HOME   PRIVILEGIA NE IRROGANTO  di Mauro Novelli    

 

Archivio Piccola Rassegna

 

Vai ai DOSSIER

 

VAI ALLA RASSEGNA

 


VAI AGLI ARCHIVI PARZIALI:

 

Archivio – 1/15 SETTEMBRE 2007

 

Archivio – AGOSTO 2007

 

Archivio – 16/31 LUGLIO  2007

Archivio – 1/15 LUGLIO  2007

 

Archivio – 16/30 GIUGNO 2007

Archivio – 1/15 GIUGNO 2007

 

Archivio – 16/31 MAGGIO 2007

Archivio – 1/15 MAGGIO 2007

 

Archivio -  16/30 APRILE 2007

Archivio – 1/15 APRILE 2007

 

Archivio – 16/31 MARZO 2007

Archivio – 1/15 MARZO 2007

 

Archivio – 16/28 FEBBRAIO 2007

Archivio - 1/15 FEBBRAIO 2007

 

Archivio – 1/31 GENNAIO 2007


Archivio 1-15 ottobre 2007

4-10-2007

3-10-2007

2-10-2007

1-10-2007

 

Archivio 16/30 settembre 2007

 

30-9-2007

29-9-2007

28-9-2007

27-9-2007

26-9-2007

25-9-2007

24-9-2007

23-9-2007

22-9-2007

21-9-2007

20-9-2007

19-9-2007

18-9-2007

17-9-2007

16-9-2007


INDICE 4-10-2007

++ Il Sole 24 Ore 4-10-2007 Troppi ritardi a Heathrow: l'antitrust britannico minaccia multe. dal nostro corrispondente Marco Niada  1

+  Il Corriere della sera 4-10-2007 La Casa Bianca boccia l'estensione del programma di assistenza pubblica Sanità per i bambini poveri Veto di Bush sulla legge. Lo stop al Congresso. I democratici: sconnesso dal Paese. Di Paolo Valentino  2

+  La Repubblica 4-10-2007 In stato d'indigenza l'11,1% della famiglie. Di solito si tratta di nuclei con tre o più figli nei quali il capofamiglia presenta un basso livello d'istruzione o un basso livello professionale Istat, in Italia 7 milioni e mezzo di poveri I due terzi vivono al Sud, in tanti sono anziani di ROSARIA AMATO  3

+  La Stampa 4-10-2007  http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifPadoa-Schioppa conquista l’Fmi. http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifEletto presidente del Comitato finanziario. Ora s’impegna a lavorare per le riforme.http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif Battuto al ballottaggio il candidato canadese. 4

Il Corriere della Sera 4-10-2007 Riconciliazione tra le due Coree dopo oltre 50 anni. Comunicato congiunto firmato a Pyongyang da Kim Jong il e Roh Moohyun  4

Il Riformista 4-10-2007  S’incrina l’asse Londra-Washington. Mauro Botarelli 5

Europa 4-10-2007 Sulle primarie del 14 ottobre i politici danno i numeri “ad capocchiam”  FEDERICO ORLANDO RISPONDE  6

Il Riformista 4-10-2007 Scusa, Walter, c’era proprio bisogno di Veronica?  Paolo Franchi 7

La Stampa  3-10-2007 Sono diventato belga. Pasticciaccio brutto sul numero dei nuovi deputati. L'Italia, penalizzata dal criterio di selezione numerica, ora minaccia un veto sui nuovi Trattati Ue  8

L’Unità 3-10-2007 Sme, tutti colpevoli. Ma il reato è ormai prescritto. Marco Travaglio  9

 


 

++ Il Sole 24 Ore 4-10-2007 Troppi ritardi a Heathrow: l'antitrust britannico minaccia multe. dal nostro corrispondente Marco Niada

LONDRA - L'aeroporto di Heathrow continua a essere la spina nel fianco del sistema di trasporti londinese. Al punto che la Competition Commission, l'anti-trust britannico, ha lanciato un monito a Baa, l'ente di gestione a cui l'aeroporto fa capo: o migliora il trattamento dei passeggeri o sarà costretta a fare fronte a pesanti multe. In un rapporto appena presentato la Commissione ha parlato di «ritardi inaccettabili per passeggeri, equipaggi e voli». La Commissione ha preso atto che non tutti i problemi sono da addebitare all'ente di gestione (oggi di prorpietà del gruppo spagnolo Ferovial) dato che alla congestione dell'aeroscalo contribuisce il comportamento delle linee aeree oltre alle estenuanti misure di sicurezza e alle misure delle autorità d'immigrazione. Davanti alle crescenti code, la Commissione ha deciso di mettere un tetto a quelli che paiono ritorni eccessivi per gli aeroporti a fronte di un servizio pessimo.

Così ha deciso che nei due grandi aeroporti di Heahrow e Gatwick, (controllati da Baa) la società sarà obbligata a rendere soldi alle linee aeree se i passeggeri saranno obbligati a fare code superiori ai 10 minuti nelle aree di controllo di sicurezza. Le multe saranno triplicate dal 3 al 10% dei ricavi provenienti dai diritti d'atterraggio.

La Civil Aviation Authority, l'ente regolamentare degli aeroporti, ha accolto positivamente le proposte dicendo che «vanno nel senso da noi richiesto di non permettere code di una durata superiore ai 20 minuti». Ferovial ieri ha messo in guardia gli azionisti: i costi delle multe potrebbero incidere sul rifinanziamentio di obbligazioni per 9,3miliardi di sterline emesse per pagare l'acquisizione di Baa, oltre agli investimenti per migliorare le strutture dei Terminal 1 e 2 che, sono quelli in cui i passeggeri si m,uovono nelle condizioni peggiori.

Ma non è tutto plumbeo il panorama dei trasporti della capitale, a giudicare da un sondaggio condotto a
TripAdvisor un sito online di vacanze e viaggi, secondo cui Londra avrebbe il sistema di traporti più sicuro del mondo con la miglio metropolitana e i migliori taxi. Lo stesso non si può dire per la pulizia, dato che Londra viene superata da Washington, Parigi e Tokio. Ma è comunque una consolazione.


+  Il Corriere della sera 4-10-2007 La Casa Bianca boccia l'estensione del programma di assistenza pubblica Sanità per i bambini poveri Veto di Bush sulla legge. Lo stop al Congresso. I democratici: sconnesso dal Paese. Di Paolo Valentino

 

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
WASHINGTON — L'appello del piccolo Graeme Frost, che venerdì corso lo aveva pregato di non farlo, è stato inutile. George Bush ha negato ieri l'assistenza medica gratuita a quasi quattro milioni di bambini americani, le cui famiglie non sono in grado di pagare le costose polizze assicurative private. Il presidente ha posto il veto sullo
State Children's Health Insurance Program o Schip, il piano che dà la copertura sanitaria pubblica ai figli di coppie a basso reddito, approvato al Congresso con ampia maggioranza bipartisan.

È una scelta politica molto azzardata, che rischia di isolare ulteriormente il capo della Casa Bianca. Lo Schip è infatti un programma molto popolare, appoggiato da uno schieramento trasversale, che vede insieme democratici, repubblicani moderati, industria farmaceutica e perfino le Chiese cristiane. In vigore da 5 anni, finanziato con 25 miliardi di dollari, esso ha garantito cure gratuite a 6,6 milioni di bambini, figli di famiglie non abbastanza povere da poter accedere al Medicaid, il programma federale di assistenza medica per i poverissimi, ma comunque non in grado di pag arsi una mutua privata.

Nella versione votata la scorsa settimana, il Congresso prevede di portare la spesa dello Schip a da 35 a 60 miliardi di dollari nel prossimo quinquennio, consentendo ad altri 3,8 milioni di bambini americani di beneficiarne. Ben 18 senatori repubblicani, preoccupati delle loro prospettive elettorali nel 2008, hanno votato con la maggioranza democratica, un risultato che rende il decreto immune al veto presidenziale. Non così alla Camera dei Rappresentanti, dove ci sono stati meno dei due terzi necessari. Anticipato da settimane, il no di Bush ha motivazioni politiche e ideologiche: il presidente insiste sulla disciplina finanziaria per riportare sotto controllo il bilancio, anche se poi chiede contemporaneamente altri 42 miliardi di dollari per la guerra in Iraq. L'argomento di Bush è che l'ampliamento spingerebbe migliaia di famiglie, oggi coperte dall'assicurazione privata, a chiedere l'aiuto pubblico, facendo esplodere i costi ben oltre lo stanziamento previsto. Più in generale, Bush pensa che così si apra la strada «a un sistema sanitario controllato dal governo».

«Non cambierà idea», ha detto ieri la portavoce della Casa Bianca, Dana Perino, secondo la quale è tempo di «cercare un compromesso, concentrandosi sull'obiettivo originario, quello di coprire prima di tutto i bambini più bisognosi».

Ma la reazione democratica è stata durissima. «Oggi — ha detto il senatore Ted Kennedy, che guida la Commissione per la Sanità — abbiamo appreso che un presidente pronto a gettar via 700 miliardi di dollari in Iraq, non è disposto a spendere una piccola frazione di quella somma per dare l'assistenza medica ai bambini americani». Secondo Harry Reid, capo della maggioranza al Senato, «il veto dimostra quanto Bush sia ormai disconnesso dalle vere priorità del Paese». Ma voci critiche si sono levate anche dalle file repubblicane: «Spero che l'Amministrazione non intenda affrontare il popolo americano, aprendo il portafogli sulla guerra e dicendo ai bambini senza assistenza medica di andare a farsi benedire », ha ammonito il deputato della Louisiana, Jim McCrery.

Negativo anche il giudizio del senatore del Mississippi, Trent Lott, che però si è detto fiducioso «si possa trovare un punto d'incontro». Il veto infatti non blocca l'operatività dello Schip, che intanto è stato prolungato fino al 15 novembre nella sua forma attuale, mentre esecutivo e Congresso cercano di formulare un compromesso. La Casa Bianca,


+  La Repubblica 4-10-2007 In stato d'indigenza l'11,1% della famiglie. Di solito si tratta di nuclei con tre o più figli nei quali il capofamiglia presenta un basso livello d'istruzione o un basso livello professionale Istat, in Italia 7 milioni e mezzo di poveri I due terzi vivono al Sud, in tanti sono anziani di ROSARIA AMATO

 

VAI AL TESTO DELLA RICERCA ISTAT


ROMA - Due milioni e 623.000 famiglie in stato di povertà, corrispondenti a 7.537.000 persone. La povertà nel 2006 è rimasta "sostanzialmente stabile", secondo l'Istat, interessa l'11,1 per cento delle famiglie residenti, ma peggiorano le condizioni degli anziani. E rimane più che mai marcato l'abisso tra Nord e Sud: nel Mezzogiorno vive il 65 per cento delle famiglie povere. I poveri del Sud vivono anche in condizioni peggiori: le famiglie in stato d'indigenza infatti presentano una spesa mensile inferiore del 22,5 per cento rispetto alla "soglia di povertà". L'incidenza della povertà è maggiore tra le famiglie numerose, con tre o più figli. Di contro, risulta meno diffusa tra i single e tra le coppie senza figli di giovani e adulti.

La soglia di povertà. Quest'anno la "soglia di povertà", cioè la spesa mensile per consumi della famiglia al di sotto della quale un nucleo viene definito povero, è stata fissata dall'Istat in base all'indagine sui consumi a 970,34 euro per una famiglia di due persone (di tratta della cifra equivalente alla spesa media procapite). Per una persona la soglia di povertà si attesta a 582,20 euro di spesa mensile; per una famiglia di quattro a 1581,65 euro.
Caratteristiche delle famiglie povere. Risiedono al Sud, il capofamiglia presenta un basso livello d'istruzione o un basso livello professionale o è disoccupato, hanno molti figli o almeno un componente anziano: è l'identikit delle famiglie povere italiane, così come è delineato dall'Istat. "Si mantengono tutte le caratteristiche strutturali degli anni precedenti - spiega la responsabile dell'indagine sulle condizioni delle famiglie dell'Istat Linda Laura Sabbadini - in condizioni peggiori le famiglie con tre o più figli: costituiscono il 48 per cento dei nuclei al di sotto della soglia di povertà".

Le differenze territoriali. Nel Mezzogiorno oltre un quinto delle famiglie residenti (22,6 per cento) è sotto la linea di povertà relativa. Nel Centro la percentuale è del 6,9 per cento, al Nord il 5,2 per cento. Al Sud, rileva l'Istat, "ad una più ampia diffusione del fenomeno si associa una maggiore gravità: le famiglie pvoere presentano una spesa media mensile equivalente di 752,01 euro (l'intensità è del 22,5 per cento) contro i 797,62 e 806,35 osservati per il Nord e il Centro". Di conseguenza, al Sud risiedono i tre quarti delle famiglie "sicuramente povere", la cui spesa media mensile è cioè inferiore di oltre il 20 per cento alla soglia minima. Mentre al contrario i tre quarti delle famiglie "sicuramente non povere" (cioè oltre il 20 per cento sopra la linea standard) risiede al Nord.

 

 


+  La Stampa 4-10-2007  http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifPadoa-Schioppa conquista l’Fmi. http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifEletto presidente del Comitato finanziario. Ora s’impegna a lavorare per le riforme.http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif Battuto al ballottaggio il candidato canadese.

 

CORRISPONDENTE DA NEW YORK http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifTommaso Padoa-Schioppa è il nuovo presidente del Comitato finanziario e monetario del Fmi di Washington. E’ stato il nome del ministro dell’Economia italiano ad uscire vincente dal ballottaggio finale che lo ha visto opposto al collega canadese Jim Flaherty ed a fare la differenza è stata la scelta dei Paesi emergenti dell’Asia. Quando il seggio delle votazioni istituito al n. 700 della 19° Strada di Washington è stato aperto, alle 18 di ieri, fra i due sfidanti era testa a testa ma tre ore dopo lo spoglio ha premiato l’italiano. «Sono molto contento che sia avvenuto, Padoa-Schioppa va a ricoprire una carica di prestigio e responsabilità» ha commentato da Roma il presidente del Consiglio, Romano Prodi.

La proclamazione del vincitore avverrà come da tradizione per consenso ma ciò che trapela è che il voto dei 24 Paesi rappresentanti nel Comitato finanziario e monetario (Imfc) ha premiato il candidato dell’Ue grazie a un’alleanza con i Paesi emergenti - primi fra tutti Indonesia, India e Cina - alla quale si è opposta senza successo la candidatura di Flaherty sostenuta dagli Stati Uniti, da altri Paesi anglosassoni, dal Giappone e dall’Arabia Saudita. A favore di Padoa-Schioppa ha giocato l’esperienza internazionale e la convinzione dei Paesi emergenti che sia favorevole alle riforme, come testimoniato dalla sua proposta di limitare a due le possibili presidenze successive del comitato da parte di ogni area geografica.

A poco più di un anno da quando il «Financial Times» diede a Padoa-Schioppa il voto più basso fra i titolari dei dicasteri dell’Economia in Europa, il ministro italiano succede dunque al britannico Gordon Brown alla guida dell’organismo che costituisce il forum ministeriale del Fondo monetario internazionale. L’incarico è triennale e ciò prospetta a Tommaso Padoa-Schioppa lo scenario di una stretta collaborazione con il neo-direttore esecutivo, il francese Dominique Strauss-Kahn, sul fronte della tanto attesa riforma del Fmi, che entrambi affermano di sostenere.

Quanto avvenuto nella giornata delle votazioni porta all’insediamento di un tandem franco-italiano ai piani alti del Fmi e anticipa la genesi di una possibile alleanza geopolitica sulle più delicate decisioni da prendere: la scelta di India, Indonesia e Cina di convergere sul candidato italiano prefigura la possibilità di un’intesa di largo respiro fra le maggiori economie emergenti e l’Unione Europea senza la quale la necessaria ridistribuzione delle quote non potrebbe essere possibile. Se da un lato Strauss-Kahn assicura che tale redistribuzione «non danneggerà gli Stati Uniti», più importante azionista con una quota del 18 per cento, dall’altro non può prescindere dall’esistenza di una vasta intesa fra gli altri maggiori azionisti del Fondo monetario.

In tale cornice l’altro nodo che Padoa-Schioppa e Strauss-Kahn sono chiamati a sciogliere è il rapporto con Mosca che ha fatto sapere di voler pesare di più all’interno del Fmi avanzando la candidatura di bandiera dell’ex governatore della Banca di Praga Joseph Tosovsky alla poltrona di direttore esecutivo.

Il risultato della votazione di ieri non sarebbe stato possibile senza una forte coesione fra i Paesi dell’Unione Europea: se all’indomani delle dimissioni di Gordon Brown, annunciate in estate in coincidenza con la successione a Downing Street, emerse subito il nome del ministro italiano come candidato comune, nei mesi seguenti il coordinamento fra le capitali si è consolidata al punto da riuscire a bloccare la strada al concorrente canadese, le cui quotazioni erano salite nelle ultime settimane per via del consistente sostegno ottenuto dal governo degli Stati Uniti.


Il Corriere della Sera 4-10-2007 Riconciliazione tra le due Coree dopo oltre 50 anni. Comunicato congiunto firmato a Pyongyang da Kim Jong il e Roh Moohyun

Proclamata una «zona speciale di pace» lungo la costa occidentale della penisola. Possibile un nuovo trattato

SEUL - Passo storico tra le due Coree che hanno deciso di proclamare una «zona speciale di pace» lungo la costa occidentale della penisola. La decisione è il punto principale di un comunicato congiunto firmato a Pyongyang al termine di un vertice fra il leader del Nord, Kim Jong Il, e il presidente del Sud, Roh Moohyun. Come anticipato nei giorni scorsi dalle due parti, il documento è stato pensato come una sorta di dichiarazione di pace, atta a prefigurare la firma di un trattato che sostituisca l'armistizio che nel 1953 pose termine alla guerra di Corea.

IL COMUNICATO: DALL'ARMISTIZIO ALLA PACE - «La Corea del Nord e del Sud sono d'accordo che l'armistizio esistente fra loro debba essere sostituito da una sistemazione permanente di pace». È questo il punto focale di un comunicato congiunto in otto articoli pubblicato oggi a Pyongyang al termine del primo vertice intercoreano dal 2000. Il documento preconizza una definitiva definizione dell'assetto postbellico tramite un vertice con gli Stati Uniti e la Cina, che furono gli altri due protagonisti del triennale, sanguinosissimo conflitto conclusosi con l'armistizio del 27 luglio 1953. Come primo passo in tale direzione il comunicato proclama l'intento di creare una «zona speciale di pace» nel mare a occidente della penisola: in proposito si svolgeranno dal mese prossimo colloqui fra i rispettivi ministeri della Difesa. Tra le misure per promuovere la collaborazione e le prospettive di unificazione fra Nord e Sud è prevista anche l'istituzione di uno stabile servizio di trasporto merci su rotaia, lungo la linea transfrontaliera riaperta il 17 maggio scorso.

Il conflitto, che fece due milioni e mezzo di morti e si concluse con la divisione della penisola lungo il 38/o parallelo, fu combattuto anche da «volontari cinesi» e da forze statunitensi in rappresentanza dell'Onu. Da allora la stipula di un trattato di pace con la partecipazione di Usa e Cina è sempre stata una priorità della politica estera nordcoreana, condivisa da quasi un decennio anche al Sud, nella prospettiva a lungo termine di una riunificazione del paese. È appunto in tale contesto che il comunicato congiunto preconizza un prossimo «vertice a quattro» con Usa e Cina. La pubblicazione del documento, composto di dieci articoli, era prevista in un primo momento per mercoledì sera.

Il rinvio di 24 ore è parso motivato da un intento di «sincronizzare le precedenze» rispetto alla pubblicazione di un documento congiunto sui negoziati internazionali a sei sul disarmo nucleare nordcoreano, avvenuta mercoledì sera a Pechino. Con ogni probabilità sono stati proprio i lievi ritardi registrati nel mettere a punto il comunicato di Pechino che hanno indotto Kim a proporre a Roh di protrarre di un giorno la sua permanenza a Pyongyang. Pur ringraziando per l'invito, Roh lo ha declinato nè il prolungamento è parso più necessario grazie ai tempi strettissimi in cui la Cina è comunque riuscita a pubblicare il documento a sei sulla base degli assensi provenienti dalle rispettive cancellerie a Pyongyang, Seul, Pechino, Washington, Mosca e Tokyo.


 

Il Riformista 4-10-2007  S’incrina l’asse Londra-Washington. Mauro Botarelli

 

Londra. Il messaggio è di quelli perentori: da quando Gordon Brown è salito al potere «gli Stati Uniti non vedono più la Gran Bretagna come l’alleato più leale in Europa» e questo ha portato «a un aumento dell’attenzione nei confronti di Francia e Germania. Il presidente Sarkozy ha dimostrato da subito un appeal che Washington apprezza e anche Angela Merkel, col passare dei mesi, si è dimostrata migliore di Gerhard Schröder». Non esiste alcun documento ufficiale al riguardo, ma una fonte senior del Dipartimento di Stato conferma che ci sono «serie preoccupazioni sull’operato del nuovo premier britannico, anche se queste sono compensate dall’ottimo rapporto che ultimamente la Casa Bianca sta avendo con Parigi e Berlino. Il bisogno di far girare sui cardini di Londra tutto quanto riguarda la sicurezza in Europa non esiste più». Insomma, sembra che David Miliband, il nuovo ministro degli Esteri britannico, abbia raggiunto il suo obiettivo: per Washington «Londra resterà la pietra angolare della politica americana in Europa, ma questo non potrà far sparire il disappunto creato dalla decisione inglese di abbandonare Bassora. Sia chiaro, a livello operativo i britannici hanno lavorato male laggiù ed è un bene che se ne vadano, lasciandoci campo libero anche nel sud dell’Iraq, ma l’atteggiamento di Brown è stato di aperta sfida». Insomma, la special relationship non esiste più.
E più di un particolare lo conferma. La riduzione dei contatti tra la Casa Bianca e Downing Street da quando Tony Blair ha passato il timone a Brown è stata netta e pochissimi ministri del nuovo governo hanno visitato Washington. George W. Bush e il primo ministro britannico hanno parlato al telefono soltanto due volte in tre mesi, ovvero da quando Brown si recò a Camp David in giugno: Blair e il presidente americano tenevano videoconferenze settimanali. In aperto contrasto con il nuovo corso deciso dall’inner circle della Casa Bianca è apparso Kurt Volker, senior official del Dipartimento di Stato con delega sull’Europa, secondo il quale «la decisione di abbandonare Bassora è stata puramente tattica e il caos che qualcuno prediceva nella realtà non c’è stato. Inoltre Brown ha dimostrato una fermezza che in pochi gli avrebbero riconosciuto e nonostante il suo stile sia completamente differente da quello di Blair ha un piglio deciso e saldo in politica». Una difesa netta, che comunque non ha evitato che Volker dovesse ammettere come le cose in Europa stiano cambiando «molto rapidamente e nessuno a Washington ha potuto ignorare l’importanza del discorso del ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, rispetto alla necessità di prepararsi a una guerra contro l’Iran. Un commento importante e di grande aiuto visto che ha puntualizzato una volta per tutte che la situazione è seria. Il tempo della diplomazia che non offre risultati è finito».
E se questo apre nuovi scenari rispetto alla politica bilaterale tra i due paesi - con tutte le ricadute che questo può apportare -, anche per quanto riguarda la politica interna il cambio di strategia verso Washington potrebbe avere ripercussioni sul governo Brown e in favore dei Conservatori, fin qui messi maluccio. Una possibile, per ora sarebbe più corretto dire potenziale, inversione di tendenza che giungerebbe proprio mentre le voci di un’elezione generale anticipata per il 1° o l’8 novembre diventano di giorno in giorno più insistenti (martedì prossimo Brown dovrebbe annunciarle ufficialmente). Owen Paterson, ministro ombra per l’Irlanda del Nord, recentemente ha incontrato alcuni dirigenti chiave della Casa Bianca, tra cui Barry Jackson, l’uomo che ha raccolto l’eredità di Karl Rove come consulente politico di Bush.
«Dopo l’addio di Blair le cose sono molto cambiate alla Casa Bianca - ammette un diplomatico inglese di stanza a Washington - Prima erano abituati a stare al telefono con Blair sempre, per qualsiasi cosa. Ora non accade più, per il semplice fatto che Brown vuole essere l’unBlair. Anche al Pentagono c’è la chiara impressione che Londra stia abbandonando del tutto l’Iraq e quindi oggi il migliore amico è Nicolas Sarkozy, il vero erede di Blair. Ma sia chiaro: se e quando la situazione irachena dovesse precipitare, la prima telefonata di Washington sarà ancora verso Londra». Magari, sperano i Tories dalla fede più incrollabile, con un governo conservatore.
Ieri, concludendo con un discorso a braccio il congresso di Blackpool, David Cameron ha ribadito la certezza di poter vincere le elezioni. Probabilmente anche galvanizzato dall’autogol del rivale su Bassora. Al momento, considerate anche le non poche difficoltà che l’astro nascente dei Tories sta incontrando all’interno del suo stesso partito (non ultima, la bocciatura di Margaret Thatcher, che lo ha accusato di essere troppo leftist), Brown resta il favorito. A patto che porti al più presto la Gran Bretagna alle urne. Trent’anni fa, un altro premier laburista, James Callaghan (anch’egli giunto a Downing Street ereditando il lavoro e non dopo una tornata elettorale), decise di non ricorrere alle urne nell’autunno del 1978, sottovalutando i segnali che l’economia e la politica estera stavano inviandogli: fu il famoso “winter of discontent”. E la primavera successiva Sunny Jim fu battuto alle urne da un outsider, la signora Thatcher.
04/10/2007


 

Europa 4-10-2007 Sulle primarie del 14 ottobre i politici danno i numeri “ad capocchiam”  FEDERICO ORLANDO RISPONDE

http://www.europaquotidiano.it/site/images/transparent.gif

Cara Europa, non capisco l’impegno previsionale di Prodi, Bindi, Veltroni, Fassino sul numero di italiani che il 14 ottobre voterà alle primarie per l’elezione del segretario del nuovo Partito democratico: se 1 milione, o meno, o addirittura 2 milioni. A me pare che non sia proponibile alcun confronto con la volta precedente, il 14 ottobre 2005, quando andammo a votare in oltre 4 milioni per scegliere l’anti-Berlusconi (cioè Prodi). Ma perché ci confondono le idee, già tanto confuse?

 ALDA PIROMANI, MILANO

 

Perché i politici, cara signora, nessuno escluso, vivono su un pianeta popolato da poche decine di migliaia di persone (camarille e casta) che hanno ragioni di vita, esigenze e linguaggio assolutamente diversi da quelli dei “cittadini” di cui si parla nel catechismo democratico. Chi dice un milione di voti si rifugia nella nicchia degli iscritti a Ds e Margherita. Ma quanti di quegli iscritti siano veri, noi non lo sappiamo; e quanti dei veri iscritti si siano allontanati con la diaspora dai due partiti, nemmeno lo sappiamo. Parlare, come ha fatto Fassino, di 2 milioni di elettori mi sembrerebbe dignitoso, a patto che si chieda loro di uscire non dagli elenchi dei partiti ma dal corpo elettorale, dai cittadini senza tessere ma politicamente orientati. E a patto che non si faccia alcun confronto coi 4 milioni e passa di Prodi, perché due anni fa c’era verso il governo Berlusconi la stessa non simpatia che in tanti hanno oggi per il governo dell’Unione. Si votava Prodi per scegliere l’anti-Berlusconi.
Erano elettori di tutta l’Unione, da Rifondazione a Mastella, dai Ds a Di Pietro, dalla Margherita ai verdi e ai socialisti.
Oggi alle urne si reca solo chi è interessato alla segreteria del Pd. Perché questo è il catastrofico errore di comunicazione commesso da tutti i candidati alla segreteria, i quali hanno finto di non capire, con l’eccezione di Veltroni, che il segretario del Pd dev’essere il naturale candidato premier di quella che sarà, quale che sia, la futura alleanza del centrosinistra; e, comunque, il candidato premier del Pd. Si è voluto far credere ai cittadini che il 14 ottobre si elegge un segretario, poi, alla vigilia delle elezioni politiche, i partiti di centrosinistra che resteranno nell’alleanza sceglieranno il candidato premier. Assoluta falsità, che ci costerà cara: perché gli elettori che non sono del Pd ma pensano di votare centrosinistra anche alle prossime elezioni, col discorso dei due tempi si sentono automaticamente esclusi dal voto per il segretario del Pd. E dunque solo chi «milita» si sente impegnato per il 14 ottobre. Io comunque andrò a votare e sceglierò Veltroni per la ragione detta sopra, la premiership: ma so già che alla mia sezione (se vorrà, le farò nomi e cognomi) non troverò quasi nessuno dei ds, rifondazionisti, margheritini, verdi, eccetera che 2 anni fa tirarono la carretta delle primarie, dopo aver promosso l’entusiasmo.
Sono tutti fuori del gioco (compresi quei margheritini e diessini che sono rimasti nei due partiti, ma esclusi, per faide interne, dalle candidature e dalle piccole cariche locali). Ecco perché parlare di 1 o 2 milioni di votanti, ai quali, dopo le feste di settembre, non ci si è degnati di dedicare incontri e dibattiti sul programma del nuovo partito, è sbagliato. Naturalmente, spero che sbagli chi dice 1 milione e ci azzecchi chi dice 2.


 

Il Riformista 4-10-2007 Scusa, Walter, c’era proprio bisogno di Veronica?  Paolo Franchi

Premessa. Non conosco la signora Veronica Lario ma, per quel che leggo e sento di lei, mi sembra persona intelligente e aperta. Sono lieto di apprendere, quindi, che anche Walter Veltroni la pensa così, come ha confidato a Maria Latella, il direttore di A, una bravissima giornalista che della signora Lario è studiosa tra le più accreditate. Veronica, dice il candidato, è open minded, curiosa, ha una grande autonomia intellettuale. E per di più è anche discreta. Per quel poco che ne so, sottoscrivo. Magari non avrei detto open minded, ma i complimenti mi sembrano del tutto meritati.
Io, però, non sono il candidato segretario del Partito democratico. Veltroni, sì. Dunque, se io dico che «sarebbe bello disporre di un contesto dove la signora Berlusconi possa dare un suo contributo», e insomma che, sempre che lei lo volesse, la vedrei bene nel Pd (un partito, come osserva giustamente Piero Fassino, che dovrà essere «senza pregiudizi»), dico una cosa sacrosanta e magari anche un po’ ovvia, che potrei dire per ogni persona dotata di grande autonomia intellettuale, discreta e curiosa, anzi, open minded. Ma, se a fare la medesima osservazione è Veltroni, che alla leadership del Pd è il candidato per eccellenza, qualche riflessione e qualche domanda in più si impongono persino a chi, come me, pensa che, con questi chiari di luna, sarebbe meglio concentrare altrove l’attenzione. A differenza da Rosy Bindi, non credo che questa sia «l’esternazione più improbabile sentita nel corso della campagna elettorale per le primarie». Per il semplice motivo che, se questo è un tentativo di reclutamento (seppure soft) di Veronica Lario nel centrosinistra e nel Pd, Veltroni arriva buon ultimo. La storia, lunga e istruttiva, è ricostruita bene (seppure, per esigenze di spazio, solo in parte) da Elena Muschella sul Corriere di ieri. Non provo nemmeno a ricapitolarla, parto da quello che (errore!) ne sembrò l’epilogo. Nel marzo scorso, quando Repubblica pubblicò la celebre lettera in cui la signora pretendeva dal marito Silvio pubbliche scuse per le sue reiterate ostentazioni di machismo, da sinistra (signore in testa) si levò un possente coro di lodi per il coraggio, la dignità, la forza intellettuale della donna che aveva osato sfidare lui, vivente incarnazione dell’arroganza e della volgarità maschile. Una sola voce, se volete una vocetta, si staccò dal coro, per segnalare come «il complesso di Veronica» esprimesse in ultima analisi un’inconfessata e inconfessabile subalternità di tanta parte della sinistra verso il «tiranno» cui la signora era andata a suo tempo in sposa: pensaci tu, Veronica, a facci sognare, ché noi da soli non siamo più capaci. Ricordo per inciso che questa vocetta era la nostra.
Sono passati sei mesi, sembrano secoli. Adesso c’è il Pd a vocazione maggioritaria, adesso c’è Veltroni in campo. E tutto posso pensare fuorché Walter, il Walter che tassativamente esclude di aver voluto fare un dispetto al Cavaliere vestendo i panni di un improbabile Sarko de noantri, sia subalterno a Berlusconi. Ma escludo pure che il Candidato abbia voluto fare un esempio a caso per dimostrare quanto aperto, e dialogante, e moderno sia il partito che ha in mente. Dunque, non mi capacito: mi piacerebbe che qualcuno mi aiutasse a capire che bisogno ci fosse, mentre tutti auspicano un colpo d’ala nel dibattito programma, la cultura politica e l’identità del partito nascituro, di riscoprire per l’ennesima volta il fattore Veronica. Per parte mia, temo che spiegazioni ragionevoli non ce ne siano. E proprio questo è il sospetto più angoscioso.
04/10/2007


 

La Stampa  3-10-2007 Sono diventato belga. Pasticciaccio brutto sul numero dei nuovi deputati. L'Italia, penalizzata dal criterio di selezione numerica, ora minaccia un veto sui nuovi Trattati Ue

http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif

Intro. Per i signori eurodepuati Alain Lamassoure (gollista francese) e Adrian Savarin (socialista rumeno) non sono più italiano. Non lo sono nella misura in cui la mia qualità di cittadino dotato di diritto di voto in Italia non viene considerata ai fini del computo del numero di parlamentari che il mio Paese (anche col mio suffragio) avrà a Strasburgo a partire dalle elezioni comunitarie del 2009. Io conto come un belga perché vivo qui. Esattamente com un extracomunitario - svizzero o tunisino che sia - residente a Roma o Torino è considerato italiano anche se non può votare. Che pasticcio. 

I fatti.  La commissione affari costituzionali ha dato ieri il via libera con 17 voti a favore, cinque contrari e tre astenuti alla proposta di ridistribuzione dei seggi del Parlamento europeo a partire dal 2009, con la quale l'Italia perderebbe la parità attuale con Francia e Gran Bretagna e passerebbe dagli attuali 78 a 72 seggi. Sinora Uk, Francia e Italia  ne avevno in effetti 78 ciascuno.  Il testo sarà votato dalla plenaria il prossimo 11 ottobre, a Bruxelles. Giorno in cui Prodi sarà in città.

I criteri. Posto che il numero dei deputati è direttamente proporzionale alla popolazione, è stato considerato come riferimento il numero dei residenti e non quello dei cittadini. Cioè il numero delle persone che abitano in un paese e non quello che ha il diritto/dovere di eleggerli. Avendo Germania, Francia e Francia un numero maggiore di residenti rispetto all'Italia, e un minor numero di emigrati,  esse totalizzano un numero di eurodeputati più alto del nostro.   Ecco perché io, in quanto residente, sono belga anche se qui non voto. E non sono più italiano, anche se voto in Italia. Così dice il metodo Lamassoure.

I numeri.  Considerando i residenti come proposto da Lamassoure e Severin, il capitale umano della Francia è di 62,8 milioni di persone, quello britannico di 60,2 e il nostro di 58,4. Utilizzando il criterio degli aventi diritto al voto i numeri diventano 49,8 per l'Italia, 49,8 per il Regno Unito e 41,5 per i cugini d'Oltralpe. Ovvio che i conti non tornano.

Pensieri. Incassiamo un altro schiaffo. Nemmeno su un principio così elementare come il legame diretto fra chi vota e chi è eletto riusciamo a far sentire la nostra voce e imporre le nostre legittime ragioni. Si sgretola ulteriormente l'immagine europea della nostra nazione, segata miseramente dal governo Berlusconi e per nulla rafforzata dall'attuale maggioranza. Abbiamo ancora un'opportunità al vertice di Lisbona, fra due settimana, ma è facile essere pessimisti.

La reazione. Il rappresentante permanente presso l'Ue, Rocco Cangelosi, ha diffuso ieri sera una piccata nota.  «Difficilmente l’Italia potrà dare il proprio assenso ad una proposta che, da un lato, viola principi fondanti del nuovo Trattato». Veto probabile al vertice di Lisbona fra due settimane, insomma.

Conseguenze. Già li sento i grilli e le cicale gridare "tanto peggio tanto meglio". Il terreno è fertile per le Cassandre, ma il gioco al massacro è, per definizione, massacrante e non salva nessuno. La credibilità del paese si scioglie e sparisce come le più classiche delle "lacrime nella pioggia". E quelli che credono che bisognerebbe essere seri, costruttivi, motivati, solidi, restano soli a guardare il rivolo della credibilità che scorre via rapidamente.

Un'idea per darci un senso  e farci sentire?


 

L’Unità 3-10-2007 Sme, tutti colpevoli. Ma il reato è ormai prescritto. Marco Travaglio

 

Il titolo della notizia, rivelata ieri da Luigi Ferrarella sul “Corriere della Sera”, potrebbe essere questo: «Come vendere la Giustizia per decenni e vivere felici». Almeno per quanto riguarda Renato Squillante, già vicecapo dell’Ufficio Istruzione di Roma, già capo dei Gip capitolini, già consulente giuridico di Craxi a Palazzo Chigi e di Cossiga al Quirinale, amico della famiglia Berlusconi, candidato al Senato per Forza Italia nel ’96 (candidatura poi tramontata causa manette): il giudice che nel ’96 teneva in Svizzera un tesoretto di 9 miliardi di lire e disse, respingendo le accuse di corruzione, di averli guadagnati con l’insider trading e l’evasione fiscale, che come alibi non era niente male.

Ora Squillante è uscito indenne anche dall’ultimo processo aperto a suo carico. Non perché innocente, anzi: le prove della sua stabile corruzione da parte degli avvocati Fininvest Cesare Previti e Attilio Pacifico ci sono eccome. Ma riguardano fatti commessi fino al 1991, dunque sono cadute in prescrizione. L’ha stabilito il gip di Perugia, Claudio Matteini, che ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dai pm Miriano, Comodi e Paci per il processo Sme-Ariosto, trasferito un anno fa dalla Cassazione nel capoluogo umbro a un passo dalla sentenza definitiva: «Un’archiviazione nel merito non è possibile, stanti i numerosi, precisi, riscontrati e incontrovertibili elementi di prova raccolti nel corso delle indagini a carico degli indagati». Dunque «non può farsi altro che constatare l’intervenuta prescrizione di tutti i reati contestati». Cosa che non sarebbe avvenuta se la Cassazione, il 30 novembre 2006, non si fosse spogliata del processo inventandosi in zona Cesarini una competenza perugina, ma avesse invece confermato le condanne d’appello per Squillante (7 anni), Previti e Pacifico (5 anni a testa).

Un anno fa, infatti, i reati non erano ancora prescritti: la ex-Cirielli non funziona per i processi in dibattimento. Ora invece lo sono, anche perché, retrocedendo il fascicolo all’udienza preliminare, si «aggancia» la ex-Cirielli che dimezza i termini di prescrizione: così il reato è estinto dal 2002.

Risultato: Previti e Pacifico evitano di tornare ai domiciliari per 5 anni (il bonus-indulto se lo son già giocato per la condanna Imi-Sir), ma soprattutto Squillante la fa franca da tutto. Nel processo Imi-Sir era accusato di corruzione giudiziaria per aver incassato 133 milioni di lire nel ’91 dalla famiglia Rovelli in cambio dell’«avvicinamento» di un giudice della Cassazione che doveva decidere sulla causa: ma la Suprema Corte lo mandò assolto, riconoscendo che i soldi e il fatto erano dimostrati, ma stabilendo che per la legge italiana il «traffico di influenza» non è reato. Qui invece, secondo il gip di Perugia, «nessun dubbio vi può essere sulla qualificazione giuridica dei fatti»: cioè sulla corruzione del giudice estero su estero con soldi Fininvest. Senza la prescrizione, sarebbe stata condanna sicura.

La «prova regina» del mercimonio è il famoso bonifico del 5 marzo 1991, quando in poche ore 434.404 dollari provenienti dal conto svizzero Ferrido (alimentato dal patrimonio personale di Berlusconi) transitarono sul conto Mercier di Previti e di lì al conto Rowena di Squillante. Poi c’è la testimonianza di Stefania Ariosto, che giura di aver visto alla fine degli anni 80 almeno due passaggi diretti di denaro da Previti e Squillante: il primo al circolo Canottieri Lazio, quando Previti inseguì l’amico giudice con un pacco di banconote gridando «A Rena’, te stai a dimentica’ a bbusta!»; il secondo a casa Previti, quando notò da una porta socchiusa il padrone di casa e il magistrato che maneggiavano mazzette di contanti su un tavolino. Soldi che, secondo l’Ariosto, Previti vantava di ricevere dalla Fininvest per foraggiare una «lobby di magistrati» al servizio del Biscione e di Craxi.

Anche i versamenti cash, secondo il gip, sono provati: «È stato documentalmente ricostruito il percorso del denaro giunto poi su conti esteri riferibili a Squillante e inoltre sono state accertate e verificate le erogazioni in denaro contante da Previti a Squillante». Ricorda il giudice che è stata la Cassazione, nella sconcertante sentenza sull’incompetenza di Milano a favore di Perugia, a «individuare in Roma il luogo delle dazioni di denaro e indicarle componenti essenziali della “reiterazione” remunerativa a favore del magistrato considerato “a libro paga” (della Fininvest, ndr), con ciò avvalorando e ritenendo credibile Stefania Ariosto, testimone oculare di tali pagamenti».

Chi s’è perso nella giungla di 12 anni di indagini e processi, leggi ad personam, ispezioni, ricusazioni, richieste di rimessione e di incompetenza, denunce penali contro i pm e i giudici, domanderà: e Berlusconi? Se per la sentenza comprata da Previti con soldi suoi per arraffare la Mondadori l’ha sfangata per prescrizione, al processo Sme-Ariosto il fortunato Cavaliere è stato processato separatamente dopo lo "stralcio" del 2003 e addirittura assolto in appello, sia pur in base alla vecchia insufficienza di prove (comma 2 art. 530 Cpp). Ma la sentenza fa acqua: quanto al bonifico svizzero, si ritiene improbabile che Berlusconi pagasse i giudici con bonifici anziché con versamenti cash; quanto ai versamenti cash di Previti a Squillante, si ritiene improbabile che Previti pagasse i giudici con versamenti cash anziché con bonifici in Svizzera. Visto che sono provati sia il bonifico sia i versamenti, è come dire che la corruzione esiste solo quando non viene scoperta; ma se non viene scoperta, non è mai punibile. La Cassazione esaminerà il ricorso del Pg De Petris a novembre. Se questa scombicchierata assoluzione fosse annullata, non ci sarebbe comunque il tempo per celebrare un nuovo appello prima della prescrizione. Ma almeno si cancellerebbe una macchia nera dalla Giustizia italiana.


INDICE 3-10-2007

 

+  Il Corriere della Sera 3-10-2007 IL RETROSCENA "C'è un'atmosfera peggiore del '92" Il ciclone antipolitica lacera l'Unione. Di Francesco verderami 1

+   La Repubblica 3-10-2007 Di Pietro e Fini "tagliano" insieme i costi della politica. Disegno di legge bipartisan. Di Pietro: "Adesso vediamo chi c'è davvero e chi ci marcia e basta". Trentadue articoli che mettono in fila le decine di proposte già presentate o in circolazione. La proposta stima un risparmio di circa 600 milioni di euro. Previsti al massimo 17 ministri Fini: "Rischiamo il funerale della democrazia". Di Pietro: "Prodi ristrutturi la squadra" DI CLAUDIA FUSANI 2

Il Foglio 3-10-2007 Veltroni vuole cambiare la Costituzione ma senza toccarla Ostellino, Ceccanti e Tonini discutono l’appello dei professori intransigenti e l’ambigua risposta del sindaco di Roma  4

Il Giornale 2-10-2007  La tassa dell’autogol di Michele Brambilla - 5

Europa 3-10-2007  Amato, Veltroni, Rutelli, Cofferati: la sicurezza dei cittadini è democrazia  FEDERICO ORLANDO RISPONDE  6

Il Riformista 3-10-2007 Ma quali eroi civili, nelle nostre università regna l’omertà. 6

L’Unità 2-10-2007  Il silenzio dopo Grillo  Giuseppe Tamburrano  7

L’Unità 2-10-2007 Se paga il Contribuente Silvano Andriani 8

 


+  Il Corriere della Sera 3-10-2007 IL RETROSCENA "C'è un'atmosfera peggiore del '92" Il ciclone antipolitica lacera l'Unione. Di Francesco verderami

ROMA - Oggi il "caso Visco" al Senato dovrebbe finire com'è finito ieri il "caso Unipol" alla Camera, cioè senza sorprese. "D'altronde - come spiegherà in Aula il capogruppo di An Matteoli - non è dal voto sul viceministro dell'Economia che dipendono le sorti di Prodi". Perciò, anche nella remota ipotesi che palazzo Madama "sfiduciasse" il potente braccio destro di Padoa-Schioppa, politicamente non accadrebbe nulla. Le due vicende rischiano tuttavia di avere un impatto mediatico devastante nell'Unione, potrebbero incrinare ancor di più il rapporto già deteriorato tra la maggioranza e l'opinione pubblica. Non a caso il centrodestra aveva chiesto la diretta tv per il dibattito odierno al Senato, sentendosi opporre il "no" di Marini. è vero che il ciclone dell'antipolitica si sta abbattendo su tutto il Palazzo, ma - sondaggi alla mano - è la maggioranza a soffrirne in modo particolare. Il clima è così pesante che i rappresentanti dell'Unione lo avvertono fuori dal Parlamento, "ed è un'atmosfera che non si respirava nemmeno nel '92", secondo Caldarola: "Da anni prendo l'autobus per tornare a casa - racconta il deputato dei Ds - e su quella linea alla fine ci conosciamo tutti. Ma giorni fa ho assistito a una discussione accesa. Sono state usate parole pesanti, specie verso i presidenti delle Camere. No, contro Prodi no, ormai non lo considerano più... Ma contro Marini e Bertinotti il linguaggio era violento. A un certo punto mi sono sentito come un repubblichino dopo il 25 luglio. Impressionante". Caldarola sostiene che questa "esperienza" lo accomuna a molti altri suoi colleghi: "Alcuni sono stati fermati appena fuori da Montecitorio e si sono sentiti chiedere se erano deputati. Per paura della reazione hanno negato, dicendo che erano solo dei dipendenti della Camera". E l'invettiva non si ferma ai parlamentari, se è vero che il deputato ulivista Volpini tempo addietro ha assistito "impotente" per strada a "un'aggressione verbale di un energumeno " contro la moglie, "colpevole di avere il permesso auto per il centro storico". Sono solo alcuni casi di un fenomeno che si sta riflettendo sui comportamenti dei politici e sulle loro scelte. "Il guaio però - chiosa Caldarola - è che il clima da elezioni anticipate finisce per far litigare la maggioranza, perché ormai ognuno parla ai propri elettori". Così il "caso Visco" e il "caso Unipol" vengono sfruttati da alcune forze della maggioranza nel tentativo di lucrare consensi a danno del Partito democratico. La polemica tra Bertinotti e Prodi sui costi della politica è frutto anche di questa particolare "competition ", lo si capisce dal modo in cui il capogruppo del Prc, Migliore, censura l'atteggiamento di palazzo Chigi: "Un conto è lavorare insieme per risolvere un problema, altra cosa è fare i primi della classe". Ormai non si contano le querelle che stanno alimentando un clima di reciproci sospetti nell'Unione. Mastella si è convinto, per esempio, che "la storia dell'aereo di Stato doveva servire a farmi dimettere". Di Pietro non perde occasione per pressare Prodi, e per fargli capire che non scherza ha disertato la riunione del Cipe dopo la Finanziaria. E proprio sulla manovra economica rischia di esplodere un'altra mina. Stavolta non c'entra il protocollo sul Welfare, né c'entrano le manovre di Berlusconi. La miccia a fuoco lento si è accesa sull'articolo 14 della Finanziaria, là dove il governo ha previsto di tagliare i costi della politica riducendo il numero di consiglieri nelle amministrazioni locali. La norma faceva già parte del ddl messo a punto dal ministro Santagata, ma era stata bocciata in gran segreto dalla quasi totalità dei partiti del centrosinistra. Ora che è riapparsa nel testo della manovra, apriti cielo: Rifondazione, i Verdi, il Pdci, l'Udeur, sono pronti a dar battaglia. Non è una questione di poco conto, pare anzi che l'articolo 14 sia una delle ragioni che hanno spinto Bertinotti all'affondo contro Prodi. "Ridurre i costi della politica - avvisa Migliore - non vuol dire ridurre la democrazia. Il governo elimini gli enti inutili, le consulenze, invece di tagliare il numero dei consiglieri. Perché questo non è un privilegio, così si lede il diritto alla rappresentanza ". Il sospetto è che la norma nasconda, dietro obiettivi di risanamento economico, intenti politici. E il capogruppo dei Verdi, svela il "diabolico meccanismo": "Riducendo il numero dei consiglieri nel modo previsto dalla manovra, si introduce surrettiziamente uno sbarramento elettorale altissimo, intorno al 12%. Questa - denuncia Bonelli - è una strategia pianificata dal Partito democratico per cancellare le altre forze. Non è la solita polemica dei partitini, perché anche il Prc, la Lega, l'Udc, persino An potrebbero in alcuni casi venire estromessi dalle amministrazioni locali. Altro che riduzione dei costi della politica, siamo al rastrellamento. Non ci stiamo". E meno male che i pericoli per Prodi vengono solo da Dini.


+   La Repubblica 3-10-2007 Di Pietro e Fini "tagliano" insieme i costi della politica. Disegno di legge bipartisan. Di Pietro: "Adesso vediamo chi c'è davvero e chi ci marcia e basta". Trentadue articoli che mettono in fila le decine di proposte già presentate o in circolazione. La proposta stima un risparmio di circa 600 milioni di euro. Previsti al massimo 17 ministri Fini: "Rischiamo il funerale della democrazia". Di Pietro: "Prodi ristrutturi la squadra" DI CLAUDIA FUSANI

ROMA - Un governo con diciassette ministri e un massimo di 62 persone tra sottosegretari e viceministri. Riduzione dei rimborsi elettorali, snellimento della Presidenza del Consiglio "ridotta" a staff di supporto, blocco degli automatismi negli stipendi dei parlamentari e taglio del 30 per cento degli stipendi dei ministri. E così via per 32 articoli suddivisi in due grandi capitoli, il primo riduce la spesa degli organi istituzionali e dei rimborsi elettorali; il secondo interviene sulla trasparenza delle attività di rappresentanza politica, sindacale e di relazione istituzionale. Il risparmio stimato non è tantissimo - circa 600 milioni di euro - ma è all'incirca un ottavo del costo totale della politica (circa 4 miliardi euro). Soprattutto dietro le norme c'è un'impostazione diversa della cosa pubblica e i partiti tornerebbero ad essere "socialmente utili e non solo privatamente interessati".

Maggioranza ed opposizione insieme per ridurre i costi della politica, il leader dell'Italia dei valori Antonio Di Pietro e il presidente di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini, Gianni Alemanno e Antonio Bonfiglio (An) e Silvana Mura (Idv) seduti allo stesso tavolo in una saletta dell'hotel Nazionale in piazza di Montecitorio a spiegare il loro comune disegno di legge. A vederli così potrebbero sembrare le prove generali del dopo crisi di governo. A sentirli parlare, la loro è invece e solo coscienza e responsabilità istituzionale. "Se non facciamo qualcosa di concreto, omogeneo e credibile adesso, il prima possibile, rischiamo di celebrare il funerale della democrazia" dice Fini, e non per andare dietro a un comico (Beppe Grillo, ndr.), "ma perché basta andare in autobus o a fare la spesa per capire che la credibilità della politica non è mai stata così in basso e l'ostilità così in alto". Di Pietro la dice a modo suo: "Siccome stanno spuntando disegni di legge da tutte le parti, ognuno fa la gara a presentare il suo (vedi il battibecco ieri tra palazzo Chigi e Bertinotti ndr) e poi però nessuno decolla veramente, ne facciamo uno tutti insieme, maggioranza ed opposizione, e così vediamo chi ci fa e chi ci marcia". Tradotto: chi fa solo della propaganda e chi invece lo vuole davvero.

Di Pietro e il "coraggio" di Prodi - Si era creata molta attesa per questa iniziativa comune Idv-An. Non che sia la primissima volta - stavano dalla stessa parte della barricata anche per i referendum di modifica della legge elettorale - ma di sicuro oggi fa ancora più effetto con i rumors di crisi e gli occhi puntati proprio sull'agitazione dei centristi, da Di Pietro a Mastella passando per Dini. Di Pietro chiarisce che lui "non farà il cavallo di Troia per l'opposizione" e che finché ci sono i numeri lui è fedele. Certo tra le proposte del disegno di legge c'è la riduzione dei ministri. E allora che fa Di Dietro, si dimette e lascia il suo dicastero per coerenza con la necessità di tagliare i costi? "L'Italia dei valori chiede di ristrutturare, di tagliare 6-7 ministeri e si mette a disposizione. Deve decidere Prodi, se ne ha coraggio. Io avrei già deciso". Per ulteriore chiarezza su chi-sta-con-chi, Fini alla fine saluta così: "Adesso io vado a cercare di far cadere Pro!
di; Di Pietro va a dargli una mano per stare su".

Governo snello, da un minimo di 12 a un massimo di 17 ministri. Il disegno di legge bipartisan è suddiviso in due grandi capitoli. Il primo capitolo entra a gamba tesa sui costi degli organi istituzionali, tutti tagli - è bene ricordare - che possono diventare esecutivi solo se intervengono modifiche di legge. Si comincia dal governo che dovrà avere una squadra di 17 ministri e al massimo 62 componenti (adesso i numeri sono 25 e 103) e si va avanti fino al Consiglio dei ministri, "trasformato in struttura di staff". C'è la riduzione dei rimborsi elettorali ai partiti - all'incirca cento milioni di euro l'anno tra Camera e Senato -; la limitazione degli incarichi dirigenziali "a soggetti estranei alla pubblica amministrazione", il blocco "degli automatismi di aumento degli stipendi" e il taglio del 30 per cento di quelli di ministri, vice e sottosegretari "che non siano parlamentari".

La dieta degli enti locali: nuove Province solo se "finanziate" dai cittadini. Oltre alla riduzione del numero degli assessori e dei consiglieri comunali e provinciali, il ddl prevede il taglio del 15 % delle indennità di funzione dei presidenti dei consigli circoscrizionali, dei sindaci con meno di 30 mila abitanti e dei presidenti delle Province. Vietato il cumulo di incarichi e rimborsi spese solo se documentati. Vietati anche gli incarichi dirigenziali a persone esterne alla pubblica amministrazione. Poiché non si possono sopprimere le Province con legge ordinaria, la proposta è quella di bloccare la nascita di nuove "subordinandone l'istituzione e la gestione al finanziamento dei cittadini residenti".

Abolizione delle Comunità montane e dei consigli di amministrazione. E' la fine di gettoni di presenza, tripli e quadrupli stipendi per gli amministratori e degli enti inutili. Le Comunità montane vengono "soppresse"; i consigli di amministrazione delle società a totale partecipazione pubblica "sostituti con un amministratore unico"; diventano al massimo tre "i consiglieri nelle società a capitale prevalentemente pubblico.

I partiti ai cittadini. Una parte del disegno di legge An-Idv introduce una serie di norme per rendere più trasparenti partiti e sindacati. Non esattamente un risparmio quindi, ma un'operazione per ridurre la distanza tra politica e società. Ad esempio i partiti subiranno un taglio del 50 per cento dei rimborsi elettorali "se non sceglieranno una parte dei candidati con elezioni primarie".

(3 ottobre 2007)


Il Foglio 3-10-2007 Veltroni vuole cambiare la Costituzione ma senza toccarla Ostellino, Ceccanti e Tonini discutono l’appello dei professori intransigenti e l’ambigua risposta del sindaco di Roma

 

Roma. “Walter Veltroni dimostra di non avere la minima cultura dell’innovazione e del cambiamento – dice Piero Ostellino – e nessuna cultura liberale”. Al candidato segretario del Partito democratico Ostellino rimprovera di avere raccolto domenica l’appello di diversi intellettuali, assicurando loro che “il Pd farà scudo alla Costituzione”. Nell’appello firmato tra gli altri da Giuliano Amato, Franco Bassanini e Oscar Luigi Scalfaro a “mettere in sicurezza” la Carta costituzionale, semmai, l’editorialista del Corriere della Sera vede “una ragione di più per cambiarla”.
Giorgio Tonini, senatore dei Ds tra i più vicini a Veltroni, osserva però che nella sua lettera a Repubblica il candidato alla guida del Partito democratico è stato chiaro. “Occorre difendere la prima parte della Costituzione – riassume Tonini – quella che contiene i principi fondamentali, ma per quanto riguarda forma di governo, bicameralismo, federalismo, le riforme ci vogliono eccome”. Una chiarezza che non persuade Ostellino, convinto che sia proprio la prima parte della Costituzione quella che più di ogni altra dovrebbe essere cambiata. D’altronde, la chiarezza della posizione ricordata da Tonini non esclude un’ambiguità di fondo, che non riguarda semplicemente il tema delle eventuali riforme istituzionali, ma investe innanzi tutto la cultura politica del nuovo partito che dalla scontata incoronazione di Veltroni, il 14 ottobre, dovrebbe finalmente prendere forma.
Il problema più generale è quello ammesso implicitamente da Stefano Ceccanti, costituzionalista, diessino anche lui e anche lui molto vicino al sindaco (in un collegio della capitale è il primo candidato della lista “Veltroni 1” alle primarie). Nell’appello dei giuristi Ceccanti vede un riflesso della campagna contro la riforma voluta dal centrodestra e bocciata dal referendum. “Una campagna giusta nel merito – dice – ma che avremmo dovuto condurre su un asse culturale più chiaro, mentre allora si confusero nel nostro schieramento le ragioni di chi si batteva per una riforma diversa e quelle di chi era contrario, per principio, a qualsiasi riforma. Un problema che certo non si è presentato solamente in quell’occasione”. Dalla battaglia in difesa dell’articolo 18 a tante altre, evidentemente, gli esempi non mancherebbero. “La prima ragione per opporsi al progetto della Cdl – dice Tonini – stava nel suo carattere unilaterale. E’ vero che in questo anche noi del centrosinistra abbiamo avuto le nostre responsabilità, e io infatti allora dissi che dovevamo accettare la sfida del dialogo, ma è vero anche che in Parlamento il centrodestra non lasciò aperto nessuno spiraglio”. Ma anche questo, al fondo, è un problema antico. “E’ la debolezza di entrambi i poli: fanno tanta fatica a trovare una posizione comune che poi, quando l’hanno trovata, non possono più permettersi di metterla in discussione andando alla mediazione con l’altro schieramento”.

Così il nuovo partito nasce vecchio
“E’ evidente che il Partito democratico non sarà nemmeno lontanamente liberale – è la conclusione di Ostellino – perché una Costituzione che rispetti i diritti individuali è il minimo che si può chiedere a un paese civile”. Mentre è proprio la prima parte della Costituzione a essere la base di una “cultura politica dirigista, un incrocio tra soviettismo e dossettismo profondamente illiberale, che ignora i diritti del cittadino in nome di astrazioni collettiviste che si potranno anche giustificare sul piano storico, ma che oggi sono assolutamente indifendibili”. Inutile aggiungere che nel centrosinistra nessuno, nemmeno i riformisti più intransigenti, metterebbe mai in discussione la prima parte della Costituzione. E poi, osserva Tonini, per quanto riguarda i principi fondamentali, “la Costituzione è quella che la storia ci ha consegnato, quella del ’48 e dei partiti della Resistenza, ed è giusto che resti così”. Un po’ come la bandiera o l’inno nazionale. Resta il problema dell’innovazione istituzionale. Per Ceccanti è evidente che “un nuovo partito non può oggi non porsi questo come il primo problema, dinanzi al moltiplicarsi dei poteri di veto”. Dunque la richiesta di rendere ancora più stringente l’articolo 138, contenuta nell’appello dei giuristi, va accolta come “completamento di una riforma coerente con il maggioritario, da fare assieme maggioranza e opposizione, non come un freno”. Una riforma che proprio quei moltiplicati poteri di veto, però, rendono assai improbabile. E che l’enfasi sul Pd come “baluardo” della Costituzione, da parte di Veltroni, rendono forse addirittura inverosimile.

 


Il Giornale 2-10-2007  La tassa dell’autogol di Michele Brambilla -

 

Ci sono provvedimenti della pubblica amministrazione inutili, altri ingiusti, altri dannosi. Quello con cui il Comune di Milano costringe gli automobilisti a pagare per entrare in centro riesce purtroppo a sommare le tre sciagurate caratteristiche: è inutile, è ingiusto, è dannoso. Vediamo perché.
Il ticket è inutile perché non abbatterà neppure di uno zero virgola l’inquinamento, e siccome è stato concepito proprio per rendere l’aria più respirabile, basterebbe questa considerazione per chiudere il discorso.
Sul fatto che lo smog non calerà non ci sono dubbi per almeno tre buoni motivi. 1) A causa della provvidenziale opposizione di gran parte dei partiti (soprattutto dello stesso centrodestra), il provvedimento è stato via via limato fino a riguardare soltanto alcuni tipi di auto e solo la parte più centrale della città. 2) Sempre a causa di queste opposizioni, il costo dell’abbonamento per ciascun automobilista è sceso rispetto all’iniziale stangata prevista. Siamo arrivati infine a tre scaglioni: da 100, 200 e 500 euro all’anno. Ora, basta saper usare una calcolatrice per rendersi conto che con questi ticket entrare in centro costerà da un minimo di 38 centesimi a un massimo di 1,91 euro al giorno, quindi sempre e comunque meno di quanto costino i mezzi pubblici. È vero che adesso non si paga nulla, ma se il ticket doveva essere un incentivo per passare dall’auto al bus o al metrò, è un incentivo che non incentiva. 3) Anche se fosse stato disgraziatamente esteso a più automobili e a un’area più vasta, il ticket non avrebbe ripulito l’aria per il semplice motivo che come tutti sanno l’inquinamento è dovuto in parte debordante agli impianti di riscaldamento, utilizzati in modo scellerato senza che siano puniti gli eccessi (nessuno a Milano mette più un maglione di lana o una giacca in casa e in ufficio: ma è così indispensabile stare in maniche di camicia anche d’inverno?). La prova provata che non sono le auto a inquinare sta in un fatto tanto semplice quanto di un’evidenza solare: d’estate, quando i riscaldamenti sono spenti, le polveri sottili crollano.

E veniamo a spiegare perché il ticket oltre che inutile è ingiusto.
Qui le motivazioni sono due. 1) Visto che sarà in vigore solo dal lunedì al venerdì e solo dalle 7 alle 19, il provvedimento colpirà esclusivamente chi entra a Milano per lavorare. Il ticket sarà dunque una poco simpatica (diciamo così) tassa sul lavoro, con l’aggravante di essere ancor più gravosa per coloro che hanno automobili più vecchie. E quindi, presumibilmente, per i più poveri. 2) Il ticket è ingiusto perché una pubblica amministrazione non può indurre i cittadini a preferire i mezzi pubblici all’automobile quando i mezzi pubblici non ci sono. E sul fatto che non ci siano, non v’è dubbio. I mezzi pubblici ci sono solo per chi gira in città, non per chi viene da fuori. Tanto per dirne una: Monza, che è la terza città della Lombardia con 130.000 abitanti e che dista da Milano non più di quattro-cinque chilometri da confine a confine, non ha la metropolitana. E come non ce l’ha Monza, non ce l’hanno di conseguenza anche le centinaia di migliaia di persone che vengono da Nord, vale a dire dalla Brianza, dal Lecchese, dal Comasco: stiamo parlando di aree fra le più produttive del Paese. Ci sono i treni, è vero: ma già stracolmi, con i disagi che sappiamo e limitatissimi negli orari per il ritorno. Per chiedere di lasciare l’auto nel box di casa ci vorrebbe una metropolitana come quella di Londra, a sproposito invocata più volte come pietra di paragone da chi ha voluto il ticket. Ci vorrebbe, ma non c’è. E non ci sarà per almeno questa generazione.
Infine, il provvedimento è dannoso perché introduce due concetti gravidi di nefaste conseguenze. Primo: chi ha voluto il ticket si è detto mosso dal nobile principio di voler combattere l’inquinamento, ma di fatto ha stabilito che, pagando, inquinare è lecito. Secondo: il rischio di un effetto-domino è altissimo. Perché Bergamo non dovrebbe far pagare chi ci va in auto per farsi un giro sul Sentierone o a città alta? E perché Monza non dovrebbe far pagare chi va al parco? E Como chi va al lago? Passasse questo principio del ticket d’ingresso, tutti o quasi i comuni italiani troverebbero un valido motivo per farlo pagare. E chi si trovasse malauguratamente a girare più città nello stesso giorno, magari perché fa il rappresentante, dovrebbe chiedere un mutuo per circolare.

Abbiamo lasciato perdere la politica e ci siamo limitati a considerazioni pratiche, che poi sono le più importanti perché toccano la vita quotidiana della gente. Ma siccome anche la politica in questa faccenda ha un suo peso, ci chiediamo: ma non è un autogol introdurre una nuova tassa proprio nel momento in cui il centrodestra contesta a Prodi di averci tartassati? Questa è la prima domanda. La seconda è: signor sindaco Moratti, lei sa che noi abbiamo grande stima di lei, ma non sarebbe meglio lasciar perdere?
Michele Brambilla


Europa 3-10-2007  Amato, Veltroni, Rutelli, Cofferati: la sicurezza dei cittadini è democrazia  FEDERICO ORLANDO RISPONDE

http://www.europaquotidiano.it/site/images/transparent.gif

Cara Europa, lunedì mattina a “Prima pagina”, la rassegna stampa che va in onda su Radiotre, un’ascoltatrice ha telefonato, contestando alla polizia che tre visitatori “dell’est” erano entrati nella sua casa, che lei ne aveva informato il 113 che le aveva risposto di non avere né macchine né uomini per intervenire e l’aveva liquidata consigliandole, semmai, di fare una denuncia l’indomani.
È così che le forze dell’ordine proteggono i cittadini in democrazia?
LEO PANEBIANCHI, FORLÌ

 

Solitamente no, caro Panebianchi, e la sua lettera mi dice che lei sospetti disaffezione delle polizie per gli istituti democratici e disinteresse di questi istituti per i cittadini italiani, sacrificati ai miti correnti dell’universalismo, della fratellanza, dell’accoglienza di tutti, delle frontiere aperte. Chi è nato, come me, nella società delle frontiere chiuse (per trasferirsi da Campobasso a Roma occorreva il “passaporto interno”, ancora per vari anni dopo la caduta del fascismo) è naturalmente favorevole alle frontiere aperte. E tutta la giovinezza della mia generazione è stata pervasa dagli ideali dell’Unione europea: quella dei sei paesi fondatori, Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo, e del progressivo allargamento ad altri paesi di eguale storia e cultura: Austria, Boemia, Ungheria, Spagna, Portogallo, Inghilterra, Irlanda, Grecia, Danimarca, paesi nordici. «Questa era l’Europa dei nostri sogni e desideri: non avevamo mai pensato a un’Europa dei 27, estesa fino alle frontiere della Russia, che può diventare Europa dei 28 con la Turchia e dei 29 con l’Ucraina: paesi che, come tanti altri imbarcati nei 27, vengono in Europa non per crescere insieme a noi in una cultura comune, ma per sfuggire a difficili situazioni coi loro attuali confinanti e per portare in Europa usi e costumi che con l’Europa non hanno niente a che fare: dal velo islamico (caro Amato, le nostre monache portano il velo, ma sono appunto monache) al randagismo, eufemisticamente chiamato nomadismo.
Il nostro decoro europeo e la sicurezza dei nostri concittadini sono crollati da quando la malavita e la diseducazione orientali si sono aggiunti alla diseducazione e alla malavita di larghe regioni del nostro paese. Ora gli italiani si ribellano e i leader della sinistra moderata – Veltroni, Rutelli, Amato, Cofferati, per citare – ne danno l’allarme ai dormienti e chiedono cose diverse ma convergenti: potere di espulsione ai prefetti, più poteri di polizia ai sindaci. Il fatto che Cofferati abbia dovuto prendere le distanze dal questore di Bologna per il mancato intervento della polizia contro una manifestazione sediziosa, la dice lunga: la destra soffia contro il lassismo del centrosinistra, le polizie si rifiutano di intervenire (si tratti di Bologna o del 113) sia per effettiva mancanza di mezzi sia per dimostrare ai cittadini che con governi di centrosinistra la loro sicurezza sarà sempre a rischio.
Bellissimo l’articolo di Amato sul Messaggero, “Difendere i cittadini ed evitare la crescita della tigre dell’intolleranza”.
Perciò aspettiamo di leggere i dati definitivi della Finanziaria.


 

Il Riformista 3-10-2007 Ma quali eroi civili, nelle nostre università regna l’omertà.

 

Il mio articolo di lunedì sull’università che produce studenti rassegnati e passivi mi è valso l’accusa di sparare nel mucchio. Dopo il piccolo florilegio di commenti pubblicati sul Riformista di ieri, sento il bisogno di fare una pubblica confessione. È vero, lo ammetto: l’accusa coglie perfettamente nel segno; quando si parla dell’università italiana, il mio primo istinto è quello di mettere mano al kalashnikov, senza andare troppo per il sottile. Il professor Dimitri della Sapienza mi ricorda che «in molti atenei vivono e lavorano anche molti professori e ricercatori appassionati e sottopagati, veri eroi civili che dalla mattina alla sera, con competenza e dedizione tirano la carretta, portando avanti didattica e ricerca con ottimi risultati». A me, però, questa storia degli “eroi civili” che tirano la carretta nonostante le avversità non ha mai convinto. Lo so anch’io che, nelle nostre università ci sono persone di indiscutibile valore. Ci mancherebbe pure che in una comunità che riunisce centinaia di migliaia di persone non ce ne fossero. Il problema, però, è che non fanno massa critica.
Il vero dramma non è che un polemista della domenica spari nel mucchio senza fare distinzioni. Il dramma è che non le faccia l’università, trattando tutti allo stesso modo: luminari e lavativi, “eroi civili” e orrendi cialtroni. Sono anni che ministri di ogni colore tentano di inserire elementi di meritocrazia nell’università, senza alcun successo. Il sistema di valutazione introdotto dalla Moratti avrà pure i suoi difetti. Ma affondarlo tout court, ripristinando la tradizionale irresponsabilità dei professori, non ha certo risolto il problema.
Per come la vedo io, i casi sono due. O gli “eroi civili” sono una maggioranza silenziosa che, da anni, è ostaggio di una banda di facinorosi che rifiutano pervicacemente ogni forma di meritocrazia. Oppure, e mi sembra l’ipotesi più probabile, gli “eroi civili” sono una minoranza che cerca di arrabattarsi nel mezzo di un oceano di de-responsabilizzazione. In entrambi i casi, a prevalere è l’omertà. Altro che “eroi civili”! Nella migliore delle ipotesi, i meritevoli dell’università sono gente che si fa gli affari propri. Se fossero tanto eroici, non si accontenterebbero di rintanarsi nelle loro nicchie di eccellenza: porterebbero avanti una vera battaglia politica per il riconoscimento del merito nell’insieme del sistema universitario. Sfrutterebbero la loro posizione per denunciare i colleghi fannulloni, per spingere gli studenti a rivendicare i loro diritti, per scatenare una vera guerra contro la corruzione, il nepotismo e l’ignavia che li circondano.
E invece no. Per amor di quiete o per timidezza, gli “eroi civili” se ne stanno in disparte: vivono e lasciano vivere. In un sistema basato sulla cooptazione, nessuno vuole farsi la fama del rompiballe. A invocare la meritocrazia restano così i soliti quattro editorialisti dei giornali. Dall’accademia, invece, non è mai venuto un vero, serio slancio riformista. Qualche convegno, qualche timida ricerca comparativa e nulla più. I tentativi di riforma sono sempre arrivati dall’esterno e si sono sempre infranti contro un muro di gomma. In queste condizioni, più che di eroi civili, forse, si dovrebbe parlare di militi ignoti.
Giuliano da Empoli

03/10/2007

 


 

L’Unità 2-10-2007  Il silenzio dopo Grillo  Giuseppe Tamburrano

 

Si sta esaurendo il fenomeno Grillo? Apparentemente sì: certo, se ne parla di meno. Io sarei però cauto nei giudizi. Dopo l’esplosione sui mass-media e nel dibattito politico era inevitabile che il polverone si posasse. Ma le cose non sono cambiate. Voglio dire che il successo del comico è dovuto al fatto che egli interpreta uno stato d’animo della pubblica opinione, è la spia di un forte malessere, è il sismografo di un moto tellurico della società italiana e può diventare un «detonatore», come egli si è definito. Perciò discutere di Grillo è discutere di tale malessere, dei suoi aspetti, delle cause, dei rimedi.

Vi è una forte protesta per le condizioni sociali in cui vivono vasti strati di ceto basso e medio. Vi è la rivolta contro gli sperperi e gli abusi della «casta» che è tanto più aspra a ragione dell’immobilismo dei partiti; vi è infine la critica dei cittadini del centro-sinistra per l’incapacità del governo, paralizzato dalle divisioni, di dare attuazione al suo programma.
Grillo ha drammatizzato e spettacolarizzato questa situazione rivelata dalle folle che lo acclamavano, ma anche dai sondaggi che rivelano lo scollamento tra opinione pubblica e partiti e spostamenti significativi nelle preferenze del voto a favore della destra e ancor più significativi aumenti delle propensioni all’astensione. Mi pare che anche questo giornale abbia colto il processo con i risultati del suo recente appello ai lettori.

Visto in questa luce il caso Grillo è cosa molto seria. Non per nulla il paragone con il primo fascismo ricorre sempre più spesso. Certo la storia non si ripete, e nessuno può prevedere il futuro; ma è certo che Grillo tornerà a fare il mestiere di comico se e quando la politica - e soprattutto quella di centro-sinistra - tornerà a fare il suo dovere. Altrimenti la protesta degli shows si consoliderà in iniziative politiche come le «liste civiche».
In proposito, mi sembra molto pericolosa l’alleanza tra demagogia e «legalità», tra Grillo che arringa le folle e Di Pietro che lo sponsorizza con il suo giustizialismo. I partiti presi di mira, e specie quelli di centro-sinistra che hanno la responsabilità del governo, debbono reagire e presto: il fattore tempo è importante allo scopo di evitare che la situazione si incancrenisca e la protesta esca fuori dei confini della democrazia.

Molta fiducia si nutre nel Partito democratico ed in particolare in Veltroni. Ma il modo col quale si costruisce il nuovo partito è ancora deludente: tuttora non si sa qual è il suo progetto, la sua identità. E non si sa nulla sulla sua struttura, la forma-partito: ad esempio, saranno ammesse le correnti? Leggo risposte negative di Bettini. E che, si torna al «centralismo democratico» del Pci? Ve la immaginate Rosy Bindi che non fa una corrente?
Le attese per la leadership di Veltroni sono grandi, ma il suo cammino è difficile e lungo. Sostiene il governo Prodi - e non potrebbe fare diversamente. Ma fin quando Prodi resta in sella la sua successione eventuale (può vincere il centro-destra!) si proietta nel tempo fino al 2011: e in questi anni il vuoto nel paese si può allargare. Farà in tempo Veltroni a riempirlo? E come? Oppure il tempo lungo esaurirà le attese «salvifiche» della sua leadership?

Veltroni sostiene che non si può tornare a votare con questa legge elettorale. Si capisce perché: con questa legge si va al voto con le attuali traballanti e paralizzanti alleanze e sicuramente vince Berlusconi. Ma come si cambia la legge? Tutti i tentativi di concordare un nuovo testo con l’opposizione sono andati a vuoto. Potrebbe farlo il centro-sinistra a maggioranza - come ha fatto la destra - ma nel centro-sinistra non vi è accordo su questo tema.
Insomma non si muove nulla, nemmeno un rimpasto per la riduzione dei ministeri. Ma questo irresponsabile immobilismi al vertice è un potente esplosivo nella società. Ed è questo il vero caso.

P.S. Veltroni insiste su un aspetto del Pd. Riporto la frase da l'Unità del 30 settembre ’07: «Quando mai è successo nella nostra storia... che un partito nascesse non per scissione, non dopo una spaccatura, ma per unione?... Il Pd nasce così!». Voglio correggere Veltroni non per pignoleria di storico, ma per scaramanzia: i socialisti e i socialdemocratici divisisi nel 1947 si sono riunificati nel 1966. Ma quell’unione è durata poco.

 


 

L’Unità 2-10-2007 Se paga il Contribuente Silvano Andriani

 

La Banca centrale statunitense (Fed) ha ridotto di ben 50 punti base i tassi ufficiali e i mercati hanno esultato, ma se tale decisione sarà in grado di evitare una crisi finanziaria e una recessione negli Usa è ancora da vedere. Il complesso delle vicende innescate dalla crisi dei mutui statunitensi, sino al cambiamento della politica monetaria, avvenuta a grande richiesta dei mercati, merita ancora qualche riflessione. Nell’era della moneta elettronica è sorprendente vedere code di risparmiatori all’addiaccio per il timore di non potere riavere i propri denari dalla banca, cosa che a Londra non si vedeva dal 1886. Non meno sorprendente il comportamento della la banca centrale inglese.

La quale il 12 settembre aveva apertamente criticato gli interventi della Bce e della Fed, considerandoli un salvataggio che avrebbe incentivato l’azzardo degli speculatori, e solo tre giorni dopo è intervenuta platealmente nel tentativo di salvare la Northern Rock dal fallimento. Ancor più sorprendente che il governo inglese, quello che nel 1979 con la Thatcher ha dato inizio all’era neo-liberista, abbia dichiarato di assumere il rischio di tutti i risparmiatori sulle spalle dei contribuenti.

Non meno incoerente il comportamento della Fed: solo pochi giorni dopo aver dichiarato di ritenere ancora l’inflazione il pericolo principale e di non potere cambiare politica monetaria ha inondato di liquidità le banche e, quel che è peggio, ha accettato a garanzia dei loro debiti proprio quei titoli dai quali era scaturita la crisi; dopodiché ha ridotto prima il tasso di sconto e poi il tasso di interesse ufficiale, cioè ha cambiato politica monetaria.

Tutto ciò dovrebbe dirci qualcosa a proposito dei sistemi di regolazione e della politica economica. La prima considerazione è praticamente una constatazione: la capacità di previsione delle autorità di controllo sulla finanza è quasi nulla: a pochi giorni dal terremoto nessuna di esse ha avvertito la benché minima scossa. E questo già ci dice qualcosa a proposito dell’attività di controllo.

Dopo le grandi crisi finanziarie degli anni 90, la fase di deregolazione dei mercati, iniziata da Reagan e da Thatcher, si è esaurita ed è iniziata una lunga fase di riregolazione che è passata attraverso alcune tappe - Basilea I, Basilea II, Solvensy I, Solvensy II, Iass - Ora è evidente che in questo corpo di regole si sono aperte della enormi falle. Fino a ieri si riteneva che la nuova regolazione avesse rafforzato la stabilità dei sistemi finanziari, anche se alcuni sostenevano che questo non comportava inevitabilmente una maggiore stabilità dei mercati finanziari. Oggi, con quello che sta avvenendo, la stabilità dei sistemi finanziari e soprattutto di quelli bancari è di nuovo in discussione.

In linea generale si può dire che le nuove regole sono state elaborate guardando alle grandi crisi finanziarie degli anni 90, mentre la realtà dei mercati e dei sistemi finanziari, e quindi anche la natura delle crisi, sono, negli ultimi dieci anni, sostanzialmente mutate. L’enorme trasferimento di rischi realizzato da banche ed assicurazioni, anche in risposta alle nuove regole, che tutti hanno salutato con soddisfazione, comporta anche che non si sa più su quali titolari siano allocati i rischi e se essi siano in grado di comprenderli e di gestirli adeguatamente. Inoltre la progressiva sovrapposizione dell’attività delle banche, degli investitori istituzionali e di nuovi soggetti finanziari marcatamente speculativi, tipo hedge fund, fa sì che parte del trasferimento dei rischi avvenga fra imprese finanziarie, essi restano perciò dentro il sistema finanziario, ma collocati in buona misura fuori bilancio e quindi sottratti al controllo. Un ripensamento delle regole del controllo si impone.

Se si considera la politica economica, vi è innanzitutto l’evidente asimmetria della politica monetaria. Alla richiesta ripetuta nel corso degli ultimi anni che la banca centrale intervenisse per frenare la formazione ormai evidente di una bolla speculativa immobiliare, la Fed, ancora di recente, ha risposto che non è suo compito influenzare i prezzi dei beni patrimoniali. Senonchè, quando poi le bolle esplodono, gli interventi - immissione massiccia di liquidità, accettazione a garanzia di titoli spazzatura, riduzione dei tassi di sconto e di interesse - hanno come finalità anche quella di impedire un eccessivo ribasso dei prezzi. Non è vero dunque che le banche centrali si astengano dall’influenzare i prezzi dei beni patrimoniali, è vero invece che si rifiutano di porre un freno alla loro crescita quando si potrebbe impedire la formazione di una bolla, ma intervengono pesantemente per impedire che scendano eccessivamente quando la bolla esplode.

Vi è una seconda asimmetria. La politica monetaria ha assunto da tempo come obbiettivo la lotta all’inflazione, la crescita cioè oltre certi limiti dei prezzi dei beni prodotti correntemente. Questo in larga misura significa impedire un aumento del costo del lavoro. La politica monetaria dunque mentre interviene per porre un freno all’aumento delle retribuzioni, opera invece per sostenere i prezzi dei beni patrimoniali e questo nonostante che da un trentennio il valore di quei beni aumenta quasi dappertutto in misura maggiore del prodotto lordo in corrispondenza con una crescita del peso della rendita sul reddito nazionale.

Vi è poi il tema dei salvataggi. Da circa trenta anni, da che si è affermato su scala mondiale il pensiero neo-liberista, i salvataggi sono considerati tabù. Nessuno tuttavia protesta per i massicci salvataggi operati a favore della finanza. Non è la prima volta. Se si guarda al trentennio si possono ricordare il salvataggio dell’intero sistema delle casse di risparmio statunitensi, quello di tutti i sistemi bancari dei paesi scandinavi, quelli del sistema bancario giapponese e di quelli di numerosi paesi dell’America Latina, per non parlare del salvataggio di singole grandi istituzioni finanziarie, tipo Credit Lyonais. Questi salvataggi in genere vengono considerati normali. Anche qui c’è un’evidente asimmetria.

La giustificazione di questi salvataggi è che altrimenti si creerebbero rischi per l’intero sistema economico nazionale o mondiale. Essi tuttavia comportano una rilevante redistribuzione di reddito dalle tasche dei contribuenti a quella di risparmiatori, incauti debitori, azionisti ed investitori e speculatori. E poiché la ricchezza patrimoniale è concentrata nelle mani dei più ricchi ancor più del reddito nazionale anche questa redistribuzione gioca contro i meno abbienti. Anche di questo si dovrebbe tenere conto per evitare che nel sistema finanziario gli utili siano privati e le perdite collettive.

Questi temi, che attengono la natura profonda del capitalismo, la sua evoluzione e le contraddizioni e le ingiustizie che esso genera dovrebbero far parte di un discorso rivolto a definire un progetto di riforma del capitalismo che non può essere pensato in una dimensione esclusivamente nazionale.


INDICE 2-10-2007

+  Il Sole 24 Ore 2-10-2007 Il deficit cala di 14,3 miliardi di Luigi Lazzi Gazzini 1

+  La Repubblica 2-10-2007 Costi della politica, Bertinotti al governo "Voi in ritardo rispetto alla Camera" La Finanziaria prevede il taglio degli aumenti per i parlamentari Il presidente della Camera: "C'è una propensione all'invasione di campo" 2

La Repubblica 2-10-2007 Parlamentari, stipendi fermi per 5 anni. Bonus-affitto di mille euro ai giovani. Nella manovra l'articolo 8 blocca le retribuzioni di deputati e senatori. Spese detraibili per bus e metro, stretta sulle comunità montane. di ROBERTO PETRINI 2

Il Corriere della sera 1-10-2007 Pesante annuncio: la banca Usa stima calo utili del 60% nel terzo trimestre. Citigroup lancia l'allarme: crisi mutui pesante  3

Ma il titolo sale a Wall Street 3

L’Unità 1-10-2007 Invece della guerra Furio Colombo  4

Europa 2-10-2007 Berlusconi sproloquia sulle scadenze politiche, ma qualcuno dovrebbe ricordargli che rischia grosso FEDERICO ORLANDO RISPONDE  5

 


+  Il Sole 24 Ore 2-10-2007 Il deficit cala di 14,3 miliardi di Luigi Lazzi Gazzini

La Finanziaria 2008 giunge al Senato col conforto di buone notizie dal fronte dei conti pubblici. Il mese di settembre appena terminato ha messo a segno un deficit di cassa di soli 5 miliardi, circa 3 in meno di settembre 2006. Rispetto ai nove mesi dell'anno scorso, il periodo gennaio-settembre 2007 iscrive un fabbisogno di 30 miliardi, oltre 14 in meno dei primi nove mesi del 2006.
Pur trattandosi del conto di cassa, diverso dunque da quello sottoposto ai vincoli europei e per giunta relativo a un ambito più ristretto (settore statale anziché pubbliche Amministrazioni), il saldo diffuso ieri dall'Economia rappresenta per il 2007 la conferma di un andamento più positivo di ogni previsione. E tale da rafforzare anche le stime relative al saldo di competenza oggetto del trattato di Maastricht.
Ancora una volta, spiega l'Economia, il miglioramento del fabbisogno di settembre è stato determinato dal buon andamento delle entrate fiscali, oltre che da una dinamica dei pagamenti risultata contenuta in tutti i settori della pubblica amministrazione. Ne è derivato un risparmio che ha più che compensato il maggior onere per interessi sui titoli di Stato, pari a circa 1,5 miliardi, connesso a una diversa distribuzione del pagamento delle cedole in corso d'anno.
Come chiuderanno i conti del 2007? Sul saldo finale è previsto pesare il decreto legge di luglio, che ha speso 6 miliardi tratti dal miglioramento dei conti accertato a metà anno. E peserà anche il nuovo decreto legge collegato alla Finanziaria 2008 che anticipa all'anno in corso alcune spese che, altrimenti, sarebbero gravate sull'anno prossimo. Tuttavia, col soccorso di un dicembre, e relativi incassi tributari, che si prospetta positivo, i conti del 2007 sembrano in grado di assorbire buona parte di questi aggravi.
Ecco allora acquistare consistenza la stima di un disavanzo di competenza delle Amministrazioni, questo sì soggetto ai vincoli europei, che la Nota di aggiornamento del Dpef indica al 2,4% del Pil quest'anno, meglio del 2,5% previsto dal Dpef di fine giugno, nonostante chea pesare sul disavanzo si sia aggiunto il nuovo decreto. Senza il quale, il deficit di competenza 2007 secondo Maastricht sarebbe stato del solo 1,9% del Pil.
Ancora più impressionante il dato "tendenziale" che la Nota attribuisce al 2008: senza la manovra appena giunta a Palazzo Madama, il disavanzo sarebbe del solo 1,8% del Pil, meno di 30 miliardi. La scelta del Governo è stata però, come già nel 2007, per un intervento espansivo: a una manovra "netta" pari a zero corrisponde un intervento che appesantisce il deficit di 0,4 punti di prodotto, portandolo al 2,2% del Pil.
Che significa? Che l'intero miglioramento spontaneo dei conti 2008 (6,4 miliardi) rispetto all'obiettivo stabilito per il saldo, finanzierà minori entrate o maggiori spese. E che altri 4,6 miliardi, oggetto della manovra, serviranno per raggiungere gli 11 circa dell'intervento 2008.


+  La Repubblica 2-10-2007 Costi della politica, Bertinotti al governo "Voi in ritardo rispetto alla Camera" La Finanziaria prevede il taglio degli aumenti per i parlamentari
Il presidente della Camera: "C'è una propensione all'invasione di campo"


ROMA - "L'esecutivo è in ritardo rispetto a ciò che ha già fatto la Camera dei deputati". Il presidente della Camera Fausto Bertinotti commenta così la notizia dello stop,
contenuta nell'articolo 8 della legge Finanziaria, del taglio degli aumenti automatici per le indennità parlamentari.

Una risposta chiara a chi gli chiede se se palazzo Chigi abbia voluto 'mettere il cappello', con il via libera alla riduzione dei parlamentari. "Si possono fare molte questioni di forma. Siccome io penso che anche alla Camera sta lavorando a proposte di riduzione dei parlamentari, c'è sì qualche propensione, diciamo così, a invasioni di campo, ma sono questioni di carattere" spiega il presidente della Camera. Che aggiunge: "'Ogni volta che si va nella direzione di una riduzione dei costi della politica e' inutile propendere alla polemica".

Dalla prossima Finanziaria, dunque, gli stipendi dei parlamentari rimarranno bloccati per 5 anni a partire dal 1° gennaio del 2008. E per lo stesso periodo viene cancellato l'aggancio delle retribuzioni di deputati e senatori al 100 per cento di quelle dei magistrati. Stando così le cose a Palazzo Madama l'ultimo scatto è stato già percepito dai Senatori prima dell'estate, mentre la Camera resterà a bocca asciutta fino al 2012.
(2 ottobre 2007)


La Repubblica 2-10-2007 Parlamentari, stipendi fermi per 5 anni. Bonus-affitto di mille euro ai giovani. Nella manovra l'articolo 8 blocca le retribuzioni di deputati e senatori. Spese detraibili per bus e metro, stretta sulle comunità montane. di ROBERTO PETRINI


ROMA - Gli stipendi dei parlamentari rimarranno bloccati per 5 anni a partire dal 1° gennaio del 2008. Lo prevede l'articolo 8 della Finanziaria che inizia il suo iter al Senato: per il medesimo lasso temporale viene dunque cancellato l'aggancio delle retribuzioni di deputati e senatori al 100 per cento di quelle dei magistrati. Il capitolo "costi della politica" entra così direttamente in Finanziaria, senza passare per un provvedimento collegato. La tagliola per Palazzo Madama arriva in ritardo: l'ultimo scatto è stato già percepito dai Senatori prima dell'estate, mentre la Camera - che aveva congelato gli aumenti - resterà a bocca asciutta fino al 2012.

Nel menù c'è anche l'intervento sulle Comunità montane: non potranno essere costituite con meno di 600 metri di altitudine e non ne potranno far parte i comuni con più di 40 mila abitanti. Ridotto anche il numero dei consiglieri comunali che nei comuni sotto i 250 mila abitanti diminuiranno di circa del 20 per cento; ridotti anche i comuni nei quali è possibile costituire le circoscrizioni: spariscono nei centri sotto i 100 mila abitanti (prima bastavano 30 mila abitanti); resta la possibilità di istituirle tra i 100 e i 250 mila abitanti.
Altre norme di contenimento di costi dell'amministrazione e, in qualche modo di moralizzazione, riguardano gli stipendi dei dirigenti e dei manager dell'intera pubblica amministrazione (dai ministeri, alle Regioni, agli enti pubblici economici). L'articolo 91 della Finanziaria prevede infatti che gli stipendi di questi dirigenti non possano essere superiori a quelli del primo presidente della Corte di cassazione, cioè 274 mila euro. La norma è particolarmente estesa: fino ad oggi valeva infatti il comma Salvi della passata Finanziaria che metteva un tetto solo ai dirigenti dello Stato provenienti dall'esterno, dal prossimo anno nelle maglie della norma finiranno anche i capi della Polizia, dell'Arma dei carabinieri e tutte le alte cariche dello Stato oltre ai manager delle "società totalmente o prevalentemente partecipate" dalle amministrazioni pubbliche. Taglio del 20 per cento agli stipendi anche ai commissari straordinari di governo.

Tra le novità dell'ultima versione del testo figura anche la possibilità per i giovani, di un'età compresa tra i 20 e i 30 anni, di usufruire di maggiori detrazioni fiscali sugli affitti, sempre che la casa sia diversa dall'abitazione principale dei genitori. La nuova detrazione varia dai 495,8 euro se il reddito complessivo supera 15.493,71 euro ma non 30.987,41 euro ai 991,6 euro se il reddito non supera i 15.493,71 euro. In totale, secondo la Relazione tecnica alla Finanziaria, coloro che beneficeranno dello sconto sugli affitti, tutte le età comprese, sono 3,1 milioni.

Spunta anche la detraibilità del 19 per cento delle spese, fino a 250 euro, per l'acquisto degli abbonamenti ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale ed interregionale. Per il 2008, ciò comporterà un minor gettito per 93 milioni, che salirà a 163 milioni nel 2009.
(2 ottobre 2007)


 

Il Corriere della sera 1-10-2007 Pesante annuncio: la banca Usa stima calo utili del 60% nel terzo trimestre. Citigroup lancia l'allarme: crisi mutui pesante

Ma il titolo sale a Wall Street

NEW YORK - La crisi dei mutui non sembra archiviata. Anche se Alan Greenspan, l'ex timoniere della Federal Reserve, intravede «segnali incoraggianti», Citigroup, il colosso finanziario leader al mondo, ha lanciato un preoccupante allarme utili, annunciando di aspettarsi per il terzo trimestre dell’anno un calo dei profitti del 60% circa su base annuale. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Dow Jones, il gigante dei servizi finanziari ha motivato la propria decisione con i problemi relativi «ai titoli garantiti dai mutui», alle condizioni in cui versa il mercato del credito e al «deterioramento delle condizioni del credito al consumo».

TITOLO IN RIALZO - Malgrado il tono delle notizie, la fiducia domina sui mercati finanziari: il titolo Citigroup, a metà giornata sui mercati americani, guadagna addirittura il 2%. Per gli operatori, evidentemente, i motivi che hanno causato il «profit warning» della banca sono eccezionali e soprattutto transitori e il mangement ha le risorse per tenere sotto controllo il disordine nel business.

RISULTATI DELUDENTI - Per il numero uno dell'istituto, Charles Prince, i risultati rappresentano comunque una «evidente delusione». Commentando l’allarme utili di Citigroup, il presidente e ad ha sottolineato che «la flessione dei profitti è stata alimentata soprattutto dalla debole performance delle attività del mercato del credito a reddito fisso, dalle svalutazioni nei prestiti (per i leveraged buyout, ovvero le acquisizioni a debito, ndr) e dagli aumenti dei costi del credito al consumo». Parole ancora più severe sono state utilizzate con riferimento alle operazioni di trading delle attività a reddito fisso, definite «aberranti». Prince si augura comunque che il ritorno a una reddività «normale» avvenga nel quarto trimestre dell'anno.

SVALUTAZIONI ED ESPOSIZIONE - Tornando ai risultati del terzo trimestre, a pesare saranno svalutazioni pari a 1,4 miliardi di dollari in relazione alle operazioni di leveraged buyout al cui finanziamento Citigroup sta lavorando; perdite per un valore di 1,3 miliardi di dollari negli investimenti in titoli garantiti dai mutui; perdite di 600 milioni di dollari nelle attività di trading che hanno per oggetto asset a reddito fisso. Ancora, Citigroup ha precisato che i costi relativi alle operazioni di credito al consumo saranno superiori di 2,6 miliardi di dollari a causa soprattutto della necessità di aumentare le riserve che coprono le perdite sui prestiti erogati. Gli utili di Citigroup saranno resi noti al mercato il 15 ottobre prossimo.

SEGNALI POSITIVI - Insomma, si tratta di una situazione parecchio intricata e legata alla crisi che si è aperta nel settore dei mutui subprime, quelli meno garantiti. Una crisi che ha evidentemente contagiato altri settori della finanza. Eppure c'è chi vede rosa: nell'ennesima intervista rilasciata per promuovere la sua autobiografia, Alan Greenspan ha pronosticato la fine della crisi finanziaria. L'ex presidente della Federal Reserve, la banca centrale americana, a Londra, ha osservato come negli ultimi giorni le emissioni di bond di lungo termine da parte di aziende abbiano trovato una buona accoglienza sul mercato: «Un buon segno», ha dichiarato. «Questo significa che la crisi di agosto-settembre è forse terminata? Forse sì», ha concluso. Da Citigroup arrivano, però, segnali preoccupanti.

FMI - Anche Dominique Strauss-Khan, durante la sua prima conferenza stampa da presidente del Fondo monetario internazionale, nostra fiducia: la crisi dei subprime non avrà «effetti drammatici», ha detto il neo-presidente dell'Fmi.


01 ottobre 2007


 

L’Unità 1-10-2007 Invece della guerra Furio Colombo

 

Ora è chiaro e documentato, dunque storicamente vero: Saddam Hussein stava per andarsene. Aveva accettato di lasciare il potere e di scomparire in esilio. Voleva una buona uscita esosa (un miliardo di dollari). Ma non c’erano bombe, non c’erano morti iracheni (decine, forse centinaia di migliaia), non c’erano morti americani (al momento quasi quattromila) non c’erano trentaduemila giovani americani feriti, molti dei quali non torneranno più alla vita di tutti. Non c’era il costo immenso di una guerra che non finisce.

Per capire di cosa sto parlando (giornali e Tv sfiorano appena l’argomento) occorre tornare ai giorni di incubo e tensione che hanno preceduto la guerra in Iraq. Da un lato il vento furioso della Casa Bianca di Bush, del febbrile interventismo di Tony Blair, che, letteralmente «hanno fatto carte false» (hanno mentito su tutto) pur di fare la guerra.

Dall’altra due pacifismi avvinghiati, uno di passione, constatazione, buon senso (ormai hanno capito in tanti che la guerra non è più una risposta possibile, troppo costo, troppo sangue e - da quando esistono solo armate professionali - troppe poche persone disposte a morire); l’altro ideologico, contrario a tutte le guerre ma specialmente a una guerra americana.

All’improvviso (siamo nel 2003, a poche settimane dall’inferno iracheno che ancora non c’era, che veniva descritto come una guerra rapida e leggera e che ancora continua a bruciare) entra in scena un incompetente che non sa niente di guerra perché predica la non violenza, uno poco amato dalla sinistra perché si dichiara “americano” e dice agli uni e agli altri «Fermi tutti. Possiamo rimuovere Saddam senza combattere». Sto parlando di Marco Pannella. «È la tipica presunzione del leader radicale che sa sempre, da solo, come salvare il mondo», si è detto e scritto con irritazione da una parte e dall’altra, a quel tempo. Noi, qui, all’Unità gli abbiamo creduto. E abbiamo subito spiegato perché. Perché la pace non arriva come risposta a una invocazione ma come frutto di un lavoro. Perché la proposta di Pannella ricordava a qualcuno di noi l’impegno costante, a momenti disperato ma mai rinunciatario, contro la pena di morte negli Stati Uniti: un caso per volta, ogni percorso di salvezza continuamente tentato, finché ne salvi uno, finché ne salvi quasi la metà, finché riesci a mettere in discussione un tipo di esecuzione (l’iniezione letale) di fronte alla Corte Suprema (benché quella Corte sia di destra e favorevole alla pena di morte); finché riesci a ottenere la moratoria, già proclamata in alcuni Stati americani e che adesso sta per essere approvata all’Onu, per tutto il mondo. Una proposta italiana che onora il nostro Paese e che è nata da una di quelle campagne ossessive e, all’inizio, solitarie e col tormentone del digiuno, di Marco Pannella.Ricorderete che molti deputati e molti senatori italiani avevano detto sì al progetto di rimuovere un dittatore senza mettere a ferro e fuoco un Paese. Ricorderete che ha vinto uno scetticismo venato anche un po’ di irrisione e ridicolo: figuriamoci se un dittatore va via senza la guerra.

Ora sappiamo tre cose che sarà bene non dimenticare. Sappiamo che la “proposta Pannella” era realistica proprio come noi, con lui, avevamo detto allora, irritando anche un po’ alcuni a sinistra nonostante il netto schieramento di pace (col segno arcobaleno nella testata) di questo giornale. Ora sappiamo che l’audace, avventurosa, “impossibile” trama diplomatica era andata a buon fine, fino al punto finale: pagare e liberarsi del tiranno. Lo sappiamo dal diario di Aznar. E sappiamo che i Berlusconi e gli Aznar che hanno detto di sì a quella guerra lo hanno fatto per compiacere l’amico potente pur sapendo che quella carneficina si poteva evitare. Una bella responsabilità nella Storia.

Pannella ricorda nel suo comunicato che tra tutti i giornali, solo l’Unità ci ha creduto. Noi ne siamo orgogliosi e lo ringraziamo. Non della citazione ma dell’impegno, quasi riuscito, di non fare la guerra.

colombo_f@posta.senato.it


 

Europa 2-10-2007 Berlusconi sproloquia sulle scadenze politiche, ma qualcuno dovrebbe ricordargli che rischia grosso FEDERICO ORLANDO RISPONDE

http://www.europaquotidiano.it/site/images/transparent.gif

Cara Europa, leggo sul Corriere di domenica, insieme a un editoriale di Mario Monti che attribuisce equanimemente debiti e ingovernabilità a centrodestra e centrosinistra ma si dimentica della scientifica paralisi di governo preparata col Porcellum, un articolo in cui il Cavaliere spacconeggiando più del solito, assolve Bossi da intenzioni secessioniste (“per lui garantisco io”), assicura che il referendum sulla legge elettorale non si farà perché ci saranno le elezioni, intima di non nominare governi tecnici dopo la caduta di Prodi, chiama all’adunata pre-28 ottobre 1922 del 2 dicembre.
Com’è possibile che in un paese democratico il leader dell’opposizione parli questo linguaggio? E che gli altri tacciano?
MICHELE SANTILLI, MILANO

Caro Santilli, Berlusconi parla da padrone perché la maggioranza di governo è debole, fratricida, dedita anche al salvataggio personale di troppi topi che si gettano nelle scialuppe.
Ma intanto ci fa sapere con quali intenzioni di bastonatore tornerebbe al governo (e le dirò che, se bastonasse taluni topi che gli si affollano intorno, non è che ci dispiacerebbe).
Ma il problema grave è un altro. Il Cavaliere sa che non sarà lui a stabilire cosa si farà dopo un’eventuale crisi del governo Prodi. Lo stabilirà il capo dello stato, a norma della Costituzione.
E Napolitano ha già fatto sapere che non indirà le lezioni col Porcellum, ma pretenderà una nuova legge elettorale: o quella del referendum o quella del parlamento indirizzata da un governo tecnico. Ora, l’ingiunzione vicentina di Berlusconi: niente referendum, elezioni col Porcellum, nuova legge elettorale fatta dal mio governo, è un autentico attacco al Quirinale, assai più serio di quello della secessione padana, sparata da Bossi; un attacco che sollecita una immediata ed enorme risposta di massa, da parte di milioni di cittadini che vedono un nuovo governo degli affamatori e degli evasori come la peste nera. Alcune centinaia di migliaia di questi cittadini si riuniranno il 14 ottobre per eleggere il segretario del Partio democratico: più numerosi saranno, più implicito sarà il messaggio al Sarkozy di Arcore senza gollismo.
Il 20 ottobre, poi altre centinaia di migliaia di italiani, della sinistra “radicale”, scenderanno in piazza a chiedere altre cose al governo Prodi ma anche a difendere quelle che sta facendo: sarà l’occasione per dire che se il 2 dicembre Berlusconi pensa a una sua adunata di piazza per dare la spallata non al governo Prodi ma alla presidenza della repubblica, potrebbe avere la sorpresa di trovare quella stessa piazza, in quello stesso giorno, in quelle stesse ore, occupata da qualche centinaio di migliaia di italiani disposti a difendere il Quirinale e la Costituzione contro di lui.
È solo un’ipotesi, s’intende, perché io non so quale sia il grado di dignità e di virilità superstite negli italiani di “sinistra”. Mi basterebbe se fosse come quello dei monaci buddisti.


 

 

 

INDICE 1-10-2007

++  La Stampa 1-10-2007 Quando il silenzio fa rumore In Belgio bandiere alle finestre contro l'ipotesi di divisione del paese. 1

+  La Repubblica 1-10-2007 Il bullismo, gli insegnanti, il caro-libri: il sondaggio di Repubblica conferma i disagi Ma gli italiani continuano ad avere fiducia nell'Istruzione. Pubblica Quelle aule così lontane dalla società che cambia Tutti sognano una scuola diversa, la fiducia espressa è sempre "nonostante" qualcosa. di ILVO DIAMANTI 2

+  Il Corriere della Sera 1-10-2007 Le grandi opere, sprechi e piani A3, un chilometro costa 20 milioni Salerno-Reggio, il cantiere infinito. Da oggi i lavori sull'ultimo tratto. Nella manovra 100 milioni per il traffico merci  Sergio Rizzo  4

L’Unità 30-9-2007 Politica, ultimo appello Furio Colombo  5

Il Corriere della Sera 1-10-2007 La politica estera italiana al tempo di Sarkozy  Il rischio di isolarsi di  Angelo Panebianco  8

La Stampa 1-10-2007 http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifDa Hollywood al bottone rosso del blitz in Iran Bush nomina il nuovo capo dei generali Usahttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif. Di Maurizio Molinari 8

Il Sole 24 Ore 29-9-2007  Come farsi finanziare evitando le trappole  9

 


++  La Stampa 1-10-2007 Quando il silenzio fa rumore In Belgio bandiere alle finestre contro l'ipotesi di divisione del paese.

E' la maggioranza silenziosa che si fa sentire con forzahttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif  Talvolta si legge  solo una parte della storia. Trentamila firme contro la Tav e 150 delegati del movimento che incontrano i vertici europei finiscono giustamente sui giornali. Della gente qualunque che sta sull'altro fronte, quelli che magari la Tav la vogliono, non si sente parlare. Nessuno li ha mai contati veramente, ma c'è chi dice siano una maggioranza. Silenziosa.

 Succede ovunque. In Polonia gli euroscettici attirano tutte le attenzioni, mentre degli europeisti (che nei sondaggi superano il 60 per cento) ci sono solo vaghe tracce. Sfilano per le strade italiane gli antinuclearisti, non i nuclearisti che – a occhio - non sono poi così pochi. A Bruxelles gli europei marciano contro l'Islam, e chi con l'Islam ha un buon rapporto (mica scarsi di numero, peraltro) non lascia il traccia.  

E' giusto che tutti abbiano diritto di protestare e manifestare in modo non violento, come fanno gli antiTav, gli antinuclearisti ma non gli antislamici delle Fiandre. Vista da fuori sembra però che la protesta sia sempre asimmetrica. Che certi messaggi protestino più facilmente di altri.

Succede ovunque, ma in Belgio adesso c'è un'eccezione. Sino a pochi mesi fa la voce che faceva più rumore era quella dei politici estremisti di destra desiderosi di spaccare il paese in due, Fiandre da una parte, Vallonia dall'altra. Il sistema politico, diviso anch'esso, fatica a tenere in mano la situazione. I cittadini no. Hanno preso il toro per le corna.

Per sfidare la minoranza scissionista, sostanziosa ma pur sempre minoranza, i belgi hanno cominciato ad appendere la bandiera nazionale alle finestre di casa. In pochi giorni il messaggio unitario si è diffuso a macchia d'olio di palazzo in palazzo. Rosso, giallo e nero su ogni edificio. La maggioranza silenziosa, quella che non scende i piazza, ha deciso di far sapere cosa pensa. 

I davanzali imbandierati trasmettono la sua voce, dicono “Basta alla politica che non sa formare il governo” e "Basta con chi vuole dividere il Paese". E' un silenzio dei più rumorosi, la cui voce arriva lontano. La città brilla di colori e tinge di luce l’incipiente autunno. “Restiamo insieme”, dice. Tutte quelle bandiere valgono cento cortei.

Sorge una domanda: quante maggioranze silenziose ci sono fra noi?


+  La Repubblica 1-10-2007 Il bullismo, gli insegnanti, il caro-libri: il sondaggio di Repubblica conferma i disagi Ma gli italiani continuano ad avere fiducia nell'Istruzione. Pubblica Quelle aule così lontane dalla società che cambia Tutti sognano una scuola diversa, la fiducia espressa è sempre "nonostante" qualcosa. di ILVO DIAMANTI

LA SCUOLA non gode di buona fama e di buona stampa, da qualche tempo. Perché considerata asimmetrica rispetto ai cambiamenti sociali, economici, culturali. Perché gli insegnanti hanno perduto considerazione, credibilità. Perché pare divenuta un luogo insicuro, attraversato da violenze quotidiane, piccole e (talora) grandi. Il sondaggio di Demos-coop, però, fornisce un'immagine diversa. Certo, la sua credibilità fra i cittadini, negli ultimi anni, è calata. Ma, il giudizio nei suoi confronti risulta ancora largamente positivo. Circa il 55% degli italiani, infatti, manifesta fiducia nella scuola e nell'università. Una quota ancor più ampia, il 60%, negli insegnanti. Oltre i due terzi delle persone si dicono "soddisfatti" dei servizi e delle prestazioni della scuola. Pubblica. Mentre la scuola privata, di ogni ordine e grado, ottiene commenti assai meno positivi.

Si tratta di dati inattesi, in contrasto con il dibattito politico e mediatico, ma anche con il senso comune. Riflettono il rapporto ambiguo fra scuola e società, tra le famiglie e il sistema educativo, tra i genitori i professori.

I cittadini, infatti, esprimono fiducia nella scuola e negli insegnanti "nonostante". Perché, in realtà, vorrebbero una scuola diversa. Con più risorse, maggiori relazioni con il mercato del lavoro. In grado di riconoscere e di promuovere il talento degli studenti, permettendo ai migliori di emergere.

Vorrebbero, inoltre, insegnanti più motivati. Sottoposti a un costante processo di "valutazione". E, quindi, "premiati" in base al merito, in termini di carriera e di retribuzione. Come propone, d'altronde, il "Quaderno bianco sulla scuola", predisposto di recente dai ministeri della Pubblica Istruzione, del Tesoro e dell'Economia. Si tratta di attese largamente deluse. Da cui originano, fra l'altro, le contestazioni di molti genitori nei confronti degli insegnanti. A "protezione" dei figli. Non sempre per "giustificato motivo".

In altri termini: la scuola fornisce un servizio utile e piuttosto apprezzato, dalle famiglie e dagli studenti. Ma non riesce più a trasmettere il senso del futuro. Non dà più "sicurezza". Come, invece, è avvenuto, in passato, nel nostro Paese. La scuola: il "centro" della vita sociale, dell'educazione, della formazione. Dove si comunicano valori, modelli e conoscenze. Dove, per dieci-vent'anni, gli individui trascorrono gran parte del loro tempo di vita. Dove passano dall'infanzia, all'adolescenza, alla giovinezza fino all'età adulta (anche se pochi, ormai, accettano di "diventare grandi"). Senza soluzione di continuità. Dove i giovani coltivano amicizie e incontrano "maestri", buoni o cattivi non importa; ma capaci di fornire modelli, di fungere essi stessi da esempio. Dove si ridimensionano le differenze sociali e si valorizzano i "talenti" individuali.

Nella "memoria" degli italiani la scuola è tutto questo. Anche se, nei fatti, si tratta di una raffigurazione eccedente e mitizzata. Oggi, però, è "impossibile" immaginare che tutto ciò sia "possibile". Perché è cambiato tutto; intorno ma anche all'interno. Il mondo, il sapere, i valori, l'organizzazione della conoscenza, la comunicazione. Sono cambiate la demografia, la struttura e la dinamica del mercato del lavoro. E' cambiato il rapporto fra genitori e figli.
Però la scuola resta sempre lì. Al suo posto. Allo snodo tra i giovani, le famiglie, la società, le istituzioni.

Anzi, occupa una "porzione" del tempo di vita personale e familiare crescente. Visto che si tende ad anticipare l'ingresso nel sistema educativo e, nello stesso tempo, ad accompagnare un numero più ampio di persone fino alla laurea, senza "perderle per strada". Visto che il rarefarsi del numero dei figli ha accentuato la pressione e l'attenzione dei genitori sulla loro "carriera scolastica".

Da ciò il contrasto di atteggiamenti e di giudizi. La scuola e gli insegnanti soffrono di cattiva fama, perché subiscono la pressione di attese irrealistiche. Che contribuiscono ad alimentare le tensioni con gli studenti e i loro genitori. D'altronde, la legittimazione sociale degli insegnanti, oggi, è declinante. Il "professore universitario" dispone ancora di un prestigio professionale notevole. Poco inferiore ai magistrati e più elevato rispetto ai manager privati e agli imprenditori. Ma i maestri e i professori delle secondarie - superiori e medie - godono, invece, di considerazione assai minore. Il che ne limita l'autorevolezza: in classe e nell'ambiente sociale. (Difficile ottenere rispetto da ragazzi i cui genitori hanno redditi, consumi, posizione professionale di livello molto più elevato).

Tuttavia, "nonostante tutto", la scuola e i professori condividono con gli studenti e le famiglie un percorso biografico molto lungo. E ciò spiega la grande fiducia di cui godono. Perché, in fin dei conti, la scuola continua a fare da "collante" in una società "scollata". E' un elemento "normale", per questo importante, della storia personale e della vita quotidiana. Non è un caso che venga apprezzata in misura maggiore fra coloro che ne hanno esperienza diretta. La fiducia nella scuola, ad esempio, è espressa dal 54% della popolazione nell'insieme, ma dal 62% di coloro che hanno un familiare che studia e, infine, dal 66% degli studenti. Al tempo stesso, cresce parallelamente all'ottimismo nel futuro, al senso di sicurezza personale, alla fiducia negli altri. Perché è una risorsa di "capitale sociale". Luogo di relazioni, dove, per quanto in modo contraddittorio e traballante, si rafforza il "senso civico", la solidarietà.

Altra origine delle tensioni che scuotono la scuola è la frammentarietà degli interventi riformatori, di cui è stata oggetto nel corso degli anni. Soprattutto nell'ultimo periodo. Privi di coerenza, di un disegno. L'hanno cambiata senza fornirle una identità, un profilo comune. Senza comunicare un progetto, a chi vi opera, agli studenti, alle famiglie. Per questo, alcuni elementi della riforma annunciata dal ministro dell'Istruzione, Fioroni, incontrano un favore così massiccio. La riproposta degli esami di riparazione (80%), l'apertura degli istituti di pomeriggio (77%), la maggiore attenzione dedicata a materie come la geografia, la matematica e soprattutto l'italiano.

Riscuotono un consenso ampio perché evocano i "fondamenti" della tradizione educativa. Il ritorno alla scuola di un tempo, "quando le cose funzionavano". E riflettono l'insoddisfazione per l'esperienza recente, che non riesce a dare orientamento, senso del futuro. Certezze.

Da ciò il sospetto che le famiglie cerchino nella scuola una supplenza (ma anche un alibi) alle proprie difficoltà di capire e di educare i giovani. Come suggerisce la questione del "bullismo". Un fenomeno preoccupante, che, tuttavia, gran parte degli italiani non considera un'emergenza. Tanto meno i giovani e gli studenti. I più spaventati sono quelli che non vanno a scuola. E che non hanno studenti in famiglia. Si tratta, dunque, di una "paura" largamente in-giustificata; e in-definita. Riflette un senso di insicurezza più generale. Non è un caso che i principali responsabili della violenza nelle scuole siano ritenuti, anzitutto, i genitori. Poi, in misura più limitata, gli insegnanti. Accusati, entrambi, di non esprimere né esercitare "autorità".

L'insicurezza delle scuole, così, finisce per riflettere la crisi di senso e di governo che affligge la società. L'autorità perduta, non solo dalla politica e dalle istituzioni. Ma anche dalla famiglia. Da ciò l'atteggiamento contraddittorio nei confronti della scuola. Che critichiamo tanto. Ma ispira, nonostante tutto, fiducia. E' come provare disagio davanti allo specchio. Guardando la nostra immagine riflessa. Perché la scuola siamo noi.

(1 ottobre 2007)


+  Il Corriere della Sera 1-10-2007 Le grandi opere, sprechi e piani A3, un chilometro costa 20 milioni Salerno-Reggio, il cantiere infinito. Da oggi i lavori sull'ultimo tratto. Nella manovra 100 milioni per il traffico merci  Sergio Rizzo

 

ROMA — Dicono gli esperti che si sarebbe fatto prima a costruire un'autostrada nuova. Soprattutto, si sarebbe speso meno. Per costruire la Salerno- Reggio Calabria ci sono voluti circa undici anni (dal 1963 al 1974) e una somma che oggi corrisponderebbe a 5,6 milioni di euro a chilometro. Per ammodernarla, di anni ne serviranno quattordici (dal 1998 al 2012) e si spenderanno 20,3 milioni al chilometro. Il conto è di 9 miliardi di euro, cioè 152 euro per ogni cittadino italiano, neonati e vegliardi compresi. Naturalmente, salvo sorprese. Per avere un'idea di che cosa significa una cifra del genere, basti pensare che per la realizzazione ex novo del tracciato collinare dell'autostrada tirrenica sponsorizzato dall'ex ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi e che l'attuale maggioranza contestava per l'impatto ambientale e i suoi costi eccessivi dovuti a gallerie e viadotti, era stata prevista una spesa di 14,9 milioni a chilometro.

DUE CORSIE — Ma chi pensa che, dopo aver tirato fuori tutti questi quattrini, la sgarrupata A3 lascerà il posto a una highway californiana, resterà probabilmente deluso. Dei 443 chilometri, i primi 53 saranno a tre corsie più quella d'emergenza. Gli altri 390 rimarranno a due corsie, come oggi, più quella d'emergenza. Molto più belle, molto più larghe, molto più sicure. Ma sempre due: per una strada sulla quale passano 3.000 (tremila) Tir al giorno. Per non parlare dei disagi. Già ora ci sono 148 chilometri di cantieri. E oggi, primo ottobre, è la data prevista per l'inizio dei lavori sul tratto compreso fra Bagnara Calabra e Reggio Calabria. Nei giorni scorsi il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi non ha nascosto di essere terrorizzato, arrivando al punto da suggerire il rinvio dell'apertura del nuovo cantiere. Ma il suo collega delle Infrastrutture Antonio Di Pietro non ci sente. E neppure l'amministratore delegato dell'Anas, Pietro Ciucci: il rinvio comprometterebbe tutta la tempistica dei lavori. Almeno però Bianchi è riuscito a ottenere un centinaio di milioni di euro dalla Finanziaria per alleviare un po' l'emergenza nell'area dello Stretto agevolando il trasporto dei Tir via mare da Messina al porto di Gioia Tauro, che farebbe scavalcare ai mezzi pesanti la terribile strettoia di Reggio.

IL «GIRONE» — Un pannicello caldo. Ma è meglio di niente. Da mesi il tratto calabrese è un girone dantesco. I disagi vengono giustificati dall'Anas con il fatto che i lavori devono essere fatti «in sede», senza interrompere la circolazione dei veicoli. Ma questo spiega soltanto in parte perché il calvario sia destinato a durare, nella migliore delle ipotesi, ancora fino al 2012. Un giorno di ottobre di tre anni fa l'ingegner Carlo Bartoli, direttore centrale dell'Anas, ha allargato le braccia: «I gravi problemi della Salerno-Reggio Calabria partono da un'errata concezione dei progetti, che ha rallentato enormemente i lavori». Ma se la colpa vada addebitata (come sempre!) a chi c'era prima, o piuttosto le responsabilità non vadano cercate semplicemente, come ha detto non più tardi di un paio di mesi fa Fausto Bertinotti, alla «impotenza della politica», di cui l'autostrada A3 sarebbe secondo il presidente della Camera «il monumento», poco importa. Quello che conta è il risultato. E purtroppo l'autostrada Salerno- Reggio Calabria non è nemmeno un'eccezione. Qualche mese fa Di Pietro ha portato in Parlamento dei dati che dimostrano come un chilometro di linea ferroviaria ad alta velocità costi 13 milioni di euro in Francia, 15 in Spagna e 44 (quarantaquattro) in Italia: dove i cantieri si sono aperti 13 anni fa e non c'è ancora un tratto completo di linea funzionante. Intendiamoci, che la faccenda sia nata male e sia stata gestita peggio ancora, non c'è alcun dubbio. Tutto cominciò con una legge del 1961. L'autostrada l'aveva fortemente voluta l'allora leader socialista calabrese Giacomo Mancini che in seguito, come ministro dei Lavori pubblici, avrebbe gestito direttamente l'operazione. I lavori durarono lo spazio di tre cicli elettorali: quello del 1963, quello del 1968 e quello del 1972. E ne furono fortemente influenzati: una deviazione o uno svincolo non si negò a nessuno. È così che l'autostrada A3 in 443 chilometri di tracciato ha una cinquantina di uscite: una mediamente ogni 8,86 chilometri. Particolarità che ha sempre rappresentato un deterrente formidabile per il suo «pedaggiamento». Quando l'Italstat ci aveva messo gli occhi sopra, si calcolò che il costo per realizzare i caselli avrebbe imposto un pedaggio tre volte superiore a quello praticato sul resto della rete.

NIENTE CONTROLLI — Ma senza caselli, vuol dire anche senza controlli. Quindi, terra di nessuno. Così sulla Salerno-Reggio Calabria è successo di tutto. Dagli scheletri rinvenuti nei canali di scolo, agli agguati a poliziotti e carabinieri a colpi di lupara, alle rapine con abbordaggio dei veicoli in transito: la più tragica finì con l'omicidio del piccolo Nicholas Green. La Salerno-Reggio Calabria poteva costare pure il posto a un ministro della Repubblica, quando nel 2005 il centrosinistra presentò una mozione di sfiducia nei confronti di Lunardi per un clamoroso ingorgo con centinaia di auto intrappolate sotto una tempesta di neve. Proprio Lunardi, che nel 2001, sedendosi sulla poltrona di responsabile delle Infrastrutture, aveva promesso: «L'autostrada sarà pronta nel 2004-2005. Ho già chiesto che si paghi il pedaggio». A promettere aveva cominciato nel 1987 Bettino Craxi: la Salerno-Reggio Calabria sarebbe stata sistemata con 1.000 miliardi, ovvero 983 milioni di euro di oggi. Cinque anni più tardi i miliardi erano diventati già 5 mila. Altri cinque anni e il preventivo salì a 6 mila. Nel 1999 il procuratore nazionale Antimafia Piero Luigi Vigna ammonì: «Nel Mezzogiorno arriveranno migliaia di miliardi per grandi opere fra cui il raddoppio della Salerno- Reggio Calabria. La mafia è già al lavoro». I lavori erano cominciati da un anno ma andavano a rilento. E continuarono così. Nel 2004 la Fillea Cgil denunciò che di quel passo sarebbero finiti nel 2040. Intanto il conto era salito a 6,9 miliardi di euro. Ancora tre anni e si è arrivati alla bellezza di 9 miliardi, con la previsione di chiudere nel 2011-2012. E mancano sempre i caselli.

01 ottobre 2007


L’Unità 30-9-2007 Politica, ultimo appello Furio Colombo

 

Via dal video, tutti e subito. Mi riferisco alla folla di volti e di voci della politica che sono presenti dovunque a tutte le ore. Proverò a dimostrare perché questo può essere il primo, vigoroso taglio al costo della politica. Non è soltanto un simbolo. Ecco le ragioni.

Aula del Senato italiano, giorno 27 settembre, ore 9,30. Il senatore Marconi (Udc) chiede di parlare «sull’ordine dei lavori», espediente per rallentare il lavoro, già lentissimo della “Camera alta”. Il senatore si dedica a una dettagliata recensione del programma Porta a Porta della sera prima, analizza i difetti vistosi, dal punto di vista dell’oratore, di quella serata televisiva e dedica un giudizio particolarmente severo alla performance di Antonio Di Pietro, che è personalità televisiva e non solo ministro della Repubblica, o così appare nel discorso di critica televisiva. Senato italiano, 27 settembre, ore 9,50. Chiede di parlare il senatore Calderoli. Poiché il tema della mattina sono i conti dello Stato e poiché il sen. Calderoli, quando non è un leghista sarcastico e crudele, è un estroso inventore di espedienti per confondere i dibattiti in aula, tutti prestano la dovuta attenzione.

Anche il senatore Calderoli, però, dedica il suo intervento a una vicenda televisiva. Oggetto della sua critica, ben organizzata e serrata, non è Porta a Porta con Vespa, ma Ballarò, con Giovanni Floris, ospite d’onore Clemente Mastella. Anche il giudizio di Calderoli sul programma esaminato è drastico e negativo come i più fermi corsivi di Aldo Grasso. Il giudizio riguarda il trattamento piuttosto insolito che è stato dedicato al ministro della Giustizia, circondato da una folla ostile nel mezzo di uno studio televisivo, più gogna che dibattito. Molti in aula concordano. Il problema è: c’è, e se c’è, dove passa il confine fra televisione e politica, fra ministro (certamente trattato male) e personalità televisiva, che affronta gli stessi rischi dei partecipanti all’Isola dei famosi?

Mi sembra di vedere una grande confusione in cui non si capisce se la cattiva politica genera cattiva televisione o il contrario.

E se persino la politica non cattiva, quando diventa show gladiatorio, a disposizione degli umori del pubblico, non diventi spettacolo indecoroso.

* * *

I lettori sanno che da anni provo e riprovo a lanciare lo stesso messaggio: non andare a Porta a Porta, il talk show politico in cui un conduttore abile conduce il suo non disinteressato programma dove vuole e, nonostante la sensazione di appagamento (quasi due ore in video, quasi ogni sera) dei suoi ospiti, li conduce alla brutta figura. Avevo torto e avevo ragione. Avevo torto nell’affermare che tutti i mali della comunicazione erano accatastati a Porta a Porta. Forse è stato vero sotto Berlusconi. Ma è diventato chiaro, in quest’ultima stagione difficile e infelice della vita politica italiana, che nessuno show è migliore di un altro. E dopo il caso Mastella diventa difficile avere preferenze. Ma avevo ragione quando insistevo nel dire: guardate che in nessun Paese democratico l’impegno principale è di andare ogni sera (ogni sera) in televisione. Ci sarà un motivo se altrove, dalla Spagna agli Stati Uniti, non avviene. E infatti quando è stato sollevato il problema della casta - problema che non è in esclusiva italiano - i destinatari erano tutti in scena, tutti noti, tutti costantemente presenti nella retina oculare e nel retro pensiero degli italiani, dopo anni di ininterrotta "performance" televisiva di un cast che si fa presto a identificare come casta. Accanto al libro di Stella e Rizzo che si moltiplicava nelle librerie, in televisione c’era, e c’è, un presepio vivente di voci e volti impressi, ormai, nel vissuto italiano. Ce n’è abbastanza per far divampare, da una legittima denuncia, un immenso incendio che non accenna a spegnersi. E quando fa irruzione in tv il faccione di Grillo, lo schermo è già stabilmente affollato di volti fissi, come le figure da abbattere nel tiro a segno di un luna park. Non resta che indicare le sagome da colpire.

Ho detto e ripeto: questo affollamento visivo continuo di politici in televisione è un grave fenomeno esclusivamente italiano. Infatti, oltre ai reality show politici che vediamo sul piccolo schermo quasi ogni sera (a cui si aggiungono le apparizione festose degli stessi politici in programmi, diciamo così, di divertimento o "leggeri") c’è l’esibizione continua delle stesse teste parlanti, che compaiono implacabili in ogni telegiornale allo scopo di dire, una dopo l’altra, frasi incomprensibili. Ancora più incomprensibili se dette - in sovrapposizione alle immagini - dalla voce disinteressata dello speaker, che con giusto distacco, pronuncia schegge di un parlato senza riferimenti e senza senso. Anche questo è un fenomeno unicamente italiano, così dannoso da essere visto ragionevolmente da molti come il luogo di nascita dell’antipolitica.

* * *

Se dunque l’antipolitica, nel suo ceppo più pericoloso e aggressivo e virulento nasce dal fiume incontenibile del cast/casta della politica in televisione, sembra naturale affermare che arginando, anzi bloccando questo fiume si compie un gesto importante che non è un puro simbolo. Al contrario si elimina un potente irritante. Non si può certo dire che la televisione generi il problema. Di certo lo ricorda, lo evoca, lo ripete, lo ostenta, e non è una cosa da poco. Più che una esibizione è una provocazione. Figuriamoci una provocazione che si ripete ogni giorno e ogni sera, sempre con gli stessi partecipanti uniti dal legame ambiguo di contrapposizione e colleganza, di somiglianza, di reclamo di inconciliabile diversità ma anche di intesa bonaria, di convivenza, distruzione, scontro finale.

Mi sento di dire questo. Nessuna delle trasformazioni, cambiamenti o riforme della politica, del suo ingombro, del suo costo, può essere fatto in tempo reale, come sembrano esigere le nuove voci dell’antipolitica. Ciò è comprensibile. Le grandi ondate di protesta giungono fatalmente in momenti di estrema esasperazione in cui non è ragionevole aspettarsi pazienza, meno che mai la pazienza di accettare lunghi intervalli di promesse e di attesa. Lo prova il fatto che gli esperti autori della Casta Stella e Rizzo hanno denunciato sul loro giornale che "i costi della politica non scendono", (Corriere della Sera 25 settembre) e lo hanno fatto meno di tre mesi dopo la pubblicazione del loro libro-denuncia. Certo gli autori sanno che la dimensione o incisività di eventuali tagli immediati appariranno fatalmente piccoli, inadeguati, ridicoli, perché nessuno potrebbe realizzare istantaneamente un taglio drastico e visibile nella casa della politica senza fare amputazioni improvvisate o puri annunci. Ma sopratutto manca un criterio guida, come invece avviene nelle aziende, in cui si conoscono prodotti, costi, missione.

La politica e i suoi costi si espandono in un modo che mima la natura. Si espandono al modo di una foresta di rampicanti e di piante voraci. Occorrerà un lavoro autorevole profondo e molto esteso per ricondurla a un disegno sensato in cui i costi non siano privilegi, i tagli non siano mutilazioni di funzioni necessarie e le riduzioni abbiano senso oltre lo scopo, ovviamente prevalente, del risparmio.

* * *

Eppure qualcosa di ben visibile e certamente utile può essere fatto subito con conseguenze mediatiche (dunque di percezione) molto forti. E conseguenze che avranno altre conseguenze, prima fra tutti il mutamento del modo di comportarsi in pubblico e dunque di fare politica. È la scomparsa istantanea e completa del protagonismo mediatico dei politici. So che nessuno accetterà, ma è un peccato. Il ritiro immediato, generale e spontaneo verrebbe visto come un atto di austerità che anticipa le restrizioni e rinunce ancora non fatte e diventa simbolo forte e vistoso di quella operazione di rientro nei limiti che non è facile né rapido persino se ci fossero buone intenzioni.

Se è vero che l’esibizione continua di un cast fisso di politici in televisione, dai talk show ai telegiornali, è una delle grandi cause dell’antipolitica perché si trasforma in una overdose di parole, dunque di annunci, fatalmente sconnessi dai fatti, è per forza anche vero l’effetto immediato - sorprendente e benefico - di un black out auto-imposto.

Non si tratta di un ritiro ma di una rinuncia per lasciare spazio al giornalismo e alla responsabilità giornalistica di interpretare e rappresentare, sfidando le televisioni pubbliche italiane, privandole del volontariato politico, a ritrovare il senso di buona conduzione professionale che altri colleghi del mondo democratico non hanno mai perduto.

Entrino in campo i professionisti dell’informazione e si elimini l’occupazione politica degli spazi-notizia, che al momento - e ogni sera, e in ogni telegiornale - sono autogestiti dagli interessati, cioè dagli stessi politici. Finisca il gioco del protagonismo fisso che genera più sentimenti antipolitici delle auto blu e degli aerei di Stato con figli e amici, perché ingombra lo spazio dei cittadini e stimola gogna e vendetta.

Non si tratta di chiedere ai politici di scomparire. Si tratta di lasciar cadere ciò che ormai appare - molto più del barbiere di Montecitorio - il più arrogante dei privilegi, quello di occupare quasi tutti gli spazi dell’ informazione. Occorrerà rinegoziare la presenza dei politici nei media in modo molto più austero e deliberatamente autolimitato, restituendo il resto dello spazio all’opinione pubblica e agli interpreti professionali dell’opinione pubblica.

Questo dunque è l’appello, forse l’ultimo appello prima che l’ondata sia troppo forte. Via dal video per iniziare un’epoca profondamente diversa, civile, rispettosa, ansiosa di comunicare ai cittadini, fine dell’invasione del loro tempo. Ma c’è anche un vantaggio molto importante per i protagonisti della politica: la fine della complicità con i conduttori Tv, che usano i politici come animali da circo. Porterà subito un po’ più di rispetto al difficile lavoro della politica.

colombo_f@posta.senato.it

 


 

Il Corriere della Sera 1-10-2007 La politica estera italiana al tempo di Sarkozy  Il rischio di isolarsi di  Angelo Panebianco

                 

 

Come indicano i diversi atteggiamenti sulla questione del programma nucleare dell'Iran, l'Europa potrebbe di qui a poco sperimentare nuove e pesanti divisioni, dopo quelle che si verificarono all'epoca della guerra in Iraq. In tal caso, soprattutto se il governo Prodi dovesse durare ancora per diversi mesi, sarebbe proprio l'Italia a trovarsi nella posizione più scomoda. Come era prevedibile, l'uscita di scena dell'antiamericano Chirac e la vittoria di Sarkozy hanno dato una botta pesante alla politica estera italiana così come originariamente impostata da Romano Prodi e dal ministro degli Esteri Massimo D'Alema. È venuta meno per il governo italiano la sua principale sponda europea. Che la Francia di Chirac fosse questo per gli italiani lo si vide durante e dopo la guerra del Libano del-l'estate 2006. L'Italia non avrebbe potuto svolgere, come svolse, un ruolo brillante in quella crisi, mantenendo per giunta unita la coalizione di governo, senza la copertura di Parigi. Quei tempi sono finiti. L'arrivo di Sarkozy ha cambiato tutto. Sarkozy ha dismesso sia l'antiamericanismo chiracchiano (egli pensa che il rilancio del ruolo internazionale della Francia necessiti del riavvicinamento agli Stati Uniti) sia la tradizionale ostilità francese per lo Stato di Israele. In queste condizioni, i responsabili italiani della politica estera, i quali non possono seguire Sarkozy su quella strada (le componenti massimaliste della coalizione di governo non lo permetterebbero), si sono trovati spiazzati e tendenzialmente isolati. La questione iraniana, in particolare, sta diventando un banco di prova molto insidioso per l'Italia: potrebbe rendere manifesto l'isolamento italiano dal contesto europeo e occidentale.

I francesi, infatti, in perfetta sintonia con gli americani, stanno picchiando sempre più duro. Prima, Bernard Kouchner, il ministro degli Esteri di Sarkozy, dichiara (salvo poi, diplomaticamente, addolcire la pillola) ciò che tutti sanno, ossia che la guerra con l'Iran può diventare inevitabile se non cesserà la preparazione della bomba. E ora, ancora Kouchner, prendendo atto dello stallo al Consiglio di Sicurezza dell'Onu a causa dei veti russi e cinesi, propone che sia l'Europa a imporre proprie sanzioni agli iraniani. L'Italia, primo partner commerciale europeo dell'Iran, e esclusa, fin dai tempi del governo Berlusconi, dal gruppo europeo (Francia, Gran Bretagna, Germania) che si occupa del nucleare iraniano, non perde occasione per testimoniare i propri legami speciali con l'Iran: da ultimo, con il tentativo di D'Alema, prima dell'intervento armato italo-britannico, di ottenere la mediazione iraniana nella vicenda degli agenti del Sismi rapiti in Afghanistan. Ma che farà l'Italia se sulle sanzioni la Francia otterrà l'assenso della Germania e di altri Paesi europei? Sceglierà di dissociarsi? Difficile crederlo. Anche dal punto di vista simbolico, continuare a nascondersi dietro l'ombra dell'Onu (impotente a causa delle posizioni russe e cinesi) rifiutando di partecipare a una azione concertata europea sarebbe assai difficile. Il dilemma può essere così riassunto: aderire a una iniziativa tutta «occidentale » (americana e europea) contro l'Iran al di fuori dell'Onu sarebbe impossibile per il governo Prodi a causa dei suoi equilibri interni di coalizione. Ma non aderire sarebbe altrettanto impossibile a causa dell'insostenibile isolamento italiano che ciò provocherebbe. Comunque vada, il tempo degli equilibrismi e delle ambiguità della politica estera italiana sembra ormai scaduto.

01 ottobre 2007


 

La Stampa 1-10-2007 http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifDa Hollywood al bottone rosso del blitz in Iran Bush nomina il nuovo capo dei generali Usahttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif. Di Maurizio Molinari

 

CORRISPONDENTE DA NEW YORK http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifI genitori lavoravano a Hollywood, venne preso al college perché giocava bene a basket ed ha poi fatto carriera nell’Us Navy fino a diventare l’ammiraglio responsabile delle recenti manovre militari anti-Iran nel Golfo Persico: questo è Michael Mullen, da oggi titolare della stanza 2E676 del Pentagono con i gradi di capo degli Stati Maggiori Congiunti.

Il sessantenne Mullen viene dalla California e più precisamente dai paraggi di Hollywood dove il padre lavorava nell’ufficio stampa degli studios Mgm e la madre era la segretaria dell’attore Jimmy Durante. Da giovane a scuola non eccelleva più di tanto e fu grazie al basket che varcò la soglia del college, iniziando un percorso accademico che avrebbe completato a pieni voti lungo un doppio binario: gli studi militari all’accademia navale di Montenery, dove fu compagno di classe dell’Oliver North regista dello scandalo Irangate a metà degli anni Ottanta, e gli studi economici, che completò a pieni voti alla Business School di Harvard.

Molto determinato di carattere ma abile nella diplomazia, l’Us Navy ha trovato in lui prima una recluta durante la guerra in Vietnam e poi l’ammiraglio più apprezzato per lo studio delle operazioni asimmetriche richieste dalla guerra al terrorismo iniziata dopo l’11 settembre. Sono i suoi studi e le esercitazioni che ha condotto negli ultimi cinque anni a proiettarlo nella sfida globale al terrorismo. Ed a chi gli chiede come è riuscito ad adattarsi tanto rapidamente alle nuove minacce è solito rispondere: «E’ stata Napoli a farmi aprire gli occhi». Il riferimento è al comando della base Usa di Napoli, che ebbe dal 2004 al 2005, da dove si è trovato a guidare la task force navale Nato su uno scacchiere che va dai Balcani agli Stretti di Hormutz, ovvero in prima linea contro Al Qaeda. Sposato con Deborah, dalla quale ha avuto due figli, è questo ammiraglio «pragmatico ed esperto», come lo descrive Michael O’Hanlon della Brookings Institution, che riceve sulle spalle il compito di guidare le intere forze armate a ridefinire la presenza Usa nel Golfo, diminuendo il numero dei soldati in Iraq ed accrescendo la pressione militare sull’Iran.

E’ stato lo stesso Mullen ad anticipare la missione che lo aspetta durante le audizioni al Congresso: da un lato si è detto «frustrato» per l’andamento della guerra in Iraq e «preoccupato» per il prolungato impegno di un eccessivo numero di soldati di terra «che mette a dura prova la nostra capacità di reagire a nuove eventuali crisi», e dall’altro ha usato termini duri nei confronti di Teheran definendo «inaccettabile che l’Iran fornisca ai nostri nemici in Iraq e Afghanistan i mezzi per colpirci». E’ stato Mullen a condurre, fra la fine del 2006 e l’inizio 2007, le simulazioni di guerra di fronte alle coste iraniane, sviluppando piani per attacchi aeronavali, per difendersi dai barchini kamikaze e per la protezione del territorio di nazioni rivierasche alleate - come il Bahrein - da lanci di missili. Il risultato di tale esperienza è nella convinzione, svelata lo scorso giugno, di «non essere a favore di una massiccia invasione di terra dell’Iran» ma di ipotizzare un «attacco dentro i confini» per eliminare i centri da dove arrivano aiuti per la guerriglia in Iraq.

Oltre ad avere il profilo militare adatto a guidare un blitz contro l’Iran, Mullen completa il nuovo assetto dei vertici che premia le forze aeronavali perché alla guida del Comando centrale delle Truppe Usa, dal quale dipendono le forze in Medio Oriente, c’è l’ammiraglio William Fallon. L’Air Force ha inoltre riattivato la cellula top-secret «Checkmate» (Scaccomatto) alle dirette dipendenze di Michael Moseley, capo di Stato Maggiore dell’aviazione, e ulteriore tassello è la scelta di affiancare a Mullen come vice il generale James Cartwright, già comandante delle forze strategiche, dotate di munizioni nucleari.

Michael Mullen
E’APPENA DIVENTATO CAPO DEGLI STATI MAGGIORI CONGIUNTI AMERICANI E’ STATO COMANDANTE DELLA MARINA E SI E’ OCCUPATO DI PREPARARE I PIANI PER UN POSSIBILE ATTACCO CONTRO IL REGIME DI TEHERAN.


Il Sole 24 Ore 29-9-2007            29 settembre 2007                Come farsi finanziare evitando le trappole

Dopo la crisi dei mutui subprime statunitensi, anche molte banche e finanziarie italiane stanno stringendo i rubinetti del credito. Nei prossimi mesi, quindi, ottenere un mutuo o un finanziamento personale diventerà più complicato o più costoso. Di fronte a queste diffiicoltà, molti potrebbero cercare scorciatoie che spesso, però, portano nelle mani di operatori spregiudicati, in grado di agire in una "zona grigia" dove la legalità sconfina nello strozzinaggio.
«Plus24», il settimanale di finanza e risparmio del «Sole-24 Ore», spiega le trappole più comuni nell'accesso al credito e presenta le regole da seguire per evitare brutte sorprese. Inoltre vi mette a disposizione una serie di risorse online per scegliere in modo consapevole e informato finanziamenti e mutui.

 

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Foto/Speciali/Sole24Ore/bottone_x%20pagina_link.gif           Ecco le trappole dei finanziamenti

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Foto/Speciali/Sole24Ore/bottone_x%20pagina_link.gif           Prestiti e mutui, su Internet le scelte consapevoli

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Foto/Speciali/Sole24Ore/bottone_x%20pagina_link.gif           Finanziarie borderline e forzature nelle vendite

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Foto/Speciali/Sole24Ore/bottone_x%20pagina_link.gif           I consigli dell'associazione dei consumatori Adusbef

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Foto/Speciali/Sole24Ore/bottone_x%20pagina_link.gif           ANALISI / Finisci in mora? Puoi pagare anche il 28% - (di Marco Liera)

 


 

 

INDICE 30-9-2007

 

 

La Stampa 30-9-2007 Ecco l'Italia secondo Grillo LA REPLICA SUL BLOG Analisi "Vi assicuro Con Mastella nessun inciucio" Solo "contro"? Tutt'altro, il comico genovese di proposte ne fa da tempo Alcune le consegnò a Prodi un anno fa ANDREA SCANZI 1

Il Giorno 30-9-2007 Venti di guerra al Senato Sul Welfare la manovra rischia Il Prc: "Prova superata". Ma Dini affila le armi 2

Il Corriere della Sera 29-9-2007 «Milioni di uomini disposti al sacrificio» Bossi: «Ora ci vuole una lotta di liberazione». Proposta-choc del leader della Lega alla platea del congresso di Vicenza: «La libertà non si può più conquistare in Parlamento»  3

La Stampa 29-9-2007 - Teste d’uovo Renault è allarme suicidiSOTTO ACCUSA IL PIANO DI RILANCIO . Quattro casi tra i tecnici DOMENICO QUIRICO  4

 


La Stampa 30-9-2007 Ecco l'Italia secondo Grillo LA REPLICA SUL BLOG Analisi "Vi assicuro Con Mastella nessun inciucio" Solo "contro"? Tutt'altro, il comico genovese di proposte ne fa da tempo Alcune le consegnò a Prodi un anno fa ANDREA SCANZI

Nuovo polo bancario Si vuole creare un sistema per dare prestiti a basso interesse bypassando gli istituti di credito Dalla finanza all'informazione: il programma "politico" alla base del Vaffa day La vita quotidiana La vera politica? Fare la spesa bene informati, boicottare i prodotti impuri, scegliere bottiglie d'acqua in base alla vicinanza (per ridurre i Tir sulle autostrade: "Perché comprare un'acqua marchigiana se ho una sorgente a due metri da casa?"). Nel suo blog sono postate tutte le aziende ritenute pericolose, come la carne Montana e le Macine del Mulino Bianco. Il Papa e la Chiesa Grillo, molto duro con Papa Ratzinger, auspica uno scambio con i francesi: "Facciamo come ai tempi di Avignone, voi prendetevi il Vaticano e noi i vostri politici giovani". Grillo è stato tra i primi a mostrare il documentario sulla pedofilia nella Chiesa. Giornalisti e informazione Il prossimo V-Day sarà contro di loro, in particolare contro la legge sul finanziamento pubblico all'editoria. Nello spettacolo cita, come giornali da chiudere, Manifesto, Libero e Foglio. A questa battaglia è legato un suo scivolone di due anni fa, quando tra le testate "inutili" citò Il Mucchio Selvaggio. Peccato che nel 2000, quando nessuno lo cercava, Grillo concesse a quel giornale due lunghe interviste. Grillo ha poi detto, negli ultimi spettacoli, che prima del V-Day ha mandato una mail a 500 giornalisti per invitarli a una conferenza stampa, ma nessuno gli ha risposto: o le ha inviate solo a Scalfari e Mazza, o non dice il vero. Prima del V-Day è stato intervistato da molte radio (Radio Due, Radio Deejay, Radio Capital) e ha avuto la copertina di Rolling Stone. La rete e il nuovo mondo Per Grillo i media "canonici" sono morti: esiste solo la Rete. Riguardo alla tv, porta avanti la battaglia contro Rete 4, che da anni occupa "abusivamente" le frequenze assegnate a Europa 7 da una serie di sentenze (Corte Costituzionale, Consiglio di Stato, Corte di Giustizia Europea) ignorate dalla Legge Gasparri e dall'attuale ministro Gentiloni. I Comuni a 5 stelle Ogni Comune dovrebbe svettare su 5 punti (stelle): trasporti, energia, connettività, acqua, rifiuti. Quindi: lotta contro inceneritori (o termovalorizzatori) e biomasse, perché "il rifiuto non esiste e tutto deve essere riciclato". Grillo propone l'accorpamento di tutti i Comuni sotto i 15 mila abitanti (per risparmiare), maggiore spazio all'energia eolica e ai pannelli solari ("non è possibile che in Danimarca sfruttino il sole più che a Napoli"). No alla Tav. L'acqua non deve essere privatizzata ("nessuno ha mai pagato la pioggia"). Grillo vuole l'accesso gratuito alla Rete per ogni cittadino e l'uso di Wimax, un'antenna che nel raggio di 50 chilometri permette di telefonare a prezzi irrisori. Ha un difetto: devono acquisirla i Comuni stessi, e se lo fanno si mettono contro Telecom. La finanza privata Grillo rimpiange i tempi "dei veri imprenditori come Piaggio". I suoi bersagli preferiti sono Tronchetti Provera ("il tronchetto dell'infelicità"), Scaroni, Fiorani, Tanzi, Moratti. I banchieri sono i "nuovi usurai". Grillo - che su Second Life si è comprato un vulcano - sta per aprire un conto bancario all'estero sotto falso nome, attraverso cui via Internet darà prestiti a basso interesse, creando un effetto-domino che bypassi le banche (l'idea viene da uno special sulla Bbc intitolato "Come far chiudere la vostra banca"). La salute Grillo non ha fiducia nelle multinazionali farmaceutiche e negli scienziati "a libro paga" (Rita Levi Montalcini lo ha querelato), che per aumentare il fatturato hanno creato nuovi malati (ad esempio abbassando la soglia-rischio del colesterolo) e nuove malattie come "l'iperattività" adolescenziale, curata dando anfetamine ai bambini. La politica "Io non sono contro la politica, sono contro questi politici". No ai parlamentari condannati in via definitiva, limite a due legislature, scelta diretta dei candidati. I politici attuali sono tratteggiati come uomini antiquati che "non sanno cosa è Skype e viaggiano ancora con il sistema Dos". Anche la divisione tra sinistra e destra è superata: ciò che deve caratterizzare un governo è l'attenzione a temi - ambiente, energia, informazione - in cui l'Italia, per Grillo, è rimasta alle guerre puniche. L'accusa che viene mossa a Beppe Grillo, quella di limitarsi a "distruggere" e cavalcare la rabbia con "vaffa" qualunquisti, è la maniera più semplice per disinnescare l'artista genovese. In realtà, di proposte Grillo ne fa a centinaia. E non da ieri. Nel '93 decantava l'auto a idrogeno esortando gli spettatori a fare i fumenti dal tubo di scappamento. I suoi attacchi alla politica sono "vecchi" di almeno dieci anni (solo che li faceva nei Palasport e nessuno ne parlava). Durante il V-Day di Bologna si sono avvicendati architetti, filosofi, economisti, ambientalisti, tutti più propositivi che distruttivi. L'8 giugno 2006 Grillo ha incontrato Romano Prodi per consegnargli le "Primarie dei Cittadini", di fatto il programma delle Liste Civiche dei Meet Up. Idem per la Legge Biagi: di recente Grillo ha portato al ministro Damiano un libro scaricabile gratuitamente dal suo blog, "Schiavi moderni" (prefazione di Joseph Stiglitz, Nobel per l'Economia 2001), incentrato sulla "nuova peste bubbonica" del precariato. Entrambi gli incontri sono presenti su Youtube: Grillo racconta che Prodi-Valium si addormentò "per encefalite letargica" e Damiano ammise che "io sono qui per caso". Esagera, ma guardando i filmati la sensazione è che né Prodi né Damiano capiscano nulla delle sue proposte. Ecco un bignami del "Partito di Grillo". "La Pravda dell' Unione Sovietica era un modello di informazione rispetto ai giornali e alle tv italiani". Lo scrive sul suo blog Beppe Grillo, che aggiunge: "Ho pubblicato un "post" con un appello di Sonia Alfano e Salvatore Borsellino al Capo dello Stato per fermare Mastella e mandarlo a casa al più presto e mantenere il pm De Magistris a Catanzaro. Nessuno ha riportato la lettera. Hanno invece usato due mie battute per parlare di un inciucio con Mastella".

 


Il Giorno 30-9-2007 Venti di guerra al Senato Sul Welfare la manovra rischia Il Prc: "Prova superata". Ma Dini affila le armi

 

 

ROMA ? DA OGGI lo psicodramma cambia palcoscenico. Non più ? o non soltanto ? Palazzo Chigi, ma il Senato. Il filo del dialogo faticosamente ripreso fra Partito democratico e ala sinistra sulla finanziaria lascia immutato l'interrogativo principale: come fare per "neutralizzare" Dini? Pure i gatti sanno che c'è il rischio che il senatore rompa e la manovra ? ancor meglio l'accordo sul lavoro ? potrebbe fornirgli lo spunto: "Se cambiano anche un virgola del protocollo sul Welfare, la finanziaria non avrà la maggioranza", confidava ieri mattina. E il progetto del nuovo partito ? illustrato al nostro giornale ? aumenta i mal di pancia degli alleati. Sui quali non hanno un effetto benefico le dichiarazioni di Berlusconi su possibili fughe dalla Margherita verso sponde più moderate di quelle del Pd. Vero? Falso? Certamente, quella è la platea cui si rivolge l'ex ministro degli Esteri. Poiché i numeri non tornano a Palazzo Madama senza di lui è chiaro che ha un potere di contrattazione immenso: "La partita è aperta", ammette. Ma lo è anche per altri dello stesso colore: resta l'incognita Mastella, assieme a quella costituita da Bordon e Manzione, l'ala destra dell'Ulivo (Polito & co.) e la Rosa nel pugno. "Il continuo tira e molla sulla manovra non ci convince", dichiara Boselli. Sul fronte opposto, è Turigliatto (con Cannavò) a schiacciare il pulsante d'allarme: "Da noi un "no" senza incertezze che ripeteremo anche quando arriverà in Parlamento per il voto E' la solita Finanziaria che dà soldi solo alle imprese". SE PRODI FA buon viso a cattivo gioco ("sono tranquillo, ne discuteremo, ma in generale è stata accolta bene") i pompieri della maggioranza sono al lavoro per tenere assieme i cocci. "E' stata superata una prova impegnativa", dichiara il presidente della Camera Bertinotti. Rilancia Fassino: "Rafforza le scelte politiche del governo". Gli fa eco Rutelli: "E' una vera svolta all'economia italiana e alle politiche sociali". Tiene insomma l'asse nato mercoledì sera durante il vertice di maggioranza: del resto, tranne qualcuno, né i moderati del Pd né l'ala radicale hanno alcuna intenzione di andare adesso alla crisi e men che mai alle elezioni anticipate. Lo dicono chiaramente il leader in pectore del Pd, Veltroni, e quello di Prc, Giordano: le differenze ci sono, ma le due anime della sinsitra "possono convivere e devono dialogare". Perché insieme si perde, divisi di più. Certo: resta la variabile parlamentare. Perché la finanziaria si sa come arriva alle Camere ma non come esce. "Non vogliamo che succeda come lo scorso anno, quando venne stravolta", dicono gli esponenti di Prc. Se è abbastanza trasparente il tentativo di Dini di utilizzare la tassazione delle rendite finanziarie come punto di non ritorno (peraltro, fa sapere di non aver gradito il meccanismo dell'Ici basato sul reddito e non sulle rendite catastali) è altrettanto chiaro che la cosa rossa su quel punto non transige: è possibile, perciò, che se ne vedranno delle belle a Palazzo Madama quando partirà la guerra degli emendamenti. LA CDL NON aspetta altro. E sa che le insidie possono venire anche dai ministri. Con Amato che punta comunque a ottenere qualche soldo di più; lo stesso Parisi ? che racconta qualcuno sia arrivato a minacciare le dimissioni l'altra notte ? o la Bindi che avrebbe fatto fuoco e fiamme per ottenere lo scambio (o una certa compensazione) fra la riduzione dell'Ici e gli assegni alle famiglie con più figli. Le insidie cominciano adesso. E l'antipasto ci sarà mercoledì, quando a Palazzo Madama si discuterà il caso Visco.


Il Corriere della Sera 29-9-2007 «Milioni di uomini disposti al sacrificio» Bossi: «Ora ci vuole una lotta di liberazione». Proposta-choc del leader della Lega alla platea del congresso di Vicenza: «La libertà non si può più conquistare in Parlamento»

 

 

VICENZA - «La libertà non si può più conquistare in Parlamento ma attraverso la lotta di milioni di uomini disposti al sacrificio in una guerra di liberazione». Dopo quella dello sciopero fiscalo (applaudita da Berlusconi), da Umberto Bossi arriva un'altra iniziativa-limite contro il governo. Il leader della Lega ha parlato a Vicenza, davanti alla platea del Parlamento del Nord.

DEVOLUTION - Bossi ha poi accusato il presidente della Repubblica e la sinistra di avere «fatto una cosa gravissima, di avere tirato fuori il referendum per lottare contro la devolution. In questo modo hanno affossato la democrazia del Paese che ha perso ogni barlume di lucidità democratica». Secondo Bossi, a Roma, tra le file della maggioranza c’è «un odio razziale e ideologico contro i popoli del Nord» che ormai non hanno più la possibilità di vedere realizzato il federalismo attraverso un cambiamento della Costituzione con metodi democratici e «possono trovare la loro libertà solo attraverso la lotta di liberazione».

CANDIDATO - Grande feeling tra il senatùr e Belusconi. «Il candidato premier per noi rimane lui, perché riesce a tenere bene insieme tutta la coalizione - ha detto Bossi -. Una coazlizione in cui ci sono tanti matti. Io stesso non nascondo di essere un po' matto...» ha aggiunto, spiegando che «Berlusconi è almeno uno che cerca di muoversi per cambiare qualcosa».

LINGUAGGIO - E proprio il leader di Forza Italia ha difeso il «linguaggio colorito» di Bossi. «Lui usa sempre un linguaggio colorito nelle riunioni, ma poi, nella pratica, ha sempre dimostrato un grande senso di responsabilità - ha detto l'ex premier -. Io incontri con la Lega li faccio tutte le settimane e quindi ho l'abitudine anche alle espressioni colorite che usa Umberto, rassicuro tutti che la Lega ha avuto sempre un comportamento corretto e responsabile».

29 settembre 2007

 


 

La Stampa 29-9-2007 - Teste d’uovo Renault è allarme suicidiSOTTO ACCUSA IL PIANO DI RILANCIO . Quattro casi tra i tecnici DOMENICO QUIRICO

PARIGI
Nei quattro grandi tecnocentri, il «cervello» della Renault, molti ricordano lo slogan di una campagna pubblicitaria: «Renault, auto da vivere». E invece è il tempo di interrogarsi se in questi luoghi per le auto si muore: per fabbricarle più rapidamente e a costi sempre più bassi e competitivi. A Guyancourt, nelle Yvelines, in primavera, quattro tentativi di suicidio: tre, purtroppo, riusciti. Il primo è stato definito «incidente sul lavoro», per un altro gli ispettori hanno individuato prove di mobbing e la magistratura indaga. E c’è già un altro morto: a Aubevoye, questa volta, nell’Eure, un tecnico in malattia da inizio mese si è tolto la vita a casa.

Difficile accertare quanto l’angoscia privata e lo spleen della fabbrica si intrecciano fino a esplodere con l’organizzazione dell’impresa, i ritmi e l’ossessione della produttività. «Mobilitazione eccessiva», «pressioni insopportabili» dicono i documenti sindacali a Guyancourt: in fondo espressioni vaghe. E i tecnocentri Renault sono luoghi ultramoderni dove si inventano i nuovi moedelli, i 15 mila dipendenti sono quadri tecnici, nulla riporta alla «catena». Eppure la gente si uccide. Il sindacato è cauto, «prematuro trarre conclusioni», ma poi aggiunge: «Conosciamo bene gli effetti dell’organizzazione del lavoro a Guyancourt».

La direzione ha appena annunciato una riorganizzazione dei tempi «per riportare serenità e miglior equilibrio». Dovrebbe entrare in vigore il primo novembre: cambierà l’orario di apertura, le 7 e non più le 5,30 e le 6, chiusura alle 20,30 e non alle 22,30. Sottolineato il divieto di portare il lavoro a casa salvo che sotto forma di invio di email. Si promettono nuove assunzioni nel 2008, in particolare di ingegneri. Per il sindacato è la prova che la cura choc per il rilancio decisa dal numero uno Carlos Ghosn nel 2005 è troppo brutale. I tempi incombono, i manager incalzano: arrivare a una crescita dei profitti del 6% entro il 2009, vendere 800 mila vetture in più, lanciare nuovi modelli a raffica - ventisei previsti -, aggredire un mercato dove la marca francese ha perso, in Europa, il 9,1%. Dai centri studi si esigono otto nuovi modelli l’anno, la media era di tre, quattro. Senza che sia aumentato il numero degli addetti. Pierre Nicolas sindalista della Cgt: «Se si mettono 800 persone a lavorare su un progetto che ne richiederebbe mille, bisogna portarsi il lavoro a casa. Perchè ci chiediamo da dove viene la pressione sulla gente?». A Cléon, fabbrica normanna, infuria un nuovo caso: l’ispezione del lavoro, dopo un’inchiesta di 5 mesi, ha denunciato «un sistema di pressione che punta a convincere i dipendenti vittime di incidenti sul lavoro a rinunciare in tutto o in parte alla sospensione malattia». Un dipendente cui l’ospedale aveva prescritto una sosta di tre settimane per una frattura ha raccontato che la sera stessa il capo reparto è andato a casa sua, lamentandosi perché la assenza costava cara allazienda, e proponendogli un posto provvisorio in ufficio dopo solo tre giorni di sosta. Perché raggiungesse la fabbrica erano disposti a rimborsare la benzina dell’auto guidata dal figlio. Scopo: ridure il costo dei versamenti alla sicurezza sociale, 2,56 milioni di euro nel solo 2006.


INDICE 29-9-2007

Europa 29-9-2007 Scuola, studenti, orari: cosa non si farebbe per oziare di più e studiare di meno FEDERICO ORLANDO RISPONDE  1

La Stampa 28-9-2007 Mastella-Grillo, alleanza anti-casta. "Pubblichiamo un libro insieme" Il comico difende il Guardasigilli, lui ammicca: «Venga a Ceppaloni»  1

 


 

Europa 29-9-2007 Scuola, studenti, orari: cosa non si farebbe per oziare di più e studiare di meno FEDERICO ORLANDO RISPONDE

http://www.europaquotidiano.it/site/images/transparent.gif

Cara Europa, leggo che al liceo classico Mamiani di Roma gli studenti contestano il rispetto dell’orario e protestano contro il nuovo regolamento scolastico. Trattandosi di studenti e di Mamiani, non mi sorprende. Ma mi avvilisce ancora. ENZA SANTANGELI, ROMA    

 Cara signora, neanche io sono sorpreso. I licei esprimono il contesto sociale dal quale gli studenti provengono: quello del Mamiani è il contesto di un ceto medio anarcoide, dove anche i padri che si fingono “servitori dello stato” (impiegati, funzionari, professionisti, ecc.) in realtà lo contestano con comportamenti poco rispettosi delle regole. Talvolta le regole sono ridicole, come quelle, mi dicono, introdotte in una scuola superiore di Civitavecchia: grembiule blu per le fanciulle, pantaloni grigi, camicia nera, bracciale rosso (niente croce uncinata, però) per i ragazzi. Spesso ai giovani il cattivo esempio viene dall’alto, con regole capotiche o con atteggiamenti a-morali: come quello del vescovo di Trento Bressan, che, nel referendum di domenica prossima sull’abrogazione del finanziamento pubblico provinciale alle scuole paritarie, invita a non votare (e sono due): «Perché – spiega – votare no può essere più espressivo, ma la scelta dell’astensione si rivela in questo caso più efficace». Il fine giustifica i mezzi, viva la pedagogia democratica degli adulti.
Ciò detto, trovo che i giovani facciano la loro parte distruttiva quando, come nel caso del Mamiani, rifiutano il nuovo regolamento che impone il suono della campanella alle 8,10 anziché alle 8,20, con perdita di “crediti” per i ritardatari: e contestano tutto il regolamento, che, loro dicono, è stato votato senza il concorso dei genitori e dei ragazzi (cioè senza rispetto delle regole). Comunque, sono d’accordo col sottosegretario Dalla Chiesa quando dice che l’inciviltà della società sbrindellata nasce anche dall’indifferenza alla puntualità: puntualità che nessuno oserebbe violare quando si entra allo stadio. E sono d’accordo con la signora italo-americana Bruna Pelucchi, che in una lettera a Repubblica contesta gli studenti di un liceo di Vicenza in guerra contro l’anticipo delle lezioni alle 7,30; e ricorda che in America del Nord i suoi figli di 10-13 anni (scuola media) prendono l’autobus alle 7 e sono a scuola alle 7,30 anche quando ci sono 20 gradi sotto zero. Come vede, la storia dei “vecchi fusti” rimpianti da Longanesi, che ho ricordato di recente, non vale solo per gli adulti, ma anche per i ragazzi e i giovani: ce ne sono già “fusti” a dieci anni e tanti altri già smollacchiati a quindici.


 

La Stampa 28-9-2007 Mastella-Grillo, alleanza anti-casta. "Pubblichiamo un libro insieme" Il comico difende il Guardasigilli, lui ammicca: «Venga a Ceppaloni»

 

ROMA
Se ne sono dette davvero di tutti i colori, negli ultimi giorni, ma ora tra Beppe Grillo e Clemente Mastella sembra arrivato il momento di una "pace di Ceppaloni". Un colpo di scena che non solo potrebbe archiviare i durissimi scambi di accuse sull’indulto ma addirittura veder nascere una strana coppia editoriale, se andasse davvero in porto quella sorta di versione alternativa al fortunatissimo La Casta, vagheggiata da Mastella e colta al volo da Grillo.

L’iniziativa la prende proprio il comico-blogger che, a sorpresa, dichiara da Internet: «Non ci sto più al gioco al massacro ceppalonico. Mastella è solo un capro espiatorio. Il migliore sulla piazza della politica, certo. Per questo hanno scelto lui. Ma l’indulto non è una sua idea, ne sono convinto». Di più: «Mastella ha detto una grande cosa, ha annunciato un libro "su tutte le altre caste, a partire dai giornalisti". Questa volta sono d’accordo con lui. Gli offro la mia prefazione o, se preferisce, il libro lo possiamo scrivere a quattro mani. Vado fino a Ceppaloni se mi invita».

E l’invito arriva davvero. «Rispondo a Grillo che a scrivere sulle caste sono disponibile. Può venire tranquillamente a Ceppaloni come mi ha chiesto e possiamo scrivere a quattro mani», dice a L’Aquila il ministro di Giustizia. «Io credo - ha rilevato Clemente Mastella - che nel nostro Paese ci sia oggi sotto pressione la classe politica, le sue responsabilità, ma ci sono tante caste molto più forti e più potenti della cosiddetta casta della politica. Ci sono "castisti" molto più forti».


 

INDICE 28-9-2007

 

+  Il Sole 24 Ore 28-9-2007  Myanmar, i soldati ora rifiutano di sparare sulla folla. Guarda i video  1

+  Il Sole 24 Ore 28-9-2007 Crisi dei mercati, anche la Ue ammette: se continua, guai per la crescita. di Antonio Pollio Salimbeni 3

Il Corriere della Sera 28-9-2007 Una polemica contro i «padreterni» Einaudi, la casta e l’Italia del ’19 di Gian Antonio Stella  3

La Repubblica 28-9-2007 L'eletto non mantiene la promessa e parte la causa all'ufficio del lavoro Le promesse del presidente della provincia di Udine all'ex vicesindaco al voto del 2006 Voto di scambio messo per contratto 420 preferenze ma resta disoccupato di GIUSEPPE CAPORALE  4

Il Riformista 28-9-2007 Se la Costituente sembra l’anticamera della Casta  di Claudia Mancina  5

L’Unione Sarda 28-9-2007 Negli Usa atteso a fine ottobre un nuovo taglio dei tassi. Crolla ancora la vendita di case, che già aveva spinto la crisi dei subprime L'euro corre verso 1,42. Timori per le banche  6

Italia Oggi 28-9-2007 Crack finanziari, fondo ok di Marco Gasparini 7

 


+  Il Sole 24 Ore 28-9-2007        Myanmar, i soldati ora rifiutano di sparare sulla folla. Guarda i video

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Foto/Speciali/Sole24Ore/bottone_x%20pagina_link.gif        L'INTERVISTA / Il portavoce del Governo in esilio: «Europa e Usa agite, non date retta a Cina e Russia»

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Foto/Speciali/Sole24Ore/bottone_x%20pagina_link.gif        TRANSPARENCY / Il paese più corrotto del mondo

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Foto/Speciali/Sole24Ore/bottone_x%20pagina_link.gif        Foto / le immagini dei cortei dei monaci

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Foto/Speciali/Sole24Ore/bottone_x%20pagina_link.gif        La storia/ 45 anni di dittatura

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Foto/Speciali/Sole24Ore/bottone_x%20pagina_link.gif        Bush all'Onu: Fidel Castro vicino alla fine

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Foto/Speciali/Sole24Ore/bottone_x%20pagina_link.gif        Prodi all'Onu: dobbiamo fermare la pena di morte

 


Dopo le speculazioni su presunte spaccature tra i generali al potere in Birmania, ecco i nomi: il numero due del regime, generale "Maung Aye e i suoi fedelissimi sono contrari a sparare sulla folla". Lo ha rivelato una fonte vicina ai vertici militari al sito di
informazione degli esuli birmani, Mizzima News. Il generale Maung Aye, braccio destro del capo della giunta militare golpista, Than Shwe, ha una posizione ben diversa dal suo "superiore" sul come affrontare le proteste degli ultimi giorni nel paese, secondo il sito. Il sito Mizzima News è stato creato nell'agosto 1998 da un gruppo di giornalisti birmani in esilio.

Il bilancio delle vittime della sanguinosa repressione contro i manifestanti per la democrazia nel Myanmar, scatenata dal regime per porre fine a cinque settimane di proteste, sarebbe in realtà assai più elevato rispetto alle cifre ufficiali: lo ha denunciato l'ambasciatore d'Australia nell'ex Birmania, Bob Davis, intervistato dall'emittente radofonica pubblica "Abc". Secondo la Giunta militare birmana, i morti ammonterebbero complessivamente a dieci, ma a detta del diplomatico di Canberra testimoni oculari avrebbero riferito ad alcuni suoi collaboratori di aver visto «rimuovere ieri dal teatro delle manifestazioni nel centro di Yangon un numero di cadaveri significativamente superiore» a quello reso noto dal regime. Il computo reale, ha aggiunto Davis, sarebbe «parecchie volte il multiplo» delle dieci persone uccise «riconosciute dalle autorità».

Nuove sanzioni Usa.
Gli Stati Uniti hanno annunciato l'imposizione di nuove sanzioni economiche contro quattordici alti dirigenti governativi birmani a causa della repressione delle manifestazioni per la democrazia nel Paese. Il dipartimento del Tesoro ha riferito di aver preso le misure dopo la decisione del presidente George W. Bush di rafforzare le sanzioni già esistenti contro la giunta militare birmana. «Il presidente è stato molto chiaro sul fatto che noi non resteremo con le braccia incrociate mentre il regime tenta di far tacere le voci del popolo birmano con la repressione e l'intimidazione» ha dichiarato Adam Szubin, direttore dell'ufficio gestione averi al dipartimento del Tesoro. Saranno perstanto bloccati tutti gli averi detenuti dai dirigenti birmani nelle banche americane o in altre istituzioni finanziarie poste sotto giurisdizione americana. A tutti gli americani è poi vietato commerciare con quelle persone.

Tagliato Internet
Dopo due giorni di violenze nelle strade di Yangon), il principale collegamento a Internet ha smesso oggi di funzionare. Un responsabile birmano delle telecomunicazioni ha attribuito il problema a «un cavo subacqueo danneggiato». «Internet non funziona perché è stato danneggiato un cavo subacqueo», ha dichiarato sotto anonimato all'agenzia di stampa France Presse un responsabile dell'azienda di stato, Myanmar Poste e Telecomunicazioni. Proprio la rete ha consentito nei giorni scorsi di poter diffondere immagini e testimonianze di quanto sta avvenendo nel Paese.

Ucciso un fotoreporter giapponese
I bilanci ufficiali riferiscono di nove morti, 11 feriti tra i manifestanti e 31 agenti del governo contusi. Tra le vittime c'è anche un reporter giapponese, Kenji Nagai, 50 anni, collaboratore dell'agenzia stampa giapponese Apf. Nagai è rimasto ucciso sotto il fuoco dei militari del sanguinoso regime di Than Shwe. Con lui sarebbe morto un altro giornalista, ma la notizia non è stata confermata nè si hanno precise indicazioni sulla sua nazionalità. Proprio l'assenza di notizie precise, l'incertezza che accompagna gli eventi di queste ultime ore testimoniano la grave repressione in corso.

Le reazioni diplomatiche
Sul fronte diplomatico, mentre si susseguono le dimostrazioni di solidarietà nei confronti del popolo birmano (ieri a Roma manifestazione di solidarietà in Campidoglio) restano però le profonde divisioni interne alle istituzioni internazionali con Russia e Cina, entrambi membri permanenti del Consiglio di sicurezza Onu, contrari a infliggere sanzioni contro il governo del Myanmar (Birmania). La Cina si è tuttavia unita agli altri paesi Onu nell'appello alla moderazione rivolto alla giunta militare. Ieri i Rappresentanti permanenti degli Stati membri della Ue (Coreper), riuniti a Bruxelles, hanno deciso di rafforzare il sistema di sanzioni già in vigore, decidendo di mandare al contempo un segnale di solidarietà ai cittadini della Birmania. Parole forti sono giunte anche dal presidente americano Bush che ha invitato «i Paesi che possono influenzare il regime affinché si uniscano a noi nel dare sostegno alle aspirazioni del popolo birmano». E intanto il ministero del Tesoro statunitense ha annunciato sanzioni economiche nei confronti di 14 alti membri del governo di Myanmar. Il ministro degli Esteri Massimo D'Alema e il segretario di Stato di Washington Condoleezza Rice hanno trovato «piena intesa» sulla crisi in Birmania nel vertice bilaterale a porte chiuse che si è svolto al Palazzo di Vetro di New York. I capi delle due diplomazie condividono la «gravissima preoccupazione» e la convinzione che la comunità internazionale debba rimanere «focalizzata su questo punto e faccia pressioni per risolvere la situazione, che resta molto seria». Contrarietà, infine, a quanto sta accadendo in Birmania è stata espressa anche dall'Asean (Associazione dei Paesi del sud-est asiatico) i cui rappresentanti si sono incontrati a New York a margine dei lavori dell'Assemblea generale dell'Onu.

 


+  Il Sole 24 Ore 28-9-2007 Crisi dei mercati, anche la Ue ammette: se continua, guai per la crescita. di Antonio Pollio Salimbeni

Bruxelles – Se la crisi dei mercati finanziari non sarà superata rapidamente allora l'anno prossimo saranno guai per la crescita dell'eurozona. Lo ha ammesso indirettamente il commissario europeo Joaquin Almunia in una intervista a un quotidiano spagnolo: "Prima dell'inverno annunceremo che nel 2008 ci sarà qualcosa meno in termini di crescita del pil. Ciò non vuol dire che non seguirà un recupero, ma sta di fatto che siamo in una fase del ciclo economico più matura e ci sono più rischi al ribasso: salvo che la crisi non si prolunghi l'anno prossimo non c'è da essere pessimisti". A parte il "pensiero magico" di moda in Francia, con il passare delle settimane la crisi subprime, con qualche scossone bancario in Germania e il tracollo della Northern Bank nel Regno Unito, il rischio di una erosione più rapida dei valori immobiliari nei paesi in cui le famiglie hanno contratto in massa mutui a tasso variabile (come in Spagna), la grande incertezza sugli sviluppi oltre Atlantico, ha radicalmente cambiato l'umore dei responsabili politici fino a ieri superottimisti. Il motivo è semplice: ormai è assodato, dice la Commissione Ue, che il punto più alto della crescita nell'eurozona è "alle spalle". Già all'inizio dell'estate la produzione era aumentata a un tasso annualizzato dell'1,4%: rispetto all'inizio dell'anno la velocità dell'espansione si era dimezzata. Poi rema contro il fattore fiducia. In settembre l'indice BCI (business climate indicator) per l'eurozona è caduto di 0,28 punti, peggio del calo di luglio (prima della pausa di agosto); l'indice ESI che misura il "sentimento" sull'andamento attuale e futuro dell'economia nell'industria, nei servizi, tra i consumatori, nel commercio al dettaglio e nelle costruzioni, è calato di 2,8 punti. Anche se i valori restano al di sopra della media di lungo termine, il trimestre si chiude malissimo.
Emerge un caso Germania, che vale un terzo dell'economia eurozona e colleziona i risultati peggiori in tutti i settori eccetto le costruzioni seguita dalla Spagna. Contrariamente a quanto sostiene la
Bundesbank, convinta che la ripresa tedesca ha una "forte dimensione endogena" anche se rallenta, il centro di ricerche Zew di Mannheim, che pubblica l'importante indice sulla fiducia in caduta per due mesi consecutivi dopo la crisi subprime e sotto la media storica, invece "non esclude la possibilità che la crisi possa diffondere i suoi effetti sull'economia tedesca" in particolare nelle banche, nelle assicurazioni e nelle costruzioni. Anche se nell'eurozona la crescita salariale è modesta e i profitti delle imprese restano elevati, con i tassi di interesse in ascesa (soprattutto dopo il 2,1% di inflazione in settembre) e l'apprezzamento dell'euro stanno progressivamente erodendo i fattori che hanno sostenuto l'attività economica. Per l'European Forecasting Network "la ripresa degli investimenti si esaurirà in autunno". I consumi compenseranno la frenata perché aumenta l'occupazione e cala la disoccupazione, ma non c'è da fidarsi troppo: abbiamo alle spalle anche il picco della crescita degli occupati. Quanto al supereuro, anche se le esportazioni dell'eurozona negli Usa contano meno del 3% del pil, la relativa dissociazione (decoupling) dell'Europa dalle fortune e dalle sfortune americane non protegge consumatori e imprese dall'aumento dei costi. A quota 1,40-1,50 dollari anche la competitiva industria esportatrice tedesca, che ha bisogno come il pane di un euro più forte di quanto convenga alla Francia, si preoccupa. Per dotarsi di beni intermedi e componenti la Germania, infatti, importa l'equivalente del 10% del pil attraverso le imprese delocalizzate. Il solo vantaggio è che il barile di petrolio costa 80 dollari.


Il Corriere della Sera 28-9-2007 Una polemica contro i «padreterni» Einaudi, la casta e l’Italia del ’19 di Gian Antonio Stella

 

«A Roma spadroneggia un piccolo gruppo di padreterni, i quali si sono persuasi, insieme con qualche ministro di avere la sapienza infusa nel vasto cervello». Non sono parole di Beppe Grillo, né diGuglielmo Giannini, né di quel Corrado Tedeschi che inventò il Partito della bistecca e neppure di Umberto Bossi ai tempi in cui tuonava «mai più soldi agli stronzi romani». L'atto di accusa è di Luigi Einaudi, oggi venerato come uno dei padri della Patria e una delle figure più limpide della nostra storia anche da quanti un tempo lo consideravano un avversario.

Era il primo febbraio 1919, la Grande Guerra era finita da poche settimane, Guglielmo II era fuggito nei Paesi Bassi, a Berlino erano stati appena rapiti e uccisi Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, a Parigi s'era aperta la Conferenza di pace e da noi, dove Luigi Sturzo aveva appena fondato il Partito Popolare, cominciava quel «biennio rosso» che si sarebbe concluso con una dura sconfitta delle sinistre e l'avvento del fascismo. Alla guida del governo c'era Vittorio Emanuele Orlando, agli Esteri Sidney Sonnino, al Tesoro Bonaldo Stringher, alla Giustizia Luigi Facta. Gente che Einaudi considerava, per usare un eufemismo, in larga parte inadeguata. Come dimostra appunto quanto scrisse sul Corriere in uno degli articoli oggi raccolti dalla Mondadori nei bellissimi «Meridiani» dedicati al «Giornalismo italiano ». Il futuro capo dello Stato, al fianco degli industriali «inferociti», accusava l'esecutivo: «Non mantiene le promesse, impedisce con i suoi vincoli il movimento a coloro che avrebbero voglia di agire, fa perdere quei mercati che gli industriali italiani erano riusciti a conquistare, prepara disastri al Paese, accolla sempre nuovi oneri alle industrie...». Perché? Per la mania di mettere le mani su tutto, immaginare «monopoli che non sa poi come amministrare», rivendicare compiti che poi non sa assolvere impedendo insieme che «provvedano i privati».

Per non dire di lacci e lacciuoli come gli «istituti dei consumi, grazie a cui magistrati, professori, segretari di prefettura, postelegrafici perderanno il proprio tempo ad annusar formaggi e negoziar merluzzi». O della scelta di «sovracaricare i proprietari di case di nuovi balzelli sperequati e impedir loro un parziale adattamento delle pigioni ». Basta, scriveva: «Bisogna licenziare questi padreterni orgogliosi (...) persuasi di avere il dono divino di guidare i popoli nel procacciarsi il pane quotidiano. Troppo a lungo li abbiamo sopportati. I professori ritornino ad insegnare, i consiglieri di Stato ai loro pareri, i militari ai reggimenti e, se passano i limiti d'età, si piglino il meritato riposo».

Insomma: «Ognuno ritorni al suo mestiere». E «si sciolgano commissioni, si disfino commissariati eMinisteri » così che «un po' alla volta tutta questa verminaia fastidiosa sia spazzata via. Coloro che lavorano sono stanchi di essere comandati dagli scríbacchiatori di carte d'archivio» superiori alla società governata «soltanto per orgoglio e incompetenza ». Parole durissime. Che non salvavano pressoché nulla e nessuno. Era un qualunquista, Luigi Einaudi? Un demagogo? Un populista? Un «giullare della Suburra»? Meglio andarci piano, sempre, con le etichette insultanti. Forse, se i politici «padreterni» di allora lo avessero ascoltato senza fare spallucce, tre anni dopo ci saremmo evitati la Marcia su Roma.

28 settembre 2007


 

La Repubblica 28-9-2007 L'eletto non mantiene la promessa e parte la causa all'ufficio del lavoro Le promesse del presidente della provincia di Udine all'ex vicesindaco al voto del 2006 Voto di scambio messo per contratto 420 preferenze ma resta disoccupato di GIUSEPPE CAPORALE

 

ROMA - Un contratto di vendita, con tanto di firme. Un accordo, nero su bianco, per vendere un pacchetto di voti, sotto elezioni, in cambio di un posto da dirigente alla Provincia di Udine. L'acquirente è l'attuale presidente, Marzio Strassoldo, alla guida di una giunta di centrodestra, riconfermato proprio dopo le amministrative del 2006.

Il venditore è un politico locale con un gruzzolo di preferenze, Italo Tavoschi, ex vicesindaco di Udine, centrista eletto con una lista civica. Nel documento stilato c'è pure il prezzo. Senza troppi giri di parole: 210 mila euro, in tre anni. Ora, Tavoschi, che si dichiara disoccupato, ha presentato ricorso all'ufficio del lavoro. Sì, proprio all'ufficio del lavoro. Lamenta il mancato rispetto di quel contratto.

Lui, scrive nel ricorso, l'accordo l'ha onorato e il presidente i suoi 420 voti "dopo un'intesa campagna elettorale", li ha ottenuti. Il centrodestra ha vinto le elezioni, ma, il posto da dirigente, dopo un anno, ancora non l'ha avuto. Un accordo comunque, che entrambe le parti, interpellate, definiscono lecito, seppure poi, dissentono sulla sua risoluzione. La vicenda è stata rivelata ieri dal "Messaggero Veneto".

Per il presidente Strassoldo "è uno di quei tanti accordi politici che si sottoscrivono in campagna elettorale. Solo che invece di chiedere un posto in giunta, per il quale Tavoschi, come singolo candidato, non aveva titolo, ha preteso un incarico dirigenziale". E, aggiunge, "in effetti l'accordo teneva conto del fatto che c'erano prospettive che si liberassero alcuni posti da dirigente. Ma subito, quelle opportunità sono state vanificate dalle norme della Finanziaria che ponevamo precisi paletti...".

Ma ecco, parola per parola, il contenuto del contratto, firmato il 20 febbraio 2006, cinquanta giorni prima del voto. "Italo Tavoschi si impegna a sostenere il prof. Strassoldo, alle prossime elezioni provinciali, e lo fa schierandosi in una lista che fa capo a Strassoldo, presentandosi in uno o più collegi nella città, oppure a discrezione dello stesso presidente, in altri collegi del territorio. Il presidente Strassoldo si impegna a riconoscere a Italo Tavoschi, per questa personale discesa in campo, nel caso di vittoria elettorale e conseguente conferma a presidente della Provincia di Udine, un incarico amministrativo, per la durata minima di tre anni, eventualmente rinnovabile.

Detto incarico, riguarderà il comparto delle attività produttive ed in particolare la promozione turistica della nostra provincia. Al dott. Tavoschi sarà riservato il trattamento economico lordo annuo di euro 70.000,00 (settantamila), nell'area dirigenziale, con oneri previdenziali a carico dell'ente Provincia. In alternativa potrà essere sottoscritto un contratto a progetto, di pari importo annuo, per la durata di anni cinque. Firmato Mario Strassoldo e Italo Tavoschi".

Sempre nel ricorso all'ufficio del lavoro, Tavoschi sottolinea di aver speso oltre tremila euro per "santini" e manifesti. E aggiunge che, in seguito, "non ha nemmeno potuto trovare altra occupazione dato che era in attesa dell'incarico promesso". Imbarazzo nella coalizione di centrodestra che sostiene il presidente. An, Forza Italia e Udc, chiedono un vertice urgente. La Lega minaccia di ritirare gli assessori. Il Movimento Friuli, espressione sia del presidente che della lista dov'era candidato Tavoschi, tace.

(28 settembre 2007)


 

Il Riformista 28-9-2007 Se la Costituente sembra l’anticamera della Casta  di Claudia Mancina


Il Partito democratico vuol essere la risposta all’antipolitica: perché è il superamento dei vecchi partiti, l’inizio di una “nuova stagione”, il ritorno di quella bella e buona politica di cui tutti sentiamo la nostalgia (qualcuno fino al punto di rimpiangere i partiti ideologici, le affiliazioni quasi religiose del Novecento: il che è decisamente troppo). La grande avventura democratica delle primarie è stata dipinta da Veltroni come una esperienza del tutto nuova in questo paese, che muterebbe il volto e la qualità della politica. E certamente la fondazione di un partito nuovo con un atto democratico di questo genere è qualcosa di assolutamente inedito, che potrebbe essere entusiasmante, e spegnere le critiche di quanti fin dall’inizio hanno visto nell’operazione Pd solo la fusione di due partiti di mediocre fortuna, che si metterebbero insieme per superare la loro debolezza e i limiti del loro insediamento. È così?
I primi passi del candidato Veltroni hanno dato fiducia e fatto sperare in un buon vento, ma la formazione delle liste per l’Assemblea costituente ha di nuovo fatto calare le vele del Pd. Non tanto perché le liste appaiono alla fine costituite da una robusta nomenclatura con una spruzzata tipicamente veltroniana (tanto cinema, un po’ di letteratura, un pizzico di beni culturali, cognomi eccellenti, vecchie glorie & sedicenni); ma soprattutto perché la regia mediatica del sindaco di Roma non ha potuto, nonostante la sua consumata abilità, nascondere la frenesia con la quale migliaia di candidati si sono precipitati su queste liste, neanche si trattasse dell’elezione al Parlamento. Le cronache hanno raccontato di notti allucinanti; le polemiche del giorno dopo si sprecano. È vero che ogni formazione di liste porta con sé inevitabili polemiche; in questo caso, però, ciò che appare preoccupante è proprio la somiglianza con la formazione delle liste di elezioni politiche o amministrative. L’assemblea costituente di un partito non può essere percepita come il Parlamento di uno Stato. Se i candidati cadono in questa piuttosto sconcertante illusione ottica, c’è qualcosa che non funziona. Anzitutto, io credo, è abbastanza assurdo pensare in termini di campagna elettorale personale dei candidati alla costituente. Mentre infatti per la carica di segretario c’è effettivamente una elezione primaria, e quindi è del tutto normale e necessaria un campagna elettorale che metta a confronto i diversi candidati, non si comprende che cosa questo possa significare nel caso dell’elezione della costituente, che non prevede preferenze e quindi non può essere considerata una primaria. I diversi candidati possono certamente fare campagna per il candidato segretario da loro sostenuto, per promuovere la partecipazione e per sostenere la singola lista di cui fanno parte. Ma una campagna elettorale personale non ha senso logico. Purtroppo il regolamento di autodisciplina è complice di questa situazione, perché (condividendo quella illusione ottica che confonde l’assemblea con il Parlamento) consente una campagna personale, ponendo un tetto di spesa ma non impedendo, per esempio, l’affissione di manifesti con nome e foto, in tutto simili ai manifesti elettorali, come si vedono a Roma. All’articolo 4, infatti, dice: «È ammessa l’affissione in luoghi pubblici di manifesti diretti a promuovere la candidatura o le iniziative di singoli o liste purché negli spazi e con le modalità previste dalla normativa vigente».
Sarebbe stato preferibile non consentire la propaganda personale, non per ragioni moralistiche, ma perché estranea all’occasione specifica costituita dall’elezione dell’Assemblea costituente. Ci si può stupire che a molti - certo influenzati dalla fase che il nostro dibattito pubblico sta attraversando - questo modo di concepire l’elezione della costituente evochi, più che la fondazione di un nuovo partito democratico, una prenotazione per le future e autentiche liste (Parlamento, consigli regionali, provinciali ecc.), ovvero una specie di preiscrizione ai ranghi della “casta”?


 

L’Unione Sarda 28-9-2007 Negli Usa atteso a fine ottobre un nuovo taglio dei tassi. Crolla ancora la vendita di case, che già aveva spinto la crisi dei subprime L'euro corre verso 1,42. Timori per le banche

 

La Bce presta 3,9 miliardi al 5% a istituti costretti alla misura di emergenza ROMA. Supereuro anche ieri, ormai ad un passo da 1,42 dollari, con un nuovo record a 1,4189. Il mercato valutario punta dichiaratamente su un nuovo taglio dei Fed Funds da parte della banca centrale statunitense, in occasione della riunione di fine ottobre. Proprio ieri del resto dagli Stati Uniti è arrivato il dato peggiore delle attese sulle compravendite di nuove case ad agosto, con una flessione dell' 8,3% e il prezzo medio delle abitazioni calato del 7,5%, il peggiore risultato dal 1970. Paradossalmente, dopo la comunicazione di questa statistica l'euro ha perso qualche posizione, pur mantenendosi largamente sopra 1,41 dollari. Con ogni probabilità sono scattate le prese di beneficio, considerato che nelle ultime sei sedute la valuta unica ha inanellato record su record. L'euro ha risentito negativamente anche del fatto che la Bce ha ieri comunicato di aver accordato un finanziamento da 3,9 miliardi al tasso marginale, un tasso di emergenza che ha un costo di un punto percentuale superiore a quello overnight. Si tratta dell'importo più elevato accordato tramite questo strumento - che equivale al tasso di sconto - dal mese di ottobre del 2004 (quando le banche presero in prestito 7,9 miliardi di euro), di conseguenza l'intervento ha alimentato rumors circa le difficoltà di uno o più istituti bancari, segno che lo scossone dei mutui subprime non si è esaurito. La mossa ha colto di sorpresa anche trader e operatori, che non vedono al momento nel mercato una carenza di liquidità tale da costringere le banche a fare ricorso ad una modalità di finanziamento penalizzante, a cui solitamente attingono quando si trovano a corto di liquidi. Sono 2.141 le banche ammesse a tale forma di finanziamento, ma la Bce non ha mai comunicato ufficialmente i nomi di chi ne ha fatto ricorso e difficilmente succederà ora il contrario. Molti analisti ricordano come solo martedì scorso la Bce abbia iniettato nel mercato 33 miliardi di euro, mentre ieri sono stati immessi nel sistema altri 38 miliardi, l'importo più elevato dallo scorso 10 agosto, quando ci si trovava nel pieno della crisi scaturita dalle difficoltà del credito cosiddetto 'subprime'. A questo punto, diversi osservatori iniziano a domandarsi "dove siano seppelliti i cadaveri", lasciando intendere che le cifre sull'esposizione delle banche europee siano state sottostimate, mentre l'ottimismo sinora mostrato potrebbe essere solo di facciata. Il cross dollaro/yen si è infine attestato su un massimo a 115,88; nelle ultime sedute si è assistito ad un indebolimento della valuta nipponica per via del riproporsi delle operazioni cosiddette di 'carrying trade' in cui gli investitori si indebitano in yen per acquistare asset più redditizi in altre valute. La ripresa di questi movimenti testimonia in ogni caso il ripristino di condizioni di maggiore calma sul mercato valutario, dopo che questa tipologia di interventi si era fermata del tutto in coincidenza con la crisi provocata dal dissesto dei mutui immobiliari statunitensi ad alto rischio.


 

Italia Oggi 28-9-2007 Crack finanziari, fondo ok di Marco Gasparini  

 

Oggi in cdm il decreto che istituisce le misure a garanzia dei risparmiatori Crack finanziari, fondo ok Risarcimento del danno subito entro 60 giorni Tempi certi per il risarcimento del danno subito e armi più efficaci per evitare il dribbling delle banche e degli intermediari che hanno violato le norme sulla correttezza e la trasparenza dei prodotti finanziari esponendosi alla censura della Consob. Queste le principali novità inserite nel dlgs che istituisce presso la Commissione nazionale per le società e la borsa le procedure di conciliazione, …..


INDICE 27-9-2007

INDICE 27-9-2007. 1

+ L’Unità 27-9-2007 Babele a Roma Gianfranco Pasquino  1

Il Corriere della Sera 27-9-2007 È il partito più grande d'Italia Pensione a rischio per 400, ecco il «partito anti urne». Previdenza in gioco per gli onorevoli al primo mandato se la legislatura non arriva all’ottobre 2008. Lorenzo Salvia  3

La Repubblica 26-9-2007 Secondo la Cassazione, occupare case popolari non sempre è reato Cassazione: "Se si è veramente poveri occupare case popolari non è reato". Ribaltati i verdetti di condanna emessi nei confronti di una donna sola e con figlio a carico. "Non è perseguibile chi agisce sotto l'effetto di un vero stato di indigenza". Ferrero e la Bindi: "Il Piano casa nella prossima Finanziaria". La Lega: "Siamo agli espropri proletari" 4

La Stampa 26-9-2007 Aumenta la benzina e il Consiglio regionale ritocca i rimborsi Palazzo Lascaris: il conto si fa più salato. Tariffa a 0,503 cent, 560 euro in più all’anno MAURIZIO TROPEANO  5

Europa 27-9-2007 Finalmente una polemica per un “nudo” che può aiutare anoressici e società  FEDERICO ORLANDO RISPONDE  5

 

 


+ L’Unità 27-9-2007 Babele a Roma Gianfranco Pasquino

 

 

Qualche tempo fa ho visto un film, Tredici giorni, non particolarmente brillante, infatti, ha avuto poco successo nelle sale, ma altamente istruttivo da più punti di vista. Al centro della narrazione stava il Presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy, che doveva rispondere all’installazione a Cuba di missili sovietici probabilmente dotati di testate nucleari. Il Presidente aveva convocato nella famosa Sala Ovale della Casa Bianca non più di una decina fra consiglieri, generali e ministri (fra i quali, il fratello Robert, Ministro della Giustizia).

Non soltanto, il dibattito, come è confermato da tutti i resoconti, era intenso e aspro, ma nessuno dei partecipanti mostrava alcun timore reverenziale nei confronti del Presidente. Anzi, in più occasioni il Presidente veniva criticato, ovviamente con la proposizione di argomenti contrari alla sua posizione e con motivazioni specifiche. Alla fine, toccò al Presidente prendere la decisione, «chiamando» quello che poteva anche non essere un bluff sovietico e Kruscev decise di ritirare i missili.

Qual'è la parte istruttiva del film Tredici giorni? In primo luogo che i grandi leader non si circondano di «yes men», ma di consiglieri la cui autorevolezza e la cui competenza permettono loro di contraddire anche un Presidente degli Usa. In secondo luogo, che il grande leader vuole essere contraddetto per impararne di più. Se tutti gli dicessero «sì, hai ragione», le motivazioni di una decisione e la sua validità non potrebbero essere saggiate. In terzo luogo, che se una sede è decisionale, allora i partecipanti debbono essere pochi. Al di sopra di una certa soglia, probabilmente dieci o dodici partecipanti, la procedura decisionale diventa farraginosa, confusa, poco produttiva. Anche il cosiddetto «inner Cabinet» inglese, vero luogo decisionale, ha per l'appunto un basso numero di partecipanti. Infine, la decisione è formulata e presa dal capo dell'esecutivo.

Qualche lettore si chiederà dove va a parare questa narrazione che non è soltanto una premessa. Anzitutto, intende essere una critica, nient'affatto sommessa, ma esplicita, ai riti dell'attuale governo italiano (i precedenti li ho criticati a tempo debito) celebrati in incontri pletorici quasi che il coinvolgimento di tutti possa portare a decisioni migliori o, quantomeno, disinneschi i dissensi. No, le decisioni troppo negoziate non sono affatto migliori e, quanto ai dissensi, quando la riunione non è neppure ancora terminata, i dissenzienti hanno già trovato modo di rilasciare dichiarazioni alle radio e, preferibilmente, con buona pace delle serie parole del Presidente Napolitano, alle televisioni nel tentativo, spesso coronato da successo, di comparire nei telegiornali.

Naturalmente, conosco anche la replica alla mia critica. La coalizione di governo è ampia, oh, yes, e composita. Bisogna tenere conto di tutti i punti di vista. D'altronde, è lo stesso schieramento sociale del centro-sinistra che si esprime in una molteplicità di rappresentanti. Dulcis in fundo, se poi Prodi si definisce «assistente sociale» della sua maggioranza, non c'è più nulla da paragonare a processi decisionali anglosassoni, ma neppure, per non andare troppo lontano, francesi. Si aggiunga che, per coinvolgere un po' tutti, non soltanto ci sono all'incirca, poco più poco meno, 35 mila candidati all'Assemblea Costituente del Partito Democratico, ma l'Assemblea che, dunque, non potrà essere che molto marginalmente una sede decisionale, se non per linee estremamente semplificatorie, avrà duemilacinquecento componenti. Certamente, un grande esperimento di massa, la cui qualità dovrebbe essere freddamente valutata in seguito, e per fortuna che il segretario del Partito democratico, se ottiene almeno il 50 per cento dei voti di tutti coloro che si recheranno alle urne il 14 ottobre, sarà eletto direttamente.

Il fatto è che la sinistra, al governo e nel paese, non riesce a sfuggire alla tentazione di rappresentare la frammentazione (ma il rispecchiamento non è mai rappresentanza) e non riesce ad approdare a due lidi molto raccomandabili: la competizione e la decisione. Si ha vera competizione quando tutti «corrono» senza reti di sicurezza, ad esempio, non si fanno cooptare come capolista in liste bloccate, dopo avere proposto e promesso «primarie sempre» e teorizzato la «contendibilità» di tutte le cariche. Si ha competizione quando chi perde esce, almeno per un giro, senza necessariamente, se davvero fa politica per passione, uscire dal giro. Quanto alla decisione, chi è a capo di un governo (o di un partito) ha l'onere e l'onore di prendere le decisioni, certamente dopo avere ascoltato, ma non necessariamente ceduto in maniera tale da produrre soltanto decisioni di minimo comune denominatore.

La decisione guarda avanti.

È una sintesi proiettata nel futuro, ma, naturalmente, può essere riformata a ragione veduta. Se, come il Ministro Bersani ha dichiarato fin troppe volte, la politica ha una marcia in meno della società (a mio parere, non sempre e non dappertutto, neppure nel Nord!)) e nel distacco si manifestano e proliferano i germi dell'antipolitica, allora è chiaro che vertici di governo, per di più allargati, non sono mai uno strumento che aumenti la velocità della politica. Anzi, sembrano fatti apposta per confermare le critiche politiche e antipolitiche. E quando la politica non è la soluzione dei problemi di un paese, della sua spesso frammentata, autoreferenziale e egoista società, diventa rapidamente un problema per quella società e per le opportunità di costruire una buona politica. Semplificare e rendere trasparente è possibile, a cominciare dai vertici. Forse, adesso, è addirittura indispensabile.

 

 


Il Corriere della Sera 27-9-2007 È il partito più grande d'Italia Pensione a rischio per 400, ecco il «partito anti urne». Previdenza in gioco per gli onorevoli al primo mandato se la legislatura non arriva all’ottobre 2008. Lorenzo Salvia

 

 

ROMA — È il partito più grande d’Italia. Non ha un nome ufficiale e nemmeno sezioni sparse ai quattro angoli del Paese. Ma in Parlamento può contare su quasi 400 (inconsapevoli) iscritti. Sono i deputati e i senatori al primo mandato, mai eletti prima. Debuttanti. Per loro il giorno x è a metà ottobre 2008: se allora saranno ancora in sella avranno diritto alla pensione da parlamentare. Se invece si dovesse andare al voto prima, nisba, nemmeno un euro per rendere più lieve la vecchiaia. Una tentazione trasversale per evitare elezioni troppo anticipate? Caso concreto, cominciando dall’opposizione che rischia pure il conflitto d’interessi tra politica e portafoglio.

Metà novembre, voto in bilico al Senato, la Cdl può riuscire nella spallata. Senatore Mario Baldassarri, sceglie il tasto rosso che fa cadere il governo oppure ripiega sul tasto verde che tiene in piedi la sua pensione e il governo? «Per carità —ride l’ex ministro di An—cada Prodi e pure la pensione. Nessun dubbio. Tanto io l’ho già maturata come professore universitario». Negano tutti, certo. Ed è forse esagerato pensare al Papp (Partito Aspiranti Pensionati Parlamentari) come ad una misteriosa Spectre capace di influenzare i destini d’Italia.

Ma è comunque una variabile della formula che potrebbe riportarci alle urne prima del previsto. Nella maggioranza dovrebbe essere tutto più facile. Antonio Polito (Ulivo) lo spiega con una battuta: «È un motivo in più per augurare lunga vita al governo Prodi. Meglio qualche euro in più che qualche euro in meno. Ma se uno si fa i conti in tasca non è che poi ci sia tutta questa differenza». Ecco, i conti in tasca. Dopo due anni, sei mesi e un giorno di lavoro alla Camera o al Senato (calcolati dal giorno della proclamazione) l’assegno è intorno ai 2.500 euro lordi al mese. Non si prendono subito ma una volta compiuti 65 anni. Forse troppo in là per far cadere in tentazione i giovani.

E infatti non bastano a convincere chi, eletto con l’Unione e di poco sopra i 30 anni, è deluso dal governo. «Per me — dice Francesco Caruso, Rifondazione — possiamo votare pure domani. Chi se ne frega della pensione se dobbiamo stare qui ad aspettare i ricatti di Lamberto Dini ». «La legislatura — concorda Daniele Capezzone, Rosa nel pugno — è già arrivata all’accanimento terapeutico. Spero che nessuno pensi di vivacchiare un annetto per qualche spicciolo in più». Cadono tutti dalle nuvole. Come l’ex soubrette Mara Carfagna, Forza Italia: «Chissà cosa farò quando avrò 65 anni... io non ho deciso di far politica per soldi maper passione, per contribuire all’interesse nazionale».

Nessuna intesa sotterranea, nessuna riunione carbonara, nessun ammiccamento quando in Transatlantico gli iscritti al Papp incrociano gli sguardi? Giulia Bongiorno (An) rispolvera il linguaggio delle sue arringhe migliori: «Se qualcuno dovesse porre in essere condotte finalizzate a tenere in vita il governo solo per una propria soddisfazione economica... » Cosa accadrebbe, avvocato? «Ci troveremmo davanti ad un comportamento se non penalmente rilevante di sicuro moralmente rilevante». E niente clemenza della corte. Il punto è che molti dei debuttanti hanno già un lavoro alle spalle. Nicola Buccico: «Se volevo guadagnare di più, continuavo a fare l’avvocato. E poi la pensione già ce l’ho come consigliere regionale. Faccio pure il sindaco, senza indennità. Domani, dopodomani, votiamo quando volete».

Fernando Rossi, l’ex Pdci che con il suo non voto contribuì a mettere in crisi il governo: «Tra poco maturo la pensione da impiegato regionale. Lunga vita a Prodi, ma non per i soldi: dopo di lui chiunque sarà peggiore». Sergio De Gregorio, l’ex dipietrista passato con la Cdl, dopo una vita fra tv e quotidiani: «La pensione e la cassa sanitaria dei giornalisti sono meglio di questa. Nun me ne po’ frega’ de meno». Chi è giovane vede il traguardo troppo lontano, chi è più grandicello magari una pensione ce l’ha già. Ma, allora, il problema non esiste? Paola Binetti esce dall’Aula del Senato e ci pensa su: «Io non mi sento di escludere che qualcuno il pensierino ce lo faccia. Ma la soluzione è proprio questa: basta con i politici di professione, tutti i parlamentari dovrebbero venire dal mondo normale, quello di chi lavora. A quel punto le pensioni dei parlamentari le potremmo anche abolire».

27 settembre 2007


La Repubblica 26-9-2007 Secondo la Cassazione, occupare case popolari non sempre è reato Cassazione: "Se si è veramente poveri occupare case popolari non è reato". Ribaltati i verdetti di condanna emessi nei confronti di una donna sola e con figlio a carico. "Non è perseguibile chi agisce sotto l'effetto di un vero stato di indigenza". Ferrero e la Bindi: "Il Piano casa nella prossima Finanziaria". La Lega: "Siamo agli espropri proletari"

ROMA - Occupare case popolari non sempre è reato, secondo la Cassazione. La casa è un bene primario come la vita o la salute, scrivono i giudici. Quindi non c'è reato se si agisce in uno stato di "reale indigenza". La suprema Corte ha accolto il ricorso di una 38enne romana, sola e con un figlio a carico, condannata dal Tribunale e dalla Corte d'appello di Roma per il reato di occupazione abusiva di un immobile di proprietà dell'Iacp.

Scrive il relatore Pietro Zappia: "Rientrano nel concetto di danno grave alla persona non solo la lesione della vita o dell'integrità fisica, ma anche quelle situazioni che attentano alla sfera dei diritti fondamentali della persona, secondo la previsione contenuta
nell'articolo 2 della Costituzione", quello che garantisce i diritti inviolabili dell'uomo.

La Corte d'appello, "colpevole" di non aver svolto un'indagine sufficiente per verificare lo stato di necessità lamentato dalla donna, dovrà dunque riesaminare il caso.

La donna era stata condannata dal Tribunale della capitale a 600 euro di multa, pena confermata dalla Corte d'appello nel dicembre scorso. Il pronunciamento della Cassazione congela il verdetto e rimanda alla corte di secondo grado il procedimento suggerendo ai giudici d'Appello di verificare, con "una più attenta e penetrante indagine giudiziaria", lo stato di povertà della ricorrente.

Per i giudici della Cassazione, il "diritto all'abitazione" merita di essere annoverato tra i diritti fondamentali della persona. Spiega la Seconda sezione penale di piazza Cavour: "Rientrano nel concetto di danno grave alla persona anche quelle situazioni che attentano alla sfera dei diritti fondamentali della persona e l'esigenza di un alloggio rientra fra i bisogni primari della persona".

Il pronunciamento della Suprema Corte ha spaccato il mondo politico. Esulta la sinistra radicale. "La sentenza fissa un punto fermo di grande civiltà nei diritti sociali delle persone", ha dichiarato il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, per il quale "il diritto primario all'abitazione non può ritenersi subordinato al diritto di proprietà". Le conseguenze politiche sono inevitabili. "La prossima Finanziaria dovrà definire le risorse per un nuovo Piano casa", dice l'esponente di Rifondazione. Il collega di partito Francesco Caruso si spinge ancora più in là: "Ci vuole un provvedimento che legalizzi le occupazioni di case". Secondo il deputato no global, a determinate condizioni, ossia in caso di "abitazioni sfitte da oltre 2 anni e di situazione di indegenza economica degli occupanti", devono essere riconosciute "le pratiche di riappropriazione dal basso del diritto alla casa". Anche il verde Paolo Cento, sottosegretario all'Economia, plaude alla decisione della Cassazione e parla di "sentenza di civiltà".

Per il ministro della Famiglia, Rosy Bindi, è stato confermato che "quello alla casa è uno dei diritti fondamentali della persona". La ricetta del candidato alla leadership del Pd è chiara: "Bisogna incentivare l'edilizia pubblica, far emergere il sommerso, grazie alla fiscalità, e aumentare la disponibilità della abitazioni in affitto". Insomma, per la Bindi, come per Ferrero, "il Piano casa non potrà che essere uno degli elementi qualificanti della prossima Finanziaria''.

I commenti del centrodestra sono di segno opposto. "Esiste ancora la proprietà privata?", si chiede la portavoce di Forza Italia, Elisabetta Gardini. Per la collega di partito Isabella Bertolini "occupare abusivamente case è un reato grave, senza se e senza ma". Ragione per cui "l'Italia è da oggi un Paese meno civile". Per il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, "la sentenza della Cassazione tutela l'illegalità". La Lega, per bocca di Massimo Garavaglia, capogruppo nella Commissione Bilancio della Camera, non ha dubbi: "Siamo agli espropri proletari".

(26 settembre 2007)

 


La Stampa 26-9-2007 Aumenta la benzina e il Consiglio regionale ritocca i rimborsi Palazzo Lascaris: il conto si fa più salato. Tariffa a 0,503 cent, 560 euro in più all’anno MAURIZIO TROPEANO

TORINO
Due volte l’anno, il 1° gennaio e il 1° di luglio, scatta l’adeguamento automatico dei rimborsi chilometri per i consiglieri e gli assessori regionali. Un aumento che tiene conto delle variazioni di una serie di parametri usati dall’Automobile Club tra cui anche il costo della benzina. Adeguamenti minimi che però fanno la differenza. E centesimo dopo centesimo portano a 560 euro in più all’anno per i consiglieri che vivono a Torino e che per legge hanno diritto ad un forfait che comprende 8 presenze fisse e 3000 chilometri di percorso.

Per i consiglieri che risiedono fuori Torino l’entità dell’aumento è legata alla distanza dall’abitazione di residenza alla sede del Consiglio regionale. L’assemblea di Palazzo Lascaris riconosce un contributo di 0,503 centesimi, due in più di quelli erogati nel 2006. I calcoli sono presto fatti. Chi percorre cento chilometri al giorno avrà diritto a due euro in più; chi ne fa 150 a tre e via salendo. Tutto legittimo, naturalmente. E tutto in automatico visto appunto che le modifiche al testo della legge regionale che regola indennità e rimborsi prevede appunto di adeguare due volte l’anno con un criterio che mette insieme i parametri dell’Aci e il costo di esercizio medio di quattro tipi di modelli di vetture della categoria D.

Praticamente tutti i Consigli regionali ad eccezione della Liguria riconoscono un rimborso delle spese di trasporto. Non esiste un unico criterio e le modalità di contributo alle spese è deciso in maniera autonoma dalle singole assemblee legislative. La Lombardia, ad esempio, riconosce un forfait calcolato sulla base di due parametri: percorrenza e costo chilometrico equivalente ad 1/4 del prezzo medio della benzina. Un consigliere regionale della Lombardia che percorre 40 chilometri per raggiungere la sede assembleare e ci va per 18 giorni si becca 235,449 euro. Il Consiglio regionale della Sardegna ha previsto per chi risiede a più di 35 chilometri da Cagliari di riconoscere un rimborso pari al 40% del prezzo della benzina verde per un’andata e ritorno alla settimana.

Il prossimo aumento del rimborso chilometri scatterà a gennaio. Difficile ipotizzare che i consiglieri scelgano di autocancellarsi l’adeguamento automatico di rimborsi e indennità. «Inutile fare annunci», spiegava nei mesi scorsi il presidente del Consiglio regionale, Davide Gariglio. E così l’intesa si potrebbe trovare su un dossier per rendere più trasparenti le regole per l’assegnazione dei gettoni di presenza e dei rimborsi spese. Tra le proposte ci sarà quella dell’introduzione del sistema della doppia firma ad inizio e fine della seduta di Consiglio e/o di commissione. Adesso, invece, ne basta solo una. Il gettone, poi, non sarà erogato nel caso di partecipazione dei consiglieri ad attività esterne come, ad esempio la partecipazione alla cerimonia del Grinzane Cavour a ad un convegno sugli Ogm in provincia di Cuneo.


 

 

Europa 27-9-2007 Finalmente una polemica per un “nudo” che può aiutare anoressici e società  FEDERICO ORLANDO RISPONDE

http://www.europaquotidiano.it/site/images/transparent.gif

Cara Europa, spero che almeno questa volta, il tragico nudo femminile, che appare in quei giganteschi manifesti che sono affissi sui muri di tutte le nostre città, dopo essersi affacciato nelle pagine di tanti giornali, possa essere accolto, a destra e a manca, senza polemiche.
Non si tratta di pubblicità, ma di combattere una gravissima malattia, quale è l’anoressia, checché ne dicano psichiatri e associazioni di parenti, che mi sembano preoccupati più della forma che della sostanza.
GISELLA SORDI, ROMA

 

Cara signora, condivido interamente quel che scrive. La “pubblicità scandalo” dell’anoressica Isabelle Caro, 27 anni, che posa nuda mostrando il suo corpo devastato, le sue forme ridotte a esangui membrane o poco più, è stata una geniale idea, che ha trovato consensi che contano: da Oliviero Toscani, che l’ha definita «Una sorta di Urlo di Munch contro l’anoressia», al ministro della salute Livia Turco, che, purtroppo, parlando politichese, com’è condanna dei politici, ha detto che l’anoressia è una «malattia ‘multifattoriale’, perché può colpire chiunque di ogni ceto sociale».
Certo, preferiremmo una più chiara lingua italiana da chi rappresenta il popolo italiano; così come vorremmo vedere solo immagini di donne e uomini in salute, come quella di Elisabetta Canalis col telefonino, che tanta pruderie suscitò in un giornale britannico la scorsa estate fino ad aver indotto a qualche conformismo alcune aziende e la Rai.
Scontato il coro polemico di associazioni di familiari e di psicosessuologi, preoccupati di possibili effetti negativi dell’immagine su altri anoressici (non sapevamo che essi diventassero esibizionisti dei loro corpi, convinti di averne ottenuto, attraverso la devastazione, il miglioramento).
Ma, anche se c’è qualche fondamento in questa tesi, ci uniamo ad altre voci fuori coro, come quella della sessuologa clinica Marinella Cozzolino, che dice «Quella foto andava fatta. È arrivato il momento di far vedere. Molte famiglie non vogliono aprire gli occhi e, con loro, tante adolescenti. I giovani non riescono a ipotizzare cosa potrebbe accadere. Chi pensa di gareggiare con Isabelle sta già talmente male che non è certo quella foto ad aggravare la situazione».
E lei, Isabelle, che dice? «Quindici anni di calvario – dice –. Mi sono nascosta e coperta per troppo tempo, adesso voglio mostrarmi senza paura anche se so che il mio corpo ripugna. Le sofferenze fisiche e psicologiche che ho subito hanno un senso solo se possono essere d’aiuto a chi è caduto nella trappola da cui io sto cercando di uscire».
Che si può dire di meglio? Soltanto grazie Isabelle, e auguri di diventare presto anche tu come Elisabetta Canalis, e magari tornare sui muri delle città e nelle pagine dei giornali a fare scandalo per la troppa grazia piuttosto che per il troppo squallore. Grazie per un atto di coraggio civile che, pruderie o non pruderie, aiuterà a fare un po’ di bene: anche nel mondo della moda (ci vorrebbe Zapatero anche in Italia) e delle ragazze dei vari premi e concorsi.
A cominciare da quello di Miss Italia, le cui partecipanti fanno bene a ribellarsi a chi vuole fotografarne il fondoschiena, e altrettanto bene faranno a conservarselo.

http://www.europaquotidiano.it/site/images/transparent.gif


 

 

INDICE 26-9-2007

 

++  Il Sole 24 Ore 26-9-2007 Rischio di corruzione privata per manager e revisori 1

++  La Repubblica 26-9-2007 Finanziaria, tagli alle spese per 4,6 miliardi di euro  2

+  Il Sole 24 ore 26-9-2007 26 settembre 2007 La prima Finanziaria di Sarkozy: «sforbiciata» a più di 22mila funzionari pubblici 2

+  La Stampa 26-9-2007 Ma è già nata l'oligarchia dei grillanti Liti e scomuniche: come in un partito JACOPO IACOBONI 2

+  La Repubblica 26-9-2007 Il retroscena Effetto Grillo, l'Unione perde punti Nei sondaggi «danni» per tutti i partiti. Solo l'ex pm guadagna. Francesco Verderami 3

Il Corriere della Sera 26-9-20007 Le aperture di Fassino e le scelte del Pd La spesa pubblica non aiuta i deboli di  Francesco Giavazzi 4

Europa 26-9-2007 Le mezze verità non giovano né alla politica né all’etica sociale FEDERICO ORLANDO RISPONDE  6

Toscanatv.com Abolire le province per ridurre costi della politica 24/09/2007 – I costi della politica sono troppo alti? allora aboliamo le province e non le comunita' montane. 6

Padovanews.it 25-9-2007 Stasera il confronto con imprese e politici a Campodarsego "La Casta": 600 imprenditori padovani "in fila" per Gian Antonio Stella  7

L’Unità 26-9-2007 La ghigliottina contro "La casta" piace su Virgilio  8

Il Sole 24 Ore 25-9-2007 Il presidente Prato: «Alitalia è in stato comatoso, ma nessuno ne prende atto»  8

Il Riformista 26-9-2007 Sui talebani Londra apre al modello Fassino di Mauro Bottarelli 10

Libertà 26-9-2007 Ma dov'è la bolla speculativa? Francesco Arcucci . 11

 


++  Il Sole 24 Ore 26-9-2007 Rischio di corruzione privata per manager e revisori

 

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Foto/Speciali/Sole24Ore/bottone_x%20pagina_link.gif

Il testo della Comunitaria 2007

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Foto/Speciali/Sole24Ore/bottone_x%20pagina_link.gif

Gli emendamenti

 

La Comunitaria 2007 taglia il traguardo del Senato. Il provvedimento che recepisce 16 direttive e quattro decisioni quadro passa ora all'esame della Camera. Senza l'articolo 8, contenente le disposizioni su Cip 6 che approderanno in Finanziaria. Molte le novità: si va dalla moltiplicazione delle informazioni contabili al recpeimento delle regole comunitarie in materia di Iva alla possibilità di introdurre nel nostro ordinamento la fattispecie di corruzione del privato che punta a sanzionare il comportamento di manager, sindaci e revisori che incassano tangenti.


++  La Repubblica 26-9-2007 Finanziaria, tagli alle spese per 4,6 miliardi di euro

ROMA - La finanziaria per il 2008 sarà di 10,7 miliardi di cui 4,6 miliardi di tagli. Secondo quanto si apprende, il Governo varerà venerdì prossimo anche un decreto legge da 7,5 miliardi. Secondo indiscrezioni, dei 10,7 miliardi circa 6 mld arriverebbero dalle entrate - grazie al maggior gettito fiscale - e 4,6 miliardi da risparmi di spesa. In particolare, dalla Pubblica amministrazione sarebbero attesi circa 300 milioni di risparmi, e oltre 400 mln dagli enti di previdenza. Per la casa, gli interventi sarebbero nell'ordine di due miliardi, mentre altri due andrebbero al pubblico impiego in particolare per finanziare contratti già stipulati. Al welfare e a misure di protezione sociale verrebbero invece destinati circa 2 miliardi. Quanto invece al decreto legge, il provvedimento destinerebbe in particolare 2,9 miliardi alle Fs e circa 600 milioni all'Anas. Circa 1 miliardo andrebbe invece ad alcuni interventi per la mobilità a Roma e Napoli. Nel provvedimento, figurerebbero anche interventi di carattere sociale per oltre 1 miliardo.
(26 settembre 2007)


+  Il Sole 24 ore 26-9-2007 26 settembre 2007 La prima Finanziaria di Sarkozy: «sforbiciata» a più di 22mila funzionari pubblici

Il Governo del presidente francese Nicolas Sarkozy ha presentato la sua prima Legge finanziaria, che per il 2008 si pone il duplice obiettivo di rilanciare la crescita economica, facendo leva su misure fiscali, e tenere sotto controllo la crescita del disavanzo di bilancio, che anzi viene previsto in lieve calo. Nel 2008 in base al documento, il rapporto deficit-Pil dovrebbe risultare del 2,3%, un decimo di punto in meno rispetto al valore che dovrebbe raggiungere quest'anno. Per quest'anno 2008 l'Esecutivo francese ha confermato la previsione di una crescita economica tra il 2 e il 2,5%, sebbene nell'anno in corso dovrebbe attestarsi in prossimità della soglia minima indicata.

Il progetto rivela tagli superiori alle attese per la Pubblica amministrazione transalpina: nel 2008 non verranno sostituiti 22.921 tra i funzionari pubblici che andranno in pensione. Il taglio, secondo il documento, consentirà di ridurre le spese per 458 milioni di euro. Ieri, martedì 25 settembre, il primo ministro François Fillon ha presentato ai parlamentari dell'Ump parte del documento che è stato adesso formalizzato dal Consiglio dei ministri. Accanto alle misure per il contenimento della spesa, per rilanciare la crescita economica è stato inserito un "pacchetto fiscale" che prevede un taglio complessivo da 10 miliardi di euro sulle tasse. Il taglio fiscale toccherà diverse voci, tra cui le ore di lavoro straordinario, gli interessi sulle rate dei mutui e le imposte di successione.


+  La Stampa 26-9-2007 Ma è già nata l'oligarchia dei grillanti Liti e scomuniche: come in un partito JACOPO IACOBONI

 

E su, ci vorrebbe anche un «vaffa» autoironico, che Beppe Grillo si alzasse e urlasse «not in my name», non vi scannate tra voi a nome mio. Ecco, e sia scusata visto il tema la franchezza: quand’è che Grillo manderà affanculo anche i custodi dell’ortodossia del V-day?

Già perché fa un po’ ridere quel che sta capitando nel mondo dei fan di Beppe, i grillanti già si dividono e litigano, un’aristocrazia che si sente legittimata direttamente dal comico attacca quelli che invece usurperebbero il marchio “V” come se fosse il simbolo di una Udeur qualsiasi; oltretutto è probabile che tutto accada malgré Beppe, come spesso succede a chi ha fatto detonare una bomba, e non può sapere quante schegge ci saranno, e se colpiranno i bersagli voluti oppure no. Lunedì un gruppo di fan del comico ha creato un falso blog di Casini in cui l’ex presidente della Camera assicurava di esser pronto a entrare a Palazzo Chigi, stampellando la maggioranza.

Per un po’ qualcuno c’ha creduto - sorpreso semmai che Casini lo dicesse. I giornali l’hanno riportato. Anche Pier ne è venuto a conoscenza, e ha querelato i burloni. Tutto normale, «ce l’aspettavamo», dicono adesso questi grillanti di serie B; perché esistono, si scopre ora, quelli di serie A, gli oligarchi o i sacerdoti del verbo: che ieri li hanno scomunicati un po’ come si faceva a Campo de’ Fiori.

Ricordate? Una delle trovate più sussiegose seguite al V-Day è stata l’idea di marcare con un bollino i meet-up autentici, i comitati di grillanti di origine controllata. Parve fin da subito idea meno travolgente della raffica di vaffa che ci aveva fatto sganasciare a Bologna, qualunque cosa pensassimo delle accuse di populismo rivolte al comico. «All’inizio era un grande show, e almeno in parte doveva restare così», dice uno dei grillanti di serie B, tra gli autori della burla ai danni di Casini. Ma siamo tutti così seri, in Italia...

E Casini, querelando, non è neanche stato quello che s’è arrabbiato di più; a prendersela davvero sono stati i grillanti che «siamo noi i veri grillanti», quelli della purezza tradita, che già vedono la Forza originaria dell’Idea sbiadire in un «cazzeggio demenziale» (parole loro). Ma non era nato tutto appunto dal «cazzeggio»? E quand’è il momento della vita (o della storia) in cui si diventa irrimediabilmente seriosi? I grillanti di serie A l’hanno doppiato alla velocità della luce se accusano gli altri con toni così, «siete dei c..., se volete prendere iniziative personali (e ovviamente potete), non nascondetevi dietro il simbolo del V-day! Cosa c’entra il V-day, scusate?».

Qualcuno ha difeso i reprobi, «non cadiamo in errore, dare una forma al V-day significa dare la possibilità di minarlo e strumentalizzarlo»; ciononostante il peso degli insulti è stato così forte da indurre i falsari a un classico alla Giordano Bruno: le scuse sulla pubblica piazza (la Rete, stavolta). «Su richiesta di molti abbiamo tolto il simbolo del V-day. Con tutti i problemi che ora abbiamo non vogliamo scatenarci contro anche 300 mila persone (delle quali abbiamo fatto parte anche noi), per carità. Certo è che non ci aspettavamo che la V fosse diventata più sacra della Madonna di Loreto.

Non sapevamo che ci fossero dei sacerdoti custodi del pensiero puro». Pensavano che la protesta potesse declinarsi in diverse forme, che non ci fosse un canone, un vangelo sacro della contestazione. «Non avevamo capito che Grillo fosse diventato un guru e che ci fossero degli adepti superortodossi da non offendere, non ci eravamo accorti che ne fosse nata una nuova religione. Eppure ci era sembrato che lo stesso Beppe avesse fatto capire più di una volta che “sta storia del guru è una c...”».

Come i fratelli grillanti, anche i fratellastri sono ragazzi con parecchio tempo libero nella giornata; ma sono poi colti, autoironici, raffinati, colpe insopportabili in ogni transizione dalla rivoluzione al termidoro. Il loro portavoce, scusandosi di aver turbato gli ortodossi, sul blog si firma Diadorim Riobaldo, unendo i nomi di due personaggi del «Grande Sertão», il romanzo di João Guimarães Rosa, storia di briganti, di uomini in guerra, di donne inafferrabili; storia di un ex bandito, Riobaldo, narrata da lui stesso a un dottore silenzioso in viaggio nel Sertão. Un ex bandito? Coi grillanti? Era chiaro che non gli avrebbero dato il bollino chiquita.


+  La Repubblica 26-9-2007 Il retroscena Effetto Grillo, l'Unione perde punti Nei sondaggi «danni» per tutti i partiti. Solo l'ex pm guadagna. Francesco Verderami

 

ROMA — Il «vaffa-clima» è come uno tsunami dopo il terremoto. Si abbatte sul governo e sul centrosinistra con una tale furia da suscitare un vero e proprio «allarme democratico » a Palazzo Chigi, al Campidoglio e in quasi tutti i partiti dell'Unione. Perché dopo l'offensiva mediatica di Grillo i timori si sono tramutati in certezze, e i dati dei sondaggi riservati in mano ai leader stanno a dimostrarlo. In una settimana il centrosinistra ha ceduto quasi un punto e mezzo, perdendo quanto aveva faticosamente recuperato da luglio: oggi la coalizione vale appena il 42,1%. E ciò che l'Unione perde lo guadagna il Polo, che solo due settimane fa aveva preso una china molto negativa, cedendo quasi due punti percentuali. Ora è tornato a salire, e dal 54,8% di consensi è arrivato al 56,1%.

Il motivo di questa inversione di tendenza è spiegato nel «commento » a corredo dei dati demoscopici, elaborati da un'importante società di ricerca: l'opposizione «mostra un significativo recupero» rispetto a sette giorni fa, e gli analisti ritengono sia dovuto con ogni probabilità «alle polemiche sorte dopo la performance di Grillo che hanno coinvolto soprattutto il governo Prodi».


Nell'Unione nessuno (o quasi) si salva dall'«uragano Beppe». Perde mezzo punto il Partito democratico, ora al 26,2%, e perdono in blocco tutte le forze della Sinistra: il Prc (che scende dal 7,3 al 6,7%); i Verdi (dal 2,2 al 2,1%); e il Pdci (dall'1,5 all' 1,3%). L'unico a reggere è Di Pietro, passato dal 2,8 al 2,9% grazie a una strategia mediatica che in sequenza l'ha portato a chiedere prima «un passo indietro» di Prodi, poi la «riduzione dei ministeri», e ora di fatto le dimissioni del viceministro Vincenzo Visco. E poco importa all'ex pm se gli alleati sono furibondi, lui sa e dice che «nella piazza di Bologna c'era anche il mio elettorato». Perciò lo vellica.
Si era capito che il comico stava diventando una «variabile politica». Ora ce n'è la conferma. E se il «fattore G» viene temuto nell'Unione, è invece vezzeggiato da Berlusconi, perché «Grillo ci aiuta», «Grillo ci fa bene », dice il Cavaliere dati alla mano: a beneficiarne sono infatti Forza Italia (che dal 28,9 sale al 29,3%), An (dal 15,4 al 15,8%) e la Lega (dal 5 al 5,3%). Soltanto l'Udc scende ancora di due decimali, al 4,6%. L'ex premier era convinto che il fenomeno Grillo non l'avrebbe danneggiato, e ne ha spiegato i motivi ai suoi: «Anche se sono sceso in campo tredici anni fa, la mia immagine è diversa da quella dei politici di professione. La gente mi vede come un imprenditore, un editore e un presidente di una squadra di calcio vincente».


Insomma, il «vaffa-clima» ha reso euforico Berlusconi, e non perché il comico abbia spostato consensi dall'Unione al Polo, ma perché — come dice il capo del Pri Nucara — «con le sue sparate ha alimentato l'astensionismo nel centrosinistra». I dati sono impressionanti: oggi il partito del non voto è al 33,2%, ed è in aumento.
De Mita non ha letto i sondaggi, non ne ha bisogno per capire che «siamo arrivati al momento decisivo. Ma non solo per Prodi e il suo governo, che sono in effetti al capolinea. Il redde rationem sta arrivando per tutti. Il clima è quello del '92, e spero non si ripeta l'errore di allora, quando ci fu chi ritenne che bastava dare in pasto Craxi per salvarsi. No, oggi come allora non si salverebbe nessuno». Nell'Unione la crisi è data per scontata, «bisogna capire se avviene in ottobre o a gennaio », sussurra un dirigente dell'Ulivo: «Nel primo caso si va a un governo tecnico. Nel secondo al voto».


Ma qual è la soluzione auspicata da Veltroni? De Mita racconta che «il progetto di Walter passa per un cambio di assetto. Solo che gli manca l'innesco per accendere la miccia ». In modo più prosaico ne parlavano ieri alla Camera il sottosegretario verde Cento e il forzista Bruno. Cento: «Vedrai che dopo il 14 ottobre Veltroni porrà una questione a Prodi: pochi ministri, un paio di riforme e poi al voto». Bruno: «Quando? ». «Nel 2009». «Vabbè, se dobbiamo andare alle urne fra due anni, ci troviamo un altro interlocutore, chessò Marini. E Veltroni aspetta fuori dalla porta». «Se andrà a votare tanta gente, sarai lui il vostro interlocutore ». «Ma il Pd quanto varrà? Perderà sul territorio pezzi dei Ds e dei Dl, quelli incazzati perché sono rimasti esclusi». «Non sarà così». «E comunque, Berlusconi è convinto di votare nel 2008».


Talmente convinto che ha avviato la macchina organizzativa. E come in tutte le altre sue campagne elettorali è pronto a rilanciare il tema «dell'anticomunismo». Non a caso tra le iniziative ha previsto una «festa» per il 9 novembre, anniversario della caduta del Muro di Berlino, da celebrare in tutti i capoluoghi di regione, che saranno collegati fra loro con un sistema video. Berlusconi ha illustrato il progetto ai responsabili di partito la scorsa settimana: «Da Milano a Palermo, bisogna far capire chi siamo noi e chi sono loro. Per esempio, tutti questi sindaci che se la prendono con i lavavetri e parlano di tolleranza zero, cercano di copiarci. La gente deve sapere che sono dei post comunisti ». Basterà questa strategia per battere Veltroni?

26 settembre 2007


Il Corriere della Sera 26-9-20007 Le aperture di Fassino e le scelte del Pd La spesa pubblica non aiuta i deboli di  Francesco Giavazzi

 

 

L'intervista al segretario dei Ds Piero Fassino, pubblicata l'altro ieri dal Corriere, è un modo concreto per rispondere alla sfiducia crescente che i cittadini dimostrano verso la classe politica. Le parole di Fassino sono coraggiose: «L'Italia è frenata da un asse trasversale e conservatore. Quella destra che ha ingenerato la paura dell'Europa, dell'euro, di un mercato aperto. Ma anche a sinistra si fa fatica a capire che se è giusto essere contro la precarietà, è invece sbagliato rifiutare una flessibilità connaturata a un mercato non più racchiuso nei confini nazionali ».

«La sola parola "merito" in Italia è ancora tabù. La sinistra ha sempre pensato che il merito fosse un trucco dei ricchi per fregare i poveri, non capendo che è esattamente il contrario. È grazie al merito, al talento che il povero può annullare le differenze sociali e avere le stesse opportunità ». «La sinistra ha sempre difeso i deboli: chi è più debole se perde quel poco che ha è privo di tutto. Comprensibile una reazione istintiva di difesa che però rischia di essere velleitaria e perdente. Non è arroccandosi che si ottengono maggiori certezze». Perfetto. Ma sono disposti Piero Fassino e il Pd a tradurre queste affermazioni coraggiose in decisioni coerenti, a cominciare dalla prossima Legge finanziaria? Ecco alcuni problemi concreti. È sempre più evidente che la spesa pubblica concertata fra governo e sindacati non è il modo per difendere i deboli. L'aumento delle pensioni minime deciso a luglio (che pure Fassino nella sua intervista difende) ha favorito solo in piccola parte i veri poveri, cioè le famiglie degli otto milioni di pensionati che non arrivano a 750 euro al mese, l'80% dei quali non raggiunge neppure i 500 euro.

La quota principale dei soldi stanziati andrà alle famiglie dei lavoratori tipicamente iscritti ai sindacati, gli stessi che hanno beneficiato più di altri dell'abbassamento, da 60 a 58 anni, dell'età minima per andare in pensione con 35 anni di contributi. Famiglie certo non ricche, ma neppure tra le più povere del Paese. Anche l'abbassamento dell'età minima per andare in pensione è stato pagato dai meno fortunati. Nel prossimo decennio costerà circa 10 miliardi di euro. Di questi, quasi la metà verranno da un aumento dei contributi (fino a 3 punti di aliquota in più) dei parasubordinati, cioè tassando i «precari », che sono i lavoratori meno protetti. Come deve essere costruita secondo il Pd la prossima Legge finanziaria? Usando l'extra gettito fiscale per far fronte a nuove spese sociali— che ancora una volta non aiuterebbero i veri poveri —o per finanziare una negative income tax che restituisca denaro alle famiglie più bisognose? Il maggior ostacolo che priva i precari di un futuro è la rigidità dei contratti a tempo indeterminato.

L'assunzione a tempo indeterminato è oggi troppo rischiosa per il datore di lavoro e così i precari rimangono tali per sempre. A Milano due settimane fa Walter Veltroni si è detto favorevole alla proposta di un contratto unico (tutti precari all'inizio e tutele crescenti con l'anzianità), un'idea di Tito Boeri e Tiziano Treu che Nicolas Sarkozy sta cercando di realizzare in Francia. Cesare Damiano non è d'accordo: «Non sarò io il ministro che tocca l'articolo 18», ha detto in quell'incontro. Con chi sta Piero Fassino? Il sindacato non ha mai caldeggiato l'introduzione di sussidi di disoccupazione generalizzati (siamo l'unico Paese avanzato a non averli). Preferisce la cassa integrazione negoziata caso per caso, che dà al sindacato — e alle Unioni industriali — un motivo per esistere. È disposto il Pd a farne una priorità della prossima Finanziaria?

Le imprese, pubbliche e private, ricevono dallo Stato aiuti pari a circa il 2 per cento del Pil. La maggior parte va alle aziende del Mezzogiorno, ma non c'è evidenza che questa messe di fondi pubblici abbia mai aiutato quelle regioni a crescere. Il ministro Bersani propone di cancellarli tutti e trasferire quei fondi in investimenti in infrastrutture, a cominciare dall' infrastruttura più importante oggi nel Mezzogiorno, la certezza della legge e l'ordine pubblico. È disposta la sinistra di governo a imporre questa scelta in Finanziaria? Una conseguenza dell'assenza di meritocrazia è l'invecchiamento della nostra classe dirigente. Il Comitato dei 45 nominato per costituire il nuovo Partito democratico non include una sola persona sotto i 40 anni! Epensare che più di un terzo degli elettori ne ha di meno. L'età media del comitato—come hanno notato Vincenzo Galasso e Francesco Billari su la voce.info—si aggira intorno ai 57 anni: tutto il potere è concentrato nelle mani di cinquantenni e sessantenni, la generazione cui appartiene la maggioranza dei leader politici del nuovo partito.

Costoro hanno accettato di farsi aiutare da qualche «padre nobile» (due componenti del comitato hanno più di 75 anni), ma non hanno ritenuto necessario coinvolgere i ventenni o i trentenni, cioè coloro che in futuro dovranno votare per il nuovo partito. E quando si è trattato di nominare un nuovo membro del cda della Rai per «dare nuovo impulso all' azienda» come ha detto il ministro dell'Economia, la scelta è caduta su un manager di 77 anni. È questo il merito, onorevole Fassino?

26 settembre 2007

 

 

 


Europa 26-9-2007 Le mezze verità non giovano né alla politica né all’etica sociale FEDERICO ORLANDO RISPONDE

Cara Europa, leggo una strana risposta dell’ambasciatore Romano a una sua lettrice a proposito della riforma costituzionale varata dalla maggioranza di Berlusconi nella scorsa legislatura.
Romano spiega, si fa per dire, perché sarebbe stato meglio approvarla nel referendum che invece la bocciò. A me pare che in Italia tra i problemi e i cittadini si continui a giocare a gatti e topi.
ARMANDO BOSELLI, MILANO

Caro Boselli, pare anche a me, e la cosa, se non mi sorprende, mi rattrista perché vedo l’inutilità delle battaglie che da tante parti si combattono per migliorare un po’ il rapporto tra sfera pubblica (politica e non politica) e giudizio dei cittadini. Romano ricorda, giustamente, che anche la precedente riforma costituzionale, voluta dal centrosinistra e limitata ai rapporti tra Stato e Regioni secondo il Titolo V della Costituzione, fu (ed è) una riforma precaria, che ha dato vita, per mancanza di chiarezza, a un infinito contenzioso sulle competenze davanti alla Corte costituzionale: cui sia lo stato che le regioni ricorrono per aver ragione, cioè per vedersi riconosciuto un potere che dalla lettera del Titolo V ha una paternità quanto meno incerta.
Proprio da questa giustissima osservazione (sono fra quelli che, come deputato dell’Ulivo, votarono a malincuore quella riforma e mi pento di non aver fatto allora un gesto di rottura), Romano avrebbe dovuto desumere un giudizio negativo sulla riforma di Berlusconi: che non si limitava a un solo Titolo della Costituzione, ma ne riformava oltre 40 articoli, modificando l’intera architettura dello stato senza coordinamento alcuno e, soprattutto, senza alcuna misura cautelativa (contropoteri) nei confronti dei potenziali pericoli. Romano rimpiange che, cadendo quella riforma, sia caduta la possibilità di dare al presidente del consiglio i poteri che tanto invidiamo ad altri capi di governo e che, secondo l’ambasciatore, erano il contrappeso alla volontà della Lega di avere “più federalismo” rispetto a quello concesso dal Titolo V riformato.
Il rafforzamento presidenziale del premier, voluto da Fini e da Forza Italia, compensava, secondo Romano, le forze centrifughe messe in moto dal “più federalismo”.
In teoria è così. In pratica, le vicende inglesi (questione scozzese) e belga (questione fiamminghi-valloni) confermano che, una volta messo in moto il federalismo avanzato, o esso delude per i rapporti tra costi e risultati (caso inglese) o va oltre, fino alla secessione. Il rischio di veder esplodere il regno del Belgio, cui, soprattutto per l’indimenticato Henri Spaak, si deve tanto la costruzione dell’Europa, sta a confermarlo. C’è poi un altro problema: Romano dice che, dal rafforzamento dell’esecutivo, avrebbero tratto vantaggio «tutti i presidenti del consiglio italiani, di destra e di sinistra ». In teoria. In pratica, si nasconde che il presidenzialismo di Berlusconi sarebbe stato, come si disse, “a reti unificate”. Sarebbe stato, cioè, una concentrazione di potere istituzionale, politico e mediatico che avrebbe precluso a chiunque altro la possibilità di giocare la partita democratica.
Questa è la verità (non nuova) da ribadire ogni volta.
Altrimenti informiamo male i nostri concittadini. Come capita spesso agli intellettuali.


 

Toscanatv.com Abolire le province per ridurre costi della politica 24/09/2007 – I costi della politica sono troppo alti? allora aboliamo le province e non le comunita' montane.


La proposta provocazione e' della Fai toscana, la categoria cisl che associa i lavoratori dei settori agricolo, alimentare e ambientale. La proposta e' stata formulata i durante l'assemblea di categoria che si e' svolta stamani a Firenze. Il segretario toscano Fai, Giampiero Giampieri, nella sua relazione ha detto che i problemi posti dal Ddl Santagata- Lanzillotta devono far riflettere. Ci sono nuovi criteri di comunita' esclusivamente altimetrici e in Toscana quindi verrebbero declassificati 120 comuni su i 140 attuali con danni irreversibili di carattere finanziario. Si aboliscano piuttosto le province, ha continuato Giampieri, ridistribuendo le competenze tra Regione e Comuni.

 


 

Padovanews.it 25-9-2007 Stasera il confronto con imprese e politici a Campodarsego "La Casta": 600 imprenditori padovani "in fila" per Gian Antonio Stella

 

 

Sono attesi oltre 600 imprenditori padovani all’incontro-dibattito con Gian Antonio Stella che si svolgerà stasera mercoledì 26 settembre 2007 alle ore 20.30 al Centro Congressi AltaForum di Campodarsego (PD - Via Roma, 55), organizzato dalla Delegazione Camposampierese di Unindustria Padova in collaborazione con l’Associazione Anthesis (www.anthesis.org).
Insieme all’autore de “La Casta” interverranno al dibattito il presidente di Unindustria Padova, Francesco Peghin e i parlamentari padovani Antonio De Poli, Paolo Giaretta, Marino Zorzato, moderati dal giornalista Andrea Camporese. Introdurrà la serata Gianni Marcato presidente della Delegazione Camposampierese di Unindustria.

La politica come spartizione di poltrone e privilegi, ritratto di “un’oligarchia insaziabile che ha allagato l’intera società italiana”, incapace di “buon governo” e priva degli anticorpi per riformare se stessa. E’ la descrizione amara e graffiante di una certa politica proposta da Stella ne “La Casta. Così i politici italiani sono diventati intoccabili”, il dossier scritto con Sergio Rizzo, che ha raggiunto il milione di copie vendute.

Corrosivo e documentatissimo, il pamphlet di Stella ha suscitato un profondo dibattito e una sana indignazione nell’opinione pubblica, costringendo l’agenda politica a mettere al centro la riforma delle istituzioni, la lotta agli sprechi e il rinnovamento della classe dirigente. Dalle comunità montane a livello del mare alle spese del Quirinale, dagli aerei di Stato che volano 37 ore al giorno ai finanziamenti pubblici ai partiti quadruplicati nonostante il referendum che li aboliva, le storie e i dati documentati nella “Casta” offriranno lo spunto per chiedere una seria e rapida riforma della politica e delle istituzioni.

«La società e l’economia hanno bisogno di una politica rinnovata, orientata a sciogliere i nodi veri del Paese, non di una casta autoreferenziale, avulsa dai problemi reali dei cittadini e delle imprese - sottolinea il presidente della Delegazione Camposampierese di Unindustria, Gianni Marcato -. Il successo editoriale de “La Casta” misura la domanda di risposte concrete, lotta agli sprechi e alle inefficienze». Per il presidente di Unindustria Padova, Francesco Peghin, «l’indignazione e la sfiducia non sono antipolitica ma l’esatto contrario. Dietro lo sdegno sacrosanto contro gli sprechi e i costi della politica c’è in verità l’invocazione che la politica, la buona politica torni. E’ interesse dei politici seri e responsabili, che sono la maggioranza, accelerare le riforme istituzionali, correggere le disfunzioni strutturali che sono la vera causa di una spesa pubblica inefficiente e degli sprechi, correggere deviazioni o disinvolture ormai insopportabili ai cittadini. E’ così che si riattivano fiducia e credibilità».

Gian Antonio Stella, nato ad Asolo (Tv) nel 1953, è editorialista e inviato di politica, economia e costume al “Corriere della Sera”, il giornale in cui, dopo gli anni della gavetta giovanile e l’assunzione al pomeridiano “Corriere d’Informazione”, è praticamente cresciuto. Vincitore di alcuni premi giornalistici (dall’“È” assegnato da Montanelli, Biagi e Bocca al “Barzini”, dall’“Ischia” al “Saint Vincent” per la saggistica), ha scritto numerosi saggi. Tra i più noti, Schei, un reportage sul Nordest (Mondadori 2000); Dio Po, gli uomini che fecero la Padania, pamphlet sulla Lega; Lo spreco (Mondadori 2001); Chic, un viaggio ironico e feroce tra gli italiani che hanno fatto i soldi (Mondadori 2001); L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi (Rizzoli 2003); Odissee. Italiani sulle rotte del sogno (Rizzoli 2004); e il romanzo Il maestro magro (Rizzoli 2005).

(Ufficio Stampa, Studi e Relazioni Esterne Unindustria Padova)


 

L’Unità 26-9-2007 La ghigliottina contro "La casta" piace su Virgilio

 

L'immagine di una ghigliottina a corredo di un articolo dal titolo "La casta senza vergogna. I costi della politica crescono ancora", ripreso da un pezzo di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera. Il portale Virgilio, lunedì scorso, così aveva confezionato la home page delle proprie notizie. L'Unità se n'è occupata ieri, mostrando il proprio sdegno per l'accostamento, su uno dei maggiori portali italiani (legato al gruppo Telecom), della macchina usata per la pena capitale nella Francia rivoluzionaria (ma anche, in tempi recenti, per contrastare la rivolta d'Algeria) e il costo del parlamento italiano. Nel pezzo dell'Unità c'era un'imprecisione: l'articolo e la sua foto non erano scomparsi dalla home page di Virgilio. Daniela Cerrato responsabile dei contenuti del portale Alice (che edita Virgilio attraverso la società Matrix Spa), spiega che "è rimasto online fino alle 15 di oggi (ieri ndr)". Cerrato, d'altronde, non vede nessuno scandalo nell'accostamento. "Ci ha stupito che ve ne siate occupati", afferma. Nel comunicato successivamente pubblicato su Virgilio, si spiega: "Con quel simbolo volevamo dire e ribadiamo che è davvero giunta l'ora di tagliare i ponti con certi eccessi, sprechi e contraddizioni della politica. Il seguito che stanno ottenendo Beppe Grillo e i suoi "Vaffa" testimonia, se ce ne fosse bisogno, che gli italiani sono stanchi e vogliono cambiamenti veri". Poiché il web ha anche una possibilità di risposta immediata, Virgilio ha deciso di tornare sull'argomento con un sondaggio dal titolo: "Condividi l'utilizzo della foto della ghigliottina?". Alle nove di sera, su 89 votanti, il 74,1% rispondeva di sì. E non sembra una buona notizia. e.d.b.


 

Il Sole 24 Ore 25-9-2007 Il presidente Prato: «Alitalia è in stato comatoso, ma nessuno ne prende atto»

 

«Alitalia è in «stato comatoso, in camera di rianimazione». Lo ha ribadito il presidente Maurizio Prato aprendo l'audizione davanti alla Commissione Lavori Pubblici del Senato. «Personalmente - ha aggiunto - mi sorprende molto il pressochè generale
rifiuto di prendere atto della realtà e di consentire all'azienda di fare autonome scelte imprenditoriali».

I tagli a Malpensa? Scelta obbligata
«Una azienda sana» non avrebbe deciso così, ma «non è il caso di Alitalia»: per la
compagnia di bandiera «è una scelta obbligata» rivedere il ruolo dell'aeroporto di Malpensa e tagliare linee intercontinentali in forte perdite, come le rotte per «Cina e
India» che perdono «tra 20 e 30 milioni l'anno».
È vero che i voli intercontinentali partono da Malpensa pieni, dice Prato, riferendosi alle obiezioni del presidente della Regione Lombardia. «Ma Formigoni forse non sa - aggiunge il presidente di Alitalia - che per portare i passeggeri ad imbarcarsi a Malpensa la compagnia sostiene «perdite tra 150 e 200 milioni l'anno».
Alitalia, sottolinea ancora Prato, «non è in grado economicamente e strutturalmente di supportare l'alimentazione di due hub».

Perchè la scelta di Fiumicino
«E' una destinazione naturale- dice il presidente di Alitalia- con un'affluenza diretta da 350 voli al giorno e quindi, con un bacino d'utenza naturale potenziale superiore a quello di milano e che non comporta costi di feederaggio».
Su Malpensa, Prato ha poi aggiunto: «Faremo delle valutazioni quando gli animi saranno più sereni». Quindi smentisce che fonti ufficiali di Alitalia «abbiano mai dichiarato nulla contro Malpensa, avanzando critiche sulle infrastrutture e sull'efficienza». E' evidente, ha quindi sottolineato, che «un'azienda sana non lascerebbe un aeroporto come Malpensa, ma non é questo il caso di Alitalia, che é un azienda «all'anticamera di una situazione fallimentare».

Alla compagnia serve un partner internazionale
«Le integrazioni interne si possono anche fare ma l'obiettivo da perseguire deve essere quello» di un'alleanza internazionale «altrimenti non si può competere» con i poli Lufthansa/Swiss, Air France/KLM e British/Iberia. Lo ha detto il presidente di Alitalia Maurizio Prato secondo cui un'ipotesi 'stand alonè sarebbe «velleitaria».

Entro il 10 ottobre il numero degli acquirenti potenziali
Entro la «prima decade di ottobre» il presidente di Alitalia, Maurizio Prato, prevede di riferire in cda sul numero dei potenziali acquirenti della quota del Tesoro. Roland Berger curerà per Alitalia la vendita della quota del Tesoro per quanto riguarda la parte industriale accanto all'advisor finanziario Citi.

320 milioni di finanziamenti da restituire
Alitalia deve restituire complessivamente 320 milioni di euro di finanziamenti nel 2008-2009 e 714 milioni di prestito obbligazionario nel luglio 2010. Prato ha sottolineato che si tratta di «importi non generabili dalla gestione».

Effetto aspirapolvere sulle quote intercontinentali
Il mercato intercontinentale delle rotte aeree da e per l'italia «é il quarto in europa dopo Inghilterra, Germania e Francia con un'incidenza di domanda inferiore alla media europea». La quota che l'Italia in questi anni ha perso sulle rotte intercontinentali, dice Prato, «é pari all'80%». Quota che invece, spiega, hanno guadagnato le compagnie del nord Europa. «E' chiamato effetto aspirapolvere- aggiunge il presidente- la nostra quota di mercato intercontinentale é stata aspirata da British, Lufthansa e Air France».
Gli esuberi saranno definiti con i sindacati
Le ricadute occupazionali del piano Alitalia saranno definite in stretta intesa con le organizzazioni sindacali e le associazioni professionali. Con i sindacati, spiega Prato «sarà convenuta anche l'individuazione delle modalità e dei tempi di accesso a tutte le strumentazioni di carattere gestionale e sociale che si rendessero eventualmente necessari, con l'impegno già manifestato dalle autorità di governo a provvedere in tal senso».

Contro i tagli a Malpensa Formigoni si appella alla Ue
Il sistema di assegnazione degli slot in vigore in Italia, secondo il presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni, viola sia il diritto comunitario che la Costituzione italiana e per questo, nell'ambito del braccio di ferro in corso tra Roma e Milano sul caso Malpensa-Alitalia, la Regione prevede di presentare un ricorso alla Commissione europea e alla Corte Costituzionale.
Questa la strada che Formigoni intende percorrere affinchè lo scalo milanese e l'istituzione che egli rappresenta non finiscano, per usare le sue stesse parole, «cornute e mazziate». Ovvero siano costrette a subire la chiusura delle rotte intercontinentali annunciata da Alitalia senza poter percorrere alternative valide. Formigoni ha illustrato la sua strategia dopo aver parlato del caso Malpensa per un'ora con il commissario Ue ai trasporti Jacques Barrot nel corso di un incontro svoltosi nella sede del Parlamento europeo a Strasburgo. In questa sede il governatore della Lombardia ha visto anche il vicepresidente dell'esecutivo comunitario Franco Frattini. «Invieremo una lettera di interpello a Barrot - ha detto Formigoni - per chiedere delucidazioni sulla normativa comunitaria in vista della presentazione di un ricorso. Il commissario mi ha assicurato che incaricherà i suoi servizi di approfondire la questione». Nel mirino della Regione Lombardia c'è in particolare Assoclearance, l'associazione che gestisce gli slot a cui partecipano società aeroportuali e vettori aerei. «La nostra non è una battaglia politica ma funzionale», ha più volte ribadito Formigoni. «Il governo ci deve dire se


 

Il Riformista 26-9-2007 Sui talebani Londra apre al modello Fassino di Mauro Bottarelli


Londra. «I talebani devono essere coinvolti nel processo di pace in Afghanistan in qualche livello, visto che la soluzione per il futuro del paese deve avere una base islamica». Des Browne, ministro della Difesa britannico, non ha tradito le aspettative dei partecipanti al meeting organizzato dall’Ippr, Institute for Public Policy Research, a margine del congresso laburista di Bournemouth lanciando non una pietra ma un macigno nello stagno della missione Nato in Afghanistan. Per Des Browne il coinvolgimento dei talebani è ineludibile per la semplice ragione che «esattamente come Hamas nei Territori, anche loro non lasceranno l’area che ritengono propria. Occorre prenderne atto. Questo tipo di sfide non possono essere vinte se non partiamo dal presupposto che dureranno anni, se non intere generazioni. Questo non significa che l’intervento debba per forza continuare a essere strettamente militare, visto che a mio avviso il Labour necessita di un’agenda progressista in materia di difesa. Dobbiamo porci domande importanti come partito riguardo la nostra relazione con la politica di difesa e conseguentemente rispetto alle controparti di questa politica». Insomma, non una u-turn ma certamente un’apertura verso un nuovo approccio sulla questione afghana, una campagna d’intervento che vede impegnati sul terreno 7.500 soldati di Sua Maestà e che trova d’accordo anche David Miliband, ministro degli Esteri che già nel corso della sua visita in Pakistan nel luglio scorso rimarcò pesanti differenze tra l’approccio americano e quello britannico rispetto ai talebani e al loro ruolo.
Gli stessi ufficiali dell’esercito britannico di stanza in Afghanistan hanno più volte criticato l’attitudine eccessivamente militaristica degli americani, definita controproducente e destinata a garantire solo maggior supporto ai talebani. Il capitano Leo Docherty, che partecipò alla campagna per la conquista della città di Sangin nel distretto di Helmand, scosse il ministero della Difesa quando accusò la politica di non comprendere la complessità del quadro d’azione: «Abbiamo conquistato la roccaforte dei talebani ma non abbiamo saputo offrire niente alla popolazione a livello di sviluppo. Ora abbiamo perso nuovamente terreno e per noi restare lì significa sopravvivere giorno dopo giorno mentre i talebani guadagnano supporto e simpatie. Coloro i quali hanno visto la loro casa e il loro campo di papaveri distrutti e i loro figli uccisi nell’offensiva, ora si ribellano ai soldati inglesi. Lo farei anch’io in quelle condizioni». Una posizione, quella di Des Browne, che ricalca inoltre quella avanzata lo scorso 17 marzo da Piero Fassino in merito alla partecipazione dei talebani a una Conferenza di pace per l’Afghanistan: «Un vecchio aforisma della diplomazia - disse il segretario Ds - dice che la pace si fa con il nemico ed è difficile pensare a una conferenza di pace che non veda sedere intorno allo stesso tavolo tutti i protagonisti, in modo che questi possano guardarsi negli occhi e decidere insieme come uscire da una situazione così drammatica». All’epoca Fassino venne metaforicamente messo in croce non solo dall’opposizione ma anche da una parte della maggioranza, con Emma Bonino capofila degli indignati. Chissà che l’apertura di Des Browne, ovviamente concordata con Downing Street e il Foreign Office, non faccia cambiare idea a qualcuno.
Tornando all’Afghanistan, non è solo la proposta del ministro della Difesa a rendere incandescente il clima; c’è anche la vicenda dei due ufficiali del Sismi rapiti a Farah e liberati nel corso di un blitz congiunto anglo-italiano che ha portato all’uccisione di nove rapitori ma anche al ferimento grave di un nostro militare. Ed è proprio sulla dinamica dei fatti - con ricostruzioni italiane che già parlano di vittime del “fuoco amico” colpite mentre erano chiuse nel bagaglio del mezzo che doveva trasferirli - che Londra non intende consentire interpretazioni che esulino dalla versione ufficiale. Ovvero, i due sono stati non solo feriti prima del blitz ma sarebbero stati addirittura torturati. Fonti del ministero della Difesa britannico hanno confermato la presenza in prima linea di una pattuglia dello Special Boat Service, il corrispettivo delle Sas per la Marina. Nel momento in cui il comando Nato ha avuto la certezza che i due prigionieri stavano per essere trasferiti dal loro luogo di detenzione, le Sbs sarebbero entrate in azione. Condotte sul posto in elicottero, le teste di cuoio inglesi avrebbero attaccato i due veicoli predisposti per il trasferimento mentre gli italiani colpivano l’edificio. «Non è chiaro se i due italiani siano stati feriti dai rapitori o durante il blitz», si è limitato a dire il maggiore Charles Anthony, portavoce della Nato a Kabul, che ha inoltre avanzato dubbi sul traduttore dei militari di cui non si conoscono le condizioni: «Non è chiaro quale sia o sia stato il suo status». Una presa di posizione netta, quella britannica, figlia dello sgradevole precedente accaduto lo scorso mese di marzo in occasione del rapimento e della liberazione del giornalista di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo. Anche all’epoca infatti era stato pianificato un blitz congiunto tra forze italiane e Sas britanniche, presenti nell’area di Helmand insieme alle truppe di Sua Maestà. L’opzione sembrava ormai in fase operativa quando il governo italiano decise di optare per la trattativa gestita da Gino Strada e l’azione venne interrotta, pare per il rischio troppo alto di morte dell’ostaggio che avrebbe comportato. All’epoca Londra reagì con durezza condannando la scelta italiana definita «controproducente» perché leggibile dei rapitori come un segnale di cedevolezza: tanto più che Downing Street stava cercando una strada per giungere alla liberazione del reporter della Bbc, Alan Johnston e questo precedente poteva creare non pochi intoppi nelle trattative. Quindi per Londra la versione è solo una, quella ufficiale. Il caso è chiuso.



 

Libertà 26-9-2007 Ma dov'è la bolla speculativa? Francesco Arcucci .

 

In Italia dalla prima pagina In termini generali si può dire che è la bolla del credito facile, dell'uso smodato del credito, dell'eccessiva propensione a concedere finanziamenti da parte dei potenziali creditori (sistema bancario, hedge funds, medi e grandi investitori istituzionali). Si tratta del passaggio ciclico dall'inflazione creditizia ? in cui si fa credito ad ogni costo e con bassissimi spread anche a famiglie scarsamente solvibili (con mutui, carte di credito, prestiti personali, etc.) e, per importi colossali, alle imprese e agli investitori istituzionali sulla base di proiezioni che danno per scontato uno sviluppo illimitato dei fatturati ? alla deflazione creditizia. Questo passaggio è particolarmente pericoloso per tre motivi: il primo è che la bolla era globale, come è dimostrato dall'andamento delle borse di tutto il mondo negli ultimi due anni. Tutte le piazze, senza eccezioni, sono state trascinate al rialzo e ora il rischio è che tutte le piazze siano destinate al crollo. Il secondo motivo è che questa volta i rischi non sono concentrati nelle Savings and Loans Associations (come nel 1988/1990) o nel Sud-est Asiatico (come nell'ottobre 1997) o nel Long Term Capital Management (come in agosto/settembre 1998) o nelle dot com (come nel 2000/2001). Questa volta gli strumenti usati, come i CDO's e i derivati in genere, hanno spalmato il rischio così ampiamente che le autorità di controllo non sanno come fare a organizzare i salvataggi, se non creando genericamente altri mezzi monetari, e cioè acquistando e rivendendo (pronti contro termine) titoli di stato. Il terzo è che, come diceva il compianto professor Hyman Minsky, "quando un sistema finanziario soffre di un periodo troppo lungo di speculazione o di credito facile, una crisi è inevitabile". Quello che sarebbe occorso è che le banche centrali, e specie la Fed e la BCE, si opponessero preventivamente alla creazione di questa bolla speculativa del credito e non avessero lasciato sfrenare i cavalli come invece è avvenuto. Le recenti iniezioni di liquidità delle banche centrali sembrano volere ritardare il momento del redde rationem temuto da Minsky e, più che uno strumento di controllo, sono un segno del timore delle autorità monetaria che i mercati non siano più capaci di autoregolarsi e quindi che la crisi sia inevitabile, appunto perché il periodo dell'inflazione creditizia è stato troppo prolungato per non trasformarsi in una fase di deflazione creditizia. I creditori modificano il loro orientamento fondamentale da quello della concessione a quello del recupero del credito e anche i debitori diventano più riluttanti a finanziarsi. Tutto ciò riduce la velocità di circolazione della moneta, con effetti depressivi sui prezzi delle attività finanziarie (azioni, obbligazioni convertibili, obbligazioni corporate, etc.) e dei beni reali. Dopo anni nei quali sui mercati finanziari, a causa del denaro facile e della liquidità strabordante, si è annebbiata la percezione del rischio, occorre ora una salutare presa di coscienza del rischio stesso e del suo prezzo che è ben più alto di quello pagato fino a poco tempo fa. Nonostante gli interventi delle banche centrali il ciclo del credito si è invertito e vi è la possibilità concreta che, parafrasando l'insegnamento dell'Ecclesiaste, "tutto ciò che allora saliva ora scenda di prezzo e tutto ciò che scendeva ora salga".

 


INDICE 25-9-2007

 

 

++  Il Corriere della Sera 25-9-2007 «Costi Camera? Scenderanno nel 2008» La lettera di Gabriele Albonetti, questore anziano della camera. 1

Carissimi Rizzo e Stella, 1  La replica.  Tanto tempo buttato via E ci vuole l'accetta, non la lima. 2 Ringraziamo Gabriele Albonetti per il tono cortese della sua replica. 2

 

+  Il Corriere della Sera 25-9-2007 Cirio: a giudizio Cragnotti, Fiorani e Geronzi. Andranno alla sbarra per bancarotta fraudolenta con altri 32 imputati. Il processo comincerà il 14 marzo prossimo  4

+  Il Tempo 25-9-2007 Di GIOVANNI LOMBARDO  NUOVO allarme sui mercati internazionali. Le ricadute della crisi dei mutui sull'economia "non devono essere sottostimate" perché si tratta di "un processo destinato a protrarsi nel tempo". 4

+  Il Sole 24 Ore 25-9-2007 COSTI DELLA POLITICA Voli di Stato, in Gazzetta il giro di vite del premier 5

+   Il Giornale 25-9-2007 La Febbre e la malattia  5

+   Il Messaggero veneto 25-9-2007 La Casta difende gli stipendi "Due terzi vanno in spese" I parlamentari veneti disposti a ridurre i benefit, non le indennità "Uffici, portaborse, soldi al partito: di certo non diventiamo ricchi".  Francesca Visentin. 6

L’Unità 25-9-2007 Prodi, why not Marco Travaglio  7

Europa 25-9-2007  I “bravi” di Don Rodrigo se la prendono coi deboli mentre le caste violano le leggi e si arricchiscono FEDERICO ORLANDO RISPONDE  8

Il Piccolo di Trieste 25-9-2007 Trieste La scala mobile esiste ancora  8

Il Secolo XIX 25-9-2007 L'inchiesta del Secolo XIX . I 98 miliardi di euro che la Corte dei conti chiede alle società concessionarie delle slot machine e dei giochi da intrattenimento. Malgrado le insistenze nessuna risposta da governo e mondo politico  9

Il Messaggero veneto 25-9-2007 Udine Slot machine, in Friuli è febbre da gioco In regione nel 2006 giocati 60 milioni di euro, ma ogni anno l'aumento è del 30% IL BUSINESS DELL'AZZARDO Per lo Stato sono ormai un affare colossale  10

Milano Finanza 25-9-2007 MF Se Fassino s'aggrappa allo stile Marchionne  10

Il Riformista 25-9-2007 In un clima da 1946, meglio votare alla tedesca di Emanuele Macaluso  12

 


++  Il Corriere della Sera 25-9-2007 «Costi Camera? Scenderanno nel 2008» La lettera di Gabriele Albonetti, questore anziano della camera.

Carissimi Rizzo e Stella,

La replica.  Tanto tempo buttato via E ci vuole l'accetta, non la lima.

Ringraziamo Gabriele Albonetti per il tono cortese della sua replica.


ci sono molte cose da cambiare nella vita delle istituzioni parlamentari e molte voci di spesa che è possibile progressivamente contenere e ridurre. Molte di queste, le più importanti, abbisognano di riforme legislative e costituzionali, altre sono possibili in via amministrativa e regolamentare, a legislazione e Costituzione vigente. Io e i miei colleghi Questori, perché questo è il nostro compito, ci stiamo attivamente occupando di queste ultime e abbiamo assunto delle decisioni (non delle «dichiarazioni di buona volontà» o «pensosi inviti») e altre ne assumeremo nei prossimi mesi che, però, cominceranno ad avere i loro effetti sul bilancio del 2008. Considerare il bilancio del 2007 come la cartina di tornasole che dimostrerebbe l'immobilismo degli organi di direzione e governo della Camera è operazione non corretta che alimenta l'idea che nulla si stia facendo e nulla si possa fare.

Il bilancio 2007 è stato predisposto a fine 2006 e approvato dall'Ufficio di presidenza della Camera nei primi mesi dell'anno e non poteva contenere, neanche nella sua proiezione triennale, i risultati di atti che sono successivi. Non chiediamo di essere assolti a priori o fiducie precostituite, anzi l'attenzione critica della stampa è sempre di stimolo ai riformatori veri. A quelli falsi basta cavalcar l'onda senza preoccuparsi delle contraddizioni. Tuttavia vorrei che ci dessimo appuntamento alla presentazione del bilancio preventivo 2008 per verificare insieme se quanto ho detto nella relazione introduttiva che ho tenuto in aula nel luglio scorso, che tutti, anche nel dibattito in aula, hanno bellamente ignorato, potrà essere mantenuto: e cioè che l'insieme dei provvedimenti presi in questo scorcio d'anno, e quelli che ancora prenderemo di qui a fine 2007, porteranno a una diminuzione del 10% della spesa per beni e servizi in termini economici e consentiranno di ridurre ulteriormente, rispetto a quella preventivata, di 110 milioni, da qui al 2010, la dotazione richiesta al ministero dell'Economia.

Elenco i principali di questi provvedimenti e delle decisioni assunte o in corso, poiché temo sia necessario esser puntigliosi e non vaghi.
1. Esternalizzazione del ristorante interno per deputati e giornalisti con un risparmio di 3.700.000 euro.
2. Riconsiderazione dei contratti nel settore informatico con un risparmio annuo di 2.500.000 (per un totale di 7.500.000 al 2010).
3. Passaggio ovunque possibile dal cartaceo all'on line con un risparmio di 1.000.000 di euro.
4. Eliminazione dal primo gennaio 2008 dei rimborsi spese per i viaggi di studio all'estero dei deputati per un risparmio secco di 2.000.000 già sul primo bilancio.
5. Sospensione e congelamento degli aumenti automatici, legati agli stipendi dei magistrati, per quanto riguarda le indennità dei deputati con un risparmio già per il 2007 di circa 1.500.000 euro (non si vede nel bilancio 2007 perché la legge del 1965 ci fa obbligo di prevederli, tuttavia non li abbiamo erogati).
6. Blocco selettivo del turn over dei dipendenti (che vuol dire assumere solo in casi motivati e palesi), con l'avvio di una nuova fase di contrattazione con i sindacati che porti fin dal prossimo contratto ad introdurre meccanismi di controllo sulla crescita delle retribuzioni e a rivedere da subito per i nuovi assunti le curve retributive portandole a livelli competitivi ma comparabili con il resto del pubblico impiego e facendo partire dal 2001 il nuovo regime pensionistico fondato sul sistema contributivo. In questo caso non è semplice indicare la cifra del risparmio, poiché gli effetti si vedranno in piccola parte subito e in gran parte sul medio periodo.
7. Riforma dei vitalizi dei parlamentari, già deliberata nel luglio scorso, con eliminazione dell'istituto del riscatto (non sarà più possibile percepire il beneficio dopo soli 2 anni e mezzo ma ce ne vorranno almeno cinque e anche in questo caso ci sarà una riduzione al 20% dell'indennità), blocco fino a un massimo del 60% anche per chi farà più legislature, estensione delle non cumulabilità del vitalizio con altre indennità pubbliche nazionali, regionali e locali. Già qualcosa si vedrà sul bilancio 2008, ma molto - circa 40.000.000 di euro - si risparmierà quando il nuovo sistema andrà completamente a regime.
8. Revisione degli affitti con la richiesta già inoltrata al ministero dell'Economia per ottenere dall'Agenzia del Demanio una sede in cui collocare molti degli uffici e servizi oggi operanti in sedi in affitto, con un risparmio quando l'operazione sarà completata, di circa 2.500.000 euro.

Capisco che nel grande mare della spesa pubblica questi obiettivi possano sembrare poca cosa e certo molto di più, sia in termini di efficienza della democrazia che in termini di minori oneri, si potrebbe ottenere da riforme che riducano significativamente il numero dei parlamentari e cambino la funzione di una delle due Camere. Ma qui i deputati Questori possono far poco se non auspicare che si realizzi presto un'intesa su queste riforme. Tuttavia l'elenco dei provvedimenti che ho minuziosamente riepilogato e altri che, nei prossimi mesi intendiamo mettere in cantiere, come per esempio l'adeguamento ai prezzi di mercato di tutti i servizi interni (dal ristorante, al bar, alla barberia, ecc.) rappresentano un tentativo concreto di ricondurre l'attività parlamentare all'essenziale e di tagliare privilegi e sprechi. Molti in questi mesi hanno parlato, annunciato, proposto; nessuno ha fatto in poco tempo così tanto di concreto, fra mille difficoltà di navigazione in mezzo allo Scilla di chi non vuol cambiare e al Cariddi di chi vorrebbe di più. Ma questo è il destino faticoso di chi, per modificare le cose, deve ottenere il consenso degli organi di autogoverno del Parlamento.

On Gabriele Albonetti
Questore anziano della Camera dei Deputati
Deputato dell'Ulivo

25 settembre 2007

 

_________________

La replica.  Tanto tempo buttato via E ci vuole l'accetta, non la lima.

Ringraziamo Gabriele Albonetti per il tono cortese della sua replica.


Gli diamo atto di essere uno dei pochi che a ridurre le spese del Palazzo ci stanno almeno provando. Ci rallegriamo per il fatto che non rettifichi neppure una delle nostre cifre, peraltro contenute nel bilancio ufficiale di Montecitorio. Prendiamo per buone le sue rassicurazioni circa il fatto che i lodevoli impegni assunti dalla Camera possano produrre effetti concreti nel futuro prossimo. Ma ce lo lasci dire: in nemmeno un anno e mezzo, il tempo già trascorso dall'inizio di questa quindicesima legislatura, l'Assemblea costituente riuscì a stendere la carta fondamentale della Repubblica. Allora forze politiche che pure si combattevano aspramente e che erano divise da alti steccati ideologici avvertirono l'urgenza e la necessità di risollevare il Paese dopo una sanguinosa guerra civile. E in tempi straordinariamente brevi scrissero il patto costituzionale. Lo stesso senso di urgenza non sembra sia avvertito oggi, quasi che la classe politica nel suo complesso non si renda conto fino in fondo di quanto sta accadendo.

Eppure proprio su questo giornale un esponente di primo piano della maggioranza ora al governo, come il presidente dei Ds Massimo D'Alema, aveva ammesso allarmato il 20 maggio: «È in atto una crisi della credibilità della politica che tornerà a travolgere il Paese con sentimenti come quelli che negli anni 90 segnarono la fine della prima Repubblica». Da allora i segnali che la situazione si stia facendo sempre più seria e che il fossato fra il Paese reale e la politica (accusata di aver smarrito il senso dell'interesse generale e di non saper dare risposte adeguate) si vada approfondendo sempre di più, si sono moltiplicati. Nemmeno l'estate, cui forse qualcuno aveva affidato le speranze che la marea montante evaporasse sotto il solleone, ne ha attenuato l'impeto, mentre dal Palazzo non arrivavano che reazioni deboli. Contraddittorie. Impalpabili. Un taglietto qua, un aggiustamento là. Si andava dalle alzate di spalle all'annuncio di provvedimenti che poi non riuscivano nemmeno a superare i veti politici degli enti locali, rimanendo sepolti (e lo sono ancora) nei cassetti del governo. Al punto che i pur lodevoli impegni assunti dal Parlamento sui vitalizi e altre marginali voci di spesa (impegni previsti come sempre «dalla prossima legislatura») sono stati spacciati addirittura come svolte epocali. Ci si deve accontentare? No. Tanto più che la loro portata è ancora tutta da valutare. E il Parlamento che li dovrà digerire è lo stesso che il 17 maggio 2006, mentre il governo Prodi prestava giuramento, prendeva come prima decisione (prima!) della nuova legislatura quella di aumentare molto generosamente i contributi per i gruppi parlamentari. Ha detto Fausto Bertinotti, cercando di menar vanto dei ritocchi: «Abbiamo lavorato di lima». Questo è il punto: la gravità della situazione, come è nella convinzione anche dei lettori che hanno scritto ieri al «Corriere» un diluvio di lettere, imporrebbe di lavorare di accetta.

Sergio Rizzo - Gian Antonio Stella

25 settembre 2007


+  Il Corriere della Sera 25-9-2007 Cirio: a giudizio Cragnotti, Fiorani e Geronzi. Andranno alla sbarra per bancarotta fraudolenta con altri 32 imputati. Il processo comincerà il 14 marzo prossimo

 

MILANO - Dopo oltre un anno di udienze l'inchiesta sul crac del gruppo Cirio è giunta alla conclusione. Il giudice Barbara Callari ha disposto il rinvio a giudizio dell'ex patron del gruppo, Sergio Cragnotti, del presidente di Capitalia e del consiglio di sorveglianza di Mediobanca, Cesare Geronzi, dell'ex ad dell'allora Banca Popolare di Lodi Gianpiero Fiorani e di altri 32 imputati tranne gli esponenti del gruppo Sanpaolo. Saranno processati per bancarotta fraudolenta per il crac del gruppo Cirio che nel 2003 fece andare in default obbligazioni per 1.125 miliardi di euro emesse fra il 2000 e il 2002. Il processo comincerà il 14 marzo prossimo davanti alla prima sezione penale del Tribunale.

GLI ALTRI A PROCESSO - Rinviati a giudizio anche i familiari di Cragnotti, i figli Andrea, Elisabetta e Massimo, il genero Filippo Fucile, e la moglie Flora Pizzichemi. Prosciolti invece dalle accuse, nove imputati tra cui gli ex dirigenti del San Paolo Imi, Rainer Masera, Massimo Mattera e Luigi Maranzana. Assolto l'unico imputato che aveva fatto ricorso al rito abbreviato, Antonio Petrucci ex componente del collegio sindacale di Cirio holding. Il gup ha accolto le richieste di rinvio a giudizio fatte dalla Procura nel maggio di due anni fa e ribadite prima dell'estate nella requisitoria pronunciata dai pubblici ministeri nel corso dell'udienza preliminare.

25 settembre 2007


+  Il Tempo 25-9-2007 Di GIOVANNI LOMBARDO  NUOVO allarme sui mercati internazionali. Le ricadute della crisi dei mutui sull'economia "non devono essere sottostimate" perché si tratta di "un processo destinato a protrarsi nel tempo".

 

E se è vero che, da una parte, "la crescita mondiale resta solida", dall'altra "i rischi al ribasso sono aumentati e, anche se non si materializzano, le ripercussioni potrebbero essere significative e di ampia portata". Ammonterebbero infatti a circa 200 miliardi di dollari le perdite del settore "subprime" negli Usa registrate da febbraio scorso. Questa l'analisi elaborata dagli esperti del Fondo monetario internazionale e contenuta nel Global Financial Stability Report. Gli esperti precisano però che si tratta di un'indicazione approssimativa in quanto i "timori sulla liquidità e l'incertezza dei mercati potrebbero aver spinto ancora più in basso i valori dei titoli rispetto ai valori degli asset in garanzia". Le condizioni del credito "potrebbero non tornare normali a breve e - rimarcano gli esperti dell'Fmi - alcune pratiche che si sono sviluppate nei comparti del credito strutturato devono cambiare". La mancanza di prezzi e mercato secondario di alcuni prodotti strutturati e le preoccupazioni su localizzazione e ampiezza delle perdite hanno portato a scossoni e anomalie in diversi settori. Il Fondo monetario promuove le azioni messe in campo dalle banche centrali per arginare gli effetti della crisi. Bce e Federal Reserve "hanno messo a segno le mosse giuste per il momento. Da questo momento ci aspettiamo che non dimentichino in futuro il tema dell'inflazione e del costante monitoraggio dei dei dati macroeconomici", dice Jaime Caruana, direttore del dipartimento Capital Market dell'Fmi, secondo cui "l'impatto della crisi subprime avrà conseguenze ampie sulla economia mondiale, in particolare negli Stati Uniti, anche per effetto della contrazione del credito". L'incertezza sulla reale entità delle perdite nei bilanci di banche e istituzioni finanziarie, con lo stress del mercato immobiliare Usa, ha fatto salire i tassi interbancari e mandato in crisi le operazioni di leveraged buyout (operazioni di acquisizione effettuata ricorrendo soprattutto attraverso i prestiti). Dalle turbolenze dei mercati e dagli scossoni dello scorso agosto, "ci sono lezioni sia per il settore privato sia per i regolatori e supervisori dell'arena finanziaria che devono essere disegnate per la solidità dei mercati finanziari e contro futuri problemi". Il report elenca cinque aree d'intervento. La prima fa capo alla necessità di maggiori informazioni, la cui tempestività nella circolazione sui mercati è l'unica via per "differenziare e prezzare propriamente in rischio". La seconda è costituita dalla comprensione dell'innovazione finanziaria nelle attuali turbolenze, mentre, al terzo punto, figura la posizione delle agenzie di rating ("restano ampi problemi di metodologie e processi di valutazione dei prodotti di credito strutturato") e sui loro criteri di assegnazione dei giudizi. Quarta area è quella degli strumenti complessi che, non avendo mercato secondario, sono di difficile determinazione in termini di prezzi. Quinto e ultimo punto individuato dall'Fmi, prosegue lo studio, è che questi episodi di turbolenza hanno fatto emergere che per le banche il "perimetro di rischi è più ampio di quello comunemente considerato dai parametri legali". Ad esempio i rischi sulla reputazione di un istituito possono costringerlo a farsi carico di spese subite da entità da cui è legalmente separato. E i rischi di cui un istituto pensa di essersi defilato, magari ricoprendosi mediante una cartolarizzazione, possono tornare indietro gravando sulla sua reputazione. g.lombardo@iltempo.it martedì 25 settembre 2007


+  Il Sole 24 Ore 25-9-2007 COSTI DELLA POLITICA Voli di Stato, in Gazzetta il giro di vite del premier

 

ROMA Stretta sui voli di Stato. L'ha decisa Palazzo Chigi, con una direttiva del presidente del Consiglio pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale di ieri. Da tempo in gestazione, il provvedimento evidentemente ha subito un'accelerazione dopo le recenti polemiche sul vicepremier Rutelli e il ministro Mastella, accusati di aver usato gli "aerei blu" per andare al gran premio di Formula uno a Monza. La direttiva, intitolata "Disciplina del trasporto aereo di Stato", tenta di restringere al minimo indispensabile l'usodi questa possibilità. All'articolo 6 si stabilisce che ogni viaggio in questo modo va "concesso secondo criteri di economicità e di impiego razionale delle risorse, previo riscontro dell'impossibilità di ricorrere ad altri mezzi di trasporto". Così come nella precedente direttiva, che risale al 2000, principali destinatari di questi voli, e solo "per compiti istituzionali", sono il capo dello Stato, i presidenti dei due rami del Parlamento, il premier, il numero uno della Consulta e gli ex presidenti della Repubblica. I ministri o altre delegazioni istituzionali possono usufruirne solo se ci sono "comprovate e inderogabili esigenze di trasferimento " e "non sono disponibili voli di linea".Da notare l'art. 5, "Composizione delle delegazioni ": l'uso del volo di Stato è consentito solo "alle personalità e ai componenti della delegazione della missione istituzionale" che va comunicata prima a Palazzo Chigi. Uno stop, almeno in teoria, per imbucati e passeggeri dell'ultimo momento. M. Lud.


+   Il Giornale 25-9-2007 La Febbre e la malattia

Certi toni di Gianantonio Stella e Sergio Rizzo, gli autori del meritorio libro La casta, cominciano a lasciarmi perplesso. Nessuno discute che vi siano sprechi di Stato e che certi privilegi esulino da ogni fisiologia: ma ieri, sul Corriere, hanno scritto un articolo diverso. Una ruvidezza scrittoria mai vista, forse galvanizzata da recenti e comicanti invettive, ha sposato la causa di Beppe Grillo senza se e senza ma, come se il V-day fosse solo una conseguenza della rabbia popolare scatenata dal loro libro sui costi della politica. Forse Stella e Rizzo pensano veramente che gli italiani siano arrabbiati perché hanno letto il loro libro, forse pensano davvero che il successo di un libro, e di un comico, siano la causa di un malcontento anziché la maniera di manifestarne uno pregresso. Storicamente, in questo Paese, il malcontento si manifesta per ragioni mai realmente morali bensì legate alla qualità della vita, al portafoglio che langue in uno Stato che peraltro non funziona, e pare sfotterti. La casta avrebbero potuto scriverlo anche 5 o 10 anni fa, gli sprechi non erano peggiori: e magari non sarebbe successo niente. Un libro e un comico possono essere un termometro, gli sprechi possono essere la febbre, ma la febbre è solo un sintomo. La malattia è più seria.


+   Il Messaggero veneto 25-9-2007 La Casta difende gli stipendi "Due terzi vanno in spese" I parlamentari veneti disposti a ridurre i benefit, non le indennità "Uffici, portaborse, soldi al partito: di certo non diventiamo ricchi".  Francesca Visentin.

 

VENEZIA - I costi della politica salgono ancora. Così sembra dal bilancio della Camera dei deputati, da cui emerge che in tre anni le spese di Montecitorio aumenteranno del 9,2 per cento, con un aggravio sulle casse pubbliche di 92 milioni di euro. E gli stipendi dei parlamentari costeranno il 2,77 per cento in più. Crescono le polemiche roventi su sperperi e privilegi, soffia il vento della rabbia popolare delle piazze infervorate dal verbo di Beppe Grillo, ma la "macchina" della politica continua a correre come se nulla fosse. Come reagiscono i parlamentari eletti dai veneti al bilancio di previsione varato dalla Camera? "Basta con gli aumenti di stipendio - tuona il senatore della Margherita Paolo Giaretta - ho appena scritto una lettera alla presidenza del Senato per chiedere che non venga applicato il nuovo scatto previsto. Voglio un "contratto di legislatura", con una cifra di retribuzione che resti quella. Non possiamo affrontare il dibattito sul welfare senza prima risolvere il nodo dei privilegi dei parlamentari ". Giaretta precisa: "Sommando le varie indennità io prendo circa 14 mila euro, ma va distinto ciò che entra nel reddito famigliare e quanto invece va a finanziare il partito o convegni: l'anno scorso ho versato 50 mila euro al partito. Tolte tutte le varie detrazioni guadagno meno dello stipendio che avevo come vicesegretario della Camera di Commercio di Padova". Luca Bellotti, parlamentare di An, punta il dito contro il governo di centrosinistra: "Predica all'altrui coscienza e poi non mantiene le promesse. Ma per la qualità della politica di oggi, secondo i cittadini è buttato anche un solo euro destinato ai politici". Bellotti snocciola le cifre che lo riguardano: "Prendo circa 15 mila euro, 3000 li spendo in telefono, poi ho segretaria e portaborse da stipendiare ". Su un punto Giaretta e Bellotti concordano, tagliare i privilegi: viaggi in business class, poi barbiere e ristorante riservati ai parlamentari. Il viceministro Cesare De Piccoli (Ds) non ha dubbi: "Ogni cittadino che ricopre incarichi pubblici dovrebbe dimostrare che non si arricchisce con la politica". E fa sapere: "Io rispondo per quello che mi riguarda, giro con il 740 e lo stato patrimoniale in tasca, pronto ad esibirlo in nome della massima trasparenza. Dei 14 mila euro che prendo me ne restano cinquemila, conta quello che porto a casa, non l'imponibile lordo. I privilegi? Li eliminerei tutti, a iniziare dal ristorante e il barbiere di Montecitorio, vecchi e inutili status symbol". "Ma quale crescita degli stipendi - s'infervora Mauro Fabris, Udeur - gli aumenti sono congelati da gennaio. Se maggiorazioni ci sono state, sono scatti automatici, derivano da impegni pregressi. Il bilancio di quest'anno ha cercato di sforbiciare tutto quello che poteva". Fabris fa i conti: "Guadagno 5000 euro al mese, più le indennità per pagare due uffici, uno a Roma e uno a Vicenza e quattro persone che lavorano per me. Altro che stipendi d'oro, se uno fa politica come la faccio io, è il minimo per andare avanti. A meno che l'obiettivo non sia passare dalla "casta" al "censo" in modo che possa fare politica solo chi è ricco di famiglia. Sono in Parlamento da dieci anni, non ho mai visto arricchirsi chi fa il proprio dovere". Contesta l'aumento Alessandro Naccarato, Ds. "E' un bilancio di previsione e c'è il congelamento sulle indennità dei parlamentari - spiega - , c'è l'intenzione di ridurre sprechi e privilegi. Alla Camera in Commissione Affari Cosituzionali stiamo facendo un'indagine conoscitiva sui costi della politica. L'obiettivo è arrivare a incidere su vitalizio e sistema pensionistico e tagliare i costi dei viaggi all'estero, io ad esempio non ne ho mai fatto uno". I conti di Naccarato? "Ho un indennità netta di 5000 euro, più 4000 per i rapporti con il territorio e 4000 per la diaria per Roma, di questi soldi ogni mese verso 7200 euro al partito". Niccolò Ghedini, Forza Italia, sostiene che "il problema non è il costo della politica, ma la resa: costiamo, ma non funzioniamo. E la gente si allontana proprio a causa dell'inefficenza della macchina politica". Cosa tagliare? "I viaggi e gli affitti dei palazzi: molte sedi potrebbero essere dismesse, è eccessivo che tutti i parlamentari abbiano un ufficio a Roma, io ad esempio non me lo sono mai fatto dare". Filippo Ascierto, An, propone: "Metto il mio stipendio di un mese in mano a chi vuole gestirlo per me, vediamo cosa riesce a fare". E spiega: "Quello che percepisco lo ridistribuisco tra cinque dipendenti e due uffici, poi finanzio incontri, cene con gli iscritti, dò il mio contributo a An. Ho chiuso l'attività di carabiniere con 50 mila euro in banca, adesso sul conto ne ho 20 mila, di sicuro non mi sono arricchito. La casta? E' chi pensa solo ai propri interessi. Gli stipendi andrebbero tagliati del 10 per cento ". "Se uno rinuncia a un incarico professionale per entrare in politica è giusto che sia retribuito - sostiene Aldo Brancher, Forza Italia - Certo, i costi della politica vanno ridotti, ad esempio iniziando a diminuire i gruppi in Parlamento. E poi barbiere e ristorante di Montecitorio, mai entrato in 5 anni di governo, ho sempre pranzato con un panino". "Io prendo 4900 euro di indennità parlamentare, il resto sono rimborsi spese - dice Elisabetta Alberti Casellati, Forza Italia -. Ma questo governo ha fatto lievitare tutta la "macchina", ci sono più sottosegretari e ministeri, con più auto e personale. Vogliamo chiedere una drastica riduzione di tutte le spese. La ribellione di piazza della gente è forte perchè non hanno risposte dal governo. Se ci fosse un buon governo si disinteresserebbero dei nostri stipendi".


L’Unità 25-9-2007 Prodi, why not Marco Travaglio

 

Visto che appellarsi alla sensibilità di Clemente Mastella è un esercizio inutile questo è un appello a Romano Prodi. Con l'aria che tira, gentile presidente, tutto può permettersi il suo governo salvo che attirarsi il sospetto di voler eliminare un magistrato che indaga sul premier e sul ministro della Giustizia. A quel che si sa, presidente, il suo nome è iscritto nel registro degl'indagati di Catanzaro per abuso d'ufficio nell'inchiesta "Why Not": un atto dovuto per veder chiaro su alcune migliaia di telefonate che coinvolgono un cellulare "in uso" anche a lei, oltrechè ad alcuni membri del suo staff da tempo indagati per presunte truffe sui fondi comunitari. Invece Mastella non è per ora indagato, ma agli atti della Procura di Catanzaro sono finite diverse telefonate tra due indagati (il numero due della Compagnia delle Opere, Antonio Saladino, e l'ex piduista Luigi Bisignani,già condannato per la maxitangente Enimont) e Mastella. Cioè il ministro che prima ha inviato un'ispezione a Catanzaro e ora chiede al Csm di trasferire lontano da Catanzaro il procuratore capo Mariano Lombardi e il sostituto Luigi De Magistris, che delle suddette inchieste è il titolare. Formalmente il ministro esercita un suo potere. Di fatto è la prima volta che un ministro della Giustizia chiede di trasferire un pm che indaga non solo sul capo del governo, ma anche su di lui. Berlusconi aveva tentato più volte di liberarsi del pool di Milano e addirittura di un giudice del processo Sme (Guido Brambilla), ma tramite Castelli, mai "trattato" dai magistrati milanesi. Ora invece, con la richiesta di Mastella anti-De Magistris, il conflitto d'interessi è addirittura doppio. Se lei, presidente, è estraneo alle accuse, ha tutto l'interesse a che il Parlamento autorizzi l'uso dei tabulati telefonici che il pm invierà alla Camera, così che la sua posizione possa essere approfondita e poi archiviata senza ombre. Come un cittadino qualunque. Se invece l'inchiesta fosse tolta a De Magistris, o se il Parlamento negasse il via libera, resterebbe il dubbio che le indagini siano state bloccate per via politica. E lo stesso vale per Mastella, le cui telefonate sono oggetto di indagini. Da quando De Magistris ha cominciato a interessarsi a lei, presidente Prodi, al suo entourage e al suo ministro della Giustizia, lei avrebbe dovuto triplicargli la scorta, raccomandare al suo staff di non dire una parola contro di lui e al suo Guardasigilli di lasciarlo lavorare in pace.. Purtroppo è avvenuto il contrario: De Magistris - come ha scritto più volte sull'Unità Enrico Fierro, tra i pochi giornalisti italiani ad accorgersi del caso Calabria ­ è un uomo solo, sia nella sua procura, sia nella sua città, sia nella sua regione. Gli addebiti che gli muove il ministero sono ridicoli: avrebbe infilato alcune telefonate "non pertinenti" nel mandato di perquisizione del Pg di Potenza, avrebbe rilasciato "troppe interviste", non avrebbe informato il capo di alcune iscrizioni di indagati. Ora, quella di parlare per rompere l'isolamento è spesso l'ultima arma che rimane ai magistrati in terra di mafia: ma, se non violano il segreto sulle indagini (e De Magistris non l'ha mai fatto), è un loro diritto costituzionale. Quella delle telefonate non pertinenti è un'opinione come un'altra. Quanto alle mancate comunicazioni al capo, va ricordato che il procuratore Lombardi è sospettato di aver informato indagati di un'altra inchiesta tramite l'on. avv.ind. forzista Luigi Pittelli (socio di studio del figlio della convivente di Lombardi): sicchè, quando De Magistris li perquisì, trovò i cassetti vuoti. Con un simile precedente, solo un pazzo avrebbe continuato a informare il capo. Checchè ne dicano i tg, quella in corso a Catanzaro non è una rissa tra procuratore e sostituto, e Mastella non è il paciere che riporta l'ordine a Catanzaro: è una tragica vicenda, tutt'altro che inedita, di giudici ragazzini che indagano a 360 gradi e di un potere tentacolare, esteso anche alle alte sfere togate, che cerca di impedirglielo. Si sperava che storie del genere sarebbero finite un anno fa, con l'uscita di Berlusconi da Palazzo Chigi. Ci aiuti, presidente Prodi, a sperarlo ancora Uliwood party.


 

Europa 25-9-2007  I “bravi” di Don Rodrigo se la prendono coi deboli mentre le caste violano le leggi e si arricchiscono FEDERICO ORLANDO RISPONDE

http://www.europaquotidiano.it/site/images/transparent.gif

Cara Europa, a Torino una pattuglia di vigili in borghese su un’auto civetta priva di distintivo, parcheggiata in divieto e contromano, è stata beccata e fotografata intenta a fare multe con tanto di telecamera in centro. Il comandante dei vigili ha ammesso la scorrettezza, mentre l’assessore competente ha affermato che è tutto regolare e che il sistema sta funzionando egregiamente da 7 anni, evidentemente in condizioni di totale ripetuta illegalità. Nessuno pagherà e tutti resteranno al proprio posto, a partire dai due agenti, ungo la scala delle gerarchie fino alla giunta comunale, un’altra delle tante caste di intoccabili, cui verrà riconosciuto il diritto di infrangere leggi, norme e tutto quello che siamo costretti a rispettare ogni giorno. Di fronte a tali esempi di illegalità istituzionale non meravigliamoci se chi organizza un semplice V-day riesce a riempire le piazze tanto facilmente di gente che chiede solo di poter vivere in un paese normale.
MARGHERITA CAPANNA, ALAGNA VAL SESIA (VC)

 

 Cara signora, lei aggiorna una storia italiana che dura da secoli. Diciamo, convenzionalmente, dai “bravi” descritti da Manzoni. Purtroppo, i potenti hanno sempre rastrellato fra i poveri e gli umili i “tutori dell’ordine” (l’ordine dei potenti); e i bravi, sottratti così al comune destino di fame grazie alla paga del signorotto, sono stati sempre severissimi verso gli ex compagni di povertà, indifesi, mai coi potenti, esentati da obblighi e sottoposti alla giustizia dei “pari”: cioè della loro casta. Con la democrazia sono cambiate le forme del rapporto di cittadinanza e anche molti contenuti, meno la tendenza di alcuni o molti tutori dell’ordine di far valere quell’ordine solo nei confronti degli indifesi. Così si spiegano le multe con telecamera che lei denuncia, le prostitute portate in prigione al posto dei loro sfruttatori (basterebbe lasciarle lavorare in luoghi sicuri e discreti), i contribuenti fedeli che, per una virgola fuori posto, si vedono multare pur avendo pagato fino all’ultimo soldo. Poi si scopre – vedi Corriere di ieri – che in Lombardia vengono smascherati 345 maxi-evasori (onore alla Guardia di Finanza, che non ha guardato in faccia a costoro), che hanno patteggiato con lo stato un minimo di 500 mila euro a testa (e i primi 12 oltre 5 milioni). Questi signori in grado di evadere per decine o centinaia di milioni e di concordare cifre per lei e per me astronomiche, sono naturalmente “anonimi”, visto che non vengono raccontati con nomi e cognomi. Sono una casta, ma non so se Grillo farà un V-day per loro. Invece la casta politica continua a comportarsi come niente fosse; e sempre ieri Rizzo e Stella scrivono che «non sono bastati mesi di discussione su certi privilegi insopportabili di quanti governano a livello nazionale e locale, ore di polemiche in tv, file alle librerie, spettacolare raccolta di firme per il referendum contro la legge elettorale e poi per le proposte di legge dei bloggeristi. Tutto come prima.
L’anno prossimo gli stipendi dei parlamentari lieviteranno del 2,77 per cento, i vitalizi del 2,93, il montepaghe del personale del 3,73, gli affitti dei palazzi del 6,6». Invece di colpire qui – almeno per dare il buon esempio – si colpisce il cittadino ignaro con multe a tradimento, di cui ciascuno di noi, cara signora, è stato vittima anche lontano da Torino. Occorre non mollare, non lasciar cadere alcuna occasione – possibilmente in forme civili – di denuncia e protesta. Ne sarà capace il Pd, già tanto criticato per gli usi e costumi di queste primarie?


 

Il Piccolo di Trieste 25-9-2007 Trieste La scala mobile esiste ancora

 

lLa scala mobile non è morta. Ve la ricordate la scala mobile? Permetteva di adeguare automaticamente lo stipendio all'aumento del costo della vita. Ci convinsero che era inopportuna, dannosa, che favoriva l'inflazione. Ci fu un referendum. Votammo per il bene comune, per l'abolizione. Ora, con incredula sorpresa, veniamo a sapere che per qualcuno la scala mobile è viva e vegeta. Per le caste. I parlamentari e i magistrati. È di questi giorni un ulteriore aumento di 200 euro netti al mese più gli arretrati dal gennaio di quest'anno. Questa classe politica vive fuori della realtà, non si rende conto che la disaffezione, la sfiducia, l'indignazione stanno montando inarrestabilmente e che bisogna dare segnali forti di riduzione dei costi della politica, tagliare i privilegi, recuperare comportamenti trasparenti ed esemplarmente corretti. Invece ci si esercita, con prolisse analisi, sul perché del fenomeno Grillo. Siamo tutti Grillo quando ci prende lo scoramento per essere governati da una oligarchia intoccabile, autoreferenziale, insaziabile, irresponsabile. Ezio Pelino.

 


 

Il Secolo XIX 25-9-2007 L'inchiesta del Secolo XIX . I 98 miliardi di euro che la Corte dei conti chiede alle società concessionarie delle slot machine e dei giochi da intrattenimento. Malgrado le insistenze nessuna risposta da governo e mondo politico

 

MILANO. I 98 miliardi di euro che la Corte dei conti chiede alle società concessionarie delle slot machine e dei giochi da intrattenimento. Uno dei più grandi casi mai accaduti in Italia. L'inchiesta che il Secolo XIX sta conducendo dallo scorso maggio è stata "protagonista" ieri sera della prima puntata della nuova serie di Striscia la notizia, il tg satirico di Antonio Ricci in onda su Canale 5. Il servizio di apertura, infatti, è stato dedicato interamente al "caso slot". L'inviato di Striscia, Moreno Morello, collegato con la sede del nostro quotidiano, ha illustrato le puntate dell'inchiesta e ha testimoniato dell'impossibilità di ottenere risposte da chi dovrebbe darle: il governo e il mondo politico. Il caso scatenato dal Secolo XIX è stato innescato dalla relazione di una commissione parlamentare, presieduta dal sottosegretario all'Economia Alfiero Grandi, che ha lanciato dure accuse e indicato responsabilità dei Monopoli di Stato sulla vicenda. Poi è arrivata l'indagine della Guardia di Finanza, che ha lavorato d'intesa con la Corte dei conti che, alla fine, ha quantificato l'entità del danno patito dallo Stato: 98 milioni di euro, per l'appunto. La Corte ha quindi inviato alle concessionarie (ma anche al direttore dei Monopoli Giorgio Tino, nominato dal governo di centrodestra e riconfermato da quello di centrosinistra nonostante il suo nome fosse già finito agli atti di un'inchiesta della procura di Potenza) gli "inviti a dedurre", ovvero l'avviso di garanzia della giustizia contabile. Il Secolo XIX ha correttamente riportato anche la versione delle società concessionarie delle slot machine. Ma tutti i protagonisti della vicenda hanno lo stesso problema: l'impossibilità di ottenere risposte dal governo su uno dei casi più clamorosi mai accaduti in Italia. Così Striscia la notizia ha mandato in onda le immagini dell'incontro tra i due inviati del Secolo XIX autori dell'inchiesta, Marco Menduni e Ferruccio Sansa, e il viceministro Vincenzo Visco nel corso della sua visita a Genova. Ai due giornalisti che volevano porgli domande e ottenere chiarimenti, Visco ha risposto seccamente: "Come sapete con voi non parlo. Non mi state simpatici, va bene?". Silenzio dai Monopoli di Stato, silenzio dal ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa, silenzio dal premier Romano Prodi. Eppure sono stati persino gli stessi concessionari (cioè chi dovrebbe versare la supermulta da 98 miliardi) a sollecitare un intervento del governo: "Tutto il settore potrebbe crollare, con danni incalcolabili per le entrate dello Stato e per migliaia di lavoratori". Nessuna risposta. Sul sito www.ilsecoloxix.it è apparso un appello per chiedere direttamente spiegazioni sulla vicenda al presidente del Consiglio. E migliaia di mail sono state inviate dai cittadini dopo che la notizia è stata ripresa dal sito di Beppe Grillo. Striscia ha mostrato le pagine del Secolo XIX scandendo così un riassunto dell'intera inchiesta. Passata dal mondo delle concessionarie ai risultati (nell'inchiesta delle Fiamme Gialle) sulle pesanti infiltrazioni mafiose che ancora oggi gravano sul settore per arrivare all'"interesse" diretto dei partiti politici nella gestione dei giochi "da intrattenimento" in Italia, in maniera assolutamente bipartizan. R. I. 25/09/2007.


 

Il Messaggero veneto 25-9-2007 Udine Slot machine, in Friuli è febbre da gioco In regione nel 2006 giocati 60 milioni di euro, ma ogni anno l'aumento è del 30% IL BUSINESS DELL'AZZARDO Per lo Stato sono ormai un affare colossale

 

in Italia è la quinta azienda come introiti In viale Europa Unita aperta la prima sala slot Anche tabaccherie e pasticcerie le richiedono Gli indicatori: l'escalation non si ferma ancora di DOMENICO PECILE Il battesimo è datato 1 maggio 2004: è il giorno dell'addio ai "famigerati" videopoker e l'inizio dell'era delle slot-machine, la nuova "invenzione" che entra di prepotenza, auspice lo Stato, nell'olimpo del cosiddetto gioco legale, una vera potenza economica, la quinta azienda in Italia come introiti. Oggi, in tutta Italia, le "macchinette" sono 220 mila, in costante aumento. Di queste, al 1 novembre dello scorso anno, circa 5000 erano installate nei bar e in altri pubblici esercizi i della nostra regione (quasi 2000 nella sola provincia di Udine). Ed è proprio l'analisi dei numeri che, meglio di ogni altro discorso sociologico, dà l'esatta misura di un fenomeno sociale in costante e incipiente crescita. Tecnicamente, il costo di una singola partita non supera i 50 centesimi e la vincita non supera i 50 euro (da fine anno le nuove slot machine passeranno rispettivamente a 1 euro e 100 euro di vincita.) Al raggiungimento di 14 mila partite si chiude un ciclo. Dei 7mila euro incassati, la macchinetta ne deve "restituire" il 75 per cento ai giocatori. Per comprendere come avviene questa restituzione si prende come unità di misura 4 mila euro. Di queste, 3 mila tornano ai giocatori, mentre delle restanti 1000, il 52 per cento finiscono allo Stato tramite il Preu (prelievo erariale unico) che viene versato ogni 15 giorni. Del rimanente, il 4 per cento va al concessionario e il resto viene diviso tra il barista che "ospita" le slot e i noleggiatori. Tutte le slot machine sono collegate in rete telematica e gestite da 10 concessionari tra cui Lottomatica, la Sisal e la Snai. A monte di tutta la filiera c'è la Sogei, la Società del ministero delle finanze da cui dipendono direttamente le Amms (Amministrazioni autonome monopoli di Stato) che "controllano" a loro volta le 10 concessionarie. Poi ci sono i noleggiatori e infine baristi, tabaccai, ma adesso (anche qui in Friuli) pasticcerie e quant'altri. Fino al 2006 nel paniere dello Stato degli itroiti derivanti dai giochi la facevano da padrone lotto ed enalotto. Ma partire dallo scorso anno le slot machine rappresentano la prima fonte di introito, più, singolarmente, di lotto, superenalotto, totocalcio e gratta e vinci. Di più: Nel primo trimestre 2007 lo Stato ha già incassato dalle slot machine 750 milioni di euro. Insomma, un fenomeno davvero incredibile. Che piace e che si sta dilatando anche in Friuli dove le slot machine sono ormai presenti in oltre l'80 per cento dei locali pubblici. A Udine, in viale Europa unita è stata di recente inaugurata la Sala Slot (e non sarà certo la prima), mentre anche nelle sale bingo di Udine cominciano a pullulare le macchinette. Si stima che in Friuli Venezia Giulia vengano spesi ogni anno 60 milioni di euro, parte dei quali vengono ovviamente "restituiti" ai giocatori. Come sostiene Alberto Diasparra, titolare di Friulgames, "i giocatori sono in costante aumento, ma nel contempo diminuisce l'entità delle giocate. E' un fenomeno di costume in costante crescita. Qui in Friuli, sia il numero delle macchinette sia del volume di gioco sono cresciuti del 30 per cento nel 2005-2006 e del 20 nell'anno in corso. E tutti gli indicatori ci confermano che il fenomeno è destinato ad allargarsi ancora".


 

Milano Finanza 25-9-2007 MF Se Fassino s'aggrappa allo stile Marchionne

 

L'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, ha pubblicato, domenica scorsa, un ampio e molto efficace intervento sul Corriere della Sera. In esso, forte anche dei risultati gestionali strepitosi in Fiat, da lui ottenuti in soli tre anni di lavoro, ha in sostanza affermato che, da una parte, non si può pretendere di tenere ingessato il paese ma, dall'altra, che i costi della ottenuta fluidità del sistema non possono cadere sui più deboli che debbono essere, nel caso, risarciti (e difesi) dalla collettività.Marchionne, nella stessa occasione, ha anche sottolineato che esiste, in Italia "uno schieramento trasversale a destra e a sinistra che non vuole accettare il cambiamento e la sfida di una società che non è più quella nella quale la nostra generazione è cresciuta". Marchionne ha anche accertato che non esiste più la supposta dicotomia antagonista fra destra e sinistra. Una finzione, questa, che viene ancora affermata dai politici di ogni colore che sui termini (sarebbe azzardato parlare di concetti) di destra e sinistra continuano a costruire il loro permanente e fragile teatrino delle ombre, dove, grazie a questi fantasmini (anche qui, chiamarli fantasmi, nel 2007, sarebbe violentare la realtà, oltre che sfidare il ridicolo) cercano di non tener conto di quanto, già vent'anni fa, li aveva sbugiardati e sfottuti persino Giorgio Gaber che, di professione non faceva il filosofo, ma il cantautore. Gaber, già allora, faceva notare che il bagno è di destra e la doccia di sinistra; le scarpe di cuoio sono di destra e quelle da ginnastica sono di sinistra. Ma se le scarpe da ginnastica sono pulite e ben allacciate, esse sono di destra mentre se sono sporche e slacciate sono di sinistra. Insomma, Gaber fotografava una contrapposizione fra cretini, utilizzata dai politici a mo' di banderilla, per riuscire a svegliare le emozioni (cosa facile) senza essere obbligati ad affrontare la soluzione dei problemi (che esige molta più competenza, impegno e rischio.Marchionne socialdemocratico? Il segretario del Pds, Piero Fassino, è intervenuto il giorno dopo, cioè ieri, sull'intervento di Sergio Marchionne e si è meritato dal Corriere della Sera questo titolo a tutta pagina: "Pronto ad allearmi con Marchionne. Lui sì che è un vero socialdemocratico". A parte il fatto che bisognerebbe domandare a Marchionne come si sente nei panni di socialdemocratico, resta il fatto che Fassino, questa volta ha usato, come complimento, un termine che il suo partito ha sempre usato come un epiteto. Fino a che il Pci non è entrato nell'Internazionale socialista, e cioè per gran parte della sua lunga storia ("Veniamo da lontano", diceva Palmiro Togliatti), dare del socialdemocratico a un politico era come bollarlo di ignominia. Adesso che, in giro per il mondo, socialdemocratico non vuol più esserlo nessuno, nemmeno i socialdemocratici veri, quelli del Nord Europa, Fassino scopre la socialdemocrazia. Cioè, nel 2007, evidenzia un'altra scatola vuota, un nome senza contenuto sufficiente.Chi è più filo-Ue. Piero Fassino, ricorrendo sempre a schemi Otto-Novecenteschi, ha ricordato, nel suo intervento sul Corsera, le malefatte di "quella destra che ha ingenerato nel paese negli anni scorsi la paura, per esempio, dell'Europa e dell'euro". Non difendiamo certo "quella destra" (che, se ha voglia di difendersi, lo farà nella sue sedi e con i suoi uomini) ma cerchiamo solo di difendere la verità (sia pure con la minuscola; che è quella che piace a noi che non siamo mai stati impettiti nei dogmi). Cerchiamo di difendere la verità dei fatti, dicevamo, perché solo facendo chiarezza sui fatti si può disegnare una prospettiva di sviluppo che non sia basata sulla confusione delle lingue e quindi anche sulla contraddizione dei propositi, degli obiettivi e dei percorsi. Ora, chi ha avuto sempre paura dell'Europa (e persino dell'euro) è stata la sinistra italiana, a eccezione del solo Psi. Il Pci e il Pds, prima in obbedienza dell'Urss e poi non si sa in omaggio a che cosa, hanno sempre bocciato in parlamento, con il voto (che resta agli atti, basta leggerli) e con sistematica cecità, ogni iniziativa europeistica: dalla istituzione della Ceca all'Euratom, alla Comunità europea, alla Unione europea, agli accordi di Maastricht e persino alla nascita dell'euro. Fare gli europeisti intransigenti con un passato di questo genere, è perlomeno stravagante.Età pensionistica. Fassino si difende anche dall'accusa che ci sarebbe resistenza alle riforme di una parte della maggioranza che sostiene il governo: "Vedremo", dice a questo proposito Fassino, "se con il referendum sindacale di ottobre passerà la linea della conservazione o se, invece, come credo, milioni di lavoratori diranno sì a quell'accordo, sconfessando coloro che si arroccano nella difesa del passato". Senonché quell'accordo (peraltro contestato) prevedeva, unico caso nel mondo economicamente sviluppato, addirittura la riduzione dell'età pensionabile rispetto a quella già stabilita da una legge dello stato che stava per entrare in vigore. Insomma, mentre Francia e Germania portano l'età di pensionamento ad almeno 65 anni, noi (che sul pil siamo indebitati il doppio di loro) continuiamo a tenerla a 58 anni, quando va bene.La difesa dei deboli. Di fronte all'affermazione di Marchionne che "bisogna accettare la modernità perché permette di tutelare i più deboli" (cioè l'opposto di ciò che la sinistra ha sempre predicato e, in gran parte sta ancora credendo), Fassino sottolinea che "la sinistra ha sempre difeso i deboli". Il punto non sono le sue intenzioni ma gli effetti pratici, sui deboli, dei convincimenti e quindi delle politiche della sinistra a questo proposito. Si difendono, per esempio, concretamente, i deboli evitando che i nullafacenti (così sono stati definiti da Pietro Ichino) siano licenziati? Ancora in questa intervista, Fassino ammette che "si può e si deve licenziare l'operaio fannullone ma_" E con quel "ma" (secondo una vecchia tecnica dialettica per negare ciò che si è affermato poco prima) viene ribaltata l'ammissione precedente e riaffermato il tabù dell'illicenziabilità anche quando questa è ampiamente meritata. Si difendono i deboli tenendo in piedi l'Alitalia che brucia 2 milioni di euro al giorno di risorse pubbliche (che potrebbero andare ai veri deboli)? Si difendono i deboli tenendo in piedi quei baracconi che sono le Comunità montane? Si difendono i deboli tenendo in vita le Province che sono enti privi di ruolo e significato ma che restano ugualmente molto costosi? Si difendono i deboli non facendo nulla per far sì che un posto letto ospedaliero in Campania costi 220 mila euro contro i 140 mila della Lombardia? Si difendono i deboli impedendo la realizzazione dei termovalorizzatori che potrebbero smaltire i rifiuti in Campania? Si difendono i deboli bloccando il corridoio ferroviario europeo numero 5 (leggi Frejus) nonché tutte le opere pubbliche che, lo dice il ministro Di Pietro, continuano a restare nel limbo delle cose incompiute, togliendo così alla società civile infrastrutture vitali, impedendo la creazione di nuovi posti di lavoro e facendone lievitare i costi? E che dire delle nazionalizzazioni surrettizie derivanti dal convincimento sempre presente a sinistra che "pubblico è bello e che, in ogni caso, è sempre meglio del privato"? Da una parte infatti si privatizza l'Enel e dall'altra nascono potentissime municipalizzate dell'energia che operano in situazione di pesante oligopolio e praticano le tariffe esose a danno dei cittadini.Luigi Einaudi. "La parola merito in Italia è considerata tabù", annota Piero Fassino, "perché si è sempre pensato che il merito fosse un trucco dei ricchi per fregare i poveri, non capendo che è esattamente il contrario. è grazie al merito, al talento, che il povero può annullare le differenze sociali e avere le stesse opportunità". Questi convincimenti sono i benvenuti perché costituiscono una clamorosa e salutare rottura rispetto a un lungo e costante passato. Va però tenuto presente che ce n'è voluto del tempo per arrivare all'accettazione di questo ovvio principio se queste idee le scriveva Luigi Einaudi fin dal lontano 1913. Ma chi sosteneva la socialità del merito, ancora negli anni Ottanta, veniva ritenuto un mentecatto. E anche adesso, peraltro, permangono a sinistra ampie riserve e spesso evidenti ringhiosità al riguardo. Tutte le leggi scolastiche, per esempio, comprese quelle che regolano la vita delle università, sono state giocate sul piano dell'appiattimento verso il basso.Attaccati alla gonna della mamma. "Oggi i più deboli", dice Piero Fassino, "sono i giovani. Se il 60% dei matrimoni avviene fra i 25 e i 35 anni, se 4,5 milioni di persone nella stessa fascia di età vivono ancora con i genitori è evidente che esiste il problema". Per un uomo politico, l'accertamento dell'esistenza dei problemi è solo la prima fase. Poi spetta a lui trovare le soluzioni. I giovani, per esempio, restano a lungo nella casa dei genitori anche perché non trovano case con affitti moderati. Come mai l'intera classe politica di questi ultimi vent'anni non si è mai posta questo problema? Perché negli anni 50 e 60 con gli allora modestissimi contributi tratti dalle buste paga furono realizzati centinaia di migliaia di appartamenti di edilizia economica e popolare, mentre adesso, pur continuando a esistere quelle trattenute, di case popolari non si vede nemmeno l'ombra? Non è questo un problema di destra o di sinistra, ma di scelte di campo (li vogliamo difendere o no questi deboli?) e di efficienza (le facciamo o no queste case popolari?). Se si fosse dedicato al problema della realizzazione delle case popolari un centesimo degli sforzi profusi nei dibattiti politici inesistenti su categorie fumose, fatti per ritagliarsi fette di potere, oggi centinaia di migliaia di giovani avrebbero la loro casa in Italia. E se il problema lo avessero dato da risolvere a Sergio Marchionne, oggi sarebbe risolto. Non però con le leggi a lacci e lacciuoli che abbiamo, certo. Ma se le leggi impediscono ai politici di risolvere i problemi dei più deboli, chi è che deve modificare quelle leggi che, nella sostanza, sono criminali. Noi, forse? MF


 

Il Riformista 25-9-2007 In un clima da 1946, meglio votare alla tedesca di Emanuele Macaluso


Il Partito democratico è stato pensato, voluto e propagandato come antidoto alla frammentazione, ma, nei fatti, accade il contrario: nei Ds e nella Margherita si sono verificate rotture, scissioni e nuovi micropartiti. Il Partito democratico nasce come asse solido e portante della maggioranza governativa ma si verifica il contrario: nell’Unione c’è solo disunione, è cresciuta la conflittualità tra la sinistra massimalista e l’Ulivo-Pd, si è esasperato il protagonismo dei Mastella, Di Pietro, Dini, Bordon ed è emersa una tentazione centrista in seno alla Margherita. Il caos nella seduta del Senato sulla Rai dice bene cos’è la solidità dell’asse riformista del Pd. La situazione politica quindi si è fatta più confusa e più evidente è l’ingovernabilità. Un quadro cui concorre l’opposizione di centrodestra, la quale non delinea un’alternativa credibile dato che si fonda solo sul ritorno del Cavaliere a Palazzo Chigi, con conseguenze largamente prevedibili e già sperimentate negativamente.
Berlusconi, quindi, continua a chiedere nuove elezioni e dal centrosinistra c’è chi gli dà una mano nel momento in cui si afferma che se cade questo governo si va al voto subito. L’hanno detto Prodi e D’Alema e più recentemente Fassino. Lo fanno, si dice, per scoraggiare le manovre centriste di Casini, Dini e anche di Rutelli. Le elezioni? E con quale legge elettorale? Solo degli irresponsabili possono chiedere crisi al buio o elezioni se non c’è più questo governo. Tutti parlano ignorando la Costituzione e il ruolo che essa assegna al capo dello Stato quando si apre una crisi e si prospetta lo scioglimento del Parlamento. Ma torniamo ai leader della maggioranza. Era stato Fassino, solo qualche settimana addietro, a dire che, anzitutto, occorre cambiare la legge elettorale e a vedere nel sistema tedesco la soluzione più adeguata agli attuali sviluppi della situazione politica. Non solo, ma per avviare questa revisione si indicava nell’Udc di Casini un interlocutore valido. Si tenga presente che anche Rifondazione comunista caldeggia questa soluzione. Cosa è cambiato in queste settimane? Si dice che ci sono “manovre centriste” per sostituire in prospettiva l’alleanza Pd-sinistra radicale. Questo sospetto la dice tutta sulla consistenza politica di un’alleanza prorogabile solo con un bipolarismo-coatto, che riprodurrebbe quello che abbiamo conosciuto: l’ingovernabilità per i due schieramenti. Riflettiamo tutti. Nel momento in cui si costruiscono nuove forze politiche (Pd, Costituente socialista, Cosa rossa), altre vogliono trovare un’identità (Udc), altre ancora sono in travaglio identitario (Fi-An), la proporzionale con sbarramento non è una verifica affidata agli elettori?
Dopo la Liberazione, i partiti si richiamavano ai loro antenati del pre-fascismo, e solo il voto nel 1946 ne definì la forza reale e il ruolo. La legge elettorale tedesca avrebbe il vantaggio di operare questa verifica, di non sperdere l’esigenza di una bipolarità e della governabilità. D’altro canto solo ridefinendo se stessi i partiti possono verificare le affinità anche per un progetto costituzionale, di cui tutti parlano e i cui esiti parlamentari sino ad oggi (a destra e a sinistra) sono falliti perché frutto del bipolarismo-coatto. È possibile in questo clima avviare una discussione serena e costruttiva su questi temi? È quel che noi tentiamo ancora con questa nota.


 

INDICE 24-9-2007

 

++  La Stampa 24-9-2007 Roma, stretta anti-ultras della Digos. Nel mirino le tifoserie violente della capitale: sessantasei denunce

++ La Repubblica 24-9-2007 Primo operatore mobile gratuito telefonate in cambio di pubblicità Tra i fondatori anche Pekka Ala-Pietilä, ex presidente Nokia
di ALESSANDRO LONGO

++  Il Sole 24 Ore 24-9-2007 Aeroflot offre 1 miliardo di dollari per Alitalia: «Ma il Governo non vuole»  2

++   Il Corriere della Sera 24-9-2007 L'insofferenza dei cittadini, l'<antipolitica> e l'ascesa di Grillo  2

 

+  La Stampa 24-9-2007 Da Jesolo il comico contro il Vaticano: «E' l'amministratore delegato tedesco» MARCO I. FURINA  3

+  Il Corriere della Sera 24-9-2007 Solo per il 20% l'esponente ds come leader porterà «molti più voti» Pd, in calo l'effetto-Walter Previsto un milione alle urne. Renato Mannheimer 4

+ La Repubblica 24-9-2007 La prova d'orchestra di pifferi e tromboni di EUGENIO SCALFARI 5

+ La Repubblica 23-9-2007 Il paese degli impotenti di ILVO DIAMANTI 8

 

Il Corriere della Sera 24-9-2007 La Casta promette e non mantiene. L'insofferenza dei cittadini, l'«antipolitica» e l'ascesa di Beppe Grillo. I costi della politica salgono ancora In soli tre anni i costi di Montecitorio saranno aumentati  del 9,2% con un aggravio sulle casse pubbliche di 92 milioni di euro. Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella  10

La Repubblica 24-9-2007 L'intervista Costi della politica, il ministro Santagata annuncia: in Finanziaria ridurremo gli stipendi dei manager pubblici "Serve un taglio anche ai ministri ma non rincorreremo il comico" Nella manovra interventi drastici su missioni e consulenze Però non abbiamo la bacchetta magica CARMELO LOPAPA  13

Il Giornale di Brescia 24-9-2007 FINESTRA SUL MONDO Il rigore e il senso di responsabilità pubblica fa parte della cultura del Paese: l'apparato burocratico ridotto del 32% in 15 anni Costi della politica: la Germania a dieta  13

Europa 24-9-2007 Finanziaria: un “piano Fanfani” per i giovani invece di grillismi e mastellismi FEDERICO ORLANDO RISPONDE  14

La Stampa 24-9-2007 Nel mattone gli affari si fanno all'estero Grecia, Spagna, Paesi del Nord Europa, Bulgaria e Russia. Per chi vuole investire oltreconfine senza sentire parlare di bolla. 15

Il Riformista 24-9-2007  Che cos'è successo alla nostra politica estera? 15

La Stampa 24-9-2007 Dan Rather contro tutti "I media servi di Bush"http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifL’ex anchorman della Cbs: "Libertà a rischio"http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif di Maurizio Molinari http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif    16

La Repubblica 24-9-2007 Dollaro debole mossa vincente della crescita Usa HUGO DIXON  17

 


++  La Stampa 24-9-2007 Roma, stretta anti-ultras della Digos. Nel mirino le tifoserie violente della capitale: sessantasei denunce

ROMA
Sono sessantasei le persone denunciate, per possesso di armi bianche, tutte riconducibili, secondo gli investigatori, al gruppo Curva Nord degli ultras della Lazio, al termine di un’operazione condotta dalla Digos e dagli agenti della polizia del commissariato Vescovio, nella notte tra sabato e domenica scorsi.

Nei confronti delle 66 persone, tra i 25 e i 30 anni, tra i quali alcuni minorenni e due donne, sono stati emessi altrettanti provvedimenti Daspo. Gli ultras laziali erano diretti a Bergamo, in occasione della partita Atalanta-Lazio, e sono stati intercettati nei pressi di piazza Vescovio in possesso di machete, manganelli, bastoni e tirapugni. Alcuni ultras sono stati trovati in possesso di dosi di cocaina


++ La Repubblica 24-9-2007 Primo operatore mobile gratuito telefonate in cambio di pubblicità Tra i fondatori anche Pekka Ala-Pietilä, ex presidente Nokia
di ALESSANDRO LONGO

Si chiama Blyk, rivolto a un pubblico dal 16 ai 24 anni e per ora funziona
soltanto in Gran Bretagna. Ma presto potrebbe sbarcare anche da noi

È ARRIVATO stamattina il primo operatore mobile gratuito al mondo: permette di telefonare e mandare messaggi senza alcun costo. È Blyk, per ora funziona in Gran Bretagna soltanto, ma conta di estendersi ad altri Paesi europei nei prossimi mesi grazie ad accordi con gestori mobili locali.

Il tutto si regge sulla pubblicità: l'utente di Blyk può mandare gratis, ogni mese, 217 messaggi e fare 43 minuti di chiamate nazionali; in cambio accetta di ricevere fino a sei messaggi multimediali al giorni pieni di pubblicità, dai vari sponsor. E già diverse multinazionali hanno annunciato la disponibilità a sponsorizzare il servizio. Il traffico eccedente dal tetto di minuti e messaggi gratis va acquistato a parte, com'è ovvio: viene scalato dal credito prepagato dell'utente.

Blyk è un operatore molto particolare anche perché si rivolge esclusivamente a utenti tra i 16 e i 24 anni (un target giovanile: ecco perché sono così numerosi i messaggi gratis). Bisogna essere in questo ambito d'età, quindi, per attivare una sim di Blyk, che per il resto funziona come i comuni operatori mobili: su tutti i cellulari, ovunque ci sia rete Gsm.
Blyk si appoggia a quella di Orange nel Regno Unito, essendo un operatore mobile virtuale- un tipo di gestore molto diffuso in Gran Bretagna e appena inaugurato in Italia (con Coop e Carrefour). Se quindi Blyk si accorderà con un operatore mobile italiano, potrà arrivare anche da noi.

A giudicarla con il metro comune, l'idea di Blyk può sembrare imprudente, ma è supportata da uno staff di tutto rispetto: è stato fondato da Antti Öhrling e Pekka Ala-Pietilä. Quest'ultimo è stato presidente di Nokia. Il primo viene invece dal mondo del marketing e della pubblicità. I due insomma hanno probabilmente la vista lunga su questo mercato e hanno stimato che il sistema può reggersi da solo; che le entrate che vengono dalla pubblicità e dal traffico in eccesso dovrebbero bastare a far quadrare i conti.

Il punto è che Blyk si inserisce in un fenomeno emergente. È certo un operatore mobile innovativo (mai nessuno prima aveva fondato il proprio business sulla pubblicità), ma è solo l'avanguardia di un mercato che si sta sviluppando. Cioè quello della pubblicità sui cellulari, in cui crede anche Google: solo qualche giorno fa ha lanciato la versione mobile di Adsense. E l'operatore mobile Virgin Mobile, negli Usa, di recente ha comunicato di avere 330 mila clienti (su 4,8 milioni) che ottengono minuti gratis in cambio dell'onere di ricevere pubblicità.

(24 settembre 2007)


++  Il Sole 24 Ore 24-9-2007 Aeroflot offre 1 miliardo di dollari per Alitalia: «Ma il Governo non vuole»


Pronti ad acquistare Alitalia mettendo sul piatto oltre un miliardo di dollari se il governo è disposto a cederla. Aeroflot riapre così il dossier sulla compagnia di bandiera invitando l'esecutivo a pronunciarsi sulla reale volontà di venderla. Dopo essersi ritirato lo scorso giugno dall'asta per mancanza di condizioni, la società russa conferma l'interesse sul vettore, ma ritiene che prima di presentare qualsiasi nuova offerta l'esecutivo debba chiarire se veramente vuole mettere sul mercato la quota di controllo.
«Ci sono persone all'interno del governo italiano - dice all'ADNKRONOS il vice direttore generale di Aeroflot, Lev Koshlyakov - che preferiscono imporre alcune restrizioni pratiche che chiudono il mercato agli offerenti per l'acquisizione di Alitalia». Ma non solo.
Secondo il manager «il governo italiano non ha una posizione chiara sul futuro di Alitalia, mentre dovrebbe essere interessato a farla ripartire».
Il vice direttore generale sottolinea che Aeroflot per il «pacchetto Alitalia» ha messo in agenda «oltre unmiliardo di dollari» e che per la sopravvivenza del vettore italiano il tempo stringe. «Non so per quanto ancora Alitalia possa andare avanti -spiega- senza un reale offerente. Dipende quanto il governo è ancora disposto a pagare».

 


++   Il Corriere della Sera 24-9-2007 L'insofferenza dei cittadini, l'<antipolitica> e l'ascesa di Grillo

L'insofferenza dei cittadini, l'"antipolitica" e l'ascesa di Grillo lusconiano e in questa successiva stagione unionista, il peso di questi gruppi sulle pubbliche casse è cresciuto del 67,4 per cento. Democrazia e antipolitica Tutti "costi della democrazia"? Pedaggi obbligatori che altri paesi non pagano (non così, non così!) ma che gli italiani dovrebbero essere felici di versare per tenersi stretti "questo" sistema parlamentare, "questa" macchina pubblica, "questi" governi statali, regionali, provinciali, comunali che i loro protagonisti presentano, facendo il verso al "Candido" voltairiano, come il migliore dei mondi possibili? Tutti costi impossibili da ridurre al punto che il bilancio della Camera prevede già di costare come prima e più di prima anche negli anni a venire a dispetto di ogni dubbio e di ogni critica? Dice la storia che la Regina Elisabetta, invitata dal governo inglese a tagliare, ha preso così sul serio questo impegno che la spesa pubblica per la Corona è scesa dai 132 milioni di euro del 1991-1992 a meno di 57 milioni. Eppure, guai a ricordarlo. C'è subito chi è pronto a levare l'indice ammonitore: attenti a non titillare l'antipolitica, attenti a non gonfiare il qualunquismo, attenti a non fare della demagogia. Ne sappiamo qualcosa noi, ne sa qualcosa chiunque in questi mesi ha rilanciato con forza alcune denunce, ne sa qualcosa Beppe Grillo. Ma certo, non tutto quello che ha detto il "giullare- à-penser" genovese può essere condiviso. Dall'invettiva del "Vaffanculo Day" lanciata in un Paese che ha bisogno come dell'ossigeno di un linguaggio più sobrio fino all'appoggio alle tentazioni di rivolta fiscale. Un acerrimo avversario dello Stato italiano come Sylvius Magnago, straordinario protagonista di durissimi scontri in difesa dei sudtirolesi di lingua tedesca, lo ha spiegato benissimo sottolineando di sentirsi "un patriota austriaco ma un cittadino italiano": "prima" si devono pagare le tasse, "poi" si può dare battaglia. Ma quale autorevolezza hanno per liquidare Grillo quanti per anni e anni non sono riusciti a dimostrare la volontà, la capacità, la credibilità, la forza per cambiare sul serio questo Paese? L'Umberto Bossi che intima a Grillo che "occorre stare attenti a non esagerare" non è forse lo stesso Bossi che diceva che "il Vaticano è il vero nemico che le camicie verdi affogheranno nel water della storia "? Gerardo Bianco che al Grillo che vorrebbe un limite massimo di due legislature risponde dicendo che "non bisogna seguire la piazza a rimorchio di istrioni della suburra" non è lo stesso che siede in Parlamento dal 1968? E il Massimo D'Alema che liquida gli attacchi di Grillo ai partiti dicendo che per sua esperienza "se si eliminano i partiti politici dopo arrivano i militari e governano i banchieri" non è lo stesso che nei giorni pari dice che "la politica rischia di essere travolta come nel 1992" e nei dispari che "i costi della politica sono un'invenzione di giornalisti sfaccendati"? E la destra che, Udc a parte, ha firmato col proprio questore il bilancio della Camera e poi si è rifiutata di votarlo nella speranza di cavalcare la tigre, non è quella stessa destra che governava con una maggioranza larghissima nei cinque anni in cui le spese delle principali istituzioni pubbliche sono cresciute di quasi il 24 per cento oltre l'inflazione? Per quel po' di esperienza che abbiamo fatto in questi mesi dopo l'uscita del nostro libro, incontrando diverse migliaia di persone, ci andremmo molto cauti, prima di liquidare l'insofferenza di milioni di cittadini, confermata inequivocabilmente dai sondaggi e dalle analisi di Ilvo Diamanti, come "tentazioni antipolitiche". Noi abbiamo visto piuttosto crescere una nuova consapevolezza. Quella che "prima" del legittimo diritto di ognuno di noi di sentirsi di destra o di sinistra, abbiamo tutti insieme un problema: una politica che ha allagato la società. E che, come dimostra il dibattito di queste settimane, non ha la forza non solo per risolvere i problemi ma neppure per metterli sul tavolo. Bilanci trasparenti è "antipolitico" chiedere come mai non vengono neppure ipotizzati l'abolizione delle province o l'accorpamento dei piccoli comuni? Che tutte le amministrazioni pubbliche siano obbligate a fare bilanci trasparenti dove "acquisto carta da fax" si chiami "acquisto carta da fax" e "noleggio aerei privati" si chiami "noleggio aerei privati" così da spazzare via tanti bilanci fatti così proprio per essere illeggibili? Che anche il Quirinale metta in Internet il dettaglio delle proprie spese come Buckingham Palace? Che venga rimossa quella specie di "scala mobile" dell'indennità dei parlamentari ipocritamente legata a quella dei magistrati due decenni abbondanti dopo l'abolizione del meccanismo per tutti gli altri italiani? Insomma: viva le istituzioni, viva il Parlamento, viva i partiti. Però diversi: diversi. E soprattutto: è antipolitico chiedere che certi politici italiani la smettano di essere così presuntuosi da pretendere di identificarsi automaticamente con la Democrazia? Sergio Rizzo Gian Antonio Stella IL PALAZZO Crescono le spese della politica Quest'anno le spese per la Camera supereranno il miliardo di euro LA PIAZZA Il comico genovese con il V-day, all'insegna dell'antipolitica, ha mobilitato una folla di scontenti La Regina Elisabetta, invitata dal governo, tagliò la spesa pubblica per la Corona dai 132 milioni di euro del '91-'92 a meno di 57 milioni Bisogna andarci molto cauti prima di liquidare l'insofferenza di milioni di cittadini: è cresciuta invece una nuova consapevolezza Gli affitti per i palazzi sono cresciuti del 6,6 per cento: il quadruplo dell'inflazione Le spese di trasporto alla Camera, compresi viaggi e aerei di Stato, aumentano del 31,82 per cento


+  La Stampa 24-9-2007 Da Jesolo il comico contro il Vaticano: «E' l'amministratore delegato tedesco» MARCO I. FURINA

ROMA
Il Papa? «Un amministratore delegato tedesco che gestisce due milioni di lavoratori in nero». Nella sua foga polemica Beppe Grillo non risparmia neppure Joseph Ratzinger e dal palco di Jesolo dove è in tournée con il suo spettacolo attacca tutto e tutti, nessuno escluso. E dopo aver invitato ieri i grillonauti ad affollare le sale dei consigli comunali d’Italia, torna a sferzare il mondo della politica: Il Parlamento? Con una media di un pregiudicato ogni 10 parlamentari - attacca il comico -, «spaventa perfino il Bronx, dove di pregiudicati ce n’è solo uno su 15».

Ma le parole più dure il comico genovese le riserva a Clemente Mastella. L’ultimo post lasciato da Grillo sul suo blog è tutto per il ministro della Giustizia: «Parlare di Mastella è come sparare su un tonno in scatola. Non riesco più a stargli dietro». Questa volta a finire sul banco degli imputati è il blog di discussione aperto dal leader dell’Udeur, che non garantirebbe la totale libertà di espressione tipica di internet. «La Rete è nata libera - spiega il comico -. Una delle sue leggi è la trasparenza. Non si può nascondere nulla in Rete e non si possono raccontare balle.

La Rete è la fine dei politici che dichiarano una cosa e ne fanno un’altra». Mentre Mastella «ha aperto un blog per dialogare con i cittadini, ma - ironizza Grillo - non pubblica le migliaia di commenti negativi. Quelli positivi arrivano solo da Ceppaloni. La Rete non tollera questo tipo di comportamento». E Grillo, che sul sapiente uso del web ha costruito il suo successo, gongola per la sorte dell’avversario, ribattezzato per l’occasione «ministro dell’indulto»: «Hanno clonato il suo blog per poter commentare. Quando il Ministro dell’Indulto pubblica un post lo pubblicano subito anche loro consentendo i commenti». Commenti del tipo: «Mastella ha uno sguardo da banconota falsificata male».

Non è solo il Guardasigilli il bersaglio del comico più discusso del momento. Destra e sinistra, il leader del V-day ha una parola per tutti. A Pier Ferdinando Casini che il giorno del V-day lo aveva definito un terrorista risponde così: «Si deve vergognare: proprio lui che fa il genero di Caltagirone di professione, e nel cui partito c’era Mele (il deputato dimessosi dal gruppo dell’Udc dopo essere stato scoperto in un festino a base di droga e sesso, ndr) e che va al Family day con due famiglie». Di Walter Veltroni ripete: «Un topo Gigio alla guida di un Partito democratico nato morto».

Il premier è di nuovo «il valium Romano Prodi che ha l’encefalite letargica». E al viceministro dell’Economia, Vincenzo Visco chiede: «Dove sono finiti i soldi che mancano derivanti dagli appalti sulle concessioni dei macchinari per i giochi d’azzardo. Pari a 4 Finanziarie». Ma non è per nulla tenero nemmeno col ministro delle Telecomunicazioni, Paolo Gentiloni, colpevole, a suo dire, di tergiversare sulla questione di Rete 4: «Dice di essere nato vecchio e che ora si sente giovane ma è nato solo str... e rimane str...».

Le critiche a 360 gradi del comico al mondo delle istituzioni e dei partiti non scoraggiano però gli esponenti politici dal tentare un’analisi del fenomeno Grillo. Per il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero su «moralità politica», esigenza che la «politica riprenda in mano l’economia» e «lotta alla precarietà», Grillo ha ragione. Mentre un uomo di spettacolo come Gerry Scotti invita a non fidarsi dei proclami del comico: «Grillo è bravo, furbo, intelligente e con delle caratteristiche uniche», ma sinceramente - dice il presentatore di Canale 5 - sono stupito «dal fatto che tutti sono riusciti a cascarci».


+  Il Corriere della Sera 24-9-2007 Solo per il 20% l'esponente ds come leader porterà «molti più voti» Pd, in calo l'effetto-Walter Previsto un milione alle urne. Renato Mannheimer

 

Diversamente da gran parte delle consultazioni elettorali, l'interesse per le prossime primarie del Partito Democratico — e il parametro di misura del loro successo o insuccesso — non sta tanto nell'esito in sé, ormai scontato, quanto nell'ampiezza della partecipazione e del consenso ottenuto dagli «altri» candidati, al di là del vincitore.

In una ricerca di opinione svoltasi pochi giorni fa, ha dichiarato di volersi «sicuramente» recare a votare il 14 ottobre quasi metà dell'elettorato di Democratici di Sinistra e Margherita nel loro insieme. Come spesso accade nei sondaggi, molte — la gran parte — di queste dichiarazioni non si tradurranno poi in comportamenti veri. Ma, al di là della sua effettiva (scarsa) capacità previsiva, il dato resta assai significativo: esso indica l'interesse, che, malgrado tutto, la creazione del nuovo partito suscita nell'elettorato del Partito Democratico. E la presenza di intenzionati a partecipare anche al di fuori degli elettori di Ds e Margherita mostra come l'attenzione nei confronti della prossima consultazione sia assai estesa. Lo prova anche il fatto che, rispetto ad un analogo sondaggio effettuato prima dell'estate, si registra un incremento nelle intenzioni di voto dichiarato. La partecipazione preannunciata è all'incirca simile negli elettorati Margherita e Ds, con una lieve accentuazione in quest'ultimo. Ancora, paiono più propensi a recarsi a votare i meno giovani, forse più legati all'identità tradizionale dei partiti che daranno luogo alla nuova forza politica.

Alle precedenti primarie, quelle che indicarono Prodi quale candidato alle elezioni, parteciparono, si dice (ma nessuna documentazione affidabile è stata mai fornita), circa quattro milioni di persone. In quel caso, tuttavia, si trattava al tempo stesso di un voto «per» Prodi, e, forse ancor più, di un segnale «contro» Berlusconi. Non è questo il caso alle prossime consultazioni del Pd. Per questo, le previsioni sulla partecipazione sono assai più contenute e gran parte degli osservatori ritiene che l'afflusso di un milione di persone potrebbe già essere considerato un successo.

Come si è detto, la vittoria di Veltroni è scontata. Preannuncia il voto favorevole verso il sindaco di Roma addirittura il 70% dell'elettorato potenziale, ancora una volta con una (comprensibile) accentuazione tra i Ds. Tra gli altri candidati appare molto quotata Rosy Bindi, che sembra attirare maggiormente i voti degli elettori meno «organici » a Ds e Margherita e quelli provenienti dagli altri partiti. Enrico Letta si classificherebbe terzo.

Ma quali potrebbero essere le conseguenze delle primarie del Pd sullo scenario politico complessivo? Gran parte degli intervistati, a destra come a sinistra, è scettica e prevede che l'elezione di Veltroni a leader del Pd farebbe affluire al massimo «qualche voto in più» e avrebbe scarsa influenza sulla popolarità del governo.

Quest'ultima affermazione appare fondata. Il governo sta attraversando un periodo tormentatissimo. Lacerato al suo interno da contrasti apparentemente insanabili e minato dall'esterno, non tanto da parte dell'opposizione, quanto dal diffondersi tumultuoso degli atteggiamenti e dei comportamenti legati all'antipolitica. Queste difficoltà si riflettono ovviamente anche sui livelli di consenso — giunti ai minimi storici — e su quelli delle intenzioni di voto espresse nei sondaggi, che vedono il centrodestra in vantaggio di poco meno di dieci punti.
Va detto però che quella attuale è una situazione da sempre caratteristica del periodo precedente al varo della Finanziaria. Tutti gli esecutivi che si sono succeduti nel nostro Paese, di destra o di sinistra, hanno vissuto in modo tormentato, talvolta drammatico, le settimane antecedenti all'approvazione della legge. Per questo, la futura popolarità dell'esecutivo sembra dipendere più dai contenuti della Finanziaria che dalle sorti del Pd.
La cui nascita potrà, come molti osservatori sostengono (lo ha di recente suggerito in modo assai efficace Michele Salvati nel suo ultimo libro) dare un forte impulso al centrosinistra. Ma non aiuterà ad accrescere il consenso per il governo. Anzi, con l'emergere dell'alternativa Veltroni, potrebbe forse produrre l'effetto contrario.

24 settembre 2007


+ La Repubblica 24-9-2007 La prova d'orchestra di pifferi e tromboni di EUGENIO SCALFARI

La pessima esibizione del Senato nel dibattito sulla Rai di giovedì scorso è stata in realtà una sorta di prova generale di quanto potrà avvenire nell'appuntamento parlamentare con la legge finanziaria 2008. La sessione di bilancio: così si chiama quell'appuntamento che ha inizio con la presentazione del disegno di legge al capo dello Stato e al Parlamento e si conclude tassativamente entro la fine dell'anno sgombrando in quei tre mesi ogni altra iniziativa legislativa salvo i casi di urgenza e la conversione in legge di eventuali decreti pendenti.

Una prova generale assolutamente "sui generis". Infatti - a differenza delle prove generali vere - qui non c'era un regista. Ciascuno recitava a soggetto e ciascuno aveva un soggetto proprio e mai come in questa deplorevole occasione è utilissimo riandarsi a vedere "Prova d'orchestra", uno dei più bei film di Federico Fellini, indimenticabile lezione artistica, umana, politica.

In "Prova d'orchestra" un gruppo di orchestrali che fino a quel giorno avevano lavorato insieme sotto la guida d'un celebre direttore, decidono di fare da loro. Il direttore tenta in tutti i modi di battere il tempo con la sua bacchetta e di far rispettare a ciascuno il suo ruolo e la corretta esecuzione dello spartito, ma ogni suo sforzo è vano, i violini vanno per conto loro e così i bassi, il clarinetto, l'oboe, i timpani, i tromboni. Finisce in una vera e propria rissa a colpi di archetto e di tamburo.

Ero amico di Fellini e un paio di volte andai ad intervistarlo a Cinecittà durante la lavorazione dei suoi film. Gli chiesi in una di quelle interviste quale fosse il film che gli era più caro. Ci pensò un po' e poi - tipico suo - mi rispose: "Mentre li giravo mi piacevano, dopo il montaggio rivedevo tutte le imperfezioni e ne ero scontento. E poi non li ho mai più rivisti". Tutti? gli ho chiesto. Scontento di tutti? "Tutti salvo uno: Prova d'orchestra. Ogni tanto me lo rivedo".
Suggerisco ai membri del Senato che hanno mandato in scena uno spettacolo vergognoso per inconcludenza e dimostrazione d'ignoranza dell'argomento di cui dibattevano, di comprarsi la cassetta di quel film e meditarci sopra. Ne trarrebbero certamente diletto ma soprattutto sgomento, lo specchio gli rimanderebbe infatti l'immagine che tutti noi spettatori abbiamo visto ma che le loro mediocri vanità e personali ambizioni insieme all'ossessiva contemplazione del proprio ombelico gli hanno nascosto. Se avessero un briciolo di senso di responsabilità ne sarebbero sconvolti come noi spettatori e cittadini ne siamo rimasti.
* * *
Comunque la singolare prova generale di quanto potrebbe accadere ad ottobre nel dibattito sulla Finanziaria c'è stata. E' stata commentata da Prodi in Consiglio dei ministri, da Berlusconi e da tutto il teatrino politico, come se gli attori parlamentari fossero persone diverse da quelle che il giorno seguente commentavano quanto è avvenuto. Queste dissociazioni rispetto al proprio operato sono frequenti quando la politica si avvita su se stessa dimenticando il suo alto ruolo e le sue responsabilità. Miserie, che gettano discredito su tutto incoraggiando le urla degli istrioni di ogni genere e conio.

Il disegno che emerge è chiaro e si può riassumere così:
1. Il dibattito sulla Finanziaria sarà il momento culminante della strategia della "spallata ".
2. Il governo non reggerà a causa delle interne divisioni della maggioranza e dunque imploderà, almeno in Senato dove ormai anche l'esiguo margine di vantaggio del centrosinistra è scomparso.
3. Dini ha in mente la presidenza del governo interinale che sarà inevitabile quando Prodi sarà stato sfiduciato dal Senato. Perciò troverà mille modi per votare contro e sfiancare la maggioranza, articolo dopo articolo.
4. Mastella vede con crescente preoccupazione l'avvicinamento di Dini al centrodestra, verso il quale anche lui è da tempo in movimento. Chi ci arriva prima (nella visione di questi due "statisti") meglio alloggia. Di qui i loro ambigui e ondivaghi comportamenti.
5. Di Pietro ha scoperto Grillo e ambisce a rinverdire i fasti di "Mani pulite". Il leader dell'"Italia dei valori" è affascinato dalle insorgenze in nome della "legalità". Cantavano nel nostro Risorgimento: "Quando il popolo si desta / Dio si mette alla sua testa / la sua folgore gli dà". Di Pietro pensa di poter esser lui quella folgore relegando Grillo al ruolo maieutico ma non politico. Le sue preannunciate dimissioni da ministro e l'uscita dei suoi parlamentari dalla coalizione servirebbero egregiamente a consolidare la sua fama di difensore della legalità disinteressato, mettendo nelle sue mani un seguito per ora valutabile al 17 per cento che la sua leadership (secondo lui) potrebbe portare oltre il 20. Insomma un grande partito alla faccia di Veltroni che gli ha impedito di candidarsi per la guida del Partito democratico.
6. Il quale Veltroni (e Rutelli con lui) non può assistere inerte a questo sfascio dell'Unione e alle difficoltà che si ripercuotono anche sul nascituro Pd. Quindi dovrà prendere qualche iniziativa spettacolare. Ma poiché nelle condizioni attuali ogni iniziativa spettacolare rischia di accrescere la litigiosità della maggioranza, ecco che i rischi d'implosione possono venire anche dal sindaco di Roma.
Questa è la diagnosi di quelli che lavorano per la spallata. Ed ora vediamo chi sono.
Anzitutto il centrodestra al completo. Su questo punto la Casa delle cosiddette libertà è compatta da Bossi a Casini, passando anche per Tabacci. Tutti puntano sulla cacciata di Prodi. Dopodiché si dividono: Berlusconi e i suoi fedeli vorrebbero le elezioni immediate; Casini punta su un governo istituzionale che prepari la nuova legge elettorale con tutto il tempo necessario, almeno un anno, per intraprendere la creazione di un piccolo-grande centro.
Questo disegno d'altra parte è condiviso anche da forze di diversa provenienza, economiche, editoriali, culturali: cacciata di Prodi, governo istituzionale che duri almeno fino al 2009, scomposizione degli attuali schieramenti bipolari, aggregazione centrista con Udc, la parte moderata dei Ds, i cattolici di Pezzotta, le comunità di Cl e di Sant'Egidio alle ali, la Confindustria alle spalle e i grandi giornali di proprietà banco-industriale ai fianchi.

Questo disegno prevede anche, oltre alla cacciata di Prodi con disonore - la giubilazione di Berlusconi con premi e medaglie e la nascita d'una nuova leadership non centrista ma centrale. E qui il ventaglio è largo e va da Montezemolo a Draghi, a Mario Monti, e perché no a Veltroni.

Grillo ha un ruolo in questo disegno: il lavoro sporco. Deve spazzar via i disturbatori di professione, la sinistra radicale, i diessini non abbastanza flessibili, il potere della Cgil e dei sindacati in genere. Poi - come ha scritto il buon Giovanni Sartori sul "Corriere della Sera" - non servirà più. Butteremo l'acqua sporca (Grillo) ma non il bambino che in quell'acqua ha emesso i suoi primi vagiti.
* * *
Spero d'esser stato chiaro nell'esporre i vari elementi di crisi che dovrebbero produrre l'implosione del governo e della maggioranza. Elementi diversi ma tutti convergenti su quell'obiettivo.

Ci sono però alcuni elementi avversi e anch'essi vanno considerati. Uno anzitutto: affinché l'implosione si verifichi deve avvenire sulla Finanziaria, che è la regina di tutte le battaglie parlamentari. Se la Finanziaria dovesse invece passare indenne, la strategia della spallata di fatto risulterebbe sconfitta.

Provocare la crisi con la bocciatura della Finanziaria avrebbe tuttavia come conseguenza l'esercizio provvisorio, il declassamento del debito pubblico italiano sui mercati internazionali, un terremoto nei nostri rapporti con l'Unione europea, il fallimento della riforma delle pensioni e il ritorno dello "scalone", la rivolta dei sindacati, la fine della pace sociale.

Chi si prenderà una così drammatica e storica responsabilità? Mastella? Lamberto Dini? Rifondazione? Diliberto? Pecoraro Scanio? Cesare Salvi? Di Pietro? Bordon? Mandare il paese ai margini dell'Europa, azzerare i timidi accenni di crescita economica, aprire la guerra sociale? E' vero che si vedono in circolazione molti irresponsabili, ma fino a questo punto?

Il disegno suddetto si fonda anche sulla giubilazione di Berlusconi. Ma il "patron" di Fininvest e di Mediaset ha la vittoria a portata di mano. Vi pare che si farebbe mettere in soffitta proprio adesso? Vi pare che si separerebbe dalla Lega, che è carne della sua carne e costola del suo corpo? Berlusconi è certamente un uomo di pulsioni improvvise che lui stesso non riesce a controllare, ma è anche guidato da un fortissimo istinto di sopravvivenza. Sa che un governo istituzionale per lui sarebbe una soluzione a perdere. Ma sa anche che questo è l'obiettivo di gran parte dei suoi alleati. Potrebbe anche operare in modo che la spallata sulla Finanziaria sia tentata ma non abbia esito, seguendo i suggerimenti moderati di Gianni Letta e di Marcello Dell'Utri.

Infine, piaccia o non piaccia, c'è "testa di ferro", cioè Romano Prodi. Chi lo sottovaluta commette un grave errore. Chi pensa che sia svagato, distratto, sonnacchioso, bravo soltanto nel tirare a campare, sbaglia ancora di più.

Prodi ha molti difetti. Non è un principe della comunicazione (ma da Vespa andò benissimo) è sospettoso. E' rancoroso. Ma è riuscito a governare in mezzo ad un'incessante tempesta dovuta in gran parte a quella "porcata" della legge elettorale imposta dal precedente governo.

In un anno nel quale la sua popolarità è crollata al 26 per cento (ma quella di Berlusconi non supera il 32) insieme a Padoa-Schioppa, a Visco e a Bersani è riuscito a rimettere a posto i conti con l'Europa, a far emergere da zero a 2 punti l'avanzo primario, a realizzare un recupero dell'evasione di molti miliardi e un super-gettito tributario senza nessuna tassa in più.

Ha diminuito l'Irap di 5 miliardi a beneficio delle imprese e dei lavoratori. Sta per decretare il bonus per le pensioni minime e il loro aumento stabile. Nella Finanziaria semplificherà il pagamento delle imposte per le micro-aziende (sono tre milioni e mezzo) istituendo un'imposta unica senza nessun altro adempimento; abbatterà l'Ires di 5 punti stimolando la crescita come e forse più di quanto la Merkel abbia fatto per le imprese tedesche.

Per uno che è stato definito Mortadella, Valium, Prozac e - secondo l'ultima diagnosi di Grillo - Alzheimer, direi che non c'è male.

Io non sono nella sua testa e perciò non so prevedere che cosa farà nei prossimi giorni, ma di una cosa sono certo: non resterà esposto ai colpi senza reagire. Se deve implodere, sarà lui ad esplodere. Anticiperà i tempi. Andrà magari a dimettersi al Quirinale. O qualche cosa del genere. Oppure sfiderà avversari esterni o interni ponendo la fiducia sulla sua Finanziaria. Con l'appello nominale e le eventuali assenze, tutto sarà chiaro e ciascuno si assumerà le sue responsabilità. Ivi compresi noi giornali e giornalisti. Ci vuole almeno un po' di grandezza quando si affronta la bufera.

Post scriptum. Nel corso di una trasmissione televisiva (Speciale Tv 7) cui ho partecipato venerdì, andata in onda all'una di notte,) ho ascoltato gli insulti e alcune falsità indirizzatimi dalle urla del comico Giuseppe Grillo. Poiché la mia risposta non sarà stata ascoltata da molti a causa della tardissima ora, la riferisco qui di seguito.

Grillo ha detto che ho ricevuto venticinquemila "email" di protesta contro un mio articolo critico nei suoi confronti. In realtà le lettere a me indirizzate sono state in tutto - fino ad oggi - sessantanove, sette delle quali in mio favore e sessantadue contro.

Ho anche ricordato, in cortese polemica con Giovanni Sartori in studio con me insieme al direttore del Tg1 Gianni Riotta, che nel 1919 i fasci mussoliniani nacquero più o meno con un programma analogo, eccitando gli italiani ad insorgere contro la decrepita classe politica, contro i partiti esistenti, contro la monarchia costituzionale, per far vincere l'Italia dell'ordine e delle persone perbene.

Dal '19 al '23 personalità come Benedetto Croce e Luigi Albertini, che hanno dedicato la propria intelligenza e la propria vita alla difesa della libertà, appoggiarono quel movimento o perlomeno non ravvisarono i rischi cui esso sottoponeva la fragile democrazia italiana. Giudicarono che poteva essere utile per recuperare "legge e ordine". Poi Mussolini e i suoi sarebbero stati rimandati a casa con tanti ringraziamenti per il lavoro sporco che avevano effettuato.

Anche i grandi filosofi e i grandi giornalisti possono commettere gravi errori e questo fu il caso di Croce e di Albertini.

Nella trasmissione di venerdì mi sono limitato, senza proporre alcun confronto improprio, a ricordare quanto accadde 88 anni fa e gli effetti che ne derivarono per questo sempre immaturo Paese.



(23 settembre 2007)


+ La Repubblica 23-9-2007 Il paese degli impotenti di ILVO DIAMANTI

Si dice che l'ondata di sfiducia popolare sia stata sollevata dall'indignazione contro i partiti, ridotti a oligarchie. E contro la classe politica. Una "casta", come recita il titolo del fortunatissimo libro-inchiesta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. Che gode di benefici esorbitanti. Inaccettabili per la "gente comune".

Non ne siamo sicuri. Crediamo, invece, che la delegittimazione non origini dal distacco della classe politica dalla società, ma dall'esatto contrario. La perdita di ogni differenza rispetto alla "gente comune". Di cui i politici riflettono e riproducono, amplificati, i vizi più delle virtù. Come pretendere che i cittadini possano provare rispetto o timore nei loro confronti?
Per la stessa ragione, dubitiamo che sia giusto definire la classe politica una "casta". Termine usato per indicare un gruppo sociale distinto e diverso dagli altri, in base a motivi (religiosi, come in India) socialmente condivisi. I cui membri, se occupano posizioni più elevate, possono accedere a privilegi specifici. Se la classe politica fosse davvero una "casta", dunque, i riconoscimenti e i vantaggi di cui gode non provocherebbero scandalo. Sarebbero considerati "benefici di status" legittimi, legati al loro ruolo di rappresentanza e di governo. D'altronde, è quanto avviene altrove ed è avvenuto in passato anche in Italia, senza il "rigetto" popolare di questa fase. Gli innumerevoli scandali, denunciati da tutti i media, a nostro avviso, c'entrano solo in parte con questa ondata di sdegno. Conta di più, semmai, l'insoddisfazione per le "prestazioni" dei politici. La convinzione diffusa che siano poco competenti e poco efficaci. Che, per questo, i privilegi loro accordati siano un "costo" sociale improduttivo. Senza benefici per la società. D'altronde il Presidente della Repubblica Francese, Nicolas Sarkozy, oggi tanto ammirato, in Italia, da destra a sinistra, ha dichiarato esplicitamente: "se un uomo politico è capace ed efficiente, non vedo perché dovrebbe, in aggiunta, vivere modestamente". Appunto: se è "capace ed efficiente". Altrimenti, come in Italia, esplode il risentimento popolare.
Tuttavia, neppure questa spiegazione, da sola, ci pare sufficiente. Quando la sfiducia si trasforma in dileggio generalizzato e sfocia nello "sputo di massa", non si tratta solo di dissenso. E' qualcosa di peggio: "banalizzazione". Perdita delle distinzioni fra i cittadini e chi li rappresenta e governa. La classe politica, in altri termini, è al centro delle polemiche non perché sia una "casta", lontana da noi. Ma, al contrario, perché ci somiglia troppo. Difetti, debolezze ed egoismi quotidiani compresi. Ma se i politici sono come noi, perché dovrebbero godere di tanti privilegi e favori?
Il problema è che, da molti anni, i politici fanno di tutto per mostrarsi e per apparire "persone come noi". Anzi: fanno di tutto per "mostrarsi" e "apparire". Hanno accettato la logica e le regole della "berlusconizzazione". Senza considerare che solo Berlusconi è "padrone delle televisioni".

Tutti gli altri, perlopiù copie modeste, si sono tuffati nei "media" senza mai un ripensamento. Hanno inflazionato le televisioni con la loro presenza. Convinti che fra "immagine" e "potere", fra "popolarità" e "autorità" vi sia un legame di reciprocità. Più immagine = più potere. Più popolarità = più autorità. E viceversa.

I politici. Hanno creduto che divenire personaggi televisivi familiari li avrebbe resi simpatici e, al tempo stesso, credibili. Ne avrebbe fatto crescere il consenso e la legittimità. Così, eccoli, all'assalto delle tivù, nazionali o locali non importa. A cucinare, cantare, danzare, giocare a biliardo, simulare orgasmi. Insieme a veline, cuochi, ballerini, tronisti, psicologi, sociologi, criminologi, criminali, enologi, attori, attrici, missitalia, calciatori, allenatori, motociclisti. Leader politici e di governo che nei cabaret televisivi duettano con i loro imitatori. Fino a rendere difficile individuare l'originale. Li abbiamo visti ricevere torte in faccia, lanciate da soubrettes dalle grandi forme, generosamente esibite. Hanno riempito le riviste di informazione gossip. Soprattutto quelle dove, scorrendo nomi e fotografie, non riconosci quasi nessuno. I soliti ignoti. La "Penisola dei famosi", descritta con quotidiana e chirurgica ferocia dai reportage di Dagospia. Un sito di riferimento per capire se uno esiste. Se "conta".

Gli uomini politici. Tutti impegnati a conquistare un posto al sole. Nei salotti tivù più esposti, più visibili. Porta a porta, ma anche Ballarò, Anno Zero, Matrix. Pronti alla mischia. Accettando (spesso cercando) la rissa, l'insulto, la frase a effetto. Pronti a darsi sulla voce, perché non è importante convincere e spiegare, ma gridare più degli altri. Avere l'ultima parola. Non importa quale.

Per cui ha fatto bene il Presidente Giorgio Napolitano, a diffidare gli uomini che hanno cariche pubbliche da questa bulimia televisiva. Il suo ammonimento, però, arriva tardi. Assai prima che Grillo invadesse la rete e - di recente - le piazze, la classe politica si era già squalificata da sola. Come ha commentato Altan, con disarmante ferocia, sulla prima pagina della Repubblica di qualche giorno fa. Quando fa dire alla caricatura del "politico" medio: "Basta con la demagogia. Siamo perfettamente in grado di mandarci a fanculo da soli".
Il fatto è che il potere suscita prestigio e timore.

Quando è "legittimo", riconosciuto, evoca rispetto. "Deferenza". E i riti, gli stessi privilegi che lo accompagnano, contribuiscono ad alimentarlo e a riprodurlo. Per questo, gli uomini che dispongono davvero di "potere" non hanno bisogno di esibirlo. Non hanno bisogno di parole. Bastano il ruolo e i "segni" che lo distinguono. Il timore che possa esercitarlo. Basta la fama che lo circonda. Ciampi non ha mai messo piede in uno studio televisivo. E Cuccia: mai una parola, un'immagine. Lo ricordate? Staffelli, il mastino di "Striscia la notizia" che lo tallona, lo interroga, microfono e telecamera addosso. E lui: non una frase. Neppure una parola. Una piega del viso. E De Gaulle? Parlava il meno possibile.

Certo: altri tempi. L'era del marketing e dell'immagine ha cambiato tutto. E' la democrazia del pubblico. La comunicazione diventa una risorsa. Perfino una necessità. Però, Blair (ieri) e Sarkozy (oggi) i media non solo li conoscono, ma li "usano". Nel senso che non si fanno "usare". Invece, in Italia, avviene il contrario. Ma ve lo immaginate Sarkozy interpellato dal Trio Medusa, delle Iene, sull'ultimo provvedimento in tema di immigrazione. E poi, immancabilmente, irriso a ogni risposta? Oppure incalzato dalla "Iena" Enrico Lucci, che, come normalmente fa con "grandi" politici e imprenditori italiani, scherza con lui come fosse un amicone. Un compagno di notti brave. Riuscite a immaginarlo?

Per questo è inutile prendersela con Grillo. Il quale ha guadagnato popolarità, in passato, andando in tivù. E si è conquistato credito e potere, in seguito, quando ha smesso di andarci. Sulle piazze egli si limita a replicare uno spettacolo che va in onda quotidianamente sugli schermi. Sui media. Stessi protagonisti, stesse comparse. Così le sue prediche corrosive, magari divertono, poi indignano. Ma alla fine lasciano un senso di vuoto. Perché evocano la storia di un Paese minore: il nostro. Dove privilegi grandi e piccoli vengono esibiti senza vergogna da tanti piccoli potenti. Pardon: tanti piccoli impotenti. Che non suscitano più né rispetto, né deferenza. E neppure paura. Perché li abbiamo sempre sotto gli occhi. Seguiti ovunque dalle telecamere. Più che una "casta", il "cast" di una politica ridotta ad avanspettacolo. A un reality show. Se la democrazia esige che le stanze del potere abbiano pareti di cristallo, per noi è come guardare la casa del "Grande Fratello".

(23 settembre 2007)


Il Corriere della Sera 24-9-2007 La Casta promette e non mantiene. L'insofferenza dei cittadini, l'«antipolitica» e l'ascesa di Beppe Grillo. I costi della politica salgono ancora In soli tre anni i costi di Montecitorio saranno aumentati  del 9,2% con un aggravio sulle casse pubbliche di 92 milioni di euro. Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella

 

 

Cosa deve accadere, perché capiscano? Devono esplodere il Vesuvio, fallire l'Alitalia, rinsecchirsi il Po, crollare la Borsa, chiudere gli Uffizi, dichiarare bancarotta la Ferrari? Ecco la domanda che si stanno facendo molti cittadini italiani. Stupefatti dalla reazione di una «casta» che, nel pieno di polemiche roventi intorno a quanto la politica costa e quanto restituisce, pare ispirarsi a un antico adagio siciliano: «Calati juncu ca passa a china», abbassati giunco, finché passa la piena. Un giorno o l'altro la gente si rassegnerà...

Non sono bastati infatti mesi di discussioni su certi privilegi insopportabili di quanti governano a livello nazionale o locale, decine di titoli a tutta pagina di quotidiani e settimanali, ore e ore di infuocati dibattiti televisivi, code mai viste nelle librerie di lettori affamati di volumi che li aiutassero a capire. Non è bastata la sbalorditiva rimonta nella raccolta delle firme del referendum elettorale che dopo essere partita maluccio è arrivata in porto trionfalmente. Non sono bastate le piazze stracolme intorno a Beppe Grillo e le centinaia di migliaia di sottoscrizioni alle sue proposte di legge di iniziativa popolare.

Macché: non vogliono capire. Non tutti, certo. Ma in troppi non vogliono proprio capire. Lo dimostra, ad esempio, il bilancio appena varato della Camera dei deputati. Dove una cosa spicca su tutte: dopo tante dichiarazioni di buona volontà e pensosi inviti a rifiutare ogni tesi precostituita e sospirate ammissioni che alcuni «benefit » erano proprio indifendibili e solenni impegni a tagliare, le spese sono cresciute ancora. E ben oltre l'inflazione. Il palazzo presieduto da Fausto Bertinotti era costato nel 2006, quando i primi mesi erano stati gestiti dalla destra, 981.020.000 euro: quest'anno, alla faccia di quanti sostenevano che tutta la colpa fosse della maggioranza berlusconiana che aveva lasciato una «macchina » spendacciona, ne costerà 1.011.505.000. Con un aumento del 3,11 per cento: il doppio dell'inflazione.

GLI STIPENDI E GLI AFFITTI - Non basta. Nel 2008, stando alle previsioni del bilancio triennale, queste spese che già hanno sfondato (prima volta) la quota-choc di un miliardo di euro, cresceranno ancora. Fino a 1.032.670.000. Per impennarsi ulteriormente nel 2009 fino alla cifra sbalorditiva di 1.073.755.000. Sintesi finale: in soli tre anni i costi di Montecitorio, dopo tutto il diluvio di belle parole spese per arginare l'irritazione popolare, saranno aumentati del 9,2%. Con un aggravio sulle pubbliche casse di 92 milioni di euro in più rispetto al 2006.

Ricordate cosa avevano assicurato, per arginare la mareggiata di contestazioni, a proposito dello stipendio dei deputati? Che l'indennità, che stando alla politica degli annunci è già stata tagliata un mucchio di volte, sarebbe calata. Falso: costerà il 2,77 per cento in più: un punto abbondante oltre l'inflazione. E i vitalizi? Il 2,93 per cento in più. Per non dire delle retribuzioni del personale. Avete presente la denuncia dell'Espresso sulle buste paga dei dipendenti delle Camere? La scandalosa scoperta che un barbiere del Senato può arrivare a 133 mila euro lordi l'anno e cioè 36 mila euro più del Lord Chamberlain della monarchia inglese? Che un ragioniere della Camera può arrivare a 238 mila, cioè circa ventimila euro più dell'appannaggio del presidente della Repubblica? Bene: stando al bilancio di Montecitorio, il monte-paghe del personale costerà nell'anno in corso il 3,73 per cento in più.
Oltre il doppio dell'inflazione.

Quanto agli affitti per i palazzi a disposizione (insieme col Senato la Camera è arrivata, tra immobili di proprietà e in locazione, a 46) sono cresciuti del 6,6%: il quadruplo dell'inflazione. Eppure non è neppure questo il record. I traslochi e il «facchinaggio» erano costati nel 2006 la bellezza di 1.255.000 euro, con un rincaro di 45.000 euro sul 2005. Dissero: «Si è dovuta tenere in giusta considerazione la spesa aggiuntiva» dovuta alle «esigenze inevitabili nel corso del cambio di una legislatura ». Può darsi. Ma allora a cosa è dovuta quest'anno l'ulteriore aggiunta di altri 100 mila euro, pari a un aumento di oltre l'8 per cento? Siamo entrati, senza saperlo, in una nuova legislatura?

LE SPESE PER I VIAGGI - Quanto ai viaggi, le polemiche sull'uso spropositato degli aerei di Stato prima nell'era berlusconiana e poi nell'era unionista, sono scivolate via come acqua. Basti dire che le spese di trasporto, alla Camera, aumentano del 31,82%. Diranno: è perché da questa legislatura ci sono 12 deputati degli Italiani all'estero che devono tenere i rapporti con i nostri elettori emigrati. Costoso ma giusto. Tesi inesatta. È vero che 1.450.000 euro (121 mila per ogni parlamentare) se ne vanno in «trasporti aerei circoscrizione estero». Ma il costo complessivo dei viaggi aerei, al di là del via vai di questa pattuglia di deputati «esteri», salirà da 6 milioni a 7 milioni 550 mila. Un'impennata sconcertante.

Ma mai quanto quella dei costi dei gruppi parlamentari. La regola sarebbe chiara: si può dar vita a un gruppo parlamentare se si hanno almeno 20 deputati. Su questa base, all'inizio della legislatura avrebbero dovuto essere otto. Ma grazie alle deleghe concesse dal subcomandante Fausto sono saliti via via a quattordici. Con una moltiplicazione delle sedi (che ha costretto a prendere in affitto nuovi uffici nonostante i deputati potessero già contare su spazi procapite per 323 metri quadri), delle segreterie (più 12,3% sul 2006), delle spese varie. Al punto che i contributi ai gruppi, che nel 2005 erano pari a 28 milioni 700 mila euro e nel 2006 erano già saliti a quasi 33, sono cresciuti ancora fino a 34.300.000 euro. Cioè quasi 14 in più rispetto a sette anni fa. Il che vuol dire che nel quinquennio berlusconiano e in questa successiva stagione unionista, il peso di questi gruppi sulle pubbliche casse è cresciuto del 67,4 per cento.

DEMOCRAZIA E ANTIPOLITICA - Tutti «costi della democrazia»? Pedaggi obbligatori che altri paesi non pagano (non così, non così!) ma che gli italiani dovrebbero essere felici di versare per tenersi stretti «questo» sistema parlamentare, «questa» macchina pubblica, «questi» governi statali, regionali, provinciali, comunali che i loro protagonisti presentano, facendo il verso al «Candido» voltairiano, come il migliore dei mondi possibili? Tutti costi impossibili da ridurre al punto che il bilancio della Camera prevede già di costare come prima e più di prima anche negli anni a venire a dispetto di ogni dubbio e di ogni critica? Dice la storia che la Regina Elisabetta, invitata dal governo inglese a tagliare, ha preso così sul serio questo impegno che la spesa pubblica per la Corona è scesa dai 132 milioni di euro del 1991-1992 a meno di 57 milioni.

Eppure, guai a ricordarlo. C'è subito chi è pronto a levare l'indice ammonitore: attenti a non titillare l'antipolitica, attenti a non gonfiare il qualunquismo, attenti a non fare della demagogia. Ne sappiamo qualcosa noi, ne sa qualcosa chiunque in questi mesi ha rilanciato con forza alcune denunce, ne sa qualcosa Beppe Grillo. Ma certo, non tutto quello che ha detto il «giullare- à-penser» genovese può essere condiviso. Dall'invettiva del «Vaffanculo Day» lanciata in un Paese che ha bisogno come dell'ossigeno di un linguaggio più sobrio fino all'appoggio alle tentazioni di rivolta fiscale. Un acerrimo avversario dello Stato italiano come Sylvius Magnago, straordinario protagonista di durissimi scontri in difesa dei sudtirolesi di lingua tedesca, lo ha spiegato benissimo sottolineando di sentirsi «un patriota austriaco ma un cittadino italiano»: «prima» si devono pagare le tasse, «poi» si può dare battaglia.

Ma quale autorevolezza hanno per liquidare Grillo quanti per anni e anni non sono riusciti a dimostrare la volontà, la capacità, la credibilità, la forza per cambiare sul serio questo Paese? L'Umberto Bossi che intima a Grillo che «occorre stare attenti a non esagerare» non è forse lo stesso Bossi che diceva che «il Vaticano è il vero nemico che le camicie verdi affogheranno nel water della storia»? Gerardo Bianco che al Grillo che vorrebbe un limite massimo di due legislature risponde dicendo che «non bisogna seguire la piazza a rimorchio di istrioni della suburra» non è lo stesso che siede in Parlamento dal 1968? E il Massimo D'Alema che liquida gli attacchi di Grillo ai partiti dicendo che per sua esperienza «se si eliminano i partiti politici dopo arrivano i militari e governano i banchieri» non è lo stesso che nei giorni pari dice che «la politica rischia di essere travolta come nel 1992» e nei dispari che «i costi della politica sono un'invenzione di giornalisti sfaccendati»?

E la destra che, Udc a parte, ha firmato col proprio questore il bilancio della Camera e poi si è rifiutata di votarlo nella speranza di cavalcare la tigre, non è quella stessa destra che governava con una maggioranza larghissima nei cinque anni in cui le spese delle principali istituzioni pubbliche sono cresciute di quasi il 24 per cento oltre l'inflazione? Per quel po' di esperienza che abbiamo fatto in questi mesi dopo l'uscita del nostro libro, incontrando diverse migliaia di persone, ci andremmo molto cauti, prima di liquidare l'insofferenza di milioni di cittadini, confermata inequivocabilmente dai sondaggi e dalle analisi di Ilvo Diamanti, come «tentazioni antipolitiche». Noi abbiamo visto piuttosto crescere una nuova consapevolezza. Quella che «prima» del legittimo diritto di ognuno di noi di sentirsi di destra o di sinistra, abbiamo tutti insieme un problema: una politica che ha allagato la società. E che, come dimostra il dibattito di queste settimane, non ha la forza non solo per risolvere i problemi ma neppure per metterli sul tavolo.

BILANCI TRASPARENTI - È «antipolitico» chiedere come mai non vengono neppure ipotizzati l'abolizione delle province o l'accorpamento dei piccoli comuni? Che tutte le amministrazioni pubbliche siano obbligate a fare bilanci trasparenti dove «acquisto carta da fax» si chiami «acquisto carta da fax» e «noleggio aerei privati» si chiami «noleggio aerei privati» così da spazzare via tanti bilanci fatti così proprio per essere illeggibili? Che anche il Quirinale metta in Internet il dettaglio delle proprie spese come Buckingham Palace? Che venga rimossa quella specie di «scala mobile» dell'indennità dei parlamentari ipocritamente legata a quella dei magistrati due decenni abbondanti dopo l'abolizione del meccanismo per tutti gli altri italiani? Insomma: viva le istituzioni, viva il Parlamento, viva i partiti. Però diversi: diversi. E soprattutto: è antipolitico chiedere che certi politici italiani la smettano di essere così presuntuosi da pretendere di identificarsi automaticamente con la Democrazia?

24 settembre 2007


 

La Repubblica 24-9-2007 L'intervista Costi della politica, il ministro Santagata annuncia: in Finanziaria ridurremo gli stipendi dei manager pubblici "Serve un taglio anche ai ministri ma non rincorreremo il comico" Nella manovra interventi drastici su missioni e consulenze Però non abbiamo la bacchetta magica CARMELO LOPAPA

 

ROMA - "Se gli italiani credono che con la bacchetta magica si risolva d'un colpo il problema dei costi della politica, resteranno delusi. Fare i botti propagandistici per rincorrere Grillo non paga. Sarà un lavoro lungo, le strutture non si smantellano, possono essere cancellati gli eccessi e gli sprechi. Lo stiamo facendo. Un grosso passo avanti sarà fatto con la Finanziaria". La manovra che sarà varata tra pochi giorni, annuncia il ministro per l'Attuazione del programma Giulio Santagata, conterrà una buona parte delle misure del ddl del governo sui costi della politica. E alcune novità, dalle consulenze agli stipendi dei manager pubblici. Ma la vera svolta, se realizzata, sarebbe un'altra: "Andrebbe fissato un tetto al numero di ministri" dice il più prodiano degli inquilini di Palazzo Chigi. Resta il fatto che il disegno di legge di luglio non approda in Parlamento. Gli enti locali non hanno concesso il loro parere. Troppe resistenze? "Regioni, Comuni e Province hanno tardato a causa di una vertenza aperta col governo, ora risolta, su altre questioni finanziarie. Non ho registrato particolari resistenze. Penso che mettere tutto in Finanziaria sia anche meglio. Abbiamo l'opportunità di trasformare quei provvedimenti in legge entro fine anno". Cosa finirà, dunque, in Finanziaria? "Tutto quel che genera risparmi. Gli interventi già previsti sulla spesa corrente dei ministeri e i tagli agli organi degli enti locali". Nulla di nuovo rispetto al ddl di luglio? "Oltre a ulteriori risparmi su auto blu e spese telefoniche a partire dallo Stato, stiamo pianificando interventi drastici su missioni e consulenze. Per esempio, riducendo gli stanziamenti già decurtati del 10 per cento nell'ultima Finanziaria. Ancora, fisseremo un tetto agli stipendi dei manager pubblici e delle società controllate". Ricorderà che lo scorso anno non siete riusciti a ridurre quegli stipendi, causa ostruzionismi interni alla stessa maggioranza. "Le resistenze ci sono sempre. Noi non ci facciamo trascinare da una foga giacobina, che non paga, ma se certi provvedimenti sono fattibili li portiamo avanti". Ma quanto contate di risparmiare? "Non ci sogniamo di sanare i bilanci con i costi della politica. L'importante non è fare cassa, ma dare un segnale di sobrietà, che per altro stiamo dando fin dal nostro insediamento. Qualcuno dimentica che il nostro governo ha tagliato del 50 per cento le ore dei voli di Stato. Che sono diminuite di 50 unità le auto blu". Che però erano 500, cambia poco. "è vero, ma abbiamo ridotto anche la cilindrata. Al ministero dell'Economia viaggiano ormai tutti in Punto. Fare i botti propagandistici per rincorrere Grillo non paga. L'amministrazione si mette a posto senza isterie. E poi, sia chiaro che qui non sta rubando nessuno. Si tratta di scrostare prassi consolidate". Ammetterà che non sarà facile convincere i suoi colleghi, dato che già la scorsa settimana - ha lamentato Padoa-Schioppa - si sono presentati in Consiglio dei ministri con richieste per 24 miliardi. "Nel governo c'è la consapevolezza che abbattendo i costi a bassa produttività si eliminano gli sprechi e sarà possibile avere più risorse in futuro. Su questo sono certo di avere il pieno sostegno del presidente del Consiglio". Non pensa che, come ritiene qualcuno, tagliare i ministeri sarebbe il più efficace dei segnali? "La mia ipotesi è che, come per gli enti locali si inciderà sui consigli, a livello nazionale si intervenga sul Parlamento e quindi sulla composizione del governo. Per l'esecutivo andrebbe individuato un tetto invalicabile al numero dei ministri".


 

Il Giornale di Brescia 24-9-2007 FINESTRA SUL MONDO Il rigore e il senso di responsabilità pubblica fa parte della cultura del Paese: l'apparato burocratico ridotto del 32% in 15 anni Costi della politica: la Germania a dieta

 

BERLINO Sarà per la severa etica protestante di cui è permeato il Paese, rigorosamente contraria a ogni forma di spreco, oppure la tradizione prussiana di spartana devozione dei funzionari dello Stato, sta di fatto che ancora oggi in Germania i politici devono camminare sul filo del rasoio in fatto di spese a carico della collettività. Esemplare è rimasto il caso del liberale Hans-Dietrich Genscher, ministro degli Esteri dal 1974 al 1992, prima con il cancelliere Helmut Schmidt, poi dal 1982 con Helmut Kohl. Quando nei primi anni Ottanta la figlia allora tredicenne espresse il desiderio di visitare New York, Genscher le acquistò un biglietto aereo di andata e ritorno su un volo della Lufthansa, rifiutandosi di portarla con sè a bordo dell'aereo di Stato con il quale si recava negli Stati Uniti per partecipare alla sessione autunnale dell'Assemblea generale dell'Onu. Esemplare è stato anche il caso dell'ex presidente della Bundesbank, Ernst Welteke, costretto a dimettersi il 16 aprile 2004 perché, come aveva rivelato il settimanale "Der Spiegel", in occasione dei festeggiamenti per l'introduzione dell'euro il primo gennaio del 2002, aveva preso alloggio con la famiglia per un paio di notti nel lussuoso Hotel Adlon di Berlino a spese di una grande banca tedesca che aveva pagato un conto di circa 7.500 euro. Il 18 luglio 2002 era stato invece il cancelliere Gerhard Schroeder a costringere alle dimissioni il suo ministro della Difesa e compagno di partito Rudolf Scharping, quando si venne a sapere che questi aveva utilizzato un aereo di Stato per fare visita alla fidanzata, la contessa Kristina Pilati, divenuta poi sua moglie, in vacanza sull'isola di Maiorca. A mandare su tutte le furie Schroeder fu il anche il fatto che Scharping aveva acquistato in una boutique abiti costosi, poi pagati dal titolare di una società di pubbliche relazioni. Per quanto riguarda in generale i costi della politica in Germania, va sottolineato che i deputati del Bundestag percepiscono uno stipendio di 7.009 euro al mese, mentre da anni tutti i cancellieri che si sono succeduti hanno portato avanti una drastica riduzione del personale dello Stato. Il numero di dipendenti di ministeri e degli altri uffici pubblici federali è oggi inferiore a quello esistente prima della riunificazione del 1990, sebbene alla vecchia Bundesrepublik siano arrivati in dote i cinque laender tedesco-orientali con oltre 17 milioni di cittadini. Alla fine dell'anno in corso il totale dei dipendenti dello Stato tedesco nel settore civile, messo ovviamente da parte l'esercito, toccherà 260.400 unità e alla fine del 2008 scenderà a 258.000. Rispetto al 1992, quando proprio a seguito della riunificazione tedesca il numero dei funzionari federali toccò la punta massima, è sparito quasi un terzo dei posti pubblici, esattamente il 32 per cento. In sintesi, il rapporto tra funzionari pubblici e popolazione è oggi di uno ogni 320 abitanti, mentre nel 1991 era di uno su 213 e nel 1998 di uno su 261. Le spese per il personale toccheranno nel 2008 il minimo assoluto del 9,4 per cento del bilancio dello Stato, rispetto al 12,1 per cento del 1991 e dell'11,4 per cento del 1998. Quest'anno è stato tagliato l'1,2 per cento dei posti, mentre per il 2008 è prevista un'ulteriore riduzione dello 0,75 per cento. Il numero di dipendenti della Cancelleria è di appena 443 unità, mentre il presidente della Repubblica, Horst Koehler, dispone appena di 170 funzionari. Il Bundestag, il Parlamento federale, conta 2.347 impiegati di diverso ordine e grado, il Ministero degli esteri ne ha 2.734, escluso ovviamente il personale in servizio nelle sedi diplomatiche all'estero. Rischioso per i leader "ritagliarsi" dei privilegi


 

Europa 24-9-2007 Finanziaria: un “piano Fanfani” per i giovani invece di grillismi e mastellismi FEDERICO ORLANDO RISPONDE

http://www.europaquotidiano.it/site/images/transparent.gif

Cara Europa, guadagno da precaria 1000 euro al mese, idem il mio fidanzato. Abbiamo trovato 55 metri quadrati per sposarci: 1200 euro al mese. Perché abbiamo votato centrosinistra? DANIELA RIMINI, ROMA

 

 Cara Daniela, se aveste votato centrodestra vi sareste trovati nella brace anziché nella padella.
Le due non-politiche si equivalgono.
Ecco perché i demagoghi alla Grillo, che sparano contro tutti, hanno successo, e perché i frontalieri alla Mastella possono rompere ogni giorno i cosiddetti a voi che avete da spaccare il centesimo.
Ma un provvedimento alla Zapatero, cioè un contributo mensile di 200-250 euro per l’affitto, a coppie come la vostra, non si è visto né con Berlusconi né con Prodi.
Gli unici che hanno manifestato sensibilità al problema (a meno di mie distrazioni) sono Giovanna Melandri, ministro per le politiche giovanili, e Antonio Di Pietro, ministro delle infrastrutture. La prima ha ricordato che in Italia c’è, grazie alla precedente finanziaria, una detrazione del 19 per cento dagli affitti per gli studenti universitari fuori sede, e che è sua intenzione chiederne l’estensione a tutti i giovani dai 18 ai 35 anni. Con lo slogan dolceamaro “Case low cost per la generazione low cost”, ha presentato con Di Pietro un progetto per nuovi alloggi ai giovani. A sua volta Di Pietro – mentre Prodi “sta pensando” a strumenti fiscali per i costi della casa – propone, oltre a immediati fondi per l’emergenza abitativa, un piano triennale di 1,2 miliardi per l’edilizia residenziale, utilizzando anche le risorse dell’Inail (3,9 miliardi), facendo disgustare Montezemolo (sarebbe una “tassa occulta” sulle imprese, dice).
Questa è l’Italia dei politici frigidi che“stanno pensando” e degli imprenditori egoisti. Dovete sapere, voi giovani e non, che dopo la prima guerra mondiale Einaudi, che era Einaudi, scatenò sul Corriere una campagna di articoli su case e affitti, che qualche anno fa sono stati pubblicati in ristampa anastatica, un volume grosso così. Trent’anni dopo quella campagna, usciti dalla seconda guerra, il ministro del lavoro Fanfani varò, dopo soli 10 mesi dalla vittoria del 18 aprile, il piano case popolari (Ina-casa) e a dicembre il ministro dei lavori pubblici Tupini fissava un contributo statale del 4 per cento a favore di chi costruiva case in cooperativa.
“Vecchi fusti”, si diceva al tempo di Longanesi e del Borghese. Dove li trovi più?


 

La Stampa 24-9-2007 Nel mattone gli affari si fanno all'estero Grecia, Spagna, Paesi del Nord Europa, Bulgaria e Russia. Per chi vuole investire oltreconfine senza sentire parlare di bolla.

 

In Grecia e Spagna le vere occasioni "Tra le mete più interessanti c'è la Grecia", spiega Paola Gianasso, responsabile estero di Scenari Immobiliari. "Le quotazioni sono in crescita ma ancora nettamente inferiori rispetto ai livelli italiani e gli investimenti migliori garantiscono rendimenti a due cifre. Ad Atene gli immobili di lusso si aggirano sui 5 mila euro al metro quadro, ma si trovano buone occasioni sui 3 mila euro". Continua a essere estremamente interessante la Spagna. A Barcellona i prezzi non superano i 4.700 euro/mq, mentre a Madrid possono raggiungere 5.200 euro. Tuttavia, sono sufficienti 3.500 - 3.700 euro/mq per acquistare un appartamento di buon livello nelle zone limitrofe al centro, con una rivalutazione media del 10% annuo. Buone le prospettive del mercato tedesco, specie per le città della parte orientale del Paese. Berlino, in particolare, presenta un'enorme offerta di immobili di alto livello, con prezzi tra i più bassi a livello europeo. Fino a questo momento gli italiani hanno tenuto in scarsa considerazione i Paesi nordici, forse perchè non sono appetibili come piazze dove acquistare una seconda casa. Tuttavia, si tratta di mercati in forte crescita, che possono offrire ottime soddisfazioni a chi acquista per investimento. Le capitali presentano uno stock edilizio moderno e di qualità, a fronte di prezzi contenuti e di buone prospettive di rivalutazione. Solo Stoccolma presenta prezzi più elevati, intorno a 5.500 euro/mq. Spostandosi verso est, è in calo l'offerta in Polonia e, in particolare, a Varsavia, mentre comincia a essere estremamente interessante l'investimento immobiliare in Bulgaria e Russia. A causa di un periodo estremamente difficile per l'economia bulgara, i prezzi delle case sono bassi: gli immobili di lusso non superano 3 mila euro/mq nelle zone migliori di Budapest. Mosca ha registrato aumenti di circa il 27% annuo negli ultimi due anni e ha raggiunto quotazioni di circa 4.850 euro/mq, con punte di 8-10 mila euro. \.


 

Il Riformista 24-9-2007  Che cos'è successo alla nostra politica estera?

Giovedì scorso, nelle stesse ore in cui al Senato andava in scena il surreale spettacolo sulla Rai, un comitato ristretto di rappresentanti di governi europei cominciava a cercare una linea comune dell'Unione (s'intende l'Unione europea) sull'inasprimento delle sanzioni contro l'Iran. In questo comitato l'Italia non c'è. E non c'è neppure nel gruppo di lavoro che sta discutendo come superare l'impasse del Consiglio di Sicurezza sull'eventualità di promuovere una nuova risoluzione nei confronti di Teheran. Ciò nonostante la quantità di relazioni economiche e commerciali che l'Italia ha con l'Iran e il fatto (molto delicato) che i soldati italiani della missione nel sud Libano debbano vedersela ogni giorno con gli hezbollah eterodiretti da Teheran. D'altronde, della missione libanese quasi nessuno parla più, almeno in pubblico, e ha fatto impressione la nonchalance con cui è stato accolto, qui da noi, il raid israeliano nei pressi di Deir ez-Zohr. Come se un bombardamento sul territorio siriano, accompagnato da voci su progetti nucleari e stoccaggi di micidiali armi chimiche, nulla dovesse avere a che vedere con la posizione dei nostri militari in una missione che avrebbe il compito di monitorare i traffici di armi che passano dalla Siria al Libano.
Cambiamo scenario. Tra un paio di mesi, scatterà una fatale “ora x” a poche decine di chilometri dalle nostre frontiere. Se non si troverà un compromesso, il Kosovo dichiarerà unilatelarmente la propria indipendenza che verrà riconosciuta dagli Usa e, forse, da qualche governo europeo. Nascerà uno stato la cui unica base economica saranno pochi aiuti internazionali e i proventi del contrabbando e di altre attività criminali e la cui esistenza metterà in discussione il fondamento stesso degli accordi che nei Balcani occidentali assicurano una fragile tregua basata su un discutibile assetto. A un passo e mezzo da noi. Eppure sul Kosovo e in generale sui Balcani si legge più sulla stampa tedesca, francese e americana che su quella italiana. L'attenzione pubblica riflette sempre le priorità di chi governa, ma quali le priorità del governo italiano? Nell'area abbiamo ottimi diplomatici, buoni contatti e bravi esperti: ci manca una politica.
Sere fa, mentre gli italiani che hanno ancora qualche curiosità per la cosa pubblica cercavano di riaversi dallo choc della tragicommedia sulla Rai in Senato, al Tg1 new look è stato intervistato in diretta un ministro D'Alema che pareva il fantasma di se medesimo. Dispiace dirlo, per la stima che abbiano di lui, ma, sarà stato anche per colpa della sconsolante banalità delle domande (comunque anche questo è un segno), le risposte del ministro sono state molto vaghe. E molti, crediamo, si sono trovati come noi a rimpiangere i tempi in cui l'indirizzo e le scelte di politica estera furono un fattore di certezza, di forza in patria e di prestigio all'estero, di un governo Prodi pure già pesantemente insidiato, negli altri campi, da contrapposizioni rissose e rovinose cadute di immagine.
Che cosa è accaduto, da allora? La politica estera ha subìto, certo, gli effetti della più generale, irrisolta (e da Prodi irresolubile) difficoltà data dalla contrapposizione tra le diverse anime del centrosinistra, che precipitarono nella pessima gestione della vicenda della base di Vicenza e nelle peripezie dei voti sull'Afghanistan. Ma a noi sembra che il problema riguardi, oltre che il governo e la sua capacità (o non capacità) di iniziativa, un po' tutta la politica italiana, la quale ci pare malata di autismo: sempre più incapace di avere relazioni con il mondo reale, sempre più preda dei propri riflessi condizionati e delle proprie stereotipie, sempre incline alla ricezione passiva di suggestioni che ne deviano l'attenzione dall'essenza delle questioni vere. Ci piacerebbe poter credere che questo autismo politico fosse curabile, magari con la nascita di un partito nuovo come il Pd. Il modo in cui sta procedendo la costruzione del nuovo partito non ci offre però molte ragioni di speranza.
È un discorso complicato, nel quale non ci addentriamo. Ci limitiamo a leggerne i riflessi nel campo della politica internazionale. Negli altri grandi paesi, governi, maggioranze e opposizioni si confrontano, si accordano e si scontrano sul “che fare” nel mondo e poi compiono scelte e prendono iniziative. L'Italia rischia, semplicemente, di non esserci.


 

La Stampa 24-9-2007 Dan Rather contro tutti "I media servi di Bush"http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifL’ex anchorman della Cbs: "Libertà a rischio"http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif di Maurizio Molinari http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif

 

CORRISPONDENTE DA NEW YORK http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif«Le redazioni dei media soffrono l’influenza del governo e delle grandi aziende». Dan Rather, volto storico della tv Cbs, picchia duro contro il mondo nel quale ha lavorato per mezzo secolo consegnando lo sfogo-denuncia al collega, amico ed ex rivale Larry King sugli schermi della Cnn. Reporter dal 1950, primo giornalista tv a dare la notizia della morte del presidente John F. Kennedy a Dallas nel 1963, protagonista della campagna del Watergate che obbligò Richard Nixon alle dimissioni e per 25 anni conduttore delle notizie serali della Cbs, Rather è stato messo alla porta nel 2005 a seguito del falso scoop sui documenti del servizio militare di George W. Bush, resi pubblici durante la campagna presidenziale del 2004. L’onta del licenziamento de facto, seppur addolcito da un’uscita economicamente morbida e molto diluita nei tempi, è la molla che ha scatenato la reazione di Rather che prima ha fatto causa alla Cbs per settanta milioni di dollari e poi è andato oltre, ponendo l’intera categoria dei media di fronte all’accusa che non è più quella che mise alle corde Nixon, essendo diventata una sorta di buca delle lettere del presidente di turno.

«Qualcuno a un certo punto deve uscire allo scoperto e dire che in questa maniera la democrazia non è in grado di sopravvivere - è la tesi di uno dei conduttori più popolari d’America - perché i media sono oggetto di interferenza e intimidazione da parte del governo e della grande industria». Rather guarda oltre il proprio caso «nel quale sono diventato il capro espiatorio di errori altrui» e vede nella decisione presa dalla Cbs la cartina tornasole di un approccio oramai molto diffuso: «Sacrificare il sostegno per il giornalismo indipendente sull’altare delle entrate economiche e dei sostegni politici». Il riferimento esplicito è al duplice pilastro delle entrate pubblicitarie e delle notizie di fonte governativa che consente a molti media di crescere e fare profitti «a scapito della libertà di informazione».

Nel mirino ci sono alcuni dei grandi nomi del mondo del giornalismo americano: non solo Leslie Moonves, presidente della Cbs, e Summer Redstone, proprietario del colosso Viacom, ma anche Rupert Murdoch, proprietario di News Corporation che ha recentemente acquistato il Wall Street Journal, e anche la stessa Cnn, il New York Times, il Washington Post e molte altre testate. La denuncia punta a inserirsi sulla scia del mea culpa fatto da alcuni quotidiani - come New York Times e Washington Post - sul trattamento delle notizie all’inizio della guerra in Iraq e chiama in causa la credibilità dell’intero sistema dell’informazione ponendo un interrogativo attorno al quale si è subito aperto il dibattito.

Bob Steele, docente di etica del giornalismo all’Istituto Poynter in Florida, ritiene che Rather abbia svelato una realtà da molti conosciuta anche se taciuta: «Sarebbe da ingenui ritenere che giornali o singoli giornalisti non soffrano l’influenza di potenti istituzioni». Tuttavia, aggiunge, «sarebbe anche un errore ignorare che la maggioranza dei reporter di battono per tutelare la propria indipendenza, e molte volte riescono». Louis Boccardi, ex direttore dell’Associated Press, ritiene invece che Rather sia fuori strada e stia solamente tentando di trovare una scappatoia per far dimenticare l’errore compiuto attestando la veridicità di quattro documenti anti-Bush che vennero poi facilmente smascherati da alcuni blog, svelando che erano stati compilati al computer e dunque non potevano risalire al 1968, quando Bush era sotto le armi nella Guardia Nazionale dello Stato del Texas.


 

La Repubblica 24-9-2007 Dollaro debole mossa vincente della crescita Usa HUGO DIXON

 

Il taglio operato dalla Federal Reserve è stata una mossa audace. Il dubbio è se funzionerà, vista anche l'entità della sfida. A sostenere la crescita statunitense dal 2001 è stato l'aumento dei prezzi delle case, generando una ricchezza che si è tradotta in spesa reale attraverso rifinanziamenti e aumentata fiducia. Tuttavia, ora che i prezzi delle case sono in calo, l'effetto che si percepisce è esattamente opposto, con i consumatori orientati a risparmiare di più e spendere di meno. Una dinamica che a sua volta minaccia di determinare un calo della crescita e un ulteriore abbassamento dei prezzi delle case. Un vortice che la Fed sta cercando di aggirare. Impresa non facile, anche perché nell'immediato non sono possibili miglioramenti sul fronte immobiliare, visto che a luglio il saldo delle case invendute è salito a 4,6 milioni, il massimo dal 1991. è vero però che se la riduzione dei tassi a breve contribuirà ad allentare la stretta creditizia, la Fed dovrebbe riuscire a portare i tassi dei mutui verso il basso, sempre che le previsioni sull'inflazione non aumentino. Ma è proprio la debolezza del dollaro, unitamente alla solidità dell'economia mondiale, a dare una possibilità di successo all'intervento di Bernanke, in un contesto che favorisce le società americane, incoraggia le esportazioni e rende la vita difficile ai competitor esteri presenti negli Usa. Gli Stati Uniti, alle prese con un deficit della bilancia commerciale enorme, attendono da tempo il concretizzarsi di una crescita indotta dalle esportazioni. Quel momento è arrivato e sarà proprio il dinamismo delle esportazioni a far si che la manovra della Fed abbia qualche possibilità di riuscita. Ian Campbell I CONTI DI FORTIS Fortis non vuole correre rischi con il mastodontico aumento di capitale che servirà a finanziare parte dell'acquisizione dell'olandese ABN Amro e ha arruolato altre 13 banche per aiutarla a vendere i titoli. Merrill Lynch, il principale consulente di Fortis e dei suoi compagni di cordata Royal Bank of Scotland e Banco Santander, è pronta a intervenire in caso di difficoltà di collocamento, ma Fortis non può certo permettersi brutte figure. La richiesta di fondi al mercato avviene in un momento difficile e, tanto per cominciare, occorrerà versare agli azionisti di ABN 64 miliardi di euro. La strategia di Fortis punta non solo ad assicurarsi la lealtà degli azionisti, ma anche a rinsaldare i rapporti con le banche che l'appoggiano e che si divideranno più di 100 milioni di sterline di commissioni. Fortis fa bene a cercare di farsi amici gli altri istituti, per due ragioni: dopo l'emissione di diritti odierna dovrà chiedere al mercato altri 7 miliardi di sterline e per ammansire gli organi di vigilanza europei dovrà cedere più del 10% delle filiali bancarie olandesi. Fortis ha ridotto dello 0,1%, portandolo all'11,1%, il rendimento previsto dell'operazione e ha abbassato di un terzo l'incremento degli utili per azione. Spuntare un prezzo mediocre dalla vendita delle filiali olandesi peggiorerebbe la situazione. Invece, mostrandosi di manica larga con le banche concorrenti (Fortis cerca di aumentare le proprie possibilità di incassare qualche spicciolo in più. Mike Verdin (Traduzione a cura di MTC).

 


INDICE 23-9-2007

 

+  Il Secolo XIX 23-9-2007 Contro il malcostume non solo indignazione  1

+  La Repubblica 23-9-2007 IL COMMENTO  Troppa urgenza signor ministro  di GIUSEPPE D'AVANZO  3

AGI 21-9-2007 GRILLO: DAGOSPIA GLI FA LE PULCI, “RICORSE AL CONDONO TOMBALE”  4

Virgilio notizie 23-9-2007 E ai poliziotti danno 1.200 euro per scortare un pregiudicato  5

Europa.it 23-9-2007 Reagite Democratici, sennò l'Anno zero è il vostro (s. me.) 5

La Stampa 23-9-2007 IL VERO ANTIPOLITICO? È IL PALAZZO Barbara Spinelli 6

Il Giorno 23-9-2007 I SAGGI se ne vanno, li mandano via. Scadono. Portano con sé la storia di venti anni (e più) d'inchieste su terrorismo, pubblica amministrazione deviata, criminalità economica. Di MARINELLA ROSSI 8

 

 


 

+  Il Secolo XIX 23-9-2007 Contro il malcostume non solo indignazione

 

Dalla prima pagina E' esattamente per questo motivo che il governatore ligure ha avuto, e sciupato, l'occasione di un formidabile spot personale mentre tutt'intorno non si fa che urlare contro i privilegi dei politici e della classe dirigente. Ma l'immaginate? "Il presidente della Regione Liguria, fermato per una grave infrazione stradale e senza documenti, ha chiesto subito di essere accompagnato in caserma per il riconoscimento d'identità e le contestazioni del caso, ritenendo di non dover in alcun modo essere favorito dal proprio ruolo". Sarebbe stato il modo migliore per non aprire neanche la vicenda e per cavarne uno smisurato consenso, da parte del governatore, se solo le autorità avessero avuto la bontà - e l'avrebbero avuta, ne siamo certi - di far sapere che anche un politico di lungo corso, quindi "infettato" da certe cattive abitudini, può offrire un bell'esempio di cambiamento. Invece no. Spunta un tesserino da parlamentare a cui non si ha più diritto, gli agenti lasciano andare l'automobilista imprudente (a dir poco), parte una telefonata al questore per chiedere "severità" (visto il clima generale), il prefetto più rapidamente del solito commina la sanzione (vista la sollevazione popolare) e alla fine i cittadini s'incazzano di nuovo perché anche nella "seconda fase" di questa storia non c'è nulla di tutto ciò che accadrebbe a qualsiasi persona pizzicata nelle stesse condizioni. Ora, non è che Burlando non percepisca di aver fatto una frittata, lo percepisce con un quid di ritardo che sta giusto lì a dimostrare come sul terreno dei comportamenti l'interruttore di "lorsignori" sia irrimediabilmente staccato. Così, la toppa si rivela peggio del buco e, soprattutto, ci dice che il personale pubblico non possiede l'istinto di quella normalità per cui, dismesso l'abito del ruolo, davanti al semaforo della vita quotidiana sa di non avere il diritto di passare con il rosso. Come chiunque. In realtà, il governatore ligure è solo l'ultimo di un'infinita serie di cattivi esempi - se ne aggiungeranno, si può star sicuri - in cui politici, grand commis, imprenditori, ras di quartiere e giornalisti (una casta, non meno delle altre) non hanno neanche bisogno di ricorrere a uno sgarbato "lei non sa chi sono io". Grazie a giornali e tivù, tutti sanno chi sono e quindi s'aspettano, anzi pretendono, un trattamento "diverso". Arroganza del potere? Arroganza del potere. Ma pure specchio del Paese. Sarebbe interessante sapere quante delle centinaia di persone che hanno invaso i siti internet, non escluso quello di Burlando stesso, possono scagliare la prima pietra, cioè affermare oltre ogni ragionevole dubbio di non aver mai chiesto una raccomandazione, un favore, la cancellazione di una multa tanto per rimanere in argomento. Quello dei privilegi, infatti, è un mercato che risponde alla legge della domanda e dell'offerta: se l'una o l'altra venissero a mancare, non ci sarebbe mercato. Le cose, invece, stanno diversamente e per quanto l'indignazione di questi giorni, sui costi della politica e sui "casi Burlando", sia una spia importante dei fremiti di cambiamento che percorrono la penisola, è ancora poca cosa per rendere normale l'Italia. Due ragioni su tutte. La prima: energie sempre crescenti vengono profuse su argomenti che parlano alla "pancia" del Paese - gli sprechi, le tasse, i privilegi - evidenziando anche moti d'invidia e di risentimento che, con un crescendo rossiniano, stanno indirizzando la protesta verso scenari da "Jacquerie". La seconda ragione: la rivolta contro il malcostume è sacrosanta, ma va gestita per impedire la facile (e pericolosa) deriva di un giustizialismo sfrenato e cieco. Il compito principale spetta certo alla politica, che una volta per tutte deve sapersi autoriformare, però altrettanto rilevante è l'impegno al quale è chiamata l'informazione, che non può utilizzare strumentalmente ogni episodio per "strillare" un titolo. Una cultura condivisa di rigore dei comportamenti non si crea dall'oggi al domani: è frutto di un lavoro profondo e certosino, che comincia dall'istruzione e si dipana nell'esperienza di ogni giorno, attraverso gli esempi del fare e non del dire. Allora, l'evasione fiscale si combatte pagando le tasse e contestando anche il proprio leader se dovesse giustificare, come ha fatto Silvio Berlusconi, l'infedeltà del contribuente, per quanto tartassato sia. Così come buona cosa sarebbe avere la stessa sdegnata reazione opposta ai "casi Burlando" per rinfacciare a un premier, nello specifico Romano Prodi, la mancata riforma di una legge elettorale che ha espropriato la democrazia. Nell'indifferenza o con la complicità postuma di chi - vedasi alla voce centrosinistra - prima ha protestato, poi ne ha fatto largo uso e successivamente - cioè oggi - non muove un dito per modificarla. Fermarsi agli sprechi della politica, ai privilegi, a tutto ciò che, alla fine, fa (quasi) soltanto immagine, significa stare alla superficie del problema, senza incidere sui valori che sono la vera misura della civiltà di un Paese. Non può piacere a nessuno il ritorno a un'Italia del "si fa ma non si dice", invece l'indignazione fine a se stessa nasconde pure questo pericolo. Le monetine contro Bettino Craxi non hanno cancellato la corruzione. Per la molto semplice ragione che, se davvero si vuol cambiare, scorciatoie non ce ne sono. luigi leone 23/09/2007 dalla prima pagina Vengo chiamato a parlare, ma non riesco neppure ad alzarmi: sono confuso, non mi viene in mente niente da dire, se non balbettii privi di senso. Mentre mi sto arrovellando per cercare il modo di tagliare la corda onorevolmente, sento alle mie spalle grida e trambusto: sono i ragazzi. Quei ragazzi sono letteralmente presi d'assalto dai funzionari del congresso che li stanno strattonando e malmenando perché si alzino e vadano a parlare sul palco. Loro non ne vogliono sapere e resistono. In questo stato è dunque ridotto il mio inconscio, che perverte l'onesto lavoro onirico in una non richiesta proposta di editoriale politico. Avendo somma sfiducia nelle capacità della mia intelligenza cosciente, ha tralasciato le complesse allegorie oniriche per svolgere un racconto che non richiede nessuno sforzo interpretativo. Cosa penso dunque mentre dormo? Penso che la sinistra non ha più il problema di comunicare con i suoi simpatizzanti, il suo popolo, come dicono. Se c'è una cosa che oggi i suoi dirigenti politici ardono dal desiderio di fare è proprio questa. Ma la sinistra ha un problema nuovo: è il suo popolo, adesso, che si rifiuta di comunicare. Che non trova più niente da dire, che non è interessato a dire alcunché, e si rifiuta alla comunicazione. Lo penso di notte e lo credo di giorno. E se nel sonno penso alla sinistra, perchéè lì che il mio dente duole, da sveglio credo che non sia un problema solo suo. E quando il popolo, e il popolo sono i cittadini, decide di non aver più niente da dire ai loro politici, "mai de pezo", come diceva mia nonna Anita. Non c'è niente di peggio e di più pericoloso del rifiuto muto. È meglio persino il "vaffa", anche se è il livello più basso possibile della comunicazione. Rimane pur sempre uno spiraglio, un'opportunità. Lo sanno benissimo le coppie in crisi; a un "vaffa" ci si può aggrappare, disperatamente, per un ultimo tentativo, ma il silenzio è irreparabile. Per questo, un'altra cosa a cui credo è che il signor Beppe Grillo - che lui lo voglia o no, lo pensi o non lo pensi - sia un'opportunità, una minima estrema opportunità, data alla politica; e forse anche ai politici. Anche se questi non lo capiscono e non lo capiranno, temo, perché privi degli strumenti intellettuali, dell'elasticità di pensiero, per capire. La classe dirigente politica è stata selezionata per partenogenesi, usando i resti di una cultura, gli avanzi dell'epoca che l'ha generata. Alle ultime elezioni si è votata addirittura da sola, essendo i cittadini impediti a scegliere gli uomini, e le poche donne, da eleggere. Non credo affatto che il Parlamento sia formato da una ghenga di ladri e debosciati, ma di inadatti e poco adatti e raramente adatti ad affrontare il "vaffa" dei cittadini sì. E affrontare il silenzio sarà per loro al di sopra di qualunque sforzo di volontà. Il silenzio è mortale anche se appare del tutto inerte e per niente aggressivo. Il signor Grillo propone ai cittadini di mostrare il culo ai politici, ma se i cittadini si rifiutano persino a questo infimo gesto di considerazione, non sarà per educazione, ma per noncuranza ancor più definitiva. Il Senato di Roma si è riunito e ha legiferato almeno per un secolo ancora dopo che nessuno nell'Impero stava più a sentire i suoi banditori. È così che è finito. E c'è forse qualcosa di peggio del fascismo per maledire un'epoca nella storia di una nazione e di un popolo: il definitivo disfacimento della relazione tra Senato e Cittadini. Non a caso Roma legiferava con la formula: senatus populusque romanus. Il senato con il popolo di Roma. Non sono ispirato, non sogno profezie, ma solo quello che di giorno non digerisco. Non mi piace finire la mia vita di cittadino in silenzio, ma quando finalmente chi ho implorato per una vita di ascoltarmi mi chiede di parlare, non riesco a fare altro che biascicare scuse per starmene zitto. maurizio maggiani 23/09/2007.


+  La Repubblica 23-9-2007 IL COMMENTO  Troppa urgenza signor ministro  di GIUSEPPE D'AVANZO


Perché Luigi De Magistris, perché proprio lui? Qual è la priorità, l'assoluta, incalzante, impellente, imperiosa urgenza che ha convinto Clemente Mastella a chiedere al Csm di trasferire, in via cautelare, il pubblico ministero di Catanzaro?

L'analoga richiesta del ministro contro il procuratore capo Mariano Lombardi è soltanto il frutto di questa censura. Lombardi, per Mastella, deve andar via da Catanzaro per non aver controllato con piglio autoritario, diretto nella direzione giusta, moderato quanto basta le mosse di De Magistris. Quindi, è De Magistris il problema di Mastella.

Perché? Perché il ministro si è precipitato in avanti con un passo inconsueto per la sua democristianissima prudenza senza attendere gli esiti dell'istruttoria in corso al Consiglio superiore della magistratura che si sta già occupando del conflitto che divide il sostituto (De Magistris) e il suo capo (Lombardi)? Qual era l'improrogabile necessità che ha convinto Mastella?
E' alquanto improbabile che il guardasigilli riesca a offrire uno scampolo di risposta convincente. E' una facile previsione se si guarda al deprimente stato in cui marcisce l'amministrazione della giustizia in Calabria.

Emilio Sirianni, un giudice civile, appena qualche giorno fa ha raccontato con dovizia di dettaglio al Sole-24 Ore che cosa accade nelle aule di giustizia calabresi. Nel novembre del 2006, a Vibo Valentia, fu arrestato il presidente di sezione del Tribunale civile insieme a pericolosi mafiosi locali. Sia prima che dopo l'arresto, c'è stato un silenzio assordante dei magistrati di quel Tribunale. Possibile che nessuno avesse mai notato frequentazioni e comportamenti sospetti? La Procura di Locri è stata lasciata a lungo nelle mani di un giovanissimo magistrato e solo quando andò via si accertò l'esistenza di 4.200 procedimenti con termini scaduti da anni, su un totale di 5000 e di circa 9000 procedimenti "fantasma": risultavano nel registro, erano inesistenti in ufficio.
Capita, in Calabria, di vedere entrare un avvocato in camera di consiglio e dopo un po' arrivare un cameriere con vassoi di leccornie. Parleranno del campionato della Reggina? In Calabria può accadere che un giudice decida che un notaio, imputato di "falso ideologico", non sia considerato un pubblico ufficiale. Reato derubricato in "falso in scrittura privata", tempi di prescrizione ancora più brevi. Notaio prosciolto. Il pubblico ministero non propone l'appello. La disorganizzazione dell'ufficio lascia scadere i termini.

O il caso del bancarottiere? Dichiara di aver utilizzato i soldi distratti all'impresa per curare il fratello malato di cancro. Il giudice riconosce lo "stato di necessità" e, senza chiedergli prova della malattia del fratello e del suo stato di indigenza, lo proscioglie. Sulla parola.
"Conformismo, tendenza al quieto vivere, fuga dai processi scottanti, pigrizia" sono per Sirianni i codici di lavoro della magistratura in Calabria, "una magistratura che - per indifferenza, paura, connivenza, conformismo, furbizia - gira la testa dall'altra parte, strizza l'occhio ad alcuni imputati, non vigila e non fa domande sulle anomalie dell'ufficio".

Non sarà agevole per Mastella sostenere che il "caso" di Luigi De Magistris debba trovare con rapidità una soluzione con il trasferimento del pubblico ministero perché, in caso contrario, l'amministrazione della giustizia a Catanzaro e in Calabria ne riceverà un danno irreversibile. Non sarà agevole anche perché Luigi De Magistris è al lavoro per sollevare i coperchi di quelle pentole borbottanti dove si incrociano, protetti da una magistratura connivente, spaventata o conformista, gli interessi di istituzioni, amministrazioni, politica, imprenditoria, finanza. Un sistema, sostiene il pubblico ministero, che ha la pretesa di controllare tutti i finanziamenti pubblici che dall'Unione Europea piovono in una Calabria, che ha il vantaggio di essere "obiettivo 1" e attende negli anni 2007/2013 un flusso di danaro pari a 8 miliardi e mezzo di euro. E' un pugno di indagini che, nonostante il ministro Bersani le abbia in disprezzo e le definisca "bufale", si muovono intorno ai leader dell'Udc, di Forza Italia, nei pressi di qualche consulente di Palazzo Chigi, vicino a qualche amico personale di Mastella. Sarebbe stata una buona ragione, per il ministro di tenersi lontano da De Magistris. Glielo avrebbe dovuto consigliare il buon senso e la moderazione. In assenza di risposte soddisfacenti del guardasigilli, si fa fatica a non pensare che proprio il passo spedito, non distratto, fermo di quel pubblico ministero sia oggi per il ministro (per il governo?) l'impellente, imperiosa urgenza che lo ha costretto a chiederne il trasferimento. Dovremmo chiederci, forse, se la prossima nella lista non sia il giudice di Milano Clementina Forleo. Anche lei, in verità, qualche preoccupazione la dà. Ne pagherà le conseguenze, signor ministro?


(23 settembre 2007)


AGI 21-9-2007 GRILLO: DAGOSPIA GLI FA LE PULCI, “RICORSE AL CONDONO TOMBALE”

 

(AGI) - Roma, 21 set. - “Nel 2000 era il 231esimo contribuente italiano (un posto sopra Barilla), per due volte e’ ricorso al condono tombale da lui tanto vituperato, dice di possedere solo due case ma al catasto ne risultano molte di piu’”. Dagospia fa le pulci a Beppe Grillo e racconta della Gestimar di Genova, “una immobiliare di cui il comico-politico detiene la maggioranza assoluta delle azioni (al fratello e’ restata una quota simbolica), ma di cui Andrea e’ restato amministratore unico. Per fortuna, perche’ cosi’ mentre Beppe tuonava negli spettacoli-comizio contro i condoni fiscali del governo di Silvio Berlusconi destinati a ladri e malfattori, l’amministratore della sua societa’ vi aderiva con entusiasmo, cercando cosi’ di evitare inutili diatribe con il fisco. Scrisse Andrea nella relazione al bilancio 2002 della Gestimar - prosegue Dagospia: - ‘In considerazione della possibilita’ concessa dalla legge finanziaria 2003 di definire la propria posizione fiscale con riferimento ai periodi di imposta dal 1997 al 2001, fermo restando il convincimento circa la correttezza e la liceita’ dell’operato sinora eseguito, si e’ ritenuto opportuno di avvalersi della fattispecie definitoria di cui all’articolo 9 della predetta legge (condono Tombale)’. L’anno successivo Giulio Tremonti aveva prorogato al 2002 la copertura del condono. E la Gestimar di Grillo l’ha rifatto. Sempre tombale, sempre per non avere inutili discussioni con il fisco. Unica differenza: versando qualcosa in piu’ dell’anno precedente”. Ma la comunicazione fra i fratelli “non deve avere funzionato al meglio - prosegue Dagospia. - Perche’ due anni dopo, era il 2004, Grillo, che del condono aveva appena usufruito per due anni, scrisse una lunga lettera a ‘Repubblica’ e cosi’ si rivolse provocatorio ai parlamentari della Casa delle Liberta’: ‘Mettiamo, per ipotesi, che costoro non abbiano mai rubato, evaso le tasse, corrotto un finanziere o un giudice, maneggiato fondi neri, societa’ offshore, P2, tangenti e condoni…’. Un guaio, quella societa’”.
“Perche’ sul piano personale se c’e’ uno che di condoni non ha mai avuto bisogno e’ sempre stato Grillo - scrive Dagospia: - di tasse ne ha pagate a montagne. Basti guardare la lista dei 500 contribuenti 2001 (relativa al 2000) diffusa due anni dopo dalla Agenzia delle Entrate. Grillo risultava il 231esimo contribuente in tutta Italia, dichiarando un reddito (allora in lire) di 5 miliardi e 289 milioni. Alle sue spalle, 232esimo posto, c’era il primo industriale della pasta italiana, Guido Barilla”. (AGI)


 

 

Virgilio notizie 23-9-2007 E ai poliziotti danno 1.200 euro per scortare un pregiudicato

 

23-09-2007 00:19 Jesolo (Venezia), 23 set. (Apcom) - Il Parlamento italiano, con una media di un pregiudicato ogni 10 parlamentari, "spaventa perfino il Bronx, dove di pregiudicati ce n'è solo uno su 15". E, cosa ancora più grave, "alla gente coraggiosa e onesta come i poliziotti danno 1.200 euro al mese, da fame, per scortare un pregiudicato a rischio della propria vita". Beppe Grillo non si placa e da Jesolo, dove ha portato in scena il suo 'Reset', continua a dire "basta" al sistema, al ceto, alla classe politica italiana. Lo spettacolo si apre con il filmato dell'editoriale del direttore del Tg2, Mauro Mazza, che ha pronunciato dure parole contro Grillo definito 'un maghetto cattivo'. "Stava delirando. Meno male che moi avevano espulso dalla Rai visto che ormai sono sul Tg1, sul Tg2 e sul Tg3 come non riuscirebbe a fare neanche Padre Pio". Grillo ha sparato contro il giornalismo e i giornalisti che "da una settimana scavano nella mia vita per portare in tv aneddoti per screditarmi, che mi definiscono la nuova destra che avanza mentre quello psico-nano di Berlusconi sta nascosto e si chiede come ho fatto a fare tutto questo casino senza avere giornali e televisioni". Non piacciono a Grillo le accuse lanciate da chi lo taccia di essere un terrorista, uno che "si deve vergognare: lo dice Casini sul Corriere della sera, proprio lui - ha detto il comico - che fa il genero di Caltagirone di professione, nel cui partito c'era Mele e che va al Family day con due famiglie". Il 'Grillo nazionale' ne ha per tutti: contro "il valium Romano Prodi che ha l'encefalite letargica, non è mica come Sircana che è un curioso - aggiunge - e sappiamo tutti bene dove va", poi contro Mastella che "è un caso umano, una istigazione alla satira". Ribatte anche al presidente della Repubblica che "ha raccomandato che certe cose vanno fatte nell'alveo costituzionale quando io sono uno dei più grandi alveoli costituzionali d'Italia". Poi, capitano a tiro Walter Veltroni che "è un topo Gigio alla guida di un Partito democratico nato morto", Vincenzo Visco che "è stato condannato per abuso edilizio. Una piccolezza, ma se uno fa il ministro deve essere trasparente e migliore delle persone che rappresenta. Tra l'altro, aspetto ancora che ci dica dove sono finiti i 98 milioni di euro che mancano derivanti dagli appalti sulle concessioni dei macchinari per i giochi d'azzardo. Pari a 4 Finanziarie mentre lui ci rompe i c... con 4 miliardi di tesoretto". A sorpresa, parole di "quasi pietà" arrivano per Cesare Previti, l'unico depennato dalla lista dei 25 parlamentari condannati in via definitiva e ancora seduti sugli scranni di Montecitorio: "Previti mi fa pena - ha detto Grillo - perché ha detto in Commissione parlamentare quando è andato a dimettersi che è stato mandato via dal Parlamento da due persone: io e Marco Travaglio". Frecciate per Cofferati che "se la prende con i lavavetri quando i primi che sono abusivi sono i parlamentari e a togliere di mezzo gli abusivi bisogna iniziare dalla testa", e naturalmente per Berlusconi "lo psico-nano che ancora pensa a quando si andrà al voto. Lo hanno fotografato in Sardegna con quattro veline nella sua villa, ma non hanno capito che erano solo quattro badanti che lo portavano a pisciare". (Segue).


 

Europa.it 23-9-2007 Reagite Democratici, sennò l'Anno zero è il vostro (s. me.)

 

Chi c'è nel mirino di Grillo, Santoro, Travaglio, Guzzanti Valeva la pena, sbattersi per riportare Santoro in Rai. Perché in effetti adesso che è tornato rende un bel servizio. Non sappiamo se pubblico, perché il servizio offerto giovedì sera dalla prima puntata di Anno zero sembrava reso più che altro ai partiti. Non scherziamo. Infatti, da giovedì sera ? cinque milioni di telespettatori di media ? i partiti di centrodestra sanno con certezza di essere stati graziati dall'assalto del Partito unico dei moralizzatori. Berlusconi, giustamente, gode. E i riformisti hanno capito ? o dovrebbero aver capito, e se non l'hanno capito sono davvero nei guai ? che tutta la buriana messa su da Grillo, salutata da Di Pietro e Pecoraro Scanio, sostenuta da Travaglio, tollerata dall'Unità e amplificata da Santoro è tutta, integralmente ed esclusivamente diretta contro il Partito democratico. Badate, Clemente Mastella è un falso obiettivo. Le caratteristiche sue e del suo elettorato lo rendono impermeabile alle grandinate neo-girotondine. Tra il Garigliano e il Sele, non perderà un voto per le intemerate di Grillo. Viceversa, prima ancora di nascere il Pd è già eticamente e politicamente liquidato. Ieri Travaglio (sull'Unità?) citava una delicata metafora secondo la quale i politici vanno cambiati spesso come i pannolini, e per lo stesso motivo: è utile sapere che per questi signori la culla democratica è già piena di merda. Varrebbe la pena di reagire, basterebbe avere un po' di convinzione in più dell'ottimo Polito, forse troppo british per gli standard santoriani. Giovedì sera sono passati in cavalleria gli insulti di Grillo al professor Ichino, che per essersi occupato da sempre dei lavoratori, e per cercare adesso di bilanciare le garanzie dei tutelati e i non-diritti dei precari, è finito nei notebook delle Br e vive una vita sotto scorta. Ebbene, tramite Santoro, Ichino è stato mandato platealmente a fare in culo, sotto il sorriso ironico e silente del suo collega editorialista del Corriere Sartori. Ed è passata in cavalleria la sorprendente affermazione di Travaglio, secondo la quale Grillo compie meravigliosa opera di svelamento di temi altrimenti estranei all'agenda politica. Siccome fino a quel momento Grillo, tramite Santoro, aveva sfanculato i ministri Damiano per il colore della cravatta, e Gentiloni per le sue letture estive, sfuggiva la rilevanza pubblica dei temi trattati. A meno che Travaglio non si riferisse alla questione del lavoro precario: effettivamente tema assente dall'agenda della politica, salvo il fatto che nel centrosinistra da mesi non si parla (e si legifera) che di questo, e di pensioni, e di tasse, e che il governo abbia anche rischiato un paio di crisi per averne discusso troppo seriamente. Prima naturalmente che arrivassero le rivelazioni di Grillo- Travaglio. Per non parlare della lezione di giornalismo regalata da Sabina Guzzanti, non paga del fatto che Santoro avesse regalato al suo film un interminabile megaspot che è stato utile a capire le ragioni di un colossale fiasco ma anche, temiamo, a renderlo più colossale ancora. Di tutti questi attacchi ? portati sotto l'immunità della satira e della libertà televisiva, e guai a chi le tocca ? le uniche ovvie vittime politiche sono il governo Prodi e il Partito democratico. Perché ciò che l'ironia e l'insulto cercano entrambi di spezzare, è la fatica mediatrice del riformismo, gravato da tutti quei compromessi e quei ritardi che l'estremismo può permettersi di insolentire. In questo, forse, c'è anche una speranza per il Pd e per Veltroni, sfidati dall'antipolitica. Perché Prodi non può (ma soprattutto caparbiamente non vuole) sottrarsi al destino di un riformismo lento, poco luccicante, incastrato nella mediazione. Viceversa, Veltroni fra un mese può aprire il fronte imprevisto di un'offensiva riformatrice estremista, davvero radicale, vocata in prima istanza alla rottura e solo dopo, casomai, alla mediazione, rivolta tutta agli interessi popolari e non alla compiacenza dei politici, dei media e dei bloggers assetati di sangue. Lo sappiamo bene, che il sindaco di Roma sembrava un politico di tipo opposto, non così portato al conflitto. Ma si cambia. Anche Grillo, una volta, era un bravo comico, e Santoro un bravo presentatore.


 

La Stampa 23-9-2007 IL VERO ANTIPOLITICO? È IL PALAZZO Barbara Spinelli

 

 Forse la cosa più intelligente su Beppe Grillo l'ha detta Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, lunedì in un incontro televisivo con Romano Prodi. La sua idea è che "finché ci saranno molti politici che vogliono fare a tutti i costi i piacioni, divenendo un po' comici, è chiaro che i comici tenderanno a far politica". Il che è poi simile a quello che disse un giorno nel 2001 il giornalista-investigatore Travaglio, quando la trasmissione Satyricon parlò di un'ultima intervista di Borsellino ­ girata per Rai News 24 e contenente precisi accenni ai legami tra Berlusconi, Dell'Utri e il mafioso Mangano, stalliere di Berlusconi ­ che i telegiornali Rai ignoravano da mesi: "La Rai invita giornalisti che non parlano ­ così Travaglio ­ dunque è naturale che le domande di politica le facciano i comici satirici". A quell'epoca fu il comico Luttazzi a rompere il silenzio, e subito fu allontanato dalla Rai. Adesso allontanare Grillo non si può, perché tante cose son cambiate intorno a noi. Né la politica né le televisioni né i giornali hanno il potere di estromettere il nuovo mondo della comunicazione e della denuncia che si chiama blogosfera e che include siti come quello di Grillo o di YouTube. Qui è una delle novità che si accampano davanti ai poteri costituiti, non solo politici ma anche giornalistici: la blogosfera, i movimenti alla Grillo, i giovani diffidenti che firmano proposte di legge perché sono abituati a rispondere a sondaggi-votazioni su Internet sono nuovi poteri che fanno apparizione in una democrazia non più veramente rappresentativa, né veramente rappresentata. Politici e giornalisti ne discutono animosamente ma non sembrano comprendere tali fenomeni, e di conseguenza ne sottovalutano la forza. Più precisamente, non vedono i tre ingredienti che hanno dato fiato e potenza al fenomeno Grillo. Primo ingrediente, la complicità che lega il giornalista classico al politico, e che ha chiuso ambedue in una sorta di recinto inaccessibile: il giornalista parla al politico e per il politico, il politico parla al giornalista di se stesso e per se stesso, e nessuno parla della società, che ha l'impressione di non aver più rappresentanti. Secondo ingrediente: l'esclusione da tale recinto dell'informazione alternativa che sempre più possente cresce attorno a esso e non è più emarginabile. Oggi essa disvela e denuncia le complicità esistenti, non solo in Italia ma in molte democrazie. Terzo ingrediente: la domanda di politica e non di anti-politica che emana da blog e movimenti alternativi. Pochi sembrano capire che Grillo in realtà denuncia l'anti-politica, e non la politica. Pochi sembrano capire che egli invoca la politica. Forse non lo capisce nemmeno lui. Uno dei motivi per cui si discute senza guardare in faccia questi tre elementi è la cecità peculiare dei giornali dell'establishment (i giornali mainstream). Essi vengono processati allo stesso modo in cui sono processati politici e partiti. È sotto processo la loro complicità con i politici, ed è questo nesso che si tende a occultare: il nesso fra marasma della politica e marasma della stampa. Il fenomeno ha cominciato ad amplificarsi in America, tra l'11 settembre 2001 e la guerra in Iraq: fu la blogosfera a raccogliere i documenti che certificavano l'enorme imbroglio concernente le armi di distruzione di massa e i legami di Saddam con Al Qaeda. La menzogna del potere politico fu accettata da giornali indipendenti come il New York Times, che nel frattempo ha chiesto scusa ai lettori perché di copie ne perse molte. Fu quella l'ora in cui l'antipolitica dei blog divenne politica: quando la politica degenerò in antipolitica e fallì, cavalcando sondaggi e paure. Non serve molto dunque cercar paragoni, evocare l'Uomo Qualunque. La figura del buffone che dice la verità senza esser creduto perché appunto considerato buffone è già nell'Aut-Aut di Kierkegaard. "Accadde, in un teatro, che le quinte presero fuoco. Il Buffone uscì per avvisare il pubblico. Credettero che fosse uno scherzo e applaudirono; egli ripetè l'avviso: la gente esultò ancora di più. Così mi figuro che il mondo perirà fra l'esultanza generale degli spiritosi, che crederanno si tratti di uno scherzo". Quel che Grillo dice non è uno scherzo, perché con toni buffoneschi è proprio l'incendio dell'anti-politica che denuncia: l'incendio delle cose dette e non fatte, l'incendio del politico che pretende governare e in realtà s'azzuffa con l'alleato ed è in permanente campagna elettorale, l'incendio di una stampa che non indaga né spiega ma fa politica in prima persona, creando o disfacendo governi con sicumera senza precedenti. Né ha torto quando aggiunge: l'anti-politica non sono io, ma è al potere. È a quest'accusa che urge rispondere, non limitandosi a dire al comico: mettiti in politica anche tu, e vedrai come diverrai simile a noi. Difficile che Grillo imbocchi questa via. La sua è piuttosto contro-politica o, come spiega lo studioso Rosanvallon, democrazia negativa: è l'ambizione a rappresentare nuovi poteri di controllo, di vigilanza e denuncia che s'aggiungono alla democrazia rappresentativa e che riempiono il vuoto di partecipazione creatosi fra un'elezione e l'altra (Pierre Rosanvallon, La contro-Democrazia, Parigi 2006). Questo significa che l'antipolitica nasce prima di Grillo, e non a causa di Mani Pulite ma perché Mani Pulite non è riuscita a eliminare immoralità e cinismi ma li ha anzi dilatati. Il male dell'anti-politica è cominciato con la Lega, per culminare nell'ascesa di Berlusconi e nel patto d'oblio che egli strinse con parte dell'ex-Dc, dell'ex-Psi, dell'ex-Pri (oltre che con la sinistra nella Bicamerale). È un male che ha contaminato parte della stampa e televisione: da anni quest'ultima dedica dibattiti sul pigiama della Franzoni, e mai ne dedica uno sulle carte scomparse dopo gli assassinii di Falcone e Borsellino. Il male è la carriera politica di un magnate televisivo alla cui origine sono denari di misteriosa provenienza, sono le leggi ad personam fatte approvare quando il magnate ha governato, ed è l'omertà su tutto ciò. La sua certezza di non esser colpito dal grillismo è lungi dall'esser fondata. Per questo impressiona l'indignazione che d'un tratto Grillo suscita in molti politici e giornalisti, come se nulla prima di lui fosse accaduto (un'eccezione è Eugenio Scalfari, che critica Grillo senza mai sottovalutare il pericolo Berlusconi). Si dice che alla diffidenza che dilaga si deve replicare con politiche bipartisan su quasi tutte le riforme, senza capire che gli entusiasti di Grillo non chiedono la fine dell'alternanza ma politiche che trasformino le alternanze in alternative. Degli errori fatti a sinistra si parla molto, e non stupisce: perché tanti fedeli del sito Grillo vengono da quel campo, e perché la sinistra si è fatta dettare l'agenda da Berlusconi anche dopo la vittoria del 2006. Una porzione notevole del proprio tempo la passa mimetizzandosi con la destra su tasse, lavavetri, tolleranza zero, e anch'essa è in permanente campagna elettorale, imitando il leader dell'opposizione. Anche Veltroni sembra impegnato nella conquista della presidenza del Consiglio, più che d'un partito. Se ci son colpe a sinistra è di non aver denunciato quest'antipolitica nata ai vertici della politica ben prima di Grillo, non di averla troppo denunciata. Quel che la sinistra ha mancato di fare è rispondere a domande che riguardano legalità, moralità, giustizia. Altro che "blandire e coccolare il moralismo legalitario", come scrive Angelo Panebianco sul Corriere della Sera di ieri. Per la terza volta Berlusconi sta per tornare al governo (il potere ce l'ha ancora) e per la terza volta la sinistra sta perdendo l'occasione di varare una legge sul conflitto d'interessi. Naturalmente tutte le ansie di redenzione hanno un lato oscuro, politico-religioso. E la contro-politica può diventare simile all'anti-politica che denuncia. Può generare populismo, e fantasticare un Popolo compatto, non più diviso in parti (dunque in partiti). Può mettere tutti sullo stesso piano: mafia, gravi corruzioni, e Burlando che evita la multa mostrando il tesserino di parlamentare. Ma questa è l'elettricità della denuncia, come si diceva all'inizio della Rivoluzione francese quando Marat costruì il suo sito di denuncia e sorveglianza: allora era un giornale, si chiamava L'amico del popolo. È un'elettricità rischiosa, che può spingere il cittadino a farsi delatore. Ed è elettricità che comporta grida, insulti pesanti. Quel che mi piace di meno in Grillo è il suo urlare, che per forza genera tali insulti. L'urlo ­ perfino quello dipinto da Munch ­ è qualcosa che non dà forza al pensiero. Tucholsky fu trattato come un buffone dai benpensanti della repubblica di Weimar, quando fin dal 1931 scrisse che quel che più l'indisponeva in Hitler era il suo urlare. Fu trattato come un buffone anche lui, nonostante avesse visto bene l'incendio, e tanti spiritosi credettero si trattasse di uno scherzo. Grillo ha più risorse di lui. Urlare sempre non gli serve.


 

Il Giorno 23-9-2007 I SAGGI se ne vanno, li mandano via. Scadono. Portano con sé la storia di venti anni (e più) d'inchieste su terrorismo, pubblica amministrazione deviata, criminalità economica. Di MARINELLA ROSSI

 

 MILANO  Sono quelli che sanno degli archetipi della finanza sporca, di Michele Sindona, Roberto Calvi e del Banco Ambrosiano. Sanno della brigata Walter Alasia e delle sue vittime, di Galli e Alessandrini. Della mafia nuda e cruda e paludata dai colletti bianchi. Sanno perché c'erano, da giovani si sono infilati nei covi dei terroristi, hanno scoperto i doppifondi coi memoriali di Aldo Moro. Hanno imparato a indagare sul cittadino qualunque e su quello più eguale degli altri. Hanno condotto i processi di Tangentopoli, e hanno ottenuto l'en plein di conferme in Cassazione. Hanno riaperto le indagini sull'omicidio del commissario Calabresi e sono giunti alla conferma finale di un percorso travagliato e infinito di appelli e revisioni. SONO PUNTI di riferimento di pool dell'antimafia, pool sui reati della pubblica amministrazione, di intere sezioni di tribunale, di corte d'assise, di corte d'appello improntate all'esperienza dei loro presidenti. Questa esperienza è in rotta di collisione con la legge sull'ordinamento giudiziario, con la norma che impone alle cariche direttive e semi-direttive la decadenza superati gli otto anni di permanenza ai vertici. Una norma che rientra nella cosidetta "riforma Mastella", ma alla quale, per una volta, la magistratura non può dirsi estranea, né tantomeno vittima di una classe politica conculcatrice, in quanto derivata da una serie di orientamenti di "svecchiamento" vincenti in seno all'Associazione nazionale magistrati e al Consiglio superiore della magistratura. MA NEL PALAZZO DI GIUSTIZIA di Milano la norma taglia teste autorevoli che fanno da riferimento di interi pool di magistrati. Sulle 329 toghe che in tutta Italia tra fine gennaio e metà febbraio 2008 (data di ultima proroga) dovranno lasciare i loro incarichi per ripartire dal via e aspettare una nuova sede ordinata dal Csm come semplici sostituti o semplici magistrati, ce ne sono 27 nel solo distretto di Milano, e soprattutto in quel palazzaccio delle grandi inchieste che da Mani pulite sono via via salite per le scale dell'alta finanza truffaldina. Se la scadenza da procuratore aggiunto coordinatore della Direzione distrettuale antimafia Ferdinando Pomarici (nominato il 3 dicembre 1996 è il primo e più eccellente a lasciare l'ufficio dirigente il prossimo febbraio) suona particolarmente insensata nei riguardi di chi è ritenuto uno scrigno di conoscenze ed esperienze rispetto a inchieste sull'eversione interna, sul terrorismo internazionale del quale ha conosciuto gli albori, sui sequestri di persona, sulla criminalità mafiosa (le più scottanti e recenti indagini sono in capo ai Ros del traffico di stupefacenti e, con l'aggiunto dell'antiterrorismo Armando Spataro, sul sequestro dell'imam Abu Omar per mano Sismi e Cia), non meno dirompente potranno essere le uscite per legge della quasi intera gerenza di presidenti di sezione di tribunale e di Corte d'appello. E SE POMARICI farà la scelta dichiarata (e provocatoria?) di ricominciare dal via come semplice sostituto chissà dove, altri sono invece posseduti dall'ansiosa amarezza del buttare la toga in cantina e accelerare i tempi della pensione. Come il procuratore aggiunto Corrado Carnevali che dirige il pool reati pubblica amministrazione (fronti sanità, inchiesta sulla centrale di spionaggio in Telecom, delicatissimi fascicoli sui magistrati del distretto di competenza torinese) e che alla scadenza di fine 2008 ((è stato nominato il 10 novembre 2000) non pare intenzionato a rientrare nel circolo delle prime nomine. Lui dice con un sorriso eloquente: "Andrò in pensione". I suoi sostituti chiosano allarmati: "Non vogliamo neppure pensare che questo possa accadere". Altro procuratore aggiunto del pool reati contro le fasce deboli, Ferdinando Vitiello, (nomina 6 novembre 2000) è in uscita a fine 2008: anche per lui la scelta della pensione anticipata. Il presidente della Corte d'appello Giuseppe Grechi (nomina del 5 ottobre 2001) è invece in scadenza, sempre che non decida di andare anche lui in pensione, nel 2009. La legge Mastella fa soprattutto strame di presidenti di sezione di tribunale, assise e appello: il giudice della prima sezione penale Edoardo D'Avossa (nomina del 5 ottobre 1998), processi sui diritti televisivi Mediaset, processo Formigoni-Bussolera Branca, uscirà nel febbraio 2008. Il presidente della seconda penale Donatella Manfrin (All Iberian e processi sui falsi in bilancio), nominata il 26 marzo 1997 è già al commiato. LA CORTE D'APPELLO che in Renato Caccamo (quarta sezione, processi Enimont-Mani pulite) ha uno storico e inossidabile maestro e punto di riferimento lo perde in virtù della nomina del 12 maggio 1993 (secondo la legge Mastella il giudice sarebbe quasi alla seconda scadenza). In uscita sono quindi Santino Belfiore (nominato il 27 parile 1998), Alfonso Marra e Sergio Silocchi. Mentre è solo in dirittura d'arrivo il presidente Roberto Pallini (25 maggio 2001, scadenza a metà 2009) autore di alcune controversissime sentenze d'appello (piazza Fontana e la corruzione dei giudici romani di Imi-Sir e Lodo Mondadori). E, decapitata dalla legge Mastella, è anche la gerenza della prima Corte d'assise con il presidente Luigi Cerqua (nomina del 9 dicembre 1996) che dirige i più importanti processi per terrorismo internazionale islamico, come il dibattimento di recente concluso allo stragista dell'11 marzo di Madrid Osman Rabei. - -->.


INDICE 21-9-2007

+  La Stampa 21-9-2007  pixelMunizioni per Grillo RICCARDO BARENGHI 2

+  Il Sole 24 Ore 21-9-2007 Il libro dell'ex presidente della Federal Reserve Ho sbagliato, euro e Bce un successo. di Alan Greenspan  3

+ Il Manifesto 21-9-2007 Spagna Fa discutere la misura di sostegno ai giovani del governo socialista. Una mossa pre-elettorale di successo E Zapatero dà 210 euro ai giovani per l'affitto Alberto D'Argenzio  4

+ Il Giorno 21-9-2007 SCANDALI A RIPETIZIONE Dal caso Fiorani agli affari immobiliari Due anni orribili 5

L’Unità 21-9-2007 Mazzate Marco Travaglio  6

Il Corriere della Sera 21-9-2007 replica choc al Tg2  Grillo:«Se sparassero al direttore?» Il comico riproduce l'editoriale di Mazza e ironizza: «Berlusconi è la peggiore costola della sinistra». Casini: «Anch'io minacciato»  7

La Repubblica 20-9-2007 L'ANALISI Partito democratico, 5 cose da fare subito Taglio di poltrone e via i partiti dalla Rai di MARIO PIRANI 7

La Repubblica 21-9-2007 Burlando contromano in autostrada "Sono deputato", niente multa Il governatore della Liguria fermato su una superstrada: aveva percorso un chilometro e mezzo sulla corsia sbagliata. Poi mostra il tesserino (scaduto) di parlamentare e se ne va. di MASSIMO CALANDRI 9

La Stampa 21-9-2007 Aumentano le spese della Camera Per il 2007 un incremento del 3% AMEDEO LA MATTINA  10

Europa 21-9-2007   XX Settembre e moschee: tolleranza, ma solo con chi è tollerante  FEDERICO ORLANDO RISPONDE  11

Il Sole 24 Ore 20-9-2007                           Mutui e affitti, che peso: 3,6 milioni le famiglie in difficoltà di Nicoletta Cottone  12

Italia Oggi 21-9-2007  Il comma 718 della legge finanziaria 2007 è immediatamente applicabile Stretta sulle spa pubbliche Niente gettoni ai consiglieri comunali nei cda  13

Il Giorno 21-9-2007 LA LOTTA AI PARTITI E LA MILANO DELLE CIVICHE Un manifesto e cinque petizioni per rifondare e ridimensionare la politica ? 14

Il Secolo XIX 21-9-2007 Liguria. Le spese della Regione I costi del sistema sanitario superano i costi della macchina amministrativa dell'ente: 3 miliardi e 100 milioni di euro 21/09/2007  15

Europa 21-9-2007 Bernanke ha ascoltato i mercati: ha ridotto i tassi di interesse di mezzo punto andando oltre le aspettative (si parlava di 25 centesimi). I mercati azionari hanno festeggiato strappando al rialzo: +2.5% Wall Street, +3.7% Tokyo, +2% Milano. Un premio a chi non se lo è meritato o la strada è quella giusta? La Bce deve fare altrettanto? EMILIO BARUCCI 16

Milano Finanza 21-9-2007 Brilla l'oro nel giovedì nero del dollaro Dollaro e oro protagonisti assoluti, ma di segno opposto, in quella che può essere definita una giornata storica per i mercati finanziari. 17

Finanza.net 20-9-2007 Arriva l'inevitabile lavata  18

 


 

+  La Stampa 21-9-2007  http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifMunizioni per Grillo RICCARDO BARENGHI

 

La sensazione netta, diciamo quasi una certezza, è che ormai la valanga sia partita. Oggi è ancora una slavina, ma se nessuno la ferma - e nessuno sembra in grado di farlo, mentre molti la alimentano con fragorosi boatos - travolgerà presto tutto il quadro politico, a cominciare ovviamente dal governo. Il quale, nelle previsioni più ottimistiche che si sentono circolare nel Palazzo, riuscirà a sopravvivere fino a dicembre, cioè a condurre in porto la Finanziaria per poi essere costretto a chiudere la sua storia. È probabile che cadrà a causa del movimento dei cosiddetti centristi (Dini, Mastella, Di Pietro...), i quali useranno magari il pretesto della manifestazione del 20 ottobre organizzata dalla sinistra radicale.

E se così fosse, già si può immaginare il futuro: elezioni in primavera con probabile vittoria del centrodestra, che potrebbe contare tra l’altro anche sull’aiutino dei suddetti centristi.

Una dinamica non nuova nella storia del nostro Paese (successe anche dodici anni fa, primo governo Berlusconi), che in teoria sarebbe anche capace di sopportare sollecitazioni così forti. Se non fosse che oggi il suo livello di tolleranza nei confronti della classe politica è sceso a un livello bassissimo, lo si capisce dai sondaggi che vedono il governo sempre meno amato, lo si capisce dai fenomeni alla Grillo, lo si capisce soprattutto ascoltando gli umori che serpeggiano tra la gente normale, altrimenti detti elettori. E’ la cosiddetta antipolitica che si sta facendo strada e domina la scena. Peccato però che le risposte della politica a questo fenomeno, che essa stessa giudica preoccupante ma assolutamente legittimo perché provocato dalla sua incapacità, inefficienza, arroganza, privilegio e via dicendo, siano risposte deboli. Anzi peggio: risposte che alimentano l’ostilità del Paese.

Prendiamo il caso Rai andato in scena ieri al Senato. Al di là del livello dello spettacolo - che per fortuna non è stato trasmesso in diretta televisiva -, al di là anche di chi abbia ragione o torto, quello che un cittadino medio capisce è molto semplice: il Parlamento intima al Consiglio di amministrazione della Rai di non fare nomine perché si tratta di un Consiglio nato e lottizzato grazie a una legge in via di estinzione (la Gasparri) e soprattutto dalla vecchia maggioranza oggi opposizione. Ma siccome il cittadino medio non è cretino, capisce anche la ragione vera dell’intimazione: niente nomine oggi perché le vogliamo fare noi domani. E meno male che il ministro Padoa-Schioppa aveva appena detto che il guaio della Rai è proprio la continua e pesante interferenza della politica che ne paralizza la gestione...

Oppure prendiamo il caso Visco, il viceministro archiviato dalla Procura di Roma in relazione al caso Speciale. Purtroppo per lui, non ne esce affatto bene. Viene chiesta l’archiviazione perché non sussistono elementi sufficienti per rinviarlo a giudizio, ma in realtà si tratta di una requisitoria pesante che parla di «motivi oscuri» adottati da Visco per spiegare perché «era “interessato” o comunque voleva il trasferimento dei quattro ufficiali...»; di «interferenze indebite» per rimuovere chi stava indagando sul caso Unipol. Anche qui è la politica che getta benzina sul fuoco dell’antipolitica.

E visto che siamo in argomento (Unipol), eccoci all’altro caso politico-giudiziario, il caso D’Alema. Se la Procura di Milano ha sbagliato a chiedere l’autorizzazione al Parlamento italiano e non a quello europeo, non ne ha certamente colpa il nostro ministro degli Esteri. Il quale però, se risolvesse i suoi guai grazie a questo, non farebbe un favore a se stesso. La sua immagine politica, già intaccata dalle intercettazioni pubblicate dai giornali, ne sarebbe vieppiù appannata. Il messaggio all’opinione pubblica sarebbe il solito: i potenti se la cavano grazie a cavilli, trucchi, errori procedurali e quant’altro. Non sappiamo cosa potrebbe fare D’Alema per evitare che accada tutto questo, forse niente. Però magari un gesto, una deposizione spontanea, un chiarimento diretto con il giudice Clementina Forleo. Insomma, una qualunque cosa che dimostri al Paese che un leader politico non si nasconde dietro un dito.

Altrimenti non serviranno a nulla gli allarmi sulla crisi della politica, con conseguente esplosione dell’antipolitica, che con un certo intuito lo stesso D’Alema lanciò per primo nel maggio scorso dalle colonne del Corriere della Sera.

 


+  Il Sole 24 Ore 21-9-2007 Il libro dell'ex presidente della Federal Reserve Ho sbagliato, euro e Bce un successo. di Alan Greenspan

 

H o incontrato in varie occasioni Jean-Claude Trichet, il presidente della Banca centrale europea, per via dei nostri ruoli al vertice delle due più grandi banche centrali del mondo. Eppure, per quante volte lo abbia guardato all'altro lato del tavolo durante le colazioni ufficiali dei G-7, dei G-10 o di altri incontri internazionali, non ho mai smesso di meravigliarmi di quanto l'istituzione che dirige e la sua moneta,l'euro,si siano rivelati un risultato straordinario. All'inizio degli anni Novanta, durante i lavori preliminari per la creazione di una moneta unica europea, nutrivo seri dubbi sul fatto che il potere della decantata Bundesbank tedesca potesse essere replicato su scala continentale. Inoltre, non ero convinto che una nuova Banca centrale fosse necessaria:l'Europa ne aveva già una di fatto nella Bundesbank. Ed ero scettico anche sul fatto che una Banca centrale europea avrebbe funzionato. Ricordo una conversazione con Alexandre Lamfalussy, l'ex direttore generale della Bank for International Settlements. Era stato appena nominato al vertice del nuovo Istituto monetario europeo, il precursore della Bce, in ottemperanza al Trattato di Maastricht del 1992. Dato che le politiche fiscali ed economiche dei diversi Paesi europei influenzavano l'equilibrio dei tassi di cambio, domandai a Lamfalussy se fosse auspicabile congelare per sempre i tassi di cambio di 11 (oggi 13) economie. Tale blocco avrebbe spinto le politiche economiche a convergere, come si sperava ufficialmente? Oppure avrebbe condannato le nazioni con una valuta inavvertitamente sopravvalutata a lottare per essere competitive e altre con una moneta sottovalutata a combattere l'inflazione cronica? Lamfalussy non condivideva le mie preoccupazioni sull'euro; e aveva ragione. Con mia sorpresa, la transizione di 11 monete separate all'euro avvenne infatti senza scossoni. Grazie al significativo potere autonomo conferitole dal Trattato di Maastricht, la Banca centrale europea è diventata una forza prominente negli affari economici mondiali. Gli attacchi di cui è stata oggetto per le sue politiche antinflazionistiche e i tentativi di indebolirne l'autorità sono falliti. Tranne che in momenti di crisi, dubito che potrebbe nascere un consenso sufficiente per alterarne l'autonomia. Abbiamo di fronte un'istituzione storicamente unica, una Banca centrale indipendente con il mandato esclusivo di mantenere la stabilità dei prezzi in un'area economica che produce oltre un quinto del Pil mondiale. è un risultato straordinario. Non finisco di stupirmi di quello che i miei colleghi europei sono riusciti a fare. Osservando i problemi nell'attuazione della strategia di Lisbona, il piano tratteggiato nel 2000 per dare all'Unione europea la leadership mondiale in campo tecnologico, sospetto fortemente che oggi il Trattato di Maastricht susciterebbe il consenso che sollevò nel 1992. L'entusiasmo per un'unione che leghi gli Stati sovrani europei si è affievolito nell'inesorabile mondo delle realtà di mercato. Chiaramente, ciascun membro dell'Eurozona potrebbe abbandonare la moneta comune e reintrodurre quella che aveva in precedenza. L'Italia, che da dieci anni annaspa in una crescita produttiva assai magra (meno della metà della media dei Paesi dell'euro), deve affrontare una struttura dei costi sempre meno competitiva. Se non fosse legata all'euro, avrebbe sicuramente svalutato la moneta, come ha fatto in passato. Ma se reintroducessero la lira (presumibilmente con un tasso svalutato), gli italiani dovrebbero decidere che cosa fare con i loro attuali obblighi legali espressi in euro. Pagare gli interessi di debiti in euro diventerebbe molto costoso e si creerebbe una grande incertezza, dato che il tasso di cambio lira/ euro sarebbe quasi sicuramente molto instabile, almeno per un certo periodo. Imporre per legge la conversione dei debiti in lire (sia pubblici sia privati) con un tasso di cambio arbitrario significherebbe a tutti gli effetti dichiarare bancarotta, il che minerebbe la capacità di credito della nazione. Dopo essersi affacciata sull'orlo dell'abisso,la leadership italiana ha saggiamente deciso di escludere un'iniziativa del genere. Il Trattato di Maastricht e il Patto di stabilità e crescita associato, sottraendo la politica monetaria al controllo nazionale dei vari membri e limitando la portata della spesa in disavanzo, hanno in effetti obbligato le economie a ricorrere agli aggiustamenti automatici del mercato. Per questo, l'Unione monetaria europea presenta alcune delle caratteristiche del vecchio sistema aureo. L'adozione del welfare state in Europa era troppo diffusa perché il continente accettasse tutte le restrizioni alle politiche economiche discrezionali. Per esempio, il Patto di stabilità e crescita imponeva un limite del 3% al deficit di bilancio, con multe molto salate per i membri che non avessero ottemperato. Quella soglia è stata ben presto oltrepassata da varie nazioni, ma la riscossione delle penali si è dimostrata politicamente inattuabile. La norma è diventata soltanto una linea guida generica. Maastricht non poteva cambiare gli imperativi inderogabili dello Stato previdenziale. Tuttavia, nel ruolo fondamentale di creare una moneta unica per 13 Paesi, con tutti i vantaggi connessi, l'euro e la Bce si sono rivelati un grande successo. I rischi di cambio sono stati eliminati e i costi delle transazioni si sono abbassati. Sebbene la legge economica di un unico prezzo non sia stata realizzata (il prezzo di molti beni varia da Paese a Paese di una percentuale più alta dei costi di trasporto), le differenze fra la varie nazioni si sono notevolmente ridotte. Il marco, il franco e le altre nove valute europee che sono confluite nell'euro erano tuttetroppo piccole per sfidare il dollaro statunitense come moneta di riserva. L'euro invece può, e lo fa. Alla fine del settembre 2006 l'euro rappresentava il 25% delle riserve delle banche centrali e il 39% del credito liquido al settore privato internazionale. Il dollaro, rispettivamente al 66% e al 43%, non è molto più avanti, tenuto conto del fatto che il credito privato è otto volte maggiore di quello delle banche centrali. Come per il dollaro,l'accumulazione di riserve ha abbassato i tassi di interesse dell'euro e senza dubbio hacontribuito alla crescita economica europea. Nonostante tutto, il modo sommesso in cui la Banca centrale europea e l'euro sono diventati una forza internazionale è troppo sorprendente per essere ignorato. Il mio amico Jean-Claude ha motivo di rallegrarsi.

SCETTICISMO INFONDATO "Non pensavo che una Banca centrale europea potesse funzionare a dovere Se l'Italia tornasse alla lira finirebbe in bancarotta".


+ Il Manifesto 21-9-2007 Spagna Fa discutere la misura di sostegno ai giovani del governo socialista. Una mossa pre-elettorale di successo E Zapatero dà 210 euro ai giovani per l'affitto Alberto D'Argenzio

 

 Duecentodieci euro al mese per i giovani che affittano casa, questa è la misura di grido lanciata martedì dal governo Zapatero per provare a palliare il problema dell'abitazione. La burbuja, la bolla immobiliare che dal 1998 ad oggi ha fatto gonfiare i prezzi di acquisto delle abitazioni ad un ritmo del 10% annuo (ormai le banche propongono mutui su più generazioni) ha spinto in alto anche gli affitti, portando il problema della casa sul podio delle angosce degli spagnoli, assieme al terrorismo e all'immigrazione (che se la gioca con la disoccupazione, a seconda delle stagione). Per fronteggiare la situazione, l'esecutivo socialista lancia un plan vivienda composto da una serie di misure, che vanno dalle sovvenzioni alle esenzioni fiscali, un plan che partirà dal primo gennaio e che ha nello sconto all'affitto la sua misura-stella, l'iniziativa che potrebbe fare la fortuna di molti giovani in cerca di indipendenza, ma non necessariamente quella del governo. La proposta arriva infatti a meno di sei mesi dalle prossime elezioni politiche di marzo, ossia con una tempistica che puzza di promessa elettorale, ma soprattutto il piano ha un certo sapore di dejà vu. Nel luglio 2004 lo stesso governo socialista lanciava una sovvenzione di 240 euro al mese per tutti i minori di 35 anni con un reddito lordo inferiore ai 19.950 euro. Da allora ad oggi 40.000 inquilini hanno ricevuto l'aiuto del governo su un bacino indicato, dallo stesso esecutivo, in 71.000 potenziali beneficiari. E così da martedì la neo ministra dell'abitazione Carme Chacon, accusata di copiare la sua predecessora Maria Antonia Trujillo, va ripetendo in tutte le salse che il suo plan vivienda è nuovo. Al di là delle polemiche, destinate peraltro a continuare, il progetto del governo suona diverso per condizioni e per ambizioni. Potranno infatti accedere ai 210 euro mensili i giovani compresi tra i 22 ed i 30 anni residenti in Spagna da 4 anni e con uno stipendio lordo inferiore ai 22.000 euro. Diminuisce quindi l'età ma aumenta la soglia economica e con lei anche i potenziali richiedenti. Chacon ha annunciato che il primo anno beneficeranno della misura 180.500 persone, con un costo per lo Stato di 436,5 milioni. Non si tratta di numeri a caso, visto che il programma elettorale del Psoe prometteva di trovare sul mercato 180.000 abitazioni "in vendita o in affitto ad un prezzo ragionevole". Una cifra ancora lontana dalla realtà: solo nel 2006 sono iniziati i lavori per 60.356 case popolari ed in 18 mesi sono stati firmati appena 5.000 contratti. Adesso il governo corre ai ripari con i 240 euro di aiuto, che rappresentano il 29% dell'affitto medio nel paese, fermo a 720 euro, una percentuale che scende al 18% a Madrid e sale al 63% in Galizia. Oltre a questi soldi l'esecutivo ha messo a bilancio anche prestiti di 600 euro per la cauzione ed una garanzia di sei mesi per assicurare il proprietario sul pagamento dell'affitto. Previste anche deduzioni fiscali del 10,05% per gli inquilini (potrebbero beneficiarne 700.000 famiglie) che porteranno ad un ulteriore esborso di 349 milioni di euro, da sommare ai 436,5 milioni di aiuto diretto. In sostanza un impegno importante e concreto da parte del governo Zapatero, ma anche un impegno che non tutti gli analisti vedono di buon occhio. Si teme infatti che il bonus porti ad un ulteriore aumento degli affitti, esattamente come già successo con le deduzioni fiscali all'acquisto degli immobili.


+ Il Giorno 21-9-2007 SCANDALI A RIPETIZIONE Dal caso Fiorani agli affari immobiliari Due anni orribili

 

 LODI  DUE ANNI da incubo. Neanche il tempo di tirare un sospiro di sollievo e dire: "È finita", che scoppia un nuovo scandalo. Gli strascichi della fallita scalata all'AntonVeneta della Banca Popolare Italiana prima ha scosso le fondamenta dell'istituto di credito più in vista d'Italia, e ora scuote le fondamenta di Palazzo Broletto. Tutta colpa della caduta del "deus ex machina" della banca, Gianpiero Fiorani, che prima ha fatto lustrare gli occhi a tanti concittadini conquistando più di dieci banche in due lustri, poi ? durante gli interrogatori alla Procura di Milano ? ha puntato il dito contro complici e adulatori. Il 13 dicembre, Santa Lucia, è un giorno maledetto. Due anni fa fu il giorno dell'arresto di Fiorani. La polizia giunse di primo mattino nella villetta di via Donizzetti e portò in gattabuia, come un delinquente qualsiasi, "l'eccellentissimo" (amato da tutti ai tempi della grandeur, scaricato da tanti in seguito) che camminava a braccetto fra le vie del centro con il Governatore di Bankitalia, Antonio Fazio. L'ANNO SCORSO, quello stesso giorno maledetto, portò la condanna giudiziaria di Divo Gronchi, erede di Fiorani che si era presentato come immacolato cavaliere bianco e che invece fu punito dal tribunale di Brescia per bancarotta fraudolenta con venti mesi di reclusione. E, nonostante la condanna, non volle disarcionarsi. Fra gli applausi dei soci toscani e i fischi di tanti lodigiani. Copione simile per la fusione fra Bpi e Banco popolare di Verona e Novara: mesi di accuse fra soci e nuova dirigenza (che aveva promesso lo "stand alone", una dignitosa indipendenza, e che invece dopo pochi mesi gettò la banca nelle braccia della solida Bpvn). Finito l'incubo? Macché. Pochi giorni dopo la fusione il titolo del neonato Banco Popolare crolla sotto il peso della crisi della controllata Italcase: quasi un miliardo di euro di rosso, prodotti finanziari rischiosissimi venduti come noccioline agli sportelli e un gran magone in gola agli azionisti del neonato Banco, che increduli assistono al crollo del titolo in Borsa. Ora, dopo i "fasti" del 2005 ? quando Lodi divenne per alcuni giorni la capitale del mondo finanziario ed era sulla bocca di tutti nientemeno che nella City londinese ? il turbine mediatico procede su due piani: quello del gossip, con Fiorani che racconta senza vergogna le sue imprese a settimanali e tv, facendosi immortalare nel bacio alla figlia di Ornella Muti; e sul piano locale, lontano ai grandi quotidiani e dalle tv inglesi, con il chiacchierato dirigente comunale Luigi Trabattoni finito sotto accusa per abuso d'ufficio. Vien quasi da ridere pensando alle profetiche scritte apparse (e subito fatte cancellare) nei giorni prima del Natale 2005, che inneggiavano: "Grazie per Fiorani, ora tocca a Trabattoni". Assieme a lui sono finiti sul resgistro degli indagati, per aver aiutato il "comitato d'affari" dominato da Fiorani, cinque fra architetti e funzionari del Palazzo. E la Procura mira in alto. Per ora ha fatto il nome di Filippo Zoncada, figlio di Desiderio, ex consigliere Bpi, potentissimo re degli autobus e titolare della Zoninvest. Alla società dei Zoncada è stato sequestrato, giorni fa, il residence di via Visconti. Cosa rimarrà a Lodi e ai lodigiani, passata la bufera? Sicuramente, la pessima immagine che si sono costruiti (loro malgrado) sui mass media. In seconda battuta, i sogni infranti: un Auditorium edificato con ambizioni faraoniche (e costi stellari) da Renzo Piano, che ora ospita manifestazioni di piccolo cabotaggio e un'assemblea ogni due anni dei soci del Banco Popolare, ultima parvenza di potere regalata ai lodigiani dai padroni veronesi. E resta il "buco nero" dell'ex Abb, area industriale dismessa che era il fiore all'occhiello delle ambizioni immobiliari della Bpi condotta da Fiorani. Sarebbero dovuti sorgere in quest'area, a due passi dal centro dell'ex capitale finanziaria lombarda, due torri alte 70 metri, venti palazzi, 376 appartamenti. Un progetto di 35mila metri cubi, l'apoteosi urbanistica di Lodi. Tutto andato in fumo, come la reputazione di una città tranquilla. Fabrizio Lucidi

 


L’Unità 21-9-2007 Mazzate Marco Travaglio

 

La scena è questa: nel pomeriggio dell'altroieri Mauro Mazza, direttore del Tg2 in quota An, appare in video per ammonire Beppe Grillo col gesto della pistola: "Che accadrebbe se un mattino qualcuno, ascoltati gli insulti di Grillo, premesse il grilletto?" Per la verità Grillo non ha mai evocato né pistole né fucili, diversamente da Bossi che li evoca continuamente nella totale distrazione del Mazza medesimo. Per la verità i "vaffanculo" liberatorii di Grillo in piazza odorano di bucato, paragonati a quel che si dicono quotidianamente i parlamentari alla Camera e al Senato (quest'estate un'esagitata forzista urlò "assassino" a Gerardo D'Ambrosio, ma anche quella volta il Mazza era distratto). Per la verità, sono dieci giorni che politici e commentatori danno a Grillo del qualunquista, fascista, populista, demagogo, antidemocratico, additandolo come il pericolo pubblico numero uno. Che accadrebbe se un mattino qualcuno, ascoltati gli insulti a Grillo, premesse il grilletto contro Grillo, che fra l'altro non ha scorta né auto blindata né aerei di Stato per volare ai gran premi? Pochi minuti dopo l'editoriale del Tg2, Gianfranco Fini incontra i giornalisti e dice di trovare un tantino eccessivo il rischio paventato dall'amico Mazza: "Adesso lo chiamo per dirglielo". Segue telefonata. Lorenzo Salvia del Corriere chiama Mazza un minuto dopo. Forse si aspetta di trovare un uomo umiliato, mortificato, magari balbettante, forse addirittura nascosto sotto la scrivania per la vergogna: uno che ha appena preso una lavata di capo dal suo principale. Invece no, tutt'altro. Mazza fa il brillante: "E che problema c'è?" Il problema sarebbe che, se Fini gli telefona per dirgli che non gli piace il presepe, vuol dire che considera Mazza una cosa sua, una protesi, un maggiordomo. Il che, per un professionista serio quale Mazza sicuramente è, non è proprio bellissimo. Mazza invece rivolta la frittata e riesce persino a dire, restando serio, che la telefonata di Fini è la prova della sua rocciosa autonomia: "Si dice che i direttori dei tg siano affiliati a un padrino politico che detta il mattinale. Ecco, è la dimostrazione che non è così. È segno che sono indipendente" Ricapitolando: Fini chiama Mazza davanti a tutti, trattandolo come un suo dipendente, non un indipendente, e gli dice più o meno: "Senti, caro, stavolta hai esagerato". E, se lo fa è perché è abituato a farlo, e se è abituato a farlo è perché Mazza qualcosa gli deve, altrimenti non si vede a che titolo un segretario di partito chiami il direttore di un telegiornale del "servizio pubblico" per dargli la linea. Ma queste osservazioni di puro buonsenso non sfiorano più nessuno: né Fini, né Mazza. È normale. Ed è tutto qui, in soldoni, l'annoso problema della Rai che ieri, tanto per cambiare, ha rischiato di far cadere il governo. Perché finché si scherza, parlando di finanziaria, di guerra, di precariato, di pensioni, si scherza. Ma quando si parla di cose serie (quelle che lo sono per Berlusconi), cioè la televisione e la giustizia, allora può crollare tutto. Ricordate la prima crisi del governo Prodi a febbraio? La base di Vicenza e la mozione sull'Afghanistan erano un puro pretesto: la verità è che la pur blandissima legge sul conflitto d'interessi era appena approdata in Parlamento. Il governo andò subito sotto. A fine luglio, sull'ordinamento giudiziario, replay: governo battuto. Ieri l'ennesimo terremoto, ancora sulla tv. Ora naturalmente i commentatori che la sanno lunga ci spiegheranno che "la tv non conta", che Berlusconi "non vince per le tv", che "controllare le tv non basta", che "la tv non sposta voti". È quel che Berlusconi vuole che si creda, e il bello è che a sinistra molti ci credono. Tant'è che lo ripetono a ogni pie' sospinto. Poi però si ricredono in segreto e corrono a lottizzare la Rai: altrimenti non si capisce il perché dell'operazione Fabiani, che sta scuotendo una maggioranza già scossa di suo. Ecco perché, quando promettono "non lottizzeremo più", nessuno ci crede. Perché chiunque abbia fatto politica in prima fila in questi anni ha sempre trattato la Rai come il cortile di casa, cioè come Fini tratta Mazza. Dice bene Robin Williams nel suo ultimo film ("L'uomo dell'anno"): "I politici sono come i pannolini: bisogna cambiarli spesso, e per lo stesso motivo". Uliwood party.

 


 

Il Corriere della Sera 21-9-2007 replica choc al Tg2  Grillo:«Se sparassero al direttore?» Il comico riproduce l'editoriale di Mazza e ironizza: «Berlusconi è la peggiore costola della sinistra». Casini: «Anch'io minacciato»

 

 

ROMA — Diserta la ripartenza di Anno Zero, non manda un video per la prima serata tv, rifiuta pure l'invito al collegamento telefonico con Michele Santoro e quando arriva a Codroipo (Udine) per il suo show, Beppe Grillo dà ordine di lasciare le telecamere della Rai fuori da Villa Manin. Per «togliersi una soddisfazione », non certo per attutire il clamore di quel che sta per dire. Il video rimanda l'editoriale del direttore Mauro Mazza, tg2 del 19 settembre: «Cosa accadrebbe se un mattino qualcuno, ascoltati quegli insulti, premesse all'improvviso il grilletto?». E l'arringatore di folle, di certo consapevole del botto: «... e ti sparasse nel culo?». Uscita choc, che riattizza il fuoco dello scontro tra grillanti e politici, i quali a sentire il comico «stanno tutti delirando ». Berlusconi? «È acquattato nell'ombra e si rode dall'invidia, se ne sta in un angolo e si chiede come ha fatto quello lì, senza soldi, a fare un casino del genere». Fassino? «Dice che sono un fascista». Ciampi? «Dice che manifestazioni come la nostra vanno fatte nell'alveo della Costituzione. Ma noi questo abbiamo fatto, l'8 settembre si sono materializzate due milioni di persone che hanno firmato 350 mila schede della petizione popolare. È una cosa prevista dalla Costituzione, non era mai successo in 50 anni, non è mica colpa mia!». E dunque avanti con le liste civiche, ma il candidato deve «almeno» sapere l'italiano, essere incensurato e non iscritto a un partito. Eh no caro Beppe, replica a distanza Walter Veltroni, l'Italia «ha bisogno di soluzioni razionali, non di uno che urli nel tunnel». Sono le dieci di sera e nello studio di Rai2, dove Santoro si fa paladino del tritura—politici genovese, si salda l'asse tra il leader dei vaffa—boys e due girotondini della primissima ora, Sabina Guzzanti e Marco Travaglio. Il quale dal piccolo schermo spedisce una feroce lettera al «ministro volante» Mastella. Lo accusa di aver scroccato un Milano—Roma coi soldi dei cittadini, di aver piazzato il figlio al ministero dello Sviluppo, di aver fatto incetta di appartamenti a saldo e affonda: «Nel 2000 fu testimone di nozze del braccio destro di Provenzano. Quando fu eletto disse "sarò più vicino ai detenuti che ai magistrati", è stato di parola». E adesso i politici hanno paura della V-generation, si sentono sotto attacco, parlano di minacce e intimidazioni ricevute via web dal popolo dei grillanti. Mastella denuncia «bestemmie», «gravi offese», «minacce», «commenti violenti » piovuti sul suo blog.

E Pier Ferdinando Casini si schiera al fianco del direttore del Tg2, che per primo ha fiutato il rischio di una deriva esplosiva dei seguaci di Beppe Grillo. Mazza ha ragione, «basti pensare alla quantità di mail di minaccia che io ed altri abbiamo ricevuto ». Ma il leader dell'Udc non si farà intimidire dal «vaffa» che impera e informa di aver già denunciato l'attacco cibernetico alle autorità competenti: «Sono indifferente, non mi farò minacciare dalle lettere di qualche grillonauta ». Il tifone Grillo inquieta il centro, divide la sinistra, ma non sembra turbare troppo Berlusconi, il quale si è convinto che «l'antipolitica colpirà più la sinistra che noi». L'onda anomala che ha investito i politici non è roba sua, prende distanze il leader di Forza Italia e rivela che i suoi elettori «ritengono Grillo la peggiore costola della sinistra ». Sarà, ma il comico ne ha in serbo anche per lui, lo chiama «truffolo», quello «spot vivente», quell'«ologramma », quel «venditore di bava»... Tocca a Fausto Bertinotti difendere l'istituzione che rappresenta, dire che il grillismo «non ha grande peso nella società » e che Grillo rischia di aggravare la crisi. E Franco Marini invita a prestare attenzione alle parole di Mazza sui rischi del «linguaggio violento ».

Monica Guerzoni

21 settembre 2007


 

La Repubblica 20-9-2007 L'ANALISI Partito democratico, 5 cose da fare subito Taglio di poltrone e via i partiti dalla Rai di MARIO PIRANI

 

ROMA - Non prendiamoci in giro. La nascita del Partito democratico non sta maturando attraverso una "fusione calda", malgrado le speranze suscitate e che erano sembrate coagularsi in due momenti: i congressi di scioglimento di Ds -Margherita e la presentazione della candidatura Veltroni. Dopo quei passaggi ci si attendeva un rilancio che aprisse subito le porte del costituendo partito a forze sociali fin qui mortificate, a intelligenze creative fin qui messe ai margini, a spiriti liberi pronti a impegnarsi. La delusione è, per contro, palpabile. Il timore che la perigliosa iniziativa sfuggisse di mano alle due nomenclature di riferimento ha prodotto un macchinario selettivo barocco e antidemocratico. Il suo funzionamento è difficilmente comprensibile, di nessuna attrattiva, dissuasivo nei confronti di ogni desiderio di partecipazione. Lo spezzatino delle liste per circoscrizione, la duplicazione delle medesime (più di una per candidato), la designazione delle candidature ad opera di piccoli gruppi di vertice addetti alla bisogna, il rifiuto di permettere le preferenze, così da controllare e gestire rigidamente l'ordine di ogni lista dei designati, (ricalcando l'aborrita - a parole - legge elettorale vigente): questi gli aspetti salienti del marchingegno messo in piedi. Ben altro sarebbe stato l'effetto se si fosse votato in tutta Italia per i soli candidati alla leadership (Veltroni, Letta, Bindi, ecc.) attraverso un voto cui partecipassero per internet o per suffragio al seggio tutti i militanti e i simpatizzanti che lo volessero (le tecnologie computerizzate di controllo impediscono ormai le duplicazioni), versando una quota e sottoscrivendo un breve impegno di adesione. L'aver inoltre applicato alla Costituente un federalismo spinto, accompagnando all'elezione del segretario nazionale, quella dei leader regionali, oltre ad aver scatenato in ogni capoluogo una lotta personale asperrima, ha tracciato i binari di un partito localistico, prefigurando una federazione di micropotentati, di feudi di signori delle tessere e dei voti, restii a far propri i valori di una politica nazionale e ancor meno europea. Alla partizione ideologica di partenza si assommerà, così, quella regionalistica. Tutto questo potrebbe forse non incidere più che tanto se i candidati di maggior rilievo e, in primo luogo, Walter Veltroni riuscissero a svincolarsi dai lacci che lo spirito di conservazione dei partiti d'origine hanno loro imposto e che forse hanno accettato con troppa rassegnazione, subendo oggi le leggi del compromesso, per far meglio domani. Sol che questa non è una fase che consenta una lunga marcia per arrivare a medio termine a secernere sapientemente una nuova classe dirigente, capace in un prossimo futuro non meglio definito, di dirigere il nuovo partito dei riformisti, a vocazione maggioritaria, come ha detto Veltroni e, cioè, in grado di governare, scegliendo maggioranze coerenti. La fase attuale è, per contro, di rapido e rovinoso smottamento del rapporto di fiducia tra la democrazia rappresentativa e masse crescenti di cittadini, molti dei quali o sfiduciati o preda di ogni ventata demagogica e distruttiva. Potremmo attardarci ad analizzarne le cause, capire quali sono state le realizzazioni sottovalutate e gli errori non perdonati del governo Prodi (il maggiore dei quali, a mio avviso, è stato quello di sostenere ad ogni occasione che l'elettorato è destinato a capire domani, forse fra qualche anno, la giustezza delle cose di cui oggi si lamenta). Potremmo, inoltre, elencare le ancor più gravi pecche in cui sono incorsi i partiti (culminate da ultimo in un impeto suicida nell'apertura delle porte del Festival dell'Unità all'appello squadristico di Beppe Grillo per la distruzione di ogni partito presente e futuro, tranne ovviamente il suo). Qui ed ora urge, però, ben altro che acute disamine politologiche. Urge prendere atto di una situazione, confermata da tutti i sondaggi (vedi quello di Diamanti del 18 us) e descritta su queste colonne da Eugenio Scalfari con uno dei più drammatici pezzi che abbia mai concepito in tutta la sua vita e di cui sottoscrivo ogni parola ("Il popolo cerca il giudizio universale", Repubblica, 16 us). Aggiungo, però, che se oggi "c'è un crescente rifiuto di questa politica, di questi partiti, di questi uomini politici" e se gli appelli di Beppe Grillo danneggiano solo la sinistra e fanno ben contento Berlusconi "che da 15 anni fa politica in nome dell'antipolitica", ebbene questo desolante quadro è il frutto non di una mutazione antropologica che ha reso il popolo di sinistra refrattario ai valori della politica ma della delusione amarissima per il degrado etico, la pochezza, la litigiosità, l'incoerenza, la presunzione, l'arroganza, la proterva occupazione del suolo pubblico di ogni ordine, grado e qualità a cui una parte notevole dei ceti dirigenti dell'arco governativo si è lasciata andare in questi anni, senza incontrare resistenza e denuncia da parte di chi dissentiva tacendo. Questo ha sovente anche cancellato la percezione della differenza, nell'azione pratica e persino nelle parole, tra destra e sinistra. Eppur tuttavia c'è ancora una possibilità reale di riscossa. Non è affatto detto che almeno la metà degli italiani, che ha votato centro sinistra nelle ultime elezioni politiche e amministrative, sia perduta per sempre o stia passando armi e bagagli nel campo di Berlusconi e Beppe Grillo, uniti sotto spoglie diverse in un unico disegno. C'è un dato nell'ultimo sondaggio Demos-Eurisko, su cui Ilvo Diamanti si sofferma ("Repubblica" 16 settembre), che indica chiaramente uno spazio di ripresa, laddove afferma: "La candidatura di Walter Veltroni ha smosso le acque stagnanti in cui rischiava di affondare il Pd... Insieme a Fini egli appare ancora il leader politico più amato dagli italiani..... L'elettorato potenziale del Pd è molto più ampio di quello attuale. Le stime oggi gli attribuiscono poco più del 26% dei voti ma la quota di coloro che ritengono possibile votarlo è molto più ampia. Intorno al 44%. La componente dei "democratici indecisi" è costituita in larga misura (40%) da elettori incerti "se" e "per chi" votare... sulla soglia che separa speranza e delusione". Ecco, dunque, il campo dove Veltroni dovrebbe giocare la sua partita. Con rapidità, spregiudicatezza, coraggio. Affrontando la questione di fondo che lui non ha fin qui eluso ma non ne ha fatto, certo, il centro della sua campagna: la crisi attuale della politica e la necessità urgente di rifondarne il messaggio. Se quello di Beppe Grillo ha raccolto 300.000 adesioni, l'assai meno urlato Decalogo (mi scuso per la citazione) da me proposto il 24 maggio us su questo giornale ne ha raccolte 150.000. I nostri lettori, ma credo la stragrande maggioranza degli italiani al di fuori della "casta", volevano e vogliono dei segni concreti di cambiamento: 1) Un governo snello ed efficiente, di 15 ministri, di cui 7 o 8 donne e 45 sottosegretari, non di più; 2) Un taglio drastico dei privilegi e degli stipendi del pletorico ceto che vive sulla politica: più di mille parlamentari, diecine di migliaia di consiglieri regionali, comunali, provinciali, delle comunità montane e quant'altro; 3) Un disboscamento delle migliaia e migliaia di società a partecipazione pubblica, degli assessorati inutili, delle sovvenzioni clientelari; 4) La fine della lottizzazione delle cariche negli enti pubblici, nelle Asl, nei ministeri; 5) L'estromissione dei partiti dalla Rai. Basterebbe questo per rompere il clima di delusione e rassegnazione, recuperando, quanto meno, incerti e indecisi. Veltroni, certo, potrebbe obbiettare che queste cose non dipendono ancora da lui. E' vero, ma è pur possibile, come ha suggerito Piero Fassino all'ultima Festa dell'Unità, vincolare nel corso della prossima Costituente ad alcune decisioni, regole e norme di comportamento tutti i dirigenti e gli esponenti istituzionali del nuovo Partito, raccogliere e rispondere - è sempre Fassino che parla - "all'indignazione nel vedere il merito, la capacità, la fatica dello studio travolti da concorsi truccati, appalti guidati, assunzioni di favore". Veltroni non può e non deve proporsi affatto di scalzare Prodi. Deve, però, convincersi che nella sua campagna per la leadership del nuovo Partito gioca contemporaneamente una partita futura, di cui oggi gli italiani debbono percepire le caratteristiche essenziali e credibili. Per questo deve dire ora che tipo di governo ha in mente. Deve proporre ora un tavolo Stato-Regioni che riporti i governi locali a dimensioni anche di spesa compatibili con la pubblica decenza. Deve dire ora come vuol mettere fine alla lottizzazione. Ed, infine, dovrebbe anche aggiornare schemi invecchiati di comunicazione. Ad esempio le cose che ha detto e scritto negli ultimi mesi sono ricche di idee e proposte giuste. Avvolte, però, in articoli troppo lunghi, in discorsi troppo alti ancorché accattivanti, redatti con un linguaggio non sempre adatto a tradursi in un messaggio immediato, secco, comprensibile a tutti. Mi dicono abbia aperto un blog. Ne faccia ampio uso e tramite internet entri in contatto, il più possibile, con quanti non può incontrare direttamente. Lasci perdere le defatiganti mediazioni. Non c'è più il tempo. Si rivolga direttamente alla gente. Gli è ancora possibile farsi ascoltare.


La Repubblica 21-9-2007 Burlando contromano in autostrada "Sono deputato", niente multa Il governatore della Liguria fermato su una superstrada: aveva percorso un chilometro e mezzo sulla corsia sbagliata. Poi mostra il tesserino (scaduto) di parlamentare e se ne va. di MASSIMO CALANDRI

 

GENOVA - Per un chilometro e passa ha guidato contromano, rischiando una mezza dozzina di scontri frontali con le vetture che stavano per imboccare il casello autostradale. Fermato da una pattuglia della polizia, invece della patente ha mostrato la tessera da deputato. Che tra l'altro è scaduta da un paio d'anni. Dicono non sembrasse turbato più di tanto, anzi. "Hanno ragione", ha detto serenamente Claudio Burlando - ex ministro dei Trasporti e già sindaco di Genova, fino al 2005 in Parlamento con i Ds, attuale presidente della Regione Liguria - indicando gli automobilisti fermi ai lati della carreggiata e sotto shock per lo spavento.

Gli agenti hanno calmato gli animi, preso nota del documento, telefonato in centrale. Poi lo hanno lasciato andare. Nemmeno l'ombra di una multa. E massima discrezione. I poliziotti qualche ora più tardi hanno sottoscritto - "per dovere d'ufficio" - una relazione di servizio. Che avrebbe dovuto restare chiusa in un cassetto.

E' successo domenica scorsa. "Verso le ore 12,15 la pattuglia veniva inviata dal locale Centro Operativo Autostradale presso il casello di Genova-Aeroporto", scrivono gli agenti. Poco prima la centrale ha raccolto le telefonate - terrorizzate, infuriate - di alcuni automobilisti. "Giunti sul posto venivamo avvicinati da tre persone". Sono gli occupanti dell'ultima vettura che stava per essere centrata dalla macchina del Presidente. Al volante c'è un signore di 59 anni, con la figlia e il fidanzato di lei. "Asserivano di essersi trovati l'autovettura Mitsubishi Space Runner targata AH... procedere contromano".
Raccontano i tre di essersi avvicinati furibondi alla macchina per prendersela con il guidatore. E che quello restava chiuso all'interno dell'abitacolo, ignorandoli, il telefonino incollato all'orecchio.

Ma chi è l'automobilista? "Alla guida della Mitsubishi si trovava tale Burlando Claudio, nato a Genova il 27.04.1954, identificato mediante tessera della Camera dei Deputati numero 938...". Precisano gli agenti: "Quest'ultimo ammetteva quanto sostenuto dagli utenti senza dare un giustificato motivo alla manovra effettuata". E in coda alla relazione: "La pattuglia, non avendo comunque accertato l'infrazione in oggetto, si asteneva dal contestare alcun tipo di sanzione, limitandosi ad informare il comandante telefonicamente e a redigere la presente".

Secondo la ricostruzione dei poliziotti, il presidente ligure proveniva dagli Erzelli, una collina dove sono depositati i container vuoti del porto di Genova. Voleva dirigersi verso il mare, ma ha sbagliato strada. All'altezza dell'ingresso autostradale con ogni probabilità intendeva fare inversione e passare sull'altra carreggiata. E però le due strade sono divise prima da una barriera di catene, poi dal guard-rail in cemento. Così è partito in contromano, tenendosi rasente ad un muraglione sulla sinistra, forse sperando di trovare uno spazio nella barriera ed infilarcisi.

Il fatto di aver incrociato alcune macchine nell'opposto senso di marcia, di aver sfiorato più volte lo scontro, non lo ha indotto a desistere. Al contrario, ha percorso più di un chilometro. Resta da capire perché la Stradale, nonostante Burlando abbia ammesso le sue colpe, non abbia elevato alcuna contravvenzione. Codice alla mano, per la guida contromano sono previsti quattro punti in meno sulla patente. Dieci in caso di curve e strade divise da carreggiate separate.


 

La Stampa 21-9-2007 Aumentano le spese della Camera Per il 2007 un incremento del 3% AMEDEO LA MATTINA

 

ROMA
Tagliare, tagliare dove si può e il più possibile, che gli italiani ci guardano: con il vento che soffia furioso sui costi della politica e come una bora tormenta il Palazzo, in questi giorni i deputati sembravano morsi dalla tarantola più che da Grillo (Beppe). Il dibattito sull’approvazione del bilancio della Camera è stata una gara tra chi millanta l’uso della scure e che si è conclusa con un colpo nell’aria.

Intanto un dato: nel 2007 la spesa è cresciuta quasi del 3% per un totale 1,53 miliardi di euro, comprensivi del finanziamento pubblico ai partiti. La carica dei 108 ordini del giorno presentati da deputati di destra e di sinistra, tutti con le forbici in mano, è stata falcidiata perché ritenuti inammissibili o accolti come raccomandazione. Alla meta ne sono arrivati un paio: quello dell’Idv (la Camera dovrà ridurre le sue spese del 10%), quelli del Prc (non si potranno prendere in affitto nuovi immobili; tagliare di 2/3 la spesa per consulenze esterne; i deputati in missione potranno usare solo hotel a 4 stelle e volare in Europa in classe turistica). E’ passato l’Odg del forzista Guido Crosetto per cui Montecitorio dovrà rendere pubblici stipendi e pensioni di parlamentari e dipendenti.

Respinta la invece la proposta del berlusconiano Gianfranco Conte: via il ristorante dove i privilegiati parlamentari pagano il pesce fresco poco più che 4 euro e che costa 5,232 milioni l’anno. Ordine del giorno bocciato dall’aula, ma ai piani alti di Montecitorio promettono di portare entro un anno il costo del ristorante a 1,6 milioni. Via la barberia: anche questa proposta non passa, ma nei prossimi giorni chi andrà a tagliarsi i capelli noterà un rincaro molto consistente, cioè prezzi di mercato. Bruscolini, perché in quel miliardo e 53 milioni di spesa previsto nel bilancio 2007 (cui vanno aggiunti i soldi del finanziamento ai partiti) che è stato approvato ieri, ci sono cifre che non riescono a calare. Alcune spese crescono:quelle per i deputati (169.180, + 1,54%), per il personale in servizio (266.915, + 3,68%), per locazioni di immobili (34.675, + 6,6%). Non sono stati tagliati i 4 milioni per noleggi di auto, gli oltre 3 milioni per assicurazioni per deputati e dipendenti.

Galoppano le spese per l’aumento del numero dei gruppi parlamentari (+4%) e qui c’è la nota dolente che nei due giorni di dibattito parlamentare ha fatto scoppiare la bagarre. Ad accendere la miccia è stato Gregorio Fontana di Forza Italia («il nostro Gregory Peck ha tirato fuori gli artigli», esultava in Transatlantico l’ex ministro Daniela Prestigiacomo), che ha presentato un ordine del giorno finalizzato a sopprimere quei gruppi costituiti in deroga al minimo di 20 deputati. In sostanza sarebbero rimasti a secco, a sinistra, i gruppi dei Verdi, dell’Udeur, del Pdci, Rosa nel pugno dell’Idv. A destra, la Dc-Psi di Cirino Pomicino e Del Bue.

Ovviamente i rappresentanti di questi gruppi hanno strillato come aquile, l'Odg è stato modificato su proposta del presidente della Camera Bertinotti - mettendo riduzione delle spese per questi mini-gruppi al posto di eliminazione - ma alla fine con 253 no e 202 sì l’Assemblea di Montecitorio l’ha respinto. «Qui si parla troppo dell’uso dell’aereo di Stato - ha spiegato Fontana - e non della lievitazione dei gruppi che ha fatto aumentare la spesa di 15 milioni». Solo i segretari di presidenza dei piccoli ammonta a 8 milioni di euro. Risultato finale: il Bilancio della Camera è passato con i voti dell’Unione, mentre la Cdl si è astenuta. L’Udc, al grido «demagoghi» rivolto ai loro presunti alleati di opposizione, si è schierata con la maggioranza. «Ci asteniamo - ha spiegato il capogruppo di An Ignazio La Russa - perché vogliamo dare un segnale concreto al Paese». Replica del vice capogruppo dell’Ulivo Gianclaudio Bressa: «Davvero colleghi pensate che il problema sia qualche gruppo parlamentare in più, o piuttosto la vera sfida sia la riforma costituzionale del Parlamento, riducendo il numero dei parlamentari?».


 

 

Europa 21-9-2007   XX Settembre e moschee: tolleranza, ma solo con chi è tollerante  FEDERICO ORLANDO RISPONDE

http://www.europaquotidiano.it/site/images/transparent.gif

Cara Europa, ognuno, essere irrepetibile, come ci ha insegnato Giovanni Paolo II, è portatore di piccole verità, dunque ogni donna e uomo possono, anzi debbono ricercare costantemente la verità in ogni avvenimento; così come dovrebbero favorire l’affermarsi della giustizia sociale e della solidarietà su scala mondiale. Con queste premesse non capisco certi ragionamenti (verbali o scritti) che denotano una forte dose di egoismo da parte di coloro che li esprimono. Mi riferisco ad alcune lettere pubblicate sui giornali, compreso l’Avvenire, dove gli autori ostentano tanta sicurezza da rifiutare ogni tipo di confronto, con gli altri, non curanti di voler scoprire ulteriori tasselli di quella che Giovanni Paolo II chiamava la verità sull’uomo. Se oggi sul piano politico, c’è una persona che offre all’intera società alcuni spunti per approfondire questa ricerca e diffusione della verità è Rosy Bindi, con interventi e prese di posizione chiare e prive di qualsiasi ombra di ipocrisia.
GIUSEPPE DELFRATE, CHIARI (BS)

Caro Delfrate, la sua lettera sulla convivenza e la tolleranza reciproca ci perviene in un giorno (ieri), il 20 settembre, che a 99 italiani su 100 non ricorda niente, grazie a Mussolini, che lo cancellò dalle festività civili della nazione; ma a me e a qualche altro ricorda la “presa di Roma”, cioè la fine del potere temporale dei papi e la proclamazione di Roma capitale d’Italia. Il capo del fascismo, per far piacere a Pio XI col quale aveva firmato il trattato e la conciliazione, promise di sostituire la celebrazione del 20 settembre 1870 con quella del 28 ottobre 1922 (“Che cos’è?”, gli avrebbe chiesto il cardinale Borgongini, che, secondo la ricostruzione fatta ieri da Margiotta Broglio, s’era dimenticato della marcia su Roma degli squadristi. E il duce concordatario gli rispose con una guardataccia). Ecco: una religione di stato preferita alla libertà delle fedi nello stato, una festa del regime preferita alla festa della nazione, sono i frutti velenosi degli incontri fra poteri che non credono alla libertà laica ma al rapporto di forze. È’ il motivo per cui, in questi giorni di forti conflitti tra una veterosinistra illiberale e filoislamista, che vuole la supermoschea di Bologna, e chi si preoccupa della carica di violenza e di esclusivismo connaturata all’islamismo come fede politico-religiosa, personalmente sto con chi si preoccupa ed è contrario a riconoscere diritti a chi non solo non ne riconosce agli altri ma nega doveri a se stesso. Per una volta , trovo che l’allarmismo quotidiano di Magdi Allam vada preso in considerazione proprio in chiave liberale, che è quella che mi sta a cuore: e cioè libere chiese in libero stato sì, ma chiese che non si propongano di “evangelizzare” ol ferro e col fuoco i “miscredenti”.
Abbiamo criticato la conquista ispanica del Sudamerica, non vedo perché dovremmo stendere tappeti alla conquista musulmana dell’Europa. Tutto ciò che possiamo fare per restare noi stessi, cioè democratici, è confrontare le reciproche verità o credenze o opinioni, con la garanzia di uno stato laico super partes e garante per tutti dell’ordine costituzionale.
Che non prevede né infibulazioni di ragazze, né lapidazioni di “adultere” (al femminile), né impiccagioni di apostati o di eterosessuali, né preparazione di kamikaze e bombe al plastico in moschea o in altro luogo religioso o laico. Problemi che , come quelli del Manifesto Una ragione pubblica per la bioetica che pubblichiamo oggi su Europa, il Partito democratico non potrà continuare a glissare.

http://www.europaquotidiano.it/site/images/transparent.gif


 

Il Sole 24 Ore 20-9-2007            Mutui e affitti, che peso: 3,6 milioni le famiglie in difficoltà di Nicoletta Cottone

 

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Foto/Speciali/Sole24Ore/bottone_x%20pagina_link.gif

La sintesi del rapporto Nomisma

 


Troppe le famiglie in difficoltà per il caro casa. Sono 1,9 milioni le famiglie che faticano a pagare la rata del mutuo, mentre 1,7 milioni quelle in difficoltà per il peso dell'affitto nel bilancio familiare. In totale, dunque, 3,6 milioni di nuclei in difficoltà. Dal 1991 al 2007 l'incremento dei canoni di mercato nelle aree urbane è stato del 66,7% con un spesa che varia significativamente di città in città. Lo attesta Nomisma in uno studio sulla condizioni abitativa in Italia. Un volume di 270 pagine presentato a Roma, alla Luiss, nel corso della Conferenza nazionale sulle politiche abitative da cui dovrebbero prendere corpo le proposte del Governo sulla casa. Secondo Nomisma il costo medio 2007 per prendere in affitto una casa di 90 metri quadrati a Roma è di 1.523 euro (+ 84,8%), a Milano di 1.252 euro (+ 51,2%) e in media nelle altre 11 città metropolitane di 805 euro (+ 46,4 per cento).

Il rapporto segnala che nello stesso periodo le disponibilità familiari sono cresciute solo del 20,8 per cento. L'incidenza della locazione di un'abitazione di 80 metri quadri sul reddito familiare è così passata dal 20,7% dei primi anni Novanta all'attuale 28,5 per cento. Secondo Nomisma «si tratta di un fenomeno piuttosto allarmante soprattutto in corrispondenza delle realtà in cui il marcato incremento immobiliare non si è accompagnato a un analogo sviluppo dell'economia locale».

Il 15,7% delle famiglie italiane, cioè 3,6 milioni di nuclei, sperimentano, dunque, una situazione di disagio abitativo in quanto i canoni incidono sul reddito oppure per il sovraffollamento nelle case. Il disagio è, comunque, superiore tra gli affittuari rispetto ai proprietari. Inoltre per quasi il 20% degli affittuari l'onere connesso al pagamento dell'affitto incide per oltre il 30% sul reddito. Poco più dell'1% delle famiglie proprietarie ha invece analoghe difficoltà con la rata del mutuo.

Dai dati Istat emerge che nel 2006 tra le famiglie in possesso di una casa di proprietà il 13,8% paga un mutuo che in media pesa per 458 euro sul bilancio familiare, il 4,5% rispetto in più rispetto al 2005. Nelle compravendite quasi la metà degli acquirenti accende un mutuo (47,8%) e l'importo medio finanziato lo scorso anno è stato di 127.571 euro. Si registra un rallentamento nella stipula dei contratti di mutuo, segno, secondo Nomisma, che i ripetuti incrementi della Bce sui tassi di interesse mostrano i primi effetti in termini di assestamento del mercato. Le statistiche della Banca d'Italia in merito al numero delle famiglie insolventi mostrano una tendenza al rialzo. Nomisma mette in luce che l'inasprirsi dell'onerosità del debito degli ultimi tre anni è stata parzialmente arginata da condizioni contrattuali più allettanti, dai tempi di rimborso più lunghi, ai tetti massimi di rata periodica.

Marginale il ruolo dell'edilizia sociale rispetto agli altri paesi europei occidentali con un progressivo rallentamento, dai 34mila degli anni Ottanta alle 1.900 abitazioni del 2004. Una abitazione su due è stata edificata prima del 1981. Evidente, dunque, la difficoltà di accesso a questi alloggi per le fasce deboli della popolazione.


 

Italia Oggi 21-9-2007  Il comma 718 della legge finanziaria 2007 è immediatamente applicabile Stretta sulle spa pubbliche Niente gettoni ai consiglieri comunali nei cda

 

Quale criterio si deve adottare nell'assegnazione dei compensi agli amministratori (consiglieri comunali) componenti del consiglio di amministrazione di una società a capitale interamente pubblico, alla luce di quanto disposto dall'articolo 1, comma 718, della legge finanziaria 2007, ove è previsto che "l'assunzione, da parte dell'amministratore di un ente locale, della carica di componente degli organi di amministrazione di società di capitale partecipate dallo stesso ente non dà titolo alla corresponsione di alcun emolumento a carico delle società"? Parte della giurisprudenza, sulla base della natura privatistica del rapporto dei consiglieri di amministrazione con le rispettive spa pubbliche, ritiene che con l'approvazione delle norme del nuovo diritto societario i consiglieri medesimi abbiano un diritto irrinunciabile al compenso che non può essere modificato se non con espressa volontà degli amministratori. Diverse pronunce, invece, collocano le società degli enti locali su un versante più prettamente pubblicistico e ciò comporta riflessioni sugli effetti della legge finanziaria di segno opposto a quello sopra evidenziato. La stessa Corte costituzionale, nel pronunciarsi in materia di disciplina applicabile alle società a capitale interamente pubblico, ha espressamente sancito (Corte cost. n. 29/2006) che dette società, ancorché formalmente private, possono essere assimilate, in relazione al regime giuridico, a enti pubblici. La giurisprudenza della Corte dei conti è altresì da tempo orientata, in conformità con il menzionato indirizzo della Corte costituzionale, a una qualificazione di tipo sostanziale e non formale delle società degli enti locali e di quelle pubbliche in generale. Ciò premesso, per quanto riguarda i termini di decorrenza della norma in esame, la legge finanziaria non prevede una specifica disposizione in ordine ai propri effetti sulla situazione vigente. Tuttavia, la circolare in data 13 luglio 2007, a firma congiunta dei ministri per gli affari regionali e le autonomie locali, dell'economia e delle finanze e dell'interno, con riferimento all'entrata in vigore delle disposizioni dettate dai commi 725 e ss., concernenti il tetto dei compensi, espressamente rileva il carattere imperativo delle norme, e impone, in assenza di disposizioni di segno contrario, l'immediata applicabilità a far data dal 1° gennaio 2007, con conseguente, automatica limitazione dei compensi degli amministratori in carica che eccedessero l'importo massimo consentito. D'altra parte, la stessa circolare chiarisce che non può riconoscersi alle norme in esame carattere eccezionale, atteso che le stesse non sono dettate in funzione della regolamentazione di determinate situazioni contingenti, né derogano a principi cardine dell'ordinamento giuridico, ma costituiscono norme speciali destinate a regolare il funzionamento delle società pubbliche partecipate da enti locali. Per la norma in questione, dunque, può essere adottato lo stesso indirizzo interpretativo formulato in ordine ai commi 725 e ss. del citato articolo 1, concernente l'immediata applicabilità di disposizioni che vanno a incidere su un rapporto di durata, già instaurato con l'atto di nomina. COMMISSIONI EDILIZIE E MINI-ENTI In un comune con popolazione inferiore a 5 mila abitanti può un sindaco, quale responsabile dell'area tecnica del comune, ricoprire la carica di presidente della commissione edilizia comunale? Il Consiglio di stato, con parere n. 2447 del 21 maggio 2003, ha avvalorato il principio generale della netta separazione tra le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e di gestione. In tale occasione ha precisato che "la presenza di organi politici nella commissione edilizia, deputata a pronunciarsi su richieste di autorizzazioni e concessioni edilizie, non è più consentita dall'assetto normativo attuale" e che "qualora tale presenza sia espressamente prevista da regolamenti comunali, gli enti locali dovranno provvedere alle necessarie modifiche". Si pone quindi la questione della vigenza della deroga consentita dall'articolo 53, comma 23, della legge n. 388/2000, ove si stabilisce che "gli enti locali con popolazione inferiore a 5 mila abitanti_, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi e il potere di adottare atti anche di natura tecnico-gestionale.&rdquo; Con tale norma della legge finanziaria il legislatore ha inteso introdurre una disposizione di deroga, come previsto dall'articolo 107, comma 4, del Tuel, alle attribuzioni degli organi burocratici. Pertanto, negli enti locali aventi popolazione inferiore a 5 mila abitanti, che si siano avvalsi della predetta disposizione finanziaria derogatoria, attraverso l'adozione di norme regolamentari che affidano espressamente all'organo politico la responsabilità dell'ufficio tecnico preposto alla gestione del settore edilizio, è possibile che detti organi siano presenti nella commissione edilizia. La previsione regolamentare deve inoltre essere finalizzata a operare un contenimento della spesa da documentare ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione di bilancio. Si evidenzia, altresì, che il Consiglio di stato nel citato parere statuisce che, "a seguito delle innovazioni introdotte dal dpr n. 380/2001, la commissione edilizia ha perso il suo carattere di organo necessario ex lege (articolo 4, comma 2)", e che "_ gli enti locali potranno scegliere se conservarla, adeguandone la composizione e indicando nel regolamento edilizio gli interventi sottoposti al preventivo parere di tale organo consultivo, ovvero sopprimerla".


 

Il Giorno 21-9-2007 LA LOTTA AI PARTITI E LA MILANO DELLE CIVICHE Un manifesto e cinque petizioni per rifondare e ridimensionare la politica ?

 

MILANO ? "I FIRMATARI di questo manifesto promuovono una campagna di informazione e di iniziativa politica su questioni che l'attuale ceto politico ignora (con la complicità dell'informazione televisiva) perchè affrontarle significherebbe mettere in discussione se stesso e gli equilibri di potere sui quali ha costruito le sue fortune". Comincia così il "Manifesto per la riforma della politica" sottoscritto dai soci fondatori della "Lista Civica dei cittadini - Per la Repubblica" e che costituisce la base del programma politico del movimento. Il documento si articola poi in cinque temi fondamentali che sono diventati l'argomento di altrettante petizioni da presentare al Parlamento: costi della politica, responsabilità dei partiti, conflitto di interessi, ambiente e salute. In sintesi e fermandosi ai primi punti delle richieste, con la petizione sui costi della politica si chiede "il taglio drastico delle spese e dei costi collegati al sistema dei partiti", a cominciare da una riduzione del numero dei componenti delle assemblee rappresentative (Parlamento e Consigli regionali e comunali), del numero dei Ministeri e dei componenti il governo, oltre che da una diminuzione delle retribuzioni dei parlamentari e consiglieri regionali. Con la seconda petizione si chiede "l'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione con una legge ordinaria che preveda la responsabilità dei partiti di fronte alla legge e ne sanzioni le violazioni", restituendo ai cittadini un ruolo da protagonisti. In questo ambito rientra anche la richiesta di abrogazione dei finanziamenti ai giornali di partito. Conflitto di interessi: si chiede di inserirlo nella Costituzione, in quanto "mette in discussione valori costituzionali fondamentali" come la separazione dei poteri e l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Ambiente: cambiare il metodo di valutazione della qualità dell'aria e il calcolo della tassa rifiuti (sul peso dei rifiuti prodotti) oltre ad una serie di modifiche tecnico-normative e fiscali. Salute: si chiede che "le nomine sanitarie e manageriali siano sottratte al controllo della lottizzazione politica" con divieto di accesso a persone che nei dieci anni precedenti hanno ricoperto incarichi di partito, nelle istituzioni o in enti di qualsiasi livello. Inoltre si chiede che le prestazioni programmate vengano eseguite entro 15 giorni dalla richiesta dell'utente. Gi.Gu.


 

Il Secolo XIX 21-9-2007 Liguria. Le spese della Regione I costi del sistema sanitario superano i costi della macchina amministrativa dell'ente: 3 miliardi e 100 milioni di euro 21/09/2007

Genova. Come sono spesi quei 424 euro all'anno che ogni ligure paga per finanziare l'attività istituzionale della Regione Liguria? L'analisi della Uil, pubblicata ieri, ha sentenziato che per quella voce (674 milioni di euro) la giunta ha impegnato il 13,1% del bilancio (5,1 miliardi); mentre per la sanità serve il 59,7% (3,1 miliardi), per lo sviluppo economico il 2,1% (109 milioni), per il territorio il 9% (460 milioni) e per non precisati altri oneri (mutui, interessi, deficit, per un totale di 824 milioni) il 16,1%. Dati che, se confrontate con le altre Regioni, risultano inferiori - in percentuale - solo a quelle a Statuto speciale, alla Lombardia, alle Marche e al Molise. Tutte le altre sono nettamente su quote inferiori, mentre hanno spese più alte per sviluppo, sanità e territorio (a parte rare eccezioni). Le spese per attività istituzionali sono di vario tipo, ma comprendono la maggior parte dei costi della politica. Quindi, se si considerano comunque andate a buon fine le spese per la Sanità e per le altre attività di governo, è in questo capitolo che rischiano di nascondersi i maggiori sprechi. Sommando i costi del consiglio regionale, degli organi istituzionali, del personale, delle spese di funzionamento e altri fondi minori, il costo netto del solo "palazzo"è di 150 milioni di euro l'anno. Di certo, infatti, nelle attività istituzionali spiccano i 50,6 milioni di euro (previsti nel 2007, 1,1 milioni in più nel 2006, che è l'anno preso in considerazione dalla ricerca Uil), impegnati per pagare gli stipendi e i contributi del personale dipendente (escluso quello di pertinenza del consiglio regionale). Quindi i 56 milioni per le spese di funzionamento: dalle utenze alla cancelleria, dalle missioni agli incarichi speciali, dalle spese vive alle spese per il patrimonio. Escluse voci accessorie di natura prevalentemente finanziaria (circa 85 milioni), ci sono poi le spese per gli organi istituzionali: il consiglio e i vari organismi di controllo e vigilanza. Per il solo consiglio regionale (con i 40 eletti, compresi quindi il presidente e gli assessori, anche quelli esterni), il bilancio stanzia nel 2006 24,6 milioni e nel 2007 28,3 milioni (l'aumento è dettato dalla totale ristrutturazione della sede): ai 40 consiglieri vanno 9 milioni tra indennità e rimborsi spesa (più altre voci minori), ai gruppi consigliari dei partiti sono attribuiti 2,3 milioni; considerate altri capitoli di minore entità e arrotondando per difetto, si può tranquillamente dire che ciascun consigliere costa alla comunità tra i 325 e i 350 mila euro l'anno. Un'enormità se confrontata con i 4,8 milioni spesi per i 120 dipendenti della sola struttura consigliare (40 mila euro a testa l'anno). Gli organi istituzionali: si tratta di 6 milioni di euro, cui vanno aggiunti per circa mezzo milione l'anno, il Difensore civico e il Corecom (la spesa a bilancio era in discesa dal 2006 al 2007, ma la nascita di nuovi organi come il consiglio per l'economia e la consulta statutaria hanno nuovamente innalzato il totale). A far lievitare i costi istituzionali sono però voci difficili e il cui stesso nominativo segnala la totale distanza dai cittadini: sono spesi ogni anno tra i 450 e i 500 milioni di euro per il "servizio del debito" e per "i fondi perenti". Nel primo caso si tratta, semplificando, di oneri a carico della giunta per l'indebitamento pregresso riferito a spese per gli investimenti. Nel secondo caso sono fondi risparmiati perché non spesi l'anno precedente e di solito accantonati per essere ridestinati l'anno successivo: non spese vive, dunque, ma in diversi casi uscite o accantonamenti frutto di errori precedenti (anche di diversi anni). Certamente, insieme a circa una sessantina di milioni di euro che in realtà la Regione ha trasferito a enti locali (come Comuni e consorzi di comunità montane), debiti e riserve rappresentano la quota maggioritaria di quei 424 euro a testa che ogni ligure spende per far funzionare l'ente. Tanto è bastato al presidente Claudio Burlando per dire che "la ricerca Uil considerano nelle spese istituzionali voci che non riguardano le spese vive dell'ente; valgano per tutte le quote trasferite agli enti locali, spesi quindi per la comunità". giovanni mari 21/09/2007.


 

Europa 21-9-2007 Bernanke ha ascoltato i mercati: ha ridotto i tassi di interesse di mezzo punto andando oltre le aspettative (si parlava di 25 centesimi). I mercati azionari hanno festeggiato strappando al rialzo: +2.5% Wall Street, +3.7% Tokyo, +2% Milano. Un premio a chi non se lo è meritato o la strada è quella giusta? La Bce deve fare altrettanto? EMILIO BARUCCI

 

L'intervento di Bernanke è l'ultimo segnale della grande attenzione con cui le autorità monetarie e i governi seguono la crisi dei mutui subprime. Nell'ultimo mese abbiamo assistito ad ingenti immissioni di liquidità da parte della Bce e della Federal Reserve, il governo tedesco è intervenuto per caldeggiare il salvataggio di due banche seriamente esposte al rischio subprime, in Inghilterra la Banca centrale ha aperto una linea di credito illimitata, ma a condizioni penalizzanti, a favore di Northern Rock e il governo è intervenuto per placare i timori dei correntisti garantendo i loro risparmi. Ora è la riduzione dei tassi negli Stati Uniti che cerca di assolvere a due diversi compiti: rendere la liquidità più a buon mercato e quindi aiutare i mercati interbancari che soffrono di una crisi di fiducia; evitare che una crisi finanziaria si tramuti in un rallentamento dell'economia reale via riduzione dei consumi e degli investimenti. C'è un ulteriore effetto, forse non voluto o non confessato: offrire una ciambella di salvataggio a banche, hedge funds a rischio di fallimento. Sarkozy (Le Monde, 15 Settembre) e Tremonti (Il Sole 24 Ore, 2 Settembre) hanno attaccato duramente il comportamento delle autorità monetarie e dei governi nel corso di questa crisi. Il primo segnala come la Bce, immettendo liquidità sul mercato monetario senza ridurre i tassi, offra un aiuto agli speculatori finanziari e rimanga invece sorda nei confronti degli imprenditori che soffrono per l'euro forte. Tremonti ha segnalato l'asimmetria tra finanza e industria, per cui si interviene per salvare istituzioni finanziarie in crisi e non ci si cura delle sorti delle imprese e di fenomeni reali quali la disoccupazione. Vale la pena di ricordare che una posizione simile è stata espressa dal premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz riguardo al comportamento del Fondo monetario internazionale nella crisi dei paesi asiatici nel 1997-1998: il Fondo non sarebbe stato interessato all'economia reale dei paesi quanto alla loro capacità di ripagare i debiti contratti con le banche occidentali. Siamo di fronte ad un interventismo a senso unico a favore della finanza forse perché è proprio lì che risiedono i veri poteri forti? La risposta non è semplice: occorre capire bene le peculiarità dell'intervento dello stato e delle autorità monetarie nell'economia reale e nella finanza e distinguere tra le diverse forme di intervento. La finanza è diversa dall'industria, il motore della finanza è la fiducia, a cominciare da quella del correntista che deposita i soldi in banca: se una crisi di liquidità/fiducia mette in crisi il suo funzionamento è necessario che le istituzioni intervengano. La fiducia è un bene pubblico da preservare (come la sicurezza sociale). Il caso della corsa agli sportelli è sintomatico: se non esistesse una forma di prestatore di ultima istanza da parte della Banca centrale o di garanzia sui depositi, quale quella fornita dal governo inglese, il rischio di ritiro in massa da parte dei depositanti sarebbe alto e potrebbe portare al fallimento a catena delle banche senza nessun motivo strutturale con effetti dannosi per l'economia reale. Bene quindi hanno fatto la Banca d'Inghilterra e il governo inglese ad intervenire, anche se avrebbero dovuto chiarire il costo del salvataggio per il contribuente. I salvataggi ex post hanno un inconveniente: premiano l'azzardo morale in quanto garantiscono a chi assume rischi in modo disinvolto ? come è accaduto in questa vicenda ? che ci sarà un soccorso pubblico a buon mercato. Il rischio è che non ci sia una minaccia credibile di punizione dei comportamenti avventati, se non fraudolenti, incentivandoli di fatto. Del resto, per fronteggiare la crisi della Long Term Capital nel 1998 ? che ha una radice simile a quella dei subprime ? le autorità ricorsero alle stesse misure (salvataggio da parte di altre banche e riduzione dei tassi). La crisi dei mutui subprime mostra che la multa non è stata sufficientemente salata e che la lezione non è stata appresa. Alla luce di queste considerazioni, le immissioni di liquidità da parte delle banche centrali sono doverose. Non siamo di fronte ad autorità monetarie asservite al mondo della finanza. Più pericoloso è abbassare i tassi, in quanto questa decisione rischia davvero di offrire un pasto gratis agli speculatori e di distogliere l'attenzione delle banche centrali dal loro vero obiettivo: la lotta all'inflazione. Cosa occorre fare? Negli Stati Uniti la crisi è seria e coinvolge direttamente l'economia reale per lo sgonfiamento del mercato immobiliare, una riduzione dei tassi era quindi necessaria. Mezzo punto è forse troppo, ma è presto per dirlo. Ad oggi non se ne vede invece la necessità in Europa. Piuttosto che agire sui tassi, azione che declasserebbe la crisi ad incidente di percorso, l'Europa deve farsi portavoce con forza presso gli Stati Uniti di una più incisiva regolamentazione che ponga riparo alle falle emerse nel sistema finanziario (società di rating, veicoli fuori bilancio, disintermediazione bancaria, ecc.). Quanto all'Italia, vista la dinamica positiva delle entrate nel 2007, si potrebbe pensare ad un anticipo di alcune voci di spesa del 2008 a favore di investimenti e consumi non escludendo un ammorbidimento fiscale con un peggioramento di qualche punto di decimali del deficit 2007. Tutto questo a condizione che la manovra non diventi la bandiera del ben nutrito partito della spesa improduttiva.


 

Milano Finanza 21-9-2007 Brilla l'oro nel giovedì nero del dollaro Dollaro e oro protagonisti assoluti, ma di segno opposto, in quella che può essere definita una giornata storica per i mercati finanziari.

 

Il biglietto verde ieri per la prima volta ha visto crescere il proprio rapporto di scambio contro l'euro oltre quota 1,40. Come se non bastasse, dopo 31 anni il dollaro canadese è tornato alla parità con la valuta americana. L'euro si è spinto fino a 1,4097 per poi rallentare leggermente, mentre il dollaro canadese è arrivato per pochi istanti anche oltre la parità, con il dollaro a 0,9996. Nei confronti dello yen, che pure fa riferimento a un paese come il Giappone dove i tassi sono allo 0,5%, il dollaro ieri ha perso oltre l'1,3% nel corso della seduta. L'oro, invece, ha proseguito la sua corsa in direzione opposta al dollaro salendo fino a 744,20 dollari l'oncia nel corso della seduta come non faceva dal 1980, e solo nel finale ha leggermente rallentato la sua corsa pur conservando il forte aumento. L'aumento del differenziale di rendimento delle attività in dollari dopo il doppio taglio dei tassi Usa, ma soprattutto le previsioni di ulteriori tagli da parte della Fed, sono il motivo immediato del forte calo subito dalla valuta americana. Ad accelerare il fenomeno, però, ieri si sono aggiunte le voci provenienti dal Medio Oriente, e in particolare dall'Arabia Saudita, sulla decisione del governo locale di non tagliare i tassi in misura pari a quelli Usa. Il Daily Telegraph londinese ha ripreso la notizia sottolineando che è la prima volta che questo accade, ma soprattutto che rappresenta "un segnale che la monarchia saudita sta preparandosi a rompere il rapporto di cambio fisso col dollaro in una mossa che potrà aprire il terreno a una corsa in uscita dalla valuta americana in tutto il Medio Oriente". L'analisi del quotidiano inglese ha innervosito i listini ma viene considerata azzardata da molti, anche se da tempo si parla della diversificazione delle riserve di paesi come Cina, India e paesi del Golfo. Lo strategist valutario di Brown Brothers Harriman a New York, Marc Chandler, ha sostenuto che "le autorità saudite potrebbero rompere il cambio fisso con il dollaro, ma è improbabile che questo porterebbe a un esodo dal mercato obbligazionario statunitense, in particolare dai gestori delle riserve valutarie delle banche centrali" che peraltro "per il 63% sono oggi detenute dai paesi asiatici e dalla Russia". Nondimeno lo stesso Chandler prevede "che il dollaro resterà sotto pressione visto che il mercato continua a prevedere ulteriori riduzioni dei tassi da parte della Fed, mentre molti altri paesi restano fermi o operano attivamente contro il dollaro". Da qui la stima di un trend negativo per la valuta a stelle e strisce sia nella prossima settimana che nel prossimo mese. Vale l'opposto, invece, per le altre principali valute di riserva. Sia per l'euro che per la sterlina e lo yen il trend è positivo a medio termine e di generale stabilità a breve. In parallelo il greggio ha toccato un record di 82,70 dollari al barile nel corso della seduta, e chiuso i contratti di ottobre al record di 83,90 dollari a barile. L'attesta testimonianza di Ben Bernanke e del segretario al Tesoro Henry Paulson alla commissione servizi finanziari del Congresso non ha invece fornito sostanziali novità. Il chairman della Fed ha sostenuto che i fallimenti sul fronte dei mutui subprime proseguiranno, ma che il sistema finanziario è forte e ha ammesso (come molti pensano sul mercato) che il taglio netto di Fed Funds e tasso di sconto abbia voluto "prevenire" gli sviluppi futuri, ovvero muoversi d'anticipo e non reagire solo a posteriori. Bernanke ha confermato le azioni della Fed per ridurre il rischio dei fallimenti immobiliari e confermato la necessità di migliorare tutto il meccanismo di concessione dei mutui, mentre Paulson si è soffermato sulla richiesta di maggiori garanzie federali sui mutui stessi. Bernanke ha anche confermato che lo scenario economico e finanziario è divenuto molto più incerto dopo le turbolenze delle ultime settimane, frutto della crisi sui mercati del credito e sul fronte immobiliare, ma ha ribadito anche che la Fed vuole evitare che i problemi sul fronte dei mutui abbiano conseguenze per l'intera economia. Per Ian Morris, economista di Hsbc, Bernanke "si è rimboccato le maniche e cerca di essere pratico, non accademico. Più come un politico che dice, è possibile. Un atteggiamento più da microeconomista, che non da analista macroeconomico".Sul fronte azionario la giornata è stata negativa per quasi tutti i mercati, compresa Wall Street oggi alle prese con quattro scadenze tecniche. Se a Londra il Ftse 100 ha perso circa mezzo percentuale, il Cac-40 lo 0,7% a Parigi e il Dax lo 0.2% a Francoforte, Wall Street non è stata da meno complici alcune trimestrali deludenti come quella di Circuit City (che ha perso il 17%) nella grande distribuzione, o il taglio delle stime come quello annunciato da Federal Express. Negli Usa i dati di ieri hanno aggiunto poco al quadro complessivo: le nuove richieste di sussidi per la disoccupazione sono calate più del previsto di 9 mila domande fino a 311 mila, il superindice economico per agosto è calato dello in misura dello 0,6% più del previsto 0,4%, mentre l'indice di settembre della Fed di Filadelfia ha superato le attese passando da 0 a 10,9 rispetto al previsto 2,6 (riproduzione riservata). MF  - Mercati Globali Numero 187, pag. 9 del 21/9/2007 Autore: Andrea Fiano.


 

Finanza.net 20-9-2007 Arriva l'inevitabile lavata

 

Puntualmente, con due giorni di ritardo, i problemi derivanti dalla decisione della Fed arrivano. Il dollaro perde un ulteriore 1% in velocità e si porta in termini di potere di acquisto al minimo dagli anni 80. L'euro sopporta, nel silenzio irresponsabile di Trichet, il costo del riaggiustamento nei confronti di dollaro, yen ed ora anche sterlina. Nel suo discorso di stamattina, l'altezzoso presidente della Banca Centrale ci dirà probabilmente quanto questo euro forte contribuisca a tenere l'inflazione sotto controllo in Europa. Quello che non è mai detto è che l'aumento della massa monetaria in Europa deriva proprio dagli squilibri dei tassi di cambio e che in un ambiente in cui Stati Unti e Giappone sono liberi di tenere artificialmente bassi i tassi l'inflazione non deriva dalla spinta della domanda, bensì dalla corsa a beni reali nel timore di futura inflazione (ne sono testimoni l'impennata del prezzo di farina e zucchero, fenomeni da tempo di guerra).A niente serivirà quindi a questo punto la difesa della politica monetaria europea, se non a salvare la sedia di qualche burocrate.
Nel frattempo, escludendo come già detto titoli legati a temi energetici e del comparto alimentare (si vedano le nostre liste), è meglio uscire dal mercato azionario. Le obbligazioni non sono un miglior investimento, perchè le curve dei tassi di stanno irripidendo.
La cosa più incredibile è che tutti questi banchieri centrali, invece che accettare che l'economia entri fisiologicamente in stato di recessione, un fenomeno non drammatico se non probabilmente per la loro carriera cercano di prolungare artificialmente la crescita con tutti i mezzi possibili, assomigliando a quelle signore ultracinquantenni che cercano con il silicone di contrastare gli inevitabili segni dell'età.

 


INDICE 20-9-2007

. 2

++  Il Corriere della Sera 20-9-2007 Nuovo affondo di Beppe Grillo: «Il web è democrazia. Infatti i politici non ci sono» Poi l'attacco ai mezzi di informazione: contro di loro il prossimo V-day Intervista al canale sat Euronews: «Il nostro Valium ha chiuso il suo blog in 15 giorni. E lo psiconano? Non c'è, è un ologramma» Alessandro Sala  2

++  Il Corriere della Sera 20-9-2007 «Insolvenze subprime cresceranno»  3

++  L’Unità 20-9-2007 Casa, è emergenza affitti. Di Pietro: «Un piano in 12 punti»  3

 

+  L’Unità 20-9-2007 Il malessere del cavallo Carlo Rognoni 4

+  Il Corriere della Sera 20-9-2007 Libri di scuola, istruttoria dell'Antitrust «Comportamenti volti ad alterare il normale gioco competitivo» Accertare «possibili intese restrittive della concorrenza nel mercato dell'editoria scolastica»  6

 

La Repubblica 20-9-2007 Euro vola oltre 1,40 dollari. è il nuovo record storico  6

ROMA - L'euro, spinto dal taglio dei tassi effettuato martedì dalla Fed, prosegue senza freni la sua corsa. Dopo aver sfondato quota 1,40 dollari la moneta unica europea si è portata a 1,4032 dollari.  La moneta american, che cede terreno nei confronti della maggior parte delle valute (sulla rupia indiana è ai minimi da nove anni), è indebolita anche dall'attesa per l'audizione del presidente della Fed Ben Bernanke, che oggi riferirà sulla crisi dei mutui davanti al Congresso.  (20 settembre 2007) 6

Il Sole 24 Ore 16-9-2007 Giustizia militare. Confermati gli investimenti hi-tech anche se manca il lavoro Un piano da 600mila euro per i tribunali senza cause "è urgente aggiornare l'elenco detenuti": l'unico è Priebke PAGINA A CURA DI Alessandro Milan  6

L’Unità 20-9-2007 La lepre e il Grillo Marco Travaglio  7

Il Corriere della Sera 20-9-2007 La trasferta deliberata a luglio. Le toghe della Procura generale presso la Cassazione tengono in media 6 udienze l'anno  8

Giudici militari, viaggio premio dopo 2 mesi di ferie. Un terzo dei magistrati in Spagna per un convegno. Prevista anche una diaria di 80 euro                                                                                                                                                                                    Gian Antonio Stella  8

Il Corriere della Sera 20-9-2007 Ma Fini lo critica: «Ho trovato eccessivi i toni del suo editoriale» Mazza (Tg2) attacca Grillo in tv Il direttore: «Se qualcuno decidesse di mettere in pratica le sue parole potrebbe dar vita a nuove tragedie». Il comico: «Sono al delirio»  10

La Repubblica 19-9-2007 Lo ha comunicato con una lettera al sito "Dagospia" "Sono certo di non aver commesso alcun illecito, ma non dovevo farlo" Funzionario di Palazzo Chigi si dimette "Anch'io ero sul volo di Mastella". Capecchi all'imbarco  11

Europa 20-9-2007 14 ottobre, tornano gli intellettuali e i giovani come negli anni epici della ricostruzione FEDERICO ORLANDO RISPONDE  12

Il Sole 24 Ore 18-9-2007 Tfr, la cronaca di un fallimento di Tito Boeri e Luigi Zingales  13

Il Resto del Carlino 20-9-2007 QUELLA LEGALITA' IMPOSSIBILE CON LA SINISTRA "REGRESSISTA" 14

Il Mattino di Padova 20-9-2007 Regione "Tre sanitari ogni posto letto" Dubbio esubero di personale nel Libro verde sulla spesa pubblica. Cristina Chinello  15

Il Tirreno 20-9-2007 Caso Unipol. Nel 2005 era eurodeputato: la competenza è di Bruxelles Non spetta alla Camera decidere su D'Alema  16

 


++  Il Corriere della Sera 20-9-2007 Nuovo affondo di Beppe Grillo: «Il web è democrazia. Infatti i politici non ci sono» Poi l'attacco ai mezzi di informazione: contro di loro il prossimo V-day Intervista al canale sat Euronews: «Il nostro Valium ha chiuso il suo blog in 15 giorni. E lo psiconano? Non c'è, è un ologramma» Alessandro Sala

 

MILANO - Beppe Grillo non ama parlare con i giornalisti italiani, considerati inefficaci nel loro ruolo di «cani da guardia» del potere politico. Anzi: secondo il comico genovese i mezzi di informazione tradizionali «sono finiti» e saranno presto schiacciati dal web, considerato il solo vero spazio di democrazia. Ma è proprio dalle telecamere di una tv, seppure non «istituzionale», ovvero il canale satellitare internazionale Euronews, che torna a parlare in viva voce - mentre sul suo blog non ha mai smesso di scrivere -, all'indomani delle critiche ricevute dal direttore del Tg2 Mauro Mazza e delle polemiche che ne sono scaturite. Del caso Grillo si parlerà poi questa sera ad «Annozero» di Michele Santoro: sarà in studio Sabina Guzzanti, già presente sul palco di Bologna nel giorno del V-day. Il comico, invece, non ci dovrebbe essere.

Guarda i quattro video

«VALIUM» E «PSICONANO» - Nell'intervista, che probabilmente verrà ripresa oggi anche dalle reti televisive italiane, Grillo parte dal ruolo sempre più importante assunto da Internet per tornare a prendere di mira Romano Prodi e Silvio Berlusconi. Del primo, definito ancora una volta «il nostro valium, quello che fa così con le manine» (e mentre lo dice fa il verso alla gestualità del premier), ricorda come abbia tentato di aprire un proprio blog, «ma lo ha chiuso dopo 15 giorni». Il Cavaliere («noi lo chiamiamo Truffolo») viene invece dipinto come lo «psico-nano», «uno spot vivente», uno che «non c'è, non esiste», «un ologramma, un venditore di bava». Grillo elogia il web perché non consente di mentire: se lo si fa, evidenzia il comico, «dopo 24 ore ti arrivano 2 mila messaggi per dirti che sei un cialtrone».

DESTRA E SINISTRA - Al cronista che gli chiede se lui si senta di destra o di sinistra, Grillo finge di reagire in malomodo: «Ma io ti spacco la faccia...», precisando subito che «sto scherzando» e ribadendo che destra o sinistra sono categorie che non esistono più. Così come presto non esisteranno più, a suo parere, anche giornali e tv. E lui farà di tutto per accelerarne la scomparsa: «Il prossimo v-day sarà per togliere il finanziamento pubblico a questa merda di informazione».

ATTACCO A TRONCHETTI - Grillo, che in passato è stato il paladino dei piccoli azionisti di Telecom, ne ha anche per Marco Tronchetti-Provera, da lui ribattezzato «il Tronchetto dell'infelicità», che «si spacciava grande imprenditore, ma si è dimostrato un fasullo». «In America - dice Grillo - gli davano 20 anni. Qui ha preso 240 milioni di euro e sta andando di bolina con la sua barca a vela, lasciando nella merda due società, la Telecom e la Pirelli...».

20 settembre 2007


++  Il Corriere della Sera 20-9-2007 «Insolvenze subprime cresceranno»

Le insolvenze nel settore dei mutui subprime sono «destinate a crescere» in un sistema finanziario che negli Stati Uniti è in «condizioni relativamente forti». Il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, in una testimonianza preparata per l'audizione davanti alla Commissione sui Servizi finanziari della Camera dei Rappresentanti, rileva la maggiore rischiosità dei finanziamenti ad alto rischio erogati tra fine 2005 e nel 2006, con «insolvenze maturate dopo appena uno o due pagamenti in ritardo delle rate».


++  L’Unità 20-9-2007 Casa, è emergenza affitti. Di Pietro: «Un piano in 12 punti»

Un nuovo piano per la casa: è quello proposto dal ministro per le Infrastrutture Antonio Di Pietro che è intenzionato a portarlo in Consiglio dei Ministri già la prossima settimana, al varo della Finanziaria. Quasi due miliardi di euro da destinare all’emergenza abitativa, tornata agli onori della cronaca dopo la pubblicazione dello studio realizzato dal sindacato degli inquilini che ha evidenziato come, ormai, per l´affitto se ne vada più di metà dello stipendio.

Una proposta articolata in dodici punti e che prevede innanzitutto un programma straordinario triennale di edilizia residenziale pubblica per il recupero di alloggi Erp, l'acquisto e la locazione di alloggi da destinare preferibilmente alle categorie disagiate, risorse da destinare ai Comuni pari a 530 milioni di euro per il 2008. Recupero, quindi, sia degli alloggi Erp sia degli immobili militari dimessi, nonché l’istituzione di un diritto di prelazione per i Comuni sull'acquisto di alloggi messi in vendita dagli enti previdenziali.

Il progetto di Di Pietro prevede inoltre alcune misure fiscali, come l'esenzione dal pagamento Ici degli alloggi di proprietà degli enti locali e Iacp, la possibilità di rendere permanenti i rimborsi del 36% delle spese di ristrutturazione, la riduzione del reddito del canone imponibile del proprietario che affitta a canone concordato. Il ministro proporrà al Governo anche di istituire un fondo nazionale per il sostegno degli affitti e di un osservatorio nazionale sull'abusivismo edilizio, oltre a rilanciare l’attività dell'osservatorio sulla condizione abitativa.

Ma è proprio sul taglio dell’Ici ipotizzato dal Governo che i pareri sono contrastanti. Il ministro per la Famiglia Rosy Bindi e quello per la Solidarietà Sociale Paolo Ferrero precisano che il taglio dell’imposta sugli immobili non può essere indiscriminato. «Deve tenere conto della composizione del nucleo familiare», spiega la Bindi, mentre Ferrero propone che sia «agganciato ai redditi, a partire dai più bassi, con carattere redistributivo». E il ministro della Solidarietà Sociale precisa anche che la riduzione dell’Ici non può considerarsi una «politica abitativa» tout court: «Se anche azzerassimo l'imposta sulla prima casa – sottolinea Ferrero – non avremmo una casa in più per chi non l'ha». La soluzione per il ministro di Rifondazione potrebbe arrivare dal cosiddetto tesoretto: «Chi se ne frega – è sbottato Ferrero – da dove vengono i soldi. Ci sono tot miliardi di extragettito, una quota deve essere destinata al Piano casa».

La proposta del ministro Di Pietro, intanto, ha catturato il consenso dei manifestanti che presidiano l’esterno del palazzo dove si sta svolgendo il convegno: «Bravo, coraggio», hanno incitato il ministro. E Di Pietro gongola: «Grazie, la vostra protesta dà una mano anche alle mie richieste: ricordatevi che l'unione fa la forza e tra dieci giorni, in consiglio dei Ministri, dovranno darci una risposta, ma non prendetevela con me, io faccio solo i mattoni, non decido da solo». Sunia, Sicet e Uniat-Uil, queste le sigle sindacali del settore abitativo che stanno manifestando a Roma chiedono di superare l’emergenza e di inserire nella Finanziaria misure precise, come la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di welfare abitativo, un programma nazionale strutturale per l'edilizia pubblica, riduzioni fiscali a favore degli inquilini e dei locatori, nonché un aumento delle risorse destinate al Fondo nazionale di sostegno all'affitto.

Oltre a quello dei manifestanti, un altro sostegno all’interesse di di Pietro per la questione casa, arriva dal ministro per le Politiche giovanili Giovanna Melandri che, nel suo intervento alla Conferenza, ha parlato di «case lowcost per la generazione lowcost». Mura a basso prezzo, quindi, da individuare, prosegue il ministro Ds «attraverso strumenti nuovi non solo di edilizia pubblica ma anche attraverso tutti gli strumenti del social house». Una soluzione di continuità con quanto il suo ministero ha già sperimentato su 500 mila studenti fuori sede: «Quest'anno – ha spiegato la Melandri – gli studenti universitari fuori sede possono detrarre una quota del canone di affitto dall'imponibile e se sono incapienti quella detrazione può essere trasferita a beneficio della famiglia d'origine. È una pista aperta l'anno scorso – conclude il ministro – ma la vogliamo estendere quest'anno a una platea più ampia di giovani che vogliono uscire di casa».

Insomma, misure concrete perché il diritto alla casa possa essere garantito: nuovi mattoni, cambi di destinazione d’uso di palazzi sfitti, sostegno a chi non è in grado di accedere al mercato privato e resterà in affitto vita natural durante. I dati raccolti da Sunia Sicet e Uniat «confermano una forte pressione sui redditi delle famiglie in affitto, con la progressiva esclusione dei redditi bassi dal mercato. Incrociando questi dati con quelli dell'osservatorio del ministero dell'Interno sugli sfratti per morosità, possiamo affermare che negli ultimi anni la crescita di questo fenomeno è direttamente collegata all'aumento degli affitti».

Per affittare casa, dice lo studio, bisogna investire dal 40 all’80% dello stipendio. La situazione è particolarmente grave nelle grandi città: servono quasi 1000 euro al mese per vivere in 80 metri quadri nella periferia di Firenze, Milano e Roma. Il presidente del Consiglio Romano Prodi ha più volte ribadito che proprio la casa sarà uno pilastri della manovra economico-finanziaria del prossimo anno. All’appuntamento di giovedì ne discuterà insieme ai ministri Di Pietro, Padoa Schioppa, Lanzillotta, Ferrero, Melandri e Bindi.


+  L’Unità 20-9-2007 Il malessere del cavallo Carlo Rognoni

 

A partire dalle contestazioni dell´opposizione di centrodestra sulla sostituzione di un consigliere Rai, oggi il Senato discute del servizio pubblico. Sono sicuro che dal dibattito in Aula emergeranno utili indicazioni. L´esperienza parlamentare che ho alle spalle mi insegna che a volte queste sono occasioni di eccessi, di faziosità, di intemperanze. E pur tuttavia sono soprattutto momenti sacrosanti di confronto dai quali emergono sempre riflessioni e critiche da prendere in considerazione.

«Il malessere Rai» è sicuramente strumentalizzato dai partiti del centro destra, ma ha finito per colpire anche quelli di centro sinistra. Anche se, stando alle dichiarazioni di principio, alla fine non dovrebbe essere così difficile trovare punti condivisi. Si vuole un nuovo Cda che non cada nel peccato di lottizzazione? Non c´è chi non si dichiari d´accordo. Personalmente lo sostengo da anni, e non ho smesso di pensarlo e di dirlo da quando sono venuto a viale Mazzini. È però anche doveroso ricordare che le nomine fatte finora hanno una caratteristica: forti professionalità, maggior equilibrio. Sono state fatte, talvolta molto faticosamente, non per creare nuove lottizzazioni ma semmai proprio per smontare gli eccessi della precedente occupazione fatta senza pudore dal centro destra.

Il malessere che investe il rapporto tra politica e Rai ha origini antiche ma le scelte fatte sotto il governo Berlusconi hanno portato alla degenerazione del sistema: la forte critica che risuonerà in Senato - trasversale rispetto alle forze politiche - non può sorvolare sulla devastazione che quelle scelte hanno provocato, non ultimo sulla qualità dei programmi. Se la discussione in Senato serve a ribadire formalmente e solennemente che la politica vuole un servizio pubblico di qualità, che si rigeneri nella cultura del pluralismo, benissimo. Finalmente!

Questo è proprio ciò che il Parlamento ed i partiti dovrebbero chiedere e imporre al servizio pubblico. Allora, per evitare che le contraddizioni del sistema politico si ripercuotano sulla Rai è decisivo che il parlamento vari in tempi ragionevolmente stretti una nuova legge di governance del servizio pubblico.
Per cominciare, oggi il Senato ha l´occasione di riconoscere che l´attuale situazione Rai è figlia di una legge sbagliata. Leggo invece che c´è chi ancora invoca e difende la Gasparri. Sulle distorsioni di questa legge qualche anno fa ho anche scritto un libro (Inferno tv, Marco Tropea editore). L´esperienza diretta all´interno della Rai mi è servita a toccare con mano i guai che quella legge ha provocato. Prima di tutto, la privatizzazione. Impostata nel modo in cui lo faceva la Gasparri ha solo prodotto danni. Per esempio stimolando un ex direttore generale a immaginarsi di portare la Rai in Borsa: dimostrare alti profitti tali da poter arricchire l´azionista. A mo´ di esempio, per attrarre azionisti privati futuri! Come dimenticare che nel 2005 la Rai ha dato al Tesoro 80 milioni di euro? Quando con quei soldi la Rai avrebbe potuto accelerare i grandi investimenti necessari per il passaggio alle tecnologie digitali.

In secondo luogo, i criteri di nomina del cda. Ridare al Tesoro, e dunque al governo, la responsabilità di indicare un suo rappresentante ha creato quel pasticcio in cui siamo finiti. Cambiando il governo, doveva cambiare il rappresentante del Tesoro - questo se si voleva rispettare lo spirito della legge. Se un errore c´è stato, dunque, è quello di aver aspettato un anno.

Ma non basta. La legge stabilisce che il direttore generale dura in carica tanto quanto il cda. Oggi al Senato bisognerebbe anche ricordare che fu proprio l´ex presidente Berlusconi a volere Meocci alla direzione generale e la scelta di un direttore generale incompatibile si è ritorta contro chi l´aveva imposta, poiché la sostituzione di Meocci è avvenuta dopo le elezioni e quindi, il nuovo direttore generale doveva avere il gradimento del nuovo ministro del Tesoro.
La leadership si riconosce anche dalla capacità di ammettere i propri errori. E l´ex presidente del consiglio farebbe un atto meritorio se pubblicamente riconoscesse che di fatto l´aver imposto lui un direttore generale incompatibile ha prodotto solo guai: ai consiglieri della sua parte che - avendo votato Meocci come voleva lui - oggi si trovano alle prese con la Corte dei Conti; ed alla Rai che ha dovuto pagare una multa di 15 milioni di euro e per un anno ha sofferto per la mancanza di una strategia e di una guida in grado di imporre una missione di servizio pubblico all´altezza delle trasformazioni in atto.

Per parte sua, il cda - avendo deciso di aprire una stagione di confronto interno sulle linee editoriali di tutte le reti e di tutte le piattaforme - si è dato chiaramente un obiettivo: usare i mesi che rimangono per impostare una tv di più alta qualità, riconosciuta dalla maggior parte degli italiani soprattutto come più moderna, più attenta al mondo che cambia, e all´altezza delle sfide tecnologiche che aspettano il paese.
Quando si riflette sui due anni di lavoro di questo cda, si vede che la maggior parte del tempo e dell´impegno è servita soprattutto a non peggiorare quel clima di incertezza che dai tempi del centro destra trasuda da viale Mazzini. Impegno necessario e quindi non sprecato.

Il mandato del cda scade a maggio 2008. Adesso l´opposizione chiede che il Cda stia fermo fino all´8 novembre, quando il Tar del Lazio si pronuncerà nel merito della questione Petroni... Sia chiaro, questo cda è assolutamente legittimato a prendere decisioni. E si tratta di decisioni molto importanti. La discussione del piano industriale per i prossimi tre anni è già all´ordine del giorno delle prossime due riunioni e si concluderà entro ottobre. Si deve ragionare serenamente sulle linee editoriali. Si deve capire se ci sono i termini per la costruzione di un grande operatore di rete che metta insieme le risorse dei maggiori broadcaster per dare al paese più capacità trasmissiva e quindi creare le condizioni per una reale concorrenza, al di fuori del duopolio. Magari abbattendo anche i costi.
C´è molta carne al fuoco e di tale rilevanza che una riflessione di quattro o cinque settimane potrebbe essere utile soprattutto se serve a condividere fra tutti i consiglieri di amministrazione della Rai progetti e decisioni ambiziose. La politica può e deve fare da stimolo. Ma sia chiaro che la responsabilità compete a chi amministra.


+  Il Corriere della Sera 20-9-2007 Libri di scuola, istruttoria dell'Antitrust «Comportamenti volti ad alterare il normale gioco competitivo» Accertare «possibili intese restrittive della concorrenza nel mercato dell'editoria scolastica»

ROMA - Un'istruttoria nei confronti dell'Aie, l'Associazione italiana editori, per possibili intese restrittive della concorrenza nel mercato dell'editoria scolastica. Ha deciso di avviarla l'Autorità garante della concorrenza e del mercato dopo la riunione del 13 settembre scorso. Nella giornata di mercoledì i funzionari dell'Antitrust, coadiuvati dal Nucleo speciale tutela dei mercati della Guardia di finanza, hanno svolto le ispezioni presso i soggetti interessati.

Secondo l'Antitrust l'assetto del settore, caratterizzato da imprese con quote di mercato stabili nel tempo, potrebbe essere determinato anche da «comportamenti delle imprese volti ad alterare il normale gioco competitivo». In questo contesto l'Aie, secondo l'Antitrust, mettendo a disposizione di tutti gli operatori, attraverso i propri database, «informazioni dettagliate sulle tipologie di libri e le condizioni di prezzo degli stessi», potrebbe aver agevolato il coordinamento delle politiche commerciali e distributive degli editori. In sostanza l'Aie, in quanto associazione di imprese, «potrebbe aver rivolto alle case editrici- dice la nota- indirizzi sui comportamenti di mercato da tenere, intese restrittive della concorrenza».

20 settembre 2007


La Repubblica 20-9-2007 Euro vola oltre 1,40 dollari. è il nuovo record storico

ROMA - L'euro, spinto dal taglio dei tassi effettuato martedì dalla Fed, prosegue senza freni la sua corsa. Dopo aver sfondato quota 1,40 dollari la moneta unica europea si è portata a 1,4032 dollari.
La moneta american, che cede terreno nei confronti della maggior parte delle valute (sulla rupia indiana è ai minimi da nove anni), è indebolita anche dall'attesa per l'audizione del presidente della Fed Ben Bernanke, che oggi riferirà sulla crisi dei mutui davanti al Congresso.
(20 settembre 2007)


Il Sole 24 Ore 16-9-2007 Giustizia militare. Confermati gli investimenti hi-tech anche se manca il lavoro Un piano da 600mila euro per i tribunali senza cause "è urgente aggiornare l'elenco detenuti": l'unico è Priebke PAGINA A CURA DI Alessandro Milan

 

ROMA Il documento recita "informatizzazione uffici giudiziari militari programmazione attività anno 2006" e riassume le contraddizioni in cui vive la magistratura militare italiana. Da un parte il lavoro sempre più scarso, soprattutto dopo l'abolizione della leva obbligatoria, dall'altra parte questa delibera approvata dal Consiglio della magistratura militare il 28 febbraio 2006 con la quale si chiede con urgenza un ammodernamento del sistema informativo degli uffici giudiziari militari. Ovviamente non gratis: la gara a licitazione privata è stata vinta da un raggruppamento temporaneo di imprese per una cifra complessiva di 583mila euro più Iva, una cifra attualmente in corso di controllo contabile da parte del ministero della Difesa. "Spero proprio che non si voglia usare questo documento per gettare ulteriore discredito sulla nostra categoria"commenta seccamente il responsabile dell'Ufficio per i servizi informativi del Consiglio, Francesco Ufilugelli. Eppure, a scorrere la delibera, ci sono aspetti che destano qualche perplessità, come il "punto 4" che si occupa del riammodernamento del sistema informativo del Tribunale militare di sorveglianza. Una struttura che attualmente ha un solo detenuto da controllare, Erich Priebke, peraltro agli arresti domiciliari. Ebbene, negli interventi ritenuti urgenti è segnalata la necessità di aggiornare "l'elenco dei detenuti con indicazione dell'attuale posizione " oppure la "predisposizione di progetti statistici concernenti l'attività dei magistrati militari di sorveglianza". I magistrati in servizio presso quell'ufficio sono appena tre. "è un approccio sbagliato &ndash; replica Ulifugelli &ndash;. Questo intervento è stato programmato almeno un paio di anni fa, è un progetto fatto in accordo col ministero della Difesa. Se la magistratura ha una ragione di esistere, come ha confermato anche di recente il ministro Parisi, deve rispondere a criteri di ammodernamento. Non vedo dunque perché si dovrebbe escludere da questo il tribunale militare di sorveglianza solo perché non ci sono detenuti militari. Se tutti i comuni d'Italia devono essere in rete escludiamo un comune perché è piccolo e ha solo mille abitanti?". Nel riassetto informativo ci sta dentro tutto, quindi. Anche l'informatizzazione per la gestione delle misure cautelari, prevista al punto 5. Peccato che nell'ultimo biennio di misure cautelari se ne saranno applicate non più di una decina. Lo stesso Consiglio della magistratura militare ha poi sollecitato la richiesta il 2 ottobre 2006, tornando a battere cassa: "Un sistema di così rilevante complessità &ndash; si legge nella nuova delibera &ndash; necessita di un'attenta pianificazione e presuppone confacenti dotazioni economiche& ". E più avanti: "Fino ad oggi le dotazioni dei fondi assegnati hanno consentito di provvedere alle necessità in modo sufficientemente adeguato pur se con qualche limitazione alla progettualità per il futuro". Se Ulifugelli respinge le accuse di sperpero di denaro al mittente, più critico è Sergio Dini, membro del Consiglio militare. "Un programma di informatizzazione del genere è senza dubbio sproporzionato &ndash; dice Dini &ndash;. Si è creato un contenitore quando il contenuto, cioè il lavoro da fare, non c'è. è un po' come andare a caccia delle mosche usando la mitragliatrice". In fatto di spese il ministero non ha mai lesinato. Emblematico il caso del tribunale militare di Torino che negli ultimi anni è stato oggetto di restauro. Due anni fa fu inaugurata la sala di rappresentanza "Norberto Bobbio", l'anno scorso invece è stata la volta dello scalone di rappresentanza, mentre lo scorso luglio il ministero della Difesa ha approvato lavori di restauro interni per un importo di circa 160mila euro. Il tutto per un edificio che sarebbe già stato inserito dal Demanio militare nell'elenco dei beni da vendere al Comune di Torino. Che forse dello scalone di rappresentanza se ne farà ben poco. Ma al tribunale di Torino non mancano anche i contributi privati. L'anno scorso, per l'organizzazione del convegno "Conference on International Criminal Justice" l'elenco dei donatori era di tutto rispetto: tra questi la fondazione Cassa di risparmio di Torino che elargì 50mila euro alla Procura mentre altri 50mila euro sono arrivati dalla Compagnia di San Paolo. http://www.fondazionecrt.it/ repository/Fondazione/BilanciSociali/ BilancioSociale2006.pdf http://www.compagnia.torino. it/rapporto_annuale/pdf/rapporto2006_ ita.pdf.


L’Unità 20-9-2007 La lepre e il Grillo Marco Travaglio

 

 È una bella nemesi quella della cosiddetta Seconda Repubblica: inaugurata 13 anni fa da un comico pericoloso, ora viene seppellita da un comico innocuo e innocente, anzi positivo e propositivo. L'informazione ufficiale, che si sente parte del ceto politico e infatti lo è, trema alla sola idea di perdere di nuovo i suoi padrini. E sparacchia all'impazzata, mirando al dito (Grillo) anziché alla luna (la morte di questa politica). È quello che è avvenuto nell'ultima settimana, la prima del V-Day After. Poi, sfiatati i tromboni, sono intervenuti gli spiriti liberi: quelli che, prima di scrivere, pensano, e magari s'informano pure. Anziché strillare al fascismo, al qualunquismo, al populismo, all'antipolitica, si sforzano di capire: non per plaudire acriticamente a quel che è accaduto l'8 settembre in 200 piazze, ma per spiegare ed eventualmente criticare sul merito; per parlare della luna, non del dito; per investigare non tanto Grillo, ma il milione e mezzo di persone che han raccolto il suo appello. L'han fatto, per esempio, Boeri, Spinelli e Rusconi sulla Stampa. Sartori sul Corriere. E Pasquino, che sull'Unità ha scritto: "Sembra che per la debolezza della politica siano i Grillo Boys a dettare l'agenda". È proprio così. Da 13 anni, ogni mattina, Berlusconi libera una lepre a reti ed edicole unificate, e tutti, per tutto il giorno, inseguono la lepre. L'indomani, altra lepre e altro inseguimento collettivo. E così via. La lepre è il processo di Cogne (o Rignano, o Garlasco) per nascondere i processi a Berlusconi, Previti, Dell'Utri, Andreotti, Telecom e furbetti. La lepre è la riduzione delle tasse come imperativo categorico per nascondere i 200 miliardi annui di evasione fiscale. La lepre sono le "grandi riforme", da fare ovviamente "insieme", per nascondere le leggi vergogna. La lepre è la tolleranza zero contro i poveracci per nascondere la tolleranza mille su mafie, corruzione, reati finanziari, morti nei cantieri, precariato, lavoro nero, concorsi truccati. La lepre è l'eterno piagnisteo del mitico Nordest per nascondere il dramma sociale di tanti lavoratori dipendenti, "flessibili", pensionati. La lepre è la privatizzazione della Rai per nascondere il trust incostituzionale di Mediaset. Basta leggere certi discorsi "coraggiosi" di Rutelli o di Veltroni per capire quanto la lepre berlusconiana abbia contagiato l'Unione. Al punto che una manifestazione come quella del 20 ottobre per la riforma della legge 30 e contro il precariato di massa è ormai equiparata al terrorismo, anche se chiede semplicemente il rispetto del programma dell'Unione. L'altra sera in tv Prodi s'è benedettamente sottratto all'Agenda Unica: l'Irpef per ora non si riduce perché non si può; molto meglio farla pagare a tutti, così tutti un giorno pagheranno meno. Ma Prodi è tra i pochissimi, nell'Unione, a non inseguire la lepre altrui e a lanciarne ogni tanto una sua. Perciò Grillo dà tanto fastidio all'establishment politico e giornalistico che, a destra come a sinistra, sull'Agenda Unica berlusconiana ha costruito le sue indecenti fortune: perché sta imponendo un'agenda alternativa. Costringe le tv, dunque i giornali, dunque i politici a occuparsi di lui e di quel che dice. I ladri li chiama ladri, non esuli. Parla di mafie e corruzione, precariato ed energie alternative, trasparenza e partecipazione, fine dell'impunità e giustizia uguale per tutti; e chiede che Rete 4 vada su satellite possibilmente insieme a Mastella con la sua famiglia e i suoi indultati (nel qual caso gli si paga volentieri l'aereo di Stato, purché sia l'ultimo). Mastella a parte, quel che dice Grillo è tutto scritto nel programma dell'Unione. Basterebbe applicarlo un po', per levargli l'erba sotto i piedi. Parlare meno di lui e più di quelli che stanno sotto il palco. Che sono giovani, e soprattutto tanti. Può darsi che siano un "sintomo passeggero", come dice Lerner; che le liste civiche col bollino di garanzia non siano una buona idea (ma nei comuni funzionano benissimo da anni); che le tre leggi di iniziativa popolare non siano prioritarie perché, com'è noto, "il problema è un altro". Ma intanto non c'è politico o giornalista che riesca a chiudere una frase senza citare Grillo. Persino Vespa, Floris e Riotta han dovuto nominarlo e addirittura parlare dei condannati in Parlamento, pur con la faccia malmostosa. Non vorremmo essere nei loro panni: di questo passo, un giorno o l'altro potrebbero persino essere costretti a raccontare la verità su Berlusconi, Previti, Dell'Utri e le scalate bancarie. Dio non voglia. Uliwood party.


 

Il Corriere della Sera 20-9-2007 La trasferta deliberata a luglio. Le toghe della Procura generale presso la Cassazione tengono in media 6 udienze l'anno

Giudici militari, viaggio premio dopo 2 mesi di ferie. Un terzo dei magistrati in Spagna per un convegno. Prevista anche una diaria di 80 euro      Gian Antonio Stella

 

Stremati da dieci settimane di pausa estiva, che per consuetudine comincia intorno al 10 luglio e si trascina fino all'ultima decade di settembre, i magistrati militari hanno deciso di tuffarsi di nuovo nel lavoro con un convegno internazionale. Nella bellissima Toledo. Dove, per attrezzarsi ad affrontare al meglio i mesi finali dell'anno quando sono attesi a volte perfino da tre udienze al mese (tre al mese!), sbarcano oggi in trentadue: un terzo di tutti i giudici con le stellette italiani. Perché mandare una delegazione di due o tre persone se tanto paga lo Stato? I viaggetti in comitiva, si sa, sono dalle nostre parti una passione antica. Basti ricordare certe migrazioni di massa a New York per il Columbus Day. O la trasferta di un gruppo di deputati regionali siciliani in Norvegia (con un codazzo di musicisti di un'orchestrina folk, trenta giornalisti, quattro cuochi, un po' di mogli...) per vedere come i norvegesi avessero organizzato un mondiale di ciclismo: totale 120 persone. O ancora la spedizione di Bettino Craxi a Pechino («andiamo in Cina con Craxi e i suoi cari», ironizzò Giulio Andreotti) finita con mille polemiche sulla scelta di tornare con una sosta in India per far visita al fratello Antonio, discepolo del santone Sai Baba, e una strepitosa interrogazione parlamentare di Renato Nicolini con domande tipo: «Vuole il presidente dirci quali siano le attrazioni di Macao e di Hong Kong più consigliabili al turista italiano al fine di sprovincializzarne la mentalità? »

Va da sé che, con questi precedenti, i giudici con le stellette hanno deciso che non era proprio il caso di fare gli sparagnini. E appena hanno saputo che nell'antica capitale della Castiglia organizzavano un congresso internazionale, si sono dati da fare. Certo, il tema del simposio («La legge criminale tra guerra e pace: giustizia e cooperazione in materie criminali negli interventi internazionali militari») non è una leccornia. Ma Toledo è Toledo. L'Alcazar! Il fondaco dell'Alhóndiga! Il Castillo de San Servando! La Plaza de Zocodover! La casa e i quadri del Greco tra cui la celebre «sepoltura del conte di Orgaz»! Fatto sta che la delibera del 5 giugno scorso era assai invitante: le spese del convegno (350 euro a testa, compresi il materiale didattico e i pasti all'Accademia di Fanteria), più le spese di viaggio e pernottamento, più il «trattamento di missione internazionale», più una indennità forfettaria giornaliera di un'ottantina di euro erano infatti a carico del ministero.

Un salasso? Ma no, avrebbe risposto la successiva delibera del 3 luglio. Nonostante Padoa Schioppa stia sempre lì a pianger miseria, diceva il documento, «sono state individuate disponibilità finanziarie che consentono di coprire la spesa per la partecipazione al predetto congresso di tutti i magistrati richiedenti». Tutti? Crepi l'avarizia: tutti. Cioè 32. Tra i quali l'unico (unico) invitato come relatore, Antonino Intelisano. Vi chiederete: costi a parte, come farà la Giustizia militare a reggere per ben tre giorni senza un terzo dei suoi pilastri, dato che i giudici, da Vipiteno a Lampedusa, sono 103? Rassicuratevi: reggerà. Anche quando presidiano il loro posto di lavoro, infatti, non è che i nostri siano sommersi da cataste di fascicoli come i colleghi della magistratura ordinaria. Anzi.

I giudici della Procura Generale Militare presso la Cassazione, per dire, hanno dovuto sobbarcarsi nel 2006 (assistiti da 35 dipendenti vari, per circa metà militari e circa metà civili) sei udienze: una ogni due mesi, da spartire in quattro. I tre del Tribunale di Sorveglianza militare, che contano su 32 assistenti a vario titolo e hanno competenza sull'unico carcere militare rimasto aperto, quello casertano di Santa Maria Capua a Vetere do ve sono recluse solo persone in divisa condannate dalla giustizia ordinaria per reati ordinari, hanno un solo detenuto militare per reati militari: Erich Priebke, condannato all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine.

Quanto ai dati complessivi, lasciano di sasso: i 79 magistrati «con le stellette» (in realtà non le portano per niente: sono giudici come gli altri solo che hanno scelto una carriera parallela) addetti ai nove tribunali sparsi per la penisola (Roma, La Spezia, Torino, Verona, Padova, Napoli, Bari, Cagliari e Palermo) e i loro 17 colleghi delle tre corti d'Appello (Roma, Napoli e Verona) sono chiamati infatti a lavorare sempre di meno. Al punto che nel 2006 hanno emesso, tutti insieme, un migliaio di sentenze su temi spesso irrilevanti se non ridicoli: circa 300 in meno dei verdetti penali (poi ci sono i civili) di un tribunale ordinario minore come quello di Bassano del Grappa.

Un esempio di carico di lavoro? Il presidente della Corte Militare d'Appello di Roma, Vito Nicolò Diana, quando dirigeva la sezione distaccata di Verona (dal 1992 a poco fa) aveva ottenuto non solo un alloggio di servizio nel cuore del centro storico della città scaligera (aiuto concesso solo ai militari che guadagnano stipendi assai minori) ma perfino il permesso di abitare nella capitale, in riva non all'Adige ma al Tevere. Insomma, una situazione assurda. Tanto che, dopo la prima denuncia del Corriere, i ministri della Difesa e della Giustizia, Clemente Mastella e Arturo Parisi, avevano scritto al giornale convenendo che si trattava d'un quadro «inaccettabile» e assicurando che «nel quadro del disegno di legge relativo alla riforma dell'Ordinamento Giudiziario» già approvato dal Consiglio dei ministri, erano stati decisi tagli drastici, «riducendo il numero complessivo degli Uffici Giudiziari Militari, giudicanti e requirenti, di ben due terzi: cioè da 12 a 4 (3 Tribunali e un'unica Corte d'Appello, senza Sezioni distaccate)». Bastarono tre giorni, però, perché il progetto venisse stralciato e quei buoni propositi fossero abbattuti come birilli dal vento delle proteste corporative.

Adesso, «per capire », vorrebbero fare una commissione di studio. La terza, dopo quella del 1992 varata dal ministro della Difesa Salvo Andò e quella del 2003/2004 presieduta dal procuratore generale Giuseppe Scandina. Nel frattempo la quota dei magistrati con le stellette che hanno tempo in abbondanza per gli incarichi extragiudiziari è salita al 36%, contro il 3% dei giudici ordinari. E il lavoro degli uffici, grazie a tutte le cose che sono cambiate a partire dall'abolizione del servizio di leva obbligatorio, ha continuato a calare, calare, calare. Fino a dimezzarsi quest'anno rispetto perfino al 2006. Benedetto Roberti, uno dei giudici che con Sergio Dini e pochi altri invoca da anni una riforma, ricorda che nel 1997, quando faceva il Gup a Torino, arrivò da solo a 1.375 sentenze. Sapete quante ne ha emesse quest'anno il giudice che fa quello stesso lavoro? Tenetevi forte: 28.

20 settembre 2007


 

 

Il Corriere della Sera 20-9-2007 Ma Fini lo critica: «Ho trovato eccessivi i toni del suo editoriale» Mazza (Tg2) attacca Grillo in tv Il direttore: «Se qualcuno decidesse di mettere in pratica le sue parole potrebbe dar vita a nuove tragedie». Il comico: «Sono al delirio»               

 

ROMA - L'editoriale che non ti aspetti. È quello di Mauro Mazza, direttore del Tg2 che nell'edizione delle 13 del telegiornale della Rai dichiara, senza troppi giri di parole: il movimento di Beppe Grillo può causare nuove tragedie.

L'EDITORIALE - «Cosa accadrebbe - dice Mazza - se un giorno all'improvviso un pazzo, uno squilibrato sentendo quelle accuse premesse il grilletto? Un tempo c'erano i cattivi maestri, che additavano come nemico un commissario, un giornalista, un magistrato e accadeva che qualcuno, pazzo o meno, andasse e premesse il grilletto e qualche volta uccidesse. Oggi non abbiamo più i cattivi maestri né i buoni, abbiamo solo gli apprendisti stregoni. La storia, si dice, si ripete due volte, una volta in tragedia una volta in farsa. Ma cosa succederebbe se invece facesse il percorso inverso e da farsa si trasformasse in tragedia? Cosa accadrebbe se un mattino qualcuno ascoltati quegli insulti contro tizio e contro caio premesse il grilletto?».

LA CRITICA DI FINI - E a sorpresa Mazza perde l'appoggio del presidente del suo partito di riferimento il leader di An Gianfranco Fini che critica l'editoriale del direttore del Tg2: «Ho trovato eccessivi i toni del suo editoriale - ha spiegato Fini - ora lo chiamo al telefono per diglierlo». Secondo Fini «se si alza in modo esasperato il tono, poi non c'è più un limite. Per questo ho giudicato eccessivo l'editoriale di Mazza. Francamente non credo che ci sia il rischio che qualcuno possa prendere le pistole».

GRILLO: SONO AL DELIRIO - La prima immagine che appare sui megaschermi piazzati sul palco a sostituire il simbolo del V-Day rosso su sfondo nero nello spettacolo di mercoledì sera a Schio, è il volto del direttore del Tg2 Mauro Mazza . «Sono in preda al panico - urla comparendo sulla scena Beppe Grillo - stanno delirando». «Addirittura questo - ha proseguito indicando Mazza - ha fatto segno con le dita tese come una pistola, come se fossimo dei terroristi. Vorrei tranquillizzarlo, abbiamo fatto una cosa quasi per scherzo». Rivolgendosi quindi al suo pubblico, accorso in migliaia (circa 6 mila persone) nella grande spianata di Schio che ospita la tappa vicentina di 'Reset', lo spettacolo del comico genovese, Grillo urla «vorrei capire se siete con me: non mi lasciate in pasto a questi qui. Abbiamo fatto una festa l'8 settembre, senza pubblicità. Inaspettatamente mi sono ritrovato su prima, seconda e terza rete. Ora sono dappertutto e pensare, che non mi volevano i tv». «Ho sognato Padre Pio - ha aggiunto Grillo - che mi ha detto 'stai esagerando'». Parlando ancora della grande manifestazione dell'8 settembre, Grillo ha spiegato che «abbiamo fatto una cosa che sta montando. Oggi il Tg1 ha aperto ricordando una mia serata andata male nel 1982, accusandomi di aver preteso 11 milioni di cachet. Che c... di calunnia è?». «E pensare che due giorni prima del Vaffa-Day - ha concluso - non ne parlava nessuno. Credetemi questo termine non è reato, è un consiglio erotico-turistico».

LE ALTRE REAZIONI - Oltre a quelle di Fini, sono arrivate altre reazioni più articolare dal mondo politico. «Non vorrei che si stesse commettendo l'errore di enfatizzare le parole di Grillo per non parlare del tema vero, cioè la crisi della politica e della rappresentanza». Così Paolo Cento, deputato dei Verdi e sottosegretario all'Economia, interviene nel dibattito suscitato dall'editoriale del direttore del Tg2. «Siamo in un paese in cui c'è libertá d'opinione. Non bisogna fare equazioni sproporzionate e improponibili. Se mai - avverte Cento- il confronto con Grillo va fatto nel merito delle proposte».
«Il vizio di bacchettare il dissenso e l'antagonismo al Palazzo è grande e il direttore del Tg2, Mauro Mazza, che grazie al palazzo occupa una postazione di privilegio, non si è tirato indietro» dice invece Salvatore Cannavò, deputato del Prc che aggiunge: «Ancora una volta si fa ricorso al peggiore insulto, quello di connivenza con il terrorismo e l'omicidio. È accaduto ai no global, al sindacalismo alternativo, a tutti coloro che non si rassegnano a questo mondo. A coloro che attaccano la legge '30-Treu e vengono accomunati alle Br. Oggi accade anche a Grillo». Cannavò conclude: «Come si vede, la casta non è solo quella parlamentare ma è una casta di sistema, fatta di politici, giornalisti compiacenti, imprenditori scrocconi, banchieri fasulli che non vogliono sentire critiche o dissensi.
Se
la prende con i seguaci di Grillo che hanno criticato il direttore del Tg2 il il vicepresidente del Senato Mario Baccini, dell'Udc: «Chi chiede democrazia non può sopirla. Il direttore del tg2 Mauro Mazza ha espresso nel tg delle 13 di oggi alcune considerazioni - che possono essere condivise o meno - ma chiamarlo per questo "venduto" e "servo del potere" e additare i giornalisti come "pupazzi mafiosi" o "marchette andate a male" non è un buon servizio alla democrazia». Baccini sottolinea come «chi propone critiche anche giuste ad un sistema da riformare non possa poi scadere in queste polemiche che confermano la natura demagogica e populista di chi chiede rappresentanza e democrazia e poi si muove per sopirla, in contraddizione con se stesso e con ciò che rivendica».
«Ho salutato con molta simpatia la discesa in campo di Grillo e del suo movimento, subendo critiche dagli altri partiti. Ciò poco importa, però buona regola della politica è quella di non attaccare i giornalisti. Dispiace che dal centrosinistra ci sia ora una levata di scudi contro il direttore Mazza a cui esprimo la mia solidarietà e quella del mio partito». gli fa eco il segretario della Democrazia Cristiana per le Autonomie, senatore Gianfranco Rotondi.
«Esprimo la mia profonda solidarietá all'ottimo direttore Mauro Mazza» afferma anche l'ex deputato di Fi e oggi assessore alla Cultura del comune di Milano, Vittorio Sgarbi che difendendo l'editoriale del direttore del Tg2 dedicato proprio al comico genovese, fornisce «alcuni elementi per fotografare il personaggio-Grillo. Innanzitutto, se Michele Santoro non mi avesse tolto l'invito a partecipare alla sua trasmissione, avrei chiesto a Grillo di dirci quali sono state le sue dichiarazioni quando arrestarono Gigi Sabani. Non mi risulta che abbia mai dichiarato in favore di questo innocente».

19 settembre 2007


 

La Repubblica 19-9-2007 Lo ha comunicato con una lettera al sito "Dagospia" "Sono certo di non aver commesso alcun illecito, ma non dovevo farlo" Funzionario di Palazzo Chigi si dimette "Anch'io ero sul volo di Mastella". Capecchi all'imbarco


ROMA - Riccardo Capecchi, funzionario della Presidenza del Consiglio si è dimesso dopo la pubblicazione di una sua foto sull'aereo di Stato che riportava Mastella e Rutelli a Roma dopo il gran premio di Monza. Fonti di Palazzo Chigi hanno espresso "apprezzamento" per la scelta.

Capecchi ha scritto una lettera al sito Dagospia. "Oggi il vostro sito ha pubblicato una mia foto mentre mi imbarco sul volo di ritorno da Milano che riportava a Roma il Vice Presidente Francesco Rutelli dopo il Gran Premio di Monza.

Ero su quel volo di ritorno da Milano per atto di cortesia del Ministro Rutelli dopo aver partecipato a titolo strettamente privato al Gran Premio e tengo a precisare che ero in possesso di un biglietto regolarmente acquistato per il volo AZ 2119 delle ore 20.00 da Linate a Fiumicino.

Sono certo di non aver commesso alcun illecito o violazione di legge ma consapevole tuttavia di aver compiuto una leggerezza: mi è ben chiaro che non tutti hanno l'opportunità di salire su un volo di Stato in alternativa ad un volo di linea solo per risparmiare alcune ore di attesa. Ciò a prescindere che in quella circostanza vi siano o meno fotografi appostati per fare degli scoop giornalistici contro questa o quella Autorità dello Stato.

E credo anche che nella vita si debba essere conseguenti e che i comportamenti individuali anche del più piccolo collaboratore, quale io sono, non debbano in alcun modo inficiare ruoli ed istituzioni, esse sì importanti e prestigiose.
E' per questo motivo che ho già ritenuto opportuno rimettere in modo irrevocabile il mio incarico presso la Presidenza del Consiglio.

Ringrazio con l'occasione il Presidente Romano Prodi ed il Sottosegretario Enrico Letta per l'opportunità che mi hanno dato in questi mesi di collaborare al loro fianco".

Il responsabile di Dagospia, Roberto D'Agostino, gli risponde: "Questo gesto le fa onore, ma doveva dimettersi Mastella".

(19 settembre 2007)


 

Europa 20-9-2007 14 ottobre, tornano gli intellettuali e i giovani come negli anni epici della ricostruzione FEDERICO ORLANDO RISPONDE

http://www.europaquotidiano.it/site/images/transparent.gif

Cara Europa, leggo nel Corriere della sera un articolo di Monica Guerzoni con anticipazioni sui nomi che Veltroni ha proposto, o proporrebbe, per le liste che lo sosterranno nella corsa alla segreteria del Partito democratico. Se i nomi sono quelli in parte elencati, e mi auguro di vederne altri, soprattutto di scienziati, di pensatori e di economisti, non posso che dirmi soddisfatta.
MICHELA DI VITTORIO, BARI

 

 Cara Signora, sottoscrivo per intero la sua lettera. Sono fra quelli che hanno fortemente temuto di vedere liste per la costituente democratica formate in prevalenza da apparati di partito, cosa disdicevole di per sé perché dà un’idea proprietaria della politica. E ciò indipendentemente dall’ondata di antipolitica che ancora una volta percorre il paese e a cui molti politici di mestiere e i loro apparati rifiutano di prestare attenzione. Anzi, ne ridono: proprio come gli aristocratici francesi, che andavano a teatro ad applaudire le commedie di Beaumarchais che li sbertucciavano, mentre già serpeggiava la rivoluzione che di lì a poco gli avrebbe tagliato la testa.
Avendo quest’idea non lusinghiera di una parte della classe politica, e l’angoscia di trovarmi in lista “i soliti noti” (è questa la ragione per la quale ufficialmente Dini e altri parlamentari della Margherita hanno deciso di non entrare per ora nel Partito democratico), può dunque immaginare con quanta gioia abbia letto anch’io, come lei, nomi di persone verso le quali abbiamo simpatia, stima, rispetto o più d’uno di questi sentimenti insieme. Penso ad architetti come Fuksas e Gregotti e musicisti come Morricone, a rappresentanti del teatro e della scrittura come Placido, Archibugi, Scola, a giuristi, economisti, imprenditori come Fantozzi, Cheli, Salvati, Salomon, Afef Tronchetti Provera, colleghi giornalisti come Lilli Gruber, Chiara Geloni di Europa, Martina Mondadori, Mario Sconcerti, Furio Colombo, Andrea Purgatori, la superstite di Auschwitz Tatiana Bucci, personalità come Leopoldo Coen, Amos Luzzatto, Juri Chechi… Mi basterebbe la metà di questi nomi per votare la lista. Ma mi auguro che essa sia rinforzata con altri nomi che rappresentino settori esclusi da quelli riportati sul Corriere, in particolare scienziati e filosofi della scienza come Veronesi e Giorello, per citare, decisamente laici, decisamente aperti alle conquiste del mondo moderno e capaci di dominarle nei laboratori e nelle leggi (Veronesi è stato anche ministro dell’Ulivo alla sanità). Così come spero di vedere in lista Ignazio Marino, che da solo fronteggia da oltre un anno la santa alleanza di quelli che – dalla destra alla sinistra al centro – “pensano”, anzi “ponzano”, come nella celebre poesia risorgimentale di Giuseppe Giusti: “ponzano il poi”, ma coi criteri del “prima”, quelli “in uso dal Bargel fino alla Corte”.
Il perfetto equilibrio fra le culture è questione che mi interessa almeno quanto il perfetto equilibrio fra uomini e donne, anziani e giovani, che debbono essere fattori costitutivi della società nuova, non miti da mezze maniche dello stato civile. E mi farebbe ricordare i giorni della mia primissima giovinezza che videro la nascita della democrazia, quando anche il più piccolo dei partiti poteva fregiarsi di centinaia di uomini e donne di cultura, di giovani bramosi di fare e di vecchi esperti (e spesso marpioni). Poi, si sa, le classi dirigenti si selezionano, e la grande agorà iniziale si riduce ad élite, e queste sono sottoposte a ricambio, come da un secolo si dice citando Mosca e Pareto. Ma quanto più vasta e qualificata è l’agorà iniziale, tanto più qualificate e durature saranno le élite.


 

Il Sole 24 Ore 18-9-2007 Tfr, la cronaca di un fallimento di Tito Boeri e Luigi Zingales

 

 Il sondaggio Eurisko La riforma del trattamento di fine rapporto (Tfr) è stata giustamente presentata come un'occasione unica per aumentare la partecipazione degli italiani ai mercati finanziari e per incoraggiare, soprattutto i giovani, a costruirsi una previdenza integrativa con cui rimpinguare pensioni pubbliche inevitabilmente destinate a diventare meno generose. Purtroppo i dati di un sondaggio condotto a luglio da Eurisko per conto di AnimaFinLab su di un campione rappresentativo di lavoratori dipendenti del settore privato ci dicono che entrambi questi obiettivi sono falliti. In media solo un lavoratore su quattro ha espressamente optato per un fondo pensione, contro un obiettivo minimo dell'Esecutivo del 40% (che non verrà raggiunto neanche contando le adesioni tacite). Tra i giovanissimi (tra i 22 e i 30 anni) la percentuale di adesioni esplicite è al di sotto del 20 per cento. Prime anticipazioni da una ricerca in corso sui risultati di questo sondaggio possono anche aiutarci a capire il perché di questo fallimento. Contrariamente alle aspettative, il fallimento non sembra essere dovuto alla mancanza di consapevolezza sulle scelte. Il 90% dei lavoratori ha fatto una scelta e il 90% di questi è stato in grado di motivarla. Lungi dal non aver capito la riforma, nonostante le sue complessità, i lavoratori sembrano averla capita fin troppo bene. Altrimenti si farebbe fatica a spiegare l'enorme differenza di comportamento tra lavoratori di imprese con meno di 50 addetti e quelli di imprese con più di 50 addetti. Come si evince dai dati riportati nel grafico qui sopra, elaborato a partire dal sondaggio, circa tre lavoratori su quattro nelle imprese più piccole hanno scelto di lasciare il Tfr in azienda e meno di uno su dieci ha scelto espressamente di destinarlo ai fondi pensione. Nelle imprese più grandi, invece, la percentuale di chi ha scelto di lasciare il Tfr in azienda è di poco inferiore al 50% mentre quattro lavoratori su dieci hanno espressamente optato per un fondo pensione (soprattutto per quelli ad adesione collettiva). Come si ricorderà, le opzioni offerte erano molto diverse nei due casi. La Finanziaria 2007 prevede che i flussi di Tfr "rimasti" in aziende con più di 50 addetti siano destinati a un conto di tesoreria istituito presso l'Inps. Nelle imprese più piccole, invece, questi fondi rimangono effettivamente in azienda.Dato l'interesse del datore di lavoro per la permanenza dei fondi in azienda, ci si potrebbe aspettare che questa differenza sia dovuta a pressioni esplicite o implicite dei datori di lavoro sui dipendenti. Se crediamo alle risposte fornite dai lavoratori stessi, però, non c'è evidenza di pressioni esplicite. Le risposte per "spinte o pressioni " o per "paura di essere licenziato" rappresentano solo il 2,6% nelle piccole imprese contro l' 1,8%nelle grandi.C'è invece differenza nella frequenza della motivazione "Per agevolare l'azienda/per non far gravare sull'azienda la perdita del Tfr " nelle risposte dei dipendenti di imprese piccole (5,2%) e medio-grandi (3,1%). Questo può essere un segno di pressioni implicite o di una maggiore identificazione del lavoratore con l'impresa in aziende di piccole dimensioni. Le principali motivazioni addotte dai lavoratori che hanno scelto di tenere il Tfr in azienda hanno, invece, a che fare con la fiducia. La prima motivazione (con più del 20% delle risposte) è la possibilità di avere una liquidazione in contanti al momento della pensione invece che sotto la forma di vitalizio, un indice di sfiducia nel valore di una pensione privata. Al secondo posto, con il 17% delle risposte, c'è la mancanza di fiducia negli investimenti finanziari. Al terzo posto c'è la convinzione che il Tfr in azienda garantisca un rendimento più sicuro di un investimento nei fondi. Apparentemente, questo sembra un paradosso, visto che un lavoratore che investe nei fondi può facilmente assicurarsi un rendimento uguale a quello del Tfr investendo tutti i contributi in un fondo monetario. O i lavoratori non erano consapevoli di questa opzione, oppure attribuivano un ulteriore rischio all'investimento nei fondi, associato alla possibilità di default del fondo stesso. Questa seconda ipotesi è supportata dal fatto che solo il 3% dei lavoratori ha totale fiducia nei fondi, contro il 31% che ha totale fiducia per l'impresa in cui lavora. Questo differenziale di sfiducia contribuisce anch'esso a spiegare il diverso comportamento dei lavoratori nelle imprese con meno di 50 addetti e in quelle con più di 50 addetti. I lavoratori delle piccole imprese avevano di fronte a loro un'offerta più limitata di schemi previdenziali alternativi al Tfr. Un milione e mezzo di loro non poteva accedere ad alcun fondo contrattuale. In altri casi, pur potendo accedere a un fondo ad adesione collettiva, i lavoratori dell'impresa minore non potevano beneficiare del contributo addizionale del datore di lavoro previsto in molte grandi imprese mentre il fondo collettivo disponibile era troppo piccolo, come platea di effettivi o potenziali beneficiari, per poter conseguire significative economie di scala, dunque per offrire rendimenti netti più elevati. Inoltre, nelle imprese con meno di 50 addetti, l'alternativa a un investimento nei fondi era il mantenimento dei contributi in azienda, mentre nelle grandi imprese significava il versamento del Tfr all'Inps. E se l'azienda ha la totale fiducia del 31% dei dipendenti e molta fiducia da un altro 55%, l'Inps suscita la totale fiducia di solo l'8% dei lavoratori e "molta fiducia" per il 37 per cento. Paradossalmente, il trucco inventato dalla Finanziaria 2007 per rimpinguare le casse dello Stato ha avuto come inaspettata conseguenza quella di favorire un maggior flusso di contributi nei fondi. Non per fiducia dei fondi, ma per sfiducia nell'Inps. Ma se vogliamo che i fondi, e il mercato finanziario in generale, si affermino tra i lavoratori per meriti propri invece che per demeriti altrui, dobbiamo colmare questo gap di fiducia negli strumenti d'investimento e aprire i fondi contrattuali ai lavoratori delle piccole imprese. Le più importanti news in materia fiscale FISCO al 48224.


 

Il Resto del Carlino 20-9-2007 QUELLA LEGALITA' IMPOSSIBILE CON LA SINISTRA "REGRESSISTA"

 

QUALCUNO ha paragonato la battaglia contro i lavavetri a quella contro i costi della politica. Che cosa infatti accomuna questi due problemi? Che rischiano di finire in un flop, diventeranno una manciata di polvere tanto per far capire che qualcosa si fa contro la microcriminalità e gli sprechi delle istituzioni e dei partiti. E tutto continuerà come prima, portando acqua al mulino dei sostenitori (sono tanti) del benaltrismo. Le ordinanze dei sindaci di Firenze, Bologna, Padova e di altre città, e lo stesso pacchetto di misure sulla sicurezza anticipate dal ministro dell'Interno Amato, sono state sottoposte a critiche durissime, soprattutto da quella parte della sinistra che preferisco non definire radicale, ma semplicemente massimalista. O forse regressista, come l'ha etichettata Gianpaolo Pansa, in quanto portatrice di contenuti demagogici e conservatori. QUESTA sinistra antagonista,che fa parte a pieno titolo della coalizione di governo, ogni giorno attacca con insulti, anche volgari, Amato e tutti gli altri esponenti riformisti.Fra coloro che non demordono dagli attacchi offensivi c'è Manuela Palermi (capo gruppo al Senato dei comunisti italiani e dei verdi) che ogni giorno insiste nel definire Amato e Rutelli reazionari. Delle misure sulla sicurezza ha detto: "Il pacchetto Amato è indecoroso, roba reazionaria che può essere votata solo da un'altra maggioranza di cui faccia parte a pieno titolo An. Ma che razza di ministro è uno che si scatena contro lavavetri e ragazzi che dipingono graffiti, ben sapendo che in Parlamento siedono indagati e condannati di rango?". Non sarà facile per Amato, in questa situazione, varare provvedimenti che aiutino i sindaci a far rispettare l'ordine pubblico, garantendo ai cittadini un minimo di sicurezza. Eppure basta così poco. Nei giorni scorsi mi trovavo a Firenze e ho potuto verificare come siano migliorate le cose. Ma per il sindaco Leonardo Domenici non è facile far digerire l'ordinanza al suo partito e soprattutto agli alleati. Continua infatti a essere nel mirino degli attacchi politici e, per questo motivo, ha scelto un profilo basso rifiutando ogni intervista per motivare le sue scelte (ha cortesemente detto no, grazie anche a Zapping, che l'aveva invitato in trasmissione). Anche altri sindaci hanno scelto di non parlare, in attesa dei provvedimenti del governo che tardano ad arrivare perché lo sbarramento a sinistra è sempre più rigido. E NON SARÀ facile, per Prodi, mediare tra Amato (e Rutelli) sostenuti da numerosi sindaci che contano, e i massimalisti che possono facilmente mettere in crisi il governo. E' probabile quindi che le misure sulla sicurezza, se verranno varate, rischieranno di venire stemperate, perdendo ogni carattere innovativo. A quel punto sarebbero sufficienti le leggi sull'ordine pubblico esistenti; basta farle rispettare. A far rispettare le regole di legge attuali ci sta provando anche Weltroni a Roma .con i vigili urbani. Ma nessuno si è ancora accorto che qualcosa sia cambiato rispetto alla situazione di prima. Forse bisognerà pensare a una formula diversa per l'approvazione del "pacchetto sicurezza", come quella sperimentata dal presidente della Provincia di Milano, Penati. la sua proposta è stata approvata col voto favorevole di Ds e Margherita, con l'aggiunta di Forza Italia, Udc, An e Lega e il voto contrario di verdi e comunisti delle diverse scuderie politiche. MA SAPPIAMO bene che questa rondine non farà primavera,perché tutti (nell'opposizione) lavorano per le elezioni anticipate. E Prodi fa di tutto per attaccare con il vinavil pezzi di maggioranza che ormai marciano in assoluta autonomia . Dei costi della politica non si parla quasi più (almeno nel governo e nel parlamento) e presto la lotta contro le illegalità ( lavavetri e non solo) saranno un ricordo del passato.


 

Il Mattino di Padova 20-9-2007 Regione "Tre sanitari ogni posto letto" Dubbio esubero di personale nel Libro verde sulla spesa pubblica. Cristina Chinello

 

PADOVA. Ha un sottotitolo decisamente ammaliante, il Libro verde sulla spesa pubblica, edito dal Ministero dell'Economia e redatto dalla commissione tecnica per la finanza pubblica, il cui presidente è l'ex rettore dell'ateneo patavino, Gilberto Muraro: "Spendere meglio: alcune prime indicazioni". L'immagine che dà la pubblicazione, presentata qualche giorno fa, è quella di una guida alla razionalizzazione delle risorse. E infatti propone alcuni esempi settoriali in altrettante macro-aree dell'uscita di denaro pubblico: la giustizia, la sanità, l'università, il pubblico impiego e la spesa pubblica dei Comuni. Da sottolineare che un primo, piccolo, risparmio, si ha nel reperimento del volume stesso: un libello di circa 150 pagine, scaricabile gratuitamente dal sito internet del ministero: www.economia.it. Eloquente la presentazione, curata dal ministro all'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, che nota come "Nella nostra spesa pubblica ciò che lascia a desiderare non è tanto il suo elevato livello, quanto la qualità insufficiente rispetto ai bisogni del Paese. Riqualificare la spesa è perciò divenuto un imperativo urgente e ineludibile. C'è un solo modo per vincere questa sfida: spendere meglio. Alcuni risultati possono essere ottenuti con l'eliminazione dello spreco, la correzione di fenomeni di cattivo costume portati alla luce anche di recente, la riduzione dei costi della politica". In sintesi, per quel che riguarda la sanità italiana, essa sembra reggere abbastanza bene il confronto con le strutture internazionali: la spesa procapite è più bassa rispetto ad altri Paesi analoghi, l'incidenza sul Prodotto interno lordo (Pil) è di poco inferiore alla media dei trenta paesi dell'Ocse (8,9 contro 9 per cento). Nel quadro generale sanitario esistono forti margini di miglioramento, attuabili sia aumentando il livello di prevenzione, sia incrementando la medicina territoriale, a discapito dei ricoveri, che costituiscono il 48% della spesa sanitaria totale. Proprio per ribadire quest'ultimo bisogno, domani i medici di medicina generale e le guardie mediche hanno indetto un giorno di sciopero. E il Veneto come se la passa? Le sue spese sono lievemente superiori alla media nazionale: il costo medio per abitante dell'assistenza ospedaliera è di 679,98 euro (656,58 la media nazionale). Nelle aziende ospedaliere il costo medio di un dipendente è di 38.177 euro (media: 43.288), 38.263 nei presidi ospedalieri. Particolarmente interessanti i dati sugli indicatori generali (tra parentesi è riportato il dato medio nazionale): il Veneto ha 3,86 posti letto per acuti ogni mille abitanti (4,18), 0,60 posti letto post-acuti per mille abitanti (0,49), per un totale di 4,46 posti letto ogni 1.000 abitanti (4,67). La degenza media dei ricoveri per acuti negli ospedali pubblici è di 7,70 giorni (6,80), mentre in quelli privati è di 8,70 (5,50), per cui la degenza totale media di un paziente acuto è di 7,88 giorni (6,67). La degenza media pre-operatoria è di 1,95 giorni (2,05). Una curiosità riguarda i parti cesarei: essi sono 28,61% in Veneto, rispetto al 37,8% della media nazionale. Infine, il tasto dolente, e che fa venire qualche dubbio sulla ragionevolezza della media: gli indicatori di struttura e di attività delle aziende ospedaliere (tra parentesi la media italiana). In Veneto ci sono due Aziende ospedaliere, ossia Verona e Padova, per 3.555 posti letto. Per ogni posto letto ci sono 2,98 operatori sanitari (2,82), e il rapporto tra infermieri e medici è di 2,57 (2,35). Nelle 57 strutture venete gestite dalle Asl, va peggio: ci sono 2,22 persone per posto letto (2,36). Ma qual è l'ospedale veneto che ha tre persone dedicate ad un posto letto?


 

Il Tirreno 20-9-2007 Caso Unipol. Nel 2005 era eurodeputato: la competenza è di Bruxelles Non spetta alla Camera decidere su D'Alema

 

ROMA. La giunta per le Autorizzazioni della Camera non è competente a decidere sulla richiesta del Gip di Milano Clementina Forleo ad utilizzare le intercettazioni di Massimo D'Alema nel processo contro l'ex numero uno di Unipol Giovanni Consorte perchè all'epoca dei fatti (2005) D'Alema era europarlamentare. E' quanto sostiene il presidente della Giunta per le Autorizzazioni l'ex ministro Carlo Giovanardi (Udc) secondo il quale il Gip di Milano probabilmente dovrà rivolgersi al Parlamento Ue per ottenere l'autorizzazione ad usare le intercettazioni di Massimo D'Alema nel processo a carico dell'ex numero uno dell'Unipol Giovanni Consorte. E' la proposta (già condivisa da numerosi componenti) che Giovanardi avanzerà alla Giunta che tornerà a riunirsi il 26 settembre, quando si dovranno discutere anche le autorizzazioni per Fassino e Salvatore Cicu. Il gip di Milano Clementina Forleo in serata ha riaffermato comunque la validità della propria richiesta alla Giunta per le autorizzazioni della Camera, malgrado l'ex presidente dei Ds fosse parlamentare europeo ai tempi delle intercettazioni con Giovanni Consorte sul caso Unipol-Bnl. Il giudice, intervistata dal quotidiano on line 'Affaritaliani.it', spiega infatti che "la legge è chiara, e io l'ho rispettata. Al massimo devono trasmettere l'atto al Parlamento Europeo, ma non cambia nulla". La scelta della Procura, sottolinea Clementina Forleo, "che è stata da me condivisa, è stata quella di inoltrare la richiesta in base al secondo comma dell'articolo 6 della legge".


 

INDICE 19-9-2007

INDICE 19-9-2007. 1

 

. 2

+++ Il Corriere della Sera 19-9-2007 Decine di messaggi di protesta: «Inondiamoli di e-mail» «La nostra unica arma è Internet»  2

+++  Il Mattino 19-9-2007 Processo a Bassolino allarme della Procura "Rischio prescrizione" Il capo dell'ufficio Lepore dopo il cambio del gip: "Ritardo preoccupante" LEANDRO DEL GAUDIO  2

+++  Il Giornale 19-9-2007. D’Alema (forse) si salva. 3

+++ La Stampa 19-9-2007 Grido d'allarme di un istituto pubblico: mancano i soldi. Lettera aperta di un istituto torinese: sempre meno fondi stanziati per la scuola pubblica e poche garanzie per gli insegnanti. Cambino priorità del Paese  4

 

++  ISTAT 19-9-2007 Le esportazioni delle regioni italiane Periodo di riferimento: Gennaio-Giugno 2007 Diffuso il: 19 settembre 2007 Prossimo comunicato: 12 dicembre 2007  4

++  Il Corriere della Sera 19-9-2007 Israele: Striscia di Gaza è entità nemica  5

++  La Stampa 19-9-2007 LA STORIA http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifIl Grande Gioco nell’Oceano Indiano Flotte armate fino ai denti si contendono le rotte del petroliohttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif. Di Maurizio Molinari 5

 

+  Il Manifesto 19-9-2007 Un grande grazie a "Il Sole 24 Ore" di ieri: il grande titolo di prima pagina "Northern, interviene lo Stato" (e Stato è pure con la S maiuscola) è un inatteso riconoscimento a noi vetero sostenitori dell'intervento nell'economia. Valentino Parlato  6

+  Il Corriere della Sera 19-9-2007 La Seconda Repubblica e lo spontaneismo. La terra trema sotto la casta. di Giovanni Sartori 7

+  Il Manifesto 19-9-2007 Alan Greespan in questi giorni va di moda: il libro dell'ex presidente della Federal reserve statunitense a due giorni dall'uscita è già un best seller. Da buon liberale - crociano diremmo in Italia - Greenspan è formidabile nella critica, ma non altrettanto nell'autocritica. Galapagos  8

L’Unità 19-9-2007 Comma 22 Marco Travaglio  8

La Repubblica 19-9-2007 Napoli Nasce già vecchio e diventa subito il "processo Bassolino". IL RETROSCENA Il ritardo allunga i tempi, possibile la prescrizione. Le difficoltà del nuovo giudice Un flop del sistema giudiziario ora il processo rischia di svanire ANTONIO CORBO  9

La Stampa 19-9-2007 Crisi dei mutui, la Fed taglia i tassi L'Euro fa segnare un nuovo record, positiva la reazione di Wall Street 10

La Repubblica 19-9-2007 BREAKINGVIEWS.COM Il mea culpa di Alan Greenspan sul denaro facile della Fed HUGO DIXON  10

Europa 19-9-2007 Gli italiani non amano la politica e i politici, gli intellettuali collaborano allo sfascio FEDERICO ORLANDO RISPONDE  11

Il Corriere della Sera 19-9-2007 «La lotta Ds-Popolari ha schiacciato le altri componenti» Dini: «Non entro nel Partito democratico»  12

Telereggiocalabria.it  18-9-2007  Morrone, Udeur: "Non sottovalutare messaggio Beppe Grillo" 12

L’Unità 19-9-2007 Università, Mussi a caccia di corrotti: «Non avrò pace finchè non li vedrò cacciati»  13

Milano Finanza 19-9-2007  L'euro ha sconvolto la repubblica delle banane  14

Il Giornale di Brescia 19-9-2007 IN PRIMO PIANO Il segretario Ds scrive ai presidenti di Camera e Senato. Bertinotti replica: l'abbiamo già fatto. Marini: semmai cambiamo la legge Fassino: abbattiamo i costi della politica  15

Italia Oggi 19-9-2007 Ora l'On. vuole pure il lampeggiante Nuove richieste nel dibattito sul taglio ai costi della politica Altro che taglio ai costi della politica di Claudia Morelli e Alessandra Ricciardi 16

Il Secolo XIX 19-9-2007 La diminuzione dei tassi di interesse potrebbe portare un po' di calma nel mercato, ma potrebbe anche preparare il terreno a problemi ancora più gravi riguardanti i maggiori creditori, in particolar modo la Cina. Jeffrey Garten  16

Il Riformista 19-9-2007 DA MORATTI A FORMIGONI Nordisti confusi su Malpensa  18

 


+++ Il Corriere della Sera 19-9-2007 Decine di messaggi di protesta: «Inondiamoli di e-mail» «La nostra unica arma è Internet»

 

Le reazioni sul blog di Beppe Grillo dopo arrivano decine di messaggi di protesta. «Osceno e scandaloso» scrive un lettore. «Continuate a disinformare in questo modo - aggiunge un altro - e presto da 300.000 saremo 3.000.000». E poi: «Ragazzi, sul Tg2 ci hanno dato dei brigatisti!». «Beppe, non sanno più come fermarti». «Paragonano un movimento di cittadini pacifici che vogliono cercare di cambiare le cose a dei terroristi che istigano alla violenza!». «E allora quando Bossi dice di imbracciare il fucile?». «La Commissione di Vigilanza apra un'indagine!». E via dicendo. Con gran parte dei lettori che rilancia l'idea di spedire e-mail di protesta al Tg2 e al suo direttore.

19 settembre 2007

 


 

+++  Il Mattino 19-9-2007 Processo a Bassolino allarme della Procura "Rischio prescrizione" Il capo dell'ufficio Lepore dopo il cambio del gip: "Ritardo preoccupante" LEANDRO DEL GAUDIO

 

Si dice "preoccupato per i ritardi del processo sui rifiuti". Si dice "preoccupato per i tempi lunghi del procedimento", che è il principale atto di accusa costruito dalla procura dai tempi di mani pulite e si limita a una richiesta che altrove non avrebbe senso: "Dare subito un giudice e una data a un processo che rischia di finire in prescrizione". Il procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore commenta così lo stallo del processo che chiama in causa il governatore della Campania Antonio Bassolino e gli ex vertici del gruppo Impregilo. In una stanza vuota, al dodicesimo piano della Torre b, ci sono i faldoni che parlano di truffa aggravata ai danni dello Stato, frode in pubbliche forniture, abuso d'ufficio. Il problema è capire se ci sono state responsabilità dolose nella gestione del ciclo di raccolta rifiuti negli anni in cui intere zona della regione erano un ammasso di rifiuti. Ci vuole un giudice e un'udienza preliminare. Un mese e diciotto giorni dopo aver firmato la richiesta di rinvio a giudizio, il processo resta sospeso in limbo di attesa. Da lunedì mattina, infatti, il giudice Alberto Vecchione - designato dal computer a incardinare il processo - è passato a comporre il collegio della nona sezione penale, in esecuzione di un trasferimento firmato tre mesi prima che la procura depositasse le richieste di rinvio a giudizio. Un passaggio che scopre una casella decisiva per far partire il processo. Lepore insiste: "Qualsiasi gip va bene, purché si faccia presto. A me non interessa la persona che presiede la sezione, ma solo che venga fissata l'udienza preliminare. C'è da provvedere alle istanze delle parti e più tempo passa più aumenta il rischio prescrizione, che è un fatto sfavorevole per gli imputati e per gli inquirenti". Preoccupazioni che vengono ribadite forte e chiaro dal procuratore Camillo Trapuzzano, coordinatore della sezione Urbanistica assieme ad Aldo De Chiara, costretto a girare a una stanza vuota le richieste di notifica e di adempimenti: "Tutti gli atti che arrivano, noi li trasferiamo al gip, ma ci rendiamo conto che ci sono delle richieste urgenti, sulle quali occorre il parere di un giudice. Mi riferisco ai conti correnti sequestrati, alle istanze che arrivano dalle centinaia di comuni (ne sono 549, secondo i pm Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo) indicati come parte lesa al termine dell'indagine". Anche per Trapuzzano, c'è un problema di prescrizione: "Abbiamo depositato la richiesta di rinvio a giudizio il trenta luglio, oggi non abbiamo ancora un giudice, né un termine dal quale far partire il processo. Intanto, il tempo scorre, indipendentemente dalla feriale e dalla nostra volontà". Un vuoto di organico che dovrebbe comunque rientrare nelle prossime ore. Al coordinatore della sezione - il capo dei gip Renato Vuosi - tocca la nuova designazione, sulla scorta dei nuovi arrivi firmati la scorsa settimana dal presidente del Tribunale Carlo Alemi. Al momento è entrata in organico della torre B, l'ex giudice di Sorveglianza Giustina Caputo, alla quale dovrebbe toccare proprio la sezione lasciata scoperta dal trasferimento di Alberto Vecchione. Dal prossimo 24 settembre, in arrivo al gip anche l'ex pm anticamorra Aldo Policastro, in procinto di lasciare una sezione penale del tribunale.


 

+++  Il Giornale 19-9-2007. D’Alema (forse) si salva.

 

Roma - D'Alema ha trovato la porta socchiusa, sul retro. Ha infilato l'impermeabile e, di soppiatto, sta cercando di filarsela. Sembra questo lo scenario dell'inchiesta del gip milanese Clementina Forleo sulla scalata di Unipol a Bnl e dei rapporti tra il ministro degli Esteri e Giovanni Consorte. "Visto che D'Alema all'epoca dei fatti che riguardano le sue conversazioni telefoniche con l'ex numero uno di Unipol era eurodeputato, il gip di Milano Clementina Forleo farebbe bene a chiedere l'autorizzazione a usare le sue intercettazioni direttamente al Parlamento europeo e non alla Camera". A sostenere questa tesi è Pierluigi Mantini (Dl) che cita a questo proposito alcuni precedenti. "C'è un fatto che non è stato ancora sollevato dinanzi alla giunta per le autorizzazioni e che dovrà essere approfondito - dichiara il deputato della Margherita - perché all'epoca delle conversazioni intercettate sulle scalate bancarie D'Alema era parlamentare europeo e non deputato". Scappatoia Ecco trovata la scappatoia per non concedere al gip l'utilizzo di quelle conversazioni. "A rigore dunque - aggiunge Mantini - la gip Forleo dovrebbe chiedere l'autorizzazione al parlamento europeo e non alla Camera. Nel caso riguardante l'onorevole Gianni, nel 2003 - ricorda l'esponente della Margherita - la Camera, all'unanimità, ha rigettato la richiesta di autorizzazione da parte del giudice perché all'epoca dei fatti non era membro del Parlamento. Dunque le stesse considerazioni possono valere per D'Alema e la Giunta deve approfondire la questione. Nel fermo proposito di leale collaborazione con la magistratura ogni profilo deve essere esaminato in modo convincente, a partire da quello della competenza". Giovanardi conferma "Entro domani domani dobbiamo decidere la richiesta di autorizzazione per D'alema, Fassino e Cicu. Tuttavia, dopo un approfondimento fatto dagli uffici, abbiamo rilevato che l'onorevole D'alema all'epoca delle intercettazioni, nel luglio del 2005, non era un parlamentare italiano, ma europeo". Così Carlo Giovanardi, presidente della giunta per le autorizzazioni della Camera. "Oggi in Giunta insieme agli altri colleghi decideremo ma, molto probabilmente, la richiesta di autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni non andava mandata al parlamento italiano, ma a quello europeo. Dove i parlamentari italiani eletti in Europa godono delle stesse guarantigie che hanno in Italia e che devono essere verificate, però, da un apposito organismo del parlamento europeo che ha le stesse competenze che ha la giunta in Italia".


+++ La Stampa 19-9-2007 Grido d'allarme di un istituto pubblico: mancano i soldi. Lettera aperta di un istituto torinese: sempre meno fondi stanziati per la scuola pubblica e poche garanzie per gli insegnanti. Cambino priorità del Paese

CONSIGLIO D'ISTITUTO ICS «GAETANO SALVEMINI»

Siamo il Consiglio d’Istituto dell’Istituto comprensivo statale «Gaetano Salvemini» di Torino e vogliamo esprimere il nostro disagio e la nostra indignazione rispetto all’attenzione riservata alla scuola pubblica nel nostro Paese. Dal 2000 al 2006 le risorse assegnate dal ministero al nostro istituto per il funzionamento amministrativo e didattico sono passate da 14.178 a 7.760 euro, quelle per la realizzazione dell’autonomia da 12.213 euro del 2002 ai 5.049 del 2006. Per l’anno finanziario 2007, l’articolo 601 della Finanziaria segna una grande novità per i bilanci delle scuole: «Le risorse assegnate dallo Stato, costituenti la dotazione finanziaria di istituto, sono utilizzate... senza vincolo di destinazione che quello prioritario per lo svolgimento delle attività di istruzione, di formazione e di orientamento proprie dell’istituzione scolastica... come previste ed organizzate nel piano dell’offerta formativa (Pof) ecc...». Peccato che le ottime premesse si siano trasformate, nelle norme applicative e nei fatti, in un’ulteriore riduzione di fondi. Per il 2007 il nostro istituto ha saputo attribuire alle spese di funzionamento solo 2.923,02 euro!

Crediamo che il ruolo pubblico della scuola vada salvaguardato e promosso attivamente dallo Stato in quanto unico soggetto in grado di garantire vero pluralismo e accessibilità a tutti. Proprio per questo, la scuola non può vivere d’aria e di buone intenzioni ma ha bisogno di risorse certe, congrue e durature, in modo che la programmazione sia vera e di qualità, e non legata all’emergenza. Servono più risorse anche solo per continuare a garantire la normale gestione del quotidiano; a maggior ragione ne occorrono di più se si vuole puntare ad arricchire l’offerta formativa e migliorare le strutture, con l’obiettivo di offrire ai ragazzi un posto bello per crescere bene e in sicurezza.

Più risorse affinché la scuola sia davvero gratuita e accessibile a tutti: le scuole chiedono alle famiglie una quota al momento dell’iscrizione, altre chiedono di portare da casa tutto il materiale di cancelleria e di toilette. Scuola pubblica o privata? Più risorse certe per le supplenze, per garantire il diritto alla malattia e alla sostituzione in tempi rapidi, evitando il fenomeno dello spezzettamento delle classi con l’inevitabile riduzione della qualità dell’insegnamento. Più risorse perché i lavoratori della scuola, a tutti i livelli, siano messi in grado di svolgere in tranquillità il proprio lavoro, senza eccessive e non riconosciute preoccupazioni.

Crediamo nell’autonomia, l’abbiamo chiesta e difesa, ma l’autonomia non vuol dire tagli. Siamo d’accordo con i risparmi e vi assicuriamo che il nostro istituto sta facendo tutto il possibile per ridurre gli sprechi. Però l’autonomia deve essere accompagnata e sostenuta e solo allora potrà dare davvero i frutti sperati. Lo Stato deve assumersi le proprie responsabilità se crede che l’istruzione, la crescita educativa e la formazione dei nuovi cittadini siano questioni cruciali per la crescita del Paese. Noi riteniamo che il bilancio dello Stato debba essere costruito intorno al concetto che esistono delle priorità: una di queste è sicuramente la scuola pubblica, bene comune e irrinunciabile di tutto il Paese.


++  ISTAT 19-9-2007 Le esportazioni delle regioni italiane Periodo di riferimento: Gennaio-Giugno 2007
Diffuso il: 19 settembre 2007
Prossimo comunicato: 12 dicembre 2007


Nel periodo gennaio-giugno 2007 il valore delle esportazioni italiane ha registrato un aumento dell’11,6 per cento rispetto allo stesso periodo del 2006 (più 12 per cento verso i paesi europei e più 11 per cento verso l’area extra Ue).
La crescita delle esportazioni ha riguardato tutte le ripartizioni territoriali; incrementi superiori alla media si registrano per l’Italia insulare (più 23,4 per cento) e per l’Italia centrale (più 15,1 per cento); incrementi inferiori a quello medio nazionale si registrano invece per l’Italia nord-orientale (più 10,7 per cento), per quella nord-occidentale (più 10,2 per cento) e per quella meridionale (più 9,2 per cento).
La dinamica congiunturale, valutata sulla base dei dati trimestra-li depurati della componente stagionale, ha evidenziato, nel secondo trimestre 2007 rispetto al trimestre precedente,variazioni delle esportazioni pari a più 6,1 per cento per le regioni meridionali e insulari, più 1,3 per cento per l’Italia nord-cciden-tale, più 0,7 per cento per l’Italia centrale e meno 0,8 per cento per l’Italia nord-orientale.


++  Il Corriere della Sera 19-9-2007 Israele: Striscia di Gaza è entità nemica

La decisione del gabinetto di sicurezza di Tel Aviv. Israele potrà ora tagliare le forniture di energia e carburante al territorio palestinese. Nelle ultime settimane si sono moltiplicati i lanci di razzi Qassam


++  La Stampa 19-9-2007 LA STORIA http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifIl Grande Gioco nell’Oceano Indiano Flotte armate fino ai denti si contendono le rotte del petroliohttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif. Di Maurizio Molinari

 

CORRISPONDENTE DA NEW YORK http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifTutti guardano all’Iraq ma dove sono in gioco i nuovi equilibri del Pianeta è altrove, nelle sterminate acque dell’Oceano Indiano». Robert Kaplan è fra i più brillanti analisti militari di Washington e al termine di una maratona durata mesi attraverso le basi navali e aeree degli Stati Uniti attorno al mondo ha racchiuso nelle 527 pagine del volume «Hog Pilots, Blue Water Grunts» la descrizione di uno scenario «tanto reale e lampante quanto sottovalutato»: le crescenti tensioni fra potenze marittime nell’Oceano Indiano.

Il tam tam sulla tesi di Kaplan è tale che i centri studi di Chicago, Washington e New York lo chiamano a raccontare cosa ha visto e compreso. Da qui la riunione al Carnegie Council sulla 64° Strada, nell’Upper East Side, dove di fronte ad un pubblico di addetti militari e diplomatici - in maggioranza asiatici ed americani, con l’unica eccezione europea dell’ambasciatore di Svezia al Palazzo di Vetro - l’inviato di «Atlantic Monthly» racconta cosa ha visto a Est dello Stretto di Hormuz.

«Con gli Stati Uniti impegnati a occupare la Mesopotamia e l’Europa che continua a ridurre le spese militari, le potenze militari emergenti sono quelle del Pacifico e si confrontano nell’Oceano Indiano». Se infatti Cina, India, Giappone, Corea del Sud e Australia condividono un consistente aumento delle spese militari è nell’Oceano Indiano che si svolge la prima prova di forza fra loro. Basta vedere cosa sta avvenendo in questi giorni: a inizio mese 27 navi da guerra e sottomarini di Usa, Australia, Giappone, Singapore hanno condotto l’esercitazione «Malabar» assieme a 7 unità della marina dell’India a largo dell’arcipelago delle Andamane, nel Golfo del Bengala. Ovvero lo stesso specchio d’acqua dove nell’isola birmana del Grand Coco la Cina sta realizzando un imponente centro di sorveglianza elettronica.

Partecipando a «Malabar» con unità di primo piano come le portaerei Uss Nimitz e Uss Kitty Hawk il Pentagono ha compiuto quello che Kaplan definisce un primo passo verso la «dottrina delle mille navi» messa nero su bianco da Michael Mullen ovvero l’ammiraglio della Us Navy destinato a succedere al generale dei marines Peter Pace alla carica di Capo degli Stati Maggiori Congiunti. Le «mille navi» sono la somma teorica delle unità da guerra degli Usa e di tutti i Paesi alleati - asiatici ed europei - che Mullen vede all’orizzonte come unica opzione strategica da seguire per fare fronte all’inarrestabile crescita, economica e dunque anche militare, della Repubblica popolare cinese. «Guardate i numeri e vi accorgerete che il declino dell’Us Navy sui mari è già iniziato» sottolinea Kaplan snocciolando numeri: gli Stati Uniti avevano 6.000 navi da guerra nel 1945 che si erano ridotte a 300 alla fine della Guerra Fredda e ora vanno spediti verso quota 150 mentre la Cina ne conta già 248, l’India 156 e il Giappone è arrivato a 119.

«Se è certo vero che quelle americane sono ancora le navi più potenti e meglio armate, la bilancia della crescita oramai pende dall’altra parte e gli Stati Uniti sembrano destinati a fare la fine della Gran Bretagna, oggi con appena 43 navi destinate a diventare 29, che iniziò il proprio declino imperiale sugli Oceani alla fine dell’Ottocento» sottolinea Robert Kaplan, indicando nell’Oceano Indiano la cartina di tornasole dei «nuovi equilibri militari fra potenze».

A suggerirlo è il fatto che i manuali navali cinesi fanno costante riferimento alle gesta di Zengh He, l’esploratore nato nel 1371 protagonista dell’apertura di nuove rotte verso gli Stretti di Hormuz in maniera analoga a quanto serve oggi a Pechino per garantirsi la stabilità della forniture energetiche. La Cina mantiene decine di navi nell’Oceano Indiano, stringe i rapporti militari con Bangladesh e Birmania, corteggia con investimenti Sri Lanka e Maldive e progetta nel XXI secolo l’apertura di un canale attraverso la Thailandia per evitare lo Stretto di Malacca, al fine di garantire e proteggere in proprio le rotte verso i pozzi del Medio Oriente.

Ma così facendo si scontra con l’India, che ritiene l’omonimo Oceano un proprio lago come attesta la sistematica opera di pattugliamento delle acque, fino alle estreme propaggini: le coste del Madagascar e le isole dello Stretto di Malacca. Anche Tokio è interessata alle rotte energetiche cinesi e punta a consolidare i rapporti con New Delhi con manovre come «Malabar», forte del fatto di poter contare su una potenzialità di crescita unica degli apparati militari: con appena il 2 per cento di pil destinato alla Difesa ha quasi lo stesso numero di navi dell’Us Navy anche se il Pentagono divora (Iraq incluso) ben il 4,5 per cento dei pil a stelle e strisce.

«Di fronte alle crescita delle flotte di Pechino e New Delhi, finora Washington ha giocato due carte, una sbagliata e l’altra giusta» osserva Kaplan. L’errore sta nel «voler puntare su un’alleanza India-Giappone in funzione anti-Pechino» perché in questa maniera «la tensione sale e ci pregiudichiamo un più saldo rapporto con la Cina, nostro più importante partner economico». Giusto invece è consolidare la presenza nella regione facendo leva sulla lotta alle bande di pirati che infestano le acque dello Stretto di Malacca, tradizionale via di commercio fra Cina e India. Dopo l’11 settembre è stato il ritorno della Us Navy nella base filippina di Subic Bay a consentire un maggiore impiego di unità contro i pirati, a volte collegati a gruppi di Al Qaeda. Bloccando i pirati l’Us Navy argina il terrorismo ma «fa anche diplomazia», osserva Kaplan, perché «ferma chi nuoce tanto alla Cina quanto all’India».

Nel grande gioco geopolitico dell’Oceano Indiano c’è anche l’incognita russa: molte delle navi cinesi sono state acquistate dal Cremlino e la cooperazione militare fra Pechino e Mosca, anche attraverso il Patto di Cooperazione di Shangai, fa temere a Washington la nascita di un’alleanza euro-asiatica anti-Usa. Destinata a consolidare la dottrina Usa della «mille navi».

 


+  Il Manifesto 19-9-2007 Un grande grazie a "Il Sole 24 Ore" di ieri: il grande titolo di prima pagina "Northern, interviene lo Stato" (e Stato è pure con la S maiuscola) è un inatteso riconoscimento a noi vetero sostenitori dell'intervento nell'economia. Valentino Parlato

 

Certo, nel caso della Northern lo stato interviene come salvatore, nel rispetto della vecchia massima, cara anche ai liberisti, della "socializzazione delle perdite". Tuttavia è pur sempre un gradito riconoscimento, l'ammissione che il mercato non è sempre il provvidenziale padreterno dell'economia, il supremo regolatore, il protagonista del progresso e del benessere universale. Detto tutto questo - un po' polemico e anche fatuo - viene da chiedersi perché il quotidiano della Confindustria, ottimamente diretto da Ferruccio De Bortoli, non apra nell'attuale fase di crisi globale dell'economia una discussione aperta e spregiudicata sui limiti del mercato e sulla utilità del tanto disprezzato (quando tutto va bene) intervento pubblico. Un intervento pubblico che non può essere solo di emergenza e che nell'attuale fase di globalizzazione dell'economia non può essere più affidato soltanto allo stato nazionale per due ovvie ragioni: innanzitutto la riduzione dei poteri effettivi degli stati nazionali e delle singole banche centrali. In secondo luogo perché siamo in piena globalizzazione e così accade che le insolvenze degli acquirenti di immobili negli Usa provochino allarmi e disastri anche in Europa. Sarebbe un buon segno se "Il Sole 24 Ore" aprisse una seria discussione su stato e mercato in questa fase di crisi seria dell'economia. Non gli mancano le pagine e i collaboratori competenti. Altrimenti? Altrimenti dovremmo considerare il grande titolo di ieri come la proverbiale "voce dal sen fuggita". Ma potrà mai quel giornale, che adesso vuole lanciare la moda del liberismo di sinistra, dare ascolto al manifesto?.


 

+  Il Corriere della Sera 19-9-2007 La Seconda Repubblica e lo spontaneismo. La terra trema sotto la casta. di Giovanni Sartori

 

 

La terra trema ormai sotto i piedi della Casta. Per la prima volta il popolo bue la minaccia davvero. Finora i signori del potere se ne sono infischiati della rabbia crescente di un elettorato che si sente irretito nell’impotenza (a dispetto dei rombanti discorsi che lo proclamano, poverello, sempre più sovrano). Ma ecco che, inaspettatamente, Beppe Grillo entra nella tana del nemico e, alla festa dell’Unità di Milano, spara a mitraglia contro gli ottimati Ds. Fino a meno di un anno fa Grillo sarebbe stato subissato dai fischi; invece, è stato subissato da applausi. Un episodio che richiama alla mente la caduta della Bastiglia. Di per sé quell’evento della rivoluzione francese fu un nonnulla; ma ne divenne il simbolo. Forse sto forzando troppo i fatti. Forse. Vediamo perché. Intanto, e in premessa, cosa si deve intendere per «antipolitica »? La dizione è ambigua: sta per «uscire» dalla politica, estraniarsi; oppure per «entrare» a tutta forza nella politica per azzerarla (il caso di Grillo). Ciò premesso, le novità sono due. Primo, Grillo entra in politica avendo prima creato una infrastruttura tecnologica di supporto e di rilancio: Internet, blog, e un radicamento territoriale assicurato, ad oggi, dai 224 meet up (gruppi di incontro) che in un giorno raccolsero 300 mila sottoscrittori per una legge di iniziativa popolare. Ora, né la satira politica di altri bravissimi comici (Luttazzi, per esempio), né i girotondini hanno mai dispiegato un armamentario del genere.

Dal che ricavo che misurare la forza di Grillo con riferimento ai suoi predecessori sarebbe una grave sottovalutazione. Secondo. Grillo ci sa fare. Non propone un nuovo partito (il 32˚, come ironizzano a torto gli altri 31), ma un movimento spontaneo che li spazzi tutti via. Inoltre ha messo subito il dito sul ventre sensibile della Casta: il controllo dei voti. Se vogliamo davvero sapere quale sia lo stato di putrefazione del Paese, la fonte non è Grillo ma il libro La Casta di Stella e Rizzo. Quel libro ha venduto un milione di copie—un record di successo mai visto — eppure non ha smosso nulla. Gli italiani dovrebbero esprimere la loro protesta «razionale» continuando a comprarlo. Ma anche così dubito che la Casta ascolterebbe. Perché Stella e Rizzo non controllano voti. Invece Grillo sì. Lo ha già dimostrato e si propone di rincarare la dose al più presto. Per le prossime elezioni amministrative Grillo sosterrà liste civiche spontanee «certificate » (da lui) che escludano iscritti ai partiti e personaggi penalmente sporchi. Ne potrebbe risultare uno tsunami. Anche perché il grillismo capitalizza, oggi, sulla retorica (ipocrita) di esaltazione dello «spontaneismo» dispensata da anni sia da Prodi come da Berlusconi. Hegel elogiava la guerra come un colpo di vento che spazza via i miasmi dalle paludi. Io non elogio la guerra, e nemmeno approvo le ricette politiche «al positivo» del grillismo (a cominciare dalla stupidata della ineleggibilità di tutti dopo due legislature; stupidata che l’oramai infallibile incompetenza del nostro presidente del Consiglio ha già approvato). Ciò fermamente fermato, confesso che una ventata — solo una ventata — che spazzi via i miasmi di questa imputridita palude che è ormai la Seconda Repubblica, darebbe sollievo anche a me. E certo questa ventata non verrà fermata dalla ormai logora retorica del gridare al qualunquismo, al fascismo, e simili.

19 settembre 2007


+  Il Manifesto 19-9-2007 Alan Greespan in questi giorni va di moda: il libro dell'ex presidente della Federal reserve statunitense a due giorni dall'uscita è già un best seller. Da buon liberale - crociano diremmo in Italia - Greenspan è formidabile nella critica, ma non altrettanto nell'autocritica. Galapagos

 

Passa in rassegna gli ultimi 20 anni come uno spettatore neutrale, dimentico di essere stato un protagonista della politica monetaria mondiale e di aver commesso errori clamorosi: essersi accorto troppo tardi che gli Usa nel 2000 erano in recessione; aver praticato tra il 2002 e il 2005 una politica sciagurata di denaro a basso costo che ha alimentato la speculazione selvaggia alla base dell'attuale crisi dei mutui. Però un paio di cose interessanti Greenspan le dice: peccato non abbia aperto bocca prima. Sostiene, ad esempio, che alla base dell'invasione dell'Iraq c'è solo la questione petrolifera e che la bassa inflazione degli ultimi 20 anni non è merito delle ricette monetariste ma dall'allargamento del mercato mondiale, dell'entrata in scena di un miliardo di nuovi lavoratori ipersfrutati e di consumatori senza troppe pretese. Ma quei lavoratori ipersfruttati oggi cominciano a battere cassa e chiedono una quota un po' più grande del prodotto sociale. Una richiesta fatta propria anche dalla Banca centrale cinese che ha fatto appello al governo perché elimini le enormi disparità che stanno lacerando il paese. E' buona cosa che le banche centrali si occupino un po' meno di moneta e un po' di più di società. Anche se a occuparsene dovrebbero essere i governi. Quello inglese, ad esempio, lunedì è intervenuto nella vicenda della Northern Rock, la banca in profonda crisi, garantendo tutti i depositi e, ovviamente, la sopravvivenza della banca. Bene: anche chi deposita i propri soldi in una banca - spesso poche sterline, ma tutti i risparmi - ha diritto a essere garantito. Il problema, però, è altro: lo stato non deve garantire i propri cittadini solo in occasioni speciali e quando è a rischio la stabilità del sistema finanziario. Deve intervenire sempre. Adam Smith, il grande economista inglese, scrisse che la grandezza dell'economia era il frutto e la sintesi dell'egoismo e del tornaconto individuale. In parte vero: ma quella descritta da Smith era un'altra economia fatta di quelle che oggi definiremmo piccole e medie imprese. Oggi il panorama è più complesso. Il ruolo degli stati non può essere solo quello di regolatore, di assicurare trasparenza, simmetria di informazioni. Tutte cose necessarie, ma non sufficienti: come insegna la scelta del governo inglese, lo stato deve intervenire con continuità nella gestione dell'economia e ancora di più dei bisogni sociali, garantendo a tutti i cittadini diritti fondamentali. Quindi non solo la libertà, ma l'istruzione, la sanità, il lavoro e le pensioni. Perché quando si lascia che sia il profitto a decidere al posto dello stato è inevitabile che scoppi la bolla dei mutui subprime e che la pensione venga falcidiata sulla base dell'andamento dei mercati, distruggendo i futuro di persone incolpevoli.


L’Unità 19-9-2007 Comma 22 Marco Travaglio

Il complotto fascio-qualunquista-plebiscitario-populista-eccetera di Grillo contro i partiti trova ogni giorno nuovi alleati nei partiti medesimi. Non bastassero le ambulanze e gli aerei di Stato usati come taxi, è in fase di decollo la famosa legge Mastella sulle intercettazioni: quella che, anziché consigliare ai politici di non telefonare ai delinquenti, vieta ai giornali di pubblicare le telefonate dei politici con i delinquenti. Ma, siccome non c'è limite al peggio, Franco Bechis rivela su "Italia Oggi" che il testo già orrendo approvato in aprile dalla Camera sta per essere aggravato in Senato con un emendamento "anti-Forleo" dell'ex Dl Franco Manzione: quello che a luglio stava per far cadere il governo con un emendamento che riusciva financo a peggiorare l'ordinamento giudiziario Mastella). Ora Manzione merita un'altra menzione. "Lo scopo ­ spiega Bechis - è impedire la presentazione in Parlamento di altre richieste come quella della Forleo che possano essere usate contro deputati o senatori, a meno che prima non vengano indicati i reati per cui sono perseguiti quei parlamentari. Se non saranno indicati (e non potrebbero, visto che quei testi sono inutilizzabili senza l'ok delle Camere), l'autorizzazione non verrà concessa. O verrà concessa solo per procedere contro terzi (Consorte e Fiorani). Un bel circolo vizioso, che aggiungerebbe nuova immunità alla ricca protezione costituzionale dei parlamentari". Se le cose stanno così, l'emendamento è direttamente ispirato al "Comma 22" di Joseph Heller: i piloti militari possono chiedere l'esonero dai voli di guerra se sono pazzi, ma chi chiede l'esonero dai voli di guerra è tutt'altro che pazzo: i pazzi sono quelli che li fanno, i voli di guerra. Qui la situazione è analoga: la legge Boato del 2003 dichiara inutilizzabili le telefonate di un indagato che parla con un parlamentare, salvo autorizzazione del Parlamento. Per usarle contro l'indagato ed eventualmente anche contro il politico suo complice, la Procura deve mandarle al Gip perché chieda il permesso alle Camere. È quel che ha fatto la Forleo con le telefonate tra i furbetti e sei politici di FI e dei Ds. La Procura l'ha avvisata di volerle usare nei confronti dei furbetti (già indagati su elementi diversi dalle telefonate) e di "altri da identificare": cioè i parlamentari non ancora "identificati" ufficialmente perché le conversazioni sono inutilizzabili. Perché il Parlamento capisse, la Forleo le ha riportate, sottolineando quelle da cui emerge, "ad avviso di questa autorità giudiziaria", il "concorso nel disegno criminoso" - l'aggiotaggio dei furbetti - da parte di alcuni parlamentari. Questi si sono molto offesi ("atto abnorme", "violazione di legge", "ordinanza irricevibile"): ma come, un gip ci accusa di un reato per cui la Procura non ci ha indagati? La risposta è nella legge Boato: la Procura non li ha indagati perché non può ancora farlo: l'unica notizia di reato a loro carico emerge dalle telefonate, che però sono inutilizzabili se il Parlamento non le autorizza. Il gip, per avere il permesso, spiega per quale reato e nei confronti di chi. Ma il Parlamento risponde: se prima non indagate i parlamentari, non possiamo autorizzarvi a usare le telefonate per indagarli. Una follia. Che ora, se passa il comma Manzione, raddoppia: se il magistrato vuole chiedere di usare le telefonate anche contro i politici, deve prima formalizzare l'accusa nei loro confronti; ma, visto che la legge Boato vieta di usarle per formalizzare un'accusa, è inutile chiedere al Parlamento il permesso di usarle. O il magistrato distrugge le bobine, o chiede al Parlamento di usarle solo contro i non-parlamentari (e resta da capire perché mai il Parlamento dovrebbe pronunciarsi sul destino processuale di chi non ne fa parte). Oggi, almeno in teoria, è ancora possibile giudicare i parlamentari per i loro reati a mezzo telefonico (pur se la Boato ha reintrodotto surrettiziamente l'autorizzazione a procedere abolita nel '93): solo in caso di "fumus persecutionis" il Parlamento può respingere la richiesta del Gip. Con il "comma 22", invece, i parlamentari diventano invulnerabili. Anziché autorizzare senza se e senza la Procura di Milano a usare le telefonate nei confronti di chiunque lo meriti, e cancellare la Boato che ha causato questo pasticciaccio brutto, il Parlamento la peggiora, mettendo nero su bianco che i giudici non devono provarci mai più. E che la legge non è uguale per tutti. Poi, naturalmente, l'"antipolitica" è colpa di Grillo. Uliwood party.


 

La Repubblica 19-9-2007 Napoli Nasce già vecchio e diventa subito il "processo Bassolino". IL RETROSCENA Il ritardo allunga i tempi, possibile la prescrizione. Le difficoltà del nuovo giudice Un flop del sistema giudiziario ora il processo rischia di svanire ANTONIO CORBO

 

(segue dalla prima di cronaca) Ma il presidente della Regione è imputato per "truffa aggravata ai danni dello Stato e frode nelle forniture" con altri 27. Industriali come Piergiorgio Romiti, docenti come il subcommissario Raffaele Vanoli, tecnici come Salvatore Acampora che del meccanismo sa proprio tutto. Sono coinvolte le imprese Fibe e Fisia della galassia Impregilo. Un processo così andava protetto. Evidente l'insensibilità: si trascura l'allarme sociale dello sperpero di danaro pubblico senza che sia stata mai chiusa l'emergenza rifiuti, ma anche l'interesse degli indagati a difendersi. Lo stesso Bassolino sta già pagando un prezzo politico: impopolarità e crisi di leadership, fuoco incrociato di amici e nemici. La notorietà degli imputati fa correre il rischio più alto alla giustizia: il sospetto su intralci e fughe dal megaprocesso. Era già intervenuto Lepore per bloccare i due pm: dopo una inchiesta di tre anni con cento faldoni, 130 mila pagine, 28 di solo indice, chiesero di cambiare sezione. Era stata ridotta ("Ambiente e Urbanistica") da 18 a 14 unità. Ma Lepore fu inflessibile: prima il processo, poi cambiate. Accade in Italia, nazione condannata in Europa: infrazioni per "processi oltre la ragionevole durata". I meccanismi che assegnano i processi al giudice dell'udienza preliminare sono garanzia di terzietà. Li attribuisce il caso. Ma quelle regole ("le tabelle") vanno pilotate nella massima correttezza per evitare gli errori del sistema: come assegnare il processo a un giudice in partenza o prossimo alla maternità o incompatibile perché si è già espresso nelle funzioni di gip. Senza correttivi, il metodo delle garanzie è ipocrita e dannoso. Questo processo rischiava di infrangersi contro la barriera della "prescrizione breve", figurarsi ora. Il nuovo giudice, forse Giustina Caputo, chissà quanto impiegherà per studiare il complesso ciclo di smaltimento rifiuti, prima di valutare le posizioni di 28 imputati in un mare di ordinanze, leggi, procedure, bandi di gare, contratti, testimonianze, intercettazioni. E finalmente capire se Bassolino con le sue ordinanze ha davvero truffato lo Stato, ribaltando quelli che erano i doveri di Fibe in vantaggi per la stessa Fibe. Mentre tre milioni di ecoballe imperfette, inquinanti quindi, sono assiepate in Campania. E aggravano un disastro ambientale descritto dalla Sanità mondiale come causa di malformazioni congenite e morti.


 

La Stampa 19-9-2007 Crisi dei mutui, la Fed taglia i tassi L'Euro fa segnare un nuovo record, positiva la reazione di Wall Street

 

NEW YORK
La Federal Reserve ha tagliato oggi i tassi sui fed funds per la prima volta in più di quattro anni; e la manovra di politica monetaria espansiva decisa dal presidente dell’istituto Ben Bernanke è stata molto più incisiva di quanto gli analisti avessero stimato nei giorni precedenti. Il taglio dei tassi sui fed funds - tasso a cui avvengono i prestiti interbancari - è stato ridotto infatti di 50 punti base, dal 5,25% precedente al 4,75 per cento. Tagliato, sempre di 50 punti base anche il tasso di sconto - quello a cui la Fed eroga prestiti alle banche -, che è stato abbassato al 4,75% dal 5,25% precedente, a cui era sceso lo scorso 17 agosto, giorno in cui la Fed aveva operato un taglio di mezzo punto percentuale per soccorrere i mercati, piegati dalla crisi del credito.

I precedenti
L’ultima volta che i tassi sui fed funds vennero tagliati fu nel giugno del 2003, quando il costo del denaro venne abbassato all’1 per cento. Successivamente, la Fed optò per una politica monetaria restrittiva, complice la crescita economica, fino a portare i tassi di interesse al 5,25% il 29 giugno del 2006. Da allora fino a oggi, dunque per più di un anno, il costo del denaro è stato poi mantenuto invariato per nove volte consecutive al 5,25%, nonostante gli appelli degli investitori che da mesi chiedevano il ritorno a una politica di taglio dei tassi. Quella politica è tornata ufficialmente oggi e ha sorpreso i mercati, dal momento che la maggioranza degli analisti aveva previsto una riduzione di un quarto di punto percentuale, al 5 per cento.

L'Euro vola
Dopo la decisione della Federal Reserve l’euro ha toccato il nuovo massimo storico a quota 1,3938 dollari, superando il precedente record fissato a 1,3927 dollari. Positiva la reazione di Wall Street dove i listini azionari hanno puntato verso l’alto. Il Dow Jones ha guadagnato il 2,43%, mentre il Nasdaq è avanzato del 2,64%.


 

La Repubblica 19-9-2007 BREAKINGVIEWS.COM Il mea culpa di Alan Greenspan sul denaro facile della Fed HUGO DIXON

 

Ad Alan Greenspan i mezzi certo non mancano per sfruttare i suoi errori a proprio vantaggio. Nel suo libro di memorie appena pubblicato, per il quale gira voce che abbia ricevuto la somma di ben 8 milioni di dollari, pari a 16.000 dollari a pagina, l'ex numero uno della Fed ammette di non essere stato in grado di rilevare gli eccessi del mercato dei mutui Usa fino a quando ormai non era troppo tardi. Forse perché era troppo indaffarato a mettere a punto i suoi discorsi, notoriamente sibillini, sulla politica monetaria. Un errore che probabilmente l'economia statunitense pagherà a caro prezzo, considerando che da esso sono scaturiti una costruzione di immobili a dismisura e una vera e propria febbre immobiliare in molte parti del paese, che ora potrebbe sfociare in un'ondata di pignoramenti. C'è almeno un esperto, il cui pensiero è spiattellato sulle prime pagine di tutto il mondo, secondo cui i prezzi delle case potrebbero diminuire di valori a "due cifre", mentre la possibilità che gli Usa finiscano nel tunnel della recessione è, sempre a suo dire, del 50%. L'esperto che ha catturato le prime pagine dei giornali è Greenspan in persona. L'ultraottantenne ex capo della Fed ha chiaramente e sapientemente corretto il tiro, conscio che il tipo di gergo prolisso ed ermetico da banchiere centrale, che lo ha portato ad essere visto dai mercati come un genio, difficilmente lo avrebbe reso un eroe agli occhi degli editori. Ma nel promuovere le vendite del memoriale, creando sconforto sui mercati, l'ex numero uno della Fed ha spostato l'attenzione su un aspetto meno gratificante della sua eredità: un'economia Usa pericolosamente sovraindebitata. Questo gli costerà caro, ancorché in una valuta diversa: la sua reputazione. [northern rock, La storia si ripete ] Che cosa ha in comune il dissesto della banca inglese Northern Rock con le difficoltà degli intermediari, il tracollo del fondo Lctm e la crisi asiatica? La radice di tutti questi pastrocchi finanziari è la pratica di procurarsi, indebitandosi a breve scadenza, fondi da investire a lungo termine, sovente in immobili. Fino a quando i mercati vanno bene può sembrare una strategia vincente perché i finanziamenti brevi sono meno onerosi di quelli a lungo termine (infatti Northern Rock era stata premiata dall'impennata della quotazione in Borsa), ma è un esercizio di alta acrobazia: quando la liquidità del sistema si contrae, chi si è impegolato in simili funambolismi si ritrova sospeso nel vuoto senza rete di sicurezza, a meno che qualche ente pubblico accorra al salvataggio per evitare guai peggiori. Le banche che investono in beni illiquidi (sia direttamente come Northern Rock, sia indirettamente finanziando chi investe in cartolarizzazioni) devono tutelarsi con ammortizzatori molto robusti, specie quando per reperire i fondi ci si indebita a breve scadenza. L'imposizione di coefficienti patrimoniali che attribuiscano il giusto peso a queste "scadenze asimmetriche" farebbe salire i costi di simili operazioni e dissuaderebbe da molti comportamenti irresponsabili, ma forse è troppo pretendere che le banche si adeguino spontaneamente, tanto più vista la tendenza delle autorità a salvarle dagli effetti dei loro errori. Stavolta però, dopo la peggiore crisi del credito da decenni, gli organi di vigilanza dovranno prendere provvedimenti seri, o tra qualche anno vedremo altre crisi e altri salvataggi. (Traduzioni a cura di MTC).


 

Europa 19-9-2007 Gli italiani non amano la politica e i politici, gli intellettuali collaborano allo sfascio FEDERICO ORLANDO RISPONDE

http://www.europaquotidiano.it/site/images/transparent.gif

Cara Europa, il presidente del consiglio Romano Prodi ha detto lunedì sera, a Porta a porta, che la società civile non è migliore della classe politica, che invece la riflette con i suoi pregi e difetti. E il prof. De Rita dice che gli italiani fischiano “per principio” chi li governa. Dopo averli eletti. Allora, credo non ci sia scampo, è un circolo chiuso. ADOLFO RIZZI,

 

 ROMA

Caro Rizzi, proprio così, come dice lei. La classe politica è ciò che il corpo elettorale esprime. Talvolta, come nelle ultime elezioni, il corpo elettorale non ha espresso, ma soltanto ratificato ciò che la classe politica gli ha imposto, nominando essa i deputati e i senatori. Ma, esaurita rapidamente la precaria popolarità del governo Prodi, a chi si sono rivolte di nuovo le intenzioni di voto della maggioranza degli italiani? Proprio a coloro che avevano costruito lo strumento, il Porcellum, per ridurre il loro voto a mero formalismo. Forse è per questo che Mussolini diceva che «governare gli italiani non è difficile, è inutile» (ma si domandava quanti contributi lui e il suo movimento avessero dato all’antipolitica?).
Del resto, aveva avuto precursori e seguaci da Oriani a Prezzolini, D’Annunzio, Longanesi, lo stesso mio maestro Montanelli che devastava l’esistente, proponeva tuttavia di votarlo turandosi il naso, ma progetti di conciliazione fra popolo e stato, fra società civile e classe politica non ne promuoveva gran che.
Nati tardi alla storia di popolo indipendente dopo secoli di governi spagnoli, austriaci, pontifici, granducali, regi, oligarchici, localistici, ecc., gli indigeni della penisola, diventati finalmente italiani, furono accompagnati dagli intellettuali non a maturare coscienza civile e appoggio alle istituzioni, che sono il solo modo di rendere non retorico ma concreto il cosiddetto “amor di patria”: fu tutto uno scatenamento di ire ideologiche e di risentimenti di parte contro il Risorgimento, che i repubblicani definivano “La conquista regia” (Dorso), i clericali “Lo stato degli usurpatori” (cardinal Antonelli e confratelli d’ogni ordine e grado), i comunisti “Rivoluzione agraria mancata” (Gramsci), i liberal-azionisti “Risorgimento senza eroi” (Gobetti) e via sproloquiando. E anche nascondendo pezzi di verità. Vuole due esempi freschi freschi? Giuseppe De Rita, sociologo che seguiamo da quarant’anni, parlando di ingiurie e fischi con cui il popolo accompagna chi ha appena eletto, dice che, arrivato in trionfo a Palazzo Chigi, Berlusconi si trovò «accerchiato da Moretti che gli faceva intorno un girotondo di protesta». Falso. Moretti, e noi con lui, i girotondi li facemmo non contro Berlusconi ma contro i nostri dirigenti di centrosinistra perché si svegliassero e dessero battaglia al vincitore. Ancora. Lunedì Panebianco scriveva che in Italia la politica va sempre più giù perché è finito l’ultimo collante che la teneva unita, «l’odio». Ma di quale odio parla? Di quello del centrosinistra verso Berlusconi. Dell’odio della destra verso “i comunisti che mangiano i bambini o li lessano e ne concimano i campi”, il signor Panebianco s’è dimenticato.
Ecco il “tradimento dei chierici”. Come possono gli italiani diventare maggiorenni se i loro chierici gli falsificano addirittura i punti di partenza, i fatti da cui cominciare? Il discorso è lungo, meriterebbe ben altro che una lettera. Per oggi, s’accontenti.


Il Corriere della Sera 19-9-2007 «La lotta Ds-Popolari ha schiacciato le altri componenti» Dini: «Non entro nel Partito democratico»

ROMA - «La componente liberaldemocratica della Margherita non entrerà nel Partito democratico». Lo ha annunciato Lamberto Dini. L'ex primo ministro ha ufficializzato la nascita dei Liberaldemocratici, che resteranno nel centrosinistra continuando ad appoggiare il governo, al cui operato guarderanno però con attenzione. Oltre a Dini, nei Liberaldemocratici entrano i senatori Natale D'Amico, Salvatore Scalera (e forse Willer Bordon, Roberto Manzione e Domenico Fisichella), entrano inoltre la sottosegretaria alla Giustizia Daniela Melchiorri e Italo Tanoni. «La lotta tra Ds e Popolari ha schiacciato le altre identità politiche all'interno del nascente Partito democratico», ha detto l'ex governatore della Banca d'Italia. «Non cerchiamo posti e i presenti non saranno iscritti alle cosidette primarie anomale del 14 ottobre. Le chiamo anomale perché non si voterà per il candidato premier ma per liste predisposte dai partiti».

VELTRONI - «Walter Veltroni è la persona più adatta a guidare il Partito democratico», ha aggiunto Dini. «Vogliamo essere sostenitori del Pd e saremo al suo fianco. La nostra infatti non è una scelta definitiva. Auguriamo al Pd di avere successo. Saremo a fianco al governo ogni qualvolta sarà in linea con le nostre richieste che mirano a superare il declino dell'Italia».

«DINI SBAGLIA» - «Dini sbaglia: il Pd è occasione per i liberaldemocratici», ha replicato il senatore Ds Stefano Passigli. «Quanti come noi si sono riproposti di dare vita nel Partito democratico a un'area politico culturale di ispirazione laica, confermano di considerare il Pd come la sola via per rendere maggioritari questi valori. Prendere le distanze dal Pd significa indebolirli e perdere un'opportunità di dar loro sostanza». «Ogni rinuncia rappresenta un'occasione mancata, soprattutto per quelli che scelgono di non partecipare», ha detto Antonello Soro, coordinatore della Margherita .


 

Telereggiocalabria.it  18-9-2007  Morrone, Udeur: "Non sottovalutare messaggio Beppe Grillo"

 

"La politica non può e non deve sottovalutare il fenomeno Grillo. E nemmeno limitarsi a rispondere con sufficienza". E' quanto afferma in una nota il segretario di presidenza della Camera dei Deputati e responsabile nazionale enti locali dell'Udeur, Ennio Morrone, circa le dichiarazioni di Beppe Grillo sulla politica. "Non si possono ignorare - ha aggiunto - gli aspetti qualunquistici dei discorsi del comico genovese, certo. E sul tema dell'indulto, ad esempio, di argomenti poco seri Grillo ne ha sostenuti molti. Ma il fenomeno deve far riflettere per il seguito e l'attenzione che gli sta dedicando l'opinione pubblica. Se un comico che parla di abolire i partiti, azzerare la classe politica e fondare listi civiche con una sorta di marchio di garanzia costituito dal suo stesso nome ha un tale seguito è evidente che c'é qualcosa che non va". "Non è Grillo - prosegue Morrone - dunque il problema. Il problema sta nella fortuna che sta avendo. La politica deve rispondere. E deve farlo con i fatti. Si deve opporre alla cattiva politica la buona politica. Gli sprechi della politica devono lasciare il posto al taglio della spesa pubblica. E' necessario ridare fiducia ai cittadini. Pensando ai parlamentari gli elettori devono tornare a pensare ai loro rappresentanti, a chi difende i loro interessi. A chi lavora per l'Italia. Sembrano obiettivi difficili da raggiungere. In realtà non è così. Se la politica saprà lavorare bene, la fiducia degli Italiani sarà presto riconquistata e quanti predicano il qualunquismo pur di farsi un po' di pubblicità verranno isolati". "Grillo altro non è - conclude - che un predicatore che ha trovato uno spazio vuoto da colmare, un'insoddisfazione da cavalcare. Di gente come lui è piena la storia di ogni democrazia".


 

L’Unità 19-9-2007 Università, Mussi a caccia di corrotti: «Non avrò pace finchè non li vedrò cacciati»

 

Caccia grossa a corrotti e corruttori. Vertice a due tra il ministro dell’Università Fabio Mussi e il commissario anticorruzione Achille Serra: «Voglio dire con chiarezza ai docenti coinvolti nelle truffe – ha minacciato Mussi – che non avrò pace finché non li vedrò cacciati». «Bisogna liberare l'Università dai corrotti e dai corruttori – ha spiegato il ministro – Circoscrivere il fenomeno e colpire». A dare man forte al ministro, anche Serra che ha ammesso che «il fenomeno è più ampio di quanto appaia». «Ora – ha proseguito il commissario anticorruzione – abbiamo due obiettivi: valutare l'entità del fenomeno delle irregolarità, cercando di capire anche se si tratta di un fenomeni nazionali o legati a realtà locali, e - continua- prevenire gli illeciti futuri dettando regole precise. Intanto, chi ha sbagliato deve andare via».

Il ministro Mussi lancia un appello alle migliaia di studenti che hanno denunciato irregolarità nei test di ammissione all’università: «Denunciate subito – li ha esortati – bisogna contestare a prova aperta». Un settembre nero per il ministro di Sinistra Democratica, che però tiene a precisare che questo «non è l'anno della corruzione» ma è l'anno «in cui è cominciato a venir fuori il fenomeno».

A far emergere le truffe sono state le denunce di centinaia e centinaia di studenti che hanno assistito a scene clamorose – professori che sedevano al fianco di alcuni esaminandi, suggerimenti, libera uscita dall’aula solo per qualche studente – ma anche quelle che Mussi chiama «anomalie statistiche clamorose», come ad esempio la concentrazione dei migliori risultati in alcune città, come Messina, dove gli studenti hanno dato magnifica prova di sé, «in particolare nella stanza 3D», chiosa ironico il ministro.

Ma al di là di quanto successo, il problema è il futuro. «Io sono contrario al numero chiuso – ha dichiarato il ministro – ma ci sono vincoli europei per cinque professioni. È evidente che la riduzione dei corsi a numero chiuso deve andare di pari passo con i mezzi forniti alle università per fornire percorsi didattici adeguati». Qualcosa, precisa Mussi, comunque è già stato fatto: «Grazie anche ad una lettera che mandai ad aprile ai rettori – sottolinea il ministro – per la prima volta i corsi ad accesso programmato si sono ridotti del 15%, sono 160 in meno». Dal prossimo anno, inoltre, il voto di maturità e l'andamento degli ultimi tre anni delle superiori varranno 25 punti nei test di ammissione, «un provvedimento che attenua il rischio del colpo secco nei test», quello che può aiutare anche i meno meritevoli.


Milano Finanza 19-9-2007  L'euro ha sconvolto la repubblica delle banane

 

L'euro ha sconvolto la repubblica delle banane Clemente Mastella, colto assieme al figlio in rotta verso l'autodromo di Monza su un aereo di stato, ospite di Francesco Rutelli, ha ragione e torto, a un tempo, nel reagire contro le polemiche che gli si sono abbattute addosso come un temporale estivo. Ha ragione quando si stupisce del fatto che, almeno inizialmente, solo lui sia stato incastrato nella gogna mediatica per una scelta, poi, che è legalmente ineccepibile ma che è anche politicamente azzardata. Ha invece torto quando non capisce che in Italia il clima è completamente cambiato nei confronti dei politici che usano con disinvoltura, anche se legittimamente, i fondi pubblici.L'opinione pubblica italiana, che ai tempi della Milano da bere sorrideva con sufficienza e compatimento di fronte ai viaggi di stato pieni di nani e ballerine e che non batteva ciglio quando un ministro che allora veniva definito come "il Grande forforato", per la lunga zazzera che non aveva mai conosciuto l'onta di uno shampoo, andava in giro per balere con voli di stato, adesso non fa più sconti a nessuno. Non è che 20 anni fa l'opinione pubblica non sapesse. è che 20 anni fa sapeva e tollerava e invece adesso non tollera più.TSUNAMI POLITICO - A un sistema (che per molti coincide con la classe politica) che chiede continuamente nuovi sacrifici alla gente, in un tunnel di cilici di cui non si vede il fondo, l'opinione non fa più sconti. I mutamenti sociali sono come gli tsunami. Arrivano improvvisamente, imprevedibilmente. E sono deflagranti. Non possono essere contrastati. Al massimo, possono essere surfati. Chi si oppone viene travolto senza scampo. è quindi patetica la reazione di Silvio Sircana, il portavoce di Prodi, perché è frutto di una non conoscenza dei fondamenti di questi fenomeni, che un esperto di relazioni pubbliche dovrebbe conoscere (per documentarsi gli consigliamo Movimento e istituzione di Francesco Alberoni, che è addirittura del 1977). Sircana, per reagire a questo scandalo mediatico, ha chiesto l'elenco dei voli di stato fatti durante il precedente governo Berlusconi e "soprattutto" l'elenco di chi, su quegli aerei, era stato ospitato a sbafo. Dall'indignazione popolare su questi comportamenti non ci si salva, oggi, nel 2007, dicendo che gli altri facevano peggio, ma solo dimostrando che adesso ci si comporta meglio. Come, per esempio, si comporta meglio, bisogna riconoscerlo, il presidente del consiglio Romano Prodi, che nei suoi spostamenti da e per Bologna usa regolarmente il treno, mentre il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, si è recentemente rassegnato controvoglia a usare il treno per andare da Roma a Firenze (due ore di viaggio, comodissimo), solo perché gli aerei di stato erano tutti prenotati da altri.SEGNI PREMONITORI - Ma che cosa è successo per far ritenere inaccettabile ciò che fino a pochissimo tempo fa era digerito senza sforzo dall'opinione pubblica? E perché un libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo (La casta), che tratta gli stessi argomenti sviluppati dagli stessi autori nei loro libri precedenti, che però vendevano sulle 20 mila copie, adesso vende 750 mila copie, e non si è ancora fermato, nelle librerie? E perché, ancora, l'Espresso, da quando ha scelto di prendere di mira i politici senza far loro sconti, registra aumenti di vendita del 60%, in un momento in cui tutti i giornali stanno soffrendo una contrazione?Il motivo di questo mutamento radicale è dovuto all'adozione dell'euro e ai conseguenti parametri di Maastricht, nonché alla più accesa concorrenza internazionale da mondializzazione dei mercati. Euro e Maastricht (con i relativi parametri-tagliola) ci impediscono di usare quella droga che è l'inflazione (che toglie il dolore, ma che, come tutte le droghe, dà assuefazione, dipendenza e intorpidisce le reazioni collettive; dopo il primo flash che dà sollievo a tutti, essa infatti premia i debitori e punisce i creditori; fa crescere il valore dei patrimoni, specie immobiliari, ma deprime il potere d'acquisto delle retribuzioni).Euro e Maastricht ci impediscono anche di ricorrere a quella sorta di condono-amnistia che è la svalutazione della moneta.Gli italiani che operano nelle imprese esposte alla concorrenza sono quindi stati espulsi, di fatto, a causa dell'euro, dalla repubblica delle banane nella quale abitavano e che criticavano, ma dalla quale traevano anche deleteri benefici. Le imprese italiane, che adesso sono strette tra un fisco che non fa sconti, una concorrenza internazionale che abbassa i prezzi, un euro che, anziché svalutarsi come la vecchia liretta, continua a rivalutarsi, persino nei confronti del dollaro, e un'Europa senza frontiere, che è cresciuta come una metastasi fino a includere ben 27 paesi), le imprese italiane, dicevo, stanno da qualche tempo raschiando il fondo del barile, hanno messo sotto ferreo controllo i costi di produzione, hanno tolto tutto il grasso dovunque esso fosse, e adesso molte di esse, alla perenne ricerca di nuove risorse, stanno addirittura incidendo anche sui muscoli aziendali. E i lavoratori dipendenti, oltre a non trovare posti di lavoro per i loro figli, constatano che ogni (sia pur modesto) aumento retributivo è subito divorato dal fisco e dagli oneri contributivi, in un gioco che, se non fosse crudele, sembrerebbe un brillante esercizio di prestigio. Prendi questo aumento di 100 euro, ma in busta paga poi leggi che l'aumento, depurato da tasse e contributi, è solo di 50 euro.LA VERA RAGIONE - Ecco spiegato (anche se i politici fanno finta di non capirlo) perché 2 milioni di italiani che avevano votato 18 mesi fa per il centro-sinistra, gli hanno voltato le spalle nelle ultime elezioni amministrative. Ecco perché, dopo aver appreso che l'Alitalia perde 4 miliardi di vecchie lirette al giorno, gli italiani auspicano, senza versare una lacrima, che fallisca al più presto. Ecco perché, dopo aver alzato le spalle e sorriso con sufficienza, fino a tutti gli anni 80, davanti all'arroganza dei voli di stato e delle auto blu con le sirene spiegate, adesso si arrabbiano di brutto. Ecco perché a Bologna (Bologna, la capitale del partito) il rito contro i partiti, celebrato da Beppe Grillo, ha attirato 50 mila persone.è cambiato il vento. E i politici di ogni colore, se vogliono salvarsi, debbono tenerne conto. Abbassando il loro esibizionismo e convertendosi anche loro, nella gestione della cosa pubblica, al rigore che gli italiani, che sono stati espulsi dalla repubblica della banane, sono costretti ad adottare e a subire.


 

Il Giornale di Brescia 19-9-2007 IN PRIMO PIANO Il segretario Ds scrive ai presidenti di Camera e Senato. Bertinotti replica: l'abbiamo già fatto. Marini: semmai cambiamo la legge Fassino: abbattiamo i costi della politica

 

ROMA Piero Fassino indossa i panni del moralizzatore, convinto che, in tempi di V-Day e di antipolitica, la "casta" debba saper ascoltare e soprattutto rispondere al disagio dei cittadini. "Stop agli aumenti automatici degli stipendi dei parlamentari" è la richiesta che il leader della Quercia avanza ai presidenti di Camera e Senato. Ma la risposta non è delle più calorose: Bertinotti si affretta a far notare che "tagli sono stati già fatti e ben prima di Grillo"; Marini constata che solo una modifica della legge può eliminare un privilegio. E anche nel Pd c'è chi ritiene che la scure sugli stipendi, indicata da Fassino, non sia la risposta giusta a Grillo. La richiesta del leader della Quercia arriva, per lettera, ai due rami del Parlamento dove da gennaio c'è un doppio regime: se ai deputati gli aumenti automatici sono stati congelati, i senatori possono godere di circa 200 euro in più. Certo non cifre da capogiro, ma per Fassino significative di una volontà di avvicinare la vita dei parlamentari a quella dei cittadini e di "non volgere lo sguardo altrove" davanti ai segnali di insofferenza che arrivano dai cittadini ma anche dagli elettori del centrosinistra. "La credibilità di chi riveste incarichi pubblici - scrive il segretario della Quercia a Bertinotti e Marini - dipende anche dalla sobrietà dei suoi comportamenti e dal condurre una vita normale. Tutto ciò che appare privilegio, disparità di trattamento, condizione di favore non può che irritare i cittadini e ridurre la loro fiducia nelle istituzioni e nella politica". La replica del presidente della Camera è immediata, prima per scritto e poi a voce, e tra le righe traspare una punta di irritazione: "Gli aumenti automatici - risponde Bertinotti - sono stati congelati a gennaio e Fassino dovrebbe saperlo, essendo deputato". Montecitorio, rivendica Bertinotti, "ha agito prima di Grillo, bisognerebbe evitare gli effetti distorsivi nella lettura dei fenomeni". Fassino ringrazia e si spinge oltre nella cura dimagrante: nuove norme sugli stipendi dei parlamentari "ispirate a rigore, sobrietà e trasparenza". Se alla Camera si è già agito, al Senato la proposta del segretario Ds arriva forse troppo tardi. "C'è un solo modo di intervenire: cambiare la legge", puntualizza in aula Marini. Fin qui i vertici delle istituzioni. E non sembrano più entusiasti, al di là delle belle frasi, parlamentari e partiti. Per la sinistra radicale la proposta del Ds è poco più che un punto di partenza. "Bisogna intervenire con la scure e non con la lima", sostiene il ministro del Prc, Ferrero. Ora, incalza il leader dei Verdi Pecoraro Scanio, bisogna eliminare "consulenze e maxi-sprechi dal Parlamento alle Regioni". Tiene tutti in suspence il segretario del Pdci Diliberto annunciando tra 15 giorni "una salutare cura da cavallo" mentre l'Italia dei Valori si associa: siamo con Fassino. Dalla Cdl critiche di "demagogia" nella convinzione, sostiene l'azzurra Bertolini, che il leader Ds "tenti opportunisticamente di cavalcare il grillismo". Ma anche nel Pd non tutti sono convinti che la ricetta di Fassino sia la migliore per zittire "i grilli". Il coordinatore Dl, Soro, spiega di non condividerla ed avverte che "il più grande errore politico è cercare di scavalcare Grillo, di scimmiottarlo".


 

Italia Oggi 19-9-2007 Ora l'On. vuole pure il lampeggiante Nuove richieste nel dibattito sul taglio ai costi della politica Altro che taglio ai costi della politica di Claudia Morelli e Alessandra Ricciardi

 

 I deputati si lamentano dei ritardi e delle inefficienze del servizio di trasporto con le auto blu.. Alla camera si discute di auto blu e non per ridurle, ma per metterci pure un lampeggiante che ne faciliti lo scorrimento nel traffico. Già, perché, senza, l'onorevole rischia di rimanere bloccato tra le strade di Roma quando invece, magari, ci sono leggi importanti da votare in parlamento. La discussione sul servizio di auto blu è andata in scena tra i componenti dell'ufficio di presidenza della camera. Chiamati a discutere, e ad approvare, su proposta del collegio dei questori, il trasferimento di 12 coordinatori e tecnici del reparto autorimessa ad altra area. Una vera riqualificazione professionale, quella che interessa 12 sui 34 addetti del parco macchine di Montecitorio (tutti gli altri autisti sono esterni alla camera), visto che saranno inquadrati nei ruoli degli assistenti parlamentari. La selezione sarà fatta tenendo conto delle condizioni di salute degli interessati, che ne potrebbero limitare la piena funzionalità al reparto autorimessa, ma sopra tutto della loro naturale "attitudine". I trasferiti saranno individuati da un'apposita commissione, da istituirsi in seno alla camera, che assumerà informazioni sull'attività prestata da ogni singolo dipendente dal competente capo servizio. Un colloquio con il candidato, poi, sarà la prova decisiva per il passaggio. Ma l'operazione, che dovrà essere realizzata entro il 30 giugno 2008, finirà inevitabilmente per sguarnire i ruoli degli autisti, già oggi giudicati sottorganico rispetto alle esigenze di servizio dei deputati, si sono lamentati gli onorevoli. E così nell'ufficio di presidenza di Fausto Bertinotti si parla già di nuove assunzioni. L'argomento auto blu è del resto molto sentito, tra i deputati. Antonio Mazzocchi (An) si lamenta delle troppe assenze del personale in servizio, gli fa eco il collega Teodoro Buontempo che chiede un aumento dell'organico: visto che "le poche unità di personale che svolgono le mansioni di autista debbono sopperire a molteplici richieste di erogazione del servizio". E poi c'è il problema del traffico. Per rispondere a pieno "alle esigenze di celerità connesse a motivi istituzionali", Buontempo e la Valentina Aprea (Fi) concordano sulla necessità di dotare tutte le autovetture della camera di "dispositivi di riconoscimento". Insomma, con un bel lampeggiante si va molto più veloci. Alla tavola dei deputati, invece, il risparmio è servito. La camera risparmierà circa 3milioni e700mila euro con il progetto che prevede di affidare a una ditta esterna (Osama, la stessa che già opera al senato), il ristorante degli onorevoli. Infatti, se nel 2006 il volume è stato pari a 5milioni 232mila euro di spesa, a fronte di un costo medio per pasto di 90 euro, con la esternalizzazione si prevede di spendere appena un milione e 662mila euro. Si tratta di una prova, però, che durerà 18 mesi. Solo dopo il collegio dei questori deciderà se ripassare la palla agli uffici o indire una gara per l'appalto definitivo degli onorevoli pasti. nel frattempo, però, sette cuochi e venticinque addetti al servizio di ristoro dovranno trovare altra occupazione. Certo, il salto dal fornello alle fotocopiatrici o al centralino sarà un po' duro da digerire. Ma il collegio dei questori assicura che il reclutamento per le nuove mansioni è avvenuto in piena condivisione: la selezione ha puntato su chi ha manifestato la volontà di cambiare. E se poi i deputati non saranno soddisfatti del nuovo servizio e così la gara non verrà più indetta, tutto tornerà come prima, costi compresi. Ma almeno si potrà dire che ci hanno provato.


 

Il Secolo XIX 19-9-2007 La diminuzione dei tassi di interesse potrebbe portare un po' di calma nel mercato, ma potrebbe anche preparare il terreno a problemi ancora più gravi riguardanti i maggiori creditori, in particolar modo la Cina. Jeffrey Garten

 

NEW HAVEN. La diminuzione dei tassi di interesse potrebbe portare un po' di calma nel mercato, ma potrebbe anche preparare il terreno a problemi ancora più gravi riguardanti i maggiori creditori, in particolar modo la Cina. Abbiamo provato a immaginare un possibile incontro tra Henry Paulson, il Segretario del Tesoro statunitense, e un funzionario del governo cinese. Ecco come l'evento potrebbe svolgersi. Poco prima del meeting della Federal Reserve, Paulson riceve una chiamata dall'ambasciatore cinese a Washington, che sta organizzando un incontro con un vecchio amico di Pechino. Paulson invita a cena il diplomatico cinese. Mentre cenano, i due passano in rassegna una serie di argomenti mettendo a confronto i rispettivi Paesi di provenienza. Dopo il dessert ha inizio la vera conversazione. Il diplomatico spiega che la Cina si preoccupa del fatto che un problema tutto statunitense possa trasformarsi in una débacle globale. Il Paese asiatico teme che la Federal Reserve possa tamponare la crisi abbassando i tassi di interesse per evitare una lieve recessione, che i primi tagli non saranno ritenuti sufficienti dai leader politici statunitensi e che seguiranno altri provvedimenti. Facendo così però, il presidente della Federal Reserve getterebbe i semi per la prossima crisi, dimostrando che gli attuali salvataggi finanziari sono prontamente disponibili, favorendo così azzardi sempre maggiori. Una tale azione potrebbe venire legittimata se si profilasse una recessione più grave. Ma fino ad ora, i soli a suggerire questa soluzione sono coloro che hanno bisogno di aiuto. Il diplomatico fa notare che il 7 settembre, dopo pessimi dati sull'occupazione e un crollo della Borsa, lo stesso Paulson dichiarò che gli Usa potevano essere vicini a un rallentamento della crescita, anche se non si sarebbe trattato di niente di veramente drastico. Sì, ammette il diplomatico, le esportazioni cinesi potrebbero venire danneggiate nel breve periodo se la crisi facesse diminuire la domanda dei consumatori. Ma Pechino ha in ballo qualcosa di molto più importante nel lungo periodo. La Cina ha circa 1,4 mila miliardi di dollari di riserve di scambio estero, sostiene il diplomatico, due terzi delle quali investite in dollari Usa. Abbassando i tassi di interesse la Federal Reserve inonderebbe il Paese con denaro mutuabile a basso tasso d'interesse e ridurrebbe il valore dei dollari detenuti dai cinesi. Non importa, chiosa il funzionario cinese, che l'amministrazione Bush abbia perseguito una politica del dollaro debole per molti anni e non importa neppure che gli Usa spingano la Cina a rivalutare lo yen così che ogni dollaro varrebbe meno nella valuta cinese. Il problema, continua il diplomatico, è che la spirale al ribasso del biglietto verde non vede una fine. La Cina quasi spera in una recessione lieve ora, forzando gli Usa a contenere i consumi, iniziare a risparmiare e limitare l'attuale deficit riducendo le importazioni. Queste contromisure rallenterebbero la crescita del debito estero Usa e renderebbe possibile per la Cina smettere di prestare così tanto denaro agli Usa e preserverebbero il dollaro dalla svalutazione. "Parlando francamente, Signor Segretario, il suo Paese è come un maniaco compulsivo che non riesce a controllarsi, comprando tutto quello che vede, anche se prende in prestito più di quanto potrebbe permettersi", potrebbe dire il diplomatico. Il funzionario riferisce che i suoi colleghi non capiscono come i capitalisti possano essere così poco capitalisti. Quando i tempi erano migliori, le banche di investimento fecero delle fortune, escogitando strumenti finanziari troppo complessi da capire per chiunque, perfino per loro stesse, e assegnando valori arbitrari a tali fondi. In un'economia di libero mercato, le banche e gli investitori dovrebbero convivere con le conseguenze. Il diplomatico chiede perché la Federal Reserve dovrebbe andare in aiuto di chi corre questi rischi: "Prendendo in prestito un'espressione americana, mi pare che il vostro sistema si basi sulla nozione testa vince, croce?vince". Il funzionario insiste con Paulson su come gli Usa possano essere così interventisti e al tempo stesso colpire la Cina per cercare di evitare che la propria valuta cresca troppo rapidamente, in modo da salvaguardare le banche cinesi, esportatori ed importatori. L'uomo ricorda a Paulson la crisi asiatica degli anni '90: "I nostri vicini asiatici vivono al di sopra dei propri mezzi. Hanno perseguito cattive politiche finanziarie che li hanno vessati, ma ne sono usciti più forti di prima. Talvolta mi chiedo se noi asiatici siamo più orientati di voi al sistema di libero mercato". Fa una pausa prima di riassumere: "La Cina si sente con le spalle al muro. Il valore delle nostre riserve di dollari sta scendendo, i nostri investimenti basati sul dollaro perderanno sempre più il loro valore. Gli americani potrebbero pensare che abbiamo denaro da buttar via ma quei soldi ce li siamo guadagnati con un duro lavoro e dolorose riforme economiche. Dobbiamo risparmiare per investire massivamente nella scuola, nel settore energetico, nella tecnologia ambientale, in un moderno sistema di sicurezza e molto altro ancora. Inoltre gli Usa hanno reso molto difficile per gli investitori cinesi l'acquisto di attività nella vostra economia. Quando abbiamo cercato di comprare le attività della Unocal, ci avete escluso sulla base di questioni di sicurezza nazionale. Ciononostante, investire in America è ancora attraente per noi e, forse, potrebbe anche compensare la svalutazione del dollaro". Paulson è in imbarazzo. Dopo tutto la Cina è diventata il maggiore creditore americano. Paulson conosce la verità: gli americani non mettono niente da parte e i maggiori investimenti vengono di fatto realizzati con il tacito consenso di Pechino. Quando il governo americano parla di ricostruire New Orleans è solo perché la Cina dà i soldi allo Zio Sam. Quando gli Usa decidono di riedificare un ponte crollato, come quello di Minneapolis, è perché la Cina investe miliardi in buoni del Tesoro americani. Per di più, se la crisi finanziaria colpisse l'America a causa degli sviluppi nei mercati di credito o per qualsiasi altra ragione, Pechino potrebbe fungere da stabilizzatore utilizzando i propri fondi per acquistare attività e alzare i prezzi. Gli Usa, però, non devono dare la Cina per scontata. Paulson sa bene che se solo Pechino desse l'impressione di pensare di diminuire gli acquisti dei buoni del Tesoro americani, ciò sarebbe sufficiente a gettare Wall Street nel panico. La confusione di oggi sembrerebbe una sciocchezza. Paulson rimugina sul tempismo della visita, nel bel mezzo del caos finanziario. Al funzionario chiaramente non piace che la Federal Reserve abbassi i tassi di interesse. Allude forse al fatto che Pechino vuole essere consultata, come farebbe ogni importante creditore, su come gli Usa gestiscono le proprie politiche monetarie ed economiche? Si cela una minaccia dietro alle sue domande? Paulson capisce di essere il testimone dell'inizio di una nuova era in cui la Cina farà leva sul suo enorme potere finanziario per cercare di piegare gli Stati Uniti alla propria volontà. Questo potrebbe rappresentare un fondamentale punto di transizione nella storia della finanza, come quando la Gran Bretagna dovette dividere la leadership finanziaria con gli Usa dopo aver gestito da sola il mondo finanziario per almeno un secolo. I due uomini chiudono l'incontro scambiandosi qualche battuta. Il funzionario parla del suo ritorno a Pechino e dell'intenzione di parlare con amici comuni nelle alte sfere. Non appena il diplomatico sale sull'auto che lo aspetta, Paulson lo saluta con un cenno, gira su se stesso e chiude la porta. Corre a un telefono sicuro e chiama il Presidente Bernanke: "Sarà meglio che si sieda. Abbiamo un problema". © 2007 Yale Center for the Study of Globalization. Ripubblicato con il permesso di YaleGlobal Online (http://yaleglobal.yale.edu). (Traduzione di Silvia Bacigalupo ) Jeffrey Garten è docente di International Trade and Finance presso la Yale School of Management. È stato sottosegretario al Commercio Internazionale durante l'amministrazione Clinton. 19/09/2007 Il calo dei saggi può portare un po' di calma sui mercati, però a danno dei maggiori creditori 19/09/2007.


 

Il Riformista 19-9-2007 DA MORATTI A FORMIGONI Nordisti confusi su Malpensa

Certi nordisti difendono una buona causa, ma hanno le idee un po’ confuse. La buona causa è la valorizzazione di Malpensa ora che la delicata transizione di Alitalia si avvia a entrare nel vivo. Le idee un po’ confuse sono quelle che - a fatica, invero - si possono tratteggiare e riassumere accumulando lungo i giorni e le settimane lanci di agenzie, interviste e proclami assortiti. Come quelli buttati nel mucchio ancora ieri, ad esempio, da Diana Bracco, Letizia Moratti e Roberto Formigoni. Andiamo con ordine. La presidentessa degli industriali milanesi, intervistata da Repubblica, grida al disastro in caso di vendita ai francesi, chiede ad Alitalia di lasciare intatte le rotte, sostiene timidamente l’ipotesi del doppio hub, e accenna - ma senza troppo coraggio - alla necessità di ridimensionare Linate. Dopo aver detto che «se Alitalia avesse creato prima una base di armamento a Milano non saremmo arrivati a questo punto», e aver invitato a cercare fuori dall’Europa l’acquirente. Tanto aderente al pensiero di Diana Bracco da sembrare quasi lei in persona, è stato poi lungo tutta la giornata di ieri Roberto Formigoni, che oggi incontrerà l’ad Prato. Air France? Non ha la strategia per fare di Malpensa un Hub. L’obiettivo? Fare di Malpensa un hub anche senza Alitalia. Unica, rilevante differenza, rispetto alle parole di Bracco: l’invito a non lasciare inutilizzati, magari nella disponibilità di Alitalia, gli slot cui la compagnia di bandiera vuole rinunciare. Formigoni, inoltre, ha annunciato la disponibilità di due investitori internazionali per la costituzione di una cordata che veda proprio la regione Lombardia a far da garante. Linate? Va razionalizzato, non certo ridimensionato.
Infine, è stata la volta anche di Letizia Moratti, intervenuta in un consiglio comunale straordinario a tema Malpensa. Al governo ha chiesto di privilegiare le offerte che valorizzino Malpensa come hub (quali sono? E perché allora il suo uomo in Sea, Beppe Bonomi è corso a Dublino per parlare con Ryanair che ha certo progetti diversi?), e a chiesto uguale trattamento per Malpensa e Fiumicino. A leggere tutto e tutto insieme, sembra esserci molta carne al fuoco. A leggere meglio, però, il fumo sembra più della ciccia. A tutti, infatti, va ricordato che Air France (che vuole il ridimensionamento di Malpensa) è un’acquirente che la nostra disastrata compagnia di bandiera deve tenersi strettissimo, visto che fuori dallo studio di Prodi e Tononi non c’è mai stata la coda; che il doppio hub è una fantasia che non ha mai trovato riscontri nella realtà; che è pura demagogia chiedere oggi, dopo decenni di romanocentrismo incontrastato, una parità di trattamento tra Malpensa e Fiumicino. Che Malpensa non sarà mai un hub, e che nessuno sviluppo vero sarà possibile senza un drastico ridimensionamento - meglio sarebbe dire: chiusura - di Linate. Il resto sono chiacchiere e lamentele pseudonordiste da politici in eterna campagna elettorale per un posto che conta a Roma, o da imprenditori che già pensano al dopo-Montezemolo. E anche Viale dell’Astronomia, se ben ricordiamo, sta nella capitale.


 

INDICE 18-9-2007

INDICE 18-9-2007. 1

++  Il Sole 24 Ore 18-9-2007 Pessimista l'ex banchiere centrale - Accuse di protezionismo a Italia e Francia Greenspan lancia l'allarme immobili Simone Filippetti 2

++  Il Corriere della sera 18-9-2007 Dopo la Northern Rock ieri crollate in Borsa la Alliance & Leicester e la Bradford & Bingley. Attesa per le mosse della Fed Londra, altre due banche nella bufera mutui Clienti nel panico, code agli sportelli. Il governo britannico: garantiamo noi i depositi 2

++  La Gazzetta di Mantova 18-9-2007 Oggi la Federal Reserve taglia i tassi Usa Attualmente è fissato al 5,25%: potrebbe calare anche di mezzo punto  3

++  Il Sole 24 Ore 18-9-2007 IL RETROSCENA I salvataggi per Moody's è s tata derisa, criticata, vituperata da tutte le parti. Ma solo oggi, di fronte al salvataggio di Northern Rock, sorge un dubbio: forse Moody's, che lo scorso febbraio promosse i rating di 150 banche presupponendo che in caso di crisi sarebbero state salvate dallo Stato, aveva ragione? 4

+ BresciaOggi 18-9-2007 COSTI DELLA POLITICA Lo Stato elefantiaco La mia memoria politica abbraccia gli ultimi 50 anni, durante i quali sono stato testimone di meccanismi occulti e della logica di chi è chiamato a governare. Angelo Facchi 4

+  La Stampa 18-9-2007 Intervista Tiziano Treu "Perché non si toccano i costi della politica?" ROBERTO GIOVANNINI 5

+  La Stampa 18-9-2007 Resta bloccato in autostrada. per un'ora, il giudice lo risarcisce. Il fatto è avvenuto a Bolzano. Il signor Angelo, commerciante, a maggio si doveva recare a Trento per incontrare un cliente  6

+  Libero 18-9-2007 Una nuova fondazione con poltrone per gli amici di NATALIA ALBENSI 6

+ Corriere Alto Adige 18-9-2007 I COSTI DELLA POLITICA L'OFFENSIVA DEGLI AMBIENTALISTI "Pensioni dei consiglieri, basta privilegi" Proposta dei Verdi in Regione. Dello Sbarba: stop alla cumulabilità  7

Europa 18-9-2007 Fra due giorni è il XX Settembre: la nozione tornerà sulle cattedre e nei banchi di scuola? FEDERICO ORLANDO RISPONDE  8

ADNKronos.com 17-9-2007 Liste civiche, il popolo di Grillo: ''Beppe perché tanta fretta?'' I dubbi dei sostenitori del V-day: ''Rischiamo di far perdere credibilità a tutto quello che abbiamo fatto''. E ancora: ''Stai rinunciando alla missione per cui sei nato: essere pungolo del potere costituito''. E c'è chi attacca: ''Diventi vidimatore di bollini per entrare nella Casta''. Oltre 2000 commenti sul blog del comico che, dopo l'annuncio di ieri, oggi torna all'attacco: ''I politici solo chiacchiere e televisione'' 9

Il Riformista 18-9-2007 Grillo alla festa dell’Unità non è stato un incidente di Emanuele Macaluso  10

Finanza e Mercati 18-9-2007 La voce del Nord-Est in un manifesto politico di quasi 100 pagine. Sono le richieste delle pmi vicentine alle controparti politiche e istituzionali, primo destinatario il nascente Partito democratico. 10

La Stampa 17-9-2007 Iran, la frenata di D'Alema "La guerra non è la soluzione" Il ministro degli Esteri sull'allarme lanciato da Kouchner: «Serve tempo»  11

Il Corriere della Sera 17-9-2007 «Segregazione razziale nelle scuole Usa» La denuncia di alcuni esponenti delle minoranze  Alunni di colore spostati nelle scuole peggiori o processati come adulti dopo una rissa con compagni bianchi 12

 


 

++  Il Sole 24 Ore 18-9-2007 Pessimista l'ex banchiere centrale - Accuse di protezionismo a Italia e Francia Greenspan lancia l'allarme immobili Simone Filippetti

 

NEW YORK L'America è scossa da una bolla immobiliare: i prezzi delle case sono destinati a scendere, forse così rapidamente che nei prossimi mesi ci potrebbe essere anche una caduta fino a un 10 per cento. Quello che Alan Greenspan, l'81enne ex presidente della Federal Reserve, tratteggia assomiglia a uno di quei trend che possono anche portare all'esplosione di una bolla speculativa. Finora la temuta parola nessuno la pronuncia e anche l'ex guardiano dell'economia mondiale si è guardato bene dal farlo: in passato aveva definito "schiuma" il boom eccessivo degli immobili. Ma ora, nelle interviste rilasciate in occasione dell'uscita del libro con le sue memorie,ammette che l'espressione era solo un eufemisno per dire che in effetti una "bolla" si stava formando. Greenspan ha lasciato la Fed a inizio del 2006, ma la sua è ancora la voce più autorevole e ascoltata per capire come si muoverà l'economia. E tolti gli abiti istituzionali il banchiere è più esplicito: il mercato immobiliare ha iniziato una discesa ripida. Il declino nei prezzi delle case, è la sua previsione, "sarà più forte di quanto molti si aspettano". I valori immobiliari sono probabilmente già scesi di un 2-3% dai massimi, ma sono destinati a scendere ancora "quantomeno a tassi a una cifra, molto alta", ma Greenspan ha ammesso di non sorprendersi se questo valore diventasse a doppia cifra in autunno. L'ex banchiere centrale ha subito corretto il tiro, avvertendo che è assai difficile quantificare la discesa. Non è difficile, però, capire le conseguenze delle parole di Greenspan: se le case perdono valore, sarà sempre più difficile per le famiglie che hanno contratto mutui ottenere rifinanziamenti e aumenta il rischio di ulteriori crack immobiliari, contagiando i mercati. La bolla del mercato immobiliare, alimentata dal boom dei mutui, è iniziata quattro anni fa e il libro ricorda alcuni passaggi significativi. Agli inizi del 2003 i tassi sui mutui trentennali erano ai livelli più bassi dagli anni '60: è nata una corsa all'acquisto di immobili e nel giro di tre anni la percentuale di proprietari di case sfiorava il 70% (contro il 44% degli anni 40). Oltre alle previsioni sul mercato immobiliare Greenspan si spinge oltre e dà il suo beneplacitoall'impiego dell'euro come valuta di riserva, al posto del dollaro: attualmente la divisa di eurolandia copre il 25% delle riserve di valute delle banche centrali mentre il dollaro rappresenta il 66%. Se il banchiere si rivela un accanito e inatteso tifoso della moneta unica europea, non si può dire altrettanto delle politiche industriali del Vecchio Continente. Per Greenspan l'Italia è un paese protezionista, così come tutta l'Europa. Due righe, solo un breve accenno in oltre 500 pagine di memorie e commenti, ma molto taglienti. Ricordando la scalata di Enel a Suez, bloccata dai Governi, Greenspan bolla come solamente finalizzata alla difesa dei campioni nazionali l'atteggiamento del governo francese, ma anche quello di Italia e Spagna in altre occasioni (e il riferimento è probabilmente alla fallita operazione Autostrade Abertis).


++  Il Corriere della sera 18-9-2007 Dopo la Northern Rock ieri crollate in Borsa la Alliance & Leicester e la Bradford & Bingley. Attesa per le mosse della Fed Londra, altre due banche nella bufera mutui Clienti nel panico, code agli sportelli. Il governo britannico: garantiamo noi i depositi

 

DAL NOSTRO INVIATO LONDRA - Un lunedì di passione per l'economia britannica. I mercati, anche europei, ieri hanno guardato con grande apprensione le lunghe file di persone davanti alle filiali della Northern Rock, investita da una crisi di liquidità che l'ha portata a chiedere aiuto alla Banca d'Inghilterra. Per il terzo giorno la gente ha continuato a ritirare i propri risparmi al grido di "questa volta li metto sotto il materasso". Due miliardi di sterline (tre miliardi di euro) hanno già lasciato le casse del quinto istituto di credito del Paese, l'8% dei soldi depositati dai risparmiat ori nei conti correnti. Un'emorragia meno copiosa di quanto temessero alla City, anche se il titolo della Northern, specializzata nella concessione di mutui per la casa, ieri ha perso il 35,4%. La crisi ha investito anche altri due istituti bancari dalle caratteristiche simili: la Alliance & Leicester che ha chiuso con una perdita del 31,3% e la Bradford & Bingley con il 15,4%. Un segnale negativo che ha fatto tremare Downing Street, dove si temeva l'effetto domino. Ma finora non sembra che i clienti delle altre banche siano corsi a ritirare i propri risparmi. Anzi Barclays e Hbos, il terzo e il quarto istituto britannico dopo Hsbc and Royal Bank, hanno assicurato di aver avuto più clienti del normale. "Il flusso di denaro è sopra la media", ha detto il portavoce della Hbos Andrew McDougall. Ieri il Santander, che controlla Abbey National, ha dichiarato di non essere preoccupato. Ma la situazione rimane critica. Tanto che, ieri sera, Alistair Darling si è sentito in dovere di intervenire nuovamente per rassicurare i cittadini. "Il governo britannico garantirà la totalità dei risparmi della clientela Northern Rock", ha detto il Cancelliere dello Scacchiere dopo aver incontrato il premier Gordon Brown e il ministro del Tesoro americano Hank Paulson che ieri è arrivato a Londra per discutere della crisi innescata dai mutui subprime. "Questo significa - ha aggiunto Darling - che la gente può continuare a prelevare i propri risparmi, ma se sceglie di lasciarli presso la Northern Rock saranno garantiti". Anche le agenzie di rating hanno certificato la crisi con il loro intervento. Ieri Fitch ha declassato da "A" ad "A-" il rating a lungo termine di Northern Rock, ma allo stesso tempo ha deciso di aumentare da "BB+" ad "A-" il cosiddetto "rating di supporto" proprio per il sostegno offerto all'istituto dalla Banca d'Inghilterra tramite la concessione di una linea di credito d'emergenza. Ma molti a Londra accusano il governatore della Boe Mervyn Allister King di essere intervenuto troppo tardi. L'esempio da seguire, secondo gli analisti, era quello della Banca Centrale Europea che, subito dopo la crisi dei subprime, ha fornito denaro alle banche con un'asta ben sette volte. Ora cosa ne sarà della Northern Rock? Le voci di una vendita, o di una fusione, si rincorrono. Ieri sera la Bbc parlava di un interesse da parte di Rsb e Lloyds Tsb, quest'ultima era già in trattative per l'acquisto prima dell'estate. La banca, in un comunicato, ha ammesso di stare valutando "tutte le opzioni strategiche nell'interesse degli azionisti e dei clienti". E ha lanciato una campagna mediatica per riconquistare la fiducia dei risparmiatori. Oggi su molti giornali britannici comparirà una pagina di pubblicità. Il messaggio: "Sono stati giorni difficili ma la Northern Rock non vi abbandonerà ". La crisi ha colpito un po' tutta l'Europa. A Londra l'indice Ftse 100 ha perso l'1,6%, il Dax 30 di Francoforte ha lasciato sul terreno lo 0,24%e il Cac 40 di Parigi ha ceduto l'1,8%. In Italia, l'indice Mibtel ha chiuso con un meno 1,13%. In discesa i titoli bancari. Intanto cresce l'attesa per la decisione della Fed che oggi dovrebbe tagliare di almeno un quarto di punto i tassi. Monica Ricci Sargentini GORDON BROWN Sopra il premier britannico Gordon Brown. A sinistra, i risparmiatori in coda, ieri il terzo giorno di forte affluenza, per chiedere i rimborsi dei depositi Northern "valuta tutte le opzioni" ma smentisce contatti per la vendita LA VENDITA


 

++  La Gazzetta di Mantova 18-9-2007 Oggi la Federal Reserve taglia i tassi Usa Attualmente è fissato al 5,25%: potrebbe calare anche di mezzo punto

 

MILANO. Oggi la Federal Reserve taglierà il costo del denaro negli Stati Uniti. Attualmente negli Usa il tasso di sconto è fissato al 5,25% ma la crisi dei mutui, scoppiata nello scorso mese di agosto, porterà di sicuro le autorità monetarie a tagliare questa percentuale, magari dello 0,25%. In questo modo si va incontro a chi ha sottoscritto un mutuo e ora fatica a pagare le rate. Infatti le banche saranno chiamate ad adeguarsi e, quindi, le rate mensili diventeranno più leggere. Proprio per questo, c'è chi pensa che il presidente della Fed, Ben Bernanke, potrebbe addirittura tagliare il costo del denaro di mezzo punto, portandolo al 4,75%. Questa mossa sarebbe di sicuro gradita ai mercati finanziari e gli indici delle Borse potrebbero risalire. Però un taglio così forte potrebbe alimentare l'inflazione. Insomma, la Fed è fra due fuochi e ieri sono usciti due dati non confortanti: il petrolio ha di nuovo superato gli 80 dollari al barile (nuovo record) mentre i prezzi dei generi alimentari sono ancora in tensione. Dunque, con l'inverno alle porte (e il conseguente aumento di prodotti petroliferi) e il greggio ai massimi, un taglio drastico del costo del denaro potrebbe dar forza a un rialzo generalizzato dei prezzi. Se è vero che l'inflazione è il nemico numero uno di tutte le banche centrali, ecco che ieri sull'argomento è intervenuto Alan Greenspan, predecessore di Bernanke alla Fed. "Per fronteggiare l'aumento dei prezzi - ha detto - nei prossimi anni la Fed dovrà fare rialzi a due cifre dei tassi di interesse. I tassi a due cifre (quindi attorno al 10%, ndr) dovranno essere adottati per un breve periodo. E' chiaro che il compromesso fra inflazione e crescita si è alterato. La Fed deve essere più attenta all'inflazione di quanto abbia fatto io quando ero presidente". Greenspan, dunque, non vede l'economia Usa cadere in recessione (anche se, al momento, gli Stati Uniti sono esposti all'esplosione della bolla nel mercato immobiliare). "L'economia - dice l'ex capo della Fed - nonostante i problemi fiscali e quelli finanziari, sta ancora rimanendo salda". Greenspan vede un futuro luminoso per l'euro. "Nei prossimi anni - dice - potrebbe sostituire il dollaro come principale moneta di riserva. Il dollaro è ancora al primo posto, ma non ha tutto questo vantaggio sull'euro. In questi anni la Banca centrale europea è diventata un fattore serio nell'economia globale". Per Greenspan, nel 2006, il 25% delle riserve di tutte le banche mondiali erano in euro, contro il 66% in dollari. Per le transazioni internazionali, tuttavia, l'euro riprende posizioni con il 39% del totale, contro il 43% in dollari. "L'aumento dell'utilizzo dell'euro - dice Greenspan - ha portato a un abbassamento dei tassi di interesse in Europa e la cosa ha senza dubbio contribuito all'attuale crescita economica". Ieri un membro del consiglio della Bce ha detto che "i rischi di inflazione sono diretti verso l'alto e devono, pertanto, essere monitorati con grande attenzione". In serata il dollaro veniva scambiato a 1,3864 euro, in leggerissimo rafforzamento rispetto al mattino. (g.f.).


 

++  Il Sole 24 Ore 18-9-2007 IL RETROSCENA I salvataggi per Moody's è s tata derisa, criticata, vituperata da tutte le parti. Ma solo oggi, di fronte al salvataggio di Northern Rock, sorge un dubbio: forse Moody's, che lo scorso febbraio promosse i rating di 150 banche presupponendo che in caso di crisi sarebbero state salvate dallo Stato, aveva ragione?

 

Gli addetti ai lavori si ricordano sicuramente la data del 24 febbraio. Quel giorno Moody's annunciò infatti di aver elaborato una nuova metodologia di rating per le banche, in grado di tenere maggiormente conto del cosiddetto "supporto esterno". In pratica, Moody's aveva iniziato ad inserire nel rating di ogni banca anche la probabilità di un sostegno sistemico esterno in caso di difficoltà: per esempio l'ipotesi di un salvataggio favorito dalla Banca centrale. Il risultato di quella nuova metodologia fu dirompente. Centocinquanta banche incassarono infatti un'improvvisa e inaspettata promozione di rating, in alcuni casi anche di quattro o cinque gradini. Il caso più eclatante fu quello di tre banche islandesi (Glitnir, Kaupthing e Lansdbanki), passate in un colpo solo alla "Tripla A": stesso rating del Tesoro americano. Questo attirò su Moody's violente critiche. Così, alla fine, l'agenzia di rating decise di tornare sui suoi passi. Era l'aprile scorso, quando rivide la sua metodologia di valutazione e "tagliò" il voto di 44 banche in un colpo solo. Oggi, però, il mercato ha toccato con mano cosa intendeva Moody's: una banca, anche nella patria del libero mercato come la Gran Bretagna, difficilmente non viene aiutata dal sistema. ( My.L.).


+ BresciaOggi 18-9-2007 COSTI DELLA POLITICA Lo Stato elefantiaco La mia memoria politica abbraccia gli ultimi 50 anni, durante i quali sono stato testimone di meccanismi occulti e della logica di chi è chiamato a governare. Angelo Facchi

 

In tutto questo tempo, la macchina dello Stato non ha fatto altro che ingrandirsi, tramite nuove leggi, nuovi enti, maggiore burocrazia, dilatando a dismisura i dipendenti pubblici e i relativi costi amministrativi. Questo mostruoso meccanismo ha finito con l'ingoiare una fetta sempre più grande della ricchezza prodotta a livello nazionale, obbligando gli amministratori ad una crescente pressione fiscale. Non solo. Ma quando il gettito fiscale non bastava a soddisfare esigenze di cassa, i nostri politici non si sono fatti scrupoli e si sono indebitati, intaccando i redditi della futura generazione. I politici amano ripetere "pagare tutti per pagare meno". Ebbene, chiunque abbia memoria politica dal dopoguerra, sa benissimo che ogni volta che il gettito fiscale è aumentato, è aumentata la spesa dello Stato. Per contro, ogni volta che il gettito fiscale è diminuito, invece di tirare la cinghia, i nostri politici hanno aumentato i debiti. L'attuale governo non fa eccezione alla regola. Di fronte ad un aumento del gettito fiscale, invece di diminuire le tasse ha aumentato la spesa. Qualcuno potrà obiettare che l'aumento delle pensioni di sopravvivenza è dovere morale e sociale. È una vergogna che non si sia provveduto prima, ma in ossequio alla giustizia: i diritti non si finanziano aumentando le tasse ma tagliando i privilegi. E non vi è certo la necessità di elencare questi privilegi, che sono sotto gli occhi di tutti, finanziati dal sangue e dal sudore della povera gente, che paga allo Stato il 70% di tutto ciò che produce. Ritengo amorale e vergognoso che lo Stato debba pagare stipendi e pensioni da nababbi a personaggi che spesso non si limitano ad essere dei parassiti, ma danneggiano gravemente la comunità. Senza dimenticare quanto sono costate e continuano a costare le pensioni anticipate, privilegio esclusivo dei dipendenti pubblici. Senza contare la marea di posti di lavoro inutili, che i politici hanno creato per soddisfare le loro esigenze di clientelismo, intollerabile zavorra per il nostro sistema sociale. Sarebbe ora che lo Stato smettesse di dare soldi ai ricchi, di creare posti di lavoro inutili, ipotecando i guadagni delle prossime generazioni. Sarebbe ora di smettere di considerare la pensione come un diritto acquisito, sarebbe ora di considerarla un semplice assegno di sopravvivenza uguale per tutti, elargito esclusivamente a quei cittadini che non hanno reddito. Sarebbe ora di snellire questo Stato elefantiaco, al fine di abbassare una pressione fiscale intollerabile. Si sa che i cambiamenti epocali non si possono fare in un solo giorno, e nemmeno in una sola generazione. Basterebbe la volontà politica di cambiare strada, di muoversi nella giusta direzione.


+  La Stampa 18-9-2007 Intervista Tiziano Treu "Perché non si toccano i costi della politica?" ROBERTO GIOVANNINI

 

ROMA "Bisogna essere rigorosi, seri, ma anche credibili rispetto alle cose che abbiamo promesso e alle aspettative dei cittadini. Per questa Finanziaria bisogna certamente esercitare il massimo rigore nei tagli alla spesa, ma dare un segnale tangibile e visibile sulla riduzione delle tasse". Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro e dei Trasporti, esponente della Margherita è chiarissimo: sul Fisco il governo deve agire, Subito. Treu, il ministro dell'Economia Padoa-Schioppa lancia messaggi preoccupati. Soldi per la riduzione delle tasse ce ne sono pochi... "Questa Finanziaria è un'occasione che non può essere sprecata. E voglio essere chiaro: sono totalmente d'accordo con chi - a cominciare da Padoa-Schioppa - chiede impegno esemplare sul fronte del rigore. Per l'oggi e per il domani non possiamo adoperare per operazioni di aumento della spesa pubblica i proventi dell'extragettito, che sono una risorsa strutturale ma limitata. Nuovi impegni di spesa possono essere finanziati, certo, ma tagliando in altri punti, agendo sugli sprechi evidenti - come le mille inutili Commissioni - ma anche con colpi di scure in punti nevralgici dello Stato". Ovvero? "Io sono d'accordo con Eugenio Scalfari: si può dimezzare il numero dei ministri, dare una sforbiciata alla lista dei sottosegretari, riformare in modo forte alcuni livelli di governo. Ad esempio, si possono subito eliminare le Province che faranno parte delle aree metropolitane, oppure riunificare e riaggregare un buon numero di Comuni. Sarebbero segnali forti e inequivocabili: per razionalizzare e ridurre i costi della politica, ma anche per fare cassa. Stesso discorso va fatto per il piano di ringiovanimento della pubblica amministrazione pensato dal ministro Luigi Nicolais, che è importante. C'è già un turnover naturale significativo tra i lavoratori pubblici, l'idea di accrescerlo è positiva. Naturalmente bisogna vedere come e dove". Dunque, il suo è un "no" a un allentamento del rigore. "Ci mancherebbe altro. Io dico che dobbiamo avere le carte in piena regola sul fronte del rigore. Dopodiché...". Dopodiché? "... il centrosinistra ha fatto delle promesse ben precise. Dobbiamo dare un segnale sulle tasse, altrimenti non siamo più credibili di fronte agli elettori. Il Parlamento, a larghissima maggioranza, ha dato una indicazione molto precisa sulla riduzione dell'Ici, indicazione che va mantenuta e rispettata. Del resto, è scritto esplicitamente nel Dpef, e dunque vale per il Parlamento ma anche per il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa: le risorse dell'extragettito fiscale devono essere utilizzate direttamente per ridurre la pressione fiscale. Agendo sull'Ici, a favore delle imprese, dando un segnale sulle imposte personali sul reddito iniziando dai più poveri, i cosiddetti "incapienti"". Altrimenti, par di capire, sarà lo stesso governo a correre rischi. "Dobbiamo essere seri. Essere in grado di tagliare la spesa inutile o errata, e rispettare le promesse di alleggerimento del prelievo fiscale. Lo ha detto molto bene Walter Veltroni a Padova, ai lavoratori autonomi e agli imprenditori veneti: bisogna passare dalla vecchia nozione del "pagare tutti per pagare meno" al "pagare meno per pagare tutti". Che vuol dire cominciare ad alleggerire il contribuente nel momento in cui si fa anche una seria lotta all'evasione".


+  La Stampa 18-9-2007 Resta bloccato in autostrada. per un'ora, il giudice lo risarcisce. Il fatto è avvenuto a Bolzano. Il signor Angelo, commerciante, a maggio si doveva recare a Trento per incontrare un cliente

 

BOLZANO
È restato bloccato per un’ora sulla bretella d’accesso dell’autostrada a causa di un incidente stradale. Il giudice di pace gli ha riconosciuto un risarcimento danni di 200 euro.

Il fatto è avvenuto a Bolzano. Il signor Angelo, commerciante, a maggio si doveva recare a Trento per incontrare un cliente. Appena entrato sull’Autobrennero al casello di Bolzano Nord, però, il commerciante era rimasto bloccato in coda per un incidente con cinque feriti avvenuto un’ora e tre quarti prima. Una volta ripreso il viaggio, il signor Angelo era giunto in ritardo all’appuntamento e si era perciò recato dal suo avvocato, Laura Benuzzi, per chiedere danni, anche per il danno avuto alla sua immagine professionale. Il giudice di pace ha ritenuto fondata la richiesta del commerciante, assistito dal Cento tutela consumatori utenti di Bolzano, assegnandogli un risarcimento di 200 euro.

In particolare, il giudice ha accertato che non esistevano lavagne luminose con le quali avvertire gli automobilisti dei disagi in vista. Inoltre, il giudice non ha accolto quanto sostenuto della difesa, è cioè un riferimento ad un regolamento della Ue in tema di rimborsi dovuti a passeggeri di volo in ritardo, nella parte in cui il risarcimento viene erogato solo se il volo subisce un ritardo di almeno due ore. «Infatti - ha osservato il giudice - ben diverso è trovarsi dentro a un aeroporto dotato di tutti i confort (servizi igienici, bar, telefono, giornali, ecc.) rispetto al rimanere sul ciglio di una strada: nonostante ciò, con sole due ore di ritardo, a condizioni ben più vantaggiose, il passeggero di volo viene rimborsato».


 

+  Libero 18-9-2007 Una nuova fondazione con poltrone per gli amici di NATALIA ALBENSI

 

Veltroni fa il bis, come ogni vero artista. E spunta la Fondazione Cinema per Roma, moltiplicatore di notorietà, di fondi e di poltrone. Quasi 6 milioni di euro all'anno. Nonostante la sua campagna elettorale alla segreteria del Partito democratico punti molto sulla riduzione dei costi della politica, agli amici Walter non nega mai nulla. Figuriamoci poi quando si tratta di camminare su un tappeto rosso, quello della Festa del cinema, vecchia passione. Così, dopo la Fondazione Musica per Roma, che gestisce l'Auditorium Parco della Musica con a capo Gianni Borgna, ex assessore alla Cultura, si fa il bis con la Fondazione Cinema per Roma, presieduta dal senatore Ds Goffredo Bettini, che prima ancora era al posto di Borgna. E poi, arrivano i soldi. Nell'atto costitutivo della Fondazione le risorse disponibili indicate sono di 5,8 milioni di euro all'anno. Ovviamente, in quanto ente di diritto privato, senza i controlli riservati alla spesa pubblica. La Provincia di Roma ci mette 1 milione di euro, la Camera di Commercio un milione e 800mila, la Regione 1 milione e mezzo e lo stesso vale per il Comune. Ieri infatti è arrivata la delibera che prevede una variazione di Bilancio per accedere ai fondi e aderire all'iniziativa. Immediata la reazione dell'opposizione. "Ci viene chiesto di votare per l'adesione del Comune alla fondazione "Cinema per Roma"", hanno esordito Marco Marsilio e Dino Gasperini, rispettivamente capogruppi di An e Udc, "ma non si capisce perchè Veltroni e Bettini abbiano dovuto creare una nuova fondazione, dal momento che il successo della prima edizione della Festa del Cinema era stato garantito dalla gestione della fondazione "Musica per Roma". Nessuno sentiva pertanto il bisogno di farne un'altra, aggiungendo ulteriori spese per l'ennesimo presidente e l'ennesimo consiglio di amministra stipendiati dal Comune". "È un modo di procedere arrogante", sottolinea Marsilio, "che dimostra un'interpretazione padronale del Comune di Roma: infatti, contrariamente a quanto previsto dallo Statuto, al Consiglio non è mai stato chiesto parere sulla costituzione della Fondazione, mentre ora ci chiedono di ratificare quanto è stato già deciso". "Inoltre", aggiunge Gasperini, "non è possibile che alla guida ci sia un uomo di partito: la Fondazione è presieduta da un regista, ma non cinematografico, il regista dell'ascesa di Veltroni a leader del Partito democratico, nonché senatore Ds. Il che stride con la proposta di Veltroni di allontanare la politica dalla Rai". Nel frattempo, il contributo di Gasbarra è già arrivato: una delibera votata in estate ha impegnato la Provincia per tre anni e tre milioni di euro. Non senza conseguenze, come sottolinea il consigliere di Forza Italia Andrea Napoleoni: "Sono stati sacrificati sull'altare di Veltroni e Gasbarra centinaia di piccole associazioni che sopravvivono a stento dopo i tagli inferti a beneficio della Fondazione Cinema". Foto: SOLDI PUBBLICI La fondazione è finanziata tra gli altri da Comune, Regione e Provincia hanno stanziato rispettivamente un milione 800mila, un milione 500mila e un milione di euro Salvo per uso personale è vietato qualunque tipo di riproduzione delle notizie senza autorizzazione.

 


+ Corriere Alto Adige 18-9-2007 I COSTI DELLA POLITICA L'OFFENSIVA DEGLI AMBIENTALISTI "Pensioni dei consiglieri, basta privilegi" Proposta dei Verdi in Regione. Dello Sbarba: stop alla cumulabilità

BOLZANO - è giusto che un consigliere regionale con alle spalle una sola legislatura abbia diritto a una pensione vitalizia di 2196 euro al mese? è giusto, cioè, che con cinque anni di lavoro si possa ricevere una pensione che la grande maggioranza dei lavoratori non mette insieme neppure con 20,25 o 30 anni di lavoro? Secondo il gruppo dei Verdi in consiglio regionale non è giusto anzi, è un privilegio scandaloso che deve finire, subito. Per questo hanno presentato un disegno di legge regionale che prevede l'abolizione della pensione dei consiglieri regionali. Il disegno di legge riguarda anche i consiglieri regionali attualmente in carica e vieta la cumulabilità della pensione. In pratica nega la pensione come consigliere regionale a tutti coloro che ne percepiscono un'altra, cioè a tutti quelli che hanno un altro lavoro. Una categoria della quale fanno parte tutti i consiglieri, dal momento che la politica non è un lavoro, o non dovrebbe esserlo. "Non dimentichiamo - precisa Dello Sbarba - che, soprattutto ai consiglieri di maggioranza dopo l'attività in consiglio viene garantita la presenza nel consiglio di amministrazione di qualche azienda a partecipazione pubblica. Spesso questi incarichi vengono pagati centinaia di migliaia di euro. La nostra proposta dimezzerebbe subito i costi della politica". Sono 125 gli ex consiglieri regionali che beneficiano di questa pensione. I 30 consiglieri che hanno alle spalle una legislatura prendono una pensione mensile di 2196 euro. Coloro che ne hanno fatte due sono 36 e hanno 3690 euro al mese. I 34 con alle spalle 15 anni da consigliere regionale ricevono un assegno mensile di 5168 euro. Infine i 25 che hanno fatto quattro legislature, o più, ricevono un assegno di 6637 euro. Per tutti la pensione è reversibile e cumulabile e scatta al sessantacinquesimo anno di età. Il disegno di legge regionale è stato presentato ieri dai consiglieri Verdi Riccardo Dello Sbarba, Cristina Kury e Hans Heiss: "Nel 2006 - ha spiegato Dello Sbarba - la spesa per le pensioni dei consiglieri regionali è di 11.100.186 euro, tanto quanto si spende per gli stipendi dei consiglieri. Nel 2007 ci sarà il sorpasso. Secondo il bilancio di previsione infatti per le pensioni si spenderanno 13,5 milioni mentre per gli stipendi 12,7. Questo disegno di legge regionale è il primo di una serie di atti che mirano a ridurre i costi della politica, un'esigenza che la politica sente propria a tutti i livelli da tempo, come prevede l'accordo che Comuni, Provincie e Regioni hanno sottoscritto con il governo lo scorso maggio. In base a questo accordo il governo ha ridotto lo stipendio dei ministri e i presidenti di Camera e Senato hanno ridotto le auto blu, tanto per fare un esempio". "Cogliamo l'occasione anche per chiedere che il consiglio regionale lavori - attacca Dello Sbarba - e non faccia come negli ultimi mesi, nei quali tutto quello che ha fatto è stato incontrare un inviato del Tibet, Luciano Violante o i rappresentanti della Valle D'Aosta. Il consiglio regionale ha delle competenze. Vogliamo che se ne occupi". La risposta del presidente della Provincia Luis Durnwalder: "Sono d'accordo a prendere provvedimenti di questo genere, ma solo dopo che Roma ha dato l'esempio - dice - in queste cose bisogna iniziare dall'alto e poi scendere. Se si inizia dal basso, in alto non si arriva mai. E poi credo che coloro che hanno fatto la proposta siano i primi a sperare che non venga accettata". Damiano Vezzosi 125 CASI Sono gli ex consiglieri regionali che beneficiano di una pensione legata ad "almeno una legislatura" 13,5 MILIONI La spesa nel bilancio di previsione regionale per le pensioni dei consiglieri Per gli stipendi sono 12,7 milioni


Europa 18-9-2007 Fra due giorni è il XX Settembre: la nozione tornerà sulle cattedre e nei banchi di scuola? FEDERICO ORLANDO RISPONDE

http://www.europaquotidiano.it/site/images/transparent.gif

Cara Europa, fra due giorni è il 20 settembre (ai miei tempi sui libri di scuola si scriveva alla latina XX Settembre). Oggi, né in italiano, né in latino, gli studenti, i genitori e credo molti insegnanti non sanno nulla del XX Settembre. Potreste ricordarlo voi, visto che il ministro Fioroni ha deciso di riportare la scuola alla serietà, e quindi anche alle “nozioni” della storia?
ALBERTO MENNA, NAPOLI

 

 Caro Menna, credo che solo un napoletano si ricordi del XX Settembre dopo quasi 80 anni che il concordato tra Mussolini e Pio XI ne fece cadere in disuso la festa nazionale. Trent’anni dopo, essendo nel frattempo nato anch’io, cresciuto e diventato vice segretario nazionale della gioventù liberale, scrissi una circolare “storicopolitica” alle federazioni provinciali, ma il segretario del partito Malagodi, che voleva tornare a collaborare con la Dc, me la bloccò all’ufficio ciclostile. L’Italia aveva la nuova costituzione col concordato incorporato, e anche il leader del partito “erede” della storia che aveva avuto nel 20 settembre la sua apoteosi, si adeguava al ruolo clerico-moderato: così congeniale ai conservatori italiani, cattolici o laici.
Oggi solo i radicali torneranno il 20 a Porta Pia (ore 17-17,30); e neanche fra lei e me ci sarebbe questo scambio di corrispondenza se entrambi (credo) non avessimo letto le due pagine che, su Repubblica di domenica, Miriam Mafai ha dedicato a L’ultimo giorno del Papa Re, il libro di Antonio Di Pierro che Mondadori manderà oggi in libreria, e che – a quanto ne scrive la Mafai: a noi gli editori non fanno l’onore delle anticipazioni, i libri ce li compriamo coi soldi nostri, che è più bello – è una descrizione non solo della cornice storica degli avvenimenti, ma anche dei fatti e fatterelli dell’operazione che nel settembre del 1870 (caduto a Sedan Napoleone III, ultimo difensore di Pio IX per tenersi buoni i cattolici francesi), si svolsero a Firenze, capitale del regno, e tra le mura vaticane. C’è, in miniatura, quasi tutta la futura Italia dell’8 settembre 1943.
Spero che lei, per suo gusto, e i maestri e i professori in coerenza con la direttiva Fioroni (al quale deve andare il nostro ringraziamento per aver ribaltato dopo 40 anni la lotta sessantottina al “nozionismo” e al “merito”), leggano, se non questo libro di 280 pagine, qualche “bignami” fatto bene.
Ma soprattutto vorrei che, insieme alla nozione, ricordassero due cose ai ragazzi. La prima è che il papa-re finì perché, come aveva detto Croce del regno di Napoli, “era finito in idea”. La seconda che, secondo il monito di un altro grande storico, tedesco, «Non c’è Italia senza Roma e non si va a Roma senza un grande ideale». E questo, più che agli studenti, vale ricordarlo a chi a Roma malgoverna e sgavazza.


 

ADNKronos.com 17-9-2007 Liste civiche, il popolo di Grillo: ''Beppe perché tanta fretta?'' I dubbi dei sostenitori del V-day: ''Rischiamo di far perdere credibilità a tutto quello che abbiamo fatto''. E ancora: ''Stai rinunciando alla missione per cui sei nato: essere pungolo del potere costituito''. E c'è chi attacca: ''Diventi vidimatore di bollini per entrare nella Casta''. Oltre 2000 commenti sul blog del comico che, dopo l'annuncio di ieri, oggi torna all'attacco: ''I politici solo chiacchiere e televisione''

Roma, 17 set. (Ign) - Entusiasti, scettici, apertamente critici, delusi o esaltati. Dopo il lancio delle liste civiche annunciato ieri da Beppe Grillo, il popolo del V-day, e non solo, dice la sua sul blog del comico. Sono oltre 2000 i commenti postati fino a stamattina e la discussione sembra tutt'altro che esaurita.

Tra tutti i commenti il sentimento che sembra prevalere è lo stupore. In pochi si aspettavano una mossa del genere così presto e, se non è la buonafede del comico a essere messa in discussione, resta la perplessità di arrivare impreparati al 'grande passo'. ''
Grillo, perché tanta fretta? - si legge in un commento - Non era meglio far crescere il movimento trasversale con altri V-day per aumentare il numero dei partecipanti, in modo da avere un numero cospicuo di aderenti, uniformemente sparsi per tutto il territorio?''.

''Sono pienamente a favore della tua proposta - scrive un altro sostenitore -, ma questo
è un passaggio delicato, non vorrei si corresse troppo, l'obiettivo che ci si propone è affascinante, giusto e necessario, ma credo richieda organizzazione, chiarezza''. '' Io propongo a tutti - spiega - di iniziare a muoverci concretamente ora ma di essere operativi tra 9-10 mesi. Organizziamo altri V-Day (magari ogni due mesi) con scopi informativi e propositivi!''.

Tra i dubbiosi c'è chi, pur ammettendo che ''per cambiare la politica bisogna starci dentro'', pensa che l'idea delle liste civiche indebolisca il movimento. ''E' una mossa giusta - si legge in un commento -, ma è una mossa d cui non si era mai parlato... neanche accennato e che a vedercela attuare così di punto in bianco
rischia di far perdere credibilità a tutto quello che abbiamo fatto, a quelle 300.000 firme raccolte''.

E sono in molti a chiedere al comico di tenersi lontano dalla politica. ''La Casta balbetta, straparla, è alle corde e tu Beppe Grillo che fai?
Il vidimatore di bollini per far parte della Casta!'', si legge in un post. ''Sono totalmente contrario a questa idea - scrive un altro commentatore - I politici non aspettavano altro, e Beppe li ha accontentati - avverte -, e poi...la certificazione di trasparenza....vuoi imitare quelli di Addiopizzo? ma tu sei un comico, che certifichi tu?''. ''E poi - continua - veramente si è caduti nel qualunquismo, basta non aver avuto problemi con la giustizia e si va avanti?''.

Iniziano anche le prime defezioni. ''Con questa notizia io
abbandono questo movimento - annuncia un commentatore -, Travaglio aveva detto 'non penso che Grillo sia tanto stupido da entrare in politica'. Si sbagliava''. ''Ogni volta che i movimenti sono entrati in politica - avverte un altro - hanno fatto tutti una brutta fine''. ''Beppe...la politica no! - supplica un sostenitore - Non farti prendere dall'entusiasmo e non deluderci anche tu''.

''Grillo,
ti stai facendo 'normalizzare' - osserva un visitatore del blog - stai rinunciando alla missione per cui sei nato: essere pungolo del potere costituito''. ''Mossa pericolosa cari miei - avverte un altro -. La Lega all'inizio degli anni 90 propose una battaglia simile: nè di qua nè di là, lotta agli sprechi (Roma ladrona), ecc. Poi abbiamo visto cosa è successo''. ''Altre liste, altri partiti, altra pubblicità elettorale, altra confusione. - si legge in un post - Come immaginavo, non mi meraviglia, è caduta la maschera''.

Sono in molti, però, a prendere le difese di Grillo. ''
Non fraintendiamo il messaggio di Beppe! - dice uno dei supporter - Ci sta semplicemente dicendo: la Forza ce l'abbiamo (vedi 8 settembre); lo strumento ce l'abbiamo (la Rete); non aspettiamo nessun messia! Lavoriamo per costruire finalmente la democrazia diretta in Italia''. ''Non mi sembra che egli si sia presentato direttamente come presidente del Consiglio! - osserva un altro - Anzi ha fatto un passo indietro e cerca di lanciare i giovani che hanno il diritto di partecipare alla vita politica del nostro paese''. Tra i 'difensori' del comico c'è anche chi ipotizza che ''i commenti a sfavore delle idee di Grillo siano messi spesso da politici camuffati''. ''Attenzione - si legge in un post - tra ieri e oggi, tantissimi commenti sono firmati da nik mai letti prima''.

Naturalmente, al di là delle critiche in molti hanno accolto con entusiasmo l'iniziativa. ''Beppe si è mosso alla perfezione - si legge in un commento -.
Ha trainato il carro finché ha potuto, e lo farà ancora, ma ora tocca a noi prenderci le nostre responsabilità. Prima o poi questo momento sarebbe arrivato. Ora bisogna mostrare se il nostro malcontento e la nostra voglia di cambiamento è reale''. ''Il ruolo di garante, anziché quello di leader - scrive un sostenitore -, è il migliore che potevi scegliere ed eviterai le critiche della politica alla quale stai togliendo l'aria''.

Per il popolo del V-day è dunque arrivata ''l'età dello svezzamento''. ''Grillo dà oggi una risposta coerente, nel suo stile provocatorio - si legge in un post -, una risposta che è anche il solito suggerimento, che sempre ci è piaciuto e che quindi non può deludere:
la politica siamo noi''. Insomma, come scriveva ieri Grillo nel suo blog, la parola è ai cittadini.


 

Il Riformista 18-9-2007 Grillo alla festa dell’Unità non è stato un incidente di Emanuele Macaluso

Scorciatoie non ce ne sono e la strada della democrazia italiana è impervia, accidentata, in salita. Chi ha pensato al Pd come una scorciatoia avrà amare smentite dai fatti. Ma oggi, su questo tema, vorrei fare un discorso più generale. Parto da una dichiarazione di Andrea Camilleri, persona che stimo molto. Il quale, dopo un avvertimento mafioso al presidente degli industriali di Agrigento, ha riproposto «l’invio dell’esercito in Sicilia». E perché non in Calabria, in Campania, a Brindisi dove una banda di ragazzi estorceva con le torture denaro ad altri ragazzi? Caro Andrea, l’esercito italiano non è più fondato sulla leva, ma sul volontariato di mestiere, come i Carabinieri, i quali hanno le stellette come altri militari. Facciamo dell’esercito la quarta polizia? Alcuni sindaci volevano trasformare la polizia municipale in un altro corpo destinato a contrastare la criminalità.
L’Italia è il solo paese europeo che ha tante polizie il cui coordinamento è sempre difficile. La verità, caro Camilleri, è che né l’esercito, né la polizia, né i magistrati (strutture tutte necessarie) possono vincere la mafia se nei paesi, nelle città non ci sono forze sociali e politiche che non cedono ai ricatti mafiosi, e non si creano centri di aggregazione e di cultura antimafiosa. La decisione di Confindustria Sicilia di espellere gli imprenditori che pagano il pizzo è importante soprattutto come segnale. La lotta contro l’illegalità diffusa è un momento essenziale e va condotta soprattutto con i comportamenti di chi fa politica, di chi guida un sindacato, un’associazione, un giornale, una scuola, un ufficio pubblico o una parrocchia. È questo che manca e non c’è esercito che possa cambiarne il segno. La Confindustria ha fatto un passo. Occorre farne altri nel quadro di una battaglia politica, culturale, civile, contro la rassegnazione, il ripiegamento, le collusioni affaristiche che oggi intrecciano le amministrazioni locali, regionali e pezzi forti della burocrazia, al potere mafioso.


 

Finanza e Mercati 18-9-2007 La voce del Nord-Est in un manifesto politico di quasi 100 pagine. Sono le richieste delle pmi vicentine alle controparti politiche e istituzionali, primo destinatario il nascente Partito democratico.

 

"Le pmi devono crescere in eccellenza, ma anche in dimensione e potenzialità - afferma ApiVicenza - Ma quello che i nostri imprenditori potevano fare con le proprie forze lo hanno già fatto. Per consolidare lo sviluppo dell'Italia serve anche il sistema-paese". Sette i punti del manifesto. Sburocratizzazione e semplificazione delle norme. "In un sistema che vuole essere più competitivo, non può permanere una burocrazia che assorbe una quantità di costi enormi. Per non parlare della quantità di norme che si contraddicono le une con le altre, e che troppo spesso sono retroattive, incostituzionali e in contrasto con lo Statuto del contribuente". Un esempio per ApiVicenza sta nella manovra finanziaria 2007 che prevede 370 norme attuative, di cui 302 di tipo ministeriale e 60 regionale. Riforma della fiscalità. Le pmi chiedono che il bilancio civile diventi anche bilancio fiscale e quindi che l'Irap diventi un costo da portare in detrazione. Un intervento tanto più urgente per i subfornitori, cioè quelle aziende che hanno un'alta incidenza della manodopera e per le quali tra Irap e Ires spesso si arriva a una tassazione effettiva anche dell'80-90%. Studi di settore. Da un'indagine di Apivicenza risulta che il 48% delle aziende non è nè congruo nè coerente con gli studi di settore. Per la maggior parte si tratta di aziende che hanno fatto molti investimenti e quindi hanno pochi utili in rapporto al fatturato. Spesso risultano fuori parametri le aziende più virtuose. Riforma delle strutture a sostegno dell'esportazione. È necessario creare un Sistema Italia in grado di supportare le pmi all'estero, come accade per gli altri paesi europei. Così come è urgente l'applicazione di una copertura al credito per l'esportazione anche per le pmi. Regole chiare sull'importazione. Dall'import-export su base reciproca, al rispetto delle norme per i prodotti importati, al fine di combattere la concorrenza sleale proveniente dai paesi in via di sviluppo. Università e ricerca, dialogo biunivoco con le pmi. È necessario sostenere il rafforzamento dei sistemi di ricerca, trasferimento tecnologico e diffusione dei risultati. È importante il coordinamento dei programmi nazionali, l'incentivazione alla competitività e all'innovazione, facilitando la partecipazione delle pmi a programmi di ricerca e sviluppo. Flessibilità nel lavoro. È necessario anzitutto eliminare l'eccesso di precariato. Dall'altro, poi, è necessario favorire la buona gestione di forme di flessibilità regolamentata, introdotte dalla riforma Biagi, che ha contribuito in maniera evidente a migliorare la situazione occupazionale del paese.


 

La Stampa 17-9-2007 Iran, la frenata di D'Alema "La guerra non è la soluzione" Il ministro degli Esteri sull'allarme lanciato da Kouchner: «Serve tempo»

 

ROMA  I venti di guerra che soffiano sull’Iran oscurano la riunione di oggi dei governatori dell’Aiea. Al centro dell’appuntamento a Vienna la questione nucleare iraniana e proprio con un appello a Teheran il direttore dell’Agenzia Mohamed ElBaradei ha dato il via ai lavori. ElBaradei ha definito «deplorevole» il fatto che l’Iran si sia rifiutato di adempiere alle richieste del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sospendendo le attività di arricchimento dell’uranio. Ma non ha fatto menzione delle parole del ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, secondo il quale il mondo deve mettere in conto la possibilità di un conflitto contro il regime degli ayatollah. «Dobbiamo prepararci al peggio e il peggio è la guerra» ha detto Kouchner definendo al crisi nucleare iraniana «la più grave del momento».

Per ElBaradei l’uso della forza può essere solo l’ultima risorsa «Dobbiamo sempre ricordarci che si potrebbe ricorrere alla forza solo quando ogni altra opzione sia stata esaurita e ritengo che non siamo affatto arrivati a quel momento», ha dichiarato, «entro novembre o dicembre potremo sapere se l’Iran sta agendo in buona fede o meno e quindi chiedo a tutti di mordere il freno fin quando non avremo completato questo processo. Ho messo bene in chiaro che oggi non vedo un pericolo chiaro e immediato riguardo al programma nucleare iraniano». Da parte sua il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, frena sulla possibilità di un intervento militare. «Nuove guerre non credo che sarebbero la soluzione del problema. Prima di parlare di nuove guerre, bisogna lasciare il tempo necessario per l’iniziativa politica e diplomatica - ha detto D’Alema -,nuove guerre...creerebbero solo nuove tragedie e nuovi pericoli».

Anche per il premier francese Francois Fillon bisogna fare di tutto per scongiurare lo spettro di una guerra. «Il ruolo della Francia è di capofila nella ricerca di una soluzione pacifica a una situazione che potrebbe diventare estremamente pericolosa per il resto del mondo» ha detto. «Gli iraniani» ha aggiunto «devono capire che le relazioni con i Paesi vicini hanno raggiunto il punto di rottura».

La stampa iraniana ha accusato la Francia di essersi fatta interprete della politica di Washington, ma gli Stati Uniti stessi, per bocca del ministro della Difesa Robert Gates, hanno assunto una posizione più moderata sostenendo che «quello diplomatico ed economico è di gran lunga l’approccio preferibile».

Il dipartimento di Stato americano ha anticipato che il 21 settembre sarà discussa a Washington una bozza di sanzioni messa a punto dalle diplomazie di sei Paesi. Israele, intanto ha accolto con entusiasmo la nuova direzione presa dall’Eliseo. «L’Iran» ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, «non fermerà il suo programma militare nucleare fino a quando non capirà che la comunità internazionale è seria, compatta e determinata».


 

 

Il Corriere della Sera 17-9-2007 «Segregazione razziale nelle scuole Usa» La denuncia di alcuni esponenti delle minoranze  Alunni di colore spostati nelle scuole peggiori o processati come adulti dopo una rissa con compagni bianchi

 

 

WASHINGTON – Ritorna la segregazione nelle scuole del profondo sud americano. Lo dicono il tribuno nero ed ex candidato democratico alla Casa bianca Jesse Jackson, Martin Luther King III, il figlio di Martin Luther King, l'apostolo dei diritti civili, e altri leader della Coalizione arcobaleno (le minoranze) citando alcuni recenti incidenti. I principali: a Tuscalosa nell'Alabama, su pressione dei bianchi, il Consiglio comunale per l'istruzione ha ridistribuito gli alunni nelle scuole cittadine, ma spostando nelle peggiori solo i neri; e a Jena nella Louisiana sei studenti neri, tutti minorenni, che avevano picchiato un compagno bianco, sono stati processati come adulti. Jackson, Martin Luther King III e il reverendo Alan Sharpton hanno organizzato per giovedì una dimostrazione di protesta di 60 mila persone a Jena, che ha appena 3 mila abitanti.


La ridistribuzione dei 10 mila alunni di Tuscalosa è stata decisa dai sei membri bianchi del Consiglio comunale contro il parere dei due membri neri. È stata fatta, ha dichiarato il provveditore bianco agli studi Joyce Levy, che l'ha realizzata ad agosto, «per ridurre i costi di milioni di dollari e riportare nelle scuole pubbliche molti studenti bianchi che avevano scelto scuole private». Ha ribattuto uno dei due membri neri del Consiglio, Earnestine Tucker: «Non è vero, lo scopo era di creare di nuovo scuole solo per bianchi e scuole solo per neri. Siamo tornati agli Anni cinquanta e sessanta». La Tucker capeggia una rivolta delle minoranze, la metà circa della popolazione di Tuscalosa: ha fatto ricorso a un tribunale federale appellandosi alla legge del presidente George Bush sull'istruzione "No child left behind" (Nessun bambino resta indietro). La legge stabilisce che gli alunni di una scuola di secondo ordine hanno il diritto di passare a una scuola di primo ordine indipendentemente dalla razza.

In America, il processo di Jena ha destato ancora più scalpore della riforma scolastica di Tuscalosa. Il dicembre scorso, un alunno nero del locale liceo chiese di sedere sotto un albero monopolizzato dagli alunni bianchi. Il giorno dopo, qualcuno appese all'albero due cappi, un brutale richiamo ai linciaggi di mezzo secolo fa. Seguirono parecchi scontri razziali nella scuola: all'ultimo, Justin Baker, uno studente bianco di 17 anni, venne pestato da sei compagni neri fino a perdere conoscenza. Il primo a essere processato come un adulto, Mike Bell, suo coetaneo, è stato giudicato colpevole di tentato omicidio e rischia 15 anni di galera. Ma la settimana scorsa, dopo il ricorso dei difensori, una Corte d'appello ha annullato il verdetto ordinando che Bell sia processato come minorenne. La procura ricorrerà a sua volta, e il caso dei "Jena six", i sei di Jena come vengono chiamati, minaccia di fare esplodere la Louisiana, ancora scossa dal disastro dell'uragano Katrina che colpì soprattutto le minoranze.

Altri incidenti confermano che la tensione razziale è in aumento nell'istruzione americana: un cappio è stato trovato anche alla Università del Maryland presso Washington e tafferugli sono scoppiati alla Università Duke nella Carolina del nord dopo che alcuni atleti bianchi della squadra di Lacrosse erano stati accusati falsamente di stupro di una nera.

Ennio Caretto

 


INDICE 17-9-2007

INDICE 17-9-2007. 1

++  Il Giornale 17-9-2007 L'euro potrebbe rimpiazzare il dollaro come principale riserva valutaria del mondo. Lo ha detto Alan Greenspan, 2

++ Il Secolo XIX 17-9-2007 Pacifisti davanti alla casa bianca e campidoglio Greenspan: siamo andati in Iraq per il petrolio. 2

+  Il Sole 24 Ore 17-9-2007 INTERVISTA Achille Serra "La mappa del fenomeno sarà presto messa a punto" Dalla prefettura di Roma alla lotta anticorruzione. 3

+  La Stampa 17-9-2007 Microsoft, tribunale Ue boccia ricorso Confermata la multa da 497 milioni di euro inflitta all'azienda statunitensehttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif 4

+  Il Corriere della Sera 17-9-2007«Gradimento dal 50%» Il sondaggio: il comico piace a sinistra Il 17 % lo «voterebbe sicuramente», «simpatia» dal 33% Successo soprattutto nell'ala radicale della maggioranza. Renato Mannheimer 5

Da AGI Economia Oggi 16-9-2007 USA: GREENSPAN, CROLLO PREZZI CASE PER EFFETTO “BOLLA”  6

La Repubblica 16-9-2007 Sul suo blog il comico invita i cittadini che hanno partecipato al V-Day a partecipare alle prossime amministrative. "Definirò i requisiti necessari" 6

V-day, Grillo lancia le sue liste civiche "Chi lo merita avrà il mio bollino" 6

L’Unità 17-9-2007 LISTE PULITE Grillo lancia ora liste civiche autarchiche Per avere il suo "bollino" pone due condizioni: niente tessere di partito e essere incensurati di Federica Fantozzi 7

Il Tirreno 17-9-2007 L'annuncio sul blog: bisogna fare il salto. Lui non scenderà in campo, però ci metterà il bollino "Prendiamoci i Comuni" Grillo: ora le liste civiche. Ma i fans si dividono Il leader punta alle città: "E' lì che si fanno tante scelte decisive" ANDREA PALOMBI 8

La Stampa 17-9-2007 Beppe, ti prego candidati alla guida del partito democratico! Immagini quanti ti voterebbero? Io ti voterei anche se non sono un elettore del Pd". 9

La Repubblica 17-9-2007 Iran, l'allarme di Parigi "Prepariamoci alla guerra" Il ministro Kouchner ai francesi: non investite a Teheran Parigi propone "sanzioni europee" contro le banche, oltre a quelle imposte dall'Onu Gli Usa avrebbero già i piani per colpire 2mila obiettivi e bloccare gli aiuti agli insorti iracheni ENRICO BONERANDI 9

La Repubblica 17-9-2007 IL RETROSCENA Nel ruolo della colomba Condoleezza Rice che si oppone alla tesi di Cheney di un attacco immediato I "falchi" Usa premono per il blitz "Tutte le opzioni sono sul tavolo" MARIO CALABRESI dal nostro corrispondente  10

L’Arena di Verona 17-9-2007 Il giornale inglese Sunday Teleghraph rivela: gli Usa pronti ad attaccare l'Iran "La guerra in Iraq? Soltanto per il petrolio" 11

Il Sole 24 Ore 15-9-2007 Accordi di gestione delle crisi finanziarie da rivedere. dall'inviato a Oporto Antonio Pollio Salimbeni 12

Il Manifesto 17-9-2007 Per ridurre "i costi della politica", il principio di minima partecipazione Francesco R. Frieri - Giovanni Allegretti 14

Il Corriere della Sera 17-9-2007 Riforme non fatte e protesta antisistema Il grande errore di Angelo Panebianco  15

Il Corriere della Sera 16-9-2007 Il nemico in casa di Sergio Romano  16

La Repubblica 17-9-2007 Venerdì, crollo in Borsa Sabato, le file dei correntisti Oggi, la grande attesa Northern Rock, Londra trema ritirati già 2 miliardi di sterline Il Tesoro inglese: banca solvibile. 17

Il Manifesto 17-9-2007 Legge elettorale, Veltroni incalza: "Cambiarla è un emergenza nazionale". Bossi insiste, Forza Italia apre e Bertinotti è ottimista: "Si può fare". Ma sul modello tedesco non c'è accordo e la consultazione di primavera si avvicina Domenico Cirillo  18

La Repubblica 17-9-2007 Boom dei mancini: sono l'11% In un secolo sono triplicati Spesso, dicono gli scienziati, è indice di doti particolari condizione associata con alti livelli d'intelligenza e creatività. dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI 19

 


++  Il Giornale 17-9-2007 L'euro potrebbe rimpiazzare il dollaro come principale riserva valutaria del mondo. Lo ha detto Alan Greenspan,

Washington - L'euro potrebbe rimpiazzare il dollaro come principale riserva valutaria del mondo. Lo ha detto Alan Greenspan, ex presidente della Federal Reserve al settimanale tedesco Stern. "E' assolutamente concepibile che l'euro rimpiazzi il dollaro come riserva valutaria, oppure che venga trattato come un'egualmente importante riserva valutaria", dice il giornale in un'anticipazione dell'edizione di questa settimana. Greenspan ha inoltre detto che la regione che adotta l'euro ha tratto profitto della forza della moneta unica. Il suo uso come riserva valutaria ha portato a un calo dei tassi di interesse nella zona euro e "senza dubbio ha contribuito all'attuale espansione economica", ha dichiarato Greenspan. La crisi dei mutui Il calo dei prezzi delle case "sarà maggiore di quanto previsto dalla maggior parte delle persone". Ha detto Greenspan al Financial Times. Greenspan si aspetta "come minimo" una riduzione "a una cifra" rispetto al massimo toccato, ma non sarebbe sorpreso se il ribasso fosse "a doppia cifra", sostenendo che i prezzi sono già scesi del 2-3% dal top raggiunto a livello nazionale. Gli Stati Uniti sono ormai esposti all'esplosione della bolla nel mercato immobiliare ma non cadranno in recessione. La previsione è dell'ex presidente della Fed, Alan Greenspan. "Finora", ha detto alla Nbc, "non ci sono ancore prove. L'economia in questo stadio, nonostante i problemi fiscali, nonostante i problemi finanziari, sta ancora rimanendo salda".


++ Il Secolo XIX 17-9-2007 Pacifisti davanti alla casa bianca e campidoglio Greenspan: siamo andati in Iraq per il petrolio.

Pacifisti davanti alla casa bianca e campidoglio Greenspan: siamo andati in Iraq per il petrolio. Iran prossimo obiettivo Washington. Il "ritiro parziale" dall'Iraq, promesso giovedì dal presidente George W. Bush nel suo ultimo discorso alla nazione, non ha fermato decine di migliaia di pacifisti americani che, sabato pomeriggio, hanno dato vita ad un grande corteo di protesta a Washington, sfilando davanti alla Casa Bianca e al Campidoglio, sede del Congresso Usa. Duecento dimostranti sono stati arrestati ai piedi del Capitol, dopo che sono scoppiati alcuni tafferugli con la polizia, dispiegata in tenuta antisommossa. Gli organizzatori parlano di almeno 100mila presenze alla manifestazione indetta dalle principali sigle "No-War". Mischiati tra i manifestanti anche veterani della guerra in Iraq e molti familiari degli oltre 3.760 caduti. La tensione tra dimostranti e forze dell'ordine è stata favorita anche dalla presenza, lungo il percoso del corteo pacifista, di una parallela contro-manifestazione a sostegno della permanenza delle truppe in Iraq. A gettare altra benzina sul fuoco è arrivata anche una nuova stoccata di Alan Greenspan a George W. Bush: dopo aver bocciato la fallimentare politica fiscale del presidente nelle sue attesissime memorie da oggiani in libreria negli Stati Uniti, l'ex capo della Federal Reserve americana ha sostenuto come sia stato il petrolio la "ragione prima" per cui gli Stati Uniti hanno deciso l'intervento militare in Iraq. "Mi rattrista che sia politicamente sconveniente ammettere quello che tutti sanno: la guerra in Iraq è stata fatta, principalmente, per il petrolio", afferma l'81enne Greenspan, un repubblicano di ferro che per 18 anni ha retto saldamente le redini della banca centrale americana, prima di passare la mano nel febbraio 2006 al suo successore, Ben Bernanke. Secondo l'ex capo della Federal Reserve, Washington ha deposto il regime iracheno di Saddam Hussein perché ritenuto una seria minaccia alla sicurezza delle riserve petrolifere Sul fronte della guerra ieri i gruppi della resistenza hanno ucciso almeno 30 persone in diversi attentati. C''è apprensione anche per l'altro fronte nell'area mediorientale: quello ianiano. Secondo quanto ha rivelato ieri il "Sunday Telegraph" continuano i preparativi negli Stati Uniti in vista di una possibile azione militare contro Teheran. Secondo il "Sunday Telegraph", il Pentagono avrebbe messo a punto una lista di duemila obiettivi da colpire, mentre sono in molti a ritenere che gli sforzi diplomatici fin qui perseguiti per costringere Teheran a rinunciare al suo programma nucleare siano destinati al fallimento. Tanto che, sostiene il domenicale britannico, anche il segretario di Stato americano Condoleezza Rice, da sempre fautrice della linea morbida, sarebbe pronta a mettere da parte le divergenze con il vice presidente Dich Cheney, il "falco" dell'amministrazione Bush, appoggiando un intervento militare. Secondo lo scenario raccontato al "Telegraph" da una fonte di intelligence americana, le accuse all'Iran di interferenza negli affari iracheni verrebbero addotte a giustificazione di raid contro campi di addestramento iraniani e di depositi nei quali si fabbricano bombe. Il primo obiettivo sarebbe la base di Fajr della Forza Quds della Guardia rivoluzionaria nel sud dell'Iran, dove si sospetta vengano sviluppati gli ordigni utilizzati negli attacchi contro le forze americane e britanniche in Iraq. A quel punto, secondo la teoria che sta acquistando sempre più credito fra i circoli della sicurezza di Washington, l'Iran reagirebbe all'azione americana, per esempio bloccando le rotte delle petroliere nel Golfo Persico, offrendo così il destro per giustificare raid aerei americani contro gli impianti nucleari iraniani, che sarebbero distrutti. L'impressione prevalente nell'intelligence americana è che il nocciolo duro dell'amministrazione Bush -leggi Cheney - non voglia lasciare la Casa Bianca senza prima essersi assicurato che Teheran non sarà in grado di dotarsi di armi nucleari, almeno nei prossimi anni. R.E. 17/09/2007 Secondo il "Sunday Telegraph" il Pentagono avrebbe stilato una lista di duemila obiettivi da colpire sul territorio iraniano


+  Il Sole 24 Ore 17-9-2007 INTERVISTA Achille Serra "La mappa del fenomeno sarà presto messa a punto" Dalla prefettura di Roma alla lotta anticorruzione.

 

Achille Serra non ha lo stile molto riservato di Gianfranco Tatozzi, né quello garbato e prudente di Bruno Ferrante, i suoi predecessori. è un ciclone che non ammette ostacoli, con una lista di iniziative quotidianamente aggiornata e da comunicare con la più assoluta trasparenza: alla conferenza stampa di insediamento, Serra ha innanzitutto reso noto il suo numero di cellulare. Prefetto Serra, l'attività del suo nuovo ufficio finoraè rimasta al palo e ha già avuto due alti commissari. Perché lei dovrebbe riuscire là dove non ce l'hanno fatta i suoi predecessori? La nascita di questa struttura risale a pochissimo tempo fa, quindi non condivido la sua analisi. In ogni caso, io non scalderò la sedia. Ha già definito le priorità di intervento? Non potrei comunque rivelarle. Ma intanto posso già annunciare la messa a punto di una mappa della corruzione: in pochissimi giorni sarà pronta l'intensità del fenomeno sul territorio italiano. Lei ha già dichiarato che la sanità è un settore interessato. Non lo nego. Ma il punto importante non è tanto questo. Il problema è che questo ufficio deve essere intanto conosciuto dai cittadini. Oggi, in effetti, è un carneade burocratico. Allora cominciamo a dire che non siamo un ufficio reclami. Né il difensore civico. Né tantomeno l'alternativa alle Forze di polizia e alla magistratura, con cui invece vogliamo stabilire la massima intesa. E come si fa a non creare sovrapposizioni? I compiti sono già definiti dalla legge, quindi nessuna interferenza. Se ho notizia certa di reato di corruzione devo immediatamente trasmettere gli atti alla procura. Noi però il fenomeno dobbiamo conoscerlo, capirlo, e trasmettere proposte di intervento al presidente del Consiglio. Quali azioni positive vanno programmate? Ci vuole dialogo e confronto in un'azione a tutto campo. Intendo andare nelle scuole. Incontrerò i procuratori della Repubblica delle principali regioni a rischio e poi tutti gli altri. Spero, al più presto, in una riunione con la conferenza degli enti locali. Per questo già nei primi giorni di lavoro ho visto il ministro Linda Lanzillotta. Il muro di diffidenza di Regioni, Comuni e Province finora non è crollato. Perché dovrebbe? Dipende da come si guarda l'ufficio dell'Alto commissario. Un fatto è certo: non sono e non intendo essere uno sceriffo. Però, se vuole intrufolarsi tra le pratiche di un municipio, o di un ente regionale, è probabile che non sia amato dagli amministratori locali. Io voglio rovesciare la prospettiva. E far capire loro che questa struttura non è un'insidia, ma una garanzia e anzi un'opportunità. Provi a convincerli. è molto semplice. Gli scandali, e quelli di corruzione in particolare, hanno conseguenze nefaste sulla fiducia dei cittadini nei politici locali. Gli amministratori, dunque, hanno tutto l'interesse, compreso quello politico, a garantire procedure pienamente legittime. La trasparenza e la legalità assicurano consenso. L'illegalità, compresa quella più o meno nascosta,produce l'esatto opposto. Un altro terreno da arare è quello della pubblica amministrazione. Sto pensando a un protocollo con le confederazioni, perché il sindacato può avere un ruolo prezioso. Intendo incontrare anche il presidente di Confindustria Montezemolo. è poi allo studio anche un accordo con il ministro della Funzione pubblica e con le prefetture. Possono insospettire anche i costi dello Stato? Penso di fare incroci e verifiche sui flussi finanziari: proprio nelle anomalie della spesa pubblica si possono scoprire pratiche di corruzione. Magari perfino consolidate. Achille Serra, da prefetto di Roma ad Alto commissario anti-corruzione LAPRESSE.


+  La Stampa 17-9-2007 Microsoft, tribunale Ue boccia ricorso Confermata la multa da 497 milioni di euro inflitta all'azienda statunitensehttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif

 http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifLUSSEMBURGO
La Commissione europea ha ragione nel sostenere che Microsoft non ha condiviso con i concorrenti la documentazione tecnica necessaria a garantire l’interoperabilità del suo sistema Windows con gli altri programmi e che l’inserimento di Windows Media Player in Windows 2000 è una forma di concorrenza sleale nei confronti degli altri produttori di lettori multimediali. È quanto hanno stabilito i giudici del Tribunale di primo grado della Corte di giustizia europea nella sentenza emessa oggi a Lussemburgo, confermando la decisione dell’esecutivo comunitario del 27 marzo 2004 che aveva comminato una multa di 497,2 milioni di euro all’azienda americana per «abuso di posizione dominante».

Quanto al rifiuto di Microsoft di pubblicare le informazioni tecniche su Windows la sentenza ricorda che affinchè questo rifiuto si possa considerare «abuso di posizione dominante» tre condizioni devono essere soddisfatte: innanzitutto «il rifiuto deve essere relativo ad un prodotto o servizio indispensabile per l’esercizio di un’attività di un mercato confinante», in secondo luogo «il rifiuto deve essere tale da escludere ogni effettiva concorrenza in quel mercato» e infine «il rifiuto deve impedire l’apparizione di un nuovo prodotto per il quale ci sia una potenziale domanda da parte dei consumatori». Nel caso di Microsoft, concludono i giudici, «la Commissione non ha sbagliato nel considerare che tutte queste condizioni erano soddisfatte» e l’assenza di interoperabilità «ha l’effetto di rafforzare la posizione competitiva di Microsoft sul mercato e di creare il rischio che la concorrenza sia eliminata». I giudici infine respingono le argomentazioni dell’azienda americana secondo cui la documentazione tecnica richiesta dalla Commissione sarebbe coperta dal diritto di proprietà intellettuale e stabiliscono che «Microsoft ha fallito nel dimostrare che la richiesta di rendere pubbliche le informazioni sull’interoperabilità avrebbe avuto un significativo effetto negativo sugli incentivi ad innovare»

Sul lettore multimediale della casa di Redmond invece la sentenza stabilisce che il fatto di non permettere ai consumatori di acquistare il sistema operativo Windows senza Windows Media Player «ha la conseguenza inevitabile di influenzare le relazioni sul mercato» tra Microsoft e i concorrenti «alterando significativamente l’equilibrio della concorrenza in favore di Microsoft, a detrimento degli altri operatori». In questo modo l’azienda di Bill Gates, osserva la Corte, «ottiene un vantaggio senza precedenti» sulla distribuzione dei prodotti, garantita dall’ubiquità dei Windows e in questo mondo «fornisce un disincentivo per gli utenti ad utilizzare i lettori multimediali delle parti terze». Anche qui, concludono i giudici di Lussemburgo, «la Commissione aveva ragione nel sostenere che c’era un rischio significativo che i vincoli avrebbero portato ad un indebolimento della concorrenza». Quindi, conclude la sentenza, «la Commissione non ha sbagliato nel valutare la gravità e la durata della violazione e non ha sbagliato nel definire l’ammontare dell’ammenda. Dal momento che l’abuso di posizione dominante è confermato dalla Corte, l’ammontare della multa rimane invariato a 479 milioni di euro». Ora, si ricorda nel testo, un appello, limitato alle questioni formali, può essere presentato alla Corte di Giustizia entro due mesi dalla notifica.

 

 


+  Il Corriere della Sera 17-9-2007«Gradimento dal 50%» Il sondaggio: il comico piace a sinistra Il 17 % lo «voterebbe sicuramente», «simpatia» dal 33% Successo soprattutto nell'ala radicale della maggioranza. Renato Mannheimer

 

 

C'è tra gli italiani un'estesa voglia di votare Beppe Grillo, dopo le ultime esternazioni del comico genovese. Il 17% preannuncia senz'altro il proprio suffragio, il 33% «lo prenderebbe comunque in considerazione». E i consensi appaiono maggiori tra chi oggi vota per i partiti del centrosinistra.

Il successo delle iniziative di Beppe Grillo ha scosso il mondo politico e suscitato commenti preoccupati da parte di leader e osservatori. Motivati, per la verità, più dal timore che le performance del comico possano scombussolare l'assetto politico attuale che dal merito delle proposte avanzate, rimaste, tranne rare eccezioni, completamente ignorate.
Dal punto di vista dell'opinione pubblica, il consenso per le attività di Grillo è invece assai ampio, tanto che Diamanti lo ha stimato nel 43% della popolazione.
E' un dato che non deve sorprendere. Grillo è infatti riuscito sapientemente a legare la politica all'antipolitica, attirando al tempo stesso i consensi di molti «militanti» o comunque interessati alla politica, provenienti specie dalla sinistra, e quelli di chi è più sensibile alle tematiche dell'ant ipolitica tout-court. Quest'ultima, come si sa, ha sempre avuto un relativo successo nel nostro Paese (e in tanti altri), sin dai tempi dell'«Uomo Qualunque». Ancora oggi, se si domanda agli italiani «che cosa le viene in mente quando pensa alla politica?», gli attributi e le definizioni negative costituiscono la maggioranza, arrivando a toccare il 60% delle risposte: le più frequenti sono «rabbia», «disgusto», «diffidenza». Anche per questo, non a caso, tre italiani su quattro affermano oggi che «i politici non si preoccupano di quello che pensa la gente come me» o che «la gente come me non ha alcuna influenza su quello che fa il governo» o, ancora, che «i politici sono interessati ai voti dei cittadini, non alle loro opinioni».
Ma, come si è detto, il movimento di Grillo, diversamente da quello di Giannini e di molti altri, giunge a coniugare la larga diffusione degli atteggiamenti legati all'antipolitica con la protesta «politica» più radicale.
Con quali possibili effetti dal punto di vista elettorale? C'è tra gli italiani una estesa «voglia» di votare per Grillo, se si presentasse alle elezioni. Il 17 per cento preannuncia senz'altro il proprio suffragio. E un altro 33 per cento dichiara che «lo prenderebbe comunque in considerazione». Esiste, insomma, un mercato potenziale che sembra comprendere addirittura metà dell'elettorato. I consensi appaiono relativamente maggiori tra chi oggi vota per i partiti del centrosinistra, ma sono presenti in larga misura anche tra gli elettori del centrodestra, tra gli indecisi e tra i potenziali astenuti. Ed è molto significativo che la disponibilità verso Grillo sia più accentuata tra i giovani.

Ovviamente, una cosa è l'intenzione (o la potenzialità) al voto espressa in un sondaggio, un'altra è il comportamento di voto vero. Tra chi dichiara la possibilità di optare per Grillo, molti sono oggi «appartenenti» ai partiti già esistenti. In particolare, il favore per il comico si trova in misura maggiore nell'estrema sinistra, ove si connota anche come protesta radicale. Si tratta di un segmento di elettorato che difficilmente abbandona il «proprio» partito.
Ciò suggerisce che il seguito elettorale effettivo di Grillo si possa ragionevolmente collocare a livelli molto inferiori di quello potenziale. Ma ciò che conta non è la quantità di voti che il comico potrebbe raccogliere. E' il fenomeno dell'antipolitica, così fortemente enfatizzato e stimolato da Beppe Grillo, a dover forse preoccupare, per la sua presenza trasversale in tutti i partiti, anche tra gli elettori più fedeli. Abilmente mescolato alla protesta «politica» radicale, esso forma un mix potenzialmente esplosivo, una sorta di fuoco sotto le ceneri. Dagli effetti imprevedibili.

Renato Mannheimer

17 settembre 2007

 


Da AGI Economia Oggi 16-9-2007 USA: GREENSPAN, CROLLO PREZZI CASE PER EFFETTO “BOLLA”

(AGI) - Roma, 16 set. - I prezzi delle case negli Stati Unti sono destinati a crollare per effetto della “bolla” immobiliare. In un’intervista al ‘Financial Times’, l’ex presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, ha affermato che il crollo dei prezzi delle case “sara’ piu’ grande di quanto la gente si aspetti”. Greenspan ha poi detto il vocabolo usato dal suo successore Ben Bernanke, che ha parlato di “schiuma” e non bolla, non e’ altro che “un eufemismo per indicare una bolla”. (AGI)
Fed


La Repubblica 16-9-2007 Sul suo blog il comico invita i cittadini che hanno partecipato al V-Day a partecipare alle prossime amministrative. "Definirò i requisiti necessari"

V-day, Grillo lancia le sue liste civiche "Chi lo merita avrà il mio bollino"

 

ROMA - "E adesso? Dopo il V-day? La parola è ai cittadini. Ogni Meetup, ogni gruppo può, se vuole, trasformarsi in lista civica per le amministrazioni comunali". Il via libera arriva direttamente da Beppe Grillo, che affida al suo blog il passo avanti della 'V-generation': dalla protesta alla proposta, come si dice in casi del genere. Con tanto di 'bollino' di garanzia rilasciato ai chi rispetterà i requisiti-tipo.
"I cittadini - chiarisce, senza lasciare spazio a equivoci - devono entrare in politica direttamente. Per la loro tutela e per quella dei loro figli". Perché? Grillo lo spiega così: "I Comuni decidono della vita quotidiana di ognuno di noi. Possono avvelenarci con un inceneritore o avviare la raccolta differenziata. Fare parchi per i bambini o porti per gli speculatori. Costruire parcheggi o asili. Privatizzare l'acqua o mantenerla sotto il loro controllo. Dai Comuni si deve ripartire a fare politica con le liste civiche".
Antipolitici sì, ma non proprio in completa autogestione e con le idee molto chiare da parte dell'animatore del 'Vaffa-day' : "Le liste che aderiranno ai requisiti che pubblicherò sul blog tra qualche giorno - anticipa infatti il comico-blogger - avranno la certificazione di trasparenza 'beppegrillo.it'. Tra i requisiti ci saranno, ad esempio, il non essere iscritti a partiti ed essere incensurati. Le liste potranno comunque chiamarsi come gli pare ed essere autonome nella loro azione".
"Ci potranno anche essere più liste in una stessa città. Le liste certificate saranno pubblicizzate dal blog e messe in condizione di scambiarsi informazioni e esperienze attraverso una piattaforma comune on-line che sarà messa a disposizione, sempre attraverso il blog". Grillo tiene però a mantenere una certa distanza dal mondo della politica al quale sembra invece avvicinarsi sempre di più.
"Io - puntualizza - non parteciperò a nessuna manifestazione nei prossimi mesi. Non sto promuovendo la presentazione di nessuna lista civica, nè locale, nè nazionale. La loro voce, i partecipanti del V-day non la prestano a nessuno. Sono i megafoni di sè stessi. I cittadini che si fanno politica. Per le liste civiche rimanete sintonizzati sul blog. Stay tuned".
Con il comico si schiera Antonio Di Pietro. "Finalmente una ventata di novità nel panorama politico italiano", dice il ministro. "E' in questo modo - dice ancora il leader dell'IdV - che si dà anche luogo al ricambio generazionale della classe politica italiana. Soprattutto lascia che sia il cittadino a scegliere i propri candidati. Ci auguriamo il successo dell'iniziativa e assicuriamo il nostro contributo".
E contro Di Pietro si scagliano i Verdi. "e liste civiche annunciate da Beppe Grillo rappresentano un fatto importante e rivolgiamo loro un benvenuto - dice il capogruppo all Camera Angelo Bonelli - piuttosto, il sostegno rivolto da Di Pietro a quest'iniziativa appare decisamente opportunistico. Il ministro delle Infrastrutture, infatti, a più riprese ha attaccato i Verdi e gli ambientalisti definiti 'quelli che bloccano tutto', 'quelli del no': proprio lui che vuole costruire un'autostrada che cancellerebbe la Maremma toscana, piazzare centrali da tutte le parti, riempire l%u2019Italia di cemento e fare i termovalorizzatori". "Appoggiare oggi le liste ideate da Beppe Grillo, che sull'ambiente dichiarano di voler fare l'esatto contrario di quanto il ministro Di Pietro sta praticando %u2013 ha aggiunto Bonelli %u2013 è dunque da opportunisti".
(16 settembre 2007)


 

L’Unità 17-9-2007 LISTE PULITE Grillo lancia ora liste civiche autarchiche Per avere il suo "bollino" pone due condizioni: niente tessere di partito e essere incensurati di Federica Fantozzi

 

Roma Il giorno dopo la performance anti-partiti alla Festa dell'Unità, Beppe Grillo parla ai suoi a modo suo: senza mediazioni. Cioè, dal blog, la cui "reputazione" ha rivendicato durante lo spettacolo. Annuncia liste civiche autarchiche, col bollino doc della trasparenza e della fedina penale pulita, per ripartire dalla politica a livello comunale. Non sarà lui - chiarisce - a promuovere l'operazione. Nei prossimi mesi neppure parteciperà a manifestazioni. Ogni gruppo di grillanti può trasformarsi in lista civica. Se avrà certi requisiti (niente tessere di partito in tasca e niente condanne) riceverà un "certificato di trasparenza" e avrà spazio sul blog per pubblicizzarsi e chattare con altre liste. "I cittadini sono megafoni di se stessi - scrive il comico-tribuno sul web -devono fare politica direttamente per sé e propri figli". A partire da temi quotidiani come acqua, ambiente, lotta agli inceneritori. Iniziativa apprezzata dal ministro Pecoraro Scanio - "In questi termini sono i benvenuti" - e da Di Pietro, l'unico ministro "salvato" dal comico: al Palasharp milanese sono andate in onda le immagini dell'ex pm che firmava la piattaforma Grillo, e il commento di quest'ultimo: "Non lo fa per farsi pubblicità. Piero Fassino propone un "codice etico" per il Pd, mentre l'udeurrino Fabris storce il naso: "Liste civiche? Ricetta usurata". Intanto l'arringa grillesca in casa della Quercia, ma senza risparmiare premier e alleati, lascia il segno. Livia Turco, ministro Ds della Salute, parla di "attacco infondato" perché "bisogna rinnovare la politica per costruire partiti più forti e non più deboli". Fausto Bertinotti attribuisce alla scomparsa delle "culture forti della politica" e al conseguente "disorientamento" questa crisi: "Ormai c'è chi è d'accordo con la sinistra sul welfare, plaude Grillo e vota Lega". Confusione totale, con il rischio che "domini il mercato". Bisogna fare la massima attenzione - avverte il presidente della Camera - "alle proteste populistiche perché portano a governi tecnocratici". Il ministro delle Comunicazioni Gentiloni ammette che il "profeta" genovese intercetta la voglia di rinnovamento "ma le sue risposte ci portano dalla padella nella brace". Cauto Gavino Angius: "La piazza va ascoltata, ma non necessariamente condivisa". A difendere il sequel del V-day è innanzitutto Italia dei Valori. La dipietrista Silvana Mura ha attaccato: "Li hanno accusati di populismo, antipolitica e pure fascismo, ma se anche i militanti e gli elettori del futuro Pd si entusiasmano è evidente che o c'è l'antipolitica pure lì o sono analisi errate". Anche l'ulivista-bindiano Franco Monaco sostiene l'iniziativa: "Le reazioni schizzinose o stizzite hanno sapore esorcistico. Rivelano cecità, debolezza, paura". Certo "non bisogna appiattirsi sulle iperboli di un comico, ma gli italiani invocano pulizia e finora non hanno avuto risposta. Dall'opposizione, Casini - anche lui citato come partecipante al Family Day da titolare di ben due famiglie - irride la sinistra preda della "sindrome di Stoccolma" (che porta il prigioniero ad amare il carceriere): "Grillo ha preso i Ds a pesci in faccia alla loro festa". Poi sospira: quanto era educata la piazza del Family Day. Il leghista Calderoli si preoccupa: "Il tentativo di dire che tutto è marcio non passa". Già: se Grillo si intesta la politica antipolitica, il Carroccio che fine fa? Alla Festa dell'Unità il suo pubblico lo ha seguito senza defaillances. Alzandosi in piedi all'idea di un secondo evento contro i soldi pubblici ai giornali. Ed esplodendo in un boato quando Grillo ha fatto scorrere sullo schermo la lunga serie dei giornalisti Rai figli di, mogli di, fratelli di, e persino cognati di: "Informazione niente, ma in compenso trombano come ricci".


 

Il Tirreno 17-9-2007 L'annuncio sul blog: bisogna fare il salto. Lui non scenderà in campo, però ci metterà il bollino "Prendiamoci i Comuni" Grillo: ora le liste civiche. Ma i fans si dividono Il leader punta alle città: "E' lì che si fanno tante scelte decisive" ANDREA PALOMBI

 

ROMA. Il nuovo tsunami dell'antipolitica percorre la rete e si abbatte rapidamente sulla politica alle 15,16 di una domenica fino a quel momento piuttosto rituale e sonnacchiosa. E' proprio a quell'ora che infatti sul blog di Beppe Grillo viene "postato" un nuovo messaggio al popolo del Vaffa che già dal titolo annuncia bufera: "I Comuni ai cittadini". E' lui, in persona, il V-leader trionfante delle ultime settimane a lanciare i suoi fedeli all'assalto del Quartier generale della politica. La nuova idea? Presentarsi alle elezioni con liste con il suo bollino di garanzia. "E adesso? Dopo il V-day?", è infatti la domanda con cui si apre il messaggio di Grillo. "La parola è ai cittadini. Ogni meetup, ogni gruppo può, se vuole, trasformarsi in lista civica per le amministrazioni comunali". Il dado è tratto. Mentre i partiti, e i Ds in particolare, non hanno ancora finito di digerire l'ultimo attacco lanciatogli il giorno prima da Grillo proprio da una Festa dell'Unità - al quale subito risponde seccamente Fassino dall'ultima Festa della storia - ecco profilarsi all'orizzonte la nuova e concreta minaccia: una miriade di liste civiche pronte a calare sulle prossime comunali. "I cittadini - continua Grillo nel suo proclama - devono entrare in politica direttamente. Per la loro tutela e per quella dei loro figli". Perché? Grillo lo spiega così: "I Comuni decidono della vita quotidiana di ognuno di noi. Possono avvelenarci con un inceneritore o avviare la raccolta differenziata. Possono fare parchi per i bambini oppure porti per gli speculatori. Possono costruire parcheggi o asili, privatizzare l'acqua oppure mantenerla sotto il loro controllo. Dunque, è dai Comuni che si deve ripartire a fare politica con le liste civiche". Ma che liste saranno? Con quali programmi, bandiere, parole d'ordine? Il condottiero del Vaffa-day non pone limiti, se non quello della propria "certificazione". E la bandiera che offre di portare in campo è in sostanza quella con il proprio nome. "Le liste che aderiranno ai requisiti che pubblicherò sul blog tra qualche giorno - anticipa infatti - avranno la certificazione di trasparenza 'beppegrillo. it'. Tra i requisiti ci saranno, ad esempio, il non essere iscritti a partiti ed essere incensurati. Le liste potranno comunque chiamarsi come gli pare ed essere autonome nella loro azione. Ci potranno anche essere più liste in una stessa città. Le liste certificate - continua - saranno pubblicizzate dal blog e messe in condizione di scambiarsi informazioni e esperienze attraverso una piattaforma comune on-line che sarà messa a disposizione, sempre attraverso il blog". In suo nome, ma senza il suo coinvolgimento. Grillo avverte infatti che lui (per adesso) non scenderà in campo. "Io non parteciperò a nessuna manifestazione nei prossimi mesi. Non sto promuovendo la presentazione di nessuna lista civica, né locale, né nazionale. La loro voce, i partecipanti del V-day non la prestano a nessuno. Sono i megafoni di se stessi. I cittadini che si fanno politica. Per le liste civiche - conclude il messaggio - rimanete sintonizzati sul blog. Stay tuned". Le prime reazioni si scatenano ovviamente nella casamatta di Grillo su internet, il suo blog. I messaggi di commento si moltiplicano, diventano alcune centinaia in poco tempo. Ma a ben vedere la notizia è che non tutti esprimono entusiasmo. Anzi. Circola imbarazzo, difficoltà, in più di un caso aperta contrarietà. C'è chi è pronto a partire, chi indica già i riferimenti in rete, ma anche chi dice chiaro e tondo che non era di questo che si era parlato. "Grazie Beppe, ma io sono iscritto a Rifondazione", risponde Massimo B. "Questa cosa delle liste civiche manda a puttane tutti i buoni propositi", avverte Mauro G. "Tutto qui? Creare liste civiche e cavarsela da soli?", è la delusione espressa da Sergio Piterà. E c'è anche chi la butta sul politico: "Attento Beppe, non stai facendo altro che portare acqua al mulino di Berlusconi", scrive Andrea Bianco.


 

La Stampa 17-9-2007 Beppe, ti prego candidati alla guida del partito democratico! Immagini quanti ti voterebbero? Io ti voterei anche se non sono un elettore del Pd".

 

"Caro Beppe spero che non cambi idea, meno male che abbiamo trovato un portavoce del malcontento del popolo e le tue mosse verso questi ingrati governanti, si stanno rilevando prodighe". O ancora: "Adesso so chi votare! Vaffanculo ai partiti corrotti! Grande Beppe proviamoci! La politica a noi!". Di commenti così sul frequentatissimo Blog del comico genovese ce ne sono molti. Ma a scorrere tutti i 500 e passa post lasciati dal popolo del V-day si capisce che l'idea delle liste civiche "certificate" da Grillo non ha trovato tutti d'accordo. Anzi. Scrive Frank: "No Beppe..non la vedo bene questa cosa di "sponsorizzare" delle liste civiche. Abbiamo visto già troppe liste vendute al "padrone di turno" oppure cavalcare l'onda del malcontento generale per poi farsi i c...i propri". Stessa paura di Mauro: "Finisce sempre così. Ci si organizza proponendo cose bellissime e si parte alla grande. Si fanno grupponi e gruppini. Poi vengono fuori, emergono quelli che fanno del "comando" sugli altri una ragione di vita. E guarda caso questi sono sempre i più corruttibili. Ora gli si propone anche di formare delle liste...una grossa opportunità di guadagno in vista. E fanculo tutti i buoni propositi e gli ideali". Fra i grillonauti, antipolitici per definizione, circola la paura del contagio. "Entrare anche noi a far parte della "Casta"? - si chiede con orrore un blogger - Tu credi davvero che basti un certificato di garanzia? No, attento Beppe, così perdi per strada i tuoi fans". Per molti poi il V-day deve rimanere esclusivamente un movimento di protesta antisistema. "Se un cittadino voleva fare politica la poteva fare anche prima del V-day...", incalza Alberto. "Dai Beppe dicci che era solo uno scherzo", conclude. Ma c'è anche chi contesta il merito dell'iniziativa. "Mi permetta un appunto: lei paradossalmente, in quanto NON incensurato non potrebbe iscriversi a nessuna lista civica...sbaglio?", chiede Andrea. Stesso dubbio avanzato da Dario: "Attenzione a cosa significa essere incensurati. Durante la mia attività politica sono stato condannato per diffamazione in primo grado contro funzionari pubblici ed amministratori corrotti che, poi, sono finiti in galera per le mie denunce. Forse è meglio specificare i reati da escludere, altrimenti i delusi dalla casta come me devono stare a casa come Cirino Pomicino e soci". I favorevoli all'iniziativa si dividono invece fra i concilianti, come Nicola, che scrive: "Direi che la tua idea è grandiosa, Beppe. Hai attaccato la politica nei suoi vertici, e gli hai fatto una paura matta con l'ausilio degli italiani buoni. Il ruolo di garante, anziché quello di leader, è il migliore che potevi scegliere. Io ci credo, andiamo avanti!"; e gli arrabbiati, che arrivano alle minacce: "Me e molti altri amici siamo con il movimento. Se le cose non cambiano e le parole non vengono ascoltate siamo pronti alla violenza. Tiriamo giù dai loro troni quelle facce di merda. Figli di puttana!", è il post incendiario di un blogger che si firma significativamente Avvelenato. Ma non manca nemmeno, forse degli infiltrati, chi se la prende con Grillo e le sue parole d'ordine: "Era dai tempi del fascismo che non si vedavano proposte così", accusa Davide. "C'è un sacco di gente - continua - che si impegna in modo gratuito per cambiare le cose e le generalizzazioni di un ricco comico rovinano il nostro impegno". Ma la sorpresa più grande è scoprire fra il popolo dell'antipolitica estimatori dei partiti. Per Nicola "sono stati i tendini di un paese molto diviso". E Alessia invita a mettere da parte la retorica antisistema e a farsi direttamente avanti: "Promuovere tra i cittadini l'idea che i partiti siano il veleno della democrazia è un'equazione dubbia: non già perché nei partiti ci sono mele marce vale la pena di dire che siano istituzioni da abolire. Funzionano male? Miglioriamoli


 

La Repubblica 17-9-2007 Iran, l'allarme di Parigi "Prepariamoci alla guerra" Il ministro Kouchner ai francesi: non investite a Teheran Parigi propone "sanzioni europee" contro le banche, oltre a quelle imposte dall'Onu Gli Usa avrebbero già i piani per colpire 2mila obiettivi e bloccare gli aiuti agli insorti iracheni ENRICO BONERANDI

 

DAL NOSTRO INVIATO PARIGI - "Bisogna prepararsi al peggio". E cioè? "Alla guerra". Con queste parole drammatiche, il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, ha svelato ieri sera in un'intervista televisiva che una guerra all'Iran è vicina: "Ci stiamo preparando, gli stati maggiori militari stanno mettendo a punto i piani. Non è una cosa comunque che accadrà dall'oggi al domani". Fatto salvo ovviamente ogni tentativo diplomatico per convincere il regime di Teheran a interrompere gli esperimenti nucleari. Secondo l'inglese The Sunday Telegraph, gli americani avrebbero già elaborato una lista di 2mila obiettivi da colpire in territorio iraniano. Il segretario di Stato, Condoleezza Rice, abbandonata l'iniziale reticenza nei confronti di un'azione di forza, si sarebbe allineata al vice-presidente Dick Cheney, ponendo un'unica condizione: la preparazione di un dossier accurato a giustificazione dell'intervento, per evitare gli imbarazzi che piovvero sugli Usa quando attaccarono l'Iraq. In questo "dossier", si insisterebbe sulla necessità di reagire alle interferenze di Teheran negli affari iracheni, in particolare attaccando i campi di addestramento e i depositi delle bombe da trasferire in Iraq per armare la guerriglia. Il primo obbiettivo sarebbe la base di Fajr della Forza Quds della Guardia Rivoluzionaria, nel sud dell'Iran. Se gli iraniani chiudessero per ritorsione il golfo Persico al transito delle petroliere, gli americani darebbero via libera ai raid aerei contro gli impianti nucleari iraniani. Il Pentagono starebbe esaminando due piani alternativi. Nel primo sarebbe previsto il bombardamento dei soli impianti nucleari, mentre il secondo potrebbe durare anche qualche giorno, con attacchi a tutti i più importanti siti militari. è in questo scenario che Kouchner, con un "colpo di teatro" a cui la nuova presidenza francese fa sovente ricorso, ha annunciato la prossima "guerra". Reduce da un lungo viaggio nelle capitali medio-orientali, il ministro di Sarkozy ha tracciato una linea diplomatica europea nella crisi iraniana. Dopo aver precisato che "le forze armate francesi non sono per ora impegnate in azioni", Kouchner ha auspicato che l'Ue studi proprie sanzioni contro Teheran. "Sanzioni europee", le ha definite con un certo orgoglio, "al di fuori di quelle dell'Onu". "Le hanno proposte i nostri amici tedeschi", ha dovuto però aggiungere il ministro francese, per evitare nuovi attriti col governo di Angela Merkel. Si tratterà di "sanzioni economiche su alcuni circuiti finanziari", dirette contro "le grandi fortune e le banche", non contro la popolazione. Da tempo il governo francese ha chiesto a società come Total e Gaz de France di non investire in Iran. "Spero che abbiano capito il messaggio e che noi francesi non siamo i soli ad aver deciso questa linea". Oggi Kouchner volerà a Mosca, poi alla fine della settimana sarà a Washington. Nella nuova politica estera francese, più allineata agli Usa che ai tempi di Chirac ma con pretese di autonomia, c'è anche posto per una battuta salata sugli errori dell'amministrazione Bush in Iraq. "Per loro è stata una sconfitta - ha detto Kouchner - C'è poco da fare. Ora bisogna voltare pagina".


 

La Repubblica 17-9-2007 IL RETROSCENA Nel ruolo della colomba Condoleezza Rice che si oppone alla tesi di Cheney di un attacco immediato I "falchi" Usa premono per il blitz "Tutte le opzioni sono sul tavolo" MARIO CALABRESI dal nostro corrispondente

 

New York - Nella domenica in cui il ministro degli Esteri francese lancia l'allarme per un nuovo e imminente conflitto, quello iraniano, il tema occupa le prime pagine dei principali quotidiani americani. L'attacco ai laboratori e alle centrali in cui il regime di Teheran sta mettendo a punto il nucleare made in Iran sarà davvero il prossimo passo dell'Amministrazione Bush, l'ultimo lascito della presidenza repubblicana? I pareri sono discordi: il dibattito occupa i giornali, i centri studi ed è entrato a far parte della campagna elettorale, discusso sia dai repubblicani sia dai democratici. Ma i pareri sono discordi perché anche la Casa Bianca sarebbe divisa, lo schema, ancora ieri lo ripeteva il New York Times, è sempre lo stesso e semplificando può essere letto con Dick Cheney nella parte del falco e Condoleezza Rice in quella della colomba. Il vicepresidente sarebbe sostenitore di un'azione mirata e preventiva contro le strutture dove si prepara il nucleare iraniano, per impedire che il regime di Ahmadinejad possa arrivare a possedere la bomba atomica. Mentre il segretario di Stato è impegnata in una politica che tenga insieme l'offensiva diplomatica e un progressivo rafforzamento delle sanzioni contro Teheran. Lo schema della Rice, che da studiosa dell'Unione Sovietica ripete un modello già sperimentato con Mosca, si muove all'interno dell'Onu con la convinzione che l'isolamento crescente dell'Iran possa indebolirlo e spingerlo alla trattativa. Il 21 settembre i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, più la Germania, si vedranno per discutere una nuova bozza di risoluzione che prevede più dure sanzioni per spingere Teheran a rinunciare al programma nucleare. In quella sede gli Stati Uniti solleciteranno l'adozione di una terza risoluzione con nuove e più stringenti sanzioni economiche, come ha spiegato il sottosegretario del Dipartimento di Stato Nicholas Burns. Certamente entrambe le opzioni, quella diplomatica e quella militare e i dossier correlati, sono sul tavolo del presidente, insieme ai piani per un'azione mirata che il Pentagono ha pronti da tempo. "Tutte le opzioni sono sul tavolo e gli Stati Uniti non escludono alcuna strada", ha ribadito il capo del Pentagono, Robert Gates parlando alla Fox tv, ma ha poi sottolineato che "l'Amministrazione è convinta di continuare a cercare di rispondere alla minaccia iraniana intensificando gli sforzi diplomatici e le pressioni di natura economica". Non è casuale che l'Iran sia tornato al centro dell'attenzione proprio questa settimana: nel momento in cui, seppur in modo parziale, gli Stati Uniti pensano all'inizio del ritiro delle truppe dall'Iraq la questione iraniana torna a porsi con forza. Teheran infatti si appresterebbe ad essere il protagonista principale sulla scena mediorientale e ad aumentare la sua influenza in tutte le aree di crisi, da Bagdad a Gaza passando per il Libano. Proprio la Rice ha sottolineato che "l'Iran riempirebbe immediatamente il vuoto lasciato da una partenza delle truppe americane". Il generale David Petraeus nella sua audizione al Congresso americano della scorsa settimana ha sostenuto che Teheran "sta cercando di trasformare le milizie sciite in una forza simile a Hezbollah per portare avanti i suoi interessi e condurre una guerra per procura contro l'Iraq e le forze della coalizione". Anche Hillary Clinton questo fine settimana ha parlato della minaccia iraniana, chiedendo alla Casa Bianca un'azione diplomatica più incisiva, mentre per il candidato repubblicano John McCain la sfida iraniana deve diventare la priorità dell'agenda politica americana "per cercare di bloccare la crescente influenza di Teheran in Iraq". Quell'influenza che l'ambasciatore Usa a Bagdad Crocker ha definito "malefica". E proprio la prossima settimana, in occasione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, potrebbe riapparire a New York, insieme ai capi di Stato e di governo di tutto il mondo, anche il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad.


 

L’Arena di Verona 17-9-2007 Il giornale inglese Sunday Teleghraph rivela: gli Usa pronti ad attaccare l'Iran "La guerra in Iraq? Soltanto per il petrolio"

 

WASHINGTON. WASHINGTON "Lo sanno tutti, la guerra in Iraq è stata scatenata per il petrolio". Alan Greenspan, per quasi 20 anni presidente della Federal Reserve americana, liquida così la politica mediorientale del presidente George Bush. Le accuse sono contenute nel libro scritto dall'ex banchiere in vendita da oggi: "The Age of Turbolence: Adventures in a New World". "Sono rattristato", scrive Greenspan, "del fatto che sia sconveniente da un punto di vista politico sapere ciò che sanno tutti: nella guerra in Iraq è in gioco soprattutto il petrolio". Greenspan ha guidato la Federal Reserve per 18 anni e mezzo, dal 1989. "The Age of Turbolence: Adventures in a New World" costituisce un severo atto di accusa nei confronti del presidente George W. Bush. La reazione non si è fatta attendere. Il capo del Pentagono, Robert Gates, ha detto di avere grande rispetto per l'ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan, ma ha seccamente respinto la nozione che la sete di petrolio sia la vera ragione per la quale gli Stati Uniti hanno invaso l'Iraq. Intervistato nel talk show domenicale dell'emittente Abc Gates ha detto che "Greenspan si sbaglia", il petrolio non c'entra. "Io non ero parte del governo nella fase in cui l'operazione militare è stata decisa", ha premesso Gates. "Ma chi dice che il petrolio è stato il motivo della guerra sbaglia, in gioco c'è il processo di stabilizzazione del Medio Oriente". Contro l'intervento degli Usa spara anche Intervenendo militarmente in Iraq, fino il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, il quale nel corso di un'intervista televisiva ha dichiarato che Washington è consapevole della "disfatta" in Iraq. "Noi siamo stati contro l'operazione militare americana in Iraq", ha ricordato il ministro, aggiungendo che è arrivato il momento di "girare pagina". Intanto, sul fronte della guerra irachena l'esercito degli Stati Uniti ha annunciato di aver arrestato un membro di al Qaida in Iraq responsabile dell'omicidio dello sceicco Abdul Sattar Abu Risha, leader tribale della provincia di Al Anbar (ovest del Iraq) e alleato fedele degli Stati Uniti. Lo sceicco era stato assassinato giovedì. Per quanto riguarda l'Iran, invece, la Casa Bianca avrebbe pianificato un'escalation che potrebbe portare nei prossimi mesi a un attacco militare contro Teheran. Lo rivela il Sunday Telegraph, che cita dirigenti dei servizi segreti americani. Secondo le fonti del settimanale britannico, la strategia del presidente George Bush si fonderebbe sulla convinzione che gli sforzi diplomatici per rallentare il programma nucleare dell'Iran siano destinati a fallire.


 

Il Sole 24 Ore 15-9-2007 Accordi di gestione delle crisi finanziarie da rivedere. dall'inviato a Oporto Antonio Pollio Salimbeni


OPORTO - Gli accordi attuali per la stabilità finanziaria definiti quando le banche erano prevalentemente attive all'interno dei confini nazionali «possono non assicurare soluzioni rapide, efficaci e poco costose in un contesto globale». È questo il giudizio dell'Economic and Financial Committee, l'organismo che prepara le riunioni dell'Ecofin, contenuti nel rapporto finale consegnato ai ministri finanziari europei. Nel documento, di cui Il Sole 24 Ore Radiocor è venuto in possesso, si mettono a punto una decina di principi per la gestione comune delle crisi finanziarie con effetti cross-border.

Per i Ventisette l'obiettivo «non è prevenire i fallimenti bancari» e l'utilizzo di denaro pubblico per risolvere una crisi «non può mai essere dato per scontato e sarà solo considerato per rimediare a seri disturbi nell'economia e quando i benefici complessivi siano superiori ai costi di ricapitalizzazione a spese degli Stati».

Tra le indicazioni del rapporto quella di cambiamenti legislativi nelle norme nazionali inclusi « il rafforzamento delle disposizioni per la collaborazione nell'azione di supervisione (tra organismi di Paesi diversi – ndr) e di condivisione delle informazioni».

Il rapporto conclude un lungo lavoro di analisi dello stato della vigilanza finanziaria in Europa e non fa alcun riferimento alla crisi di queste settimane. Le sue conclusioni non costituiscono di per se stesse un allarme specifico. Anzi: si afferma che «la probabilità di crisi finanziarie cross-border di larga scala nell'Unione europea è bassa».

Il mutamento radicale del mercato bancario europeo è sintetizzato in una cifra: attualmente ci sono 46 gruppi transfrontalieri (cross-border) di cui 21 hanno operazioni "significative" fuori dai confini della nazione di origine. Si tratta di un andamento che secondo gli sherpa dell'Ecofin «diventerà più pronunciato nei prossimi anni», con la conseguenza che «man mano che l'integrazione progredisce è sempre più probabile che le crisi che coinvolgono una banca abbiano implicazioni cross-border».

Attualmente gli accordi di supervisione a livello europeo presentano una ampia varietà di approcci nazionali nella gestione di crisi relativamente alla condivisione delle informazioni e alla cooperazione, alla valutazione delle implicazioni "sistemiche", al modo in cui vengono prese le decisioni, alla divisione dei costi di gestione della crisi.

Secondo i tecnici dell'Ecofin «ci sono debolezze che devono essere affrontate in via prioritaria» perchè se la probabilità di una crisi cross-border è bassa (nonostante gli eventi di questa estate) «i costi economici e sociali potenziali potrebbero essere molto
alti in termini di pil».

L'obiettivo non è quello di creare un organismo paneuropeo di vigilanza e sorveglianza dei mercati finanziari (come é stato ribadito anche negli ultimi due giorni da ministri e banchieri centrali riuniti a Oporto per le riunioni informali d'autunno), quanto quello di rafforzare con forme anche legali (da recepire nelle legislazioni nazionali) la cooperazione tra autorità e «specialmente tra paesi in modo da chiarificare ulteriormente il quadro di regole assicurando che le opzioni previste per gestire e
risolvere una crisi a livello nazionale siano disponibili e possano essere operative anche in un contesto cross-border».

Inove principi definiti dall'Economic and financial Committee
1.L'obiettivo della gestione delle crisi «è proteggere la stabilità del sistema finanziario in tutti i Paesi e nella Ue nel suo complesso, minimizzare potenziali impatti negativi sull'economia al più basso costo per le finanze pubbliche. L'obiettivo «non è prevenire fallimenti».

2.La priorità «va sempre data alle soluzioni del settore privato, che nei limiti del possibile saranno fondate sulla situazione finanziaria del gruppo bancario nel suo complesso». Il management dell'istituzione coinvolta «sarà responsabile, gli azionisti non saranno garantiti e creditori e depositanti non assicurati dovranno aspettarsi perdite».

3.L'utilizzo del denaro pubblico per risolvere una crisi non deve mai essere dato per scontato. Le circostanze e la tempistica di un eventuale intervento pubblico «non possono essere definite in anticipo, dovranno essere applicate condizioni restrittive e
uniformi per l'utilizzo del pubblico denaro».

4. Se una banca ha attività significative cross-border in diversi stati membri della Ue «le autorità di questi Paesi dovranno cooperare strettamente e preparare in tempi normali quanto è necessario per dividere gli oneri potenziali» di un intervento. I costi di bilancio diretti dovranno essere ripartiti «sulla base di principi equi ed equilibrati che tengano conto dell'impatto economico della crisi nei vari Paesi coinvolti e dei poteri
delle autorità di supervisione dei Paesi che esercitano la supervisione del gruppo bancario e di quelli che lo ospitano (host country)».

5.Le autorità dei Paesi coinvolti in una crisi devono poter valutare rapidamente la natura sistemica della crisi e le sue implicazioni cross-border sulla base di una terminologia e di uno schema di analisi comune (bisogna definire, infatti, che cosa deve essere considerato «un serio disturbo per l'economia»).

6.Gli accordi di gestione e soluzione della crisi devono essere coerenti con gli accordi per la supervisione e la prevenzione delle crisi. Ciò chiama in causa la divisione delle responsabilità tra autorità e il ruolo di coordinamento dei supervisori dei Paesi che esercitano la sorveglianza sul gruppo (home country).

7. Va assicurata la piena partecipazione alla gestione e alla soluzione della crisi di quei Paesi coinvolti attraverso istituzioni individuali o infrastrutture tenendo conto che vanno prese decisioni e azioni rapide.

8. L'azione anticrisi dovrà perseguire l'obiettivo di mantenere un terreno ottimale di concorrenza nel mercato. «Ogni intervento pubblico dovrà sottostare alle regole di concorrenza europea e sugli aiuti di Stato".

9. La dimensione globale sarà tenuta in considerazione negli accordi per la stabilità finanziaria quando necessário e in questo quadro saranno coinvolti se necessario Paesi terzi.

La tabella di marcia dell'Ecofin prevede che la Commissione europea presenti una proposta dettagliata che dovrebbe includere anche emendamenti alla legislazione bancaria comunitaria entro la fine del 2008. Dovrebbe essere adottata da Consiglio ed
Europarlamento dopo un anno. Tre gli obiettivi: chiarificare gli obblighi esistenti per supervisori, banche centrali e ministri delle Finanze per lo scambio di informazioni e la cooperazione in caso di crisi; chiarificazione del ruolo e delle responsabilità dei supervisori; esaminare i cambiamenti legislativi nazionali necessari.

Gli Stati dovranno anche considerare, è scritto nel rapporto Ecofin, se includere o meno nel mandato dei supervisori nazionali l'obbligo di cooperare e di tenere conto le preoccupazioni per la stabilità finanziaria in tutti gli stati Ue. Grande importanza viene attribuita alla riduzione delle barriere per il trasferimento di asset cross-border introducendo nella legislazione bancaria , sull'insolvenza e sulle società una salvaguardia per preservare gli interessi legittimi delle entità dalle quali gli asset sono trasferiti. Ciò perchè «la possibilità di trasferire asset di un gruppo bancário sarà spesso cruciale per prevenire e gestire una crisi sia dal punto di vista dell'interesse privato che pubblico».

Nella primavera 2009 è prevista una simulazione operativa di una gestione di crisi finanziaria.


Il Manifesto 17-9-2007 Per ridurre "i costi della politica", il principio di minima partecipazione Francesco R. Frieri - Giovanni Allegretti

 

Il Consiglio dei ministri ha appena approvato un disegno di legge per tagliare i "costi della politica". Il provvedimento propone una diminuzione tra il 20 e il 30% di giunte e consigli di ogni livello, una sensibile riduzione dei parlamentari e un quasi dimezzamento del governo. Cui si somma un'ulteriore riduzione dei consigli di amministrazione delle società partecipate dal settore pubblico, il divieto per le stesse di trasferire denaro agli enti controllanti o a partiti politici, e una stretta sulla pletora di consulenti a supporto dei vari organi. Beppe Grillo rincara la dose e mette in moto un movimento. Sovviene un pensiero di Voltaire: "nessuno aveva nulla da obiettare sui privilegi dei nobili in Francia fin quando essi assicuravano un governo alla nazione". Seguendo tale chiave di lettura, potremmo chiederci se i privilegiati di cui si colpiscono le "carrozze blu" abbiano smesso di assicurare un governo alla nazione. Autorevoli studi dimostrano come ciò sia avvenuto dagli anni '80 per il parlamento e dagli anni '90 per gli enti locali. Aule di eletti che spesso lamentano svuotamenti di potere. Ma a chi è stato ceduto il potere che i rappresentanti lamentano di non avere piu'? La risposta sta nella stessa dichiarazione del ministro Santagata, quando (subito dopo gli organi della democrazia rappresentativa) individua gli ulteriori bersagli dei tagli nei consigli di amministrazione di società di diritto privato, nonché consulenti e tecnici. Credendo nell'attualità di Voltaire, parrebbe che non solo la democrazia rappresentativa non abbia assicurato un governo, ma anche che abbia delegato una parte non piccola delle sue funzioni, delle sue inefficienze e dei suoi privilegi a soggetti non eletti dai cittadini. Del resto, anche la recente proposta referendaria è inquadrabile in un contesto di sfiducia verso una capacità di riforma della classe politica. La crisi della democrazia rappresentativa non riguarda solo l'Italia. Da tempo molte città nei due emisferi del pianeta si misurano con teorie ed esperienze di democrazia partecipativa proprio per tentare di invertire il segno delle trasformazioni. Laddove diritti e doveri di cittadinanza sono concepiti in stretta relazione con il volume della spesa pubblica e la dimensione del welfare state, i tentativi di innovare la democrazia avvicinando agli abitanti il governo della cosa pubblica sono nati prima dove la cittadinanza era debole, poi si sono diffusi dove essa era in decadenza. A tal punto che perfino il prematuramente defunto "trattato costituzionale europeo" prevedeva, accanto a un articolo che declamava il fondamento della democrazia rappresentativa, un secondo articolo dedicato alla democrazia partecipativa. I Bilanci Partecipativi sono oggi uno strumento diffuso in oltre 1200 città dove co-responsabilizzazione civica, ravvivamento della fiducia nelle istituzioni e problemi della spesa pubblica vengono affrontati insieme. Si potrebbe coniare un principio di minima partecipazione immaginando che la dimensione possibile di ogni livello di governo sia legata alla dimensione della partecipazione dal basso. Ad esempio, invece di sopprimere le circoscrizioni, si potrebbe disporre che la presenza di ogni circoscrizione debba essere legittimata dalla partecipazione di almeno un certo numero di abitanti a processi pubblici di scelta, e definirne il numero in rapporto alla popolazione del rispettivo territorio. Dopodiché, se si volesse contrarre il numero dei consiglieri comunali, si potrebbe dire che, dato un livello minimo di membri, eventuali estensioni debbano essere legittimate dalla partecipazione di un certo numero di cittadini (da individuare come in precedenza). Per le province sarà lo stesso, potendo disporre della facoltà di estendere la dimensione dei propri organi di governo in relazione alla partecipazione nei comuni del territorio. E così via fino alle regioni. Tutti i livelli di governo decentrati, per riappropriarsi dei privilegi tagliati, dovranno recuperare pubblicamente il proprio ruolo, innovando e governando assieme ai cittadini fino, forse, a non cercare più nemmeno i privilegi di prima. Se i tagli proposti dal governo permettessero di recuperare 500 milioni di euro, perché la spesa possa tornare ad espandersi al livello originario - secondo il suddetto principio di minima partecipazione - sarebbe necessaria la parecipazione di milioni di cittadini, che (in tal caso) mai legittimerebbero una ripresa dei costi della politica. Un ultimo attacco ai governi decentrati avviene sotto forma di erosione delle basi imponibili degli enti locali: Ici scontata agli enti ecclesiastici, alle onlus, alle famiglie numerose, e poi una generica riduzione uguale per tutti, abitazioni di pregio e case popolari. Ma anche provvedimenti che hanno colpito l'imposta sulla pubblicità, finanziarie che hanno inibito l'uso delle addizionali Irpef. Tutti questi provvedimenti segnano la competizione del governo centrale con quelli locali, dove il primo limita le fonti di prelievo fiscale dei secondi finendo per contribuire alla demolizione della politica locale. Nei paesi scandinavi sovente i governi locali hanno come fonte di finanziamento le imposte sulle persone fisiche. Da noi, si invitano i Comuni a pianificare la cementificazione del proprio territorio per aumentare i proventi derivanti da Ici e oneri di urbanizzazione per poter mantenere un minimo di servizi alla persona. Supponiamo si giudichi eccessiva la pressione fiscale dei livelli locali, il principio di minima partecipazione potrebbe essere applicato anche in questo caso. La norma potrebbe così recitare: le aliquote delle imposte locali possono essere ampliate del 10% se partecipa almeno un certo numero di cittadini a progetti di destinazione delle stesse risorse. In generale, dati "n" livelli di governo, ognuno di essi può vedere accresciuto un margine di autonomia quanto più riesce a generare consenso coi cittadini o con i livelli di governo inferiori. Un principio romantico, ma molto concreto che, una volta tradotto in norma, potrebbe garantirebbe autonomia, responsabilità diffusa, ma soprattutto governi democratici nei territori. Nonché una rinnovata fiducia dei cittadini nella politica. Può valere la pena tentare?.


 

Il Corriere della Sera 17-9-2007 Riforme non fatte e protesta antisistema Il grande errore di Angelo Panebianco    

 

Se si sprecano le occasioni, prima o poi la storia si vendica, presenta il conto. Nella società disgregata, «a coriandoli», secondo la felice definizione di Giuseppe De Rita, convivono, senza contraddizione, cinismo, rassegnazione, cupo pessimismo e movimenti di protesta anti sistema di crescente intensità. Ciò è il frutto del «Grande errore »: il mancato rinnovamento dello Stato negli anni Novanta. Per un certo periodo le conseguenze del grande errore non vennero comprese da molti. Ma nel momento in cui, dal conflitto orizzontale, fra Berlusconi e i suoi nemici, si passa al conflitto verticale, fra settori significativi dell'elettorato e la classe politica, quelle conseguenze diventano drammaticamente evidenti. Dio non voglia che ciò preannunci un nuovo ciclo di violenza.

Nei cinque anni del governo Berlusconi, la disgregazione, comunque in atto, rimaneva nascosta ai più. La società era tenuta insieme da un grande collante: l'odio. Per mezza Italia, al governo c'era l'Uomo Nero, il Caimano. Lo scontro fra le fazioni era feroce. Prima che due politiche, nel Paese si scontravano (credevano di scontrarsi) due antropologie. Era facile, allora, per metà del Paese, attribuire ogni male, grande o piccolo, al ruolo malefico dell'usurpatore, dell'Uomo Nero. Ora che l'Uomo Nero non governa, il conflitto orizzontale ha perso intensità. E la prova deludente del governo di centrosinistra ha modificato la struttura del conflitto: allo scontro orizzontale fra Berlusconi e gli altri si è sovrapposto lo scontro verticale fra settori rilevanti dell'elettorato, soprattutto di sinistra (vedi gli applausi per Beppe Grillo al Festival dell'Unità) e la classe politica. Non potendosela prendere solo con il governo per il quale, in maggioranza, hanno votato, quegli elettori spostano il tiro sul Sistema.
Nei primi anni Novanta, con la fine della Guerra fredda e i conseguenti effetti dirompenti sulla politica italiana, si aprì una «finestra di opportunità» che non fummo capaci di sfruttare a fondo. Non ci fu il passaggio dalla Repubblica dei partiti allo Stato repubblicano. Cambiò il sistema elettorale, venne l'elezione diretta di sindaci e Presidenti di Regione. Ma non fu intaccata l'architettura complessiva. Non ci fu realmente una «Seconda Repubblica».

Per oltre 40 anni i partiti politici erano stati i supplenti, i sostituti funzionali, delle istituzioni statali: la «partitocrazia» al posto dello Stato. A quel sistema dei partiti, quando morì, non subentrarono istituzioni pubbliche rinnovate (un forte governo, amministrazioni pubbliche snelle ed efficienti, eccetera). Ne paghiamo il prezzo. Senza più partiti radicati e forti e con istituzioni sempre inadeguate, sprovviste di autorevolezza, e quindi deboli, la democrazia si trova priva di ancoraggi. Da qui le spinte centrifughe e disgreganti. In mancanza di meglio si tenta ora la strada della ricostituzione dei partiti (il Partito democratico, forse la Federazione della destra). In un Paese di fazioni, si cerca, almeno, di ridurre il numero delle fazioni. È una buona cosa perché la frammentazione fa comunque male.

Ma, forse, è troppo poco. Persino i politici se ne rendono conto e dopo essere stati responsabili del grande errore riprendono l'infinita danza intorno alle «indispensabili» riforme istituzionali da fare. Senza considerare che le parole della politica non servono a costruire consenso e a indicare mete quando sono state logorate per il troppo uso. Ci vorrebbero leader veri, capaci di rischiare, ma il sospetto è che i leader siano stati sostituiti dagli uomini dello spettacolo.

17 settembre 2007


 

Il Corriere della Sera 16-9-2007 Il nemico in casa di Sergio Romano

 

Che cosa faceva Beppe Grillo ieri alla festa milanese dell’Unità? Il comico genovese non è soltanto il fustigatore della politica italiana. A Bologna ha dichiarato che non vuole fondare un partito. Vuole distruggerli tutti. Nel suo sito e nelle sue performance non ha fatto distinzioni e non ha trattato gli esponenti dei Ds meglio di quelli di altri partiti. Che cosa faceva dunque, con un suo spettacolo, alla festa annuale di un organismo che è pur sempre, nelle ossa e nel sangue, l’erede del Pci, vale a dire di un partito che fu contemporaneamente, per i suoi fedeli, Dio, patria e famiglia? Un incidente di calendario? È possibile.

Gli organizzatori della Festa lo avevano invitato verosimilmente prima del V-day e hanno forse ritenuto che la cancellazione dell’evento sarebbe stata interpretata come una manifestazione di stizza o codardia. Beppe Grillo, dal canto suo, potrebbe avere deciso di accettare la sfida e stare al gioco. È un provocatore, conosce l’arte del palcoscenico, e ha scommesso con se stesso che avrebbe conquistato e sedotto persino i diessini milanesi. Un comico in tournée sceglie il suo itinerario secondo le dimensioni, l’acustica e la notorietà dei teatri in cui dovrà recitare. La Festa dell’Unità è stata per molti anni il Circo Massimo della politica italiana. Grillo ha scelto il teatro e il suo pubblico, non l’impresario. E ha vinto la scommessa. Eppure dietro l’invito dell’impresario potrebbero esservi motivi su cui vale la pena di spendere qualche riflessione.

Come tutti i partiti, anche i Ds sono preoccupati da un fenomeno che sta strappando al loro controllo una parte importante della società. Ma hanno un particolare motivo d’inquietudine. Fin dalla sua nascita, il partito da cui provengono si è considerato depositario di una grande promessa e titolare della opposizione al sistema politico ed economico. Quando un altro partito ha cercato di conquistare le masse, i comunisti hanno difeso il monopolio della protesta e hanno combattuto duramente i concorrenti. Il loro scontro con la socialdemocrazia e con il fascismo, negli anni Trenta, fu politico e strategico ancor prima che ideologico. Non potevano tollerare che un altro partito s’impadronisse delle piazze, delle fabbriche, del cuore delle ultime generazioni.

È probabile che non abbiano dimenticato la brutta esperienza della contestazione, alla fine degli anni Sessanta, quando temettero di perdere la federazione giovanile e i sindacati. Non vorrebbero che Grillo fosse, con nuovi ceti sociali, l’antesignano di un nuovo «sessantotto », e temono i suoi comizi più di qualsiasi altro partito. Ma i comunisti e i loro eredi hanno sempre dato prova di un robusto e spregiudicato realismo politico. In Germania, durante la Repubblica di Weimar, il partito comunista tedesco scese in piazza, soprattutto a Berlino, insieme al partito nazional- socialista. Da Mosca, quando si accorse che Mussolini, con la guerra d’Etiopia, aveva conquistato il consenso della grande maggioranza degli italiani, Togliatti lanciò un messaggio ai «fratelli in camicia nera». Alla fine del 1946, mentre il movimento dell’Uomo Qualunque sembrava destinato a grandi successi, lo stesso Togliatti esplorò la possibilità di una intesa con il suo fondatore, Guglielmo Giannini (teatrante, anch’egli, come Grillo).

E Massimo D’Alema, nel febbraio 1995, disse che la Lega era «una costola della sinistra». Vizio o virtù, il «dialogo con il nemico», quando il concorrente non può essere eliminato con altri mezzi, appartiene alla cultura politica dei comunisti. E sopravvive, a quanto pare, nel patrimonio genetico degli eredi.

16 settembre 2007

 


 

La Repubblica 17-9-2007 Venerdì, crollo in Borsa Sabato, le file dei correntisti Oggi, la grande attesa Northern Rock, Londra trema ritirati già 2 miliardi di sterline Il Tesoro inglese: banca solvibile.

 

Oggi previsti nuovi assalti i mutui a rischio Le scuse dell'ad: "I'm sorry, cercasi acquirente" Accuse a Gordon Brown Varie filiali hanno chiamato la polizia per calmare la folla che si accalcava agli sportelli ENRICO FRANCESCHINI dal nostro corrispondente LONDRA - Quasi due miliardi di sterline, pari a tre miliardi di euro ritirati in quarantotto ore. La previsione che a partire da stamattina, nel giro di una settimana, un totale di quasi venti miliardi di euro, la metà del totale dei depositi, verranno portati via da risparmiatori in preda al panico. La Northern Rock, quinto istituto di credito britannico, vacilla. "Cerchiamo un acquirente, un cavaliere bianco", ammette a malincuore Adam Applegarth, l'amministratore delegato, "sarebbe un supplizio andare avanti così". E potrebbe diventare anche peggio: varie filiali, inclusa quella londinese di Golders Green, hanno chiamato la polizia per calmare la folla che dava l'assalto agli sportelli e minacciava di tirare giù tutto. La Banca d'Inghilterra e Alastair Darling, il cancelliere dello Scacchiere ovvero il ministro del Tesoro, si sforzano di rassicurare l'opinione pubblica: "E' tutto sotto controllo, la Northern Rock potrà contare su di noi se ne avrà bisogno, tutti riceveranno indietro i propri soldi". Ma bisogna andare indietro di trent'anni per ricordare una crisi di liquidità simile nel Regno Unito: allora fu la Cedar Holding, come la Northern Rock una banca specializzata nella concessione di mutui sulla casa, a trovarsi nei pasticci e l'operazione di salvataggio costò alla banca centrale qualcosa come cinque miliardi di euro odierni. Il timore vero delle autorità è che il panico sia contagioso: il boom immobiliare dell'ultimo decennio, scrivono i giornali della domenica in prima pagina, "è finito", e una banca che precipita rischia di tirarne giù altre se la gente corre in massa a ritirare i propri risparmi dai conti correnti. Per il momento, gli analisti della City prevedono che ciò non avverrà. Ma qualcosa è cambiato. Il boom dei prezzi delle case appare in declino. I tassi d'interesse, viceversa, puntano al rialzo. I crediti interbancari, con cui le banche hanno finanziato mutui sempre più rischiosi, cominciano a chiudersi. E nell'arena politica, sentendo odore di sangue, si affilano i coltelli. David Cameron, leader dei conservatori, è partito all'attacco con un editoriale sul Sunday Telegraph accusando Gordon Brown, per dieci anni ministro del Tesoro e da due mesi primo ministro, di avere creato una bolla artificiale di ricchezza, basata sul mercato immobiliare e sui prestiti, non sulla produttività reale. "Se la Gran Bretagna non riduce la sua dipendenza dal debito, la crisi della Northern Rock sarà solo la prima di tante", ammonisce Cameron. Il quale fa la Cassandra, naturalmente, per mettere in difficoltà i laburisti di Brown: una crisi economica o perlomeno una sensazione d'incertezza sul futuro sarebbe la sua carta migliore da giocare alle prossime elezioni. Non è solo sterile polemica, tuttavia, quella del leader dei Tory: il Regno Unito, in questi anni di crescita economica e consumismo alle stelle, è diventato il paese più indebitato d'Europa. Tutti s'indebitano con le carte di credito, mentre pubblicità televisive o avvisi nella cassetta della posta offrono a tutti prestiti di ogni genere, per comprare la casa, per restaurarla, per comprare la macchina, per andare in vacanza. La preoccupazione che questa catena di debiti colpisca la parte più debole e povera della popolazione è reale. Se accadesse, Brown sarebbe in seria difficoltà e l'eredità del blairismo assumerebbe contorni meno sfavillanti. A infuriare ulteriormente i cittadini britannici c'è il gap ricchi-poveri che continua a crescere. Una banca sta rischiando di affondare, la Northern Rock, ma i banchieri se la passano sempre meglio: questa estate i bonus annuali nella City hanno superato per la prima volta la media del milione di sterline, un milione e mezzo di euro a testa, e c'è chi se ne è messi in tasca ben di più. "I am sorry", mi dispiace, piagnucola Adam Applegarth, l'amministratore della Northern Rock, ma intanto i giornali pubblicano le foto della sua lussuosa villa da 4 milioni di euro nei sobborghi più esclusivi di Londra. Tutte le banche britanniche, secondo indiscrezioni, sono interessate a rilevare la Northern: ma prima vogliono che il suo valore, già sceso del 30% in Borsa, cada ancora più in basso. In questa atmosfera, non dovranno aspettare a lungo.


 

Il Manifesto 17-9-2007 Legge elettorale, Veltroni incalza: "Cambiarla è un emergenza nazionale". Bossi insiste, Forza Italia apre e Bertinotti è ottimista: "Si può fare". Ma sul modello tedesco non c'è accordo e la consultazione di primavera si avvicina Domenico Cirillo

 

Roma "Ci sono tutte le condizioni per cambiare la legge elettorale". Il presidente della camera è ottimista al punto che considera la riforma fattibile "rapidamente" perché "i tempi sono maturi". Ma come? Berlusconi ha appena chiuso ad ogni ipotesi di dialogo con il centrosinistra, e Prodi gli ha replicato secco "faccia quel che vuole"? Fausto Bertinotti suggerisce di non farsi ingannare dalle apparenze: "Sarei molto smagato e guarderei meno agli elementi di superfice e più a quelli di fondo". In effetti il portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti, corregge un po' le dichiarazioni drastiche del cavaliere. "Noi siamo pronti a discutere della legge elettorale - dice -, ci incontreremo tra noi e qualcosa uscirà fuori. Ma la sinistra non ha favorito il clima di dialogo". Bonaiuti riconosce che nemmeno il centrodestra ha le idee chiare al suo interno. Anche se nel "patto di Gemonio" tra Forza Italia e Lega si parla di una riforma di tipo proporzionale e soprattutto si prende l'impegno di evitare il referendum che (corte Costituzionale permettendo) andrebbe fatto la prossima primavera. Alleanza nazionale la pensa diversamente. Intanto Maurizio Gasparri affonda l'ipotesi che piace a leghisti e berlusconiani di lavorare sul modello tedesco: "No grazie. Con quel sistema si ingannano gli elettori tenendosi le mani libere per governare ora con la destra ora con la sinistra". Poi Gianfranco Fini sottolinea le differenze tra il suo partito e la Lega: "Bossi è pronto a tutto pur di evitare il referendum che io non considero una minaccia o un attentato alla democrazia. Sono disponibile al confronto sulla legge elettorale, ma solo a certe condizioni". Casini e l'Udc invece stravedono per il proporzionale alla tedesca e ieri concludendo la festa del partito l'ex presidente della camera ha proposto non una soglia di sbarramento ma "una sogliona" particolarmente alta, metodo sicuro per favorire la nascita di aggregazioni di partiti e poi, ha detto Casini, "si dovrebbe andare subito al voto". Obiettivo che è lo stesso di Fini, che infatti ospitando ieri a Roma alla festa dei giovani di An Walter Veltroni non ha concesso alcuna apertura sulla legge elettorale e sulle altre riforme: "Questo parlamento prima se ne va e meglio è". Il problema è però che con la legge elettorale "porcata" di Calderoli il capo dello stato ha detto in un paio di occasioni e chiaramente che sarebbe inutile sciogliere le camere. Dunque anche la destra ha interesse a intervenire sul sistema di voto e Berlusconi sa che non può affidarsi solo al referendum rischiando di perdere due partiti (Lega e Udc) su quattro della coalizione. D'altro canto la primavera 2008 si avvicina: "Si perde tempo a discutere sui vari sistemi elettorali e intanto si precipita sul referendum", si allarma il socialista Villetti. Tra gli acceleratori c'è sicuramente Rifondazione che ha già fatto la sua scelta per il modello tedesco. Ma nell'Unione non tutti la pensano così e c'è chi anche nel Partito democratico preferisce un ritorno al Mattarellum con il quale si è votato nel 2001. Anna Finocchiaro dei Ds lo dice apertamente, altri nell'Unione (come Verdi e Pdci) sono d'accordo. L'Udeur sospetta e teme che il Pd stia prendendo tempo perché in realtà spera nel referendum e nella vittoria dei sì. Veltroni lancia la carica: "Cambiare la legge elettorale è un'emergenza nazionale, a me piacerebbe che ci fossero le condizioni". Il sindaco di Roma resta comunque tra i fan del referendum. A questo punto, nonostante l'ottimismo di Bertinotti, sempre più probabile. Perché Ds e Margherita, dopo aver affondato le proposte messe insieme dal ministro delle riforme Chiti che aveva trovato un'intesa trasversale attorno al sistema delle regionali, dopo aver lanciato il modello tedesco, adesso lanciano segnali in favore del Mattarellum. Un sistema, rivela il ministro della Difesa Parisi, che piace soprattutto a Prodi. E che avrebbe il privilegio di poter essere raggiunto semplicemente cancellando, con una legge di un solo articolo, la riforma introdotta da Calderoli sul finire della scorsa legislatura.


 

La Repubblica 17-9-2007 Boom dei mancini: sono l'11% In un secolo sono triplicati Spesso, dicono gli scienziati, è indice di doti particolari condizione associata con alti livelli d'intelligenza e creatività. dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI

 

LONDRA - La sinistra cresce in tutto il mondo. Non come ideologia politica, o meglio non solo come tale, considerato che l'Economist ha dedicato recentemente una copertina proprio a questo sviluppo ("l'America sta svoltando a sinistra?"): bensì la sinistra intesa come mano. Il numero dei mancini, annuncia un ampio studio condotto in Gran Bretagna, è più che triplicato rispetto a un secolo fa.

La proporzione di coloro che usano la mano sinistra per scrivere è salita dal 3 per cento della popolazione nel 1907 all'11 per cento oggi, secondo un'indagine svolta dall'University College London e anticipata ieri dal Sunday Times. Il moltiplicarsi dei mancini, spiega il professor Chris McManus, che ha guidato la ricerca, "è un fenomeno globale probabilmente dovuto alla riduzione dei tentativi di costringere a scrivere con la destra quei bambini che avevano la naturale tendenza a scrivere con la sinistra".

Per secoli, i mancini erano visti come anomalie, possibilmente da correggere. Nell'Impero britannico dell'era vittoriana venivano usati vari sistemi per impedire ai bambini di scrivere con la sinistra e insegnare loro a farlo con la mano destra.
Ancora negli anni Sessanta, in Inghilterra e in altri paesi europei, non era insolito sentire di maestri, educatori o genitori che legavano la mano sinistra dietro alla schiena di un bambino con tendenza a essere mancino, in modo che scrivesse, mangiasse, giocasse, facesse tutto esclusivamente con la destra.
Finché studi più recenti, nei decenni successivi, hanno dimostrato che essere mancino non soltanto non è un'anomalia ma può essere indice di doti particolari, una condizione associata con alti livelli d'intelligenza e di creatività.

Nella storia, in effetti, abbondano i casi di mancini di grande successo: da Giulio Cesare a Michelangelo, da Napoleone Bonaparte a madame Curie, da Ronald Reagan a Bill Clinton, da Paul McCartney a David Bowie. Per non parlare di Jimi Hendrix, mancino che si era fatto fare una chitarra su misura. Tra i contemporanei, usano la sinistra il principe William, futuro re d'Inghilterra, e l'attrice Nicole Kidman. Senza dimenticare naturalmente i giocatori di tennis, i cui tiri "mancini" hanno fatto storia e vinto tornei, da McEnroe al nuovo astro Nadal.

Lo studio dell'University College London analizza la predominanza di una mano o dell'altra in ogni tipo di attività umana. Lo sport, per esempio: uno dei casi osservati dagli psicologi dell'università londinese riguarda un uomo che usa la destra quando è alla battuta nel cricket, predilige il piede destro nel calcio, ma è mancino quando impugna una racchetta.

Altre combinazioni includono persone che scrivono con la destra ma preferiscono la sinistra per tirare una boccia da bowling. La ricerca ha inoltre preso in considerazione il maggiore o minore uso della sinistra per salutare, per fare ciao con la mano, per esempio in occasione di una parata o di una manifestazione pubblica.

Grazie a filmati d'archivio che risalgono fino al 1900, gli studiosi hanno potuto stabilire che all'inizio del secolo scorso solo il 16 per cento della popolazione usava la sinistra per salutare, mentre oggi lo fa circa il 24 per cento.

Essere mancini, secondo alcuni studiosi, è una condizione ereditaria. Altri ritengono che dipenda dall'età della madre: forse oggi ci sono più mancini perché più donne fanno figli in età avanzata. Il professor McManus, infine, è convinto che i geni che determinano l'uso di una mano o dell'altra abbiano forte influenza sullo sviluppo del linguaggio: sarebbero state mutazioni in simili geni a spingere gli esseri umani a evolvere un linguaggio complesso. Distiguendoci nella notte dei tempi da altri primati, scimmie e gorilla, che usano la destra o la sinistra grosso modo in uguali proporzioni.

(17 settembre 2007)