requisiti ritenuti necessari dalla Corte di Cassazione e la Corte dei Conti scrive che la legge non consente controlli. Per queste ragioni le proposte presentate dai Parlamentari sono importanti e c'è da augurasi che ad esse si accompagni, in tempi brevi, una proposta di legge di iniziativa popolare, che avrebbe anche la funzione di amplificare il dibattito tra i cittadini

 


Il Centro  29-3-2007 La storia della Ue raccontata agli studenti. Pescara: Consiglio provinciale straordinario aperto a sindaci, scuole e società. Di Lalla D'Ignazio

 

PESCARA. La storia e il futuro dell'Unione europea si sono toccati e intrecciati nelle riflessioni di quanti ieri sono intervenuti al Consiglio provinciale straordinario, aperto ai sindaci del Pescarese e alla società civile, convocato per celebrare i 50 anni della firma dei Trattati di Roma da parte dei sei Paesi fondatori della Comunità europea. Un confronto di idee e una lezione speciale per gli studenti raccolti nella Sala dei Marmi, "cittadini europei più dei loro padri". Ai ragazzi degli istituti per geometri Acerbo, magistrale Marconi, alberghiero De Cecco e del liceo classico D'Annunzio di Pescara si sono rivolti i relatori, quasi a stimolare un senso di appartenenza convinto all'istituzione europea. La seduta è stata aperta dal presidente dell'assemblea, Filippo Pasquali. "Oggi", ha esordito, "vogliamo ricordare quell'accordo, ratificato in Campidoglio, che ha segnato la nascita della nostra grande Europa costituita da 27 Paesi e 500milioni di cittadini. Numeri che ci ricordano come la storia dell'integrazione europea non sia fatta solo di successi, ma sia stata, è e sarà costellata di difficoltà". I Trattati di Roma furono siglati il 25 marzo del 1957 nella Sala Oriazi e Curiazi dai rappresentanti di Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Olanda e Repubblica federale tedesca. "Guardando al passato mi viene da ricordare quel 9 maggio del 1950", ha detto il presidente della Provincia, Pino De Dominicis, "quando il ministro degli Esteri francese Robert Schuman dichiarò che "un'Europa unita era essenziale per la pace mondiale e che l'inimicizia tra Francia e Germania doveva essere eliminata". E propose di porre la produzione franco-tedesca di carbone e acciaio sotto il controllo di un'autorità unificata. La dichiarazione condusse alla negoziazione del trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio. Se guardo al presente vedo tra le insoddisfazioni dell'Ue, la difficile congiuntura economica, la mancanza di politiche unitarie sullo scacchiere internazionale, la faticosa metabolizzazione dell'euro, il disamore collettivo verso le normative europee e la loro logica omogeneizzante, la sfida dell'allargamento". "L'obiettivo dei sei Stati fondatori fu chiaro fin dall'inizio", ha sostenuto il prefetto Giuliano Lalli: "raggiungere l'unione politica, a partire dalla decisione di mettere in comune la produzione di carbone e acciaio. Questa prima impresa ebbe la straordinaria ispirazione e ambizione politica di sottrarre alle sovranità nazionali risorse e capacità produttive attorno alle quali si erano sviluppate rivalità e tensioni tra Francia e Germania tali da sfociare in due terribili guerre nel XX secolo". Bernardo Razzotti, preside della facoltà di Lingue della D'Annunzio, ha ricordato che "solo nel 2006, sono stati 178 gli studenti del nostro ateneo che grazie al progetto Erasmus hanno avuto scambi culturali con altri Paesi dell'Unione. 70 i ragazzi stranieri che sono venuti a studiare da noi".

 


Finanza & Mercati 29-3-2007 Preoccupati per i super poteri a Banca d'Italia e Consob gli istituti criticano Padoa-Schioppa "Troppo vago il testo del decreto legislativo". Di Francesco De Dominicis

 

La Mifid accende lo scontro tra le banche e Tommaso Padoa-Schioppa. La bozza del decreto legislativo messa a punto dagli esperti del ministero dell'Economia per recepire la direttiva Ue sui mercati finanziari, infatti, non convince il mondo del credito. Anzi. Gli istituti sono preoccupati per i super poteri che il Tesoro sarebbe orientato a concedere alle autorità di vigilanza, Consob e Banca d'Italia in particolare. Tutte le critiche delle aziende creditizie al testo della delega sono contenute in un dossier, di cui Finanza & Mercati è in possesso, spedito negli scorsi giorni a Via XX Settembre nell'ambito della consultazione sulla Mifid. La bozza, secondo le banche, sarebbe troppo vaga, limitandosi "a definire principi generici rinviando, per gli aspetti di dettaglio, all'attività regolamentare di rango secondario". Una scelta un po' azzardata, che potrebbe creare difficoltà addirittura sul piano della concorrenza internazionale. "Un eccessivo ricorso" alle norme di secondo livello, si legge ancora nel rapporto curato dagli esperti degli istituti, corre il rischio "di dare origine a possibili disallineamenti fra i singoli ordinamenti nazionali con disparità competitive" per l'industria finanziaria del nostro Paese. Ma le banche chiedono grosse modifiche pure su altri fronti. Nel mirino dei big del credito sono finite anche le norme sui contratti, sui promotori finanziari, sulle controversie tra investitori e collocatori. Non solo. Qualche ritocco, suggeriscono gli istituti, sarebbe auspicabile pure in relazione ai sistemi multilaterali di negoziazione, agli internalizzatori sistematici e alle sanzioni. Insomma, tutto (o quasi) da rifare. La linea del Tesoro, in realtà, sembra dettata da una precisa ragione. Il governo è in forte ritardo sulla tabella di marcia fissata da Bruxelles e non poteva permettersi di entrate nel dettaglio delle regole attuative. Di qui, probabilmente, l'idea di lasciare a Bankitalia e alla commissione guidata da Lamberto Cardia il compito di scrivere le norme secondarie. Del resto, il termine per dare attuazione alle regole comunitarie - che da novembre liberalizzeranno gli scambi sui mercati di tutta Europa - è già scaduto il 31 gennaio scorso. Palazzo Chigi ha tentato di correre ai ripari con un disegno di legge ad hoc per spostare la scadenza al 31 luglio. Il ddl non ha ancora fatto il giro di boa in Parlamento ed è ancora sul tavolo della commissione Finanze del Senato (dove è stato presentato un emendamento per un ulteriore slittamento al 30 settembre).

 


Il Giornale di Brescia 29-3-2007 A Brescia le banche nel mirino I furti sono stati 31mila di cui 3mila in appartamento.

 

Con 119 rapine nel 2006 la nostra provincia è fra le prime sei in Italia per incursioni in filiali e agenzie Più di mille i borseggi Agenzie e filiali bancarie della provincia di Brescia sono spesso nel mirino dei banditi. A dimostrarlo ci sono i dati Abi (Associazione bancaria italiana) che pongono il nostro territorio nella "top ten" della specialissima classifica degli assalti agli sportelli: nel 2005 sono state 134, ridotte a 119 nel 2006 con un bottino medio di 13.751 euro. Numeri che vedono Brescia stare al passo con Milano, Roma, Torino e Bologna. La questione è complessa e non può essere liquidata con una brontolata qualunquista. Le Forze dell'ordine, nello specifico Carabinieri e Polizia, fanno il loro dovere con puntualità, ma si devono confrontare con un territorio complesso e con dinamiche altrettanto intricate. Il rapporto popolazione/banche è elevatissimo, così come incide anche la polverizzazione urbana che fra cittadine e minuscole frazioni, crea difficoltà alla prevenzione e repressione del crimine. A questo si deve aggiungere un'altra valutazione che riguarda gli organici. L'ipotesi di un incremento nel Nord Italia (nel Meridione i numeri ci sono) è più che giustificato a fronte di fenomeni complessi di macro e microcriminalità, che forse non hanno eguali negli altri Paesi Ue. A Brescia, in particolare, si aggiunge la questione relativa a quella quota di extracomunitari, su un totale di 140mila, che sfugge al controllo perchè non regolarizzate e diventa spesso manodopera della criminalità. Ma torniamo ai dati. Occupiamoci dei crimini più diffusi, che sono quelli contro la proprietà privata. Nel 2006 (città e provincia) il totale reati è stato di 54.874 unità dai quali (in base ai dati interforze) possiamo estrapolare 31mila furti. Di questi, quelli che creano maggiore disagio (anche psicologico) sono i borseggi, che sono stati 1.364 (una trentina meno dell'anno precedente) e i furti in casa che sono stati 3.202. Purtroppo questa casistica è in aumento: nel 2005 i topi di appartamento colpirono 320 volte in meno. Passiamo all'analisi dei furti che riguardano un bene "caro" agli italiani ed ai bresciani in particolare: l'automobile. Nel 2006 sono stare rubate 3.360 quattro ruote (il target più gettonato riguarda le vetture di categoria medio/alta), mentre 6.106 automobilisti hanno dovuto sostituire un cristallo o le serrature forzate, perchè i ladri hanno prelevato oggetti più o meno preziosi dagli abitacoli. Attenzione: non commettete mai l'errore di dimenticare un telefono cellulare in auto, perché è quasi impossibile ritrovarlo al suo posto. Se le banche sono davvero "bersagli sensibili", anche gli uffici postali fanno notizia: sono 31 le rapine denunciate nel 2006 (27 quelle del 2005). Sempre sul fronte delle rapine, ne dobbiamo aggiungere 110 ai danni di esercizi commerciali e 269 in strada. Nel lotto delle malefatte censite nel corso dell'anno passato, dobbiamo prendere atto di 54 estorsioni (25 in meno del 2005), di 147 incendi dolosi, di 645 reati connessi allo spaccio di sostanze stupefacenti. Concludiamo da dove siamo partiti, ovvero dalle banche. Il bottino medio è stato abbastanza basso, ovvero 13.751 euro. Eppure la legge non scherza: l'articolo 628 del Codice penale prevede una condanna fino a 10 anni (nel caso dell'aggravante della mano armata) e fino a 20 anni se nel corso della rapina si commetta anche il reato di sequestro di persona. Proprio per questo il dibattito è aperto non tanto sulla necessità di aggravare le pene, quanto su quella della certezza della pena. Altrimenti le forze dell'ordine continuano a prendere e riprendere le stesse persone. In questo caso la polemica è ciclica, ma non viene risolta nei modi dovuti.


INDICE 28-3-2007

++ Da AgenParl 28-3-2007 1) COSSIGA: IL BELLO, IL BRUTTO E IL CATTIVO. 2) UN’AZIONE CONTRO L’IRAN SI AVVICINA E IL PREZZO DEL PETROLIO S’IMPENNA

++ Da AGI 28-3-2007 In Italia vaccino contro il tumore al collo utero. Veronesi, è una grande notizia

++ RAInews24.it  28-3-2007 Benedetto XVI: non esiste un cristianesimo per intellettuali. Cei: i politici cattolici che sostengono i Dico sono incoerenti

+ Il Sole 24 Ore 28-3-2007  Sui tango bond l'ultima carta è di Washington di Alessandro Merli

+ La Repubblica 28-3-2007 Tre italiani arrestati a Bruxelles per corruzione in appalti Ue. Incriminati un funzionario della Commissione, l'assistente di un eurodeputato e un imprenditore L'inchiesta è cominciata tre anni fa e riguarda la gestione di gare d'appalto

+ La Stampa 28-3-2007 Cdl, scontro sui sindaci Niente accordo a Verona, Frosinone, l’Aquila, Asti. Casini: avrete pane per i vostri denti AMEDEO LA MATTINA

Noipress.it 27-3-2007 Bankitalia: rivedere soglie usura, penalizzanti per clientela debole

Il Corriere della sera 28-3-2007 L'errore del Cavaliere di Pierluigi Battista  1

Italia Oggi 28-3-2007 Ecofin, intesa sui servizi pagamento McCreevy: buon compromesso. 2

L’Unità 28-3-2007  I soldi e i partiti un'odissea democratica Sergio Boccadutri* 3

Gazzetta del Sud 28-3-2007 Corruzione Ue, coinvolto l'assistente di un eurodeputato italiano  4

La Gazzetta del Sud. 28-3-2007 Arrestata l'imprenditrice Gina Spallone "Lady Asl" era latitante da tre mesi 5

Il Resto del carlino 28-3-2007 Conti liberi e mutui "portatili", liberalizzazioni lumaca ? A due mesi dell'entrata in vigore del decreto Bersani, la strada e' ancora irta di ostacoli di Elena Comelli 5

Il Corriere della Sera 28-3-2007 Iraq, il Senato Usa: «Via le truppe dal 2008»  6

La Stampa 27-3-2007  Iran, gli Usa mostrano i muscoli 6

 


++ Da AgenParl 28-3-2007   - 1) COSSIGA: IL BELLO, IL BRUTTO E IL CATTIVO. 2) UN’AZIONE CONTRO L’IRAN SI AVVICINA E IL PREZZO DEL PETROLIO S’IMPENNA

 

COSSIGA: IL BELLO, IL BRUTTO E IL CATTIVO

Roma, 28 Marzo 2007 – AgenParl – D’Alema e Casini sono i due vincitori. Gli sconfitti sono invece Berlusconi e Parisi. C’é poi un cretino: l’ambasciatore Usa, Spogli. Questo, in sintesi, quanto afferma il senatore a vita Francesco Cossiga.
L’ex Presidente della Repubblica spiega infatti che i due vincitori sono Massimo D'Alema, che “è riuscito perfino ad accontentare la sinistra radicale e si avvia per il momento ad apparire, e poi ad essere il vero leader politico anche se non istituzionale della coalizione”; “il secondo vincitore – aggiunge Cossiga – e' Pier Ferdinando Casini, che ormai marcia impavido verso l'ala destra del centrosinistra sperando di poter costituire un centro''.
Inoltre il senatore a vita sentenzia: ''i due sconfitti sono Silvio Berlusconi, che sembra sempre di più quel marito cornuto che lo sa, ma che cerca di non esserlo facendo finta di non accorgersene, dove l'adultera sarebbe Pier Ferdinando Casini”. “L'altro sconfitto – afferma – e' l'amico Arturo Parisi, al quale il leader Massimo D'Alema ha tolto la responsabilità delle forze armate riconoscendo che il loro vero capo e' il capo di Stato Maggiore della Difesa. La differenza è che se in Afghanistan ci scappa il morto per colpa dei talebani noi dopo un primo tentativo di dire, per compiacere la sinistra radicale, che si e' trattato di fuoco amico americano, britannico o canadese, l'amico Arturo Parisi va a casa mentre il capo di Stato Maggiore della Difesa rimane. Chissa' che non ci scappi pure la nomina a successore di Arturo...''.
Cossiga conclude affermando: ''fuori del Senato c’è invece un cretino: il noto uomo d'affari Spogli, ambasciatore degli Stati Uniti, che non ha compreso ciò che nella diplomazia e' più prezioso: tacere''.

 

UN’AZIONE CONTRO L’IRAN SI AVVICINA E IL PREZZO DEL PETROLIO S’IMPENNA

Roma, 28 Marzo 2007 - Agenparl -”Sebbene la storia dei missili si sia dimostrata falsa, quella del sequestro iraniano dei marinai britannici è ben reale e deve ancora essere giocata”, ha detto Edward Meir, noto analista delle materie prime presso la Man Financial ltd. (uno dei principali fornitori di servizi di brokeraggio al mondo).
La dichiarazione è riportata con rilievo dal Financial Times, che spiega il balzo del prezzo del petrolio (+5$ solo mercoledì) con la probabile imminenza di uno scontro armato contro l’Iran.
Infatti, nel timore che la situazione relativa ai 15 Royal Marines non si risolvesse diplomaticamente, il prezzo del WTI (il greggio statunitense; quello europeo è il Brent) è cresciuto in una settimana del 13%.
I soldati inglesi sono stati catturati dai pasdaran iraniani dopo che avevano abbordato un mercantile cinese, accusato dalla Royal Navy di contrabbandare in Iraq “auto di seconda mano”.  Il fatto, avvenuto a ridosso del confine marittimo iraniano, può peraltro ricordare l’èscamotage che gli Usa approntarono in un altro golfo, quello del Tonchino, per muovere alla guerra.
Intanto, la Us Navy ha rafforzato la sua presenza di fronte alle coste iraniane, mentre a poche miglia a Est dai confini terrestri di Teheran si svolge l’offensiva della Nato in Afghanistan.  (F.Mi.)


++ Da AGI 28-3-2007 IN ITALIA VACCINO CONTRO il TUMORE al COLLO UTERO Veronesi, è una grande notizia

 

E' arrivato in Italia ed e' da oggi disponibile per tutte le donne l'atteso vaccino contro il tumore del collo dell'utero. Il Gardasil e' il primo messo a punto contro una forma tumorale che in Italia fa ammalare 10 donne al giorno, una ogni 2 ore. L'introduzione del vaccino sul mercato italiano e' stato possibile grazie alla sperimentazione avvenuta in 5 centri di ricerca italiana, uno a Brescia, due a Roma, uno a Napoli ed uno a Palermo. L'annuncio dell'arrivo del vaccino, prodotto dalla Sanofi Pasteur Msd, era arrivato nei giorni scorsi dalla Commissione sanita' del Senato, per bocca del presidente Ignazio Marino. "L'annuncio della disponibilita' di un vaccino per l'Hpv e' una grande notizia per le donne, che per la prima volta, hanno la possibilita' di proteggersi in modo quasi totale da quella che ancora oggi e' una delle principali cause di tumore nel mondo femminile". Lo ha dichiarato l'oncologo Umberto Veronesi nel corso della conferenza stampa che accompagna il lancio in Italia del Gardasil, il primo vaccino contro il papilloma virus e contro il tumore al collo dell'utero. "Si tratta di una grande notizia anche per la ricerca oncologica che vede confermate le intuizioni sulle cause del cancro - ha aggiunto Veronesi - e anche per la sanita' pubblica che puo' offrire, con questo vaccino, uno strumento di prevenzione oncologica che non lascia spazio ai dubbi sul rapporto costo-beneficio. L'Istituto Europeo di Oncologia ha sempre orientato la sua ricerca in questa direzione e contribuira' allo sviluppo delle conoscenze sul vaccino contro l'Hpv con uno studio per aumentare la vaccinazione delle ragazze di 18 anni, che verra' avviato prima dell'estate". (AGI) - Roma, 28 mar. -.

 


++ RAInews24.it  28-3-2007 Benedetto XVI: non esiste un cristianesimo per intellettuali. Cei: i politici cattolici che sostengono i Dico sono incoerenti

 

La fede cristiana è "unica e pubblica": destinata a tutte i popoli, non è elitaria o intellettualistica, come hanno sostenuto nei secoli varie eresie. Papa Benedetto XVI, nell'udienza generale di oggi in piazza San Pietro, prende spunto dagli insegnamenti di Ireneo, teologo e vescovo di Lione (II-III sec.), che combatté gli gnostici. Questi ultimi sostenevano che la fede insegnata dalla chiesa non era altro che un simbolismo destinato agli ingenui, mentre solo gli eruditi potevano comprendere l'essenza di Dio.

La fede - ha rimarcato il Papa citando Ireneo - "si basa sul credo degli apostoli, trasmesso ai vescovi, attraverso una catena ininterrotta". "Non esiste un cristianesimo superiore o intellettuale. La fede della Chiesa viene da Gesu' e da Dio".  
Il Papa, inoltre, ha esortato i fedeli  della Sicilia, presenti oggi in piazza San Pietro, ad essere "costruttori di pace nella legalità e nell'amore, offrendo luce agli uomini del nostro tempo, i quali - ha detto il Papa - pur presi dagli affanni della vita quotidiana, avvertono il richiamo delle realtà eterne".

Rivolgendosi ai vescovi, Benedetto XVI chiede loro di "sostenere con il vostro esempio i sacerdoti, le persone consacrate e i fedeli laici di Sicilia, perché - ha proseguito - continuino a testimoniare Cristo e il suo Vangelo, con rinnovato slancio e fervore. Nessun timore vi sorprenda mai - ha concluso il Pontefice - e agiti il cuore di tutti voi. Chi segue Cristo non si spaventa delle difficoltà, chi confida in Lui va avanti sicuro".
Ai vescovi siciliani Benedetto XVI ha detto: "Annunziate integralmente la parola di Dio, insistete in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonite, rimproverate, esortate con ogni magnanimità e dottrina".

"Sostente - ha aggiunto - con il vostro esempio i sacerdoti, le persone consacrate e i fedeli laici di Sicilia, perché continuino a testimoniare il Vangelo, con rinnovato slancio e fervor. Nessuno timore sorprenda mai e agiti il cuore di tutti voi, cari fratelli e sorelle. Chi segue Cristo non si spaventa delle difficoltà; chi confida in Lui va avanti sicuro".

Cei: i politici cattolici che sostengono i Dico sono incoerenti

 

I politici cattolici che sostengono la legalizzazione delle unioni di fatto sono incoerenti. Questo quanto scritto nella nota del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana sui Dico. La pubblicazione di un testo era stata annunciata diverse settimane fa dall’ex presidente della Cei, Camillo Ruini.
"Una parola impegnativa ci sentiamo di rivolgere specialmente ai cattolici che operano in ambito politico".
"Lo facciamo con l'insegnamento del Papa nella sua recente Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis: 'i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana, tra i
quali rientra la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna' ".

"Sarebbe quindi incoerente - si legge nella Nota della Cei - quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto".
La Cei ribadisce poi "la legalizzazione delle unioni di fatto" è "inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo".

Nella nota si dice che il riconoscimento delle unioni fra gay negherebbe "la differenza sessuale che è insuperabile".

Dunque una legge sulle unioni di fatto avrebbe effetti deleteri sulla famiglia perché toglierebbe "al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro".

"Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che e' insuperabile".


+ Il Sole 24 Ore 28-3-2007  Sui tango bond l'ultima carta è di Washington di Alessandro Merli

Il rilancio della diplomazia italiana in America latina con la visita del presidente del Consiglio, Romano Prodi, in Brasile e Cile, due portabandiera della sinistra sudamericana "pragmatica", e l'attivismo del ministero degli Esteri nella regione sono certamente fatti positivi.
Non devono però far dimenticare una pesante partita ancora aperta, che nessuno sembra aver voluto affrontare neanche in occasione della visita recente del vicepresidente argentino in Italia: quella dei risparmiatori italiani coinvolti nell'insolvenza della Repubblica argentina del dicembre 2001. Dei circa 480mila che avevano investito in oltre 14 miliardi di dollari di titoli argentini, gli ormai famigerati tango bond, quasi due terzi, che detengono ancora obbligazioni per un valore di 8 miliardi di dollari, non hanno aderito due anni fa alla ristrutturazione del debito proposta dal Paese sudamericano.
Contro le regole e la prassi della finanza internazionale, il Governo Kirchner ne ignora le rivendicazioni e certamente farà di tutto per tacitarne le richieste almeno fino alle elezioni presidenziali di ottobre, se non oltre. Sorprende tuttavia l'acquiescenza delle altre controparti, a partire dal Governo italiano e dal G7, per finire al Fondo monetario, marginalizzato prima dalla sua insipienza, poi dal rimborso anticipato del debito argentino nei suoi confronti, rimborso che ne ha spuntato le armi di pressione.
Buenos Aires ha sfruttato abilmente un vuoto di leadership nella comunità internazionale, creato dall'incapacità del Tesoro Usa nel gestire la situazione e dal tentativo dell'amministrazione Bush di attirare l'Argentina dalla sua parte nel gioco geopolitico contro l'ala populista della sinistra sudamericana, capeggiata dal presidente venezuelano Hugo Chavez. Tentativo non riuscito, visto che Chavez, presentandosi alla porta di Kirchner a libretto degli assegni spianato, lo ha compensato in petrodollari del ripudio del mercato internazionale dei capitali. Se la chiave di volta è a Washington, forse può servire la pressione che l'American Task Force Argentina, capeggiata da due esponenti dell'amministrazione Clinton, sta cercando di esercitare negli Stati Uniti e anche sul Club di Parigi, il gruppo dei creditori ufficiali che l'Argentina vorrebbe rimborsare anche in questo caso con modalità poco ortodosse.
Kirchner sa che la questione degli holdout, cioè dei debitori che non hanno aderito allo scambio di titoli, resta un ostacolo alla normalizzazione dei rapporti con la comunità finanziaria internazionale. Quindi vorrebbe chiudere i conti anche con il Club di Parigi per mettere gli holdout ulteriormente alle strette. Per questo, e anche per evitare che questo pericoloso precedente trovi degli imitatori, l'Italia, il G7 e, per quel poco d'influenza che gli è rimasta, anche l'Fmi dovrebbero usare invece quest'ultima carta a difesa dei legittimi interessi dei risparmiatori.


+ La Repubblica 28-3-2007 Tre italiani arrestati a Bruxelles per corruzione in appalti Ue. Incriminati un funzionario della Commissione, l'assistente di un eurodeputato e un imprenditore
L'inchiesta è cominciata tre anni fa e riguarda la gestione di gare d'appalto

 

BRUXELLES - Tre italiani, un funzionario della Commissione Ue, l'assistente di un deputato europeo e un agente immobiliare, sono stati incriminati e arrestati a Bruxelles nell'ambito dell'inchiesta per presunta corruzione in appalti concessi dalla Commissione europea. Ne ha dato notizia la procura di Bruxelles. L'inchiesta riguarda la gestione di gare d'appalto europee per la ricerca d'immobili per alcune delegazioni della Commissione e la realizzazione di impianti di sicurezza.
Non è stato reso pubblico il nome dei tre arrestati. Un'agenzia di stampa belga ha però fatto sapere che i tre sono accusati di falsificazione di documenti, corruzione e associazione a delinquere, e che il funzionario della Commissione finito in manette ha 46 anni, l'assistente di un deputato europeo 60 e l'agente immobiliare 39.
La procura belga ha avviato tre anni fa, in seguito ad una denuncia dell'Olaf, l'ufficio europeo-antifrode, un'inchiesta a vasto raggio che coinvolge, a vari livelli, un numero non precisato di funzionari europei. I principali reati ipotizzati sono, oltre alla corruzione, associazione a delinquere, violazione del segreto professionale e delle leggi sui mercati pubblici.
Nell'ambito dell'indagine ieri sono state eseguite perquisizioni in Italia, Francia, Lussemburgo e Belgio. Il magistrato, titolare del dossier, Berta Bernardo-Mendez, insieme al sostituto Pascale France, secondo quanto si è appreso dalla procura, sta indagando in particolare sulle operazioni di reperimento di immobili destinati ad ospitare le delegazioni della Commissione europea all'estero e su appalti per l'installazione di sistemi d'allarme degli stessi palazzi.
Le indagini dei magistrati di Bruxelles, in Italia, hanno portato fino a Potenza e da qui è partita un'operazione, a più ampio raggio, che, in collaborazione con i carabinieri, ha interessato Roma, Matera, Frosinone, l'Aquila e Teramo. Dal lavoro degli investigatori della città lucana sono giunti elementi ritenuti importanti per chiarire alcuni aspetti della vicenda. L'assistente parlamentare, secondo quanto si è appreso a Potenza, è il titolare di una società che avrebbe avuto un ruolo nell'individuazione di edifici da destinare a sedi di rappresentanza dell'Ue, probabilmente in India e in Albania.
I portavoce della Commissione e del Parlamento europeo, pur confermando l'inchiesta, non hanno fornito ulteriori particolari, in attesa degli sviluppi dell'azione della magistratura. "L'Olaf - ha detto il portavoce dell'esecutivo Ue Johannes Laitenberger - collabora pienamente con l'autorità giudiziaria per fare piena luce su alcuni sospetti. Fino a quando non saranno accertate eventuali responsabilità i funzionari resteranno al loro posto".
(28 marzo 2007)

 


+ La Stampa 28-3-2007 Cdl, scontro sui sindaci Niente accordo a Verona, Frosinone, l’Aquila, Asti. Casini: avrete pane per i vostri denti AMEDEO LA MATTINA

ROMA
«Adesso quelli dell’Udc faranno prima a trattare con i talebani per il comune di Kabul», dice sarcastico Francesco Storace attraversando il Transatlantico di Palazzo Madama mentre in aula si discute del rifinanziamento della missione in Afghanistan. «Noi - aggiunge - dovremo essere conseguenti e non votare i loro candidati ma solo quelli della Casa delle libertà ormai abbandonata definitivamente da Casini». Poco più in là il capogruppo della Lega, Roberto Castelli, spiega che ora è più difficile trovare una soluzione a Verona dove da mesi il centrodestra litiga sul candidato sindaco perché i centristi vogliono imporre Alfredo Meocci, l’ex direttore generale della Rai: «Se lo scordano adesso... Abbiamo un nostro candidato che in quella città vince a mani basse».
«Forse non hanno capito - gli risponde a muso duro il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa - che senza i nostri voti il centrodestra non vince da nessuna parte. Ma dove vanno senza di noi...». «Berlusconi si è bossizzato - avverte il senatore Francesco Pionati - e se in seguito al voto sull’Afghanistan radicalizza lo scontro nei nostri confronti siamo pronti a mettere in discussione anche gli accordi già chiusi». «E poi - aggiunge Mario Baccini - mica possiamo barattare la politica estera per qualche comune in più. Non vogliono Meocci a Verona? Perderanno, così come perderebbero le Politiche. Noi siamo pronti a correre pure da soli. Mi auguro - conclude l’ex ministro - che Berlusconi e Fini non vogliano commettere questo errore madornale».
Forza Italia è preoccupata per quello che potrà accadere in periferia. Silvio Berlusconi che vuole politicizzare le Amministrative di primavera e farne un banco di prova sulla fiducia del governo Prodi, ha bisogno di avere accanto Pier Ferdinando Casini. Ma è combattuto tra l’istinto di rottura e la ragione politica. E’ al corrente della «guerriglia» (così l’ha definita Mario Valducci l’altro giorno a Fiuggi al convegno degli amministratori locali di Fi) che sta portando avanti l’Udc nelle città dove si vota. Tuttavia nelle ultime ore gli è stato consigliato di fare buon viso e cattivo gioco. «Calma, calma - dice infatti il responsabile Enti locali Valducci - l’Udc non è passata con la maggioranza, fa ancora parte dell’opposizione. Archiviata la vicenda Afghanistan, ci siederemo attorno a un tavolo e troveremo una soluzione». «Speriamo di raddrizzare la barca - commenta il capogruppo di An, Altero Matteoli - ma la vedo dura».
Adesso che si è consumato lo strappo sull’Afghanistan tra Udc e il resto del centrodestra, per quello che resta della Casa delle libertà sarà difficile presentarsi alle Amministrative di primavera come una coalizione credibilmente unita. «Ma alle Amministrative - osserva Osvaldo Napoli di Fi - l’incidenza della politica nazionale non c’è. Perdi se sbagli i candidati o hai amministrato male». Appunto. È infatti di alcuni giorni fa l’ammissione dello stesso Berlusconi secondo il quale i giochi dei partiti hanno portato a scegliere candidati perdenti.
Nel centrodestra, tra l’altro, rimangono poi ancora molti nodi aperti. A parte Verona, la Cdl non riesce a trovare una candidatura comune a sindaco a Frosinone, L’Aquila, Asti. In tutte queste città i centristi hanno proposto un loro uomo e non vogliono sentir ragione. «In periferia - ha detto ieri Casini dopo una riunione con i senatori - ognuno fa ciò che ritiene opportuno». Certo, ha aggiunto, «sarebbe meglio presentare liste di centrodestra: è nell’interesse comune». Ma a taccuini chiusi, l’ex presidente della Camera ha precisato: «Se dopo il voto sull’Afghanistan Fi, An e Lega volessero metterci in un angolo, avrebbero pane per i loro denti».
Per la verità nell’Udc più di qualche dubbio affiora sulla conseguenze che potrà avere nelle urne di maggio quello che in Forza Italia definiscono il «follinismo moderato» di Casini. A essere preoccupati sono soprattutto quegli esponenti centristi impegnati nelle regioni rosse o in quei comuni del Sud dove il centrosinistra è forte e gli elettori del centrodestra non vogliono sentir parlare di divisioni. «Attenzione - ha detto ieri alla riunione dei senatori Udc il toscano Medo Poli - che con gli elettori possiamo pagarla la nostra presa di distanza da Forza Italia e An». Gli è stato spiegato dallo stesso Casini che tra qualche giorno questa divisione sarà dimentica: «Le Amministrative sono ancora lontane. In mezzo c’è il nostro congresso. E poi dovranno essere Berlusconi e Fini a spiegare ai nostri elettori perché hanno cambiato idea in 24 ore».


Noipress.it 27-3-2007 Bankitalia: rivedere soglie usura, penalizzanti per clientela debole

 

La fissazione di soglie rigide, oltre le quali i tassi di interesse possono essere definiti tassi usurari finisce per aiutare l’usura.
L’affermazione, apparentemente paradossale, è stata fatta oggi nel corso di un’audizione al Senato da Giovanni Carosio, vicedirettore di Bankitalia.

“In un quadro positivo per la disponibilità del credito – ha spiegato Carosio- il meccanismo dei tassi di soglia”ha avuto effetti distorsivi fra categorie di finanziamento e di intermediari e può aver ristretto l’offerta di credito proprio alle fasce di clientela a maggior rischio, più esposta all’usura”.

Di qui la proposta di superare il meccanismo introdotto altre 10 anni fa dalle legge sull’usura sostituendolo, come già avvenuto in quasi tutti i Paesi sviluppati, con la discrezionalità delle banche.
Queste potranno selezionare meglio i clienti e fissare i prezzi del credito, tenendo effettivamente conto del costo del rischio.

Insomma la soglia rigida verrebbe sostituita dalla fissazione di tassi di interesse commisurati al potenziale debitore.


Il Corriere della sera 28-3-2007 L'errore del cavaliere di Pierluigi Battista

 

Il 26 marzo del 1999 Silvio Berlusconi, nel discorso parlamentare sulla guerra del Kosovo, dichiarò che non sarebbe mancato il sostegno dell'opposizione al governo D'Alema, pur «privo di maggioranza in politica estera», giacché questa scelta rappresentava il dovere inderogabile «che spetta all'opposizione quando sono in gioco gli impegni non del governo ma del Paese». Ma ieri il leader di Forza Italia, in circostanze analoghe se non identiche, non ha voluto attenersi al principio proclamato con solennità esattamente otto anni fa, e ha incassato con un solo gesto due risultati negativi. Ha voltato le spalle a un decreto la cui approvazione era stata richiesta addirittura dall'ambasciatore americano in Italia. E ha dimostrato che in Senato, pur tra mille peripezie e acrobazie, il governo Prodi ha conservato una maggioranza autosufficiente, anche prescindendo dall'apporto dei venti senatori dell'Udc che hanno votato sì. Il mito della spallata, galvanizzante e capace di mobilitare la piazza, ha abbagliato i leader del centrodestra, inducendoli a pensare che la maggioranza, paralizzata dai suoi contrasti interni, si sarebbe miracolosamente liquefatta. Solo così si spiega la piroetta con cui la Casa delle Libertà ha rinnegato il voto favorevole alla Camera accordato una manciata di giorni fa.

E si spiega la concitazione frettolosa con cui Silvio Berlusconi ha riposto quella linea di condotta abbracciata otto anni orsono, e che sanciva la preminenza degli interessi nazionali su quelli di uno schieramento. A lenire le ferite di una sconfitta che non era scritta nel destino non provvederà nemmeno la caccia al capro espiatorio, l'accusa a Pier Ferdinando Casini di aver proditoriamente «salvato» il governo. I numeri dicono che le cose stanno diversamente e Prodi esce paradossalmente rafforzato da un braccio di ferro che l'opposizione ha affrontato senza calcolarne rischi e contraddizioni. Casini può legittimamente obiettare che, rispetto al voto della Camera, a cambiare posizione non è stato lui, ma il resto dell'opposizione, passato inopinatamente da un voto favorevole all'astensione. Il governo può a sua volta sostenere che l'accoglimento di un ordine del giorno del centrodestra in cui si chiedeva un irrobustimento della sicurezza militare dei soldati in Afghanistan dimostra il rifiuto di una logica di contrapposizione assoluta. La comunità internazionale, in primo luogo gli Usa e la Gran Bretagna, possono invece rammaricarsi perché la richiesta all'Italia di non lesinare sforzi e risorse quando in Afghanistan si è alla vigilia di uno scontro decisivo con i talebani non ha potuto contare su un'opposizione che aveva fatto della solidarietà atlantica un tratto identitario. L'opposizione (o le due opposizioni, come oramai appare incontestabile) avrà motivo di riflettere su una scelta che non è stata in grado di ottenere nemmeno uno dei risultati che si prefiggeva. Alla maggioranza di governo, passato lo spavento, non converrà contemplarsi nella sensazione di un'autosufficienza ritrovata, ma pur sempre gracile e vulnerabile. La seconda guerra di Kabul imporrà ancora dilemmi drammatici, non esorcizzabili con il ricorso a sofisticate tattiche parlamentari. Con la speranza che maggioranza e opposizione riescano a capirlo prima che sia troppo tardi.

28 marzo 2007

 


Italia Oggi 28-3-2007 Ecofin, intesa sui servizi pagamento McCreevy: buon compromesso.

 

Semaforo verde dai ministri alla direttiva che ora dovrà passare all'esame dell'Europarlamento. Accordo su fusioni bancarie Il consiglio Ecofin ha raggiunto ieri un accordo politico sulla direttiva servizi di pagamento che mira a regolamentare gli aspetti del mercato dei servizi di pagamento, introducendo nuovi soggetti in grado di effettuarli. I ministri dell'economia e delle finanze hanno infatti adottato all'unanimità il testo di compromesso sulla direttiva che ha come obiettivo di rendere i pagamenti transfrontalieri nell'Ue con carte di credito, bancomat, trasferimenti elettronici e altri messi altrettanto facili e sicuri dei pagamenti nazionali all'interno di uno stato membro, creando il fondamento legale per rendere possibile l'area unica dei pagamenti, Sepa. Ora il testo dovrà passare all'esame dell'Europarlamento. 'Si tratta', ha spiegato il commissario al mercato interno Charlie McCreevy, 'di una pietra miliare decisiva per fare dell'area unica dei pagamenti una realtà. è un buon compromesso e contribuisce a realizzare gli obiettivi congiunti di un'apertura del mercato e di una protezione dei consumatori. Avere pagamenti facili e veloci porterà a grandi risparmi per l'economia europea e a benefici pratici e concreti per i consumatori. L'introduzione dei primi strumenti del Sepa giungerà tra meno di dieci mesi. Questo accordo unanime invia un segnale positivo a tutti coloro, e sono molti, che credono nel Sepa e che hanno già molto investito in essa. Aspetto con ansia le decisioni dell'Europarlamento e spero che l'adozione finale della direttiva giunga il prima possibile'. La direttiva sui servizi di pagamento, proposta dalla Commissione nel dicembre del 2005, punta a garantire un accesso equo e libero al mercato dei pagamenti e ad aumentare la protezione dei consumatori. Attualmente ciascuno stato membro ha le sue proprie regole per i pagamenti, e i costi, in questo sistema frammentato, sono tra il 2 e il 3% del pil. I fornitori di servizi sono nella effettiva impossibilità di competere e offrire i loro servizi in tutta Europa. Rimuovere queste barriere potrebbe portare a un beneficio di 28 miliardi di euro all'anno. La direttiva garantirà che i pagamenti elettronici vengano eseguiti entro un giorno al massimo, aprendo la via a un calo dei prezzi e a un aumento della scelta grazie a un aumento della concorrenza.Ieri i ministri dell'economia e delle finanze dell'Unione europea hanno anche raggiunto un accordo politico sulla direttiva bancaria, che dovrà ora passare all'esame del Parlamento europeo per poi essere approvata definitivamente dal consiglio. Il testo, relativo alle fusioni nel settore bancario, punta a far sì che politici e banche centrali non abbiano troppo potere per bloccare le operazioni di fusione e acquisizione con cui non sono d'accordo. Alcune banche centrali possono attualmente bloccare, o quantomeno ritardare, le operazioni se ritengono che il nuovo acquirente di una banca possa danneggiare la stabilità finanziaria del loro paese. Le nuove regole servono ad arginare questa tendenza, stabilendo tempi più brevi per le decisioni dei supervisori bancari sulle offerte e fissando standard comuni per sondare la reputazione dell'acquirente e la sua solidità finanziaria. Le modifiche sono state messe a punto dopo il 'caso Fazio' e le polemiche legate alle discriminazioni degli investitori stranieri nelle banche italiane. Le prospettive dell'economia. Nel corso del vertice è stato fatto anche il punto sull'andamento dell'economia. Alti prezzi del petrolio e la debolezza del dollaro statunitense sono i rischi più importanti secondo il ministro delle finanze olandese, Wouter Bos. Più ottimista il ministro austriaco, Wilhelm Molterer, che ha descritto i rischi come 'bilanciati', aggiungendo che l'economia europea non mostra alcun segno di rallentamento. Molterer ha quindi spiegato che 'non ci sono problemi reali con l'inflazione'. Jean-Claude Juncker, ministro del Lussemburgo, ha detto che è ancora troppo presto per capire se il rallentamento del mercato immobiliare Usa si rifletterà anche nella Ue.La situazione italiana. Anche se le entrate finanziarie si sono rivelate maggiori del previsto, l'Italia dovrà effettuare, con la prossima Finanziaria, dei correttivi di bilancio pari allo 0,5%. Lo ha dichiarato il commissario europeo all'economia, Joaquin Almunia, riferendosi alle regole ben precise previste in questo senso dal patto di stabilità. Lunedì sera, in seno all'Eurogruppo, è stato registrato un consenso nell'approfittare della congiuntura economica favorevole per accelerare i tempi del risanamento delle finanze pubbliche. Nel corso della conferenza stampa finale, il presidente di turno, il tedesco Peer Steinbrueck, ha tenuto a precisare: 'Non è stata presa alcuna decisione, è stato registrato un accordo ad approfittare di questo periodo favorevole per fare maggiori progressi, ma nessuno sarà costretto a fare di più dello 0,5% previsto'.

 


L’Unità 28-3-2007  I soldi e i partiti un'odissea democratica Sergio Boccadutri*

*Tesoriere nazionale Rifondazione comunista.

 

Il Tesoriere nazionale dei Ds, Ugo Sposetti, è intervenuto recentemente sulle colonne dell'Unità interrogandosi sui partiti, sul loro ruolo e funzionamento. Ritengo la sua riflessione utile ed importante, anche per il metodo col quale ripropone questioni che da troppo tempo sono agitate con eccessiva demagogia, anziché essere discusse con la necessaria cura e attenzione. A provocare la riflessione di Sposetti è stata anche una recente iniziativa legislativa di Pierluigi Castagnetti sull'attuazione dell'art 49 della nostra Costituzione e la democrazia interna dei partiti, che ha il pregio di affrontare il tema anche sul versante normativo. Credo che il merito della discussione sia rilevante non solo relativamente all'oggetto specifico del progetto di legge, ma anche rispetto alle vicende politiche che attraversano oggi la sinistra italiana. Infatti gli interrogativi sul ruolo dei partiti e dei movimenti politici, così come il delicato tema del finanziamento delle loro attività sono, non solo attuali, ma utili a ritrovare il filo perduto del loro rapporto coi cittadini e della partecipazione alla politica. E sono domande che cercano una risposta nella capacità dei partiti di saper leggere e affrontare i fenomeni e i problemi sociali fuori dall'autoreferenzialità, nel loro ruolo nell'assicurare parità di accesso alle istituzioni alle donne e nel formare i propri gruppi dirigenti. Insomma se è vero che l'articolo 49 della nostra Costituzione interpreta ancora un'importante e fondamentale modalità di partecipazione nella democrazia, nel contempo è altrettanto vero che i partiti vivono da anni una profonda crisi, di partecipazione e di ruolo. Proprio per questo, proprio per mettere i partiti nella condizione di discutere di sé, di affrontare con franchezza la propria crisi, di produrre innovativi strumenti e regole di partecipazione, soprattutto nella definizione delle proprie scelte, che condivido l'idea che a 60 anni dalla Costituente, sia oggi possibile affrontare anche con un intervento normativo il nodo che a quel tempo si volle - consapevolmente - non disciplinare: il tema della loro democrazia interna. Proprio la forza e il ruolo dei movimenti, la molteplicità delle forze associative e di volontariato che aggregano migliaia di giovani e la contemporanea diffidenza giovanile nei confronti della politica, chiede che i partiti abbiano nuove regole trasparenti, certe, di garanzia e di partecipazione. È ovvio che il tema del finanziamento dei partiti nell'attuazione dell'art 49 è anch'esso argomento di discussione centrale; discussione che non deve essere soltanto relegata ai tesorieri. La politica costa, così come la democrazia, e assicurare ai cittadini la possibilità di partecipare alla politica a prescindere dalle condizioni economiche è ormai un dato che dovrebbe essere acquisito. Ma così non è, e concordo con Sposetti che i continui attacchi alle forme di sostegno pubblico ai partiti in realtà nascondano un'idea pericolosa, un'idea per cui la politica si determina intorno a singoli individui o gruppi di pressione capaci di muovere interessi e ingenti risorse fino a piegare l'interesse pubblico a quello privato. E allora non è questo un tema che deve affrontare tutta la politica e non soltanto chi, nei partiti, ne è più direttamente coinvolto? E la politica deve farlo con chiarezza e senza ipocrisie, affrontando quei problemi che definiti "costi della politica" in realtà sono altro, piuttosto costi di "governo della politica" o, nei casi peggiori, costruzione di clientele e filiere di interessi privati. Insomma è necessario intervenire con determinazione contro la moltiplicazione di consulenze e di incarichi super-retribuiti, soprattutto a fronte di scadenti risultati, e le inutili duplicazioni di funzioni a danno dell'efficienza dei servizi ai cittadini. Ma anche evitando insopportabili pratiche come quella di non regolarizzare il rapporto di lavoro dei collaboratori parlamentari. In questo caso mi chiedo perché le Camere non adottino misure affinché le risorse inerenti al rapporto eletto ed elettori siano erogate sulla base di spese documentate. Ad esempio contratti di affitto (nel caso di un ufficio parlamentare nel collegio) o un contratto di lavoro (nel caso di un collaboratore). Solo così la discussione potrà essere riportata sul terreno più autentico, quello della necessità di dotare i partiti e i movimenti politici (luoghi di democrazia e partecipazione) degli strumenti necessari alla loro attività oltre il periodo elettorale. È ovvio che al sostegno economico dello Stato debbano corrispondere la trasparenza nei bilanci, nella gestione delle risorse in campagna elettorale (nel rispetto delle leggi già esistenti in materia), nella pubblicità dei contributi privati. Insomma, è meglio avere partiti ben finanziati sulla base di regole chiare che partiti "deboli" e poco trasparenti. E insieme si potrebbero prendere alcune misure affinché i partiti possano autofinanziarsi con una strategia di grandi cifre in piccole somme, aumentando la quota della detrazione dell'Irpef per i contributi che in un anno non superino un determinato tetto. Infine, sempre nel quadro di norme certe, la discussione sulle risorse deve affrontare anche due esigenze: la partecipazione delle donne e dei giovani alla politica e la formazione. Sulla partecipazione delle donne alla politica nel tempo si sono compiuti alcuni passi importanti, ma è ancora tanta la strada da percorrere; così come dare ai partiti strumenti specifici per la formazione è oggi necessario, proprio nell'ottica di evitare un'insopportabile riproduzione per cooptazione dei gruppi dirigenti. Forse da qui, proprio da una maggiore capacità dei partiti di destinare risorse alla formazione politica, intesa anche come libero confronto e finalizzata a condividere competenze, che può nascere un rinnovato interesse nei loro confronti e una nuova percezione degli stessi partiti quali strumenti di partecipazione dei giovani alla politica come lo sono stati per un lungo periodo, dopo la Liberazione nella storia del paese. Ma rimango convinto che, sempre e comunque, resta centrale il principio che le sorti della politica e di una maggiore partecipazione non possono essere affidate esclusivamente al finanziamento dei partiti, quanto piuttosto alla capacità della politica e dei partiti, in particolare oggi di quelli di sinistra, di suscitare interesse attorno ad una rinnovata battaglia delle idee sui grandi temi del lavoro e della precarietà (soprattutto dei giovani), dell'inquinamento e del clima, dei diritti e dell'accesso ai diritti, una battaglia insomma per contrastare le sempre più evidenti disparità sociali e affrontare efficacemente la questione ambientale che non può essere più relegata ai dibattiti tra specialisti. Insomma i partiti devono anche fare i conti, oltre che con le proprie risorse, con la sostanza delle loro proposte, e di quanto esse possano essere realmente percepite come migliorative delle condizioni di vita delle donne e degli uomini. Trasparenza nei bilanci e visibilità dei finanziamenti dunque, ma soprattutto recuperare il valore della politica come partecipazione dei giovani, donne e uomini, come battaglia delle idee, perché è illusorio ritenere che la certezza delle risorse finanziarie possa sostituire la ricchezza dell'agire politico sui grandi temi dell'Italia di oggi.

 


Gazzetta del Sud 28-3-2007 Corruzione Ue, coinvolto l'assistente di un eurodeputato italiano

BRUXELLES Corruzione, associazione a delinquere, violazione del segreto professionale e delle leggi sui mercati pubblici: questi i principali reati ipotizzati dalla procura belga che, in seguito ad una denuncia dell'Olaf, l'ufficio europeo-antifrode, ha avviato un'inchiesta a vasto raggio che coinvolge, a vari livelli, un numero non precisato di funzionari europei, ma anche imprenditori e l'assistente di un eurodeputato italiano. L'indagine, avviata tre anni fa, ieri ha portato ad un'operazione di polizia con perquisizioni in Italia, Francia, Lussemburgo e Belgio. Il magistrato, titolare del dossier, Berta Bernardo-Mendez, insieme al sostituto Pascale France, secondo quanto si è appreso dalla procura, sta indagando in particolare sulle operazioni di reperimento di immobili destinati ad ospitare le delegazioni della Commissione europea all'estero e su appalti per l'installazione di sistemi d'allarme degli stessi palazzi. La procura ha precisato che le presunte frodi coinvolgerebbero "funzionari europei della Commissione, così come i dirigenti di società interessate a questi mercati". Le indagini dei magistrati di Bruxelles, in Italia, hanno portato fino a Potenza e da qui è partita un'operazione, a più ampio raggio, che, in collaborazione con i carabinieri, ha interessato Roma, Matera, Frosinone, l'Aquila e Teramo. Perquisizioni in tutte le città coinvolte. Dal lavoro degli investigatori della città lucana sono giunti elementi ritenuti importanti per chiarire alcuni aspetti della vicenda. L'assistente parlamentare, secondo quanto si è appreso a Potenza, è il titolare di una società che avrebbe avuto un ruolo nell'individuazione di edifici da destinare a sedi di rappresentanza dell'Ue, probabilmente in India e in Albania. Anche a Bruxelles è stato perquisito l'ufficio al Parlamento europeo dell'assistente indagato, oltre a non meglio precisate sedi della Commissione europea. (mercoledì 28 marzo 2007).


 

La Gazzetta del Sud. 28-3-2007 Arrestata l'imprenditrice Gina Spallone "Lady Asl" era latitante da tre mesi

 

ROMA È durata poco più di tre mesi la latitanza di Gina Spallone, l'imprenditrice romana appartenente ad una famiglia nota nell'ambito della sanità e più volte finita, nel corso degli anni, al centro di alcune inchieste. Per Gina Spallone, amministratore unico della clinica Annunziatella di Roma, i giudici avevano emesso due ordinanze di custodia cautelare nell'ambito dell'inchiesta della Procura romana sugli ammanchi della sanità laziale. I carabinieri del nucleo operativo di Roma hanno arrestato l'imprenditrice nella tarda serata di avant'ieri a Borgo Sabotino, in provincia di Latina. Gina Spallone era entrata nell'inchiesta conosciuta come quella di "Lady Asl", nel mese di dicembre e le accuse rivolte all'amministratore unico della clinica Annunziatella furono quelle di concorso in corruzione, truffa e falsità materiale in atti pubblici. Con Gina Spallone, latitante fino a lunedì sera, furono coinvolti ed arrestati il responsabile dell'ufficio affari legali della Asl Rm C, Sergio Aiello, la convivente, Sofia Jessuf Mohammed, e Maurizio Porcari, amministratore delegato della società Sacli, che gestisce alcune cliniche della capitale. Gli arresti eseguiti a dicembre su disposizione del gip Luisanna Figliolia facevano riferimento alla tranche delle indagini dei pm Giancarlo Capaldo e Giovanni Bombardieri sulle tangenti che sarebbero state versate da imprenditori a funzionari di Asl romane. Filone che ha fatto registrare decine di arresti e nel quale risultano coinvolti il parlamentare di Forza Italia Giorgio Simeoni, rinviato a giudizio lo scorso 13 febbraio, e l'ex assessore regionale del Lazio Giulio Gargano, condannato a quattro anni e quattro mesi. Secondo l'accusa, Aiello avrebbe "gonfiato" facendoli pagare in alcuni casi due volte, e avallato nella sua veste di capo di ufficio legale dell'Asl Rm/c mandati di pagamento in favore dei due imprenditori arrestati. (mercoledì 28 marzo 2007).


Il Resto del carlino 28-3-2007 Conti liberi e mutui "portatili", liberalizzazioni lumaca ? A due mesi dell'entrata in vigore del decreto Bersani, la strada e' ancora irta di ostacoli di Elena Comelli

 

MILANO IL CAMMINO verso la liberalizzazione dei mutui casa, partito all'inizio di febbraio con l'entrata in vigore del secondo decreto legge Bersani, è ancora lunga. Così come la liberalizzazione dei conti correnti bancari, ormai in vigore da oltre sei mesi. In materia di mutui, il punto nodale è l'eliminazione delle penali per l'estinzione anticipata. Questi costi (in media tra il 12% dell'importo erogato per i contratti a tasso variabile e il 2,5% per quelli a tasso fisso) sono stati aboliti per i contratti stipulati da febbraio in poi. Per i mutui preesistenti, invece, Abi e associazioni consumatori hanno tempo fino al 3 maggio per definire un tetto alle penali: in caso di mancato accordo questo sarà fissato dalla Banca d'Italia. I consumatori puntano ad eliminare del tutto le penali di uscita anche per questi mutui, mentre le banche tirano sul prezzo. Dalla prima riunione si è usciti con un nulla di fatto. Gli altri punti dolenti sono la cancellazione automatica dell'ipoteca, che scatta 30 giorni dopo l'estinzione del contratto con la banca, senza che sia necessaria l'autentica notarile. La portabilità del mutuo, cioè il trasferimento a un'altra banca con la "surrogazione", estinguendo il vecchio mutuo ma conservandone le clausole. A quasi due mesi dall'entrata in vigore del decreto, è stata recepita dalle banche l'eliminazione delle penali, ma sul resto si attende l'intesa Abi-consumatori. Intanto l'iter di conversione in legge è in corso in Parlamento (la fiducia è prevista domani, venerdì il voto al Senato) e presenta numerose novità. Le misure sopra descritte vengono estese dalle banche a tutti gli enti erogatori. E' stata anche introdotta l'esenzione dal pagamento dell'imposta sostitutiva per le operazioni legate alla portabilità dei mutui, con copertura di 2,5 milioni. Ma la principale novità è l'estensione dello stop alle penali per l'estinzione anticipata dei mutui dall'acquisto della prima casa a tutti i mutui contratti da persone fisiche per acquisto e ristrutturazione di immobili adibiti ad abitazione o allo svolgimento di attività economiche e professionali. Anche sulla liberalizzazione dei conti correnti i giochi sono ancora aperti. L'adeguamento al decreto Bersani del luglio scorso è stato proclamato dal sistema creditizio, ma spesso le affermazioni di principio non coincidono con la prassi operativa allo sportello, in particolare sul fronte dell'eliminazione delle spese di chiusura dei conti correnti e dei conti titoli e per quanto riguarda il trasferimento dei dossier titoli ad altro istituto. - -->.


Il Corriere della Sera 28-3-2007 Iraq, il Senato Usa: «Via le truppe dal 2008»

 

La Casa Bianca ha già preannunciato il veto a iniziative del genere

La Camera alta del Congresso vota per il rientro dei soldati a partire dall'anno prossimo. «Deluso» il presidente   

 

WASHINGTON (USA) - Il Senato degli Stati Uniti ha votato 50-48 a favore di un inizio del ritiro delle truppe americane dall'Iraq nel marzo 2008, compiendo un altro passo in direzione di uno scontro diretto con la Casa Bianca. Da parte sua il presidente americano George W.Bush ha espresso «disappunto» per il pronunciamento del Senato ma ha ribadito che porrà il veto a ogni iniziativa del Congresso che preveda scadenze per l'impegno militare in Iraq. «Il presidente esprime il proprio disappunto - ha detto la portavoce Dana Perino - per il fatto che il Senato continui sulla strada di un testo al quale metterà il veto e che non ha alcuna possibilità di diventare legge».
IL PRONUNCIAMENTO DELLA CAMERA - Il voto è una sconfitta comunque per i repubblicani, che in precedenti occasioni in Senato erano riusciti a far naufragare tentativi di far passare indicazioni di date per un ritiro. La Camera nei giorni scorsi ha varato un testo che indicava l'obbligo di avere le truppe a casa entro il settembre 2008. Il Congresso controllato dai democratici ha così inviato un forte segnale di sfida all'amministrazione Bush su una guerra costata già 3.200 vittime americane. Il leader della maggioranza in Senato, il democratico Hanry Reid, ha definito il voto «un messaggio al presidente» aggiungendo che «è arrivato il momento di indicare un nuovo cammino in questa guerra ingestibile». Il voto ha sconfitto un emendamento repubblicano che mirava a rimuovere qualsiasi calendario per il ritiro delle truppe dal voto sul rifinanziamento da 122 miliardi di dollari delle missioni in Iraq e Afghanistan, un provvedimento che dovrebbe venir votato nella sua interezza entro la settimana.
BUSH E IL VETO - La scadenza del 31 marzo 2008 per il ritiro delle truppe, prevista dal testo del Senato, è un «obiettivo» e non un vincolo, come invece è quella del primo settembre 2008 indicata dalla Camera, ma la Casa Bianca ha comunque ripetuto che scatterà il veto contro qualsiasi testo di legge che indichi date per la fine delle operazioni militari.

 


La Stampa 27-3-2007  Iran, gli Usa mostrano i muscoli

 

Il Pentagono invia nel Golfo Persico la task force più imponente dall'invasione dell'Iraq del 2003

NEW YORK
Gli Stati Uniti hanno iniziato oggi nel Golfo Persico le più imponenti esercitazioni della marina militare americana dall’invasione dell’Iraq, nel 2003. Alle manovre partecipano due portaerei, 15 navi da guerra e oltre cento velivoli da combattimento.
«Queste esercitazioni dimostrano la nostra flessibilità e la capacità di far fronte alle minacce poste alla sicurezza marittima» ha affermato il colonnello di marina John Perkins, a bordo della portaerei Stennis. La nave si trova in queste ore a largo della costa degli Emirati Arabi Uniti. «In questo modo - ha aggiunto l’ufficiale - dimostriamo di poter mantenere la sicurezza del mare e proteggere gli scambi con l’economia mondiale».
Dalla Stennis si sono levati in volo oggi più di dieci caccia F7A-18, che hanno simulato attacchi contro convogli navali e aerei nemici. Le manovre della marina statunitense seguono di alcuni giorni l’arresto a largo della foce dello Shatt El Arab, nel Golfo Persico, di 15 marinai della Royal Navy britannica. I militari erano stati arrestati da Guardie della rivoluzione iraniane, con l’accusa di essere entrati nelle acque territoriali della Repubblica islamica. L’Iran ha più volte espresso contrarietà per la presenza militare degli Stati Uniti nel Golfo Persico.


INDICE 27-3-2007

+ AGI 27-3-2007 Gina Spallone, proprietaria di una clinica privata romana, e' stata arrestata

+ Avanti! 26-3-2007 Usa, grana-giustizia per George Bush. Il Ministro Gonzales ha rimosso otto procuratori federali senza la ratifica del Congresso

+ Il Riformista 27-3-2007 L’America tratta e se ne vanta pure di Anna Momigliano

+ La Repubblica 27-3-2007 Poca privacy e troppe distrazioni, tutto il caos degli open space di FEDERICO PACE

Il Corriere della Sera 27-3-2007 LA FORZA VIRTUALE di ALBERTO RONCHEY  1

Da Finanza e Mercati 27-3-2007 I big del credito contro l'ente belga:"Unico responsabile delle operazioni". Le banche italiane scaricano Swfit, il consorzio interbancario messo sotto accusa dalla Ue perché trasferiva i dati sulle transazioni finanziarie dei cittadini europei alle authority degli Stati Uniti d'America. Di Francesco De Dominicis  2

La Stampa 26-3-2007 "Siamo tutti schedati" Il grande incubo Usa L'archivio dell'Fbi cresce ogni giorno di 1500 sospetti PAOLO MASTROLILLI 2

La Repubblica 27-3-2007"Bollette e mutui al supermarket" di ALBERTO D'ARGENIO  3

Il Corriere della Sera 26-3-2007 Bagnasco: «Dico inaccettabili e pericolosi»  4

Il Corriere della sera 26-3-2007 Appalti truccati in Toscana: 33 arresti 4

Il Corriere della Sera 26-3-2007 Belfast, «governissimo» cattolici-protestanti. Il reverendo Paisley sarà il primo ministro, Mc Guinnes il suo vice  5

 


+ AGI 27-3-2007 Gina Spallone, proprietaria di una clinica privata romana, e' stata arrestata

(AGI) - Roma - Gina Spallone, proprietaria di una clinica privata romana, e' stata arrestata ieri pomeriggio dai carabinieri del nucleo operativo di Roma nell'ambito dell'inchiesta sulla sanita' laziale. Gina Spallone era ricercata dal 15 dicembre scorso quando venne raggiunta da due ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip del tribunale di Roma per i reati di concorso in corruzione, truffa, falso materiale in atto pubblico. Gina Spallone e' stata rintracciata a Borgo Sabotino, in provincia di Latina, e trasferita nel carcere romano di Rebibbia. L'inchiesta, nota alle cronache come "Lady Asl" ha portato alla luce diversi episodi di corruzione nei confronti di dirigenti delle Asl di Roma. (AGI) 12:47 27 MAR 2007.


+ Avanti! 26-3-2007 Usa, grana-giustizia per George Bush. Il Ministro Gonzales ha rimosso otto procuratori federali senza la ratifica del Congresso

26/03/2007 Nel dicembre dello scorso anno, il dipartimento della giustizia Usa licenziò, in un solo giorno, sette procuratori, in un'azione sicuramente non illegale, ma certamente abbastanza anomala. Gli esoneri di dicembre seguirono un altro eseguito a giugno. I procuratori federali, che sono 93 in tutti gli Stati Uniti, sono nominati per quattro anni direttamente dal presidente, il quale può revocare la designazione in qualsiasi momento. Il ruolo del procuratore federale è di estrema importanza perché non solo è il massimo responsabile del ministero della Giustizia nel distretto che dirige, ma è anche chiamato a rappresentare gli interessi del governo federale in tutte le cause, sia come accusa, sia come difesa. La nomina dei procuratori federali da parte del presidente è soggetta alla ratifica da parte del Congresso. Tuttavia, attraverso un'interpretazione ampia di un dispositivo introdotto dalla contestata legge antiterrorismo, la "Usa Patriot Act", l'attuale ministro della giustizia, Alberto Gonzales, ha nominato nuovi procuratori federali, in sostituzione degli otto licenziati, senza chiedere la ratifica del Congresso. La via breve, consentita dal Patriot Act, dovrebbe servire per sostituire un procuratore, eccezionalmente, solo in caso di emergenza nazionale, il che non sussiste nel caso degli otto procuratori rimossi dall'amministrazione Bush. Le nomine fatte da Gonzales, senza l'approvazione del Congresso, hanno creato gran malumore sia nel Senato, sia nella Camera dei rappresentanti. La rimozione dei procuratori non sarebbe particolarmente eccezionale se si trattasse di un avvicendamento a inizio del mandato presidenziale, come quando il neo eletto presidente Bill Clinton, nel marzo 1993, sostituì tutti i 93 procuratori in una sola volta. Quest'avvicendamento dei giudici non avrebbe destato alcun interesse se avesse fatto parte di un piano di successione annunciato a inizio del secondo mandato del presidente Bush nel 2004. Sembrerebbe, invece, che i licenziamenti siano politicamente motivati e che le teste dei procuratori siano state chieste proprio da esponenti del Partito repubblicano e dai più stretti collaboratori del presidente, particolarmente stizziti dalla poca collaborazione che i procuratori hanno manifestato, rifiutando di indagare e indiziare politici democratici o di rallentare indagini contro esponenti repubblicani. Secondo molti osservatori, la sconfitta repubblicana nelle elezioni di mid-term dello scorso novembre è da attribuire non solo alla guerra in Iraq, ma anche al coinvolgimento di diversi esponenti repubblicani in indagini riguardanti la corruzione e altri comportamenti immorali. L'evento dei licenziamenti, deprecabile ma irreprensibile da un punto di vista istituzionale, non troverebbe interesse nell'opinione pubblica americana se non fosse attorniata dalla questione della trasparenza e dalla nota ripulsione dell'opinione pubblica americana verso le bugie. Si ricorda che il presidente Bill Clinton ebbe più guai per le bugie dette sotto giuramento a riguardo della scappatella con Monica Lewinski, che per l'avventura stessa. Così, anche per il ministro Gonzales, e per l'intera amministrazione Bush, si profila una difficile situazione nei rapporti con l'opinione pubblica, non tanto per il licenziamento degli otto giudici, bensì per le contraddizioni e le apparenti bugie che circondano il caso. Gonzales è accusato di aver mentito, dopo che alcune prove scritte, emerse negli ultimi giorni, hanno palesemente contraddetto la versione presentata in una conferenza stampa del 13 marzo, dove il ministro negava di aver partecipato alla decisione di licenziare i procuratori. Dalla lettura di oltre 3.500 pagine, emerge che non solo Gonzales, ma anche altri collaboratori stretti del presidente Bush, fra cui l'onnipresente Karl Rove, hanno partecipato alla decisione di rimuovere i procuratori. Secondo il senatore democratico di New York, Charles E. Schumer, "un buon avvocato confermerebbe che, quando una storia continua a cambiare, è perchè di solito c'è qualcuno che ha qualcosa da nascondere". Secondo il senatore della Pennsylvania, Arlen Specter, che è anche il membro anziano dei repubblicani nella commissione giustizia del Senato, "abbiamo bisogno di un ministro della Giustizia candido e veritiero e se crediamo che non sia così, questo sarebbe un motivo molto convincente affinché non rimanga al suo posto". Il Congresso, in mano democratica da gennaio di quest'anno, non intende lasciare la presa, e ha ormai deciso di chiamare a testimoniare, sotto giuramento, diversi collaboratori del presidente, tentando anche di scavalcare la regola non scritta denominata "executive privilege", dietro la quale i presidenti cercano di evitare che i loro più stretti collaboratori possano essere chiamati a divulgare notizie strettamente confidenziali e di pertinenza del presidente stesso. Lo scontro istituzionale va verso un "mezzogiorno di fuoco" con il ramo legislativo in pieno assetto da guerra contro il ramo esecutivo. In assenza di un compromesso che eviti che i più stretti collaboratori del presidente Bush siano citati in giudizio dinnanzi al Congresso, sarà necessario un intervento della Corte Suprema per decidere se i collaboratori del presidente possano rifiutare di testimoniare. Il ministro Gonzales è al centro di un fuoco incrociato, dove a sparare non sono più solo i democratici, ma anche quei repubblicani che vogliono distanziarsi il più possibile dal governo Bush, prevedendo che il potenziale scandalo possa continuare fino al cuore dell'imminente campagna elettorale per le presidenziali del 2008. Nel frattempo, il presidente Bush ha riaffermato sabato scorso la sua totale fiducia e stima in Gonzales, esattamente come fece a novembre dello scorso anno con l'ex ministro della difesa Donald Rumsfeld, il quale, pochi giorni dopo aver incassato la fiducia e la stima presidenziale, diede le dimissioni. Forse anche per Gonzales si profila, fra pochi giorni, un licenziamento con tanta "stima e fiducia".


+ Il Riformista 27-3-2007 L’America tratta e se ne vanta pure di Anna Momigliano

Trattare con gli insorti? Gli americani lo hanno già fatto, in Iraq. Un’amnistia per le varie fazioni guerrigliere? È un passo necessario per la pacificazione. Questo spiega l’ambasciatore americano a Baghdad, Zalmay Khalilzad, in un’intervista pubblicata ieri in prima pagina sul New York Times, in cui racconta, tra l’altro, di avere seguito personalmente le trattative con «i principali gruppi di insorti», che sarebbero cominciate all’inizio del 2006. Khalilzad non è certo un neofita dei negoziati, né uno sprovveduto: ambasciatore a Kabul dal 2003 al 2005 (egli stesso è di origine afgana), Khalilzad è stato per due anni ambasciatore a Baghdad, e tra meno di una settimana sarà inviato al Palazzo di Vetro per sostituire il falco dimissionario John Bolton (in questo momento la carica è ricoperta da Alejandro Wolff, che però è una sorta di supplente). Alla gestione Khalilzad si devono i primi incontri semi-ufficiali tra diplomatici statunitensi e iraniani, avvenuti proprio a Baghdad nel 2005. A oggi, Khalilzad è il primo rappresentante del governo americano ad avere ammesso pubblicamente di avere intrattenuto negoziati con gli insorti, anche se, stando a quanto riporta Edward Wong sul New York Times, diversi “officials” avevano fatto rivelazioni analoghe sotto condizione di anonimato.
In ogni caso, le dichiarazioni di Khalilzad arrivano a ridosso delle pesanti critiche mosse dal Dipartimento di Stato nei confronti della proposta, lanciata da Piero Fassino, di includere i talebani al tavolo della pace. Sempre in questi giorni, la legge sull’amnistia approvata dal presidente afgano Hamid Karzai, i cui beneficiari dovrebbero essere proprio i talebani, ha suscitato diverse critiche. In effetti, l’apertura dell’ambasciatore Khalilzad nei confronti degli insorti, per metterla con le parole del New York Times, «sembra cozzare con le posizioni ufficiali del Dipartimento di Stato e dello stesso George W. Bush, secondo cui gli Stati Uniti non trattano con gli insorti». In realtà, non è chiaro se il via libera per i negoziati sia arrivato direttamente da Washington. Del resto, la Casa Bianca ha spesso lasciato ampi margini di flessibilità all’operato di Khalilzad, la cui fama di diplomatico pragmatico è cosa nota.
Quel che è certo, è che i negoziati ci sono stati, e che gli incontri segreti tra lo stesso ambasciatore Usa e i leader degli insorti si tenevano in territorio neutrale, in Giordania. Khalilzad racconta di avere compiuto il primo viaggio segreto in Giordania nelle prime settimane del 2006: «Abbiamo intavolato discussioni con rappresentanti dei vari gruppi dopo le elezioni, durante il processo di formazione del governo iracheno, soprattutto prima degli scontri settari a Samarra, ma le trattative sono proseguite anche dopo». L’ambasciatore non specifica fino a quando i negoziati segreti siano proseguiti, né fornisce dettagli sulla natura degli incontri, ma altri rappresentanti Usa hanno raccontato al New York Times, sotto condizione di anonimato, che le trattative sono proseguite durante l’estate. Altri “officials” sostengono invece che alcune forme di trattativa fossero già state sperimentate nel lontano autunno del 2005.
Per il momento, le trattative sono fallite, ma questo non significa che non possano o che non debbano riprendere. Al contrario, Khalilzad si dice convinto della necessità di un’amnistia per gli insorti disposti a gettare la armi: «È una questione cui americani e iracheni devono lavorare insieme, tenendo conto che esistono tanti tipi di amnistie. Ma il punto cruciale, l’obiettivo di porre fine a questa guerra, il più grande tributo che possiamo pagare ai nostri soldati che hanno dato la vita per l’Iraq, sarebbe dimostrare che ciò per cui hanno combattuto è finalmente accettato dai loro stessi nemici».
Un’amnistia come omaggio alle vite dei soldati americani: questo è l’appello lanciato da Zalmay Khalilzad nella sua «intervista d’addio» a Baghdad. Non è chiaro come il suo successore o se la Casa Bianca risponderanno a questo appello. Quel che è certo, invece, è che da qui a pochi giorni Zalmay Khalilzad diventerà il primo ambasciatore americano all’Onu di fede musulmana. E che porterà con sé, al Palazzo di Vetro, una buona dose di pragmatismo.


+ La Repubblica 27-3-2007 Poca privacy e troppe distrazioni, tutto il caos degli open space di FEDERICO PACE

 

Trilli di telefoni e chiacchiere tra colleghi sono le sorgenti di rumore che disturbano di più. E sempre più spesso si è distratti. I risultati di uno studio del Politecnico di Bari negli ambienti di lavoro di impiegati amministrativi, programmatori informatici e ricercatori.

Senza privacy, continuamente distratti, in attesa di un silenzio che non arriva mai. Si sta negli uffici, come passeri sullo stesso ramo di un albero. Vicini gli uni agli altri. Troppo vicini. Ciascuno può guardare nello schermo dell’altro, ciascuno può ascoltare quello che l’altro dice al telefono. Di privacy non se ne parla neppure più. Se qualcuno prova a dire qualcosa per difendere la propria privacy uditiva o visuale è come discutere di fresca brezza nel deserto. Si pensa quasi che ci si voglia nascondere per non fare nulla. Le cose però sono ben diverse. In questi hangar moderni, in questi meravigliosi open space, quello che non si riesce proprio a fare è concentrarsi. C’è sempre qualcuno che dice qualcosa, una telefonata che arriva per qualcuno o un cellulare che squilla o trema con il suo piccolo corpo ansimante sulla scrivania del collega. Senza dire dell’insidioso contagio emotivo che, secondo recenti studi statunitensi, caratterizza questi luoghi aperti.

Ma quali sono le fonti maggiori di disturbo? Telefonate e discussioni. Sono queste le sorgenti di rumore che più di altre danneggiano le attività quotidiane nei moderni ambienti di lavoro. A dirlo è la ricerca realizzata dal dipartimento di Fisica tecnica del Politecnico di Bari, pubblicata sulla rivista "La Medicina del Lavoro", che ha preso in esame 85 luoghi di lavoro e ne ha analizzato il rumore e il grado di disturbo arrecato sugli occupanti e sulle attività svolte. Tra le tipologie di lavoratori coinvolti ci sono soprattutto persone che svolgono attività amministrative (il 69 per cento), programmazione informatica (il 16 per cento) e attività di ricerca (il 15 per cento). Insomma una buona parte dei lavoratori del mondo dei servizi.

Ebbene, nel 31 per cento dei casi la principale causa di disturbo arriva proprio dalle parole pronunciate con noncuranza o a volume troppo elevato (vedi tabella). Si tratta di colloqui di lavoro, di scambi di idee, o anche di discussioni agitate. Tutte cose che tolgono concentrazione a chi a quella discussione non ha alcuna necessità di partecipare.

Altrettanto invasivo si presenta il telefono. Più di un quarto (il 27 per cento) dei lavoratori ha detto di venire disturbato dal mezzo di comunicazione per eccellenza. Tanto più che ora l’invasione di suonerie personalizzate e rumorini originali rende le scrivanie un vero e proprio pullulare di rumori, vibrazioni e suoni che non fanno che privarci di quell’attimo di silenzio che precede sempre una buona idea o un pensiero che sia almeno sensato.

Più confortevoli invece i dati relativi agli impianti di condizionamento che sembrano essere piuttosto silenziosi. Solo il 15 per cento li ha indicati come fonte di disturbo. Seguono le macchine da ufficio (il 13 per cento) e i rumori provenienti dall’esterno (13 per cento).

“Per difendersi dalle parole pronunciate spesso ad alta voce – ci ha detto Ettore Cirillo, docente del Politecnico di Bari e autore dell'indagine (leggi l'intervista integrale) – molti arrivano ad alzare i rumori di fondo. Musica o qualsiasi altro si tratti”. Lo studio ha individuato anche i parametri oggettivi più idonei a caratterizzare il disturbo soggettivo provocato dal rumore.

“Esistono dei rumori particolarmente intensi – prosegue Cirillo - che si riscontano negli ambienti industriali, presi in considerazione dal legislatore che li ha sottoposti a normativa dal 1991. Sono rumori che producono un danno specifico a danno dell’udito. Ma ci sono anche tutta una serie di rumori di livello più basso che rientrano nei nostri ambienti di ufficio che danno fastidio e producono effetti di stress e riducono l’efficienza del lavoro.” Effetti che spesso vengono sottovalutati.

In una recente indagine realizzata dalla Gallup un impiegato su tre ha detto che il rumore disturba frequentemente il lavoro ed è tra chi è infastidito dal rumore che c’è la minore percentuale di persone soddisfatte di quello che fa. Anche perché molti di loro dicono che la loro opinione, ai fini organizzativi, non conta per nulla.

E allora? Si ripropone forse il dilemma che divide i lavoratori tra quelli che preferiscono gli open space e quelli che prediligono gli uffici mono-stanza o cubicolari? Forse no. Tanto che secondo molte indagini oltre otto impiegati su dieci dicono di avere bisogno di potere vedere oltre il proprio ufficio e che le quattro mura non gli fanno affatto piacere. Allora, forse il vero dilemma non è tra open space e closed office, ma piuttosto tra un open space efficace e un open space inefficace. Si tratta quindi di capire se le imprese quando predispongono i nuovi spazi a pianta aperta fanno davvero tutto per fare sì che i pregi di queste modalità logistiche siano davvero sfruttate al meglio.

Che possa bastare poco lo conferma un recente studio ("The effects of window proximity, partition height, and gender on perceptions of open-plan offices") che verrà pubblicato sul numero della rivista specializzata Journal of Enviromental Psychology. Gli autori dell’indagine hanno misurato la soddisfazione dei lavoratori di due diverse aziende con sede nello stesso edificio e si sono accorti che, seppure chi lavora negli open space lamenta un assenza di privacy acustica e visuale che causa un elevato numero di distrazioni e interruzioni indesiderate, chi lavora vicino a una finestra risente meno degli aspetti negativi dell’open space. Ancor più soddisfatti quegli impiegati che, oltre a una finestra, hanno anche un separatore mobile alto circa un metro e quaranta centimetri. In questo modo infatti hanno un buon livello di privacy acustica e visiva e minimizzano le distrazioni e le interruzioni. Alle volte, per lavorare meglio può bastare anche una finestra da cui guardare. E' troppo?


Il Corriere della Sera 27-3-2007 LA FORZA VIRTUALE di ALBERTO RONCHEY

 

La Ue di fronte alla crisi di mezza età Per i cinquant'anni dalla firma del trattato di Roma, che associava i primi sei Stati della Comunità europea, poco prima della Dichiarazione di Berlino il Financial Times ha pubblicato un sondaggio d'opinione dal quale risulta che 44 europei su 100 sarebbero delusi dall'Ue. Non è mai facile valutare il grado d'attendibilità di simili sondaggi, mentre il giudizio sull'Ue sembra specialmente opinabile. Ma oltre il 50 per cento a favore dopo tutto non è poco, anche se l'insularismo britannico estraneo all'euro lo reputa scarso. Volendo prestare ascolto alle opinioni espresse dai lettori che scrivono ai giornali, il comune giudizio è assai articolato. Nessuno trascura di ricordare, come premessa, che la convivenza pacifica pattuita cinquant'anni fa superava secoli di conflitti e odi atavici. Sui risultati raggiunti finora dal mercato interno, si riconosce che la circolazione di merci, servizi, capitali e cittadini comunitari ha funzionato in larga misura. Si lamenta però che l'eurocrazia voglia disporre troppe norme, anche se risponde spesso a sollecitazioni d'interessi economici e sociali da ogni nazione. A Bruxelles risultano accumulate 80 mila pagine di normative, davvero troppe. Sull'euro prevalgono giudizi variabili, secondo i casi. Nel caso italiano, è inutile negare che il cambio della lira in euro ha consentito false percezioni e alterazioni dei prezzi. Ma con l'euro l'economia monetaria italiana è stata costretta, finalmente, a non reggersi più sulle tradizionali e periodiche svalutazioni. Gli effetti del confronto tra tante lingue non sembrano babelici, o troppo gravosi. Le traduzioni scritte o simultanee, secondo dati ufficiali, costano circa l'uno per cento del bilancio Ue. D'altra parte, il basic language angloatlantico assolve ormai compiti estesi di comunicazione sulle reti nazionali e internazionali. Quello strumento è indispensabile, anzi molto apprezzabile, purché non arrivi a sommergere o alterare il patrimonio delle storiche lingue d'Europa con perdite irrimediabili. La massima perplessità sulle prossime sorti dell'Ue deriva dall'elusione di quel progetto costituzionale, che dopo alcuni referendum contrari è accantonato. L'Ue appare pressoché assente poi, senza voce unitaria, nella politica internazionale. Eppure, con la sua lunga storia, carica d'esperienze disparate ma preziose, non può rassegnarsi all'emarginazione. Secondo gli eurottimisti è solo questione di tempo, ma si farà sentire. Sarà così? Eccoci tutti edificati. "Soprassalti d'autostima", commenta Enzo Bettiza su La Stampa . Di fatto, se l'Ue come fenomeno economico e commerciale non è trascurabile, rimane priva d'ogni parvenza di autorità politica. Può reputarsi grande, ma d'una grandezza virtuale e latente. Con la progressiva espansione dai 6 Stati del 1957 a 9-12-15-25 e ora 27, l'Ue sfida la superestensione, con diluizione o vanificazione del potere supranazionale che si voleva. " Europe's mid-life crisis ", crisi di mezza età, secondo la copertina dell' Economist . E anche nell'ipotesi migliore, il successo dell'Ue a tempo differito, l'impresa dell'eurofederalismo insieme con l'espansione comporterà travagli non solo di mezza età, ma prolungati. Come si dice in Russia, "non potete frustare la storia come un cavallo".

 


Da Finanza e Mercati 27-3-2007 I big del credito contro l'ente belga:"Unico responsabile delle operazioni". Le banche italiane scaricano Swfit, il consorzio interbancario messo sotto accusa dalla Ue perché trasferiva i dati sulle transazioni finanziarie dei cittadini europei alle authority degli Stati Uniti d'America.Di Francesco De Dominicis

 

 Ieri summit a Bruxelles tra i vertici delle banche Ue e la Commissione Sullo spionaggio bancario, l'ente belga "è l'unico responsabile" delle operazioni e dei movimenti di dati, si legge in una lettera spedita al ministero dell'Economia dagli esperti degli istituti di credito del nostro Paese, nell'ambito dell'inchiesta avviata dalla Commissione Ue. Un colpo d'accusa decisamente improvviso che, però, suscita qualche perplessità. Le aziende creditizie italiane sostengono infatti di non essere nelle condizioni per poter dare spiegazioni sui passaggi di informazioni tra i vari server del consorzio del Belgio sparsi nel mondo. E che quando è esploso il caso sulle indagini terroristiche estese al database Swift negli Usa - a giugno dello scorso anno - ne sarebbero venute a conoscenza solo grazie alle notizie diffuse "dalla stampa" internazionale. Una posizione un po' curiosa, insomma, visto che alcuni manager del mondo bancario italiano sono alla guida della filiale di Swift nella Penisola. La partita si va facendo sempre più delicata e proprio per questa ragione le banche auspicano una "soluzione politica", secondo quanto riportato in un documento che circola in ambienti finanziari. E in questo senso, il commissario Ue alla Giustizia, Franco Frattini, ha avviato da qualche settimana un contatto diretto con Washington. Obiettivo è trovare un accordo diplomatico per mettere fine agli accessi senza limiti della Cia ai server Swift americani, dove inspiegabilmente (pre ora) l'ente belga copiava tutte le informazioni sulle transazioni eseguite a livello mondaile. Bruxelles, comunque, auspica che le informazioni riguardanti i cittadini dell'Unione europea transitino solo su sistemi informativi del Vecchio continente. La questione è stata ieri pomeriggio al centro di un summit a Bruxelles. Si è trattato del primo faccia a faccia tra i tecnici della Commissione e i vertici della Fbe, la federazione bancaria che rappresenta tutti gli istituti europei, chiamati a dare spiegazioni sul trattamento delle norme sulla protezione dei dati personali.

 


La Stampa 26-3-2007 "Siamo tutti schedati" Il grande incubo Usa L'archivio dell'Fbi cresce ogni giorno di 1500 sospetti PAOLO MASTROLILLI

NEW YORK
Si chiama Tide, come la marea che alza tutte le barche, ma dietro questa sigla poetica si cela il più grande archivio antiterroristico del mondo. Una specie di «Grande Fratello» planetario, che ogni giorno aggiunge alle sue liste nere circa 1500 persone. Il velo lo ha alzato il Washington Post, rilanciando il dibattito che dall'11 settembre del 2001 obbliga i cittadini Usa ed europei a riflettere: quanta privacy e libertà siamo disposti a perdere, in cambio della sicurezza?

I nomi di alcuni terroristi a bordo degli aerei dirottati erano noti e ricercati, ma non erano stati passati a chi avrebbe dovuto bloccarli all'imbarco. Per evitare di ripetere questo errore è stato creato il Terrorist Identities Datamart Environment (Tide), ossia la banca dati degli individui sospettati di voler colpire gli Stati Uniti. Il problema è che la lista è diventata così lunga da essere quasi ingestibile, mentre gli sbagli d'identità e il sospetto di violazioni della privacy spingono i critici a rimetterla in discussione.

Nel 2003 Tide aveva circa 100.000 files: oggi sono 435.000. Riguardano in prevalenza stranieri, ma includono anche un 5% di americani con collegamenti internazionali sospetti. Ogni giorno le agenzie Usa mandano informative al National Counterterrorism Center di McLean, in Virginia, sede del progetto. Ottanta analisti ricevono migliaia di messaggi, che spesso riportano solo voci. Le verificano, per quanto possono, e alle 10 di sera riversano le informazioni nel Terrorist Screening Center dell'Fbi. Il Bureau ci somma i nomi degli americani senza connessioni internazionali che preoccupano lo stesso, e alla fine di ogni giorno tra mille e millecinquecento persone vengono aggiunte all'archivio dei soggetti pericolosi. Questi dati poi passano alle varie agenzie competenti su settori specifici, tipo la Transportation Security Administration, che li usa per aggiornare la sua lista di circa 30.000 individui a cui è vietato salire su un aereo.

I guai più frequenti sono legati agli errori di identità. Ad esempio Catherine Stevens, moglie del senatore repubblicano dell'Alaska Ted, è finita sulla lista nera perché il computer pensa che sia Cat Stevens. Il famoso cantante non può volare negli Usa per motivi mai rivelati, e questo è un altro problema serio: le modalità della proscrizione sono segrete e i critici temono abusi della privacy. Per un errore simile, provocato da informazioni sbagliate fornite dal Canada, il siriano Maher Arar si è fatto un anno di prigione. Ottawa però ha riconosciuto la colpa e lo ha risarcito con nove milioni di dollari. L'archivio, infine, sta diventando così grande, che lo stesso direttore Russ Travers ammette di avere difficoltà nell'usarlo.

Il dilemma fra libertà e sicurezza si è ingigantito dopo l'11 settembre, e lo aggravano anche notizie come quella pubblicata ieri dal New York Times, secondo cui la polizia della città spiò migliaia di persone in America ed Europa prima della Convention repubblicana del 2004, in cui vennero arrestati 1806 dimostranti. Sotto la lente finirono anche gruppi musicali e artisti, mentre lo studente Joshua Kinberg andò in prigione, colpevole di aver progettato una bicicletta burla per andare in giro a fare scritte cancellabili sui muri.

 


La Repubblica 27-3-2007"Bollette e mutui al supermarket" di ALBERTO D'ARGENIO

Oggi giornata decisiva per le due direttive comunitarie
sul sistema creditizio. Indicazioni anche per le regole sulle Opa

In Italia il bancomat rincara


BRUXELLES - Tra due anni sarà possibile pagare le bollette direttamente al supermercato o con il cellulare. Lo prevede la direttiva Ue sui servizi di pagamento che, salvo sorprese, sarà approvata oggi dai ministri dell'Economia dell'Unione europea riuniti a Bruxelles per la riunione mensile dell'Ecofin. E sempre i Ventisette sono chiamati a dare il via libera definitivo alla direttiva bancaria messa in cantiere due anni fa dal commissario Ue al Mercato interno, Charlie McCreevy, sull'onda del caso Fazio.
Scopo della prima direttiva è quello di creare un'area unica di pagamento in cui valgano le stesse regole e le stesse modalità in tutta l'Unione europea. Una delle novità principali è l'ingresso nel mercato dei pagamenti di nuove istituzioni finanziarie. In pratica, per fare un'operazione d'ordinaria amministrazione - come pagare una bolletta (gas, luce, acqua o telefono) o l'affitto - non si dovrà più fare per forza riferimento ad una banca o all'ufficio postale, ma sarà possibile rivolgersi ad altri soggetti, come i supermercati (cosa già possibile in Gran Bretagna). Naturalmente i nuovi operatori dovranno sottostare a regole ben precise e potranno operare solo se dimostreranno di essere in grado di rispettare una serie di criteri di affidabilità e di efficienza. I pagamenti, poi, potranno essere effettuati anche con il cellulare.
La direttiva farà sparire le frontiere per i pagamenti all'interno dell'Ue, con regole e modalità di lavoro uguali per tutti: bollette e contravvenzioni potranno essere pagate anche dall'estero, così come sarà possibile usare in tutta Europa la propria carta di credito o il bancomat grazie all'introduzione obbligatoria di chip e codice personale al posto della banda magnetica. I pagamenti transfrontalieri, poi, dovrebbero essere soggetti a un tempo di esecuzione massimo di un giorno. Insomma, una liberalizzazione che partirà dal novembre 2009 con l'obiettivo di abbassare i costi dei pagamenti bancari che, per via della mancanza di uno spazio unico europeo, bruciano ogni anno il 2-3% del Pil europeo.
Il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa ha sottolineato che le banche italiane non dovrebbero avere contraccolpi in quanto "non si troveranno in svantaggio perché il nostro sistema è uno dei più avanzati d'Europa".
Sempre oggi i ministri Ue sono chiamati ad approvare in via definitiva la controversa direttiva per rendere più chiare e trasparenti le regole su scalate o fusioni bancarie tra un Paese e l'altro. Sono state soprattutto le vicende italiane di due estati fa - le Opa straniere su Antonveneta e Bnl - ad imprimere un'accelerazione verso la formulazione di nuove regole per mettere fine alle tentazioni di protezionismo bancario. Per farlo si fissano regole precise sui poteri di controllo e vigilanza delle banche centrali: viene indicato un termine di massimo 60 giorni per la valutazione che l'Autorità deve dare sulle operazioni di acquisizione; vengono introdotti cinque criteri per valutare la posizione dell'acquirente (come reputazione e solidità finanziaria); vengono dati più poteri alla Commissione Ue per in modo da scoraggiare possibili interferenze politiche.
Ieri intanto l'Adusbef ha denunciato che in Italia "le banche, nonostante gli impegni assunti con l'Antitrust, continuano ad aumentare i costi dei conti correnti, i più alti del mondo, e le commissioni sui prelevamenti bancomat da altra banca, che passano da 1,81 euro a 2,10 euro, con un rincaro secco del 16%".


Il Corriere della Sera 26-3-2007 Bagnasco: «Dico inaccettabili e pericolosi»

«La Nota sulle unioni di fatto»? Ci sarà e sarà serena e autorevole»

Duro affondo del neo presidente della Cei contro il disegno legilativo del governo. «Pieno appoggio al family day»

Mons. Angelo Bagnasco, presidente della Cei (Emblema)

ROMA - Il disegno legislativo sulle unioni di fatto è «inaccettabile sul piano dei principi, ma anche pericoloso sul piano sociale ed educativo». Non usa mezzi termini il nuovo presidente della Cei, mons. Angelo Bagnasco, per rilevare «la convergente, accorata preoccupazione espressa dai Vescovi» in materia di Dico. «Personalmente - ha detto Bagnasco al primo Consiglio permanente della Cei da lui presieduto - posso solo dire che apprezzo quanto da parte cattolica è stato fatto, impegnandomi ad assumerlo e a svilupparlo». Quanto all'attesa Nota sui Dico, annunciata dal cardinal Camillo Ruini prima di lasciare la guida Cei, Bagnasco promette che sarà di «serena, autorevole illuminazione sulle circostanze odierne». «Nell'attuale sessione del Consiglio Permanente - ha confermato Bagnasco aprendone i lavori - metteremo a punto una Nota pastorale che, ponendosi sulla stessa linea di ciò è stato fatto in passato in altre cruciali evenienze, possa essere di serena, autorevole illuminazione sulle circostanze odierne».

MATRIMONIO - Il Presidente della Cei ha poi ribadito con forza l'impegno della Chiesa per sostenere la famiglia fondata sul «matrimonio sacramentale» che «si iscrive nel disegno primigenio del Creatore: maschio e femmina li creò, disegno che noi siamo parimenti impegnati ad annunciare e servire». Gli interventi dunque della Chiesa cattolica per difendere la famiglia tradizionale non sono «un'invadenza di campo», «un gesto indelicato» o «spropositato» né, tantomeno, «una ricerca di potere temporale».

FAMILY DAY - Il presidente della Cei ha infine riconfermato l'appoggio dei vescovi italiani alla manifestazione del prossimo 12 maggio in favore della famiglia, indetta dalle associazioni cattoliche ed ecclesiali. Bagnasco ha osservato: «Si tratterà di una festa della famiglia, come è successo anche in altri Paesi. Come vescovi non possiamo che apprezzare questo dinamismo volto al bene comune».

26 marzo 2007

 


Il Corriere della sera 26-3-2007 Appalti truccati in Toscana: 33 arresti

Ipotesti di reato: associazione a delinquere, corruzione e abuso d'ufficio

In manette tecnici degli uffici amministrativi e imprenditori: avrebbero manipolato decine di gare pubbliche                                        

 

FIRENZE - I carabinieri di Firenze hanno eseguito, tra il capoluogo toscano e Prato, 33 misure cautelari in carcere, agli arresti domiciliari e dell'obbligo di firma nei confronti di tecnici della pubblica amministrazione e di imprenditori. Per l'accusa gli stessi sarebbero coinvolti in un' associazione a delinquere che avrebbe manipolato decine di gare pubbliche di appalto e alterato il piano regolatore di Campi Bisenzio, comune in provincia di Firenze. L'inchiesta è condotta dalla procura di Firenze. Sempre secondo l'accusa gli imprenditori avrebbero pilotato l'aggiudicazione delle gare pubbliche di appalto con un sistema di offerte concordate. L'inchiesta che ha portato alle 33 misure cautelari, disposte dal gip di Firenze Silvio De Luca, è coordinata dal procuratore capo Ubaldo Nannucci e dai pm Giuseppina Mione e Leopoldo De Gregorio. A condurla i carabinieri del Ros di Firenze. Le indagini avevano portato, lo scorso giugno, a una decina di avvisi di garanzia, destinatari imprenditori edili, due dipendenti dell'ufficio appalti e un collaboratore esterno del Comune di Campi Bisenzio.

LE IPOTESI DI REATO - Associazione a delinquere, turbativa d'asta, corruzione e abuso d'ufficio le ipotesi di reato contestate a vario titolo. I carabinieri avevano inoltre acquisito la documentazione relativa agli appalti pubblici e il piano regolatore dell'amministrazione campigiana. Due in sostanza i filoni di indagine. Uno è relativo alle gare pubbliche con aggiudicazione al massimo ribasso mediato, chiamato anche «sistema con la soglia di anomalia»: per l'accusa sarebbe esistito un presunto cartello di imprese che avrebbe presentato offerte concordate, riuscendo così a pilotare il risultato dell'appalto. Un sistema di aggiudicazioni concordate analogo, per gli investigatori, a quello scoperto la settimana scorsa in Sicilia con l'operazione «Montagna». L'altro filone, relativo al piano regolatore comunale, riguarderebbe in particolare sospette variazioni degli indici di edificabilità. Le imprese chiamate in causa nelle indagini sono tutte ditte locali. Nell'inchiesta non risultano coinvolti politici della giunta di Campi, retta da un'amministrazione di centrosinistra.

26 marzo 2007


Il Corriere della Sera 26-3-2007 Belfast, «governissimo» cattolici-protestanti. Il reverendo Paisley sarà il primo ministro, Mc Guinnes il suo vice

 

Storica intesa tra gli indipendentisti del Sinn Fein e gli unionisti del Dup: dall'8 maggio amministreranno insieme l'Irlanda del Nord                 STRUMENTI

BELFAST (Irlanda del Nord) - Cattolici e protestanti governeranno assieme l'Irlanda del nord a partire dall'8 maggio. L'accordo sulla data è stato raggiunto a Belfast durante un incontro senza precedenti tra il cattolico Gerry Adams, leader del Sinn Fein, e il reverendo protestante Ian Paisley, leader del partito unionista oltranzista Dup. E' stato lo stesso Paisley a confermare l'avvenuta intesa tra le due fazioni storicamente avversarie.

GOVERNO COMUNE - Sinn Fein e Dup hanno deciso di lavorare assieme nelle prossime settimane per la concreta messa a punto dell'amministrazione locale che incomincerà a governare la provincia a partire dall'8 maggio. Questi contatti avverranno tra Paisley (destinato a diventare primo ministro) e il suo futuro vice, Martin McGuinness, numero due del Sinn Fein ed ex comandante militare dei guerriglieri indipendentisti dell'Ira. Si tratta di un evento storico perché segna una collaborazione concreta tra indipendentisti e unionisti, ovvero tra i fautori di un progetto di Irlanda del Nord indipendente e i sostenitori dell'attuale dipendenza dalla Gran Bretagna.

AIUTI DA LONDRA - Assieme, Sinn Fein e Dup cercheranno di incontrare il cancelliere dello Scacchiere britannico, Gordon Brown, per ottenere un sostanzioso pacchetto di aiuti per lo sviluppo economico dell'Ulster. Pailsey ha sottolineato che l'accordo di oggi garantisce «un futuro migliore ai nostri figli». Adams, seduto a fianco del reverendo, ha da parte sua sottolineato che l'intesa «segna l'inizio di una nuova era politica su quest'isola».

26 marzo 2007

 


INDICE 26-3-2007

++ La Repubblica 26-3-2007 Sondaggio Demos-Eurisko . No ai diktat della Chiesa sulla politica Lo dicono sei italiani su dieci di FABIO BORDIGNON e LUIGI CECCARINI

++ AgenParl 26-3-2007 L’ITALIA STRETTA TRA ONU E NATO, TRA LE NUOVE REGOLE D’INGAGGIO E IL POTENZIAMENTO DEGLI ARMAMENTI.

++ ANSA 26-3-2007 SME: PG chiede cinque anni per Berlusconi

+ Il Sole 24 Ore 24-3-2007 Un azionista di Telecom stufo si paga la pubblicità per criticare la gestione del gruppo

+ Rainews24.rai.it 26-3-2007 Afghanistan, Bertinotti contestato alla 'Sapienza': 'guerrafondaio'

+ Il Corriere della sera 26-3-2007 Europa, una Dichiarazione per il rilancio. E sulle riforme istituzionali deciderà una conferenza intergovernativa

 + Da Rivistaonline.com 26-3-2007  Spagna, il miracolo dei palazzi moltiplicati. di Daniele Porretta

La Stampa n26-3-2007 L'Unione riparte, piano piano MARCO ZATTERIN  1

La Repubblica 26-3-2007"La nuova Carta entro il 2009" La Merkel accelera: a giugno la conferenza sulla Costituzione il vertice ANDREA TARQUINI 2

Il Tirreno 26-3-2007  UE. La Dichiarazione c'è, la Costituzione no  3

Europa 26-3-2007 L’Afghanistan nel giorno dell’Europa  di GUIDO MOLTEDO  4

Corriere Economia 26-3-2007 Gli scandali di corruzione provocati da lobbisti a Washington sembravano imporre misure precauzionali immediate  5

La Stampa 25-3-2007 Sondaggio choc della Bbc: Israele e Iran nemici della pace Odio musulmano, antisemitismo, cattiva stampa? Il sondaggio fa scalpore. 6

La Stampa 26-3-2007  Scontro sulla missione in Afghanistan. Prodi:«Non sono preoccupato per il voto di martedì in Senato»  6

Il Corriere della Sera 2-3-2007 Teheran riduce cooperazione con Aiea  7

L’Unità 26-3-2007 Tavaroli: "Una lobby massonica voleva farmi fuori" 7

Italia Oggi 26-3-2007 Abolizione delle penali dei mutui per abitazioni e uffici 8

 

 


 

++ La Repubblica 26-3-2007 Sondaggio Demos-Eurisko . No ai diktat della Chiesa sulla politica Lo dicono sei italiani su dieci di FABIO BORDIGNON e LUIGI CECCARINI

Sondaggio Demos-Eurisko: contrari a interventi diretti anche il 44 % dei cattolici praticanti
Solo il 57% di chi va in chiesa tutte le domeniche è contrario alle legge sulle unioni civili

Ma sono in aumento le persone che condividono un ruolo attivo delle gerarchie

 

ROMA - Gli italiani dicono no all'intervento "diretto" della Chiesa sulla politica: l'idea del "partito cattolico" appare ormai del tutto archiviata, mentre la maggioranza delle persone si esprime contro le indicazioni "vincolanti" ai parlamentari. Ciò nondimeno, una quota consistente (e crescente) della popolazione rivendica il diritto delle istituzioni religiose di esprimersi sul dibattito politico e la formazione delle leggi. Sono questi i principali risultati di un sondaggio condotto da Demos-Eurisko per la Repubblica.
C'è grande attesa per l'annunciata "nota sui Dico": il documento dovrebbe essere discusso dal Consiglio permanente della Cei, che prende avvio nella giornata di oggi. Non è chiaro se l'esplicita contrarietà dei vescovi al disegno di legge si tradurrà in una indicazione "impegnativa" per i politici cattolici. (Certamente non comporterà la scomunica per i parlamentari). Una soluzione di questo tipo, tuttavia, non sarebbe accolta positivamente dall'opinione pubblica. Più di sei persone su dieci, fra gli intervistati, ritiene sbagliato che la Chiesa indichi ai parlamentari come votare in materia di coppie di fatto. Anche fra i praticanti assidui, del resto, l'ipotesi di un imperativo alla politica solleva delle critiche, e i contrari (44%) tendono a prevalere, seppur di misura, sui favorevoli (40%).
Le divisioni sulle unioni civili attraversano la società italiana, spaccandola quasi a metà: ad appoggiare l'istituzione dei Dico, oggi, è il 50% della popolazione. Ma la stessa comunità dei fedeli non mostra posizioni univoche: fra chi si reca in Chiesa tutte le domeniche, gli oppositori delle unioni civili sono il 57%, e una porzione ancora minore percepisce l'estensione di alcuni diritti alle coppie di fatto come una minaccia per la famiglia (52%).
Da un lato, le posizioni assunte dalla Chiesa nel dibattito pubblico hanno sollevato il dissenso di ampie componenti sociali. Dall'altro lato, questi interventi hanno contribuito a rinsaldare il legame con una parte della società, che si esprime a favore di un ruolo "attivo" del Vaticano. Il 28% degli intervistati - contro il 16% di un anno fa - ritiene giusto che la Chiesa manifesti sempre il suo punto di vista sulle leggi presentate in Parlamento. Un altro 30% pensa che la Chiesa dovrebbe intervenire esclusivamente sulle questioni che investono, direttamente, la dimensione religiosa. Il 36%, infine, afferma che le gerarchie ecclesiali non dovrebbero mai cercare di "piegare" il corso della politica.
Anche capovolgendo la prospettiva, tendono ad emergere valutazioni contrastanti. Il 42% degli italiani accusa i politici di farsi troppo influenzare dalle "pressioni" della Cei e del Vaticano. Una percentuale di poco inferiore (37%) ritiene, per converso, che la classe politica dovrebbe prestare maggiore attenzione alle prescrizioni della Chiesa: questo secondo gruppo raccoglie oltre la metà dei praticanti assidui.
Anche l'unità politica dei cattolici appare ormai definitivamente tramontata. Rimane confinata su percentuali molto basse la componente favorevole alla (ri)costituzione di un partito cattolico (7%).
Minoritario, inoltre, è il segmento di quanti ritengono che i cattolici debbano orientarsi verso quei partiti che rispondono maggiormente ai principi della propria religione. La maggioranza relativa del campione interpellato (41%) pensa, invece, che le scelte dei cattolici possano indirizzarsi verso qualsiasi forza politica, senza particolari problemi di coscienza.
Le opinioni rilevate presso l'opinione pubblica sembrano essere coerenti con l'azione svolta dalla Chiesa sui temi "eticamente sensibili". Essa, infatti, si muove come una lobby, in modo indipendente dai partiti. Fa pressione utilizzando risorse e opportunità diverse: i media e l'associazionismo, la sua credibilità sociale e il cattolicesimo diffuso tra gli italiani, ma anche la debolezza e le divisioni che caratterizzano l'alleanza di governo.

(26 marzo 2007)

 


++ AgenParl 26-3-2007 L’ITALIA STRETTA TRA ONU E NATO, TRA LE NUOVE REGOLE D’INGAGGIO E IL POTENZIAMENTO DEGLI ARMAMENTI.

 

Roma, 26 Marzo 2007 – AgenParl – “Le regole d’ingaggio ora ci permettono di svolgere i compiti che ci ha assegnato il governo, ma per altri progetti servono più elicotteri e più uomini”.
Così il comandante del contingente italiano Antonio Satta interviene sullo “spinoso” dibattito sul rifinanziamento della missione in Afghanistan che sta per essere votato a Palazzo Madama. Infatti la Cdl e l’attuale governo si stanno scontrando sulla natura della nostra missione. Berlusconi, sicuramente più amico di Bush rispetto a Prodi, vuole il cambio delle regole d’ingaggio in modo tale che le truppe siano “libere” di attuare pratiche non solo difensive ma offensive.
Come viene fatto notare all’AgenParl, dietro la divisione del mondo politico italiano sulla natura della missione sembra esserci la diversa concezione della missione stessa tra Onu e Nato.
Il decreto del governo prevede che i soldati siano impegnati nella ricostruzione del Paese così come prevede il mandato delle Nazioni Unite, in base ad una strategia di peacekeeping. Invece i filoatlantisti, presenti non solo nell’opposizione, tendono a sollecitare un’attitudine della Nato diretta a trasformare la missione di “sicurezza” e “vigilanza” in un’iniziativa diretta a sconfiggere i Talebani anche sul piano militare.
Di questa attitudine si è fatto portavoce il generale Satta, che si dice favorevole per un maggior impegno delle nostre forze armate.
Tale fatto ha alimentato le pressioni di Fi e An per il cambiamento delle regole d’ingaggio che sono cosa diversa rispetto al potenziamento degli equipaggiamenti del contingente italiano. (M.D.)

 


++ ANSA 26-3-2007 SME: PG CHIEDE CINQUE ANNI PER BERLUSCONI

MILANO - Il sostituto Pg di Milano, Piero De Petris, ha chiesto la condanna di Silvio Berlusconi a cinque anni al termine della sua requisitoria nel processo d'appello per la vicenda Sme. Il sostituto pg De Tetris ha chiesto la condanna a cinque anni per corruzione in atti giudiziari in riferimento al cosiddetto bonifico Orologio. Si tratta di 434 mila dollari che, da un conto riconducibile alla Fininvest, sarebbero giunti all'ex capo dei Gip di Roma, Renato Squillante, attraverso un conto di Cesare Previti. "Berlusconi è stato il motore primo in questa vicenda", ha sostenuto de Petris nel corso della requisitoria.


+ Il Sole 24 Ore 24-3-2007 Un azionista di Telecom stufo si paga la pubblicità per criticare la gestione del gruppo

 

A pagina 23 dell'edizione di sabato 24 marzo 2007 del Sole 24 Ore è stata pubblicata un'informazione pubblicitaria insolita: un'inserzione a pagamento del signor Mario Massai, azionista di Telecom «stufo» delle scelte di gestione della società che hanno portato alla pesante situazione di indebitamento attuale e alla riduzione dei dividendi.

Ecco il testo del messaggio

 

INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

SONO UN AZIONISTA DI TELECOM ITALIA E SONO STUFO

Sono un azionista di Telecom Italia, mi chiamo Mario Massai. Lo sono da diversi anni e sono ormai esasperato dal vedere che una "squadra" di persone, che possiedono una ridotta minoranza (meno di un quinto) delle azioni della nostra società continua a fare il bello e il brutto tempo a proprio uso e consumo di quella che è stata una delle migliori società di telecomunicazioni europea.

Nelle loro mani Telecom Italia sta letteralmente evaporando, costretta a rinunciare a piani di sviluppo perché deve essere spremuta allo scopo di consentire alla "squadra" ed alla struttura finanziaria creata dagli stessi di rappezzare gli errori di valutazione del passato.

Probabilmente a molti azionisti va bene così. Del resto è grazie all'inerzia delle persone che è possibile agire a loro danno. Ciascuno pensa di essere troppo piccolo per contare e così "mugugna" ma non reagisce. Tuttavia penso che molti altri la pensino come me e non vogliano vedere il loro investimento evaporare per l'insipienza di chi dovrebbe indicare le strategie.

Io ho fiducia nel management di Telecom Italia. Penso però che se l'azienda potesse evitare di distribuire dividendi per due esercizi, riducendo drasticamente il proprio indebitamento, l'incremento di valore sarebbe nettamente superiore ai pochi centesimi per azione distribuiti come dividendo. La mia richiesta è  solo questa.

Vorrei potermi presentare all'assemblea di bilancio con un po' di forza (superiore alle 130mila azioni che ho) e per questo Vi chiedo di inviarmi le vostre deleghe. Sceglieremo un legale che possa rappresentare adeguatamente le nostre richieste.

Non dimenticate che mediamente alle assemblee di Telecom Italia risulta presente poco più del 30 per cento del capitale, ma questi pochi prendono decisioni che ci colpiscono tutti. La democrazia economica (e politica) è fatta anche - e soprattutto - di conoscenza e di controllo.

Il mio indirizzo e.mail è il seguente: mario.massai@alice.it

Se qualcuno vuol fare un po' di strada insieme a me, si metta in contatto.

Troveremo il modo per farci sentire.

Grazie per l'attenzione.

Bogogno (NO), 15 marzo 2007


+ Rainews24.rai.it 26-3-2007 Afghanistan, Bertinotti contestato alla 'Sapienza': 'guerrafondaio'

Vedi anche Afghanistan. Prodi: non sono preoccupato per il voto 

 

Il Presidente della Camera Fausto Bertinotti è stato contestato questa mattina, con fischi e cartelli di protesta, nel corso della sua visita all'Università 'La Sapienza' di Roma. Al suo ingresso in Aula, dove lo ha accolto il rettore Renato Guarini, Bertinotti è stato salutato, invecem da un applauso.
Bertinotti, giunto questa mattina alla facoltà di lettere e filosofia per l'inaugurazione della mostra "La rinascita delle favelas", ha trovato ad accoglierlo circa 200 studenti che inalberavano striscioni sarcastici come "Bertinotti: un impegno concreto contro la guerra, spillette della pace per tutti!", e "8 marzo, la Camera vota la guerra in Afghanistan: giorno inFausto". Al coro di "assassino, assassino" e "buffone, buffone", Bertinotti, accompagnato dal rettore Renato Guarini, è entrato in facolta', mentre nascevano piccoli parapiglia, con spintoni e insulti reciproci, tra manifestanti e gli addetti alla sicurezza, che sono riusciti dopo alcuni minuti a riportare l'ordine.
La contestazione è stata organizzata da una cinquantina di studenti del Coordinamento dei collettivi riuniti nella 'Rete per l'autoformazione'. Innalzavano striscioni con scritto 'Bertinotti? No thank', contestando l'impegno italiano nel conflitto afgano. Ad essere contestata anche la scelta di Bertinotti di prendere parte all'incontro, organizzato dall'Asvi, una Ong legata al Movimento ecclesiale di Comunione e liberazione.

 


+ Il Corriere della sera 26-3-2007 Europa, una Dichiarazione per il rilancio. E sulle riforme istituzionali deciderà una conferenza intergovernativa

 

Berlino, festa per i 50 anni della Ue, presenti capi di stato e di governo dei Paesi membri. Firmata tra gli applausi la Dichiarazione

 

BERLINO (Germania) - L'Europa riparte da Berlino. Nella capitale tedesca si svolge il vertice che ha celebrato i 50 anni dell'Unione con una grande kermesse popolare a fare da sfondo al dibattito politico che vede i 27 alla ricerca di una difficile mediazione sul nuovo Trattato costituzionale. Mentre il Papa da Roma ammonisce l'Ue a non dimenticare la propria identità cristiana e il presidente del Consiglio Romano Prodi

 afferma che serve una «nuova laicità ».

         DICHIARAZIONE APPROVATA - Per celebrare il compleanno dell'Europa, Angela Merkel - cancelliere tedesco e presidente di turno Ue - ha convocato a Berlino i capi di Stato e di governo dell'Unione che hanno adottato, in una cerimonia solenne, una "Dichiarazione" destinata a sancire il rilancio della Ue e la fine dell'impasse nella riforma istituzionale. «Noi prendiamo sul serio le osservazioni di tutti i Paesi membri, ma dobbiamo anche dire alla gente, entro le elezioni europee del 2009, in che modo si dovrà andare avanti», ha detto il cancelliere: la «Dichiarazone di Berlino» - di cui è stata diffusa la bozza - si conclude infatti con un appello alla difesa delle conquiste dell'Unione e al tempo stesso al «continuo rinnovamento dell'architettura dell' Europa»in conformità all'evolversi dei tempi. «E per questo oggi, 50 anni dopo la firma dei Trattati di Roma, noi siamo uniti nell'obiettivo di porre l'Unione europea, fino alle elezioni del parlamento europeo nel 2009, su una rinnovata base comune», si legge alla fine della Dichiarazione. Il documento è stato siglato dal cancelliere Merkel, dal presidente della Commissione europea Josè Manuel Durao Barroso e dal presidente del Parlamento europeo Hans Gert Poettering alla presenza di tutti i leader dei 27 Paesi che compongono l'Unione europea. Dopo la lettura della dichiarazione, accolta dagli applausi dei delegati, è eseguito l'Inno alla gioia di Beethoven, l'inno dell'Unione europea, che il cancelliere tedesco ha ascoltato in piedi accanto al presidente francese Jacques Chirac, al suo ultimo vertice europeo.

LE RIFORME - Resta aperto il tema delle riforme istituzionali dell'Unione europea. A valutare come e dove intervenire, ha spiegato la stessa Merkel, sarà una Conferenza intergovernativa che sarà convocata dopo la fine della presidenza tedesca il prossimo giugno. A insistere sullòa necessità di scrivere nuove regole èper il funzionamento dell'Europa aallargata a 27 Paesi sono stati soprattutto Prodi e Zapatero, con la Polonia invece a guidare il fronte dei meno convinti.

LA POLEMICA - Monta intanto la polemica sulle «radici cristiane» dell' Europa. Fa discutere il mondo politico italiano ed europeo il fermo richiamo del Papa sulla necessità di tenere nella dovuta considerazione queste radici. Un monito che ha investito prima Roma, aprendo un immediato dibattito politico, e che ha raggiunto con la stessa forza Berlino, dove i 27 cercano faticosamente di riallacciare le fila dell'integrazione proprio sulla base del Trattato costituzionale.
Poche ore dopo le parole del Papa contro un'Europa che «senza Cristo rischia di congedarsi dalla storia» Prodi, nel suo intervento al congresso dei vescovi europei, era tornato su questa ferita ancora aperta tra i cattolici: «Mi sono adoperato lungamente per introdurre il riferimento alle radici cristiane nella Costituzione europea - ha affermato Prodi - non esserci riuscito non vuol dire però che il testo le disconosca. Ci sono momenti in cui bisogna chiudere con il passato. Ora serve una nuova laicità fondata sul dialogo». Da parte sua, il segretario dei Ds Piero Fassino, intervenuto alla riunione dei socialisti a Berlino, ha detto che nella costruzione dell'Europa il contributo della cultura cristiana è innegabile ma si affianca a quello di altre tradizioni culturali.

26 marzo 2007

 + Da Rivistaonline.com 26-3-2007  Spagna, il miracolo dei palazzi moltiplicati. di Daniele Porretta

L'urbanistica in Spagna è decisamente di moda. Il boom della costruzione puó considerarsi oggigiorno il maggior processo speculativo della storia del capitalismo. La Spagna puó contare su 816.000 edifici destinati a residenza cominciati nel 2005, una cifra che di gran lunga supera quelli costruiti in Francia, Germania, e Gran Bretagna assieme, paesi con una popolazione quattro volte maggiore. Altri primati, la Spagna è il paese dell'Ue con piú case per abitante (23 milioni nel 2004), una ogni due abitanti, quello in cui piú si costruisce (860.000 abitazioni previste nel 2006 dall'Ose, l'Observatorio de Sostenibilidad en España) e quello in cui il diritto alla casa è piú difficilmente attuato, nonostante l'articolo 47 della Costituzione inpegni tutti i partiti politici a lavorare per la sua estensione.

Se 50 anni fa gli spagnoli che vivevano in affitto erano maggioritari, oggi il rapporto si è invertito. Si calcola che attualmente solo l'1% dei 23 milioni d'appartamenti presenti sul mercato immobiliare siano destinati all'affitto. 15,5 milioni sarebbero destinati a prima casa, 5,3 milioni alla seconda e piú di due non sarebbero utilizzate. Nella trasformazione di un intero paese da affittuario a proprietario (o aspirante tale), hanno influito i bassi tassi di interesse ipotecario, la mancanza di controllo dei prezzi del mercato immobiliare e l'insufficienza dell'intervento pubblico. Un cambio che in dieci anni circa ha rappresentato una rivoluzione non solo nell'economia, ma anche nella cultura e, soprattutto, nel paesaggio. Un modello ambientale insostenibile cha ha portato alla cementificazione del 34% del litorale mediterraneo, la concentrazione nelle aree metropolitane dell'80% della popolazione (nel 1960 vi risiedeva solo il 49%) e il progressivo abbandono e delle zone agricole.

Speculazione edilizia e corruzione hanno portato la situazione a livelli allarmanti. Nel mese di dicembre del 2006 Miloon Kothari, relatore speciale dell'Onu sul diritto alla casa, ha visitato per dodici giorni il paese, cosa mai accaduta nella Ue, e ha affermato: "La speculazione è presente in altri paesi, ma in Spagna chiama l'attenzione la velocità con cui questa sta prendendo il controllo del mercato e inoltre in Spagna non si è sviluppata parallelamente una adeguata politica pubblica. (...). Le politiche degli ultimi decenni hanno priorizzato la proprietà privata; ció, insieme ai livelli estremi di corruzione, impedisce al 20-25% della popolazione, quella con reddito piú basso, soprattutto gli immigrati, di accedere ad una casa degna. Questo non è sostenibile nè dal punto di vista economico, nè dal punto di vista dei diritti umani."

La Stampa n26-3-2007 L'Unione riparte, piano piano MARCO ZATTERIN

Entusiasmo di facciata e dubbi irrisolti per l'obiettivo della Costituzione nel 2008

INVIATO A BERLINO
La musica è finita, i premier se ne vanno. Si lasciano alle spalle la dichiarazione del Cinquantenario, col solenne auspicio di «consegnare al passato l'innaturale divisione dell'Europa» e la promessa di dare «una rinnovata base comune» all'Ue prima delle elezioni europarlamentari del 2009. Con le tensioni più o meno latenti che agitano i 27, è già un successo che il documento berlinese non abbia provocato nuove liti. L'imperativo è andare avanti per rilanciare il processo di revisione costituzionale necessario a un'integrazione che funzioni. Il percorso prende forma: via a una conferenza intergovernativa in giugno, 6-9 mesi di negoziati, firma e ratifica della nuova Carta entro il 2008. «Il processo non si può fermare - avverte Romano Prodi -, nemmeno se lo sforzo di tirare la corrente insieme dovesse fallire». La regola «tutti o nessuno» viene per la prima volta messa in dubbio.
Notte bianca, euforia alla porta di Brandeburgo mentre rock e rap danese irradiano la folla, città blindata con qualche ottusità. Poi riflessioni su ciò che è stato e promesse per il futuro per coprire i dissidi manifesti. Frau Merkel, Cancelliere e presidente di turno dell'Ue, in abito arancione, vende generosamente il successo della serenità apparente. Eppure, nella dichiarazione di Berlino per i 50 anni del Trattato di Roma che i leader hanno preferito non firmare, la Costituzione è in una perifrasi. Non si parla di politica estera comune ma di volontà di «mobilitarsi per i conflitti nel mondo». S’insiste sull’apertura, si tralascia l’allargamento. Ci sono i principi e le sfide come energia e immigrazione nel nome di «Unione più stretta». Almeno adesso si può parlare dei fatti.
La sintesi di Prodi è che «l'Ue rappresenta l'antidoto ai mali d'Europa, il riscatto e lo slancio d'orgoglio di un continente che è stato sul punto di suicidarsi». Il premier è con la Merkel l'unico capo di stato a parlare, fa fede l'europeismo, l'amicizia con la cancelliera, che fra l’altro nel suo discorso ha rievocato un passaggio pubblicato dal quotidiano belga nel 1957 in cui si lodavano gli italiani «per le meravigliose cravatte e i calzini». Il sostegno del premier alla Costituzione europea del 2004 cecchinata dai no referendari olandesi e francesi è pieno. «Per continuare a costruire servono nuove regole - dice - ma senza ripartire da zero. Il Trattato è base solidissima su cui edificare il nostro patto fondamentale». Magari rinunciando al nome e chiamandola Carta Comune. Purché «ci siano regole che permettano di far funzionare le nostre istituzioni». Soprattutto, aggiunge, bisogna scardinare il vincolo dell'unanimità. Oggi «esiste una maggioranza di favorevoli alla politica estera comune», ma ostacoli di spirito e politici posti da alcuni imbrigliano il progetto. Potrebbe venire il momento di mandare avanti un gruppo di paesi, come per l'euro. Citando lo scrittore franco-ungherese François Fejto, dice: «per creare abbiamo bisogno di buon senso, pazienza, fede e un granello di follia».
La palla è nelle mani di Frau Merkel che indirà una conferenza intergovernativa entro giugno, un regalo per la successiva presidenza portoghese. Scambio di cortesie con il presidente della Commissione europea, Jose Manuel Durao Barroso, che vuole candidare l’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl al premio Nobel per la Pace «per il ruolo avuto nella riunificazione della Germania».
«Abbiamo misurato dove arrivano le linee rosse degli altri», ha concluso Merkel; pronta a rimarcare che nel 2009 l'Europa avrà vinto solo se il testo sarà stato firmato e sarà entrato in vigore». Altrimenti sarà «un fallimento storico». Gli olandesi e gli inglesi hanno già il freno tirato. I polacchi dicono che non ce la si farà, i cechi vorrebbero ricominciare da zero. In queste condizioni 18 mesi per ripartire sono il massimo del minimo. O, a essere pessimisti, l’inverso.

La Repubblica 26-3-2007"La nuova Carta entro il 2009" La Merkel accelera: a giugno la conferenza sulla Costituzione il vertice ANDREA TARQUINI

Prodi: "L'Unione è un progetto da prendere o lasciare, dobbiamo andare avanti senza mezze misure". E a sera parte la festa L'Europa riparte da Berlino dal nostro corrispondente BERLINO - Guidata da una donna, l'Europa riparte da Berlino. Una nuova conferenza intergovernativa dovrà trattare e decidere il futuro della Costituzione europea e dell'integrazione politica Ue. Con una sfida che accresce ancora il suo prestigio, la Cancelliera Angela Merkel ha chiuso ieri il solenne vertice dei 27 leader della Ue. L'appuntamento celebrativo dei 50 anni dei Trattati di Roma è diventato verifica politica. Comincia così lo scontro finale tra gli europeisti e chi vorrebbe l'Europa ridotta al minimo. Sarà necessario prendersi delle responsabilità, ha sottolineato Romano Prodi: "l'Europa non può andare avanti con "ni" e mezze misure, è un progetto, da prendere o lasciare". L'Europa a due velocità - ieri spartiacque tra economie più e meno stabili - dopo Berlino potrà rinascere come confine tra chi vuole l'Europa politica forte nel mondo e chi la rifiuta. Il giorno più lungo di Angela Merkel e degli altri leader europei, sotto uno splendido sole primaverile, è cominciato nel mattino, con la cerimonia al Deutsches historisches Museum a lato del viale Unter den Linden sullo sfondo suggestivo dell'antico centro prussiano della città. Dopo aver ascoltato l'Inno alla gioia dalla Nona di Beethoven, i 27 hanno presentato insieme la Dichiarazione di Berlino. Quel testo cioè proposto dalla Cancelliera e osteggiato dal governo ceco in nome di tutti gli euroscettici, in cui si ricorda mezzo secolo di successi e si incita ad andare avanti. Senza parlare di Costituzione, concetto troppo sgradito a molti. In piena forma, elegante giacca arancio e pantaloni neri, la Merkel ha pronunciato un discorso a momenti toccante. "Io crebbi nella parte est di questa città. Quando i trattati furono firmati avevo tre anni, e sette quando fu costruito il Muro che divise anche la mia famiglia. Non credevo che avrei mai potuto vedere l'Occidente prima della pensione. Le mie strade, la mia vita allora finivano a pochi metri da qui. Ma poi il Muro è caduto: ecco la lezione, niente deve per forza restare com'è". Rilanciare l'Europa con coraggio, essere orgogliosi delle molteplicità e differenze tra tedeschi disciplinati, francesi gran pensatori, italiani splendidamente eleganti, è il nuovo compito, ha continuato la Cancelliera. Non dimenticando da quali secoli di guerre e odio nacque il sogno dei padri fondatori. Non è stato poi facile, per la donna in giacca arancio, negoziare a colazione con tanti signori euroscettici, con l'appoggio di pochi amici fidati, Prodi in testa. Erano le 14,30, pranzo finito, quando con appena un po' di sollievo "Angie" è corsa alla conferenza stampa conclusiva. "Esistono sentimento e volontà comuni", ha esordito, "per concordare al vertice di giugno (alla fine del semestre di presidenza tedesco, ndr) una road map per arrivare, prima delle elezioni del 2009 per il nuovo Parlamento europeo, a un nuovo accordo e assetto sulla Costituzione. Se falliremo, sarà un fiasco storico. Se ci divideremo, l'Europa inciamperà e deraglierà prima di quanto non pensiamo". Nei prossimi mesi si lavorerà duro, ha spiegato ancora. In incontri riservati e segreti, non in litigi pubblici. "Se non avessero fatto così i padri fondatori, ai Trattati di Roma non si sarebbe mai arrivati". La road map di Merkel è chiara: accordo entro giugno per una conferenza intergovernativa, per salvare l'essenziale della Costituzione. Conclusione rapida, se possibile entro il semestre portoghese cioè fino a fine 2007. La bordata di critiche degli euroscettici è venuta subito: "Un accordo a così breve termine è un obiettivo irrealistico", ha detto il presidente nazionalpopulista polacco, Leck Kaczynski. Scettico si è mostrato il premier ceco Topolanek. E l'olandese Balkenende ha rincarato la dose: "Allo stesso concetto di Costituzione europea sono poco affezionato". Il vertice è finito, il nuovo scontro è aperto. Dei valori cristiani, nonostante la richiesta del Papa, la Costituzione dovrebbe continuare a non parlare. "Io sarei a favore, ma esistono anche tradizioni laiche di separazione tra Chiesa e Stato". Il summit ha chiuso i battenti, e l'allegra Berlino in piazza ha festeggiato l'Europa. Oltre mezzo milione di persone, tra giovani e famiglie, hanno ballato e bevuto in centro, al suono della musica di Joe Cocker. In un'Europa che si prepara a contarsi tra favorevoli e contrari, ieri nella bella capitale di "Angie" i dimostranti neocomunisti anti-Ue erano sì e no mille, poche persone rispetto alla folla in festa.

Il Tirreno 26-3-2007  UE. La Dichiarazione c'è, la Costituzione no

L'Europa riparte da Berlino ma il nuovo Trattato resta lontano La Germania spinge, l'accordo entro il 2009 però è molto difficile FABRIZIO FINZI BERLINO. L'Europa allargata prova a ripartire da Berlino cercando di sfruttare l'autorevolezza della presidenza di turno tedesca e l'onda lunga delle riuscite celebrazioni per i 50 anni dei Trattati di Roma. Una marcia che interrompere "sarebbe un errore storico", ha ammonito poco prima della firma della Dichiarazione Angela Merkel, padrona di casa e motore di questo tentativo di far uscire l'Unione dallo stallo con un nuovo Trattato costituzionale. Un Vertice riuscito che però nulla doveva - e nulla poteva - decidere: in un'atmosfera del tutto priva di adrenalina i leader europei si sono concentrati così sugli intenti e sugli allarmi, consapevoli che in Europa nulla si muoverà concretamente fino alle elezioni francesi del prossimo 22 aprile. Solo quando si saprà chi governerà a Parigi la presidenza di turno tedesca avrà tutti gli elementi in mano per far partire la corsa contro il tempo che ha, per il Cancelliere, una "linea rossa" nel Consiglio europeo del 21-22 giugno. Tempi strettissimi, secondo Romano Prodi, che infatti chiede a tutti "uno sforzo di energia creativa". La nuova Carta costituzionale deve essere non solo definita ma in vigore entro il 2009; non basta che venga raggiunto un accordo per quella data. Occorre il tempo per le ratifiche da parte di 27 Paesi e i cittadini dovranno andare alle elezioni europee del 2009 sapendo su cosa si vota e per quali istituzioni. Ma se il presidente della Commissione Ue Barroso ha mostrato ottimismo, il clima rimane incerto. Diversi Paesi, di fatto guidati da Olanda e Polonia (la cui azione è protetta affettuosamente da Londra), stanno frenando su molti dossier e raffreddando gli entusiasmi della Germania. La conferma più clamorosa viene dall'assenza totale nel testo della Dichiarazione della parola Costituzione, diventata una sorta di tabù non solo più per la Gran Bretagna ma per una nutrita pattuglia di Paesi di nuova entrata. "Se ci saranno i contenuti sono anche pronto al sacrificio e rinunciare alla parola Costituzione", ha assicurato Romano Prodi confermando le difficoltà già in atto tra i 27. Come se non bastasse, a Vertice appena concluso, è intervenuto il presidente polacco, Lech Kaczynski, a smontare l'ossatura stessa della Dichiarazione di Berlino: la data del 2009 per far partire la Carta europea è "irrealistica", ha fatto sapere. Abbastanza da far dire agli europeisti più convinti che è giunto il momento delle scelte, l'ora in cui non si può più dire ni, ma solo un sì o un no. E, se i no dovessero essre troppi, bisognerà avere il coraggio di ricorrere al modello Euro: cioè dentro solo chi veramente vuole e porte aperte a chi deve ancora riflettere. In Europa si chiamano cooperazioni rafforzate e per ora è solo un sussurro. Che potrebbe crescere già da giugno, quando a Bruxelles si entrerà nel merito, negli articoli da togliere o salvare del vecchio testo. Sembra invece chiusa la partita dell'inserimento delle radici cristiane nel futuro testo: le posizioni rimarranno quasi certamente immutate. Su questo punto, lapidaria Angela Merkel che si è limitata a definirsi "non ottimista". In effetti le posizioni di diversi Paesi su questo tema, ad esempio Francia e Belgio, sono rigide e nei 27 c'è la consapevolezza che le richieste vaticane non passeranno. La cerimonia per la firma della Dichiarazione è avvenuta in una cornice solenne, accompagnata dall'Inno alla gioia di Beethoven. Solo quattro discorsi ufficiali. Quelli istituzionali della Merkel (presidenza di turno), di Barroso (Commissione) e di Poettering (Europarlamento). Unico premier tra i 27 a parlare è stato Prodi in onore proprio al Paese che ha visto la nascita dell'Europa 50 anni fa. Per strada e nelle piazze, pochissimi contestavano; molti, invece, affollavano festosi i tanti appuntamenti di Berlino, mai come ieri la città-simbolo dell'unità - per ora solo auspicata - dell'Europa.

Europa 26-3-2007 L’Afghanistan nel giorno dell’Europa  di GUIDO MOLTEDO

Nella giornata dei festeggiamenti dei cinquant’anni dei Trattati di Roma non abbiamo ascoltato solo discorsi retrospettivi e celebrativi, peraltro sobri, interessanti e dagli accenti sinceri, specie da parte di chi ha maggiormente contribuito alla costruzione della casa europea. Abbiamo anche sentito parole “politiche”. Rivolte al futuro.
Il presidente Napolitano ha detto al Tg1 che «l’Europa deve uscire presto dal punto morto in cui si trova».
In un convegno sull’europeismo di De Gasperi, il presidente Marini ha dichiarato che «serve uno sforzo, che è difficile ma necessario, di costruire una politica estera e di difesa comune ». Dalla Germania, alla vigilia del s u m m i t straordinario europeo di Berlino, la cancelliera Merkel è stata ancora più precisa e, alla Bild, ha detto che «occorre avvicinarci a un esercito comune europeo», un’idea che in Italia più volte è stata avanzata da Francesco Rutelli.
Tutti propositi interessanti, purché ci sia un’Europa in grado di decidere politicamente. Potrà farlo – pronunciamo una bestemmia – con un’Unione «a due velocità»? Può essere anche questa la via maestra. D’altra parte, in una conversazione con Le Monde Romano Prodi ha rotto il tabù, non escludendo, seppure in teoria, una simile prospettiva, specie se lungo il percorso verso la costituzione ci saranno nuovi intralci, come un nuovo referendum in Francia dall’esito negativo.
Sarà pure una coincidenza, ma la “politicità” di queste dichiarazioni si muove su un piano subliminale, anche se evidente: l’Afghanistan. Lì, ancora una volta, si sta misurando – è una litania, ma è così – l’assenza di un’Europa politica. Seppure in una cornice Nato, gli otto paesi europei presenti si muovono secondo una logica nazionale e – in rapporto agli Stati Uniti – ognuno individualmente, con pochi o scarsi raccordi tra loro in quanto membri dell’Unione europea.
La vicenda Mastrogiacomo è un caso eclatante, emblematico, di questa dimensione puramente nazionale e di una logica di relazione, nel bene e nel male, con i soli Stati Uniti.
La missione afghana avrebbe dovuto tener conto della lezione irachena.
Nel caso della guerra in Iraq, l’Europa si spaccò in due, con riverberi molto pericolosi sulla tenuta stessa di una Ue già insabbiata nella crisi politica provocata dal doppio no nei referendum costituzionali in Francia e in Olanda e nel difficile processo di ampliamento a est e verso la Turchia.
La missione in Afghanistan è stata “narrata” alle opinioni pubbliche, innanzitutto, come un voltare pagina rispetto a quell’esperienza, come la prova che l’Europa sente su di sé la responsabilità di agire, anche militarmente, di fronte alle crisi internazionali, purché affrontate secondo tutti i crismi del multilateralismo e sotto l’ombrello dell’Onu e della Nato.
Un messaggio rivolto anche all’America, come contrappunto rispetto all’unilateralismo avventurista dell’Iraq.
C’è stato quasi un eccesso di zelo nel presentare virtuosamente l’Afghanistan come l’opposto dell’Iraq, a partire da Zapatero. Poi ciascun paese europeo, tolta la Gran Bretagna, ha vissuto più o meno lo stesso psicodramma, ognuno nel chiuso del proprio confine parlamentare. In Olanda, la formazione del nuovo governo di coalizione ha sfiorato il fallimento proprio sulla spedizione in Afghanistan.
Al Bundestag, Merkel e Münteferring hanno dovuto fare acrobazie per limitare i compiti del contingente tedesco e ottenere così luce verde.
Zapatero si è dovuto destreggiare tra i mal di pancia della sinistra e le critiche del suo principale fiancheggiatore nei media, El Paìs. E l’Italia è ancora alle prese con un passaggio parlamentare cruciale, quello di martedì prossimo al senato.
Così, dalla spaccatura sull’Iraq si è passati alla frammentazione sull’Afghanistan. Dal broncio con l’America alla condivisione di un’impresa difficile, con molti se e ma. Non solo ogni paese si muove obbedendo prevalentemente a logiche di politica interna e all’assillo di ricostruire –per chi l’ha incrinato, come nel caso di Berlino – il rapporto con Washington, o di non comprometterlo definitivamente, come ora il governo italiano. Ognuno e tutti insieme mostrano di non avere una visione persuasiva del perché si trovano in un paese remoto, il più inospitale e ostile della terra.
Washington ha una sua bussola, un suo obiettivo e, dopo il fallimento dell’impresa mesopotamica, lo vuol rendere ancora più evidente, specie di fronte all’opinione pubblica interna: la lotta al terrorismo internazionale, nel paese che ne ospita le basi principali, e la tutela del governo di Karzai dal possibile ritorno dei talebani. Ed è conseguente, politicamente e militarmente, con questa visione. Tranne la Gran Bretagna, i paesi europei non possono dire di averne una altrettanto forte. Dicono di condividere le ragioni degli americani, ma poi fanno fatica a muoversi coerentemente sul terreno.
Tra alti e bassi, è prevedibile che il quadro non cambi sostanzialmente. Ma nel lungo periodo, una situazione che pure si mantenga a questi livelli senza peggiorare, è destinata a logorarsi, a entrare in una sorta di stallo senza fine, punteggiato da momenti altamente drammatici.
Scongiurare uno scenario del genere è possibile.
In Libano, per esempio, l’Italia sta facendo bene. Anche nei Balcani. Ma sono situazioni tutt’altro che transitorie. Impensabile che a farsene carico, nel lungo periodo, sia un sistema paese, o una somma di sistemi paese, con il retropensiero che il grosso spetterà comunque agli Usa. Per questo il bisogno di Europa di cui tanto si è parlato ieri non è retorica, e neppure un’istanza che interessa solo gli europei.
È una necessità per il mondo d’oggi e di domani.

 

Corriere Economia 26-3-2007 Gli scandali di corruzione provocati da lobbisti a Washington sembravano imporre misure precauzionali immediate

Gli scandali di corruzione provocati da lobbisti a ... Gli scandali di corruzione provocati da lobbisti a Washington sembravano imporre misure precauzionali immediate e rigide in una Bruxelles da tempo considerata sempre più a rischio. Ma il vicepresidente della Commissione europea, l'estone Siim Kallas, ha deluso le aspettative annunciando la sua iniziativa volta a rendere più "trasparente" l'attività delle lobby impegnate a influenzare le istituzioni europee. Subito associazioni di cittadini ed alcuni eurodeputati l'hanno criticata come "troppo debole". Kallas ha spiegato di voler proporre solo un registro con iscrizione facoltativa per l'aggressivo esercito dei lobbisti di Bruxelles, stimato in oltre 15 mila addetti impegnati al 90% per conto di imprese. Ha escluso di introdurre regole e sanzioni severe come quelle in vigore negli Stati Uniti. "Ho fiducia nella gente - ha detto l'ineffabile vicepresidente della Commissione -. Ritengo un deterrente sufficiente la perdita di credibilità che colpirebbe i lobbisti non disponibili a fornire volontariamente le informazioni richieste dalla nostra registrazione". Ha aggiunto di ritenere "troppo lungo e complicato" varare norme giuridiche. E che non gli sembra necessario in una Bruxelles dove non sono esplosi scandali come a Washington. Questa linea morbida ha rilanciato le critiche sulla Commissione europea del portoghese Josè Manuel Barroso, considerata troppo spesso più attenta agli interessi particolari delle lobby che a quelli generali dei cittadini. Il Corriere ha fatto notare a Kallas fatti incontestabili, su cui associazioni di consumatori ed alcuni eurodeputati giustificano la necessità di sanzioni severe per i lobbisti scorretti. Innanzitutto è evidente che a livello Ue non sono stati denunciati scandali come quelli di Washington semplicemente perché non esistono la stessa vigilanza (di polizia, magistratura, stampa, associazioni dei consumatori, ecc.) e norme come quelle che hanno fatto emergere gli scandali statunitensi. I lobbisti agiscono a Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo, sedi delle attività comunitarie, in una impenetrabile zona d'ombra, al di fuori di effettivi controlli. Nessuno sa con certezza come operano. Ma basta frequentare i ristoranti costosi di queste città per intuire i rischi di anomali rapporti delle lobby con eurodeputati ed euroburocrati. I sospetti non si limitano alla solita mazzetta accreditata nei conti segreti dei paradisi fiscali. Spuntano forme di pagamento diverse, che includono consulenze, finti finanziamenti, assunzioni e favori vari, che possono essere elargiti a familiari, a prestanome e agli stessi eurodeputati ed euroburocrati (a volte quando lasciano le istituzioni Ue dopo aver gestito pratiche delicate). L'unico controllo specifico spetta alla sonnolenta antifrode Olaf di Bruxelles, che tra l'altro ha sollevato dubbi per l'insolito attivismo mostrato contro l'eurodeputato austriaco Hans Peter Martin e il giornalista investigativo del settimanale tedesco Stern Hans Tillack, distintisi nel denunciare le degenerazioni delle lobby e dell'euroburocrazia. Il Corriere ha anche contestato a Kallas che la Commissione non si preoccupa delle difficoltà giuridiche dei procedimenti quando c'è da varare complicati interventi finanziari o fiscali sollecitati dai lobbisti. Il vicepresidente estone ha replicato ammettendo che nei due anni di elaborazione del suo progetto sulla "trasparenza" ha ascoltato molte sollecitazioni a introdurre regole precise con sanzioni. Ma ha preferito quelle che lo invitavano ad attuare un sistema blando. Se si rivelerà insufficiente, Kallas ha affermato che si potranno imporre restrizioni severe nel 2009: cioè quando una nuova Commissione subentrerà a quella attuale.


 

 

 

 

 

 

 

La Stampa 25-3-2007 Sondaggio choc della Bbc: Israele e Iran nemici della pace Odio musulmano, antisemitismo, cattiva stampa? Il sondaggio fa scalpore.

Tanto più perché a proporne i risultati non è un sito fondamentalista ma l''autorevole Bbc, modello di informazione seria e super partes.  Dunque l''emittente inglese ha indagato in decine di Paesi e ne è emerso uno sconcertante verdetto di parità fra l''Iran atomico di Ahmadinejad e l''Israele di Olmert: entrambi "stati canaglia" (direbbe Bush), entrambi "pericolosi per la pace mondiale". In Germania ha un''opinione negativa di Israele il 77 per cento degli interpellati; seguono Francia (66), Gran Bretagna (65), Italia (58).  Ma anche un americano su tre pensa male del miglior alleato degli Usa. E su scala mondiale, la bilancia pende addirittura a favore di Teheran: Israele riceve voti negativi in media dal 56  per cento degli intervistati, l’Iran dal 54.
 ’Come è potuto accadere?’, titola il quotidiano israeliano Maariv, aprendo un dibattito che si preannuncia  difficile e aspro.  Nella terra assediata che è Israele si riaffiacciano i fantasmi della cospirazione, dell''antisemitismo in agguato. Saranno le masse islamiche, come ipotizza la cantante Noa,  che influenzano anche i Paesi occidentali dove emigrano sempre più numerose? Sarà lapolitica israeliana e, anche, l'immagine che ne viene data al mondo? 
Un giornalista di Maariv, Ben Dror Yemini, ha pubblicato di recente uno studio che riassume in cifre la vicenda israelo-palestinese: secondo i suoi conti 1.800 palestinesi sono
stati uccisi dal fuoco israeliano nella prima intifada (1987-93)  e altri 3.700 nella seconda (iniziata nel 2000). Nella rivolta cecena, sottolinea, i morti sono stimati in 80-300 mila. Nella guerra civile libanese furono 130 mila. In Algeria, la lotta di liberazione dall''occupazione francese, fece 500 mila  vittime. Altre 100 mila nei conflitti successivi. In Sudan si è arrivati a 2,6 milioni di vittime. In Afghanistan la lotta contro le forze russe è costata la vita a oltre un milione di persone. In Iraq si sono avuti 1,5 milioni di vittime negli
ultimi decenni.  Quindi, conclude Yemini, anche se Israele ha commessi errori gravi (fra cui menziona la politica di insediamento) - "non è questa la radice dell’astio verso lo Stato ebraico. È in atto un processo di delegittimazione".  E' così?


 

 

 

 

 

 

 

La Stampa 26-3-2007  Scontro sulla missione in Afghanistan. Prodi:«Non sono preoccupato per il voto di martedì in Senato»

Il presidente del Consiglio Romano Prodi ostenta sicurezza per l’esito del prossimo voto parlamentare sulla missione italiana in Afghanistan. «Non sono preoccupato per il voto di martedì in Senato», ha affermato ieri il presidente del Consiglio, Romano Prodi, prima di ripartire per Roma, dopo aver partecipato a Berlino alle celebrazioni per il cinquantenario della firma del Trattato di Roma. «Ci sono stati 560 voti alla Camera, e da allora non è cambiato niente. Non è che mi sento tranquillo nel senso dell’indifferenza - ha spiegato - ma voglio vedere chi si assume questa responsabilità di fronte al Paese di far chiudere le nostre missioni all’estero immediatamente. Perché - ha insistito Prodi - questa è la conseguenza del voto, non è un balletto per far cadere il Governo Prodi, è una questione di politica internazionale, di ruolo del nostro Paese, di dignità nazionale, se qualcuno vuole calpestare tutto questo, è libero di farlo».

Di diverso avviso il presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi secondo il quale nella riunione di ieri del Ppe: «tutti i colleghi europei sono venuti a congratularsi con noi. Ma la domanda che mi facevano non era riferita al voto di martedì, che a loro sfugge, ma era: ’Silvio ma quando ritorni, quando mandi a casa il Governo Prodì». Il portavoce del Ppe, Javier Jimenez, interpellato in merito, ha comunque precisato che il governo Prodi non era all’ordine del giorno della riunione di Berlino e che «l’unico punto in agenda era il cinquantesimo anniversario dell’Unione Europea» anche se «in via non ufficiale i leader possono dirsi quello che vogliono».

In Afghanistan la situazione sul campo per le truppe Nato resta delicata. Un ordigno è esploso ieri mattina al passaggio di un convoglio di mezzi militari italiani nella provincia di Farah, nell’ovest dell’Afghanistan. Nessun soldato è rimasto ferito. La deflagrazione è stata provocata da uno Ied, un ordigno esplosivo improvvisato, ed ha causato il parziale danneggiamento di un veicolo blindato. Il ministro della Difesa Arturo Parisi si è rallegrato del fatto che l’attacco sia andato a vuoto ed ha spiegato che i danni limitati rappresentano una prova della «elevata cornice di sicurezza in cui operano i nostri Reparti».

L’attentato è stato compiuto nella stessa provincia in cui, martedì scorso, un militare italiano è rimasto lievemente ferito in un attacco a colpi d’arma da fuoco a una pattuglia delle forze speciali. L’ordigno, secondo quanto confermato dallo Stato Maggiore della Difesa, è esploso al passaggio di una pattuglia italiana, impegnata in una normale attività di perlustrazione. La deflagrazione ha centrato un Vtlm Lince italiano, nuovo mezzo blindato in dotazione ai circa 800 militari di stanza ad Herat. La speciale blindatura del veicolo, presente anche nella parte inferiore del mezzo, ha fatto sì che non ci fossero conseguenze per i soldati.

La provincia di Farah, che confina a nord con quella di Herat e a sud-est con quella di Helmand, è diventata negli ultimi mesi sempre più turbolenta. Farah, con Herat, Badghis e Ghor, è una delle quattro province del Regional Command West, la cui responsabilità è stata affidata al generale italiano Antonio Satta. Proprio in quest’area, dall’inizio del 2007, sono stati oltre una dozzina gli attacchi contro i militari locali e della coalizione. Il più sanguinoso risale al 12 marzo scorso, quando l’esplosione di una bomba uccise dieci agenti afgani, tra cui il capo della polizia provinciale.

In un’intervista ad Apcom, il generale Satta aveva detto solo venerdì scorso che le truppe della coalizione hanno rivolto da tempo le loro attenzioni su Farah, provincia «a maggioranza pashtun, che risente maggiormente di elementi di turbolenza». «Manteniamo l’attenzione alta», aveva spiegato Satta. «È evidente che la possibilità di minaccia esisteva prima e permane ora».


 

 

 

 

 

 

 

Il Corriere della Sera 2-3-2007 Teheran riduce cooperazione con Aiea

Ahmadinejad: «Nucleare non si fermerà»

«Le relazioni con gli Stati che hanno premuto per le sanzioni Onu saranno riviste e corrette»

TEHERAN (IRAN) - «L'Iran non fermerà neppure per un secondo il suo pacifico e legittimo programma nucleare». Lo ha assicurato il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, che ha anche intenzione di «correggere» le relazioni con i Paesi che hanno premuto perchè si arrivasse alle sanzioni del Consiglio di sicurezza. si legge in una nota pubblicata sul sito della presidenza iraniana, «per via di questa illegale risoluzione. La nazione iraniana non dimenticherà coloro che sono dietro questa risoluzione e le relazioni internazionali con questi Paesi saranno riviste e corrette».
Prima della nota con le dichiarazione del suo leader, il governo di Teheran aveva annunciato di aver deciso di ridurre la cooperazione con l'Agenzia internazionale dell'energia atomica dopo l'approvazione, da parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu, di nuove sanzioni contro l'Iran per il suo rifiuto di sospendere il processo di arricchimento dell'uranio. «Abbiamo deciso di limitare il parte la collaborazione con l'Agenzia internazionale per l'energia atomica» ha detto un portavoce del governo, Gholamhossein Elham, «fino a quando il dossier sul nucleare iraniano sarà riportato dal Consiglio di sicurezza» all'Aiea. Secondo il portavoce, citato dall'agenzia di stampa iraniana Irna, Teheran accettò quattro anni fa di informare l'Aiea dell'eventuale costruzione di nuovi impianti nucleari, ma non sarà più così.

25 marzo 2007


 

 

 

 

 

 

 

L’Unità 26-3-2007 Tavaroli: "Una lobby massonica voleva farmi fuori"

La Procura interroga il capo degli spioni. Che attacca: "Uomini del Sismi già nel '99 spiavano Tronchetti e Afef" MILANO Si è difeso da tutte le accuse per oltre tre ore di interrogatorio, davanti al gip di Milano Giuseppe Gennari e al pm Stefano Civardi, l'ex responsabile della Security Telecom, Giuliano Tavaroli, raggiunto giovedì scorso dalla quarta ordinanza d'arresto nell'ambito dell'inchiesta sui dossier illegali. "La sua difesa è fermissima, perchè ha dalla sua parte la conoscenza della verità storica dei fatti", ha spiegato uno dei suoi legali, l'avvocato Massimo Dinoia, mentre fuori dal Palazzo di Giustizia sfrecciava il furgone della polizia penitenziaria che riportava Tavaroli a Como, dove è detenuto. "Ormai è un capro espiatorio, chi non sa come difendersi lo accusa - ha proseguito il legale -. Alla luce di ciò risulta ancora più curioso rilevare come sia stato interrogato pochissime volte dagli inquirenti, nonostante le quattro ordinanze di custodia cautelare (e non se ne può escludere una quinta) a suo carico. Da questo punto di vista, almeno, abbiamo ottenuto qualcosa: sarà interrogato il 2 aprile". Tavaroli, già accusato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e alla rivelazione del segreto d'ufficio, con gli ultimi sviluppi deve rispondere anche di corruzione internazionale, in particolare per i rapporti illeciti con l'ex agente dei servizi francesi Fulvio Guatteri, da giovedì ai domiciliari a Roma. Intanto si è avuto notizia di alcune parti degli interrogatori precedenti dello stesso Tavaroli che denuncia una "massoneria della sicurezza" pronta a "farlo fuori" dal suo ruolo di manager in Pirelli, a partire dal 1999, per spartirsi il mercato della security in Italia. È lo stesso Tavaroli a parlarne in un interrogatorio dell'11 ottobre scorso davanti al pm Nicola Piacente. Una "lobby" con contatti nel Sismi pronta, sostiene l'ex responsabile della security di Pirelli e Telecom, "a farmi fuori". Il manager della sicurezza parla di un'agenzia, la Insigna Srl, "presso la quale ha lavorato come titolare della licenza il dott. Curci, ex capocentro del Sismi a Milano", nonchè il successore dello stesso nel ruolo di capocentro, in testa alla cordata che lo voleva spodestare. La Insigna, spiega Tavaroli, "faceva capo all'avv. Serra" che "svolgeva attività informativa di supporto per l'on. De Michelis". Inoltre il capocentro Sismi di Milano fino al 2002, Stefano D'Ambrosio, secondo Tavaroli, cercava informazioni su Marco Tronchetti Provera e sua moglie Afef.


 

 

 

 

 

 

 

Italia Oggi 26-3-2007 Abolizione delle penali dei mutui per abitazioni e uffici

Il primo comma dell'articolo in questione (articolo 7) contiene la declaratoria di nullità di qualunque patto, anche posteriore alla conclusione del contratto, incluse le clausole penali, con cui si convenga che il mutuatario, che richieda l'estinzione anticipata o parziale di un contratto di mutuo per l'acquisto o per la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione oppure allo svolgimento della propria attività economica o professionale da parte di persone fisiche, sia tenuto a una determinata prestazione a favore del soggetto mutuante.La lettera della norma ammette alla possibilità di avvantaggiarsi della regola di esonero da spese i debitori in caso di mutui sia per l'acquisto sia per la ristrutturazione di una casa di abitazione. Non si parla di prima casa e quindi la nozione comprende qualsivoglia immobile a uso abitativo, anche diverso dalla prima casa. Inoltre la regola dell'esenzione da penali per l'estinzione anticipata riguarda anche i mutui per l'acquisto o la ristrutturazione di immobili strumentali all'attività imprenditoriale o professionale, con il limite che il soggetto finanziato sia una persona fisica.Da un punto di vista oggettivo la norma ha subito una forte estensione rispetto alla versione iniziale, che riguardava solo i mutui per l'acquisto (e non la ristrutturazione) della prima casa. Sono vietate le clausole penali, ma anche qualsiasi altra clausola dalla cui applicazione derivi l'effetto di una prestazione a carico del debitore. Ovviamente la prestazione non può che essere di carattere pecuniario, anche se la norma si esprime in termini molto generali e cioè a qualunque prestazione a qualsiasi titolo.L'ampiezza della formulazione è un riflesso condizionato dalla scrupolo di evitare che una formulazione tassativa consenta agli intermediari di caricare addebiti al cliente. Il cliente, invece, dovrà essere libero di chiudere il conto quando vuole. Magari portandosi il mutuo da un'altra banca.La norma sull'esclusione di oneri per l'ipotesi di estinzione anticipata del mutuo deve inoltre operare interamente a favore del cliente. Così non sarebbe se la nullità della clausola contenente oneri diretti o indiretti sull'estinzione anticipata invalidasse l'intero contratto. Il decreto legge si preoccupa opportunamente di segnalare che si tratta di nullità parziale e che la nullità del patto non comporta la nullità del contratto.Tutto quanto sin qui detto opera senza limiti ai contratti di mutuo stipulati a decorrere dal 2 febbraio 2007 e cioè dal giorno successivo alla data di pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale.Per i mutui già stipulati è prevista la necessaria riconduzione a equità della penale.In effetti in base al codice civile la penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l'obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l'ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento.Con riferimento ai finanziamenti per la ristrutturazione e acquisto di immobili da parte di persone fisiche il giudizio sull'eccessiva onerosità della penale è stato formulato dalla legge che stabilisce una procedura per la riduzione della penale stessa, senza affidarsi al giudice. La riduzione della penale deve avvenire in prima battuta con una procedura contrattuale tra banche e rappresentanti dei consumatori. In base all'articolo 7 del decreto l'Associazione bancaria italiana e le associazioni dei consumatori rappresentative a livello nazionale, devono definire entro tre mesi le regole generali di riconduzione a equità dei contratti di mutuo in essere mediante, in particolare, la determinazione della misura massima dell'importo della penale dovuta per il caso di estinzione anticipata o parziale del mutuo.In sostanza per i vecchi mutui è sempre dovuta una penale, ma la penale deve essere non quella originariamente pattuita, ma una penale scontata.La trattativa nazionale stabilirà il beneficio minimo per gli utenti, fermo restando che sono legittime condizioni di migliore favore. Se la trattativa si arena e se le parti non raggiungono nessun accordo, la palla passa alla Banca d'Italia, che quale organo tecnico ha il compito, da svolgere entro 30 giorni, di fissare la misura della penale idonea alla riconduzione a equità.L'ammontare della penale come individuato dalla Banca d'Italia costituisce, dice il decreto, norma imperativa ai sensi dell'articolo 1419, secondo comma, del codice civileai fini della rinegoziazione dei contratti di mutuo in essere. Questo significa che si verifica la sostituzione automatica di clausole: quella illegittima viene sostituita dalla penale stabilita dalla Banca d'Italia.Trattandosi di norma imperativa le banche e tutti gli altri soggetti che concedono mutui non possono rifiutare la rinegoziazione dei contratti di mutuo stipulati prima della data di entrata in vigore del decreto 7/2007, nei casi in cui il debitore proponga la riduzione dell'importo della penale entro i limiti stabiliti dalla contrattazione collettiva o dalla Banca d'Italia.La richiesta di rinegoziazione, evidentemente, può avvenire anche per importi di maggior favore, anche se è plausibile che gli intermediari si allineeranno alle decisioni di Banca d'Italia. Le disposizioni sull'estinzione anticipata del mutuo trovano applicazione anche ai finanziamenti concessi da enti di previdenza obbligatoria ai loro iscritti.

 

 

 

 


INDICE 25-3-2007

+ La  Stampa 25-3-2007 ANNIVERSARIO DEI TRATTATI DI ROMA  L'Europa compie 50 anni festa a Berlino nel nome del "rilancio"

Il Corriere della sera 25-3-2007 Roma non divida di MARIO MONTI 1

Il Giornale di Brescia 25-3-2007 "Il sogno dei padri fondatori è ancora vitale". Intervista a Sergio Romano FRANCESCO MANNONI 2

L’Unità 25-3-2007 Il Papa contro l'Europa: senza Cristo è apostasia Benedetto XVI ai vescovi: "Le correnti laicistiche negano la parola ai cristiani" 3

La Repubblica 25-3-2007 I capi di stato e di governo dell'Unione sanciranno il rilancio della Ue. Monta la polemica sulle "radici cristiane" 4

Da Europa 25-3-2007 L’Afghanistan nel giorno dell’Europa  di GUIDO MOLTEDO  4

La Repubblica 24-3-2007 Bergamo, il ladro è un gentiluomo Ruba il portatile ma restituisce la tesi 6

 


+ La  Stampa 25-3-2007 ANNIVERSARIO DEI TRATTATI DI ROMA  L'Europa compie 50 anni festa a Berlino nel nome del "rilancio"

Nella capitale tedesca il vertice con i capi dell'Unione

BERLINO
Tra molti propositi di rilancio e sulla scia di qualche polemica, l’Unione europea celebra oggi i suoi 50 anni nella capitale tedesca, dove i capi di Stato e di governo dei Ventisette hanno adottato la Dichiarazione di Berlino, testo sottoscritto nel Museo Storico Germanico dal cancelliere tedesco Angela Merkel come presidente di turno del Consiglio europeo e rappresentante di tutti i paesi, dal presidente della Commissione europea José Manuel Barroso e dal presidente dell’Europarlamento Hans-Gert Poettering.

La mattinata del ’compleanno europeò è stata occasione per molti leader per esortare a riprendere con coraggio il disegno iniziato 50 anni fa. Voce italiana al consesso dei 27, il presidente del Consiglio Romano Prodi, ha chiesto «nuove regole» entro le europee del 2009, sostenendo che «il Trattato firmato a Roma nell’ottobre 2004 costituisce una base solidissima su cui edificare» il nuovo «patto fondamentale» dell’Unione europea. «Queste nuove regole servono subito», ha detto Prodi, invitando l’Europa a ritrovare un poco della sua follia creativa.

La padrona di casa e presidente di turno dell’Ue, Angela Merkel, nel suo discorso davanti ha fatto anche un riferimento personale alle radici cristiane alla base della storia e del patrimonio di valori del Vecchio Continente. Per me - ha detto la cancelliera, all’indomani del monito di Bendetto XVI a non dimenticare l’identità cristiana dell’Ue - poco dopo aver ricordato l’importanza della dignità umana e della libertà - questa concezione dell’uomo deriva anche dalle radici giudaico-cristiane dell’Europa».

E da Roma, dove ha partecipato alla cerimonia del 63.mo anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha evidenziato come l’impegno per il progetto europeo debba «ancor più nutrirsi della consapevolezza che per garantire la pace e la libertà è indispensabile un’Europa unita, più forte e più coesa». È proprio dal ricordo della strage delle Fosse Ardeatine, in cui persero la vita 335 persone, Napolitano spiega, che bisogna trarre «la memoria da una lezione storica»,sottolineando che è «uno dei simboli più carichi di dolore».

E dopo le riflessioni sul passato e sul futuro, a Berlino si fa festa. Alle 12 si è aperto alla Porta di Brandeburgo, l’«Europafest», con un lungo concerto che si prolungherà fino alle 22. Ad esibirsi ci sarà, tra gli altri, anche Joe Cocker. In oltre 75 stand sarà possibile conoscere più da vicino i 27, con la loro cultura e le loro specialità gastronomiche, e le istituzioni europee. Il momento culminante è fissato per le 20, con l’esecuzione dell’inno europeo e dieci minuti di fuochi d’artificio.


Il Corriere della sera 25-3-2007 Roma non divida di MARIO MONTI

 

L'Europa e il ruolo della Chiesa La migliore prova di vitalità dell'Unione europea, a cinquant'anni dalla sua nascita, è data dall'acceso dibattito, che da Roma soprattutto promana, sui valori etici e sui fondamenti religiosi. Non ci si batterebbe affinché vengano riconosciuti determinati valori, capaci di orientarne lo sviluppo, se si considerasse quella costruzione decadente, priva di futuro. È un dibattito essenziale per dare più anima e più vigore all'Ue. Nobile nella preoccupazione spirituale che lo muove e lo illumina, ma che potrebbe risultare nefasto se fosse visto come occasione di protagonismo da personalità e partiti attenti alle proprie convenienze, forse ancor più che all'identità spirituale dell'Europa del futuro. Un convegno promosso a Roma dalla Comece (Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea) conclusosi ieri con l'intervento del Papa, ha messo in luce posizioni diverse. E ha determinato in me qualche riflessione personale. Vedo un vuoto, pericoloso, tra un orgoglio legittimo, fondato su 2000 anni di storia, e una richiesta pure legittima per orientare l'avvenire. L'orgoglio per il ruolo avuto dalle radici religiose, in particolare cristiane, nella storia d'Europa, e la richiesta che queste radici vengano formalmente, costituzionalmente riconosciute. Il vuoto è ciò che sta in mezzo: i tratti distintivi non tanto dell'Europa quanto dei cinquant'anni di integrazione europea. È vero che i valori religiosi, e cristiani, permeano da due millenni l'Europa e ne hanno plasmato la grandezza civile, culturale. Ma in quei due millenni, malgrado quei valori - e purtroppo talora in nome di quei valori - l'Europa ha fatto infinite guerre. È invece in pace, eccezionalmente, da cinquant'anni. Questo per effetto dell'integrazione. Il Trattato di Roma non ha dichiarato valori etici, ma ha indotto a praticarli. Di solito non si fa lo sforzo di guardare se la Ue, come si sta realizzando, si mostra o no coerente nei fatti con i principi etici. Per iniziativa della Comece, questo esercizio è stato fatto (con il documento "Un'Europa dei valori. La dimensione etica dell'Unione europea"). Si mostra come, in tante aree diverse, ciò che la Ue sta realizzando, senza avere proclamato valori, rispetta le esigenze etiche ben più di quanto sia avvenuto con le politiche praticate in vari Stati membri, ricchi di dichiarazioni etiche nelle loro costituzioni e nei loro programmi politici. Solo due esempi: la solidarietà intergenerazionale (attraverso la disciplina delle finanze pubbliche e la politica per l'ambiente), la parità di trattamento tra Stati grandi e piccoli, grazie al metodo comunitario. Moltissimo resta da fare, per avere un'Europa più efficace, più capace di valorizzare la persona umana, meglio in grado di promuovere nel mondo i suoi valori. Il Papa ha ieri offerto indicazioni ampie e di grande rilievo. Sarebbe davvero riduttivo, a mio parere, concentrare soverchia attenzione sulla richiesta dell'esplicito riconoscimento delle radici cristiane. Se questo riconoscimento ci sarà, sia il benvenuto. Se non dovesse raccogliere la necessaria unanimità degli Stati membri, si cerchi di non sommare a questa delusione un danno di portata ben maggiore. Non usino, quegli Stati e quelle forze politiche che da qualche tempo si sono dati con forte visibilità questo obiettivo, non usino l'eventuale insoddisfazione per screditare la Ue agli occhi dei loro cittadini, magari presentandola come il "luogo del male". In una fase in cui molti considerano non altissima la credibilità del mondo politico, certo inferiore a quella della Chiesa, con un tale atteggiamento essi otterrebbero forse qualche soddisfazione elettorale. Ma renderebbero ancora più difficile la costruzione di quell'Unione europea migliore, che dicono di volere.

 


Il Giornale di Brescia 25-3-2007 "Il sogno dei padri fondatori è ancora vitale". Intervista a Sergio Romano FRANCESCO MANNONI

 

L'INTERVISTA Il politologo Sergio Romano invita a valutare i successi e non solo le difficoltà sul cammino verso gli Stati Uniti d'Europa. Ma è urgente adottare la nuova Costituzione ROMA Il 25 marzo 1957 Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Olanda e Repubblica Federale Tedesca, subito definiti "i magnifici sei", siglarono i Trattati di Roma, compiendo così il primo passo verso un'Europa unita e in pace dopo secoli di guerre intestine, culminate nella carneficina del 1914-18, madre di tutti gli altri drammi del Novecento. Cinquant'anni dopo l'istituzione della Cee (Comunità economica europea) e dell'Euratom (Comunità europea dell'energia atomica), cos'è rimasto in piedi di quel sogno iniziale? Ne parliamo con l'europeista e storico Sergio Romano. "L'idea degli Stati Uniti d'Europa, che era il progetto forte all'origine dei Trattati di Roma - dice -, si è diluita, ma non è evaporata. Il progetto politico resiste e si continua a parlare della necessità di una politica estera e di una politica militare comuni, e di un ministro degli Esteri europeo com'era previsto dalla Costituzione". - Lei vede più successi o più insuccessi nella strada compiuta in questo mezzo secolo? "Solo il pessimismo diffuso degli ultimi anni può nascondere l'importanza dei traguardi raggiunti: una moneta unica, una politica agricola criticata ma straordinariamente federale, molto più di quanto non lo fosse quella degli Stati Uniti per buona parte dell'Ottocento. Gli stessi americani sono arrivati alla moneta unica, ossia al dollaro con lo stesso valore per tutti gli Stati della Federazione, soltanto agli inizi del Novecento". - Non è preoccupante, dunque, che l'euro non sia stato adottato da tutti i membri dell'Unione? "No, e fa bene sperare il fatto che si vada delineando all'interno della Ue, soprattutto dopo l'allargamento, un gruppo di Stati che si distinguono per la loro forte volontà unitaria. I nuovi arrivati come la Polonia e la Repubblica Ceca non condividono minimamente il progetto ideale originario e hanno un'altra storia, un'altra cultura, ma sono fortemente motivati a integrarsi perché sanno che non si può avere una moneta comune se non si realizza una maggiore integrazione economico-finanziaria". - Come va valutato il rifiuto della Costituzione europea da parte di alcuni Paesi? "Il dramma non è che la Costituzione non sia amata da Paesi, come la Polonia, che non condividono i principi originali dell'integrazione europea. Purtroppo il diniego è venuto da due Paesi fondatori, Francia e Paesi Bassi, ed è qui la crisi dell'Europa. Quel rifiuto è stato superficialmente interpretato come euroscetticismo, che certamente c'era, ma c'erano anche tanti altri ingredienti. Prima di tutto il timore che questa Europa fosse poco sociale. Per una gran parte della società francese esso è stato anche una reazione all'eccessivo allargamento dell'Unione, vissuto come una libertà di circolazione per popoli estranei a noi per tradizione storica e culturale". - I sei Paesi fondatori quale ruolo hanno in quest'Europa allargata? "Attualmente un ruolo molto modesto. Sarei portato a dire che non ne hanno alcuno. Perché questo gruppo non è tale se non esiste la Francia che è il Paese fondatore per eccellenza ed è l'autore di quasi tutte le maggiori iniziative europeiste varate dall'inizio degli anni Cinquanta in poi. Senza la Francia, non saremmo quello che siamo e non avremmo quello che abbiamo. E il fatto che in questo momento la Francia sia del tutto irrilevante nel gruppo dei sei, rende il gruppo inesistente". - Perché dice che la Francia in questo momento è irrilevante? "Perché lì si è svolto il referendum che ha bocciato la Costituzione e perché nella campagna elettorale in corso, siccome nessuno ha capito bene quale sia la natura di quel ''no'', i candidati si tengono molto sulle generali ed evitano di prendere una posizione netta sul tema dell'Europa. Chiunque sia eletto all'Eliseo, però, dovrà prendere atto del ruolo della Francia nell'Unione, per conservare il quale essa dovrà essere propositiva". - La crisi dell'Europa si manifesta anche nella sua scarsa incisività sulla scena internazionale... "L'Europa non ha nessun peso nella politica internazionale, e non solo a causa dell'allargamento. Negli ultimi tempi si è spaccata due volte su grandi temi internazionali, rendendo impossibile l'adozione di una linea comune. Ci siamo spaccati sui rapporti con gli Usa nel 2003 al momento dello scoppio della guerra irachena: nessuno in Europa voleva la guerra, nemmeno la Gran Bretagna, l'Italia o la Spagna che pure hanno mandato contingenti militari, e la spaccatura è consistita nel rapporto che ogni Stato europeo riteneva utile avere con gli Stati Uniti. Adesso c'è una spaccatura sui rapporti con la Russia, in seguito al progetto americano di installare missili e antimissili in Polonia e un radar nella Repubblica Ceca. Polacchi e cechi sono d'accordo, ma i tedeschi no. Gli altri tacciono, perché stavolta oltre ai rapporti con gli Usa, sono in gioco anche quelli con la Russia, con la quale noi europei occidentali sappiamo bene quanto sia nostro interesse andare d'accordo, per motivi sia politici che economici. Diverso è l'atteggiamento degli Stati europei orientali di recente acquisizione, che hanno un forte sentimento anti-russo". - Ma perché la Russia non entra a far parte dell'Europa? "Mosca non ha nessuna intenzione di rinunciare alla propria sovranità, e sa bene che l'adesione all'Europa comporta una progressiva perdita di sovranità: ogni volta che passa una legge a Bruxelles, perdiamo un pezzetto di autonomia. La Russia ha un'altra storia, una dimensione continentale, un altro sentimento della sua identità, e non ha mai partecipato al progetto europeo. Quando Berlusconi diceva ''Vogliamo i russi nell'Ue'', Putin sorrideva perché lo prendeva come un complimento da salotto". - Riguardo all'Iran, invece, c'è una maggiore coesione europea? "Sì, sull'Iran l'Europa per un certo periodo ha avuto una linea diversa da quella degli Usa. Adesso, però, le rispettive posizioni si sono avvicinate. Per molto tempo gli americani sono stati del tutto contrari persino all'idea di rivolgere delle proposte all'Iran, e pur di ottenere che Washington entrasse in quest'ordine di idee, l'Ue si è avvicinata all'America adottando una linea più rigorosa di quella precedente". - Quali sono le scadenze più urgenti che aspettano l'Europa? "La più urgente è rimettere la Costituzione in dirittura d'arrivo. Non il testo sottoposto a referendum in Francia e in Olanda, ma uno nuovo che contempli maggiori poteri al Parlamento e la modifica del sistema di voto rispetto al Trattato di Nizza". - Secondo lei, è giusto festeggiare questo cinquantenario? "Certo. Il pessimismo e l'euroscetticismo offuscano un po' la ricorrenza, ma un noto settimanale Usa ha elencato tutti i vantaggi che la società europea ha ricavato da questo processo di integrazione. Sono tanti, e tutti importanti".

 


L’Unità 25-3-2007 Il Papa contro l'Europa: senza Cristo è apostasia Benedetto XVI ai vescovi: "Le correnti laicistiche negano la parola ai cristiani"

 

Poi all'Ue: "Rischia il congedo dalla storia, salvaguardi il diritto all'obiezione di coscienza" di Roberto Monteforte / Città del Vaticano UN'EUROPA senza un'anima, che dimentica Dio e i valori del cristianesimo, non ha futuro. "Rischia il congedo dalla storia". Parole durissime quelle pronunciate ieri da Benedetto XVI ai vescovi europei del Comece ricevuti in udienza in Vaticano. Un discorso teso e preoccupato sul destino del vecchio continente. Proprio nei giorni in cui si celebrano i 50 anni dei Trattati di Roma è chiarissimo il messaggio che il Papa ha voluto rivolgere ai leader europei riuniti oggi a Berlino. Dimenticando i "valori" e il Cristianesimo, l'Europa rischia una "apostasia da se stessa, prima ancora che da Dio". Se rinnega le sue radici cristiane, insiste, può andare incontro a un degrado senza ritorno. Presenta un quadro fosco. La nuova Europa è in affanno, in crisi di identità e distante dai cittadini, incapace di far fronte alle sfide poste dalla domanda di solidarietà, di trovare "un sano equilibrio tra dimensione economica e sociale". Si fa sferzante Ratzinger. Richiama il dato oggettivo della crisi demografica dell'Occidente che oltre a mettere in crisi la crescita economica, "pone enormi difficoltà alla coesione sociale, favorisce un pericoloso individualismo disattento verso il futuro". Disegna un Continente stanco, che perde fiducia nel suo avvenire. L'emergenza energia, quella ambientale,la domanda di solidarietà - osserva - rischiano di non avere risposte adeguate. Risulterebbero così ben fragili le fondamenta della "nuova casa comune europea" e debole la sua identità storica, culturale e morale. Questo sarebbe l'effetto di un appannamento di quei valori universali e assoluti che "il Cristianesimo ha contribuito a forgiare" e che "devono restare come fondativi dell'Europa" e che la rendono "fermento di civiltà". Valori che oggi paiono essere messi in discussione. È così che l'Europa negherebbe se stessa, la sua stessa identità: "È la sua apostasia e non solo verso Dio", scandisce il pontefice. Una scelta che avrebbe conseguenze concrete, inaccettabili per Ratzinger. "La ponderazione dei beni" finisce per essere considerata come "l'unica via del discernimento morale"; il "compromesso" è usato come sinonimo di "bene comune". Lo è quando è un legittimo bilanciamento di interessi particolari diversi, ma è "il male comune" se comporta accordi lesivi della "natura dell'uomo". E lancia il suo affondo: "Una comunità che si costruisce senza rispettare l'autentica dignità dell'essere umano, dimenticando che ogni persona è creata ad immagine di Dio, finisce per non fare il bene di nessuno". Non vi sarebbe nulla di "equilibrato" o realista" nel compromesso colpevole di "negare ogni dimensione valoriale ed ideale" figlio di un pragmatismo dilagate che è da contrastare, tanto più che sarebbe proprio il terreno di cultura di quelle "correnti laicistiche e relativistiche" che vorrebbero negare diritto di intervento pubblico ai cristiani. Il Papa chiede all'Ue di riconoscere "l'esistenza certa di una natura umana stabile fonte di diritti comuni a tutti gli individui" e quindi il diritto all'obiezione di coscienza "ogni qualvolta fossero violati i diritti umani fondamentali". Il Papa fissa così l'agenda politica dei cristiani impegnati nelle istituzioni comunitarie, chiarendo che il dibattito europeo ha un effetto anche sulle scelte delle singole nazioni. Subito dopo l'udienza con i vescovi del Comece il Papa incontra il "popolo" di Comunione e Liberazione che in settantamila ha "occupato" piazza san Pietro. L'occasione è il 25mo del riconoscimento papale della Fraternità di Comunione e Liberazione, fondata da don Giussani. Per i " Ciellini" molti riconoscimenti da Ratzinger.

 


 

La Repubblica 25-3-2007 I capi di stato e di governo dell'Unione sanciranno il rilancio della Ue. Monta la polemica sulle "radici cristiane"

 

. Prodi: "Serve una nuova laicità fondata sul dialogo" L'Europa dopo 50 anni prova a ripartire I 27 firmano la Dichiarazione di Berlino L'Europa dopo 50 anni prova a ripartire I 27 firmano la Dichiarazione di Berlino"/> Il cancelliere tedesco Angela Merkel accanto al premier Romano Prodi ROMA - L'Europa riparte da Berlino. Nella capitale tedesca, in occasione dei 50 anni dell'Unione, i capi di stato e di governo dell'Unione adotteranno una Dichiarazione destinata a sancire il rilancio della Ue e la fine dell'impasse nella riforma istituzionale. Nella "Dichiarazione di Berlino" si fa appello alla difesa delle conquiste dell'Unione e al tempo stesso al "continuo rinnovamento dell'architettura dell'Europa in conformità all'evolversi dei tempi". "Cinquant'anni dopo la firma dei Trattati di Roma - è scritto nella Dichiarazione - noi siamo uniti nell'obiettivo di porre l'Unione europea, fino alle elezioni del parlamento europeo nel 2009, su una rinnovata base comune". Il documento - sul quale è stato raggiunto un faticoso consenso sul testo proposto dalla presidenza tedesca - sarà firmato dal cancelliere tedesco Angela Merkel, unitamente al presidente della Commissione europea Jose Manuel Barroso e a quello del parlamento europeo Hans-Gert Poettering. La vigilia della firma è stata però caratterizzata da evidenti divisioni e difficoltà. Come dimostrano i documenti finali dei due più grandi gruppi politici europei diffusi al termine delle tradizionali riunioni del Pse e del Ppe. Neanche una parola sulla Costituzione europea nel testo dei popolari; grande enfasi sulla necessità di un nuovo Trattato in quella dei socialisti. Monta intanto la polemica sulle "radici cristiane" dell'Europa. Fa discutere il mondo politico italiano ed europeo il fermo richiamo del Papa sulla necessità di tenere nella dovuta considerazione queste radici. Un monito che ha investito prima Roma, aprendo un immediato dibattito politico, e che ha raggiunto con la stessa forza Berlino, dove i 27 cercano faticosamente di riallacciare le fila dell'integrazione proprio sulla base del Trattato costituzionale. "Mi sono adoperato lungamente per introdurre il riferimento alle radici cristiane nella Costituzione europea - ha affermato Prodi - non esserci riuscito non vuol dire però che il testo le disconosca. Ci sono momenti in cui bisogna chiudere con il passato. Ora serve una nuova laicità fondata sul dialogo". Da parte sua, il segretario dei Ds Piero Fassino, intervenuto alla riunione dei socialisti a Berlino, ha detto che nella costruzione dell'Europa il contributo della cultura cristiana è innegabile, ma si affianca a quello di altre tradizioni culturali. Intanto, a poche ore dall'inizio del Consiglio straordinario, la gente si affolla attorno alla Porta di Brandeburgo tra i tendoni bianchi che ospitano mostre e offrono gastronomia rigorosamente europea, in attesa del grande concerto rock che si concluderà con l'esibizione di Joe Cocker.

 


Da Europa 25-3-2007 L’Afghanistan nel giorno dell’Europa  di GUIDO MOLTEDO

Nella giornata dei festeggiamenti dei cinquant’anni dei Trattati di Roma non abbiamo ascoltato solo discorsi retrospettivi e celebrativi, peraltro sobri, interessanti e dagli accenti sinceri, specie da parte di chi ha maggiormente contribuito alla costruzione della casa europea. Abbiamo anche sentito parole “politiche”. Rivolte al futuro.
Il presidente Napolitano ha detto al Tg1 che «l’Europa deve uscire presto dal punto morto in cui si trova».
In un convegno sull’europeismo di De Gasperi, il presidente Marini ha dichiarato che «serve uno sforzo, che è difficile ma necessario, di costruire una politica estera e di difesa comune ». Dalla Germania, alla vigilia del s u m m i t straordinario europeo di Berlino, la cancelliera Merkel è stata ancora più precisa e, alla Bild, ha detto che «occorre avvicinarci a un esercito comune europeo», un’idea che in Italia più volte è stata avanzata da Francesco Rutelli.
Tutti propositi interessanti, purché ci sia un’Europa in grado di decidere politicamente. Potrà farlo – pronunciamo una bestemmia – con un’Unione «a due velocità»? Può essere anche questa la via maestra. D’altra parte, in una conversazione con Le Monde Romano Prodi ha rotto il tabù, non escludendo, seppure in teoria, una simile prospettiva, specie se lungo il percorso verso la costituzione ci saranno nuovi intralci, come un nuovo referendum in Francia dall’esito negativo.
Sarà pure una coincidenza, ma la “politicità” di queste dichiarazioni si muove su un piano subliminale, anche se evidente: l’Afghanistan. Lì, ancora una volta, si sta misurando – è una litania, ma è così – l’assenza di un’Europa politica. Seppure in una cornice Nato, gli otto paesi europei presenti si muovono secondo una logica nazionale e – in rapporto agli Stati Uniti – ognuno individualmente, con pochi o scarsi raccordi tra loro in quanto membri dell’Unione europea.
La vicenda Mastrogiacomo è un caso eclatante, emblematico, di questa dimensione puramente nazionale e di una logica di relazione, nel bene e nel male, con i soli Stati Uniti.
La missione afghana avrebbe dovuto tener conto della lezione irachena.
Nel caso della guerra in Iraq, l’Europa si spaccò in due, con riverberi molto pericolosi sulla tenuta stessa di una Ue già insabbiata nella crisi politica provocata dal doppio no nei referendum costituzionali in Francia e in Olanda e nel difficile processo di ampliamento a est e verso la Turchia.
La missione in Afghanistan è stata “narrata” alle opinioni pubbliche, innanzitutto, come un voltare pagina rispetto a quell’esperienza, come la prova che l’Europa sente su di sé la responsabilità di agire, anche militarmente, di fronte alle crisi internazionali, purché affrontate secondo tutti i crismi del multilateralismo e sotto l’ombrello dell’Onu e della Nato.
Un messaggio rivolto anche all’America, come contrappunto rispetto all’unilateralismo avventurista dell’Iraq.
C’è stato quasi un eccesso di zelo nel presentare virtuosamente l’Afghanistan come l’opposto dell’Iraq, a partire da Zapatero. Poi ciascun paese europeo, tolta la Gran Bretagna, ha vissuto più o meno lo stesso psicodramma, ognuno nel chiuso del proprio confine parlamentare. In Olanda, la formazione del nuovo governo di coalizione ha sfiorato il fallimento proprio sulla spedizione in Afghanistan.
Al Bundestag, Merkel e Münteferring hanno dovuto fare acrobazie per limitare i compiti del contingente tedesco e ottenere così luce verde.
Zapatero si è dovuto destreggiare tra i mal di pancia della sinistra e le critiche del suo principale fiancheggiatore nei media, El Paìs. E l’Italia è ancora alle prese con un passaggio parlamentare cruciale, quello di martedì prossimo al senato.
Così, dalla spaccatura sull’Iraq si è passati alla frammentazione sull’Afghanistan. Dal broncio con l’America alla condivisione di un’impresa difficile, con molti se e ma. Non solo ogni paese si muove obbedendo prevalentemente a logiche di politica interna e all’assillo di ricostruire –per chi l’ha incrinato, come nel caso di Berlino – il rapporto con Washington, o di non comprometterlo definitivamente, come ora il governo italiano. Ognuno e tutti insieme mostrano di non avere una visione persuasiva del perché si trovano in un paese remoto, il più inospitale e ostile della terra.
Washington ha una sua bussola, un suo obiettivo e, dopo il fallimento dell’impresa mesopotamica, lo vuol rendere ancora più evidente, specie di fronte all’opinione pubblica interna: la lotta al terrorismo internazionale, nel paese che ne ospita le basi principali, e la tutela del governo di Karzai dal possibile ritorno dei talebani. Ed è conseguente, politicamente e militarmente, con questa visione. Tranne la Gran Bretagna, i paesi europei non possono dire di averne una altrettanto forte. Dicono di condividere le ragioni degli americani, ma poi fanno fatica a muoversi coerentemente sul terreno.
Tra alti e bassi, è prevedibile che il quadro non cambi sostanzialmente. Ma nel lungo periodo, una situazione che pure si mantenga a questi livelli senza peggiorare, è destinata a logorarsi, a entrare in una sorta di stallo senza fine, punteggiato da momenti altamente drammatici.
Scongiurare uno scenario del genere è possibile.
In Libano, per esempio, l’Italia sta facendo bene. Anche nei Balcani. Ma sono situazioni tutt’altro che transitorie. Impensabile che a farsene carico, nel lungo periodo, sia un sistema paese, o una somma di sistemi paese, con il retropensiero che il grosso spetterà comunque agli Usa. Per questo il bisogno di Europa di cui tanto si è parlato ieri non è retorica, e neppure un’istanza che interessa solo gli europei.
È una necessità per il mondo d’oggi e di domani.


 

Il Giornale 25-3-2007 UE: pagamenti via telefono

 

Secondo uno studio della Commissione Europea, la mancanza di uno spazio unico dei pagamenti bancari comporta un costo pari al 2-3% del Pil. Attualmente dei passi in avanti sono stati fatti attraverso l'autoregolementazione sulla quale le banche lavorano dal 2002, per la creazione di uno spazio unico per i pagamenti nell'Ue. Dall'Ecofin di martedì a Bruxelles dovrebbe venire, salvo sorprese, il via libera a una direttiva che stabilisca un quadro legale omogeneo. La Bce sostiene, in proposito, che l'accordo amplierebbe i benefici della moneta unica incoraggiando la competizione tra i Paesi nei servizi per aumentare la crescita. Con la nuova direttiva, i pagamenti nazionali e transfrontalieri diventeranno la stessa cosa e avranno bisogno di 3 giorni al massimo. Con un solo conto corrente potranno inoltre essere per esempio domiciliate le bollette di una casa che si trova in un altro Paese europeo, e si potrà fare ogni altro tipo di operazioni in caso di soggiorno all'estero per un certo periodo. Ma ci saranno anche altre novità come la possibilità di pagare con il cellulare, cosa che già è possibile da qualche giorno a Bruxelles, di lasciare al proprio supermercato le bollette affinché siano pagate, cosa che avviene già in Gran Bretagna. Il tutto a partire dal primo gennaio 2008.

 


La Repubblica 24-3-2007 Bergamo, il ladro è un gentiluomo Ruba il portatile ma restituisce la tesi

L'uomo aveva sottratto il portatile ad una studentessa che, disperata, aveva
rivolto un appello per riavere la copia del suo lavoro. Ed è stata accontentata

 

E' stato già soprannominato il ladro gentiluomo e la ragazza derubata sta pensando di dedicargli la tesi di laurea. La studentessa ventunenne, Paola Bernardi Locatelli, mercoledì sera aveva lasciato il suo zainetto col computer nell'auto parcheggiata in centro a Bergamo. Al suo ritorno però l'amara sopresa: dalla vettura era sparito lo zaino. Da lì è comiciata la sua disperazione: il computer infatti conteneva l'unica copia della tesi di laurea alla quale lavorava da un anno e mezzo. Paola, che è laureanda in Archeologia all'università di Milano, non si è persa d'animo: ha prima tappezzato il quartiere di volantini con un appello al ladro e poi ha spedito comunicati a tutti i giornali locali. E il suo spirito d'iniziativa è stato premiato: ieri sera, finalmente. è arrivata la telefonata che aspettava. Un uomo, dall'accento straniero, l'ha avvertita che avrebbe ritrovato la tesi insieme ad altri documenti, in una busta di plastica blu accanto ai cassonetti dell'immondizia. Paola si è precipitata all'indirizzo indicato prima che il camion della nettezza urbana portasse via tutto.

Come se non bastasse il ladro ha lasciato nella busta anche una cassetta audio con la registrazione di una conferenza di archeologia che la studentessa aveva preso in prestito alla biblioteca dell'università. "Adesso farò tantissime copie della tesi e la distribuirò tra gli amici" racconta soddisfare. Tra un mese Paola discuterà a Milano la sua tesi sul tema della "figura umana nella ceramica etrusco-corinzia". Magari rivolgendo un pensiero a chi, malgrado tutto, lei considera un benefattore.


INDICE 24-3-2007

+ La Stampa 24-3-2007 La retorica dell'Europa Enzo Bettiza

+ Il Corriere della Sera 24-3-2007 Berlino, la cerimonia dei 50 anni dei Trattati. Presenti capi di stato, capi di governo e ministri dei Paesi membri dell'Ue. Nella capitale tedesca la celebrazione ufficiale della nascita dell'Ue

+ Il Riformista 24-3-2007 Irving va ad Auschwitz come se fosse Disneyland di Stefano Cappellini

+ La Repubblica 24-3-2007 I giovani italiani si allontano dall'Europa, sono pochi e scarsamente informatizzati di Salvo Intravaia

La Repubblica 24-3-2007 I mari agitati del nuovo Pd. Paolo Frascani 1

La Repubblica 24-3-2007  "Da Fininvest soldi al giudice Metta" Emilio Randacio Milano  2

Il Corriere della Sera 24-3-2007 La coerenza che manca Di Angelo Panebianco  3

La Gazzetta di Reggio 24-3-2007  "Sono in crisi, ma devo sostenere il governo" Franca Rame a Reggio: il mio stipendio da 16mila euro al mese vi pare legale? Maria Scardamaglia. 4

La Stampa 23-3-2007 La capitale festeggia l'Unione Europea  5

Finanza e Mercati 24-3-2007 La finta bolla made in Italy  5

La Stampa 23-3-2007 "Vip del mondo giù le mani dall'Argentina" La protesta degli indigeni Christine Legrand  6

 


+ La Stampa 24-3-2007 La retorica dell'Europa Enzo Bettiza

 

Di retorica se n’è sentita e letta tanta in questi giorni di festeggiamenti in occasione del cinquantesimo anniversario del Trattato di Roma che, pur se preceduto da primordi decisivi come la Comunità del carbone e dell’acciaio e l’Euratom, è considerato storicamente l’atto fondativo dell’Europa destinata a riunirsi con 27 Stati nell’attuale Unione Europea. Intendiamoci. La retorica, in particolare la retorica europeista, non poteva non evocare ed esaltare gli sforzi tesi da mezzo secolo alla creazione di un’entità composta da nazioni civilissime, etnicamente divise ma legate da una comune matrice culturale, che però si svenavano di continuo nel ricorso ciclico delle più lunghe e terribili guerre fratricide che il mondo ricordi.
A giustificazione di tale autoretorica non sempre controllata, che talora degenera in una sorta di compiaciuto narcisismo pedagogico, c’è comunque un patrimonio di risultati positivi e incontrovertibili accumulati soprattutto nei primi due decenni della Comunità che non si chiamava ancora Unione. L’estirpazione dell’odio tra francesi e tedeschi durato dal 1870 al 1945, il consolidamento di una pace e di una prosperità di massa finora inimmaginabili nella storia europea, la riunificazione della Germania e poi del continente non più diviso da muri e cortine di ferro: tutto questo è avvenuto, è potuto avvenire, nell’ambito del lento ma inarrestabile processo unitario che a Roma, nel marzo 1957, aveva avuto la sua base contrattuale o, per dirla meglio, contrattualistica.
C’è però un punto critico essenziale, che neppure il più blando esercizio retorico riesce a nascondere del tutto. Non basta dire che con mezzo miliardo di cittadini l’Europa è diventata il terzo conglomerato demografico dopo la Cina e dopo l’India.
Non basta nemmeno pavoneggiarsi per un prodotto lordo globale che supera quello degli Stati Uniti, mentre sull’altro piatto della bilancia ritroviamo un tasso di disoccupazione giovanile e di ritardo tecnologico che gli Stati Uniti non conoscono. Quella che commemoriamo è una nobile signora di mezza età che mostra il segno di disagi e di incertezze di un ciclo vitale incompiuto ma, speriamo, non esaurito. Una signora certamente matura, politicamente rinsaldata dall’euro, in possesso di molte terre continentali, che però nel frattempo, in un alternarsi continuo di crescita e di crisi, ha smarrito per strada i suoi documenti identitari, i suoi codici normativi, il suo marchio di legittimità.
Noi ne celebriamo oggi l’anniversario, anniversario che dà l’impressione di crogiolarsi in vuoti soprassalti d’autostima, giacché non s’è concluso come avrebbe dovuto concludersi. Cioè nell’apoteosi della sua Carta d’identità e di legittimazione transnazionale: il progetto istituzionale, sottoscritto nel 2004 a Roma da 27 capi di Stato e di governo, anziché sigillare solennemente il percorso iniziato nella stessa Roma nel 1957, è stato invece bocciato per referendum dalla Francia e dall’Olanda, la più importante nazione continentale e il più eurofilo dei piccoli Stati fondatori della Comunità dei Sei. Un nucleo di altri Paesi, tra cui la Polonia, una volta all’avanguardia dell’europeismo dell’Est e oggi alla retroguardia degli euroscettici, non ha ancora deciso se accettare la Costituzione, se proporre una sua drastica riduzione prescrittiva o se rifiutarla. Jean Monnet, uno dei padri operativi dell'idea europea, usava dire che «il percorso dell'integrazione può svolgersi solo di crisi in crisi».
Saremmo forse giunti, proprio nelle ore del memorabile genetliaco, ai nodi della crisi più ostica in attesa che l’esito delle imminenti presidenziali francesi ci dica se la Francia accetterà fino in fondo, con tutte le conseguenze del caso, l’Europa di Roma e di Maastricht? Intanto la cancelliera Merkel, guardata con diffidenza da Parigi e criticata da Londra, ha deciso di porre domani a Berlino, al cospetto dei rappresentanti del vertice, il problema della Costituzione che ella ha conficcato al centro della presidenza tedesca dell’Ue: metterà sul tavolo la bozza di un «giuramento» propedeutico in favore della ratifica unanime di una Carta paneuropea.
Ma sono già tre gli Stati a cui la bozza della dichiarazione berlinese non è piaciuta. Ai francesi non è andata giù la lode dell'allargamento all'Est, inserita dalla Merkel nel primo paragrafo della bozza. I separatisti britannici non hanno gradito un altro paragrafo in cui si esalta l’euro e si sottolinea la «responsabilità sociale» dell'Unione. I polacchi si sono dichiarati delusi e irritati dal mancato riferimento alle radici cristiane dell'Europa. Tre Paesi di peso e di ostinata suscettibilità che, sicuramente, faranno sentire con energia le loro obiezioni domani. Come si vede, l’ormai remota luminosità dell'inizio comunitario, che l’anniversario inevitabilmente deve commemorare, si mescola alle inquietudini del presente e forse ai presagi di tempesta nel futuro. Non a caso Romano Prodi, che ha parlato ieri con l'autorevolezza dell'ex presidente della Commissione, ha ammonito che «il processo della costruzione europea non ha ancora raggiunto il punto di non ritorno». Come dire: bisogna andare avanti, costi quel che costi, per non cadere dalla crisi nel baratro del fallimento anch'esso senza ritorno.


+ Il Corriere della Sera 24-3-2007 Berlino, la cerimonia dei 50 anni dei Trattati. Presenti capi di stato, capi di governo e ministri dei Paesi membri dell'Ue. Nella capitale tedesca la celebrazione ufficiale della nascita dell'Ue

 

BERLINO - Un momento solenne di grande festa e di riconoscimento del percorso compiuto in mezzo secolo. Il summit per il cinquantenario della firma dei Trattati di Roma, che si tiene tra sabato e domenica a Berlino, riunisce capi di stato, capi di governo e ministri dei Paesi membri dell'Ue: un'occasione per l'Europa di riavviare un cammino rallentato dai no venuti alla Carta fondamentale dell'Ue. Proprio quella Carta ora criticata da Benedetto XVI per il mancato riferimento alle radici cristiane dell'Europa.

IL PROGRAMMA - Il summit, preceduto da due pre-vertici straordinari dei due partiti politici maggiori dell’Ue (Ppe e Pse) comincia nel tardo pomeriggio di sabato con con un ricevimento nella Philharmonie berlinese, dove i capi di Stato e di governo saranno accolti dal cancelliere tedesco Angela Merkel. A seguire un concerto dei Berliner Philharmoniker, che eseguono, sotto la direzione di Sir Simon Rattle, le Folk Songs di Luciano Berio e la Quinta sinfonia di Beethoven. La delegazione si sposterà alle 19 al castello di Bellevue, residenza del presidente della Repubblica federale Horst Koehler. La cena (ufficialmente non di lavoro) si tiene nel Gran Salone e viene introdotta da un discorso di Koehler. La cerimonia ufficiale per il Cinquantenario dei Trattati si svolge invece domenica al Museo di storia tedesca. I capi di Stato poseranno poi per una foto di famiglia intorno a mezzogiorno davanti alla Porta di Brandeburgo, dopodiché andranno al pranzo di lavoro, dove si discuterà della dichiarazione messa a punto dalla presidenza di turno tedesca. Il testo verrà firmato dal presidente del Consiglio europeo, Angela Merkel, dal presidente della Commissione europea José Manuel Barroso e dal presidente del Parlamento europeo Hans-Gert Poettering e le conclusioni verranno illustrate durante la conferenza stampa della presidenza tedesca, alle 14,30.

24 marzo 2007


+ Il Riformista 24-3-2007 Irving va ad Auschwitz come se fosse Disneyland di Stefano Cappellini


«Io ad Auschwitz sono costretto ad andarci di nascosto. Perché Auschwitz è come un casinò di Las Vegas, quelli come me, quelli che vincono, non li lasciano entrare». Sono le parole pronunciate dallo storico inglese negazionista David Irving pochi minuti prima di visitare per la prima volta il campo di sterminio nazista in Polonia. È successo venti giorni fa, il 4 marzo 2007. Irving era accompagnato da un suo amico, da lui definito «un esperto non revisionista». Con loro, il giornalista Andrea Casadio, che ha filmato tutta la sequenza della visita, preparativi compresi, e ne ha tratto un documentario - capace di fare più danni al negazionismo di qualunque codice penale - che è andato in onda nella puntata di ieri sera di Controcorrente, il programma di SkyTg24 condotto da Corrado Formigli.
Irving è uscito dalla prigione austriaca dove era recluso per apologia di nazismo il 20 dicembre 2006, dopo essere stato condannato a tre anni senza condizionale per avere tenuto nel 1989 due discorsi in cui negava l’esistenza delle camere a gas a Auschwitz e metteva in dubbio l’Olocausto. Ha trascorso in carcere 420 giorni. Ne è uscito ancor più illividito e pervaso di odio razzista. La galera, sostiene, «è il mio Oscar alla carriera. Marxisti ed ebrei hanno pensato di zittirmi in questo modo, ma io zitto non ci sto». Una frase su due di Irving è un insulto razzista: «La Polonia fa schifo, è un paese sudicio, primitivo», dice mentre percorre in macchina la strada che da Cracovia lo conduce ad Auschwitz. Lungo la via si ferma per acquistare otto tulipani gialli: «Sono il segno che vengo qui in pace».
Mentre si avvicina al famigerato ingresso del campo base, la torre attraversata dal binario che percorrevano i treni della morte, il suo primo commento tradisce delusione: «È più piccolo di quel che pensavo». Irving si aggira nel lager come in un luna park truccato. Appena dentro, sbotta: «Quelle torrette di guardia sono dei falsi da quattro soldi, falegnameria polacca. Te lo immagini un Ss che passa l’inverno in quella torretta spoglia? Sono falsi per turisti». Irving prosegue il percorso lungo il binario. Scatta foto come un visitatore qualsiasi. Mentre costeggia un canale di scolo dice: «Come facevano i tedeschi a scavare buche e bruciare i corpi con tutta quest’acqua?». Si avvicina ai resti della prima a camera a gas, distrutta dai nazisti quando la fine della guerra si avvicinava. «Mi domando cosa sia davvero successo qui», dice con l’espressione di chi è convinto che tutto possa essere accaduto tranne ciò che i resti intorno a lui raccontano. «Dove sono i buchi sul tetto da cui sarebbero state inserite le capsule di cianuro? Nessuno ha veramente indagato sul perché i tedeschi abbiano distrutto questa costruzione. Le invenzioni dei polacchi e degli ebrei hanno rovinato tutto». Vede una piccola costruzione in muratura: «E qui stava il carbone che avrebbe cremato mezzo milione di ebrei?». Gli compare alla vista il memoriale alle vittime costruito nel dopoguerra. Lo guarda con aria di schifo. Poi quasi soddisfatto legge: «Ah, ora i morti sono già diminuiti a un milione e mezzo? Auschwitz è un documento falsificato, è un tour stile Disneyland».
Nel settore 2, Auschwitz-Birkenau, la prima preoccupazione di Irving è cercare la scritta che sovrasta il cancello di ingresso: «Arbeit Macht Frei». La vede. Si capisce che gli dà gusto. Si dispiace solo che sia «minuscola». La soddisfazione dura poco. Ha appuntamento con la troupe di una televisione russa che ha portato con sé un sopravvissuto del campo. Quando Irving lo viene a sapere, tracima odio. Dell’anziano dice che è «un vecchio, un lupo mannaro, uno cui mi aspetto che si stacchi un braccio da un momento all’altro». Anche l’accompagnatrice della troupe subisce il suo carico di insulti: «Una polacca con una faccia cadente da alcolizzata». Solo l’ingresso nel primo edificio gli ridà il buonumore: «Questa costruzione del 1943 era un installazione all’avanguardia per pulire e disinfettare i prigionieri». La visita si sposta al blocco 11, il blocco della morte. Qui Irving sembra uno scienziato che abbia visto materializzarsi davanti agli occhi la reazione chimica attesa: «Come avevo immaginato. Tutto falso, i forni sono ricostruiti. È come una banconota da 50 dollari rimessa insieme a pezzi. Eppoi che ci fanno buchi di toilette in una camera a gas? E queste? Fessure da tre centimetri sotto le porte di una camera a gas?». Prima di tornarsene a Londra, dove si è stabilito dopo la carcerazione, Irving lascia al “muro della morte”, dove le Ss uccidevano i prigionieri a due a due con un colpo alla nuca, i suoi otto tulipani gialli.
In studio, a commentare il documentario, c’è ospite lo storico Marcello Pezzetti, uno dei massimi esperti di Auschwitz, che ha dedicato alcuni dei suoi studi a smontare le tesi negazioniste di Irving. Ma stavolta non ha voglia di argomentare. Dice solo: «Irving è un uomo di merda».


+ La Repubblica 24-3-2007 I giovani italiani si allontano dall'Europa, sono pochi e scarsamente informatizzati di Salvo Intravaia

I dati dell'indagine Eurostat sullo stato di salute dei paesi europei
Troppi ritardi nei settori nuove tecnologie, scolarizzazione e lavoro

Se il futuro dipende dai giovani di oggi in Italia non c'è da stare molto allegri. La popolazione invecchia e i ragazzi sono sempre meno. Nel secondo millennio usano poco internet e hanno scarse competenze informatiche. Il livello di scolarizzazione è basso e sono ancora troppi coloro che a 24 anni si ritrovano all'affannosa ricerca di un posto di lavoro. Un quadro - quello illustrato da Eurostat in occasione del Forum dei giovani del 24 e 25 marzo, organizzato nell'ambito dei festeggiamenti per il 50° anniversario della firma dei Trattati di Roma - che dovrebbe fare riflettere tutti: politici, amministratori locali e cittadini comuni. I numeri, ancora una volta, non lasciano spazio a dubbi: l'Italia è indietro e il futuro secondo gli esperti europei è decisamente in salita.
La popolazione "giovane". Se per giovani intendiamo quelli al di sotto dei 24 anni, in Italia, siamo messi male e se consideriamo gli under 15 siamo gli ultimi. E' il prezzo di genitori con sempre meno figli e di una famiglia che stenta a decollare: con benessere e difficoltà economiche probabilmente facce della stessa medaglia. Oggi, nel nostro paese , solo un abitante su quattro ha meno di 24 anni. La media dei paesi dell'Unione Europea è del 28,6 per cento. Tra le nazioni che possono contare su un capitale umano giovane in testa c'è l'Irlanda (35,7 per cento) seguita dal Francia, col 31,2 per cento, Regno Unito e Danimarca. E se nel frattempo non interverranno novità, nel 2050 le cose peggioreranno ulteriormente: il numero dei giovani, si calcola, scenderà al 19,6 per cento.
Il livello di scolarizzazione e il lavoro. E' uno dei parametri presi in considerazione dalle organizzazioni internazionali per prevedere i margini di crescita di uno stato. Rispetto alla media Ue (77,4 per cento) i ragazzi italiani tra i 20 e i 24 anni di età in possesso di un diploma sono appena 73 su 100. La Svezia con 87 giovani diplomati su 100 ci surclassa. Finlandia e Grecia ci danno oltre 10 lunghezze. Ma il dato che salta all'occhio è quello dei paesi appartenuti all'ex blocco sovietico che in molti casi superano il 90 per cento. Brutte notizie per i giovani italiani anche sul versante del lavoro. La disoccupazione in Italia colpisce più di un giovane su 5 (il 20,1 per cento) con una media europea più bassa di quasi 3 punti e mezzo. Ma non è tutto. Perché nelle statistiche Eurostat figura la percentuale di giovani che lavora: il resto è disoccupato o continua gli studi. In Italia, ultima in assoluto, può contare su uno stipendio appena un ragazzo su 4. Nel Regno Unito, in Finlandia, Austria e Danimarca se ne contano quasi il doppio.
Le competenze informatiche. In un mondo sempre "più virtuale" sapere utilizzare il computer e la Rete è di fondamentale importanza. Fra qualche anno, coloro che non sapranno inviare una email non saranno in grado di "chattare" o "navigare e acquistare in rete" saranno considerati neoanalfabeti. Tra i paesi europei più sviluppati i giovani italiani figurano all'ultimo posto: appena 55 su 100 (16/24 anni) utilizzano internet almeno una volta alla settimana. Gli unici paesi dell'Ue che ci seguono sono la Bulgaria, la Grecia e Malta. Anche in Lituania e Lettonia l'utilizzo di internet da parte dei giovani è parecchio più diffuso che nel belpaese. Stessa cosa per le competenze informatiche di alto livello. Solo un giovane italiano su tre può considerarsi davvero esperto alle prese con "file, account" e altre diavolerie e solo 8 su 100 si sono cimentati in "acquisti elettronici". In Europa, i ragazzi fra 16 e 24 anni che comprano beni e servizi su internet sono almeno il triplo

(24 marzo 2007)


La Repubblica 24-3-2007 I mari agitati del nuovo Pd. Paolo Frascani

 

Napoli (segue dalla prima di cronaca) L'idea di edificare una comune casa dei laici e dei cattolici democratici è ormai condivisa dagli elettori dell'Ulivo, ma sembra non scaldare i loro cuori. Non si è allargato, infatti, il consenso di aree politiche più vaste di quelle presidiate dall'elettorato militante, né si è attenuata l'indifferenza di larghi settori dell'opinione pubblica di sinistra verso i contenuti programmatici della "cosa nuova" che sta per nascere. è mancata, in altre parole, un'elaborazione intellettuale che mirasse a integrare e superare le culture politiche, cattolica, ex comunista e socialista, che si apprestano a incontrarsi. Sembrerebbero almeno in parte giustificate le critiche di quanti, all'interno e fuori dei Democratici di sinistra, denunciano la perdita di identità culturale saldamente radicata nell'immaginario collettivo del popolo della sinistra, per navigare su mari agitati e sconosciuti con compagni poco fidati. E dunque saremmo portati a interpretare simili perplessità come una prova ulteriore della crisi della politica e della sua incapacità di coinvolgere e mobilitare, se non dovessimo anche riconoscere che la costruzione del Partito democratico si rivela più complessa e tormentata per la difficoltà di comprendere e pilotare i rapidi cambiamenti che il nostro tempo impone a una vasta area della sinistra italiana e delle sue forze intellettuali. Viene perciò da chiedersi se l'esitazione nell'approfondire i contenuti programmatici della nuova "cosa" da parte di operatori della cultura, ricercatori, scienziati e semplici cittadini, sia solo determinata dalla mancata apertura di adeguati canali di partecipazione politica o testimoni piuttosto della reticenza a pronunciarsi, da "sinistra", sulla complessa riconversione dei valori e dei punti di riferimento culturale di oggi. è questo un punto nodale su cui impostare una riflessione. Un argomento su cui richiamare l'attenzione per approfondire i temi centrali della discussione. è certo che una società smarrita e indifesa nei confronti dei segnali che costantemente denunciano la rapida mutazione dei fondamenti del vivere quotidiano - ambiente, famiglia, scuola, salute - resta in attesa di risposte che il laboratorio di idee costruito per tradizione dalla politica della sinistra non fornisce più. Come è vero che, a fronte di questa inadeguatezza, si avverte più chiara e forte la voce di una gerarchia cattolica che ammonisce con "comandi" che destano anche l'attenzione dei non credenti. Questi ammonimenti toccano, secondo quanto ha osservato su queste pagine Ilvo Diamanti, "questioni legate all'etica: centrali per la società" e "rispondono all'inquietudine diffusa di fronte ai cambiamenti che investono la vita e l'integrazione sociale". Sull'altro fronte, non meno combattuto, della modernizzazione del sistema economico e del mondo del lavoro, un insieme di interessi e sedimentate convinzioni ha finora tenuto con successo in pugno la bandiera dell'identità socialista a scapito di una vocazione riformista, più avanzata perché liberale in economia e garantista nelle relazioni di lavoro. Questioni di questo calibro richiedono un'immediata mobilitazione intellettuale e politica. Una mobilitazione che se finora non è stata certo incoraggiata dalla politica, non è stata nemmeno fatta propria né sollecitata da una società civile poco consapevole, nelle sue componenti culturali e scientifiche, del ruolo che dovrebbe invece svolgere. Se riduciamo questo quadro d'insieme all'angolazione più periferica di un Mezzogiorno apparentemente meno toccato dai cambiamenti che attraversano larghi settori della società italiana, l'esplorazione dei nuovi orizzonti di una moderna sinistra democratica diventa ancora più critica e urgente. Qui il processo di costruzione del Partito democratico viene percepito dall'opinione pubblica come mera trasposizione dei rapporti di forza che regolano la governabilità locale, più che occasione di radicali trasformazioni culturali e politiche. E, d'altro canto, per quanto attiene alla cosiddetta società civile si continua a intravedere una scarsa propensione a ragionare su una via meridionale al riformismo, individuando i più pressanti obiettivi da far perseguire, da questa parte del paese, alla nuova compagine politica. Niente di simile, per intenderci, a quanto è avvenuto, nei giorni scorsi, in Piemonte dove la componente fassiniana dei Democratici di sinistra ha rivendicato con decisione, nel dibattito precongressuale, la priorità della "questione settentrionale". Non si tratta, però, di conquistare solo maggiore attenzione nei riguardi dei mali endemici del Mezzogiorno a livello nazionale, ma di proporsi di interpretare la società meridionale con strumenti più aggiornati di quelli con cui si cerca di venire a capo della sua insuperabile emergenza. Se distogliamo per un attimo lo sguardo dalla colmata di Bagnoli per misurare l'eventuale emergere di visioni, costumi e sensibilità condivise da altre grandi realtà urbane del paese, riconosceremo che anche gli scenari del nostro caos urbano nascondono le irrequietezze e i fremiti di una società non statica, anzi, vitale.

 


La Repubblica 24-3-2007  "Da Fininvest soldi al giudice Metta" Emilio Randacio Milano

 

Nel processo di appello bis, con l'ex magistrato e il senatore di Forza Italia, sono stati condannati Acampora e PacificoLodo Mondadori, le motivazioni della sentenza: il regista fu Previti "Emerso un quadro allarmante della gestione del tribunale di Roma" - Stefania Ariosto ha solo tracciato la strada. Ma "sullo sfondo, davvero sullo sfondo". Perché, scrivono i giudici di Milano, la voce delle supertestimone del caso "toghe sporche" "che dà conto della lobby giudiziaria organizzata da Cesare Previti", è superata, riscontrata in maniera univoca dai fatti emersi nel dibattimento. E' stato provato dalle carte processuali, che il giudice romano Vittorio Metta che si occupò nel 1990 della sentenza sul lodo Mondadori, sia stato pagato nel 1992 con "soldi che discendano direttamente dalle provviste del gruppo Fininvest". Quello che emerge dalle motivazioni con cui lo scorso 23 febbraio sono stati condannati per concorso in corruzione a 1 anno e mezzo di carcere Cesaree Previti e gli avvocati Giovanni Acampora e Attilio Pacifico e a 2 anni e 9 mesi l'ex giudice Metta, svela, a tanti anni di distanza, i meccanismi del "porto delle nebbie". Un tribunale, quello di Roma, dove venivano "riservatamente intessuti rapporti, se non illeciti, quantomeno deontologicamente discutibili". Sintomatico di "un allarmante quadro d'insieme di un certo ambiente romano". La Corte d'appello è convinta di aver raggiunto la prova della "intervenuta corruzione del giudice Metta da parte degli avvocati Pacifico, Previti e Acampora, intermediari di Berlusconi, per ottenere l'annullamento del lodo Mondadori". Ma non solo il lodo. Per lui c'è anche un precedente: la condanna per la causa Imi-Sir (a sei anni e divenuta definitiva). Stesso canovaccio. Previti il tramite della corruzione giudiziaria. Questa volta per conto della famiglia del petroliere Nino Rovelli. Ora, la sentenza milanese stabilisce che questa lobby coordinata da Previti, ha pilotato la sentenza con la quale, il 24 gennaio del 1991, "la Corte d'appello di Roma annullava il lodo Mondadori", respingendo la richiesta del gruppo Cir di Carlo De Benedetti, affidando il controllo del primo gruppo editoriale italiano alla Fininvest e sfilandolo alla Cir. Che si siano pagate tangenti, per i giudici, è indubbio, "stante la valenza indiziaria di un fatto certo (il passaggio di denaro, ndr), grave e preciso". Per le toghe di Milano è univoca la conseguenza probatoria "della certezza del fatto che la somma bonificata costituisca provvista pagata dalla Fininvest di Silvio Berlusconi per la corruzione del giudice Metta nella causa del lodo Mondadori". Silvio Berlusconi era uscito da questo processo nel 2001, quando la Cassazione aveva riconosciuto le attenuanti generiche al leader di Forza Italia, dando così il là alla prescrizione del reato. E loro, gli imputati, non hanno mai fornito una valida giustificazione sui passaggi di denaro all'estero. Per la Corte d'Appello di Milano il prezzo della corruzione è rappresentato da quei 425 milioni di vecchie lire, che fanno parte di un bonifico che Cesare Previti ricevette sul suo conto svizzero "Mercier" da All Iberian, società off shore in orbita Fininvest. A dimostrare la causalità del bonifico, anche la conseguenza temporale. A gennaio la sentenza scritta dal giudice Metta. Un mese dopo il versamento, estero su estero senza un apparente motivazione, da una società controllata Fininvest al conto Mercier, quindi i successivi passaggi ad Acampora e Pacifico e poi i 425 milioni consegnati in Italia al giudice Metta. Eccola, dunque la prova della corruzione giudiziaria. Per scrivere l'ultimo tassello di questa vicenda, ora, manca la Cassazione. I legali dei 4 imputati, gli avvocati Sammarco, Quattrocchi, Andreoli e Pettinari, hanno già annunciato il ricorso.


Il Corriere della Sera 24-3-2007 La coerenza che manca Di Angelo Panebianco

 

I tatticismi della nostra politica estera Comunque vada il voto di martedì sul rifinanziamento della missione in Afghanistan si è ormai capito che la politica estera dell'attuale maggioranza, tanto più dopo la vicenda Mastrogiacomo, sia un tale groviglio di contraddizioni da rendere improbabile che il governo possa durare ancora a lungo. Sembra che l'Italia sia condannata a esasperare, talvolta fino al parossismo, tendenze cui, per la verità, non sono estranei gli altri grandi Paesi dell'Europa occidentale. In Afghanistan si era ormai delineata una spaccatura evidente fra le democrazie anglosassoni, coadiuvate da alcuni piccoli Paesi europei, le quali per intero portavano, e tuttora portano, sulle proprie spalle il peso della guerra contro i talebani e le grandi democrazie dell'Europa continentale (non solo l'Italia, ma anche la Francia, la Germania, la Spagna) che invece preferivano stare a guardare: segno evidente che nelle opinioni pubbliche europeo-continentali è assente una generale e solida condivisione degli scopi della guerra al terrorismo che là si combatte, e un giudizio condiviso sulla importanza della posta in gioco. Per quella abitudine all'esasperazione di tendenze comuni che ci caratterizza, l'Italia è però riuscita a fare scelte e ad assumere atteggiamenti e posizioni che ci hanno isolato persino in Europa occidentale, come ha mostrato la presa di posizione contro di noi di Angela Merkel e, più in generale, l'assenza di solidarietà verso l'Italia, nella vicenda dell'ostaggio, di tutte le capitali europee. È anche possibile che agli altri europeo-continentali non sia parso vero di poter indicare noi italiani come gli unici reprobi, i veri campioni dell'ambiguità, quelli che legittimano i talebani e indeboliscono la credibilità del governo Karzai, per coprire in questo modo le "loro" magagne e le loro ambiguità. Resta da capire perché noi calchiamo la scena internazionale in questo modo. Secondo alcuni, è un vizio antico: risale a quando, dopo l'unità d'Italia, non fu chiaro né a noi né agli altri se fossimo la più grande delle medie potenze o la più piccola delle grandi potenze. Questa ambiguità, questa difficoltà di (auto)collocarci nel mondo, ha sempre condizionato, a volte anche molto negativamente, il nostro comportamento internazionale. Forse, anche da questa insicurezza di fondo deriva quel certo atteggiamento sbruffone e all'apparenza dilettantesco che talvolta ci caratterizza. Sostanzialmente, si tratta di una nostra incapacità di stare "nei nostri stracci", di adottare uno stile sobrio e ponderato adatto al nostro reale (non elevato) peso politico internazionale. Il precedente governo Berlusconi e l'attuale governo Prodi hanno fatto politiche diversissime ma con un punto in comune: la tendenza a spettacolarizzare la politica estera per fini esclusivi di consenso interno. Berlusconi si presentava come quello capace di fare dialogare Bush e Putin, di mettere insieme Occidente e Oriente. Si muoveva come se il peso internazionale di un leader non sia condizionato dalla potenza che egli ha dietro di sé. Il governo Prodi non è da meno. Prendiamo il caso della Conferenza di pace. Anche lasciando da parte (come si deve fare, per carità di patria) l'estemporanea idea di allargarla ai talebani, sappiamo tutti che è una proposta nata solo per dare un contentino alla sinistra estrema. Una volta portata sulla scena internazionale diventa però non solo una proposta politicamente inopportuna in questa fase della guerra, ma anche un'altra delle tante velleitarie iniziative di un Paese che non ha la potenza né la statura per sostenerle. Zigzagando fra piccoli opportunismi, tatticismi esasperati, doppiezze e manie di grandezza non si fa una politica estera capace di servire al meglio l'interesse nazionale. Nulla, infatti, aiuta di più l'interesse nazionale di una media potenza quale noi siamo di una solida reputazione di affidabilità, di capacità di mantenere gli impegni assunti. E, anche, di sobrietà. Il fatto che esista oggi la possibilità, come ha osservato Stefano Folli sul Sole 24 Ore , che l'Italia conceda in Afghanistan ciò che finora non aveva mai concesso agli Stati Uniti e alla Nato, ossia il rafforzamento delle nostre truppe e nuove regole di ingaggio, è un'ulteriore riprova di quanto sia difficile per noi tenere posizioni internazionali coerenti. Poiché ciò accadrebbe per rattoppare le lacerate relazioni con gli Stati Uniti e non per una nostra meditata e convinta volontà di fare quanto va fatto in quella guerra. E l'Afghanistan è solo il più importante dei nodi di politica estera che, al momento, non sappiamo sbrogliare. Nell'elenco andrebbero messi, per lo meno, anche i nostri ambigui rapporti con Hamas in Palestina e quelli con l'Iran. Il bilancio della nostra politica estera è dunque poco entusiasmante (per dirla con un eufemismo). Il governo Berlusconi aveva rapporti freddi e quasi ostili con i principali governi dell'Europa continentale ma coltivava almeno un saldo legame con gli Stati Uniti. Con il governo Prodi, le tensioni con gli Stati Uniti sono giunte al loro massimo storico senza la compensazione di un solido e aperto sostegno degli altri europeo-continentali. Nessuno aveva previsto quest'ultima circostanza.

 


La Gazzetta di Reggio 24-3-2007  "Sono in crisi, ma devo sostenere il governo" Franca Rame a Reggio: il mio stipendio da 16mila euro al mese vi pare legale? Maria Scardamaglia.

 

La senatrice dell'Idv ieri in visita nella nostra città su invito dello Spi-Cgil REGGIO. Tra le iniziative organizzate per la festa delle donne dal sindacato dei pensionati della Cgil - lo Spi, appunto - in calendario c'è anche la visita della senatrice dipietrista Franca Rame, giunta ieri alla Camera del lavoro di Reggio accompagnata dal marito, Dario Fo. Molto partecipata e incentrata su diversi argomenti, la mattinata scorre veloce, e i temi trattati si spostano, con intensità di argomentazione, dalla condizione femminile alla politica di governo nei suoi aspetti più critici. Si parla a una platea variegata, di giovani, studenti, uomini, donne e di pensionati. Le domande sono tante, tante le risposte che si vorrebbero, perché un'esperienza a Palazzo Madama come quella di Franca Rame agli occhi dei cittadini si fa condizione attiva per agire, ma è "un'esperienza che mi ha sconvolto - dice invece la senatrice - per la freddezza dei rapporti che si instaurano, perché non c'è ascolto reciproco e ognuno pensa ai fatti suoi. Questo è un governo che ha messo insieme tredici anime diverse da far andare d'accordo, e allora si è fatto il cuneo fiscale per le imprese, ma bisogna dare una svolta e fare finalmente qualcosa di concreto per la gente, come lavorare sulle pensioni e sullo stato della precarietà del lavoro". Sulla condizione della donna: "Siamo vulnerabili da troppo tempo - racconta - ma ora stiamo riprendendo coraggio, anche dopo la legge sulla violenza sessuale che finalmente la considera come un reato contro la persona, ma le difficoltà persistono e sappiamo che le donne sono pagate di meno e devono rendere di più nel lavoro e nella vita quotidiana, c'è troppa competizione e questo è un peccato". Ma si arriva anche ai temi caldi, quali il rifinanziamento della missione in Afghanistan o agli inauditi costi della politica, che passano per gli stipendi esorbitanti dei parlamentari. "Io sono in crisi - spiega - perché alla fiducia non si dice no, i voti sono risicati e non si può rischiare di far ricadere il governo, così in un primo tempo avevo detto: voto sì contro coscienza e mi dimetto; poi sul mio blog ho fatto un sondaggio dove in 298 hanno detto "sarebbe meglio che tu ti dimettessi in segno di protesta" e in 1.895 "sarebbe meglio che tu restassi cercando di agire per il raggiungimento della pace". Credo allora che con il sangue agli occhi voterò sì e andrò avanti". Parla poi di uranio impoverito Franca Rame, tema scomodo, direttamente connesso alla guerra che però compare e scompare dagli organi d'informazione, e di come chi ne è vittima sia oggi lasciato a se stesso. Si va avanti con le domande, e sui compensi dei parlamentari risponde a sua volta ponendo un interrogativo "Il mio stipendio è legale? - dice la senatrice dell'Italia dei valori - E' legale che io prenda 16mila euro al mese netti e che ne costi allo Stato 21mila, così come gli altri mille deputati e senatori senza contare i consiglieri regionali, le Province, i Comuni e gli assessori?". A Palazzo Madama "si lavora dal martedì al giovedì anche se devi prepararti, ma rimane un costo eccessivo perché spendere questi soldi per altre ragioni non sarebbe una cosa difficile". Si conferma così la difficoltà di diminuire i privilegi del potere, e si parla degli emendamenti proposti dai senatori Salvi e Villone per mettere un tetto agli stipendi dei manager e per coordinare in maniera più democratica i costi della politica, emendamenti che sono stati bocciati dal governo attuale. Poi ci sono i temi che invadono l'informazione degli ultimi giorni come "vallettopoli" e il nuovo provvedimento sulla privacy. "La legge sulla privacy - dice la Rame - ha due pesi e due misure: per giorni hanno fatto nomi di persone, poi è uscito il nome di Sircana ed ecco che c'è la legge" mentre sulle starlette "hanno libero arbitrio, quindi un conto è se ti mettono una pistola alla tempia, ma in questo caso la tv è uno specchietto per le allodole, e loro fanno una scelta".


La Stampa 23-3-2007 La capitale festeggia l'Unione Europea

 

Si celebrano i cinquant’anni della firma dei trattati di Roma che, il 25 marzo 1957 in Campidoglio, sancirono l’inizio della grande avventura europea

ROMA
Cinquant’anni portati bene con qualche acciacco, molti risultati raggiunti ma anche numerosi nodi ancora irrisolti, a cominciare dalla Costituzione: sono alcuni degli aspetti che verranno affrontati in questi giorni a Roma, in una miriade di incontri e cerimonie per festeggiare il 50° della firma, proprio nella capitale italiana, dei Trattati che nel 1957 diedero il via all’integrazione europea.
I festeggiamenti di Roma anticipano quello che sarà l’incontro politicamente chiave delle celebrazioni, e cioè la "dichiarazione di Berlino" con la quale questo fine settimana i leader dei 27 cercheranno di gettare le basi per rilanciare l’Europa.
Per spegnere le 50 "candeline" del compleanno Ue, a Roma si trovano Josè Manuel Durao Barroso e Hans Gert Poettering, i presidenti di due delle tre istituzioni di Bruxelles (Commissione ed Europarlamento), che in queste ore incontreranno, fra gli altri, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il premier Romano Prodi ed il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema.
E proprio D’Alema ha messo a fuoco alcuni dei problemi chiave dell’Ue. Fonti della Farnesina hanno infatti ricordato come il ministro ha più volte rilevato che dopo la battuta d’arresto provocata dallo stallo del processo costituzionale, i Ventisette hanno di fronte a sè delle significative opportunità: a condizione però - precisa il ministro - che l’Ue sappia cogliere i grandi cambiamenti strategici in atto, che impongono all’Europa di diventare un vero e proprio attore globale.
Anche Napolitano ha affrontato il tema Ue, ricordando tra l’altro che l’Europa non può accogliere nuovi Paesi membri «se prima non si modificano le istituzioni» per mettere l’Ue in condizione di «fare le politiche necessarie». È però fondamentale - ha precisato il capo dello Stato - che l’integrazione europea non venga «diluita».
In vista della loro prima plenaria a Roma, anche il Comitato delle Regioni europee ha fatto sentire la sua voce, ricordando il proprio pieno sostegno agli sforzi perchè si giunga ad una rapida conclusione del processo costituzionale e di riforma dei Trattati. Fatto però - ha precisato il Comitato - che non deve rimettere in discussione i risultati già ottenuti degli enti che rappresentato le realtà locali dell’Unione.
Fino a sabato s’intrecceranno a Roma diverse incontri ufficiali, oltre a seminari e iniziative organizzati dall’Ue per festeggiare i 50 anni dell’Europa integrata, ma anche per cercare di avvicinare l’Unione ai cittadini, visto - come sostiene il ministro agli Affari Europei Emma Bonino - che, ormai da qualche anno, l’Europa risente di un deficit d’amore, e non è più un oggetto di desiderio.
Oltre all’incontro del Consiglio delle Regioni, sul fronte politico, l’altro appuntamento chiave per "festeggiare" i Ventisette si svolgerà al Senato. Ma non mancheranno certo le iniziative popolari e di colore: si va da "L’Europa dei saperi", appuntamento organizzato da sei università romane che apriranno le porte al pubblico durante la notte di venerdì con teatro, musica, cinema, incontri di lettura, al "Gioco dell’Europa" (sempre venerdì), giornata dedicata alla comunicazione e rivolta ai bambini delle scuole elementari, e a un "Villaggio Ue" lungo i Fori imperiali. Senza dimenticare la grande mostra organizzata al Quirinale su una serie di capolavori dell’arte europea.


Finanza e Mercati 24-3-2007 La finta bolla made in Italy

 

Quando si parla di borse, la Cina è vicina. Ma l'America è lontana? Mi riferisco alla crisi del mercato immobiliare americano alla base della tempesta borsistica che sta investendo tutto il mondo. Cosa stia succedendo in America su questo versante è abbastanza noto: la crescita dei valori immobiliari in questi ultimi anni ha portato i proprietari delle case di abitazione a spingere l'indebitamento per alimentare i consumi attraverso un aumento del proprio mutuo. Negli Usa, infatti, le banche sono disponibili ad aumentare un mutuo già esistente se il valore del bene ipotecato è cresciuto; inoltre, a differenza dai sistemi civilistici europei, il mutuatario risponde solo con l'immobile in garanzia. Quindi se non paga, le banche possono portargli via la casa, ma a quel punto lui è libero da ogni obbligazione presente e futura verso l'istituto mutuante. Queste regole hanno spinto all'inverosimile l'indebitamento della popolazione rendendo il mutuo non già uno strumento (come da noi) per comperarsi la casa, bensì un mezzo per alimentare un tenore di vita elevato. Poiché i redditi familiari non consentono poi il pagamento regolare delle rate del debito, le famiglie fanno crescere ulteriormente il mutuo per disporre della liquidità necessaria. Il gioco funziona sino a quando i valori immobiliari salgono, ma se il trend si inverte i debitori (più o meno tutto il ceto medio statunitense) non trovano più credito a causa della incapienza dei loro beni e non possono più far fronte agli impegni. Da tempo gli economisti prevedevano arrivasse la resa dei conti e parlavano in questo senso di bolla immobiliare: ora, dopo oltre un anno di stasi nei valori, il pericolo si è concreitizzano minacciando di innescare un effetto recessivo nell'intera economia americana. Ma i contraccolpi sulle borse internazionali sollevano interrogativi ovvi anche su altri mercati immobiliari, ivi compreso quello italiano. Personalmente ritengo per una serie di motivi che la bolla immobiliare da noi non esista: 1) i prezzi medi in termini reali non superano quelli del 1991; 2) è almeno un anno e mezzo che i valori hanno smesso di crescere; 3) il bisogno di nuove abitazioni supera ancora largamente la disponibilità di appartamenti sul mercato; 4) siamo tra i paesi europei dove i prezzi sono mediamente più bassi e non siamo tra i paesi dove sono cresciuti di più negli ultimi 8 anni. Nessun rischio bolla, quindi, ma certo il pericolo di una prolungata stagnazione determinata dai provvedimenti governativi del 2006/2007. E le conseguenze potrebbero essere altrettanto gravi di quelle americane.In Italia il tasso delle famiglie proprietarie della prima casa è molto più alto, uno dei più alti al mondo: quindi un calo dei valori interesserebbe praticamente tutta la popolazione. Migliaia di immobili in sofferenza bancaria verrebbero immessi contemporaneamente sul mercato innescando un effetto domino; le attività costruttive rallenterebbero a causa della scarsa remuneratività dei nuovi investimenti, con gravi effetti negativi su PIL e occupazione. Interrogativi questi che il Governo dovrebbe porsi finchè è in tempo; una crisi dell'immobiliare non troverebbe da noi adeguate casse di compensazione in altri comparti economici e produttivi


La Stampa 23-3-2007 "Vip del mondo giù le mani dall'Argentina" La protesta degli indigeni Christine Legrand

 

L’ Argentina è in vendita: l’allarme viene lanciato a Buenos Aires da economisti e ambientalisti, ma anche dalla chiesa cattolica. Il maggior proprietario terriero del Paese è un gruppo italiano: i fratelli Benetton, sbarcati in Patagonia negli anni ‘90. Oggi possiedono 900 mila ettari e sono i maggiori allevatori di pecore e produttori di lana dell’Argentina. Si dedicano anche alla reforestazione, con una grande varietà di alberi il cui legno viene utilizzato nella costruzione di mobili. Nel settembre 2006 la chiesa ha pubblicato il documento «Una terra per tutti», che criticava la vendita massiccia di terreni produttivi e risorse naturali agli stranieri. «Abbiamo troppa terra», diceva negli anni ‘90 il presidente Carlos Menem, invitando corporazioni e privati dall’estero a investire. Dal 2002 la svalutazione del peso ha accelerato la vendita frenetica e incontrollata. «Nel Nord, un ettaro costa quanto un hamburger», denunciano Andres Klipphan e Daniel Enz, che dopo tre anni di indagini hanno pubblicato «Tierras S.A.». Sostengono che ci sono almeno «trenta progetti per regolare la vendita dei terreni, ma restano tutti nel cassetto». Circa 300 mila chilometri quadrati (il 10% del territorio) sono in mano a stranieri. Può sembrare poco rispetto alle dimensioni del Paese (2,780,000 chilometri quadrati), ma equivale a più della metà della Francia. «Se hanno soldi, possono acquistare tutto quello che vedono, anche nei parchi nazionali», sostiene Gonzalo Sanchez, autore di «La Patagonia venduta ». E’ tra le regioni più colpite: quasi un terzo del territorio nazionale, abitata da appena il 5% dei 37 milioni di argentini, contiene le principali ricchezze del Paese, energia idroelettrica, l’80% del petrolio e del gas, e una delle maggiori riserve d’acqua dolce del pianeta. Ed è il paradiso dei miliardari stranieri. Douglas Tompkins, ex imprenditore americano convertito all’ecologia, che ha fatto fortuna con l’abbigliamento sportivo «North Face » ed «Esprit», possiede circa 4,500 chilometri quadrati di cui il 20% dedicato alla produzione e il resto alla conservazione della natura. Possiede anche 179,000 ettari a Corrientes, e 300,000 ettari nel Sud del Chili. Dice che vuole solo proteggere l’ambiente, e che ha ceduto vasti terreni allo Stato, a condizione che restino unsariserva naturale. Il vicepresidente della AOL Time Warner e fondatore della Cnn, Ted Turner, possiede 45,000 ettari di terre dove va a pescare le trote. Joseph Lewis, uno dei britannici più ricchi, passa l’estate su 14,000 ettari intorno al lago Escondido. Il belga Huber Grosse ha acquistato 11,000 ettari a Rio Negro, dove i turisti ricchi vanno a giocare a polo e golf. «La Patagonia mi ricorda il Texas degli anni ‘50», dice Ward Lay, magnate delle patate fritte e amico di George Bush, che ha comprato migliaia di ettari in Patagonia, e vigneti a Mendoza, nell’Ovest. Questi nuovi proprietari hanno attriti con le comunità di indigeni Mapuche, che li accusano di aver messo le mani sulle terre dei loro antenati. Si lamentano di non poter più accedere a certi laghi o sentieri di montagna, diventati proprietà privata. Robert Duvall, Richard Gere e Matt Damon possiedono «estancia» a Tucuman, Salta e Jujuy. Grandi gruppi vinicoli francesi, spagnoli e italiani vanno a Mendoza, ai piedi delle Ande, dove il clima è eccezionale per la vinicoltura, e un ettaro costa dieci volte meno che in California. Grandi gruppi minerari, soprattutto canadesi, estraggono oro e argento a San Juan, La Rioja e Santa Cruz, e tra gli investitori c’è Bill Gates. La caccia alla terra non appassiona solo stranieri, ma anche nuovi ricchi argentini, star dello spettacolo e dello sport, e politici. Il calciatore Gabriel Battistuta è uno dei maggiori proprietari terrieri della fertile Santa Fe. Secondo il «Clarin», 9 argentini su 10 si dicono preoccupati di vedere le risorse naturali in mano a stranieri. E 6 su 10 ci vedono un attentato alla sovranità della nazione. Copyright LE MONDE


INDICE 23-3-2007

 

+++ Il Corriere della Sera 23-3-2007 Alcool e tabacco? Peggio delle droghe Gli scienziati vogliono riaprire la discussione sulla classificazione delle sostanze illegali sulla base di nuovi criteri

++ AgenParl 23-3-2007  DOCCIA FREDDA SULLA CONFERENZA

++ Il Corriere della sera 23-3-2007 Iran: catturati 15 marinai britannici Stavano svolgendo un pattugliamento nel nord del Golfo Persico e secondo Londra erano in acque irachene.

+ La Repubblica 23-3-2007 Trattati, Prodi rilancia la Ue "Facciamo ripartire l'Europa". Il capo dello Stato Giorgio Napolitano: "Riforme istituzionali". Il cancelliere tedesco Merkel: "Sì all'esercito comune"

+ La Stampa 23-3-2007 Se a trattare è lo zio Sam. Gli Usa intransigenti? Anche loro hanno spesso ceduto. Paolo Mastrolilli

+ Il Sole 24 Ore 23-2-2007 L'Inps deve rifare il Cud per 1,6 milioni di pensionati di Antonio Criscione

Il Riformista  23-2-2007  50 ANNI DEI TRATTATI DI ROMA. «Per l’Europa»: da Napolitano un impegno ribadito  1

Il Corriere della Sera 23-2-2007 Politica economica e voto di primavera. Il silenzio dei riformisti. di Dario Di Vico

La Repubblica 23-23-2007 D'Alema: meglio la polemica che perdere una vita umana Antonella Rampino

Il Corriere della Sera 23-2-2007 Vallettopoli, veleni tra giudici Il pg: inquirenti disinvolti. La replica: insulti. Raffica di denunce incrociate Fabrizio Caccia

La Repubblica 22-3-2007 Uranio impoverito, un militare denuncia "Moltissimi reduci operati alla tiroide" Confermati i dati: i decessi sono più di 40, i malati oltre 500  2

Il Denaro 22-3-2007- Mercato immobiliare. Spagna, crollo delle case vacanze: In Ue bolla immobiliare a rischio  2

Ottopagine.it 22-2-2007  “Caro casa”, allarme della Confcommercio: «Mercato drogato, saremo la città degli altri» Marco Grasso  3

Il Corriere della Sera 22-3-2007 Bersani bis, ecco le novità La fase due delle liberalizzazioni 4

Il Corriere della Sera 22-3-2007 Da Berlusconi 70 mld per la fedeltà di Bossi. L'appunto in un'agenda del 2004 dell'ex giornalista Sasinini 6

La Repubblica 22-3-2007 Senato Usa: "Ritiro dall'Iraq entro il 31 marzo del 2008" 6

La Repubblica 22-3-2007 Coppola, una valigetta sotto terra  7

 


+++ Il Corriere della Sera 23-3-2007 Alcool e tabacco? Peggio delle droghe Gli scienziati vogliono riaprire la discussione sulla classificazione delle sostanze illegali sulla base di nuovi criteri

 

Le due sostanze legali tra le dieci più nocive per l’individuo e la società

 

LONDRA - Alcol e tabacco tra le dieci sostanze più nocive. Più nocive di cannabis, Lsd ed ecstasy. Almeno così conclude uno studio condotto dal professor David Nutt dell’Università di Bristol e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet. Il risultato, per alcuni versi sorprendente, che sconvolge le classifiche governative sulle sostanze più pericolose e proibite, è frutto di un nuovo sistema di classificazione che tiene conto oltre che della pericolosità della sostanza per l’individuo, anche della dipendenza che la sostanza genera e della pericolosità sociale di chi la assume. Si tratta in realtà più che di uno studio sulle sostanze in sé, di un’inchiesta tra intervistati qualificati: psichiatri specializzati in dipendenza da sostanze e ufficiali giudiziari o di polizia con comprovata preparazione scientifica.

La classifica

L'esperto: Giusto, ma non sottovalutare le altre

ARBITRIO – «L’attuale concezione delle droghe è mal concepita e arbitraria» dichiara Nutt commentando le tabelle del governo britannico (non molto dissimile, per i criteri adottati e per la lista di sostanze considerate illegali, da quello italiano) «l’esclusione di alcol e tabacco è dal punto di vista scientifico arbitraria». Il tabacco è infatti causa del 40 per cento di tutti i ricoveri ospedalieri – ne è quantomeno una concausa – e all’alcol viene attribuita oltre la metà delle emergenze da pronto soccorso. Inoltre l’alcol ha un alto tasso di pericolosità sociale (2,2 in una scala da 0 a 3) ed è secondo in questa classifica solo all’eroina. Il tabacco invece dà una dipendenza inferiore solo a eroina e cocaina.

I PRIMI DIECI – Eroina e cocaina sono le sostanze più nocive in base anche a questa nuova classificazione. A seguire i barbiturici (inventati nel 1903 come sedativi e ipnotici), poi il metadone e quindi l’alcol. Il tabacco è la nona sostanza per pericolosità preceduta da ketamina (un anestetico per uso veterinario che ha conosciuto una discreta e dannosissima moda tra le nuove generazioni come droga «da sballo»), benzodiazepine (una evoluzione raffinata dei barbiturici) e anfetamina. Fuori dalla top ten cannabis (11°) Lsd (l’acido lisergico scoperto per caso da Albert Hoffman mentre cercava di creare un cardiotonico, che si piazza in quattordicesima posizione) e l’ecstasy, solo diciottesima.

CUM GRANO SALIS - I risultati dello studio di Nutt vanno letti con attenzione per evitare facili mistificazioni e pericolosi fraintendimenti. Si riferiscono infatti non alla sostanza in sé, ma al suo uso tipico. Assumere Lsd non è meno nocivo di fumare una sigaretta, soprattutto se se ne fumano venti al giorno. Tuttavia questi nuovi dati sono importanti e i ricercatori che li hanno aggregati sperano che contribuiscano a riaprire il dibattito sulle sostanze illegali. Anche chi non ha partecipato direttamente all'indagine concorda sull'importanza della tabella. Lesile Iversen, professore di farmacologia a Oxford, definisce quella pubblicata su Lancet «il primo passo per una classificazione delle droghe basata sulle prove» e non solo sul retaggio culturale – per cui in occidente l'alcol è ampiamente accettato a differenza di altre culture che lo considerano veleno – e sui pregiudizi. La pubblicazione dei risultati ha acceso un dibattito nella comunità scientifica, sebbene non ancora un dibattito governativo. Ignorare The Lancet non sarà facile per chiunque d'ora innanzi voglia occuparsi della pericolosità – e quindi della legalità – di droghe leggere e pesanti.

Gabriele De Palma

23 marzo 2007


++ AgenParl 23-3-2007  DOCCIA FREDDA SULLA CONFERENZA

 

Roma, 23 marzo 2007 – Agenparl – Forse, se l’aspettavano, ma non così presto. Bertinotti aveva plaudito all’idea che alla Conferenza di Pace per l’Afghanistan potessero partecipare anche le controparti in guerra. E, cioè, le varie fazioni afgane che combattono contro le forze occidentali, che - dal loro punto di vista - occupano il Paese.
Quest’ipotesi, certamente gradita alla sinistra alternativa, era stata ventilata pure per far rientrare, in vista del voto al senato, i tre dissidenti, che hanno, invece, continuato a minacciare la loro contrarietà al rifinanziamento delle missioni militari.
Inopportunamente, la Farnesina ha annunciato il “carattere internazionalistico e quindi con attori statali” della prospettata Conferenza sull’Afghanistan.
Questo annuncio è stato definito intempestivo perché rinfocola le polemiche e, soprattutto, perché atto a motivare le dissidenze che rischiano di far cadere, ancora una volta, il centro-sinistra nella mancanza di autosufficienza in politica estera, provocando così di nuovo l’intervento del Capo dello Stato.
La notizia del ferimento di un militare italiano in Afghanistan è stata un altro elemento destabilizzante per la maggioranza.
Un’altra “doccia fredda”. Infatti, lo scontro a fuoco è avvenuto nella provincia di Farah poche ore dopo che D’Alema, ritornando da Washington, aveva affermato che la Nato, in caso di necessità, poteva ridispiegare unità italiane sul territorio afgano.
Così, dopo mesi di dibattito pubblico che voleva il contingente italiano accasermato solo a Kabul e ad Herat, abbiamo scoperto con due docce fredde che siamo molto più vicino alle zone “calde” dell’offensiva di quanto credessimo. (F.Mi.)


++ Il Corriere della sera 23-3-2007 Iran: catturati 15 marinai britannici Stavano svolgendo un pattugliamento nel nord del Golfo Persico e secondo Londra erano in acque irachene.

 

Il Foreign Office protesta con l'ambasciatore iraniano

LONDRA- Quindici marinai britannici sono stati catturati da uomini della Guardia rivoluzionaria iraniana nel Golfo persico, al largo delle coste irachene. Lo ha confermato il ministro della Difesa di Londra. Il governo britannico ha chiesto l'immediato rilascio dei soldati.
I militari stavano svolgendo un pattugliamento di routine.
Secondo il ministero della Difesa britannico, i marinai si trovavano in acque territoriale irachene quando sono stati bloccati da due navi iraniane. Il ministro degli Esteri Margarett Beckett ha convocato al Foreign Office l'ambasciatore di Teheran a Londra per protestare.
Prima della conferma ufficiale un portavoce britannico a Bassora, nell'Iraq meridionale, si era limitato ad ammettere che vi era stato «un incidente da qualche parte nel nord del Golfo persico».
Un pescatore iraniano aveva raccontato di aver visto sei o sette militari che venivano arrestati a bordo di una nave di Teheran. I militari occidentali, aveva riferito l'uomo, si trovavano su due piccole imbarcazioni che stavano controllando le navi iraniane presso lo sbocco nel Golfo dello Shatt el Arab, che segna il confine fra Iran e Iraq. Ma nel momento in cui i militari erano saliti a bordo di una nave iraniana, erano apparsi almeno due vascelli di Teheran e gli occidentali erano stati fatti prigionieri.

23 marzo 2007


+ La Repubblica 23-3-2007 Trattati, Prodi rilancia la Ue "Facciamo ripartire l'Europa". Il capo dello Stato Giorgio Napolitano: "Riforme istituzionali". Il cancelliere tedesco Merkel: "Sì all'esercito comune"

Senato, discorso del premier in occasione del cinquantenario
"Portiamo a termine il processo entro le elezioni europee del 2009"

 

ROMA - "Vogliamo portare a compimento il più grande esperimento di pace e democrazia del mondo contemporaneo. Senza cercare soluzioni al ribasso". Così Romano Prodi ha aperto, nell'aula del Senato, la cerimonia celebrativa del cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma. "I cittadini europei hanno capito che l'Europa potrebbe venire meno" ha continuato Prodi. Che ha rilanciato la necessità di portare a compimento la strada che porta ad un'Europa unita. E di farlo prima delle elezioni europee del 2009 perché "sarebbe impensabile votare senza aver prima costruito un quadro istituzionale chiaro e funzionale".
"Vogliamo un' Europa forte, efficiente, adatta ad affrontare le sfide globali - ha insistito Prodi - Perché di fronte al mondo che cambia l'Europa non è più una scelta ma una necessità, un imperativo". Ma oltre al tempo ci sono altri due elementi che il presidente del Consiglio ha sottolineato: i giovani e il metodo "che ci ha consentito di conciliare le esigenze nazionali di ciascuno di noi con le ambizioni di un grande progetto europeo".
Una breve dichiarazione, ha concluso Prodi, "per mostrare che c'è la volontà di portare a compimento il più grande esperimento di pace, democrazia e prosperità del mondo contemporaneo".
Dopo Prodi ha preso la parola il presidente della Commissione Europea Josè Manuel Durao Barroso che ha sottolineato come "questa occasione serva per guardare avanti ed ispirare i cittadini con una nuova visione europea". Barroso, inoltre, ha individuato nella promozione della libertà e dello stato di diritto e nella promozione dei valori al di là delle sue frontiere, la doppia missione dell'Europa.


E sulla necessità di un'Europa il cui futuro "è legato alla sua unità" e che ha bisogno di "urgenti riforme istituzionali" ha insistito anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano. Che ha chiesto alla Chiesa di concorrere "al rilancio dell'Unione europea testimoniando i più profondi valori posti a base della costruzione di una Europa unita".
E sulla necessità di "riprendere il cammino" è tornato anche l'ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi: "Non è pensabile che i cittadini europei che nel 2009 si recheranno alle urne per eleggere il Parlamento europeo, non sappiamo quale sia il quadro istituzionale in cui i loro rappresentanti si muoveranno".
In apertura di seduta, invece, il presidente del Senato Franco Marini aveva ricordato quella "piccola Europa" nata 50 anni fa in Campidoglio, che oggi è diventata "una grande Europa" con "un continente quasi del tutto unificato".


Merkel: "Un esercito comune". "Sono favorevole alla creazione di un esercito comune europeo in cui la Commissione avra' piu' margine di manovra, con delle responsabilità definite chiaramente'' dice il cancelliere conservatore tedesco in un'intervista al quotidiano Bild.


+ La Stampa 23-3-2007 Se a trattare è lo zio Sam. Gli Usa intransigenti? Anche loro hanno spesso ceduto. Paolo Mastrolilli

 

L’ idea era ingegnosa, anche se oggi suonerebbe come un’eresia: vendere armi all’Iran, affinché convincesse Hezbollah a liberare gli ostaggi americani in Libano. I soldi guadagnati, poi, sarebbero stati girati ai guerriglieri Contras, che combattevano il governo sandinista in Nicaragua. Da questo schema, ideato nel 1986 dai consiglieri Oliver North e John Poindexter, era nato lo scandalo che aveva quasi distrutto il presidente Reagan e il vice Bush. Una delle tante «relazioni pericolose» intrecciate dagli Stati Uniti, per liberare i propri cittadini catturati nelle zone calde del mondo o per curare l’interesse nazionale. Nel corso degli Anni Ottanta almeno una trentina di occidentali erano scomparsi nei buchi neri del Libano, la maggioranza americani.

Era un periodo terribile, anche secondo gli standard di oggi. La guerra tra Iraq e Iran era in corso dal 1980 e Washington sosteneva Baghdad, perché voleva abbattere il regime di Khomeini, al punto che il 20 dicembre del 1983 Reagan aveva inviato Donald Rumsfeld a stringere la mano di Saddam Hussein. L’ex capo del Pentagono sostiene che era andato a metterlo in guardia contro l’uso delle armi chimiche, ma documenti di intelligence pubblicati dalla George Washington University provano che era partito per confermare l’appoggio americano all’Iraq. Intanto infuriava anche la guerra civile in Libano, dove il 23 ottobre dello stesso anno un attentato aveva ucciso 241 marines. Tre anni dopo, North e Poindexter avevano pensato lo schema di quello che sarebbe diventato lo scandalo Iran-Contras. Nel febbraio del 1986 avevano consegnato mille missili Tow a Teheran, e poi altre armi, tramite il trafficante Manucher Ghorbanifar. I soldi ricavati erano finiti ai Contras del Nicaragua, ma la maggior parte degli ostaggi era rimasta nelle mani di Hezbollah. Nel novembre del 1986 il giornale libanese Ash Shiraa aveva rivelato il traffico, obbligando Reagan a fare un umiliante «mea culpa», nonostante la smentita che l’obiettivo dell’operazione fosse liberare i prigionieri americani. Nel 1989 era diventato presidente il suo vice, George Bush padre, che durante il discorso inaugurale pronunciò queste parole: «Oggi ci sono americani detenuti contro la loro volontà in terre straniere, di cui non sappiamo nulla. Su questo problema può essere offerta assistenza, e verrà ricordata a lungo. La buona volontà genera buona volontà ». Il segretario generale dell’Onu, Perez de Cuellar, intese quelle parole come un’apertura e decise di verificarla. Nell’agosto del 1989 Brent Scowcroft, consigliere per la sicurezza nazionale di Bush padre e mentore di Condoleezza Rice, andò a trovare Perez in una villa sul mare degli Hamptons, per confermare che «il presidente era pronto ad intraprendere una serie di gesti reciproci che avrebbero allentato le tensioni e liberato gli ostaggi». Gli Usa, però, non potevano negoziare direttamente con l’Iran, e quindi chiedevano aiuto all’Onu. Il segretario generale affidò questo lavoro delicatissimo al suo braccio destro italiano, Giandomenico Picco, che poco dopo si ritrovò nei meandri di Beirut a trattare per la vita dei prigionieri.

Parlando a nome di Bush col nuovo leader iraniano Rafsanjani, Picco aveva prospettato lo scongelamento dei fondi di Teheran bloccati negli Usa, la pubblicazione di un rapporto Onu che addossasse su Baghdad la colpa della guerra Iran-Iraq, e magari la liberazione di qualche estremista islamico detenuto dagli israeliani. Tenendo Scowcroft sempre informato della trattativa, il diplomatico italiano aveva ottenuto il rilascio degli ostaggi, senza concedere tutte le contropartite offerte. Bush padre lo ringraziò nella maniera più pubblica possibile, premiandolo col Presidential Special Award for Exceptional Service, che sta ancora appeso nell’ufficio newyorchese di Picco. Quella, però, non fu l’unica volta che gli americani chiusero un occhio, pur di salvare i propri connazionali o difendere il loro interesse nazionale. Fonti di stampa, ad esempio, sostengono che nel 2003 Washington aveva proposto un accordo ai talebani più moderati: scaricate il mullah Omar, cacciate gli stranieri arruolati per la guerra santa, liberate i prigionieri occidentali, restituite i cadaveri dei soldati morti e terminate gli attacchi contro i contingenti internazionali, e in cambio avrete un ruolo nel nuovo governo afghano. La trattativa era fallita, ma non era stata l’unica del genere. Il 2 maggio del 2003, infatti, l’ambasciatore americano Zalmay Khalilzad aveva incontrato il collega iraniano Javad Zarif a Ginevra, per discutere un altro scambio: Teheran offriva di consegnare o individuare i membri di al Qaeda presenti nel suo territorio, se Washington avesse ricambiato scaricando gli uomini del Mojahedin-e Khalq, guerriglieri anti iraniani che Saddam aveva ospitato in Iraq. Il dipartimento di Stato considerava il Mek come un’organizzazione terroristica, ma il baratto era stato fermato dai falchi del Pentagono, che accettavano solo il cambio di regime nella Repubblica islamica. Qualcosa, invece, deve essersi mosso nel marzo del 2006, quando la giornalista americana del Christian Science Monitor Jill Carroll è stata liberata in Iraq, dopo quasi tre mesi di prigionia. In altre occasioni, come quella di Nicholas Berg, Washington non aveva ceduto, e Abu Musab al Zarqawi aveva decapitato con le sue mani il giovane esperto di telecomunicazioni della Pennsylvania. Il 2006, però, era un anno elettorale e l’insoddisfazione dell’opinione pubblica americana per la guerra continuava a crescere. I rapitori avevano chiesto il rilascio delle detenute donne, in cambio della vita di Jill, e secondo la Cnn gli Usa avevano inviato a Baghdad una squadra di negoziatori composta da uomini di Fbi, Cia, dipartimento di Stato e Pentagono. Washington ha sempre negato di aver stretto la mano al diavolo, ma cinque prigioniere furono rilasciate, prima che la Carroll potesse tornare a casa.


+ Il Sole 24 Ore 23-2-2007 L'Inps deve rifare il Cud per 1,6 milioni di pensionati di Antonio Crescione

 

I tempi delle addizionali comunali all'Irpef e quelli dei Cud in rotta di collisione. E a farne le spese sono i pensionati dell'Inps. Non tutti ovviamente, ma una buona fetta, visto che sono circa un milione 600mila (su circa 15 milioni)i Cud che l'Istituto deve inviare di nuovo per le somme corrisposte l'anno scorso. Ma anche senza arrivare a punte così "drammatiche", un po' tutti,anche iprivati, quest'anno hanno dovuto fare i conti con i tempi stretti che passano tra l'approvazione delle addizionali comunali e quelli e quelli per l'invio dei Cud. Tempi che potrebbero aver determinato più errori che in passato.

Il caso Inps

Per l'istituto di previdenza, che è probabilmente il sostituto d'imposta che gestisce il maggior numero di "sostituiti", i calcoli cominciano a novembre. E per corrispondere nei tempi usuali — i primi di gennaio — i Cud ai pensionati l'invio è stato fatto senza tener conto delle deliberazioni delle aliquote variate dai comuni, visto anche che la pubblicazione delle decisioni degli enti locali è cominciata proprio agli inizi del 2007 (e più precisamente a partire dal 5 gennaio scorso). Ricordano all'Inps — nel comunicato stampa pubblicato qui accanto — che «oltre 670 Comuni — tra cui Roma, Palermo, Bologna, Udine,Ancona —hanno variato le addizionali entro il 15 Febbraio ». E quindi la presenza di grandi comuni ha certamente comportato la necessità di aggiornare i dati per un gran numero di contribuenti.

Per evitare che questo problema si ripeta di nuovo l'Istituto si augura per «il futuro nuove forme di collaborazione fra tutte le Istituzioni coinvolte al fine di individuare soluzioni anche normative che armonizzino tempi e modalità e garantiscano informazioni certe ai pensionati ».È da ricordare infatti che non è del tutto indifferente per le casse pubbliche il secondo invio di milioni di documenti certificativi da parte dell'istituto "principe" nella gestione della previdenza pubblica. E tra le istituzioni coinvolte all'Inps ricordano che le variazioni sulle regole della addizionali hanno riguardato anche alcune regioni,fatto che ha ulteriormente complicato la situazione.

C'è da ricordarepoi che anche l'Inpdap (si veda «Il Sole24 Ore» del 28 gennaio 2007) aveva dovuto procedere a nuovi invii per i propri sostituiti, proprio per questioni legate alle addizionali degli enti locali, con variazioni di cui tenere conto intervenute in diverse situazioni regionali. Fatto questo che fa crescere il numero totale di Cud errati.

I privati

Per i datori di lavoro del settore privato — ma anche per molte pubbliche amministrazioni nelle quali alcuni altriritardi vengono informalmente segnalati — il problema presenta minori difficoltà, ma certamente si sono dovuti fare i conti con lo sblocco delle addizionali voluto dalla Finanziaria 2007. La "tradizione" voleva infatti che i Cud venissero elaborati a inizio anno, mentre quest'anno si è dovuto aspettare la seconda metà di febbraio. L'anno prossimo la scadenza per i Cud sarà ulteriormente anticipata al 28 febbraio. Se per le addizionali resterà ferma la scadenza del 15 febbraio, è già facile prevedere un sistema in tilt. Anche perché febbraio per i datori di lavoro prevede altri adempimenti come quello delle autoliquidazioni Inail.

Senza dimenticare che, teoricamente, il ritardo nell'invio delle certificazioni è sanzionabile dal punto di vista tributario.In realtà si tratta di una possibilità al momento remota visto che l'amministrazione finanziaria ha derubricato da tempo questo ritardo a violazione formale ( non sanzionabile) quando non comporta impedimenti agli adempimenti dei sostituiti o ai controlli del Fisco.


Il Riformista  23-2-2007  50 ANNI DEI TRATTATI DI ROMA. «Per l’Europa»: da Napolitano un impegno ribadito

Stamane il presidente Napolitano inaugura al Quirinale la mostra dei 27 capolavori provenienti dai paesi dell’Unione che segna l’inizio delle celebrazioni italiane del cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma. Per l’occasione, gli uffici della presidenza della Repubblica hanno pubblicato in volume i discorsi e gli interventi che Giorgio Napolitano ha pronunciato sui temi europei dalla sua elezione al mese scorso. Una scorsa al volume rende conto di due fatti secondo noi molto significativi. Il primo è l’attenzione puntuale, appassionata, che Napolitano continua a dedicare alle questioni europee anche ora che le vicende della politica lo hanno portato alla massima carica istituzionale dell’Italia. Il secondo è il quanto e il come questa attenzione si traduce in giudizi, in prese di posizione, in impulsi intellettuali che non si celano affatto dietro gli obblighi (che certo pure esistono) della riservatezza diplomatica: il presidente ha le sue idee, non le nasconde, le porge con il grande rispetto per le opinioni e le ragioni degli altri che lo contraddistingue da sempre, ma le sostiene con forza, senza paura di sostenere, quando gli pare necessario, anche posizioni forti, radicali.
Vediamo qualche spunto, preso in modo un po’ disordinato dai tredici brani pubblicati nel libro. Per esempio l’esaltazione del ruolo propulsivo del Parlamento europeo pronunciata non solo nel discorso ufficiale tenuto dalla tribuna dell’assemblea il 14 febbraio scorso, ma anche davanti agli studenti dell’università di Tubinga, in cui ha affrontato i temi del rafforzamento delle istituzioni e della necessità di una iniziativa politica generale della Unione. Oppure, davanti agli accademici della scienza di Budapest, la difesa della politica dell’allargamento ad est dell’Unione che, lungi dal produrre un “annacquamento” della integrazione, realizza la pienezza della sua missione unificante, il completamento di quella identità culturale e civile evocata dal presidente nella lectio magistralis tenuta a Madrid in occasione del conferimento della laurea honoris causa da parte dell’Università Complutense. Una unità che non può essere solo monetaria, ma dev’essere economica e politica, come il presidente sottolinea in più occasioni, e in particolare nella sua conferenza dell’ottobre scorso alla London School of Economics. Un richiamo che assume un rilievo solenne, ma intessuto di ragionevolezza politica e di memorie personali, nel discorso che Napolitano tiene a Ventotene, l’isola dell’esilio di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni e del loro Manifesto: «Un omaggio, una riflessione e un appello» che Giorgio Napolitano ha rivolto agli italiani e agli europei meno di una settimana dopo il suo giuramento davanti al Parlamento in seduta comune. Testimonianza di un credo e di un’urgenza.

 


Il Corriere della Sera 23-2-2007 Politica economica e voto di primavera. Il silenzio dei riformisti. di Dario Di Vico

 

Quando si avvicinano le elezioni anche ai riformisti tremano le gambe. A fine maggio si vota per le amministrative e i dirigenti del centrosinistra assegnano grande importanza al risultato del test elettorale. È questo il motivo che sta spingendo i segretari di partito e i ministri più influenti a coltivare l'idea di una mini manovra economica di primavera. In casa Margherita si punta sulla riduzione dell' Ici sulla prima casa, una misura che il marketing politico nostrano considera un passepartout. Se l’ha usato Silvio Berlusconi nell'ultimo confronto televisivo con Romano Prodi, perché—si devono essere chiesti—non possiamo utilizzarlo anche noi? In casa Ds c'è allarme per i rapporti con la Cgil e le proposte di spesa, catalogabili sotto la voce «equità », riguardano aumenti delle pensioni basse, stanziamenti per gli ammortizzatori sociali, eliminazione dello scalone previsto dalla legge Maroni.

Ma basta mettere mano al portafoglio, creare l'effetto- spesa ed eliminare così otto mesi di bassa credibilità del governo Prodi? Non è affatto detto, anzi il pericolo è di mandare in onda il replay della Finanziaria quando il governo giurava di aver ridistribuito il reddito verso il basso ma gli stessi beneficiari non se ne erano accorti. Oltre a presentare dubbi sul lato dell'efficacia, una manovra di primavera- estate comporta per i riformisti del centrosinistra una controindicazione ancora più grave: rischiano di perdere la stessa ragione sociale e di attirarsi l'accusa di iper tatticismo che durante la Finanziaria loro stessi avevano rivolto a Prodi. In autunno dentro la coalizione di maggioranza si erano creati due assi: il primo, imperniato sulla speciale relazione tra il presidente del Consiglio e Rifondazione, si giovava della mediazione del ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa; il secondo aveva come riferimento i Fassino e i Rutelli, che di fronte alle contraddizioni della legge di bilancio chiedevano di cambiar passo al più presto per impostare invece un programma orientato alle riforme strutturali.

Non è assolutamente andata così, la fase due si è esaurita nella lenzuolata di Pierluigi Bersani e oggi assistiamo a un rimescolamento delle posizioni. È Padoa-Schioppa che esclude di aprire i cordoni della borsa per far spesa elettorale e tenta di mettere nell’agenda governativa previdenza, pubblico impiego e revisione del processo di bilancio. Altra partita giocano i leader di partito, dalla Margherita a Rifondazione, che chiedono — chi più chi meno — di non far tante storie e spendere il tesoretto. I più spregiudicati giustificano la spesa elettorale come un aiuto per rimettere in moto i consumi e consolidare la ripresa. Di riforme strutturali nessuno a sinistra sembra più aver voglia di parlare. La tattica prevede il silenzio. I leader riformisti in pubblico non si spendono nemmeno più per l'aumento dell'età pensionabile e Prodi si barcamena tra l'appoggio alle posizioni coerenti del ministro dell' Economia sulla previdenza e l'attenzione verso le richieste dei partiti.

Sull'Ici il premier prima ha accelerato e poi ha tolto il piede. E intanto è ogni giorno più evidente come i leader di Margherita e Ds abbiano diminuito il loro investimento nel governo e pensino innanzitutto all’andamento dei congressi dei rispettivi partiti. In quelle sedi si combatte duramente per occupare le posizioni chiave da cui traghettare nel Partito democratico o per ridurre i danni di un'eventuale scissione. Per vincere sull'uno o sull'altro fronte si sostiene che le battaglie riformiste siano poco utili e sia invece più redditizio mimetizzarsi. Così, nella confusione, tutti i riformisti sono bigi.

23 marzo 2007


La Repubblica 23-23-2007 D'Alema: meglio la polemica che perdere una vita umana Antonella Rampino

 

Pentagono: siamo preoccupati, tornate libere persone molto pericolose

Con gli Stati Uniti nessuna rottura, l’Italia non ha trattato con nessun terrorista per la liberazione di Mastrogiacomo, Condoleezza Rice non conosceva «i dettagli» della vicenda Mastrogiacomo. E anzi, «siamo pronti a discutere con gli alleati una linea comune della Nato in caso di nuovi sequestri», e in Afghanistan di fronte a rischi, quali quelli crescenti nella provincia di Herat, «è del tutto evidente che il governo fornirà alle forze armate tutti i mezzi che esse riterranno necessari per la sicurezza loro e del territorio».

Insomma, pare voler dire Massimo D’Alema dalla poltroncina bianca di «Porta a Porta», la crisi diplomatica con gli Stati Uniti è rientrata. Quando «in tempo per i tiggì », come notano alla Farnesina, esce il comunicato del Dipartimento di Stato le cui linee sono state concordate nella telefonata di primo pomeriggio (inizio mattinata a Washington) tra D’Alema e la Rice, il ministro degli Esteri tira un sospiro di sollievo. E’ il primo segnale che la crisi nei rapporti tra Italia e Stati Uniti sta rientrando, in una giornata sino a quel momento dominata dal portavoce di Rice, Sean McCormak, che rilanciava le critiche all’Italia che tratta coi talebani, e soprattutto precisava che la Rice «non era informata delle modalità di liberazione dell’ostaggio ». D’Alema è negli studi di «Porta a Porta», e la notizia gli viene data dal funzionario della Farnesina che l’accompagna: coglie subito al volo l’occasione per sottolineare che sì, «effettivamente nella cena con Condoleezza Rice lunedì 19 non c’è stata nessuna osservazione critica, tant’è vero che il Dipartimento di Stato ha reso noto che al momento dell’incontro il Segretario non era informata sulle modalità di quella vicenda ».

Alla Farnesina si valuta infatti che le prese di posizione del portavoce americano debbano essere lette in chiave interna, in risposta pubblica al «New York Times» che ieri accusava Rice di aver avallato la trattativa italiana con i talebani. Questo è un punto al quale il nostro capo della diplomazia tiene: «Il governo italiano non ha trattato », dice subito D’Alema, «è stato Karzai che nella sua autonomia ha rilasciato cinque talebani: noi gli avevamo fornito una lista di 6, ci risulta che ne siano stati rilasciati cinque». E comunque «di certo non sono pentito di aver salvato Mastrogiacomo, preferisco avere polemiche e aver salvato una vita». D’Alema sostiene di aver chiesto alla Rice, nei dieci minuti al telefono (in viva voce, e con i più stretti collaboratori presenti, come si usa in questi casi), perché le critiche non erano state espresse alla cena di lunedì 19 marzo, e l’accusa di trattare con i terroristi è stata invece affidata a una fonte anonima del Dipartimento di Stato. Perché del resto, spiega il ministro degli Esteri, «la posizione degli Stati Uniti rispetto ai rapimenti non è nuova, e anzi è sempre stata ribadita, ma questa diversità di approccio non può essere trasformata in una rottura tra l’Italia e gli Stati Uniti». Insomma, il comunicato del Dipartimento di Stato, che inizialmente sembrava previsto come una nota congiunta Usa-Italia, chiude il caso con l’onore delle armi per la Farnesina. Anche se in quel testo si dice chiaro e tondo «in futuro, niente più concessioni ai terroristi».


Il Corriere della Sera 23-2-2007 Vallettopoli, veleni tra giudici Il pg: inquirenti disinvolti. La replica: insulti. Raffica di denunce incrociate Fabrizio Caccia

 

Della Valle sentito per le foto. Lunedì sarà interrogato dal pm

POTENZA - Ora è tutti contro tutti nel palazzo dei veleni. L'inchiesta su «Vallettopoli» ha dato fuoco alle polveri. C'è l'accusa pesantissima pronunciata lunedì scorso davanti al Csm dal procuratore generale Vincenzo Tufano: «Da noi ci sono pubblici ministeri troppo disinvolti che non rispettano le regole. Soprattutto quelle in materia di libertà e di privacy». E c'è la pronta risposta, ieri, del procuratore Giuseppe Galante, che ha già deciso, a sua volta, di denunciare il pg per certe definizioni «mortificanti, arbitrarie e insultanti».

Il pm Vincenzo Montemurro, dal canto suo, ha querelato Tufano per calunnia e diffamazione. E infine il gip, Alberto Iannuzzi, offesissimo, dipinto nell'audizione come l'alter ego del pm Henry John Woodcock, chiede ora di essere sentito con urgenza dal Csm. Insomma, il palazzo è squassato da vecchi rancori e nuove polemiche, ma intanto l'inchiesta su Vallettopoli va avanti. Dopo aver sentito Michele Cucuzza e il calciatore della Roma Christian Panucci (ai quali il pm ha chiesto sempre la stessa cosa: siete stati ricattati da qualcuno? Vi hanno scattato foto per usarle contro di voi?), lunedì potrebbe essere la volta dell'imprenditore Diego Della Valle: nell'archivio segreto di Corona gli inquirenti avrebbero, infatti, trovato tracce di foto scattate al largo di Capri l'estate scorsa. Il procuratore generale, Tufano, ieri mattina era infuriato ma anche esterrefatto: «La mia audizione davanti al Csm era secretata. Com'è possibile che sia finita sui giornali? Scriverò al presidente Mancino...». Il pg ha sempre criticato le fughe di notizie dal palazzo di Potenza: certo non s'aspettava un'identica sorpresa proprio da Palazzo dei Marescialli. Anche perché proprio lui ha sempre combattuto pubblicamente l'abbondante utilizzo delle intercettazioni nelle inchieste di Potenza: 6 milioni e 400 mila euro spesi in tre anni, 7.500 euro al giorno, 109 anni la durata complessiva dei nastri. Uno spreco secondo lui inammissibile. Ieri, però, si è offeso anche il gip Alberto Iannuzzi: «Tufano mi accusa di aver deciso l'arresto di Vittorio Emanuele di Savoia a distanza di poche ore dalla richiesta del pm. Non è vero. Lo decisi dopo 17 giorni passati a studiare, compresi 5 giorni di ferie. La verità è che ci attaccano sempre, solo perché queste inchieste puntano in alto».

Scatti e ricatti, toghe e veleni. E anche dubbi, come quelli ipotizzati dal ministro della Giustizia Clemente Mastella, che ieri ha commentato il caso Sircana ai microfoni di Repubblica tv: «La parola complotto è sempre un po' esagerata, certo la dinamica è singolare. Il fatto di seguire il portavoce del governo — ha aggiunto — significa che c'è qualcuno che ha dato indicazioni precise. È questa la cosa che più mi insospettisce: la manina che accompagna».

 

23 marzo 2007


La Repubblica 22-3-2007 Uranio impoverito, un militare denuncia "Moltissimi reduci operati alla tiroide" Confermati i dati: i decessi sono più di 40, i malati oltre 500

La testimonianza raccolta dall'Osservatorio militare
Gli interventi riguarderebbero il 70 per cento del personale. La notizia durante la conferenza stampa della commissione parlamentare d'inchiesta
ROMA - Molti militari italiani reduci da missioni all'estero sono stati operati alla tiroide in seguito alla presunta contaminazione da uranio impoverito. A denunciarlo un giovane soldato tornato dal teatro bellico dei Balcani e da tempo sotto controllo medico. La sua testimonianza è stata affidata a Domenico Leggiero, dell'Osservatorio militare, un'associazione che assiste gli appartenenti alle forze armate e i loro familiari.
Un'affermazione scioccante, ancora di più per le dimensioni del fenomeno, che, secondo il militare, riguarderebbe il 70 per cento dei reduci, costretti a sottoporsi da un intervento alla tiroide a titolo preventivo. Secondo le informazioni raccolte dall'Osservatorio militare, le operazioni verrebbero effettuate in un ospedale di Siena e in altre strutture convenzionate con l'esercito.
"Noi non siamo in grado di confermare queste cifre" spiega Leggiero, "ma ci aspettiamo che qualcosa si muova in Parlamento per fare chiarezza sulla questione. Anche se si trattasse soltanto della metà, si tratta di un dato comunque enorme ed è necessario poter avere accesso a queste informazioni".
E questo è l'obiettivo della Commissione parlamentare d'inchiesta del Senato sull'uranio impoverito, la cui presidente, Lidia Menapace (Prc) ha illustrato questa mattina le linee guida che verranno seguite.
Uno dei primi compiti della Commissione riguarderà la raccolta e l'analisi statistica dei dati, per le quali la Commissione intende rivolgersi all'Istat, all'Istituto superiore di Sanità, alla Direzione generale della sanità militare, ha detto la Menapace, "al fine di acquisire elementi e valutazioni di tipo oggettivo ed ufficiale".

Ad oggi, infatti, non ci sono certezze sul numero esatto delle vittime: secondo l'Osservatorio i morti sarebbero 45 e i malati 515, affetti da patologie riconducibili all'esposizione all'uranio impoverito, usato in modo massiccio negli armamenti della Nato soprattutto nei Balcani. Altre associazioni hanno dati diversi, così come diversi sono quelli forniti dalla Difesa.
Oggi non ci sono praticamente più dubbi sull'esistenza di un nesso fra i decessi e le malattie dei reduci da missioni all'estero e l'esposizione all'uranio impoverito, anche se il tema continua ad essere oggetto di forti polemiche e indagini. La commissione Mandelli, in tre successive relazioni, ha concluso che rispetto al numero statisticamente atteso le vittime nel gruppo di riferimento (i militari che hanno preso parte a diverse operazioni nelle zone "incriminate") sono quattro volte superiori, ma non è stata in grado di collegare direttamente la presenza dell'uranio ai casi di tumore registrati. E una successiva commissione di inchiesta ha sostenuto che i dati della Mandelli erano probabilmente sbagliati e sottostimati.

(22 marzo 2007)


Il Denaro 22-3-2007- Mercato immobiliare. Spagna, crollo delle case vacanze: In Ue bolla immobiliare a rischio

 

I prezzi delle case di vacanza in Spagna, uno dei principali indicatori per l'andamento del mercato immobiliare europeo, potrebbero subire una flessione più marcata di quella che sta vivendo il settore immobiliare statunitense, stando almeno ai termini dei prestiti che le banche europee impongono alle società edili.
Il madrileno Grupo Martinsa del magnate immobiliare Fernando Martin, ex presidente del Real Madrid calcio, e Promociones Habitat SA di Barcellona sborsano il quintuplo sui prestiti ricevuti rispetto ai loro omologhi statunitensi, fra i quali Centex Corp. di Dallas, secondo dati compilati da Bloomberg News. Anche United Airlines di UAL Corp., che l'anno scorso dichiarò fallimento, paga un premio di rischio inferiore sui suoi prestiti. "Le banche impongono dei termini sui mutui simili a quelli riservati ai prestiti insoluti," ha detto David Malpica, che partecipa alla gestione di $5,6 miliardi di debito immobiliare e sofferenze presso CarVal Investor a Londra. "Riflette l'elevata volatilità degli asset immobiliari."
Le agenzie immobiliari della Spagna, il mercato abitativo europeo più dinamico del decennio, probabilmente taglieranno del 10 percento i prezzi delle case di vacanza quest'anno, secondo RR de Acuna & Associates a Madrid.
Una frenata potrebbe avere ripercussioni "psicologiche" in tutta Europa, ha affermato Tobias Just, analista presso Deutsche Bank AG a Francoforte.
Il prezzo medio di un'abitazione in Spagna era di circa 276.300 euro a dicembre, secondo Sociedad de Tasacion, il doppio rispetto al 2000. Ed il settore edilizio ha fatto della Spagna il maggiore motore di crescita economica dell'area-euro questo decennio. I proprietari spagnoli di case potrebbero essere più vulnerabili di quelli americani rispetto al rischio di insolvenza, in quanto il 98 percento dei mutui in Spagna è a tasso variabile, secondo la banca centrale spagnola, mentre negli Usa esiste un numero maggiore di mutui a tasso fisso.
Re/Max International Inc., numero due Usa fra i broker immobiliari, ha indicato di avere ridotto anche del 26 percento i prezzi di oltre 5.000 abitazioni in Spagna a gennaio.
Il Grupo Martinsa versa a Morgan Stanley, Caja Madrid e Caja de Ahorros de Barcelona interessi maggiorati di 2,5 punti percentuali rispetto al tasso interbancario europeo, secondo l'informativa della società. Per contro, United Airlines ha pagato 50 punti base meno di Martinsa su un prestito ricevuto il mese scorso, appena un anno dopo essere emersa dalla procedura fallimentare.Le banche, da parte loro, si stanno rivolgendo a gestori di fondi per sottoscrivere prestiti, con l'obiettivo di ridurre il rischio.
È in quest'ottica che Santander Central Hispano SA e Caja Madrid si sono rivolte alla londinese European Credit Management, per organizzare un prestito da 3,8 miliardi di euro a favore di Construcciones Reyal SUA. European Credit Management, che amministra 20 miliardi di euro di investimenti nel debito, riceverà un margine di 195 punti base in più rispetto al tasso Euribor, secondo dati Bloomberg. Un punto base corrisponde a 0,01 punti percentuali.

 

22-03-2007


Ottopagine.it 22-2-2007  “Caro casa”, allarme della Confcommercio: «Mercato drogato, saremo la città degli altri» Marco Grasso

 

«Il mercato immobiliare è fuori controllo, siamo destinati a diventare la città degli altri». Prezzi alle stelle, avellinesi in fuga verso l’hinterland e capoluogo nelle mani dei napoletani. Giovanni Nazzaro, coordinatore dell’osservatorio di settore della Confcommercio, non sembra avere dubbi. «Quello dello spopolamento è un fenomeno tutt’altro che recente. Tutto è iniziato dopo il terremoto ed ora ne paghiamo le conseguenze». Secondo l’ultima indagine nazionale di Tecnocasa Avellino è il capoluogo di provincia dove gli immobili hanno registrato la rivalutazione più consistente. «Spesso si parla a sproposito e senza una approfondita conoscenza del mercato, anche per questo - precisa - come Confcommercio abbiamo deciso di istituzionalizzare il nostro osservatorio. E’ arrivato il momento di fare chiarezza, di operare nel segno della trasparenza».
Nazzaro, pochi giorni fa il presidente dei Costruttori Piano ha lanciato l’ennesimo appello per una rapida approvazione del Puc. A sua detta l’incontrollato aumento dei prezzi è da collegare alla mancanza di un piano regolatore.
Non c’è dubbio che l’assenza del Puc abbia in qualche modo lasciato il mercato allo sbando, senza limiti e regole. Ma pensare che, un attimo dopo l’approvazione, i prezzi caleranno è un’illusione che non ha alcun fondamento.
Non immagina nessun effetto benefico dall’approvazione del piano urbanistico?
Sicuramente una maggiore vivacità, la partenza di diversi cantieri, la ripresa delle costruzioni. Ma non basta, molto dipenderà da come si ripartirà.
Che intende?
Subito dopo il terremoto, quando c’era da rimettere in piedi un’intera provincia, si è cominciato a costruire a macchia di leopardo, un cantiere alla volta. Ogni imprenditore aspettava che l’altro realizzava le villette e le vendeva per poi partire a sua volta. Sa perché?
Dica.
In questo modo si operava senza concorrenza, i cittadini non avevano la possibilità di scegliere, di mettere a confronto soluzioni diverse. Anche per questo la ricostruzione è durata tanto.
C’è il rischio che succeda la stessa anche all’indomani dell’approvazione del Puc?
Purtroppo sì ed in più c’è il rischio che lavorino soprattutto, se non esclusivamente, per i napoletani. Nessuna discriminazione, ma la città è destinata a cambiare pelle.
Perché?
Ma perchè sono gli unici a poter essere ancora interessati alla nostra provincia, a meno che non siano scoraggiati dall’ipotesi di doversi sistemare in centro e quindi lontano dall’autostrada. A quel punto i tempi per raggiungere Napoli si allungherebbero notevolmente.
E gli avellinesi?
Il 75 per cento ha la casa di proprietà. La parte restante è composta per lo più da giovani coppie che non hanno i mezzi per comprare ed, il più delle volte, sono costrette al fitto. E poi non dimentichiamo che gli avellinesi sono soprattutto impiegati. Ed oggi, per comprare una casa, spesso non basta.
Ma perchè i prezzi continuano a salire nonostante la domanda sia in costante calo?
Perché il mercato è stato drogato da sopravvalutazioni in buona parte legate all’effetto euro. E’ lo stesso fenomeno registrato per i beni di consumo, solo che, come facilmente intuibile, smaltita la sbornia il prezzo di una pizza torna più facilmente alla normalità di quello di una casa.
Perchè si è arrivati a questo punto?
Come le ho accennato bisogna tornare agli anni della ricostruzione del dopo terremoto. Molte famiglie, per un comprensibilissimo bisogno di sicurezza, si sono riversate tra Mercogliano e Monteforte dove era possibile costruirsi, a costi sostanzialmente contenuti, una villetta a piano terra con un pò di giardino. Dopo qualche anno, cresciuti i figli, hanno avvertito la necessità di tornare in centro ed hanno cominciato a vendere, soprattutto ai napoletani, storicamente attratti dalla pace e la tranquillità della nostra provincia. Diversi anni fa, quando si avviò il dibattito sul nuovo piano regolatore, intervistammo oltre quattrocento cittadini. Un lavoraccio dal quale emerse proprio questa tendenza. L’allora assessore al ramo ben pensò di cestinare le nostre indicazioni. Ora, per motivi diversi, è ripresa quella migrazione verso l’hinterland.
Motivi diversi?
Certo, i prezzi eccessivamente elevati hanno costretto molti avellinesi a scegliere ancora Monteforte o Aiello e Cesinali. Si è rinunciato a qualche servizio ma è stata una scelta obbligata anche perchè la nostra città è cresciuta male, tra costruzioni, speculazioni e pochissime strade.
Ed ora che succederà?
Beh, anche nell’hinterland non c’è più tanta disponibilità ed i prezzi sono in costante aumento. Con l’approvazione del Puc si comincerà a costruire a contrada Chiare o a collina Pennini. Un’altra area di sfogo può essere quella della variante che, con l’installazione di tre rotatorie, diventerà una strada urbana molto più sicura e vivibile. Ma, ripeto, non credo che ci saranno molti avellinesi pronti ad investire.
Ma lei da agente immobiliare cosa consiglia ai suoi clienti?
Dipende dai casi e dalle circostanze.
Ad una giovane coppia?
Di andare per gradi, partendo magari da mini-appartamenti ed evitando comunque il fitto.
Non sarebbe meglio temporeggiare?
Non saprei quanto e poi i prezzi possono al massimo normalizzarsi, non certo dimezzarsi.
Meglio di niente.
Non c’è dubbio, ma certezze non ce ne sono anche perchè, a differenza di quanto continuano a pensare in tanti, i prezzi non li facciamo noi. Il mercato immobiliare non è nelle mani delle agenzie.


Il Corriere della Sera 22-3-2007 Bersani bis, ecco le novità La fase due delle liberalizzazioni

 

Dalle multe ai veicoli truccati agli incentivi per le imprese che si quotano in borsa. Le misure del dl approdato in Parlamento

Incentivi per le imprese che si quotano in Borsa, agevolazioni per la diffusione del pagamento di pensioni e stipendi con moneta elettronica, impulso alla liberalizzazione delle ferrovie, ma anche multe per i veicoli «truccati», nuove misure per la rete distributiva dei carburanti contro le quali i benzinai hanno già effettuato alcuni scioperi. Ecco in sintesi le principali misure contenute nel dl sulle liberalizzazioni, sul quale il governo ha posto la fiducia alla Camera.
INCENTIVI PER LA BORSA - La quota di capitale di nuova formazione sottoscritto da organismi di investimento collettivo potrà usufruire di una riduzione dell'Ires, che potrà scendere fino alla soglia del 20%.
STIPENDI E PENSIONI - Incentivi, anche fiscali, per favorire i pagamenti elettronici da parte della Pa, istituti pensionistici, banche, assicurazioni. E per stipendi e pensioni si introduce «una soglia oltre la quale non debbano essere corrisposti in contanti o con assegni». Per le pensioni, il ddl punta a far sì che gli enti previdenziali e assistenziali distribuiscano ai propri iscritti, in convenzione con le Poste o le banche, carte di pagamento per la riscossione presso sportelli automatici.
FERROVIE - Si stabilisce la «separazione fra autorità regolatrice e gestore della rete» (con riferimento ai poteri che potrebbero andare all'Authority dei Trasporti). Quanto alla gestione della rete, si apre alla possibilità d'ingresso di soggetti terzi, fissando un criterio di efficienza.
SERVIZI AEROPORTUALI - Il ministero dei Trasporti avvierà un'indagine per verificare il grado di liberalizzazione dei servizi a terra negli aeroporti civili.
BENZINAI - Niente più limiti, in materia di distanze tra i vari impianti e di parametri numerici per la presenza dei distributori. E, ancora, via libera alla vendita di prodotti 'non oil'.
CIRCHI - Le compagnie di giro, i circhi nonché tutti gli altri «organismi dello spettacolo» dalle attività teatrali a quelle musicali e di danza conquisteranno il titolo di piccole e medie imprese, potendo così accedere alle agevolazioni.
MASSIMO SCOPERTO - Sono nulle le clausole contrattuali in materia che prevedono una remunerazione a favore della banca per la messa a disposizione di fondi a favore del cliente. -
INTERMEDIAZIONE D'AFFARI - Scompare l'obbligo di iscrizione a ruoli o elenchi: sarà necessaria solamente la dichiarazione di inizio di attività ed il possesso dei requisiti professionali necessari.
AVVIO DI UN'IMPRESA - Tempi più celeri per avviare un'attività produttiva: basterà una dichiarazione unica che attesti i requisiti di conformità dell'impianto. Nella relazione al ddl, il governo sottolinea l'auspicio di arrivare a un testo unico che abbini le misure proposte dall'Esecutivo con quelle della cosiddetta pdl Capezzone, alla quale la commissione Attività produttive della Camera ha già dato il proprio via libera.
ISTITUTI TECNICI E PROFESSIONALI - Si punta al potenziamento di questi istituti, quali istituzioni «strutturate organicamente sul territorio attraverso collegamenti stabili con il mondo del lavoro».
TRASPORTI - Si tratta di interventi per il trasporto pubblico innovativo e in materia di trasporto ferroviario, oltre che al riordino degli incentivi per l'autotrasporto merci.
AUTO PERSONALIZZATE SENZA NULLA OSTA - Via libera allo sviluppo per i settori specializzati in componenti delle auto, finalizzati ad aumentare le performance, il comfort e la sicurezza del veicolo. Per le modifiche, infatti, non servirà più il preventivo nulla osta della casa costruttrice.
VEICOLI «TRUCCATI» - Si inaspriscono le norme per chi circola su auto o moto alle quali siano state apportate modifiche rispetto alle caratteristiche indicate nel certificato di omologazione e nella carta di circolazione.

22 marzo 2007

 


Il Corriere della Sera 22-3-2007 Da Berlusconi 70 mld per la fedeltà di Bossi. L'appunto in un'agenda del 2004 dell'ex giornalista Sasinini

 

Lo riporta l'ordinanza del gip. Il periodo è quello in cui venne pignorata la casa del leader della Lega Nord. Ghedini: fantasie

MILANO- Silvio Berlusconi avrebbe dato 70 miliardi di lire a Umberto Bossi in cambio della sua totale fedeltà. scritto nell'agenda del 2004 dell'ex giornalista Guglielmo SasininiÈ (agli arresti domiciliari), uno degli indagati nell'inchiesta sui dossier illeciti.

L'appunto di Sasinini è riportato a pagina 303 dell'ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari Gennari ha disposto l'arresto di tredici persone nell'ambito dell'inchiesta sui dossier illegali. A fianco della presunta operazione appare anche il nome di Giulio Tremonti senza alcuna ulteriore spiegazione. Negli appunti si dice che il periodo sarebbe stato quello in cui venne «pignorata per debiti la casa di Bossi», quindi prima del successo della Casa delle libertà nelle elezioni del 2001. Infine, nel medesimo appunto, sotto l'indicazione pre-governo Berlusconi, si legge che «sottosegretario Minniti... da ex Sisde ha saputo una...?».

GHEDINI: «FANTASIE» - «Le notizie di presunti accordi tra Bossi e Berlusconi sono non soltanto destituiti di ogni fondamento, ma frutto di un'assoluta fantasia che sarebbe risibile se non apparisse connotata da scopi diffamatori o ancora peggio per inquinare la vita politica del Paese», ha replicato il senatore di Forza Italia Niccolò Ghedini, avvocato difensore di Silvio Berlusconi. «Agiremo in tutte le sedi opportune al fine di far sì che simili falsità non possano essere propagate».
Secondo Roberto Castelli, esponente della Lega Nord, si tratta «della bugia più clamorosa dell'inchiesta».

UN MONDO DI MERDA»
BOSSI: «È - Molto più colorita e nel suo stile la replica del diretto interessato: Umberto Bossi. «È un mondo di merda, a uno gli passa la voglia di far politica», ha detto Bossi all'Ansa. «Io ho dato mandato di querelare questa persona e mi domando come facciano a uscire simili cose. L'hanno fatto apposta per fare danni politici. Berlusconi è uno che non tira fuori un soldo nemmeno per pagare i manifesti elettorali, figurarsi se tira fuori dei soldi per la Lega».

22 marzo 2007

 


La Repubblica 22-3-2007 Senato Usa: "Ritiro dall'Iraq entro il 31 marzo del 2008"

 

Approvato in commissione anche lo stanziamento di 121 milioni di dollari
per il sostegno alla missione militare. Prime partenze entro quattro mesi

Ma la Casa Bianca annuncia il veto. Venerdì in programma il voto alla Camera dei rappresentanti

 

WASHINGTON - Gli Stati Uniti dovrebbero ritirare la maggior parte delle loro truppe dall'Iraq entro il 31 marzo 2008. Questo, almeno, stando al piano approvato oggi dalla Commissione "Accrediti" del Senato. I senatori hanno dato via libera a un documento proposto dai democratici (uno con gli stessi contenuti era stato respinto dall'aula la scorsa settimana) che approva lo stanziamento di 121,6 milioni di dollari per sostenere la missione militare in Iraq e stabilisce la data (31 marzo 2008) per il ritiro della maggior parte degli effettivi. Ritiro che, comunque, dovrebbe cominciare entro quattro mesi.
Immediata la reazione della Casa Bianca che ha fatto sapere di essere pronta ad esercitare il veto presidenziale contro qualsiasi proposta di legge che leghi il rifinanziamento delle operazioni militari in Iraq e Afghanistan ad una data precisa per il ritiro.
Ancora una volta, quindi, cresce la tensione tra la maggioranza democratica al Congresso e la Casa Bianca. La legge dovrà ora passare all'esame dell'aula dove difficilmente otterrà l'appoggio di 60 senatori su 100, indispensabili per superare il veto presidenziale che George W. Bush è determinato a porre.
La Camera dei Rappresentanti ha iniziato il dibattito su una proposta di legge per portare a casa le truppe dall'Iraq entro il primo settembre 2008, e il voto è previsto per venerdì. Proprio durante il dibattito è arrivata l'approvazione da parte della commissione bilancio del Senato del documento che prevede il ritiro dall'Iraq già da quest'anno, con l'obiettivo di completarlo entro il 31 marzo 2008.
Per il portavoce della Casa Bianca Tony Snow la proposta di legge non ha alcuna possibilità di essere approvata. "E' una legge cattiva, il presidente opporrà il veto ed il Congresso lo confermerà", ha detto.

E se i democratici stanno lottando per mettere insieme i 218 voti necessari alla Camera per far approvare la legge, i repubblicani hanno già annunciato la loro opposizione e si preannunciano mesi di battaglia.


La Repubblica 22-3-2007 Coppola, una valigetta sotto terra

Era sepolta nella proprietà di un parente dell'immobiliarista
Contiene documenti "interessanti" per gli inquirenti, che indagano sul crac da 130 milioni di euro


L'archivio segreto su società in Lussemburgo

ROMA - Era nascosta in un terreno dei Castelli romani, protetta da un involucro di plastica e sepolta sotto assi di legno: una valigetta a combinazione, piena di documenti interessanti e, secondo gli inquirenti, riconducibile a Danilo Coppola, è stata scoperta nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Roma sul crac da 130 milioni di euro attribuito a società gestite dall'immobiliarista.

L'hanno trovata gli uomini della guardia di Finanza e i carabinieri di Frascati, sepolta in un terreno di proprietà di un parente di Coppola. Nella valigetta, una "72 ore" in pelle nera, erano stati nascosti documenti riferibili a società lussemburghesi di Coppola, alla società Ipi e altra documentazione contabile che sarà esaminata nei prossimi giorni dagli inquirenti.

Il ritrovamento della valigetta con i documenti del Gruppo Coppola presenta diverse analogie con l'intercapedine scoperta, sempre dai militari della Guardia di Finanza di Frascati e dal Nucleo Speciale di Polizia Valutaria, in un garage di una proprietà dell'immobiliarista Stefano Ricucci, lo scorso anno arrestato dalle Fiamme Gialle nell'inchiesta sulla scalata alla Bnl. Anche in quel caso gli investigatori trovarono in alcuni scatoloni, in cui erano custoditi anche calendari dell'attrice Anna Falchi, moglie di Ricucci, una documentazione che consentì loro di accertare numerosi irregolarità contabili attribuite a Ricucci.

Le Fiamme Gialle sono arrivate sul posto dopo aver acquisito elementi rilevanti da nuove intercettazioni telefoniche seguite all'arresto di Coppola, in cui si faceva riferimento a documenti interrati e murati.


INDICE 22-3-2007

++ AgenParl 22-3-2007 La carta americana per Silvio

++ La Padania 22-3-2007  L ira degli Usa per i talebani liberi La Lega: non cedemmo neanche per Moro

++ Da Reuters Italia 22-3-2007 Telecom: altri 13 arresti, anche agente Cia in pensione

+ La Repubblica 22-3-2007 Afghanistan, ipotesi del New York Times "Italia non ha agito da sola per Mastrogiacomo"

Il Corriere della Sera 22-3-2007 Mastrogiacomo, il disappunto degli Usa  Critiche anche da Gran Bretagna e Germania. Washington critica sul rilascio del giornalista. La Farnesina: non risulta, giovedì chiarimento telefonico D'Alema-Rice  1

La Repubblica 22-3-2007 D'Alema: "Fulmine a ciel sereno ma oggi parlerò con la Rice" di MASSIMO GIANNINI 2

La Stampa 22-3-2007 IL REPORTAGE  "Qui ormai è guerra  già la combattiamo". Un ufficiale: «Ci sono quelli di Enduring Freedom. Poi ci siamo noi dell’Isaf, un caos» Giuseppe Zaccaria  4

L’Unità 22-3-2007 Messaggi americani Luigi Bonanate  5

Il Riformista 22-3-2007 Pubblicate pure le mie telefonate sul caso Unipol di Francesco Cossiga  6

La Provincia pavese 22-3-2007"Violenza, solitudine e corruzione le pesti che l'uomo deve sconfiggere" Curato da Marco Vergottini contiene 17 interventi firmati da religiosi e da intellettuali 6

Il Sole 24 Ore 21-3-2007 Raddoppiano i controlli sugli studi di settore. In arrivo 12,5 milioni di rimborsi di Nicoletta Cottone  8

Italia Oggi 22-3-2007 Abi-Ania, sarà federazione Sinergie tra associazioni a regime entro un anno  8

 


 

++ AgenParl 22-3-2007 LA CARTA AMERICANA PER SILVIO

Roma, 22 Marzo 2007 – AgenParl – George spera di riportare a Palazzo Chigi il suo amico Silvio? Sembra proprio che la vicenda afghana sia la carta offerta a Berlusconi per far cadere il governo Prodi.
Infatti gli americani in un primo momento avevano dimostrato “comprensione” (queste le parole del ministro degli Esteri dopo l’incontro con la Rice) per la trattativa coi Talebani, che ha portato alla liberazione di Mastrogiacomo. In questo modo avevano fatto capire di aver “ingoiato il rospo”, forse anche per non creare problemi all’esecutivo di Prodi, che si appresta ad affrontare il rifinanziamento della missione in Afghanistan a Palazzo Madama.
Ora, invece, lo scenario cambia. Un anonimo funzionario del Dipartimento di Stato statunitense ha esplicitato la disapprovazione americana sulla modalità di trattativa italiana. Insomma D’Alema è caduto nella trappola.
A seguito di questa “condanna” è stata orchestrata una campagna mediatica di disappunto anche dalla stampa inglese, tedesca e olandese, le quali hanno affermato che “non bisogna trattare con i terroristi”. In questo contesto sono stati poi alimentati i dissensi all’interno della maggioranza, con le critiche sollevate addirittura anche da alcuni ministri, come ha fatto Emma Bonino.
Ma l’attacco a D’Alema è stato concentrico, infatti anche L’Avvenire, organo stampa del Vaticano, ha criticato, non poco, la strategia dell’esecutivo di trattare con i talebani, definendola “insensata”.
Quindi gli americani, escogitando questo tranello, hanno fatto capire che vogliono la caduta non solo di Prodi, ma anche dell’attuale maggioranza in modo tale che si scateni un terremoto politico che porti alla costituzione di un nuovo governo e forse anche ad elezioni “a tamburo battente”. Un assist perfetto per il Cavaliere. (S.G., G.R.S.)

 

AgenParl 22-3-2007 GLI USA HANNO LA MEMORIA CORTA

Roma, 22 Marzo 2007 – AgenParl – “Anche gli americani trattano con il diavolo”. Con questa affermazione Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali, bacchetta il Dipartimento di Stato statunitense che, ora, critica il governo italiano per la trattativa avvenuta con i Talebani per la liberazione di Mastrogiacomo.
Infatti, Margelletti sottolinea come da sempre gli Usa hanno preferito la strategia del “dialogo sotto banco” e, facendo l’esempio del negoziato del 1979 con l’Iran di Khomeini, ricorda come anche loro in passato siano scesi a patti con governi considerati criminali.
E’ dello stesso avviso anche il capogruppo al Senato del Prc, Giovanni Russo Spena che ha replicato alle accuse americane, dichiarando “anche loro dialogano con una parte dei guerriglieri talebani”. Inoltre con una battuta evidenzia come questo sia il “segreto di Pulcinella”. (S.G., G.R.S.)


++ La Padania 22-3-2007  L ira degli Usa per i talebani liberi La Lega: non cedemmo neanche per Moro

Igor Iezzi Quando l Italia ha proposto una conferenza di pace per l Afghanistan questa ipotesi "è sembrata quasi una forzatura. Molti l hanno descritta come qualcosa di astratto"; ora "vedo che invece, adagio, fa presa. Il cancelliere tedesco Merkel ha detto che sembra la strada giusta. Condoleeza Rice ha detto che è una proposta costruttiva". A parlare, e a pavoneggiarsi, è il bonario Romano Prodi. "Penso - ha aggiunto il premier - che tutti comincino a capire che va costruita la pace con uno sforzo rivolto verso il futuro, anche al di là di quelle che sono le posizioni presenti e davvero mi auguro che la conferenza abbia luogo". Queste frasi il premier le ha pronunciate nella mattinata di ieri, prima, cioè, che i suoi sogni di gloria fossero clamorosamente infranti. Dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna sono arrivate durissime critiche verso Palazzo Chigi per la gestione della trattativa con i Talebani nella liberazione dell inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo e per la proposta, lanciata da Piero Fassino e ripresa dal Governo, di aprire un eventuale conferenza di Pace agli stessi Talebani. Da mesi Prodi e il ministro degli Esteri Massimo D Alema ci raccontano che "l Italia conta di più nello scenario internazionale". Il vicepremier, nei giorni scorsi a New York, ha cercato in ogni modo di accreditare un amicizia e un solido legame con gli Usa, diffondendo anche la notizia di una sua cena con Condoleeza Rice. Al contrario, tutta questa ansia di legittimazione, ha solo dimostrato ulteriormente la piccolezza tricolore sul palcoscenico della politica estera. L esponente diessino ci ha raccontato che la proposta italiana della conferenza di Pace è stata accolta con urla di gioia, ieri però sono piovute dure critiche dagli Usa che sanno tanto di crisi nei rapporti tra i due Paesi. "Preoccupazione", "delusione", "disappunto" sono infatti i giudizi che filtrano dal Dipartimento di Stato americano, rilanciati in Italia dalle agenzie di stampa, e dipingono un quadro assai fosco sullo stato delle relazioni tra Italia e Usa dopo le modalità con cui si è giunti alla liberazione di Daniele Mastrogiacomo. La trattativa intavolata con i talebani - si avverte da Washington - "aumenta i rischi per le nostre forze, per quelle afgane e per quelle internazionali". Si è dunque lontanissimi dalla "comprensione" della quale Massimo D Alema aveva parlato ieri. A completare il quadro il silenzio della Germania e l attacco di Londra: "La Gran Bretagna è preoccupata per le implicazioni del rilascio di Talebani in cambio di ostaggi" hanno lasciato trapelare fonti del Foreign office britannico, commentando la scarcerazione di cinque terroristi per la liberazione di Daniele Mastrogiacomo. "Riteniamo che sia un segnale sbagliato", hanno aggiunto le stesse fonti che, sull ipotesi di invitare i Talebani a un eventuale conferenza internazionale sull Afghanistan, hanno risposto con un "no comment, è una questione italiana". Anche il il Dipartimento di Stato americano, smentendo D Alema, ha bocciato come una "pessima idea" la proposta espressa dal segretario Ds Piero Fassino di aprire ai talebani le porte della conferenza di pace caldeggiata da governo e maggioranza. E anche sulle regole d ingaggio dei militari italiani Washington esprime forti critiche: i caveat sono "limitanti", come dimostra il fatto che Mastrogiacomo è stato trasferito dal luogo della liberazione a Kabul con un velivolo di una Ong (Emergency) perchè le regole di ingaggio non avrebbero consentito di ricorrere a mezzi della autorità italiane. Intanto sulla gestione delle trattative con i Talebani non si placano le polemiche in Senato dove i senatori della Lega Nord Roberto Calderoli, Stefano Stefani, Sergio Divina, Piergiorgio Stiffoni, Massimo Polledri e Michelino Davico hanno presentato in aula un ordine del giorno per impegnare il governo a non utilizzare mai più il pagamento di riscatti o la liberazione di terroristi prigionieri come strumenti di trattativa per la liberazione di nostri concittadini rapiti in territorio straniero. "Il Senato - affermano -, preso atto della discontinuità della linea politica tenuta dal governo in occasione del rapimento del giornalista Mastrogiacomo rispetto a quella tenuta in occasione del rapimento Moro, temendo che l aver dato totale soddisfazione alle richieste dei rapitori possa spingere i guerriglieri a ripetere i loro comportamenti criminali con il conseguente ulteriore rilascio di pericolosi terroristi; considerato che le altre nazioni partecipanti alla missione di pace in Afghanistan hanno escluso a priori di ricorrere al pagamento di riscatti o allo scambio di prigionieri in caso di sequestro di loro connazionali, impegna il governo - concludono i senatori del Carroccio - a non utilizzare mai più il pagamento di riscatti e/o la liberazione di terroristi prigionieri come strumenti di trattativa per la liberazione di nostri concittadini rapiti in territorio straniero, tenuto anche conto che, in occasione di rapimenti nel territorio nazionale il magistrato incaricato può addirittura ricorrere al blocco dei beni del rapito e dei suoi familiari". "Ci fosse stato Massimo D Alema al posto di Enrico Berlinguer al momento del rapimento di Aldo Moro ! - ha ironizzato Francesco Cossiga, Presidente emerito della Repubblica - In fondo che cosa chiedevano le Brigate Rosse, se non il riconoscimento politico che oggi il Governo ha dato ai signori Talebani e al suo alleato il potente movimento di Rivincita islamica Al Qaeda?". "E naturale fare un parallelo di questo tipo - ha ribattuto il leghista Roberto Calderoli - . Ma se allora non fu giusta una chiusura totale, oggi non è giusta l apertura totale". "Io credo - afferma l ex ministro del Carroccio - in una via di mezzo che non delegittimi il governo. Siamo felici per il rilascio del giornalista ma non condividiamo la linea seguita dal governo. A quale prezzo è stato liberato Mastrogiacomo? Un morto certo, una persona di cui non si sa sorte, 5 terroristi liberati e forse anche il pagamento del riscatto. E troppo".


++ Da Reuters Italia 22-3-2007 Telecom: altri 13 arresti, anche agente Cia in pensione

MILANO (Reuters) - Il gip di Milano ha disposto oggi l'arresto di 11 persone - fra le quali un agente Cia in pensione, uno dell'Europol ed esponenti delle forze dell'ordine, solo tre dei quali ancora in servizio -- e ha fatto notificare nuovi ordini di custodia cautelare per l'ex capo della sicurezza di Telecom Italia Giuliano Tavaroli e l'ex responsabile dell'Information Security della società Fabio Ghioni. Anche Pierguido Iezzi, ex vertice della sicurezza Pirelli, scarcerato a dicembre, è fra gli arrestati. Lo hanno riferito fonti giudiziarie, aggiungendo che fra i destinatari dell'ordinanza di oltre 370 pagine del gip Giuseppe Gennari c'è anche il cittadino Usa residente in Virginia John Paul Spinelli, agente Cia in pensione, ex capocentro del servizio americano a Mogadiscio, ex ufficiale di collegamento fra la Cia e l'Italia dal 1985 al '96 e titolare dell'agenzia investigativa Global International Security Service, che aveva contratti per la sicurezza all'estero con Pirelli e Telecom. Agli arresti domiciliari, a Roma, è finito anche Fulvio Guatteri, ex ufficiale di collegamento fra i servizi segreti francesi e italiani, poi passato all'Europol, oltre al giornalista Guglielmo Sasinini, già arrestato nel gennaio scorso. Gli altri membri, o ex membri, delle forze dell'ordine sono sospettati di aver in qualche modo collaborato con la rete allestita da Tavaroli, in carcere dal settembre scorso e destinatario, con quello di oggi, di ben quattro ordini d'arresto nell'ambito dell'inchiesta sulla raccolta illegale di informazioni da parte di ex manager Telecom. FRA IPOTESI REATO CORRUZIONE INTERNAZIONALE E VIOLAZIONE SEGRETO DI STATO Oltre alle "solite" ipotesi di reato contenute nelle ordinanze di oggi -- associazione a delinquere, corruzione, rivelazione di segreto d'ufficio -- per la prima volta figurano anche la corruzione internazionale (a carico di Guatteri) e la violazione del segreto di Stato (per Iezzi). Oltre a Tavaroli, anche Ghioni si trovava già in carcere mentre Iezzi era stato liberato nel dicembre scorso per decorrenza termini. Gli altri arrestati sono Mirko Ferrari, ex della Forestale; Amedeo Nonnis e Gregorio Porcelluzzi, entrambi in servizio come artificieri presso la Questura di Milano; Francesco Rossi, ex agente del Sisde, Diego Tega ex della Guardia di Finanza; Antonio Vairello, ex sindacalista ed ex dipendente Alitalia; Edoardo Dionisi, brigadiere dei carabinieri, secondo quanto riferito dalle fonti. A partire dal settembre 2006, l'inchiesta dei pm milanesi sulla raccolta illegale di informazioni riservate da parte di, all'epoca, dirigenti Telecom, ha condotto in carcere diverse decine di persone, in varie tornate di arresti. Nello scorso giro di arresti erano finiti in manette i membri del cosiddetto "Tiger Team" di Telecom, ritenuto responsabile degli attacchi informatici ai computer del giornalista del Corriere della Sera Massimo Mucchetti e dell'ex amministratore delegato di Rcs Vittorio Colao. Il Team, nato come nucleo per la difesa informatica della società, secondo l'indagine milanese veniva utilizzato anche per spiare concorrenti e "nemici". Nell'ordinanza d'arresto dello scorso 18 gennaio, il gip Gennari aveva scritto che dall'attività di spionaggio al centro dell'inchiesta aveva tratto beneficio il "proprietario di controllo" di Telecom, che aveva coperto l'attività delle "spie". Conclusioni duramente respinte da Marco Tronchetti Provera, presidente di Pirelli e primo azionista indiretto di Telecom Italia, che in due diversi comunicati aveva ribadito la sua "totale estraneità alle vicende connesse alla illegittima creazione di dossier", annunciando che avrebbe fatto ricorso alle vie legali nei confronti di chi leda la sua onorabilità". In una nota del 25 gennaio scorso, il patto di sindacato di Rcs aveva precisato che Tronchetti non si era mai opposto alla nomina di Colao ad amministratore delegato né all'assunzione di Mucchetti. Il personaggio chiave della vicenda viene ritenuto Tavaroli: secondo quanto emerge dalle diverse ordinanze di arresto, grazie alla sua posizione all'interno dell'azienda di telecomunicazioni, avrebbe svolto un ruolo preminente nell'organizzazione che, secondo l'accusa, avrebbe creato una vera e propria centrale di spionaggio privato ai danni di aziende concorrenti, imprenditori e uomini politici. Fra le persone arrestate nei mesi scorsi figura anche Marco Mancini, ex numero due del Sismi, già arrestato nel luglio scorso e poi rinviato a giudizio nell'ambito dell'inchiesta sul rapimento dell'ex imam egiziano di Milano Abu Omar per mano di agenti dell'intelligence statunitense e italiana. Marco Bernardini -- uno dei principali testimoni di questa inchiesta, ex agente Sisde che lavorava per la agenzia privata dell'agente Cia in pensione Spinelli -- , aveva dichiarato a verbale che Mancini collaborava con Spinelli in cambio di denaro. Accusa smentita da Mancini.


+ La Repubblica 22-3-2007 Afghanistan, ipotesi del New York Times "Italia non ha agito da sola per Mastrogiacomo"

Il quotidiano americano si interroga in una corrispondenza da Roma
sul ruolo preciso svolto da Washington nello scambio di prigionieri

ROMA - "L'Italia non ha agito da sola - e non avrebbe potuto - nello scambio di prigionieri" che ha portato al rilascio di Daniele Mastrogiacomo e "l'attenzione è concentrata su Afghanistan e Stati Uniti, che esercitano un ampio controllo sul Paese". A sostenerlo è oggi il New York Times, che interviene con un 'retroscena' nella bufera scatenata dalla scarcerazione di cinque Talebani - criticata duramente da Stati Uniti, Gran Bretagna, Olanda e Germania.
In una corrispondenza da Roma il quotidiano americano si interroga sul "ruolo preciso" di Washington, che ha "relazioni tese con l'Italia su molti fronti, tra cui il rinvio a giudizio di 26 americani per il rapimento dell'imam egiziano" Abu Omar.
"Diplomaticamente - sottolinea il quotidiano americano, citando fonti ufficiali - gli Stati Uniti non avrebbero potuto impedire lo scambio, dal momento che i prigionieri Talebani erano detenuti dal governo afgano e non dai militari americani o dalla Nato. Funzionari americani erano inoltre consapevoli del rischio che montasse l'opposizione nell'opinione pubblica italiana contro la presenza di truppe italiane in Afghanistan".
Il New York Times osserva quindi come "la politica interna sembra aver avuto un ruolo nella decisione" sullo scambio, "in una nazione in cui il debole sostegno agli interventi stranieri" aveva già fatto venire fuori le accuse di pagamenti di riscatti per gli ostaggi.
Il quotidiano americano ricorda infatti come sia ampiamente noto che "l'ex premier italiano, Silvio Berlusconi, pagò per la liberazione di almeno tre ostaggi in Iraq nel 2004 e nel 2005". All'epoca la questione era "umanitaria e politica: gli italiani erano largamente contrari alla decisione di Berlusconi di mandare truppe in Iraq e gli oppositori sostenevano che una vittima avrebbe potuto erodere il sostegno per lui mentre si avvicinivano le elezioni", spiega il New York Times.
E il rapimento di Daniele Mastrogiacomo, rileva, "è avvenuto ugualmente in un momento delicato per il già fragile governo Prodi, caduto lo scorso mese, in parte a causa della mancanza di supporto all'interno della coalizione per la presenza di quasi duemila soldati italiani in Afghanistan". In più, nei prossimi giorni, chiosa il quotidiano, "Prodi affronterà un voto cruciale per il finanziamento delle missioni all'estero, un voto che avrebbe potuto essere più difficile se Mastrogiacomo non fosse stato liberato".

(22 marzo 2007)

Il Corriere della Sera 22-3-2007 Mastrogiacomo, il disappunto degli Usa  Critiche anche da Gran Bretagna e Germania. Washington critica sul rilascio del giornalista. La Farnesina: non risulta, giovedì chiarimento telefonico D'Alema-Rice     

 

 

WASHINGTON (USA) - Dopo il primo implicito via libera, arriva il dissenso. Dagli alleati di sempre, Stati Uniti e Gran Bretagna, ma anche dalla Germania, il partner fondamentale in Europa per il governo Prodi. Che esprimono disappunto e preoccupazione.
Washington è stata colta di sorpresa dai termini della liberazione del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, rapito dai talebani in Afghanistan. Lo si è appreso da una fonte della amministrazione Bush che ha chiesto di non essere identificata.

Nel mirino Usa la liberazione dei 5 talebani per il rilascio di Mastrogiacomo: Washington teme che questo metodo può condurre su una strada pericolosa. Il funzionario ha sottolineato che uno dei talebani liberati è un familiare del capo talebano (il mullah Dadullah) che appare essere l'organizzatore del rapimento di Mastrogiacomo.
Dagli Stati Uniti non è arrivata alcuna «approvazione» allo scambio di prigionieri afghani per il rilascio di Mastrogiacomo. «Non è vero che abbiamo approvato lo scambio e le concessioni ci hanno colto di sorpresa» ha concluso la fonte.

REGOLE D'INGAGGIO - Gli Usa avrebbero anche lasciato trapelare al governo italiano come sia una pessima idea organizzare una conferenza di pace sull'Afghanistan a cui invitare anche i talebani e come le regole d'ingaggio dei nostri soldati nel Paese asiatico siano troppo limitanti.
Un esempio di questi limiti, ha sottolineato la stessa fonte, è testimoniato dal fatto che il trasferimento in aereo di Mastrogiacomo dal luogo della liberazione a Lashkar Gah fino a Kabul, non è stato effettuato con un velivolo messo a disposizione dalle autorità italiane, il che non sarebbe consentito dalle regole di ingaggio, che proibirebbero a velivoli del nostro governo di entrare in quella provincia, ma con un velivolo di una Ong (si tratta di Emergency). Il governo americano ha sottolineato di avere ripetutamente chiesto alle autorità italiane di modificare queste regole, già dal 2003.

RAMANZINA PREVISTA - A Roma, osserva una fonte, si attendeva una qualche ramanzina americana dopo la complessa e riuscita operazione afghana che ha portato in Italia Mastrogiacomo e alla libertà diversi prigionieri Taleban. Uno scambio che lo stesso presidente Hamid Karzai ha definito un fatto «eccezionale ed irripetibile». Forse non ci si aspettava un "j'accuse" così completo e forse lo si aspettava 24 ore prima e non oggi.

LA FARNESINA: «NESSUN PASSO UFFICIALE DA USA» - Quanto riportato dalla fonte Usa non viene confermato dalla Farnesina che in una nota precisa: «Non risultano passi ufficiali americani attraverso i consueti canali diplomatici nel senso indicato dalla fonte anonima né a Washington né a Roma». Al ministero degli Esteri si osserva che «nulla di quanto riferito nelle dichiarazioni della fonte anonima è emerso» nel corso del colloquio avuto da Massimo D'alema due giorni fa a Washington con Condoleezza Rice. E, anzi, conferma «il clima molto positivo» di quella conversazione a quattr'occhi - rimasta in gran parte riservata - svoltasi in un elegante ristorante con vista sul fiume Potomac. Per fare chiarezza giovedì, riferisce la Farnesina, è in programma un colloquio telefonico del ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, con il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice.

CRITICHE ANCHE DALLA GRAN BRETAGNA - Poco dopo anche il ministero degli Esteri britannico ha espresso «preoccupazione» per «le implicazioni della liberazione dei talebani» collegata al rilascio di Mastrogiacomo: lo ha detto una portavoce del ministero degli Esteri britannico, aggiungendo che della vicenda Londra sta «discutendo con il governo italiano e con quello afgano». Secondo la portavoce, in particolare, «c'è la preoccupazione che si possa dare il messaggio sbagliato a coloro che pensano di prendere ostaggi».

GERMANIA: «ERRORE ENORME» - Poco dopo anche Berlino si è unita a Londra e Washington nelle critiche per il rilascio di cinque Talebani in cambio della liberazione di Daniele Mastrogiacomo. Il
sito del settimanale tedesco Der Spiegel cita fonti del governo federale, che definiscono «un errore enorme» lo scambio. «L'Italia è soddisfatta, il giornalista è soddisfatto, ma lo sono soprattutto i Talebani», dice la fonte, secondo cui quello scambio ha rappresentato «un segnale sbagliatissimo per tutti i gruppi radicali e incoraggia nuovi rapimenti con obiettivi ancora più ambiziosi». Der Spiegel parla quindi dell'arrivo del giornalista di «Repubblica» come quello di «una star»: «Sembrava il vincitore, solo un po' più esausto, di un campionato del mondo».

OLANDA: «NOI NON TRATTIAMO» - Nel caso di eventuali rapimenti di connazionali, l'Olanda si oppone per principio a negoziare con i sequestratori: lo ha detto durante una visita in Afghanistan il ministro degli esteri dell'Aja, Maxime Verhagen.

22 marzo 2007


La Repubblica 22-3-2007 D'Alema: "Fulmine a ciel sereno ma oggi parlerò con la Rice" di MASSIMO GIANNINI

l ministro degli Esteri mostra stupore per la presa di posizione Usa
"Per Mastrogiacomo non abbiamo trattato con i talebani"

ROMA - L'Italia sull'orlo di una crisi diplomatica. È un prezzo imprevisto, quello che il governo rischia di dover pagare in queste ore, per aver salvato la vita di Daniele Mastrogiacomo. È un prezzo alto, quello che Prodi e D'Alema rischiano di dover sostenere, sul conto profitti e perdite della politica internazionale e della politica interna. L'attacco simultaneo partito ieri da Washington, da Londra e addirittura da Berlino, è piovuto all'improvviso su Palazzo Chigi e sulla Farnesina. "Un fulmine a ciel sereno", secondo la stupita definizione di Massimo D'Alema.
"Preoccupazione per le modalità del rilascio" del giornalista di Repubblica, manifestata attraverso una fonte del dipartimento di Stato. Inquietudine "per le implicazioni della liberazione dei Taliban", espressa dal Foreign Office. Irritazione della cancelleria tedesca "per il segnale sbagliato che incoraggia nuovi rapimenti", fatta filtrare dalle colonne dello Spiegel.
A Roma, dopo l'apparente buon esito dell'intervento del ministro degli Esteri al Consiglio di sicurezza dell'Onu, nessuno se l'aspettava. Per questo, quando le agenzie hanno messo in rete i primi lanci sulla "preoccupazione" del Dipartimento di Stato, D'Alema ha telefonato subito alla Rice. Tentativo fallito: Condoleezza è stata bloccata l'intero pomeriggio, al Senato americano. Ma il chiarimento è solo rinviato: un appuntamento telefonico è già fissato per oggi. Intanto, la macchina del governo italiano non è rimasta ferma. D'Alema ha chiamato Prodi, a sua volta "stupito" per le critiche arrivate da oltre Atlantico. E subito dopo si è messo in contatto con Ronald Spogli.
"Caro ambasciatore, mi spiega cosa succede a Washington?". Il capo della diplomazia italiana ha spiegato la sua posizione: "Noi non abbiamo mai trattato con i talebani. Il nostro unico interlocutore è stato Karzai, che nella sua piena autonomia ha deciso e compiuto i passi che hanno portato al rilascio di Mastrogiacomo. Nell'incontro con la Rice, a Washington, nessun cenno è stato fatto su questa vicenda. E al termine del mio discorso alle Nazioni Unite, l'ambasciatore americano ha espresso valutazioni molto positive sul nostro contributo, ha apprezzato la proposta sulla Commissione di pace per l'Afghanistan. Quanto all'idea di far sedere al tavolo anche i talebani, io non l'ho avanzata e il governo non l'ha mai messa in campo. Insomma, in due giorni l'Italia ha ottenuto quasi un peana dagli Stati Uniti. Perché adesso arrivano queste critiche?".
D'Alema ha smentito l'esistenza di proteste formali americani, arrivate in questi giorni attraverso i canali diplomatici: "Noi non abbiamo ricevuto niente". Spogli ha ridimensionato la portata dell'"offensiva" americana contro l'Italia. E l'ambasciatore in persona, al telefono col ministro degli Esteri, ha concordato punto per punto il comunicato ufficiale di risposta della Farnesina. In quel comunicato si ricorda "il clima molto positivo" registrato nel colloquio di tre giorni fa tra D'Alema e la Rice, durante il quale non era emerso "nulla di quanto riferito nelle dichiarazioni della fonte anonima" di ieri. Si ricordano gli apprezzamenti della Rappresentante Usa in Consiglio di Sicurezza "per il ruolo svolto dall'Italia in Afghanistan". "Noi italiani - ha concluso D'Alema al telefono con Spogli - siamo fermi lì, e di lì vogliamo ripartire".
Ma nessuno si illude. L'incidente non è chiuso. Nel governo si cerca di capire cosa possa essere accaduto nelle ultime ore. Una prima ipotesi (la più rassicurante ma anche la meno credibile) è che viste le modalità irrituali con le quali si è manifestata, la "preoccupazione americana" sia solo il frutto avvelenato della divisione tra falchi e colombe all'interno dell'Amministrazione Usa. Una seconda ipotesi (la più accreditata dalla nostra diplomazia) è che invece tutto nasca dal rabbioso disappunto di Tony Blair: secondo voci che circolavano ieri sera, uno dei cinque prigionieri talebani liberati sarebbe accusato di aver ucciso un soldato britannico.
E questo avrebbe spinto il governo inglese a chiedere agli Usa una dura presa di posizione contro l'Italia. Una terza ipotesi (la più cara ai dietrologi di Palazzo Chigi) è che invece qualcuno, dall'Italia, abbia "istigato" gli americani: la prova sarebbe nella "sentenza definitiva" pronunciata a tarda sera da Berlusconi: "Ormai è chiaro che per gli Stati Uniti non siamo più un alleato affidabile".
Quale che sia l'ipotesi più realistica, la situazione resta molto delicata. Anche D'Alema lo riconosce: "In quello che è accaduto c'è qualcosa di molto strano...". Oggi cercherà di capire, parlando con la Rice. Ma è difficile immaginare che gli Stati Uniti non siano stati informati in tempo reale da Karzai delle diverse tappe che hanno portato alla liberazione di Daniele. Per questo, dopo il faccia a faccia con Condoleezza a Washington, D'Alema aveva parlato di "diversità di vedute" che esistono su tante questioni, ma anche di "comprensione" da parte americana per le ragioni dell'Italia.
Lo stesso ragionamento vale per i talebani liberati dal governo afgano: difficile immaginare che gli anglo-americani non ne conoscessero nomi e cognomi, visto che (come si ripete alla Farnesina) "non è certo l'Italia che poteva stabilirne la pericolosità". E dunque, perché l'Amministrazione americana non si è opposta subito a qualunque ipotesi di rilascio di quei prigionieri? Nessuno lo dice espressamente. Ma non è irragionevole pensare che Washington abbia fatto una scelta di realpolitik. Se il rapimento di Mastrogiacomo fosse finito in tragedia, un centrosinistra italiano già così in sofferenza non avrebbe potuto reggere politicamente alla prosecuzione del suo impegno militare a Kabul.
E a questo esito tragico, fortunatamente scongiurato, si sarebbe potuto aggiungere anche il disimpegno della Spagna di Zapatero (sempre più scettica sulla missione afgana). Per un'America già debole sulla scena internazionale, evidentemente, il valore irrinunciabile dell'integrità della coalizione riunita in Afghanistan sotto l'egida della Nato ha fatto premio su tutto il resto.
Ma questo, anche se spiega, non risolve. Le relazioni transatlantiche sono sempre più tese. E l'impatto di queste difficoltà diplomatiche si fa sempre più destabilizzante per la politica interna. È la preoccupazione più forte, che D'Alema ha riferito a Prodi: "Non mi preoccupa tanto la strumentalizzazione che farà il centrodestra, di tutta questa vicenda. Ma che succede, se adesso si scatena la reazione della sinistra radicale, che comincia a gridare allo scandalo per "l'indebita intromissione americana"? Come ci presentiamo al voto in Senato, la prossima settimana?". Una buona domanda. Può preludere a una pessima risposta.

(22 marzo 2007)


La Stampa 22-3-2007 IL REPORTAGE  "Qui ormai è guerra  già la combattiamo". Un ufficiale: «Ci sono quelli di Enduring Freedom. Poi ci siamo noi dell’Isaf, un caos» Giuseppe Zaccaria

KABUL
Siamo in guerra? Certo che sì, anche se appena appena. I soldati della Brigata Taurinense che alla periferia della città sono di guardia a «Camp Invicta» si comportano normalmente e ti perquisiscono mentre continuano a mandar via i soliti ragazzini petulanti che domandano «uno euro pè mangià». Tutto sembra scorrere come al solito però è inutile nascondersi dietro a un dito, la situazione si sta facendo sempre più seria, il nostro contingente in Afghanistan galleggia con rotta sempre più incerta ai margini di un conflitto non dichiarato nè ammesso che però continua a svilupparsi e circonda i nostri reparti.
Chiamamola guerra, controguerriglia o come vi pare però questa non è più semplice operazione di pace. Il conflitto monta in maniera strisciante, si sviluppa intorno ad azioni singole, i nostri soldati continuano ad essere chiamati a titolo di emergenza e appoggio e certo non possono rifiutarsi di farlo. In termini tecnici tutto questo si definisce «Cimic», cooperazione fra missioni civili e militari, però i contorni della collaborazione sono sempre più labili, in altri casi bande misteriose ci sparano addosso e bisogna reagire. Oramai comunque la natura dell'incarico sembra cambiata.
«Apparteniamo a una missione Onu a comando Nato sostenuta anche da nazioni che non appartengono all'Alleanza, come Macedonia o Albania», sintetizza con qualche difficoltà uno dei nostri ufficiali. «Questo vuol dire essere parte di un corpo con due teste, in questo momento nelle province del Sud soldati americani, inglesi e canadesi continuano a combattere per la missione Enduring Freedom mentre noi dovremmo occuparci di ospedali e scuole per la missione Isaf. In teoria va tutto bene, ma se quegli altri soldati ci chiedono aiuto dovremmo rifiutarci?». E' chiaro che no, e tutta la storia si racchiude esattamente nella zona grigia fra passività e collaborazione, azione e reazione, non siamo venuti qui per cercare la guerra però la guerra ci sta inseguendo, saremo in grado di combatterla se vi fossimo costretti?
Non aspettatevi conferme o dichiarazioni formali, in attesa di tempi migliori nel contingente italiano è scattata l'applicazione del «comma Nassiriya», legge non scritta entrata in vigore dai tempi dell'attentato che in Iraq uccise diciannove dei nostri. Si tratta dell'ordine silenzioso e intelligente che rinserra i soldati negli acquartieramenti in attesa che giungano tempi migliori. Da qui al 27 di marzo, data del dibattito al Senato sul rifinanziamento della missione, se appena un militare della missione afghana s'incrinasse un alluce si scatenerebbero polemiche senza fine. L'altro pomeriggio a Herat è bastato il leggero ferimento del caporale degli incursori Davide Bernardin da Padova per scatenare fra il «Camp Invicta» di Kabul e il «Camp Arena» di Herat un affollamento di telecamere che non si vedeva dai tempi dell'ultima visita ministeriale.
«Noi siamo perfettamente in grado di reagire a ogni genere di attacco - continua la nostra fonte - anzi forse non siamo mai stati così bene equipaggiati. Non parlo soltanto dei nuovi trasporti Puma, dei blindati leggeri o degli elicotteri della Marina ma anche dell'armamento indivuale e di attrezzature come i visori notturni o i nuovi giubbetti antiproiettile in grado di resistere alla raffica di un Kalashnikov. Soprattutto però le due brigate del nostro contingente - Taurinense a Kabul e Sassari ad Herat - questa volta hanno potuto avere un addestramento lungo e intenso. Insomma, se scoppia la guerra siamo in grado di combatterla anche se non la vogliamo».
Tanto per non eludere ancora la realtà delle cose sarà meglio non nascondersi dietro le definizioni. Qualche tempo fa, prima della reprimenda anglo-americana che ieri ci è caduta fra capo e collo, il Washington Post aveva già ironizzato sulla «pacifica guerra degli italiani». Nella provincia di Herat abbiano verniciato di bianco i nostri blindati sperando di differenziarli da quelli del reparti aggressori, però la cosa sta funzionando sempre meno: scacciati dall' «operazione Achilles» i talebani cercano di riparare a Nord e rompono i provvisori equilibri dell' «isola latina», provincia fino a ieri protetta dalle truppe italiane e spagnole.
Le disposizioni militari che tutti conosciamo affermano che «i nostri soldati hanno il diritto di rispondere ad attacchi ingiustificati applicando il principio della proporzionalità», ovvero evitando di reagire a cannonate contro colpi di fucile. Le vere e proprie regole d'ingaggio però sono «classificate», dunque segrete e l'ultima garanzia che ci separa da un formale stato di guerra è il «caveat» che ci consente 72 ore di tempo prima di decidere se partecipare o meno a un'offensiva. «Fra guerra formale e guerra sostanziale le sfumature sono infinite - continua la nostra fonte - e dunque non credete alle smentite del sottosegretario alla Difesa, qui ormai i nostri soldati, sia pure episodicamente, combattono».

 


L’Unità 22-3-2007 Messaggi americani Luigi Bonanate

Segue dalla Prima.  Non scorderemo neppure che già nel caso Sgrena-Calipari gli Stati Uniti ci rinfacciarono l'eccessiva autonomia rispetto a regole concordate tra alleati sui limiti di manovra nelle trattative: salvar le vite o l'onore? Strani messaggi, dunque. Per capire i quali è bene partire da un dato ormai inequivocabile. Comunque la si voglia chiamare, la guerra in Afghanistan dura da più di cinque anni, tanti quanti ci vollero nella seconda guerra mondiale per sconfiggere il nazifascismo. E visto che le capacità belliche delle parti in conflitto sono oggi tanto più sbilanciate che allora, ne consegue necessariamente che i più forti non sono nello stesso tempo anche i più abili. Dobbiamo avere il coraggio di dirci chiaro e tondo che non bastano i muscoli per saperli usare intelligentemente o abilmente, e che le insistenti richieste del presidente americano ? più tempo, più soldati ? sono intrinsecamente sbagliate, ingenue, perché non è quello il livello al quale il problema si pone. Non staremo a ridirci che tutta questa storia nasce dall'11 settembre e dalla astratta intenzione di colpire bin Laden spianando l'intero Afghanistan. Quell'idea era tanto ingenua quanto quella di chi oggi crede che il Paese sia sotto il controllo del "democratico" governo Karzai o, alternativamente, delle truppe Isaf. Ma il potere politico in Afghanistan è soltanto in parte, forse in minima parte, nelle mani del governo, che non controlla comunque i livelli della violenza politica in atto. L'idea che con delle elezioni si risolvesse tutto (ripetuta in Iraq con risultati non migliori) e la democrazia elettorale potesse trasformarsi in pacificazione generale (e neppure in Iraq è successo) è stata spazzata via in poco tempo e oggi l'Afghanistan è, quanto meno, in preda a quella che i nostri non ancora obsoleti manuali chiamano "guerra civile", visto che il potere legale non controlla il territorio che condivide invece con i talebani. La cosa è tanto più stupefacente perché il Paese è poi occupato (stavo per dire: invaso) da circa 40000 soldati della missione Nato mandata dall'Onu all'inizio del 2002. Con tutto il rispetto, umano per i ragazzi che rischiano la pelle, e strategico per chi, con grande esperienza e prudenza li guida, come non chiedersi: ma che cosa avete fatto laggiù per tutto questo tempo? Come è noto, nel 2006 la produzione di materia prima per la droga ha toccato il suo vertice massimo in un Paese dilaniato dalla guerra civile a cui si è sovrapposta una specie di guerra internazionale: è un bel paradosso, tale da imporre a tutti di noi di lavorare con il massimo impegno a una soluzione. Non esiste soltanto l'abbandono del campo con il ritiro delle truppe. A esser analitici, neppure questa sarebbe una buona soluzione: non soltanto aver investito cinque anni di storia politica internazionale per un ritiro ignominioso sarebbe triste e demoralizzante, ma condannerebbe la società afghana a un'anarchia violenta e insostenibile per chiunque. Molto meglio raggiunger prima le condizioni minime, almeno, per l'avvio di un processo di pace. Prima ancora di discuterne, un'osservazione a margine, ma significativa: l'invenzione di cammini del genere è un'urgenza assoluta per il mondo contemporaneo: per l'Iraq come per la questione israelo-palestinese e per quella libanese. È il nostro più importante impegno internazionale. Per queste ragioni il governo italiano ha lanciato (mi si lasci dire ancora una volta che l'attivismo del nostro governo in politica estera è davvero un segno di discontinuità non tanto e non soltanto con il precedente governo, ma con la complessiva cultura di governo del nostro Paese) il progetto di una conferenza internazionale. Per quel che sappiamo, sarà necessario rifinirne il profilo: si parla di una cinquantina di Paesi partecipanti, che sembrano francamente ingestibili; di progetti come la sicurezza interna, la riconciliazione nazionale, il sostegno al buon vicinato. Compiti egregi, ma che oggi come oggi rischierebbero di far fallire ogni iniziativa: il governo Karzai non è democratico per diversi motivi, ma uno almeno surclassa tutti gli altri, e riguarda il fatto che il Paese vive ancora in uno "stato d'eccezione" che non lascia spazio ai meccanismi democratici e non è aiutato, purtroppo, da vicini come il Pakistan, alleato degli Stati Uniti e dunque formalmente impegnato al loro fianco, ma nello stesso tempo protettore o distratto connivente delle forze talebane. E proprio nel momento in cui, con una mano, la diplomazia americana sembra aprirsi alla logica del dialogo e del compromesso, si direbbe che con l'altra l'insopprimibile senso di superiorità che da diversi anni ha attanagliato il governo americano imponga invece uno scarto di fronte all'ostacolo: non si invitino i talebani al tavolo della pace. Ora, non credo che nessuno tra noi sia un entusiastico sostenitore di questi ultimi. Ma sappiamo che ci sono e sono ben radicati. È stato detto che la pace si può fare soltanto tra nemici: è tanto vero che vorrei vedere tutti questi nemici intorno al tavolo delle trattative.

 


Il Riformista 22-3-2007 Pubblicate pure le mie telefonate sul caso Unipol di Francesco Cossiga
Caro direttore, ho appreso da un importante quotidiano che la magistratura di Milano si appresterebbe a depositare la trascrizione di alcune intercettazioni telefoniche anche a carico di membri del Parlamento, nel filone delle indagini sul tentativo di scalata della Banca nazionale del lavoro da parte dell’Unipol, grande società di assicurazioni della Lega delle Cooperative, delle cooperative così dette “cooperative rosse”. Si fa riferimento anche a intercettazioni su mie utenze telefoniche, ma si precisa che la loro trascrizione non sarà depositata…perché si tratterebbe di «conversazioni di carattere privato».
Io sono stato decisamente a favore della scalata, come lo furono Massimo D’Alema e Piero Fassino, e l’ho difesa e sostenuta con articoli, lettere ai giornali e interventi orali in pubblico, anche contro amici alti esponenti della Margherita alle cui iniziative in concorso con altri gruppi bancari e editoriali si deve il fallimento dell’operazione e l’inizio di procedimenti penali contro diessini amministratori e dirigenti dell’Unipol. Eppure debbono essere state intercettate mie telefonate sull’argomento con l’ingegner Consorte, con Massimo D’Alema, con Piero Fassino, mi sembra anche con Vannino Chiti, e con l’allora Governatore della Banca d’Italia, l’amico dottore Antonio Fazio, cui io raccomandavo e più volte, caldamente l’operazione e davo assicurazioni agli amici Ds.
Per quanto mi riguarda, sarei lieto che le trascrizioni venissero rese pubbliche, perché io, che non faccio parte né dei Ds né della Margherita, sono fiero di avere fatto di tutto per appoggiare l’operazione. E perché intatta ho mantenuto la mia amicizia per l’ingegner Consorte, che ho incontrato più volte anche dopo che era “caduto in disgrazia”, “buttato a mare”, secondo una vecchia prassi comunista, anche se senza costringerlo alla “confessione”, lui vecchio militante comunista, dal suo partito, i Ds e dai “cooperativisti rossi”. E senza che né lui né altri per conto suo mi abbiano mai dato un soldo, né in Italia né all’estero.
L’alternativa era la morte di Daniele. E l’Italia, lo sappiamo, non ha voglia né di martiri né di eroi. Per fortuna.
Mi auguro che non si ricavino da quanto accaduto conclusioni futili come quelle relative al ruolo che oggi toccherebbe giocare alla cosiddetta “diplomazia dei movimenti”. O l’idea che la funzione dei Servizi e dell’Intelligence, su fronti difficili e aspri come l’Afghanistan, andrebbe ridimensionata. Futilità. Futilità che nessuno dovrebbe permettersi. Abbiamo pagato un prezzo alto per evitare a Daniele la stessa sorte toccata al suo autista. Un povero cristo sgozzato e gettato in un fiume perché non c’era nulla da scambiare in cambio della sua vita! C’è da sperare che la politica italiana si mostri all’altezza di questa dura prova e non precipiti nella spirale delle polemiche e delle ritorsioni. Abbia consapevolezza della drammaticità del ricatto di fronte a cui la società italiana, non solo la politica, si è trovata. E torniamo alla vicenda afgana. Oggi c’è da lavorare perché quanto accaduto non indebolisca il presidente Karzai (le cui scelte sono state decisive per la liberazione di Daniele) già alle prese con le critiche di tagiki, uzbeki e altri gruppi etnici. Ma soprattutto occorre evitare che quanto accaduto mini la credibilità del nostro paese sulla scena internazionale e nel rapporto con gli alleati europei della Nato e con gli Stati Uniti. Sentiamo che problemi del genere già si pongono in queste ore. Ecco perché è necessario che l’Italia continui con determinazione e serietà a fare la sua parte per contribuire alla stabilizzazione dell’Afghanistan e alla sconfitta dei talebani: con l’iniziativa politica e diplomatica per giungere alla Conferenza internazionale e con la presenza sul terreno dei militari italiani. Dimostrando con i fatti di essere un grande paese affidabile sulla scena internazionale e leale con i propri alleati.


La Provincia pavese 22-3-2007"Violenza, solitudine e corruzione le pesti che l'uomo deve sconfiggere" Curato da Marco Vergottini contiene 17 interventi firmati da religiosi e da intellettuali

 

PAVIA. In occasione del suo 80º compleanno il cardinale Carlo Maria Martini ha ricevuto in dono dal cardinale Dionigi Tettamanzi, che l'ha raggiunto a Betlemme, il volume "Affinchè la parola corra. I verbi di Martini" edito dal Centro Ambrosiano (pagine 287, 18 euro). Il libro, curato da Marco Vergottini, docente alla Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, contiene 17 interventi firmati da personalità religiose e da studiosi. C'è anche quello del vescovo di Pavia, Giovanni Giudici, che di Martini è stato vicario generale per dieci anni. Di questo suo intervento, dedicato alla "vigilanza", pubblichiamo un estratto sul tema: "la vigilanza nella società". di Giovanni Giudici (segue dalla prima pagina) In particolare, ricordiamo l'esercizio quaresimale di penitenza per le strade della città (Venerdì santo del 1984), quando insieme abbiamo invocato il perdono per le nuove pesti che segnavano quel tempo della società milanese. Così in quell'occasione Martini ricordando la piaga del terrorismo, invoca il suo santo predecessore: San Carlo, che hai saputo leggere la violenza del tuo tempo, partendo da quel punto di osservazione che è è la croce, dona anche a me, dona a noi di porgere l'orecchio al grido di dolore che sale dalle tante violenze che si consumano nella nostra città. Vigilanza in quel caso ha voluto dire che determinate avvisaglie di un malessere più profondo vengono colte dal pastore che osservando i segni del tempo, collegando gli indizi, riesce infine a individuare le cause di un male che poteva coglierci all'improvviso. E con questa attenzione, per esempio, aiuta i credenti e le istituzioni civili a passare attraverso le contraddittorie vicende di Tangentopoli con rispetto per le leggi e con attenzione alle persone. Le avvisaglie di un cambiamento culturale a proposito della lotta armata sono pure intuite dal Cardinale; i suoi gesti di rigorosa ma prudente attenzione alle persone coinvolte in gravissimi atti di terrorismo consentono a molti di abbandonare la violenza, con un grado di convinzione interiore che certo spiana la strada a una stagione nuova e più responsabile sul fronte del dibattito sociale. Il rapporto con la cultura-ambiente ha trovato nel cardinale Martini un attento osservatore e un coraggioso maestro. Egli insegna uno stile di attenzione vigile al presente, da lui descritto con due sostantivi: discernimento e responsabilità. Gli avvenimenti che compongono la cronaca sono, infatti, spesso non coerenti tra loro; così avviene che vengano vissuti come episodi chiusi in se stessi, senza ricercarne le cause oppure senza saper immaginare gli effetti. Così le ragioni profonde di una disarmonia appaiono con improvvisa violenza, o le conseguenze di disagi non individuati diventano una cascata di malanni. La coscienza di chi vigila sostenuto dalla fede è stimolata, invece, a cercare negli avvenimenti e nelle sensibilità di una determinata situazione, i segni del Regno o il loro opposto. Le tensioni vanno dunque affrontate con un giudizio che aiuti ad operare quelle scelte e quelle attese, che alludono a beni già presenti nelle proposte di Gesù e nelle promesse di profeti. L'arcivescovo Martini ha insegnato che la vigilanza è attesa del futuro promesso dalla rivelazione di Gesù; si tratta di operare per affrancarsi dalla servitù del successo, del denaro, della fama, tutte realtà che generano una mentalità distruttiva di ogni buona convivenza sociale. Nella lettera Sto alla porta (1992), egli ha concretamente indicato come, nella vita sociale, il vigilare da parte di un credente, comporta l'acquisire una mentalità: [La vigilanza] è un atteggiamento di responsabilità e di attenzione per la cura della cosa pubblica. C'è da chiedersi in che modo un abituale disinteresse per la cosa pubblica scoraggi i cittadini e i responsabili della cosa pubblica. Ci si può pure domandare come sia possibile sottrarsi alla deriva dell'interesse egoistico e della faziosità - che inducono a disgregazione nel tessuto politico e sociale - quando la formazione del consenso è sistematicamente perseguita attraverso la vischiosità di legami clientelari o pressioni di carattere corporativo. Di anno in anno Martini ha insegnato come si debba impegnare intelligenza, ascolto della Parola e preghiera nell'impegno per proporre responsabilmente un ethos condiviso. Quando una comunità umana è in veloce cambiamento, la superficialità e l'individualismo divengono scelte più facili e comuni: "non prendo posizione, mi ritiro nel privato", sembra dire la maggioranza dei cittadini. Nei confronti di questo atteggiamento che nella coscienza dei credenti può condurre a chiusure intimistiche o a derive spiritualistiche, egli intende propiziare una figura integrale della fede, che si apra alla testimonianza nei diversi ambiti del vivere umano, non escluso l'impegno politico. Perché, com'è solito ricordare, l'Octogesima adveniens (1971) insegna che "la politica è una maniera esigente anche se non la sola di vivere l'impegno cristiano al servizio degli altri". Scorrendo anche solo l'elenco dei temi trattati nei discorsi di Sant'Ambrogio, si coglie la scelta di Martini di vivere la vigilanza come proposta ragionata e responsabile di accedere insieme, credenti e non credenti, cittadini tutti dunque, ad uno stile nuovo e diverso, recuperando le radici morali e spirituali della convivenza nella città di tutti. Nel medesimo stile di responsabile discernimento, si manifesta in Martini la vigilanza a proposito di temi di grande impatto emotivo nella nostra società. Egli prende la parola nel momento in cui si accende la prima guerra contro l'Iraq (1991); dopo l'invasione del Kuwait, gridò la preghiera di'intercessione, spiegando che intercedere significa mettersi in mezzo con le mani appoggiate sulle spalle dei due contendenti. Altro esempio di attenzione ad un difficile tema è il rapporto con l'Islam che egli affronta in un discorso di Sant'Ambrogio. Anche in questo caso discernimento e responsabilità, come realistica cifra della vigilanza, sono esercitate proponendo quattro passi per la precisione, che devono istruire l'atteggiamento della Chiesa nel confronto con l'Islam e che possono favorire un positivo dialogo tra due culture diverse.


Il Sole 24 Ore 21-3-2007 Raddoppiano i controlli sugli studi di settore. In arrivo 12,5 milioni di rimborsi di Nicoletta Cottone

 

L'Agenzia delle entrate nel 2007 raddoppierà i controlli sugli studi di settore e annuncia rimborsi ai contribuenti per 12,5 miliardi di euro: la previsione riguarda 2,5 milioni di rimborsi sulle imposte dirette per 2,5 miliardi di euro e 10 miliardi di rimborsi per l'Iva. Lo ha dichiarato il direttore dell'Agenzia Massimo Romano nel corso di un'audizione in commissione Finanze al Senato sugli sviluppi della politica fiscale. «Complessivamente - ha spiegato Massimo Romano ai senatori - c'è un'azione importante. Già nelle prossime settimane sono previste emissioni di rimborsi rilevanti». Un dato in crescita rispetto al 2006, anno nel quale i rimborsi erogati, 2.328.616 in tutto, sono stati pari a 10,8 miliardi di euro. E la prima tranche è in arrivo. «Già nelle prossime settimane - ha detto Romano nel corso dell'audizione - è prevista un'emissione di rimborsi rilevante».
Sul fronte dei controlli sugli studi di settore il piano dell'Agenzia delle entrate prevede 100mila controlli rispetto ai 52mila del 2006.«È anche previsto un incremento, da 46 del 2006 a 65 del 2007 - spiega una nota dell’Agenzia depositata nel corso dell’audizione - del numero di studi di settore da sottoporre a revisione». Previsto un aumento del 56,2% dei controlli fiscali sulle grandi aziende «I controlli nei confronti dei soggetti di grandi dimensioni - si legge nella nota - e dei soggetti che hanno optato per il consolidato fiscale passeranno da 960 ad almeno 1.500 del 2007».
Dai dati forniti emerge che i controlli nel settore immobiliare nel 2006 sono stati 12.453 e hanno accertato un'evasione di 954,7 milioni di euro. Entrando nel dettaglio le verifiche nel settore delle costruzioni edili lo scorso anno sono state 9.172 e la maggiore imposta accertata è stata di 702,8 milioni di euro. Nel settore della compravendita e dell'intermediazione immobiliare i controlli sono stati 3.281 e l'evasione accertata è stata di 251,8 milioni.
Previsto anche un incremento delle indagini finanziarie, che passeranno dai 1.400 del 2006 a 3mila del 2007. L’obiettivo dell’Agenzia è anche rivolto alla Repubblica di San Marino, con l’intenzione di svolgere «interventi finalizzati all'individuazione di fenomeni di illegalità fiscale dissimulati nell'ambito dei rapporti commerciali con la Repubblica di San Marino o attraverso casi di estero vestizione».


Italia Oggi 22-3-2007 Abi-Ania, sarà federazione Sinergie tra associazioni a regime entro un anno

A febbraio salgono gli impieghi (+11,6%) ma cresce meno la raccolta bancaria. Nel giro di un anno nascerà la federazione tra l'Abi, l'Associazione bancaria italiana, e l'Ania, organismo che raggruppa le imprese di assicurazione. I rispettivi comitati esecutivi hanno approvato all'unanimità un documento che prevede l'attivazione di una serie di sinergie politico-organizzative, con l'obiettivo di arrivare alla creazione di una federazione, alla luce del crescente grado di integrazione tra il comparto bancario e quello assicurativo.Tali sinergie, hanno reso noto le due associazioni, saranno stabilite in un apposito protocollo d'intesa. è previsto l'avvio di un processo di consultazione reciproca che, nel rispetto della sfera di intervento di ciascuno, consenta di definire preventivamente strategie condivise e linee d'azione unitarie su temi di comune interesse; inoltre, saranno attivate forme di interazione e collaborazione tra gli organi di governance e le strutture operative. I principali temi di interesse comune riguardano il piano d'azione per i servizi finanziari, l'evoluzione degli assetti di vigilanza a livello nazionale ed europeo, la better regulation, il mercato del lavoro e le relazioni con le organizzazioni sindacali.Intanto, in febbraio, frena la crescita della raccolta bancaria e aumentano gli impieghi. Il rapporto mensile dell'Abi precisa che, per la raccolta, il tasso di incremento tendenziale è stato del 6,4%, mentre in gennaio era stato del 7% e a febbraio 2006 del 7,9%; a fine febbraio la raccolta ammontava a 1.169 miliardi di euro. Nell'ultimo anno lo stock è cresciuto di circa 70,2 miliardi. Gli impieghi totali sono invece ammontati a 1.339 miliardi, con un tasso di crescita tendenziale dell'11,6% che si raffronta al +11,3% di gennaio e al +8,2% di febbraio 2006. Il flusso netto di nuovi impieghi è stato di quasi 136 miliardi rispetto a febbraio 2006. Ieri il ministro dell'economia, Tommaso Padoa-Schioppa, rispondendo a una domanda sull'attuale assetto proprietario della Banca d'Italia, in particolare se il governo ritenga di dover aggiornare il ddl sulla riorganizzazione delle authority all'esame del parlamento, ha affermato: 'Sì, lo abbiamo solo menzionato. è un problema aperto e complesso. Tutti siamo convinti che serva un aggiornamento, visto che la configurazione attuale si è molto allontanata da quella originaria, anche per effetto delle aggregazioni'.


Inserimenti del 21-3-2007

INDICE 21-3-2007

++ Reuters 21-3-2007. Sciopero generale paralizza Israele, chiuso aeroporto Tel Aviv31

++ La Repubblica 21-3-2007 Cei, il primo atto di Bagnasco a fine mese discussione sui Dico

+ Da Reuters 21-3-2007 Christophe De Margerie, amministratore delegato del gruppo petrolifero francese Total è stato arrestato.

+ ISTAT Comunicato. Rilevazione sulle forze di lavoro

+ Il Sole 24 Ore 21-3-2007 Reati. Ai clienti dava in anticipo i target su Italease. Multato per le soffiate ex analista Citigroup.  Mara Monti Fabio Pavesi

+ Finanza e Mercati 21-3-2007 Batosta della Consob per due importanti società di gestione del risparmio. [Vai ai testi delle delibere:  contro BPM  e  contro Nextra]

La Repubblica 21-3-2007 Antonveneta, saranno trascritte le telefonate tra "furbetti" e politici. Economia I parlamentari coinvolti sono D'Alema, Fassino, Latorre, Grillo, Comincioli e Cicu. Walter Galbiati Emilio Randagio  1

Il Riformista 21-3-2007 Fusionismo e scissioni, mali fatali della sinistra italiana di Fabrizio d’Esposito  2

L’Unità 21-3-2007 Il vero attacco alla famiglia? "Trent'anni per metter su casa" di Oreste Pivetta. 3

Da www.osservatoriosullalegalita.org 20-3-2007 Giustizia : interrogazione su mancato pagamento avvocati d'ufficio di Mauro W. Giannini 5

Finanza e mercati 21-3-2007 Se la bolla immobiliare sembra sul punto di scoppiare negli Usa, sollecitata dal pungolo della crescita del tasso di insolvenza dei mutui, il mattone spagnolo potrebbe passarsela peggio. 6

La Repubblica 21-3-2007 Il giudice Garzòn: "Responsabili di 650 mila morti in Iraq" "Bush, Blair e Aznar a processo per la guerra" 6

La Stampa 1/3/2007 (7:3) Sede in Olanda e cda inglese Barclays-Abn prende forma Gianluca Paolucci 7

La Repubblica 21-3-2007 Quando Lenin disse ai compagni Usa: "L'America è un grande Paese" 8.

La Stampa 20-3-2007 Arriva il batterio mangiapetrolio Sarebbe in grado di degradare alcune componenti del petrolio  9

 

 


 

++ Reuters 21-3-2007. Sciopero generale paralizza Israele, chiuso aeroporto Tel Aviv31

 

GERUSALEMME (Reuters) - Il potente sindacato israeliano Histadrut ha indetto oggi uno sciopero generale che ha portato al blocco dei voli internazionali e alla chiusura dei servizi pubblici, dopo il fallimento delle trattative con il governo.

Lo sciopero a oltranza è iniziato alle nove di mattina locali, ma una corte del tribunale del Lavoro si è già riunita per discutere la richiesta del governo di un intervento della magistratura per riportare l'ordine e ripristinare i servizi. La radio israeliana ha detto che il tribunale dovrebbe decidere in poche ore.

L'Histadrut ha comunicato che che lo sciopero riguarda i servizi pubblici essenziali, come i trasporti pubblici, i vigili del fuoco, le ferrovie, gli uffici governativi e l'aeroporto internazionale Ben-Gurion di Tel Aviv, che ha fermato i voli in entrata e uscita.

Il sindacato sostiene che migliaia di dipendenti comunali che rappresenta non percepiscono lo stipendio da mesi. Il governo risponde che la causa del mancato pagamento degli stipendi è da ricondursi al rifiuto da parte delle autorità locali di aderire ai programmi per il miglioramento dell'efficienza concordati nel 2004.

Il sindacato aveva programmato lo sciopero per le sei di mattina, ma l'orario è stato cambiato per cercare di avere più tempo per trattare con il governo. Le trattative tra l'esecutivo e i rappresentanti sindacali sono andate avanti per tutta la notte, ma non hanno portato alla risoluzione della vertenza.

Un consigliere del premier Ehud Olmert aveva iniziato i negoziati con il leader di Histadrut Ofer eini ieri sera nel tentativo di evitare la paralisi del paese. Qualche mese fa, un intervento diretto del primo ministro aveva evitato uno sciopero simile.


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++ La Repubblica 21-3-2007 Cei, il primo atto di Bagnasco a fine mese discussione sui Dico

In programma dal 26 al 29 marzo il Consiglio episcopale permanente
Come anticipato da Ruini, all'ordine del giorno una nota su famiglia e unioni di fatto

CITTA' DEL VATICANO - "Si discuterà di una nota pastorale a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio, e delle unioni di fatto". Così un comunicato, diffuso dall'Ufficio comunicazioni sociali della Cei, ribadisce quanto già anticipato poche settimane fa dal cardinale Camillo Ruini: il Consiglio episcopale permenente, convocato a Roma dal 26 al 29 marzo prossimi, vedrà all'ordine del giorno, tra i vari argomenti, anche la nota sui Dico. Il Consiglio, il primo sotto la presidenza di monsignor Angelo Bagnasco, si aprirà con la prolusione dell'arcivescovo di Genova, scelto lo scorso 7 marzo da Papa Benedetto XVI a succedere al cardinale Ruini alla guida dell'episcopato.

Ad anticipare i termini della discussione era stata una lettera, scritta da monsignor Ruini, inviata circa dieci giorni fa a tutte le parrocchie di Roma e Firenze insieme a una nota del cardinale di Firenze, Ennio Antonelli, e parte, di fatto, dell'offensiva del Vaticano contro il ddl sui Dico.

A ribadire i principi era stato lo stesso Bagnasco che, subito dopo l'insediamento, ereditato da Ruini l'impegno a formulare una nota sui Dico, aveva sottolineato che per i laici impegnati nel sociale e nella politica "ci sono dei valori, delle colonne portanti che asseriscono alla persona umana, dei confini che non sono assolutamente valicabili" perché ciò significherebbe "andare contro l'uomo e non liberare l'uomo".

In questo contesto - e dopo la presentazione del documento del Papa sull'Eucarestia, che avevano colpito l'opinione pubblica soprattutto nel paragrafo in cui si invitano politici e legislatori cattolici e non approvare leggi che tocchino valori non negoziabili, come la famiglia fondata sul matrimonio - erano giunte le parole del cardinale Dionigi Tettamanzi. Una sollecitazione, di fatto, ad ampliare i margini della discussione: pur riconoscendo che "i contenuti del Vangelo sono quelli, e sui principi non si possono fare sconti", l'arcivescovo di Milano aveva osservato che "anche lo stile è importante, dobbiamo saper parlare alle persone che sono lontane dalla Chiesa, va fatto uno sforzo".

 


+ Da Reuters 21-3-2007 Christophe De Margerie, amministratore delegato del gruppo petrolifero francese Total è stato arrestato.

 

Parigi (Reuters) - Christophe De Margerie, amministratore delegato del gruppo petrolifero francese Total è stato arrestato dalla polizia per essere interrogato nell'ambito di un'inchiesta in un caso di corruzione in Iran. Lo ha riferito oggi una fonte giudiziaria. Il gruppo petrolifero ha però smentito che il suo numero uno sia stato detenuto, ribadendo di avere fiducia che, al termine delle indagini, i magistrati riconosceranno l'estraneità del gruppo francese ai reati contestati. "(De Margerie) non è in stato di fermo. Lo stanno interrogando in relazione a un'inchiesta aperta nel dicembre 2006 sullo sviluppo di un progetto denominato South Pars in Iran", ha detto un portavoce dell'azienda. "Total è fiduciosa che le indagini arriveranno a stabilire l'assenza di qualsiasi attività illegale e spera che saranno condotte con la massima serenità", si legge in un comunicato diffuso poco dopo l'intervento del portavoce. Da diversi mesi De Margerie, promosso solo poche settimane fa alla posizione di ad del gruppo petrolifero, era indagato dai magistrati francesi per l'accusa di corruzione nel programma iracheno "petrolio in cambio di cibo" e per un progetto in Iran legato al gas. "Vorrei sottolineare il fatto che questa è solo un'inchiesta e non si è ancora arrivati ad alcun risultato finale. Sto aspettando fiducioso che si raggiunga una conclusione", ha detto De Margerie durante una conferenza stampa tenuta lo scorso 14 febbraio in occasione della presentazione dei risultati del 2006 tenuta il giorno dopo la sua nomina ad ad dell'azienda. Le azioni della Total sono scese nella borsa di Parigi dello 0,3% a 49,69 euro alle 09.53 ore italiane.

 


+ ISTAT Comunicato. Rilevazione sulle forze di lavoro

 

Periodo di riferimento: IV trimestre 2006
Diffuso il: 21 marzo 2007
Prossimo comunicato: 19 giugno 2007

LIstituto nazionale di statistica ha condotto, con riferimento al periodo che va dal 2 ottobre al 31 dicembre 2006, la rilevazione continua sulle forze di lavoro.
Nel quarto trimestre 2006 lofferta di lavoro ha registrato, rispetto allo stesso periodo del 2005, un incremento pari allo 0,2 per cento (+61.000 unità).
Nel quarto trimestre 2006 il numero di occupati è risultato pari a 23.018.000 unità con una crescita su base annua dello 1,5 per cento (+333.000 unità).
Il tasso di occupazione della popolazione tra 15 e 64 anni è aumentato di sette decimi di punto rispetto al quarto trimestre 2005, portandosi al 58,5 per cento.
Nel quarto trimestre 2006 il numero delle persone in cerca di occupazione è risultato pari a 1.709.000 unità, in calo rispetto allo stesso periodo del 2005 (-13,7 per cento, pari a -272.000 unità). Il tasso di disoccupazione si è posizio-nato al 6,9 per cento (8,0 per cento nel quarto trimestre 2005).
In allegato, nell'area download, sono disponibili:

- Il file "Testo integrale" che contiene il testo del comunicato stampa.
- Il file "Serie storiche" con le serie storiche trimestrali dei principali indicatori del mercato del lavoro per sesso oltre ai dati sulle forze di lavoro per condizione, sesso, settore di attività e ripartizione geografica. I dati sono grezzi e destagionalizzati.
- Il file "Note informative" che contiene una breve nota metodologica dell'indagine e il glossario.
- Alla voce "Cartogrammi" sono presenti due file:
1."Cartogramma 1" con la partecipazione al mercato del lavoro della popolazione residente.
2."Cartogramma 2" con le variazioni tendenziali della partecipazione al mercato del lavoro della popolazione residente.

- Alla voce "Serie storiche regionali" sono presenti due file:
1."PopRegio" con i principali indicatori del mercato del lavoro e i dati sulla popolazione per condizione professionale e sesso.
2."SetRegio" con gli occupati per settore di attività economica e posizione nella professione.

- Alla voce "Dati provinciali Anno 2006" è presente un file con i
principali indicatori del mercato del lavoro e i dati sulla
popolazione per condizione professionale e sesso.

Il file "Serie storiche ripartizionali" che presenta per ogni ripartizione geografica la popolazione per condizione, sesso e classe di età.

Il file "Stranieri: serie storiche ripartizionali" che contiene per ogni ripartizione geografica la popolazione straniera per condizione, sesso e classe di età.

Ulteriori dati sono disponibili sulla banca dati CONISTAT


+ Il Sole 24 Ore 21-3-2007 Reati. Ai clienti dava in anticipo i target su Italease. Multato per le soffiate ex analista Citigroup.  Mara Monti Fabio Pavesi

 

 

MILANO Suggerire ititoli prima della pubblicazione di una ricerca è costato caro a un ex analista di Citigroup che si è visto comminare una sanzione di 52.500 sterline dalla Fsa (Financial service authority)l'autorità di Borsa londinese. L'accusa per Roberto Casoni ai tempi capo del team italiano di ricerca basato a Londra, è di aver divulgato il target price fortemente al rialzo per Banca Italease, quotata a Piazza Affari. Una soffiata passata a quattro gestori di fondi comuni, clienti della banca americana, individuati dalle email intercorse con l'analista. "Italplease: a bomb", scrive Casoni con un brillante giro di parole il 12 gennaio 2006, dieci giorni prima della divulgazione della ricerca, avvenuta il 23 gennaio.Non solo.L'Fsa ha anche accertato che in alcuni casi i clienti avevano ottenuto il draft del report prima dello "Stock steering committee" di Citigroup, il comitato interno alla banca,preposto alla valutazione delle analisi sui titoli. Una condotta quella di Casoni mitigata dal fatto che dagli accertamenti svolti, l'analista non ha ottenuto guadagni personali così come non ha avuto la volontà di manipolare il prezzo del titolo, ma soltanto favorire alcuni clienti della banca. Acquisti privilegiati L'atteggiamento tanto disinvolto di Casoni ha avuto effetti notevoli sul corso del titolo dell'istituto di leasing come del resto anticipato da "Il Sole 24 Ore" del 25 febbraio 2006 a seguito della fuoriuscita dell'ex capo degli analisti dalla banca d'affari. Le soffiate ai clienti "privilegiati" occupano lo spazio di tempo intercorso tra il 12 e il 16 gennaio con Italease che in Borsa tratta mediamente 200mila pezzi giornalieri e ruota intorno ai 22 euro. Dal 17 gennaio, quattro sedute prima della divulgazione del report con target a 39 euro, ecco scattare gli acquisti, presumibilmente dei ben informati: in quattro sedute il titolo vede passare di mano 5,2 milioni di pezzi, oltre il 13% del flottante e il 7% del capitale con il prezzo che schizza all'insù del 12%. Poi con la pubblicazione del report la mattina del 23 gennaio il mercato si accoda e fa proseguire il rialzo,ma gli interlocutori di Casoni ovviamente hanno goduto di una posizione di netto privilegio. In campo la Consob E proprio su quest'aspetto della vicenda anche la Consob, secondo quanto risulta a "Il Sole 24 Ore", da circa un anno ha aperto un fascicolo per insider trading, a seguito di un esposto presentato sia all'autorità di Borsa sia alla procura di Milano. Nelle ultime settimane le indagini hanno subito un'accelerazione dopo l'acquisizione di documentazione nella sede di Banca Italease a Milano, effettuata dalla Guardia di Finanza. Secondo Citigroup,"l'operato di Casoni, come descritto nella decisione finale dell'Fsa (la prima nell'ambito della ricerca degli analisti, ndr) ha costituito un chiaro inadempimento alle policies ed alle procedure esistenti e non è mai stato autorizzato ex ante né ratificato ex post da Citigroup". Casoni che ha lasciato la banca nel febbraio 2006, attraverso il suo legale Ian Mason della law firm londinese Barlow Lyde & Gilbert, ha dichiarato che la multa,inizialmente fissata a 75mila sterline, è parte di un accordo intercorso con la Fsa che ha ridotto la sanzione del 30 per cento. La banca americana due giorni fa era incorsa in un altro incidente provocato in questo caso da un ex trader della divisione commodities di New York, accusato di frode, reato per il quale era stato arrestato lo scorso maggio. Il tribunale americano ha imposto all'ex trader il pagamento di una multa di 25mila dollari e la restituzione di profitti illeciti per 200mila dollari. LA SANZIONE DI LONDRA L'ammenda della Fsa di 52.500 sterline per le informazioni passate a quattro gestori di fondi comuni L'AUTORITà DI BORSA La Consob apre un fascicolo per utilizzo improrio di notizie riservate L'analista non avrebbe ottenuto vantaggi personali.

 


 

+ Finanza e Mercati 21-3-2007 Batosta della Consob per due importanti società di gestione del risparmio.

 

Secondo quanto reso noto nell'ultimo bollettino della commissione presieduta da Lamberto Cardia, i vertici della Nextra sgr dovranno pagare complessivamente 419mila euro per una serie di "violazioni inerenti l'attività di gestione collettiva". Consiglieri e sindaci della sgr - che al tempo all'epoca dei fatti contestati apparteneva al gruppo Banca Intesa, poi passata al Crédit Agricole e ora tornata a Intesa Sanpaolo - non avrebbero adottato procedure idonee ad assicurare la corretta prestazione dei servizi. Per ragioni simili, relative però a gestioni mobiliari collettive e individuali, sono stati multati i vertici di Bipiemme Gestioni (sgr della Bpm), che dovranno pagare in totale 210mila euro.

 


La Repubblica 21-3-2007 Antonveneta, saranno trascritte le telefonate tra "furbetti" e politici. Economia I parlamentari coinvolti sono D'Alema, Fassino, Latorre, Grillo, Comincioli e Cicu. Walter Galbiati Emilio Randagio

 

Il gip Forleo deciderà poi se ammettere le 80 intercettazioni

 MILANO - Le intercettazioni con i politici verranno messe nero su bianco. Quello che si sono detti l'ex numero uno di Unipol, Giovanni Consorte, e l'attuale ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, nell'ambito della scalata alla Banca Nazionale del Lavoro. O quello che il senatore di Forza Italia, Luigi Grillo, ha sussurrato alle orecchie di Gianpiero Fiorani, dopo aver parlato con la moglie dell'ex governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio. O, ancora, quello che Stefano Ricucci ha confidato allo zio "Rommy", alias il senatore di Forza d'Italia Romano Comincioli, mentre cercava di scalare il Corriere della Sera, sarà trascritto da un perito. Ieri, infatti, il giudice per le indagini preliminari di Milano, Clementina Forleo, ha disposto la trascrizione di circa una quarantina di intercettazioni telefoniche su centocinquantasei registrate nel corso dell'inchiesta sulla mancata scalata all'Antonveneta. E altrettante per le vicende Bnl e Rcs. In pratica, tutte le telefonate tra politici e indagati che i pubblici ministeri Eugenio Fusco e Giulia Perrotti avevano ritenuto rilevanti ai fini delle indagini. L'iter prevede la nomina del perito nella prossima udienza che è stata fissata per il 30 marzo e, una volta ascoltate e verbalizzate, bisognerà attendere il parere del giudice Forleo. Sarà lei a decidere quali telefonate sono rilevanti e quali no. Un vaglio preventivo, prima di spedirle a Roma, dove le rispettive Camere di appartenenza di ciascun politico decideranno se concedere o meno l'autorizzazione a utilizzarle. Per la vicenda Antonveneta i pubblici ministeri hanno chiesto la trascrizione delle conversazioni con Fiorani del senatore Grillo, indagato per appropriazione indebita e per aver passato informazioni riservate e sensibili all'ex numero uno della Banca Popolare Italiana. E quelle con Cristina Rosati, la moglie di Fazio, una delle principali fonti del parlamentare di Forza Italia. L'avvocato di Grillo, Andrea Corradini, ha eccepito in aula l'inutilizzabilità delle telefonate, affermando che, per legge, l'acquisizione delle conversazioni avrebbe dovuto essere effettuata solo dopo aver avvisato il parlamentare di essere intercettato. Il gup però ha respinto l'istanza, in quanto l'intercettazione è avvenuta in via indiretta: cioè non era Grillo a essere intercettato, ma la signora Fazio e Fiorani. Nell'ambito dell'indagine per aggiotaggio sul titolo Bnl, le conversazioni rilevanti vedono invece come protagonisti tre massimi esponenti del partito dei Democratici di Sinistra, Massimo D'Alema, Piero Fassino e Nicola Latorre, oggi senatore e ai tempi del governo D'Alema capo della segreteria del presidente del Consiglio. Le telefonate sarebbero indirizzate soprattutto a Consorte, il numero uno di Unipol, la compagnia assicuratrice delle cooperative rosse, alle prese, nell'estate 2005, con il tentativo di conquistare la Banca Nazionale del Lavoro. Quanto all'inchiesta di aggiotaggio sul titolo Rcs, la società che pubblica il Corriere della Sera, le posizioni più delicate sono quelle di Romano Comincioli, senatore di Forza Italia, eletto in quel di Lodi, e di Salvatore Cicu, sottosegretario alla Difesa nell'ultimo governo Berlusconi. Ai pm interessano le telefonate con l'immobiliarista Stefano Ricucci.

 

 


 

Il Riformista 21-3-2007 Fusionismo e scissioni, mali fatali della sinistra italiana di Fabrizio d’Esposito


«Aspettando sempre la sua rivoluzione impossibile, la sinistra italiana ha finito per ridursi ai minimi termini, divisa tra un’ala troppo prudente e un’ala troppo impaziente, lacerata per giunta nell’ultimo ventennio tra l’annientamento giudiziario del Partito socialista e il tenace rifiuto dei comunisti di ammettere la propria sconfitta storica e perfino di tentare di spiegarsela»: per buona parte del Novecento, il cosiddetto secolo breve, la vicenda politica di Antonio Ghirelli, giornalista e scrittore, si è svolta tutta all’interno della sinistra italiana. Per questo motivo, l’analisi spietata ma lucida e veritiera con cui Ghirelli, prima togliattiano poi socialista convinto (ha lavorato con Pertini al Quirinale e con Craxi a Palazzo Chigi) conclude la sua ultima fatica saggistica, appunto Aspettando la rivoluzione (Mondadori, 250 pagine, 18 euro), assume un significato e un valore ancora maggiori. Ghirelli è una voce di dentro e grazie alla sua conoscenza di leader e fatti che hanno segnato le storie talora convergenti, più spesso conflittuali, del Pci e del Psi, ripercorre una traiettoria fatta sì di conquiste e successi ma in cui alla fine hanno pesato più le sconfitte e le occasioni mancate. Altrimenti, osserva con amarezza l’ex direttore del Tg2, oggi l’Italia non sarebbe l’unico grande paese europeo senza una radicata tradizione socialdemocratica, senza quindi un robusto partito socialista. Qui è Rodi, e qui bisogna saltare. Anche in vista del futuro Partito democratico che alla luce del denso excursus storico di Ghirelli presenta almeno due controindicazioni che dovrebbero far pensare quegli eredi post-comunisti ansiosi di cambiare definitivamente pelle.
La prima scaturisce da quella che l’autore definisce una vocazione genetica al compromesso storico tra la vecchia Dc e il vecchio Pci: «Di certo nella cultura politica e nella condotta tattica delle due grandi formazioni vi sono elementi comuni: la diffidenza o il disinteresse per i valori laici, l’intolleranza dogmatica per il dissenso, l’impegno sociale e organizzativo assolto con serietà e con costanza». Insomma, quanto di più distante dall’esperienza riformista e socialista, compresa la notazione positiva sull’impegno organizzativo, considerato che lo stesso Ghirelli non manca di notare che «la tragedia di fine secolo colpirà i socialisti tanto più crudelmente quanto più fragile, diviso, disorganizzato è arrivato il loro partito all’appuntamento con la storica, indiscutibile vittoria riportata nella sfida con il gigante comunista». Infatti, scrive ancora Ghirelli, «il forte talento di Craxi, la sua determinazione nel rifiuto della supremazia berlingueriana, al di là degli errori tattici e della mortale trappola di Tangentopoli, non hanno raggiunto l’obiettivo dell’alternativa di sinistra, unica prospettiva seria per garantire la governabilità del paese, soprattutto perché il partito, uscito dalla clandestinità e dell’esilio, non si è radicato nella società italiana come i democristiani e come i comunisti».
A questo punto, si arriva alla seconda controindicazione per l’ala sinistra del Pd, che allo stesso tempo costituisce la causa della mancata egemonia gradualista in Italia. E cioè il flop del fusionismo e della sua variante elettoralistica, il frontismo. Perché, infatti, se da un lato è vero che nella seconda metà dell’Ottocento ha inizio una storia fatta di frazionismo e scissioni, prima tra marxisti e anarchici, poi tra massimalisti e riformisti, infine tra comunisti e socialisti, con quest’ultimi divisi al loro interno tra fusionisti e autonomisti, è pur vero che dall’altro lato i tentativi unitari hanno avuto uno scarso appeal. Certo, oggi a voler andare insieme sono per la gran parte post-comunisti e post-democristiani, mentre all’epoca, nel fatidico 1948, furono Palmiro Togliatti e Pietro Nenni a fare il Fronte popolare con la faccia di Garibaldi, ma è curioso notare un’analogia: ora come allora la somma elettorale dei due partiti fu inferiore alle attese. Nelle elezioni del 18 aprile, i frontisti arrivarono al 31,1 per cento (altra coincidenza: più o meno la stessa percentuale del Pd), quando invece appena due anni prima i socialisti raccolsero il 20,2 per cento contro il 19,9 del Pci. Non solo. Scrive Ghirelli: «Il 18 aprile è il giorno del giudizio. La Democrazia cristiana ottiene il 48 per cento dei voti sfiorando così la maggioranza assoluta, mentre il Fronte democratico popolare si ferma al 31,1 per cento, cedendo ai centristi il 7,1 della lista saragattiana di Unità socialista (nel ’47 c’era stata la scissione di Palazzo Barberini, ndr). La sola consolazione per il Pci è che, grazie alla sua organizzazione più razionale e allo scontato gioco delle preferenze, conquista 144 seggi sui 183 toccati al Fronte, diventando di gran lunga il partito più forte della sinistra». E’ da lì, quindi, che si ribaltano i rapporti di forza nella sinistra italiana. Anche perché, sino ad allora, la tradizione riformista di Turati e Matteotti aveva resistito sul piano dei numeri alla scissione di Livorno del ’21, senza dimenticare, inoltre, che la decisione di cattolici e liberali di «fiancheggiare o tollerare Mussolini anziché far causa comune» coi socialisti aveva aperto le porte al «colpo di Stato più facile del mondo».
Ovviamente, Ghirelli nella sua versione di «cento anni di sinistra» non dimentica, con padronanza e suggestione, di dare conto delle figure più belle dell’avventura anarchica, socialista e comunista. In fin dei conti, è benevolo anche il giudizio su Togliatti, inventore di un comunismo patriottico che non perse mai la testa nei confronti della farneticazione rivoluzionaria e che su Stalin si adeguò in nome del realismo giustificazionista. Ma forse le pagine più belle sono quelle iniziali su Andrea Costa e la sua profezia sul comunismo autoritario ancor prima del fatale ’17. La polemica è direttamente con Marx: «Nemmeno nel Costa convertito al socialismo c’è ombra di pentimento o peggio di disprezzo per l’esperienza anarchica, di cui egli continua a esaltare il valore educativo, l’interesse sperimentale, l’efficacia propagandistica. (...) e semmai, se non il disprezzo, l’opposizione più totale continua a concepirla per il comunismo che forse, se ci sarà la rivoluzione, i lavoratori conquisteranno: “Ma sarà il comunismo dello Stato, il comunismo autoritario, quale comunismo tedesco” che egli come gli anarchici ha sempre combattuto». E centoventi anni dopo queste parole si avverte ancora forte in Italia la differenza tra chi è stato comunista e chi socialista. Non a caso, Ghirelli ricorda maliziosamente una frase pronunciata da Massimo D’Alema sul «blocco psicologico collettivo» che condizionò il Pci dopo la caduta del Muro nei confronti di una riunificazione col Psi: «Anche noi, quando siamo entrati nel Pse, abbiamo portato la nostra tradizione gramsciana e comunista, non esattamente socialista». Un blocco che deve persistere ancora oggi, visto che adesso la maggioranza dei resti di quel partito nato nel ’21 crede in un approdo democratico coi cattolici della Margherita e non nella costituzione di una grande forza socialista.


 

L’Unità 21-3-2007 Il vero attacco alla famiglia? "Trent'anni per metter su casa" di Oreste Pivetta.

 

LE MINACCE non vengono dai conviventi (che sono pochi) e neppure dalle coppie omosessuali (che al matrimonio fortemente aspirano). I pericoli, come spiega Pietro Boffi del centro studi di "Famiglia cristiana", arrivano dalle pressioni della società (tra casa, lavoro, welfare) e dalla miseria delle politiche di sostegno "A bbiamo fatto per quattro anni i fidanzatini. Era tutto più semplice". "Tra i nostri amici parlare di matrimonio è considerato prematuro. La nostra società è portata a vedere questo passo più in là nel tempo... Noi abbiamo ventiquattro anni. Perché dobbiamo aspettare?". "L'aiuto viene dall'esempio degli altri, a cominciare dai genitori che nel matrimonio hanno trovato la felicità. Ci sono tantissime coppie che hanno fallito. Però ce ne sono tante che hanno trovato la felicità". "I sono scoraggiati... chi te lo fa fare? Si lamentano. Guardano il matrimonio più dal lato dei doveri che della gioia, i momenti di pesantezza più che la bellezza dello stare insieme". "Perché sposarsi? Per costruire qualche cosa di grosso, per condividere ogni cosa, dalla più bella alla più faticosa". "Il matrimonio dura per sempre e questa è una cosa che colpisce" "Voglio fare una famiglia insieme con Paola e questo è il modo più forte per dirlo, senza se e senza ma". Sono parole ascoltate durante un corso prematrimoniale. Uno dei tanti (questo in provincia di Milano, in Brianza) che le parrocchie organizzano: un parroco, una due coppie, mariti e mogli di vecchia data, che fanno da tutor, i giovani che ascoltano e che cercano di raccontare i loro pensieri, le loro speranze. Le loro attese. Nella diocesi di Milano si conta che ogni anno quarantamila giovani, cioè ventimila coppie, si sottopongano al rito. Il Cisf, cioè il centro internazionale di studi sulla famiglia, nato a metà degli anni settanta per iniziativa delle Edizioni Paoline e cioè di Famiglia Cristiana (a promuovere l'idea fu uno dei direttori, don Giuseppe Zilli, alla cui memoria è dedicata la Fondazione che "governa" il centro) tra le tante sue indagini, ne ha promossa una anche sui "corsi prematrimoniali". "Ventimila coppie - commenta Pietro Boffi, uno dei ricercatori - sono ancora tante. Ancora, perché il trend vede in progresso i matrimoni civili, che in tutta Italia sono saliti tra il 1981 e il 2003 dal 12,7 al 28,5 e a Milano un paio di anni fa s'arrivò addirittura il sorpasso: più i civili dei religiosi. Anche se tra i primi si sarebbero dovuti contare seconde nozze e matrimoni tra stranieri. Quindi, se questa è la tendenza, ventimila coppie sono una presenza rilevante e l'esperienza ha davvero il carattere dell'unicità". "Si avvicinano all'appuntamento in parrocchia - continua Boffi - con grande diffidenza, con molti pregiudizi Lo chiede di più la ragazza in genere. E naturalmente per obbligo, dopo aver scelto il matrimonio religioso, perché questo è il percorso previsto. In genere ne escono contenti: hanno imparato qualcosa, hanno imparato a guardarsi in faccia, a comunicare... Capita qualche vecchio parroco che racconta castronerie immense, ma il messaggio non è mai troppo confessionale, è un messaggio che dice della vita, nel senso dell'aprirsi alla vita... Molti di quei giovani già convivono, molti sono cattolici come lo siamo tutti in Italia ma senza particolare tensione spirituale, nel solco di un ricordo più che di una pratica quotidiana. L'incontro prematrimoniale serve a ritrovare o a ridestare un sentimento". Se la fede è appannata, perché il matrimonio religioso? "Perché se ne intuisce la completezza, naturalmente dal punto di vista di chi crede, o solo perché così indica la tradizione e perché si sente il valore della cerimonia pubblica, dell'abito bianco, della festa condivisa. Il matrimonio è un rito di passaggio. La debolezza di questa società sta anche nell'esaurimento dei riti di passaggio: il matrimonio, la cresima come il servizio militare. Gli atti con i quali si cresce, assumendosi responsabilità. Siamo davanti a un continuum, senza stacchi...". Anche questo però indica quanto la famiglia cambi... "Sì e sarebbe sbagliato pensare che il cambiamento della famiglia sia solo di questi anni. Sarebbe antistorico rimpiangere la "famiglia di una volta", che non è mai esistita, perché l'evoluzione è incessante. Persino la sua fragilità non è nuova, solo che una volta a spezzarla erano le malattie, la guerra, l'emigrazione, ora le cause della sua mortalità sono diverse. Ma come avrebbe reagito la "famiglia di una volta" alle pressioni della società d'oggi? La famiglia cambia pelle. Essere apocalittici non serve...". Lo dice anche riferendosi al gran discutere di pacs e di dico, di coppie conviventi e di coppie omosessuali? "Francamente credo che non si sia mai creata tanta confusione. Ad esempio a proposito di coppie di fatto. Cerchiamo di dare una dimensione al problema. Cominciamo con lo spiegare che non sono poi molte: erano 227 mila nel 1993, erano 564 mila nel 2003, dall'1,6 per cento al 3,9 per cento. Poi si scopre che trecentomila sono coppie di conviventi con precedenti esperienze matrimoniali, solo 264 mila rappresentano libere unioni di celibi e nubili. Di queste, secondo i dati dell'Istat, la metà nasce con la prospettiva del matrimonio, un'altra parte al matrimonio ci pensa e non ci pensa, solo il due per cento esclude categoricamente il matrimonio. Il due per cento di 264 mila. Sono numeri che dovrebbero raffreddare le tensioni. Invece qualche pensiero in più dovrebbe muoverlo la constatazione della fragilità dell'istituito matrimoniale: sempre tra il 1981 e il 2003 le separazioni sono salite da trentamila a ottantamila, i divorzi da dodicimila a quarantamila. Fare somme non si può: i divorzi stanno già dentro le separazioni. Dopo il divorzio ci si risposa poco e si risposano di più gli uomini, per motivi pratici di conduzione della casa. Ma le famiglie ricostituite, coniugate o non coniugate, non aumentano in percentuale. Così crescono di numero le famiglie monogenitoriali... Perché? Forse per considerazioni di natura economica. Non per la pensione, perché ci si separa da giovani. Ma io credo soprattutto perché la rottura di un matrimonio è ancora un trauma: il legame resta forte, non è stato un passo compiuto così, alla garibaldina, perché in certi ambienti si ha quasi vergogna a confessare il proprio stato, si ha paura di dirlo, i sensi di colpa paralizzano. Aggiungerei un altro motivo: lo stretto rapporto che si mantiene con la famiglia di origine, che si misura anche nei pochi metri di un pianerottolo che separano un appartamento dall'altro". La lontananza si misura attraverso l'indice di prossimità: quello italiano dice che l'ottanta per cento resta dentro un cerchio che ha un raggio di cinque chilometri e il centro in una delle due famiglie di origine, talvolta i cinque chilometri sono addirittura la stessa casa e comunque il settanta per cento delle nuove coppie ha contatti quotidiani con i genitori... Quando finalmente si esce dalla famiglia, dunque si resta vicinissimi... "Anche per un vantaggio banale: consentire lo scambio dei servizi. La famiglia è il welfare all'italiana. Ovvero sulla famiglia si gioca a scaricabarile, per un welfare che non c'è e che la famiglia deve inventarsi. I giovani restano fino a tardi in famiglia, perché in famiglia trovano tutto, dalla protezione agli abiti stirati, senza rischiare nulla. Tutto diverso rispetto all'Europa: lì bastano vent'anni per mettere su casa, qui ce ne vogliono trentaquattro. Attenzione: con una conseguenza anche per quanto riguarda la natalità, la bassa natalità italiana, perchè sposandosi tardi ovviamente si ha davanti a sè meno tempo per fare figli. Nasce così la questione demografica del nostro paese, che nel giro di alcuni decenni assomiglierà a una grossa pancia rotonda di settantenni poggiata sulle esilissime gambe di pochi giovani. Sempre che l'immigrazione si mantenga...". Già lo è una "pancia": tanti vecchi, tanti vecchi nella solitudine... "Aumentano le persone che vivono da sole: due milioni in più nel giro di quindici anni, da tre milioni e ottocentomila nel 1983 a cinque milioni e seicentomila nel 2003. Di questi la metà sono anziani oltre i sessantacinque anni". In questo invecchiamento si fa largo un'altra esperienza del welfare all'italiana: le badanti... "Che sono diventate la soluzione: a un costo ragionevole si garantisce l'assistenza, si evitano l'ospizio, la casa di riposo (comunque più costosi per la comunità), si rimedia alla mancanza di servizi, si salva il principio morale fondamentale di tenere in casa i vecchi genitori. Che le badanti siano clandestine o no: si chiude un occhio, si tollera l'assoluta illegalità, ma questo è il welfare. Si dà un fenomeno curioso: bene o male, clandestina o no, la badante entra in casa, governa la casa, provvede agli acquisti di casa e la famiglia si allarga, nasce una nuova famiglia...". Sembra in realtà che la famiglia resti ai vertici delle nostre aspirazioni. Sta lì il traguardo sognato dalla coppia gay. "Grande contraddizione: perchè la coppia omosessuale invoca il proprio diritto alla famiglia, la coppia convivente, che potrebbe sposarsi, rifiuta il matrimonio, cioè la porta d'accesso principale alla famiglia... Però è così: nell'immaginario di questo paese la famiglia sta al primo posto, perchè di fronte a un mondo tanto incasinato la famiglia è un rifugio, rassicura e protegge. Anche se la famiglia può soffocare, si vede quanto sia difficile tagliare il cordone ombelicale. Il welfare familiare insomma sarà un po' castrante... Però attorno a lì gira tutto e non ci fosse la famiglia cadrebbe tutto. Per questo bisognerebbe aiutarla, come non lo si è mai fatto nella storia della repubblica... Tanto poi ci si arrangia, ad esempio riducendo le nascite. I cattolici non ci hanno pensato, perchè temevano che attraverso una politica per la famiglia lo Stato si intromettesse nell'intimo della famiglia, i comunisti perchè pensavano che si risolvesse tutto realizzando grandi principi di eguaglianza e di giustizia sociale e che la famiglia fosse solo una sovrastruttura, i liberali perchè riducevano tutto alla misura dell'individuo. Insomma siamo stati prigionieri, ostaggi, del conflitto tra laici e cattolici. Perdendo di vista, come oggi, l'oggetto del conflitto". (2 / segue)


 

Da www.osservatoriosullalegalita.org 20-3-2007 Giustizia : interrogazione su mancato pagamento avvocati d'ufficio di Mauro W. Giannini

 

I tempi biblici di pagamento della difesa d'ufficio e del patrocinio dei non abbienti e' l'oggetto di una interrogazione a risposta scritta dell'on. Tommaso Pellegrino, segretario della Commissione antimafia, al ministro della Giustizia Clemente Mastella.

Gli avvocati difensori sono spesso nominati dai tribunali in ottemperanza all'impegno stabilito dalla Carta Costituzionale di assicurare ai non abbienti "i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione» (articolo 24, comma 3° Cost.)". "Nella realtà dei tribunali, sia in sede penale che (da pochi anni) in ambito civile - sottolinea Pellegrino - si assiste ad un largo uso dell'istituto del patrocinio a spese dei non abbienti. Ciò è dovuto a problemi congiunturali di natura economica, specie nelle regioni del meridione d'Italia" ma anche al nord, dando fra l'altro ai giovani avvocati l'occasione di fare esperienza concreta nei processi ed ottenendo anche i primi guadagni mediante la liquidazione degli onorari da parte dello Stato".

Ma per ciò che attiene al settore penale - denuncia Pellegrino - i pagamenti tardano fino ad un anno e mezzo, a partire dall'estate del 2006, quando si è avuta una prima paralisi dei pagamenti a causa di alcuni risvolti della legge Bersani e della sospensione della convenzione tra lo Stato e l'ente Poste Italiane, da sempre il soggetto cui era materialmente devoluto il pagamento delle liquidazioni mediante mandati di pagamento o accrediti postali. Dopo una serie di incertezze, il nuovo soggetto delegato al pagamento delle liquidazioni divenne la Banca d'Italia.

Tuttavia, i pagamenti erano sostanzialmente sospesi fino alla fine dell'anno 2006 poiché il servizio doveva essere attivato. Inoltre, dovevano essere riassegnate le deleghe agli uffici preposti dal Ministero della Giustizia per i pagamenti derivanti dal patrocinio a spese dello Stato e dalla difesa d'ufficio. Nel mese di gennaio 2007, il meccanismo sembrava essersi riattivato, in quanto sembrava giunta una risoluzione della questione. Tuttavia, nel mese di febbraio si sarebbe appreso, afferma Pellegrino nella sua interrogazione "in via del tutto ufficiosa, che i pagamenti dell'ufficio modello 12 del Tribunale di Napoli erano stati sospesi in attesa «della nomina dei funzionari delegati presso i Tribunali ordinari e le Procure della Repubblica» all'accreditamento delle spese da liquidare, tra gli altri, anche agli avvocati".

Tali situazioni "hanno interrotto il meccanismo che consentiva rapidamente il pagamento delle liquidazioni agli avvocati che svolgono un ruolo fondamentale all'interno dell'ordinamento giuridico dello Stato, così comprimendo e pregiudicando il diritto di difesa dei cittadini e delle persone deboli e non abbienti; questa situazione preoccupa molti giovani avvocati, che si sono presi l'onere e la responsabilità di difendere persone che, altrimenti, resterebbero senza una adeguata difesa nel processo penale". Pellegrino cchiede quindi al guardasigilli se intenda verificare la situazione e - ove confermata - se ritenga opportuno disporre quanto necessario alla risoluzione, consentendo in tempi rapidi, il pagamento delle liquidazioni agli avvocati, in maniera stabile e sicura.

Anche la Giunta della Camera Penale di Napoli ha deciso di denunciare la vicenda al fine di sollecitare il Ministero a voler riprendere i pagamenti sbloccando così la situazione. In generale, l'Unione Camere Penali italiane la Giunta ha recentemente chiesto a tutte le Camere Penali territoriali di riferire sui relativi tempi di pagamento, e il quadro emerso "consente di dire che la situazione è, più che grave, assolutamente inaccettabile".

Percio' l'UCPI appoggia la richiesta di Pellegrino, facendo notare che nel 2001 sono stati introdotti a livello normativo "due principi cardine tendenti al conseguimento di un duplice obiettivo: difesa d’ufficio effettiva e retribuita. Per conseguire l’obiettivo della effettività occorre una difesa sempre più specializzata. La specializzazione, meramente elettiva in caso di scelta fiduciaria, dovrà costituire l’obbligo in ogni caso in cui sia lo Stato a fornire un difensore a chi ne ha necessità nel processo penale". Secondo i penalisti, "Non esiste una effettiva difesa a fronte di una mancata retribuzione".

I penalisti ricorderanno il tema da domani 21 marzo nelle tre giornate di astensione gia' previste su diversi altri punti critici.

 


Finanza e mercati 21-3-2007 Se la bolla immobiliare sembra sul punto di scoppiare negli Usa, sollecitata dal pungolo della crescita del tasso di insolvenza dei mutui, il mattone spagnolo potrebbe passarsela peggio.

 

Almeno sulla carta, considerando il costo dei prestiti che le banche europee concedono alle società edili iberiche, con finanziamenti cinque volte più cari rispetto a quelli concessi ai colleghi a stelle e strisce. È il caso, per esempio, del gruppo Martinsa, guidato dall'ex presidente del Real Madrid Calcio Fernando Martin, che versa interessi maggiorati del 2,5% rispetto al tasso interbancario europeo. Senza contare che anche i proprietari di case potrebbero essere più vulnerabili di quelli americani, in quanto il 98% dei finanziamenti in Spagna sono a tassa variabile, mentre negli States il tasso fisso gode di un maggior successo. Questo mix sta avendo serie ripercussioni sul mercato spagnolo della seconda casa, da sempre considerato uno dei termometri dello stato di salute del real estate europeo. "Quando le vendite rallentano, le prime a soffrire sono le case di vacanza, poi tocca alle prime case", spiega Dani Alvarez, un passato da responsabile per le vendite internazionali presso il broker immobiliare Don Piso. I segni non sono del resto incoraggianti. Re/Max International, secondo maggiore intermediario statunitense, due mesi fa ha ridotto il valore di oltre 5mila abitazioni spagnole. Con ribassi anche del 26 per cento. Mentre, secondo RR de Acuna & Associates di Madrid, le agenzie immobiliari della Spagna quest'anno taglieranno del 10% i prezzi delle case di vacanza, in quello che viene considerato il mercato della casa più dinamico del decennio, con valori medi pressoché raddoppiati negli ultimi sei anni. Gli operatori ora fanno gli scongiuri. Il rischio è infatti che la frenata spagnola possa avere ripercussioni psicologiche in tutto il Vecchio Continente. (riproduzione riservata Bloomberg).

 


 

La Repubblica 21-3-2007 Il giudice Garzòn: "Responsabili di 650 mila morti in Iraq" "Bush, Blair e Aznar a processo per la guerra"

 

"Colpevoli anche i leader che accompagnarono il presidente Usa" MADRID - Processare Aznar? L'idea di portare l'ex premier spagnolo davanti alla Corte Penale Internazionale parte dal supergiudice Baltasar GarzÓn, spauracchio dei tiranni di tutto il mondo, ed è subito raccolta e appoggiata dal coordinatore del Psoe José Blanco e dal leader di Izquierda Unida Gaspar Llamazares. A quattro anni dall'invasione dell'Iraq - e proprio mentre Aznar, in una conferenza a Sydney, difende l'intervento armato per deporre Saddam Hussein - GarzÓn celebra la ricorrenza con un articolo su El PaÍs, titolato semplicemente "Anniversario", in cui prospetta per la prima volta l'esigenza di avviare un giudizio contro i responsabili di un conflitto che ha fatto 650mila vittime. Una guerra voluta dall'amministrazione Usa ma, sostiene il magistrato, "l'azione di coloro che accompagnarono il presidente degli Stati Uniti ha altrettanta, o maggiore, responsabilità di questi, perché nonostante i dubbi e pur avendo un'informazione parziale, si misero nelle mani dell'aggressore per consumare un'ignobile azione di morte e distruzione". Una riflessione che, probabilmente, tiene conto dell'oggettiva difficoltà a far sedere sul banco degli imputati George W. Bush, portando in primo piano le responsabilità di José MarÍa Aznar e del premier britannico Tony Blair. L'analisi di GarzÓn ha tutto il sapore di un preannuncio di una possibile azione legale. "Credo che sia arrivato il momento di fare una riflessione seria sull'eventuale responsabilità penale di coloro che sono o furono responsabili di questa guerra e se esistono indizi sufficienti per metterli di fronte alle loro responsabilità". Il giudice della Audiencia Nacional sembra molto determinato: "Seicentocinquantamila morti sono un argomento sufficiente perché questa investigazione o indagine si affronti senza ulteriori rinvii". (a. o.).

 


 

La Stampa 1/3/2007 (7:3) Sede in Olanda e cda inglese Barclays-Abn prende forma Gianluca Paolucci

 

- I RIFLESSI ITALIANI: CAPITALIA SOTTO PRESSIONE, OCCHI SU MPS

Avviati i colloqui sulla fusione con le autorità di controllo

Sede ad Amsterdam, quotazione principale a Londra, presidente scelto dagli olandesi e Ad nominato dai londinesi. Ad appena 24 ore dalla conferma delle trattative procedono speditamente i colloqui per la fusione tra Barclays e Abn Amro. Ieri, con un nuovo comunicato, la banca londinese ha chiarito le linee guida delle trattative tra i due gruppi, pur precisando che i contatti sono in una fase «preliminare e esplorativa» e che non c’è certezza che possano condurre ad un accordo in qualunque forma. Intanto però sono stati avviati i colloqui anche con le autorità di controllo inglesi e olandesi volti a determinare l’autorità della Banca centrale olandese come «regolatore principale» per la maxibanca che nascerebbe dalla fusione. Per quanto riguarda la governance, il Board avrà una struttura unitaria secondo la normativa britannica e una «chiara» governance e struttura manageriale.
La Borsa comunque continua a scommetterci. E ieri gli acquisti hanno premiato anche Barclays, cresciuta del 3,67% a Londra. Abn Amro, dopo il boom di ieri, è invece cresciuta del 3,5%.
I riflessi della fusione che potrebbe veder nascere il quinto gruppo bancario mondiale continuano a farsi sentire anche in Italia. Capitalia, dove Abn è primo azionista e membro del patto di sindacato, è stato anche ieri sotto i riflettori a piazza Affari. E dopo aver segnato un progresso superiore ai 3,5 punti percentuali ha chiuso in territorio positivo - unico tra i bancari - con un progresso dello 0,6% e il 2,8% del capitale passato di mano.
Proprio i riflessi della fusione anglo-olandese su via Minghetti hanno tenuto banco ieri tra le speculazioni del mercato. Speculazioni rinvigorite anche da un commento del Financial Times, secondo il quale con l’uscita di scena di «Mr Groenink», che finora ha sostenuto il presidente Cesare Geronzi, cambia lo scenario anche in via Minghetti con Barclays che adotterebbe, nell’ipotesi migliore, una prospettiva «neutrale».
In ambienti finanziari milanesi, si rilevava ieri che la fusione «inglese» taglierebbe comunque fuori Capitalia. Mentre nell’ipotesi che a lanciare un’opa fosse stato il Santander, ipotesi pur circolata con insistenza nei mesi scorsi, Geronzi avrebbe potuto ritagliarsi un ruolo autonomo e solo italiano. In questa chiave, ricordano oggi le fonti interpellate, l’ingresso dell’istituto spagnolo nel capitale di via Minghetti, andava «inserito in una prospettiva più ampia» (le mire spagnole su Abn) che adesso viene meno.
In realtà, ad incendiare le quotazioni di Abn Amro tra ieri e lunedì ha contribuito anche l’attesa del mercato per un possibile rilancio sulla banca della Regina d’Olanda, con una serie di istituti tra i quali lo stesso Santander tra gli indiziati. Deboli gli istituti bancari indicati negli scorsi mesi come possibili partner di Capitalia e principali indiziati in vista di eventuali manovre difensive: Unicredit ha ceduto lo 0,09% a 6,81 euro, Mps ha perso lo 0,63% a 4,72. In lieve rialzo invece Mediobanca, in attesa dei conti Generali usciti a mercati chiusi. Singolare in questa vicenda il silenzio del versante senese dopo l’annuncio del mandato esplorativo assegnato dalla Fondazione Mps a Jp Morgan per valutare le opportunità di crescita della banca. Mandato assengato a pochi giorni di distanza dalla notizia della scelta del partner assicurativo, individuato nei francesi di Axa, che avrebbe dovuto chiudere almeno per qualche mese ogni speculazione sulle aggregazioni. Di certo, al di là dei rumors di borsa, c’è «l’inconciliabilità», rilevata da più parti, tra i Ds toscani e Geronzi. Altrettanto certo è però l’avvicinamento dei mesi scorsi tra il presidente di Mps, Giuseppe Mussari, e il suo omologo romano. Avvenuto grazie ai buoni uffici del vicepresidente della banca senese Francesco Gaetano Caltagirone.


 

La Repubblica 21-3-2007 Quando Lenin disse ai compagni Usa: "L'America è un grande Paese"

L CASO. Gli archivi del partito comunista d'oltreoceano
sono stati donati alla New York University

IL TESTAMENTO di Joe Hill, cantautore, organizzatore del movimento operaio ed eroe folk, è comparso insieme ad alcuni inimmaginabili preziosi documenti storici in una vasta raccolta di carte e fotografie mai mostrate in pubblico che il partito comunista statunitense ha donato all'Università di New York.
Nella raccolta di cui finora non si sapeva nulla sono custoditi decenni interi della storia del partito: parole in codice, pile di lettere personali, direttive fatte pervenire di nascosto da Mosca, spillette con il volto di Lenin, fotografie e inflessibili ordini su come dovevano comportarsi i membri del partito (per esempio non dovevano fare la carità per non distrarsi dai loro doveri rivoluzionari). Il lascito donato all'università comprende ventimila tra libri, giornali e opuscoli, e un milione di fotografie provenienti dagli archivi di The Daily Worker's.
"Si tratta di una delle opportunità più entusiasmanti alla quale una raccolta abbia mai dato vita" ha detto Michael Nash, direttore della New York University's Tamiment Library, che venerdì prossimo annuncerà ufficialmente la donazione. Nessuno sa ancora con precisione se tali carte saranno effettivamente in grado di dissolvere o risolvere le dispute che da più lungo tempo riguardano i rapporti tra i sovversivi americani e Mosca, in quanto come ha detto Nash, "occorreranno anni per catalogare tutto il materiale".
C. E. Ruthenberg, il segretario del partito nel 1919, sottolinea "il modo segreto col quale è gestito il partito". Il ramo di Los Angeles, noto con il nome in codice di "XO1XO5", a un certo punto utilizza la parola d'ordine "Kur. heiny" che significa "state facendo progressi?" e la risposta è "Teip", che significa "sì". Egli copia una lettera firmata dai russi Nikolai Bukharin e Ian Berzin che dice essere stata nascosta nella fodera del cappotto di un bolscevico, nella quale si spiega in che modo debbano agire gli americani. I due ordinano al partito di incitare i soldati e i marinai a ribellarsi contro gli ufficiali e ad armare gli operai. Li mettono in guardia dal permettere ai membri di partito di impegnarsi in attività filantropiche o educative, sostenendo che essi formano di fatto delle "Organizzazioni di combattenti per prendere il controllo dello Stato, per rovesciare il governo e l'establishment dei tiranni degli operai".
Di Robert Minor, un vignettista radicale che ha coperto la guerra civile russa, c'è un resoconto lucido e lirico datato 1918 di un'intervista a Vladimir Lenin effettuata a Mosca. Lenin era affascinato dall'America, la chiamava "un grande Paese, per alcuni aspetti" e poneva una domanda dopo l'altra a Minor: "Mi ha chiesto: "Quanto impiegherà la rivoluzione ad arrivare in America?". Non mi ha chiesto se sarebbe arrivata, ma quando". Minor, che non era ancora entrato nel partito, rimase affascinato da Lenin. "Quando egli tuona un suo dogma, si vede davvero il Lenin combattente. E di ferro. E un Calvino politico" scrive Minor nei suoi appunti scritti a macchina. "Ma Calvino ha un'altra faccia. Durante tutta la conversazione che abbiamo avuto ha sempre tenuto la sua sedia agganciata alla mia. Mi sono sentito stranamente invaso dalla sua personalità. Riempiva tutta la stanza".
Lasciando il Cremlino, Minor notò due uomini che stavano arrivando a bordo di due limousine. "Fino a pochi mesi fa erano "tirapiedi assetati del sangue del capitale rapace", mentre adesso sono "commissari del popolo" e vanno in giro in splendide automobili come prima e vivono in lussuose dimore. Governano sotto bandiere rosse di seta, per proteggersi da ogni disordine. Hanno imparato che la rosa ha un profumo altrettanto dolce, anche se ha un altro nome".
Copyright New York Times
(Traduzione di Anna Bissanti)


 

La Stampa 20-3-2007 Arriva il batterio mangiapetrolio Sarebbe in grado di degradare alcune componenti del petrolio

 ROMA
Un nuovo ceppo di batteri mangiapetrolio, in grado cioè di nutrirsi dei componenti del petrolio, degradandoli, è stato isolato da alcuni ricercatori di diverse università cinesi, che ne hanno sequenziato il Dna. Il batterio, descritto sulla rivista Proceedings of the National Academy of Science (PNAS), per il momento ha soltanto una sigla, NG80-2, ed è il dei microrganismi mangiapetrolio finora scoperti in grado di crescere direttamente nel petrolio.
Secondo lo studio, condotto da un gruppo di centri di ricerca di Tlanjin, il nuovo ceppo di batteri mangiapetrolio in futuro potrebbe avere diversi impieghi in campo ambientale.
La caratteristica principale del batterio è di riuscire a degradare gli alcani a catena lunga, cioè le lunghe molecole a base di carbonio che sono i principali componenti del petrolio. Queste catene vengono trasformate in molecole più piccole che poi l’NG80-2 utilizza come cibo.
Il microorganismo è stato isolato in un grande deposito di petrolio nel Nord della Cina e ha mostrato di essere in grado di crescere anche a temperature molto alte, comprese fra 45 e 73 gradi, utilizzando come unica fonte di carbonio proprio gli alcani. Il primo passo della degradazione è stato replicato in vitro dagli scienziati cinesi, e consiste nella trasformazione delle lunghe catene di carbonio negli alcoli corrispondenti.
Secondo gli autori della ricerca, la mappatura del corredo genetico del batterio ha permesso di comprenderne il funzionamento, basato su enzimi in grado di sfruttare al meglio i composti organici. Ora i ricercatori testeranno l’NG80-2 in alcune applicazioni ambientali, in prevalenza per risanare aree contaminate da idrocarburi.


INDICE 20-3-2007

 

++ La Repubblica GodTube, i video in nome di Dio YouTube cristianamente corretto. Di Valerio Maccari

++ ANSA 20-3-2007 Coppola, sequestrati 91 milioni in titoli

++ Corriere della sera 20-3-2007 Effetto clima: in città non pioverà più.L'inquinamento mette a rischio le megalopoli. A Londra si studia come salvarle Claudio Colombo

+ La Stampa 20-3-2007 Il 27 marzo 1957 la firma del Trattato di Roma che ha lanciato CEE E UE. Pro e contro nella settimana della grande festa. Di Marco Zatterin

+ Finanza e Mercati. 20-3-2007  Domani l'Abi approva il ricorso sulla manovra. Poi in diretta l'annuncio a Padoa-Schioppa. Di Francesco De Dominicis

+ L’Arena 20-3-2007  Etica e politica.  Bagnasco avverte: alla manifestazione a Roma non sfileranno i vescovi. Ci saranno invece Arcigay e lesbica Il 12 maggio il giorno della famiglia Superati i contrasti, le associazioni cattoliche hanno stabilito la data

+ Il Riformista 20-3-2007 Budget Guerra all'Iran ma quanto ci costi? L'indagine made in Usa. Gianni Ventola Danese.

+ Il Sole 24 Ore 20-3-2007 Al di là delle dichiarazioni ufficiali restano le perplessità sulle scelte italiane Soddisfazione dagli Stati Uniti Mario Platero

+ Il Tirreno 20-3-2007 Prato La lotta all'illegalità si impara a scuola. Melania Mannelli.

Da ANSA 20-3-2007. Vicenda Mastrogiacomo. Arrestato il mediatore  1

La Repubblica 20-3-2007 Merkel e prodi, asse per l'Europa "rilanciamo insieme la Costituzione" - Andrea Tarquini 1

L’Unità 20-3-2007 Ridare smalto all'Europa. Proiettarla verso il futuro prima delle elezioni del 2009 di Ninni Andriolo  2

La voceditalia.it 20.3.2007 Angela Merkel ospite a Roma. Prodi, "L'Europa esiste solo se si agisce insieme" Tra gli argomenti in agenda istituzioni europee, rapporti bilaterali e politica estera. Andrea Venturini 3

Il Giorno 20-3-2007 D'Alema e Condy Rice La cena delle spine Il ministro: Spero di superare le turbolenze  4

Il Corriere della Sera 20-3-2007. Scalate bancarie, udienza su 150 telefonate con politici. Da D'Alema a Berlusconi e Fassino: pm e legali indicano per quali chiedere l'autorizzazione alle Camere. Luigi Ferrarella  4

Da Aprileonline.info 19-3-2007 Pd, c'è posto per tutti. O quasi Luca Sofri, 

 


++ La Repubblica GodTube, i video in nome di Dio YouTube cristianamente corretto.  Di Valerio Maccari

 

Un servizio Web 2.0 di video-sharing per l'evangelizzazione degli internauti
E fra gli altri siti christian oriented spunta anche una wikipedia creazionista

 

 

VI PIACE YouTube ma lo ritenete immorale? Credete che la condivisione di video sul web possa essere utilizzata per scopi più alti del semplice "entertainment"? Per voi esiste un alternativa: GodTube, ovvero il videosharing ispirato ai principi cristiani. Il suo motto è "broadcast Him", e l'obiettivo è quello di "usare le tecnologie del web per connettere i cristiani e incoraggiare la diffusione del vangelo".

Non è la prima volta che succede. Si potrebbe dire, anzi, che l'introduzione del Web 2.0 ha portato ad una rinascita della diffusione di servizi cristiani su internet. Già nei mesi scorsi era nata Conservapedia, una versione riveduta e corretta in chiave religiosa di Wikipedia, il cui obiettivo è "dare al cristianesimo il giusto ruolo nella storia della conoscenza". Su internet si può trovare anche CreationPedia, che reinterpreta le nozioni scientifiche comunemente accettate in un'ottica creazionista.

GodTube, adesso, segna l'evoluzione del web christian-oriented ai contenuti multimediali. I video presenti sul sito sono per ora circa un migliaio. I più gettonati sono parodie cristiane di canzoni e pubblicità e reportage sul radicalismo islamico. Presi di mira soprattutto i famosi spot "Get A Mac" della Apple, che vengono corretti in chiave religiosa. Ovviamente, protagonisti dello spot non sono più un Pc e un Mac, ma un cristiano e un rigido ateo.


La maggior parte dei video, però, è molto seria. Cercando su GodTube si trovano soprattutto dimostrazioni dell'esistenza di Dio e dell'inerranza delle posizioni scientifiche cristiane. Non mancano filmati inquietanti: in una serie didattica, un giovane predicatore spiega i misteri della fede. Ma per tutelare la propria privacy, nel video si presenta incappucciato. E l'effetto non è rassicurante.

Qualche video, inevitabilmente, ha suscitato polemiche. "Inside a mosque", ad esempio, dovrebbe essere un documentario su quello che accade dentro una moschea di Londra. Ma sono stati sollevati parecchi dubbi da parte degli utenti sulla veridicità del filmato, nel quale si vede un imam esortare i fedeli ad uccidere i cristiani. "Se fosse vero - si legge nei commenti - sarebbe sulle prime pagine di tutti i giornali. Ma è chiaramente doppiato. E anche male". Un altro utente si lamenta dell'orientamento generale del sito. "Dovreste chiamarlo JesusTube - scrive -. Sarebbe più chiaro a quale Dio fate riferimento"

I responsabili di GodTube, però, si chiamano fuori dalle polemiche. I video sono tutti rigorosamente mandati dagli utenti, e sono sempre gli utenti a stabilire - tramite un sistema di votazione - se il contenuto è appropriato o no. E comunque era difficile che non arrivassero le critiche. Tenendo presente che vengono discussi argomenti come l'immoralità dell'omosessualità, l'aborto e il creazionismo.

Ne "L'ateo e la banana", che è anche il video più visto in assoluto, viene dimostrato il disegno intelligente della natura. Dio, sostengono, ha creato la frutta per essere mangiata dall'uomo, e la banana ne è la prova. Sta perfettamente nel palmo di una mano, è di facile apertura, e possiede anche un sistema di colori per stabilire se è commestibile: verde (troppo presto), gialla (ok), nera (troppo tardi).

Vanno forte, ovviamente, anche i documentari ispirati alla Bibbia. Centinaia di fedeli, muniti solo della loro webcam, ripercorrono e reinterpretano le gesta degli eroi delle sacre scritture. Un fenomeno di dimensioni tali da spingere GodTube a lanciare un concorso. L'autore del documentario biblico migliore vincerà un viaggio. In Palestina, ovviamente.

(20 marzo 2007)

 


++ ANSA 20-3-2007 COPPOLA, SEQUESTRATI 91 MILIONI IN TITOLI

 

ROMA - I militari del Nucleo Valutario della Guardia di Finanza hanno effettuato un sequestro preventivo di titoli - Mediobanca e Ipi - a Danilo Coppola per 91 milioni di euro. Circa 80 milioni sono in titoli Ipi, mentre 11 milioni di euro in titoli Mediobanca.
L'iniziativa e' dei pubblici ministeri Rodolfo Sabelli, Giuseppe Cascini e Lucia Lotti, titolari dell'inchiesta sul crac da 130 milioni di euro per il quale furono emesse ordinanze di custodia cautelare nei confronti dello stesso Coppola e di altre sette persone.
RESTA IN CARCERE COMMERCIALISTA CANDELORO
Il Tribunale del Riesame di Roma, presieduto da Giuseppe D'Arma, ha respinto la richiesta di scarcerazione di Daniela Candeloro, commercialista del gruppo che fa capo a Danilo Coppola, arrestata il primo marzo scorso insieme con lo stesso immobiliarista romano ed altre cinque persone nell'ambito dell'inchiesta della procura di Roma su un crac da 130 milioni di euro.
Candeloro e' accusata di associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta.
Per i pm Giuseppe Cascini, Rodolfo Sabelli e Lucia Lotti, che indagano sul gruppo che fa capo a Danilo Coppola, Daniela Candeloro avrebbe avuto un ruolo fondamentale nell'attivita' dell'immobiliarista romano comparendo al posto di quest'ultimo in numerose attivita' finanziarie. Circostanze, queste, comunque sempre smentite dalla donna che rivendica, tra l'altro, un ruolo marginale nella vicenda ed un'interruzione dei rapporti con l'immobiliarista dal 2005. Per la commercialista, il suo legale, Giuseppe Marazzita, aveva chiesto ai giudici del riesame la revoca della custodia cautelare o, in via subordinata, la concessione degli arresti domiciliari. Nei prossimi giorni Danilo Coppola, l'unico degli indagati a non aver ancora fatto ricorso al tribunale del riesame, potrebbe decidere, per tramite dei suoi legali Fabio Lattanzi, Bruno Assumma e Francesco Verri, di rivolgersi ai giudici competenti sulla legittimita' della misura restrittiva emessa nei suoi confronti.
INDAGATO PER AGGIOTAGGIO GIOVANNI ACAMPORA
L'avvocato Giovanni Acampora e' indagato per l'ipotesi di reato di aggiotaggio dalla procura della Repubblica di Roma, nell'ambito dell'inchiesta sul gruppo che fa capo all'immobiliarista Danilo Coppola. Acampora e' stato coinvolto in passato nelle inchieste della procura di Milano su Imi-Sir e Lodo Mondadori.
Perquisizioni dei militari del Nucleo valutario della Guardia di Finanza sono in corso nei locali nella disponibilita' di Acampora, che avrebbe avuto un ruolo nella gestione di un fondo Lussemburghese nella disponibilita' di Coppola. La Finanza, su disposizione dei pm Giuseppe Cascini, Rodolfo Sabelli e Lucia Lotti, ha sequestrato 80 milioni di euro (in titoli Mediobanca e Ipi) all'immobiliarista che, secondo l'accusa, sarebbero provento illecito della speculazione sul titolo della societa' Ipi. Nei confronti di Giovanni Acampora, il 23 febbraio scorso, la Corte di Appello di Milano aveva confermato la condanna ad un anno e sei mesi di reclusione per la vicenda del Lodo Mondadori.


++ Corriere della sera 20-3-2007 Effetto clima: in città non pioverà più.L'inquinamento mette a rischio le megalopoli. A Londra si studia come salvarle Claudio Colombo

 

Aria peggiore, scarsa visibilità, danni all'ecosistema: così le megacities condizionano l'intero ambiente

 

Città senza pioggia e megalopoli assetate per overdose di inquinamento. E’ una delle conseguenze di un fenomeno che sta allarmando i climatologi. In particolare, ad agire direttamente saranno le polveri sottili, sempre più presenti nelle città, e sempre più temibili: condensando intorno a sé gocce di pioggia troppo «leggere» per cadere a terra, porteranno nel giro di mezzo secolo a una quasi totale inibizione della pioggia, che si concentrerà in pochi e violenti episodi all’anno. Due studi recenti, il primo di Mario e Luisa Molina del Mit di Cambridge (Usa), il secondo di un gruppo di ricercatori del Max Planck Institut (Germania) e dell’Indian Institute of Technology, hanno confermato che l’inquinamento prodotto dalle megacities contribuisce in maniera significativa ai cambiamenti climatici in atto e hanno quindi un impatto globale: da Tokyo al centro Europa — ossia lungo il tipico percorso che va dall’Asia all’ovest degli Stati Uniti e di lì al Vecchio continente —vengono trasportati polveri sottili e gas precursori di importanti inquinanti come l’ozono (proprio al trasporto, tra l’altro, si deve quasi il 50% dei casi di inquinamento da ozono in Europa). Ma c’è chi si sta attrezzando: è il caso di Londra, che ha creato un’Agenzia per il clima che ha già prodotto buoni risultati, contribuendo al calo dell’anidride carbonica da traffico. Potrebbe essere un buon esempio per tutti. Oggi il 48% della popolazione mondiale (6 miliardi e 100 milioni) vive in agglomerati urbani: nel 2.030, su un totale di 8,1 miliardi, la quota sarà di 4,9 miliardi.

Crescerà dunque anche il numero delle megalopoli (e le dimensioni delle stesse), secondo una tendenza che ha portato la loro presenza da una nel 1950 (New York, con 12,3 milioni di abitanti), alle cinque del 1975, alle 20 di oggi. Megacity va considerata anche l’area urbana della Valpadana, che sull’asse Torino- Milano può contare circa 6 milioni di abitanti, non a caso (come dimostra anche la tabella che pubblichiamo), risulta una delle zone più inquinate del mondo. Ma quali sono, del dettaglio, le conseguenze di questa situazione? Molina&Molina non hanno dubbi: «Non si parla più di clima locale ma di effetti globali sul clima. Effetti sulla salute, innanzitutto. Le medie mondiali parlano di un aumento del tasso di mortalità giornaliera dello 0,6% (con una punta dell’1% a Città delMessico) per un aumento di 10 microgrammi per metro cubo nel carico di particolato. Poi, la diminuzione della visibilità anche del 50%, per l’effetto combinato di nebbie (è il caso della Valle del Po) e presenza di particelle di Pm 2,5. Infine, i danni all’ecosistema, con le piogge acide che si originano dagli ossidi di azoto e da quelli di zolfo. Questo significa acidificazione di terreni, fiumi e laghi, che comporta come prima conseguenza una riduzione della produttività agricola: nell’Europa centrale, per esempio, è stata del 30 per cento». Secondo i ricercatori, le emissioni delle megacities incideranno sempre più pesantemente sul riscaldamento globale: anche se occupano appena lo 0,2% della superficie della Terra, le megalopoli già oggi producono l’80% dei gas serra. Viverci, in un prossimo futuro, sarà sempre più una corsa ad ostacoli: pioverà meno, si respirerà malissimo e si morirà (maggiormente) di inquinamento.

20 marzo 2007


+ La Stampa 20-3-2007 Il 27 marzo 1957 la firma del Trattato di Roma che ha lanciato CEE E UE. Pro e contro nella settimana della grande festa. Di Marco Zatterin

 

I suoi primi cinquant'anni   

Basterebbe ricordare che da 62 anni in Europa non ci si ammazza e farla finita qui. Troppo facile, la pace non pare essere sufficiente. I cinquant’anni dell’Ue, che si celebrano per tutta la settimana e che avranno la loro glorificazione domenica con la Dichiarazione di Berlino,  raccontano passi avanti e disfatte, intuizioni e cecità, progressi e arretramenti. 
Ecco i principali.  Poi ognuno si faccia la sua idea.
Euratom, svanita. Introdotta già dal 1957, doveva garantire un mercato unico del nucleare, governando la distribuzione dell’energia fra i partecipanti. È mancata la disponibilità delle potenze a lavorare insieme e il consenso fra i cittadini. 
Mercato interno, funziona. Cittadini, merci, capitali e servizi, mai stati così liberi di circolare. E l’accordo di Schengen ha abolito i controlli alle frontiere.
Difesa comune, bocciata. Era partita male già nel 1954 con il no francese alla Comunità europea della Difesa. Si è puntato sull’Unione dell’Europa occidentale, a cui si è rinunciato per rientrare sotto l’ala atlantica della Nato.
Politica estera, vuota. L’eccezione all’incapacità di agire è stata il caso libanese della scorsa estate. Per il resto, una lunga serie di fallimenti.
Aiuti regionali, efficaci. Spagna, Portogallo e Irlanda si sono fatte nuove.  Anche nel Mezzogiorno d'Italia si sono visti gli effetti.
Protocollo sociale, sospeso. Previsto a Maastricht (1992). Si è realizzato molto meno di quanto promesso. 
Energia, speriamo bene. Sulla Carta l’Ue ha il più ambizioso programma del pianeta contro l’effetto serra. 
Immigrazione, in ritardo. Grandi sforzi, pochi risultati, tutti negli ultimi mesi. 
Erasmus, fantastico. Dal 1987 1,5 milioni di studenti sono andati a studiare all’estero. 
Burocrazia, malissimo. Ottantamila pagine di norme, talvolta corrette, altre incomprensibili. In cantiere un’azione per ridurre l’impianto del 25%. 
Dialogo democratico, carente. Il Parlamento, nonostante qualche progresso, resta lontano dai cittadini. 
Euro, sugli scudi. Moneta forte, poca inflazione, crescita robusta. Male l’inizio, adesso è ok.
Politica economica, assente. C’è l’euro ma non un coordinamento reale delle singole strategie. 
L’eurobrevetto, latitante. La mancanza di accordo fra le capitali ha convinto Bruxelles a rinunciare alla proposta. 
Opa europea, inutile. La direttiva sulle fusioni transfrontaliere ha rafforzato la difesa del mercato mentre intendeva fare il contrario. Da riscrivere.
Calcio, liberalizzato. Grazie alla sentenza Bosman (1995) l'Inter può schierare undici stranieri. 
Airbus e Galileo, in crisi. L’avventura aeronautica zoppica e il sistema di navigazione satellitare è fermo. 
Spiagge, pulite. A quanto pare si può fare il bagno lungo il 96% degli arenili europei.


+ Finanza e Mercati. 20-3-2007  Domani l'Abi approva il ricorso sulla manovra. Poi in diretta l'annuncio a Padoa-Schioppa. Di Francesco De Dominicis

 

Agli istituti non vanno giù gli sconti alle utility. Ma l'ok non è sicuro. I dubbi di Profumo Dopo una valutazione lunga cinque mesi, le banche rompono gli indugi e si preparano a presentare a Bruxelles il ricorso contro la Finanziaria 2007 e contro le norme sul cuneo fiscale. Il via libera all'esposto degli istituti di credito, salvo ripensamenti dell'ultim'ora, arriverà domani dal comitato esecutivo dell'Abi. L'associazione bancari ha dunque deciso di accodarsi all'Ania, che rappresenta invece le assicurazioni. Una riunione, quella di domani mattina a Roma, cui parteciperà per la prima volta il ministro dell'Economia. Tommaso Padoa-Schioppa farà il suo ingresso nella sala rossa di Palazzo Altieri attorno alle 11 (poi si fermerà a pranzo con i big del credito). E a quell'ora, probabilmente, i banchieri avranno già dato mandato ai legali dell'associazione di Piazza del Gesù per appellarsi alla commissione Ue. La scaletta del summit, insomma, sembra disegnata proprio per poter dare "in diretta" l'annuncio al ministro: per le banche i tagli selettivi per la riduzione della base imponibile Irap sono illegittimi e inaccettabili. Quello che non sembra andare giù al mondo bancario, in particolare, è l'ipotesi che il premier Romano Prodi, nell'ambito di una trattativa con l'Unione europea (è attesa a giorni la notifica della legge Finanziaria), decida di riammettere solo le utility e la società di interesse pubblico (come Telecom e Autostrade) tra i beneficiari delle riduzioni al costo del lavoro, lasciando ancora fuori il credito e le compagnie. Non solo. Il documento che domani sarà sul tavolo dei banchieri sottolinea pure "l'evidente ulteriore discriminazione a danno del settore creditizio, già penalizzato, sul fronte Irap (l'imposta regionale sulle attività produttive), per quanto concerne la determinazione di aliquote e base imponibile". Peraltro, si legge ancora nel rapporto dell'Abi, "tale disparità di trattamento si aggiunge, a quelle già rappresentate sia dall'applicazione, in alcune regioni, di aliquote Irap maggiorate a carico delle banche rispetto ad altri settori produttivi, sia dall'introdotta non deducibilità dalla base imponibile delle componenti reddituali (perdite, svalutazioni e accantonamenti) relative alla gestione di crediti delle imprese bancarie). Il semaforo verde al ricorso, comunque, non appare una formalità. "Alcuni di noi - fa notare uno dei membri dell'esecutivo - hanno già detto che tutto sommato l'esclusione delle banche dalle misure sul cuneo può essere in qualche modo compresa". A scorrere gli archivi si scopre, per esempio, che l'ad di Unicredit, Alessandro Profumo, gettò acqua sul fuoco, a ottobre, quando le banche cominciarono a parlare di ricorso Ue sulla Finanziaria.


+ L’Arena 20-3-2007  Etica e politica. Bagnasco avverte: alla manifestazione a Roma non sfileranno i vescovi. Ci saranno invece Arcigay e lesbica Il 12 maggio il giorno della famiglia Superati i contrasti, le associazioni cattoliche hanno stabilito la data

 

Roma. Si svolgerà il 12 maggio il raduno cattolico in difesa della famiglia. La decisione è stata presa ieri, superati i contrasti sorti tra le varie anime dell'associazionismo cattolico, dal Forum delle famiglie e dalla galassia di associazioni, movimenti e di nuove realtà ecclesiali italiane. L'annuncio arriva nel giorno in cui dalla Radio Vaticana un'insolita nota di padre Federico Lombardi ha denunciato la crisi nell'etica della comunicazione e invitato i media "a non strumentalizzare" la polemica sulle unioni di fatto descrivendo una Chiesa oscurantista. Ma monsignor Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e neopresidente della Cei, avverte: "Al Family Day i vescovi non ci saranno". Il Family Day, che si terrà a Piazza San Giovanni, non sarà, come si era pensato in un primo momento, una manifestazione di protesta contro il disegno di legge sui Dico e contro il governo con cardinali, vescovi e preti a sfilare con i politici di opposizione, sul modello di quella promossa dalla Chiesa nella Spagna di Zapatero. Né vuol essere una risposta alla mobilitazione pro-Dico di piazza Farnese. Con il passare dei giorni la protesta ha assunto toni meno duri, ha preso le distanze dal dibattito in corso al Senato sui Diritti dei conviventi. "Non è una questione politica, e il governo non c'entra niente", ha spiegato Giovanni Giacobbe, presidente del Forum delle famiglie, "la nostra azione propone la difesa della famiglia". Sarà, nelle intenzioni degli organizzatori, una riunione "laica". Il manifesto approvato ieri, elaborato da cinque "saggi" e intitolato "Più famiglia" - "ha richiami espliciti agli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione e la nostra posizione", ha aggiunto Giacobbe, è laica, di ancoraggio alla Costituzione". Non si tratta di una manifestazione spettacolare, ma di un happening colorato dove sono attese 100 mila persone, un'occasione per chiedere politiche a sostegno delle famiglie. Dal Vaticano nei giorni scorsi avevano fatto filtrare che l'unica raccomandazione del Papa è stata di evitare che i vescovi sfilino, al fianco di più di 40 associazioni. In un primo tempo invece era filtrata la notizia che sul palco ci sarebbe stato addirittura al cardinale Ruini. La raccomandazione della segreteria di Stato vaticana è stata seguita. E ieri Bagnasco ha precisato: "Non ci saranno i vescovi al Family Day. Quella è una iniziativa nata dal cuore dei laici, delle aggregazioni laicali, ha naturalmente tutto l'appoggio e il consenso da parte dei vescovi, dei pastori. Credo sia sufficiente questo, per non dare adito ad altre interpretazioni, inutili". E il centrodestra punta a cavalcare il Family Day. La Lega ha annunciato che sarà in piazza per difendere "la vera famiglia". Riccardo Pedrizzi, An, ha già fatto sapere che aderirà al "Family Pride". E Daniela Santanchè, An, ha lanciato una provocazione: "Romano Prodi assieme ad alcuni dei suoi ministri che pongono la famiglia al centro della loro politica, come Rosy Bindi e Clemente Mastella, dovrebbero essere in prima fila assieme a tanti di noi, cattolici e non cattolici". La ministra della Famiglia, che insieme alla ds Pollastrini ha firmato la legge sui Dico, diserterà l'appuntamento. Del resto non si era fatta vedere nemmeno alla manifestazione a Piazza Farnese. Il leader dell'Udeur e ministro della Giustizia invece ha anticipato che sarà in piazza, con il ministro dell'Istruzione Giuseppe Fioroni,Margherita. Parteciperanno al corteo anche le associazioni Arcigay, Arcilesbica, Lega italiana famiglie di fatto, "perché", hanno spiegato, "anche le nostre sono famiglie italiane". "Saranno le benvenute", ha fatto sapere Giacobbe. "Noi apriamo a tutti i cittadini italiani, ovviamente la piazza non è proprietà privata di nessuno e chiunque può intervenire".


+ Il Riformista 20-3-2007 Budget Guerra all'Iran ma quanto ci costi? L'indagine made in Usa. Gianni Ventola Danese.

 

Dopo le campagne militari in Afghanistan e in Iraq, si sa, soffiano venti di guerra tra Washington e Teheran. Cordesman e Al Rhodan del Center for Strategic and International Studies hanno pubblicato un accurato e approfondito studio che ne prevede i possibili scenari militari, con un interessante approfondimento sulle eventuali ricadute economiche. Si parla di quattro scenari possibili. Se i primi due si rivelano più che altro esercizi teorici, molto più realistici appaiono gli altri due. Lo scenario 3 parla di una guerra lampo, 500-600 attacchi, principalmente su obiettivi militari, da eseguirsi su un periodo di circa 10 giorni. L'opzione 4 prospetta invece un numero di attacchi nettamente superiore, almeno 2500, da eseguirsi in parecchie settimane di campagna. Lo studio contiene una fredda lista di tutti gli obiettivi possibili, sia militari che civili. La macroeconomia. L'economista Menzie Chinn ha letto il dettagliato studio strategico dalla prospettiva macroeconomica arrivando a conclusioni che non fanno dormire sonni tranquilli. In sostanza, facendo un confronto con i costi della guerra in Iraq, attaccare l'Iran secondo l'opzione 3 sembra avere tutti i connotati di un vantaggioso saldo di fine stagione: costerebbe meno di un miliardo di dollari. La guerra in Iraq costa ai contribuenti americani 9-10 miliardi di dollari al mese. Questi conti non considerano quanto costa (o costerà) la guerra ai contribuenti iracheni e iraniani. Neppure è chiaro quanti miliardi di dollari di danni possono fare un miliardo di dollari di bombe. Il problema, comunque, non è nemmeno questo. La storia ci insegna che chi comincia una guerra è sempre sicuro di vincerla e anche di vincerla alla svelta. Ma la storia ci insegna anche che molte sono state le amare delusioni in questo senso. Su questo punto, sia Menzie Chinn che Cordesman e Al Rhodan sono piuttosto preoccupati. L'Iran avrebbe dalla sua parte la possibilità di chiudere, almeno in parte, lo stretto di Hormuz, bloccando di fatto il flusso di petrolio dagli stati del Golfo all'Occidente. Le conseguenze per le economie occidentali sarebbero devastanti. Tanto per incominciare mille miliardi di dollari. Quelli che perderebbe l'economia statunitense subendo un crollo del proprio Pil di un 5%. Rubinetti chiusi. La fredda analisi macroeconomica non tiene certo in conto del disastro umanitario di una guerra del genere e delle sue conseguenze. Conseguenze sull'opinione pubblica, anche. Attribuire tutto il torto alla politica nucleare dell'Iran significherebbe ripetere un errore, esattamente come avvenne per la prima crisi del petrolio, negli anni 70. Allora si addossò la colpa ai cosiddetti cattivi sceicchi dell'Opec, nascondendo dietro a ragioni politiche ciò che invece aveva origini strutturali. Il vero fulcro della crisi era infatti il picco produttivo degli Stati Uniti. Oggi la vera causa della crisi è il picco di produzione globale, e additare l'Iran come unico responsabile del conflitto non basterebbe a far digerire all'opinione pubblica l'impennata a 250 dollari del costo del barile di petrolio (stima di Chinn). Di errori, nella nostra storia di esseri umani ne abbiamo fatti tanti, questo sarebbe uno dei peggiori, forse quello finale. Una crisi internazionale di tali proporzioni spingerebbe gli stati a sprecare le rimanenti risorse in spese e tecnologie militari, lasciando a secco il cruciale settore delle energie alternative, unica reale soluzione per uscire dalla dipendenza dal petrolio e, forse, dalle guerre.


+ Il Sole 24 Ore 20-3-2007 Al di là delle dichiarazioni ufficiali restano le perplessità sulle scelte italiane. Soddisfazione dagli USA. Mario Platero

IL VERTICE Nel colloquio con la Rice, D'Alema ha affrontato anche i casi Calipari e Abu Omar, ma il dipartimento di Stato frena sulle polemiche.

 

NEW YORK. Dal nostro corrispondente

Il segretario di Stato Condoleezza Rice e il nostro ministro degli Esteri Massimo D'Alema si sono visti ieri sera a Washington, una cena privata al ristorante Aquarelle del Watergate Hotel scelto dalla Rice, lontani dagli occhi indiscreti della stampa. Questo per riprendere il filo dei loro discorsi fuori dall'ufficialità, per ripercorrere la strada che ha portato alla liberazione di Daniele Mastrogiacomo, ma anche per discutere delle tensioni che negli ultimi mesi hanno caratterizzato i rapporti tra Italia e Stati Uniti. Sull'episodio di cronaca più recente,la liberazione del giornalista di Repubblica rapito dai talebani, la posizione della Rice e quella ufficiale del dipartimento di Stato è chiara, cioè che non si può non essere felici per questa liberazione:"Nessuno è più felice dei suoi famigliari e dei suoi amici ha dichiarato Sean McCormick, il portavoce della Rice e per questo siamo molto felici anche noi. Siamo anche molto tristi per l'uccisione del collaboratore afghano di Mastrogiacomo, questa è la dimostrazione che i talebani sono una forza oscura che vuole riportare indietro nel tempo l'orologio dell'Afghanistan". Sono parole molto calibrate, precise nel condividere la gioia dei famigliari per questa liberazione, una gioia privata che viene condivisa anche dal dipartimento di Stato. Ma non è chiarose ildipartimento di Stato è altrettanto felice per i metodi scelti dal nostro Governo: la trattativa diretta per la liberazione di un ostaggio è infatti esclusa dalle autorità americane, si teme che si possano stabilire dei precedenti pericolosi e da più parti in America vi sono state critiche anche pubbliche (per esempio sul Wall Street Journal) per l'apertura di un negoziato che in un'altra occasione costerà la vita di altre persone. E difatti McCormack evita anche di rispondere sulla questione dei prigionieri talebani liberati dal Governo afghano a Kabul. è in questo minuetto di parole che emerge il compromesso: gli Usa non hanno messo il veto alla liberazione per "aiutare" l'alleato italiano.A Washington non si può dimenticare che l'Italia è schierata sul fronte libanese con 2mila uomini, su quello dei Balcani con 7.500 soldati (dove abbiamo il contingente più importante, e forse ne arriveranno altri 500 in sostituzione di un contingente inglese in partenza). Che in Afghanistan infine, dove la conferma per la permanenza del contingente italiano è costata politicamente al nostro Governo, vi sono circa 1.900 soldati. Uno schieramento a tutto campo di quasi 12mila soldati a fronte del quale per Washington diventa difficile rifiutare un "favore". Tanto più che ci si è resi conto della fragilità del nostro Governo. E forse anche sulle "controversie" di cui il nostro ministro ha voluto discutere con la Rice, il caso Calipari e la "rendition" di Abu Omar, il dipartimento di Stato sarà pronto ad ascoltare. Un gioco delle parti che si rende necessario per accontentare la sinistra irriducibile che fa parte della coalizione di Governo. C'è da chiedersi però fino a che punto l'America faràla sua parte pubblica: fonti autorevoli infatti ci confermano che alla Casa Bianca vi è molta irritazione per certe azioni del nostro Governo. Non ultima proprio quella di negoziare col nemico talebano, che proprio ieri ha attaccato un convoglio americano. Ma non c'è dubbio che oggi prevale il linguaggio della diplomazia su quello della schiettezza. E molte di queste differenze resteranno chiuse nel discreto colloquio a due di ieri notte nella capitale americana.


+ Il Tirreno 20-3-2007 Prato La lotta all'illegalità si impara a scuola. Melania Mannelli.

 

Gli studenti del Datini in "missione" a Strasburgo e Palermo PRATO. Eurostudenti pratesi si sono calati, per un giorno, nei panni di europarlamentari. I ragazzi delle classi IVec e IVbec dell'Istituto tecnico Datini, nell'ambito del "Progetto educazione alla legalità", hanno presentato il 24 febbraio, al Parlamento di Strasburgo, tre mozioni. Ovvero tre testi, relativi ad altrettanti problemi, da sottoporre all'attenzione dell'Assemblea. Ieri mattina, a scuola, si è concluso il loro percorso, con l' incontro dell'europarlamentare Guido Sacconi, che quel giorno a Strasburgo, causa impegni, non riuscì ad essere presente. E che stavolta ha promesso loro una risposta da parte del Parlamento Europeo. Hanno partecipato all'incontro anche il Provveditore Davide Biccari, l'ex preside Matilde Griffo, il presidente del Consiglio Provinciale Juri Nannetti, l'assessore comunale Andrea Mazzoni e l'assessore provinciale Irene Gorelli. Protagonisti tra l'altro di alcune interviste realizzate dagli studenti per mettere a punto la loro missione, raccolte e mostrate ieri in un video. Dopo un lungo lavoro di preparazione, svolto in modo particolare con la coordinatrice del progetto Anna Carpani, gli intraprendenti studenti hanno imparato a scrivere una mozione. Scelti gli argomenti, hanno steso tre testi in diverse lingue: inglese, tedesco e francese. E'nata quindi la mozione "Lo schiavismo nello sport", che parla di quei piccoli calciatori, soprattutto stranieri, che entrano a far parte di società anche dilettantistiche, senza aver terminato gli studi, nell'illusione di poter sfondare nel mondo del calcio. Con "Anno Zero", invece, l'attenzione si sposta sull'opportunità, per gli studenti stranieri, di seguire per un anno un corso di lingua italiana a tempo pieno e di essere solo successivamente inseriti in una classe. Infine la mozione "La politica internazionale della U.E.", cerca di sollecitare una maggiore coesione dei paesi aderenti alla U.E. in materia dei conflitti internazionali. Le mozioni sono state presentate anche in due licei stranieri, quello tedesco di Friburgo e quello francese di Colmar. Un confronto che ha spalancato le porte al gemellaggio. Ma il "Progetto educazione alla legalità" ha fatto ancora di più. Ha portato infatti un gruppo di studenti del terzo anno dell'indirizzo turistico vicino a Palermo, per visitare i terreni e le strutture confiscate ai mafiosi. Qui hanno potuto fare la conoscenza di Salvo Vitale e Felicetta Impastato, così come di Rita Borsellino. Quindi si sono incontrati con gli studenti del Liceo Basile (edificio sequestrato ai mafiosi), con i quali è nato un bel gemellaggio.


Da ANSA 20-3-2007. Vicenda Mastrogiacomo. Arrestato il mediatore

(ANSA)-ROMA, 20 MAR-Il mediatore nella trattativa per la liberazione di Mastrogiacomo, Rahmatullah Hanefi, e' stato arrestato da agenti dei servizi segreti afgani. Lo ha detto PeaceReporter nel suo sito. Hanefi, capo del personale dell'ospedale di Emergency a Lashkargah in Afghanistan meridionale, ora e' detenuto e sotto interrogatorio nella sede della National Security di Lashkargah. Gino Strada ha subito chiesto il suo immediato rilascio al locale capo dei servizi e al governatore della provincia di Helmand.
2007-03-20 07:35:00

 


La Repubblica 20-3-2007 Merkel e prodi, asse per l'Europa "rilanciamo insieme la Costituzione" - Andrea Tarquini

La Cancelliera a Roma per i 50 anni dei Trattati: "Che emozione vedere i luoghi delle radici della Ue" Merkel e Prodi, asse per l'Europa "Rilanciamo insieme la Costituzione" "Lo scudo missilistico va discusso dalla Nato e dal Consiglio consultivo con Mosca" Prodi: "Sono felice che il summit sia a Berlino, città simbolo di antiche divisioni e ora di unità" ANDREA TARQUINI ROMA - "Grazie di cuore, Romano, per l'appoggio ai nostri sforzi di rilanciare l'Europa". Angela Merkel sorride, nel consueto abito-pantalone nero, alla conferenza stampa con il presidente del Consiglio a Palazzo Chigi. Ha stampata sul volto la consapevolezza del suo nuovo prestigio internazionale. "Noi ti siamo grati", replica Prodi, "per il tuo impegno per rimettere in moto il processo europeo". Sorrisi, intesa quasi ostentata, unità d'intenti. Nella sua breve ma intensa visita in Italia, in vista del solenne vertice-celebrazione del week-end a Berlino per i 50 anni dei Trattati di Roma, la "donna più potente del mondo" ha ritrovato un'Italia europeista. In cui cerca una sponda e un alleato. Prodi è d'accordo, appoggia il colpo d'acceleratore tedesco. Elogia "il grande sforzo che la Germania sta facendo per far ripartire il cammino dell'Europa interrotto dai no alla Costituzione in due referendum nazionali". Non sarà facile, concordano i due governi, ma "il processo di ratifica e attuazione della Costituzione deve ripartire. L'Unione ha bisogno di arrivare alle elezioni europee del 2009 con istituzioni rafforzate, più efficienti". Questa visita, ha sottolineato Merkel, "per me è stato anche un momento di forte emozione: sono venuta a vedere i luoghi delle grandi radici della Ue. L'emozione del ricordo ci deve spingere a decidere insieme dove l'Europa può e deve andare nel futuro". L'avvenire della Ue è stato tema centrale dei colloqui Merkel-Prodi. Al summit del week-end, la Dichiarazione di Berlino proporrà le priorità per far ripartire il processo costituzionale. Secondo molti, in realtà, sarebbe stato più giusto tenere invece il summit a Roma, città della firma dei Trattati. "Ma non c'è stato nessun disaccordo", ha sottolineato Prodi. Così come non ci sono problemi bilaterali. "Roma avrebbe potuto ospitare il summit, ma io sono felice che si tenga a Berlino, città che fu simbolo dell'Europa divisa e oggi è simbolo dell'Europa unita". Ma entusiasmi e celebrazioni non bastano. L'Europa, ha insistito Angela Merkel, deve parlare unita e con voce forte sui grandi temi internazionali, essere presente nelle grandi crisi. Deve favorire un approccio multilaterale, battersi per un ruolo rafforzato delle Nazioni Unite. Proprio la crisi iraniana "mostra che l'Europa può contare solo se agisce insieme, unita". Il rilancio dell'Europa voluto da Merkel passa anche da una politica energetica comune: Italia e Germania devono fare di più in questo campo, e lavorare insieme nelle energie rinnovabili: sono tra i principali importatori di energia del mondo. Da Prodi Merkel cerca anche un appoggio in un difficile contenzioso con l'America di Bush: i piani americani per costruire uno scudo antimissile contro la possibile futura minaccia dei razzi atomici iraniani. Uno scudo con rampe di lancio e basi radar in due paesi della Ue e della Nato, Polonia e Repubblica cèca. "Ne abbiamo parlato", ha detto la cancelliera. "E abbiamo convenuto che se ne deve discutere in sede Nato e nel Consiglio di consultazione tra l'Alleanza atlantica e la Russia". E' una questione delicata, e non sono opportune iniziative unilaterali. Il consiglio di consultazione Nato-Russia è un'importante istituzione per creare fiducia. Berlino si mostra decisa a una linea di fermezza unitaria dell'Europa contro i piani atomici di Ahmadinejad, ma anche determinata a non creare dannose tensioni con la Russia e a non spaccare il fronte tra Occidente, Mosca e Pechino alle Nazioni Unite.

 

La Cancelliera a Roma per i 50 anni dei Trattati: "Che emozione vedere i luoghi delle radici della Ue" Merkel e Prodi, asse per l'Europa "Rilanciamo insieme la Costituzione" "Lo scudo missilistico va discusso dalla Nato e dal Consiglio consultivo con Mosca" Prodi: "Sono felice che il summit sia a Berlino, città simbolo di antiche divisioni e ora di unità" ANDREA TARQUINI ROMA - "Grazie di cuore, Romano, per l'appoggio ai nostri sforzi di rilanciare l'Europa". Angela Merkel sorride, nel consueto abito-pantalone nero, alla conferenza stampa con il presidente del Consiglio a Palazzo Chigi. Ha stampata sul volto la consapevolezza del suo nuovo prestigio internazionale. "Noi ti siamo grati", replica Prodi, "per il tuo impegno per rimettere in moto il processo europeo". Sorrisi, intesa quasi ostentata, unità d'intenti. Nella sua breve ma intensa visita in Italia, in vista del solenne vertice-celebrazione del week-end a Berlino per i 50 anni dei Trattati di Roma, la "donna più potente del mondo" ha ritrovato un'Italia europeista. In cui cerca una sponda e un alleato. Prodi è d'accordo, appoggia il colpo d'acceleratore tedesco. Elogia "il grande sforzo che la Germania sta facendo per far ripartire il cammino dell'Europa interrotto dai no alla Costituzione in due referendum nazionali". Non sarà facile, concordano i due governi, ma "il processo di ratifica e attuazione della Costituzione deve ripartire. L'Unione ha bisogno di arrivare alle elezioni europee del 2009 con istituzioni rafforzate, più efficienti". Questa visita, ha sottolineato Merkel, "per me è stato anche un momento di forte emozione: sono venuta a vedere i luoghi delle grandi radici della Ue. L'emozione del ricordo ci deve spingere a decidere insieme dove l'Europa può e deve andare nel futuro". L'avvenire della Ue è stato tema centrale dei colloqui Merkel-Prodi. Al summit del week-end, la Dichiarazione di Berlino proporrà le priorità per far ripartire il processo costituzionale. Secondo molti, in realtà, sarebbe stato più giusto tenere invece il summit a Roma, città della firma dei Trattati. "Ma non c'è stato nessun disaccordo", ha sottolineato Prodi. Così come non ci sono problemi bilaterali. "Roma avrebbe potuto ospitare il summit, ma io sono felice che si tenga a Berlino, città che fu simbolo dell'Europa divisa e oggi è simbolo dell'Europa unita". Ma entusiasmi e celebrazioni non bastano. L'Europa, ha insistito Angela Merkel, deve parlare unita e con voce forte sui grandi temi internazionali, essere presente nelle grandi crisi. Deve favorire un approccio multilaterale, battersi per un ruolo rafforzato delle Nazioni Unite. Proprio la crisi iraniana "mostra che l'Europa può contare solo se agisce insieme, unita". Il rilancio dell'Europa voluto da Merkel passa anche da una politica energetica comune: Italia e Germania devono fare di più in questo campo, e lavorare insieme nelle energie rinnovabili: sono tra i principali importatori di energia del mondo. Da Prodi Merkel cerca anche un appoggio in un difficile contenzioso con l'America di Bush: i piani americani per costruire uno scudo antimissile contro la possibile futura minaccia dei razzi atomici iraniani. Uno scudo con rampe di lancio e basi radar in due paesi della Ue e della Nato, Polonia e Repubblica cèca. "Ne abbiamo parlato", ha detto la cancelliera. "E abbiamo convenuto che se ne deve discutere in sede Nato e nel Consiglio di consultazione tra l'Alleanza atlantica e la Russia". E' una questione delicata, e non sono opportune iniziative unilaterali. Il consiglio di consultazione Nato-Russia è un'importante istituzione per creare fiducia. Berlino si mostra decisa a una linea di fermezza unitaria dell'Europa contro i piani atomici di Ahmadinejad, ma anche determinata a non creare dannose tensioni con la Russia e a non spaccare il fronte tra Occidente, Mosca e Pechino alle Nazioni Unite.


L’Unità 20-3-2007 RIDARE SMALTO all'Europa. Proiettarla verso il futuro prima delle elezioni del 2009 di Ninni Andriolo

Stai consultando l'edizione del di Ninni Andriolo / Roma RIDARE SMALTO all'Europa. "Proiettarla verso il futuro prima delle elezioni del 2009". Secondo Romano Prodi il cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma, dovrà rappresentare l'occasione per rilanciare il processo d'integrazione europea, di qui a due anni, in vista del voto per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo. Nelle ore concitate che hanno preceduto la liberazione di Daniele Mastrogiacomo - e in quelle successive, e più serene, dell'incontro con Angela Merkel - il premier ha voluto mettere l'accento sulla "necessità" dell'unità europea e di "'nuove regole" che archivino definitivamente il "lutto" provocato dal "no" referendario di Francia e Olanda alla Costituzione europea. Voltare pagina e "guardare avanti", quindi. Alla vigilia delle celebrazioni ufficiali che si svolgeranno sabato prossimo a Berlino, il premier ha incontrato la stampa a Palazzo Chigi. Per spiegare, tra l'altro, che la cerimonia alla quale parteciperanno i capi di stato e di governo dei 27 paesi dell'Unione dovrà rappresentare un contributo concreto "al rilancio del processo di integrazione". A quell'appuntamento berlinese, però, corrisponderanno in Italia "manifestazioni per festeggiare l'Europa della democrazia e della partecipazione dei giovani" che per l'Italia dovrà rappresentare "una porta verso il futuro e non una finestra sul passato". Il 23 marzo Prodi, insieme al Capo dello Stato, Napolitano, con 600 rappresentanti delle regioni e degli enti locali, parteciperà ad una cerimonia solenne che si terrà a Roma e alla quale interverrà anche il Presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso. Un appuntamento questo che, con altre manifestazioni in programma per ricordare il centenario della nascita di Altiero Spinelli e i primi 20 anni di Erasmus, dovrà favorire l'impegno a "guardare avanti" e "aiutare tutti a ritrovare la fiducia e gli stimoli necessari per portare a compimento il più grande progetto di pace e benessere nel mondo contemporaneo"'. Anche perché, come sottolinea il Presidente del Consiglio, l'assenza in questi anni di una linea europea comune di politica estera ha rappresentato "un danno oggettivo per la pace". Regole chiare per rilanciare il processo d'integrazione, quindi. Ma nessun compromesso al ribasso, nessun "mini-trattato" che surroghi quello bocciato da francesi e olandesi. Da qui la conferma della necessità di un "documento comune che diventi un punto di riferimento per mezzo miliardo di cittadini". Ma per il leader Ds, Piero Fassino - che ieri ha partecipato a un convegno dell'Istituto per gli studi di politica internazionale - "C'è un deficit di legittimazione democratica del processo di integrazione europea ed è il momento di affrontare questo nodo, perché la forza e l'autorevolezza alla politica la dà il consenso dei cittadini". Secondo il leader della Quercia "per fare passi in avanti" verso l'Europa, ci sono decisioni che possono essere assunte "con misure stralcio senza richiedere una Costituzione". Per Prodi, in ogni caso, l'idea di rilanciare da subito l'Europa è condivisa anche da Angela Merkel, volata appositamente in Italia - come presidente di turno del Consiglio europeo - per avviare da Roma le manifestazioni del cinquantennale che si svolgeranno nei prossimi giorni in tutta Europa. La Cancelliera tedesca è stata ricevuta anche dal Presidente della Repubblica. Un "accordo solido" sull'Europa quello che unisce Roma e Berlino. Insieme a Merkel e al sindaco Veltroni, Prodi, ha visitato ieri sera la sala degli Oriazi e Curiazi del Campidoglio, dove 50 anni furono firmati i Trattati e dove, per l'occasione vengono proiettate su cinque schermi le immagini delle tappe salienti della costruzione dell'Unione europea.

 

/ Roma RIDARE SMALTO all'Europa. "Proiettarla verso il futuro prima delle elezioni del 2009". Secondo Romano Prodi il cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma, dovrà rappresentare l'occasione per rilanciare il processo d'integrazione europea, di qui a due anni, in vista del voto per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo. Nelle ore concitate che hanno preceduto la liberazione di Daniele Mastrogiacomo - e in quelle successive, e più serene, dell'incontro con Angela Merkel - il premier ha voluto mettere l'accento sulla "necessità" dell'unità europea e di "'nuove regole" che archivino definitivamente il "lutto" provocato dal "no" referendario di Francia e Olanda alla Costituzione europea. Voltare pagina e "guardare avanti", quindi. Alla vigilia delle celebrazioni ufficiali che si svolgeranno sabato prossimo a Berlino, il premier ha incontrato la stampa a Palazzo Chigi. Per spiegare, tra l'altro, che la cerimonia alla quale parteciperanno i capi di stato e di governo dei 27 paesi dell'Unione dovrà rappresentare un contributo concreto "al rilancio del processo di integrazione". A quell'appuntamento berlinese, però, corrisponderanno in Italia "manifestazioni per festeggiare l'Europa della democrazia e della partecipazione dei giovani" che per l'Italia dovrà rappresentare "una porta verso il futuro e non una finestra sul passato". Il 23 marzo Prodi, insieme al Capo dello Stato, Napolitano, con 600 rappresentanti delle regioni e degli enti locali, parteciperà ad una cerimonia solenne che si terrà a Roma e alla quale interverrà anche il Presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso. Un appuntamento questo che, con altre manifestazioni in programma per ricordare il centenario della nascita di Altiero Spinelli e i primi 20 anni di Erasmus, dovrà favorire l'impegno a "guardare avanti" e "aiutare tutti a ritrovare la fiducia e gli stimoli necessari per portare a compimento il più grande progetto di pace e benessere nel mondo contemporaneo"'. Anche perché, come sottolinea il Presidente del Consiglio, l'assenza in questi anni di una linea europea comune di politica estera ha rappresentato "un danno oggettivo per la pace". Regole chiare per rilanciare il processo d'integrazione, quindi. Ma nessun compromesso al ribasso, nessun "mini-trattato" che surroghi quello bocciato da francesi e olandesi. Da qui la conferma della necessità di un "documento comune che diventi un punto di riferimento per mezzo miliardo di cittadini". Ma per il leader Ds, Piero Fassino - che ieri ha partecipato a un convegno dell'Istituto per gli studi di politica internazionale - "C'è un deficit di legittimazione democratica del processo di integrazione europea ed è il momento di affrontare questo nodo, perché la forza e l'autorevolezza alla politica la dà il consenso dei cittadini". Secondo il leader della Quercia "per fare passi in avanti" verso l'Europa, ci sono decisioni che possono essere assunte "con misure stralcio senza richiedere una Costituzione". Per Prodi, in ogni caso, l'idea di rilanciare da subito l'Europa è condivisa anche da Angela Merkel, volata appositamente in Italia - come presidente di turno del Consiglio europeo - per avviare da Roma le manifestazioni del cinquantennale che si svolgeranno nei prossimi giorni in tutta Europa. La Cancelliera tedesca è stata ricevuta anche dal Presidente della Repubblica. Un "accordo solido" sull'Europa quello che unisce Roma e Berlino. Insieme a Merkel e al sindaco Veltroni, Prodi, ha visitato ieri sera la sala degli Oriazi e Curiazi del Campidoglio, dove 50 anni furono firmati i Trattati e dove, per l'occasione vengono proiettate su cinque schermi le immagini delle tappe salienti della costruzione dell'Unione europea.

 


La voceditalia.it 20.3.2007 Angela Merkel ospite a Roma. Prodi, "L'Europa esiste solo se si agisce insieme" Tra gli argomenti in agenda istituzioni europee, rapporti bilaterali e politica estera. Andrea Venturini

 

Il cancelliere tedesco, a colloquio con Romano Prodi, sottolinea la necessità del multilateralismo

Roma 20 Mar.- Istituzioni europee, rapporti bilaterali tra Germania e Italia, energie rinnovabili e politica estera. Sono stati questi gli argomenti affrontati durante il faccia a faccia avvenuto ieri a Palazzo Chigi tra il presidente del consiglio Romano Prodi e il cancelliere tedesco Angela Merkel, in visita nella capitale in occasione del cinquantenario dei Trattati di Roma. Un incontro cordiale, come ha sottolineato Romano Prodi, in cui sono affiorate le affinità di vedute tra i due governi, su tutti gli aspetti affrontati.

Il premier ha voluto elogiare lo sforzo che sta compiendo la Germania durante il suo semestre di presidenza europea per rilanciare la nascita di una Costituzione comune, dopo la brusca frenata seguita al fallimento del referendum a favore della costituzione in Francia e Olanda, nel 2005. "Il nostro obiettivo – ha dichiarato Prodi – è di arrivare all’importante appuntamento delle elezioni del 2009 con le nuove istituzioni rafforzate". Per quanto riguarda i problemi comuni ai due paesi, è emersa la necessità di lavorare insieme soprattutto nel campo delle energie rinnovabili. Italia e Germania sono infatti tra i più grandi importatori al mondo di energia, ecco perché è necessaria secondo il presidente del consiglio "una nuova politica di energie rinnovabili, di reti comuni e di ricerche comuni". Anche a livello internazionale le posizioni dei due governi sono molto vicine.

 Entrambi hanno infatti manifestato la necessità di un approccio multilaterale ai grandi problemi di politica internazionale, su tutti quello della proliferazione nucleare dell’Iran. "L’Europa esiste solo se si agisce insieme", ha sottolineato Angela Merkel. Il cancelliere ha poi manifestato tutto il suo appoggio alla conferenza sull’Afghanistan proposta da Massimo d’Alema, ma ha poi raggirato l’argomento di un eventuale coinvolgimento dei talebani, come proposto da Piero Fassino. La Merkel ha rilanciato la necessità del multilateralismo anche in ambito Nato, per quanto riguarda il progetto di installazione di uno scudo antimissile in Repubblica Ceca da parte degli Usa, che ha provocato in questi giorni una forte frattura tra Berlino e i governi polacco e ceco.

La visita ufficiale della Merkel è iniziata ieri pomeriggio dalla sala degli Orazi e dei Curiazi, nei musei capitolini, proprio dove cinquant’anni fa vennero firmati i trattati costitutivi della CEE. Ad accogliere la Merkel sono stati il sindaco di Roma Walter Veltroni e il presidente del consiglio Romano Prodi, con i quali la leader tedesca si è soffermata ad ammirare la teca che custodisce il libro contenente il testo originale dei Trattati. "Desideravo particolarmente venire a Roma – ha dichiarato la Merkel - in occasione del cinquantenario. Mi sono particolarmente emozionata nel venire qui, questo è il modo migliore per percepire lo spirito delle radici dell’UE e per manifestarne la fierezza di farne davvero parte oggi".

Il fatto che le celebrazioni ufficiali del cinquantenario dell’Unione Europea si svolgano a Berlino, e non a Roma ha avuto il pieno consenso del presidente del consiglio, secondo cui è "giusto aderire ad una amichevole e diretta richiesta del governo tedesco, proprio perché l’Europa è fatta di aiuti e di una immediata comprensione reciproca. Sono particolarmente felice – ha continuato Prodi - che si festeggi a Berlino, che prima era l’esempio dell’Europa divisa, mentre ora è l’esempio dell’Europa unita".


Il Giorno 20-3-2007 D'Alema e Condy Rice La cena delle spine Il ministro: Spero di superare le turbolenze

 

D'Alema e Condy Rice La cena delle spine Il ministro: "Spero di superare le turbolenze" dall'inviato GIAMPAOLO PIOLI ? NEW YORK ? UN INCONTRO all'ora di cena non nella sala da pranzo del dipartimento di Stato ma in un luogo "privato" di Washington, è indicato nei protocolli diplomatici come più amichevole e meno ufficiale di un faccia a faccia vero e proprio fra i ministri degli esteri di Stati Uniti e Italia. A volte però la sostanza del dialogo può assumere un significato più importante proprio perché meno formale e più libero. Condoleezza Rice e Massimo D'Alema si conoscono già bene. Hanno avuto modo di frequentarsi spesso durante l'estate per la missione in Libano e non sono mai arrivati a momenti di scontro. Questa visita lampo che precede di poche ore la presentazione dell'idea italiana di una conferenza di pace sull'Afganistan al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, come minimo è un gesto di cortesia verso l'alleato americano, ma al tempo stesso anche un chiaro segnale di collaborazione che l'Italia di Romano Prodi manda a Bush proprio alla vigilia del rifinanziamento della missione a Kabul. IL RAPIMENTO di Abu Omar e il caso Calipari hanno visto contrapposte Roma e Washington. Ieri poi la liberazione di Daniele Mastrogiacomo, negoziata direttamente dall'Italia con i talebani e il governo afgano potrebbero aver accentuato le tensioni. Anche se il dipartimento di Stato ha detto di essere felice per la libertà del giornalista italiano è noto che gli Stati Uniti sui sequestri sono intransigenti: non si tratta. "Sono molto onorato dell'invito ? ha detto D'Alema partendo per Washington ?. Vado nella speranza di superare queste turbolenze con gli Usa. Solleverò questi problemi con la signora Rice con quale discuteremo di diversi temi internazionali. Credo che ci sarebbero una serie di cose che gli Usa dovrebbero fare, più che l'Italia". D'Alema non si è voluto spingere oltre prima della cena privata con la Rice alla quale attribuiva comunque molta importanza anche per valutare probabilmente la possibilità del primo summit di Bush col presidente del consiglio Romano Prodi, che non si incontrano dal luglio del 2006, al G8 di San Pietroburgo. Oltre alla questione palestinese, sulla quale la Rice si è consultata con i paesi del quartetto ribadendo che gli Usa continueranno ad avere contatti con membri del nuovo governo che non appartengono ad Hamas, D'Alema presenterà in anteprima al segretario di Stato americano l'idea italiana del "tavolo della pace". Ma la Farnesina non ha voluto anticipare se il ministro degli esteri illustrerà alla collega americana l'ipotesi lanciata da Fassino di estendere anche ai talebani l'invito al negoziato. La posizione americana sui guerriglieri afgani che attaccano il governo eletto di Kabul è arcinota e Bush non ha mai ipotizzato un loro ritorno a un ruolo politico nel paese, nemmeno se deponessero immediatamente le armi, anzi li ha sempre trattati come "nemici combattenti", a partire dall'11 settembre e quasi sensa distinguerli dai terroristi di Al Qaeda, con i più pericolosi ha sempre riempito le gabbie di Guantanamo e le carceri segrete della Cia. Difficile immaginare una svolta radicale in questa direzione anche davanti ad un piatto del Maryland. D'ALEMA però ha una fitta agenda da discutere con la Rice e sicuramente i casi Abu Omar e Calipari, "già chiusi" per gli americani, potrebbero diventare non elemento di conflitto, ma parte di un pragmatico negoziato di "scambio" fra Italia e Usa che dietro qualche accordo "top secret" possa soddisfare e tacitare entrambi i governi. Ieri a Roma il cancelliere tedesco Merkel premettendo che "la Germania non si fa ricattare" ha appoggiato il linea di principio la conferenza sull'Afganistan proposta dall'Italia. Senza rispondere esplicitamente all'idea di invitare i talebani ha aggiunto che "l'importante è che punti a rafforzare il governo di Karzai".

 


Il Corriere della Sera 20-3-2007. Scalate bancarie, udienza su 150 telefonate con politici. Da D'Alema a Berlusconi e Fassino: pm e legali indicano per quali chiedere l'autorizzazione alle Camere. Luigi Ferrarella

 

MILANO — Oggi gli avvocati degli 84 indagati del procedimento Antonveneta sono stati convocati dal giudice Forleo per valutare come maneggiare le 150 intercettazioni che coinvolgono parlamentari. Ci sono la telefonata (già nota) che festeggia la scalata Antonveneta tra il banchiere Gianpiero Fiorani ed Emilio Gnutti, con il cellulare del finanziere bresciano che a un certo punto passa in mano a Silvio Berlusconi; e anche due inedite telefonate tra l'allora amministratore di Unipol, Giovanni Consorte, e Massimo D'Alema.

La telefonata (già nota) che festeggia la scalata Antonveneta tra il banchiere Gianpiero Fiorani e Emilio Gnutti, con il cellulare del finanziere bresciano che a un certo punto passa in mano all'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi; ma anche due inedite telefonate tra l'allora amministratore di Unipol, Giovanni Consorte, e il leader dei Ds e attuale ministro degli Esteri, Massimo D'Alema. Poi le tante telefonate del senatore forzista Luigi Grillo con Fiorani e la moglie del governatore di Bankitalia, Antonio Fazio; ma anche alcune conversazioni tra Consorte e il segretario dei Ds, Piero Fassino, e molte tra il top manager Unipol e un dalemiano doc, Nicola Latorre. Il filo telefonico diretto tra l'immobiliarista Stefano Ricucci e il senatore di Forza Italia Romano Comincioli; ma anche qualche telefonata nella quale uno dei tanti indagati si ritrova a parlare con Marcello Dell'Utri o Cesare Previti, con l'Udc Ivo Tarolli o il leghista Giancarlo Giorgetti. Centocinquanta: tante sono — fra le 14mila telefonate intercettate nell'estate 2005 nell'inchiesta milanese sulle scalate bancarie che ha poi dato luogo a tre fascicoli (Antonveneta, Bnl, e Rcs) — le conversazioni nelle quali è accaduto che fosse un parlamentare l'interlocutore del soggetto di volta in volta sottoposto a regolare intercettazione dai pm su autorizzazione del gip Clementina Forleo. E oggi ci vorrà l'Aula Magna del palazzo di giustizia per accogliere gli avvocati (anche due per difesa) degli 84 indagati del procedimento Antonveneta, convocati proprio dal giudice Forleo per cominciare a maneggiare formalmente questo delicato e ibrido materiale: o meglio quella parte di esso che, all'epoca, l'accusa ritenne nè penalmente rilevante per i parlamentari indirettamente intercettati, nè necessaria per motivare i procedimenti (di sequestro di beni o di arresto di persone) emessi contro gli indagati; ma che ora sia l'accusa sia le difese hanno invece facoltà di ritenere comunque utili nel futuro processo, come elementi a carico o a discarico degli indagati.

Il problema, infatti, sta nei paletti posti dalla legge per le telefonate che abbiano parlamentari come interlocutori: se le parti (pm o difensori) ritenessero che qualcuna di queste telefonate possa giovare alle proprie tesi, le intercettazioni non potrebbero essere utilizzate senza prima che a concedere l'autorizzazione fosse l'organo di appartenenza (Camera o Senato) del parlamentare indirettamente ascoltato sul telefono dell'indagato intercettato. Per questo oggi i pm e gli indagati (tramite i loro difensori) potranno indicare al gip Forleo le telefonate di loro interesse, e chiedere al giudice che inoltri al Parlamento le relative richieste di autorizzazione. Allo stato è impossibile immaginare quante e quali di quelle intercettazioni verranno proposte per l'utilizzazione: le parti, infatti, potrebbero oggi chiederle tutte; non chiederne alcuna (e allora verrebbero distrutte e nessuno le conoscerebbe mai più); chiedere quelle di alcuni parlamentari e non di altri; chiedere di un parlamentare alcune telefonate sì e altre no. Nel frattempo, per continuare a proteggere fino all'eventuale autorizzazione delle Camere queste telefonate (di cui appositamente non è sinora stata disposta neppure la trascrizione), è stata adottata una macchinosa procedura. Quando un mese fa la Procura ha chiuso l'indagine Antonveneta e depositato i relativi atti agli 84 indagati, ha messo a disposizione degli avvocati anche tutte queste telefonate con parlamentari (comprese quelle nel frattempo confluite nei fascicoli Bnl e Rcs ancora in indagini coperte per il resto da segreto): ma ne ha subordinato l'ascolto materiale a una trafila burocratica che individuasse chi ascoltava quale telefonata, senza peraltro possibilità nè di duplicarne il file audio nè di prendere appunti sul contenuto. Di più: tra gli atti depositati e consegnati su dvd ai legali, l'elenco delle telefonate (data, ora, chiamante, chiamato) è stato omissato, e solo negli uffici dei pm gli avvocati hanno potuto visionare l'originale, facendosi almeno un'idea dei nomi dei parlamentari in questione. Sarà anche per questo, ma sta di fatto che nessun avvocato è andato ad ascoltare sinora le telefonate dei parlamentari (salvo lo staff del senatore Grillo che ha ascoltato quelle del proprio assistito).

20 marzo 2007


Da Aprileonline.info 19-3-2007 Pd, c'è posto per tutti. O quasi Luca Sofri, 

 

Dibattito      I grandi partiti dei regimi maggioritari e bipolari non sono quella cosa di appartenenza e identità militante a cui è abituata la nostra vecchia politica, ma dei contenitori di idee, appartenenze e intenzioni molto diverse tra loro

 

È chiaro a tutti che l'eventuale Partito Democratico avrà un tratto di disomogeneità assai rilevante. È la ragione stessa delle sue difficoltà ante litteram: a fare un partito che conti solo noi stessi siamo capaci tutti, ma già dal secondo coinvolto nascono le prime divergenze.
Ora, l'idea alla base del Partito Democratico è un'idea discutibile, ma senz'altro nuova: ed è non solo che si faccia un nuovo partito, ma che d'ora in poi si intenda il partito come una cosa diversa da come lo si è inteso in Italia finora. I grandi partiti dei regimi maggioritari e bipolari non sono quella cosa di appartenenza e identità militante a cui è abituata la nostra vecchia politica, ma dei contenitori di idee, appartenenze e intenzioni molto diverse tra loro.
In questo - e si spera solo in questo - le persone che li votano assomigliano ai tifosi di una squadra di calcio: c'è una cosa su cui siamo d'accordo, e molte su cui siamo diversi, ma al momento di sostenere quella cosa ce ne dimentichiamo. Non si equivochi: il paragone si limita all'avere pochi obiettivi comuni (la Champions, lo scudetto, l'acquisto di Ronaldinho, i diritti delle minoranze, la modernizzazione del paese, il funzionamento delle scuole e degli ospedali) e molte differenze. Appartenere a un partito, o votarlo, non è più un tratto somatico, o identitario: è un mezzo, e non un fine.
Questo per dire che il nuovo Partito Democratico necessiterà di un'evoluzione nell'atteggiamento che lo sostenga, e non un'impensabile omologazione delle idee di chi vi appartenga. Quindi ognuno di noi che decidesse di sostenerlo dovrà abbozzare rispetto alle proprie insofferenze per questo o quello. Sarà un grande partito di centrosinistra, e ci sarà dentro di tutto.

No, non proprio di tutto. Sarà un grande partito di centrosinistra, e questo qualcosa dovrà pur significare. Pur accettando le adesioni di chiunque, non potrà avere tra i suoi rappresentanti eletti e tra i suoi leader persone che con il centrosinistra non c'entrano affatto. E non parlo in termini di storia: come ho detto, l'appartenenza si giocherà sulla condivisione di valori e progetti, non sull'identità e la storia personale.

Ma proprio per questo, sarà inaccettabile che un simile partito porti in parlamento persone che continuino a vedere il carcere solo come uno strumento punitivo e vendicativo, per fare un esempio. O, per farne un altro, persone che sostengono pubblicamente che gli omosessuali siano "contro natura", o cattivi genitori in quanto tali. Questi sono esattamente gli argomenti per cui non ci si allea con i fascisti. Insomma, è vero che dentro il Partito Democratico dovranno stare molti modi di intendere la sinistra. Ma non quelli che la intendono di destra.
Altrimenti, se è solo questione di vincere le elezioni ad ogni costo e assoldando ogni De Gregorio che passa, allora quello siamo riusciti a farlo anche senza Partito Democratico.


INDICE 19-3-2007

Daniele Mastrogiacomo è libero !

 

 

 

 

++ La Stampa 19-3-2007 Washington scettica su Fassino «Trattare con i talebani? Idea sbagliata». Di Maurizio Molinari

+ La Repubblica Affari e finanza 19-3-2007  La crisi della New Century irrompe su Wall Street. Eugenio Occorsio

+ Il Sole 24 Ore 19-3-2007  Barclays e Abn Amro trattano per fusione (da 155 miliardi di dollari). Annuncio a breve

+ L’Unità 19-3-2007 Londra, l'Istituto italiano di cultura censura il film sulla Borsellino. Marzio Tristano

+ La Stampa 19-3-2007  Un Garante da buttare Riccardo Barenghi

La Repubblica 19-3-2007 L'alba dei catto-comunisti. Mario Pirani

Il Riformista 19-3-2007 Sarà un appello a fermare i “compagni socialisti”? 1

Da marketpress.info 19-3-2007 Il Parlamento europeo ha sollecita maggiore impegno nel campo della responsabilità sociale delle imprese (Rsi). 2

Il Manifesto 19-3-2007 Guerre Viaggio nella "società civile" di Kabul Le mille delusioni dell'altro Afghanistan  4

La Repubblica 19-3-2007 Già ubriachi prima della discoteca. "Effetto bomba" per i baby alcolisti   Maria Novella De Luca  6

La Stampa 19-3-2007 Sorry, lo spinello fa male MARIA CHIARA BONAZZI 8

 


Daniele Mastrogiacomo è libero !

 


++ La Stampa 19-3-2007 Washington scettica su Fassino «Trattare con i talebani? Idea sbagliata». Di Maurizio Molinari

 

Ma c'è anche chi dice: dialogo possibile Molti dubbi, aspre critiche ma anche qualche interesse: è questa la reazione a Washington di esperti di terrorismo e politologi alla proposta avanzata da Piero Fassino di invitare i talebani a un’ipotetica conferenza di pace sull’Afghanistan. A farsi portavoce dei dubbi è Patrick Clawson, direttore del Washington Institute.

Secondo Clawson «i talebani politicamente sono molto deboli, divisi, non hanno mai dimostrato capacità di amministrare governi e tantomeno di negoziare accordi internazionali» e dunque «l’idea di Fassino rischia di essere inefficace» in quanto rivolta «ad un insieme di guerriglieri, leader tribali e terroristi che hanno poco in comune tranne la fedeltà al mullah Omar». Da un centro studi vicino all’amministrazione Bush come l’Hudson Institute arriva invece un commento più tagliente: «Trattare con i talebani sull’Afghanistan equivale a sedersi al tavolo con Himmler sull’assetto della Germania del dopoguerra o con i repubblichini di Salò per decidere il futuro dell’Italia - osserva Laurent Murawiec, analista di terrorismo -. La pace che cerca Fassino è quella dei cimiteri e ciò che mi sorprende di più non è il cedimento all’estrema sinistra italiana quanto il fatto di pensare di potersi sedere allo stesso tavolo con degli assassini feroci. Dopo i talebani Fassino con chi altro vorrà parlare? Con Osama bin Laden o Ayman Al Zawahiri?».

Interesse viene invece da Charlie Kupchan, titolare degli Studi Europei al Council on Foreign Relations di New York, secondo cui «da un lato risponde alla verità che la pace si fa con i nemici, e dall’altro gli Stati Uniti lo stanno già facendo in Iraq con la Siria e l’Iran». E ancora: «E’ difficile non immaginare che siano in corso contatti segreti in Afghanistan fra comandanti americani e leader tribali che hanno collegamenti con i talebani». La perplessità di Kupchan non è sull’idea in sé quanto sull’opportunità di lanciarla in coincidenza con le trattative per la liberazione di Daniele Mastrogiacomo. «Il sequestro di un connazionale porta un governo ad affrontare la questione di quanto sia lecito trattare, pagare in denaro o versare altri prezzi politici per ottenerne la liberazione» sottolinea Kupchan, e dunque «non è il momento giusto per avanzare una proposta politica così complessa come una conferenza internazionale di pace» senza contare che «il principale ostacolo a una simile conferenza non sarebbero gli Usa ma la difficoltà di far discutere attorno a uno stesso tavolo il presidente Karzai con il leader del Pakistan Musharraf, in quanto hanno avuto forti dissapori» proprio sui temi della sicurezza, della lotta al terrorismo e dei rapporti con i talebani.

Vincent Cannistraro, ex capo dell’antiterrorismo della Cia, è in sintonia con Kupchan. Richiamandosi alla realpolitik «dimostrata da questa amministrazione nel dialogare lontano dai riflettori con Siria, Iran, Moqtada al Sadr e la Corea del Nord», Cannistraro ritiene che «non vi sarebbe nulla di anomalo nell’esistenza di contatti diretti anche con i talebani», ma il problema è un altro: «I talebani politicamente sono fratturati, non esistono come unica entità politica, chiunque prendesse accordi finirebbe per apparire non credibile in un negoziato». Anche per queste ragioni Cannistraro ritiene che dietro la trattativa su Mastrogiacomo vi sia il mullah Omar in persona: «Dadullah è un comandante che dà il proprio nome a una trattativa complessa ed importante, nella quale i rapitori stanno chiedendo al governo afghano prezzi politici in crescendo e ciò è possibile solo a patto che chi tratta prenda direttamente gli ordini dal mullah Omar» ovvero il super-ricercato leader dei talebani latitante dalla fine del 2001 che, secondo fonti governative afghane, si nasconderebbe nella città pakistana di Quetta. C’è un altro punto sul quale Cannistraro e Kupchan concordano: «Se D’Alema ha detto che non si può trattare all’infinito con i talebani ha ragione, riaprire adesso la trattativa sarebbe l’errore più grande». L’apertura di Fassino ai talebani è stata registrata anche al Dipartimento di Stato dove però la portavoce Nancy Beck afferma che «per avere un nostro commento ufficiale serve tempo». Anche perché questa sera proprio D’Alema cenerà a Washington con il segretario di Stato Condoleezza Rice.

 


+ La Repubblica Affari e finanza 19-3-2007  La crisi della New Century irrompe su Wall Street. Eugenio Occorsio

 

In America si chiamano 'obbligazioni collateralized', dove il 'collaterale' è la proprietà di un immobile. Ma dato che le proprietà degli immobili stanno rapidamente svalutandosi, come un castello di carte la complessa architettura finanziaria costruita intorno ad esse si sta smantellando. Sembrava una storia secondaria, da pagine interne nei giornali finanziari, invece ha aperto una sentina illimitata, tutto intorno alla crisi del mercato delle case americano, che travolge ora le più blasonate banche Usa. La crisi della New Century Financial è il campanello d'allarme di una ben più profonda crisi che molti paragonano alla bolla speculativa della new economy del 2000. Andiamo con ordine. La New Century è stata sospesa d'ufficio dalle quotazioni del New York Stock Exchange martedì scorso, dopo che il titolo aveva perso l'80% in poche ore, e lo U.S.Attorney's Office for the Central District of California, dove ha sede, le ha notificato una subpoena, una comunicazione giudiziaria per informare di aver aperto un'inchiesta sulle pratiche da essa usate. Anche la Sec ha annunciato che sta indagando sulla finanziaria. Insomma, un disastro: sarebbe di 8,4 miliardi di dollari l'ammontare del 'buco' di cassa, cioè della somma che dovrebbe pagare e non è in grado farlo se si presentassero tutti insieme i creditori allo sportello. Il tribunale di Los Angeles l'ha avviata d'ufficio alle procedure dal Chapter 11 del Federal Bankruptcy Code, l'anteprima del fallimento. Perché quest'inferno? La New Century è specializzata nella concessione di muti immobiliari subprime, cioè ad un tasso d'interesse superiore a quello comunemente praticato ai clienti 'normali'. Perché superiore? Perché i clienti della New Century sono debitori in possesso di una scheda personale non propriamente immacolata. Intendiamoci, nessun reato: però un passato di non perfetta solvibilità, di rate di prestiti saltate, di tempi sulla restituzione dei fondi sulla carta di credito con qualche proroga. Insomma, debitori a rischio. Perciò pagano un tasso superiore agli altri, ma i soldi gli vengono prestati lo stesso. L'anno scorso, il 13,5% dei mutui immobiliari in America è rientrata in questa categoria, rende noto la Mortgage Bankers Association, comparati con il 2,6 del 2000. Complessivamente, il 'subprime market' era di 600 miliardi di dollari nel 2006, il 20% dei 3.000 miliardi di tutti i mutui immobiliari esistenti in America: nel 2001 la percentuale era pari ad appena il 5,6. In questo scenario, a fine 2006 le delinquency, cioè le inadempienze contrattuali intese come ritardi superiori ai 60 giorni, sono schizzate al 13% comparato con l'8% di un anno prima. Di conseguenza, le foreclosure, appartamenti su cui le banche mettono le mani perché l'occupante non ha pagato il mutuo, sono aumentate del 25%. Il quadro si sta rapidamente deteriorando. Alla base c'è una doppia circostanza fatale: la crescita dei tassi e la diminuzione delle quotazioni delle case. E' da tenere presente un'abitudine inveterata negli Stati Uniti, quella di prendere in prestito ulteriori soldi dando in garanzia la casa. E' il diabolico refinancing: le banche, di fronte agli aumenti di valore delle case, prestano sempre nuovi soldi all'intestatario di un mutuo. Di solito questi soldi vengono utilizzati per finanziare i consumi: non a caso c'è ora in America una marcata diminuzione dei consumi individuali. Ma questi fondi possono venire usati anche per pagare le rate del mutuo precedentemente avuto sulla stessa casa. Un circuito diabolico che evidentemente si spezza quando la casa non si rivaluta più. Le finanziarie non possono più prestare soldi, e il meccanismo s'interrompe. Qualcuno a quel punto pensa di vendere la casa, ma sempre a causa della rapida svalutazione in corso, non è facile oggi vendere un appartamento. Non è finita. I guai si sovrappongono. Un agguerrito gruppo di banche sia commerciali che d'investimento, dalla Citigroup alla Morgan Stanley, da Goldman Sachs a Lehman Brothers, ha chiesto alla New Century di restituire i prestiti. È successo questo: le banche prestano soldi alla New Century per aiutarla a prestare a sua volta soldi agli acquirenti di case un po' malmessi. La New Century accorda il mutuo e poi cede secondo i meccanismi della cartolarizzazione, interi stock di crediti alle banche. Questi li 'impacchettattano', li trasformano in obbligazioni (il cui rating di solito è AAA quindi tutt'altro che pessimo) e li piazzano sul mercato. Ma ora che la New Century fa mancare la 'base' su cui si appoggiavano queste obbligazioni, le banche hanno a disposizione alcune clausole per recuperare parte degli ammanchi. La New Century però non ha a disposizione i fondi per pagare le penali. E gli analisti dicono che le banche d'investimento dovrebbero tener presente questa circostanza e tagliare drasticamente i loro utili trimestrali.

 


+ Il Sole 24 Ore 19-3-2007  Barclays e Abn Amro trattano per fusione (da 155 miliardi di dollari). Annuncio a breve

 

La britannica Barclays Bank sarebbe in trattativa per una fusione con la rivale olandese Abn Amro. Se l’accordo andasse in porto nascerebbe un colosso mondiale con una capitalizzazione da 81 miliardi di sterline, pari a 155 miliardi di dollari, 47 milioni di clienti e 220mila dipendenti nel mondo. Un annuncio è atteso entro domattina, secondo quanto ha detto un portavoce di Barclays a «Il Sole 24 Ore». Il negoziato sarebbe in una fase preliminare e Barclays si sarebbe presentata nella veste di “cavaliere bianco” per un’operazione di soccorso. Abn Amro è infatti da tempo nel mirino degli investitori. In particolare, l’hedge fund Tci di Chris Hohn accusa l’amministratore delegato di Abn Amro, Rijkman Groenink, di avere creato poco valore per gli azionisti da quando si è insediato nel 2000. E ciò malgrado una robusta campagna di investimenti e acquisizioni di banche all’estero, compresa l’Italia dove oggi opera come Banca Antonveneta Abn Amro.
John Varley, l’ambiziosissimo amministratore delegato di Barclays, pare determinato a ridare lustro a un istituto che una volta era tra le 10 prime banche del mondo e oggi è scivolata al 15° posto. Da quando è giunto alla guida di Barclays, nel settembre 2004, Varley ha schiacciato l’acceleratore sull’espansione all’estero. Non è la prima volta nella storia di Barclays. Ma la banca in passato ha avuto cocenti delusioni e ha dovuto procedere a umilianti ritirate, come accadde negli anni ’80 nel nostro Paese.
Oggi Barclays in Italia opera con 20 sportelli al dettaglio di cui alcuni con il marchio Banca Woolwich nei mutui ipotecari. Il progetto è di raggiungere in totale quota 50 tra Milano e Roma entro fine anno.
Barclays non pare peraltro essere l’unica candidata all’acquisto di Abn Amro. Le attività della banca olandese, distribuite in varie parti del mondo fanno gola a rivali come la francese Bnp Paribas o la spagnola Bbva. L’approccio di Barclays potrebbe, secondo gli analisti, scatenare una corsa all’acquisto. Le grandi manovre sono appena cominciate.
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+ L’Unità 19-3-2007 Londra, l'Istituto italiano di cultura censura il film sulla Borsellino. Marzio Tristano

 

Non si parla di mafia al British Museum. Si rischia di identificare la Sicilia con Cosa Nostra e di enfatizzare tutti gli stereotipi convenzionali relativi all'Italia. Per questo il film documentario «Un'altra storia», che racconta la sfida siciliana di Rita Borsellino nei confronti del governatore poi eletto Totò Cuffaro, portatori di due concezioni opposte della politica in Sicilia, non va proiettato al festival «Conversation in Film», in programma a Londra, organizzato dal dipartimento di antropologia dello University College. Pena, il ritiro del sostegno finanziario da parte dell'ambasciata italiana.
Contenuto in una lettera inviata al direttore del festival Patrick Hazard, il diktat dell'istituto italiano di Cultura a Londra non ha lasciato spazio a ripensamenti ma neanche ad obbedienze: il film prodotto da Playmaker produzioni è stato proiettato regolarmente sabato sera al British Museum e il dibattito che ne è seguito ha portato a galla un incomprensibile ed irrituale atteggiamento censorio dell'istituto italiano di cultura condannato da tutti i presenti, molti dei quali hanno annunciato mail di protesta nei confronti dell'ambasciata.

Girato da quattro registi, Laura Schimmenti, Marco Battaglia, Gianluca Donati e Andrea Zulini, il film ricostruisce la campagna elettorale delle regionali del 2006, dalle primarie in cui la Borsellino ha superato il concorrente della Margherita Ferdinando Latteri fino alla sfida persa con Cuffaro. La pellicola racconta due Sicilie, quella raccolta attorno al sistema di potere di Totò Cuffaro e quella che, con la candidatura della sorella del magistrato ucciso dalla mafia, ha sognato di scardinare questo sistema per iniziare, appunto, «Un'altra storia». Ma all'istituto italiano di cultura della capitale inglese il film non è piaciuto: «Non voglio entrare nel merito di un dibattito sociologico sulle tendenze in Sicilia - scrive nella lettera il prof. Pierluigi Ballotta, direttore dell'istituto - né voglio discutere la vostra scelta dei documentari che ritenete più idonei per l'obiettivo del festival. Ciò nonostante, non riusciamo a cogliere in questo documentario un approccio antropologico, né tanto meno europeo, che riteniamo sia uno degli obiettivi del festival». «Date le circostanze consideriamo inappropriato che l'ambasciata italiana e l'istituto italiano appoggino tale visione dell'Italia - conclude - siamo spiacenti di informarla che, stando così le cose, dobbiamo ritirare il nostro supporto, e il nostro logo, da questa iniziativa».

Al festival inglese hanno deciso di rinunciare ai soldi italiani, ma non alla proiezione del film: «Sono molto orgoglioso di proiettare «Un'altra storia» al LIDF - ha scritto il direttore del festival ai produttori - è il nostro piccolo aiuto per sostenere voi e il messaggio che avete espresso nel film». E la regista Laura Schimmenti commenta: «Sono molto sorpresa dalla decisione dell'istituto italiano di Cultura. Ringrazio il direttore del festival per non aver ceduto al tentativo di censura, che consideriamo un sopruso. Parlare di mafia e di atteggiamento mafioso non significa solo raccontare la Sicilia e i morti ammazzati, ma anche conservare la dignità e la coscienza che gridare di fronte ai soprusi è il più importante dei modi per combattere il sistema mafioso».

 


 

+ La Stampa 19-3-2007  Un Garante da buttare Riccardo Barenghi

Silvio Sircana non sa cosa farà in futuro, un futuro prossimo. Non sa se resterà al suo posto di portavoce unico del governo oppure se si dimetterà. Lo dice a tutti coloro con i quali parla in questi giorni amari, spiegando anche che sarebbe meglio se quella famigerata foto fosse stata pubblicata. Dice anche che per ora è rimasto al suo posto per seguire il sequestro di Daniele Mastrogiacomo, che conosce da quando erano ragazzi e che, naturalmente, spera di rivedere presto sano e salvo. Dopo di che, deciderà. Forse non reggerà a lungo in una posizione tanto delicata, soprattutto quando tutti sanno che la foto che ritrae la sua macchina accanto a una prostituta (transessuale o donna non si sa, dall’immagine non si distingue e non è così fondamentale) gira nelle redazioni dei giornali. E se anche non venisse pubblicata, lui e tutti i giornalisti con i quali deve avere rapporti istituzionali sanno che c’è. Sa soprattutto, Sircana, che si tratta di un’arma di ricatto tanto implicita quanto micidiale. Ovviamente è una decisione che spetta a lui, ma se alla fine decidesse di lasciare non gli si potrebbe dar torto: la sua immagine, per come si valuta oggi l’immagine, non ne esce certamente più limpida. E con la sua, quella del governo e del premier che rappresenta.
Ma per quanto ci riguarda, pensiamo che lui non abbia fatto nulla di tanto grave. Come milioni e milioni di italiani, che magari di giorno si trasformano in ipocriti moralisti, si è lasciato tentare da un’avventura notturna di sesso a pagamento. C’è andato da solo, con la sua macchina privata, come un uomo qualsiasi, non ha usato il suo potere per ottenere chissà quali favori da chissà quale donna o uomo o trans bella e famosa. Sono insomma fatti suoi, anzi sarebbero fatti suoi se qualcuno in cerca di soldi non lo avesse sorpreso e fotografato e non fosse stato intercettato al telefono. Così Sircana è finito in quell’inchiesta che, tra improprie fughe di verbali, sta comunque svelando lo sporco gioco di una banda di ricattatori. Si può discutere sull’opportunità che un uomo che ricopre un ruolo pubblico e così delicato come quello di Sircana non resista a queste tentazioni, e magari avrebbe fatto meglio a resistere. Si può stigmatizzare il fatto che moltissimi uomini vadano a puttane. Ma non si può sostenere che chi ci è andato non possa fare il portavoce, il parlamentare, il ministro, il manager, il direttore di giornale. Altrimenti si rischierebbe di decimare la nostra classe dirigente.
Dunque Sircana, per quanto ci riguarda, potrebbe restare al suo posto. Chi invece al suo posto non dovrebbe restare è un personaggio che ricopre un altro ruolo delicato, ossia il Garante per la privacy, Francesco Pizzetti. E non a causa di qualche suo comportamento privato e moralmente disdicevole, di cui nulla sappiamo e non ci interessa minimamente sapere. Ma proprio per i suoi atti pubblici, anzi il suo atto pubblico. Quello con cui inasprisce le pene per chi pubblica notizie irrilevanti (secondo lui) che riguardano la sfera privata e sessuale delle persone (anzi personaggi). Se solo Pizzetti avesse emanato il suo diktat quando sotto i riflettori e sui giornali finivano persone meno importanti di Sircana, avremmo potuto discutere nel merito del provvedimento. Se cioè fosse giusto o sbagliato, se le pene fossero troppo leggere o pesanti.
Invece Pizzetti ha fatto finta di niente, lui che doveva garantire la privacy non si curava della privacy di tanta gente. Molti di loro, come Sircana, non colpevoli di nulla (se non di farsi gli affari loro, ovviamente sessuali, che sennò non c’è notizia). Ma vittime, come Sircana, di un tentativo di estorsione. Niente, il Garante non c’era e se c’era dormiva. Si è svegliato solo al momento giusto (per lui), quando cioè sotto tiro era finito il portavoce del presidente del Consiglio. Evidentemente Pizzetti ha letto La fattoria degli animali di Orwell, cioè la parodia dello stalinismo in cui «tutti gli animali sono uguali, ma i maiali sono più uguali». Peccato solo che non ne abbia colto il sarcasmo.

 


 

La Repubblica 19-3-2007 L'alba dei catto-comunisti. Mario Pirani

 

Sessant'anni fa Togliatti si accordava con la Dc sull'articolo 7 della Costituzione Il Pci accolse i Patti Lateranensi e avviò una strategia di dialogo che sarebbe arrivata fino al compromesso storico. Una lunga stagione politica di cui si discute in vista del Partito democratico. Il partito democratico è davvero "l'idea forza per galvanizzare il nostro popolo, l'unica chance che abbiamo per battere il centrodestra", come esclama, con entusiasmo un po' disperato, Michele Salvati, tra i principali estensori del Manifesto dei Democratici? Lasciando in sospeso l'interrogativo c'è da augurarsi che l'Unione sappia presentarsi con una panoplia più ricca di armi e di argomenti e con una capacità unitaria capace di esprimersi oltre l'orizzonte del partito democratico, qualora questo non avesse ancora superato le doglie del parto al momento del voto, specie se anticipato. L'incertezza di questo appuntamento spiega forse anche il carattere ultimativo imposto da Piero Fassino ("non si può più tornare indietro") alla dialettica congressuale, da cui dovrebbe scaturire la decisione dell'auto scioglimento ds, concepita evidentemente come una strategia senza altre alternative. I sostenitori del Pd avanzano in proposito due argomenti: alle ultime politiche si calcola che i ds abbiano raccolto il 17,5 dei voti e la Margherita il 10,7. Non sono percentuali paragonabili a quelle raccolte dagli schieramenti riformisti negli altri paesi europei. L'altro argomento a favore è la parallela ispirazione riformista sia dei post comunisti sia dei post dc, per cui, a quasi vent'anni dalla caduta del muro di Berlino, essendo venute meno le ragioni storiche della loro contrapposizione, non avrebbe più senso una separazione non suffragata da una sostanziale differenziazione politica. Vi è, peraltro, almeno a mio avviso, un altro elemento imponderabile e che potrebbe dare, come nel gioco d'azzardo quando si becca l'en plein, una soddisfazione di gran lunga più decisiva delle attese aritmetiche: l'esplodere propulsivo di un sentimento di massa, scaturito dalla combinazione tra l'attesa sempre delusa, ma sempre risorgente di unità e concordia del popolo di centro sinistra, e la nascita del nuovo partito. Dipenderà dal modo e dal come si presenterà, dalla sua apertura e trasparenza, dal grado di sterilizzazione percepita delle dinamiche partitiche e di potere fino ad oggi prevalenti e sempre più mal sopportate dall'opinione pubblica di qualsivoglia tendenza, dalla formazione e dal profilo della leadership. Tutte premesse per ora lontane, poiché allo stato dell'arte, purtroppo, la gestazione in corso denota un appiattimento sul presente, quasi questo partito democratico venisse proposto per una subitanea illuminazione o per un calcolo strumentale di scarso respiro. Eppure credo che se si collocasse questa svolta nella ormai lunga vicenda del rapporto tra mondo cattolico e sinistre e si uscisse dalle questioni di breve momento, le incomprensioni e i dilemmi si collocherebbero in una dimensione storica che consentirebbe di riconoscerli alla radice. E forse di chiarire quale obbiettivo viene proposto, al di là del prossimo o meno prossimo risultato elettorale. Tanto per fissare una periodizzazione partirò da un giorno ormai lontano, l'11 marzo 1947, quando Palmiro Togliatti illustrò su quale terreno di "compromesso" (compare qui per la prima volta quella formulazione che, dice T., "non ha in sé un senso deteriore" e che Berlinguer riprenderà molti anni dopo) giudicasse possibile costruire una Costituzione che valesse ben oltre "gli accordi politici contingenti dei partiti che possono costituire una maggioranza". Suo interlocutore privilegiato è Giorgio La Pira, in quella stagione il rappresentante più alto, assieme a Giuseppe Dossetti, del pensiero cattolico. Le parole di La Pira che aveva parlato poco prima, ascoltate con "appassionato interesse" dal capo del Pci hanno indicato "la via per la quale siamo arrivati a quella unità che ci ha permesso di dettare queste formulazioni (gli articoli basilari della Costituzione, n.d.r.). Effettivamente c'è stata una confluenza di due grandi correnti: da parte nostra un solidarismo - scusate il termine barbaro - umano e sociale; dall'altra parte un solidarismo, di ispirazione ideologica e di origine diversa, il quale però arrivava, nella impostazione e soluzione concreta di differenti aspetti del problema costituzionale, a risultati analoghi a quelli cui arriviamo noi. Questo è il caso dei diritti del lavoro, dei cosiddetti diritti sociali; è il caso della nuova concezione del mondo economico, né individualistica né atomistica, ma fondata sul principio della solidarietà e del prevalere delle forze del lavoro; è il caso della nuova concezione e dei limiti del diritto di proprietà. Né poteva far ostacolo a questo confluire di due correnti... la concezione... della dignità della persona... vi era qui un altro punto di confluenza della nostra corrente, socialista e comunista, colla corrente solidaristica cristiana... Se questa confluenza di due diverse concezioni su un terreno ad esse comune volete qualificarla come "compromesso" fatelo pure". Solo pochi giorni dopo, il 27 marzo, dc, comunisti (col voto contrario di Concetto Marchesi e Teresa Noce) e qualunquisti faranno approvare l'art. 7 che sancisce l'inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione, malgrado l'opposizione dei socialisti e di buona parte de partiti repubblicani e laici. Si apre in quel momento la lunga stagione del catto-comunismo che segnerà tutta la storia della prima Repubblica e non solo la Costituzione scritta ma altresì la Costituzione materiale, quell'assieme di norme, leggi, regolamenti e prassi parlamentari, suddivisione di poteri, riforme di vario segno, comportamenti consolidati che hanno caratterizzato in modo permanente e vincolante l'operato di quello che fu chiamato l'arco costituzionale. Assai meno lineare, già da allora, come si è visto con l'art.7 ma non solo, il rapporto fra le due sinistre, comunista e socialista. E se dal 1948 al 1956 la stagione della guerra fredda rinsalderà il patto di unità d'azione e il comune impegno nei sindacati, comuni e cooperative, la repressione prima a Poznan, poi in Ungheria porterà ad un progressivo distacco e a una ripresa dell'autonomia socialista. Chi poi, come Giorgio Amendola, tenterà di sostenere nel Pci l'esigenza di un partito unico di sinistra di stampo riformista, uscirà isolato e sconfitto. La partecipazione del Psi ai governi di centro sinistra darà nuovi incentivi alla ostilità, ancor prima che compaia Craxi all'orizzonte. Ma quel che qui preme sottolineare è la funzione che il rapporto coi cattolici assume per impedire ogni possibile trasformazione del Pci in un partito socialdemocratico. Nel settembre-ottobre 1973 Enrico Berlinguer con due articoli su Rinascita prende le mosse dal colpo di Stato di Pinochet in Cile per trarre la conclusione che, neppure con il 51 per cento dei voti, le sinistre possano e debbano andare al governo. Di qui la proposta del compromesso storico che corona un ragionamento esplicito: "Noi parliamo non di una alternativa di sinistra ma di una alternativa democratica, e cioè della prospettiva politica di una collaborazione e di una intesa delle forze popolari di ispirazione comunista e socialista con le forze popolari di ispirazione cattolica". Incardinando in questa nuova fase la strategia consociativa inaugurata da Togliatti, Berlinguer, da un lato, approfondirà il rapporto con la Dc che con Moro toccherà l'acme, proponendosi di ottenere l'avallo cattolico per arrivare alla cancellazione della conventio ad excludendum senza affrontare una profonda revisione della natura del partito, dall'altra, taglierà ogni prospettiva all'autonomia socialista negando alla radice la possibilità di un governo delle sinistre, persino nel caso avessero ottenuto la maggioranza assoluta dei suffragi. Su questa premessa sbagliata e conservatrice il Pci arriva al crollo del Muro e alla fine dell'Urss. L'empito dell'anti socialismo, che si confonde con l'anti craxismo, si riverbera anche nel neonato Pds. L'approdo al partito socialista europeo e la patetica operazione della Cosa due avvengono per partenogenesi: vetero e post comunisti si autobattezzano socialdemocratici, guardandosi bene dal recuperare e far accedere alla stanza dei bottoni gli ex socialisti, anche quando si chiamano Giuliano Amato e Giorgio Ruffolo. Contemporaneamente viene respinta anche quell'ipotesi di "partito democratico" avanzata da Walter Veltroni, come involucro di trasformazione radicale e di modernizzazione dell'ex Pci. è guardando a questo storico retroterra, che ci accompagna almeno da cinquant'anni, che il giudizio sul costituendo partito democratico si fa più approfondito. Le varianti col passato sono senz'altro notevoli. In primo luogo fino a ieri e certamente da Togliatti a Berlinguer il catto-comunismo costituiva il terreno comune, sovente para istituzionale, di compromesso politico e sociale, fra due partiti ben distinti, fieri della loro identità e, almeno in alcuni periodi, aspramente contrapposti. Oggi siamo di fronte ad un salto di qualità: la creazione di un partito unificato tra post dc e post comunisti, un parto assai tardivo ma non incestuoso del compromesso storico. Se così è appare anche abbastanza naturale il distacco dal Pse, un impronta genetica troppo recente e, dunque, eliminabile senza dolore per una buona parte dei post comunisti. Il discorso, peraltro, non si chiude qui perché lascia aperto il quesito su quale cultura risulterà egemonica nel nuovo partito. è lecito presumere che i ds si presentino col bagaglio più leggero avendo fatto piazza pulita del concetto stesso di ideologia, obbligati a una terapia di rigetto nei confronti della socialdemocrazia, incerti su una identità slabbrata tra liberismo e no global. Per contro le margherite post dc trovano nella conciliazione tra fede cattolica e riformismo temperato l'humus su cui far crescere una cultura capace di marcare il futuro partito. Lo si ricava dallo stesso Manifesto dei Democratici, laddove si bolla come "presunta e illusoria" la "neutralità" del laicismo e si rivendica, per contro, il "riconoscimento della piena cittadinanza, dunque della rilevanza nella sfera pubblica, non solo privata, delle religioni". L'empito interventista impresso alla Chiesa dagli ultimi due pontificati - dalla scienza all'etica, dalla scuola alla famiglia - si riverbera sulla diaspora politica del cattolicesimo italiano con una dialettica destinata a farsi sentire su ogni comparto partitico, ancorché separato. Da Togliatti a Ruini il cammino è stato lungo. Le vie della Provvidenza sono infinite e non è detto che il Partito democratico non possa contribuire alla ricostruzione in forme nuove dell'unità politica dei cattolici. Non è detto che sia un male.

 


 

Il Riformista 19-3-2007 Sarà un appello a fermare i “compagni socialisti”?

 

Non so quante speranze abbiano quei dirigenti dei Ds (ma anche Giuliano Amato) che, con l’avvicinarsi dei congressi nazionali dello Sdi, della Quercia e della Margherita, si appellano ai «compagni socialisti» perché ci ripensino, e aderiscano al costituendo Partito democratico. Poche, direi, anche perché fatico a capire quale straordinaria proposta possano mettere in campo per convincerli in extremis. Ma gli appelli ci sono, e si moltiplicheranno nei prossimi giorni. Ed è il caso di rifletterci su già adesso. Soprattutto, si capisce, per un giornale come il nostro, che nel difficile confronto in corso tra i riformisti del centrosinistra (in primissimo luogo quelli di ispirazione laica, socialista, liberale e libertaria) sta con le proprie idee, certo, ma con grande apertura verso tutte le posizioni in campo, e con spirito tollerante.
Un punto già lo abbiamo segnato. Perché questi appelli testimoniano a modo loro di quanto fossero fuori strada, con tutta la loro supponenza, quelle eminenti personalità dei Ds, per non dire della Margherita. Che ancora fino a poche settimane fa archiviavano la questione socialista come l’ultima, fastidiosa eredità lasciataci dal Novecento, piombo nelle ali di cui occorrerebbe liberarsi in fretta per spiccare il volo e, manco a dirlo, andar oltre, verso la fusione di quel che resta delle due uniche tradizioni che contano, quella (post) comunista e quella (un po’ meno post) democristiana. La questione socialista c’è, e va oltre lo Sdi, i partitini della diaspora, le speranze infondate, e a dire il vero rapidamente deposte da tutti, di ricostituire il vecchio Psi, o qualcosa di simile. E non sta più solo sullo sfondo, come è sempre stato nell’unico paese d’Europa che un grande partito socialista non lo ha mai avuto. A restituirle attualità in settori ben più ampi dell’opinione di sinistra è la marcia, a questo punto a tappe quasi forzate, verso il Partito democratico. Se, come sembra ineluttabile, nascerà, e soprattutto se nascerà con le fattezze che i gruppi dirigenti della Quercia e della Margherita gli hanno, almeno sin qui, assegnato, la sua costituzione, più che determinare forti resistenze (perché sono pochi, immagino, a voler strenuamente difendere l’esistenza di due partiti, Ds e Margherita, già da un pezzo alla fine di una corsa che forse non hanno mai davvero iniziato), scompaginerà gli assetti, precari e per molti aspetti anche fittizi, di quella parte non piccola della sinistra italiana che non sarà della partita. Nel senso che i riformisti che non aderiranno al Pd si ritroveranno a fungere da ala destra della sinistra radicale, come suggeriscono gli estensori degli appelli ai «compagni socialisti», ai sostenitori delle mozioni di minoranza del congresso diessino, ai laici che temono di venir fagocitati in un nuovo partito molto più attento alle ragioni dei clericali che alle loro?
Può anche darsi, ma non è scritto da nessuna parte che le cose vadano così, e comunque non sembra proprio questa l’ambizione di chi in questi giorni si sta chiamando fuori, si tratti di Peppino Caldarola o del principale organizzatore della manifestazione per i Dico di dieci giorni fa, il presidente dell’Arcigay veneto Alessandro Zan, e di chi lo farà nelle prossime settimane. La situazione è semplice. La questione socialista non è solo la questione dei socialisti. Sta diventando pure la metafora di un mondo, non enorme, certo, ma più vasto di quel che spesso si pensi, di sinistra e di centrosinistra, convinto che nel costituendo Pd non si troverebbe in casa propria, e rafforzato in questa convinzione dall’andamento di congressi che, se c’era ancora qualche passione in giro, hanno provveduto a spegnerla. Senza questo mondo (oltre che senza lo Sdi, che di qui a poco sarà l’unico partito italiano a far parte a pieno titolo non della Sinistra Europea, ma del Pse), la sinistra nel Pd (o se preferite: i Ds nel Pd) rischia di essere ancora più debole. Gli appelli ai «compagni socialisti» hanno un senso anche perché sono motivati da questo timore, o da questa consapevolezza. Sta a chi li lancia dimostrare che non sono fuori tempo massimo, e che la rotta può ancora essere corretta, perché altrimenti la nave è destinata ad incagliarsi. Non c’è che da aspettare qualche giorno. Ma personalmente non mi faccio troppe illusioni.
Paolo Franchi


 

Da marketpress.info 19-3-2007 Il Parlamento europeo ha sollecita maggiore impegno nel campo della responsabilità sociale delle imprese (Rsi).

 

Pur non chiedendo una normativa vincolante, i deputati hanno sottolineato i limiti di un approccio esclusivamente volontario e chiedono di promuovere la partecipazione delle piccole e medie imprese alla Rsi. Nel chiedere un meccanismo di difesa per le vittime di illeciti da parte delle imprese, hanno raccomandao anche di rafforzare le responsabilità dei dirigenti delle aziende con più di 1. 000 dipendenti. Adottando la relazione di Richard Howitt (Pse, Uk), il Parlamento si dice convinto che il potenziamento delle responsabilità sociale e ambientale delle imprese, collegato al principio della responsabilità imprenditoriale, "rappresenta un elemento essenziale del modello sociale europeo e della strategia europea per lo sviluppo sostenibile" ed è "la risposta alle sfide sociali della globalizzazione economica". Apprezza quindi la comunicazione della Commissione che imprime nuovo slancio al dibattito sulla responsabilità sociale delle imprese, anche se esprime qualche perplessità quanto alla trasparenza e all'equilibrio della consultazione svolta prima della pubblicazione. Il Parlamento, inoltre, riconosce anzitutto la definizione formulata dalla Commissione secondo cui la "responsabilità sociale delle imprese" (Rsi) consiste nell'integrazione volontaria di considerazioni ambientali e sociali nelle operazioni di impresa, al di là delle prescrizioni legali e degli obblighi contrattuali. D'altra parte, osservando che tra i diversi gruppi interessati rimane aperto il dibattito su una definizione appropriata della Rsi, ritiene che attualmente è possibile che talune imprese pretendano di sostenere la responsabilità sociale, mentre nel contempo "violano leggi locali o internazionali". Ma i deputati precisano comunque che le politiche in materia di Rsi dovrebbero essere portate avanti valutando i pro e i contro, "non in sostituzione di una regolamentazione appropriata in altri campi, né come un approccio subdolo all'introduzione di tale legislazione". Nel riconoscere peraltro che molte imprese effettuano già un intenso e crescente sforzo per ottemperare alla propria responsabilità sociale, il Parlamento rileva infatti che un metodo universale che cerchi di imporre alle imprese un unico modello di comportamento "sia inopportuno e non porterà ad una loro adesione significativa alla Rsi". D'altra parte, il Parlamento osserva che la varietà di iniziative volontarie in materia "rappresenti un ostacolo per molte imprese che adottano politiche sulla Rsi, nonché "un disincentivo per le imprese a perseguire azioni più credibili o politiche più ambiziose". Anche se riconosce che tale varietà fornisce alle imprese "ulteriore ispirazione". La credibilità delle iniziative volontarie in materia di Rsi, per il Parlamento, continua inoltre a dipendere "dall'impegno a incorporare le norme e i principi vigenti e concordati a livello internazionale e da un approccio pluralistico", nonché dall'attuazione di un monitoraggio e di una verifica indipendenti. La Commissione è quindi invitata a divulgare le buone prassi, risultato di iniziative volontarie in materia di Rsi, prendendo in considerazione la creazione di una lista di criteri che le imprese devono rispettare se attuano responsabilità sociale. Secondo i deputati, peraltro, è giunta l'ora in cui l'accento sia spostato dai "processi" ai "risultati", "con un conseguente contributo misurabile e trasparente da parte delle imprese alla lotta contro l'esclusione sociale e il degrado ambientale in Europa e nel mondo". Occorre poi porre l'accento sullo sviluppo della società civile, e in particolare sulla consapevolezza dei consumatori circa una produzione responsabile, in modo da promuovere la responsabilità sociale. La Rsi deve inoltre affrontare nuovi ambiti come l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, l'organizzazione del lavoro, le pari opportunità, l'inclusione sociale, lo sviluppo sostenibile e l'etica, così da fungere da strumento supplementare per la gestione del cambiamento industriale e delle ristrutturazioni. Per i deputati un approccio "serio" alle Rsi da parte delle imprese può contribuire ad aumentare l'occupazione, a migliorare le condizioni di lavoro, a garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori e a promuovere la ricerca e lo sviluppo di innovazioni tecnologiche. Per tale ragione apprezzano l'obiettivo della Comunicazione di legare la Rsi agli obiettivi economici, sociali e ambientali dell'agenda di Lisbona. Sostengono, inoltre, il principio della "competitività responsabile" quale parte integrante del programma della Commissione a favore dell'innovazione e della competitività. Riconoscono poi che la Rsi "è un motore importante per le imprese" e chiedono l'integrazione di politiche sociali (come il rispetto per i diritti dei lavoratori, una politica salariale equa, il rifiuto della discriminazione, la formazione permanente, ecc. ) e questioni ambientali incentrate sulla promozione dello sviluppo sostenibile. Lo scopo dovrebbe essere di sostenere sia nuovi prodotti e processi attraverso le politiche dell'Ue in materia di innovazione e scambi commerciali sia l'elaborazione di strategie settoriali, subregionali e urbane per la competitività. Il Parlamento, d'altra parte, rileva la contraddizione tra le strategie competitive per l'approvvigionamento delle imprese che mirano a migliorare costantemente flessibilità e costi e gli impegni volontari a livello di Rsi, volti ad evitare lo sfruttamento nei rapporti di lavoro e a promuovere relazioni stabili con i fornitori. Suggerisce poi che le valutazioni e il controllo delle imprese europee riconosciute responsabili "si estendano anche alle loro attività e a quelle dei loro sub-contraenti al di fuori dell'Unione europea". La Commissione è anche sollecitata a far sì che le imprese transnazionali con sede nell'Ue e dotate di impianti di produzione in paesi terzi rispettino e promuovano attivamente i patti sociali e ambientali nonché gli accordi internazionali. Nel riconoscere poi gli attuali limiti del settore della Rsi in relazione alla misurazione del comportamento imprenditoriale e della revisione e certificazione sociale delle imprese, i deputati raccomandano alla Commissione di rafforzare le responsabilità dei dirigenti delle aziende con più di 1. 000 dipendenti, al fine di includere l'impegno per i dirigenti stessi di minimizzare l'eventuale impatto dannoso, dal punto di vista sociale ed ambientale, delle attività d'impresa. Ribadiscono inoltre il sostegno al programma di ecogestione e audit dell'Ue, in particolare il relativo obbligo di verifica esterna nonché l'obbligo per gli Stati membri di promuovere il programma e ritengono che vi siano spazi per sviluppare programmi analoghi in materia di tutela dei diritti del lavoro, sociali e umani. D'altra parte, la Commissione dovrebbe promuovere la partecipazione delle piccole e medie imprese alla Rsi, in collaborazione con organismi intermediari, che offrono un sostegno specifico alla partecipazione di cooperative/imprese dell'economia sociale, attraverso le loro associazioni specifiche. Dovrebbe inoltre condurre un approfondito studio a livello europeo sulle varie modalità con cui le Pmi possono partecipare alla Rsi e sugli incentivi esistenti ai fini dell'adozione di principi Rsi su base volontaria individuale. Il Parlamento chiede inoltre alla Commissione di attuare un meccanismo che consenta alle vittime, compresi i cittadini di paesi terzi, di ottenere giustizia contro imprese europee dinanzi ai tribunali nazionali degli Stati membri. In proposito, apprezza il sostegno finanziario diretto della Commissione alle iniziative in materia di Rsi, in particolare per assistere le vittime potenziali in caso di presunti illeciti, "compresi gli omicidi colposi provocati da imprese". Incoraggia inoltre la Commissione a sviluppare, in particolare, meccanismi atti a garantire che le comunità danneggiate dalle imprese europee abbiano diritto a un processo equo e accessibile. Raccomanda poi che sia presa in considerazione la nomina di un ombudsman dell'Ue per la Rsi che svolga indagini indipendenti su questioni relative alla Rsi su richiesta di imprese o di qualsiasi gruppo di soggetti interessati. Il Parlamento, inoltre, sostiene il codice di buona pratica dell'Alleanza internazionale per l'accreditamento e l'etichettatura sociale e ambientale "quale esempio saliente della promozione tra le attuali iniziative di etichettatura, in alternativa alla creazione di nuove etichette sociali a livello nazionale ed europeo". Tuttavia, accogliendo un emendamento del Pse e del Ppe/de, ha soppresso il paragrafo che invitava l'Ue a adottare uno standard europeo per l'etichettatura dei prodotti in merito all'osservanza dei diritti umani e dei diritti fondamentali dei lavoratori. Attira infatti l'attenzione sui costi considerevoli registrati dalle imprese per adeguarsi ai diversi e numerosi requisiti e disposizioni nazionali e sottolinea che la definizione di meccanismi di controllo volti alla supervisione dell'etichettatura sociale è onerosa, segnatamente per i piccoli paesi. Nel compiacersi della tendenza emersa negli ultimi anni che vede grandi imprese pubblicare volontariamente relazioni sugli aspetti sociali e ambientali, i deputati rilevano tuttavia che il numero di tali relazioni "è ormai statico", mentre "solo una minoranza applica standard e principi accettati a livello internazionale e riferisce in merito all'intera catena di approvvigionamento dell'impresa o ricorre a monitoraggi e verifiche indipendenti". Ricordano quindi alla Commissione l'invito del Parlamento a presentare una proposta volta a introdurre requisiti in materia di informazioni sociali e ambientali nella direttiva sui conti annuali di taluni tipi di società. Reputano inoltre importante sensibilizzare maggiormente circa le disposizioni al riguardo nel quadro della raccomandazione della Commissione del 2001 sulla divulgazione ambientale, della direttiva del 2003 sulla modernizzazione contabile e della direttiva del 2003 sui prospetti finanziari. Auspicano quindi una loro trasposizione "tempestiva" in tutti gli Stati membri e chiedono che vengano effettuati studi sulla loro effettiva attuazione. Per i deputati, inoltre, la Commissione e gli Stati membri dovrebbero compiere maggiori sforzi a livello nazionale, regionale e locale per avvalersi delle opportunità offerte dalla revisione delle direttive sugli appalti pubblici del 2004 per sostenere la Rsi. Andrebbero quindi promosse clausole sociali e ambientali tra i potenziali fornitori, riconoscendo al contempo la necessità di evitare di gravare le piccole e medie imprese di oneri amministrativi aggiuntivi che potrebbero dissuaderle dal partecipare a gare d'appalto e per escludere, se necessario, le imprese, anche in caso di corruzione. La Banca europea per gli investimenti e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo dovrebbero poi applicare severi criteri sociali ed ambientali a tutti i prestiti e finanziamenti erogati a imprese private. Ricordano poi che qualsiasi garanzia di credito all'esportazione deve essere conforme ai criteri ambientali e sociali più rigorosi e non essere utilizzata per progetti contrari agli obiettivi politici concordati dall'Ue. Nel prendere atto della decisione della Commissione di istituire un'alleanza europea in materia di responsabilità sociale delle imprese, la relazione incoraggia tutte le imprese europee e quelle operanti in Europa a aderire a tale iniziativa e a contribuire al rafforzamento dell'alleanza. Infine, il Parlamento invita gli Stati membri e la Commissione a sostenere e a promuovere il rispetto delle norme fondamentali dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) in quanto componente della responsabilità sociale delle imprese, ovunque esse esercitino le loro attività. Ritiene poi che la dimensione internazionale della Rsi dovrebbe stimolare l'elaborazione di linee guida atte a promuovere lo sviluppo di politiche analoghe in tutto il mondo. Incoraggia quindi l'ulteriore sviluppo di iniziative internazionali per la completa trasparenza delle entrate da parte delle imprese europee in merito alle loro attività nei paesi terzi, "affinché esse rispettino integralmente i diritti umani nelle loro operazioni in zone di conflitto e al fine di respingere le attività di lobby, compresi gli accordi con i paesi ospiti elaborati dalle imprese per compromettere o evadere gli obblighi regolamentari vigenti in tali paesi". . . . . <<BACK.

 


 

Il Manifesto 19-3-2007 Guerre Viaggio nella "società civile" di Kabul Le mille delusioni dell'altro Afghanistan

 

Le voci degli afghani che si sono battuti contro talebani e signori della guerra e che oggi soffrono l'occupazione occidentale. E la corruzione del governo Karzai. Che si nutre degli aiuti internazionali per arricchirsi, abbandonado a se stesso il paese. Vittorio Agnoletto di ritorno da Kabul "Possibile che non abbiate ancora capito che l'alternativa è scegliere tra il popolo afgano, i talebani e il governo Karzai e non solo tra gli ultimi due? Gli Usa dicono di sostenere gli afghani ma sostengono un governo e un parlamento pieno di signori della guerra" Incontro il dr. Bashardost Ramazan nel parco di Kabul dove da mesi ha montato una tenda, passa qui intere giornate ad ascoltare le richieste e le proteste di chiunque gli chieda un colloquio, e cerca di farsi portavoce delle esigenze dei suoi concittadini in Parlamento, dove è stato eletto come indipendente. Ha molte cose da denunciare e da chiedere a chi rappresenta un paese coinvolto nell'alleanza militare: "Non molto tempo fa un incaricato d'affari dell'ambasciata Usa ha dichiarato in un dibattito con Dostum su Aina Tv che costui, famoso signore della guerra nonché proprietario della stessa televisione, è 'una brava persona'. Due settimane fa Ronald Neumann, ambasciatore USA, è stato ricevuto a casa sua da Rabbani, altro criminale di guerra e dopo l'incontro ha dichiarato pubblicamente che il suo ospite 'ha fatto molte cose buone per il popolo afgano'. L'ambasciatore tedesco l'aveva preceduto a casa di Rabbani circa due mesi fa. Rabbani anche per Human Rights Watch è un criminale. Gli ambasciatori Usa e dell'Ue sostengono i signori della guerra. Gli afghani non capiscono qual'è la politica della comunità internazionale". Bashardost è un fiume in piena: "Inoltre, non è un mistero che le forze internazionali, soprattutto inglesi e statunitensi, non rifiutano accordi con i talebani, quando lo reputano vantaggioso per le loro strategie nazionali o per la sicurezza dei loro uomini". Circa sei mesi fa il generale David Richards, dal 4 maggio 2006 comandante inglese delle truppe internazionali in Afghanistan, ha consegnato senza combattere il distretto di Musa Qala, nella provincia di Helmand ai talebani che l'hanno occupato senza sparare un colpo; Richards aveva dichiarato che aver raggiunto un accordo coi capi tribali della zona, ma tutti sanno che invece erano talebani. L'ambasciata Usa protestò ma le potenze occidentali hanno anche strategie differenti fra di loro; l'Uk ha forti rapporti con il Pakistan che discendono ancora dai tempi coloniali. Il distretto di Musa Qala fu riconquistato con le armi quando le forze internazionali sono passate sotto comando Usa. Non è nemmeno un mistero che più di una volta gli Usa hanno pagato i talebani per evitare che attaccassero i soldati americani". "Voi - continua Bashardost - con le vostre tasse finanziate, attraverso gli aiuti, i signori della guerra che sono oggi al governo e mentre gli impiegati ricevono 40 $ di stipendio al mese questi personaggi girano con auto da 40.000 $ e hanno stipendi anche di migliaia e migliaia di dollari spesso pagati loro direttamente da Ong occidentali o da governi della coalizione militare". Giri finanziari Il mio interlocutore mi fornisce della documentazione: una compagnia inglese, la Crown Agent versa i soldi a una fondazione Usa, l'Open Society Institute che formalmente ha lo scopo di promozione della governance, dei diritti umani e delle riforme economiche e sociali. L'Osi li versa alla Banca Centrale Afghana sul conto n.26097 che risulta essere un conto per lo sviluppo e da qui i soldi vanno direttamente nelle tasche degli alti dirigenti ministeriali ad aggiungersi ai loro "regolari" stipendi. Guardo la lista che Bashardost ha in mano: sono coinvolti i ministeri delle Telecomunicazioni, della Cultura, del Commercio, della Giustizia ecc. fino al gabinetto del presidente Karzai. Dal luglio 2003 al gennaio 2005 sono transitati solo su quel conto 814.821 $ i pagamenti mensili personali vanno da 300 a 3000 $; un medico guadagna in un ospedale di Kabul 50 $ al mese. Non credo sia difficile comprendere a quali interessi interni ed esteri questo governo, così ben foraggiato, sia fedele. Il dr. Martin Masood è il leader di Hambastagi un partito fondato nel 2002 che si pone come obiettivo "la costruzione di una società democratica, in un sistema secolare contro il fondamentalismo e i signori della guerra". Hambastagi nasce dai Freedom Fighters Against Soviet dal nome che usavano gruppi di combattenti contro l'occupazione sovietica; ma già allora, mi racconta Massod, nonostante questi gruppi fossero i più vicini alla mentalità occidentale, "gli Usa preferirono armare e finanziare gli integralisti". Questa situazione continua anche ora: l'Unione Europea, in occasione delle prime elezioni parlamentari, aveva garantito loro un aiuto e dei computer, ma non è arrivato nulla. "L'Ue qui segue la politica Usa, ignora i partiti democratici. Gli Usa, secondo quanto riferito dalla stesso Karzai, hanno dato 7,5 milioni di $ a Fahim, uno dei signori della guerra, il responsabile del massacro realizzato nei primi anni '90 a Fashar in Kabul con 700 morti e oltre un centinaio di donne violentate. Fahim ex ministro della difesa di Karzai è stato rimosso dalla stesso presidente essendo impresentabile per il popolo afgano che lo ritiene un criminale, ora è maresciallo, il più alto grado militare qui in Afghanistan, gira in rolls-royce ed è il consigliere militare del presidente che lo ha nominato direttamente senatore, non è stato infatti eletto dal popolo che lo detesta. Ma è potente...". Hambastagi alla sua nascita aveva 20.000 iscritti, e nel suo primo congresso elesse democraticamente i propri dirigenti. Oggi per l'assenza totale di fondi ha dovuto chiudere le proprie sedi ed il proprio giornale. Il rappresentante di Hambastagi a Helmand è stato decapitato dai talebani. Denunciare la corruzione e le responsabilità dei capi talebani o dei signori della guerra può essere molto pericoloso, e infatti Malalai Joya, deputata democratica politicamente legata all'associazione di donne Rawa ha dovuto, proprio in questi giorni, abbandonare velocemente l'Afghanistan e rifugiarsi molto lontano perché le minacce contro di lei avevano superato il livello di guardia. Vi è un argomento sul quale tutti i nostri interlocutori hanno insistito con forza in ogni nostro incontro. L'assoluto rifiuto dell'amnistia votata dal parlamento per tutti coloro che si sono macchiati di crimini nei due decenni passati: provvedimento chiesto e nei fatti imposto con forza dai signori della guerra che per l'occasione hanno anche organizzato una manifestazione a Kabul e contro il quale nulla ha finora potuto l'appello delle vittime della guerra civile lanciato da Hawca (un'associazione umanitaria per l'assistenza alle donne e ai bambini afgani) attraverso un'iniziativa pubblica svoltasi con oltre 250 persone il 6 marzo. La rappresentanza speciale dell'Ue in Afghanistan ha parole molto dure verso la proposta di amnistia, ufficialmente chiamata Reconciliation declaration: prevarrebbe su tutte le convenzioni internazionali, anche su quelle relative al rispetto dei diritti umani, ma vincolerebbe anche i media a non pubblicare nulla che possa creare problemi ad una supposta riconciliazione nazionale. Una forma esplicita di censura. I "signori" e la guerra L'Ue critica, ma non si espone pubblicamente "per non apparire invasiva". O forse per non innervosire i signori della guerra fortemente insediati in un parlamento e in un governo che l'Ue, con una posizione totalmente subalterna agli Usa, continua a sostenere. Praticamente unanime è la condanna delle azioni della coalizione Isaf/Nato. "La soluzione non è raggiungibile attraverso le azioni militari. Le bombe nel sud producono un aumento di consenso e di forza degli insorgenti". "Volevamo una presenza di una forza delle Nazioni Unite di Peace Keeping, non di militari pronti a fare la guerra". "La comunità internazionale anziché spendere per la guerra dovrebbe investire in capacity building nella costruzione di strade, nel fornire acqua potabile ed energia alla popolazione": Le proposte dei miei interlocutori sono precise, anche se sempre più lontane dalle idee di chi oggi ha il comando dell'Isaf/Nato: "I talebani non sono un'unica realtà omogenea, né rispondono a un solo comando militare; possono essere suddivisi in tre differenti entità pur sapendo che non esistono linee di demarcazione rigidissime; ma vi sono comunque profonde differenze che devono essere conosciute per poter agire consapevolmente verso l'obiettivo dichiarato della pace. La prima realtà raccoglie i gruppi pro-Isi, i servizi segreti pakistani; il secondo gruppo raccoglie i militanti e i simpatizzanti di Al Qaida; il terzo viene definito quello degli Ordinary Afghan Taliban. Quest'ultimo gruppo è sicuramente quello più ampio e raccoglie tantissimi cittadini afghani che non sostengono il fondamentalismo integralista, ma che sono disgustati e spaventati dal comportamento delle truppe Usa e in generale della coalizione militare e che vedono negli insorgenti sia una forma di riscatto nazionale, sia la speranza di costruire un futuro dove maggiormente sia garantita la sicurezza e i principali servizi. Con questo terzo gruppo è assolutamente necessario avviare dei colloqui, in tal modo si prosciuga il mare nel quale si muovono i talebani collegati ad Al Qaida e ai servizi pakistani. Da questo percorso devono essere esclusi, ovviamente, i criminali di guerra presenti sia tra i talebani, sia tra i signori della guerra. Per loro ci può essere solo un processo". Un'altra missione A dispetto dei tanti che sostengono che siamo in questo paese per aiutare le donne afghane, queste affermazioni mi sono state continuamente ripetute dai gruppi di donne che ho incontrato. In sintesi dicono: abbiamo necessità di una presenza internazionale per evitare di sprofondare nuovamente in una guerra civile, ma di una presenza totalmente differente da quella attuale. L'idea è quella di una forza dell'Onu per garantire la sicurezza e avviare un percorso di pace che non sia composta "né dai paesi che oggi sono qui con una presenza militare, né da quelle nazioni che continuano ad interferire nella vita dell'Afghanistan come l'Iran, il Pakistan, l'Arabia Saudita". Un percorso che per quanto possa apparire estremamente difficile forse potrà avere qualche possibilità di successo; possibilità che certamente non sembra poter avere l'attuale missione internazionale che, attraverso i bombardamenti, le stragi di civili e l'eradicazione forzata dell'oppio riuscirà solo a spingere masse sempre più ampie verso il sostegno ai talebani. Nel dibattito italiano si è cercato di rappresentare il rinnovo della missione militare (con l' aggiunta di una debole e incerta presenza civile) come un passo verso la conferenza di pace. Ma la realtà è diversa dai desideri. "La popolazione - mi dice una funzionaria dell'Ue - comincia a paragonare la presenza Usa e dei suoi alleati all'invasione sovietica contro la quale ha combattuto per anni". Credo di aver trovato la risposta alla domanda che mi ponevo partendo per questa missione. Vista da Kabul non sembrano esserci dubbi. Questa strada non ci porta verso la pace e non avvicina nemmeno la possibilità di una conferenza per un futuro senza guerra.

 


 

La Repubblica 19-3-2007 Già ubriachi prima della discoteca. "Effetto bomba" per i baby alcolisti   Maria Novella De Luca

 

Verona, aperitivo in piazza poi tutti all'Alter Ego. Lo psichiatra Andreoli: "vogliono stordirsi subito"
Vino, birre e cocktail: sono queste le notti dei ragazzini del nord-est

DAL NOSTRO INVIATO

 

VERONA - A mezzanotte sono già ubriachi ma la notte non è ancora cominciata. Ridono, piangono, cadono per terra. E' "l'effetto bomba", dice lo psichiatra Vittorino Andreoli, alterare i propri sensi velocemente e subito, con la testa che va in fiamme e le gambe che diventano molli, i ragazzini la chiamano "happy hour drug", fa saltare gli ostacoli, cancella complessi e timidezze, spinge a camminare aggrappati l'uno all'altro, a sentirsi, toccarsi, stretti forte ai propri compagni di bevute.

Sono adolescenti, o poco più. In fila con il bicchiere in mano davanti ai caffè storici di Verona, tra i marmi antichi di Piazza delle Erbe, bevono birra, rum e coca, vodka-lemon, l'aperitivo della casa, l'aperitivo bum-bum, quello che fa volare subito e ubriacare in un colpo. Hanno dai 14 ai 20 anni, buoni studi, buone paghette in tasca, e un unico comune denominatore: sono baby alcolisti, ultima, nuova emergenza nazionale che ha portato l'Italia ad essere il paese europeo dove i giovani cominciano a bere in età più acerba, il primo sorso a 12 anni.

Altrove l'iniziazione avviene a 14, ma il risultato è identico: vite drogate dall'alcol, in un allarme globale che accomuna ormai la gran parte dei paesi occidentali. In Italia, dicono le ultime statistiche, il 15% dei giovanissimi si ubriaca abitualmente, "in una corsa al binge drinking, il bere compulsivo, che sta portando decine di giovani nelle comunità terapeutiche per disintossicarsi, con modalità di consumo sconosciute fino a pochi anni fa", rivela Eugenio Scafato che dirige l'Osservatorio su alcol, droga e fumo dell'Istituto superiore di sanità.

Basta passare una serata nel cuore di una città della ricca provincia del Nordest, dove il tasso alcolico pro-capite è tra i più alti d'Italia, per capire quali siano le parole d'ordine di questa eurogenerazione che ha importato dai paesi anglossassoni il rito della sbornia da weekend, e dove anche il vino viene consumato ormai con le regole del binge drinking. Il Governo ha dichiarato guerra all'alcol contro le stragi del sabato sera, ha lanciato il codice etico tra gestori e consumatori, ma alle otto di sera Teresa, Samantha, Piero e Giovanni, sedici anni a testa, insieme ad un'altra trentina di coetanei, bevono un aperitivo orlato di una fetta d'arancio davanti ad un piccolo bar in Corso Portoni Borsari, poco lontano da Piazza delle Erbe. Sono già al secondo bicchiere, il mix è fresco, dolce, piacevole, mentre gli snack d'accompagnamento, patatine, polpettine, pizzette, vengono divorate con la velocità della luce.

"Sì, picchia, ma è solo l'inizio - confessa Piero con qualche remora e la garanzia dell'anonimato a causa genitori già in allarme per i suoi sabati sballati - qui tiriamo tardi, è normale, poi ci spostiamo all'Alter Ego, la nostra serata va così. Beviamo tutti, anche le ragazze, una volta alla settimana si può fare, alle dieci andiamo cena, altrimenti ti sbronzi subito, con la pizza sono meglio birra e vino, prima della discoteca facciamo un altro giro dei bar, fino a mezzanotte nei locali non c'è nessuno, dopo cena ci tocca lo shottino, è uno sparo, superalcolico puro". Uno shot e via, in motorino verso il cuore della notte, con un'alterazione dei sensi che di certo avrebbe già bruciato gli alcolimetri della polizia. In discoteca infatti i ragazzini arrivano che sono gruppetti barcollanti, e il serpentone davanti all'Alter Ego è fatto di teenager gonfi di birre e cocktail, con alle spalle già quattro, cinque ore trascorse di bicchiere in bicchiere, di pub in pub. E Verona è come Bologna, come Milano, Roma, le serate sono simili, alcoliche, trasgressive.

Per questo il binge drinking è un tipo di ritualità giovanile che lo psichiatra Vittorino Andreoli ha deciso di studiare e indagare. "L'alcol è una droga che dà modificazioni lente, i ragazzi invece, con questa modalità del bere compulsivo, hanno trovato il modo per ubriacarsi velocemente e subito. E sono riusciti addirittura a rendere immediata la sbornia da vino, perché lo consumano attaccandosi alla bottiglia, buttandolo giù finché hanno fiato... L'adolescenza - spiega Andreoli - è l'età della metamorfosi, gli adolescenti non si piacciono, si sentono travolti da se stessi e cercano in tutti i modi di governare questa metamorfosi. L'alcol è l'ingrediente più vicino, ce l'hanno in casa, l'alcol è ovunque, agisce subito e fa sentire disinibiti. I loro stessi genitori non avvertono, a torto, il bere come pericolo, ne ho sentiti tanti dire meglio una sbronza che la droga... Un errore, gravissimo, oggi questo modo di bere dei giovanissimi ha tutte le caratteristiche della tossicodipendenza". Ma Andreoli va più in là: "Questa campagna di nuove regole è ipocrita. Il messaggio che ai giovani arriva è: bevi ma non guidare, bevi ma non metterti in pericolo. Mentre ad ogni ora del giorno e della notte su ogni canale televisivo la testa dei giovani è martellata di spot pubblicitari che invitano a consumare birra, vino, whisky...".

Per capire infatti bisogna andare al di là della notte, al di là del weekend, oltre i gruppi di ragazze e ragazzi che quando ormai la serata sta per finire vomitano agli angoli delle strade, mentre piazze e centri storici si trasformano in cimiteri di vetri rotti e lattine schiacciate. "Esiste una strategia commerciale che ha puntato ai giovanissimi - dice Eugenio Scafato - inondando il mercato di bevande alcoliche dolci e colorate, i breezer, gli alcolpop, pensate per sedurre i più giovani, alcune addirittura hanno le etichette con i caratteri dei cartoon. Costano pochi euro e gli adolescenti le consumano quotidianamente, ma il loro metabolismo è ancora acerbo è questo può creare danni gravissimi".

E' duro infatti ritrovarsi a 20 anni ubriachi e senza pace. Come Mauro che è entrato nei gruppi AA, alcolisti anonimi, e oggi combatte contro la schiavitù della bottiglia. "Ho iniziato a 14 anni con i cocktail e sono finito a bere l'alcol puro. Però non sono il più giovane lì dentro: ogni tanto arrivano dei ragazzini. Hanno gli occhi spenti. Sono i baby alcolisti".
(19 marzo 2007)


 

La Stampa 19-3-2007 Sorry, lo spinello fa male MARIA CHIARA BONAZZI

19/3/2007 (7:47)

La nuova cannabis, 25 volte più forte, danneggia il cervello. E così l'Indipendent, che aveva guidato la campagna per la liberalizzazione, fa retromarcia

 

LONDRA
Una ritrattazione in piena regola, con tante scuse. L'«Independent on Sunday», il giornale che dieci anni fa aveva condotto una campagna in grande stile in favore della decriminalizzazione della cannabis, ieri ha fatto marcia indietro a tutto gas in prima pagina. «Se solo avessimo saputo allora quello che possiamo rivelare oggi», recita basito il titolone. Il punto è che la droga già prediletta dagli hippies non è più quella di una volta: oggi viene coltivata in casa sotto lampade a raggi ultravioletti che la rendono fino a 25 volte più forte, in gergo si chiama «skunk» e sta causando un'ecatombe di casi di psicosi, paranoia anche violenta e schizofrenia.

Il giornale, che nel 1997 riuscì a mobilitare una marcia in Hyde Park e a smuovere il governo di Blair a declassare la cannabis a stupefacente di categoria C, il cui consumo personale non era cioé più un reato punibile con l'arresto, ha deciso di cambiare radicalmente posizione proprio nella settimana in cui la rivista medica «The Lancet» argomenterà che ormai questa versione amplificata della cannabis è più pericolosa dell'LSD e dell'ecstasy. Una quantità record di giovanissimi è in cura per abuso di «skunk» e il numero di ricoveri è alle stelle.

I danni arrecati dall'odierna «iper-cannabis» alla salute mentale di chi ne fa uso sono potenzialmente irreparabili. Il problema più acuto rischia di manifestarsi fra gli adolescenti, il cui cervello in fase di sviluppo è molto più vulnerabile. Anche il professor Colin Blakemore, capo del Medical Research Council, che nel 1997 aveva appoggiato la campagna originaria dell'«Independent on Sunday», oggi dice: «Il legame tra la cannabis e la psicosi oggi è ben chiaro; dieci anni fa non lo era». In retrospettiva, l'«Independent on Sunday» tiene molto a precisare che «lo "skunk" fumato dalla maggioranza dei giovani in questo Paese non assomiglia neppure lontanamente alla tradizionale resina della cannabis tipicamente in uso fino ai primi anni Novanta. La sostanza di oggi contiene fino a 25 volte più tetraidrocannabinolo (THC)», ovvero l'ingrediente psicoattivo. Dieci anni fa soltanto 1600 persone erano in cura per abuso di cannabis; oggi sono 22 mila, la metà dei quali ha meno di diciott'anni: «Una bomba a orologeria per la salute mentale», ammette il giornale.

Altri specialisti concordano sul fatto che il dibattito scientifico è cambiato. Il professor Robin Murray del London Institute of Psychiatry ritiene che almeno 25 mila dei 250 mila schizofrenici negl Regno Unito, pari a un decimo del totale, avrebbero evitato di ammalarsi se non avessero fatto uso di cannabis: «Può darsi che i numeri di chi fa uso di cannabis non siano aumentati, ma la sostanza è molto più potente, quindi si tratta di vedere se tra qualche anno avremo conseguentemente più ammalati. Chi comincia oggi, lo fa con lo "skunk"». E sempre più giovane: oggi si vedono ragazzini di dodici o tredici anni con lo spinello in mano.

Con le conseguenze che si vedono sulle strade del Regno: negli ultimi anni l'abuso di «skunk», con la paranoia estrema a cui è associato, è stato additato come una concausa di una serie di omicidi e aggressioni brutali. Dice Marjorie Wallace, direttore dell'organizzazione per la salute mentale «Sane»: «Ogni giorno arrivano nuove conferme del legame tra l'uso di cannabis e le malattie mentali. Uno studio recente dimostra che 8 persone su 10 tra quelle che hanno avuto un primo episodio di schizofrenia facevano un forte uso di questa droga. Secondo un altro studio, corrono un rischio quadruplo di ammalarsi di schizofrenia». Anche il professor Neil McKeganey, del Centre for Drug Misuse dell'Università di Glasgow, è preoccupatissimo: «La società ha gravemente sottovalutato la pericolosità della cannabis».

Visto e considerato tutto ciò, si chiede l'«Independent on Sunday», «eravamo fuori di testa quando chiedevamo la legalizzazione della cannabis? No, ma poi è arrivato lo "skunk"». Rosie Boycott, l'allora direttore del giornale e responsabile della campagna, nel ricordare il suo primo spinello datato 1968 sull'erba di Hyde Park, scrive: «Nel 1997 ero convinta che la cannabis fosse pressoché innocua. Ma io parlavo della varietà che proveniva dai campi del Libano, Marocco e Afghanistan, che adesso è una rarità. Lo “skunk” invece rende aggressive le persone». Conclude un editoriale: «Non crediamo sul serio che allora ci fossimo sbagliati. Ma la minaccia alla salute mentale oggi deve avere la precedenza sugli istinti liberali di allora».


INDICE 18-3-2007

Il Giornale di Vicenza 18-3-2007 Palombarini ospite del coordinamento Il caso della base Usa visto dal magistrato "Qui la democrazia non è partecipativa" di Marco Scorzato  1

Il Giornale di Brescia 18-3-2007 SOTTOSCRITTA DA 53 PAESI (MA NON DAGLI USA) AUTORIZZA GLI STATI A SOSTENERE LE ESPRESSIONI ARTISTICHE  2

La Gazzetta del Sud 18-3-2007 Il gesto del giudice Gherardo Colombo, che lascia la magistratura con ben quindici anni di anticipo dall'età pensionabile, è grave e inquietante. Melo Freni 2

Il Tirreno 18-3-2007 Le associazioni Pianeta futuro e Unità comunista Si organizzano i seguaci di Rossi e Turigliatto  3

La Repubblica 17-3-2007 Nelle parrocchie una lettera contro i Dico "Famiglia privatizzata, senza rilevanza sociale" 3. Distribuita da stasera a Roma e Firenze, ha una presentazione del cardinal Ruini Nel testo: non confondere "le altre forme di convivenza" con il matrimonio  4

Il Corriere della Sera 17-3-2007 Da aprile calano le bollette di luce e gas. Le previsioni di Nomisma Energia anticipano l'aggiornamento dell'Authority  4

 


Il Giornale di Vicenza 18-3-2007 Palombarini ospite del coordinamento Il caso della base Usa visto dal magistrato "Qui la democrazia non è partecipativa" di Marco Scorzato

 

"La questione Dal Molin è sintomatica di una democrazia che ha smesso di essere sinonimo di rappresentanza e di partecipazione. È la democrazia della delega, una democrazia solo formale e senza qualità, sempre più lontana dall'aula parlamentare e dai valori costituzionali. La speranza di una svolta, come s'è visto a Vicenza, può e deve venire dai movimenti". Parola di Giovanni Palombarini, magistrato, autore del libro "La variabile indipendente. Quale giustizia per gli anni 2000", ospite-mattatore dell'incontro di ieri al teatro dei Carmini, voluto da Cisl-scuola, Rete Lilliput, Più democrazia, Famiglie per la pace e dal coordinamento dei comitati No Dal Molin. L'incontro, che ha richiamato oltre un centinaio di persone attorno al tema dei "limiti del potere in una democrazia d'investitura. Il caso Dal Molin", si è presto trasformato in una riflessione ad ampio respiro sullo stato della politica e della società. "Questa è una democrazia autoreferenziale - attacca Palombarini - in cui le differenze tra gli schieramenti sono sempre più tenui". Applausi dalla platea del No al Dal Molin che, mai come in questi giorni, si sente "tradita" dai propri rappresentanti. Dal governo Berlusconi e dalla Giunta Hüllweck, che "hanno gestito la questione in gran segreto". E dal governo Prodi che non ha fatto nulla per cambiare rotta, salvo prendere tempo prima di manifestarla il 16 gennaio scorso. Ma perché l'accordo Italia-Usa è rimasto per molto tempo segreto? "L'assessore Claudio Cicero ha rivelato di aver saputo della volontà americana alla fine del 2004", ricordano gli organizzatori. E soprattutto, perché tutto è rimasto lontano dal Parlamento? "La Costituzione - spiega il magistrato - afferma la ratifica dei trattati internazionali che hanno valenza politica deve passare dalle Camere e dal Capo dello Stato, nella logica della trasparenza e del bilanciamento dei poteri. Ma sono valori che, di fatto, la nostra democrazia sta perdendo giorno per giorno". Non c'è dubbio, aggiunge, che costruire una base militare sia "fatto politico". Eppure, molti accordi militari "sono stati gestiti solo dall'esecutivo perché li si ritiene accordi attuativi di un trattato "quadro" votato dal Parlamento, quello Nato". E questa prassi vale anche per il Dal Molin, che con la Nato non c'entra nulla. A chi gli chiede se anche l'articolo 11 della Costituzione (l'Italia ripudia la guerra) non sia in discussione, Palombarini risponde secco: "Il realismo mi dice che, nel quadro di un abbandono dei valori costituzionali, questo è tra quelli perduti. La guerra, in questi anni e anche prima dell'11 settembre, l'Italia l'ha fatta più volte". Incalzato dal pubblico, il magistrato lo ribadisce a più riprese: "Ora è difficile tornare indietro", e si riferisce sia al Dal Molin sia alla "deriva dei valori costituzionali". Ma conclude incitando a lottare per i diritti. "È dura affrontare la battaglia sul piano giuridico, la questione è politica. E solo la mobilitazione sociale può portare all'ordine del giorno temi come la pace e l'ambiente, come qui a Vicenza, che sono tra l'altro diritti e valori costituzionali".

 


Il Giornale di Brescia 18-3-2007 SOTTOSCRITTA DA 53 PAESI (MA NON DAGLI USA) AUTORIZZA GLI STATI A SOSTENERE LE ESPRESSIONI ARTISTICHE

 

In vigore la convenzione Unesco sulle diversità culturali I "pupi" siciliani, promossi dall'Unesco PARIGI - La convenzione promossa dall'Unesco su protezione e promozione della diversità delle espressioni culturali entra in vigore oggi, meno di un anno e mezzo dopo la sua adozione. La prossima tappa sarà la prima conferenza delle parti che si terrà tra il 18 ed il 20 giugno. In quell'occasione "saranno definiti i grandi orientamenti e la messa in opera del testo", ha detto il portavoce del ministero degli Esteri francese, Jean-Baptiste Mattei. Ad oggi il testo è stato ratificato da 53 Paesi tra i quali 19 stati membri dell'Unione europea e 27 stati membri associati all'area della francofonia. Lanciata nel 2002 e promossa da Francia e Canada la convenzione è stata approvata dall'Unesco il 20 ottobre 2005, a Parigi. Solo Israele e Usa, su 150 paesi, avevano votato contro. Il documento consacra la cultura come attore dello sviluppo e autorizza - rompendo le regole del commercio internazionale - gli Stati a prendere misure di sostegno alle diverse espressioni culturali, fra cui: sovvenzioni al teatro, fissazione di un prezzo unico per i libri, protezione dei monumenti e quote per la diffusione musicale al fine di proteggere una lingua. Il contenuto della convenzione era stato al centro di accese polemiche da parte degli Usa. Facendosi portavoce dell'industria del cinema, dell'audiovisivo e della musica la delegazione statunitense aveva denunciato "il protezionismo" che avrebbe potuto seguire all'entrata in vigore del testo e "il rischio di far deragliare i negoziati commerciali internazionali". Condoleezza Rice aveva anche dichiarato che "la convenzione permetteva ai regimi dispotici di soffocare dissidenti o minoranze etniche, nonostante la libertà di espressione e circolazione delle idee siano dei temi fondamentali della carta". Francia, India e Brasile avevano ricordato che il cinema Usa monopolizza l'85% della diffusione mondiale. Per evitare ogni equivoco, l'Unesco ha lanciato un'altra convenzione sulla protezione del patrimonio immateriale, del quale fanno parte, ad esempio, il teatro giapponese, il canto polifonico sardo, il teatro siciliano delle marionette, il teatro Kutiyattam dell'India, danze e pratiche rituali della Bulgaria, le canzoni Baul del Bangladesh, la musica Duduk dell'Armenia e la cerimonia Mevlevi Serma della Turchia.

 


La Gazzetta del Sud 18-3-2007 Il gesto del giudice Gherardo Colombo, che lascia la magistratura con ben quindici anni di anticipo dall'età pensionabile, è grave e inquietante. Melo Freni

 

L'iniquo funzionamento della giustizia allarma sempre di più i cittadini.

 Il sospetto dei cittadini comuni sull'iniquo funzionamento della giustizia prende corpo anche dal non indifferente atteggiamento di questo magistrato che certamente non è stato l'ultimo della classe. La disillusione dei cittadini è diventata la sua; in più lui ha tutte le carte in regola per esplicitarla: dal 1977, nel palazzo di giustizia di Milano, si è occupato della loggia P2, del lodo Mondadori, dei fondi neri dell'Iri, di tangentopoli, ha scovato suoi colleghi magistrati con le mani nel sacco, si è occupato, insomma, di tutte le corruzioni possibili e immaginabili, eppure: "I risultati di questo lavoro quali sono stati? Tra prescrizioni, leggi abrogate o modificate, si è arrivati sostanzialmente a una riabilitazione di tutti coloro che avevano commesso quei reati, con una diffusione del senso di impunità a un livello di corruzione non modificato". Sono parole che pesano, sono macigni che si abbattono sul sistema sociale allo sbando, che non garantisce più nulla, neppure la "legalità". Il paese che vede Colombo è quello delle corporazioni, ciascuna delle quali trova la sintesi del proprio esprimersi nella furbizia e nel privilegio. Ebbene, anche se diversi giudici nella sagra del bel paese hanno spesso imboccato anche loro le cattive strade della corresponsabilità, è altrettanto vero che la stragrande maggioranza si è attenuta con scrupolo all'attuazione dei principi sacrosanti sanciti dai codici. Ma, insiste il giudice Colombo, il problema non può essere solo quello dei palazzi giustizia quando fuori da essi tutto è contro la giustizia attraverso una illegalità spalmata fino ad esaurimento sul tessuto di una società dove, a favore di questi o quest'altro, di volta in volta della giustizia si fa carta straccia. Leggiamo le dichiarazioni di Gherardo Colombo e le confrontiamo col recente caso Previti, ex ministro condannato a duri anni di carcere, tra un cavillo e l'altro, prima "recluso" in casa, poi con permesso d'aria di lunghe ore, ora affidato a servizi sociali, di pena vera e propria non ne sconta. Vi ravvisiamo, esattamente, la furbizia e il privilegio corporativo attaccati da Colombo, con l'aggiunta scusate! che un povero Cristo senza corporazione, e quindi fuori dai privilegi, i cinque anni di carcere se li sarebbe fatti per intero. Ecco perché, sostiene il magistrato, se non cambia nulla all'esterno dei palazzi di giustizia non può neppure cambiare il tasso dell'illegalità. Il caso di Gherardo Colombo è il numero due. Anni fa assistemmo alla plateale dismissione della toga da parte di Antonio Di Pietro sulla scena di tangentopoli. Ma sono rimaste dimissioni sospette: prima l'offerta di quel seggio elettorale sicuro in Toscana, quindi l'ulteriore e potenziata ambizione della primazia politica all'interno di una classe che al suo ex collega (e non solo a lui) non piace. Di contro, che farà Colombo? Indirizzerà ogni sua attività a parlare ai giovani e a farli riflettere sul senso della giustizia. Il nostro Paese è diventato irrimediabilmente quello delle corporazioni, ciascuna delle quali trova la sintesi del proprio esprimersi nella furbizia e nel privilegio (domenica 18 marzo 2007).

 


Il Tirreno 18-3-2007 Le associazioni Pianeta futuro e Unità comunista Si organizzano i seguaci di Rossi e Turigliatto

 

PISA. Incontro all'insegna dalla passione politica quello con il senatore Ferdinando Rossi, organizzato dalle associazioni "Il pianeta futuro" e "Unità comunista", due entità politico-culturali da tempo attive a Pisa. Un incontro che rientra nel tentativo di compattare a livello locale un'area sociale e sindacale che vorrebbe in qualche modo arginare l'assenza di iniziative forti a favore delle classi più povere da parte della sinistra di governo. Quello che si è svolto nella sede del circolo Utopia è il primo di due incontri organizzati con i senatori dissidenti del centro-sinistra, finiti nell'occhio del ciclone dopo la recente crisi del governo Prodi. Il prossimo, venerdì, vedrà come protagonista proprio il senatore Turigliatto. "E necessario organizzare queste iniziative per far conoscere alla gente la connessione fra politiche militariste e l'economia del paese - hanno detto Giovanni Bruno, di Pianeta futuro, e Dorigo Ervin, di Unità Comunista - perché le scelte di politica estera hanno sempre una ricaduta nazionale che condiziona anche le altre scelte di politica economica". "è così - aggiunge il senatore Rossi - la guerra in Afghanistan costa al nostro Stato 350-400 milioni di euro l'anno, di cui, secondo fonti afghane accreditate, il novanta per cento si perde nei canali della corruzione dei vari signori della guerra e di scuole, asili e ospedali per la popolazione civile non c'è neppure l'ombra. E la nuova base Usa di Vicenza quanto costerà ai cittadini italiani? Ha ragione Travaglio, che certo non sarà comunista, ma ha mille ragioni quando denuncia nei suoi libri e nei suoi articoli lo sperpero di denaro pubblico". "La crisi di governo - conclude il senatore emiliano - era già all'ordine del giorno da tempo. Il nostro dissenso è stato solo un pretesto per accelerare la costituzione del Pd. Ma finché non si danno risposte a quei milioni di persone che continuano a non arrivare alla fine del mese perché questo sistema è marcio e va cambiato radicalmente ci sarà sempre la necessità di una visione diversa del mondo. Bisogna rimettere il bene comune al centro della politica e smettere di ricattare le persone con il babau "o voti questo o torna Berlusconi"". Marcello Cella.

 


La Repubblica 17-3-2007 Nelle parrocchie una lettera contro i Dico "Famiglia privatizzata, senza rilevanza sociale"

Distribuita da stasera a Roma e Firenze, ha una presentazione del cardinal Ruini
Nel testo: non confondere "le altre forme di convivenza" con il matrimonio

 

CITTA' DEL VATICANO - Il Vaticano continua la sua offensiva contro il ddl sui Dico. Da stasera infatti, in tutte le parrocchie di Roma e Firenze verranno distribuiti ai fedeli volantini che riproducono una letteradel cardinale di Firenze, Ennio Antonelli, a difesa dell'istituto familiare. La lettera è accompagnata da una breve presentazione del cardinale vicario Camillo Ruini.
"La famiglia - si legge nel testo Ruini - è da tempo al centro dell'attenzione pastorale della diocesi di Roma oltre che di un ampio confronto sociale e culturale. Ho ritenuto perciò di fare cosa utile offrendo alle famiglie romane, tramite i sacerdoti impegnati nelle benedizioni pasquali, un testo scritto dal cardinale Ennio Antonelli per la diocesi di Firenze".
Nella lettera, scritta da Antonelli per i suoi parrocchiani, si legge che "la famiglia sta venendo privatizzata, ridotta a un semplice rapporto affettivo, senza rilevanza sociale, come se si trattasse soltanto di una forma di amicizia".
E ancora: "La famiglia fondata sul matrimonio è non solo una comunità di affetti, ma anche un'istituzione di interesse pubblico; e come tale va riconosciuta, tutelata, sostenuta e valorizzata dalle pubbliche autorità che hanno la responsabilità specifica di promuovere il bene comune. Non vanno confuse con la famiglia altre forme di convivenza, che non comportano l'assunzione degli stessi impegni e doveri nei confronti della società e si configurano piuttosto come un rapporto privato tra individui, analogo al rapporto di amicizia, per il quale nessuno si sogna di chiedere un riconoscimento giuridico. Le esigenze private possono trovare risposta nei diritti riconosciuti alle singole persone".

Il prossimo Consiglio permanente della Cei programmato per il 26 marzo discuterà la Nota "impegnativa" per i cattolici italiani sull'atteggiamento da tenere nei confronti del ddl sui Dico.

(17 marzo 2007)

 


 

Il Corriere della Sera 17-3-2007 Da aprile calano le bollette di luce e gas. Le previsioni di Nomisma Energia anticipano l'aggiornamento dell'Authority

 

Prevista una riduzione del 2,8% per l'elettricità e del 3,3% per il metano. Risparmio per le famiglie italiane di circa 43 euro annui

MILANO - Dopo quasi tre anni di aumenti le bollette della luce e del gas delle famiglie dovrebbero tornare a calare. Nel prossimo trimestre aprile-giugno le tariffe dovrebbero infatti registrare - secondo le prime stime degli esperti - una riduzione del 2,8% per l'elettricità e del 3,3% per il metano. Un ribasso, legato all'allentamento delle tensioni sulle quotazioni petrolifere negli ultimi mesi, che dovrebbe tradursi in una minore spesa per le famiglie italiane di circa 43 euro su base annua.

Secondo le prime previsioni, che anticipano l'aggiornamento atteso dall'Authority per l'energia entro fine mese, la bolletta della luce delle famiglie dovrebbe ridursi - spiega Davide Tabarelli, esperto tariffario di Nomisma Energia - di circa 11,8 euro su base annua mentre quella del metano è attesa scendere di 31,6 euro annui. Nel trimestre scorso l'Authority aveva ritoccato al ribasso la tariffa elettrica media nazionale, riducendola dell'1,6%, ma il beneficio non aveva riguardato le bollette delle famiglie. Queste erano rimaste ferme per la necessità di recuperare alcune voci legate agli extracosti che gravano sulle utenze (gli oneri di sistema). Dopo i forti aumenti registrati l'anno scorso per il prossimo trimestre per gli utenti domestici è atteso così il primo calo dopo quasi tre anni (era dal secondo trimestre del 2004 che le tariffe elettriche per le famiglie non segnavano una flessione). Dal primo aprile - spiega Tabarelli - per la luce è atteso un calo del prezzo del chilowattora di circa 0,44 centesimi a 15,16 centesimi a Kwh. Una riduzione che per una famiglia tipo - con 3 kw di potenza impegnati e consumi mensile per 225 chilowattora - dovrebbe tradursi in un alleggerimento della spesa annuale per l'elettricità intorno ai 12 euro (11,8 per l'esattezza). Sul fronte delle tariffe del metano, invece, il prossimo trimestre dovrebbe registrare una riduzione dei prezzi ancora più sostanziosa: circa 2,25 centesimi di euro in meno cioè al metro cubo che per la stessa famiglia tipo (con 1.400 metri cubi consumati in un anno) porterà ad un risparmio di 31,6 euro all'anno. Complessivamente le famiglie italiane dovrebbero, dal primo aprile e per il prossimo trimestre, beneficiare così di un alleggerimento della spesa per le bollette della luce e del gas intorno ai 42 euro complessivi su base annua. L'ultima parola spetterà comunque all'Autorità per l'Energia che entro fine marzo dovràrendere noto l'aggiornamento per il prossimo trimestre.

17 marzo 2007


INDICE  1 17-3-2007

 

++ Il Riformista 17-3-2007  Sembra “Cioè”, ma è il magazine del Dipartimento di Stato di Anna Momigliano

++ La Stampa 17-3-2007  Come scegliere i nuovi immigrati   Tito Boeri

+ Il Corriere della sera 17-3-2007 L'OPPOSIZIONE di GIANANTONIO STELLA Forse non sono "finti liberali figli di Ceausescu", come sbottò ...

+ La Stampa 17-3-2007  Il kibbutz sconfitto dal mercato  Sabino Acquaviva

Il Corriere della Sera 17-3-2007 Ci si può rassegnare al ritorno dei talebani? Guerre afghane e ruolo dell’Onu. di Alberto Ronchey

Il Corriere della Sera  17-3-2007 Mani pulite  Colombo lascia la toga: vedo riabilitati i corrotti. Luigi Ferrarella  1

Il Corriere della sera 17-3-2007 L’Unione teme l’asse tra Chiesa e destra. La Nota Massimo Franco  3

Il Piccolo di Trieste 17-3-2007 "Il Paese cerca soluzioni ragionevoli che contrastino le posizioni estreme" 4

I Sole 24 Ore 16-3-2007La fotografia del Fisco in Italia: 8 contribuenti su 10 sotto i 35mila euro, il 2%oltre 100mila M. Do. 5

 


++ Il Riformista 17-3-2007  Sembra “Cioè”, ma è il magazine del Dipartimento di Stato di Anna Momigliano


La copertina sembra proprio quella di Cioè: teenager sorridenti con jeans a vita bassa e dose spropositata di gloss sulle labbra, fotine di bellimbusti famosi, strilli in slang pseudo-adolescenziale evidentemente scritti da qualche over-25 (leggi: matusa). Ma, a differenza di Cioè, all’interno non c’è nessun demenziale vademecum per le prime esperienze sessuali. Solo qualche (altrettanto demenziale, riferiscono i detrattori della rivista) tiratona sul successo del multiculturalismo americano, tra il ritratto di una cantante di successo (per esempio l’indo-texana Norah Jones, così il cerchio si chiude) e le lodi della vita nei campus americani (sesso, birra e droga a parte, che valgono i due terzi dell’esperienza collegiale). Questo, e non molto altro, è Hi-Magazine, rivista patinata in lingua araba il cui progetto editoriale è “dare un assaggio del sogno americano ai teenager arabi”. Anzi, lo era. Già perché il progetto di Hi-Magazine, finanziato direttamente dal Dipartimento di Stato Usa per un totale di 4 milioni di dollari l’anno, si è rivelato fallimentare. Certo non deve avere aiutato il fatto che il Dipartimento di Stato abbia dichiarato fino all’inizio che il progetto era di sua competenza, gelando altri gruppi di pressione mediatica (ogni riferimento a Soros è puramente casuale). Ma le ragioni del fallimento di Hi-Magazine, lanciato durante la guerra in Iraq, sono altre. Tanto per cominciare, non è che il sogno americano di questi tempi attragga molti giovani in Medio Oriente. Poi, quel settore della popolazione araba under-20 che è già felicemente occidentalizzato... sa che in giro c’è di molto meglio. In poche parole, Hi-Magazine è proprio moscio. Molto meglio comperare una copia di Seventeen, con incidenza di sex symbol molto più elevata, e poi uno impara pure l’inglese.
Insomma il magazine patinato del Dipartimento di Stato non se l’è filato nessuno. Le vendite in edicola sono state chiuse l’anno scorso. Molto più recentemente, è cessata la distribuzione su internet. Se ne discute, in questi giorni, su Saudi Jeans, forse il più letto blog saudita che, come suggerisce il titolo-ossimoro, è tutto un programma. «Gli americani hanno perso la guerra nel cuore dei ragazzi arabi», scrive l’autore del blog, eroe dei giovanotti sauditi che dell’aparthaid culturale e sessuale non ne possono più, incubo della buoncostume di Riad. Francamente, commenta il noto blogger, ben gli sta: «Hanno dimostrato di non essere credibili, fino al punto che qualsiasi cosa con il marchio made in Usa è diventato insopportabile». E questo è un commento viene da uno che si fa chiamare Jeans. Al Dipartimento di Stato dovrebbero davvero preoccuparsi.


++ La Stampa 17-3-2007  Come scegliere i nuovi immigrati   Tito Boeri

Quando un governo di centro-sinistra mette mano alle politiche dell’immigrazione, lo fa quasi sempre per ridurre le restrizioni introdotte da un governo di centro-destra. Negli ultimi vent’anni in Europa ci sono state 37 riforme delle leggi nazionali sull’immigrazione. Il 60 per cento di quelle varate dai governi di centro-destra hanno cercato di erigere nuove barriere contro l’arrivo degli immigrati, mentre 4 riforme su 5 targate centro-sinistra sono andate in senso opposto. L’accordo trovato in questi giorni fra i ministri Amato e Ferrero per una nuova legge sull’immigrazione non è dunque un’eccezione.
Molte di queste leggi sono dettate principalmente dall’ideologia, sono come dei trofei da esibire in campagna elettorale più che qualcosa da mettere davvero in pratica. Non a caso i decreti attuativi della legge Bossi-Fini non erano ancora stati varati tre anni dopo la sua approvazione in Parlamento. E di simili ipocrisie, di leggi inapplicate, è costellato il paesaggio delle normative sull’immigrazione anche in altri Paesi europei.
Questo spiega perché anche coalizioni che hanno molti elettori fra i lavoratori manuali, quelli che hanno più da temere dalla concorrenza di immigrati poco qualificati, aprano le frontiere. E perché coalizioni che rappresentano di più gli interessi dei datori di lavoro, quelli che hanno solo da guadagnare dall’arrivo degli immigrati, adottino spesso normative restrittive. Il fatto è che le leggi-trofei rispondono per lo più a motivazioni e identificazioni di natura ideologica. C’è però un fatto nuovo nelle proposte elaborate dai ministri Amato e Ferrero.
Per la prima volta il nostro Paese sceglie la strada dell’immigrazione selettiva, favorendo soprattutto l’arrivo di immigrati con un più alto livello di istruzione. È una strada ideologicamente forse meno digeribile dell’apertura delle porte a tutti. Ma è una strada fondata su solide ragioni economiche in un Paese come il nostro che ha sin qui attratto soprattutto immigrati con basso livello di istruzione. Solo il 12% dei nostri immigrati ha ricevuto un’istruzione terziaria, contro il 22% degli altri Paesi Ue. Anche dai nuovi Stati membri abbiamo attratto una quota relativamente bassa di lavoratori altamente istruiti (il 15% contro il 28% altrove). Ci sono anche ragioni di equità per privilegiare l’arrivo di immigrati qualificati. Se l’immigrazione coinvolge soprattutto persone poco qualificate, le disuguaglianze nel Paese che li accoglie tendono ad aumentare perché sono soprattutto i lavoratori meno istruiti a subire la concorrenza dei nuovi arrivati. Se, invece, l'immigrazione è di forza lavoro qualificata, le disuguaglianze nel Paese di destinazione diminuiscono.
Sembra anche esserci più pragmatismo che nelle leggi precedenti. Ci sono le quote, con programmazione triennale ed eventuali adeguamenti annuali per evitare ai datori di lavoro di aspettare magari fino a maggio il decreto flussi per quell'anno. Ma c’è anche l’immigrazione fuori quota dei talenti, di cui si è detto, o delle badanti che permettono a molte famiglie di assicurare assistenza a domicilio ad anziani autosufficienti pagando da un quarto a metà di meno di quanto costerebbero le case di cura. Non si aboliscono i Centri di Permanenza Temporanea, ma li si rendono qualcosa di diverso da una estensione della detenzione in condizioni igieniche e di salute ancora peggiori di quelle già precarie delle nostre carceri.
Non si pretende più che si possano gestire flussi di 300 mila persone all’anno con le «chiamate per conoscenza diretta» della Bossi-Fini, ma si creano delle liste cui il lavoratore straniero che vuole lavorare da noi può iscriversi prima di venire in Italia. Un modo per gestire in modo efficace queste liste, per stabilire a chi permettere di avere il permesso di soggiorno e a chi no, sarebbe quello di introdurre un vero e proprio sistema a punti. Come in Canada e Nuova Zelanda, Paesi in cui c’è maggiore accettazione sociale per l’immigrazione e dove gli immigrati sono non meno istruiti del Paese che li accoglie, si favorirebbe chi parla già la nostra lingua, è altamente istruito o va a coprire mansioni che nessun italiano vuole più svolgere. Sarebbe anche un modo per rendere più trasparente il principio dell’immigrazione selettiva sancito da quest'accordo. Vedremo se nel tradurre questo accordo in disegno di legge, ci sarà il coraggio di andare fino in fondo sulla strada dell’immigrazione selettiva.


+ Il Corriere della sera 17-3-2007 L'OPPOSIZIONE di GIANANTONIO STELLA Forse non sono "finti liberali figli di Ceausescu", come sbottò ...

 

L'OPPOSIZIONE di GIANANTONIO STELLA Forse non sono "finti liberali figli di Ceausescu", come sbottò un giorno Giuliano Urbani esasperato per quegli amici berlusconiani che "di liberale non hanno niente", ma gli ostruzionisti che battagliano alla Camera contro il decreto Bersani faranno sbarrare gli occhi non solo ai "Chicago boys" e agli ultràs del libero mercato. Dove mai si sono visti dei sedicenti "liberisti" scatenati contro le liberalizzazioni? Le conosciamo tutte, le obiezioni. C'è chi dice che "sono troppo poche" e chi obietta che "ci vuole ben altro!" e chi sottolinea che "manca la volontà di colpire i grandi interessi" e chi discetta sulla "carenza di gradualità"... E via così, potremmo andare avanti ore. Di più: diamo per legittime tutte le osservazioni su tutti i punti: dalla giornata libera dei barbieri alla benzina solo nei distributori, dai tagli alle ricariche dei cellulari all'estinzione anticipata dei mutui. Ma il tema resta: ammesso il pieno diritto di ciascuno di essere contrario alle rotture di vecchi equilibri corporativi, possono esserlo dei liberisti? Perché questo dicono di essere, da anni, a destra. Silvio Berlusconi lo disse perfino tre mesi prima di entrare in politica, proponendo di "privatizzare la Rai" e liquidando i sorrisetti perplessi così: "Io sono liberista, quindi non credo che occasioni contingenti possano farmi cambiare atteggiamento. Io sono favorevole al "meno Stato e più privato", sempre e dovunque. È vero, aumenterebbe la concorrenza ai network Fininvest. Ma io amo la concorrenza. Ci vivo come un bambino nel liquido amniotico". Da allora, non ha fatto altro che ripeterlo. Nel discorso della "discesa in campo" invocando "un'amministrazione pubblica liberale in politica e liberista in economia". Contro gli alleati: "Forza Italia è un partito assolutamente liberista. Ma molte difficoltà ci sono state nella Cdl con altri partiti...". Alla vigilia delle ultime politiche: "Gli elettori devono scegliere tra liberismo e comunismo, liberismo e statalismo". Fino all'ultima intervista alla Padania : "L'alleanza con la Lega è naturale, abbiamo programmi simili e un elettorato che parla lo stesso linguaggio. Siamo liberisti e nemici dello statalismo". Certo, dentro partiti come l'Udc c'è sempre stata un'anima liberale come quella di Bruno Tabacci e un'altra più cauta come quella di Pier Ferdinando Casini. Il quale, prima di svoltare e definire ieri "infantilismo politico" l'ostruzionismo destrorso e benedire l'idea di Linda Lanzillotta di metter mano al sistema dei servizi pubblici locali come "ineludibile", mandava a dire al Cavaliere che "non sarebbe giusto dar fiato solo alle trombe del liberismo se contemporaneamente, nello stesso concerto, non si sentisse con la stessa intensità il suono dei violini della solidarietà". Per anni, però, a parte eccezioni come Gianni Alemanno (promotore di una "cultura comunitaria" che "si fa carico delle questioni sociali, difende l'ambiente, si oppone al liberismo"), è sembrata una corsa a chi era il liberale più liberale di tutti. Maurizio Gasparri, per difendere quella riforma televisiva che secondo il camerata Francesco Storace non solo non aveva scritta "ma manco letta", diceva ridendo che "di liberali in Italia conosco Antonio Martino e me stesso. Anche se io sono in prova" e sentenziava che "il governo Berlusconi è basato sui capisaldi del presidenzialismo, del federalismo, del liberismo". Giuliano Urbani, coerentemente con i giudizi dati sui compagni di viaggio ("Stiamo giocando al gioco dei liberali senza avere liberali") teorizzava da ministro dei Beni culturali la privatizzazione perfino dei musei: "Lo Stato è inadeguato. Pensiamo solo alle migliaia di opere che giacciono negli scantinati e alle risorse insufficienti. I privati ci daranno risorse e più occupazione". Marcello Pera, non ancora ratzingerato, se la prendeva con le perplessità del cardinale Carlo Maria Martini sulle deviazioni del liberismo definendole un "assurdo concettuale perché non si possono accostare ambiti così distanti come i modelli di comportamento sessuale e il tasso di maggiore o minore liberismo nelle politiche economiche dei governi". E Umberto Bossi? Non solo affermava che la Lega Nord è "una forza federalista e liberista" ma che in nome di questi principi, nei suoi anni bollenti, arrivò ad attaccare il cattolicesimo, "quella setta bassa del cristianesimo" che aveva "sempre fatto politica sulle spalle del Nord" e che aveva "paura della vittoria delle idee laiche che nella parte celtica del Paese ha dato vita a una grande classe dirigente imprenditoriale, mentre nell'altra parte del Paese sono cresciuti l'antiliberalismo, l'assistenzialismo...". Per non dire di Antonio Martino, che dall'alto della presidenza della Mont Pelerin Society (un club iperliberista fondato nel 1947), si definiva "liberale in politica, liberista in economia e libertario" e marchiava la Thatcher come "una statalista moderata" e si lagnava che il tasso di liberismo in Forza Italia fosse in caduta libera "sia nella capacità propositiva sia nel personale politico, ormai sono con noi troppi ex dc, che notoriamente col liberismo non hanno mai avuto a che spartire". Addio, partito liberale di massa: "A me più che di massa pare un partito di Carrara", rise un giorno Alfredo Biondi, "nel senso del marmo: è un partito marmorizzato". Quanto all'ostruzionismo e alle sue contraddizioni, valgano per tutte le parole dette qualche tempo fa: "L'opposizione, vedete anche voi, è quello che è. Non guarda agli interessi del Paese". Erano parole, contro il filiburstering della sinistra che pure era molto più debole in aula, di Silvio Berlusconi. Quei Liberisti anti Liberalizzazioni.

Forse non sono "finti liberali figli di Ceausescu", come sbottò un giorno Giuliano Urbani esasperato per quegli amici berlusconiani che "di liberale non hanno niente", ma gli ostruzionisti che battagliano alla Camera contro il decreto Bersani faranno sbarrare gli occhi non solo ai "Chicago boys" e agli ultràs del libero mercato. Dove mai si sono visti dei sedicenti "liberisti" scatenati contro le liberalizzazioni? Le conosciamo tutte, le obiezioni. C'è chi dice che "sono troppo poche" e chi obietta che "ci vuole ben altro!" e chi sottolinea che "manca la volontà di colpire i grandi interessi" e chi discetta sulla "carenza di gradualità"... E via così, potremmo andare avanti ore. Di più: diamo per legittime tutte le osservazioni su tutti i punti: dalla giornata libera dei barbieri alla benzina solo nei distributori, dai tagli alle ricariche dei cellulari all'estinzione anticipata dei mutui. Ma il tema resta: ammesso il pieno diritto di ciascuno di essere contrario alle rotture di vecchi equilibri corporativi, possono esserlo dei liberisti? Perché questo dicono di essere, da anni, a destra. Silvio Berlusconi lo disse perfino tre mesi prima di entrare in politica, proponendo di "privatizzare la Rai" e liquidando i sorrisetti perplessi così: "Io sono liberista, quindi non credo che occasioni contingenti possano farmi cambiare atteggiamento. Io sono favorevole al "meno Stato e più privato", sempre e dovunque. È vero, aumenterebbe la concorrenza ai network Fininvest. Ma io amo la concorrenza. Ci vivo come un bambino nel liquido amniotico". Da allora, non ha fatto altro che ripeterlo. Nel discorso della "discesa in campo" invocando "un'amministrazione pubblica liberale in politica e liberista in economia". Contro gli alleati: "Forza Italia è un partito assolutamente liberista. Ma molte difficoltà ci sono state nella Cdl con altri partiti...". Alla vigilia delle ultime politiche: "Gli elettori devono scegliere tra liberismo e comunismo, liberismo e statalismo". Fino all'ultima intervista alla Padania : "L'alleanza con la Lega è naturale, abbiamo programmi simili e un elettorato che parla lo stesso linguaggio. Siamo liberisti e nemici dello statalismo". Certo, dentro partiti come l'Udc c'è sempre stata un'anima liberale come quella di Bruno Tabacci e un'altra più cauta come quella di Pier Ferdinando Casini. Il quale, prima di svoltare e definire ieri "infantilismo politico" l'ostruzionismo destrorso e benedire l'idea di Linda Lanzillotta di metter mano al sistema dei servizi pubblici locali come "ineludibile", mandava a dire al Cavaliere che "non sarebbe giusto dar fiato solo alle trombe del liberismo se contemporaneamente, nello stesso concerto, non si sentisse con la stessa intensità il suono dei violini della solidarietà". Per anni, però, a parte eccezioni come Gianni Alemanno (promotore di una "cultura comunitaria" che "si fa carico delle questioni sociali, difende l'ambiente, si oppone al liberismo"), è sembrata una corsa a chi era il liberale più liberale di tutti. Maurizio Gasparri, per difendere quella riforma televisiva che secondo il camerata Francesco Storace non solo non aveva scritta "ma manco letta", diceva ridendo che "di liberali in Italia conosco Antonio Martino e me stesso. Anche se io sono in prova" e sentenziava che "il governo Berlusconi è basato sui capisaldi del presidenzialismo, del federalismo, del liberismo". Giuliano Urbani, coerentemente con i giudizi dati sui compagni di viaggio ("Stiamo giocando al gioco dei liberali senza avere liberali") teorizzava da ministro dei Beni culturali la privatizzazione perfino dei musei: "Lo Stato è inadeguato. Pensiamo solo alle migliaia di opere che giacciono negli scantinati e alle risorse insufficienti. I privati ci daranno risorse e più occupazione". Marcello Pera, non ancora ratzingerato, se la prendeva con le perplessità del cardinale Carlo Maria Martini sulle deviazioni del liberismo definendole un "assurdo concettuale perché non si possono accostare ambiti così distanti come i modelli di comportamento sessuale e il tasso di maggiore o minore liberismo nelle politiche economiche dei governi". E Umberto Bossi? Non solo affermava che la Lega Nord è "una forza federalista e liberista" ma che in nome di questi principi, nei suoi anni bollenti, arrivò ad attaccare il cattolicesimo, "quella setta bassa del cristianesimo" che aveva "sempre fatto politica sulle spalle del Nord" e che aveva "paura della vittoria delle idee laiche che nella parte celtica del Paese ha dato vita a una grande classe dirigente imprenditoriale, mentre nell'altra parte del Paese sono cresciuti l'antiliberalismo, l'assistenzialismo...". Per non dire di Antonio Martino, che dall'alto della presidenza della Mont Pelerin Society (un club iperliberista fondato nel 1947), si definiva "liberale in politica, liberista in economia e libertario" e marchiava la Thatcher come "una statalista moderata" e si lagnava che il tasso di liberismo in Forza Italia fosse in caduta libera "sia nella capacità propositiva sia nel personale politico, ormai sono con noi troppi ex dc, che notoriamente col liberismo non hanno mai avuto a che spartire". Addio, partito liberale di massa: "A me più che di massa pare un partito di Carrara", rise un giorno Alfredo Biondi, "nel senso del marmo: è un partito marmorizzato". Quanto all'ostruzionismo e alle sue contraddizioni, valgano per tutte le parole dette qualche tempo fa: "L'opposizione, vedete anche voi, è quello che è. Non guarda agli interessi del Paese". Erano parole, contro il filiburstering della sinistra che pure era molto più debole in aula, di Silvio Berlusconi. Quei Liberisti anti Liberalizzazioni.


+ La Stampa 17-3-2007  Il kibbutz sconfitto dal mercato  SABINO ACQUAVIVA

Degania, la prima comune agricola nata in Palestina nel 1910, diventa una banale cooperativa. Ma il simbolo dei pionieri d’Israele è ancora un modello da studiare  

Quasi una tragedia per i fondatori di Israele: il primo kibbutz, con una decisione a maggioranza dei suoi soci, diventa una banale cooperativa con stipendi differenti e la proprietà privata delle case e di altri beni. Significa la fine dei grandi ideali che spinsero a creare i kibbutzim? La prima comune dell’età moderna, allora soltanto agricola, era stata fondata in Israele nel 1910, si era chiamata Degania e aveva dodici abitanti, dieci uomini e due donne. Era il risultato della fusione politica e culturale del Sionismo, dell’anarchismo, di un socialismo più o meno marxista. I fondatori affermarono: «Noi compagni (...) abbiamo fondato un insediamento indipendente di lavoratori ebrei. Una cooperativa senza sfruttatori e senza sfruttati».
Il consumismo più forte degli ideali
Nel tumulto politico dell’ultimo secolo queste comuni si diffusero in Israele, ma non furono considerate un fatto molto positivo in Europa, dove il socialismo sovietico preferì corteggiare politicamente le centinaia di milioni di musulmani che i pochi ebrei di Palestina. Inoltre, lo Stato ebraico nacque nel 1948, in piena guerra fredda, quando i kibbutzim erano già numerosi da quasi quarant’anni. Attualmente in Israele ci sono almeno 268 comuni agricole, con circa 117 mila abitanti nati in Israele e provenienti da ogni parte del mondo, come Allan Saphiro, americano e professore all’università di Haifa, che vive appunto a Degania.
Oggi che accade? Molti sostengono che il mercato sostituisce gli ideali, ma è vero entro certi limiti anche se Degania si è inchinata alle sue leggi. Questo significa il fallimento dell’unico vero tentativo al mondo di progettare una società socialista? Qualcuno, demoralizzato, dopo le recenti decisioni ha detto: «La tradizione non esiste più, la mensa comune è vuota, le feste non sono più quelle di una volta». Perché tutto questo? Il consumismo ha spianato valori e ideali della nostra civiltà. Quasi ovunque ha vinto. Persino la Cina, la patria della Rivoluzione Culturale e del maoismo, ha capitolato di fronte alle leggi ferree del consumismo, ritenendo che lo sviluppo economico sia impossibile senza rinunciare ad alcuni ideali di eguaglianza.
Tra fratellanza e competizione
I kibbutzim sono soltanto espressione della cultura e della filosofia socialista del secolo passato? Non lo penso, rappresentano un tentativo di arginare il consumismo, di dialogare con il mercato, il grande schiacciasassi di culture, filosofie e religioni della nostra società. In Israele, minacciato di distruzione dall’ennesimo fondamentalismo, è in corso la battaglia per la sopravvivenza di un’istituzione economica, sociale, lasciataci in eredità da una cultura che, per il resto, all’alba di questa nuova civiltà, sembra quasi in agonia. Nelle comuni israeliane si contrappongono caratteristiche diverse della natura umana. Da un lato gli esseri umani cercano fratellanza, cooperazione, fraterna convivenza, dall’altro competizione e sfruttamento. Le due anime sono presenti anche nei kibbutz che però continuano a rappresentare il solo esempio concreto di eguaglianza e fratellanza. Dovremmo studiare e capire i kibbutzim e insieme domandarci se possono essere un modello per riorganizzare la società nel suo complesso, in una parola per progettare il nostro futuro.
acquaviva.sab@tin.it


Il Corriere della Sera 17-3-2007 Ci si può rassegnare al ritorno dei talebani? Guerre afghane e ruolo dell’Onu. di Alberto Ronchey

 

 

A fine marzo, nella discussione di Palazzo Madama sul rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan, a quanto pare alcuni senatori della sinistra governativa esprimeranno tenaci dissensi. Ma non si vede come possano sottostimare la drammaticità dei pericoli che incombono su Kabul, mentre la guerriglia sequestra e uccide ostaggi, o dimenticare la storia dei conflitti che da quasi trent’anni si ripetono in quello scenario strategico. Le guerre afghane del nostro tempo risalgono a una precisa data d’origine, 24 dicembre 1979, l’invasione dall’Urss che l’Onu deprecava con il voto di 104 nazioni. L’Afghanistan veniva sul momento sottomesso, proprio mentre conquistava l’indipendenza in Africa lo Zimbabwe, già Rhodesia, ultima delle colonie britanniche.

Seguiva in Afghanistan l’occupazione militare sovietica, prolungata per dieci anni, poi fallita dinanzi al propagarsi d’una strenua e inestinguibile guerriglia. Perché l’impero bicontinentale di Breznev, già superesteso, doveva spingersi oltre l’Amu Darja? Mosca temeva il contagio d’un islamismo eversivo in Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan. Invece gli occidentali temevano un espansionismo ulteriore dell’Urss, dopo la satellizzazione di Aden e del Sud Yemen. Dunque gli Stati Uniti fornirono soccorsi e armi come i missili antiaerei ai guerriglieri, compresi quelli poi chiamati talebani. Allora non fu previsto che la Jihad islamica si sarebbe ramificata e convertita in terrorismo internazionale. Nell’89, dopo il ripiegamento dei marescialli sovietici, l’Afghanistan era devastato e sconvolto da carestie, tribalismi, xenofobie. Prevalse la forsennata oligarchia dei talebani.

La rete di Al Qaeda, sotto la guida di Osama Bin Laden, fu costituita in quelle circostanze, per estendersi con i primi attentati alle ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salaam. Fino alla massima impresa, l’aggressione fulminea contro gli Stati Uniti l’11 settembre 2001. Contro quell’aggressione reagì l’intervento militare legittimato dall’Onu, giacché i talebani ospitavano Bin Laden e le basi del terrorismo. Il conflitto iniziale fu vinto dagli Stati Uniti e dai loro alleati con la rapida conquista di Kabul. I talebani ripiegarono verso i loro «santuari», lungo la frontiera con il Pakistan. Ma pure quella guerra doveva cronicizzarsi, come già quella dell’Urss. I marescialli sovietici, dal ’79 all’89, avevano preso atto che non era sufficiente occupare Kabul, Herat, Kandahar o Jalalabad per debellare la guerriglia in quelle impervie regioni, con un’aspra orografia intessuta di caverne d’alta quota.

A Kabul venne insediato il governo di Hamid Karzai, sorretto in qualche misura dalla Loya Jirga o assemblea intertribale, ma non difeso da una concentrazione di forze internazionali sufficienti al presidio del t e r r i t o r i o , mentre Washington con discutibili motivazioni apriva un altro fronte in Iraq. Fu l’avventura irachena una causa ulteriore dell’insufficienza di forze, che ha consentito il riaccendersi del focolaio talebano in Afghanistan. Eppure, anche senza ignorare azzardi o errori commessi nel misurare l’impegno primario in Afghanistan, ci si può rassegnare al ritorno dei talebani a Kabul? Per chiudere il ciclo delle guerre afghane sarebbe almeno da tentare, come viene proposto, una conferenza internazionale con la pressante mediazione dell’Onu.

17 marzo 2007


Il Corriere della Sera  17-3-2007 Mani pulite  Colombo lascia la toga: vedo riabilitati i corrotti. Luigi Ferrarella

 

Il pm della P2 e di Mani pulite: il Paese non crede nella legalità, mi dedicherò ai giovani

 

MILANO — Gherardo Colombo lascia la magistratura. Uno dei pm della scoperta della loggia P2 e di Mani pulite, ora giudice in Cassazione, dice addio alla toga a 60 anni. E spiega al Corriere: «In Italia quella tra cittadino e legalità è una relazione sofferta, la cultura di questo Paese di corporazioni è basata soprattutto su furbizia e privilegio. Tra prescrizioni, leggi modificate o abrogate, si è arrivati a una riabilitazione complessiva dei corrotti». E per il futuro? «Voglio incontrare i giovani e spiegare loro il senso della giustizia». «Mi sono convinto che, affinché la giurisdizione funzioni, è necessario esista una condivisa cultura generale di rispetto delle regole». E invece in Italia «quella tra cittadino e legalità è una relazione sofferta, la cultura di questo Paese di corporazioni è basata soprattutto su due categorie: furbizia e privilegio. A questo punto del mio percorso di vita, quello che voglio fare è invitare in particolare i giovani a riflettere sul senso della giustizia. E' una scelta del tutto personale, oggi mi sento più adatto a questo impegno che a quello di giudice». Dentro il giudice Corrado Carnevale, fuori il giudice Gherardo Colombo. Depurato da coincidenze temporali e rispettivi profili professionali, in termini puramente numerici è uno scambio alla pari: uno (il giudice assolto dall'accusa di mafia, il collega del "Falcone è un cretino") è riammesso dal Csm in magistratura (dove da presidente di sezione di Cassazione resterà sino a 83 anni); l'altro (con Turone il giudice della scoperta della loggia P2 e del delitto Ambrosoli, con Di Pietro il pm di Mani pulite, con Boccassini il pm dei processi Imi-Sir/Lodo Mondadori/Sme ai giudici corrotti da Previti), dà le dimissioni da magistrato ad appena 60 anni, 15 prima della pensione. Con una lettera presentata, in sordina, al Csm e al Ministero della Giustizia a metà febbraio, nei giorni delle stanche rievocazioni del 15esimo anniversario dell'inizio di Mani pulite. Non è una resa, dice, non c'è sfiducia nel lavoro di 33 anni in toga, né tantomeno ci sono porte da sbattere o superbe prese di distanza da coloro che invece restano con la toga addosso, convinti che far bene il proprio lavoro quotidiano contribuisca a migliorare da dentro il sistema: «Ci mancherebbe altro, anche l'amministrazione della giustizia è indispensabile». Anche, dice però Colombo. Prima, un «prima che magari non è cronologico ma sicuramente concettuale», spiega di essersi reso conto che, per crederci ancora, ha bisogno di sentire esistere un prerequisito: «La giustizia non può funzionare senza che esista prima una condivisione del fatto che debba funzionare».

La scelta di dedicarsi a questo obiettivo nasce da «un rammarico: il verificare come la giustizia sia l'unica sede nella quale si pensa che debbano essere accertate le responsabilità. Oggi, chiunque dica al mattino una cosa e la sera il contrario, è irresponsabile di entrambe le dichiarazioni. Ma lo strumento del processo penale è inadeguato a riaffermare la legalità quando l'illegalità sia particolarmente diffusa e non esistano interventi che in altri campi vadano nella stessa direzione. Diventa una spirale, crea sfiducia e disillusione». «E' incredibile vedere quanto le persone siano coinvolte da questi contatti, da fuori è davvero inimmaginabile», si infervora Colombo raccontando di incontri «programmati per due ore e dove invece devo fermarmi per tre»; di centinaia di persone che magari vengono in un teatro o in una biblioteca all'antivigilia di Natale e quindi non certo perché non sanno cosa fare»; di «ragazzi che succede spessissimo restino con la bocca aperta» a sentire eventi della vita del loro Paese fondamentali, ma che nessuno mai gli aveva raccontato. «Bisogna dar loro due cose: metodi e informazioni», ritiene Colombo, che, sostenuto anche dall'esperienza di tanti incontri in tema di corruzione, tecniche investigative, assistenza giudiziaria internazionale, ai quali è chiamato particolarmente all'estero, si propone ora di impegnarsi in questa direzione «sia attraverso contatti diretti, sia scrivendo che occupandomi di editoria: va comunicato il profondo perché delle regole e il come farle funzionare; occorre colmare la carenza di informazione non solo sui fatti, ma anche sulla concatenazione dei fatti e del pensiero; è necessario individuare le premesse e rendere evidenti le loro conseguenze, sottolineando la necessità di coerenza, in modo da dare risposte stimolanti alla tanta voglia di approfondire questi temi».

E si intuisce che, rapportata a sé, è proprio questa esigenza di "coerenza" a spingere ora Colombo a lasciare l'amministrazione della giustizia. Non ci crede più, non crede che si possa aumentare il tasso di legalità attraverso l'uso dello strumento giudiziario, quando nulla cambia all' esterno. Da fuori forse sì, gli sembra possibile: «A questo punto della vita mi sono convinto che può esistere giustizia funzionante soltanto se esiste un pensiero collettivo che in primo luogo individui il senso della giustizia nel rispetto degli altri; che poi ci rifletta; e che infine, se ne viene convinto, arrivi a condividerlo. Si tratta di confrontarsi con i fondamenti della nostra Costituzione, il riconoscimento e la tutela dei diritti fondamentali e l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge». Mentre l'amministrazione reale della giustizia, quella che oggi a suo avviso arranca «senza una cultura condivisa delle regole, diventa qualcosa di estremamente difficoltoso, addirittura per certi versi eventuale, fonte essa stessa di giustizia casuale e quindi paradossalmente di ingiustizia», nel marasma di «una grande disorganizzazione e con scarsi mezzi». Da questo punto di vista, per paradosso, «l'esperienza in Cassazione è stata per certi versi inaspettatamente confermativa: un impressionante numero di cause da trattare in poco tempo, scarsi mezzi, mancanza di stanze». Il tutto accompagnato da una sensazione di «ineluttabilità» alla quale «si rassegna» chi pure lamenta «le cose che non funzionano», ultima goccia del cocktail che ora a Colombo fa dire: «Dare così poca cura a un'attività cruciale per l'amministrazione della giustizia è stata, per me, la definitiva conferma che c'è anche altro da fare». Altro rispetto ai processi. E prima dei processi: la condivisione delle regole. E qui sembra affiorare l'eco di una sconfitta, l'unica forse avvertita come davvero bruciante dall'ex pm di Mani pulite: corrotti e corruttori rientrati nella vita pubblica, o direttamente (votati) o indirettamente (nominati), comunque legittimati dai cittadini. Colombo si sente "tradito" dal "popolo" nel cui nome ha amministrato giustizia? «Piuttosto, sono contrariato nel vedere come la legalità, per questo Paese, sia ancora qualcosa che ha poche chances». Tra le concause, dice, « ha pesato il mutato atteggiamento dei media, le falsità dette contro le nostre indagini e talora contro di noi. Ma credo ci sia stato anche un altro elemento importante. All'inizio le indagini hanno coinvolto i livelli più alti della politica e dell'imprenditoria, perché nei loro confronti erano allora emersi gli indizi: persone lontane anni luce dal cittadino comune.

Poi, però, man mano che le indagini progredivano, sono comparsi anche fatti attribuibili a persone comuni: al maresciallo della Finanza, al vigile dell'Annonaria, al primario dell'ospedale, all'ispettore dell'Inps, al medico e ai genitori dei figli alla visita di leva, alla cooperativa di pulizie. E qui, ecco che l'atteggiamento della cittadinanza è cambiato». E voi magistrati siete finiti fuori mercato perché offrite un prodotto (la legalità) per il quale non c'è domanda? «Anche qui la misura della legalità è il rispetto dei principi costituzionali. Di legalità non c'è n'è abbastanza. Sono molti, per fortuna, coloro ai quali interessa la legalità, che vuol dire piena attuazione dei principi costituzionali della tutela dei diritti fondamentali e dell'uguaglianza di fronte alla legge. Ma non sono ancora abbastanza. E soprattutto, hanno una scarsissima rappresentanza, non trovano voce sufficiente. In alcuno dei due schieramenti». Colombo lo ricava «dal fatto che, altrimenti, sulla legalità sarebbero state fatte delle battaglie. E dico sulla legalità, non sul fatto che il signor Tizio o il dottor Caio siano colpevoli o innocenti: ad esempio sulla modifica delle regole del processo, per renderlo più agile e rapido; sulla dotazione di strumenti che consentano ai giudici di svolgere meglio la propria funzione; sulla cura della preparazione professionale». E' questo il fronte che ora sembra prioritario a Colombo. Il quale, a sorpresa, non ha tanta voglia di voltarsi per toccare con mano l'esito delle sue inchieste: «Vogliamo essere spietati? Sono magistrato dal 1974, per 3 anni giudice, poi da inquirente mi è capitato di occuparmi della loggia P2, dei fondi neri dell'Iri, di Tangentopoli, della corruzione di qualche magistrato. Alla fine — a parte la dovuta definizione giudiziaria delle singole posizioni —, i risultati complessivi di questo lavoro quali sono stati? Tra prescrizioni, leggi modificate o abrogate, si è sostanzialmente arrivati a una riabilitazione complessiva di tutti coloro che avevano commesso quei reati. Con un livello di corruzione percepita che non si è modificato. E, soprattutto, con una rinnovata diffusione del senso di impunità prima imperante».

Cambiare dall'interno, no? «Dovrebbe davvero cambiare tutto». E invece, «possibile che per selezionare i capi di uffici giudiziari di dimensioni pari a una grande azienda, continuiamo a fare le scelte, quando va bene, sulla base della capacità di condurre indagini o scrivere belle sentenze, qualità che nulla hanno comunque a che fare con la capacità di organizzare un ufficio? Anche a proposito delle questioni disciplinari, siamo sicuri che, nonostante tutti gli sforzi, pur fatti, non si potesse fare ancora di più per evitare che qualche magistrato fosse avvertito come arrogante o non sufficientemente dedicato alla sua funzione?». Per Colombo «l'Italia è un paese di corporazioni che per prima cosa si difendono autotutelandosi (ha presente l'espressione "cane non mangia cane"?)». E pur se «la magistratura mi sembra, tutto sommato, la migliore» di queste corporazioni, «anche al suo interno si avverte la tentazione di cedere alla stessa logica: la difesa della categoria, prima che dell'organizzazione, della disciplina, della laboriosità; con il rischio di isolamento per chi pensa il contrario». La decisione di guardare alle regole da una posizione diversa — confessa Colombo, ieri in Procura a salutare alcuni colleghi — «non è stata facile e continua ad essere molto sofferta. Non soltanto perché questo lavoro ha assorbito buona parte della mia vita, ha accompagnato la nascita dei miei figli, la morte dei miei genitori, è stato intriso di eventi di dolore squarciante (come gli assassinii, proprio qui a Milano, di Guido Galli e Emilio Alessandrini, e dei colleghi eliminati da terrorismo e mafia); ma anche perché tanti sono i colleghi, dai quali mi separo, che con cura, attenzione e direi ostinazione non hanno fatto altro che cercare di rendere giustizia. Ma a mio parere, perché non sia un compito immane, occorre anche altro: che l'atteggiamento verso le regole cambi anche fuori dai palazzi di giustizia».

17 marzo 2007


 Il Corriere della sera 17-3-2007 L’Unione teme l’asse tra Chiesa e destra. La Nota Massimo Franco

 

Il governo loda Martini ma resta l’ostacolo della legge sulle coppie di fatto

 

È probabile che non inciderà né sulla strategia di Benedetto XVI, né sulla «nota» che la Cei sta preparando sulle coppie di fatto. Ma politicamente, l’approccio morbido del cardinale Carlo Maria Martini ha rotto l’immagine monolitica della Chiesa; e offerto al centrosinistra un appiglio prestigioso al quale aggrapparsi per contestare la tesi di una collisione inevitabile con il Vaticano. Difendere il provvedimento sulle coppie di fatto, adesso, viene presentato come un atto che non può comportare mezze scomuniche. I commenti dell’Unione tradiscono il sollievo, anche se non è scontato che la legge passerà in Parlamento.

La novità è un’altra: per la prima volta, sui Dico la maggioranza si sente meno sola di fronte alle gerarchie. E usa il cardinale Martini come testimonial di un dialogo che il Vaticano di Benedetto XVI si ostinerebbe a rifiutare. Si nota un’inversione dei ruoli curiosa. Il disappunto del fronte berlusconiano contro l’ex arcivescovo di Milano, accusato di «cedere alla modernità», somiglia a quello che esprimeva nei giorni scorsi la maggioranza contro la rigidità dottrinale del Papa. Insomma, ogni schieramento usa le gerarchie per legittimare le proprie posizioni e screditare quelle avversarie.

Ma per l’Unione è un esercizio complicato dai segnali che continuano ad arrivare dalla Santa Sede. La «Pontificia accademia per la vita» che invoca l’obiezione di coscienza di medici e politici conferma le pressioni sui parlamentari chiamati a pronunciarsi sui Dico. Cresce l’impressione che la scelta sarà compiuta secondo logiche di schieramento che il sindaco di Roma, Walter Veltroni, vede come una vittoria dell’«integralismo » e del «laicismo esasperato». Fausto Bertinotti teme una sconfitta del governo al Senato. Per questo, da presidente della Camera e dirigente del Prc, esalta la «laicità dello Stato e del legislatore» contro i «vincoli confessionali ».

Ma le tensioni col Vaticano ormai vanno oltre le unioni civili. Mimmo Lucà, dei Cristiano-sociali, evoca ed esorcizza «la saldatura tra integralismo cristiano e destra conservatrice». Nega la cittadinanza alla «Chiesa soggetto politico». Ed assegna al Partito democratico il compito di «evitare che quell’alleanza si saldi». È un allarme indirizzato anche all’interno dell’Unione: ai settori che pensano di ridurre la «strategia vaticana» del centrosinistra all’anticlericalismo. Lo stesso Prodi cerca di abbozzare una risposta di compromesso. Invita a conciliare «l’ispirazione religiosa e la fedeltà ai propri convincimenti di fede» con «l’esercizio della responsabilità politica ». Il premier sembra rivendicare la legge sui Dico quando spiega che occorrono «spirito aperto e disponibilità all’ascolto delle domande nuove che vengono dalla società». Ma è improbabile che si tratti di un’analisi accettata e condivisa oltre Tevere.

Massimo Franco

17 marzo 2007


Il Piccolo di Trieste 17-3-2007 "Il Paese cerca soluzioni ragionevoli che contrastino le posizioni estreme"

 

Incontro promosso dal Segretariato per il partito democratico. Segatti: "Sui temi etici la politica non dà risposte" Le opinioni degli italiani sulle questioni eticamente sensibili sono varie, frastagliate, ma tutt'altro che polarizzate. Lo ha dichiarato ieri Paolo Segatti, docente di Sociologia politica all'Università di Milano, a margine di un incontro sui temi eticamente sensibili e sugli orientamenti dell'elettorato, organizzato alla Libreria Minerva dal Segretariato per il Partito democratico e moderato dal direttore del "Piccolo" Sergio Baraldi. "La polarizzazione esiste solo per le elite, perché l'opinione pubblica non si divide per andare agli estremi", ha spiegato Segatti. "La nuova propensione dei cattolici a votare centrodestra, registrata nel 2006 - ha continuato - non è la conseguenza di una domanda polarizzata di valori che c'è nella società, ma piuttosto la conseguenza di un discorso che rispecchia i codici morali e l'agenda tematica di minoranze attive". In altre parole, neanche sulle questioni eticamente sensibili l'Italia è divisa a metà. Il Paese si presenta alla ricerca di soluzioni "ragionevoli", che contrastino le posizioni estreme, a cominciare da temi come la regolazione delle convivenze di fatto tra gli omosessuali. "La realtà è che la maggior parte della popolazione italiana, sia laici che cattolici, dichiara di avere qualche riserva di fronte ai cosiddetti Dico tra le persone dello stesso sesso", aggiunge Segatti. Secondo il docente, l'aspettativa è che la legge rifletta i valori di ognuno, dimenticando che in realtà il contesto legale debba essere vincolante per tutti. "L'interrogazione sui valori può diventare lo spunto giusto per fare una domanda più ampia sul ruolo della nuova sinistra - ha osservato il direttore del Piccolo, Sergio Baraldi - visto che soprattutto dopo gli attentati alle Torri gemelle dell'11 settembre 2001 la nostra società guarda a una modernità che si confronta con nuove esigenze e priorità". Naturalmente, uno dei punti di partenza è il nodo dei temi eticamente sensibili, visto che "sulla politica la pressione cresce in maniera smisurata su questo versante". Mai come oggi l'aspetto dell'etica è importante, perché molte volte sembra che più la domanda cresce meno la politica è in grado di rispondere in maniera coerente. Tutto questo fa sì che alcuni politici portino avanti discorsi sulla polarizzazione etica, sulle "differenze valoriali" tra gli elettorati delle due coalizioni, o su una tendenza "costruita" verso un conflitto tra cattolici e laici. In tutto questo come subentra però il ruolo della stampa? Secondo il direttore del Piccolo, i giornalisti hanno una responsabilità maggiore nella società visto che le notizie che vengono riportate dai giornali rispecchiano la realtà. "Nello stesso tempo però non penso che gli italiani decidano a chi votare solo sulla base di quello che leggono sul giornale". g.p.


I Sole 24 Ore 16-3-2007La fotografia del Fisco in Italia: 8 contribuenti su 10 sotto i 35mila euro, il 2%oltre 100mila M. Do.

 

Vai allo studio del Ministero delle Finanze

 

Più di un italiano su dieci vive con meno di mille euro al mese e la stragrande maggioranza, oltre l'80%, dichiara al fisco un reddito inferiore ai 35mila euro l'anno. Pochi, pochissimi, i ricconi, quelli che dichiarano oltre 100mila euro l'anno, l'ultima delle soglie nelle statistiche fiscali. Teoricamente a permettersi una vita un po’ più agiata del normale sono meno di 2 italiani su 100. Sono alcuni delle informazioni che si possono ricavare dalle oltre 8mila tabelle, una per ciascun comune italiano, sulle dichiarazioni dei redditi 2005 (anno di imposta 2004) pubblicate oggi sul sito del ministero delle Finanze. «Sono dati - spiega una nota - destinati ai Comuni al fine delle decisioni locali sull'addizionale Irpef, ma che si rendono disponibili alla consultazione libera», considerato anche che l'ultima Finanziaria stabilisce appunto al possibilità di rendere noti i dati salvaguardando la privacy dei contribuenti. Partendo dalle 10 più grandi città metropolitane, dove comunque vive la maggior parte dei contribuenti, si può calcolare che l'82% delle dichiarazioni prese in considerazione riporta redditi sotto i 35mila euro (la soglia, cioè, che nel dibattito politico viene normalmente considerato medio-bassa). Poco meno del 2% supera, appunto, i 100mila euro mentre la percentuale raddoppia (4,3%) se si sommano anche quelli che nel 730 o Unico scrivono 70mila euro. Molti i “poveri”, quelli appena poco sopra la cosiddetta “no tax area” perchè guadagnano 10mila euro l'anno: si tratta di circa il 12 per cento dei contribuenti.
In base ai dati sul reddito imponibile è Roma, seguita da Milano, la città più ricca d'Italia. A Roma spetta anche il primato dei “paperoni”, con 30.960 persone che hanno dichiarato un reddito di oltre 100mila euro contro 27.408 milanesi. A Roma però ci sono anche più poveri. Il capoluogo con l'imponibile complessivo più basso risulta Aosta, dove 279 persone hanno dichiarato un reddito superiore a 100mila euro e 200 lo hanno denunciato inferiore a mille euro. Tra le altre grandi città, Torino figura al terzo posto, seguita da Genova, Napoli, Bologna e Firenze.
Tra i piccoli comuni, spicca il concentrato di “paperoni” a Montebelluna, in provincia di Treviso, quartier generale della Geox: ben 223 persone, su circa 27mila abitanti, hanno denunciato un reddito superiore a 100mila euro. Ben 1.037 pratesi su 185mila abitanti hanno dichiarato oltre 100mila euro, mentre ad Arcore, residenza dell'ex premier Silvio Berlusconi, solo in cinque mostrano di avere un reddito superiore ai 100mila euro così come a Villar Perosa, regno degli Agnelli. Nei luoghi dorati della villeggiatura italiana - Capri, Cortina, Forte dei Marmi, Poro Cervo (Olbia), Sestriere e Portofino - il fisco non vede portafogli gonfi. La classe di reddito con il maggior numero di contribuenti va dai 10mila ai 15mila euro l'anno. A Capri solo l'1,8% dei contribuenti dichiara redditi da oltre 100mila euro. Il 61% è per il fisco sotto i 20mila euro l'anno. Analogo il quadro delle tasse a Cortina dove il rapporto dei più abbienti scende all'1,7 per cento.


INDICE 16-3-2007

+ da AgenParl 16-3-2007

+ L’Espresso 16-3-2007 Doppio gioco alla pakistana di Gianni Perrelli

+ La Padania 16-3-2007 L Europa e la sua debolezza energetica al centro della nuova guerra fredda Raffaele Volpi

+ Il Corriere della Sera 16-3-2007 Gb: coroner attacca Usa per uccisione soldato. Censurato comportamento stato maggiore Usa che non ha cooperato

+ La Repubblica  16-3-2007 Codice contro le stragi del sabato sera  "Vietati gli alcolici a chi guida"

+ La Repubblica 16-3-2007 Cina, torna la proprietà privata Ma la terra resta dello Stato

La Stampa 16-3-2007 Liberalizzazioni, volano sberle Alla Camera scontro fra Buontempo (an) e Quartiani (Ulivo). Seduta sospesa  1

La Repubblica 16-3-2007" La Chiesa non dia ordini serve il dialogo laici-cattolici" dal nostro inviato ZITA DAZZI 2

Il Riformista 16-3-2007 Il rebus dell’italianità nel Belpaese prodiano  3

Milano Finanza 16-3-2007 Lo spettro della recessione Usa spaventa anche l'Opec  4

Il Tirreno 16-3-2007 Pistoia Traffico di notizie riservate, 5 indagati 4

Il Corriere della Sera 15-3-2007 Ma il tuo pc può navigare a Vista? Federico Cella  5

 


Da AgenParl 16-3-2007 VENTI DI SCISSIONE SCUOTONO LA QUERCIA

Roma, 16 Marzo 2007 – AgenParl – “Vado al congresso per mandarli al diavolo”. Lo dichiara stizzito Nicola Rossi, deputato ex-Ds, riferendosi al prossimo congresso primaverile della Quercia, nel quale si prevede verrà sancito l’ingresso nel Partito Democratico.
Forti venti di scissione soffiano infatti sulla vicina assise dei Ds. Oltre alle ormai già confermate defezioni di esponenti parlamentari quali Giuseppe Caldarola e lo stesso Rossi, i campanelli d’allarme suonano per i contrasti sul Pd con le aree interne al partito capeggiate da Gavino Angius e da Fabio Mussi.
Mentre nella segreteria Ds si pensa di poter far rientrare la mozione Angius, sembra che con il Correntone la frattura sia ormai insanabile. Mussi, alla ricerca di una nuova collocazione nello scacchiere politico, ha infatti da tempo avviato un dialogo aperto con il “cantiere della sinistra”, promosso da Fausto Bertinotti per riorganizzare le forze della sinistra alternativa di fronte ai nuovi scenari che si apriranno con la creazione del Pd. (F.F.)

Da AgenParl 16-3-2007 PARISI DIVORZIA DA PRODI

Roma, 16 Marzo 2007 – AgenParl – Ha formalizzato il divorzio da Romano Prodi. Arturo Parisi è entrato in rotta di collisione con il suo mentore. La spaccatura è stata determinata dall’insanabile contrasto sulla riforma della legge elettorale. L’attuale ministro della Difesa sostiene che il capo dell’esecutivo, per restare alla testa del governo e per assicurarsi la leadership del Partito Democratico, si sia accodato alla scia di quanti, non solo nella Margherita, ma anche nell’intera coalizione di centrosinistra, vogliono annacquare il bipolarismo, o ciò che ne resta.
Parisi, dopo essersi rifiutato di abbandonare il comitato promotore del referendum, è passato all’attacco ed ha esplicitamente sbarrato la porta a Prodi, affermando che con la conferma del bipolarismo occorre cambiare il leader. Testualmente ha dichiarato che “il paese ha bisogno di rinnovamento”. E, riferendosi agli attuali leader di Unione e Cdl, ha aggiunto che “se dovesse riproporsi per la terza volta la stessa situazione, vuol dire che non avremo fatto troppa strada”, ovvero che il Professore e il Cavaliere non possono ancora rappresentare i rispettivi poli. Naturalmente “il Pd non è un partito per Prodi, semmai per il dopo Prodi”.
Pertanto questa rottura del vecchio sodalizio appare, come viene detto all’AgenParl, come il preludio di un dramma che, simile a quello maturato nella Quercia, porterà al rovesciarsi di alleanze e a fratture all’interno della Margherita e, successivamente, nel Pd.
Di ciò ne ha dato l’annuncio lo stesso Parisi, il quale ha affermato che “l’idea del Pd a cui ho lavorato per anni non è esattamente coincidente con quella di Massimo D’Alema e Franco Marini”.


+ L’Espresso 16-3-2007 Doppio gioco alla pakistana di Gianni Perrelli

 

PRIMO PIANO Il premier Pervez Musharraf cavalca l'ambiguità.

Ufficialmente combatte i terroristi. Di fatto il suo paese è il rifugio dei talebani e di Al Qaeda La transumanza scorre ininterrottamente dall'alba al tramonto lungo i tratturi e le sassaie di alta montagna che fendono il confine fra il Pakistan e l'Afghanistan. Ai due lati della frontiera vivono tribù dell'etnia pashtun. Hanno gli stessi costumi, parlano la stessa lingua, infischiandosene delle divisioni fra i due Stati si ritengono semplicemente membri di una stessa comunità. è in queste carovane di viandanti che si mescolano i guerrieri talebani nei loro andirivieni fra le retrovie nelle aree tribali pachistane e le basi d'assalto nelle province meridionali afgane. Più a Ovest, nella regione del Baluchistan, i talebani si indottrinano nelle scuole coraniche di Quetta, la città pachistana dove avrebbe trovato rifugio il mullah Omar e dove negli ultimi mesi sono affluiti centinaia di combattenti arabi dall'Iraq. è dal quartier generale in esilio, nascosto nel labirinto di meandri della città vecchia, e certamente non sconosciuto al Jui (Jamiat Ulema Islam, il partito fondamentalista che ha una forte influenza in tutta l'area), che sarebbe stata coordinata l'offensiva di fine inverno contro il governo afgano di Hamid Karzai. Una penetrazione militare affidata nei distretti di Helmand, Khost, Paktia e Nangharar al mullah Dadullah e al capo tribale Jalaluddin Haqqani. Il Pakistan formalmente alleato degli Stati Uniti soffre di schizofrenia. Ha ricevuto miliardi di dollari da Washington per arginare, a volte con successo, il terrorismo, ma nello stesso tempo lo alimenta clandestinamente con i rami deviati dei suoi servizi segreti (l'Isi) che sostengono le azioni dei talebani. "è nostro partner nella guerra contro Al Qaeda", ha fotografato recentemente la situazione John Negroponte, ex capo dell'intelligence Usa e ora braccio destro di Condoleezza Rice al dipartimento di Stato, "ha catturato alcuni dei responsabili militari di Bin Laden, però è anche la fonte principale dell'estremismo islamico". Pervez Musharraf, il generale dal '99 al potere dopo aver detronizzato Nawaz Sharif con un colpo di Stato incruento, si barcamena con l'abilità di un equilibrista in un paese di quasi 170 milioni di abitanti in bilico fra il Medio Evo e la globalizzazione. Il Pakistan è l'unica nazione islamica che possiede ufficialmente la bomba atomica. Ha università e centri scientifici di livello internazionale. Una crescita economica annua del 6 per cento. Un tenore di vita nella borghesia delle grandi città che non si discosta troppo dagli standard occidentali. Ma nei piccoli centri e nelle campagne dominano ancora arretratezza, ignoranza, povertà. Appena l'anno scorso è stato abolito il kudud, un istituto giuridico primitivo che consentiva alla donna stuprata di avere giustizia solo comprovando la sua denuncia con l'avallo di quattro testimoni maschi. Con un colpo al cerchio, Musharraf ha mostrato volontà di riformatore nella lotta contro la corruzione e nell'epurazione dei vertici dell'intelligence. Con uno alla botte ha chiuso un occhio sull'odio antioccidentale che matura nelle madrasse e sul doppio gioco di una branca dei servizi militari che tramite l'avanzata dei talebani vogliono riprendere il controllo dell'Afghanistan. "Nelle campagne", si giustifica il presidente, "le scuole coraniche sono le uniche istituzioni educative. Sarebbe impossibile chiuderle". Non altrettanto complicato sarebbe rimettere in riga le madrasse più permeate dal fanatismo, come la Jamiya Islamica di Quetta, dove si inneggia al mullah Omar e all'azione dei martiri suicidi. Musharaff, che è già sopravvissuto a tre attentati, si sforza in realtà di non mostrarsi insensibile ai voleri di Washington. Anche perché è stato strigliato dal vicepresidente americano Dick Cheney nel loro ultimo incontro a Islamabad. Avrebbe così autorizzato la costruzione di una base segreta americana nel cuore del Baluchistan. A fine febbraio non ha esitato a far arrestare il mullah Obaidullah Akhund, ministro talebano della Difesa, che dopo soli due giorni era però già libero. Ma non ha mai dato la caccia ai santuari dei talebani che raccolgono forti simpatie in quel territorio, né ha permesso che lo facessero i marines, per evitare il rischio di una guerra civile. L'ambiguità lo ha messo da tempo in rotta di collisione con Karzai, che lo accusa di complicità occulta con i talebani. Lo proverebbe la confessione di Mohammed Hanif, il portavoce degli studenti coranici catturato l'anno scorso dai servizi di Kabul. Secondo i verbali del suo interrogatorio, il mullah Omar si nasconderebbe a Quetta, dietro le manovre di destabilizzazione dell'Afghanistan ci sarebbe la mano dell'Isi, e i campi di addestramento sarebbero concentrati nell'area tribale del Nord Waziristan. In una recente conferenza stampa Musharraf si è difeso sostenendo che l'offensiva degli studenti coranici era scattata all'interno dell'Afghanistan e che, tutt'al più, aveva ricevuto dal Pakistan solo il supporto di qualche apparato fuori controllo. A dimostrazione della sua buona fede ha poi ricordato di aver esteso per 35 chilometri la rete di recinzione sulla linea di confine (lunga peraltro un migliaio di chilometri) e di aver disseminato mine in prossimità dei valichi non vigilati. Ha poi invitato la comunità internazionale ad aiutarlo a smantellare i campi profughi in cui vivono ancora centinaia di migliaia di afgani, agevolando il loro ritorno a casa. Irrilevante è stato il suo impegno nella caccia a Osama Bin Laden che secondo la Cia, dopo la fuga nel 2001 dall'Afghanistan, non avrebbe più abbandonato le aree tribali, spostandosi fra il Sud e il Nord Waziristan, dove è un mito intoccabile per le popolazioni locali. La Task Force 121 (i reparti speciali Usa che avevano stanato Saddam) ha abbandonato una caccia resa impossibile dal terreno fortemente accidentato e dall'ostilità delle tribù che non consente infiltrazioni. I Predator che volteggiano sulla catena montuosa girano da tempo a vuoto, essendo del tutto assenti i segnali elettronici o telefonici (pare che Osama comunichi con un complicato meccanismo di 'pizzini') che potrebbero agevolare la localizzazione dello Sceicco del terrore. L'esercito pachistano non è mai entrato in forze nei sette distretti tribali dove per un'antica concessione dell'impero britannico non hanno giurisdizione né polizia né magistratura e la popolazione pashtun può vivere applicando i suoi codici d'onore. Un sistema arcaico che si sposa perfettamente con il messianismo guerriero di Al Qaeda. Lo scorso settembre, alla ricerca dell'ennesimo compromesso, Musharraf ha addirittura accentuato l'autonomia del Nord Waziristan (la regione che ospiterebbe attualmente Osama) siglando un accordo con i capi-tribù: il Pakistan si è impegnato a ritirare parte del suo contingente militare in cambio dell'impegno dei talebani pachistani a non penetrare in Afghanistan e alla smilitarizzazione dei guerriglieri stranieri che possono tornare a casa o rimanere come contadini o pastori. Un gesto di pacificazione interna. Ma quando l'intelligence americana ha segnalato la presenza di qaedisti in una moschea di Bajur, l'aviazione di Islamabad ha dovuto bombardare provocando la morte di 82 civili. Dopo qualche giorno i guerriglieri hanno preparato un'imboscata all'esercito regolare a Dargai uccidendo 42 soldati. Per Musharraf è ogni giorno più difficile tenere il piede in due staffe. n.


+ La Padania 16-3-2007 L Europa e la sua debolezza energetica al centro della nuova guerra fredda Raffaele Volpi

 

La sfida sulle materie prime tra Stati uniti e russia Le agende di politici ed istituzioni negli ultimi mesi hanno un tema sottolineato in rosso: l energia, le sue fonti primarie, la sicurezza e la certezza dei suoi sistemi di approvvigionamento e produzione. Le politiche estere ed economiche di nazioni o macroregioni sono e saranno sempre più influenzate nei prossimi anni da scelte strategiche che risulteranno essere il prodotto di un analisi, in un contesto globale, di eventi geopolitici strettamente legati alle scelte energetiche. Nella valutazione della sicurezza energetica spiccano elementi distinti ed a volte distanti, che sono riassumibili nella percezione degli stessi da parte delle popolazioni, e quindi dei contesti politici di riferimento, e condizionanti poi nelle scelte politiche dei singoli Stati. Certamente la contestualizzazione non risulta facile, viziata com è da stimoli di valutazione diversi e da punti di vista settoriali, ma certamente riassumibili in due macropercezioni come la ricerca di sicurezza oggettiva e la ricerca di sicurezza soggettiva. In questo contesto vasto non si possono tralasciare le valutazioni interne di una grande potenza come gli Stati Uniti, che inevitabilmente condizionano attraverso attori diversi e su vari piani i riti della contrattualità nelle macro strategie economiche e militari. Gli Stati Uniti partono da alcuni dati interni per proiettare sullo scenario mondiale le loro aspettative e, come risulta evidente, per mettere sul piatto della diplomazia ufficiale e ufficiosa la loro collaborazione specifica in cambio di consenso strategico. Con il loro 5% di popolazione mondiale consumano di fatto il 25% di petrolio prodotto a livello mondiale, e questo dato principale induce la loro classe politica a immaginare come contrattare risorse certe per i prossimi anni. Va detto anche che siano sicuramente molto restii ad utilizzare completamente le loro risorse, che considerano riserve strategiche trattenute in modo naturale, costringendoli a guardare all estero per garantirsi approvvigionamenti sicuri. Secondo fonti Usa un duro colpo alla loro autonomia energetica è venuto dai danni provocati dai due uragani che si sono succeduti negli scorsi anni e che avrebbero compromesso il 27% della capacità estrattiva interna e il 21% della raffinazione, peraltro in gran parte già ripristinata. Questi elementi legati al grande consumo e al danneggiamento della produzione/trasformazione interna, sembra portino gli Usa a giustificare politiche di ricerca, anche invasive, di siti estrattivi certi ed una forte ricerca di consenso nel consolidare le posizione strategiche detenute in paesi terzi, anche attraverso le loro multinazionali. Dalla Casa Bianca partono tre messaggi per condizionare le politiche internazionali ed in particolare le scelte strategiche in campo mondiale: 1. Occorre una nuova politica energetica che riconsideri fonti alternative. Messaggio questo indirizzato soprattutto al mercato interno con il duplice fine di preoccupare e compattare i cittadini. 2. È opportuno considerare che gli Usa sono gli unici con una potenza navale che garantisce il presidio delle vie principali dell approvvigionamento democratico di materie prime (per es. Suez, Golfo Persico, ingresso del Mar Nero, ecc.). 3. L Europa deve adeguarsi ad una geografia di rapporti geopolitici variabili con i paesi dell ex Unione Sovietica dettata dalle istanze USA. Il risultato di queste politiche è evidente, visto che in considerazione del fatto che la Russia ha il 60% dei giacimenti di gas naturale e che nel Medio Oriente sono situati il 70% dei giacimenti di petrolio, le due politiche attuate dagli Usa sono evidentemente l interventismo di consolidamento in Medio Oriente e l utilizzo di tensioni europee per condizionare la Russia, che sta facendo delle fonti energetiche la sua arma del terzo millennio. In questa situazione la nostra Europa occidentale si trova a fare da cuscinetto in una competizione non dichiarata ufficialmente, ma che influisce senza dubbio anche sulle condizioni del suo mercato energetico e quindi sulle sue prospettive di certezza di sviluppo. È certo che gli stati dell Europa occidentale scontano il gap di avere poche risorse primarie e una forte dipendenza dai mercati mondiali di petrolio e dal gas russo e nordafricano. La Germania, ad esempio, importa dalla Russia il 60% del suo fabbisogno di gas. L Italia, pur avendo un mix differenziato, approvvigionandosi anche in area Mediterraneo (anche se ormai la sottoscrizione del cartello russo/algerino compatta il fronte dei produttori principali), nella crisi del gas russo dello scorso anno ha corso il rischio di dover ricorrere all utilizzo delle riserve strategiche dopo pochi giorni. Questi due esempi mettono in evidenza quanta sia la dipendenza che questa parte d Europa ha verso i mercati esterni di fonti energetiche tradizionali. La criticità aumenta proprio nel momento in cui le pressioni volute dagli Usa verso la Russia trasformano il teatro europeo in terreno di scontro. Ad esempio la scelta della Nato di intensificare i rapporti con la Georgia, che nella dichiarazione di Parigi del 30 maggio 2006 immagina addirittura il superamento dello stato di Partner per diventare addirittura Membro a tutti gli effetti, è il chiaro esempio di come gli Usa condizionino il ruolo strategico del Patto Atlantico per fare pressione sulla Russia (sono infatti noti i contenziosi fortissimi tra Georgia e Russia). Questa situazione trasforma l Europa in un nuovo scenario di guerra fredda dove la dissuasione non si misura più sulle armi nucleari, ma sul ricatto energetico. Inoltre, le preoccupazioni interne sul forte deficit della bilancia commerciale americana, dovuto in larga parte all approvvigionamento di risorse energetiche (non dimentichiamo che per vari motivi, come la grande fame di energia di paesi emergenti quali Cina ed India, il prezzo del barile di petrolio sia passato dai 10 dollari circa del 1999 agli attuali 50/75 dollari) si stanno trasferendo in un quadro europeo che subisce parzialmente i condizionamenti strategici delle due parti. I Paesi dell Europa occidentale si trovano quindi ad una svolta nella ridefinizione del loro ruolo, potendo scegliere tra due vie . 1) Riposizionarsi come soggetti neutri che rivolgono le loro vocazioni alla sicurezza, traguardando le nuove sfide possibili sia interne (terrorismo) sia esterne (le tecnologie hanno reso le tensioni di confine superate, creando di fatto un scenario strategico globale) ed elaborare un proprio progetto geopolitico che sia di livello superiore allo scenario continentale, dopo una seria analisi delle politiche nazionali in tema di energia. 2) Mantenere un forte condizionamento Usa rispetto alle scelte di geografia variabile e rischiare (cosa per altro già avvenuta) di vedersi come strumento di intervento in teatri di crisi di fatto a loro estranei, ma di interesse alle strategie energetiche Usa, abdicando e dimenticando così la possibilità di proprie politiche relazionali con gli stati produttori di materie prime. Scelte non facili, ma che saranno i veri temi della discussione per i prossimi mesi. Temi che non potranno prescindere da un sereno approccio alla tesi nucleare, che in questo momento appare forse come l unica via percorribile per affrancare l Europa da un sistema di geometrie politiche che la vede troppo spesso sola e pericolosamente vulnerabile.


+ Il Corriere della Sera 16-3-2007 Gb: coroner attacca Usa per uccisione soldato. Censurato comportamento stato maggiore Usa che non ha cooperato

 

Il magistrato: atto criminale e illegale l'episodio di fuoco amico in cui un caccia americano uccise a Bassora il caporale Hull

 

LONDRA (GRAN BRETAGNA) - Un magistrato britannico ha dichiarato al termine dell'inchiesta sulla morte di un soldato britannico, ucciso in Iraq dal fuoco amico di un caccia americano nel 2003, che la sua morte non solo era interamente evitabile, ma che l'attacco dell'aereo militare Usa contro il tank in cui si trovava il caporale Matty Hull, la vittima, è stato un atto criminale non rispettoso delle legge. Dell'attacco il tabloid britannico Sun aveva anche pubblicato un video.

Il magistrato, Andrew Walker, ha anche criticato la politica dello stato maggiore Usa, che ha evitato di cooperare in qualsiasi modo con la giustizia britannica.
«L’attacco al convoglio è equivalso a un agguato», ha spiegato Walker. «E’ stato illegale perché non c’era alcuna ragione legale per compierlo e, in questo senso, fu criminale». Le conclusioni del coroner britannico non hanno alcuna conseguenza vincolante per gli Stati uniti che non sono sottoposti alla giurisdizione britannica. Giovedì la vedova di Hull, Susan, aveva rivolto un appello al presidente americano George W. Bush affinché rendesse possibile la lettura completa del rapporto militare sull’incidente. «Undici righe del rapporto sono state cancellate» ha affermato la vedova, quelle relative all’interrogatorio del controllore di terra, nome in codice Manila Hotel, che controllava i due caccia che attaccarono il convoglio di Hull. Gli inquirenti, così come il governo britannico, hanno più volte criticato le forze militari Usa per non aver cooperato con le indagini. Dagli Usa è anche arrivato un no alla richiesta di una testimonianza dei piloti americani coinvolti nell’incidente e il rifiuto a consegnare una registrazione di cabina dell’attacco.

16 marzo 2007


+ La Repubblica  16-3-2007 Codice contro le stragi del sabato sera  "Vietati gli alcolici a chi guida"

 

ROMA - Un codice etico per evitare le stragi del sabato sera. Il Governo e le associazioni di categoria hanno firmato un codice di autoregolamentazione per individuare all'ingresso delle discoteche chi sia il guidatore, per il quale saranno vietati gli alcolici.

Il ministro dell'Interno, Giuliano Amato, nel presentare insieme a Giovanna Melandri il codice etico, ha annunciato che aumenteranno di 5 volte i controlli e che questi controlli "riguarderanno sia gli alcolici sia le droghe". Le discoteche non faranno inoltre sconti sulla vendita degli alcolici.

"Noi non diciamo ai giovani di non divertirsi e di non bere un bicchiere di vino - ha detto il ministro dello Sport e delle politiche giovanili Giovanna Melandri - ma che una persona del gruppo, quella che guida, si deve assumere la responsabilità".

Oltre al Codice etico, il governo ha varato una serie di provvedimenti repressivi per ridurre il numero di incidenti stradali. Tra le misure adottate, maggiori controlli sulla strada: "Puntiamo entro l'anno al milione di controlli su strada rispetto ai 200mila che si effettuano attualmente", ha detto il ministro all'Interno Giuliano Amato. "Verifiche sullo stato del guidatore tese a stabilire la piena efficienza di chi è al volante sia sotto l'aspetto della non assunzione di bevande alcoliche che delle sostanze stupefacenti. Nessuno vuole imporre ai giovani di andare all'oratorio il sabato sera o bere l'acqua minerale - ha spiegato Amato - ma di imparare che chi guida, quella sera, non deve bere''.

(16-03-2007)


+ La Repubblica 16-3-2007 Cina, torna la proprietà privata. Ma la terra resta dello Stato

Via libera del Parlamento cinese che vara la svolta. Ma i contadini non potranno possedere i campi che coltivano

 

PECHINO - Via libera del Parlamento cinese alla proprietà privata. L'Assemblea nazionale del Popolo, dopo sette anni, ha approvato con 2.799 voti a favore, 52 contrari e 37 astenuti una legge che riconosce il diritto alla proprietà privata, salvo che per la terra che resta sotto il controllo dello Stato.
Ed era proprio questo uno dei punti controversi. E sulla possibilità di possedere la terra che si coltiva si erano concentrate molte proteste contadine. Inultilmente, però. E così mentre i risparmiatori sono già liberi di comprare azioni in Borsa, gli imprenditori possono acquistare e vendere aziende, i terreni agricoli restano ancora sotto il controllo delle autorità locali. Con conseguente cacciata di una famiglia contadina, che da anni coltiva la stessa terra, se i dirigenti locali del partito decidono di cederla per un insediamento industriale o edilizio.
Il Parlamento, inoltre, ha approvato una legge che elimina gli sgravi fiscali di cui godono gli investitori stranieri unificando l'aliquota fiscale per tutte le imprese al 25% dei profitti. Un provvedimento che mette fine a decenni di privilegi fiscali e a quella che è stata sempre vissuta dalle imprese domestiche come una chiara discriminazione: le aziende straniere fino ad oggi erano tassate infatti al 10% mentre quelle cinesi al 33%. La legge entrerà in vigore dal 2008 e secondo le stime del governo consentirà allo Stato di incassare circa 41 miliardi di yuan in più, pari a 5,3 miliardi di dollari.

(16 marzo 2007)

 


La Stampa 16-3-2007 Liberalizzazioni, volano sberle Alla Camera scontro fra Buontempo (an) e Quartiani (Ulivo). Seduta sospesa

ROMA
Il decreto sulle liberalizzazioni va avanti a rilento. Il centrodestra ha scelto di fare ostruzionismo, tra i deputati volano spintoni, in due giorni sono stati votati poco meno della metà dei 270 emendamenti. Il tempo stringe, ma ieri sera s’è trovato modo di sospendere il voto causa una lite scoppiata sul numero legale: il deputato segretario, Teodoro Buontempo (An) ed Erminio Quartiani, (Ulivo), sono venuti alle mani al banco della presidenza. Anche Emanuele Fiano, (Ulivo), ha cercato di scagliarsi contro Buontempo: l’hanno bloccato colleghi e commessi.
Il due aprile scade il termine per la conversione in legge del provvedimento, che deve ancora passare al Senato. Non a caso la Camera lavora anche in notturna. E l’Unione va all’attacco: la Cdl non solo blocca i lavori, ma ha deciso di fare un ostruzionismo pregiudiziale puntando a sabotare il decreto. Quindi, se è vero, afferma la maggioranza, che la fiducia resta l’extrema ratio è anche vero che la decisione «dipende dai tempi». È insomma possibile che oggi il Consiglio dei ministri possa valutare il via libera al voto blindato (al Senato, a questo punto, rischia di essere inevitabile).
Rallentamenti che non intimoriscono però il ministro papà delle liberalizzazioni, Pierluigi Bersani: «Abbiamo reagito e dovremo reagire», avverte, anche se sottolinea di non riferirsi esplicitamente al voto di fiducia, piuttosto a «questa opposizione di sedicenti liberali», il cui «palese ostruzionismo» è «inaccettabile e incomprensibile». «Gli italiani rischiano di dover tornare a pagare i costi di ricariche delle schede prepagate dei telefonini», accusa il capogruppo dell’Ulivo a Montecitorio Dario Franceschini, mentre Bersani ironizza: «non vorrei - dice - che il Cavaliere sguainasse la sciabola e comandasse la “ricarica”». Comunque sia, il ministro promette che «gli italiani aspettano queste misure e le avranno». Fiducia in vista. Dalla parte del governo, compatti, i consumatori: Adusbef e Federconsumatori insistono nel loro pressing a favore delle liberalizzazioni e parlano di «sintonia» con l’Esecutivo. Nonostante i lavori procedano a singhiozzi, a Montecitorio qualcosa s’è fatto. Le novità principali sui mutui: l’abolizione delle penali viene estesa dai finanziamenti richiesti per l’acquisto della prima casa ai mutui accesi per acquistare immobili ad uso non abitativo e per l’esercizio di attività economico professionale, come per quelli legati alle ristrutturazioni (emendamento di Forza Italia).
Dell’opposizione (An) anche un’altra proposta di modifica, approvata: allarga le maglie sulle scadenze dei prodotti alimentari. Ancora, con 60 giorni di preavviso si potranno disdire i contratti assicurativi pluriennali (subito quelli di nuova stipula, dopo tre anni quelli già in essere). Altra micro-novità, dopo lo stop ai costi fissi delle ricariche, per il mondo della telefonia: il servizio «conosci-operatore», che tradotto vuol dire offrire agli utenti la possibilità di conoscere l’operatore del numero che si vuole chiamare.


La Repubblica 16-3-2007 "La Chiesa non dia ordini serve il dialogo laici-cattolici" dal nostro inviato ZITA DAZZI

Intervista al cardinale Martini dopo la messa per i pellegrini milanesi a Gerusalemme
"Bisogna parlare di cose che la gente capisce e ascoltare le sue sofferenze"
GERUSALEMME - "Credo che la chiesa italiana debba dire cose che la gente capisce, non tanto come un comando ricevuto dall'alto, al quale bisogna obbedire perch
é si è comandati. Ma cose che si capiscono perché hanno una ragione, un senso. Prego molto per questo". Raramente, il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, 80 anni compiuti da poco, ha fatto un accenno così diretto, così esplicito, durante un'omelia pronunciata in chiesa, a temi che agitano anche il dibattito politico nazionale. Ma non lasciavano molti dubbi di interpretazione, le frasi pronunciate ieri sera, durante la messa celebrata nella basilica della Natività di Betlemme, davanti a 1300 pellegrini arrivati al seguito del suo successore, l'arcivescovo Dionigi Tettamanzi. Il cardinal Martini, parlando a braccio, fra gli applausi dei fedeli, ha sollecitato la chiesa italiana a credere nel dialogo "fra chi è religioso e chi è non religioso, fra credenti e non credenti" aggiungendo di pregare "perché si raggiunga quel livello di verità delle parole per cui tutti si sentano coinvolti".
Eminenza, a cosa si riferiva quando parlava della necessit
à di usare un linguaggio che la gente possa intendere non come un comando ma come una verità quotidiana?
"Credo che la chiesa debba farsi comprendere, innanzitutto ascoltando la gente, le sue sofferenze, le sue necessit
à, i problemi, lasciando che le parole rimbalzino nel cuore, lasciando che queste sofferenze della gente risuonino nelle nostre parole. In questo modo le nostre parole non sembreranno cadute dall'alto, o da una teoria, ma saranno prese per quel quello che la gente vive. E porteranno la luce del Vangelo, che non porta parole strane, incomprensibili, ma parla in modo che tutti possono intendere. Anche chi non pratica la religione, o chi ha un'altra religione".
Lei ha sempre auspicato la nascita di una pubblica opinione nella chiesa, con la possibilit
à di discutere, anche di non essere d'accordo.
"Venendo a vivere qui a Gerusalemme io mi sono posto come se fossi in pensione, fuori dai doveri pubblici. Mi sono posto l'impegno di osservare rigorosamente il precetto del vangelo di Matteo, quello che dice non giudicare e non sarai giudicato. Quindi io non giudico, perch
é con quella misura sarei giudicato. Ma il mio auspicio va in quella direzione".
Molti pensano che la Chiesa sia in difficolt
à di fronte ai cambiamenti imposti dalla modernità.
"La modernit
à non è una cosa astratta. In verità ci siamo dentro, ciascuno di noi è moderno se vive autenticamente ciò che vive. Non è questione di tempi. Il problema è essere realmente presenti alle situazioni in cui si vive, essere in ascolto, lasciare risuonare le parole degli altri dentro di sé e valutarle alla luce del Vangelo".
Lei ha parlato recentemente della necessit
à di promuovere la famiglia, un compito che ha definito "più urgente" rispetto alla difesa della famiglia. Con quali azioni si può raggiungere lo scopo?
"Promuovere la famiglia significa sottolineare che si tratta di un'istituzione che ha una forza intrinseca, che non
è data dall'esterno, o da chissà dove. La famiglia ha una sua forza e bisogna che questa forza sia messa in rilievo, che quindi appaia la bellezza, la nobiltà, l'utilità, la ricchezza, la pienezza di soddisfazioni di una vera vita di famiglia. Bisognerà che la gente la desideri, la gusti, la ami e faccia sacrifici per essa".
Invece, in questa fase del dibattito politico, della famiglia attuale vengono pi
ù facilmente lamentati i modi in cui essa si discosta rispetto al modello ideale.
"Durante l'omelia ho parlato delle comunit
à che troppo spesso rimangono prigioniere della lamentosità. Il Signore vuole che noi guardiamo alla vita con gratitudine, riconoscenza, fiducia, vedendo le vie che si aprono davanti a noi. Quando andavo nelle parrocchie a Milano, trovavo sempre chi si lamentava delle mancanze, del fatto che non ci sono giovani. E io dicevo di cui ringraziare Dio per i beni che ci ha concesso, non per quelli che mancano. Dicevo che la fede, in una situazione così secolarizzata, è già un miracolo. Bisogna partire dalle cose belle che abbiamo e ampliarle. L'elenco delle cose che mancano è senza fine. E i piani pastorali che partono dall'elenco delle lacune sono destinati a dare frustrazioni e non speranze".

(16 marzo 2007)


Il Riformista 16-3-2007 Il rebus dell’italianità nel Belpaese prodiano

Quando uno storico dell’economia, nei decenni a venire, deciderà di applicarsi al capitalismo italiano d’inizio millennio, avrà di che lavorare per capire cos’ha rappresentato, lungo la transizione rapida e complicata di questi anni, il concetto di «difesa dell’italianità». L’italianità delle banche, dell’energia, delle reti, dell’industria delle telecomunicazioni. A proclamarla, a corrente alternata e con diversi gradi d’intensità, o a bollarla come marchio d’infamia del provincialismo del Belpaese, più o meno le stesse voci. E se il 2005 è stato l’anno dell’italianità perdente e furbetta, quella difesa da Antonio Fazio da Alvito, con le manovalanze ben note e già irreversibilmente consegnate agli atti, nel biennio 2006-2007 il nostro storico dovrà registrare una brusca inversione di tendenza.
Infatti, con riferimento all’anno rovente 2005, quando il raid lodigiano di Fiorani su Antonveneta, esplicitamente benedetto da Bankitalia, lo storico dovrà annotare la sufficienza con cui tutte le persone per bene erano in grado di dire il proprio sdegno. E di declinare il proprio fervido europeismo. Ancora, dovrà tenere in conto che la troppa passione per l’Europa del mercato unico fece prendere a più d’uno dei cocenti abbagli, di cui solo la sicura buonafede attenuava l’impatto, peraltro ridotto da un’informazione troppo europeista per essere obiettiva. Così, insieme all’italianità esaltata dall’asse padano Lodi-Padova, e poi sigillata su quello che correva tra Alvito e Palazzo Koch, finì coperta di snobismo europeista anche la mossa di Unipol verso Bnl. E pensare che il grande tutore dell’italianità furbetta, per l’appunto Antonio Fazio, fece attendere lunghissimamente un’autorizzazione che non arrivò mai.
Tant’è, quella sorpassata ideologia dell’italianità fu spazzata via con i suoi profeti, consapevoli o meno, e le banche oggetto della difesa finirono sotto l’ombrello di capitali stranieri. Com’era giusto, probabilmente, in un caso; com’era invero solo possibile, nell’altro. Di entrambe le vicende, tuttavia, si disse che raffiguravano plasticamente la naturale caduta di sclerosi ereditate dal passato, e spazzate via dalla contemporaneità di un mondo senza confini cui tutti ci si doveva rassegnare. Una contemporaneità transnazionale la cui percezione diffusa, al nostro storico, dovrà apparire ben attenuata, muovendo appena un passo più avanti, e arrivando per esempio al biennio successivo, il 2006-2007, di cui tentiamo di immortalare il presente in attesa che il futuro lo consegni alla storia.
Già, perché neanche il tempo di celebrare l’abbattimento delle barriere e il superamento delle bandiere nel risiko bancario, ed ecco che è tempo di distinguo. E di celebrazioni, al contrario, per operazioni in grado di salvaguardare il pedigree italiano del nostro patrimonio industriale e finanziario. In rapida serie, vale ricordare la pronta ed efficace reazione di un governo Prodi appena insediato a tutela dell’asfalto italiano di Autostrade, tentato da una fusione-cessione con la gli spagnoli di Abertis. E poi, la madre di tutte le fusioni bancarie, quella tra Intesa e Sanpaolo, e tutti i figli e i figlioletti che sono venuti dopo, nel risiko delle popolari: da Bpu-Lombarda a Popolare di Verona-Popolare Lodi, fino ad arrivare alla prossima chiusura tra Bpm e Bper. Dal grande al piccolo, la ratio di tutte queste aggregazioni, e la ragione per cui il governo ha caldeggiato e Bankitalia ha accondisceso, sta anzitutto nella capacità di garantire la conservazione di un cuore italiano in anni di capitalismo europeo aggressivo, esuberante e assai liquido. Tutte operazioni a italianità garantita, insomma, che non hanno suscitato scandali o accuse di provincialismo, né in politica, né sui mezzi d’informazione. Un rinculo di anti-europeismo o assetti proprietari diversamente posizionati? O forse si era stati un po’ faciloni prima, quando si predicava l’Europa con l’Italia degli altri?
Lo storico risponderà, noi intanto raggruppiamo nella new wave dell’italianità anche operazioni future o futuribili, ma certamente propiziate dalla volontà politica e appoggiata da un notevole dispiego di entusiasmo informativo. Caso quasi di scuola, ormai, la tormentata fusione di Aem Milano con Asm Brescia, sempre promessa ma non ancora mantenuta, su cui incombe però l’ombra dei capitali freschi di chi, in Europa, fa shopping energetico come fosse un arricchito russo lungo via Montenapoleone. Tutto porta alle recenti vicende di Telecom, che si chiuderà con banche e superbanche italiane a garantire il tricolore, o alla prossima partita di Alitalia che - siamo pronti a scommettere - conoscerà un finale analogo. E così, poco o tanto che durerà ancora, questo governo Prodi resterà negli annali come un tempo di consolidamento di un capitale italiano assai meno predabile. Niente di male, anzi: ma bisogna dirlo.

 


Milano Finanza 16-3-2007 Lo spettro della recessione Usa spaventa anche l'Opec

 

MF Il rischio di una recessione negli Usa e la volatilità delle borse sono saliti alla ribalta del vertice dell'Opec. I ministri del cartello petrolifero, come nelle attese, nella riunione di ieri a Vienna non hanno toccato le attuali quote di produzione. E questo ha portato a un calo dell'1% del prezzo dell'oro nero, che a New York ha chiuso a 57,56 dollari al barile. Se i prezzi dovessero scendere troppo nei prossimi mesi, l'Opec non starà a guardare: i membri del cartello hanno stabilito che il presidente di turno dell'Organizzazione dei paesi esportatori e ministro del petrolio degli Emirati Arabi, Mohammed bin Dhaen al-Hamli, potrà infatti convocare gli altri membri per un meeting straordinario a giugno. Un'opzione che va letta alla luce della delicata fase in cui sta passando l'economia internazionale. Di fatto, al meeting di Vienna è balzato in primo piano lo spettro di una recessione negli Usa, che restano il primo paese consumatore di petrolio al mondo. L'ipotesi, sommata ai segnali di inversione di marcia dei mercati azionari, fa temere al cartello petrolifero effetti negativi sulla domanda globale di petrolio. 'Siamo molto preoccupati per un rischio recessione negli Stati Uniti', ha detto il ministro del petrolio del Qatar, Adbullah bin Hamad al-Attiyah. Gli ha fatto eco al-Hamli, spiegando che 'stiamo osservando attentamente gli sviluppi delle borse, per valutare le possibili conseguenze sulla domanda di energia. Continuiamo poi a essere preoccupati per la debolezza del dollaro contro le altre maggiori valute'. MF Numero 054, pag. 6 del 16/3/2007


Il Tirreno 16-3-2007 Pistoia Traffico di notizie riservate, 5 indagati

 

Perquisita anche la sede della Velox Investigazioni nel viale Montegrappa L'inchiesta è nata dal caso Telecom Sequestrati computer e agende telefoniche PRATO. Carabinieri e guardia di finanza si sono mossi all'apertura degli uffici e sono tornati in sede a metà pomeriggio, portando a casa un bottino fatto di 10 computer, centinaia di files e numerose agende telefoniche. E' l'inatteso sviluppo delle indagini nate da una costola dell'inchiesta milanese sulle intercettazioni illegali che ha coinvolto Telecom e l'agenzia fiorentina Polis d'Istinto. Il nuovo filone riguarda tre agenzie investigative con sede a Firenze, una delle quali ha uffici anche a Prato ed Empoli. I cinque tra soci e titolari delle agenzie (Panzani, L'Investigativa e Velox) sono indagati per accesso abusivo a banche dati riservate, corruzione e violazione del segreto d'ufficio. Tutti reati che si possono commettere solo in concorso con pubblici ufficiali, ma questi ultimi per ora rimangono nell'ombra. Sarebbero due appartenenti alle forze dell'ordine che hanno fornito informazioni riservate alle agenzie investigative in cambio di soldi. Il sistema è lo stesso ipotizzato nell'inchiesta milanese, ma i protagonisti sono altri. Lo farebbe pensare la circostanza che i fatti contestati risalgono al dicembre 2006, cioè dopo l'arresto di 21 tra poliziotti, finanzieri, carabinieri e investigatori privati (tra cui Alessia Cocomello, agente in servizio alla Questura di Prato, e Giovanni Nuzzi, brigadiere dei carabinieri in pensione, anche lui residente a Prato) ordinato a settembre dalla Procura ambrosiana. Il sostituto procuratore Ettore Squillace, dopo aver incassato la scarcerazione dei sei indagati finiti nel filone toscano, ha voluto approfondire la materia e già a gennaio, ma fino a ieri non lo si è saputo, aveva ordinato perquisizioni in alcune agenzie investigative private. Ieri mattina i carabinieri e la guardia di finanza hanno ricominciato gli accertamenti dividendosi tra cinque uffici. Mentre gli investigatori visitavano le sedi fiorentine di Panzani, L'Investigativa e Velox, i colleghi bussavano alle sedi della Velox di Prato e di Empoli. Al numero 220 di viale Montegrappa i carabinieri sono rimasti alcune ore, fino al primo pomeriggio, portando via computer e altro materiale che sarà analizzato nei prossimi giorni. Nessun commento da parte dei tre soci della Velox Investigazioni, i fratelli Francesco, Maurizio e Giuseppe Spazzoni (quest'ultimo anche responsabile della sicurezza dello stadio Castellani di Empoli). "Ci sono indagini in corso - si limita a spiegare uno dei tre - Meglio aspettare gli sviluppi". Prudente anche l'avvocato del titolare dell'Agenzia Panzani, Maurizio Folli, che professa fiducia nella magistratura. Il suo cliente è in India e tornerà presto per rendersi conto della situazione. Dal riserbo degli inquirenti filtra quasi niente: ci sarebbe un testimone che ha indirizzato le indagini nella direzione giusta. In sostanza, non era solo Emanuele Cipriani, titolare della Polis d'Istinto, ad avvalersi dei favori di pubblici ufficiali. Il sistema era molto più diffuso e potrebbero esserci altre agenzie investigative private coinvolte nell'inchiesta, oltre alle tre di cui si è saputo ieri. P.N.


Il Corriere della Sera 15-3-2007 Ma il tuo pc può navigare a Vista? Federico Cella

 

Piccola guida (con qualche cautela) per chi vuol passare al neo-sistema operativo targato Bill Gates

Se avete intenzione di cambiare il vostro computerdi casa, è arrivato il momento giusto per farlo. Non tanto per sfiziose novità tecniche legate all’hardware – di veri avanzamenti al momento ce ne sono pochi –, quanto perché anche in Italia è arrivata la versione Home del nuovo sistema operativo di Microsoft, oltre cinque anni dopo il precedente, il celebrato Xp. Windows Vista infatti propone all’utente dei pc non molte novità funzionali – il nuovo software è più un’evoluzione che una rivoluzione –, ma in compenso offre notevoli incrementi dal punto di vista grafico, con gli effetti di trasparenze e tridimensionali dell’interfaccia Aero. Novità che però richiedono un hardware potente non solo per poter sfruttare appieno le caratteristiche di Vista, ma anche solo per poter usare il proprio pc senza dover subire irritanti rallentamenti in ogni fase di utilizzo, che si tratti semplicemente di navigare in rete oppure se si vogliono utilizzare programmi di un certo «peso».

Dunque all’atto di comprare o «costruire» il vostro nuovo pc, come prima cosa fate attenzione all’incompatibilità del sistema operativo con alcune periferiche e quindi... ignorate i requisiti minimi per Vista snocciolati da Microsoft: seguendoli, otterrete solo una macchina bloccata. Iniziate dunque puntando subito sulle caratteristiche consigliate. E quindi: cpu da almeno 1 GHz, 1 Gb di ram, disco fisso da 40 Gb (con almeno 15 liberi), scheda video con supporto DirectX 9 (driver Wddm, 128 Mb di memoria video, supporto a Pixel Shader 2.0, 32 bit per pixel), unità Dvd-Rom, scheda audio, accesso ad Internet. Detto questo, prendete il dato sulla Ram e raddoppiatelo: come consigliato da molti produttori di pc, senza 2 giga di Ram il vostro computer – con Vista – rischia di essere solo un bel quadro da ammirare.

15 marzo 2007