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Archivio di Piccola rassegna  

 

Gennaio 2007

 

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INDICE ARCHIVIO DI GENNAIO 2007

 

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18-1-2007


 

 

 

INDICE 31-1-2007

Dal Corriere della Sera 31-1-2007 A Kinshasa tra i volontari. «Pochi antivirali per i minori, non sono convenienti per le aziende»  1 Mario Porqueddu

Da La Repubblica 31-1-2007  Pompei. Nuovi scavi riportano alla luce le origini arcaiche del VI secolo Francesco Erbani 5 5

Da Il Sole 24 Ore 30-1-2007  L'ideale dei Volenterosi: una marcia dei 40mila per le riforme  8

Da fainotizia.radioradicale.it 30-1-2007 Primo incontro pubblico dei Volenterosi 9

Da La Stampa 31/1/2007 (7:54) - L'UOMO NEL MIRINO "La Cia sapeva che avrei detto no" Umberto La Rocca  14

Dal Corriere della Sera 31-1-2007  Cosa si può fare. Piccoli gesti che salvano l'ambiente e la Terra. Paolo Virtuani 19

Da qualenergia.it 30-1-2007 Bioenergie in campo. Le bioenergie possono offrire un contributo importante allo sviluppo delle fonti rinnovabili. di Fabrizio Rossi 21

Da punto-informatico.it  31-1-2007  Telecom, risarcimento multimilionario per Fastweb  26

Da L’Opinione 30-1-2007 Edizione 24 del 30-01-2007 Una sanità tutta da rifare e gli Usa si ispirano all’Europa di Domenico Maceri 28

 

 


 

 

Dal Corriere della Sera 31-1-2007 A Kinshasa tra i volontari. «Pochi antivirali per i minori, non sono convenienti per le aziende» Mario Porqueddu

 

Nell’Africa degli orfani dell’Aids. «Milioni di bimbi senza farmaci»

L’appello di Medici senza frontiere: mancano le cure in dosi pediatriche Piccoli soli per le strade del Congo. «Siete stregoni, portate il contagio»          

KINSHASA (Congo) — Sabato di gennaio, è caldo e umido a Kinshasa. In un ambulatorio donne del Congo raccontano ai loro figli una strana fiaba. Parla di malattia e discriminazione, perché qui tutti, madri e bambini, sono sieropositivi. È la storia del leoncino Becki: «La sua mamma si è ammalata ed è morta mentre erano in viaggio per cercare le medicine di cui aveva bisogno: un pezzo di luna, l’acqua del Mar Rosso, una foglia verdissima. Un giorno il pelo di Becki diventa più chiaro: il virus l’ha colpito. Il leoncino pensa di essere l’unico piccolo malato e si nasconde per la vergogna. Ma una giovane leonessa si innamora di lui, gli spiega che quelle medicine che cercava sua madre funzionano, lo invita a tornare al villaggio per dirlo a tutti. Alla fine lei e Becki vanno a casa assieme: ogni giorno mangiano un pezzetto di luna e uno di foglia, con un po’ d’acqua del Mar Rosso». L’educatrice ripiega i fogli con i disegni degli animali e chiede «chi di voi prende medicine?»: i bambini alzano la mano. Saranno una trentina, i più piccoli hanno 2 o 3 anni, quelli grandi 8 o 9. Quasi tutti sono sieropositivi dalla nascita. E alcuni hanno già bisogno dei farmaci antiretrovirali (Arv), le sostanze che rendono possibile una vita normale a chi ha il sistema immunitario minato dall’Hiv. In Africa, però, trovarli è difficile come fare un cocktail di luna, Mar Rosso e foglie verdissime. Al Centro di trattamento ambulatoriale del quartiere Kabinda una volta al mese si riunisce il gruppo di supporto di Medici senza frontiere per i bambini malati. Qui gli Arv, quelli «generici» prodotti in India a basso costo, vengono distribuiti gratis. In tutto sono un centinaio i minori sotto terapia in questo avamposto della lotta al male che nel 2006 ha contagiato altri 2 milioni e 800 mila africani e a più di 2 milioni ha tolto la vita. Rilevazioni condotte dal ministero della Sanità sulle donne incinte, considerate un campione probante, dicono che oggi nella Repubblica democratica del Congo ci sono 7 milioni di persone sieropositive: circa 1 milione e 200 mila vivono con l’Aids e ad almeno 160.000 servirebbero gli Arv. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità li riceve un misero 5%. Nessuno sa quanti siano in città, o nel resto di un Paese che è poco più piccolo dell’Europa occidentale, i bambini che avrebbero bisogno di cure per l’Hiv. La sola cosa certa è che sono tanti e che per loro i farmaci, semplicemente, qui non ci sono. «Nel mondo — attacca Msf — si producono poche formulazioni pediatriche degli antiretrovirali perché i bambini non rappresentano un mercato appetibile per le industrie». E ancora: «Quelli che ci sono costano troppo.

Per la terapia di un bimbo di 14 chili ci vogliono circa 1.300 dollari l’anno, contro i 200 necessari a trattare un adulto». L’ostacolo principale si chiama povertà. Alcuni Arv vanno conservati in frigorifero e anche questo è un problema quaggiù: «Frigo? A volte non ce l’hanno nemmeno gli ospedali» dice Anja, una belga di 33 anni, coordinatrice del progetto Hiv di Msf a Kinshasa. Milioni di bimbi infetti Medici senza frontiere cerca di scuotere coscienze e governi: «Al mondo ci sono circa 2 milioni e 300 mila bambini affetti da Hiv/Aids; oltre 2 milioni vivono in Paesi poveri: 660 mila sono a uno stadio della malattia che richiederebbe terapie Arv, ma solo una minoranza le ottiene. Ogni giorno 1.500 bambini vengono infettati, in gran parte sono neonati e 9 su 10 contraggono il virus dalla madre, perché gli sforzi per prevenire la trasmissione materno-fetale nei Paesi del Sud sono insufficienti. Il 50% dei neonati sieropositivi muore prima dei 2 anni». Ma è davvero uno scontro tra ragioni dell’economia e diritto alla vita? Stefano Vella, dell’Istituto superiore di sanità, lavora con l’Agenzia europea per la valutazione dei prodotti farmaceutici (Emea) e da anni combatte l’Hiv: «Per l’Aids si sta cercando di portare cure dappertutto. Non è stato fatto per la malaria, né per la Tbc, che pure uccidono. L’Hiv, il solo virus venuto dal Sud del pianeta che il Nord ha conosciuto da vicino, ha cambiato la sensibilità rispetto alla disuguaglianza in materia di salute. Oggi al mondo gli Arv arrivano al 20% di chi ne ha bisogno. Non basta a battere l’epidemia, ma è una grande avventura dell’umanità ». Già,ma i bambini? «Credo che gli Arv per curarli ci sarebbero. Però è vero, l’Africa è tagliata fuori. E in generale molti farmaci vengono sviluppati solo per l’adulto. Perché quello dei bimbi è un mercato piccolo: in loro le patologie sono più rare, fare test sui minori è difficile e senza test non si può commercializzare farmaci, e poi è più immediato ed economico fare compresse per adulti invece di sciroppi o pasticche da succhiare che abbiano un gusto piacevole e funzionino ». Da GlaxoSmithKline, multinazionale del farmaco, replicano così: «Produciamo 7 antiretrovirali, tutti disponibili in forma di sciroppo e tutti, tranne uno, indicati per l’impiego pediatrico. Nei Paesi in via di sviluppo concediamo licenze volontarie per la produzione dei nostri Arv a società locali ». Però qualcosa non va se a dicembre l’Ue ha approvato un «sistema di obblighi, premi e incentivi » per fare in modo che i farmaci creati per gli adulti, inclusi gli Arv, vengano prodotti anche in dosi adatte ai bambini. «Il mercato da solo — dice il nuovo regolamento—si è rivelato insufficiente per stimolare la ricerca, lo sviluppo e l’autorizzazione di medicinali di uso pediatrico». Vella ammette: «È la prova che il problema di cui parla Msf esiste».

Quando lo si trasferisce nel Sud del mondo assume dimensioni drammatiche. Tre sorelle sieropositive Un dato italiano aiuta a capire. Grazie a terapie contro la trasmissione del virus da madre a feto l’Aids tra i nostri bambini (e quelli dei Paesi ricchi) è un evento raro: nel 2005 i casi in Italia sono stati tre. A Kinshasa, invece, ce ne sono tre nella famiglia di Papa Jean. Lui ha 56 anni ed è malato di Aids. Le figlie sono sieropositive: Ruth e Sara, le due gemelle di 4 anni, e Majoie, la grande, che ne ha 9. Ogni giorno, mattino e sera, Papa Jean spezza le grosse pastiglie di Arv con le dita, creando a occhio le dosi per le bambine. Se non riescono a buttarle giù, sbriciola i farmaci e li scioglie in acqua. Vive a Kimbanseke, quartiere periferico dove chi viene dall’Europa realizza di essere bianco, lo diventa davvero, si trasforma in «mundele»—bianco in lingua lingala—come gridano i ragazzi al passaggio di un’auto piena di tipi esotici. Davanti alla sua catapecchia Papa Jean racconta: «I miei due figli maschi sono sieronegativi. Mia moglie non ha l’Aids. Non so come si siano infettate le bimbe». Formula ipotesi che oscillano tra sfortuna e superstizione: «Magari giocando con un mio rasoio. Oppure è stato un miracolo di Belzebù». La Tbc gli toglie il fiato. Tossisce, poi riprende: «Quando sono stato male uno zio mi ha portato da un guaritore. Quello mi ha detto che erano state le bimbe a contagiarmi, che erano abitate da spiriti maligni. Non gli ho creduto. La gente intanto mi isolava, per strada mi chiamavano relitto. Dal 10 ottobre 2005 prendo gli Arv: per me è iniziata una seconda vita». Generazioni a perdere A Papa Jean è andata bene e anche alle sue tre figlie. Perché le strade di Kinshasa sono piene di bambini abbandonati: negli anni 90 l’artista congolese Papa Wemba in una canzone li ha chiamati shegue, abbreviazione di Che Guevara, per esaltarne il coraggio e lo spirito di indipendenza. Ma di poetico nelle loro storie c’è solo quel nome. Humanrights watch ne conta 30mila, per la OngMedicines du monde, che ha aperto per loro un centro di accoglienza, sono 15 o 20 mila. Finiscono in strada per tanti motivi, quasi tutti hanno a che fare con la povertà, ma spesso è anche a causa dell’Aids.

La malattia ha reso orfani molti di loro e si è tradotta in un’assurda condanna formulata dai parenti rimasti: «Avete ucciso i vostri genitori: siete stregoni». Cacciati di casa e discriminati, dormono dove capita, vivono di espedienti. Ci sono ragazze, o magari bambine, che si prostituiscono per uno o due dollari e così nel 20% dei casi diventano sieropositive. Dieci di loro, avranno 14 anni, vivono accampate vicino a un canale sulla strada che va all’aeroporto. Msf le ha visitate. Squadre di medici e consulenti cercano le prostitute di Kinshasa, distribuiscono preservativi nei quartieri poveri, insegnano alle ragazze come usarli, da maggio le invitano al centro Biso na Biso, che in lingala vuol dire «Tra di noi» perché è dedicato alle professioniste del sesso. Ci lavora Stella Egidi, 30 anni, di Viterbo. Ha lasciato l’ospedale di Perugia per spendere qui la sua specializzazione in malattie infettive. «La lotta all’Aids in Africa è difficile — racconta —. Immaginiamo di avere tutti gli Arv di cui c’è bisogno: andrebbero presi con cura e regolarità da parte del malato, dovrebbero arrivare in luoghi che magari non sono raggiungibili perché non c’è la strada. E poi bisogna mangiare bene perché il fisico li tolleri e usare acqua potabile. Cose complicate quaggiù ». Msf dà cibo ai malati, ma a volte non basta: «Trecento persone ricevono razioni mensili di provviste—spiega Raphael, l’infermiere che lavora con i bambini — ma capita che la gente divida con parenti e vicini sia i farmaci sia gli alimenti». Allora perché restare qui? «In 12 anni a Kinshasa abbiamo curato 6.900 persone con l’Hiv—dice Anja —. Per 1.900 pazienti sono partiti trattamenti Arv. Senza, sarebbero morti in pochi mesi. Invece la maggior parte è tornata a stare meglio, lavora, ha una vita sociale. Con due pastiglie al giorno. Secondo i nostri dati la probabilità di sopravvivenza nei bambini curati con gli Arv è dell’87% a 12 mesi e del 77% a 36 mesi». Dicono che è per questo che continuano a sfidare l’Aids e il Congo. Povero e vitale, disperante e pieno di fede e culti nuovi, con figure a metà fra il prete e il santone che predicano così: «Se credete in Dio non prendete pillole, lui vi guarirà».

31 gennaio 2007


 

Da La Repubblica 31-1-2007  Pompei. Nuovi scavi riportano alla luce le origini arcaiche del VI secolo FRANCESCO ERBANI

 

 

Rivelati i primi giorni di Pompei così nacque la città sotto il vulcano


dal nostro inviato

 

 

SI SA MOLTO, ormai quasi tutto, di come sia morta Pompei. Ora si comincia a far luce sulla sua storia secolare, a cominciare dalla sua nascita. Le fonti mitologiche e letterarie sono state sempre vaghe: ma adesso affiorano in vari punti del territorio tracce archeologiche sull'origine della città. Che si potrebbe fissare al VI secolo avanti Cristo, a opera di popolazioni indigene etruscheggianti.

Una vasta campagna di scavo fra il 2003 e il 2006 ha permesso di individuare sotto il livello di età imperiale, sotto le mura, sotto molti edifici, una serie di substrati che raccontano il passato arcaico di Pompei, un passato ignoto. Tante tracce che ora si raccordano fra di loro e che consentono di rileggere in modo nuovo la storia della città e il suo sviluppo, fino a quel terribile agosto del 79 d. C., quando la lava dilagò fra le sue strade. Finora gran parte delle attenzioni si erano concentrate sull'ultimo tratto di questa terribile e stupefacente vicenda urbana. Ma, non accontentandosi più dell'istantanea scattata quel giorno, si è preso a indagare a fondo, sotto lo strato romano che è solo l'involucro recente di un organismo molto antico, ancora intravisto in una nebulosa eppure eccezionalmente ricco e seducente.


I risultati di questa intensissima attività di ricerca, condotta da archeologi di varie parti del mondo, vengono illustrati in un convegno internazionale che si svolge da domani fino a sabato a Roma, presso la Sala del Mappamondo di Palazzo Venezia. I relatori sono una cinquantina, provenienti da Università italiane e di 12 paesi. Sei sessioni presiedute da Adriano La Regina, Paul Zanker, Fausto Zevi, Ida Baldassarre, Dieter Mertens, Stefano De Caro. Il convegno sarà aperto dal Soprintendente di Pompei Pier Giovanni Guzzo.

Agli archeologi che hanno scavato sotto alcuni dei suoi più celebri edifici, ma anche in zone meno note, Pompei ha rivelato un volto diverso da quello dei custodi riottosi, dei parcheggiatori abusivi o delle bancarelle di patacche. Artefice di questa nuova effervescenza scientifica è stato il soprintendente Guzzo, da oltre dieci anni alla guida dell'area che comprende Pompei, Ercolano, Oplontis e Stabiae. Invece che allargare la superficie scavata, Guzzo ha spinto gli archeologi a scendere in profondità. Oltre a ipotizzare un'origine di Pompei, ci si avvia anche a rivedere la storia della città, in particolare la storia della sua crescita urbana: si riteneva che Pompei si fosse sviluppata a partire da una piccola zona centrale, quella del Foro, grande 9 ettari, zona poi espansa prima verso nord, poi verso est.

Secondo Fabrizio Pesanda, archeologo dell'Istituto Orientale di Napoli, e responsabile di uno dei progetti di scavo, le cose sarebbero andate diversamente. Sotto la cinta muraria è stato rintracciato uno strato risalente alla prima metà del VI secolo, caratterizzato da blocchi di "pappamonte", un tufo tenero. A questo stesso periodo risalgono due rilevanti edifici di carattere sacro, fra i più celebrati: il Tempio di Apollo e il Tempio Dorico del Foro Triangolare, ma anche altre piccole aree di culto esterne al presunto nucleo originario arcaico, ora riportate alla luce. Pesanda ha scavato nella cosiddetta Regio VI, la zona della città affacciata sulla Via Mercurio, area poco frequentata e distante dal Foro. Sotto le mura del Thermopolium ha rinvenuto un frammento di coppa in bucchero databile alla prima metà del VI secolo.

In quest'area sono stati individuati diversi strati, costruzioni che si sovrappongono l'una all'altra, come in un grande palinsesto urbano. Tracce di un edificio sono presenti anche sotto la Casa dell'Ancora e sotto la Casa del Centauro, dove sono state trovate anfore interrate verticalmente (avevano lo scopo di impermeabilizzare il pavimento) e anche un grande ambiente residenziale, abbellito con decorazioni parietali.

Gli scavi sono proseguiti in modo coordinato, senza tanti intoppi burocratici o traversie accademiche. Il territorio della città, soprattutto quello meno battuto dai cortei di turisti, è stato diviso fra diversi gruppi di archeologi. Un'équipe proveniente da Matera ha studiato gli strati sottostanti il Tempio di Venere, un'altra, composta da archeologi francesi, ha scavato un edificio per banchetti del IV secolo. Hanno lavorato ricercatori provenienti da Sheffield, Stoccolma, Oxford, Berlino, Valencia, Stanford, Uppsala, Kyoto, oltre che da Napoli, Venezia, Siena, Trieste e Roma. In questi anni non è stato rinvenuto materiale di grande pregio artistico, ma si è potuto documentare quanto Pompei sia una città romana soltanto nell'ultima parte della sua esistenza.

Questa messe di scoperte conduce a una serie di conclusioni, che potrebbero invertire l'immagine classica d'una città che si sviluppa a partire da un piccolo nucleo. "Nel VI secolo Pompei era già una città di grandi dimensioni e con edifici rilevanti diffusi capillarmente", spiega Pesanda. Da allora in poi queste diverse zone si sarebbero ingrandite, riempiendo i vuoti fra l'una e l'altra. Non sarebbe stato, però, un processo lineare. Mancano attestazioni di rilievo che risalgano al V secolo. Intorno a questi anni, stando alle ipotesi che ora prevalgono, Pompei subisce un arresto della sua crescita, "causato probabilmente da una profonda crisi demografica", aggiunge Pesanda. "Forse ha subito la sorte del più rilevante evento storico che coinvolse l'intera regione Campania in quei decenni, vale a dire la conquista di quasi tutte le città da parte delle popolazioni di stirpe sannitica, che provocò un ridimensionamento anche di insediamenti più grandi di Pompei, come le colonie greche di Cuma e di Poseidonia".

Dunque Pompei a un certo punto della sua storia si restringe ed è forse in questa fase che si richiude nella zona che fino agli ultimi scavi è stata ritenuta la parte più antica. Dopodiché s'apre un periodo di rinnovato vigore. Riprende a crescere rioccupando tutta l'area degli insediamenti arcaici, ricostruendo una nuova città sopra la vecchia, arricchendo la sua trama urbana in corrispondenza del diverso peso delle classi sociali che l'abitano. "L'ingresso di Pompei fra le città alleate di Roma, dopo il 310 a. C., coincide con un'attività edilizia febbrile, viene ristrutturato il Tempio Dorico, rinnovato il culto di Apollo e s'avvia la costruzione di un nuovo circuito di mura. Dagli anni iniziali del III secolo si sviluppa la Pompei che tutti conosciamo". Quella più arcaica comincia ora a mostrare le sue forme.


(31 gennaio 2007)

 

 


 

Da Il Sole 24 Ore 30-1-2007  L'ideale dei Volenterosi: una marcia dei 40mila per le riforme

A ll'inizio i Volenterosi erano un tentativo volto a correggere alcuni aspetti della legge finanziaria spezzando le rigide gabbie delle militanze politiche. Oggi sono molto di più.Non un movimento politico, ma qualcosa a metà fra un circolo culturale e un gruppo di pressione che sarebbe opportuno non sottovalutare. Costituiscono ormai una spina nel fianco dei due schieramenti.Capezzone,Tabacci, Franco Debenedetti, Nicola Rossi, Gianni De Michelis e molti altri: trasversali nel vero senso del termine, uniti idealmente da uno spirito pragmatico.
Qualcuno dice:i Volenterosi sono e saranno ancor di più in futuro uno stimolo ai riformisti, un invito perché questi ultimi escano

dall'ombra e difendano con determinazione e loro tesi. Altri aggiungono: i Volenterosi con la loro stessa esistenza dimostrano i limiti del bipolarismo italiano; e suggeriscono come rimodellarlo sulla base di una maggiore omogeneità dei progetti.
C'è molto di vero in queste osservazioni. Anche se la forza dei Volenterosi sta proprio nel non essere «l'ennesimo partitino». E nel non volerlo diventare.Questo permette loro una libertà d'azione che è grande e sarà ancora più estesa in futuro. Possono davvero essere il fulcro di un'azione riformatrice di stampo «neoliberale», raccogliendo le istanze provenienti da spezzoni del mondo politico delusi o frustrati. Non c'è dubbio infatti che il gruppo dei Volenterosi riunisce alcuni tra i migliori intelletti della classe dirigente. Personaggi in grado di testimoniare con la loro esperienza diretta quanto l'attuale sistema politico sia ingessato e autoreferenziale, quanto sia tetragono nell'escludere le voci anticonformiste e testardo nel proteggere il proprio istinto di conservazione.
Si dirà che i Volenterosi dispongono di una modesta capacità di incidere sulla realtà, proprio perché non hanno potere politico. O hanno perso quello che individualmente avevano. Ma è un'obiezione sbagliata.Proprio perché non sono un partito, ma una sorta di club, i personaggi riuniti ieri a Milano sono in grado di farsi sentire. Sulla stampa, certo,ma anche presso le segreterie dei partiti. Il caso di Nicola Rossi può essere forse trascurato finché resta l'episodio di un professore deputato che se ne va denunciando lo scarso riformismo del governo.Ma diventa un fatto politico di prima grandezza nel momento in cui questo stesso professore si lega ad altri come lui e trova una sponda nel gruppo deiVolenterosi.
I quali sembrano rivolgersi soprattutto al centrosinistra, ma solo perché questo è il colore del governo in carica. In realtà si rivolgono a tutti, a destra non meno che a sinistra: e basta sentir parlare un uomo come Tabacci per capire quanto andrebbe destrutturata e ricostruita anche la Casa delle Libertà per esprimere un coerente disegno riformatore.
La verità è che i Volenterosi tentano di sollecitare un movimento dal basso contro le insufficienze della classe di governo partitica. Per meglio dire,contro le illusioni del nostro debole bipolarismo. Un volontarismo fin troppo generoso che spinge tanti, nelle segreterie dei partiti, a fare spallucce di fronte agli sforzi di questi «cavalieri solitari ». Quando Capezzone invoca una sorta di «marcia dei quarantamila» a favore delle riforme, rievocando la mobilitazione dei quadri Fiat nel 1980, esprime bene il senso e la vocazione dei Volenterosi. Ricollegare i cittadini alla politica: ambizione tutt'altro che piccola.


Da fainotizia.radioradicale.it 30-1-2007 Primo incontro pubblico dei Volenterosi

 

Dal blog di Blogroll (18) - Martedì, 30 Gennaio 2007 - 6:41pm

Primo incontro pubblico dei Volenterosi, ieri a Milano. In programma tre sessioni dedicate al Welfare (con gli interventi, tra gli altri, di Giuliano Da Empoli, Alberto Alesina, Roberto Cicciomessere e Daniele Capezzone), alle Liberalizzazioni (con Franco Debenedetti, Francesco Giavazzi, Enrico Cisnetto, Alberto Mingardi, Chicco Testa e Bruno Tabacci) e alla Pubblica Amministrazione (con Pietro Ichino, Fiorella Kostoris, Michele Vietti e Antonio Polito). Le conclusioni sono state affidate a Savino Pezzotta. «Siamo pronti a dare una mano, essendo anche noi fra i volenterosi», hanno scritto in una dichiarazione di adesione Marco Beltrandi, Rita Bernardini, Marco Cappato, Maria Antonietta Coscioni, Sergio D’Elia, Marco Pannella, Donatella Poretti, Elisabetta Zamparutti, esponenti dei soggetti dell’area radicale. Per Emma Bonino, intervistata da Radio Radicale, si è trattato di una iniziativa «politicamente molto utile». Video, link e interviste su Radioradicale.it

Politicaesocietà.blogosfere.it intervista Daniele Capezzone (sul sito trovate il video) e scrive:

«La sala dell’Angelicum era piena. Soprattutto di addetti ai lavori, da politici di vecchia data (De Michelis, La Malfa, Chicco Testa, Marco Taradash) a quelli di nuovo corso (Linda Lanzillotta, Bruno Tabacci, Davide Corritore, Filippo Penati, Antonio Polito). Molti i giornalisti (Piero Ostellino, Oscar Giannino). Tra i blogger noti, Mario Adinolfi. Tra chi ci ha provato e forse ci riproverà, Ivan Scalfarotto. Una cosa sensata l’ha detta Giuliano Da Empoli nell’intervento di apertura: «La politica deve cambiare anche la comunicazione: se parli di scalone i giovani non ti seguono. Si è mai visto Tony Blair parlare di pensioni in quel modo?».

Scrive Mario Francescato su Migliore.blog.lastampa.it:

«Ieri a Milano grande successo della manifestazione dei Volenterosi, il gruppo trasversale che non si riconosce più nei partiti tradizionali (…). Si noti che, a parte qualche giornalista e qualche economista, gli altri, oltre che Volenterosi sono anche AZZERATI (dalle nomenclature dei partiti)».

Scrive Alessandro Caforio su Radioweblog.it:

«In molti ci scrivono per riascoltare l’incontro dei Volenterosi ieri pomeriggio nella capitale economica del paese. Numerosi i partecipanti e ancor più affollata la platea con politici di ieri e di oggi che sgomitavano per farsi vedere. I bene informati ci dicono che si procede verso una futura associazione per promuovere la meritocrazia e se così fosse si tratterebbe di rivoluzione vera. Gli ostacoli, i limiti sono comunque ancora molti e il futuro, siamo certi, non è dietro l’angolo. Continueremo a seguire questa iniziativa e le correlate cronache bizantine».

Sul sito ufficiale, Volenterosi.it, troviamo il Manifesto dei Volenterosi:

«Era il 1994 quando il professor Prodi, insieme al premio Nobel Modigliani e altri autorevoli economisti, firmò un appello all’allora premier Berlusconi stigmatizzando la scelta di quel governo di rinunciare alla riforma delle pensioni. Era il 1997 quando, divenuto Prodi presidente del Consiglio, si insediò una commissione presieduta dal professor Paolo Onofri che elaborò alcune serie proposte di riforma, rimaste lettera morta. Governare è difficile. Avere il coraggio di rischiare è ancora più difficile. Ma possono le inevitabili difficoltà frenare il futuro del nostro Paese?».

Il sito dei Volenterosi, a sua volta, linka ai siti personali di alcuni dei firmatari. Tra costoro Frnco Debenedetti. Sul suo sito, Francodebenedetti.it, troviamo anche uno spazio dedicato ai lettori (Il sasso nello stagno).

Una delle proposte dei lettori è la razionalizzazione delle ferie:

«La razionalizzazione delle ferie vale almeno un + 10% d’efficienza per il Sistema-Italia Un semplice progetto, come forte stimolo per avviare un ciclo virtuoso dello sviluppo economico, sociale ed innovativo del Sistema-Paese-Italia. Nella situazione attuale avviene che dal 15 luglio al 10 settembre, dal 15 dicembre al 10 gennaio e per altre due settimane durante la Pasqua la produttività del Paese rallenta e vengono rimandati per tempi significativi progetti, incontri ed attività d’ogni genere. Bisogna poi considerare come la concentrazione dei periodi di ferie provochi una cattiva utilizzazione delle strutture con un affollamento, che nuoce sotto diversi aspetti ai cittadini, a causa del traffico, di costi maggiorati, servizi inefficienti, che spesso portano a ferie più stressanti del lavoro stesso».

Molti i lettori critici con il Governo Prodi e le misure predisposte dal ministro per lo Sviluppo economico, Pierluigi Bersani:

«Forse ho un vocabolario troppo datato, ma colpire sistematicamente gli avversari politici e le categorie che non ti hanno votato, mi pareva si chiamasse vendetta politica o al limite persecuzione, accanimento ecc. ecc. non certo liberalizzazione».

Del secondo pacchetto Bersani scrive anche Formiche.net, la rivista curata da Paolo Messa, uno dei quattro autori (con Daniele Capezzone, Nicola Rossi, Bruno Tabacci) del Manifesto dei Volenterosi.

«Bersani ha concesso il bis. Dopo il primo pacchetto di liberalizzazioni a luglio, è riuscito a farne approvare un secondo. Comunque la si voglia giudicare, è una buona notizia. Va quindi aggiunto che non tutte le misure contenute nella nuova legge sono davvero oro come luccicano. Segnaliamo, ad esempio, come per i distributori di carburante si è scelta una strada che potrebbe portare l’effetto opposto a quello desiderato, ovvero un aumento ulteriore del prezzo della benzina. Invece di liberalizzare l’orario di lavoro (e permettere di rafforzare la vendita non-oil delle stazioni di servizio), si è preferito dare il via libera alla costruzione di nuovi impianti, di cui solo una piccola parte sarà negli iper-mercati e conveniente. Per quanto riguarda i telefonini poi, la scelta di abolire il costo di ricarica è benvenuta (l’avevamo invocata da queste colonne lo scorso autunno), peccato che tocchi all’Autorithy intervenire sulla regolazione di questi aspetti. Il rischio ora è che le compagnie di telefonia mobile, da un lato aumentino le tariffe in modo indistinto e, dall’altro, tentino (e riescano) di bloccare il provvedimento in Tribunale, con tanto di danni allo Stato. Infine, la norma beffa: quella sulla semplificazione. Il governo è riuscito nel capolavoro di voler raggiungere questo obiettivo prevedendo disposizioni con il decreto legge, quindi con il disegno di legge. Senza tenere conto che in Parlamento sta avanzando (con successo bipartisan) il progetto di legge di Capezzone. Per semplificare, tre diversi iter legislativi!».

Esiste oggi, a destra come a sinistra, un elettorato disposto a sostenere le riforme proposte dai Volenterosi? Esistono dei cittadini disposti a lavorare di più come ha proposto Daniele Capezzone o a rinunciare ad alcune garanzie per guadagnare di più? Nicola Rossi, che ha lasciato i Ds sottolineando la mancanza di una politica di riforme, non ha preso la parola nell’incontro pubblico di ieri. Sul suo sito internet, Nicolarossi.it troviamo però un intervento, sul lavoro e la meritocrazia, che ha scritto per un incontro della Fondazione Italiani Europei che si è svolto nell’ottobre scorso.

«Provate a domandare ad un campione rappresentativo di italiani se preferiscono un lavoro sicuro ma meno redditizio ad uno meno sicuro ma con prospettive di reddito più interessanti (D.1, R.1). Provate a domandare agli stessi italiani se eventuali aumenti salariali dovrebbero essere distribuiti in maniera uguale a tutti i dipendenti di una data impresa o se invece dovrebbero essere concentrati sui dipendenti a più elevata produttività (D.2, R.2). Provate a domandare loro se, guardando in avanti, immaginano orizzonti piatti o profili di vita dinamici e frontiere che si spostano incessantemente in avanti (D.3, R.3). E provate a leggere le risposte alle vostre domande guardando alla composizione per età del vostro campione. Fatelo. E vi troverete di fronte ad un paese in buona misura – non del tutto, per fortuna - senza età e senza futuro. Le opinioni dei meno giovani vi sembreranno indistinguibili da quelle dei più giovani e quelle di questi ultimi visibilmente passive ed arrendevoli. Fatelo e faticherete non poco a trovare i segni dell’audacia e dell’ambizione. A sessanta come a vent’anni. Fatelo e faticherete ancor di più a trovare quei segni fra i vostri elettori. Fra quelli che lo sono da tempo e quelli cui solo da poco è stata data questa possibilità».

Vediamo dunque le domande e le risposte dello studio compiuto da Renato Mannheimer per LibertàEguale e citato da Nicola Rossi nel suo intervento alla Fondazione ItalianiEuropei. Lo studio è stato condotto su un campione rappresentativo della popolazione italiana di circa 2 mila individui (di cui poco meno di 600 di età inferiore ai 34 anni) fra l’8 ed il 10 settembre 2006.

«D.1: “Alcuni preferiscono nella vita un lavoro sicuro, anche se magari meno redditizio, altri preferiscono un lavoro meno sicuro ma con più prospettive di reddito. Lei con chi si sente d’accordo?

R.1: “Con i primi” (71% nel complesso del campione, era il 59% nel 2001; 62% nel complesso della popolazione fra i 18 e i 34 anni; 68% nel complesso della popolazione fra i 18 e i 34 anni che si autocolloca nel centrosinistra)

D.2: “Supponiamo che un’impresa stia attraversando un periodo florido, decida di aumentare lo stipendio ai propri dipendenti. Secondo lei sarebbe più giusto se questa aumentasse lo stipendio a tutti i dipendenti in modo eguale o a quelli che ne hanno più bisogno oppure a tutti i dipendenti ma in particolare a coloro che hanno lavorato meglio?”

R.2: “A tutti i dipendenti in modo eguale o a quelli che ne hanno più bisogno” (36% nel complesso del campione; 44% nel complesso della popolazione fra i 18 e i 34 anni)

D.3: “Secondo lei per un giovane di 20-30 anni, c’è oggi una effettiva opportunità di crescita lavorativa e di affermazione professionale nel nostro Paese?”

R.3: “Sicuramente o probabilmente no” (53% nel complesso del campione; 58% nel complesso della popolazione fra i 18 e i 34 anni; 61% nel complesso della popolazione fra i 18 e i 34 anni che si autocolloca nel centrosinistra o a sinistra)

D.4: “Mi dica se ed in che misura la seguente riforma può favorire le opportunità lavorative e la crescita dei giovani: una riforma del sistema scolastico e universitario che favorisca la concorrenza tra gli istituti e le università, al fine di elevare il livello e premiare gli studenti più meritevoli”

R.4: “Molto o abbastanza” (66% nel complesso del campione; 64% nel complesso della popolazione fra i 18 e i 34 anni; 71% nel complesso della popolazione fra i 18 e i 34 anni che si autocolloca nel centrosinistra o a sinistra)

D.5: “Mi dica se ed in che misura la seguente riforma può favorire le opportunità lavorative e la crescita dei giovani: una riforma che riduca l’età pensionabile in moda da generare nuovi posti di lavoro”

R.5: “Poco o per nulla” (28% nel complesso del campione; 26% nel complesso della popolazione fra i 18 e i 34 anni; 31% nel complesso della popolazione fra i 18 e i 34 anni che si autocolloca nel centrosinistra o a sinistra)».


daniele capezzone, volenterosi

 


 

Da La Stampa 31/1/2007 (7:54) - L'UOMO NEL MIRINO "La Cia sapeva che avrei detto no" UMBERTO LA ROCCA

 

L'autodifesa di Nicolò Pollari: ecco perché non mi dissero di Abu Omar

ROMA
Di Abu Omar a me la Cia non ha mai detto nulla. E il motivo è molto semplice: sapevano bene che la mia gestione del Servizio non ammetteva illegalità». Nicolò Pollari ha diretto il Sismi per cinque lunghi e difficilissimi anni. Da quando è stato sostituito, un paio di mesi fa, lavora in un posto molto diverso dal luminoso ufficio al secondo piano di Palazzo Baracchini, sede del ministero della Difesa, dove dietro l’ampia scrivania campeggiava un enorme planisfero sul quale erano quotidianamente registrate le missioni dei nostri 007 in giro per il mondo. In attesa dell’incarico di consulenza promesso dal presidente del Consiglio, l’ex zar dell’intelligence riceve i suoi interlocutori nel salotto di una elegante ed anonima palazzina liberty nel centro di Roma.

Nel corso del trasloco è andata perduta una poltrona importante, ma non l’indignazione per l’accusa di aver favorito il sequestro di Nasr Osama Mustafa Hassan, alias Abu Omar, un egiziano sospettato di appartenere a un gruppo eversivo islamico: con tutta probabilità una delle decine di «extraordinary renditions», rapimenti mirati, della Cia. «Di quanto accaduto a Milano quattro anni fa io ho saputo soltanto a cose fatte e il Servizio è estraneo a quella vicenda», dice Pollari, sul cui capo pende una richiesta di rinvio a giudizio. La fermezza dell’ex direttore del Sismi, confermata dalle dichiarazioni spontanee da lui rese ai magistrati di Milano nell’udienza di lunedì scorso, non è minimamente scalfita dalle prove in contrario.

Che sono parecchie. Dalle testimonianze di almeno due operativi del Servizio e da diverse intercettazioni telefoniche è infatti emerso che tutta una serie di alti gradi del Sismi, tra i quali Marco Mancini capoarea per il Centro-Nord, erano al corrente dell’azione che la Cia stava preparando. Non solo. Alcuni capicentro che si erano detti perplessi o non erano di piena fiducia di Mancini furono sostituiti su due piedi. Ma soprattutto, l’ex capodivisione del Sismi, il generale Pignero morto nel settembre scorso, ha raccontato ai magistrati di aver ricevuto da Pollari, prima del rapimento, la disposizione di fare accertamenti su Abu Omar che «appagassero» gli americani pur senza coinvolgere il Servizio nell’operazione.

«Fraintendimenti, supposizioni, facile sensazionalismo, leggerezze anche della stampa che non ha mai voluto sapere, capire, indagare», ribatte Pollari. Sostenendo che non esiste nessuna prova di un coinvolgimento diretto del vertice Sismi nella scomparsa di Abu Omar. Quanto a Mancini, «può darsi che qualcuno abbia voluto giocare allo sceriffo...». E chi in questi giorni ha fatto osservare all’ex Comandante della Guardia di Finanza che sia comunque insostenibile la posizione di un capo del Sismi che non si accorge di tutto questo via vai di agenti della Cia e del fiorire di riunioni e pour parler tra gli uomini del Servizio che dirige, ha ricevuto una replica secca: «In Italia per fortuna non c’è uno Stato di polizia e io non sono Fouchet. Tra i miei compiti, intendo quelli del Sismi, non c’è quello di controllare l’ingresso e l’uscita dall’Italia di tutti i cittadini, italiani o stranieri che siano. Semmai, questo è un compito di altri. E poi, con le regole di Schengen, un’attività del genere è difficile per chiunque».

Sorprendente è che Pollari confidi di non avere ancora oggi, in coscienza, un’idea chiara di quel che sia successo davvero il 17 febbraio di quattro anni fa. Ai suoi continua a ripetere di non essere convinto nemmeno che si sia trattato di un vero rapimento e non, piuttosto, di una «sparizione concordata». E mette in fila una serie di elementi poco chiari. Come le dichiarazioni ai magistrati di Luciano Pironi, nome in codice «Ludwig», sottufficiale dei Ros e unico italiano ad aver confessato la sua partecipazione all’operazione Abu Omar: non a un sequestro però; ma, stando a quanto gli aveva assicurato Robert Seldon Lady, capocentro della Cia a Milano, a «un’azione di reclutamento». Seconda stranezza: la telefonata con la quale nella primavera del 2004 Abu Omar si rifà vivo dopo essere svanito nel nulla per un anno, dai tabulati risulta essere stata fatta a lui dalla moglie e non viceversa. E infine: possibile che in un Paese famoso per la durezza del suo regime carcerario Abu Omar possa far filtrare all’esterno dichiarazioni, interviste, telefonate e addirittura fotografie?

Intendiamoci: Pollari non nega affatto di essere stato al corrente di un programma americano di «extraordinary renditions» da attuare in Italia e in altri Paesi. Come ha già detto in passato, «operazioni di questo genere mi sono state sottoposte non una ma più volte, e ho sempre rifiutato il mio consenso, minacciando anche di dimettermi». Racconta anzi che nel corso degli anni ha avuto un solo dubbio, a proposito di un italiano appartenente alla criminalità organizzata e latitante all’estero. In quel caso Pollari si rivolse all’autorità giudiziaria e si decise di non farne nulla. «In tutti gli altri casi, anche in quelli di brigatisti come Alessio Casimirri, il mio rifiuto è stato secco. E il mio no l’ho messo su carta, nero su bianco in più occasioni».

Il problema è che queste carte, un’ottantina di documenti dai quali la difesa processuale a suo dire trarrebbe gran giovamento, l’ex direttore non le può rendere pubbliche perché sono coperte da segreto di Stato, come ha confermato di recente il governo ai magistrati milanesi. «Che il responsabile di un servizio di intelligence sia chiamato dalla magistratura a violare ciò che proprio lui è chiamato a difendere», si è sfogato in questi giorni Pollari, «è una cosa che può succedere soltanto in Italia. E’ paradossale che mi si accusi di nascondermi dietro il segreto di Stato quando esso è stato messo, come è giusto che sia, da altri. Anzi, io ho detto il contrario: se il presidente del Consiglio lo togliesse a me farebbe soltanto un piacere».

Il fatto che il governo abbia chiarito che non intende rimuovere il segreto di Stato può voler dire cose diverse. Una delle ipotesi è che esistano patti riservati con i quali gli italiani si impegnano a fornire agli Usa collaborazione nei casi delle «extraordinary renditions». Intese che potrebbero risalire all’indomani dell’11 settembre, e quindi ricadere sotto la responsabilità del governo Berlusconi, ma anche a un periodo precedente e quindi agli esecutivi italiani di centrosinistra. Il programma antiterrorismo infatti, non è tutto farina del sacco del presidente Bush. Al contrario, fu battezzato nel 1995 da Bill Clinton e dal suo consigliere Richard Clark.

L’esistenza di questi accordi confermerebbe ulteriormente quel che è già lampante, nonostante le smentite del governo Berlusconi: in un modo o nell’altro del rapimento di Abu Omar qualcuno in Italia sapeva. D’altra parte, nei casi di «extraordinay renditions» compiute su territorio europeo i governi del Paese interessato sono stati sempre messi al corrente.

Con grandissima cautela, e soltanto nei colloqui più riservati, Niccolò Pollari non esclude in linea di principio una trasmissione per via politica: «E’ sempre possibile che nel quadro di intese globali ci sia all’interno dei singoli campi qualcuno favorevole ad adottare una interpretazione letterale e qualcun altro che è pronto anche a lasciare il suo posto pur di non farlo. E che chi è contrario venga tenuto in disparte...». Quel che invece Pollari dice chiaro, come abbiamo visto, è che a lui dagli americani non è stato detto niente. E a scavare un po’ si capisce che la ragione non starebbe soltanto nella sua dichiarata contrarietà alle «extraordinary renditions», ma anche in un altro fatto: di lui i cugini si fidavano poco. «In questi cinque anni», spiega, «per quel che riguarda i rapporti con gli alleati ho cercato di instillare nel Servizio una filosofia chiara: noi siamo una scuderia piccola, ma non dimentichiamo mai che giochiamo con colori diversi. Insomma: alleati sì, succubi no».

Una linea di autonomia che, soprattutto in Iraq, ha pagato, ma ha anche acceso focolai di tensione con gli americani, abituati a guidare le danze senza se e senza ma. La tattica del Sismi infatti, è stata quella di guadagnarsi la fiducia dei propri interlocutori arabi, semplicemente «non fregandoli». E questo ha fatto sì che oggi i nostri agenti parlino con tutti i Paesi e le fazioni islamiche. La tensione e l’irritazione statunitense per questi italiani che facevano di testa propria giunse al massimo nei giorni del rapimento di Giuliana Sgrena e dell’uccisione di Nicola Calipari, quando Pollari si rifiutò di avallare le tesi Usa sulla non colpevolezza del marine che sparò e di addossare le responsabilità ai nostri per la mancata informazione sull’operazione Sgrena.

E’ in questo contesto di scontro e di ansiosa ricerca di fonti e contatti autonomi che gli uomini di Pollari collocano anche il caso «Betulla», nome in codice del vicedirettore di Libero Renato Farina, arruolato e retribuito dal Sismi in violazione della legge sui Servizi che vieta di assoldare giornalisti. Farina in seguito si presterà anche a simulare interviste ai pm milanesi che indagano su Abu Omar per cercare di capire, per conto di Pio Pompa, uomo di fiducia dell’ex numero uno dell’Intelligence, quanto sapessero del coinvolgimento del Sismi nel caso. Ma all’origine viene reclutato perché aveva contatti privilegiati all’interno di Al Jazeera. In un colloquio riservato di qualche giorno fa, così Pollari ha ripercorso la vicenda: «Non dimentichiamo che si trattava di salvare vite umane e ogni volta che un ostaggio veniva liberato la Tv del Qatar aveva lì, sul posto un suo uomo.

Ci siamo rivolti a Farina. Fra l’altro, del suo intervento era stata messa al corrente, con discrezione, anche la magistratura. E, come sa bene il governo, lui non è certo l’unico personaggio che abbiamo utilizzato per avere risultati. Che altro avremmo dovuto fare? Sarebbe stato meglio se non avessimo liberato la Sgrena? Saremmo stati seppelliti dalle critiche...». A riprova dell’utilità di «Betulla» a Forte Braschi si cita un fatto: il cd con il video che provava che la Sgrena era ancora viva arrivò attraverso questa strada e non fu consegnato da uno sconosciuto a una stazione degli autobus di Baghdad, come ha sostenuto un operativo del Sismi interrogato dai magistrati.

La contrarietà alle «extraordinary renditions» sulla quale Pollari ha sempre insistito e il clima tempestoso con gli Usa sono l’architrave del ragionamento politico che esclude il coinvolgimento del vertice del Sismi nel caso Abu Omar. E dell’ipotesi, tutta da verificare, che la Cia abbia cercato collaborazione altrove, tanto in sede politica che in settori dello Stato che si muovevano autonomamente. Tra gli uomini di Pollari si ricorda l’episodio dell’assenza degli agenti della Digos di Milano, che pure pedinavano Abu Omar, sul luogo del rapimento. Si cita quel che raccontò ai magistrati il 14 aprile dell’anno scorso Luciano Pironi. E cioè che al momento del reclutamento, Bob Seldon Lady, capocentro della Cia a Milano, lo rassicurò circa i rischi che correva, dicendogli di aver ricevuto assicurazioni da Roma che quel giorno gli agenti dell’antiterrorismo italiano non ci sarebbero stati. E si aggiunge che proprio negli ambienti della polizia Lady era praticamente di casa. Rispunta insomma la tesi di un «partito americano», ostile al Sismi di Pollari e alla sua linea di indipendenza. E, inevitabilmente, torna il carsico tam tam sulla eterna guerra tra corpi dello Stato e sull’inimicizia fra Pollari e il capo della Polizia De Gennaro, uomo che per la sua storia professionale ha stretti rapporti di collaborazione oltreoceano.

Ma l’ex numero uno del Sismi, anche nei colloqui più riservati, esprime stupore per come siano potute nascere queste voci su contrasti personali. Assicura che da parte sua non ricorda episodi significativi che abbiano potuto fornire occasione alla loro diffusione. Si limita a commentare: «Io sono più cane sciolto e, certo, questo a qualcuno può essere dispiaciuto...». E aggiunge un particolare inedito: «Quel che so è che quando ho odorato che altri nel nostro Paese volevano aprire la porta a operazioni ambigue come le “extraordinary renditions”, mi sono addirittura impicciato e ho avvertito di non valicare la linea rossa. Cosa che risulta anche al governo».

Sono questi i ragionamenti che Pollari va facendo negli ultimi giorni. La nomina a Consigliere di Stato incassata giovedì scorso, che l’ex numero uno del Sismi considera l’ennesimo attestato di fiducia da parte del governo, gli ha fatto ovviamente piacere. Ma non è stata sufficiente a dissipare la rabbia e l’incredulità «di fronte a un Paese che non vuole capire e nel quale un funzionario se vuole restare fedele deve rinunciare ad avere voce». Di più: un Paese nel quale, a differenza di quanto accade nelle altre democrazie occidentali, sull’intelligence continua a pesare un pregiudizio, quasi un marchio d’infamia: «Da noi, quando va bene i Servizi sono inquietanti, quando va male deviati. Con il risultato che lavorare è impossibile, scusi. Allora, o decidiamo che non servono e li appaltiamo agli americani, agli inglesi, ai francesi; oppure riconosciamo loro il rispetto che meritano dei servitori dello Stato. E non li costringiamo più ad andare in giro con il cartello “Non sono disonesto” appeso al collo».

 


 

Dal Corriere della Sera 31-1-2007  Cosa si può fare. Piccoli gesti che salvano l'ambiente e la Terra. Paolo Virtuani

 

Inquinare di meno, risparmiare energia ed evitare il riscaldamento globale con accorgimenti quotidiani che sembrano banali

Non chiedere cosa può fare il mondo per salvare il Pianeta, chiediti cosa puoi fare TU per salvare la Terra dalle prossime catastrofi ambientali che si annunciano se non si agisce subito. Parafrasando una famosa frase del presidente Kennedy, ci si domanda: quali sono i piccoli gesti quotidiani che non costano fatica ma che, sommati ad altri milioni di piccoli gesti, possono contribuire a inquinare di meno, a risparmiare energia, a migliorare l'ambiente, a non incrementare il riscaldamento globale e a risparmiare risorse per le generazioni future?

Non basta, infatti, (non basta più) non buttare la carta per terra, non lasciare rifiuti ai lati delle strade per sentirsi la coscienza a posto, utilizzare i mezzi di trasporto pubblici rispetto a quelli privati. Questo ormai è solo questione di educazione, mentre l'aumento delle temperature medie, lo scioglimento dei ghiacciai, l'innalzamento dei mari, la scomparsa delle barriere coralline richiede ben altro: soprattutto un diverso modello di vita e l'impegno quotidiano di ognuno, fatto anche di piccole cose.

Si va delle azioni che sembrano banali, ma non lo sono se si sommano a tutti gli altri, come spegnere il televisore e gli altri apprecchi elettrici e non lasciarli tutta la notte (o per giorni) in «stand-by», cioè con la lucetta rossa accesa. Sembra una piccola cosa, ma se lo facessero tutti si risparmierebbero migliaia di kiloWatt, risparmio che si traduce in migliaia di tonnellate di petrolio non bruciate per produrre energia elettrica utlizzata per nulla. I produttori di telecomandi, inoltre, potrebbero togliere il tasto stand-by (per non indurre in

tentazione...). Sarebbe meglio sostituire le lampadine a incandescenza con le nuove lampade a fluorescenza: consumano molto meno, circa il 75% in meno e durano di più (senza contare che è meglio spegnere le luci se si prevede di non tornare in quella stanza nei successivi cinque minuti). Acquistando un nuovo elettrodomestico, preferire quelli a risparmio energetico (ora sono indicati in modo chiaro): costano un po' di più, ma nel tempo si ripagano ampiamente con i minori consumi. Senza contare inoltre che l'utilizzo degli elettrodomestici in modo più razionale consente un notevole risparmio di energia.

Ma non è solo l'energia che è opportuno risparmiare.
Anche l'acqua sta diventando un bene prezioso, e costoso. Fare un doccia, per esempio, significa consumare circa 50 litri d'acqua. Un bagno in una vasca, invece, ne consuma più del doppio. Migliaia di litri vengono persi ogni anno dai rubinetti che gocciolano o perché non sono chiusi bene.

Isolamento termico: attenzione poi agli spifferi da porte e finestre. Il freddo che entra (o il caldo in estate) costringe a riscaldare di più (o aumentare l'aria condizionata in estate) con un importante incremento nel consumo di energia.

Tenendo sempre conto della fondamentale importanza della raccolta differenziata dei rifiuti (il cui però il funzionamento non dipende dal cittadino, ma dalle amministrazioni pubbliche), un aspetto poco considerato ma che sta assumendo una dimensione consistente è l'alimentazione. Non è solo una questione di obesità, e quindi di salute e di spesa sanitaria, ma i modelli alimentari influenzano l'emissione di gas serra, la deforestazione e il riscaldamento globale. L'aumento del consumo

di carne di manzo rispetto al passato ha moltiplicato gli allevamenti. Recenti studi hanno dimostrato che i bovini sono responsabili del 23% delle emissioni di metano, un gas serra molto più efficiente dell'anidride carbonica per il riscaldamento terrestre. Inoltre l'aumento dei capi di bestiame per carne ha fatto aumentare le coltivazioni di soia e mais destinate alla loro alimentazione, piante che hanno bisgono di molta acqua, senza contare la deforestazione (specie in Amazonia) per far spazio alle culture e ai capi di bestiame che alimentano l'industria dell'hamburger. Secondo l'Istituto francese dell'ambiente per produrre un chilo di carne di vitello si immettono nell'ambiente oltre 45 kg equivalenti di anidride carbonica, un chilo di carne di agnello equivale a 14 kg di CO2, un chilo di carne di pollo da allevamento ad appena 2 kg di CO2. Percorrendo 100 km in auto si immettono nell'ambiente 22 kg equivalenti di anidride carbonica.
Nessuno chiede di diventare vegetariani e di abbandonare la carne, ma quando si sta per addentare un filetto pensiamo un po' anche all'ambiente.

31 gennaio 2007

 


 

Da qualenergia.it 30-1-2007 Bioenergie in campo. Le bioenergie possono offrire un contributo importante allo sviluppo delle fonti rinnovabili. di Fabrizio Rossi

 

 

Le opportunità offerte dalle filiere bioenergetiche sono state evidenziate in diversi documenti di programmazione comunitaria e nazionale e lo stesso Parlamento Europeo ha recentemente rilevato che il ricorso alla bioenergia offre molti vantaggi non solo rispetto alle fonti energetiche convenzionali ma anche nei confronti delle altre energie rinnovabili: costi relativamente contenuti, minore dipendenza alle variabili atmosferiche ed ambientali e conseguente maggiore programmabilità, sviluppo di strutture economiche locali e possibilità di fonti alternative di reddito per il settore agricolo.

Il potenziale di biomassa nell’Unione Europea è stato evidenziato nel Biomass Action Plan in cui si rileva come il 4% del fabbisogno energetico sia attualmente soddisfatto dalla biomassa; se si sfruttasse l’intero potenziale di tale risorsa, di qui al 2010 tale valore potrebbe più che raddoppiare.

Un’importante impulso alla bioenergia potrà essere offerto dalla riforma della Politica Agricola Comunitaria attuata nel 2003 (Regolamento comunitario 1782/2003) in cui il sostegno al reddito degli agricoltori non è più vincolato alla produzione agricola. Gli agricoltori possono quindi rispondere liberamente alla crescente domanda di biomassa e beneficiare dello speciale regime di “aiuto alle colture energetiche”.

Nell’ambito delle strategie di sviluppo della bioenergia bisogna distinguere le potenzialità ed opportunità offerte dalle diverse filiere: mentre la biomassa utilizzata per la produzione di calore ed energia elettrica offre le migliori opportunità in termini economici, di affidabilità dal punto di vista tecnologico e in termini di riduzione delle emissioni climalteranti, i biocarburanti offrono le maggiori possibilità occupazionali e la migliore sicurezza di approvvigionamento. .

La filiera e le tecnologie per l’impiego della biomassa per la produzione di calore, sia esso destinato al mercato civile che industriale, infatti, è relativamente semplice, poco costosa e, per quanto matura dal punto di vista tecnologico, sempre soggetta ad innovazioni finalizzate a favorirne la diffusione su larga scala.
Tale filiera è caratterizzata da “grappoli di attività” in grado di interessare il settore industriale, quello dei servizi e dell’innovazione tecnologica. Si consideri, a titolo esemplificativo, l’erogazione dei servizi di gestione calore forniti anche da Esco (Energy Service Company) basati sull’installazione di caldaie a biomassa in sostituzione di impianti convenzionali.
Lo sviluppo di tale filiera è però condizionato da barriere non tecnologiche, legate soprattutto alla fiducia del mercato nei confronti della garanzia di reperimento di un combustibile, come la biomassa, ancora non commercializzato su canali tradizionali.
Per quanto riguarda la filiera italiana di produzione di energia elettrica essa rappresenta ad oggi una realtà importante nel settore forte di più di 32 impianti, con una potenza totale installata netta di circa 400 MWe ed un consumo annuale di biocombustibile stimato intorno a 4,2 milioni di tonnellate tal quale; è significativo notare che di questa potenza solo una piccola parte sfrutta il calore cogenerativo per il riscaldamento di utenze civili ed industriali
Il combustibile è generalmente legno cippato di varia qualità ma sono largamente utilizzati anche scarti agroalimentari quali lolla di riso, sansa e vinacce esauste. È importante sottolineare come la provenienza delle biomasse non è sempre nazionale ma vi sono“sensibili” importazioni di biomasse lignocellulosiche dall’estero soprattutto per impianti ubicati nel meridione d’Italia.

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Tale filiera, soprattutto in riferimento alle tecnologie a griglia ed a letto fluido, presenta un elevato livello di maturità tecnologica. Anche il quadro normativo risulta abbastanza definito soprattutto in riferimento al meccanismo di incentivo dei Certificati Verdi recentemente aggiornato con il recepimento della Direttiva Comunitaria 2001/77 recante norme in materia di obiettivi minimi di produzione di elettricità da fonti rinnovabili.
Se negli anni ’90 i limiti allo sviluppo della filiera erano rappresentati dalle tecnologie utilizzabili nel processo industriale, attualmente l’anello debole è rappresentato dall’approvvigionamento che come accennato viene garantito da materiale residuale o da importazioni.
Il precedente regime Pac impediva di fatto il ricorso alle colture energetiche, limite attualmente rimosso con la politica del disaccoppiamento che può determinare il rilancio di una nuova stagione di programmazione di tali investimenti.

Ulteriori opportunità di sviluppo alla “filiera bioelettrica” vengono offerte da due grandi temi di sviluppo industriale del Paese:

il ritorno all’utilizzo del carbone con conseguente possibilità di co-firing con biomasse;

il processo di riconversione del settore bieticolo-saccarifero prevalentemente finalizzato allo sviluppo di investimenti nella bioeenrgia.


La figura seguente riporta la localizzazione delle centrali a carbone nel nostro Paese (realizzate ed in conversione); alcune di queste stanno già attivando programmi di co-combustione con biomasse agricole di varia provenienza.

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La possibilità di utilizzare combustibile lignocellulosico in miscela con il carbone presenta diversi aspetti positivi, quali rendimenti energetici elevati garantiti dalle grandi potenze elettriche in gioco, contenimento delle emissioni di anidride carbonica e quindi compatibilità rispetto alla direttiva UE “Emissions Trading”, flessibilità nelle strategie di approvvigionamento rispetto ad impianti dedicati ad un solo combustibile. Negli impianti co-firing, la quota di energia prodotta dalla componente biomassa è inoltre eleggibile al riconoscimento dei Certificati Verdi.
E’ interessante osservare come la co-combustione sia una soluzione tecnica già ampiamente utilizzata da quei Paesi comunitari in cui il carbone rappresenta una importante fonte di diversificazione degli approvvigionamenti energetici (Gran Bretagna, Danimarca, Svezia, Olanda, Belgio, Ungheria, Repubblica Ceca).
Tale soluzione, anche per il nostro Paese, è in grado di assicurare una importante richiesta di biomassa capace di assecondare, in tempi relativamente brevi, la necessità di diversificazione produttiva del mondo agricolo per determinati bacini produttivi.

Per quanto riguarda gli effetti della riconversione della filiera bieticolo-saccarifera nei confronti del settore bioenergetico è importante analizzare i piani industriali che le realtà (SFIR, Italia Zuccheri-Co.Pro.B, Sadam e il gruppo del Molise) hanno definito per la successiva approvazione nazionale e comunitaria e l’accesso ai fondi della riconversione.

La figura seguente riporta la distribuzione degli zuccherifici sul territorio nazionale andando ad evidenziare quelli oggetto di riconversione distinguendo tra impianti a bioetanolo, biodiesel e centrali elettriche a biomassa.

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Analogamente alla generazione elettrica, anche il settore dei biocarburanti è disciplinato dalla normativa comunitaria: la direttiva fissa al 2% il valore di riferimento per la quota di mercato nel 2005 ed al 5,75% nel 2010.
Il valore di riferimento fissato per il 2005 non è stato raggiunto dagli Stati Membri ed un forte ritardo si registra soprattutto in Italia.
Per quanto il costo del petrolio si sia attestato al di sopra i 60 USD, risultano ancora rilevanti le distanze di competitività dei biocarburanti rispetto ai prodotti petroliferi. Uno studio della Commissione Europea sostiene che affinché il biodiesel risulti competitivo, il prezzo del petrolio deve aggirarsi sui 75 Euro al barile, mentre nel caso del bioetanolo il prezzo dovrebbe salire a 95 Euro al barile. Si consideri che, con l’attuale quotazione del petrolio (65 $/barile) ed il recente rapporto di cambio (1,27 $/Euro), il prezzo del barile è fissato a 51 Euro.

Appare quindi evidente come lo sviluppo di tale filiera, in grado di impattare fortemente su comparti agricoli in grande difficoltà come il settore bieticolo saccarifero ed i grandi seminativi in generale, debba essere supportata da una politica di incentivi indiretti (obbligo alla miscelazione dei biocarburanti nei combustibili convenzionali) e/o da quelli diretti (esenzione dalle accise).

Il ricorso al sistema di esenzione dall’accisa, prevista dall’articolo 16 della Direttiva Biocarburanti, può essere applicato da ciascun stato membro senza autorizzazione della Commissione e con durata massima di 6 anni.
Tale sistema è stato quello maggiormente adottato dagli Stati Membri in occasione del lancio del nuovo mercato. Alla lunga ha però presentato diversi limiti nella possibilità di sostenere forti incrementi di quote di mercato. La definizione di un livello di esenzione o di riduzione dell’accisa, infatti, necessita di una implementazione molto attenta alle dinamiche dei mercati delle materie prime, al fine di evitare distorsioni sui costi di produzione e provocare asimmetrie di mercato tra biocarburanti e combustibili fossili, ma soprattutto deve essere ben bilanciata e ben quantificabile per poter essere coperta e sostenuta nei bilanci statali.
Tale limite è ben riscontrabile nell’esperienza nazionale in riferimento alla filiera del biodiesel.
Dinanzi ad una capacità produttiva crescente (vedi figura X), i livelli di produzione si sono attestati sui valori previsti dal contingente massimo defiscalizzato (vedi figura Y).
Nel caso del bioetanolo la mancanza di decreti attuativi interministeriali e del parere di approvazione di Bruxelles ha impedito l’attivazione dei 73 milioni di euro annui stanziati nella finanziaria 2005 a favore della parziale defiscalizzazione di bioetanolo ed ETBE nel triennio 2005-2007.

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Il sistema basato sulle quote, contrariamente al sistema basato sulle politiche fiscali, si concentra invece sui produttori di combustibili fossili, obbligandoli ad immettere sul mercato (producendola o acquistandola da produttori terzi) una quota di biocarburanti predefinita e ripartita secondo le quantità di carburanti non rinnovabili prodotti da ciascun attore.
La stessa Commissione Europea indica in tale strumento, quello maggiormente idoneo a favorire il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi previsti dalla Direttiva.
Gli obblighi di immissione, se in grado di garantire il mercato di sbocco dei biocarburanti, rischiano però di non incidere sulla filiera di approvvigionamento della materia prima.
I biocarburanti e le materie prime da cui sono estratti, in quanto commodities, sono oggetto di scambi sui mercati mondiali con prezzi internazionali spesso più competitivi rispetto a quelli nazionali.
Una politica autarchica per il soddisfacimento della domanda interna dell’UE non è né realizzabile né auspicabile così come non è auspicabile una politica di incentivo in grado di favorire la sola apertura del mercato al consumo, trascurando quello della produzione della materia prima.
Un esempio di tale squilibrio si è avuto con la recente applicazione della Legge 81/2006 in cui è stato introdotto l’obbligo, per i produttori di carburanti diesel e di benzina, dal 1° luglio 2006, di immettere al consumo biocarburanti di origine agricola oggetto di un’intesa di filiera, o di un contratto quadro, o di un contratto di programma agroenergetico, in misura pari all’1 per cento dei carburanti diesel e della benzina immessi al consumo nell’anno precedente. Tale percentuale, espressa in potere calorifico inferiore, è incrementata di un punto per ogni anno, fino al 2010.
L’obbligo indicato al 1° luglio 2006 è stato disatteso vista l’impossibilità di reperire materia prima di origine agricola nonché l’attuale limitata capacità industriale di produzione di bioetanolo.

Conclusioni
Nel Documento di Programmazione Economico-Finanziaria 2007-2011, il Governo ritiene necessario intervenire con decisione sul mix energetico, valorizzando le risorse interne, promuovendo le fonti rinnovabili in maniera efficiente e secondo logiche di filiera industriale.
Tra le fonti rinnovabili, grande rilevanza è stata riservata alle “Agro-energie”, che dovranno essere favorite attraverso il rafforzamento delle potenzialità della L. 81/2006.
La diffusione su larga scala della bioenergia non può che passare attraverso la coerente applicazione degli strumenti di intervento già previsti dalla citata legge ed in particolare:

Ricorso equilibrato agli strumenti di incentivazione diretta (esenzione dalle accise) ed indiretta (obbligo di miscelazione).

Progressiva diminuzione degli interventi di incentivazione diretta e contestuale innalzamento degli obiettivi di miscelazione.

Possibilità di revisione periodica (annuale o biennale) dei livelli di incentivazione diretta in funzione dell’andamento dei livelli di competitività dei biocarburanti rispetto ai combustibili fossili (quotazioni dei prodotti petroliferi, rapporto di cambio Euro/$ e livello di innovazione delle tecnologie di trasformazione).

Programmazione degli obiettivi diversificati in funzione del differente livello di maturità delle filiere: obiettivi di breve-medio periodo per il biodiesel e di medio-lungo periodo per il bioetanolo.

Definizione di una strategia di promozione dell’industria di trasformazione attraverso la piena applicazione e sostegno dei piani di riconversione della filiera bieticolo saccarifera.

Definizione di una strategia di sostegno alla produzione agricola attraverso la nuova programmazione dei piani di sviluppo rurali.

Definizione di criteri di certificazione ambientale, da riconoscere su scala comunitaria e non discriminatori nei confronti dei prodotti di importazione, in grado di sostenere le produzioni agroenergetiche

Applicazione, anche per la filiera bioelettrica, dello strumento del contratto di programma agroenergetico

Estensione dell’applicazione del decreto 102/2005 per la definizione dei contratti di filiera/contratti quadro da applicare alla bioenergia

Favorire il ricorso al co-firing (co-combustione carbone-biomassa) in linea con quanto avviene negli altri paesi comunitari e con la necessità di diversificazione delle fonti di approvvigionamento per la sicurezza energetica nazionale

Dott.Fabrizio Rossi - Agriconsulting SpA

L'articolo è stato pubblicato su Progetto & Pubblico n.27

30 gennaio 2007

 


 

Da punto-informatico.it  31-1-2007  Telecom, risarcimento multimilionario per Fastweb

 

 

L'ex monopolista è stato condannato a risarcire l'operatore del broad band con 60 milioni di euro. Il motivo? Non aver fornito l'accesso disaggregato alla rete ULL per 11mila clienti

 

Milano - Il 2007 è un anno cominciato pesantemente per le finanze di Telecom Italia. La richiesta di interessi avanzata dall'Antitrust (per cui l'incumbent ha presentato ricorso) è stata infatti seguita a ruota da una richiesta di risarcimento, di 60 milioni di euro, da parte di Fastweb.

Ne dà notizia la stessa Fastweb con un proprio
comunicato diffuso ieri. "Il Collegio arbitrale presieduto dal professore Guido Alpa - riferisce l'operatore - ha pronunciato un lodo con cui condanna Telecom Italia a risarcire a Fastweb la somma di oltre 60 milioni di euro per inadempimento agli obblighi di fornire a Fastweb l'accesso disaggregato alla rete locale (unbundling local loop o ULL). Con tale pronuncia il Collegio ha riconosciuto che il mancato collegamento di circa 11.000 clienti Fastweb è dovuto a comportamenti negligenti da parte di Telecom Italia negli anni 2001-2004".

Una negligenza che è stata ritenuta "interessata": avendo il controllo dell'infrastruttura sull'ultimo miglio, a Telecom Italia non sono mancate, secondo il collegio arbitrale, le opportunità per "tirare il freno a mano" nell'iter della migrazione degli abbonati.

"Nel processo operativo dell'unbundling - precisa il comunicato - Fastweb ha denunciato che numerosi clienti che avevano richiesto i suoi servizi non erano stati collegati nei tempi previsti e ciò senza giustificazione tecnica plausibile da parte di Telecom Italia. Pertanto Fastweb aveva avviato un tentativo di conciliazione davanti all'
Agcom

 e, di fronte ad un atteggiamento di totale chiusura di Telecom Italia, ha instaurato il giudizio arbitrale previsto dal contratto di accesso disaggregato".

Le lagnanze di Fastweb, in realtà, riguardavano 15 mila clienti, ma "per altri 4.000 casi circa - aggiunge la nota dell'operatore - il Collegio ha ritenuto improcedibile la domanda di Fastweb perché presentata irritualmente dopo l'avvio dell'arbitrato". "Fastweb - conclude il comunicato - prende atto delle proprie ragioni e del riconoscimento del danno sofferto sia in termini patrimoniali sia di immagine. Si riserva di richiedere i danni per i casi giudicati improcedibili e confida che le nuova dirigenza di Telecom Italia favorisca un clima di sviluppo concorrenziale del mercato".

D.B.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da L’Opinione 30-1-2007 Edizione 24 del 30-01-2007 Una sanità tutta da rifare e gli Usa si ispirano all’Europa di Domenico Maceri

I democratici propongono un sistema interamente statale


Il capitalismo ha creato benessere in molti paesi del mondo, soprattutto in Occidente, ma quando si tratta di sanità, negli Stati Uniti il risultato che ha prodotto non è positivo. Si calcola che 47 milioni di americani oggi non abbiano diritto al servizio sanitario, in gran parte dominato da assicurazioni private che ovviamente mirano al profitto. Gli aumenti esorbitanti di queste polizze mediche però stanno portando anche Washington a considerare di impiantare un sistema simile a quello euro-canadese, dove il governo ha un ruolo centrale nella mutua e la copertura sanitaria viene considerata un diritto del cittadino. Ma la ristrutturazione del sistema sanitario in Usa non sarà facile perché le lobbies delle assicurazioni sono molto potenti. Ciononostante la situazione è così drammatica che qualcosa si farà. Gli aumenti delle polizze hanno cominciato ad avere un impatto sulle grosse aziende che, tradizionalmente, sostengono il costo della sanità per i loro dipendenti. Secondo alcuni studi, i continui aumenti delle spese sanitarie eliminerebbero i profitti delle imprese entro il 2008.

Nonostante questi aumenti, la qualità del servizio non è soddisfacente. Il “New York Times” compara le spese sanitarie degli Stati Uniti con quelle di Canada, Francia, Australia e Gran Bretagna usando dati della “Organization for Economic Cooperation and Development”. Gli Stati Uniti destinano 6,102 dollari all’anno alla sanità di ogni cittadino, il doppio degli altri paesi considerati. Ma i benefici della salute non sono superiori. La mortalità dei neonati in America è la più alta fra i paesi considerati (6,9 per 1.000 nascite in Usa, 5.9 in Gran Bretagna). La speranza di vita è di 77,5 anni, la più bassa dei paesi comparati (la più alta è in Australia, 80,6 anni). Quindi, dove finiscono i soldi spesi per la sanità? In parte servono a pagare le cure dei 47 milioni di non assicurati, che ricorrono al pronto soccorso quando sono gravemente malati e non possono essere rifiutati. Una buona parte è poi assorbita dalle spese burocratiche, dato che ogni assicurazione ha i suoi moduli e il personale per sbrigare le pratiche. Si calcola che il 31% della spesa sanitaria Usa sia costituita da spese burocratiche. E che se invece di tante assicurazioni ci fosse solamente un’agenzia incaricata di pagare le spese si risparmierebbe abbastanza da potere assicurare i 47 milioni di cittadini che ora non hanno copertura. I costi della sanità forzeranno la mano dei politici ad agire.

Arnold Schwarzenegger, governatore della California, ha proposto di richiedere a tutti i residenti dello Stato di comprare l’assicurazione. La proposta segue ciò che è avvenuto già nello stato del Massachusetts. A livello nazionale il terreno è stato spianato dalle elezioni di midterm del novembre scorso, che hanno dato il controllo del Parlamento ai democratici. Alcuni candidati presidenti, come John Edwards, sono già schierati a favore della sanità per tutti. Ma i cambiamenti necessari per adottare tale sistema non sono facili. Le assicurazioni sono potenti e i repubblicani, loro alleati naturali, continuano ad avere un forte alleato alla Casa Bianca. I democratici dovranno quindi approvare le leggi in materia con almeno i due terzi dei voti del Congresso per evitare che Bush le blocchi. Inoltre, in America si crede che l’iniziativa privata possa fare qualunque cosa meglio dello stato. Ogni programma governativo è etichettato come “socialista” e perde l’appoggio dei cittadini. È successo con Hillary Clinton negli anni Novanta, quando la allora first lady propose un sistema di sanità per tutti. Le lobbies delle assicurazioni la massacrarono e la proposta non andò in porto. Ma le cose oggi sono diverse. Sulla della sanità lo stato potrebbe rappresentare, se non la salvezza, almeno una parziale soluzione.

 

 


INDICE 30-1-2007

Da La Repubblica 30-1-2007 Riforma tv. L'arbitro di parte di Giovanni Valentini 1

Da ANSA 29-1-2007 RCAUTO:AL VIA INDENNIZZO DIRETTO, ECCO COME FUNZIONA/SCHEDA  4

Dal Corriere della Sera 30-1-2007 In un documento pubblicato dal Sun il progetto al vaglio del governo Blair. Londra, spogliati per strada dalle telecamere  5

Da rivistaonline.com (30-1-2007). A chi serve la base Nato di Vicenza. di Valerio Di Paola  6

Dal Sole 24 Ore 29-1-2007  Consumi: i contratti da riscrivere  di Rosella Cadeo e Antonello Cherchi 7

Da Panorama Economy 29-1-2007  Alitalia, Toto modo di  Cristina Florio  9

Da La Stampa 29-1-2007 Ministri contro nella guerra delle Authority Paolo Baroni 12

Da dinoxpc.com 29-1-2007 L´associazione Anti Digital Divide ci fa sapere di un nuovo caso tutto italiano relativo al monopolio di Telecom Italia circa l´IPTV. 14

Da canali.libero.it/affariitaliani 29-1-2007 Bacchettate/ Telecom Italia subisce il “warning” di Deutsche Telekom, sarà concreto l’interesse di Yevtuschenkov? 16

Da Crema Web 29-1-2007  Meno spesa pubblica con il fotovoltaico Romolo Dell’Angelo  17

Da guidasicilia.it  Sulla mortificazione della Giustizia. La denuncia dei giudici siciliani per l'inaugurazione dell'Anno giudiziario  19

 

 


 

Da La Repubblica 30-1-2007 Riforma tv. L'arbitro di parte di GIOVANNI VALENTINI

 

Catricalà: "No al tetto del 45% per la pubblicità"
Il presidente dell'Antitrust critica il ddl Gentiloni. Il commento


È come se un arbitro di calcio, mentre sta arbitrando, contestasse la regola del fuori gioco o permettesse a una squadra di scendere in campo con dodici o più giocatori. Come se la Polizia stradale, in servizio di Stato, criticasse i limiti di velocità. O come se una commissione urbanistica comunale, nell'esercizio delle sue funzioni amministrative, rinunciasse a disciplinare l'altezza dei palazzi in costruzione.

La sconcertante sortita di Antonio Catricalà - presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato - contro il "tetto" alla pubblicità televisiva previsto dal disegno di legge del ministro Gentiloni, è innanzitutto una negazione del proprio ruolo e della propria responsabilità all'interno di una democrazia economica, in base ai principi del sistema capitalistico.

Se non si può porre un "tetto" alla raccolta pubblicitaria, perché questo - secondo il ragionamento di Catricalà, definito "assolutamente falso" da una durissima nota di Palazzo Chigi - è il fatturato di un'azienda televisiva, allora non si può porre un "tetto" ad alcun fatturato di alcuna azienda. E allora tanto vale abolire il mercato, abolire la normativa antitrust e abolire di conseguenza anche l'Authority.


Sappiamo bene, invece, che dagli Stati Uniti all'Europa, al di là e al di qua dell'Oceano, proprio questa è la funzione delle autorità indipendenti (cioè non dipendenti dal potere politico ed economico) chiamate a garantire appunto la libera concorrenza: valga per tutti il caso di Bill Gates e della sua Microsoft, per fare soltanto l'esempio più recente. Nessuno può impedire evidentemente l'espansione di un'azienda all'interno di un qualsiasi settore. Ma quando la sua crescita ammazza i competitors, quando un'azienda assume o detiene posizioni dominanti, quando realizza una condizione di monopolio o di duopolio, come nel caso della tv pubblica e privata in Italia, è chiaro che si determina una situazione critica, incompatibile con il regolare funzionamento del mercato.

Tutto ciò è tanto più vero in un settore nevralgico come quello dell'informazione, dove concorrenza è uguale pluralismo e pluralismo è uguale democrazia. Lo è in particolare per la televisione che - ricordiamolo sempre - funziona in regime di concessione pubblica e a maggior ragione è vero per un gruppo come Mediaset che prima ha occupato l'etere abusivamente, con la copertura e la complicità della politica; poi ha continuato a presidiarlo con tre reti, nonostante le numerose sentenze della Corte costituzionale in materia, tutte rinviate, eluse o infine aggirate addirittura con un decreto-legge scandaloso del governo Berlusconi a favore dell'azienda Berlusconi. Non si vede perché, d'altronde, gli editori di carta stampata vengano sottoposti al "tetto" del 20% sulla tiratura complessiva dei quotidiani, anch'esso un "tetto" antitrust, mentre la tv commerciale dovrebbe crescere all'infinito senza regole e senza limiti.

Sono almeno vent'anni che la "questione televisiva" si trascina nel nostro Paese, alla ricerca di una soluzione che non arriva mai e forse mai arriverà. È dal 1997 che la legge Maccanico - predisposta per ironia della storia dallo stesso Catricalà, allora capo di gabinetto al ministero delle Poste - ha fissato due "tetti" per la tv: il 20% delle reti e il 30% delle risorse. E se vogliamo, perfino la famigerata legge Gasparri ne ha stabilito uno, seppure mostruoso e ipertrofico, con l'introduzione del Sic (Sistema integrato delle comunicazioni). Ma il duopolio ha continuato a imperversare, soffocando le altre reti e tutti gli altri media, a cominciare proprio dai giornali. Eppure, in passato, la medesima Autorità antitrust - sotto la precedente gestione - aveva denunciato più volte l'abnorme concentrazione televisiva in capo alla Rai e a Mediaset, dichiarando anche "ridondante" il numero delle rispettive frequenze.

Oggi il Garante si preoccupa di garantire il fatturato del gruppo Berlusconi invece dell'equilibrio di mercato. A seconda delle stime di fonte diversa, la riduzione per le casse del Biscione potrebbe variare dai 100 ai 500 milioni di euro. Ma a parte il fatto che - all'indomani dell'approvazione della Gasparri - fu lo stesso Fedele Confalonieri ad annunciare trionfalisticamente che in forza di quel provvedimento la sua azienda avrebbe incassato uno o due miliardi in più all'anno, la proposta Gentiloni indica un "tetto" del 45% (fin troppo alto) rispetto a una "torta" che può continuare a crescere e che verosimilmente continuerà a crescere, consentendo a Mediaset di macinare utili netti nell'ordine dei 500-600 milioni all'anno com'è avvenuto negli ultimi tempi.

Con una coincidenza singolare, l'outing di Catricalà arriva proprio all'indomani del furibondo attacco di Silvio Berlusconi che - incurante del suo macroscopico conflitto d'interessi - s'è permesso di definire "un crimine" la riforma Gentiloni, annunciando la mobilitazione della piazza: ma è bene dire fin d'ora che cinque milioni di persone sarebbero comunque poche, troppo poche, per un'azienda che vanta gli ascolti televisivi di Mediaset. Per di più, la pronuncia del Garante cade alla vigilia di un'audizione presso la Commissione Trasporti (e Telecomunicazioni) della Camera, in programma già da tempo per oggi, di cui il Parlamento non potrà non chiedergli conto.

È lecito concludere, dunque, che tutta questa fretta, questa precipitazione, questa ansia di apparire e sentenziare, risultano nello stesso tempo inopportune e sospette? Con quale legittimità e credibilità l'Antitrust interverrà d'ora in poi sulle pompe di benzina, sulla vendita dei farmaci nei supermercati o su altre quisquilie del genere? Più che una bocciatura della legge Gentiloni, come si sono affrettati ad annunciare i tg di Mediaset, questa è un'abdicazione ai compiti e ai doveri istituzionali dell'Authority. Un atto di subordinazione. O forse, una tratta o una cambiale ipotecaria.

(30 gennaio 2007)

 


 

Da ANSA 29-1-2007 RCAUTO:AL VIA INDENNIZZO DIRETTO, ECCO COME FUNZIONA/SCHEDA

ROMA

(ANSA) - ROMA, 29 gen - Meccanismo introdotto dal codice delle assicurazioni, l'indennizzo diretto entrerà concretamente in vigore per gli incidenti verificatisi a partire dal primo febbraio. Ecco come orientarsi con la nuova procedura. - QUALI SONO LE NOVITA': La vera rivoluzione è la possibilità di rivolgersi direttamente alla propria compagnia assicurativa. Gli automobilisti danneggiati faranno cioé affidamento e saranno rimborsati dalla propria assicurazione e non da quella del responsabile dell'incidente. Spetterà poi alla compagnia rivalersi sull'altra impresa.

- IN QUALI CASI SCATTA LA PROCEDURA: Il meccanismo riguarderà gli incidenti avvenuti in Italia in cui sono coinvolte due sole vetture, immatricolate nel nostro Paese, a San Marino o nella Città del Vaticano, e in cui le eventuali ferite agli occupanti siano lievi, valutabili tra uno e nove punti di invalidità. Nel caso siano coinvolti più veicoli dovranno invece essere adottate le classiche procedure di risarcimento.

- COSA FARE IN CASO DI INCIDENTE: Sia in caso di torto che di ragione l'incidente va innanzitutto denunciato alla propria compagnia con il modulo blu fornito dall'assicurazione. Il danneggiato non responsabile dovrà inoltre inviare alla compagnia una raccomandata, un telegramma, un fax o una e-mail per la richiesta di indennizzo. L'importante è che contenga i dati degli assicurati, le targhe dei veicoli, i nomi delle compagnie, la data e la descrizione dell'incidente, e, se ci sono danni fisici, le generalità del ferito e il tipo di lesioni.

- I TEMPI DI RISARCIMENTO: Le assicurazioni hanno 60 giorni di tempo (90 se ci sono lesioni) per inviare al danneggiato una offerta o comunicare i motivi per i quali non intende procedere al rimborso. Il tempo si dimezza a 30 giorni se, in caso di soli danni a cose, la richiesta di risarcimento è sottoscritta da entrambi i conducenti. Se l'offerta è insoddisfacente per l'automobilista, il danneggiato può rivolgersi a un legale o ad un'associazione dei consumatori per chiedere la conciliazione. Dalla comunicazione dell'offerta la compagnia deve procedere entro 15 giorni al pagamento.

- I BENEFICI DEL SISTEMA: La conoscenza reciproca, sia per le compagnie che per gli automobilisti, dovrebbe permettere di contenere il fenomeno delle frodi e allo stesse tempo semplificare le procedure. Gli assicurati potranno inoltre rendersi più facilmente conto delle prestazioni dell'impresa. A medio e lungo termine, la riduzione del contenzioso legale legate al nuovo sistema dovrebbe portare ad un calo delle tariffe. (ANSA).

 


 

Dal Corriere della Sera 30-1-2007 In un documento pubblicato dal Sun il progetto al vaglio del governo Blair. Londra, spogliati per strada dalle telecamere

 

Passanti scannerizzati ai raggi X in nome della sicurezza e della lotta al terrorismo e in barba alla privacy

 

LONDRA - Spogliati per strada dagli occhi elettronici. Ripresi nelle proprie parti intime da telecamere piazzate su lampioni e altri arredi urbani che passano ai raggi X il corpo dei passanti per vedere se sotto i vestiti si nascondono armi o materiali pericolosi. Scannerizzati come i bagagli a mano negli aeroporti. Uno scenario agghiacciante che potrebbe diventare realtà in Gran Bretagna. Sul tavolo del governo Blair è approdata infatti un documento riservato contenente una proposta destinata a sollevare un mare di polemiche. Disseminare le strade di «body scanner» che riprendono chi passa come mamma lo ha fatto. Il quotidiano The Sun è riuscito ad entrare in possesso del documento, datato 17 gennaio 2007 e messo a punto dall'Home office britannico, il ministero che si occupa della sicurezza, responsabile delle forze di polizia e del sistema giudiziario.
Dunque in barba alla privacy e in nome della lotta al terrorismo, il Grande Fratello diventerebbe una realtà. Il giornale riporta uno stralcio del testo: «Alcune tecnologie sperimentate negli aeroporti sono state già utilizzate nell’ambito di operazioni di polizia per scovare droga e armi nei locali notturni. Queste e altre potrebbero essere sviluppate per un uso molto più diffuso negli spazi pubblici».
Già nel 2004 le autorità dell’aeroporto di Heathrow, a Londra, avevano installato in via sperimentale un congegno di sicurezza ai raggi X in grado di «fotografare» i passeggeri sotto i vestiti, nelle loro intimità. E oggi i passeggeri degli aerei vengono selezionati casualmente, a campione, per controlli ai raggi X, a cui non possono sottrarsi, ma di cui sono a conoscenza. Se il nuovo progetto decollasse invece uno difficilmente saprebbe dove e quando viene sorvegliato dagli occhi indiscreti delle telecamere. Così il documento rivela anche timori per la reazione dell’opinione pubblica. Per smorzare le prevedibili polemiche «una soluzione sarebbe quella di far monitorare soltanto alle donne il pubblico femminile anche se - ammettono - sarebbe molto problematico in caso di folla».

(a.mu.)

30 gennaio 2007


 

Da rivistaonline.com (30-1-2007). A chi serve la base Nato di Vicenza. di Valerio Di Paola

Serve spazio alla caserma Ederle: civili e militari statunitensi devono raggiungere gli attuali dodicimila. L'aeroporto Dal Molin occorre alla base Nato per rimettere insieme la 173^ brigata Airborne, ora divisa tra Vicenza e la Germania. Gente tosta, quella della 173^: truppe d'assalto, con il paracadute sempre pronto. Setacciarono la giungla vietnamita alla ricerca del ribelle Kurtz di Apocalypse Now; furono i primi a scendere su Bagdad tre anni fa. E se l'aeroporto vicentino non è adatto ai grandi aerei dei parà, poco male: Aviano è dietro l'angolo.

Nel 2003, mentre la 173^ cala sull'Iraq, l'Unione Europea pubblica "Un'Europa sicura in un mondo migliore", ovvero suggerimenti per una strategia militare comune. È escluso l'attacco militare ad un paese membro: le minacce sono "non convenzionali", leggi "terrorismo", e la sicurezza viene dall'accesso all'energia. All'Europa interessa la stabilità, soprattutto a est, dove la politica energetica disinvolta di Putin si avvicina sempre di più con l'allargamento dell'Unione alla Romania. Il Mar Nero, dove incrociano il gas e il petrolio che accendono le nostre lampadine e i termosifoni, è il posto dove annodare fitti lacci diplomatici. Per dialogare con l'Iran e le turbolente repubbliche ex Sovietiche del Caucaso, feudi di mafia e d'affaristi, servono parole accorte, molta intelligence e nessun cedimento alla tentazione dello scontro frontale. L'Unione Europea del resto non ha un esercito comune: seguire le direttive è compito dei governi nazionali, all'ombra del guardiano secolare delle utopie e degli interessi delle democrazie occidentali: la Nato.

S'immaginano contingenti Nato a supporto della protezione civile contro le bombe nel metrò, o presidi poco vistosi lungo le rotte dell'energia, per domare i prezzi impazziti e ragionare con "l'alleato" russo e gli altri suscettibili baroni delle risorse. Che c'entra una forza di proiezione rapida dislocata sul suolo vicentino? L'Italia, si sa, "ripudia la guerra come strumento di offesa", e le sue truppe in giro per il globo dovrebbero svolgere attività esclusiva di peacekeeping. La 173^ non distribuisce aiuti umanitari, non ricostruisce ponti né presidia seggi elettorali: meno ancora può fare contro il terrorismo sul territorio nazionale. I parà sono ottimi per blitz come quello in Somalia, magari lungo rotta tra Beirut, Damasco e Teheran. Le priorità strategiche dell'Italia, fino a prova contraria membro paritario della Nato, sono distanti. Tuttavia l'Italia copre il 41% dei costi delle basi, a fronte di una media europea del 28%: 366,54 milioni di dollari nel 2003, ultimo anno in cui il Pentagono ha pubblicato l'Allied Contributions to the common defense, per terreni ed edifici, riduzione delle spese telefoniche, benzina esentasse e molto altro. Il rompicapo si complica, ad ascoltare il capo di Stato maggiore della Difesa Giampaolo Di Paola, che parla di prepensionamenti e tagli di personale delle Forze armate e reclama 20 miliardi di Euro, contro i 14,5 stanziati dal Governo.

Vicenza non fa spazio a interessi comuni, e il membro più ingombrante della Nato ci va non tanto, o perlomeno non solo, con la voglia di cannoneggiare l'Iran, per cui il la commissione Affari esteri del Senato Usa a messo sotto osservazione la Casa bianca. Basta guardare il Quadriennal defense review report, firmato dal segretario alla Difesa Donald Rumsfield diciotto giorni dopo il crollo delle Torri (e quindi elaborato molto prima). C'è scritto che urge sganciarsi dal Pacifico, dove la Corea resta uno spauracchio da verificare e il "soft power" cinese, il controllo con il capitale più che con le pallottole, rende sterile l'ostentazione dei muscoli. "Disinnescare" la Nato e imporre una spina dorsale made in Usa al Mediterraneo è il cardine della strategia: è in gioco la possibilità di andare a prendersi le risorse energetiche dove sono di casa, nel Medio oriente. La 173^ è uno dei vanti dell', l' per l'Europa, che dopo la guerra fredda si è spostato verso sudest. È per consuetudine decennale che il comandante dell'Eucom, oggi James L. Jones, comanda anche la Nato: "per leadership ed esempio - ha affermato - Eucom supporta la trasformazione della Nato e serve come modello per l'alleanza e le sue nazioni". E allora spostiamoci, che alla 173^ serve spazio.

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Dal Sole 24 Ore 29-1-2007  Consumi: i contratti da riscrivere  di Rosella Cadeo e Antonello Cherchi

 

 

Gli interventi
Le disposizioni previste dal Governo nel decreto legge e nel disegno di legge che comporteranno modifiche nei contratti

 


A meno di clamorosi sconvolgimenti parlamentari, di sicuro c'è che il pacchetto di liberalizzazioni varato giovedì imporrà a utenti e società — dalle banche ai gestori telefonici,dalle assicurazioni alle Poste, dagli operatori di Internet ai fornitori di gas — di sedersi intorno a un tavolo e riscrivere le regole contrattuali. Decine di milioni di accordi che dovranno essere modificati in senso migliorativo per i consumatori.
Tra i contratti da rinegoziare ci saranno sicuramente quelli sui mutui. Il Governo, infatti, ha deciso, con decreto legge, la cancellazione della penale in caso di estinzione anticipata del mutuo. Un onere che gli istituti di credito impongono soprattutto sui mutui a tasso fisso. In qualche caso, infatti, i variabili sono esonerati e quando non c'è l'esenzione, la percentuale della penale,da calcolare sul capitale residuo,è in genere più bassa.
La novità interessa una vasta platea di persone, perché i mutui hanno risentito del dinamismo delle compravendite immobiliari: nei primi 9 mesi dello scorso anno ne sono stati sottoscritti 375mila, per un valore di oltre 45 miliardi di euro.
Sempre in tema di mutui, sono da rivedere le modalità di cancellazione dell'ipoteca sulla casa. Ora l'operazione è onerosa e richiede l'intervento del notaio, mentre il decreto legge prevede una semplice comunicazione alla Conservatoria da parte della banca.
Alle banche, poi, toccherà rivedere le condizioni di parte dei circa 32 milioni di conti correnti, perché il disegno di legge sulle liberalizzazioni rende nulle le clausole contrattuali sulla commissione di massimo scoperto.
Minori vincoli anche nei contratti per l'utilizzo del gas domestico. Oggi, laddove non esiste il metano di città, chi installa il serbatoio fornisce anche il prodotto. In futuro, l'utente potrà rifornirsi dove ritiene più opportuno o conveniente.
Importanti novità anche nel capitolo telecomunicazioni. Per le ricariche dei cellulari— che costituiscono oltre il 90% dei circa 70 milioni di Sim card in circolazione in Italia — l'importo da pagare comprenderà esclusivamente il traffico telefonico: stop a commissioni e contributi fissi che incidevano soprattutto sui tagli piccoli e, di conseguenza, maggiore trasparenza sulle tariffe applicate (ma bisognerà vedere se gli operatori non decideranno di ritoccarle per compensare le minori entrate, quantificate in circa due miliardi).
Anche l'annosa questione del credito residuo — venuta alla ribalta con l'arrivo della
number portability e la possibilità di cambiare operatore mantenendo lo stesso numero telefonico — è risolta a favore del consumatore: non si perderà nel passaggio né avrà una scadenza.
Più chiarezza anche sul fronte telefonia fissa, Internet e tv: chi stipula un contratto per adesione (come quelli telefonici, per arginare l'invadenza dei quali è intervenuta di recente l'Autorità per le comunicazioni) potrà recedere in qualsiasi momento senza spese o ritardi non giustificati da parte dell'operatore e senza obbligo di preavviso.
Infine,le assicurazioni,quelle Rca (solo le auto sono 34 milioni e i motorini più le moto un'altra decina) e le polizze danni (diffuse in una famiglia su cinque,per un totaledi circa 4,6 milioni di nuclei).
Per la responsabilità civile obbligatoria tre gli interventi: se si assicurano ulteriori veicoli o si stipula una nuova polizza, si avrà diritto alla stessa classe di merito dell'ultimo attestato di rischio (norma interessante per chi ha una seconda auto o per il guidatore virtuoso che, dopo aver goduto per un periodo di un'auto aziendale, torni ad assicurarsi da privato); nell'applicazione del malus o comunque di variazioni peggiorative le compagnie devono rispettare precisi vincoli e principi di trasparenza; un apposito sito Internet del ministero dello Sviluppo economico offrirà maggiori opportunità di confronto online dei preventivi.
Due invece le novità negli altri rami danni: dal 2008 l'agente potrà proporre polizze di diverse compagnie (come già previsto per la Rca) e chi si è assicurato con un contratto di durata pluriennale avrà facoltà di recedere con un preavviso di 60 giorni.


 

Da Panorama Economy 29-1-2007  Alitalia, Toto modo di  Cristina Florio
                   

La compagnia ha fornito alla Consob le ultime indicazioni sulla propria situazione finanziaria. Intanto oggi è l'ultimo giorno a disposizione per presentare le manifestazioni di interesse per rilevare la quota detenuta dal Ministero del Tesoro

Sta per scadere il primo tempo. Air France ha già pensato a un presidente: Giancarlo Elia Valori. Ma il patron di AirOne è in vantaggio, perché ha l'appoggio di Lufthansa e di Intesa Sanpaolo. » Forum


 
Per ora gli unici requisiti richiesti sono una «credibilità industriale» (sic!) e un patrimonio di almeno 100 milioni di euro. Solo a chi dimostrerà di avere queste credenziali sarà data la possibilità di ficcare il naso nei libri contabili di Alitalia per poter fare i conti e decidere se e quale offerta mettere sul tavolo del ministero dell'Economia per rilevare almeno il 30,1% del capitale di Alitalia in suo possesso (49,9%) nonché gli oltre 1,2 miliardi di euro in obbligazioni convertibili della compagnia con scadenza nel 2010 e del valore nominale di 0,37 euro ciascuna.
Le carte si scopriranno il 29 gennaio (oggi ndr), quando le buste delle manifestazioni d'interesse presentate da chi punta al vettore italiano saranno aperte.
E da quel momento avrà inizio il valzer delle cordate: partner industriali e finanziari dovranno indicare se e come intendono consorziarsi e quanto sono disposti a mettere sul piatto per l'azienda che continua a bruciare cassa e che, alla fine del 2006, pare abbia accumulato perdite per 400 milioni di euro a fronte di ricavi che, già a settembre, erano pari a 3,2 miliardi.
Se si guarda alla Borsa, la cifra di partenza potrebbe essere quel miliardo e 400 milioni che oggi la società capitalizza a Piazza Affari.

IL PREZZO NON È GIUSTO
Un importo giudicato già «impegnativo» dai più e che potrebbe far restare alla finestra alcuni pretendenti. Tra questi, anche Air France-Klm.
Il mistero della presenza o meno del gruppo franco-olandese al tavolo delle manifestazioni di interesse del 29 gennaio si sta infittendo. Da una parte le dimissioni di Jean-Cyril Spinetta, numero uno di Air France, dal consiglio di amministrazione di Alitalia, fanno pensare alla volontà del manager di non trovarsi in conflitto di interesse in sede di trattative. Dall'altra, un recente articolo del quotidiano francese La Tribune, che sostiene il ritiro dei francesi dalla gara e non smentito da Air France-Klm, ha aumentato i dubbi sulla reale intenzione di partecipare.
Eppure, secondo quanto risulta a Economy, l'interesse da parte del colosso franco-olandese ci sarebbe, tanto che Spinetta avrebbe già un nome per la presidenza futura di Alitalia: si tratterebbe di Giancarlo Elia Valori, ex boiardo di Stato di lungo corso che ha guidato (tra le altre cose) la privatizzazione di Autostrade per l'Italia e la sua vendita al gruppo Benetton e che ha affari in Francia proprio nel settore delle infrastrutture.

NON LASCIARE CAMPO LIBERO
Di certo (e questo Spinetta lo sa bene) uno dei pericoli maggiori della mancata partecipazione di Air France-Klm alla gara su Alitalia è quello di lasciare la pista libera al concorrente tedesco Lufthansa che non si è ancora espresso riguardo a un suo reale interesse per la partita.
Ma il boccone italiano è appetitoso per la compagnia di Francoforte che, con Alitalia, potrebbe trasformarsi nel vero padrone dei cieli dell'Europa centrale. Lufthansa, infatti, ha già una partnership di ferro con AirOne di Carlo Toto e, grazie anche al controllo totalitario di Air Dolomiti, collega 25 aeroporti italiani con 17 tedeschi.
Per questo, non è da escludere la possibilità che Wolfgang Mayrhuber, numero uno della compagnia di bandiera tedesca, preferisca mandare avanti proprio AirOne, per poi entrare in un secondo momento. Dal quartier generale della compagnia di Carlo Toto non confermano né smentiscono l'interesse a partecipare alla gara, ma si limitano a dire che sono «concentrati sul business per dare nuovi servizi ai loro clienti».

Secondo quanto risulta a Economy, però, Toto parteciperà da subito e sarebbe in grado di mettere sul piatto diverse centinaia di milioni di euro.
Anche grazie al gruppo Intesa Sanpaolo, pronto a sostenere l'imprenditore abruzzese aggiungendo i capitali necessari per fargli avere una quota di riferimento nel raggruppamento che si potrà coagulare intorno al patron di AirOne nella seconda fase dell'offerta.
L'unica presenza certa, finora, è quella di Carlo De Benedetti che presenterà una manifestazione di interesse attraverso la sua Management & Capitali con l'appoggio di partner tra cui il fondo Cerberus, la banca d'affari americana Goldman Sachs, la Sopaf di Giorgio Magnoni e un'altra banca d'affari, Lehman Brothers.
Parte del sostegno finanziario potrebbe arrivare a De Benedetti anche dall'istituto di credito tedesco Deutsche Bank. Il numero uno italiano, Vincenzo De Bustis, sarebbe ben lieto di cogliere questa occasione per rientrare a pieno titolo nel panorama dei grandi affari italiani, dopo l'estate del 2005 che aveva visto coinvolto l'istituto nelle vicende poco chiare dei «furbetti del quartierino».

IN LISTA D'ATTESA
Possibili attori della partita sono anche l'Aga Khan, che ha appena acquisito Eurofly attraverso la sua Meridiana e che potrebbe candidarsi a fulcro centrale di una cordata da costituire in un secondo momento, e Paolo Alazraki, atipico uomo d'affari che ha più volte annunciato di aver dalla sua parte un manipolo di quindici imprenditori e due banche, di cui una italiana, pronti a mettersi in gioco per rilevare Alitalia.
Sempre che riescano a trovare i 1.400 milioni di euro necessari per portarsela a casa.

ALITALIA, ORA SI SCOPRONO LE CARTE
La società ha fornito alla Consob le ultime indicazioni sulla propria situazione finanziaria. Intanto oggi è l'ultimo giorno a disposizione per presentare le manifestazioni di interesse per rilevare la quota detenuta dal Ministero del Tesoro

In attesa di conoscere chi sono i soggetti interessati a rilevare la quota di Alitalia che il Tesoro intende cedere, la compagnia di bandiera ha risposto nelle scorse ore a una richiesta della Consob, che ha obbligato il gruppo di Giancarlo Cimoli a fornire un aggiornamento sulla situazione finanziaria del gruppo.

Così la società ha dichiarato che prevede di aver chiuso il 2006 con una perdita operativa di 380 milioni di euro e un risultato netto negativo per 197 milioni di euro. Ciò significa che la compagnia aerea non è riuscita a centrare gli obiettivi fissati nel piano industriale.
Si amplia così l'indebitamento netto, cresciuto a quota 1,03 miliardi di euro dai 964 milioni di fine novembre. Nel solo quarto trimestre i conti si sono chiusi con una perdita netta di 95 milioni.

A novembre il risultato operativo era stato negativo per 197 milioni di euro. Il risultato operativo consuntivo, nel mese, evidenzia così uno scostamento negativo, rispetto agli obiettivi di budget di 364 milioni di euro. I ricavi, alla fine del mese in oggetto erano pari a 4,33 miliardi di euro, mentre i costi per carburante e gli oneri da lavoro erano pari rispettivamente a 940 e 698 milioni.
I vertici continuano a porre il loro accento su queste due poste, ritenute le vere cause dei problemi gestionali della compagnia di bandiera. Sempre rispetto al budget i minori ricavi sono stati di 122 milioni di euro, i costi per il carburante sono stati più alti per 42 milioni di euro, quelli del personale di 60 milioni.

Diffusi anche i dati sul traffico.
In calo quello passeggeri, che a dicembre ha evidenziato una flessione del 2,3%. Bene, invece, il trasporto merci, che ha mostrato una crescita del 29,2%. In particolare, rispetto al dicembre 2005 il network passeggeri domestico ha registrato un coefficiente di riempimento in live miglioramento, al 61,1% con i passeggeri scesi del 7,5%.
Il business dei passeggeri internazionali ha visto un incremento di capacità del 2,1%, con un traffico trasportati in diminuzione dello 0,6%.
Il coefficiente di riempimento si è attestato al 63%.

 


 

 

Da La Stampa 29-1-2007 Ministri contro nella guerra delle Authority Paolo Baroni

 

Di Pietro difende l'Anas, Bianchi il suo ministero, Damiano non vuole guai sull'operazione Tfr

ROMA
C'и Di Pietro, che ha fatto le barricate per difendere l'Anas, e c’и Bianchi che vuole evitare lo svuotamento del suo ministero. Poi c'и Amato, che ha chiesto precisazioni su Consob, Antitrust e Banca d'Italia, mentre Damiano и «scettico» sulla soppressione del l'autoritа che vigila sui fondi pensione. Ma se i ministri lavorano di fino, i sindacati sono giа sul piede di guerra. Per non parlare di commissari iperpagati destinati a saltare, centinaia di funzionari e dipendenti che stanno per essere «deportati», e di piccoli-grandi centri di potere che finiranno smantellati. La riforma delle authorithy si presenta molto piщ complicata di quello che appariva.
Il presidente del Consiglio, perт, и «molto deciso», vuole «andare avanti» come ha ribadito sabato. E non a caso ha affidato la stesura di questo disegno di legge (21 articoli in 18 pagine) a uno dei suoi piщ fidati sottosegretari, Enrico Letta. Il quale si и avvalso della collaborazione di Giulio Napolitano, grande esperto di diritto pubblico ma soprattutto figlio del presidente della Repubblica. «Prodi accetterа qualche ritocco, ma и chiaro che un provvedimento del genere и blindato» commentavano giovedм sera a palazzo Chigi. Lм il progetto Prodi-Letta-Napolitano jr. ha fatto il suo debutto: ma dopo svariate bordate tutto и stato rinviato di 7 giorni.

Ministri in manovra
Il ministro alle Infrastrutture Antonio Di Pietro, intanto, il suo risultato l'ha giа portato a casa: la nuova Autoritа dei Trasporti non sottrarrа infatti alcuna competenza all'Anas. La vigilanza sulle autostrade resterа in capo all'azienda per le strade, «perchй l'atto di concessione и unico, vale sia per la costruzione che per la gestione, e non ha senso separare le due cose». Ma dovrа operare «in stretto coordinamento con l'authority». Il ministro dei Trasporti, invece, prima ha parlato di «sgarro politico» e ha battuto i pugni sul tavolo del premier ottenendo alcuni impegni, poi ha messo al lavoro i suoi esperti e conta di riuscire a limitare i danni di qui al prossimo consiglio di venerdм.

Arriva la SuperConsob
La partita piщ grossa, perт, riguarda la riorganizzazione delle autoritа che sovraintendono ai mercati finanziari. «Troppi doppioni e sovrapposizioni - sostiene da tempo Prodi -. Bisogna intervenire». Come? Tagliando qua e lа: abolendo la Covip e l'Isvap, smontando il Cicr, il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, rafforzando Consob e Bankitalia. Alla prima spetterа la vigilanza su trasparenza del mercato e correttezza dei comportamenti, alla seconda il controllo della stabilitа degli operatori e del sistema finanziario.
Il ministro dell’Interno Giuliano Amato, dall'alto della sua esperienza al Tesoro, a palazzo Chigi e all'Antitrust, ha espresso alcuni dubbi. «Sarebbe bene introdurre il parere di Banca d'Italia sulle pratiche antitrust interamente trasferite all’esclusiva competenza dell'Agcm - ci spiega -. Io volevo questo trasferimento, ma mi и parso eccessivo non dare alla Banca d'Italia neppure il parere. E ho posto il problema di una riformulazione della delega per il riparto di compiti fra Consob e Banca d'Italia, in modo da assicurare un’esaustiva tutela delle due finalitа - stabilitа e trasparenza - ad esse affidate».

Barricate sulla Covip
Il ministro del Lavoro Cesare Damiano sta in silenzio. Si capisce perт che la decisione di sopprimere la Covip, proprio durante l’operazione-Tfr, non lo convince. Stessa posizione espressa dalla Commissione guidata da Luigi Scimia, che venerdм ha infranto il galateo istituzionale diffondendo una nota di protesta: «In questo modo si mina profondamente la legittimitа dell’Autoritа, che proprio in questi mesi и chiamata a svolgere una funzione essenziale per assicurare il decollo della previdenza complementare e lo sviluppo del settore».
I sindacati sono dello stesso avviso. Protestano tutti, in prima fila Cisl, Uil e Ugl. «Non si cambiano le regole del gioco e l’arbitro nel momento piщ delicato della partita» denuncia il segretario confederale della Uil Lamberto Santini. Che difende anche l’Isvap e parla di scelta «intempestiva, illogica e rischiosa».

 

 


 

 

Da dinoxpc.com 29-1-2007 L´associazione Anti Digital Divide ci fa sapere di un nuovo caso tutto italiano relativo al monopolio di Telecom Italia circa l´IPTV.

 

Riportiamo la lettera integralmente in quanto spiega in maniera precisa come sono andate le cose:

Fin dall´annuncio di Alice 20MB, Anti Digital Divide aveva fatto notare le violazioni ed i rischi che tale offerta comportava scrivendo ad AGCOM. Riassumendo: non vi era una offerta all´ingrosso per gli operatori concorrenti basata sul cost plus, che avrebbe consentito un abbattimento delle tariffe per gli utenti, nonostante la delibera 34/06 AGCOM imponesse questa a Telecom Italia; non vi era garanzia della qualitа effettiva di alice 20 MB; l´offerta non rispettava i principi di neutralitа della rete. AGCOM purtroppo ha ignorato sia la nostra lettera sia le osservazioni dei provider. AIIP ha quindi inoltrato un ricorso al TAR.

In seguito il TAR ha emesso la sentenza che ha annullato l´autorizzazione alla
TV via cavo IP di Telecom Italia.

Sembra assurdo ma la sentenza del TAR и stata ignorata e l´IPTV, cosм come и accaduto per la telefonia e l´ADSL, sarа monopolizzata da Telecom Italia con grave danno per la concorrenza e per la neutralitа della rete.

Telecom Italia infatti puт produrre sulla rete i contenuti delle sue TV, LA7 quindi digitale terrestre, di MTV, ha raggiunto un accordo con Mediaset prima per i diritti del campionato di calcio italiano poi per diversi contenuti ed и notizia di queste ore che ha stretto un accordo anche con SKY, accordo che consentirа la visione dei canali dell’offerta Premium di Sky su Alice Home Tv. L’intesa riguarda 8 nuovi canali dedicati allo sport, 15 sul calcio e altri sei canali opzionali. Dopo questo accordo, la programmazione della TV via
Internet di Telecom Italia sale complessivamente a 53 canali.

Va da se che nessun altro potrа competere su questo mercato con TI e quindi non potrа svilupparsi alcuna concorrenza.

Questo и solo l´ultimo esempio di come le autoritа di controllo non svolgano le funzioni di garanzia del mercato per gli utenti, и quindi ormai inevitabile cambiare la legge sull´elezione delle autoritа in modo che siano i consumatori a scegliere e non i politici.

L´Italia и l´unico paese in cui nell´autoritа sono presenti politici invece di tecnici e questi sono i risultati del desolante primato.

Ulteriori dettagli sono disponibili a questo indirizzo.

Fonte:
AntidDigitalDivide.org


 

 

Da canali.libero.it/affariitaliani 29-1-2007 Bacchettate/ Telecom Italia subisce il “warning” di Deutsche Telekom, sarà concreto l’interesse di Yevtuschenkov?

Ci mancava solo il profit warning di Deutsche Telekom per affossare definitivamente il titolo Telecom Italia in borsa. Per la seconda volta in soli sei mesi il colosso telefonico tedesco ha tagliato le stime sui risultati 2007 (Ebitda visto ora a 19 miliardi di euro, dai precedenti 19,7-20,2 miliardi) a causa della concorrenza esistente in Germania e dell’andamento dei cambi, annunciando che investirà più di quanto pianificato per incrementare il business nella telefonia mobile e a banda larga. Immediata e pesante la reazione del listino, col titolo che a Francoforte è arrivato a perdere oltre il 6% prima di abbozzare un debole recupero.

Anche perché oltre che dal mercato la bocciatura è arrivata senza incertezze anche dagli analisti: quelli di Citigroup, in particolare, ora consigliano di vendere (“sell”) il titolo, in precedenza giudicato da tenere in portafoglio (“hold”), nel timore che le operazioni domestiche possano andare di male in peggio nel 2007. La competizione si intensificherà, la sostituzione tra operatori di telefonia mobile accelererà e i cavi emergeranno come una nuova minaccia strategica, secondo gli esperti americani, che puntano il dito sulla rigidità del mercato del lavoro tedesco, che continuerà a a pesare sui bilanci di Deutsche Telekom che dovrà utilizzare i risparmi di costo realizzati in altre aree per cercare di mantenere la quota di mercato.

Un’analisi che rischia di attagliarsi molto bene anche a Telecom Italia, da tempo sofferente di problemi analoghi (crescente competizione in casa, difficoltà a tagliare i costi ed in particolare a ridurre il personale) oltre che di pecche proprie come in particolare la pressoché totale assenza, se si esclude il Brasile, dai mercati emergenti, gli unici con la loro crescita in grado di offrire un’alternativa strategica alla lenta ma costante erosione di quote di mercato domestico per l’ex monopolista italiano.

Difficoltà che sommate alle incertezze ai vertici e ai timori degli analisti sul reale andamento dei conti in casa Telecom Italia (specie dopo il via libera al taglio dei costi di ricarica dei cellulari in Italia) rendono l’investimento sul titolo telefonico italiano sempre più rischioso, salvo che non si voglia scommettere su novità importanti all’interno del capitale. In questo senso l’ultima pista da seguire con attenzione sembra quella russa, dopo che a margine del forum economico di Davos Vladimir Yevtushenkov, presidente e maggiore azionista del gruppo russo AFK Sistema,  ha confermato che sono in corso colloqui in corso con Pirelli Spa per l’acquisto di un pacchetto di azioni Telecom Italia. Sulla concretezza di tale interesse, tuttavia, non sono in molti a scommettere.

I soldi a Yevtuschenkov, ex tecnico del settore chimico-plastico assurto alle luci della ribalta dopo l’elezione a sindaco di Mosca del suo amico Yuri Luzhkov, non mancano di certo: Forbes stimava che disponesse a fine 2006 di un patrimonio personale di 6,3 miliardi di dollari, che lo rendeva il più ricco uomo d’affari russo tra coloro che non avevano accumulato fortune partendo dal settore delle materie prime. Sistema è infatti un agglomerato che riunisce sotto di sé quasi 200 aziende che vanno dai produttori microchip ai negozi di giocattoli, ma le partecipazioni principali sono rappresentate da MGTS e MTS, vale a dire i principali operatori russi nella telefonia fissa e in quella mobile. Il nome di Yevtuschenkov e Afk Sistema non è tuttavia nuovo a Piazza Affari, dato che giusto un anno fa l’allora ministro delle Attività Produttive, Claudio Scajola, aveva firmato un protocollo d’intesa col quale la stessa Sistema si impegnava ad acquisire e riattivare le attività del gruppo Finmek.

Impegno che a distanza di un anno, ha dichiarato il ministro per lo Sviluppo Economico Pierluigi Bersani, non ha portato ad alcun risultato. “Dopo un anno - ha afferma il ministro rispondendo ad un’interrogazione in un question time alla Camera - abbiamo dovuto registrare che la società indicata non aveva intenzione di tradurre tutta la discussione svoltasi in un’impegnativa offerta d’acquisto (nonostante le manifestazioni di interesse più volte reiterate). Ne abbiamo preso atto e, a breve, avvieremo un nuovo procedimento di gara per la ricollocazione del sito produttivo”. Se il buon giorno si vede dal mattino, non sarà Yevtuschenkov a riportare la serenità attorno al titolo Telecom Italia.


 

 

 

Da Crema Web 29-1-2007  Meno spesa pubblica con il fotovoltaico Romolo Dell’Angelo 
Calcolato un risparmio di 13mila euro annui

RIVOLTA D’ADDA – Proseguono le valutazioni dell’amministrazione in relazione all’inserimento di pannelli fotovoltaici in alcuni edifici di proprietà comunale.
Valutazioni che vanno nella direzione di un risparmio energetico oltre che economico. Da qui l’avvio di una serie di interventi che riguardano le scuole cittadine e le palestre comunali che necessitano quotidianamente di elevati quantitativi di energia elettrica e gas per il riscaldamento, in modo da garantire un servizio ottimale per gli utenti.
Per questo l’amministrazione comunale, rappresentata dal sindaco Lamberto Grillotti, sta ipotizzando una politica alternativa per quanto riguarda i consumi energetici dei luoghi pubblici, cercando i finanziamenti necessari per investire sul futuro del paese, sia dal punto di vista economico sia ambientale.
I costi complessivi per dotare le scuole e le palestre di via Galilei di panelli fotovoltaici si aggirano attorno ai 300mila euro, essendo impianti ancora molto costosi sul mercato e non ancora convenzionati dagli enti provinciali e regionali. Il risparmio energetico calcolato dai tecnici comunali si aggira attorno ai 13 mila euro annui riguardanti il solo risparmio della corrente elettrica.
Inoltre, gli impianti istallati permetterebbero di avere un medesimo introito per le casse comunali derivanti dalla vendita di energia ad enti privati, anche per uso domestico. Quindi l’ingente investimento che l’amministrazione potrebbe affrontare con un mutuo presso una banca locale, potrebbe essere recuperato da proventi in una dozzina d’anni.
Fattore da non trascurare è la questione ambientale, essendo i pannelli fotovoltaici basati sul “riciclo” dell’energia solare che non è inquinante e non reca danni all’ecosistema locale. La giunta comunale è in attesa del parere dei tecnici comunali per valutare la serie d’interventi. La scelta dei pannelli fotovoltaici come linea d’intervento è già stata decisa dall’attuale maggioranza, anche se l’obiettivo ancora da definire è l’ipotetica realizzazione di un unico impianto per entrambi gli edifici pubblici. La legge regionale assegna un contributo sulla spesa effettiva del 50% sul costo complessivo sostenuto dall’ente che superi i 35 kilowattora di consumo.
Da una prima analisi un unico impianto per la palestra e le scuole medie dovrebbe richiedere una potenza di 50 kilowatt all’ora, mente in caso siano separati, rispettivamente di 30 per la palestra e 25 per le scuole medie. Comunque l’attuale maggioranza intende proseguire con l’analisi dei possibili interventi anche per ridurre la spesa corrente.
Tale soluzione trova l’accordo anche dalla minoranza di centrosinistra rappresentata dalla lista Insieme per Rivolta, che reputa fondamentale e indispensabile proseguire con una volontà politica volta al risparmio energetico e alla tutela ambientale.



 

 

Da guidasicilia.it  Sulla mortificazione della Giustizia. La denuncia dei giudici siciliani per l'inaugurazione dell'Anno giudiziario      

La scorsa settimana, nelle varie Corti d'appello italiane, si è svolta l'inaugurazione dell'Anno giudiziario. L'anno scorso furono le toghe a disertare clamorosamente le cerimonie nei distretti in polemica con il ministro Castelli, quest'anno sono stati gli avvocati a non assistere all'inaugurazione in polemica con la legge Bersani sulla liberalizzazione della professione forense.
La protesta dei legali ha fatto da contraltare al nuovo clima di dialogo tra le toghe e il mondo politico sottolineata da alcuni procuratori e ribadita dal ministro della Giustizia, Clemente Mastella, presente a Napoli, e dal vice presidente del Csm, Nicola Mancino, a Salerno.
I tempi lunghi dei procedimenti, la scarsità di risorse per fare fronte al carico di lavoro e gli effetti delle indagini particolarmente eclatanti e delicate sono state il motivo conduttore delle relazioni dei responsabili degli uffici giudiziari italiani.

In Sicilia, e per la precisione a Catania, Guido Marletta, presidente della Corte d'appello etnea (che comprende anche Siracusa, Ragusa, Caltagirone e Modica), nella sua relazione introduttiva all'inaugurazione dell'anno giudiziario ha proprio affrontato la questione della scarsità di risorse di cui la Giustizia, in particolar modo quella isolana, soffre.
''Le restrizioni di bilancio e l'ulteriore riduzione delle spese non potevano non incidere in senso peggiorativo sulle dotazioni per l'amministrazione della giustizia'', ha detto Marletta, rilevando inoltre che ''l'organico di magistratura degli uffici giudicanti e requirenti è pressoché inadeguato''.
''Il punto critico'', ha detto il magistrato, è che le restrizioni ''sono irrazionali ed ancorati a una cultura del servizio della giustizia che non può essere condiviso'', perché, ha spiegato il presidente Marletta, ''sono disposte a tappeto, senza la minima considerazione della peculiarità di moltissimi servizi della giustizia''.
''Nel settore dell'amministrazione della giustizia - ha sottolinea il giudice - non può operarsi alcun serio rapporto tra costi e benefici in una visione strettamente aziendalistica che non tenga conto del rilievo per cui la giurisdizione è garanzia ineliminabile per tutti indipendentemente da costi dei servizi e vantaggi economici per lo Stato o i singoli utenti''. Secondo Marletta il problema economico incide sulle strutture, sul numero dei magistrati in servizio, sui materiali utilizzati e ''investe pesantemente anche la posizione del personale giudiziario'' che è ''spesso mortificato da trattamenti economici e normativi non adeguati''.

All'inaugurazione palermitana si sono invece tirate le somme dell'attività giudiziaria del 2006. Dall'arresto di Bernardo Provenzano all'ultima operazione contro la cosca di Salvatore Lo Piccolo, la pressione repressiva sulla mafia ha raggiunto altri risultati significativi. E tuttavia Cosa nostra continua a esercitare ancora in Sicilia un controllo forte e capillare sull'economia e perfino sulla politica. A confermarlo le inchieste più recenti che il presidente della corte d'appello di Palermo, Carlo Rotolo, ha richiamato nella sua relazione per il nuovo Anno giudiziario.
I rapporti di collusione si realizzano in quella ''zona grigia'' su cui da tempo, ha ricordato Rotolo, si orientano le indagini più importanti. Tra le altre la relazione ha citato quella scaturita dalla collaborazione di Francesco Campanella, già presidente del consiglio comunale di Villabate, il quale ha ''riferito anche del ruolo di alcuni esponenti politici di rilievo regionale e di alcuni imprenditori non solo siciliani''. Sono proprio loro, ha sottolineato Rotolo, a trarre dal rapporto con le cosche ''forza e vantaggi di vario tipo''.
Nella relazione del presidente della Corte d'appello anche un riferimento agli sbarchi di extracomunitari in Sicilia, e in particolare nei confronti della sempre maggiore presenza di bambini e di minori, che arrivano nelle coste siciliane mescolati agli altri disperati trasportati dalle ''carrette del mare'', e che spesso non sono neppure accompagnati. Bambini che senza genitori né parenti, di regola finiscono nel giro della prostituzione e della criminalità.


 

 

INDICE del 29-1-2007

 

Da La Repubblica 29-1-2007 La Ue: oltre 200mila piccoli genii, ma l'Italia non sa cosa farne  1

Dal Corriere della Sera 29-1-2007 Tassa del lusso, Soru insegue gli evasori. Migliaia di «avvisi» ai ricchi degli yacht. Di Alberto Pinna  4

Da La Repubblica (29-1-2007) Telecom, l'inchiesta si allarga.  "Spiati i pm Colombo e D'Ambrosio" Molte operazioni pagate con il fondo del presidente. di PIERO COLAPRICO e GIUSEPPE D'AVANZO  5

Dal Corriere della Sera 29-1-2007) Il progetto del ministro dell'Istruzione. «Punite chi usa i telefonini in classe»   Gianna Fregonara  8

Da La Stampa 29-1-2007 Alitalia: i conti precipitano. Negli ultimi 5 anni bruciati 2,7 miliardi. Di Paola Baroni 9

Da Repubblica 28-1-2007  L'INCHIESTA/ Chi comanda nelle grandi città. Napoli langue all'ombra del finto Vesuvio  di Alberto Statera  11

Dal Corriere della Sera 28-1-2007  Caso Telecom Giornalisti spiati. Il Tiger team rubava email   di Luigi Ferrarella  17

 

 


Da La Repubblica 29-1-2007 La Ue: oltre 200mila piccoli genii, ma l'Italia non sa cosa farne

Preoccupanti risultati del Rapporto Eurydice: nel nostro Paese potrebbero arrivare
anche a 700mila e spesso a scuola vanno male per noia. I piani nelle altre nazioni

di SALVO INTRAVAIA


Alunni superdotati? Spesso distratti, si annoiano durante le lezioni. In molti casi sono addirittura a rischio di insuccesso scolastico e alcuni abbandonano gli studi. Per loro le 'normali' lezioni sono banali. I problemi derivano dal fatto che sono più intelligenti degli altri alunni e da una scuola che, almeno in Italia, non sa come interessarli. Si tratta dei cosiddetti alunni 'talentati', cioè particolarmente dotati: piccoli geni che potrebbero fare la fortuna del Paese ma che spesso non vengono neppure individuati e valorizzati.

Secondo il la Commissione europea nelle classi italiane ce ne sono un numero compreso fra 200 e 700 mila, ma gli insegnanti non hanno neppure gli strumenti per riconoscerli. Il rapporto Eurydice (il network sull'Educazione della Commissione europea nel 1980) dal titolo 'Misure educative specifiche per la promozione di tutti i talenti in Europa' mette in evidenza il sostanziale ritardo della scuola italiana, e dei suoi insegnanti, in materia. In Italia non esiste una legislazione che affronti la questione, non ci sono strumenti specifici per l'individuazione dei ragazzi dotati di talenti particolari e mancano, di fatto, percorsi mirati per chi mostra capacità al di sopra della norma. In più, gli insegnanti sono impreparati ad affrontare questi 'casi particolari'. In parecchie nazioni europee la questione è da tempo al centro di un ampio dibattito ed è stata affrontata in maniera organica.

La raccomandazione del Consiglio d'Europa. 'L'educazione è un diritto fondamentale per tutti (...) E' con questo spirito che una raccomandazione del Consiglio d'Europa nel 1994 mette in evidenza i bisogni educativi dei giovani con elevate potenzialità', spiega il documento di Eurydice . La raccomandazione insiste sulla necessità di offrire a questi alunni il sostegno di cui hanno bisogno. 'Esistono alunni con bisogni particolari - si legge nel documento - per i quali occorre adottare disposizioni speciali. Gli alunni superdotati sono fra questi, essi devono potere beneficiare di condizioni di insegnamento appropriate che permettano loro di mettere pienamente in atto le loro potenzialità, nel loro interesse e in quello della società. Nessun Paese può permettersi di sprecare dei talenti'.

Gli alunni superdotati in Italia. Sulla questione, lo studio Eurydice fa lo stato dell'arte in 30 paesi europei. In quasi tutti, Italia compresa, esiste una definizione degli alunni 'superdotati'. Ma nel nostro Paese non è stato ancora messo a punto nessun 'criterio di appartenenza'. L'individuazione del talento a scuola, in poche parole, è demandato alla sensibilità dell'insegnante. Nell'ordinamento scolastico italiano, per questi soggetti, non esistono neppure percorsi particolari da seguire: 'misure di arricchimento' o 'attività extrascolastiche paricolari'. Nel nostro paese i talentati seguono le lezioni accanto ai loro compagni 'normalì e non possono neppure accorciare il loro percorso scolastico di uno o più anni. E gli insegnanti? Non hanno nessun obbligo di promuovere o acquisire particolari competenze sugli eventuali talenti che si trovano i classe.

Le strategie degli altri Paesi. In metà dei Paesi esaminati le cose vanno diversamente. Quindici stati o regioni (la Turchia non ha fornito informazioni) si sono attrezzati con test attitudinali o di abilità per scovare i piccoli geni in classe. Fra questi Francia, il Regno Unito, Germania e Irlanda. In 10 paesi (Francia, Spagna, Portogallo, Regno Unito e Grecia, per esempio) la legislazione include i superdotati fra gli alunni con 'bisogni educativi particolari'. Ma a prescindere dalle definizioni in quasi tutti i paesi esistono risorse educative/pedagogiche destinate ai giovani 'talentuosi'. Nel Regno Unito i superbravi hanno la possibilità di iscriversi in corsi potenziati. Gli alunni per l'apprendimento delle diverse discipline possono essere suddivisi in gruppi omogenei o possono seguire corsi extrascolastici di 'arricchimento'. In ogni caso ai piccoli geni viene offerta la possibilità di accorciate il percorso di studi tradizionale. In Francia è possibile suddividere gli alunni di una stessa classe 'in livelli'. E in alcuni casi gli alunni possono seguire sezioni con insegnamento differenziato: sport, musica e danza per coloro che manifestano un talento particolare in questi ambiti. In Spagna è invece possibile saltare anche tre anni rispetto alla durata ordinaria dei percorsi di studio.

I due modelli teorici. Tutti i paesi concordano nell'offrire agli alunni particolarmente dotati qualche chance in più. Ma esistono attualmente due visioni contrapposte: una 'integrativa'e l'altra 'segregativa'. Il primo modello si caratterizza per una politica inclusiva per la presa in carico dei giovani 'dotati': niente definizioni né strategie o misure didattiche particolari. Gli esponenti più convinti della bontà di questo approccio sono quattro pesi nordici: Norvegia, Svezia, Finlandia e Islanda. Il secondo modello adotta un approccio 'altamente selettivò con definizioni criteri di appartenenza e strategie ben definite. E' il caso di Polonia, Lettonia e Repubblica Ceca. Molti paesi adottano un modello integrato in ambiente scolastico con la formazione di gruppi separati. In Italia siamo fermi ai piani di studio personalizzati inventati dalla Moratti, ma quasi irrealizzabili i classi superaffollate.

(29 gennaio 2007)

 

Dal Corriere della Sera 29-1-2007 Tassa del lusso, Soru insegue gli evasori. Migliaia di «avvisi» ai ricchi degli yacht. Di Alberto Pinna

 

Ingiunzioni anche ai proprietari delle ville. E arriva l'imposta di soggiorno

 

CAGLIARI — I primi avvisi di pagamento arriveranno fra qualche settimana ai proprietari dei maxi yachts: su 3 mila approdati nei porti sardi, nel 2006 hanno versato la tassa soltanto 250, gli altri 2800 — evasori, potenziali per ora — sono stati individuati dal corpo forestale regionale. Poi sarà la volta dei proprietari di case; entro marzo i non residenti in Sardegna riceveranno la notifica di accertamento e dovranno pagare a maggio quasi certamente con le medesime modalità con le quali si pagano i tributi allo Stato, il modello F 24. Il governatore Renato Soru non torna indietro: è caccia ai super ricchi. Difficile farla franca, perché ci sarà un incrocio fra i dati della Regione e del ministero delle Finanze. Con una novità, aggiuntiva: la tassa di soggiorno: «Che cosa saranno mai 3/4 euro al giorno in più per chi arriva in Sardegna e usufruisce di territorio e servizi?», aveva dichiarato a luglio. Ora la norma sarà inserita nella legge finanziaria regionale, da approvare entro febbraio forse anche con modifiche (però non sostanziali) alle tasse sul lusso. Soru non vuole dare anticipazioni: «Le finanziarie si fanno, non si annunciano».

LE CIFRE — Su turismo, ambiente e imposte su seconde case e imbarcazioni alla battaglia delle parole — all'apice la scorsa estate con discesa in campo di Flavio Briatore anti Soru e contestazione by night al Billionaire — segue ora la guerra per stanare chi non ha pagato. Il gettito delle imbarcazioni è stato di 1 milione e 600 mila euro. Il 90 per cento ha evaso la tassa e le somme non incassate sono rilevanti: fra i 15 e i 20 milioni di euro per le imbarcazioni e forse più di 100 milioni di euro per le seconde case, per le quali il pagamento era stato differito a maggio 2007. Per gli yachts tassabili (lunghezza più di 14 metri) con bandiera italiana non pagare sarà difficile: oltre alle sanzioni potranno scattare procedure di rivalsa (sequestro?) sull'imbarcazione. Procedure più problematiche e lunghe per bandiere estere e «ombra ». Quanto alle seconde case l'agenzia delle entrate ha già censito 290 mila immobili sulla fascia costiera, dei quali 55 mila di proprietà di non residenti, perciò soggetti alla tassa. Numeri destinati a crescere fra un mese, quando il censimento sarà completato. «Siamo operativi da novembre — afferma il direttore Gianluigi Giuliano — e abbiamo già una mappatura degli immobili da tassare. Lavoriamo in 4, per il censimento alcune società private avevano chiesto fino a 1,5 milioni di euro. E noi non ne abbiamo speso neanche uno». Nella finanziaria regionale ci saranno anche alcune modifiche necessarie per far ritirare il ricorso presentato dal governo alla Corte costituzionale. La tassa sugli immobili dovrà essere pagata dai non residenti in Sardegna (ora sono esentati i nati nell'isola, gli emigrati e i loro figli anche se non residenti). Possibili ritocchi sulle plusvalenze da vendite di seconde case — ora c'è una sovrapposizione con la finanziaria nazionale — che forse saranno dovute soltanto per i passaggi di proprietà dopo 5 anni dall'acquisto. Allo studio l'esenzione parziale per chi utilizzerà per periodi limitati il suo alloggio e per qualche mese lo metterà a disposizione (ad esempio di alberghi) come struttura ricettiva.

REFERENDUM — Ma su turismo e coste è guerra anche politica. Mauro Pili, ex presidente della Regione e ora deputato di Forza Italia, e il centrodestra hanno promosso un referendum per abrogare il piano paesaggistico che vieta le costruzioni fino a oltre 2 chilometri dalle coste. La raccolta delle firme (ne sono necessarie 10 mila) è in corso, le polemiche anche: «Vogliono ritornare alle cementificazione selvaggia» accusa l'assessore regionale all'urbanistica Gian Valerio Sanna. «Niente affatto, la Sardegna sarà tutelata come tutte le altre regioni dal Codice Urbani — replica Pili — le follie ambientalistiche di Soru hanno prodotto finora 24 mila disoccupati; vogliamo evitarne altre migliaia».

29 gennaio 2007

 

 

 

Da La Repubblica (29-1-2007) Telecom, l'inchiesta si allarga.  "Spiati i pm Colombo e D'Ambrosio" Molte operazioni pagate con il fondo del presidente. di PIERO COLAPRICO e GIUSEPPE D'AVANZO

I nomi degli ex pm comparirebbero nelle carte dell'archivio
del detective Bernardini, ingaggiato dalla Pirelli



MILANO - I pubblici ministeri di Milano stanno verificando se i detective, ingaggiati dalla Pirelli, abbiano spiato illegalmente tra il 2004 e il 2005 Gherardo Colombo (oggi giudice in Cassazione) e Gerardo D'Ambrosio (oggi senatore dei Ds), l'uno e l'altro tra i protagonisti della stagione di Mani Pulite. La necessità di un accertamento nasce dallo spulcio dell'archivio di Marco Bernardini, il private eye che con Emanuele Cipriani (Polis d'Istinto) e Gianpaolo Spinelli (Global Security Services) è stato il braccio operativo della Sicurezza di Pirelli/Telecom diretta da Giuliano Tavaroli.
Dall'archivio sono saltate fuori le schede delle operazioni controllate dagli uomini di Bernardini. In ogni scheda, i nomi (in codice) degli "operatori", il nome (in codice) dell'"operazione" e, in molti casi, il nome dell'obiettivo.
Nelle carte, che Repubblica ha potuto leggere, è possibile risalire anche al committente dello spionaggio. C'è una legenda del numero dei protocolli con cui le operazione vengono archiviate. Pirelli è "1". Telecom è "2". I lavori trasmessi dalla "Global Security Services" di Gianpaolo Spinelli a Marco Bernardini sono collazionati con la sigla "Gp". E' aggiunta la lettera "E" se è necessario allargare l'indagine abusiva all'estero e "R" se lo "studio" - par di capire così - è a "rete", da un personaggio all'altro, da una società all'altra, da un Paese all'altro.
Alla fine del 2004, Marco Bernardini è alle prese con, per lo meno, venti "operazioni" commissionate dalla Cavi e Sistemi Pirelli.
Ecco il codice delle operazioni: Monte; Garbo (Giorgio Garbellini); Cavallo (Andrea Cavalli); Profeta (Walter Giacobbe); Soda; Kuneo; Brigitte; Casanova; Moto; Akuel; Drago; Wolf (Wolf Gang Staele); Rose; Kazakistan; Slovacchia, Corona (in Lussemburgo); Cheope (in Egitto); Biscotto (in Togo); Duma (in Russia). E' in questo elenco che i pubblici ministeri hanno ritrovato le tracce dello spionaggio contro Gherardo Colombo e Gerardo D'Ambrosio. Con il numero di protocollo "1/5" è segnalata l'Operazione Piccione. E' una due diligence.
La formula maschera, nei rapporti tra il detective e il committente, lo spionaggio che viene definito così: "Informazioni/investigazioni di ordine approfondito in area nazionale su persone fisiche finalizzate a poter tracciare un indice di affidabilità, con riferimenti patrimoniali e indicatori di rischio". C'è un altro modo, a quanto pare, per camuffare l'attività illegale di spionaggio Nell'archivio di Bernardini sono state rintracciate note in bianco in cui Pierguido Iezzi, già responsabile della Sicurezza delle Informazioni prima in Pirelli e poi in Telecom, assegnava a Bernardini un'indagine (preliminare) con l'obiettivo formale e giuridico di avviare una non meglio precisata "iniziativa legale".
Nell'Operazione Piccione contro Gherardo Colombo, ancora in via di accertamento, sono coinvolti tre spioni. In codice, "C4", "K2" e "Chalet". Sono sei invece i "segugi" in azione nell'Operazione San Gennaro contro il napoletano Gerardo D'Ambrosio (numero del protocollo 1/6): "C4", "K2", "Chaled", "Shalom", "Diodo", "Az". Le schede Colombo (Piccione) e D'Ambrosio (San Gennaro) sono raccolte nello stesso file (e in una voce diversa) che custodisce le notule dello spionaggio contro Massimo Mucchetti, vicedirettore del Corriere della Sera. "Operazione Mucca Pazza", numero di protocollo 2 (Telecom)/2. Operatori "K2" e "Josef". La documentazione dà conto con minuzia delle spese sostenute per il lavoretto sporco. L'undici gennaio del 2005 è necessario seguire Mucchetti in auto (il pieno costa 78 euro) e stargli dietro in un ristorante (66 euro).
Questa faccenda dei soldi non è un dettaglio trascurabile.
Dalle carte dell'archivio, risulta evidente che la cifra destinata allo spionaggio da Telecom/Pirelli è ben superiore ai 20 milioni di euro in nove anni, di cui si è parlato finora. In un solo mese del 2004, Bernardini riceve 462mila euro e spiccioli da Telecom Italia. Importi simili si succedono nei mesi . E in più ci sono: 11.910 da Telecom Brasile; 105.500 da Pirelli; 22.270 per i mezzi e gli uffici di Roma e Milano.
Eccentrici anche i modi di pagamento. Le "Operazioni" erano retribuite, come si legge da decine di note bancarie, presso un istituto di credito di Annandale, Virginia, la Suntrust Bank, 7617 Little River Turnpike (la Global Security Services di Gianpaolo Spinelli è nei dintorni, al 4504 di Mullen Lane).
I saldi della Telecom agli spioni sono vari e anche cospicui. Si va dai 1.200 euro dell'"Operazione Pira" (3 marzo 2005, la distruzione dell'archivio della Security, una volta avviata l'inchiesta giudiziaria) ai 156 mila dell'Operazione Gancio (14 gennaio 2005) o ai 240 mila dell'"Operazione Zucca" (12 gennaio 2005).
E' singolare che non ci sia un'unica fonte di pagamento. A volte il dovuto agli spioni è liquidato da Telecom Italia, via Torino 2. A volte, dal Centro servizi amministrativi della Telecom, piazza Affari 2. E' poi singolarissima la forma di pagamento. Niente "check". Niente "credit card". Sempre e soltanto "cash", come si legge nelle note della banca americana. Moneta sonante, dunque.
La procedura inusuale conferma, comunque, che lo spionaggio non è stato retribuito da una sola sorgente di pagamento. Dunque, non solo dalla Security di Giuliano Tavaroli. Da chi, allora? Aiutano a sciogliere il nodo alcune lettere pre-stampate sequestrate a Bernardini. "Il vicepresidente per l'Europa della Global Security Services" (così firma le missive), il 15 febbraio 2005, spedisce un preventivo di 77 mila dollari per servizi di "competitive intelligence area nazionale e Svizzera, Inghilterra e Brasile" non a Giuliano Tavaroli, ma al "dott. Valente".
Il "dott. Valente" è Giancarlo Valente, il gestore del "Fondo del Presidente" della Telecom, Marco Tronchetti Provera. E non poche operazioni di intelligence (sei su dieci, stando ai primi atti dell'inchiesta), sono state retribuite da Giancarlo Valente con risorse di quel "Fondo".
(29 gennaio 2007)

 


 

Dal Corriere della Sera 29-1-2007) Il progetto del ministro dell'Istruzione. «Punite chi usa i telefonini in classe»   Gianna Fregonara

 

L'appello di Fioroni ai professori: tolleranza zero. Pronto il piano anti-bullismo         

 

ROMA — Cari professori, vigilate. E se è il caso, non esitate: punite. «L'uso dei telefonini a scuola, durante le lezioni, è vietato. Non solo per telefonare o ricevere messaggi ma ancor di più per filmare o giocare». Parola del ministro Beppe Fioroni. Non sono dunque in arrivo nuove circolari, reprimende o provvedimenti per spiegare che il cyberbullismo va combattuto cominciando con il togliere dalla circolazione nelle classi dello strumento indispensabile per trasformare ragazzi e studenti in teppistelli da video: «Il divieto c'è già, bisogna farlo valere come già succede nella maggior parte delle scuole italiane che sono serie e autorevoli », spiega il ministro dell'Istruzione. Niente schermature degli edifici come avevano tentato di fare al Tosi di Busto Arsizio, bloccati poi da una circolare del ministero delle Comunicazioni. Niente provvedimenti ad hoc come hanno fatto in Baviera e nella blairiana Inghilterra.

Tutt'al più, potrà pensarci il Parlamento dove giace la proposta del capogruppo verde alla Camera Angelo Bonelli per proibire l'uso dei cellulari per legge nelle scuole: «Le Camere sono sovrane e ne discuteranno se crederanno» è il distaccato commento del ministro Fioroni che spiega la sua filosofia: «Non c'è niente da censurare oltre quello che è già vietato. Non devo certo fare una circolare per dire a professori e studenti che non si gioca a poker durante la lezione di matematica. Non sarebbe offensivo se mi mettessi a scrivere l'ennesima circolare per dire che non si fanno filmini hard a scuola o non si pestano i compagni più deboli, magari filmandoli?». A collegarsi con YouTube e a leggere le cronache dei quotidiani degli ultimi mesi il sospetto che una ripassatina di ciò che è ammesso e ciò che non lo è, forse non guasterebbe. Ma il ministro Fioroni non ci sta ed è categorico: «Lo ripeto il divieto di disturbare e di tenere comportamenti non consoni durante le lezioni c'è già, tanto è vero che i professori possono adottare sanzioni disciplinari per chi trasgredisce. Gli episodi di questi mesi sono stati gravissimi, ripeto gravissimi, ma molto pochi, un numero insignificante rispetto ai milioni di studenti delle scuole italiane. E i responsabili sono stati tutti puniti». Più del divieto, Fioroni contro i teppisti del telefonino vorrebbe usare la Costituzione, perché si tratta di un problema «di democrazia vero e proprio».

Nel piano che presenterà a febbraio non solo contro la violenza fisica e psicologica «che nelle scuole purtroppo ci sono sempre state» ma anche contro «il menefreghismo, l'assuefazione, il non volersi accorgere, il non reagire a quello che sta succedendo lì a un metro da te», Fioroni ha inserito il progetto di una riflessione annuale sui valori costituzionali da tenersi nelle scuole medie inferiori e superiori. Una rivisitazione dell'educazione civica «per parlare ai ragazzi del rispetto di sé e degli altri, della cifra delle democrazie moderne che è la tutela della libertà dei deboli, per combattere la violenza come autoaffermazione». «Cito un episodio per tutti — racconta il ministro —: mesi fa i figli dei boss locali non fanno entrare i ragazzi in una scuola media del Sud. Chiamo il preside che mi dice: "Addirittura il ministro... ma non si preoccupi, non è vero che hanno sparato un proiettile, era solo una biglia, non sono entrati a scuola in moto ma in motorino e poi hanno rotto soltanto un vetro. Provvederemo a ripararlo."». Non impeccabile, anche se dal punto di vista legale inattaccabile, il preside assediato dai baby boss. Basteranno le campagne proposte dal ministro Fioroni? «Dobbiamo mobilitare gli studenti e gli insegnanti, perché adottino la tolleranza zero verso le mele marce», insiste il ministro. Il piano prevede tre direttrici per recuperare l'idea che «la scuola è un'istituzione seria dove si deve imparare ad aver rispetto di sé e degli altri». Oltre alle lezioni di Costituzione e al recupero dei violenti con iniziative specifiche, Fioroni punta su uno slogan già sperimentato anche in politica, una campagna contro il menefreghismo dal titolo «I care». Il resto è affidato ad un tavolo al quale siedono oltre a Fioroni il ministro della famiglia Rosy Bindi, delle comunicazioni Paolo Gentiloni, della Giustizia Clemente Mastella: «Perché non si può chiedere ai docenti di fare quello che gli altri non fanno. E se i genitori non danno mai torto ai figli, la tv generalista propone come unico riferimento la cultura dei reality, pensare di risolvere tutto vietando i cellulari a scuola, è molto ma molto riduttivo. E inefficace».

29 gennaio 2007


 

 

Da La Stampa 29-1-2007 Alitalia: i conti precipitano. Negli ultimi 5 anni bruciati 2,7 miliardi. Di Paola Baroni

 

Il debito ha superato quota mille milioni

 

 

ROMA
Conti a picco e debito alle stelle per Alitalia. Messa alle strette dalla Consob, ieri la compagnia di bandiera è stata costretta a fare luce sulla propria situazione. Che, come indicavano le previsioni più fosche, è disastrosa: il 2006, infatti, chiuderà con una perdita di 380 milioni di euro. Un vero e proprio salasso per una società che negli ultimi 5 anni ha perso ben 2,7 miliardi di euro.
Nei primi undici mesi del 2006 l’Alitalia ha infatti accumulato perdite operative per 197 milioni di euro a fronte di ricavi consolidati pari a 4,328 miliardi. Tra le voci di spesa più significative quella per il carburante (940 milioni di euro) e gli stipendi del personale (698 milioni). Ovviamente, in questa situazione, continua a salire l’indebitamento che a dicembre sfonda quota 1 miliardo di euro (1,026 miliardi per la precisione) in rialzo del 6,4% rispetto a novembre. La situazione è pesante, ma non ancora disperata sostiene la compagnia: l’attuale liquidità del gruppo Alitalia, dice una nota, «risulta essere adeguata a garantire continuità aziendale ben oltre i 12 mesi».
Come spiega un simile disastro il presidente e Ad del gruppo, Giancarlo Cimoli? A suo parere la «colpa» è innanzitutto dei 122 milioni di minori ricavi «in massima parte imputabili alla minore capacità offerta (derivante sia dagli scioperi, sia dall’operativo effettivamente volato dalla compagnia) nonché alla crescita della pressione competitiva, anche in ragione della maggiore attività dei vettori low-cost». A questa cifra occorre poi aggiungere 42 milioni di euro di maggiori costi per il carburante, e circa 60 milioni di euro venuti meno «principalmente a causa della mancata implementazione dei progetti di efficientamento del costo del lavoro previsti dal piano». I dati sul traffico di dicembre sono in chiaro-scuro: male l’attività passeggeri (-2,3% nel trasportato e -2% nell’offerto per un totale di 1,8 milioni di passeggeri), bene l’attività cargo che cresce del 29,2% (+22,4% l’offerto).
Dopo lo sfaldamento del Cda provocato dalle dimissioni del presidente di Air France Jean-Cyril Spinetta, che ha fatto saltare la riunione del 19, giovedì scorso la Consob aveva richiamato all’ordine la società. «Troppa incertezza sulla situazione» ha fatto sapere la Commissione, irritata per la scarsa disponibilità a collaborare e una dose forse eccessiva di reticenza. Per questo l’Autorità che controlla le società e la Borsa ha imposto a Cimoli di fare chiarezza sulla situazione della compagnia. Il termine scadeva ieri e l’Alitalia se lo è preso praticamente tutto arrivando a diramare la sua nota solamente poche minuti prima delle 21.
Quattro i punti da chiarire: le stime sul risultato di esercizio 2006 e i dati più recenti disponibili, lo scostamento tra risultati e piano industriale che prometteva invece il ritorno all’utile e lo stato di validità del piano industriale 2005-2008. Quindi la Consob chiedeva di sapere se i due consiglieri superstiti fossero abilitati o meno a gestire l’ordinaria amministrazione.
Detto dei conti, con la sua nota Alitalia risponde anche a tutti gli altri quesiti. Primo: il risultato di novembre è sotto il budget per 364 milioni. Secondo: il piano industriale 2005-2008, col Cda decaduto e la procedura di vendita ormai avviata è «superato e inattuabile». Terzo: gli amministratori di Alitalia rimasti in carica, ovvero Cimoli e il consigliere del Tesoro Giovanni Sabatini, «esercitano poteri di ordinaria amministrazione» e «a Cimoli rimane attribuito il potere di rappresentanza». Basterà tutto ciò al mercato? La risposta arriverà questa mattina dalla Borsa. Che dopo la chiusura positiva di venerdì scorso (coi titoli Alitalia saliti dell’1,2% a 1,075 euro) oggi aspetterà soprattutto di conoscere i nomi delle cordate che accetteranno la sfida tutta in salita di risanare Alitalia.

 


 

Da Repubblica 28-1-2007  L'INCHIESTA/ Chi comanda nelle grandi città. Napoli langue all'ombra del finto Vesuvio  di Alberto Statera

CON BUONA pace del professor Michael Sheridan dell'Università di Buffalo che insiste a pronosticarne un'eruzione, il "Vulcano cattivo", jella permettendo, tace e fortunatamente continua a tacere dal 18 marzo 1944. Ma alle sue spalle, sul versante opposto rispetto a quello riprodotto nelle cartoline e nelle gouaches ottocentesche, nella piana di Nola sta per eruttare gaudiosamente il "Vulcano buono" con un immenso getto di natura imprecisata - acqua, vapore, o simil- lapilli? - che sgorgherà nel cielo ad opera di Renzo Piano dalla bocca alta più di quaranta metri di "' O Vesuviello".
Clone di cemento ricoperto da una giungla di verde, il Vulcano buono è stato partorito dalla fantasia di uno degli architetti più famosi del mondo su istigazione visionaria di Gianni Punzo, ex commerciante di biancheria nel regno ormai dismesso dei "pannazzari" in piazza Mercato, e oggi icona vivente di quella che il presidente della Confindustria Luca Cordero di Montezemolo definisce "l'altra Napoli". La Napoli che produce, innova, inventa, va per il mondo, esorcizza la povertà, la criminalità e il declino. Quell'altra Napoli che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in libera uscita dal Quirinale invoca ormai quasi quotidianamente sorbendo il caffè al "Gambrinus" o passeggiando sul molo desolato di Bagnoli con donna Clio, di fronte a uno dei panorami più suggestivi della terra, ferito dall'altoforno dell'acciaieria dismessa, provocando le peristalsi gastriche del governatore Antonio Bassolino e del sindaco Rosa Russo Iervolino, che si sentono messi sotto accusa per le grandi "incompiute napoletane".
Quell'altra Napoli che Romano Prodi evocherà oggi nella visita ufficiale partenopea e che aleggerà per due giorni sul conclave del centrosinistra di governo nella reggia di Caserta. "A Bagnoli gli abbiamo liberato i suoli da anni - fu sentito dire il premier durante la visita in Cina - e non sono riusciti a combinare niente: altro che rinascimento di Napoli, sono degli incapaci".
Soltanto pochi mesi dopo quello sfogo, paradossalmente gli interrogativi sulla capacità di modernizzazione della sinistra che governa ormai ininterrottamente Napoli da quasi tre lustri con esiti poco rinascimentali, s' intersecano pericolosamente con la domanda di "rilancio" - fase uno, due o x - dell'azione di un governo nazionale faticosamente in carica da sei mesi.
Ma l'altra Napoli sta per mettere in scena - inaugurazione tra pochi mesi con i lapilli di Renzo Piano, la bandiera, l'inno di Mameli e il presidente partenopeo - 'O Vesuviello, che a dispetto del diminutivo è la grandiosa epitome "glocal", globale e locale, della modernità: 450 mila metri quadrati a forma di cono come il vulcano che ha di fronte, alto quarantadue metri, 600 pilastri d' acciaio a forma di sigaro toscano, una piazza centrale grande come piazza Plebiscito, un sistema logistico sotterraneo, una galleria circolare di un chilometro con 180 negozi, un parcheggio per 8 mila auto, una multisala Warner Bros, un ipermercato Auchan, un albergo Holiday Inn, centri congressi, decine di ristoranti e bar.
Non chiamatelo, per carità, centro commerciale perché Renzo Piano si offende. Non uno shopping center in cui "come in un juke box la gente che entra viene scossa fino a far cadere i soldi dalle sue tasche", ma un sistema di servizi per la "città Cis- Interporto", il maggior sistema di distribuzione commerciale d' Europa, un distretto di logistica integrata di 4,5 milioni di metri quadrati, con 600 aziende, e 6 mila addetti, che cresceranno col Vesuviello rispettivamente a mille e 9 mila, con un giro d' affari di 7 miliardi di euro, destinato a raddoppiare. Costo 250 milioni di euro. "'O denaro parla", fa ispirato il mercante che in vent' anni dice di aver creato la "bancarella del millennio " trasferendo da piazza del Mercato, l'antico Campo Miricino dove fu decapitato Corradino di Svevia, alla piana di Nola, dove la camorra ha solida tradizione, i suoi colleghi "pannazzari". E reclutato poi centinaia di altre imprese di tutti i settori "perché 'a merce ha da girà cò 'a testa".
Perfetta maschera partenopea che potrebbe sgusciare da una commedia di Eduardo Scarpetta o di suo figlio Eduardo De Filippo, Gianni Punzo, un po' per abitudine un po' per vezzo, parla un dialetto stretto e a mitraglietta, per cui all'inizio Renzo Piano non lo capiva. Oggi, dimenticato l'incidente che lo portò in prigione per presunte e mai provate collusioni con il clan Alfieri ("Niente mi appaura, neanche la camorra - dice - perché chi non semina chiodi può anche andare scalzo") s' intende con tutti quelli che vagheggiano l'altra Napoli qui e fuori di qui.
Luca Montezemolo lo ha accolto in "Charme", la società di investimenti fondata con Diego Della Valle, con Deutsche Bank, Unicredit e Monte dei Paschi, ed è a sua volta entrato nella Banca Popolare Sviluppo, fondata da Punzo con la consulenza di Pellegrino Capaldo, grande giurista ed ex presidente del Banco di Roma. Alessandro Profumo lo segnala come inventore di un modello da realizzare in altre parti d' Italia e da esportare nel mondo. Ambrogio Prezioso, presidente dell'Associazione dei costruttori, lo invidia perché riesce "a fare", mentre per colpa della politica a Napoli giacciono nei cassetti almeno trenta progetti che sarebbero subito realizzabili. Ma non saranno anche i costruttori napoletani che non riescono a "pensare in grande", come sospetta lo stesso Punzo, il quale maledice i 60 mila miliardi che piovvero in Campania dopo il terremoto e furono dispersi in mille rivoli di cemento? Persino il cardinale Crescenzio Sepe, giunto qui da sei mesi, dopo aver organizzato in Vaticano i grandi eventi papali e diretto "Propaganda Fide", sembra fare l'identikit dell'ex pannazzaro quando, all'unisono col presidente Napolitano e - come assicura - dopo aver informato Papa Ratzinger, accusa la politica per le grandi "incompiute" napoletane, prime fra tutte le riqualificazioni congelate di Bagnoli e di Napoli Est, già all'ordine del giorno ai tempi di Chinchino Compagna, politico repubblicano e intellettuale della migliore napoletanità. "Non si poteva evitare almeno di vendere al Nord il Banco di Napoli, che oggi si chiama San Paolo-Banco di Napoli? ", lamenta l'arcivescovo che di economia non è digiuno.
Per fortuna, Corrado Passera ha già promesso almeno una prossima revisione del logo, che diventerà "Banco di Napoli" e in piccolo "Gruppo Intesa", per evi- tare che chi telefona e chiede "Banco di Napoli?" si senta rispondere "No, qui San Paolo". Conclamato deficit di classe dirigente votata alla modernità segnalato dal capo dello Stato come dall'arcivescovo, o piuttosto Beresina della politica dopo una stagione di speranza rinascimentale indotta con abilità mediatica dal primo Bassolino sindaco, che ha consolidato la "crosta cattiva" della città, come la chiama monsignor Sepe? Francesco Saverio Nitti, all'inizio del secolo scorso, ci mise meno di un decennio a ridisegnare urbanisticamente l'area occidentale, il porto, a industrializzare l'area orientale.
Aveva dietro gli imprenditori, gli avvocati, i medici, in un humus intriso non di animal spirits capitalisti, ma di individualismo preborghese. Eppure ci riuscì. Bassolino - sono passati tredici anni da quell'8 dicembre 1993, quando si arrampicò sulla scala di cinquanta metri dei pompieri per deporre un fascio di fiori ai piedi dell'Immacolata - aveva dietro tutti con il 70 e passa per cento dei voti.
Partì alla grande, progetti, sogni, speranze. Poi il meccanismo s'inceppò fino a riproporre sotto al Vesuvio cattivo l'emblema dell'emergenza nazionale, gli ammazzamenti, la camorra, o "il sistema" come lo chiama il giovane scrittore Roberto Saviano, il degrado, la monnezza, le clientele. Perché Napoli è persa per sempre in una irrefrenabile deriva clientelar-delinquenzial- sudamericana? E' il caso di lasciare la parola a una fonte insospettabile: Enrico Cardillo, per anni segretario dei metalmeccanici della Uil, confluito nei diesse, assessore al Bilancio del comune di Napoli vicino a Bassolino e uomo forte della giunta di Rosetta Iervolino, il sindaco che gli avversari di An guidati da Mario Landolfi hanno soprannominato "Meglio nonna" in alternativa a "Zia della patria".
Cardillo ha scritto un saggio "eretico" intitolato: "Napoli l'occasione post industriale, da Nitti al piano strategico". "Nel 1993 - ricorda l'assessore, che gli avversari di destra definiscono "corto e male incavato" - eravamo al dissesto, la città era tecnicamente fallita, non potevamo pagare i fornitori. Oggi siamo la città meno indebitata d' Italia, a Londra abbiamo offerto 400 milioni di Boc e ce ne hanno chiesti il doppio. Ma non basta, perché, diciamolo apertamente, abbiamo commesso molti errori. Abbiamo perso molte occasioni, disperso un nascente dinamismo strategico. A cominciare dagli ostacoli che la sinistra pose al grande progetto di riqualificazione urbana e innovazione tecnologica, temendo ai tempi di Tangentopoli l'agguato della speculazione edilizia. Perdemmo per paura dell'inciucio l'onda modernista, rifugiandoci nella spiaggia conservativa". Cardillo, ben stimato da Napolitano, non teme l'autocritica, né risparmia la critica severa al "bassolinismo". Ma l'umore della città, dopo tredici anni, va ben oltre: oggi - si sente dire - non abbiamo una classe dirigente, ma una degenerazione in ceto politico autoreferenziale, che più che alla modernizzazione pensa all'occupazione dei posti di potere, alla loro moltiplicazione, non alla modernizzazione della città per farla uscire dall'emergenza criminalità - plebeismo - degrado, ma a distribuire risorse pubbliche con i criteri del "bastard keynesism", come lo chiama l'economista Massimo Lo Cicero. Quasi un residuo leninista che non sa distinguere tra politica e società.
Per carità, Bassolino non è Gava, la corrente del Golfo è per fortuna un ricordo perso nel passato. Il ministro Francesco De Lorenzo un antico fantasma, ma nella sanità comanda il consolato di ferro Bassolino- De Mita, attraverso il proconsole democristiano Angelo Montemarano. E soprattutto l'industria del crimine è diventata sempre più l'ammortizzatore sociale di una città che, dopo la deindustrializzazione, sembra invertebrata, in una regione che, col 10 per cento della popolazione, produce soltanto il 7 per cento del Pil. Torino post-fordista rinasce, Napoli sembra affondare: l'aquila subalpina vola, l'anatra partenopea annaspa.
Dicono che Achille Lauro sia stato l'uomo che ha distrutto Napoli, ma, salvo errore, 'o Comandante monarchico dopo aver fatto surf su tutti i partiti, governò soltanto per sette anni, ragion per cui oggi la sinistra, che per otto anni ebbe come sindaco anche quel gentiluomo di Maurizio Valenzi - con Bassolino e Iervolino fanno un ventennio - non può chiamarsi fuori. Come può farlo se, per sistemare clientele, giunge a costituire una Commissione Mare e una Commissione Mediterraneo? Se incrocia in un singolare scambio di ruoli un vicesindaco uscente (Rocco Papa) con il presidente della società (Tino Santangelo) che avrebbe dovuto realizzare il progetto Bagnoli? Se soltanto nelle ultime settimane ha ricollocato nel sottogoverno cittadino ben sette assessori trombati dalla giunta Iervolino? Fino a causare una crisi nell'associazione femminile Emily, cara alla moglie del governatore Annamaria Carloni, con il siluramento di Elena Perrella della Margherita, indignata, per mettere al suo posto alla Fondazione Mondragone, che si occupa di moda, l'ex assessore Giulia Parente. Come la Iervolino con Cardillo, anche Bassolino ha in giunta la sua perla di Labuan, che comincia a fargli un po' d' ombra, come gliene ha fatta Luigi Nicolais, voluto da Massimo D' Alema ministro dell'Innovazione nel governo Prodi. Si chiama Ennio Cascetta, è professore di Economia dei Trasporti e figlio di quel Vittorio Cascetta, ex presidente fanfaniano della regione Campania e autore delle "Opzioni Cascetta", la programmazione regionale ai tempi del meridionalista Pasquale Saraceno. Carmen Verderosa, fascinosa e severa presidente dei Giovani industriali, lo colloca nella sua pagella dei politici ai vertici dell'altra Napoli. Quel che di buono resterà del governatorato Bassolino - dice l'altra Napoli - sarà di certo l'"Opzione Cascetta junior". Che lui professoralmente descrive così: Napoli, Caserta e Salerno sono un'unica conurbazione, un'area metropolitana con 4 milioni di abitanti, la più alta densità d' Italia e una delle maggiori al mondo: 1900 abitanti per chilometro quadrato, contro i 900 di Milano e i 400 di Roma. Per far funzionare questo mostro urbano bisogna cominciare dalla mobilità, visto che la stagione dell'industria manifatturiera dei tempi di Nitti è ormai fuori dalla storia, sviluppare la vocazione logistica, le ferrovie, i porti, gli aeroporti, gli interporti, i trasporti dal mondo verso il Mediterraneo, perché il paesaggio e il turismo non possono essere tutto. "I ritardi di Bagnoli e di Napoli Est - ammette - ci ricordano che la classe dirigente tutta, non solo la politica, deve fare di più. Ma bisogna tener conto del fatto che l'operazione di trasformazione urbana che stiamo compiendo vale quattro volte i due miliardi di euro necessari per Bagnoli. E che l'Italsider nel suo momento di massimo splendore occupava 11 mila operai, la metà degli addetti di oggi nelle compagnie di navigazione napoletane, che rappresentano il 46 per cento dell'intera flotta nazionale".
L'Opzione Cascetta junior prevede che l'anno prossimo, quando sarà pronta la stazione di Afragola, l'alta velocità ferroviaria entrerà come una benefica spada nel corpo della New York orizzontale sotto il Vesuvio, tutte le linee si infileranno nel passante ferroviario di Napoli, un vecchio signore di ottant' anni, nato nel 1926 e poi dentro, verso le 48 stazioni del metrò che apriranno nei prossimi cinque anni.
Sogni, di fronte alla maledizione di Napoli sospesa tra eccellenza e inciviltà, tra individualismo preborghese, talenti musicali, cinematografici, calcistici e criminalità spietata? I prefetti arrivano e ripartono con le mani nei capelli: "Questa è stata la mia trincea e Pozzuoli la mia Waterloo", ci ha confidato il prefetto uscente Renato Profili, che ha sciolto decine di comuni infiltrati dalla camorra. Mentre s' insediava il successore Alessandro Pansa, ex vicecapo della polizia, a Scampia un gruppo di donne in rivolta tentava d' impedire l'arresto di un pusher: tre agenti feriti e un'Alfa 159 della Volante nuova di zecca distrutta. Un simpatico benvenuto, mentre emergevano i dettagli dello stupro del Parco Troisi, una ragazzina violentata da un branco: niente di nuovo se non il tifo entusiasta delle amichette presenti con videotelefonino. Guido Bertolaso, che è un caratteraccio, alle prese con la grana della monnezza già non ne può più per le interferenze di alcuni politici e si sfoga quotidianamente con Giorgio Napolitano, che lo ascolta sconfortato.
"Vede - fa il giudice Carlo Alemi, che si occupò del rapimento di Ciro Cirillo, indicando gli ospiti del ricevimento d' addio del prefetto Profili - questa è una città in cui, poco o tanto, nessuno rispetta le regole, neanche tutte le persone per bene che stanno brindando qui intorno". Per fortuna c' è ancora il calcio che in Aurelio De Laurentiis, il produttore dei film di Natale, ha ritrovato il suo eroe cittadino, l'uomo che tiene le chiavi del grande sogno collettivo, il sogno che tutti unisce all'ombra del Vesuvio, ricchi e poveri, guardie e ladri, intellettuali e politici, dal Vomero alla Sanità, da Posillipo ai Quartieri Spagnoli. "Forza Vesuvio" scandirono i tifosi veronesi durante una celebre partita col Napoli di qualche anno fa; alla partita di ritorno, dall'alto di una curva, spuntò uno striscione di risposta ai veronesi: "Giulietta è 'na zoccola". Un picco di genio napoletano come sempre applicato al calcio. Oggi, al contrario dei veronesi, l'altra Napoli incita: "Forza Vesuviello".

(1-continua)

(28 gennaio 2007)

 

 


Dal Corriere della Sera 28-1-2007  Caso Telecom Giornalisti spiati. Il Tiger team rubava email   di Luigi Ferrarella

 

Monitorato anche legale dei soci-rivali brasiliani

 

MILANO — Si è combattuta anche in Italia, spiando la posta elettronica di giornalisti (come Fausto Carioti di Libero) e avvocati (come lo studio legale Giorgianni), la guerra per il controllo di Telecom Brasil tra Telecom Italia (azionista robusta ma di minoranza) e i brasiliani soci-rivali (azionisti di maggioranza di Brasil Telecom tramite il fondo pensionistico Opportunity del finanziere Daniel Dantas): lo testimoniano quattro cd-rom trovati in una cassaforte nella perquisizione dell'ufficio Telecom di Andrea Pompili, il coordinatore di quel Tiger Team informatico di cui 11 giorni fa, per l'intrusione del 4 novembre 2004 al Corriere della sera, sono stati arrestati il capo (Fabio Ghioni) e il miglior tecnico (Rocco Lucia). Dentro i cd-rom, riassume infatti una «relazione tecnica» della Polizia postale che si sofferma sulla cartella radiomaria3, c'è «la documentazione del monitoraggio abusivo di alcune caselle e-mail riconducibili a Brasil Telecom e Opportunity, operato nel periodo tra ottobre 2003 e marzo 2004».
L'elenco delle caselle di posta «abusivamente monitorate», quale risulta dall'esame dei cd-rom sequestrati il 10 agosto 2006 a Pompili (che dall'ordinanza di arresto di Ghioni e Lucia si intuisce indagato nell'ipotesi di un suo coinvolgimento nell'attacco al Corriere, fallito sul pc del giornalista Massimo Mucchetti e invece riuscito su quello dell'allora amministratore delegato Rcs Vittorio Colao) comprende almeno cinque caselle. Una era «in uso allo studio legale Giorgianni di Roma, che aveva incarico di curare gli interessi legali in Italia di Opportunity»; una «in uso a Fausto Carioti, giornalista di Libero » e autore di molti articoli sul conflitto tra i due colossi telefonici, esploso soprattutto attorno all'acquisto da parte di Brasil Telecom (nonostante le resistente di Opportunity) della compagnia telefonica Crt venduta dalla spagnola Telefonica; una «in uso a Davide Giacalone, giornalista in rapporto di collaborazione con la società Acif srl» (a sua volta in rapporti con il fondo Opportunity), autore del libro «Il grande intrigo» e collaboratore di Libero su questi temi con articoli critici verso Telecom (tacciati da uomini della Security di essere ispirati dai rivali brasiliani), nonché emerso già (nei verbali del detective privato di Telecom, Marco Bernardini) come oggetto di attenzioni.
Spiata anche la posta elettronica «di Giannalberto D'Ecclesia Farace, facente parte di Acif», società che, «a quanto si evince, ha curato le relazioni pubbliche di Opportunity in Italia». Nel cd-rom custodito in cassaforte da Pompili (interrogato sino a tarda sera venerdì), è registrata traccia dell'attività degli ignoti "pirati" di posta elettronica di queste persone vicine a Brasil Telecom: per un po' di tempo risultano «essere state individuate e memorizzate sul cd alcune videate (dello schermo degli spiati, ndr) catturate durante gli accessi abusivi perpetrati»; poi l'attaccante «cessa di memorizzare le videate», ma «l'attività prosegue e viene registrata tramite salvataggio delle e-mail in formato testo o Html». Un secondo cd-rom, rileva la Polizia Postale, «contiene le tracce di un'attività svolta nei confronti di Telefonica» (la compagnia spagnola): «Sul supporto sono memorizzate informazioni probabilmente riservate e ottenute presumibilmente attraverso manipolazioni degli Url» (cioè degli indirizzi in un formato specifico che possono identificare in modo univoco la posizione di un oggetto sul web).
Il terzo cd-rom è quello che contiene una cartella alla quale faceva già cenno l'ordinanza di arresto di Ghioni e Lucia, ovvero la cartella Vodka Red, quella con l'attività abusiva svolta ai danni di Vodafone e della sua società di consulenza RibesInformatica. Sul primo bersaglio, «in particolare è stato attaccato, tra il 26 gennaio e il 24 febbraio 2004, un apparato della rete Vodafone a Ivrea equipaggiato con un'interfaccia web per la gestione di apparati di sicurezza, dal quale sono stati eseguiti diversi back-up dei files di configurazione e di sistema»; mentre sull'altra società, «sono stati eseguiti accessi abusivi a diverse caselle e-mail aziendali». Nella cartella Vodka Red, rispetto a tutti i cd, compare l'unico documento che «reca un'intestazione Telecom Italia, datata 5 febbraio e marcata "confidenziale", con i risultati di un'analisi informativa svolta sul gruppo Vodafone». Del quarto cd-rom, allo stato si sa pochissimo. «Contiene un solo file», ma non è possibile analizzarne il contenuto: «È protetto da password».


lferrarella@corriere.it

28 gennaio 2007

 


 

 

 

 

 

 

INDICE  28-1-2007

Dal Corriere della Sera  27-1-2007  Banche e finanziamento delle opere pubbliche. Capitalismo di stato di Francesco Giavazzi 1

Da La Repubblica 27-1-2007   Qualità della vita, Italia ottava. Francia prima, poi l'Australia di Gaia Scorza Barcellona  3

Da La Repubblica 27-1-2007 L'inchiesta sui confessionali italiani scatena le polemiche Il quotidiano della Santa Sede attacca: "E' una vergogna""Profanato un sacramento" 4

Da Il Sole 24 Ore 27-1-2007 Ibm lancia software per la sicurezza delle transazioni online di Gianluigi Torchiani 5

Da albstudent.UE  27-1-2007 Albania, il “Paese delle Aquile” vuole volare sempre più in alto  6

 

 

 

 

 


 

 

Dal Corriere della Sera  27-1-2007  Banche e finanziamento delle opere pubbliche. Capitalismo di stato di Francesco Giavazzi

 

 

I fondi che investono in infrastrutture (autostrade, porti, aeroporti, ma anche ospedali, reti elettriche e per la distribuzione del gas) sono sempre più numerosi. Solo negli ultimi mesi ne sono nati 5 o 6, ad esempio quello lanciato dalla società americana Carlyle, con una dotazione iniziale di oltre un miliardo di dollari. I fondi dell'australiana Macquarie (che in Italia possiede il 44,5% degli Aeroporti di Roma) investono nel mondo un totale di circa 40 miliardi, abbastanza per costruire otto ponti sullo Stretto di Messina.

In Italia accade raramente che opere pubbliche siano finanziate ricorrendo a questi fondi: il motivo per cui esse non decollano è l'incertezza regolamentare. Esemplare è il caso Autostrade: dopo aver firmato una concessione trentennale, oggi il governo ha deciso di riscriverla. E' vero che quella concessione era forse troppo favorevole ai privati, ma lo Stato avrebbe dovuto pensarci prima: rinnegare un contratto firmato ha effetti deleteri e tiene alla larga gli investitori. E quando ciò accade, per finanziare opere pubbliche non rimane che ricorrere alle tasse dei cittadini.
La scorsa settimana il governo ha creato un fondo per le infrastrutture nel quale investiranno la Cassa depositi e prestiti, le nostre banche maggiori e le fondazioni bancarie. Ce n'era davvero bisogno? E perché le banche, anziché creare un proprio fondo, come Macquarie o Carlyle, ne sottoscrivono uno la cui regia è saldamente in mano al governo e la cui guida è affidata a Vito Gamberale, già manager delle Partecipazioni statali, poi passato dalla parte dei «cattivi rentier » di Autostrade e ora redento?

Il motivo contingente che ha indotto a creare il nuovo fondo è la decisione dell'Antitrust che impone alla Cassa depositi e prestiti di cedere o la partecipazione in Enel o quella in Terna, la società che possiede la rete elettrica. Per non perdere il controllo né dell'una né dell'altra, Terna sarà trasferita al nuovo fondo e quindi rimarrà nella sfera pubblica. Ma a che prezzo avverrà la cessione? Se fosse troppo basso ci perderebbero i contribuenti, se fosse troppo alto a perderci sarebbero gli azionisti delle banche che partecipano al fondo. Per garantire entrambi ci vorrebbe una gara aperta ai fondi internazionali. Ma di gare non si parla.

Senza gare e finanziato da banche amiche (ora si capisce perché il governo ha applaudito alla nascita di Intesa-San Paolo) il fondo crescerà: dopo Terna, acquisterà la partecipazione dell'Eni in Snam Rete Gas, poi la rete fissa di Telecom Italia, secondo il principio che le reti devono essere separate dai gestori dei servizi. Questo è giusto. Ma non c'è ragione che siano anche pubbliche. E così, grazie alla tenacia di Prodi, il piano di settembre del suo (ex) consigliere Rovati — che prevedeva appunto la nazionalizzazione della rete fissa di Telecom — arriverà in porto.
Vent'anni fa Prodi, allora presidente dell'Iri, cercò di togliere ai privati il controllo di Mediobanca. Non ci riuscì. La nuova Mediobanca nasce oggi, sotto l'ala protettiva di Palazzo Chigi e degli azionisti bresciani di Intesa-San Paolo. Non mi sorprenderei se il prossimo passo fosse la nomina all'Antitrust e all'Autorità per l'energia di qualche commissario perbene, che tuttavia nutre dubbi sulle proprietà taumaturgiche del mercato. Autorità amiche non obietteranno a canoni un po' più alti per l'accesso alle reti possedute dal nuovo fondo. Le risorse del fondo cresceranno e così i suoi orizzonti, per arrivare ad altre mete più ambiziose. Può darsi che tutto ciò sia nell'interesse del Paese ma è legittimo chiedere che un passo tanto importante sia preceduto da una grande e libera discussione.

27 gennaio 2007

 


Da La Repubblica 27-1-2007   Qualità della vita, Italia ottava. Francia prima, poi l'Australia di GAIA SCORZA BARCELLONA

La classifica della rivista Usa International Living tiene conto
di tasse, prezzi, opportunità di lavoro e di investimenti

LONDRA - Una volta erano la pizza e il mandolino, oggi sono la Ferrari e le borse di Prada. I tempi cambiano e con loro anche i miti considerati oggi buoni motivi per vivere in Italia, che si piazza all'ottavo posto per qualità della vita. Almeno secondo la classifica stilata dalla rivista americana International Living (www.internationalliving.com).
Per fortuna, oltre ai marchi che sono l'orgoglio del mercato italiano, la rivista americana assegna al Bel Paese anche il primato della cultura e delle arti, per i quali vengono chiamati in causa i nomi illustri del Rinascimento: Raffaello, Michelangelo e Botticelli.
Ma tra gli ingredienti fondamentali compaiono anche la buona cucina, la varietà dei paesaggi e la nostra storia. Insomma, Italia patria della "dolce vita" più che del vivere bene e che resta un po' in disparte rispetto ad altri Paesi del Nord Europa che brillano tra i primi dieci posti classifica: la Francia davanti a tutte, seguita da Australia e Olanda, sesta la Svizzera, poi la Danimarca e, nono, il Lussemburgo.
La hit parade stilata ogni anno dalla rivista americana tiene conto di diversi fattori, primi fra tutti quelli che secondo il buon senso comune sono condizioni irrinunciabili per vivere bene: poche tasse, prezzi bassi, buon clima, opportunità di lavoro e di investimento. Insomma, tutto ciò che può aiutare a scegliere dove mettere radici o ricominciare una nuova vita.
Nove, dunque, le categorie considerate dal rapporto "Quality of Life 2007", secondo le quali sono stati giudicati 193 Paesi nel mondo per costo della vita, cultura e tempo libero, economia, ambiente, libertà, sanità, infrastrutture, sicurezza e clima.
A conti fatti, la Francia è imbattibile per quanto riguarda i prezzi e consumi (Parigi non è "cheap" ma risulta comunque più abbordabile di altre capitali europee), i beni artistici e le bellezze paesaggistiche, le specialità gastronomiche e i trasporti (fiore all'occhiello i treni ad alta velocità), la capacità d'impresa e il mercato, la produzione agricola e, non ultimo, il sistema sanitario, il cui primato mondiale è riconosciuto persino dall'Oms. A tutto ciò si aggiunga il fatto che la qualità della vita nelle regioni francesi sembra essere ben distribuita tra città e campagne.
L'Australia, terza classificata nel rapporto del 2006, quest'anno conquista una posizione grazie ai suoi spazi sconfinati e al clima generoso, che ne fanno un posto ideale per giovani alla ricerca di una "sede" definitiva. La natura, i divertimenti e le attività culturali coronano il ritratto di un Paese dove l'easy life diventa un traguardo raggiungibile.
Sempre nelle prime dieci posizioni, Nuova Zelanda e Stati Uniti risultano rispettivamente al quarto e quinto posto. Al decimo compare invece l'Argentina, novità assoluta rispetto ai Paesi selezionati negli anni precendenti. Dopo anni di crisi nera e grazie ad una faticosa ricostruzione economica, il Paese della Pampa sembra infatti rappresentare nuovamente un meta appetibile per investimenti, a cominciare dal mercato immobiliare.
Meno premiate risultano invece la Germania (undicesima insieme alla Norvegia), il Belgio e la Spagna, mentre il Giappone è al venticinquesimo posto. E se Haiti risulta essere il primo Paese per corruzione, l'isola di Naru, nel Pacifico, è quello dove la vita costa di meno in assoluto.
Gli Stati africani, infine, con lo Yemen e l'Afghanistan, restano in fondo alla classifica, seguiti solo dall'Iraq, che a oggi non può che essere fanalino di coda. Da quelle parti la vita è davvero difficile.
(27 gennaio 2007)

 


Da La Repubblica 27-1-2007 L'inchiesta sui confessionali italiani scatena le polemiche Il quotidiano della Santa Sede attacca: "E' una vergogna""Profanato un sacramento"

L'Osservatore condanna L'Espresso


Profanazione del sacramento. E' la sentenza senza appello che L'Osservatore Romano lancia contro L'Espresso, reo di aver pubblicato l'inchiesta sui confessionali italiani.
Il giornalista Riccardo Bocca ha visitato 24 chiese, in cinque città italiane, per "confessarsi" sulle questioni più "scomode", ottenendo spesso risposte contrastanti rispetto alle direttive di Papa Ratzinger. L'intervista, uscita ieri nelle edicole, mette in luce le voci dissonanti della Chiesa per quanto riguarda temi importanti, dai Pacs alle staminali, dalla contraccezione all'omosessualità. Per nulla scontate e spesso sorprendenti le risposte dei confessori interpellati dal "peccatore".
"Vergogna. Un sacramento è stato profanato". Il giornale della Santa Sede si scaglia contro il settimanale definendo il dossier "un'operazione disgustosa, indegna, irrispettosa, particolarmente offensiva".
Secondo l'Osservatore, a farne le spese sono soprattutto i "milioni di credenti, il cui sentimento religioso è stato offeso". In sostanza, il quotidiano del Vaticano punta il dito contro "la grave lesione all'inviolabilità del ministero pastorale" che deriva dall'avere ingannato, a scopo scandalistico, la buona fede dei sacerdoti. "Si è infranto quello spazio certamente sacro - chiarisce il giornale - che è il luogo in cui l'uomo che si riconosce peccatore chiede intimamente di incontrare l'amore misericordioso di Dio".
Altrettando grave, conclude "con tristezza e rammarico" L'Osservatore, è l'assenza di altre reazioni che il servizio non sembra aver suscitato, soprattutto in "quanti in altre circostanze si erano pronunciati in difesa del senso religioso altrove offeso".

(27 gennaio 2007)

 

 


 

 

Da Il Sole 24 Ore 27-1-2007 Ibm lancia software per la sicurezza delle transazioni online di Gianluigi Torchiani

Quante volte si è deciso di rinunciare a un acquisto on line per riluttanza a rivelare i propri dati personali, come il numero della propria carta di credito? Un passo in avanti per risolvere il problema potrebbe essere stato messo a punto dai laboratori IBM di Zurigo, che hanno creato Identity Mixer, un software che consente di nascondere o rendere anonimi i dati personali sul web, assicurando così la protezione da furti di identità e abusi di questo tipo. A differenza di altri programmi che trasmettono parti della vera identità di un utente, Idemix funziona in base a un sistema di credenziali digitale anonime: in pratica, per acquistare dei brani musicali da Internet occorrerebbe prima ottenere dalla propria banca un file con i codici della propria carta di credito. Al momento del pagamento interviene il software Idemix, che dapprima analizza i dati presenti in quella credenziale digitale, e poi fornisce al venditore l’unica informazione che gli può davvero servire, ossia che il cliente abbia una sufficiente disponibilità finanziaria per effettuare la transazione. Oppure, nei casi di servizi per adulti, il programma è in grado di specificare se il cliente possieda o meno la maggiore età. IBM prevede di incorporare la tecnologia nel proprio portafoglio software Tivoli per la gestione delle identità e, in definitiva, Idemix può essere visto come una risposta a Windows CardSpace, una funzione inserita nel nuovo sistema operativo Microsoft, Windows Vista. CardSpace permette all'utente di memorizzare sul pc un profilo personale dettagliato, che può essere poi inviato ai siti web (che devono però possedere una tecnologia compatibile), in modo da snellire l'operazione ed eliminare l'utilizzo delle password.


 

Da albstudent.UE  27-1-2007 Albania, il “Paese delle Aquile” vuole volare sempre più in alto   

 

 

 

Scritto da IL MERIDIANO    sabato 27 gennaio 2007

L’Albania – “Paese delle Aquile” – è uno stato che per gli standard europei non è ricco, ma sta compiendo la difficile transizione verso un’economia di mercato. Situato nella Penisola Balcanica, nel sud-est dell’Europa, confina con il Montenegro a nord-ovest e la Serbia a nord-est, con la Macedonia ad est e con la Grecia a sud mentre le sue coste si affacciano sul Mar Adriatico e sullo Ionio.

La storia di questa terra parte da molto lontano, infatti il territorio albanese è stato abitato fin dall’antichità, come dimostrano i ritrovamenti archeologici e gli studi antropologici su campioni di resti umani del medio-tardo paleolitico, risalenti a un periodo compreso tra 100 mila e 10 mila anni fa, rinvenuti presso la località di Xare e nelle caverne di Santa Marina a Saranda, nel sud del Paese. Per migliaia di anni, l’Albania fu abitata da <+nero>diverse colonie autoctone illire, discendenti dai Pelasgi, il cui territorio confinava con le colonie tracie e dardane a nord e con le colonie macedoni e greche <+tondo>a sud-est. Intorno al VI secolo a.C. gli stessi Illiri, grazie ad un rapido sviluppo economico agricolo e produttivo determinato dalla metallurgia (per uso civile e militare) del bronzo e del ferro, svilupparono una forte identità comune, rafforzando il predominio sul territorio con il commercio e in molti casi con atti di pirateria. Fondarono importanti città sulla costa mediterranea, tra cui le attuali Durazzo, Valona, Scutari (Shkodër), Butrinto ed Alessio. Nella storia più recente di questo Paese, il 1943 é una data molto importante. Infatti, subito dopo la firma dell’armistizio con gli Alleati da parte del Governo italiano, l’Albania venne invasa dall’esercito nazista. Si formò così un movimento dei gruppi nazionalisti e di resistenza partigiana (formato principalmente dal partito nazional-comunista guidato da Enver Hoxha), che riuscì a prendere il controllo del paese fino alla cosiddetta vittoria popolare di liberazione nazionale antifascista, nel 1944. I nazionalisti e i patrioti antifascisti albanesi si organizzarono nella L.A.N.Ç (Lufta Antifashiste Nazional Çlirimtare). Dal 1944 al 1990 l’Albania fu uno stato nazional-comunista estremamente isolazionista, che dedicò poche energie alla cooperazione politica anche con gli altri stati comunisti del Patto di Varsavia dominato dall’Unione Sovietica. Enver Hoxha morì nel 1985. Cinque anni dopo, la caduta del Muro di Berlino ebbe un forte impatto sul sistema mono-partitico e su quello politico-economico. Negli anni 1990-1992 si ebbe un movimento di rivolta, guidato dagli studenti e dai professori universitari di Tirana, da intellettuali moderati e da tecnici delle fabbriche, che portò alla rinascita della democrazia e al ripristino del multi-partitismo. Il paese soffriva di molti problemi legati al limitatissimo sviluppo socio-economico. La prima riforma legislativa riguardò il diritto alla proprietà privata, sostituito alla gestione statale dei beni. Poi venne intrapresa la lunga strada verso l’adeguamento ai programmi europei del Patto di Stabilità e Crescita secondo il protocollo del Trattato di Maastricht. Il 12 giugno 2006 il Governo e i rappresentanti parlamentari dell’Albania hanno siglato a Lussemburgo un Accordo di Stabilizzazione e Associazione (ASA) con l’Unione Europea, diventando così il terzo paese della penisola balcanica, dopo la Croazia e la Macedonia, ad impegnarsi con le istituzioni politiche di Bruxelles ad introdurre riforme. Per quanto concerne l’economia, invece, la situazione è ancora in una fase transitoria vittima di un passato che ha indebolito molto questo settore. La caduta del regime politico comunista del 1990 è infatti avvenuta più tardi e in modo più caotico rispetto agli altri paesi dell’Est europeo ed è stata caratterizzata da un massiccio esodo di rifugiati verso l’Italia e la Grecia nel 1991 e nel 1992. I primi tentativi di riforma cominciarono all’inizio del 1992, dopo che il valore reale del PIL era diminuito di oltre il 50% rispetto al picco del 1989. Il governo, democraticamente eletto ed insediato nel 1992, lanciò un ambizioso programma di riforme i cui elementi chiave comprendevano la liberalizzazione del sistema dei prezzi e degli scambi, un consolidamento fiscale, un più serrato controllo sulla politica monetaria e una rigorosa politica delle entrate. Questi cambiamenti erano supportati da un ampio pacchetto di riforme strutturali, che comprendevano la privatizzazione, la creazione di imprese, riforme nel settore finanziario e la creazione di un quadro legale per l’economia di mercato e le attività del settore privato. Il nuovo governo (insediato nel luglio del 1997), fu costretto ad adottare energiche misure per ristabilire l’ordine pubblico e rivitalizzare le attività economiche e il commercio. Nel 1998 l’Albania si riprese dalla crisi. Il 1999 fu caratterizzato dal conflitto fra NATO e Serbia (allora Repubblica Federale di Jugoslavia) per la questione del Kosovo. Molti aiuti economici vennero stanziati dalla comunità internazionale per aiutare il Governo albanese a sostenere gli alti costi dovuti all’afflusso di quasi mezzo milione di rifugiati dal Kosovo. Nel 2006 è iniziata la fase finale per una nuova gara di privatizzazione di Telecom Abania - Abatelecom, impresa statale di telecomunicazione fissa (con le tecnologie di fibra ottica, servizi ADSL e una licenza integrata di rilancio per un Operatore Mobile GSM).



Il Paese chiamato alla prova di democrazia di Flavio Bianchi

Fissata per il 18 febbraio la data delle amministrative



L’Albania, in questi giorni, è stata al centro dell’opinione pubblica per forti polemiche e aspre contese derivanti da motivi elettorali. Già da qualche tempo, infatti, si sarebbe dovuta stabilire la data delle elezioni amministrative, ma maggioranza e opposizione non si sono messe d’accordo arrivando perfino all’annullamento della prima data che doveva essere il 20 gennaio. Poi però, la crisi è stata risolta ed è stato deciso di fissare per il 18 febbraio prossimo la data della tornata amministrativa. I partiti di maggioranza e opposizione hanno così raggiunto l’accordo che dà finalmente il via libero alla consultazione elettorale. Dopo settimane di difficili trattative, finalmente tutte le forze politiche hanno accettato la proposta, mediata dal capo dello Stato Alfred Moisiu, sull’uso dei certificati elettorali. La disputa riguardava una serie di garanzie che l’opposizione, guidata dal sindaco socialista di Tirana Edi Rama, chiedeva durante le fasi del voto per tutti certificati elettorali messi in circolazione dal governo senza alcun tipo di registrazione fino alla data del primo novembre. Il premier Sali Berisha si era finora rifiutato di cedere alle richieste dell’opposizione. Poi anche sotto la pressione della comunità internazionale, si é giunti all’accordo che accoglie sia pure solo in parte le richieste dei socialisti, che hanno ottenuto di far accompagnare i certificati ritenuti sospetti con altri due documenti di identità, invece che con uno soltanto come chiedeva il premier. Alla firma dell’accordo mancava solo il primo ministro che ha inviato al suo posto il vice capo del Partito democratico, Baimir Topi. Intanto, si registra il primo colpo di scena sull’imminente sfida alle urne. Dopo sedici mesi dalla sua nomina, infatti, l’altro giorno si é dimesso a Tirana il ministro albanese dell’Interno, Sokol Olldashi, candidato dal Partito democratico del premier Sali Berisha alla carica di sindaco della capitale. Olldashi gareggerà alle elezioni amministrative fissate per il prossimo 18 febbraio. «Ho scelto di dimettermi non perché fosse un obbligo di legge, ma come gesto etico e morale nei confronti dei cittadini di Tirana» ha dichiarato Olldashi, che invece per legge deve ora rinunciare anche al suo mandato di parlamentare. Con un passato da giornalista e un clamoroso successo personale alle elezioni politiche del 3 luglio del 2005, quando riuscì a sconfiggere a Durazzo uno degli uomini più forti del partito socialista, Sokol Olldashi, 34 anni, si cimenta adesso in una nuova sfida altrettanto ardua: strappare al popolare sindaco di Tirana, Edi Rama, il controllo della capitale. Rama si candida per il suo terzo mandato consecutivo, ma nel frattempo é diventato capo del Partito socialista (principale forza dell’opposizione) e quindi una sua eventuale sconfitta elettorale costituirebbe un tonfo politico per l’intera sinistra albanese. Nell’annunciare le sue dimissioni, Olldashi ha voluto ricordare i più importanti risultati raggiunti nella lotta alla criminalità organizzata durante il suo mandato. «La nostra polizia ha smantellato alcune delle più potenti bande criminali del paese - ha detto il ministro uscente - abbiamo sequestrato oltre 120 chili di eroina e cocaina e ridotto del 75% la coltivazione di marijuana facendo registrare anche un drastico calo nel numero degli omicidi». Fonti politiche escludono che il premier Sali Berisha intenda nominare un nuovo titolare del dicastero prima delle elezioni, che si svolgeranno così con un intero apparato di polizia guidata solo da un vice ministro.



«La crescita passa anche dalla cultura» di Flavio Bianchi



Roma L’Albania, nonostante tutte le difficoltà storico-politiche incontrate in passato e i grandi problemi economici che ancora oggi la investono, è un Paese che crede fortemente nella cultura e ha una grande voglia di esportarla. Molti gli artisti in tutti i settori che sono riconosciuti ed apprezzati fuori dai propri confini. In particolare, come sottolinea nell’intervista che segue Visar Zhiti, gli artisti albanesi hanno una forte suggestione e vocazione di stampo europeistico. Visar Zhiti, scrittore e poeta di fama internazionale e vittima nel suo Paese di persecuzioni politiche (fu condannato a tredici anni di carcere e ai lavori forzati per essersi opposto al socialismo reale) è attualmente ministro consigliere alla Cultura dell’ambasciata albanese a Roma. Con lui abbiamo fatto il punto della situazione socio-culturale di questo “piccolo grande” Paese.

Qual è, attualmente, il clima che si respira fra le gente e i movimenti artistici in Albania?

«L’Albania è un piccolo paese ma ha una grande cultura. Formalmente non è nell’Unione Europea ma simbolicamente la sua cultura ne fa parte. Vi sono molti artisti, infatti, che sono importanti non solo per l’Albania ma per tutto il Vecchio continente. Molti dei nostri scrittori, ad esempio, scrivono spesso direttamente in italiano. Gran parte dei pittori più affermati, invece, espongono in tutto il mondo, compreso nel vostro Paese. Ma ci sono anche cantanti, cineasti che hanno una vocazione e una risonanza internazionale. Tutto ciò rappresenta una forza e una testimonianza diretta dello spirito europeo della nostra cultura e della nostra gente». 

Per quanto rigurda la cinematografia, esistono delle iniziative concrete a sostegno di questa industria?

«La produzione dei film è ancora molto scarsa e per lo più legata a partnerschip straniere come quelle tedesche, italiane e francesi. C’è ancora tanta difficoltà e povertà. Io ho ripetuto spesso che in Albania è caduta la dittatura ma è rimasta la dittatura della povertà. Tuttavia, il governo attuale sta compiendo un grosso sforzo per rialzare spiritualmente il nostro popolo perché, a mio avviso, è proprio dalla cultura che deve si partire per guardare con fiducia al futuro».

Ma concretamente, in campo politico-economico, come ci si sta muovendo per incentivare il settore della cultura?

«Le idee e i progetti ci sono, ma spesso manca ancora qualcosa per attuarli fattivamente. Gli artisti, comunque, devono cercare di ottenere di più da se stessi, dalle proprie risorse».

Esistono delle scuole, dei centri statali dove studiare e apprendere l’arte?

«Sì, ne esistono diversi: per la musica, per la pittura e per la danza. Ci sono anche delle associazioni culturali e una lega di scrittori che ha una tradizione dal tempo della dittatura che sta cercando se stessa. Siamo in una fase di transizione, la nostra cultura sta cercando di ritrovarsi».

Crede che siate sulla strada giusta verso la rinascita di un movimento culturale forte?

«E’ ancora una fase embrionale, ideale. Ma bisogna lavorare molto poiché quello che è stato fatto finora è troppo poco».

La sua esperienza di scrittore e poeta da cosa è stata influenzata e da cosa trae ispirazione?

«Sono stato sempre mosso dalle realtà che ho vissuto e toccato personalmente. Quando sono stato in carcere per motivi politici, i temi delle mie opere vertevano su quella esperienza dittatoriale. Adesso che c’è un clima nuovo, di democrazia sono interessato al fatto che stiamo costruendo la libertà ma ancora non la conosciamo, perché ancora non siamo del tutto liberi. Perché per essere liberi, infatti, occorre più cultura. Sotto la dittatura, invece, va bene l’ignoranza. I miei personaggi, poi, sono legati ai posti dove sono andati i miei concittadini e anche l’Italia, infatti, è un palcoscenico ideale per le mie opere».

La sua è una delle nazioni più antiche d’Europa e come tale avrà sicuramente importanti tradizioni folcloristiche. Può parlarcene?

«Ci sono molte feste che vengono organizzate all’interno delle città storiche come Berat e Gjirokastra che sono patrimonio dell’Unesco. Proprio oggi, ad esempio, ci siamo ritrovati in Piazza Albania a Roma - dove c’è la statua dell’eroe nazionale albanese Giorgio Castriota Skanderbeg - per commemorarlo. Egli è stato anche un eroe europeo, è stato definito “l’impavido difensore della società occidentale” mentre gli scrittori italiani dicono che è stato un precursore dell’Unione Europea. Ecco, spesso anche questi nomi importanti, sono un’occasione per festeggiare e stare tutti assieme».

Flavio Bianchi

 

 

 


Inserimenti del 27-1-2007

INDICE 27-1-2007

Dal Corriere della Sera 27-1-2007 Marito «mammone», nozze annullate. La decisione della Sacra Rota.  L. Accattoli 1

Da La Repubblica 26-1-2007 Cresce a dicembre il surplus della bilancia extra Ue  2

Da Il Sole 26-1-2007 Per il contratto dei bancari i sindacati chiedono 188 euro nel biennio (+9%) 3

Da La Stampa 26-1-2007 Cristiano Fioravanti: "A Bologna la stessa mano di Ustica  4

Da La Stampa 26-1-2007 - INAUGURAZIONE DELL'ANNO GIUDIZIARIO . Nicastro: "La riforma della giustizia è improcrastinabile" 5

Dal Corriere della Sera 26-1-2007 Rosetta incontra l’asteroide Lutetia  6

Dal Corriere della Sera 26-1-2007 Nuova arma Usa: il raggio che non ferisce Simone Bertelegni 7

 


Dal Corriere della Sera 27-1-2007 Marito «mammone», nozze annullate. La decisione della Sacra Rota.  L. Accattoli

Anno giudiziario anche in Vaticano. Dall'avversione al sesso all'uso di droghe: le cause prese in esame dal Tribunale ecclesiastico

 

CITTÀ DEL VATICANO — Eccessiva dipendenza dalla mamma tipica dei mariti «mammoni», patologica tendenza a mentire, abuso di cannabis e alcool, avversione parossistica al sesso, disturbi congeniti all'orgasmo maschile: sono alcune delle anomalie comportamentali e psichiche che sono state prese in esame dal Tribunale della Rota Romana nelle sentenze di «nullità» matrimoniali emesse nel corso del 2005. La casistica delle cause trattate lungo quell'anno è analizzata sotto il profilo giuridico nella «Relazione annuale statistica» che viene stilata in occasione dell'apertura dell'Anno Rotale che avviene oggi, con un discorso di Benedetto XVI al «Collegio dei prelati uditori».

Nella relazione affiora qualche caso curioso, quasi sempre catalogabile sotto il titolo «incapacità ad assumere gli obblighi essenziali del matrimonio». Nel linguaggio comune si parlerebbe di immaturità o anomalie psichiche, o psicologiche, che impedisce di realizzare la «comunione di tutta la vita» che dovrebbe qualificare il matrimonio canonico. Si va da matrimoni riconosciuti «nulli» per la già citata «incapacità» di assumere i doveri coniugali ad altri la cui sentenza di nullità è sancita per «grave difetto di discrezione di giudizio». Questa motivazione generalmente fa riferimento all'immaturità affettiva di coniugi spesso dotati di uno smisurato amor proprio, o gelosi fuori misura, o inclini all'eccessiva autonomia, o con una abnorme tendenza a mentire, fino alla «simulazione del consenso».

I giudici si sono trovati alle prese con casi di mariti (ma anche mogli) morbosamente dipendenti dai genitori. Una dipendenza talmente forte da impedirne l'autonomia, l'autodeterminazione, la capacità di prendere decisioni in proprio. Cioè la libertà che deve caratterizzare un vero matrimonio. I casi di «avversione al sesso » — pochi ma costanti negli anni — riguardano persone che hanno subito un trauma nella primissima infanzia e che, a causa di esso, non desiderano avere rapporti sessuali e si bloccano al solo sentirne parlare. Questa avversione costituisce ragione di nullità, se documentata come esistente, almeno «in nuce», prima del matrimonio e attestata con periziemedico- psichiatriche. Le cause esaminate durante l'anno dai giudici — in tutto sono 20 «prelati uditori» di cui nove italiani, due polacchi, due americani, due libanesi, uno spagnolo, un tedesco, un francese, un brasiliano e uno scozzese — sono state 1.679.

In totale le decisioni sono state 262, di cui 126 sentenze definitive. Di queste ultime solo 69 sono state le sentenze affermative, che cioè hanno dichiarato nullo il matrimonio. Il 67 per cento delle cause (85 cause) hanno beneficiato del gratuito patrocinio. Le cause giunte alla Rota Romana (che funziona da tribunale di appello rispetto alle sentenze emesse dai tribunali regionali e nazionali) provengono da un totale di 27 paesi. La nazione che risulta in testa alla lista è l'Italia con 128 cause inoltrate in seconda istanza dai tribunali diocesani, seguita dagli Stati Uniti (38), Polonia (19), Libano (12), Slovacchia (12). Una causa è giunta da Cuba e una da Israele. L'attività del tribunale della Rota con gli anni va lentamente aumentando: nel 1996 le cause pendenti all'inizio dell'anno erano 814 e si ebbero 130 sentenze definitive, mentre l'anno scorso sono state 1.083 con 147 sentenze definitive.

Luigi Accattoli

27 gennaio 2007

 

Da La Repubblica 26-1-2007 Cresce a dicembre il surplus della bilancia extra Ue


MILANO – Segnali positivi per l’economia italiana. A dicembre la bilancia commerciale del nostro paese verso i paesi situati al di fuori dell’Unione europea ha registrato un saldo positivo per 495 milioni (+159 milioni del dicembre 2005). Lo comunica l’Istat spiegando che, su base tendenziale, le esportazioni, aumentate del 12,3% (a 12,92 miliardi) hanno superato le importazioni salite del 9,5 % (a 12,425 miliardi). Nel periodo gennaio-dicembre il saldo è stato negativo per 19,133 miliardi (8,577 nel 2005) con le esportazioni a +11,9% e le importazioni a +19,1%.

Sempre nel mese di dicembre - sottolineano all'Istat - proseguono positive le variazioni tendenziali di entrambi i flussi commerciali, con una intensità della crescita delle esportazioni che, per il secondo mese consecutivo, risulta superiore a quella delle importazioni. I dati destagionalizzati registrano un deficit nel mese di dicembre di 1,101 miliardi, con importazioni in aumento del 4,1% congiunturale e le esportazioni in crescita, rispetto a novembre, del 6,9%.

I maggiori aumenti dell'export sono stati verso la Russia per un +43,6% tendenziale, altri paesi europei per un +23,9% e verso la Cina +23,1%; per l'import gli incrementi più elevati si sono registrati con i paesi Efta (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Unione europea) per un +30% e con la Russia +21,4%. In calo gli acquisti dagli Stati Uniti (-17,1).

L'analisi per settore di attività economica mostra i maggiori aumenti tendenziali per l'export di altri prodotti dell'industria manifatturiera (compresi i mobili) con +36,8%, di metalli con +23,3%, legno e prodotti in legno (esclusi i mobili) con +20,6%; cali per prodotti petroliferi raffinati con -6,3%.

Sul fronte delle importazioni, incrementi rilevanti si sono avuti per metalli e prodotti in metallo (+57,6%), prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali (+15,4). In diminuzione apparecchi elettrici e di precisione (-14,7%), carta e prodotti di carta, stampa, editoria (-8,3). In particolare, soffermandosi sui minerali energetici che riguardano prevalentemente petrolio greggio e gas naturale, l'Istat fa notare che il loro peso totale sulle importazioni ha raggiunto nel 2006 il 31,6% (29,7% nel 2005) e il saldo è risultato negativo per 49,013 miliardi. Pertanto nell'intero 2006, al netto dei minerali energetici, il saldo della bilancia commerciale risulta positivo per 29,880 miliardi.

Insomma, dopo cinque anni l'Italia, con i suoi circa quattro milioni di imprese (+7,4% tra 2000 e 2005, una ogni 14 abitanti) ha registrato una ripresa del sistema produttivo, anche se è scesa dal 90 al 190 posto tra le mete di investimento al mondo. Nel 2006 l'indice generale degli ordinativi è cresciuto del +9,3%, con picchi, nel dettaglio, del +22,1% per la produzione di metallo e prodotti in metallo e del +11,2% per pelli e calzature. Nel fatturato delle imprese, hanno registrato i maggiori incrementi l'industria estrattiva (+12,8%, influenzata dal prezzo del petrolio), metalli (+13,2%), gomma e plastica (+9,8%) e pelli e calzature (+10,3%).


 

Da Il Sole 26-1-2007 Per il contratto dei bancari i sindacati chiedono 188 euro nel biennio (+9%)

Circa 188 euro in più in busta paga, pari a un incremento complessivo medio del 9 per cento. È l'aumento chiesto per il biennio economico 200607 dai sindacati dei bancari nella piattaforma varata ieri a Roma in vista del rinnovo del contratto di categoria scaduto a fine 2005 (il riferimento è lo stipendio di una figura media del settore, III area IV livello per esempio un impiegato con 10 anni di anzianità). Un documento unitario (anticipato da «Il Sole24 Ore»del 24 gennaio),sottoscritto da tutte le nove sigle di categoria (Dircredito, Fabi, Falcri, FibaCisl, FisacCgil, Silcea, Sinfub, Ugl, Uilca) che rivendica «centralità del lavoro,riequilibrio redistributivo e responsabilità sociale e d'impresa». La parola passa ora ai lavoratori (340mila i bancari in Italia) che discuteranno il documento nelle assemblee, poi a fine marzo sarà presentato all'Abi (Associazione bancaria italiana).
Un aumento richiesto, quello del 9% che comprende un 3,8% di costi inflazione cioè il recupero del potere d'acquisto dei salari, un ulteriore 3,5% medio di riparametrazione. A queste cifre vanno poi aggiunte le richieste fatte sugli incrementi delle indennità, l'aumento dei giorni di permesso, una rivalutazione degli scatti di anzianità, i contributi per la previdenza complementare. Tra le novità annunciate negli assetti professionali l'introduzione di un V livello nei Quadri direttivi (capi d'agenzia e di filiale).Nella piattaforma si ribadisce la volontà di contrastare la precarietà spiega Francesca Furfaro, alla guida della Falcri. «Il contratto di apprendistato dovrà ottenere miglioramenti economici e normativi che ne diminuiscano la durata e il differenziale economico; ilcontratto di inserimento andrà specializzato per utilizzi mirati». Insomma, nessuna ulteriore apertura sulla legge Biagi. Tra i capitoli«caldi » anche quello sull'orario di lavoro «ormai dilatato», sulla formazione,sui sistemi incentivanti e la responsabilità sociale d'impresa, che vuol dire «regole chiare per la vendita di prodotti finanziari a tutela di bancari e consumatori ».Quanto alla contrattazione di secondo livello «c'è la necessità di un ampliamento dei poteri di contrattazione aziendale». «Si tratta di una piattaforma dialtoprofilo — spiega Giuseppe Gallo segretario generale di FibaCisl — perché realisticamente rivendica per i lavoratori una quota di dividendo del risanamento del sistema, per tutti noi un punto fermo».Dall'altra parte, invece, le banche che puntano a una riduzione dei costi e che insistono sull'esigenza di ulteriori recuperi di margini e di competitività. «Per loro — continua Gallo — l'accordo del '93 per le politiche dei redditi è ancora valido,noi invece lo riteniamo superato come è antistorica ogni ipotesi di gabbie salariali, voci circolate nei giorni scorsi e parzialmente smentite dall'Abi.Cosa diversa —prosegue Gallo — è ragionare su elementi di variabilità nei premi aziendali». Intanto, anche le banche sono allavoro.«Speriamo che non presentino alcuna piattaforma — prosegue Gallo — Sella non ha mai fatto una contropiattaforma. Quella circolata nei giorni scorsi ci auguriamo sia stato un'irrituale esercizio di scuola che non ci venga mai ufficialmente presentato perché gravido di contenuti regressivi e che scatenerebbe un inizio conflittuale».
Insomma, la situazione si prospetta delicata. A guidare la delegazione dei banchieri nella partita del rinnovo è Fabio Innocenzi l'ammininistratore delegato di Bpvn, uomo di punta nella fusione con Bpi. Toccherà a lui mediare tra le diverse anime ed esigenze degli istituti in uno scenario che fa i conti con processi di aggregazione e consolidamento. Una sfida complessa che riguarda l'intero sistema a partire dal sindacato. «Questa piattaforma nasce da un momento di analisi oggettiva del settore — prosegue Cristina Attuati segretario della Fabi — siamo riusciti a mettere insieme storie e sensibilità diverse, le banche sono uscite dalla crisi producendo molti utili che vanno redistribuiti non solo agli azionisti ma anche ai lavoratori ». Insomma, la battaglia sarà dura, senza esclusione di colpi con un sindacato che, stavolta, si presenta al tavolo unito e quindi più forte. «Un passo avanti importante — sottolinea Mimmo Moccia segretario generale FisacCgil — questa piattaforma pone al centro il lavoro e sono molto soddisfatto del risultato raggiunto».


Da La Stampa 26-1-2007 Cristiano Fioravanti: "A Bologna la stessa mano di Ustica

 

Parla per la prima volta il pentito dei Nar. "Noi non c’entriamo, i killer erano stranieri"

 Cristiano Fioravanti, lei è stato scarcerato nel ‘92? Una vita nuova?
«Devo tutto ad Angelo Reitano. E' una guardia carceraria. Io depresso, non riuscivo ad accettare il ruolo di pentito. In cella stavo male, pesavo 50 chili. Avevo fatto il liceo, ci sentivamo intellettuali. La guardia mi salvò. Mi disse: “Dai, vieni a lavorare con me”. Accettai, a malincuore. Fu la salvezza. Ho imparato un mestiere. Mio padre lo dice sempre: hai fatto bene, non resterai mai senza lavoro. Quando mi ritrovai, per il mio primo permesso sulla spiaggia di Ischia, scoppiai a piangere come un bambino. Avevo capito che la vita è meravigliosa e va vissuta, sempre. Il br Valerio Morucci mi disse, “Abbiamo rischiato, corso pericoli, subito e fatto violenze in soli dieci anni, che un uomo qualsiasi in cento”. E’ vero».

E il suo percorso politico?
«Avevo 15 anni, nella sezione Msi Monteverde. Lì nacquero i Nar. C’era mio fratello, più vecchio di due anni, e altri, Franco Anselmi, compagno di scuola di Giusva e Alessandro Alibrandi, uccisi entrambi. Si teorizzava la lotta armata: prime azioni, la vendetta contro chi ci aveva attaccato. Siamo nel ‘74. Fu un’escalation inarrestabile».

Le ombre mai chiarite. I Nar erano collegati con i Servizi?
«In senso stretto, cioè addestramento, forniture di armi, strategie, dico no. Certo, “loro” sapevano molto. Chi eravamo e dove, i nostri piani. La scoperta della valigia con le armi sul treno Milano-Taranto: andarono a colpo sicuro. Così di decise di dire basta alla leggenda di noi protetti dalle divise. Attaccammo carabinieri, polizia, magistratura. Lasciammo una scia di morti».

Arsenali e la banda della Magliana? Collegamenti?
«Costruiti da noi, gli arsenali, con le rapine. O con l’assalto al camion dei Granatieri di Sardegna. Ricordo di essermi trovato sul cassone, non so neanche come. Si andava a sparare nelle cave, ci si addestrava da soli. Nessun aiuto esterno. “Romanzo Criminale”, il film di Placido? No, non l'ho visto. Leggo libri, è meglio. I rapporti con la banda della Magliana erano assai labili. Ci rifugiammo, talvolta, in una delle loro basi, c'erano Stefano Sederini e Pasquale Belsito e Marcello Colafigli che era della banda. Il collegamento era Massimo Carminati. Poi c'era Massimo Sparti. Con il suo comportamento, mi indusse a collaborare. Ora è morto, era malato, lo scarcerarono quasi subito. Confessava ma si teneva fuori, accusava x o y. Scoppiai. E proprio Sparti fu il teste chiave della strage di Bologna. Inchiodò Giusva e Francesca. Con Luigi Ciavardini avevano un alibi. Mai verificato. Fu un processo politico, speriamo nella revisione.

Chi erano, secondo lei, gli autori della strage di Bologna, agosto 1980, 85 morti?
«Era il tempo di Ustica, dei Mig libici. L’Italia crocevia del terrorismo internazionale. Forse agenti stranieri: una seconda edizione della strategia della tensione, già globalizzata. Uccidere innocenti non è mai stato nei nostri programmi. Giusva e Francesca: facili bersagli da colpire».

Espiata la pena, scelse il Nord, per cambiare vita.
«Perchè sono zone che non conoscevo. Nar e Tp hanno fatto poco, qui, una rapina, qualche "passaggio" in Svizzera... Stop».

C'è questo fratello ingombrante, famoso per i telefilm tv della «Famiglia Benvenuti», sparito e ricomparso come terrorista? Quanto ne fu condizionato?
«La celebrità di Giusva non mi interessava. Quasi un fastidio. Papà lavorava in Rai, mamma casalinga. Ho una sorella gemella. Tutto è iniziato con la politica. All'inizio, separati; dopo, assieme. Io ero quello di cui si fidava ciecamente».

Come vive il suo passato?
«Male. Ho chiesto perdono alle famiglie delle vittime, convivo con un senso di colpa che non mi abbandona mai. Non sono mai stato un confidente. Ho parlato solo con i pm. Non sono mai stato una figura ambigua. I miei valori, sempre gli stessi: fedeltà, lealtà, coraggio. Ho ucciso e salvato delle vite. Non parlo di questo».

E con i vecchi camerati, distacco completo?
Non vedo più nessuno, salvo mio fratello e mia cognata. Resta il disgusto per i cattivi maestri della destra, che spinsero migliaia di ragazzi in buona fede a rapinare, uccidere e ad essere uccisi. Loro scapparono con la cassa in inghilterra o altrove, si sono riciclati nella politica, persino nelle istituzioni. Io sono rimasto di destra, quella moderata: rifiuto il nazismo. Non sono mai stato antisemita; Alibrandi andò a combattere in Libano, con i cristiano-maroniti, alleati di Israele. ll Mein Kampf non è più nella mia libreria. C’è il "Signore degli anelli". Che direi a chi, oggi, ha fatto la scelta del terrorismo? Le mie parole non servirebbero a niente...Finito tutto, molti volevano continuare a combattere. Potevamo seguire Delle Chiaie in Sudamerica o andare in Libano. Ma non volevamo padroni. Restai a Roma. Ma avevo già chiuso con i Nar. Poco tempo prima mi ero ritirato in un casolare. Giusva venne a trovarmi e mi chiese di tornare ad aiutarlo, si fidava solo di me. Mi sentii pieno di orgoglio. Lo seguii. Che errore. La partita era già chiusa».

Quali sono, oggi, i suoi rapporti con suo fratello dopo averlo accusato, tra l’altro, anche dei delitti Pecorelli e Mattarella?
«Quella fase fu il frutto di un terribile equivoco. Mi ritrovai in carcere Angelo Izzo; si era pentito e lo mandarono da noi. Prima, era con mio fratello e altri dei Nar. Mi riferì cose incredibili, lentamente mi avvelenò l’anima. Per reazione, dissi ai pm alcune circostanze... Ero confuso. Nacque la leggenda che avessi accusato Giusva di delitti mai commessi. Colpa di Izzo, allora non sapevo chi fosse. I rapporti ora sono ottimi, ci sentiamo sempre. I Nar volevano uccidermi. Mi consideravano un traditore ed ero pronto ad accettare le conseguenze. Lui non mi avrebbe sparato. Siamo fratelli, stesso sangue. Nel nostro primo confronto, mi disse: "Non voglio più influenzarti, decidi tu cosa fare". Il pentimento, una malattia; l'arresto una liberazione. Non c'era la legge sui pentiti, non l'ho fatto per il premio. Una donna mi disse: "Ti capisco sotto il profilo umano, non su quello politico". Ma Giusva no, tra noi non ci sono più ombre».

Lei è considerato il Patrizio Peci della destra estrema. Paragone corretto?
«Sì. Aveva chiuso con le Br, capito gli errori. Tutti. E’ stato coerente».

 


 

Da La Stampa 26-1-2007 - INAUGURAZIONE DELL'ANNO GIUDIZIARIO . Nicastro: "La riforma della giustizia
è improcrastinabile"

 

Il presidente della Corte di Cassazione invita il legislatore ad operare con spirito veramente innovativo

ROMA
Di fronte al ripetersi «allarmato ed allarmante, di anno in anno, di dati che evidenziano le disfunzioni della giustizia» il presidente Gaetano Nicastro nel corso della sua relazione d'inaugurazione dell'anno giudiziario si interroga sul significato che possa ancora avere «questa pubblica solenne cerimonia», lasciando intendere che si svuota di significato «se rimane fine a se stessa».

«Presenze qui sì autorevoli confermano l'interesse che può avere per il Paese la panoramica che vi si svolge -precisa subito dopo Nicastro-, se non rimane fine a se stessa ma, facendo emergere a livello ufficiale, unitamente all'attività della magistratura e all'impatto positivo ma anche, eventualmente, negativo delle leggi che si sono succedute nel tempo sull’esercizio della giurisdizione, i gravissimi problemi che l'attanagliano, possa essere di stimolo alla loro soluzione». Governo e parlamento «portino a conclusione quelle riforme, anche profonde, ma ormai improcrastinabili, perchè il servizio giustizia risponda più adeguatamente alle esigenze di una società moderna».

IL CASO WELBY
C’è anche il caso Welby tra gli argomenti presi in esame dal primo presidente di Cassazione Gaetano Nicastro nella relazione con cui viene inaugurato l’anno giudiziario. Per l'alto magistrato la questione è delicata e necessita di un intervento normativo più chiaro.

«Di fronte al progresso della farmacologia e dell'ingegneria medica - scrive Nicastro - rimane ambiguo il concetto stesso di accanimento terapeutico, sicché appare indispensabile e urgente un intervento del legislatore che affronti e chiarisca i gravi problemi che sempre più frequentemente si presentano al giurista e al medico». Per il primo presidente della Cassazione a questo argomento «sono connessi profondi problemi etici che investono il significato stesso della vita umana e dei diritti ritenuti indisponibili. È difficile appellarsi alla legge del '93 che collega la morte alla "cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo dettata ad altri fini ed in particolare a quelli dell'espianto degli organi, mentre è indubbio che la nostra Costituzione esclude che si «possa essere obbligati a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge, garantendo il diritto alla salute e contemporaneamente alla autodeterminazione dei soggetti capaci».

TROPPE INTERCETTAZIONI SUI MEDIA
«Un malcostume ricorrente che va colpito anche penalmente e che non si sa quanto consono alla stessa deontologia giornalistica». Nella sua relazione sull'attività giudiziaria, il primo presidente della Corte di cassazione Gaetano Nicastro censura senza mezzi termini l'eccessivo spazio dato dai media alle intercettazioni. «Un problema che si è insistentemente riproposto, rispetto al ripetersi di alcuni fatti - scrive in particolare Nicastro - è la tutela dei dati acquisiti in sede di indagini preliminari, con i normali mezzi di investigazione e in particolare mediante le intercettazioni, dei quali si sono spesso impadroniti i mass-media, con danno per la prosecuzione delle indagini e talvolta dello stesso indagato; soprattutto coinvolgendo anche soggetti terzi, persino per fatti strettamente personali e del tutto estranei a quel provvedimento».

 


 

Dal Corriere della Sera 26-1-2007 Rosetta incontra l’asteroide Lutetia

 

E ha un «appuntamento» con la cometa 67P Churyumov-Gerasimenko

 

La sonda Esa ha inviato immagini dal corpo celeste, con un diametro di circa 100 chilometi, tra Marte e Giove

 

Un breve ma suggestivo filmato ci è arrivato dalla sonda Rosetta dell’Esa, l’agenzia spaziale europea. Il suo occhio elettronico ha inseguito per 36 ore l’asteroide 21-Lutetia in orbita tra Marte e Giove e distante 245 milioni di chilometri. Tanta insistenza non è casuale. Il pianetino è infatti uno dei due obiettivi della missione da raggiungere durante il viaggio prima del fatidico incontro con la cometa 67P Churyumov-Gerasimenko previsto nel 2014. Per arrivare all’ambita destinazione Rosetta percorre delle orbite studiate in modo da avvicinarsi anche a due corpi minori del sistema solare ma ricchi di interesse scientifico. Uno è 2867-Stein, l’altro è appunto 21-Lutetia ora raccontato nel breve ma importante filmato. Degli asteroidi si sa in generale molto poco, oltre al fatto che sono testimoni delle origini del sistema solare. Pochissimi sono stati avvicinati dalle sonde automatiche raccogliendo dati utili ma ancora troppo poveri per arrivare a spiegare storia e natura di questi oggetti cosmici di taglia diversissima e presenti a milioni nel corteo planetario.

CURVA DI LUCE - Lutetia, scoperto il 15 novembre 1853 da H.Goldsmith, ha un diametro di circa cento chilometricome si è potuto dedurre dalle misurazioni effettuate con il satellite all’infrarosso Iras. Ma per il resto il buio è totale. Queste prime osservazioni compiute da Rosetta permetteranno di cominciare ad aggiungere qualcosa di significativo come la «curva di luce», vale a dire le sue variazioni nell’intensità luminosa dalla quale si potrà capire in che modo sta ruotando su se stesso. E’ un primo passo, un primo tassello delle conoscenze ben più approfondite che Rosetta riuscirà a conquistare quando, il 10 luglio 2010, si avvicinerà sino a una distanza di tremila chilometri correndo alla velocità di 15 chilometri al secondo. Prima di allora la sonda dell’Esa vedrà, il 5 settembre 2008, da una distanza di 1700 chilometri l’asteroide 2867-Steins, dieci volte più piccolo di Lutetia.

ROBOT TRIVELLATORE - Rosetta per riuscire a raggiungere il suo obiettivo finale della cometa (sulla quale sbarcherà un piccolo robot con le zampe capace di bucare il nucleo con una trivella costruita a Milano dal Politecnico e da Galileo Avionica) dovrà, dicevamo, compiere un tortuoso tragitto cosmico avvicinandosi ad alcuni pianeti per ricavare l’energia necessaria al grande balzo verso la meta ultima. Per questo il mese prossimo sfiorerà Marte (trasmettendoci fotografie) e il prossimo novembre anche la Terra. Una carambola spaziale che alla fine rilancerà la sonda verso il desiderato astro con la coda.

Giovanni Caprara

26 gennaio 2007

 


 

Dal Corriere della Sera 26-1-2007 Nuova arma Usa: il raggio che non ferisce Simone Bertelegni

 

Prima dimostrazione in Georgia, sul campo fra tre anni

 

Da una parabola parte un impulso che dà a chi è colpito la sensazione di andare a fuoco. Ma non lascia ustioni e ferite

 

GEORGIA (STATI UNITI) – Non è letale, non ferisce nemmeno, ma nessuna folla inferocita può fronteggiarla: è la «Guardia silenziosa», la nuova arma presentata dall’esercito statunitense a un gruppo di giornalisti. E’ ancora un prototipo e non verrà utilizzata davvero sul campo prima del 2010; insomma, è l’arma del futuro (prossimo), eppure colpisce, prima ancora dei nemici potenziali, l'immaginario collettivo perchè porta con sé un bel bagaglio di reminiscenze classiche.

 

Il Silent Guardian (Ap)

MODERNO SPECCHIO USTORIO – La «Guardia Silenziosa» («Silent Guardian») è simile a un’antenna parabolica, è facilmente installabile su camionette, fuoristrada e quant’altro, ed è in grado di emettere, fino a 500 metri di distanza, un raggio calorifico della temperatura di 54 gradi circa. Se colpisce la pelle (può anche trapassare gli abiti, ma non i muri), non lascia ustioni o altre tipologie di ferite, ma nessuna persona colpita potrebbe resistere e fare a meno di gettarsi a terra o scappare via. Vengono subito in mente, insomma, gli specchi ustori che si vorrebbero inventati da Archimede durante l’assedio Romano alla sua Siracusa nel III secolo a.C. Tali specchi erano però molto più potenti, perché in grado di produrre raggi così caldi da incendiare le navi assedianti romane; in realtà, gli storici ritengono il tutto inattendibile. Per quanto, molti secoli dopo Archimede, alcuni scienziati siano davvero riusciti a realizzare, per scopi puramente accademici, degli specchi ustori.

LA DIMOSTRAZIONE – Secondo quanto riferito dall’agenzia Ap, un gruppo di giornalisti si è radunato in Georgia, fingendo di essere una piccola folla in rivolta e provando in prima persona l’effetto dei raggi della nuova arma Usa. La «Guardia Silenziosa» era montata sopra un Humvee, la versione militare del fuoristrada Hummer. Sebbene non abbiano riportato la minima ustione, i giornalisti presenti hanno dichiarato chi di aver provato la sensazione di andare a fuoco, chi di essersi sentito investito da un’onda di calore simile a quella che si prova avvicinandosi a un forno incandescente. Tutti si sono gettati a terra o fatti da parte.

VANTAGGI – Rispetto ad altre armi non letali usate come sfollagente, il raggio ustorio non lascia ferite (a differenza, ad esempio, dai proiettili di gomma). Secondo dichiarazioni di fonti militari americane diffuse dall’AP, il congegno si rivelerebbe utilissimo in luoghi turbolenti come l’Iraq, dove, se utilizzato, permetterebbe di ottenere grandi risultati nel mantenimento dell’ordine pubblico evitando molte morti innocenti.


26 gennaio 2007

 

 

 

 

 


Inserimenti  del   26-1-2007


 

INDICE 26-1-2007

Dal Sole 24 Ore 25-1-2007 (19.40) Liberalizzazioni: via i costi di ricarica per i telefonini e benzina nei supermarket di Sara Bianchi 1

Da Repubblica 26-1-2007 "Da Telecom dossier sui Ds" Mancini parla dei politici di PIERO COLAPRICO, GIUSEPPE d'AVANZO, EMILIO RANDACIO  6

Dal Sole 24 Ore  La Ue archivia il dossier sull'Italia delle banche di Enrico Brivio  11

Da Repubblica 26-1-2007  Le lettere perdute del papà di Anna Frank ALBERTO FLORES D'ARCAIS  13

 


 

 

Dal Sole 24 Ore 25-1-2007 (19.40) Liberalizzazioni: via i costi di ricarica per i telefonini e benzina nei supermarket di Sara Bianchi

Un provvedimento di legge lungo 47 articoli più uno «da inserire». È questa la «bozza provvisoria» del disegno di legge sulle liberalizzazioni, in queste ore all'attenzione del Consiglio dei ministri. Il testo si occupa di «misure per il cittadino consumatore, per imprese e mestieri più liberi, per l' impresa più facile e per settori di rilevanza nazionale».

Ricariche telefoniche: la questione è affrontata al primo articolo e prevede «il divieto da parte degli operatori della telefonia mobile dell'applicazione di costi fissi e di contributi per la ricarica di carte prepagate, anche via bancomat o in forma telematica, aggiuntivi rispetto al costo del traffico telefonico richiesto».

Benzina: la parola d'ordine è «pubblicità» e informazione degli automobilisti. Sono previsti sistemi incrociati: le società che gestiscono le infrastrutture stradali dovranno predisporre «dispositivi d' informazione e stipulare convenzioni con le reti radiofoniche» per informare gli utenti sui prezzi di vendita, anche in forma comparata, praticati dai distributori delle strade e autostrade. I benzinai, dall'altro lato, dovranno usare «gli stessi metodi per avvertire, in tempo reale» i propri clienti delle «'condizioni di grave limitazione del traffico». E nella parte del provvedimento relativo alle «restrizioni alla concorrenza» si prevedono - anche se mai esplicitamente citati - interventi apri-pista anche alla grande distribuzione, alla vendita cioè in supermercati e ipermercati. ll provvedimento stabilisce infatti che non possano essere poste «limitazioni alla possibilità di abbinare nello stesso locale o nella stessa area di vendita prodotti e servizi complementari e accessori rispetto a quella originale o principale». E tale «principio - è esplicitamente riportato - si applica anche alla distribuzione carburanti». Come dire che i benzinai possono vendere anche prodotti diversi dai carburanti (il cosiddetto non-oil) e gli altri esercizi, supermercati e ipermercati compresi, possono vendere carburanti.

Nuove imprese: sarà più facile avviare un'impresa. È prevista la presentazione al Registro delle imprese, in via telematica o mediante la Camera di commercio competente, della «comunicazione unica». La comunicazione unica vale quale assolvimento di tutti gli adempimenti amministrativi previsti per l'iscrizione al registro delle imprese e ai fini previdenziali, assistenziali, fiscali e per l'ottenimento del codice fiscale e della partita Iva. La nuova procedura si applica anche in caso di modifiche o cessazione dell'attività d'impresa.

Compagnie low cost: il testo sancisce inoltre lo stop alla pubblicità delle tariffe aeree che non contengono anche in maniera esplicita l'indicazione di spese, tasse e oneri aggiuntivi.

Assicurazioni: non potranno stipulare nuovi contratti di Rc auto con un automobilista per una classe di merito inferiore a quella che risulta dall'ultimo attestato di rischio. L'impresa di assicurazione, in tutti i casi di stipula di un nuovo contratto «non può assegnare al contraente una classe di merito più sfavorevole rispetto a quella risultante dall'ultimo attestato di rischio conseguito», dice l'articolo 7 del testo. Inoltre le assicurazioni, dopo un incidente, non potranno cambiare classe di rischio ai propri clienti prima di aver accertato l'effettiva responsabilità «che è individuata nel responsabile principale del sinistro, secondo la liquidazione effettuata in relazione al danno e fatto salvo un diverso accertamento in sede giudiziale». Le imprese assicurative poi saranno obbligate a comunicate «tempestivamente» le variazioni in peggio della classe di merito.

Il Pubblico registro auto: viene abolito. Gli autoveicoli, i motoveicoli e i rimorchi cessano di esser sottoposti alle disposizioni riguardanti i beni mobili registrati. Ad essi «si applicano le disposizioni del codice civile sui beni mobili». Gli atti che incidono sul diritto di proprietà dei veicoli «sono stipulati mediante registrazione nell'Archivio nazionale dei veicoli» e poi annotati sulla carta di circolazione.

Autoscuole: non servirá più alcuna autorizzazione. «L'attivitá di autoscuola è soggetta alla sola dichiarazione di inizio attivitá da presentare all'amministrazione provinciale territorialmente competente, fatto salvo il rispetto dei requisiti morali e professionali, della capacitá finanziaria e degli standard tecnico-organizzativi previsti dalla normativa vigente».

Veicoli truccati: per chi trucca l'auto, la noto o il motorino arriva una multa che potrà partire da un minimo di 375 euro fino ad un massimo di 1.433 euro. Alla sanzione pecuniaria sarà accompagnato anche il ritiro del libretto di circolazione.

Mutui: nessuna autentica notarile per l'estinzione di un mutuo. Il cittadino «è tenuto a comunicare entro 30 giorni, anche direttamente, l'avvenuta estinzione del mutuo alla conservatoria che provvede d'ufficio alla immediata cancellazione dell'ipoteca».

Scoperto conto corrente: i correntisti che vedono andare in rosso talvolta il proprio conto non pagheranno più la commissione di massimo scoperto. «Sono nulle», inoltre, «le clausole che prevedono una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del correntista, indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma». I contratti in corso saranno adeguati entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge.

Poste: arriva il risarcimento in caso di ritardata o mancata consegna della posta (la misura compare all'articolo 2 del provvedimento). In caso di ritardi postali il mittente avrà diritto a un bonus «automatico immediatamente spendibile, di valore equivalente (alle spese sostenute, ndr) quale rimborso» ovvero «di valore superiore in caso di mancato recapito nella consegna degli invii postali».

Gas naturale: è previsto che «le aliquote dovute allo stato dai titolari delle concessioni di coltivazione, siano cedute presso il mercato regolamentato». Si tratta di cedere metri cubi di gas sul cosiddetto punto di scambio virtuale, la piattaforma digitale per la compravendita di gas, che è il nucleo iniziale di una vera e propria Borsa del gas. Inoltre le autorizzazioni all'importazione di gas rilasciate dal ministero dello Sviluppo economico sono subordinate all'obbligo di offrire una quota del gas importato presso il punto di scambio virtuale, in rapporto ai volumi importati.

Modernizzazione Pubblica amministrazione: bancomat e carte di credito potranno essere utilizzate nei pagamenti presso le Pubbliche Amministrazioni che dovranno dotarsi dei sistemi per accettare qualsiasi pagamento con moneta elettronica. L'obbligo sarà esteso ai grandi gestori, come le aziende di fornitura di elettricità, acqua e di servizi telefonici. Sarà reso obbligatorio il pagamento con moneta elettronica anche per pensioni e stipendi oltre un certo importo. Nel provvedimento anche incentivi in favore dei privati per dotarsi di POS.

Agenti immobiliari e di commercio:: scompare il «ruolo» specifico presso la Camera di Commercio nel quale debbono iscriversi gli agenti immobiliari per esercitare la loro professione. La norma riguarda anche gli spedizionieri, i raccomandatari marittimi e i rappresentanti di commercio che potranno svolgere attività «previa presentazione della dichiarazione di inizio attività alla Camera di commercio competente per territorio e per conoscenza alla Questura», corredata dalle autocertificazioni e dalle certificazioni necessarie. La Camera di Commercio verifica il possesso dei requisiti e assegna la qualifica di intermediario distintamente per tipologia di attività.

Cinema: «L'apertura di sale cinematografiche non può essere subordinata al rispetto della distanza minima fra più strutture».

Edicole: perdono l'esclusiva sulla vendita dei giornali e saltano anche tutti i paletti che finora regolamentavano l'apertura di nuovi esercizi. In particolare si vieta «agli operatori economici di stipulare clausole contrattuali o di imporre condizioni di esclusiva territoriale nella distribuzione intermedia di quotidiani e periodici».

Parrucchieri e centri estetici: per aprire un negozio di parrucchiere o un centro estetico basterà la «sola dichiarazione di inizio attività da presentare al Comune territorialmente competente». Decadrà così l'obbligo di licenza e anche l'obbligo di rispettare la distanza minima tra due esercizi che svolgono attività analoghe.

Guide turistiche: non sarà più necessario essere residente per mostrare le bellezze di una regione ai turisti. La bozza del provvedimento prevede infatti che le attività di guida e accompagnatore turistico «non possono essere subordinate all'obbligo di autorizzazioni preventive, al rispetto di parametri numerici e requisiti di residenza, fermo restando il possesso dei requisiti di qualificazione professionale secondo la normativa vigente».

Alimenti: più visibilità alla data di scadenza dei prodotti. «L'indicazione del termine minimo di conservazione deve figurare in modo facilmente visibile, chiaramente leggibile e indelebile secondo modalità non meno visibili di quelle indicanti la quantità del prodotto ed in un campo visivo di facile individuazione da parte del consumatore». Le aziende hanno 180 giorni per adeguarsi alla nuova normativa dalla sua entrata in vigore.

Scuola: i benefici fiscali previsti per le donazioni alle fondazioni «si applicano anche a quelle in favore delle istituzioni scolastiche - si legge nel testo - finalizzate all'innovazione tecnologica, all'edilizia scolastica e all'ampliamento dell'offerta formativa». Inoltre gli istituti tecnici torneranno ad essere una scuola secondaria con pari dignità rispetto ai licei. Il provvedimento prevede anche l'istituzione di un polo tecnico-professionale, almeno uno per provincia, che comprenda istituto tecnico, istituto professionale, percorso triennale e alta qualificazione tecnico-professionale.

Il Ddl Letta sul riordino delle Authority: è composto da 22 articoli in 25 pagine ed è stato scritto a Palazzo Chigi dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta, che ci lavorava da tempo, con i suoi consiglieri giuridici Giulio Napolitano e Andrea Zoppini. Sul Ddl il Consiglio dei ministri ha effettuato un esame preliminare, l'approvazione del testo da inviare al Parlamento è prevista per la prossima riunione del Cdm. Prevede tra l'altro una nuova Authority «per i servizi e le infrastrutture di trasporto». Il Ddl affida la regolazione dei servizi idrici integrati all'Autorità per l'energia elettrica e gas, il settore postale all'Autorità per le comunicazioni e istituisce l'Autorità dei trasporti con competenze estese «ai settori aereo, autostradale, ferroviario e marittimo», fermi restando i poteri di indirizzo, programmazione, investimento, stipula di convenzioni e contratti, tutela della sicurezza dei ministri di Trasporti e Infrastrutture». Il Capo III riguarda le Autorità di vigilanza sui mercati finanziari: Banca d'Italia per la stabilità degli operatori e del sistema finanziario, la Consob per la trasparenza del mercato. L'articolo 8 trasferisce a Bankitalia le competenze dell'Uic su controlli finanziari, prevenzione del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo internazionale. L'articolo 9 istituisce il Comitato per la stabilità finanziaria (Csf) al posto del Cicr. L'articolo 10 conferisce al Governo una delega legislativa da esercitarsi entro un anno per la soppressione di Isvap e Covip e l'attribuzione delle relative competenze a Banca d'Italia e Consob. Viene inoltre istituito (articolo 11) il Comitato antiriciclaggio, oltre al Servizio di analisi finanziaria (Saf), che nasce con l'articolo 12 presso via Nazionale come erede dell'Uic. Con l''articolo 21 nasce la Commissione parlamentare per i rapporti con le Autorità indipendenti, composta da 20 senatori e 20 deputati. La legge non comporta oneri finanziari aggiuntivi per lo Stato.

La copertina del provvedimento presenta la doppia veste tecnica di decreto e disegno di legge, perché quasi certamente una parte delle misure confluirà in un intervento d'urgenza.


 

Da Repubblica 26-1-2007 "Da Telecom dossier sui Ds" Mancini parla dei politici di PIERO COLAPRICO, GIUSEPPE d'AVANZO, EMILIO RANDACIO

Gli interrogatori ai pm di Milano. "Pollari
mi disse di indagare, ma non trovai nulla"

 

MILANO - Parla Marco Mancini, appena fino all'altro giorno il temutissimo direttore del Controspionaggio italiano. Parla e parla ancora. Almeno in tre interrogatori, ora segretati. Le sue parole alzano il velo sul nucleo più fangoso dell'inchiesta Telecom/Pirelli. L'indagine ne è scossa come dall'alta tensione, e siamo (pare) soltanto all'inizio di un racconto a puntate che può averne per l'intero arco della politica italiana, perché tutti i partiti e tutte le leadership nazionali fino alla terza fila sono al centro dei dossier illegali raccolti dagli spioni privati, pubblici, avventizi e fiduciari. Mancini preferisce cominciare da un partito al governo, la Quercia. Spiega che c'è un report segreto del 2003 raccolto su indicazione della Security Telecom sui presunti conti segreti dei Ds.

Da dicembre, Marco Mancini è in carcere, accusato di "associazione per delinquere finalizzata alla rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio". Avrebbe incassato moneta sonante per consegnare a un investigatore privato di Firenze (Emanuele Cipriani) le notizie riservate in possesso del Sismi. Emanuele Cipriani è il private eye a cui Giuliano Tavaroli, il capo della Security della società telefonica, assegna il lavoro sporco di intrusioni, pedinamenti, analisi, furto di informazioni riservate.

Mancini dice: "Non ho mai preso un euro da Cipriani. E' infamante soltanto pensarlo. Sono un servitore dello Stato. Con Cipriani scambiavo informazioni. Era il mio lavoro - può piacere o meno - raccogliere notizie. E anche a Cipriani capitava di averne d'interessanti. Ricordo che nel 2003 mi disse di avere informazioni su conti correnti esteri riconducibili a esponenti di primo piano dei Democratici di Sinistra. Come m'impongono le regole del Servizio, girai la notizia al mio superiore il generale Nicolò Pollari. Mi chiese di verificarla. Al termine di una discreta ricognizione, maturai la convinzione che la notizia fosse basata sul nulla. Pollari mi disse che ci avrebbe pensato lui. Non chiedetemi che cosa abbia fatto dopo".

Il dossier di cui parla Mancini è alto una buona spanna. Risale a quattro anni fa. Con aggiornamenti bimestrali, gli spioni della Security Pirelli-Telecom controllano, per il periodo 2001/2002, banche europee e nazionali, conti, bonifici, flussi finanziari estero su estero e verso l'Italia.

L'ex dirigente del Sismi si mostra risentito ai pubblici ministeri che lo hanno raggiunto nel carcere di Pavia. Quelli, dinanzi al fiume in piena, si fanno guardinghi. Accettano l'apertura di Marco Mancini, ma - a quanto trapela da più fonti - non fanno più alcuna domanda sul "dossier Ds". Perché?

Sta in questo interrogativo e nelle possibili risposte il senso di quanto gravi, preoccupanti, persino minacciosi, siano i quotidiani ritrovamenti nella "caccia" agli spioni. Mancini cita i Democratici di Sinistra, ma - come conferma l'ultima ordinanza d'arresto (la terza) - sono moltissimi i nomi dei politici (otto righe di testo protetto dagli omissis) che entrano, non si sa bene a che titolo e con quale attendibilità, nelle attenzioni "sporche" dei "segugi" retribuiti dalla Telecom.

Se si segue il "cammino istruttorio" del "dossier Ds" si può comprendere meglio (forse) che cosa è e che cosa può diventare l'inchiesta di Milano. Non solo. Emergono le inquietudini dei pubblici ministeri; i tentativi di inquinamento in corso; il possibile orizzonte di responsabilità penali e conseguenze politiche. Soprattutto, si può affrontare la questione che schiaccia l'inchiesta come un cielo basso e nero: quando - e per conto di chi, nell'interesse di chi - è nata questa piattaforma di spionaggio cresciuta dentro e grazie alla Telecom?

La strategia dei pubblici ministeri
L'orizzonte si apre attraverso un semplice compact disc. È nascosto nello studio del commercialista milanese di Emanuele Cipriani, Marcello Gualtieri. Per settimane i tecnici informatici della polizia giudiziaria provano a violarne l'accesso. Ogni tentativo viene respinto. A quel punto l'investigatore, per salvare se stesso, comincia una parziale collaborazione e fornisce le password utili per sbloccare il cd.

Sui computer dei pubblici ministeri appaiono migliaia di icone. In ogni icona, un dossier. In ogni dossier, un profiling personale, finanziario, relazionale dei principali protagonisti, istituzioni e società della vita pubblica del Paese, politici, finanzieri, imprenditori, banchieri, giornalisti e - ora si scopre con sconcerto - magistrati. E' una massa d'informazioni degna di un servizio segreto. Notizie vere o false? O parzialmente vere, deformate e condite fino alla calunnia? Sono informazioni di laboriosa verifica. In ogni caso, hanno bisogno di molto tempo per essere valutate. È la prima difficoltà che gli inquirenti devono affrontare con la squadra di polizia giudiziaria costituita ad hoc. Che fare? Come procedere? Muoversi contestualmente su tutto il fronte dell'indagine? Cercare, prioritariamente, le responsabilità individuali della rete di spionaggio? Oppure privilegiare con urgenza le eventuali notizie di reato contenute nell'archivio illegale?

Spiega a Repubblica una voce interna all'inchiesta: semplicemente non ci sono le forze sufficienti per affrontare tutti i capitoli dello zibaldone che ci è caduto in mano. Lo stato delle cose impone, si può dire, un metodo di lavoro - certo - più lento, ma non minimalista. O peggio, così cauto da poter apparire ambiguo.

"Abbiamo così organizzato un'agenda di priorità investigative", dice la fonte. Al primo posto, la rete di spionaggio e l'individuazione dei burattini e dei burattinai, riservando a un secondo tempo la valutazione dell'attendibilità, la fondatezza o l'infondatezza delle notizie raccolte illegalmente da quella che gli addetti definiscono una piattaforma di spionaggio.

È il metodo che, al palazzo di giustizia di Milano, chiamano lo schema del fascicolo in C. Non è una cosa poi molto complicata, nonostante la formula un po' criptica. Dal troncone d'un'inchiesta si stralciano alcune posizioni aprendo un fascicolo di "Atti relativi a...". Questo è il fascicolo in C: permette al pubblico ministero di tenere in parcheggio l'iniziativa penale senza pregiudicarla con i tempi stretti dell'istruttoria, del processo e della prescrizione. Sono atti che, in qualsiasi momento, a ogni occasione utile, possono uscire dal parcheggio con un'ipotesi di reato quando questa viene individuata e sostenuta da un'apprezzabile fonte di prova.

Nell'inchiesta dello spionaggio illegale, il parcheggio è affollatissimo. I dossier sono seimila e, se si prende per buono quel che assicura una fonte bene informata, a parte duemila sconosciuti aspiranti impiegati di Telecom, ce n'è per tutti - nessuno escluso - del Gotha nazionale.

Improvvisamente una luce si accende sul dossier dei Ds
Dicembre scorso. Marco Mancini, in codice doppia M e Tortellino, già capo del controspionaggio del Sismi, decide di muovere le acque fangose con lo strale contro i Ds. E' vero, dice di aver verificato le informazioni, di aver concluso che il castello fosse di sabbia. E tuttavia, lasciando emergere il dossier del 2003, lancia un segnale con l'intento di far salire la temperatura politica intorno all'affaire e raffreddare la tensione dell'istruttoria intorno alle responsabilità penali sue e dei suoi complici (Giuliano Tavaroli, Emanuele Cipriani, i loro collaboratori nei servizi segreti esteri e nelle forze di polizia nazionali). Promettendo di allargare la manovra all'intero arco dei politici "dossierati". Mancini non sa che, con "il fascicolo in C", gli inquirenti hanno già fermato, più o meno dieci mesi fa, la tritasassi che egli vuole manovrare.

La ragione dello stop tattico, rivela la fonte, è questa: non possiamo - per il momento - indagare soltanto su uno dei dossier lasciando in ombra gli altri. Se imbocchiamo questa strada, rischiamo di far deragliare il treno delle indagini. Crediamo di doverci muovere con una priorità: accertare la responsabilità di chi ha controllato e gestito la piattaforma spionistica; verificare gli interessi reali di chi ha utilizzato quelle informazioni oblique. Perché questo - dice ancora la fonte - è per noi oggi il punto cardine dell'inchiesta: conoscere gli organizzatori, i beneficiari, gli "utilizzatori" del lavoro della piattaforma. A nostro avviso, muovendoci al contrario, andando dietro alle indicazioni estratte dai dossier abusivi, non sarebbe più la procura a condurre l'inchiesta. Con le loro suggestioni e indicazioni ed eventuali imposture, sarebbero gli arrestati a guidarla su un binario che potrebbe essere ancora una volta cospirativo, diffamatorio, ricattatorio.

Se la procura dovesse occuparsi delle migliaia di fascicoli su imprenditori di primo piano, ex ministri del governo di destra, ex segretari dei partiti oggi d'opposizione ieri di governo - paventa la fonte - ne nascerebbe un'insopportabile pressione sul già affannoso lavoro dei pubblici ministeri con la richiesta, pur legittima, di "fare presto" per sgomberare il campo dalla calunnia o, al contrario, per accertare le possibili responsabilità penali. Proteggere la riservatezza dei dossier è per la procura di Milano un'imprescindibile necessità per lavorare in sicurezza fino a cavare il ragno dal buco.

I "padroni" della piattaforma Telecom
La fonte vicina all'inchiesta non gradisce fantasie investigative, e tuttavia se ragiona dell'intrigo che ha sotto gli occhi, se ne segue le tracce e la logica, è costretta a proporre una lettura più complicata di quanto sia apparso sinora. Chi governava la "piattaforma"? Quali ne erano gli scopi, gli ispiratori, i "garanti"?

Alcuni obiettivi sono ragionevolmente chiari. Lo spionaggio permette a chi opera nella "piattaforma" (Tavaroli; Cipriani; un ex-agente della Cia, John Spinelli; un'ex-fiduciario del Sisde, Marco Bernardini; il capo del controspionaggio del Sismi, Marco Mancini) di mettere da parte il bel gruzzoletto in euro e in dollari assicurato da Telecom (più o meno, secondo i primi, approssimativi calcoli, 20 milioni di euro). L'arricchimento personale della combriccola, dunque, è una delle ragioni accertate. Ce n'è una seconda che non esclude la prima, ma a quella si sovrappone: le informazioni sono raccolte dagli spioni al di fuori di ogni legge "nell'interesse dei vertici della Telecom" (come sostengono i pubblici ministeri) o addirittura a vantaggio del "proprietario" della società, Marco Tronchetti Provera (come crede il giudice per le indagini preliminari). Può non finire qui, perché a Milano è ormai un'ossessione questa domanda: quando è nata la "piattaforma di spionaggio"? E quanto è "grande" e diffusa? Sono domande decisive alle quali sinora non si trovano risposte precise, ma solo qualche indizio e più di un nesso logico. Appare ragionevole pensare che la data di nascita della "piattaforma di spionaggio" possa addirittura pre-esistere a Telecom, risalire alla Anni Ottanta, quando Giuliano Tavaroli e Marco Mancini sono ancora sottufficiali dell'Antiterrorismo di via Moscova a Milano.

I due entrano in contatto (1986) con John Spinelli, l'ufficiale di collegamento della Cia con l'intelligence italiana. La circostanza lascia credere che "la piattaforma" sia stata sostenuta e utilizzata dalla Central Intelligence Agency. L'essenziale dettaglio è confermato dai primi risultati dell'inchiesta. Due protagonisti - Tavaroli e Mancini - appaiono "legati" alla Cia. "L'orecchio di Nicolò Pollari" (Pio Pompa) si lascia intercettare mentre rivela che "Tavaroli è stato pagato 15.000 dollari o euro al mese dalla Cia". Una testimonianza interna al Sismi svela che Marco Mancini era considerato "un agente doppio della Cia". Il percorso di un terzo uomo (estraneo a quest'indagine) lascia intuire quali fossero le tappe di avvicinamento alla "piattaforma". Luciano Pironi è un maresciallo del nucleo d'eccellenza dei carabinieri (Ros). Il capocentro della Cia a Milano (Robert Seldon Lady) gli chiede di partecipare al sequestro di Abu Omar (2003). In cambio avrebbe ottenuto di lavorare al Sismi o, in alternativa, di entrare nella Security di Pirelli.

La storia di Pironi (poi premiato a Langley per la sua partecipazione al sequestro del cittadino egiziano) può dimostrare che Pirelli/Sismi/Cia sono fili di quel che appare ora un unico gomitolo.

Questa approssimata ricostruzione indiziaria e logica impone così agli inquirenti di verificare se la rete, nata per scopi illegali ma legittimi (per l'interesse nazionale alla sicurezza), nel tempo muti la sua "ragione sociale" e si potenzi, trasferendosi armi e bagagli, e gonfia di risorse finanziarie e di mezzi tecnologici, prima in Pirelli e successivamente in Telecom, fino a costruire le basi per rendersi autonoma con il progetto di creare la "One Security": "una società di sicurezza internazionale" al cui capitale la Pirelli - azionista di riferimento - avrebbe dovuto partecipare per il 40 per cento.

In questo schema, tutti gli attori che ruotano sulla "piattaforma" ricevono benefici. Gli "amici al bar" (Tavaroli, Mancini, Cipriani), potere d'influenza e ricchezza. Pirelli/Telecom o, come sottolinea il giudice delle indagini preliminari, "il suo proprietario, in un dato momento storico" (Tronchetti Provera) informazioni riservate, dossier maligni, notizie ingannevoli, utili però ad affrontare i conflitti con concorrenti, soci in affari, sistema bancario, establishment politico, circuito mediatico, ambiente giudiziario. La Cia, il nostro servizio segreto militare o altre intelligence" (qui e lì fa capolino anche il controspionaggio francese), utilizzano, per parte loro, la "piattaforma" con lo scopo di trarre informazioni d'interesse strategico (e non) raccolte nei Paesi (soprattutto in Medio-Oriente e nell'area dell'ex-blocco sovietico) dove si agitano le iniziative di espansione di Telecom (eccellente e insospettabile "copertura"per i maneggi degli spioni). È una trama che non disprezza le notizie genuine o da manipolare. Se "giocate" nel sottosuolo italiano, possono essere un buon carburante per condizionare - avvelenandola - la vita politica del nostro Paese. Forse davvero questa inchiesta può avere il clamoroso valore dello scandalo P2.

(26 gennaio 2007)

 


 

 

Dal Sole 24 Ore  La Ue archivia il dossier sull'Italia delle banche di Enrico Brivio

 

Può essere visto come un atto dovuto che, con i tempi lunghi degli iter comunitari, chiude un tormentato capitolo, già di fatto archiviato dagli eventi. Ma fatto sta che ieri il commissario europeo al Mercato interno, Charlie McCreevy, ha deciso di prendere atto che la supervisione finanziaria è ora svolta in Italia in modo corretto; e si può pertanto chiudere la procedura d'infrazione europea, aperta con gran clamore il 13 dicembre 2005, quando si imputò all'allora Governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, di esercitare in modo poco trasparente i propri poteri di vigilanza prudenziale.
Ovvero, di utilizzare i margini troppo ampi di discrezionalità concessi dall'articolo 19 del Testo unico bancario per attuare tattiche dilatorie che, di fatto, ostacolavano il tentativo degli spagnoli di Bbva di acquistare Bnl e anche degli olandesi di Abn Amro di rilevare Antonveneta. Disincentivando così «gli altri Stati membri dall'investire nel settore bancario italiano — come ricorda il comunicato della Commisione europea di ieri — in violazione delle norme del trattato Ue sulla libera circolazione dei capitali (articolo 56) e sul diritto di stabilimento (articolo 43) ».Bruxelles si è preoccupata che il quadro regolamentare «potesse consentire l'esercizio di una vigilanza senza trasparenza procedurale, creando così incertezza giuridica».
Sembrano ora veramente lontane le polemiche sui fondamenti giuridici dell'intervento di Mc Creevy,l'unico atto di accusa formale partito da Bruxelles nei confronti di Bakitalia dell'era Fazio, dopo un incalzante pressing epistolare e mediatico di nove mesi condotto in tandem con la responsabile dell'Antitrust comunitario, Neelie Kroes. E forse c'è ancora chi pensa che, sebbene fondate sul piano sostanziale, da un punto di vista strettamente legale, le contestazioni di McCreevy fossero piuttosto fragili e difficili da difendere in un eventuale contenzioso alla Corte di Giustizia europea. Ma ormai si tratta di pura accademia. L'uscita di scena di Fazio, l'arrivo di Mario Draghi, il felice esito dell'offerta di Abn Amro e l'entrata di Bnl nella galassia francese di Bnp Paribas hanno ormai da tempo dimostrato in maniera tangibile che l'aria in Italia e in Via Nazionale è cambiata. Anche se, con la cautela e i riflessi lenti tipici dell'eurocrazia, Bruxelles ha deciso solo ora di archivare il dossier e di porre il proprio sigillo di approvazione all'operato di Draghi. Ma lo fa in modo convinto.
«Qualcuno l'ha chiamato caso Fazio,non noi —ha osservato ieri Oliver Drewes, portavoce di McCreevy — Aprimmo il caso italiano perché ritenevamo che l'autorità di supervisione fosse esercitate in Italia con scarsa trasparenza, creando incertezza legale. Da allora è stato fatto molto lavoro,i problemi sono stati risolti in modo sostanziale e la situazione risulta ora in pieno accordo con la legge comunitaria». Drewes ha aggiunto che "naturalmente" la Commissione continuerà a vigilare come di consueto, «per eliminare tutti gli eventuali ostacoli alla libera circolazione dei capitali »che potrebbero «ostacolare il consolidamento transfrontaliero del settore finanziario comunitario». E agli osservatori italiani,a questo punto, non resta che sperare che l'attenzione di Bruxelles rimanga alta anche nei confronti di procedure e comportamenti delle autorità di supervisione di altri grandi Paesi europei.

 


 

Da Repubblica 26-1-2007  Le lettere perdute del papà di Anna Frank ALBERTO FLORES D'ARCAIS

Da un archivio Usa le inascoltate richieste
di aiuto che Otto lanciò per la sua famiglia

NEW YORK - Il 30 aprile del 1941 Otto Frank e la sua famiglia vivevano ancora alla luce del sole. Amsterdam era stata occupata dalle truppe naziste da quasi un anno (15 maggio 1940); Otto, ebreo tedesco di Francoforte, che all'ascesa al potere di Hitler aveva lasciato la Germania (dopo un breve periodo ad Aquisgrana) per raggiungere l'Olanda, in quella primavera del '41 si rese conto che anche Amsterdam non era più terra sicura. Da quel giorno fino all'11 dicembre dello stesso anno (giorno in cui la Germania dichiarò guerra gli Stati Uniti) fece di tutto per abbandonare la città dove lui, la moglie Edith e le figlie Margot e Anna, si sarebbero dovuti nascondere per due anni prima di essere scoperti grazie a una denuncia anonima.

La drammatica storia di Anna Frank, il suo diario, è uno degli episodi più conosciuti della Shoah. Nessuno sapeva però con certezza che in quei mesi del 1941 Otto fece di tutto per scappare da Amsterdam e raggiungere gli Stati Uniti. Un "buco" storico che viene adesso colmato grazie alle ricerche di una giovane archivista del Yivo l'Institute for Jewish Research, un centro fondato nel 1925 a Vilna, in Polonia, da un gruppo di intellettuali ebrei europei (tra cui Albert Einstein e Sigmund Freud) per archiviare la memoria storica e culturale degli ebrei dell'Europa dell'est.

Durante la seconda guerra mondiale i ricercatori del Yivo riuscirono a scappare negli Stati Uniti e subito dopo la guerra - grazie alla collaborazione dell'esercito americano - anche il grande archivio venne trasportato in America. Oggi, nella sua sede al 15 West della 16esima strada di Manhattan sono archiviati circa 360mila libri (in dodici lingue) e migliaia di documenti.

In questa sterminata biblioteca una giovane ricercatrice (archivista volontaria), Estelle Guzik, ha trovato nel 2004 un'ottantina di lettere che Otto Frank scrisse ai parenti (due zii di Anna Frank erano immigrati nel 1938 in America), ad amici cari - tra cui Nathan Straus jr., figlio del fondatore del grande magazzino Macy's di New York - e a funzionari europei ed americani nel disperato tentativo di trovare una via di fuga che aprisse a lui e alla sua famiglia le porte degli Stati Uniti: attraverso un viaggio in Spagna e in Portogallo, cercando di ottenere un visto sicuro per Parigi, ipotizzando anche di emigrare a Cuba.

Le lettere saranno rese pubbliche soltanto il prossimo 14 febbraio, quando al Yivo verrà organizzata una conferenza stampa in cui verranno svelati i contenuti delle missive spedite da Otto Frank nei mesi che hanno preceduto la sua decisione di nascondersi insieme alla famiglia, murandosi vivi all'interno del palazzo dove Otto aveva il suo ufficio (luglio 1942).

Le lettere erano state inizialmente archiviate dalla Hebrew Immigrant Aid Society, anche questa di New York, che nel corso di diversi anni, tra il 1948 e il 1974, le ha poi consegnate al Yivo, dove per decenni sono rimaste sepolte negli archivi. Dopo la scoperta di Estelle Guzik, l'istituto ha deciso di non rivelare la loro esistenza fino a quando fossero state controllate tutte le questioni legali legate a diritti e copyright. La notizia è state resa pubblica grazie ad una esclusiva del settimanale Time che racconta come Estelle abbia rintracciato le lettere in un file che non era stato catalogato, ricordando come nel periodo in cui vennero scritti i documenti il consolato americano ad Amsterdam fosse già stato chiuso.

Secondo Time la domanda più interessante che suscitano le lettere è il perché a quelle missive e a quelle richieste di aiuto non venne mai data risposta. Per il direttore esecutivo del Yivo, Carl Rheins, serviranno meglio a capire come ha funzionato (o non funzionato) la politica di immigrazione degli Stati Uniti nei confronti degli ebrei europei durante gli anni della Seconda Guerra mondiale.

Non è chiaro per quale motivo Otto Frank, che fu l'unico della famiglia a sopravvivere all'Olocausto (la moglie e le figlie morirono nel lager di Bergen-Belsen, lui venne trovato ancora in vita ad Auschwitz dalle truppe sovietiche il 27 gennaio 1945) e morì in Svizzera nel 1980, non parlò mai pubblicamente di queste lettere. Di questi documenti non c'è cenno neanche nella accurata biografia che Carol Ann Lee ha dedicato al padre di Anna Frank (La vita nascosta di Otto Frank). L'unico accenno polemico di Otto Frank verso gli Stati Uniti si trova in un nastro con una conversazione tra il padre di Anna Frank con il giornalista Arthur Unger. Conversazione che aveva come oggetto una pièce teatrale sulla vita di Anna; un ricercatore del Western Historical Manuscript Collection dell'università del Missouri che l'ha ascoltata sostiene che durante il colloquio i due (Unger e Frank) "dicono cose importanti sul pregiudizio e la discriminazione in questo paese".


(26 gennaio 2007)

 


 

 

 

 

 

 

 

Inserimenti  del   25-1-2007


 

INDICE 25-1-2007

Dal Corriere della Sera 25-1-2007 Liberalizzazioni, sì a 100 misure. Mario Sensini 1

Da Repubblica 25-1-2007 L'identikit dell'hacker del Duemila. "Ci sono ragazzini che per 5.000 euro attaccano il sito di un'azienda concorrente". di Matteo Tonelli 2

Dal Sole 24 Ore 24-1-2007 Allarme derivati a Davos da economisti e top manager: mercati più vulnerabili 4

Da Il Sole 24 Ore 24-1-2007 La Ue boccia gli aiuti 2004 e 2005 ai decoder: agli operatori l'onere del rimborso di Nicoletta Cottone  4

Da http://italy.usembassy.gov/viewer/   Cautela da parte del Ministero del Tesoro americano sul programma di raccolta dei dati finanziari dei terroristi, 22 gennaio 2007 a cura di Jaroslaw Anders  Corrispondente USINFO  5

Dal Corriere della Sera 24-1-2007 La partita quasi impossibile di Bush  di Alberto Ronchey  7

Da Repubblica 24-1-2007  Ue, decoder: "Aiuti 2004-05 illegittimi Le emittenti provvedano ai rimborsi" 7

  7Dal Corriere della Sera 23-1-2007  Medici Finanziaria: stop a congressi. Licenziamenti 8

 


Dal Corriere della Sera 25-1-2007 Liberalizzazioni, sì a 100 misure. Mario Sensini

 

 

Oggi in Consiglio dei ministri il via libera


In arrivo i piani Bersani e Rutelli

L’esecutivo vara il «pacchetto» di riforme: in un decreto le norme più urgenti

 

 

ROMA — Non uno, ma almeno tre progetti di disegno di legge. Più la bozza di un decreto legge. È un pacchetto di riforme molto corposo e articolato quello che arriverà oggi pomeriggio sul tavolo del Consiglio deiMinistri. La famosa lenzuolata del ministro dello Sviluppo, Pier Luigi Bersani, il pacchetto predisposto dal vicepremier, Francesco Rutelli, poi la riforma delle Autorità di garanzia curata dal sottosegretario Enrico Letta, con l’abolizione del Cicr e la nascita del Comitato di Stabilità Finanziaria, e la nuova Agenzia per i Trasporti. Poi, ancora, le agevolazioni fiscali del viceministro dell’Economia, Vincenzo Visco. In tutto un centinaio di misure tra liberalizzazioni e interventi a favore dei consumatori. Con la conferma di molti interventi già annunciati (benzinai, edicolanti, cinema, guide turistiche, barbieri, estetisti, l’apertura di nuove imprese) e anche molte sorprese: dal bonus per la mancata consegna della posta, all’eliminazione dei vincoli all’estinzione anticipata dei mutui prima casa, alle targhe personali per i veicoli, al divieto di pubblicizzare voli aerei indicando il costo al netto di tasse e oneri aggiuntivi.

La messa a punto dei provvedimenti richiederà, prima del Consiglio dei ministri di oggi, un’ulteriore verifica tecnica e forse anche un ultimo confronto politico. C’è da decidere quali norme dovranno essere inserite in un ddl da sottoporre al confronto con le categorie interessate e con il Parlamento, e quali altre infilare in un decreto subito operativo, con cui dare un segnale concreto di avanzamento sulle riforme. Ma ci sarà anche da mettere un po’ d’ordine perché in alcuni casi, come sul gas e le ferrovie, i testi di Bersani e di Rutelli paiono ancora sovrapporsi. Le prime norme contenute nel pacchetto Bersani riguardano il «Cittadino consumatore ». Probabilmente con il decreto scatterà il divieto di applicare costi fissi per la ricarica delle carte telefoniche, ma cadranno anche i vincoli temporali all’utilizzo del credito.

I costi del traffico tra i vari operatori dovranno essere comparabili, e i contratti, anche per internet e tv, dovranno prevedere una facoltà di recesso senza «vincoli temporali», ritardi o spese non giustificati da esigenze tecniche. I gestori delle autostrade dovranno informare gli utenti sui prezzi dei carburanti praticati dalle varie compagnie. C’è poi lo stop alla pubblicità dei falsi voli low-cost e una norma per dare maggior visibilità alla data di scadenza degli alimentari. Un secondo capitolo della lenzuolata di Bersani riguarda banche e agenzie di assicurazioni, per le quali cade il divieto di esclusiva in tutti i rami danni. Altre norme riguardano le classi di rischio Rc Auto e la facoltà di recedere annualmente dai contratti assicurativi poliennali.

C’è poi una nuova procedura per la cancellazione delle ipoteche immobiliari e una normache dichiara la nullità delle clausole sulle commissioni di massimo scoperto che non siano parametrate all’utilizzo e alla durata della somma messa a disposizione dalla banca. Sarà abolito il Pubblico Registro Automobilistico con la modifica del regime giuridico di auto e mobili: saranno beni mobili e non più beni mobili registrati. C’è poi la parte delle imprese e dei mestieri. Via, dunque, ai vincoli alla vendita di prodotti accessori e complementari: varrà per i benzinai, ma anche come principio generale. L’apertura di nuovi distributori, ma anche di edicole, cinema, autoscuole, barberie non potrà essere più limitata da vincoli numerici o territoriali. Per avviare l’attività di intermediario commerciale e guida turistica basterà la dichiarazione di inizio attività, come per le imprese di facchinaggio, pulizia e disinfestazione.

Chi produce componenti e ricambi per auto non dovrà più avere l’ok da parte delle case automobilistiche.E per creare nuove imprese scatta la procedura semplificata dichiarazione unica e procedure accentrare in un unico sportello comunale. Prevista, infine, la revoca delle concessioni per la Tav non ancora partite e per le quali non siano state ancora fatte le gare previste dalla legge Merloni.

Mario Sensini

25 gennaio 2007


Da Repubblica 25-1-2007 L'identikit dell'hacker del Duemila. "Ci sono ragazzini che per 5.000 euro attaccano il sito di un'azienda concorrente". di Matteo Tonelli

 

Uno studio analizza il profilo di una figura difficile da catalogare
"L'ultima generazione è molto giovane e non teme le leggi"

"Ci sono ragazzini che per 5.000 euro attaccano il sito di un'azienda concorrente"

ROMA - Il fine ultimo è chiaro: definire le differenze tra hacker "puri" e hackers "criminali". Fornire un quadro dettagliato di un mondo di cui spesso si sa poco e quel poco che si sa è tutt'altro che preciso. Per questo è nato il progetto Hpp-hacker's profiling project. In pratica una delle più grandi ricerche sul mondo hacker fatta fino ad oggi. E' partita con l'invio di un questionario (diffuso attraverso la realizzazione di un sito internet), a circa 600 hackers di tutto il mondo. Un questionario che, pur essendo solo il punto di partenza dello studio, offre però interessanti spunti di discussione. Ne parliamo con uno degli autori, Raoul Chiesa.

Chiesa è stato uno dei primi hacker italiani (fu anche arrestato per l'intrusione nel sistema informatico della Banca d'Italia) e attualmente gestisce una società di sicurezza informatica.

Si può definire una figura di hacker tipo?

"Esattamente come nel "mondo normale", dove ogni persona è differente dall'altra, anche nel mondo dell'hacking ogni hacker è una persona a sé, con i suoi gusti, abitudini, cultura, esperienze, hobby. Ad oggi il progetto Hacker's Profiling ha identificato nove categorie di hacker, ognuna delle quali è spinta da motivazioni differenti, opera verso obiettivi diversi e, soprattutto, rientra in fasce di età e comportamenti nettamente dissimili: Wannabe Lamer (l'incapace), Script Kiddie (il ragazzini degli script), Cracker (il distruttore), Ehical Hacker (l'hacker "etico"), Quiet, Paranoid & Skilled Hacker (l'hacker "paranoico"), Cyber Warrior (il mercenario), Industrial Spy (la spia industriale), Military Hacker (arruolato per combattere "con un computer")".


Che età hanno?

"Si parte dai 9, 10 anni di età delle prime categorie, sino ad arrivare a figure esperte di 40, 50 o 60 anni".

Stando ai dati, perché si diventa hacker?
"La risposta standard è 'per curiosità'. Curiosità di imparare un nuovo sistema operativo, scoprire una nuova vulnerabilità. Volontà di non subire il mezzo informatico ma, anzi, di gestirlo attivamente".

A che età si diventa hacker?

"L'ultima generazione di hacker sta iniziando molto presto, complice l'enorme diffusione di internet e dei personal computer già nell'età prescolare. La precedente generazione iniziava invece all'Università, non essendo presente in quegli anni una diffusione delle telecomunicazioni e dell'informatica com'è invece oggi".

L'hacker è un Robin Hood del 2000 o un criminale?
"Purtroppo l'hacking ha man mano abbandonato, quello spirito gioviale e puro, per sposarsi in alcuni casi, che aumentano però oramai quotidianamente, con la criminalità. Questo significa che oggi, a differenza di anni fa, è possibile assoldare hacker, per scopi ed obiettivi ovviamente illegali: spionaggio industriale, furto di credenziali di accesso bancarie o identità personale, danneggiamento di sistemi informativi e così via. Resiste, per fortuna, lo spirito hacker iniziale, grazie al quale sono proprio gli ethical hacker a scoprire vulnerabilita', frodi e truffe che potrebbero colpire l'utene ignaro e che, invece, vengono scoperte e denunciate da coloro che hanno deciso di utilizzare la propria conoscenza per fini benevoli".

Etica hacker? Che significa?
"In principio, l'etica hacker di base consisteva in una serie di regole chiare e semplici: non danneggiare i sistemi informativi che attacchi, non danneggiare economicamente l'utenza privata, rispetta il sistema
operativo e le reti che violi, non mischiare l'hacking con il denaro e la politica. Nel corso degli anni queste regole hanno subito delle variazioni, sono diventante più "elastiche" da un lato, e meno restrittive dall'altro. Si sono anche scontrate con l'evoluzione della tecnologia e dei mercati, oltre che con le sempre più pressanti richieste della criminalità organizzata, nazionale ed internazionale. Oggi ci si può trovare di fronte a 15enni che, senza batter ciglio, accettano 5.000 euro in contanti per attaccare il sito di un'azienda concorrente, ed allo pseudo hacker "etico", che in realtà non lo è, a rubare informazioni per cifre di poco superiori, come si legge sui giornali. Siamo quindi di fronte a problematiche serie, dove solo l'etica può fare l'effettiva differenza tra il serio professionista e coloro che hanno deciso di sposare la criminalità".

Dal questionario viene fuori che non temono le conseguenze legali: ma che rischi si corrono realmente?
"Un dato veramente particolare è quello relativo alle legislazioni anti computer-crime. Queste leggi, oramai, sono presenti nella maggior parte dei paesi del mondo eppure, abbiamo visto come per nessun hacker queste leggi comportino un "blocco", una sorta di effetto deterrente. Questo nonostante l'asprezza, nella maggior parte dei paesi, di queste leggi: in Italia si richia da un minimo di due o tre anni, unitamente al pagamento di salate multe; negli Usa si può addirittura richiare il divieto di utilizzare computer ed internet per un certo periodo; in altri paesi ancora, come la Cina o Singapore, vi sono punizioni corporali ed, in alcuni casi, la pena di morte. Quello che è incredibile è proprio il fatto che, nonostante queste dure legislazioni, hacker di tutto il mondo continuino a fare hacking, consapevoli dei rischi, certo ma, quasi in una sorta di "estasi e dipendenza da droga" (Hacking Addiction, ovverosia dipendenza dall'hacking) dalla quale non riescono a staccarsi".

Prende piede una nuova figura di hacker, quelli militari? Di che si tratta?
"Il Military Hacker ha visto la luce durante la prima Guerra del Golfo, agli inizi degli anni '90. Questo in quanto i governi di vari paesi (USA, Korea del Nord e del Sud, Cina) e la nascente minaccia del terrorismo hanno iniziato una compagna di Information WarFare, "guerra dell'informazione". Oggi le guerre sono sempre più combattute con il supporto della tecnologia, ed oggi più che mai "l'informazione significa potere", come affermano da sempre gli hacker. E' stato quindi naturale vedere la nascita di queste unità speciali, dove spesso troviamo ex-hacker, legalmente arruolati all'interno di corpi speciali di stampo militare".

 


Dal Sole 24 Ore 24-1-2007 Allarme derivati a Davos da economisti e top manager: mercati più vulnerabili

Contratti per 370mila miliardi di dollari, con un incremento del 24%, il più significativo negli ultimi otto anni, soltanto nei primi sei mesi del 2006. Un giro d'affari quello dei prodotti finanziari derivati - come opzioni, futures e swap (operazioni di permuta) utilizzando azioni o obbligazioni corporate che puntano a sfruttare al massimo la capacità d'indebitamento delle imprese - che ha fatto la fortuna delle grandi banche d'investimenti come i colossi del settore, le americane Goldman Sachs e Morgan Stanley. Una massa di soldi che spaventa economisti e top manager riuniti a Davos, in Svizzera, in occasione del World Economic Forum al via da oggi e che si conclude domenica 28 gennaio. L'allarme lanciato è chiaro: la domanda impetuosa di derivati sta rendendo i mercati finanziari più vulnerabili ad ogni rallentamento dell'economia mondiale. «Ottenere liquidità sul mercato - ha osservato il vicepresidente di Bank of China Zhu Min - è facile e veloce in qualsiasi momento. Davvero non possiamo calcolarne i rischi». Una preoccupazione che di recente è stata condivisa anche dalla Banca centrale europea guidata da Jean-Claude Trichet. Eppure la percezione dei rischi da parte degli investitori è ai minimi storici. Uno dei segnali è anche il sempre più disinvolto ricorso al debito per finanziare i buy-out (acquisizioni), che in Europa ha superato di quasi nove volte il valore dei profitti, record di sempre. «Stanno certamente aumentando i rischi di sistema, anche se non sappiamo se i derivati li stiano maggiormente diffondendo o concentrando».

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Da Il Sole 24 Ore 24-1-2007 La Ue boccia gli aiuti 2004 e 2005 ai decoder: agli operatori l'onere del rimborso di Nicoletta Cottone

La Commissione europea ha bocciato gli aiuti ai decoder per la televisione digitale terrestre (Dvb-T) decisi dal governo Berlusconi nel 2004 e 2005 e ha dato il via libera a quelli per il 2006, destinati a tutti i set-top-box, a prescindere dalla piattaforma di trasmissione. Confermata, dunque, la notizia resa nota informalmente nei giorni scorsi. La Commissione ha, inoltre, stabilito che saranno i radiodiffusori che hanno beneficiato dei 200 milioni di euro di sussidi a dover rimborsare gli aiuti di Stato. Secondo il commissario europeo alla concorrenza Neelie Kroes i radiodiffusori non erano, infatti, neutri sul piano tecnologico e falsavano la concorrenza escludendo la radiodiffusione televisiva via satellite.

Con lo stesso metro di giudizio, invece, hanno ottenuto semaforo verde gli aiuti concessi nel 2006 ai consumatori sardi e valdostani per l'acquisto di decoder a prescindere dalla piattaforma di trasmissione utilizzata e proporzionali all'obiettivo perseguito, vale a dire il passaggio al digitale e all'interattività. La decisione è conseguenza della denuncia ai servizi della concorrenza di Bruxelles da parte delle reti televisive che trasmettono via etere e via satellite. D'altra parte analoga strategia era stata adottata in un caso precedente nel Berlin-Brandebourg.

«Queste due decisioni - sottolinea il commissario alla concorrenza Neelie Kroes - mostrano una volta di più che la Commissione si adopera per facilitare il passaggio alla Tv numerica e all'interattività. Ma gli aiuti pubblici destinati a raggiungere questi obiettivi possono essere concessi se conformi alle regole sugli aiuti di stato. Al contrario non è disposta ad accettarli se falsano indebitamente la concorrenza tra le piattaforme di trasmissione».

Ora il DGTVi (che associa Rai, Mediaset, Telecom Italia Media, DFree-Sportitalia e tutte le emittenti locali) ritiene opportuno che, prima di varare il decreto per la detraibilità fiscale dell'acquisto di televisori integrati con un ricevitore digitale, prevista dalla Finanziaria per il 2007, il ministero verifichi con la Commissione europea le caratteristiche minime che devono avere gli apparecchi. In questo modo - sottolinea una nota di Dgtvi - si potrà evitare di finanziare televisori destinati ad essere rapidamente superati dall'evoluzione tecnologica e persino più poveri di prestazioni e servizi di quelli già attualmente presenti.

Invia una emailnicoletta.cottone@ilsole24ore.com


Da http://italy.usembassy.gov/viewer/   Cautela da parte del Ministero del Tesoro americano sul programma di raccolta dei dati finanziari dei terroristi, 22 gennaio 2007 a cura di Jaroslaw Anders  Corrispondente USINFO

TRADUZIONE INFORMALE, DA NON CONSIDERARE COME TESTO UFFICIALE

 (Necessità di ulteriori analisi sul costo-beneficio)

Washington -- Il Ministero del Tesoro degli Stati Uniti ha dichiarato che una raccolta massiccia di dati relativi ai trasferimenti elettronici di fondi oltre confine è tecnicamente possibile, e potrebbe contribuire ad individuare i finanziamenti dei terroristi; tuttavia, essa richiede più tempo per essere realizzata, ed un’analisi più accurata dei costi che le istituzioni dovranno sostenere.

La Riforma dell’Intelligence ed il Decreto sulla Prevenzione del Terrorismo del 2004 ( Intelligence Reform and Terrorism Prevention Act ), stabiliscono che sia il segretario al tesoro a decidere sulla necessità e la fattibilità di dichiarare tali trasferimenti.

Un possibile intervento richiederebbe che tutti i trasferimenti oltre confine, al di sopra di un determinato importo, venissero dichiarati al FinCen, Financial Crimes Enforcement Network , agenzia governativa del Ministero del Tesoro che si occupa di prevenire il riciclaggio del denaro sporco. Il Ministero stima che tale provvedimento farebbe affluire circa mezzo miliardo di relazioni finanziarie ogni anno.

In un rapporto presentato al Congresso il 17 gennaio scorso, il Ministero del Tesoro ha affermato che occorreranno circa 3 anni e mezzo per il completamento del sistema di raccolta dati, ed il costo si aggirerà intorno ai 32,6 milioni di dollari. Tale rapporto ha inoltre sollevato una serie di problematiche che devono essere analizzate, come ad esempio i costi che graveranno sulle istituzioni finanziarie e le agenzie americane, e la capacità del governo di utilizzare questi dati in modo efficace.

Il rapporto mette in evidenza anche le possibili ripercussioni negative del programma sulle transazioni mondiali in dollari, ivi inclusi: uno spostamento dalla moneta americana ad altre valute, la creazione di un meccanismo per rendere trasparenti le transazioni in dollari fuori dagli Stati Uniti, e l’interferenza con le operazioni dei sistemi centrali di pagamento.

Il programma proposto sulla raccolta dati è stato criticato dalle organizzazioni per i diritti umani e da alcuni funzionari europei, che lo considerano una potenziale violazione della privacy. Anche la comunità bancaria si è opposta, in quanto ritiene che il programma proposto sia gravoso ed invasivo.

“Il nostro attuale programma di anti-riciclaggio di danaro soffre già di un sovraccarico di dati inutili - con oltre 14 milioni di relazioni presentate nel 2006”, secondo quanto affermato pubblicamente da Wayne Abernathy, direttore esecutivo della politica delle istituzioni finanziarie presso l’Associazione dei Banchieri Americani (American Bankers Association). Nella dichiarazione si fa richiesta di “politiche più efficaci per combattere il crimine finanziario, attraverso programmi specifici che forniscano materialmente informazioni utili, piuttosto che impegnare risorse significative in un nuovo e massiccio esercizio di raccolta dati”.

Secondo quanto dichiarato nel rapporto stesso, se un tale sistema fosse implementato, il governo degli Stati Uniti dovrebbe imporre limiti severi sul suo impiego e sulla ridivulgazione dei dati forniti alle forze dell’ordine, alle agenzie regolatorie ed alle sue controparti straniere. Dovrebbe, inoltre, controllare più da vicino le persone e le organizzazioni che hanno accesso a tali dati.

Tuttavia, il rapporto raccomanda un processo a più ampio raggio, nel corso del quale le autorità finanziarie americane devono impegnarsi in un’analisi del costo-beneficio insieme a forze dell’ordine, agenzie regolatorie e di intelligence, rappresentanti dei servizi finanziari degli Stati Uniti e dei paesi stranieri.

Il testo completo ( http://www.fincen.gov/cross_border/index.html ) sulla Fattibilità del Sistema di Rapporto Relativo al Trasferimento Elettronico di Fondi Oltre Confine (Feasibility of a Cross-Border Electronic Funds Transfer Reporting System) nell’ambito del Decreto sulla Segretezza Bancaria (Bank Secrecy Act) , può essere visionato sul sito web del Dipartimento di Stato.


 

 

 

Dal Corriere della Sera 24-1-2007 La partita quasi impossibile di Bush  di Alberto Ronchey

 

Bagdad 2007, l'ultima prova

Sulle sorti dell'Iraq, ancora i pareri saranno a lungo discordi se consideriamo l'esperienza degli ultimi anni. Dopo la caduta di Saddam Hussein, dal 2003, nessun tentativo ha potuto reprimere le conflittualità irachene. Inefficaci le periodiche offensive contro il terrorismo di al-Qaeda, o contro la guerriglia cronicizzata nel «triangolo sunnita» e quella delle milizie sciite filo-iraniane dell'imam ribelle Moqtada al-Sadr. Impotenti le operazioni rivolte a sedare i feroci scontri etnico- religiosi e tribali.
Non è stato affatto risolutivo il referendum dell'ottobre 2005 sulla Costituzione, seguito dall'elezione del primo Parlamento. Vana risulta l'amnistia promessa per i rivoltosi «non terroristi» dal governo di al-Maliki. E malgrado l'eliminazione dello stratega di al-Qaeda operante sul territorio iracheno, al-Zarqawi, l'Onu stima che solo nel 2006 i civili uccisi nelle disparate conflittualità siano stati 34.452, mentre le stragi continuano.
George Bush, a questo punto, ha deciso l'invio di altri 21.500 soldati a Bagdad, respingendo i cauti consigli dell'Iraq Study Group presieduto da James Baker. Ha contro i pareri prevalenti al Senato e alla Camera, oltreché la maggioranza dell'opinione pubblica. Può insistere, anzi già procede quale «comandante in capo delle forze armate», ma sfida i legislatori arbitri degli stanziamenti militari, anche se non è facile negare mezzi di vitale necessità per i soldati sul campo.
Fra i collaboratori del presidente non si parla dell'inizio di un'escalation, formula che rievoca le sventure degli anni '60-'70 nel Vietnam, bensì di surge, impulso. Con quale scopo? Controllare anzitutto Bagdad fuori dalla Green Zone, l'area di massima sicurezza presidiata finora, e la provincia di Anbar dominata tuttora dagli «squadroni della morte» baathisti. Ma Bagdad si estende per oltre 20 chilometri sulle rive del Tigri. Fino al 2003, i suoi abitanti risultavano 5 milioni e 750 mila. Distruggere Bagdad, o sottometterla come ai tempi di Hulagu Khan e peggio di Tamerlano, è inconcepibile. Dunque non rimane che affrontare guerriglieri e terroristi shahid fra meandri e labirinti sotterranei, da una casbah all'altra. Impresa temeraria, sia pure mobilitando anche gli agguerriti peshmerga
curdi, o le truppe saudite disponibili a contrastare l'influenza iraniana. Fra gli stessi amici e seguaci di Bush, affiorano dubbi e obiezioni. Persino Daniel Pipes, fondatore del Middle East Forum, ha commentato: «Sono scettico sull'esito del nuovo corso... Mi auguro che abbia successo, anche se non mi convince».
Bush ricorre all'ultima prova, definita in America un azzardo senza forze sufficienti. Ma non può ammettere che l'intervento militare in Iraq, già dal principio, sia stato un errore dovuto in gran parte all'inadeguata comprensione dei caratteri e costumi bellicosi nel contesto geopolitico della composita e turbolenta società. O non lo pensa nemmeno. E quando riconosce «alcuni errori», non pare che sia di quello che sta parlando. Non vuole né ormai può decidere un prossimo disimpegno, lasciando l'Iraq alla guerra di spartizione tra sciiti, sunniti, curdi, e all'invadenza dell'Iran. Come avverte a Londra il conservatore
Daily Telegraph: «Qui si gioca tutto». Fra l'altro, ancora pericoloso rimane dietro l'Iraq il terreno d'occupazione dell'Afghanistan, laddove fra Kabul e Kandahar lo stesso presidente Hamid Karzai mette in pericolo quotidiano la propria vita dinanzi alla guerriglia talebana di ritorno.

24 gennaio 2007


 

 

 

Da Repubblica 24-1-2007  Ue, decoder: "Aiuti 2004-05 illegittimi Le emittenti provvedano ai rimborsi"

Per la commissaria alla Concorrenza Kroes i sussidi "non sono
tecnologicamente neutri" dato che escludono il satellitare

Corretti invece i contributi concessi nel 2006 ai consumatori sardi e valdostani

 


BRUXELLES - Gli aiuti all'acquisto di decoder per il digitale terrestre sono illegittimi sotto il profilo della concorrenza. Lo ha stabilito la Commissione Europea, che ha anche deciso che saranno le emittenti televisive che ne hanno beneficiato a dover rimborsare quanto ricevuto. Legali invece i sussidi concessi nel 2006 in quanto "tecnologicamente neutri". La decisione era piuttosto scontata, dal momento che stata
anticipata qualche giorno fa.

I sussidi dichiarati illegittimi corrispondono a 200 milioni di euro. "I sussidi concessi nel 2004 e nel 2005 - si legge in una nota diffusa dalla commissaria europea della Concorrenza Neelie Kroes - sono incompatibili con le regole degli aiuti di stato in quanto non sono tecnologicamente neutri e creano una indebita distorsione della concorrenza escludendo la tecnologia satellitare. La Commissione ha deciso che le emittenti che hanno beneficiato maggiormente dei sussidi dovrebbero rimborsare gli aiuti di Stato". Il che significa che Rai e Mediaset dovranno accollarsi l'onere dei rimborsi.


Invece gli aiuti concessi nel 2006 ai consumatori sardi e valdostani riguardavano l'acquisto di decoder a prescindere dalla piattaforma di trasmissione utilizzata, e pertanto si configurano come legittimi e "proporzionali all'obiettivo perseguito", vale a dire il passaggio al digitale ed all'interattività.

Erano state proprio le reti televisive che trasmettono via etere e via satellite, secondo quanto si legge in una nota della Commissione Europea, a presentare regolare denuncia ai servizi della concorrenza di Bruxelles. Una linea analoga era già stata seguita in un caso precedente in Germania.

"Queste due decisioni mostrano una volta di più che la Commissione si adopera per facilitare il passaggio alla TV numerica ed all'interattività - commenta Neelie Kroes secondo quanto si legge nella nota - Ma gli aiuti pubblici destinati a raggiungere questi obiettivi possono essere concessi se conformi alle regole sugli aiuti di stato. Al contrario non è disposta ad accettarli se falsano indebitamente la concorrenza tra le piattaforme di trasmissione".

(24 gennaio 2007)

 

 


 

 

Dal Corriere della Sera 23-1-2007  Medici Finanziaria: stop a congressi. Licenziamenti

Coinvolte complessivamente mille aziende

 

Sono 5mila i posti di lavori che andranno persi secondo le associazioni di categoria. Perso un quarto del fatturato

 

ROMA - Cinque mila posti di lavoro persi nel segmento dei congressi medico-scientifici a causa dei tagli in Finanziaria. Lo sottolinea Federcongressi ricordando che dallo scorso ottobre il settore legato agli eventi medico-scientifici sta subendo perdite significative. «Questo è il risultato ad alto impatto sociale della situazione di stallo provocata - si legge in una nota di Federcongressi, la federazione delle associazioni del congressuale e dell'incentive, che rappresenta, attraverso le cinque associazioni-socie, più di mille aziende operanti in tutti i comparti del settore - dalla normativa riguardante la formazione continua in medicina e dal blocco delle sponsorizzazioni congressuali in vigore dal 1' di gennaio 2007. Blocco adottato dalle associazioni industriali del mondo del farmaco (Farmindustria ed Assobiomedica) come risposta alla Finanziaria ed al taglio del prezzo dei farmaci».

PERDITE - A conclusione del primo trimestre del 2007, l'82 per cento delle aziende perderà fino a cinque congressi medico-scientifici con oltre 100 partecipanti; l'86 per cento delle aziende perderà fino a 10 corsi di aggiornamento accreditati ECM; il 71 per cento delle aziende stima un calo del fatturato fino ad un quarto del totale annuo; l'86 per cento delle aziende sarà costretta a rinunciare fino a quattro collaboratori; nel 40 per cento dei casi i tagli colpiranno in particolare la fascia di lavoratori a tempo determinato. «Questi numeri - afferma Adolfo Parodi, presidente di Federcongressi - purtroppo confermano le nostre peggiori aspettative. Non più di un mese e mezzo fa attraverso i mass media abbiamo annunciato il rischio di un calo di fatturato nel 2007 valutabile in circa 6 miliardi di euro, qualora la situazione non si sblocchi. Oggi le nostre previsioni si stanno traducendo nella perdita reale di posti di lavoro. E solo una pronta e definitiva soluzione ai problemi che da tempo, purtroppo invano, abbiamo segnalato permetterà un ritorno del settore ai livelli di occupazione e fatturato del periodo pre-crisi».

23 gennaio 2007

 

 


 

 

 

Inserimenti  del  24-1-2007


 

INDICE 24-1-2007

Da La Repubblica 24-1-2007 Ecco le nuove liberalizzazioni. Quattro i capitoli: consumatori, libertà d'impresa, semplificazioni e authority di LUCA IEZZI 1

Da La Repubblica 24-1-2007 Il tardivo ecologista di VITTORIO ZUCCONI 2

Da La Stampa 24-1-2007 Mastella. "Tutti i processi finiranno in 5 anni" GIGI PADOVANI 4

Da Il Sole 24 Ore 23-1-2007 La strategia contro l'evasione: controlli sui grandi redditi e piani mirati sugli immobili di NICOLETTA COTTONE  5

Da Il Sole 24 Ore 23-1-2007 Indagine Mediobanca: Italia a due velocità nei servizi pubblici, ricavi boom da acqua e rifiuti AL.AN. 5

 

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Da La Repubblica 24-1-2007 Ecco le nuove liberalizzazioni. Quattro i capitoli: consumatori, libertà d'impresa, semplificazioni e authority di LUCA IEZZI

Pronto il pacchetto di provvedimenti per il Consiglio
dei ministri di domani. Riforma anche per le authority

 

 

ROMA - Il testo, o meglio i testi, sono pronti. "Giovedì cominceremo ad affrontare il problema" ha confermato il ministro per lo Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, che ieri ha illustrato anche al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, i temi del ddl. "Sui tempi serve una valutazione collegiale, deciderà Palazzo Chigi" ha precisato rimandando ogni decisione al Consiglio dei ministri di domani. Qualche difficoltà politica rimane, come dimostra la minaccia del ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, di non votare "al buio" provvedimenti che non sono stati portati al pre-consiglio di ieri.

In realtà tra i ministri le bozze stanno circolando e nelle ultime ore il lungo lavoro sui contenuti ha assunto anche una fisionomia d'insieme: "Più che un singolo provvedimento, stiamo cercando di lavorare perché passi l'idea che il paese deve cambiare, con tranquillità" chiarisce Bersani.

Il pacchetto complessivo si struttura su quattro punti: salvaguardia del cittadino-consumatore, libertà d'impresa, semplificazione amministrativa e intervento di riorganizzazione delle Authority. Anche se va ricordato che si tratterà di una prima bozza e le modifiche, anche sostanziali, sono date per scontate.

Il primo punto è il cuore del ddl con una serie di micro-interventi sui vari settori: benzinai, tabaccai, parrucchieri, edicole, cinema. L'idea di fondo è eliminare ogni vincolo quantitativo o divieto di apertura di un'attività che non sia giustificato da interesse pubblico o da motivi di sicurezza. Per cui via alle distanze minime tra esercizi dello stesso tipo, eliminati i quozienti che definiscono il numero di cinema in base ai residenti, così come i vincoli per vendere sigarette o giornali. Stessa filosofia per gli orari e giorni di apertura (il classico caso dei parrucchieri). A questo si aggiunge anche il preannunciato taglio della commissione fissa nelle ricariche telefoniche su cui è già a lavoro l'Autorità per le comunicazioni.

Alla libertà d'impresa invece sarà dedicato l'unico decreto legge. Per rendere concreto lo slogan "Un'impresa in un giorno" verranno tagliati tempi, certificazioni, adempimenti notarili necessari per poter aprire una nuova azienda. Si aggiungono proposte del viceministro per l'Economia, Vincenzo Visco, di incentivi fiscali per chi migliora la patrimonializzazione e per chi apre il capitale a nuovi soci.

La semplificazione punta a "disboscare" le leggi che limitano la libertà d'impresa come le autorizzazioni obbligatorie per aprire una scuola guida o per diventare una guida turistica o agente immobiliare. L'idea è di limitarsi a verificare requisiti professionali piuttosto che vincolare l'accesso alle meccaniche tipiche degli ordini professionali. In discussione anche l'abolizione del Pra (pubblico registro automobilistico).

Infine Palazzo Chigi ha preparato un altro ddl che riorganizza le Autorità indipendenti con la nascita dell'Autorità dei trasporti. Inoltre quella sull'Energia si occuperà anche di acqua e rifiuti, mentre l'Isvap (assicurazioni) sparirà per essere assorbita dalla Consob e la Covip (fondi pensione) lascerà le sue competenze alla Banca d'Italia.


 

Da La Repubblica 24-1-2007 Il tardivo ecologista di VITTORIO ZUCCONI


Ascoltare il Presidente Bush parlare a una nazione che non lo ascolta più, significava assistere a due formidabili drammi racchiusi uno dentro l'altro, al dramma di un uomo sconfitto che sta trascinando nel suo mesto finale una grande democrazia senza più timoniere credibile.

Questo penultimo discorso annuale sullo Stato dell'Unione è stato un discorso sullo Stato del Presidente e le notizie non sono buone. Soltanto Nixon prima di lui era salito sul podio del Senato con un indice di popolarità collassato al 28% e a questi livelli di ostilità si apre sempre il rischio che i due drammi si fondano e il disastro di un presidente divenga il discredito dell'istituzione che lui incarna.

I ricercatori d'opinione e i parlamentari del suo stesso partito repubblicano in pieno ammutinamento da "si salvi chi può", indicano naturalmente nella "Campagna d'Iraq" la causa prima di questa impopolarità e di questa sua irrilevanza. È ovvio che sia così, perché il pubblico americano è sempre generosamente pronto a raccogliersi attorno alla bandiera, ma anche spietato con chi ha barato al gioco del patriottismo.

Ma la guerra in Iraq, che ora il nuovo generale Petraeus dovrebbe fingere di vincere per consentire una dignitosa ritirata e non una rotta all'esercito imperiale, è soltanto una componente del collasso di questa presidenza. È stato l'effetto catastrofico di una cultura di governo che aveva fatto della polarizzazione ideologica e del manicheismo trasportato su scala internazionale, la propria forza e che ora viene ripagata della stessa moneta, incapace di divincolarsi dalle manette che si è messa ai polsi, secondo il classico difetto delle ideologie e dei regimi che risolvono tutti i problemi meno il principale cioè loro stessi.


Il Bush che parlava dal podio del Senato, nel dettato costituzionale che dal 1790 obbliga il capo dello Stato a fare rapporto alla nazione, non era più un presidente di destra o di sinistra, un repubblicano o un democratico. Era semplicemente un uomo non più credibile, qualcuno che ha raggiunto dopo troppe panzane il "tipping point", secondo la definizione di Malcolm Gladwell del "New Yorker", il punto nel quale l'equilibrio statico cambia e le cose precipitano a velocità terminale verso il meglio o il peggio. Niente di quanto lui ha annunciato come le ultime, grandi iniziative della sua presidenza per dare ancora l'impressione di essere all'offensiva, diventerà legge, davanti a un Parlamento dove ogni proposta della Casa Bianca è "Doa", si dice oggi, "dead on arrival", arriva già morta all'ospedale.

Scoprire improvvisamente tutto ciò che fino a ieri veniva deriso o marginalizzato di fronte all'imperativo onnivoro della "Guerra al Terrore", cioè della campagna d'Iraq, per strappare qualche dissidente alla maggioranza democratica, sa di "perestrojka" gorbacioviana, troppo poco e troppo tardi, anche se fosse sincero. La ammissione della minaccia del surriscaldamento della Terra sarebbe stata credibile sei o sette anni or sono, quando invece questa amministrazione stracciò con scherno quel Trattato di Kyoto che aveva almeno accettato il principio della nostra responsabilità nei mutamenti di clima.

La tragedia dei costi astronomici per la salute, che saranno la punta di lancia della campagna dei democratici, della Clinton e di Obama, per la Casa Bianca 2008, viene improvvisamente scoperta da Bush, che propone come soluzione la detraibilità fiscale delle polizze, ignorando che per 46 milioni di americani è il reddito, non il fisco, che non permette di pagarsi una polizza. E al miracolo della mini escalation militare in Iraq, sembra non credere neppure il generale chiamato a compierlo, Petraeus, che ha promesso al Parlamento di "ammettere pubblicamente se la strategia nuova non avrà efficacia". Sarebbe una novità sensazionale, dopo quattro anni di "missione compiuta".

Ma se gli avversari e i critici di Bush, che spuntano come topi dalla nave che affonda, gongolano, il dramma maggiore non è la caduta di una stella politica e la delusione che ha scavato il volto di un uomo che sa di essere stato sconfitto da se stesso e porta i segni della durezza di questi anni.

Il dramma è quello del cuore vuoto, di una Casa Bianca allo sbando ma pur sempre centrale, chiamata, dalla costituzione, a essere il motore che regge l'organismo istituzionale e nazionale. Il lusso di un "presidente inesistente", di un comandante in capo disfunzionale e irrilevante, è qualcosa che l'America, una democrazia presidenziale e non parlamentare, non può permettersi a lungo senza che l'intero organismo ne soffra. La democrazia americana non tollera "presidenticchi" come Bush sta diventando.

Né l'opposizione, anche se maggioranza come oggi è, può divenire la fonte di decisioni politiche alternative, una sorta di "presidenza ombra". Senato e Camera possono opporsi, modificare, fare rumore, chiudere i cordoni della borsa, ma non possono, perché non devono, sostituirsi all'esecutivo con strategie e piani. I democratici non hanno proposte alternative perché non spetta a loro avanzarle, né hanno alcun interesse politico ad "adottare" la guerra in Iraq che è e deve rimanere per loro, la guerra di Bush.

Questo dramma della "Casa Vuota", della voce ridotta a parlare al deserto da un pulpito screditato è ciò che spinse, nel 1974, i "grandi vecchi" del partito repubblicano, guidati da Barry Goldwater, a marciare nello studio Ovale per spiegare a Nixon che era suo dovere andarsene, per salvare l'America. Ma i Goldwater non ci sono più e alle spalle di Bush non c'è il placido, ragionevole e ora rimpianto Gerald Ford. C'è Dick Cheney, l'anima peggiore di questa Casa Bianca che si dice sogni l'attacco all'Iran per distrarre lo sguardo dall'Iraq e chiudere questo dramma in un tragico crepuscolo finale degli dei sconfitti.


(24 gennaio 2007)

 


 

Da La Stampa 24-1-2007 Mastella. "Tutti i processi finiranno in 5 anni" GIGI PADOVANI

 

 

24/1/2007 (7:44) - IL MINISTRO PRESENTA IN PARLAMENTO LA SUA RELAZIONE CON UN OBIETTIVO AMBIZIOSO

 

Progetto di Mastella per cambiare la giustizia. I Magistrati: ma oggi è impossibile

ROMA
Sarà fatta giustizia in cinque anni, parola di Guardasigilli. Se i cittadini possono incominciare a sperare, i magistrati, per bocca del segretario della loro associazione, Nello Rossi, non ci credono e «bocciano» il «timing» molto stretto che sarà contenuto nella prossima riforma come «difficilmente praticabile». Per lo meno, il ministro Clemente Mastella ci prova e ieri alla Camera ha annunciato, in una relazione al Parlamento che oggi sarà replicata in Senato, le linee guida della sua azione per il 2007. Secondo un sistema in auge nelle giustizia francese, Mastella ritiene che si debba fissare una «udienza di programmazione» all’inizio del dibattito per stabilire i tempi. Sia nel civile sia nel penale non potranno superare i 5 anni: due per il primo grado, due per il secondo e uno per la Cassazione.

E’ la vera novità contenuta nella relazione di Mastella, che con terminologia calcistica ha ammonito la difesa a «non fare melina» per arrivare alla prescrizione. A Montecitorio la sua relazione è stata ascoltata da appena una trentina di deputati, così che la leghista Carolina Lussana ha detto con sarcasmo: la maggioranza ha relegato l’intervento del Guardasigilli «in un giorno e in un orario in cui i parlamentari non sono ancora arrivati a Roma». Il piano di riforma è comunque ambizioso e su di esso il ministro chiede un dialogo con l’opposizione, perché sostiene di avere come «stella polare» soltanto il bene del cittadino. Così Mastella ha accolto nel dibattito le osservazioni di Forza Italia e ha anche incassato il consenso del presidente dell’Unione Camere Penali, Oreste Dominioni.

Il piano del Guardasigilli riguarda dunque diversi aspetti, oltre la durata del processo: le ferie, il no alla separazione delle carriere, le carriere dei magistrati, la ex Cirielli e il patteggiamento. Il «piano straordinario per la giustizia» presentato da Mastella è basato su una serie di dati molto pesanti sulle giacenze troppo lunghe nei tribunali. «Una sentenza che arriva tardi - ha detto il ministro -, anche se giusta finisce per essere ingiusta». A Roma un processo medio iscritto in primo grado ha un tempo di giacenza di 30 mesi, a Messina si arriva a 52. Per il penale, la giacenza media è di 622 giorni prima del dibattimento. Nelle Corti di appello si va dai 230-250 giorni di Palermo o Potenza ai 1200 di Ancona e Venezia. Tra i punti sui quali il Guardasigilli vuole intervenire ci sono anche le cosiddette «leggi ad personam» varate dal governo Berlusconi: falso in bilancio ed «ex Cirielli». Da capogiro le cifre spese per intercettazioni telefoniche: in quattro anni, dal 2003 al 2006, sono 1,3 miliardi di euro. Mastella si è riproposto di ridurre da 166 a 26 i punti di ascolto e uniformare le tariffe.

Contrastanti le reazioni in Parlamento. La Cdl spara ad alzo zero, con Erminia Mazzoni (vicesegretario Udc) che definisce «insufficiente» la relazione e Giuseppe Consolo (An) che bolla come «fallimentare» il bilancio del governo sulla giustizia. Dalla maggioranza Alessandro Maran e Pierluigi Mantini (Ulivo) sottolineano invece il «cambio di rotta». L’Anm, l’Associazione dei magistrati, regala un giudizio positivo, anche se i giudici rimangono convinti che i tempi del processo dipendano da eventi indipendenti dal loro impegno e chiedono quindi snellimento delle procedure, con più mezzi e personale.


Da Il Sole 24 Ore 23-1-2007 La strategia contro l'evasione: controlli sui grandi redditi e piani mirati sugli immobili di Nicoletta Cottone

Dall'Agenzia delle entrate arrivano le prime linee guida per la prevenzione e il contrasto dell'evasione fiscale. Le istruzioni arrivano con la circolare n. 2 del 2007, che ha lo scopo di dettare gli indirizzi per far emergere le posizioni soggettive interessate da fenomeni evasivi e fraudolenti legati a residenze fittizie all'estero e a omesse dichiarazioni dei redditi e dell'Iva. Fra le novità un impegno straordinario nelle verifiche territoriali mirate, con 200mila ore riservate a stanare l'evasione e l'elusione con interventi strutturati a livello regionale e nazionale.
Si intensificano e diventano più specifici i controlli su soggetti con volumi d'affari o compensi superiori ai 25 milioni 822mila 845 euro. Si tratta di circa 10mila soggetti distribuiti in tutto il Belpaese. Piani mirati di accertamento interesseranno il settore immobiliare, dove si nascondono categorie a maggior rischio di economia sommersa. Si rafforza, inoltre, il contrasto alle frodi Iva, in particolare quelle intracomunitarie: l'azione di intelligence interessa soprattutto chi apre nuove partite Iva e presenta elevati indici di pericolosità.

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Da Il Sole 24 Ore 23-1-2007 Indagine Mediobanca: Italia a due velocità nei servizi pubblici, ricavi boom da acqua e rifiuti Al.An.

 

 

La presentazione della ricerca Mediobanca-Civicum

 

 

Due Italie, ancora una volta. Accade nei servizi pubblici locali, più efficienti e virtuosi nel Nord Italia, mentre il Sud arranca e mostra difficoltà che si traducono in un maggior aggravio economico e disagi per i cittadini meridionali. L'immagine di un'Italia divisa anche in questo settore emerge dall'edizione 2007 della ricerca «Costi, qualità ed efficienza delle società controllate dai maggiori comuni italiani», promossa dalla Fondazione Civicum e realizzata dall'ufficio studi di Mediobanca. L'indagine, che prende in considerazione il triennio 2003-2005, ha riguardato 37 società, 22 delle quali controllate dai Comuni di Roma, Milano, Torino, Napoli, Brescia e Bologna.

Costi operativi e investimenti in crescita. Il punto debole dell'intero sistema, per il quale il processo di liberalizzazione non è sostanzialmente decollato, era e resta l'efficienza. I costi operativi unitari sono cresciuti in tutti i settori, non sempre compensati da maggiori ricavi, anche come effetto delle dinamiche monetarie e dei volumi di offerta sviluppati: +15% nel settore idrico, +5,9% nel settore dell'igiene ambientale, + 5% nel trasporto pubblico e +2,7% nell'aeroportuale. Gli investimenti unitari sono aumentati nel triennio del 21% nel settore idrico, del 9,5% nel trasporto pubblico, del 3,3% nell'igiene ambientale e di ben il 44,8% negli aeroporti.

Energia, costi e ricavi allineati. Da Asm Brescia forniture più continue. Nel settore energetico generazione e distribuzione sono i settori con un rapporto più favorevole tra costi operativi e ricavi unitari e dunque i più redditizi, mentre la vendita, aperta alla concorrenza, presenta una maggiore vicinanza tra costi e ricavi e appare il segmento meno remunerativo. Gli operatori mostrano valori di costo e ricavo unitario sostanzialmente allineati e solo i gestori di grandi reti (Enel ed Italgas) hanno incidenze dei costi sui ricavi particolarmente contenute. Asm Brescia è la società con i migliori indici di continuità nella fornitura di energia elettrica (solo 11 minuti di interruzioni medie per cliente nel 2005), mentre le situazioni peggiori si sono verificate a Roma e Napoli (60 e 68 minuti rispettivamente).

Acqua: Milano spreca poco, nel settore ricavi +9,7%. In campo idrico, l'Acquedotto pugliese (Aqp) è risultato la rete più "colabrodo", con la percentuale maggiore di dispersione idrica, pari al 49,1% di acqua immessa e non fatturata, a cui si è contrapposta la milanese MM con una quota di perdite pari all'11,3% (in aumento rispetto all'8,6% del 2003). Il settore idrico, si diceva, è anche quello che nel triennio preso in esame ha visto il maggiore incremento di costi operativi, pari al 15%. Un dato che è stato compensato da una crescita dei ricavi del 9,7%, tra le migliori performance nel mondo delle utilities insieme a quella dell'igiene ambientale (per lo più dalla termovalorizzazione) con un +10% in tre anni. I minori investimenti per 1000 metri cubi di acqua fatturata sono quelli della MM (che ha però una rete relativamente corta) e della Arin di Napoli (la cui rete è quasi uguale per lunghezza a quella milanese). Bassi gli investimenti unitari dell’Aqp (117,3 euro, solo il 9% del fatturato), rispetto a quelli di Hera (la cui rete ha un’estensione paragonabile) pari a 334 euro.

Trasporti, Milano e Brescia pesano meno sui conti pubblici. Nel trasporto locale Atm Milano e Brescia Mobilità sono invece le società locale che assorbono i minori quantitativi di fondi pubblici e nel contempo coprono maggiormente i propri costi con ricavi da traffico e servizi, rispettivamente con quote pari al 53 e il 54 per cento. In fondo alla classifica si pone la performance del "sistema napoletano" (Ctp, Anm e Metronapoli) che assorbe il triplo di quanto ricevuto da Milano e Brescia e copre solo in minima parte (18%) i propri costi con i ricavi dal mercato. Nord più virtuoso anche per quanto riguarda la raccolta differenziata: Asm Brescia arriva al 41%, seguita dall'Amiat di Torino (36%) e dell'Amsa di Milano con il 33%.

Trasparenza, resta ancora molto da fare. Tutto il settore resta afflitto da una ancora insufficiente inclinazione alla trasparenza. «Le informazioni pubblicamente disponibili - ha spiegato Federico Sassoli de Bianchi, Presidente di Civicum - sono decisamente carenti. Ad esempio spesso sono assenti, nelle aziende multiutility, le rendicontazioni separate per singole aree di business. Inoltre gli indici di qualità ed efficienza calcolati dalle aziende non sempre sono oggetto di certificazione da parte di enti terzi o di verifica da parte di authorities: attualmente, solo i Comuni di Roma e Torino dispongono di agenzie predisposte al controllo della qualità dei servizi pubblici».

 

 

 

 

 

 


 

Inserimenti  del  23-1-2007


 

INDICE del 23-1-2007

 

Da Il Corriere della Sera    23-1-2007  Se la poligamia viene rivendicata come un diritto di Magdi Allam   2

Da Il Sole 24 Ore 23-1-2007 Ritorna il progetto di un super ente previdenziale unificato di Marco Rogari 3

Da Il Sole 24 Ore – 22-1-2007 Casa, 200 milioni di tasse in più di Saverio Fossati 4

Da La Repubblica 22-1-2007 Il settore lusso continua a brillare  5

Da Il Sole 24 Ore 22-1-2007 La grande marcia del credito al consumo - Il Sole 24 Ore di Chiara Bussi 7

 

 Segue Rassegna del 22-1-2007


 

 

Da Il Corriere della Sera    23-1-2007  Se la poligamia viene rivendicata come un diritto di Magdi Allam

 

Mi fa piacere avere quattro mogli, ma se il governo non mi permette allora cosa faccio? Devo andare in clandestinità e questo non è giusto». Così Mohamed Baha' el-Din Ghrewati, eminenza grigia dell'Ucoii, nel Tg1 di domenica sera si è spinto oltre l'apologia della poligamia, arrivando a chiederne la legalizzazione: «Magari se la legge italiana accetta la poligamia, così risolve tanti problemi di milioni di persone, non migliaia». Il servizio di Barbara Carfagna, nel telegiornale di massimo ascolto della Rai, ha il merito di aver chiarito a milioni di italiani la strategia degli estremisti islamici. Hanno iniziato con il celebrare i matrimoni islamici in seno alle moschee, attribuendogli una connotazione religiosa e trasformandolo in un sacramento, laddove negli stessi paesi musulmani è un semplice contratto privatistico che si contrae e festeggia laicamente nell'abitazione degli sposi. Hanno proseguito con l'invocare «la facoltà di celebrare e sciogliere matrimoni religiosi senza alcun effetto o rilevanza civile secondo la legge e la tradizione islamica» (articolo 12 della bozza d'intesa dell'Ucoii con lo Stato Italiano), cioè la possibilità di essere poligami di fatto senza esigere il riconoscimento giuridico. Ed ora hanno compiuto un ulteriore passo in avanti chiedendo pubblicamente la legalizzazione della poligamia. Si obietterà che Ghrewati, neuropsichiatra e omeopata, ufficialmente presidente onorario della Casa di cultura islamica di via Padova a Milano, non è nel direttivo dell'Ucoii e che quindi parlerebbe a titolo personale. In realtà sappiamo che i veri leader dei Fratelli Musulmani, a cui fa riferimento l'Ucoii, preferiscono operare sotto mentite spoglie. Come è stato il caso del banchiere Youssef Nada, cittadino italo-egiziano, residente a Campione d'Italia, fondatore della Banca Al Taqwa, che era il «ministro degli Esteri» del movimento internazionale dei Fratelli Musulmani fino al sequestro dei beni quando, all'indomani dell'11 settembre 2001, emerse la sua connivenza con il terrorismo islamico globalizzato. La particolarità dell'iniziativa di Ghrewati, così come lui stesso ha dichiarato a Paolo Colonnello nell'intervista pubblicata su La Stampa il 7 gennaio scorso, è il tentativo di far passare la poligamia come «una proposta culturale che andrebbe discussa». Dopo essersi qualificato come un «poligamista», Ghrewati ha esplicitato che «noi musulmani proponiamo la poligamia come rimedio al fallimento della società italiana».

E indossando i panni del medico ha sentenziato che «la poligamia è un rimedio contro le tensioni sociali e i tumori della prostata e del seno». L'obiettivo di Ghrewati è quello di accreditare la poligamia come un diritto individuale che, al pari della coppia omosessuale, dovrebbe essere riconosciuto dalla legge come un Pacs: «Qui parlate apertamente di matrimoni tra gay e rifiutate anche solo l'idea della poligamia. Però tollerate amanti e doppie famiglie. Basta che tutto si viva in clandestinità». Ci rincuora il fatto che i musulmani d'Italia sono subito insorti contro le farneticazioni di Ghrewati e contro l'intento dell'Ucoii di legalizzare la poligamia. Nella consapevolezza che non si tratta affatto di una rivendicazione che attiene alla sfera individuale, bensì di una strategia di potere mirante a imporre in Italia la loro versione radicale, maschilista e violenta della sharia, la legge islamica. Ed è significativo che i primi a protestare siano state le donne, a cominciare da Souad Sbai, fino a coinvolgere la maggioranza dei membri della Consulta per l'islam italiano. Mi auguro che a questo punto se ne accorga anche la maggioranza del Parlamento e della magistratura italiana, fin troppo silente su una questione considerata erroneamente come inesistente o tutt'al più marginale. Immaginando che ci si possa mettere l'anima in pace fintantoché non viene violata la legge formale, anche se di fatto la poligamia si celebra nelle moschee e si pratica nelle case dei musulmani. Dobbiamo forse attendere il prossimo spettacolo televisivo di un corteo di donne velate e uomini barbuti che rivendicano il diritto alla poligamia, per deciderci a sanzionare seriamente questi militanti dediti all'islamizzazione dell'Italia?

23 gennaio 2007

Da Il Sole 24 Ore 23-1-2007 Ritorna il progetto di un super ente previdenziale unificato di Marco Rogari

Un unico grande superente previdenziale. È questa l'ultima tentazione del Governo, o almeno di una sua parte. Un intervento che, almeno sulla carta,consentirebbe di recuperare, a regime, quasi 3 miliardi da utilizzare per aumentare il milione e mezzo di pensioni basse legate a contribuzione ( non quelle sociali, quindi), attualmente non superiori ai 400 euro mensili. E che garantirebbe una nuova gestione del cosiddetto " tesoro" dell'Inail.Che dovrebbe confluire, insieme a Inps, Inpdap, Enpals, Ipsema e forse Ipost, in questa nuova sorta di Iri pensionistica.
Una nuova configurazione, che non dispiacerebbe all'ala sinistra della maggioranza e a diversi settori della Margherita e su cui avrebbe chiesto alcuni approfondimenti palazzo Chigi, ma che è tutt'altro che certa. E non solo perché il ministro Cesare Damiano sembri prediligere un'operazione più soft e i sindacati siano tutt'altro che entusiasti di discutere di accorpamento degli enti previdenziali. Quella dell'ente unico è infatti solo l'ipotesi più "hard" di quelle allo studio del Governo in vista dell'avvio del confronto con le parti sociali. Sul tavolo ci sarebbero altre due opzioni: la prima è quella "intermedia" con la creazione di due superenti, uno pensionitico (Inps, Inpdap ed Enpals), l'altro "assicurativo" (Inail e una parte dell'Ipsema); la seconda più "circoscritta", che prevederebbe la sola fusione di Inps e Inpdap e il passaggio della "fetta" assicurativa dell'Ipsema all'Inail. Soluzioni che sembrano essere maggiormente gradite al ministero del Lavoro.
La partita sugli enti
La decisione verrà presa solo nelle prossime settimane e molto dipenderà anche dalle indicazioni che arriveranno dai sindacati, da sempre contrari a qualsiasi ipotesi di accorpamento. Ma,a prescindere dalla portata (quella "intermedia" garantirebbe risparmi per circa 22,5 miliardi, mentre con la "soft" ne arriverebbero 1,61,7), il riassetto si farà. Anche se i tempi di realizzazione non saranno brevi. Lo stesso Romano Prodi lo ha fatto capire chiaramente al termine del conclave di Caserta e nei giorni successivi. Del resto,un primo progetto di fusione era stato già abbozzato al momento della stesura della Finanziaria 2007 e poi accantonata in attesa del confronto tra Governo e parti sociali. Ora il riordino degli enti previdenziali torna al centro della discussione. A gestire l'operazione è il ministro Damiano, che appare favorevole a un "riordino concertato". Ma a contribuire alla definizione dell'intervento dovranno comunque essere anche il ministro Nicolais e Santagata.
Età, riforma light
Nella maggioranza continuano le schermaglie sul superamento dello scalone. Che, nel frattempo, vede aumentare i suoi fan. Proprio per la complessità della partita il ministero del Lavoro non scopre ancora le carte. Mai tecnici di vari dicasteri sono al lavoro da tempo. E quella che si va profilando, per giungere a un compromesso all'interno della maggioranza e tra Governo e sindacati, è una riforma light: l'età di riferimento per il pensionamento di anzianità rimarrebbe a 60 anni di età e 35 di contributi, ma verrebbe consentita l'uscita a 57 anni per la categorie di lavoratori impiegati in attività usuranti (che verrebbe ampliata rispetto alle ipotesi degli scorsi anni), e a 58 anni per gli altri lavoratori (ma probabilmente con un particolare calibratura dei "coefficienti"). Certi gli incentivi per favorire il rinvio dei pensionamenti. E praticamente sicura anche la revisione dei coefficienti di trasformazione. Non è comunque esclusa qualche sorpresa, come l'aumento graduale della soglia di vecchiaia delle donne, per reperire le risorse necessarie per ammorbidire lo scalone. I fondi per la revisione degli ammortizzatori arriverebbero dalla lotta all'evasione.
Lo scoglio da superare resta quello dell'età. Domani saranno Piero Fassino e Francesco Rutelli che tenteranno di far valere le ragioni dei riformisti enunciando le proposte dell'Ulivo. Damiano parla di età minima a 58 anni (due in meno rispetto ai 60 della "Maroni"). Ma per l'ala sinistra della maggioranza si tratta di un «inganno», visto che in questo modo verrebbe alzata di un anno l'età minima della "Dini" (57 anni). Di qui la nuova richiesta di Prc, Pdci e Verdi di abolire completamente lo scalone e aumentare le pensioni basse. Tuttavia Lamberto Dini afferma: lo scalone «è iniquo» ma occorre comunque innalzare, seppur «gradualmente», l'età. Tiziano Treu rilancia la proposta degli "scalini". In caso contrario, l'unica soluzione resterebbe quella di mantenere lo scalone. Ed è l'invito che arriva dall'opposizione, in particolare da Roberto Maroni, preoccupato per una negativa controriforma.


 

Da Il Sole 24 Ore – 22-1-2007 Casa, 200 milioni di tasse in più di Saverio Fossati

Si comincerà così, con quei 200 milioni in più nella casse dello Stato e, soprattutto, dei Comuni. La preda più facile, nella caccia all'evasione immobiliare, è rappresentata proprio da quelle tipologie immobiliari che nei fatti non dovrebbero più esistere: abitazioni ultrapopolari e rurali, categorie immaginate negli anni Trenta per case destinate a famiglie operaie e contadine a bassissimo reddito.
Il passaggio del Catasto ai Comuni, fissato al 1° novembre prossimo, avrà certamente un significato simbolico ed è sicuro che per i Comuni, più o meno direttamente investiti della gestione, scatterà la molla dell'impegno all'uso dei dati catastali per la riorganizzazione dell'imposizione tributaria immobiliare. Nella realtà gli strumenti ci sono già: con i commi 335 e 336 della Finanziaria 2005 (si veda l'articolo sotto) e la possibilità di accedere gratuitamente alla banca dati catastale, già effettiva, i Comuni potrebbero partire da subito a recuperare le quote di evasione Ici. E le sperimentazioni attuate negli anni passati hanno dato ottimi frutti.
Tuttavia è ragionevole pensare che solo da novembre sarà immaginabile un'offensiva a largo raggio e, soprattutto, rapida. Una blitzkrieg per il recupero dell'evasione basata sulle tecnologie informatiche e sulla telematica che costringerà i contribuenti in malafede o semplicemente distratti a rientrare nei ranghi già nel 2008.
Il gettito
Si può ipotizzare che il passaggio di categoria conduca a un aumento delle rendite (non aggiornate) di almeno 313 milioni e che possano così entrare nelle casse comunali circa 179 milioni di Ici e 26 di Irpef. La differenza è giustificata dalla massiccia presenza media di abitazioni principali, sulle quali si applica un'aliquota Ici in genere più bassa e non si paga del tutto Irpef.
Non solo: a volte il passaggio di categoria crea sì un incremento dell'Ici ma solo sulla carta, perché la detrazione è talmente alta da "assorbire" anche gli aumenti. Come nel caso di Napoli (si veda la tabella a fondo pagina), dove la base imponibie, raddoppia ma, tratandosi di abitazione principale, la super detrazione di 155 euro azzera comunque l'imposta.
Le categorie da cambiare
Le unità immobiliari abitative, che con i 541mila uffici abitazioni arrivano a un totale di 31,2 milioni (il 58% del totale delle unità immobiliari in Italia), sono divise in dieci categorie, da A/1 (lusso) ad A/11 (case tipiche dei luoghi, come i trulli), passando appunto per gli uffici (A/10). Si tratta di categorie certo obsolete ma che rispondono a requisiti e caratteristiche abbastanza precise, che per le A/5 e le A/6 (si veda l'articolo qui sotto) sono evidentemente inesistenti. Quanti italiani vivono (magari anche solo occasionalmente) senza bagno in casa? Anche escludendo quelle famiglie che hanno abbandonato a se stesse alcune vecchie catapecchie rurali destinate ai braccianti, la stragrande maggioranza di quei 2,2 milioni di unità è stata rimessa a posto, per abitarci o andarci in vacanza, soprattutto nei centri medio-grandi.
Ma, naturalmente, se a ricordarsi di procurarsi il titolo abilitativo per fare i lavori (Dia o concessione) sono stati in molti, pochissimi si sono ricordati invece di comunicare la variazione al Catasto. Mantenendo così vecchia categoria e rendita. Insieme, ovviamente, alle vecchie tasse.
Far emergere questa cospicua sacca di evasione non sarà difficile: un'azione a tappeto dei Comuni, che da novembre consentirà anche di accelerare la procedura un po' farraginosa della Finanziaria 2005, è facilmente ipotizzabile. E anche in campagna, pur in assenza di segnalazioni al municipio, sarà facile recuperare gli immobili che hanno perso i connotati delle A/6.


 

Da La Repubblica 22-1-2007 Il settore lusso continua a brillare


MILANO - Continua a crescere il settore del lusso. Bulgari e Luxottica in primis continuano a trainare anche in Borsa con guadagni del'1,09% e +1,13%. Per il gruppo leader nei ggioielli le quotazioni a Piazza Affari sono salite dopo che il sole 24 ore di sabato ha anticipato le previsioni per i risultati 2006 con fatturato e utile che dovrebbero crescere di oltre il 10%. Il management della mason romana ha infatti confermato che il 2006 si è chiuso con una posizione finanziaria netta prossima ai -40 milioni di euro, pur a fronte di investimenti per oltre 70 milioni. Il fatturato 2006 sarà annunciato il 31 gennaio. Senza entrare nel dettaglio dei numeri, il management si è anche detto fiducioso che il 2007 sarà un altro anno di crescita grazie alle numerose iniziative che saranno avviate sia sul fronte commerciale sia sul fronte dei nuovi prodotti. A tale riguardo sono infatti attesi lanci di primo piano in quasi tutte le principali categorie merceologiche nelle quali il gruppo opera. "Le indicazioni sul 2006 sono positive e confermano grosso modo le nostre stime che prevedono utili netti intorno a 135 milioni di euro, in aumento del 16%", sostiene un analista di una sim milanese. "Decisamente migliore delle attese sarebbe però la posizione finanziaria netta di fine anno da noi stimata in -102 milioni di euro. Confermiamo quindi il giudizio positivo sull'azione con un target price a 13 euro".Dunque, anche se in merito alle prospettive di Bulgari sono arrivate semplici conferme sia sui numeri sia sulla strategia, non è mancata "qualche sfumatura positiva", sottolineano pure gli analisti di Euromobiliare sim (hold con un target price a 11,3 euro). "E' stato infatti confermato il focus sulla gioielleria di fascia alta, orologeria femminile e petite-complication; il lancio della cosmetica nel 2007 e il continuo sviluppo degli accessori dove emergono feed-back positivi dai primi 7 negozi dedicati". Sul fronte distributivo il 2007 sarà ancora un anno di importanti aperture. Per il medio termine si indica infatti un target di 70 aperture in tre anni. Graficamente, il superamento da parte del titolo Bulgari dell'area posta a 11,50 euro farebbe scattare un nuovo segnale d'acquisto sulla forza con un primo obiettivo a quota 13 euro.

Luxottica invece che domani diffonderà i risultati trimestrali beneficia dell'upgrade di Lehman Brothers (a "overweight" con target a 27 euro) : secondo gli analisti, il prezzo attuale non riflette le prospettive di crescita del gruppo veneto ed esistono opportunità di una ulteriore espansione dei margini nel 2007. In attesa di conoscere l'ammontare delle vendite del quarto trimestre Amf ha stimato per Luxottica ricavi intorno a 1.100 Milioni in aumento del 7% circa su base annua. Per l'intero esercizio è atteso un fatturato di 4.680 Milioni, in crescita di oltre il 13% rispetto al dato della gestione 2005, che non comprende però il contributo di thing remembered (la cui cessione è stata perfezionata a fine settembre) quantificato dalla società in 300 milioni di dollari. Gli analisti sono arrivati a tale valore ipotizzando per la divisione wholesale un aumento dei ricavi del 29% sulla base anche del positivo trend di crescita evidenziato nei primi nove mesi, mentre per il settore retail è stato stimato un incremento del 7%. Le stime sul fronte valutario, considerando la notevole incidenza del mercato statunitense, indicano un cambio medio euro/dollaro pari a 1,25. Intanto le vendite di Luxottica per il quarto trimestre 2006 dovrebbero crescere del 5% rispetto allo stesso periodo del 2005 a 1,085 miliardi di euro. Lo stima goldman sachs in attesa della pubblicazione dei risultati delle vendite che farà domani il gruppo di occhialeria italiano. Questa valutazione non tiene conto del contributo di things remembered e risente di un taglio del 6% rispetto alla precedente stima. Per le vendite all'ingrosso, sempre secondo goldman sachs, la crescita su base annua nel periodo ottobre-dicembre 2006 dovrebbe essere del 18% a 391 milioni di euro, contro il +26% del terzo trimestre. Il rallentamento è dovuto, scrivono gli analisti, al lancio della linea dolce&gabbana fatto proprio nel quarto trimestre 2006, il cui contributo fino a ora è stato di 20 milioni di euro. In merito alle vendite al dettaglio, la previsione è di un leggero calo a 764 milioni di euro (mentre il controvalore in dollari è in crescita dell'8% a 985 milioni). Per i negozi, la crescita dovrebbe essere del 6%, in linea con il dato del terzo trimestre, dal momento che la domanda usa dovrebbe mantenersi buona.

E Swatch, il maggior gruppo mondiale degli orologi, chiude il 2006 con un balzo del 12% del fatturato, che dovrebbe portare a un utile operativo in aumento oltre la media, chiudendo il 2006 con "il miglior risultato del gruppo di tutti i tempi". Il fatturato lordo - si legge in una nota - è salito a oltre cinque miliardi di franchi svizzeri (3,1 miliardi di euro) dai 4,49 miliardi del 2005, grazie anche alla forte domanda per gli orologi dei marchi di lusso del gruppo, e cioè Breguet, Blancpain e Omega. Quanto al nuovo anno, "il consiglio di amministrazione - prosegue la nota - conta che questa tendenza positiva prosegua anche nel 2007".

22/01/2007 - 16:15

 


 

Da Il Sole 24 Ore 22-1-2007 La grande marcia del credito al consumo - Il Sole 24 Ore di Chiara Bussi

Prosegue la marcia del credito al consumo in Italia e i numeri lo dimostrano: secondo la prima edizione dell’Osservatorio McKinsey-Il Sole 24 Ore i volumi supereranno quota 130 miliardi di euro nel 2010, un risultato più che triplicato rispetto ai 42 miliardi del 1998. Niente a che vedere con la performance della Gran Bretagna, dove tra tre anni gli stock dovrebbero sfiorare i 340 miliardi, ma la marcia è innescata. Un Rapporto che uscirà domani, martedì 23 gennaio, in allegato al Sole 24 Ore fornirà una mappa per orientarsi nella galassia dei prestiti personali.

“Fino a qualche anno fa – spiega Vito Giudici, partner di McKinsey e responsabile della ricerca sul credito al consumo in Europa – l’indebitamento in Italia veniva visto come un peccato. Con il passare degli anni queste resistenze culturali sono state però superate e si è sviluppata una consapevolezza maggiore dei prodotti offerti”. In base a una recente indagine realizzata dalla multinazionale della consulenza il 58% dei consumatori del nostro Paese dichiara di essersi affacciato al settore dei finanziamenti ai privati. Lo ha fatto, anche in più occasioni, per l’acquisto di elettrodomestici (39%), dell’auto (35%) e della casa (25%). I dati Assofin lo confermano: nel 2006 sono stati erogati tra i 52 e i 53 miliardi con un ritmo di crescita del 12% rispetto al 2005.

A segnare il balzo maggiore da qui al 2010, secondo le stime di McKinsey, saranno le carte di credito (+21% annuo), seguite dai prestiti personali (+15%). Non solo. Nei prossimi anni i consumatori italiani si troveranno ad esplorare nuove frontiere che in altri Paesi sono già una realtà. Alcuni esempi? La casa, che da classico bene rifugio si trasformerà in uno strumento di liquidità. In gergo si chiama home equity release e significa utilizzare l’immobile come garanzia per ottenere finanziamenti. Ma anche una nuova carta di credito ritagliata su misura con modalità di pagamento diverse a seconda dell’acquisto effettuato e delle esigenze di portafoglio.
Il dado, dunque, è tratto e rappresenta “un’opportunità da cogliere”, aggiunge Giudici, per tutti i giocatori coinvolti. In primo luogo i consumatori, che diventano sempre più esigenti. Lo prova un’indagine realizzata da Gfk-EurisKo: il 45% sceglie il finanziamento a rate per comodità e praticità, perché consente di “non esaurire i risparmi” e il 37% per convenienza, in particolare se il tasso di interesse è basso.

L’avanzata in Italia, prosegue l’esperto di McKinsey, andrà di pari passo con un accesso al credito allargato a fasce della popolazione, come i lavoratori atipici e gli immigrati, che finora per mancanza di informazioni o per minori garanzie hanno avuto difficoltà ad affacciarsi su questo settore. Per le banche, forti di una conoscenza approfondita della clientela, questa sarà “una grande chance”. Ma solo se sapranno raccogliere la sfida, offrendo prodotti più innovativi a condizioni convenienti. Anche perché, stando al sondaggio GfK-Eurisko, senza un finanziamento a rate il 66% degli intervistati avrebbe rinunciato o rimandato l’acquisto.

 

 

 

 

 


 

Inserimenti  del   22-1-2007


 

INDICE del 22-1-2007

 

Dal Corriere della Sera  22-1-2007 Francia: è morto l'Abbè Pierre. Aveva fondato la comunità di Emmaus 2

Da Libertà del 22-1-2007 Caso Welby, Martini riapre il dibattito  2

Da Repubblica 22-1-2007 IL SONDAGGIO. I vecchi? Non esistono più. Adulti si diventa a 35 anni 3

Da Repubblica  22-1-2007 Il commento. Una società ferma dove incombe il mito di Faust di Ilvo Diamanti 5

Da Il Sole 24 Ore 19-1-2007   Saras, indagini sulle banche di Monica D'Ascenzo Morya Longo  6

Da La Stampa 21/1/2007 (14:37) - LA SENTENZA Stress da giudice di pace. Ministero condannato  7

Da  8 Il Sole 24 Ore 17-1-2007 In Russia l'inflazione vola. E aumentano i divari sociali  di Piero Sinatti 8

Segue: Rassegna del 21-1-2007

 

 

 

 

Dal Corriere della Sera  22-1-2007 Francia: è morto l'Abbè Pierre. Aveva fondato la comunità di Emmaus

 

L'abate, simbolo del cattolicesimo francese, aveva 94 anni. E' deceduto all'ospedale Val de Grace di Parigi

 

PARIGI - È morto l'abate Pierre, simbolo del cattolicesimo francese. Aveva 94 anni. Il religioso è deceduto durante la notte nell'ospedale Val de Grace di Parigi dove era ricoverato dallo scorso 15 gennaio, era stato ricoverato per una infezione polmonare. La notizia è stata diffusa dal Martin Hirsch, presidente di Compagnons d'Emmaus Francia, l'organizzazione per i poveri e i rifugiati, fondata dall'abate nel 1949. L'Abbè Pierre era uno dei personaggi più popolari della Francia. Nell'ottobre 2005, fece scalpore per l'ammissione di un rapporto sessuale con una donna dopo l'ordinazione e per il suo appoggio alle unioni omosessuali.

Il suo vero nome era Henri Groues, prese gli ordini religiosi nel 1938 e, durante la seconda guerra mondiale, partecipò alla resistenza francese salvando numerose vite e favorendo la fuga di ebrei e perseguitati politici verso Svizzera o Algeria.

22 gennaio 2007


 

Da Libertà del 22-1-2007 Caso Welby, Martini riapre il dibattito

Per il porporato «non può essere trascurata la volontà del malato» anche se «l'eutanasia non va in alcun modo legalizzata». Il cardinale invita il mondo politico a elaborare una legge


CITTÀ DEL VATICANO - Alla vigilia dei suoi 80 anni, il cardinale Carlo Maria Martini, tra le voci più autorevoli del mondo cattolico, riflettendo sulla vita e la malattia riapre il dibattito politico aperto dal caso Welby. E, col suo intervento pubblicato ieri sul Sole 24 Ore, da malato parkinsoniano che abbisogna di continue cure e terapie per «reggere alla fatica quotidiana e per prevenire malanni debilitanti», affronta compiutamente gli interrogativi sul terreno chiarendo che l'eutanasia non va confusa col rifiuto dell'accanimento terapeutico.

Ma che, tuttavia, c'è l'esigenza di elaborare norme che consentano di respingere le cure, anche se per stabilire se un intervento medico è appropriato «non ci sono regole generali e non può essere trascurata la volontà del malato».
Di casi come quello di Piergiorgio Welby che «con lucidità ha chiesto la sospensione delle terapie di sostegno respiratorio» per porre fine alla sua vita saranno «sempre più frequenti» e, di conseguenza, «la Chiesa stessa dovrà darvi più attenta considerazione pastorale» sottolinea il cardinale che invita implicitamente il mondo politico ad elaborare una normativa ma senza «che questo implichi in alcun modo la legalizzazione dell'eutanasia». Pacate parole che arrivano in cui momento in cui serpeggiano non pochi timori tra i cattolici per la possibilità che il testo sul testamento biologico - all'attenzione del Senato - possa fare da "cavallo di Troia" e consentire l'introduzione dell'eutanasia anche in Italia. Non è un caso se ieri i rappresentanti di oltre 60 associazioni cattoliche si sono dati appuntamento al Laterano per una riflessione comune sul tema della cosiddetta 'dolce morte’. Una legge in materia, riconosce Martini, è una «impresa difficile, ma non impossibile» e andrebbe portata avanti «guardando più in alto e più oltre che è possibile per valutare l'insieme della nostra esistenza e giudicarla alla luce non di criteri puramente terreni bensì sotto il mistero della misericordia di Dio e della promessa della vita eterna». Poi il gesuita indica come possibile soluzione il modello francese. Oltralpe si è trovato un equilibrio se non perfetto, almeno capace di realizzare un sufficiente consenso in una società pluralista. La legge cui fa riferimento Martini è stata approvata due anni fa, non legalizza l'eutanasia ma prevede che le cure mediche non debbano essere protratte «con ostinazione irragionevole». In pratica una persona in fase terminale può decidere «di limitare o di interrompere ogni terapia» e può autorizzare la somministrazione di farmaci contro il dolore, anche se questi possono accelerarne la morte. L'intervento del cardinale ha riscosso il plauso di autorevoli esponenti diessini. Primo tra tutti il presidente della Commissione del Senato, Ignazio Marino: sono «parole di grande saggezza" in cui "si ritrova pienamente», mentre Cesare Salvi ha parlato di possibile cooperazione tra cultura laica e liberale quando si confrontano senza pregiudizi, mentre il ministro Pierluigi Bersani ha invitato l'Italia a fermarsi per leggere le parole del cardinale. Toni preoccupati, invece, da An. Riccardo Pedrizzi, responsabile del partito per le politiche della famiglia fa notare che il pericolo non è costituito dall'«accanimento terapeutico ma dall'abbandono terapeutico e dall'eutanasia». Intanto il caso Welby fa scuola. Anche nella cattolicissima Spagna un analogo caso, quello di Meledeine, è diventato oggetto di una battaglia mediatica prima ancora che politica - come evidenzia l'Avvenire - tesa ad influenzare la gente e inscenare un plebiscito a favore dell'eutanasia.

 


 

Da Repubblica 22-1-2007 IL SONDAGGIO. I vecchi? Non esistono più. Adulti si diventa a 35 anni di Luigi Ceccarini

Indagine Demos-La Repubblica su gioventù e vecchiaia. Figli e lavoro le tappe

E sopra i 64 solo la metà si definisce anziano

 

VIVIAMO in una società che non vuole invecchiare. Alla quale non piace l'idea che il tempo passi. Gli italiani tendono a definirsi giovani anche quando sono adulti, e adulti anche quando sono anziani. Vecchiaia è un termine tabù. I giovani, coerentemente, spostano in avanti le tappe verso la vita adulta. E non si distinguono per reclamare uno spazio maggiore nelle posizioni di responsabilità della società. E' quanto emerge dai risultati della 12° indagine dell'Osservatorio sul Capitale sociale degli italiani curata da Demos - COOP, che ha approfondito il significato della giovinezza.
Alcuni dati fanno riflettere. Anzitutto va detto che gli orientamenti rilevati variano sensibilmente solo in base all'età dei rispondenti, senza apprezzabili differenze quando vengono considerate altre caratteristiche sociali.
Solo la metà (54%) di chi ha più di 64 anni si definisce anziano. Il 41% preferisce dirsi adulto. Quattro su dieci tra coloro che hanno tra 35 e 44 anni si ritengono giovani; evidentemente ai quarantenni non piace crescere. Allora l'indagine Demos-Coop ha chiesto agli italiani a che età si diventa adulti. Il dato medio indicato è 35 anni. Ma tanto più si è avanti con gli anni tanto più questa età di passaggio aumenta. Per i giovanissimi (15-17 anni) si diventa adulti a 26 anni. Per i ventenni a 30. Per quarantenni e cinquantenni a 36 anni. Avviene a 40 anni circa secondo i più anziani. I più giovani tendono a collocare questo passaggio in avanti nel tempo. Gli altri indietro, ma nelle immediate "vicinanze", in modo da non vederlo come un momento passato da troppo tempo.
Ma essere giovani o adulti, come spiegano gli studiosi, non è semplicemente una questione di età. Contano alcune tappe superate nella vita: 1) finire gli studi, 2) trovare un lavoro stabile, 3) vivere in una casa diversa da quella dei genitori, 4) sposarsi o convivere, 5) avere dei figli. Tutti passaggi che in Italia avvengono sempre più in là nel tempo. I giovani, quindi, rimangono tali più a lungo. Fatto comprensibile visto che la gioventù richiama anzitutto la parola spensieratezza (30%).
Fare un figlio (31%) e trovare un lavoro stabile (26%) sono i due passaggi che gli italiani più associano al diventare adulti. Ma i rispondenti valutano questi "riti di passaggio" con occhi diversi. Per i giovani si diventa adulti anzitutto attraverso la conclusione degli studi e andando a vivere fuori dalla casa dei genitori. Mirando così ad una maggiore libertà, che non necessariamente significa indipendenza economica o autonomia nei lavori domestici. I trentenni, invece, guardano in misura maggiore alla maternità e alla paternità come momento fondamentale. I soggetti più anziani riconoscono il lavoro stabile e il matrimonio come riti di passaggio. Le ragazze tra 18 e 34 anni attribuiscono più importanza all'uscire di casa e alla maternità (36%). I loro coetanei ad un lavoro e ad una unione stabile (22%).
Il ruolo dei giovani nella società è un aspetto centrale. Ed è opinione diffusa che questa generazione dovrebbe avere più spazio nelle posizioni di responsabilità (il 41% si dice molto e il 47% abbastanza d'accordo). E' interessante notare che tale orientamento viene sostenuto con più forza dagli italiani in là con gli anni (che si vedono ancora giovani). Ci si aspetterebbe, invece, che fossero i diretti interessati a rivendicare queste maggiori opportunità: i "veri" giovani.
La gioventù di oggi, rispetto a quella del passato, viene vista come più viziata (95%), con meno certezze (75%), più sola e meno felice. Resta ampia la componente di coloro che vedono il futuro dei giovani peggiore, sotto il profilo della posizione sociale ed economica, rispetto alle opportunità avute dai loro genitori (45%).
Gli stessi punti di riferimento della vita sono molto diversi tra le generazioni: la religione e la politica contano meno per i giovani. Il lavoro, l'amore, l'avere figli pesano maggiormente nelle prospettive degli adulti e degli anziani. Forse, non è solo un effetto legato al ciclo di vita, ma è anche il segno di trasformazioni più ampie che interessano la società italiana.
(22 gennaio 2007)

 


Da Repubblica  22-1-2007 Il commento. Una società ferma dove incombe il mito di Faust di ILVO DIAMANTI


PER accorgersi di quanto siamo invecchiati bisogna uscire dal nostro Paese. Non è necessario cambiare continente. Basta recarsi ad Est, nei Paesi della nuova Europa. E guardarsi intorno. Una folla di bimbi. E di giovani "veri". Allora ci sentiamo vecchi. Altrimenti, chiusi nel nostro mondo, i criteri per misurare il tempo biografico tendono a sfumare. Si perdono. Così, si invecchia senza ammetterlo.
Mentre, parallelamente, si "istituzionalizza" la giovinezza, come una condizione permanente. "Per sempre giovani". Il mito faustiano incombe. Assai più che una conquista, evoca una minaccia. Peggio: una condanna. Lo suggerisce l'Osservatorio sul Capitale Sociale di Demos-Coop, presentato oggi su Repubblica. A un primo sguardo, infatti, colpisce che il 35% degli italiani, con più di 15 anni, si definiscano "adolescenti" (5%) oppure "giovani" (30%). Mentre nella stessa popolazione coloro che hanno meno di trent'anni non superano il 20%. Peraltro, solo il 15 % si riconosce "anziano". Anche se il 23% della popolazione ha più di 65 anni.
D'altronde, da noi, quasi nessuno "ammette" la vecchiaia. Che, secondo il giudizio degli italiani, come mostra un'indagine condotta pochi anni fa (settembre 2003, Demos-Eurisko), comincerebbe solo dopo gli 80 anni. In coincidenza con l'aspettativa di vita. In altri termini, in Italia, si "diventa" vecchi solo dopo la morte.
Gli italiani. La gioventù, secondo loro, finisce dopo i 35 anni. Però, più invecchiano e più si sentono (e si dicono) giovani. La giovinezza, infatti, per coloro che hanno più di 45 anni, finisce a 40 anni. D'altra parte, non si percepiscono più le fratture chiare di un tempo, quando i cicli di vita erano separati nettamente da riti di passaggio condivisi. Il matrimonio, il lavoro, l'autonomia residenziale. Perlopiù, coincidevano.
Perché occorreva avere un lavoro, per potersi permettere una famiglia e una casa. Crescere, superare la soglia della giovinezza: costava sacrifici e conflitti. Perché significava "liberarsi", guadagnarsi l'autonomia; anzitutto dai più anziani. I padri, i nonni.
Per contrasto con il presente, rammentiamo una ricerca condotta nel 1954 in Veneto (in P. Allum e I. Diamanti, 50/80, vent'anni, Ed. Lavoro, 1986). Oltre 1000 questionari rivolti ai giovani dalle associazioni del mondo cattolico. Poche domande, semplici, seguite da alcune righe, a cui gli intervistati potevano reagire liberamente. Oggetto: i comportamenti, le attese, le opinioni dei giovani. Un disoccupato di 21 anni di Gambellara (non lontano da Vicenza), nella sezione dedicata alla famiglia, risponde quanto segue.
D: Come ti trovi in famiglia? R: Male. D: Come ti trovi con tuo padre. R: Bene. D: Con i fratelli? R: Bene (la madre e le sorelle non erano considerate; contavano ancora poco e non minacciavano l'"integrazione" sociale). D: Problemi? R: Io e la mia famiglia, desideriamo immensamente dividerci e stabilirci con la nostra famiglia per conto nostro ma non possiamo, perché il nonno ci costringe a vivere tutti insieme, per via della campagna. D: Come pensi di migliorare i problemi familiari? R: Aspetto che muoia il nonno.
Sono passati oltre cinquant'anni, da allora. Oggi, i nonni possono vivere tranquilli; come i genitori; perché i figli non hanno intenzione di andarsene da casa anzitempo. Solo l'12% degli italiani, infatti, pensa che il passaggio alla vita adulta avvenga quando si va a vivere "in una casa diversa da quella dei genitori". Mentre per il 20% coincide con il "matrimonio o con la convivenza stabile". Per diventare adulti contano di più il lavoro stabile (26%) e, soprattutto, la nascita di un figlio (31%). D'altronde, tanto il lavoro stabile quanto la nascita di un figlio appaiono, entrambi, eventi rari.
Sembra quasi che la società si sia predisposta a un destino di precarietà lunga e indefinita. Che non riguarda più un passaggio specifico della vita. La gioventù come fase di apprendimento, durante la quale è normale "provare". Sospesa fra anticipazione del futuro e ancoraggio al presente. E' difficile immaginarla ancora così, visto che l'instabilità è divenuta regola. Mancano riferimenti di valore. Autorità dotate di autorità. Il lavoro, le relazioni, gli affetti. Sono instabili un po' per tutti.
Se l'incertezza è la prerogativa della gioventù, insomma, oggi siamo tutti giovani. D'altra parte le mode, gli stili di vita, mimano la giovinezza eterna. L'abbigliamento giovane, la musica giovane. E poi i trapianti tricologici, i trattamenti estetici, il fitness a ogni costo e a ogni età, il botulino per tutti, il lifting e la liposuzione. Per combattere l'età, fermare il tempo (Berlusconi docet).
Così, non dobbiamo sorprenderci troppo se l'87% degli italiani condivide l'affermazione che nel nostro Paese "i giovani dovrebbero avere più spazio nelle posizioni di responsabilità". Gli italiani invocano maggiore spazio per i giovani perché si sentono tutti giovani.
D'altronde, lo specchio offerto dalle figure più rappresentative, in Italia, riflette l'immagine di un Paese in cui il tempo si è fermato. Per assurgere alla carica di Presidente della Repubblica occorre avere almeno 80 anni; dieci di meno per guidare il governo oppure l'opposizione. E i "delfini", le "eterne promesse" che premono, per rimpiazzare Prodi e Berlusconi, hanno l'età di Blair. Oggi, che è a fine corsa. Lo stesso vale per i posti di maggior potere: nell'editoria, nella finanza, nelle organizzazioni economiche.
All'Università. Dove, mediamente, i ricercatori hanno più di quarant'anni e i professori ordinari circa sessanta. Questa è l'immagine riflessa dallo specchio "pubblico". E suscita la sensazione, insopprimibile, di un Paese dove si diventa adulti sempre più tardi. Ma non si invecchia. Perché non c'è ricambio. Circolazione sociale. Perché sono invecchiati tutti. Tutti quelli che contano, che fanno opinione. Quelli che decidono.
Paradossalmente, ma non troppo, in questa società, protesa all'eterna giovinezza, si assiste alla progressiva eclissi dei "giovani" veri, anagraficamente (fra 15 e 24 anni). Osservati, dagli adulti, con un misto di apprensione e malcelato fastidio. Ritenuti, rispetto al passato, più incerti, infelici. Più soli. Ma anche più viziati. Le parole maggiormente usate per definirli (catalogate e analizzate da Natascia Porcellato, di Demos), dalle persone intervistate in questo sondaggio, evocano una generazione "spensierata" e "irresponsabile". Probabilmente: spensierata perché irresponsabile. Visto che larga parte degli italiani pensa che i figli non riusciranno a mantenere la posizione sociale raggiunta dai genitori. I più convinti, al proposito, sono proprio i genitori.
La nostra società, in altri termini, soffre di una sindrome da eterno presente. Guarda con nostalgia il passato e con paura il futuro. Per cui sta ferma. Impiantata nell'immediato, che dilata all'infinito. Gli adulti, gli anziani: scacciano dal proprio orizzonte i "giovani più giovani", perché ne hanno paura. In quanto rammentano loro quanto siano (siamo) divenuti vecchi. I giovani più giovani. Costretti ai margini. Precari. Ma, al tempo stesso, protetti. In libertà vigilata. Perché viaggiano spesso, studiano lontano da casa. Ma poi ritornano. Controllati, a ogni passo, complici i telefonini. Ostaggi di un presente senza certezze. Salvo il fatto che non ci sono certezze, per loro. E non possono neppure augurarsi - come quel contadino ventunenne di Vicenza, cinquant'anni fa- la morte del nonno, per liberarsi. Perché i nonni, per fortuna, vivono sempre più a lungo. Sempre più soli. E non tengono prigioniero nessuno. Perché loro, i giovani, sono coccolati come ninnoli. Protetti e controllati. Si libereranno quando avranno raggiunto l'età dei loro genitori. Quando saranno troppo vecchi per accettare di essere invecchiati.
(22 gennaio 2007)


 

Da Il Sole 24 Ore 19-1-2007   Saras, indagini sulle banche di Monica D'Ascenzo Morya Longo

 

«Sussiste il sospetto che tra gli operatori istituzionali alcuno possa avere agito in conflitto d'interesse,concorrendo a valutare il titolo ad un prezzo incompatibile con l'operatività di Borsa successivamente svolta». È racchiuso in questa frase del decreto con cui la Guardia di finanza ha perquisito gli uffici di Saras, Jp Morgan e Caboto, il senso di un'indagine ancora agli albori. Gli inquirenti, coordinati dal sostituto procuratore Luigi Orsi, stanno cercando di capire se le banche d'affari abbiano operato contemporaneamente su due fronti in conflitto d'interessi: da un lato coordinando l'offerta sul mercato delle azioni Saras e supportando la società nel fissare il prezzo dell'Ipo; dall'altro operando direttamente sul mercato sui titoli della stessa Saras. La duplice attività da parte delle banche non rappresenta in sé un reato, ma gli inquirenti sospettano che alcune di queste operazioni sul mercato possano non essere del tutto limpide. Per ora, però, è solo un sospetto: le indagini sono appena iniziate.
Il faro degli inquirenti sta cercando di illuminare le prime sedute di contrattazione del titolo Saras, società petrolifera controllata al 62,46% dalla famiglia Moratti. Il prezzo dell'offerta venne stabilito il 13 maggio a 6 euro per azione,che secondo diversi analisti rifletteva una valutazione della società a multipli paragonabili a quelli di concorrenti a livello europeo. Il debutto in borsa avvenne cinque giorni dopo, periodo durante il quale il mercato subì una forte correzione: quando il 18 maggio Saras sbarcò a Piazza Affari le azioni lasciarono dunque sul terreno il 13% in un'unica seduta. Impressionanti anche i volumi: passarono di mano quasi 125 milioni di azioni, pari al 35% del flottante. Il ribasso, poi, continuò nelle sedute successive, lasciando molti investitori (e risparmiatori) con parecchio amaro inbocca.Dal debutto alla chiusura di ieriil saldo per Saras è negativo per il 35,22 per cento. Forse è per questo che alcuni risparmiatori hanno deciso di presentare esposti sia alla Consob, sia alla magistratura. E se la Commissione,dopo aver esaminato i movimenti di Borsa, ha deciso di archiviare la pratica, la magistratura ha deciso di andare avanti.
L'operatività sul titolo in quei giorni fu davvero enorme. Anzi iniziò addirittura prima della quotazione sul mercato grigio, dove il titolo chiuse il 17 maggio a 6,3 euro per azione.Alcuni operatori di Borsa ipotizzano inoltre che nei primi giorni di contrattazione gli hedge fund abbiano operato con particolare intensità nelle vendite allo scoperto. Si tratta della cessione di azioni di cui non si è in possesso,chiedendole in prestito a fronte di un tasso d'interesse. L'azionista di riferimento della Saras ha però negato ieri di aver mai prestato titoli per questo tipo di operazioni.Un'altro tema di cui si discute nelle sale operative è quello della greenshoe: si tratta di un'opzione che permette a una società appena sbarcata in Borsa di aumentare l'offerta di azioni in modo da soddisfare l'eccesso di domanda degli investitori. Nel caso della Saras questa opzione non fu esercitata,dato che iltitolo crollò subito dopo il debutto, ma ititoli furono usati per sostenere le quotazioni come previsto anche nel prospetto informativo, spiega la società.
Dai primi accertamenti emergerebbe che almeno una banca, di quelle che hanno collocato le azioni, avrebbe poi operato sul mercato sullo stesso titolo. Le perquisizioni, eseguite dagli ufficiali di polizia giudiziaria del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Milano e della sezione diP.G.,hanno portato al sequestro tra mercoledìe giovedì di numerosi documenti e materiali informatici: documentazione relativa all'Ipo e alle operazioni sul mercato, email e registrazioni telefoniche (di prassi nelle sale operative). In particolare a Saras sono state copiate dal server le comunicazioni via mail di una quindicina di manager a partire dal gennaio 2000.Il titolo Saras,dopo un tonfo del 2% inapertura, ha recuperato fino a un + 0,77%per chiudere praticamente in parità a 3,887 euro per azione (0,15%).

 


 

Da La Stampa 21/1/2007 (14:37) - LA SENTENZA Stress da giudice di pace. Ministero condannato

Il contenzioso nasce nel 2005 contro "l'inefficenza del sistema giudiziario caratterizzato dalle violazioni del diritto di difesa"

NAPOLI
Cento euro per ciascuno degli ottanta avvocati napoletani che lo hanno citato in giudizio. È quanto deve il ministero della Giustizia secondo una sentenza emessa dal giudice di Pace partenopeo della Prima Sezione civile Renato Marzano.

Il contenzioso nasce da una causa promossa dall’avvocato Angelo Pisani, alla quale poi si sono accodati altri suoi colleghi iniziata il 28 ottobre del 2005 contro «l’inefficiente sistema giudiziario napoletano caratterizzato da gravi e ingiustificati disagi, gravi violazioni del diritto di difesa, delle regole processuali come illegittimi ed inspiegabili rinvii delle prime udienze, lunghe file per la verifica dell’assegnazione delle cause, ingiusticate condizioni di lavoro, inspiegabili ritardi anche di otto/nove mesi per il rilascio di copie esecutive di sentenze relative a procedimenti tenuti presso l’ufficio del giudice di Pace».

Come sottolineato da un servizio di Sky Tg24, il giudice di Pace Marzano ha dato ragione agli avvocati partenopei, condannando il ministero ad una equa riparazione dei «danni esistenziali conseguenti allo stress derivante dai disagi subiti» quantificati in cento euro ciascuno, attribuendo anche al dicastero il pagamento delle spese di giudizio liquidate in 70 euro per le spese, 125 euro per i diritti, 75 per gli onorari oltre l’Iva, il 12,50% a titolo di rimborso spese generali. Il giudice di Pace ha però accolto solo in parte le richieste dei legali, che avanzavano anche l’ipotesi di una applicazione della legge Pinto, individuando anche gli elementi per ritenere di dover essere risarciti per una ingiustificata durata dei processi.

Nei motivi della decisione, Marzano rileva, tra l’altro, «l’avvocatura dello Stato ha provveduto unicamente a costituirsi in giudizio, mediante deposito in cancelleria della comparsa di costituzione e del fascicolo di parte, ma non ha mai partecipato ad alcuna udienza».

Tutti i testi hanno riferito al giudice di Pace che mentre sino a qualche tempo fa una causa iscritta a ruolo veniva chiamata dopo sette giorni rispetto la data indicata in citazione, questo termine nel tempo si è dilatato fino ad arrivare a 60 giorni; senza contare le file lunghissime, per circa una ora, per iscrivere una causa a ruolo, e i quattro mesi che occorrono per ottenere copie urgenti di una sentenza, pagando il triplo dei diritti previsti, mentre per le vie ordinarie ci vogliono anche 12 mesi per quelle stesse copie. Una situazione per la quale gli avvocati si trovano coinvolti in discussioni continue con i loro clienti esasperati; da qui lo stress.

 


 

Da

Il Sole 24 Ore 17-1-2007 In Russia l'inflazione vola. E aumentano i divari sociali  di Piero Sinatti


La Russia non sfugge alla regola universale, secondo cui l’inizio dell’anno coincide con aumenti di prezzi e soprattutto di tariffe per servizi pubblici.
Dal primo gennaio, infatti, sono aumentate le tariffe che colpiscono le fasce di popolazione a reddito medio-basso e basso della popolazione. I trasporti, ad esempio. A Mosca sono aumentati i trasporti pubblici, a partire dal metro, il mezzo più efficiente e amato dai cittadini della capitale (specie ora che il traffico su superficie è diventato impossibile per i frequentissimi imbottigliamenti e le code di ore).
Ancora più forti i salassi annunciati nel complesso abitativo pubblico (comunale: ZhKKh). Aumenteranno gli affitti con i relativi servizi (riscaldamento, elettricità, gas, acqua calda e fredda, ascensore, rifiuti, riparazioni), calcolati al metro quadrato di superficie occupata. Costeranno il 20% in più quest’anno, rispetto al 2006, anno in cui la crescita complessiva di quei costi si erano aggirati tra il 26 e il 37% rispetto al 2005, anno d’inizio di una corsa al rialzo che ha suscitato non poche proteste (spontanee o organizzate dal Partito comunista).
Si registrano aumenti dei prodotti alimentari. Nonostante sia partito il programma di bonifica dei mercati generali delle grandi città, deciso da Putin nei mesi scorsi. Mercati sottoposti a controlli mafiosi ed etnicamente caratterizzati, che portano – grazie anche alla corruzione del funzionariato pubblico del settore – a vere e proprie forme di monopolio, eliminando la concorrenza.

Inflazione – previsioni

Nei primi nove giorni dell’anno – secondo dati resi noti dal Servizio federale di statistica lo scorso 16 gennaio – il tasso di inflazione è stato dell’1%, ovvero 12,5% proiettato sul piano annuale.
Addirittura, secondo le previsioni del ministero delle Finanze, l’incremento per l’intero mese di gennaio potrebbe essere del 2,2%, poco meno di quello che si registrò nel gennaio 2006 di 2,4%.
Il fatto preoccupa il ministro delle Finanze Kudrin, che alla fine dell’anno ha dovuto rendere conto a Putin di un tasso d’inflazione del 9% nel 2006 , a fronte di obiettivi prefissati del 7-8%.
Anche per quest’anno, il tetto è stato fissato al 7-8%, anche se al ministero delle Finanze e dell’economia – guidati rispettivamente dai ministri Kudrin e Gref, in fama di liberali monetaristi sacrificati sull’altare del dirigismo e della politica di spesa promossa da Putin – si vagheggia di portare l’inflazione ai “tassi civilizzati” del 3-4% annui.
Il timore che il 2007 possa portare ad un ulteriore “schizzo” dell’inflazione (cioè oltre il 9% registrato per il 2006) ha spinto il ministro delle finanze Kudrin a presentare al premier Fradkov un documento dal titolo “Analisi della situazione nella sfera monetario-creditizia nel 2006 e misure aggiuntive per diminuire i tassi di crescita dell’offerta di moneta nel 2007”.

Rimedi contro l’inflazione

Si tratta di un documento che il “Minifin” ha elaborato insieme al Ministero dell’Economia e alla Banca centrale, di cui ha anticipato i contenuti l’autorevole quotidiano moscovita “Kommersant” (16 gennaio).
L’affermazione principale e categorica del documento è che il governo deve operare, assieme alla Banca centrale, perché nel 2007 il tasso d’inflazione non superi il 7-8%.
Nel corso degli ultimi anni – riassume il documento, secondo “Kommersant” – la crescita dell’offerta di moneta in Russia è stata prevalentemente legata al grande afflusso di valuta forte nel Paese a sua volta provocata dalle entrate derivanti dall’export delle materie prime, segnatamente gas e petrolio. Così è stato fino a tutto il 2005.
Grazie a questo la Banca centrale ha accresciuto ulteriormente le riserve aureovalutarie e ha accresciuto l’emissione di rubli. Nel 2006 si è registrato un fenomeno nuovo: un grande afflusso di investimenti di capitali (IDE), pari a 41,6 miliardi di dollari. Si tratta di ben 40 miliardi in più rispetto al 2005.
E questo è avvenuto quando, stando a recentissimi dati di Banca centrale, si è registrato (2006) un saldo attivo della bilancia commerciale di 95,6 miliardi di dollari.
Il budget e il Fondo di stabilizzazione - voluto da Putin pochi anni fa per destinarvi una quota delle entrate “aggiuntive” dell’export energetico, favorite dall’alto regime dei prezzi correnti sui mercati internazionali - sono stati finora gli strumenti in mano al ministero delle Finanze per controllare e limitare l’offerta di moneta e conseguentemente l’inflazione.
Ora – sostiene il documento - Banca centrale deve attivarsi in materia di controllo della massa monetaria più di quanto ha fatto in passato. Per questo deve incrementare l’uso di strumenti, come l’emissione di nuove obbligazioni a scadenza annuale e dei titoli semestrali.
Il governo dovrà avere un comportamento virtuoso. Mikhajl Fradkov – che ne è il capo - deve innanzi tutto impegnarsi a non sfondare i tetti di spesi fissati dal budget 2007.
Così non avvenne l’anno scorso, quando si incrementarono come mai prima, oltre alle spese per la difesa, quelle sociali – sanità, istruzione, edilizia abitativa, aumenti di pensioni e stipendi per i bjudzhetniki, ovvero pubblici dipendenti – in particolare insegnanti, personale medico e paramedico.
Poi entra in ballo Gazprom. Il monopolio, divenuto il protagonista della strategia internazionale di Mosca, viene sollecitato a destinare i “profitti aggiuntivi” realizzati nel 2006 (grazie all’ incremento dell’export del gas e dei suoi prezzi sul mercato estero) al pagamento dei debiti contratti con banche estere, piuttosto che a insistere nella sua politica di continue nuove acquisizioni (recentissime sono le sue richieste di prestiti per acquisire il contrastatissimo controllo del progetto Sakhalin-2 a danno delle società straniere prime investitrici in quel Progetto).
Il documento riflette implicitamente le tensioni nel governo, e tra alcuni dei ministeri chiave con il Cremlino e il suo entourage di “energetici”. E’ arcinoto che né Gref né Kudrin hanno simpatia per la strategia di Gazprom e più in generale con l’incremento delle spesa pubblica.
Tuttavia, non solo gli indirizzi liberal-monetaristi e antiinflazione di Kudrin-Gref, ma anche la politica di Putin di creazione del Fondo di stabilizzazione e dei rimborsi largamente anticipati al Club di Parigi, sono criticati duramente da noti e influenti economisti sia dell’Accademia delle scienze, sia tra quelli politicamente attivi come Sergej Glazev.
Essi danno un altro tipo di allarme. Non sono i tassi più o meno crescenti di inflazione il maggior pericolo che incombe sulla Russia, ma il ritardo che essa continua ad accumulare in quei settori che hanno determinato e determinano la crescita delle grandi nuove realtà economiche mondiali, come Sud Corea, Cina e ora anche l’India. Quello delle alte tecnologie e dell’innovazione.
La forte crescita russa degli ultimi anni non deve trarre in inganno – essi affermano. Essa è legata al settore delle materie prime e alla congiuntura internazionale dei loro prezzi. Ma l’industria in generale non dà segni di crescita. Non cresce perché non si investe nell’innovazione.
E non innova perché non le si destinano i capitali necessari per farla decollare.
Così, la Russia non profitta della congiuntura favorevole per reinvestire i superprofitti dalle materie prime nell’innovazione. Preferisce “sterilizzarli”, “congelarli” nello Stabfond (il Fondi di stabilizzazione voluto da Putin) e in politiche monetariste che alla fin fine condannano la Russia – secondo Glazev - ad avere un ruolo complessivamente secondario e marginale nell’economia globalizzata. E finita la stagione delle vacche grasse per greggio e gas , i ritmi di crescita potrebbero cadere. Rovinosamente.

17 gennaio 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Inserimenti  del   21-1-2007


 

INDICE del 21-1-2007

 

Da agi.it (21-1-2007) Turismo: Enit, Aumentano Gli Stranieri Che Scelgono L'italia  2

Dal quotidiano.net (20-1-2007) Sanità Usa: iniziativa privata allo sbaraglio di Domenico Maceri 3

Dal Corriere della Sera (20-1-2007) Hillary scende in campo: «Corro per vincere»«Solo un nuovo presidente potrà riportare speranza e ottimismo»  4

Da Repubblica 19-1-2007 Freno agli assegni trasferibili con il decreto antiriciclaggio  5

 

Da agi.it (21-1-2007) Turismo: Enit, aumentano gli stranieri che scelgono l'Italia

(AGI) - Roma, 19 gen. - L'incremento del 6,6% della spesa degli ospiti stranieri in Italia nel periodo gennaio-ottobre 2006, con un introito di 27.456 milioni di euro, secondo le ultime rilevazioni dell'Uic-Banca d'Italia, e' confermato dalle indicazioni provenienti dai piu' importanti mercati internazionali dove l'ENIT-Agenzia e' presente con i suoi uffici. Le valutazioni piu' positive per il 2007 provengono dal mercato nordamericano dove, nonostante il cambio sfavorevole, e' previsto un indice di gradimento in ascesa oltre che per le tradizionali citta' d'arte anche per le Regioni Abruzzo ed Emilia Romagna e una crescita del "fly and cruise" (oltre 7 milioni di passeggeri dovrebbero sbarcare nei porti italiani); dal Regno Unito dove l'Italia appare sempre al top nelle indagini e nei premi giornalistici. In Germania, secondo la Bundesbank, la spesa totale per i viaggi all'estero dei tedeschi, nel periodo gennaio-settembre del 2006, e' stata di 47.850 milioni di euro (+3,7% rispetto all'analogo periodo del 2005). Di questa cifra, circa 5 miliardi di euro sono stati spesi in Italia, con un aumento del 13,3% che fa ben sperare per il consolidamento della ripresa del bacino di utenza piu' consistente per il nostro Paese. "Per l'inizio della prossima stagione estiva la nuova Agenzia ENIT sara' in piena azione e in molti paesi il messaggio Italia sara' un forte elemento di stimolo a confermare piena fiducia nella nostra industria turistica." Lo ha affermato il Presidente dell'Agenzia Nazionale del Turismo, Umberto Paolucci, durante il Forum programmatico della sede e della rete estera che ha visto partecipare il Direttore Generale dell'Ente, Eugenio Magnani e i Delegati delle sedi estere con la dirigenza centrale. Le maggiori soddisfazioni dovrebbero arrivare dal mercato russo che ha registrato un trend in ascesa dei viaggi all'estero nel 2006 del 38,2%, con un'ulteriore previsione di crescita del 20% per il 2007. Gli ospiti francesi hanno speso in Italia nel periodo gennaio-ottobre 2.485 milioni di euro con un incremento del 7% rispetto allo stesso periodo del 2006. In tenuta gli arrivi dal Giappone anche a causa del rapporto svantaggioso euro-yen. Nel corso dell'incontro con i Delegati, Paolucci ha rilevato che l'Agenzia ha impostato con le varie componenti del suo CdA una programmazione aperta, concertata, alla quale concorrono con le loro proposte sia le Regioni che le varie Categorie rappresentative di tutti i settori di un comparto trasversale come quello del turismo.
  Nella quinta riunione di ieri del CdA - ha informato Paolucci - sono state poste le basi per la definizione delle Linee strategiche dell'Agenzia per il 2007, rimodulate sulla base dei nuovi stanziamenti previsti dalla Finanziaria per l'Agenzia, mirate al raggiungimento di una piu' incisiva penetrazione sul mercato mondiale dei viaggi. Cercheremo di modificare la visibilita' dell'Italia con strumenti nuovi, come i blog, i motori di ricerca, sui quali faremo in maniera di essere identificati, creeremo fenomeni virali positivi, come insegna il mondo di internet e della comunicazione globale.
  Proseguiremo a ritmo serrato le riunioni dei tavoli di lavoro, ha continuato Paolucci, per la definizione dello Statuto e del Regolamento di Organizzazione. Gia' dalla prossima riunione del Consiglio, programmata per il 15 febbraio prossimo, potra' scaturire un documento condiviso e partecipato da tutti gli attori del turismo, che ridisegnera' la mappa dell'Agenzia e dei suoi uffici all'estero.



Dal quotidiano.net (20-1-2007) Sanità Usa: iniziativa privata allo sbaraglio. di Domenico Maceri

 

Il capitalismo ha creato il benessere in molti paesi del mondo soprattutto nell’occidente ma quando si tratta di sanità negli Stati Uniti il risultato è completamente diverso.


Si calcola che 47 milioni di americani non abbiano diritto alla sanità che negli Stati Uniti è in gran parte dominata dalle assicurazioni private la cui ragione di essere è il profitto. Dove non ci sono guadagni le grandi compagnie di assicurazioni stanno alla larga. Ma dati gli aumenti esorbitanti per coloro che hanno l’assicurazione medica si sta incominciando a parlare seriamente del sistema euro-canadese in cui il governo ha un ruolo centrale. Si comincia dunque a considerare un sistema che abbandoni i profitti e veda nella sanità il diritto di ogni cittadino come lo è negli altri paesi industrializzati.
Ma la ristrutturazione del sistema sanitario in Usa non sarà facile perché le lobbies delle assicurazioni sono molto potenti. Ciononostante la situazione è così drammatica che qualcosa si farà per la solita motivazione principale del capitalismo—i profitti.
Gli alti aumenti dell’assicurazione hanno cominciato ad avere un impatto nelle grosse aziende le quali tradizionalmente hanno pagato il costo della sanità per i loro lavoratori. Secondo alcuni studi i continui aumenti delle spese sanitarie eliminerebbero i profitti per tutte le ditte entro il 2008.
Nonostante gli aumenti dei costi i risultati qualitativi non sono incoraggianti. Un articolo del New York Times ha fatto una comparazione delle spese sanitarie degli Stati Uniti con quelle del Canada, la Francia, l’Australia e la Gran Bretagna usando dati della Organization for Economic Cooperation and Development. Gli Stati Uniti spendono 6,102 dollari all’anno per ogni cittadino, il doppio degli altri paesi nello studio. Si crederebbe che i benefici della salute sarebbero superiori considerando la spesa ma ciò non è vero. La mortalità dei neonati in America è la più alta nei paesi in considerazione (6,9 per 1.000 nascite in Usa, 5.9 in Gran Bretagna). Per quanto riguarda la speranza di vita in America è 77, 5 anni, la più bassa dei paesi comparati (la più alta è in Australia, 80,6 anni).
Dove vanno i soldi spesi? In parte per pagare le cure dei 47 milioni senza assicurazione i quali usano il pronto soccorso quando sono gravemente malati e non possono essere rifiutati. Ma una buona parte è assorbita dalle spese burocratiche dato che ogni assicurazione ha i suoi moduli da riempire e naturalmente il personale per sbrigare tutte queste carte. Si calcola che il 31% della spesa sanitaria in America è costituita dalla spese burocratiche. Si calcola anche che se invece di tante assicurazioni ci fosse solamente un’agenzia incaricata di pagare le spese si risparmierebbe abbastanza da potere assicurare i 47 milioni che ora fanno senza.
La combinazione del costo della sanità per le ditte e per gli americani già assicurati spingerà la mano dei politici ad agire. Arnold Schwarzenegger, governatore della California, ha introdotto una proposta che richiederebbe a tutti i residenti dello stato di comprare l’assicurazione medica. La proposta segue ciò che è avvenuto già nello stato del Massachusetts. Al livello nazionale il terreno è già spianato dal fatto che le elezioni di midterm del novembre scorso hanno dato il controllo del potere legislativo ai democratici (il centrosinistra). Alcuni candidati presidenziali come John Edwards si sono già schierati a favore della sanità per tutti gli americani.
Ma i cambiamenti necessari per spostarsi a un sistema che assicuri tutti non saranno facili. Le assicurazioni sono molto potenti e nonostante il fatto che i repubblicani, i loro alleati naturali, abbiano perduto il controllo del potere legislativo, continuano ad avere un forte alleato alla Casa Bianca. I democratici dovranno approvare leggi con due terzi dei voti per evitare che Bush le blocchi per mezzo del suo veto. Inoltre in America si crede che l’iniziativa privata possa fare qualunque cosa meglio del governo. Quindi ogni programma governativo è presto etichettato “socialista” e perde spesso l’appoggio dei cittadini. È successo con Hillary Clinton negli anni novanta quando la allora first lady propose un sistema di sanità per tutti gli americani. Le lobbies delle assicurazioni la massacrarono e la proposta non andò in porto.
Ma naturalmente le cose sono diverse adesso. Dopo una dozzina di anni di governo repubblicano fra potere legislativo e esecutivo e il disastro della guerra in Iraq, gli americani, o almeno una maggioranza di loro, avranno capito che il governo non è il loro nemico. Nella questione della sanità il governo potrebbe essere non il salvatore ma almeno la soluzione come lo è in altri paesi industrializzati.

 


Dal Corriere della Sera (20-1-2007) Hillary scende in campo: «Corro per vincere»«Solo un nuovo presidente potrà riportare speranza e ottimismo»

 

La moglie di Bill Clinton annuncia ufficialmente la sua candidatura alle primarie in vista delle presidenziali: «Bisogna cacciare Bush»

 

WASHINGTON (Stati Uniti) - «Solo un nuovo presidente può riguadagnare la posizione dell'America come leader rispettato nel mondo»: così Hillary Clinton, con un video-annuncio sul suo sito Internet ufficiale, ha formalizzato la propria candidatura alla Casa Bianca.

«CORRO PER VINCERE» - «Sono in corsa per vincere», ha affermato la Clinton, in un messaggio affidato al sito HillaryClinton.com, promettendo di cambiare il paese dopo «sei anni di fallimenti dell' amministrazione Bush».

COMITATO E FONDI - La Clinton ha annunciato la formazione di un comitato esplorativo, un passo che le permette ora di raccogliere formalmente fondi elettorali e aprire uffici negli stati-chiave delle elezioni 2008. «Come senatore - ha detto la Clinton nel suo annuncio - trascorrerò i prossimi due anni a fare tutto ciò che posso per limitare i danni che George W.Bush può fare. Ma solo un nuovo presidente potrà smontare gli errori di Bush e riportare speranza e ottimismo». Seduta su un divano a fiori, in un ambiente domestico accuratamente studiato dai suoi strateghi elettorali, la Clinton nel video ha esortato gli americani a unirsi alla sua campagna «per una conversazione sul futuro del nostro paese».

DIALOGO ONLINE - Seguendo lo stesso metodo di campagna basata sul dialogo con cui sei anni fa persuase a votarla gli elettori dello Stato di New York, Hillary Clinton invita ad aprire un dibattito con lei sui maggiori temi - salute, sicurezza sociale, assicurazione malattia, la guerra in Iraq - in vista del voto. «Non sto solo varando una campagna, sto cominciando una conversazione con voi, con l’America - afferma nel messaggio -. Parliamone. Chiacchieriamone. Le conversazioni a Washington finora sono state alquanto unilaterali, non vi pare?».

CHAT CON GLI ELETTORI - Da lunedì, la senatrice progetta di aprire delle chat online con i potenziali elettori. A cui si rivolge con un accorato appello via Internet: «Andiamo a lavorare. Il futuro dell’America ci chiama». L’annuncio della senatrice segue di pochi giorni quello del senatore Barack Obama. Nelle fila dei democratici così si preparano le candidature della prima donna e del primo afro americano. Assieme all’ex candidato vicepresidente John Edwards, Clinton e Obama sono i favoriti per la candidatura democratica. Come ousider però è interessante la candidatura del governatore del New Mexico, Bill Richardson, che dovrebbe annunciare domani i suoi piani, e che sarebbe il primo ispanico a candidarsi.

GLI APPOGGI - Hillary Rodham Clinton ha dalla sua una vastissima rete di sostenitori, l’influenza del marito, milioni di dollari in banca pronti per la campagna, e quasi tutti i sondaggi fra gli elettori democratici che la danno in testa. Per lei, del resto, candidarsi era possibile solo avendo buone opportunità di vittoria. E’ la prima donna, ma anche la prima ex first lady a cercare di rientrare alla Casa Bianca da protagonista. Bill Clinton fu presidente dal 1993 al 2001.

20 gennaio 2007

 


 

Da Repubblica 19-1-2007 Freno agli assegni trasferibili con il decreto antiriciclaggio

 

ROMA - Gli assegni non trasferibili, quelli che non prevedono la girata, sono destinati a diventare la norma. Il ministero del Tesoro, sotto la spinta del Comitato antiriciclaggio, sta preparando un decreto legislativo che dovrebbe capovolgere quello che fino a oggi è stato un uso delle aziende di credito: la consegna di assegni trasferibili, che tramite una serie di "girate" possono passare di mano in mano. Chi ha un conto in banca e va a chiedere un nuovo libretto di solito riceve dal cassiere una mazzetta di assegni che possono essere girati ad altri come mezzo di pagamento. Sul titolo non c'è nessuna dicitura che recita "non trasferibile". C'è solo uno spazio, di solito in alto a destra, dove il titolare del conto, una volta firmato l'assegno, può aggiungere a mano la "non trasferibilità". Sia chiaro, è un uso. Chiunque può chiedere un libretto di assegni con scritto "non trasferibile" alla propria banca.
Il decreto legislativo ribalterà la consuetudine delle aziende di credito: la norma per il cliente sarà ricevere assegni "non trasferibili" e solo dietro specifica richiesta il titolare del conto potrà disporre di assegni "girabili". Proprio quelli di cui i commercianti fanno grande uso: con l'assegno che gli dà il cliente ci pagano in genere il fornitore. Ma non è una questione di fisco, tant'è che la norma riguarda l'antiriciclaggio e il ministero del Tesoro, non l'evasione né il fisco. Già oggi d'altra parte non è possibile usare un assegno "girabile" per importi che superino i 12.500 euro, come non si possono usare contanti o titoli al portatore.
Non solo. È possibile che la norma passi anche con un piccolo prezzo da pagare per il cliente bancario: chi vuole assegni "girabili" non solo deve chiederlo espressamente alla banca (perché al contrario varrà la regola del silenzio assenso), ma è possibile che sarà costretto a pagarli qualcosa.
L'Abi, l'associazione delle banche italiane, dice di non saperne nulla del progetto, ma per i banchieri l'assegno è in realtà uno strumento di pagamento in via di estinzione (man mano che si fanno strada bonifici e pagamenti elettronici che saranno il futuro nel mercato unico integrato). La Banca d'Italia s'è detta d'accordo.
D'altra parte la norma ha il preciso obiettivo di rendere ancora più stringente la normativa antiriciclaggio, di riuscire a capire in modo veloce e agevole dove vanno a finire i soldi. Compito difficile quando si ha in mano un titolo di credito, com'è un assegno, dove le girate sono innumerevoli, e dove spesso, a malapena, si riescono a identificare solo il traente e il beneficiario finale. Le innumerevoli sigle sul retro spesso rimangono sconosciute e gli organi investigativi fanno fatica a ricostruire le strade che hanno preso i soldi.

 

 


 

Piccola Rassegna del  20-1-2007

INDICE

Da Soldi on line – Da LIBERTA' 20 gennaio 2007 Lotta al riciclaggio del denaroAssegni trasferibili verso il tramonto  1

Da La Repubblica 20-1-2007 Cassazione: lecito scaricare file protetti basta non usarli a scopo di lucro  2

Da Il Sole 24 Ore – 19-1-2007 Geronzi torna in sella, Emanuele (Fondazione Cassa di Roma) va dagli avvocati 4

Da La Repubblica 19 -1- 2007 Spie Telecom, le indagini puntano ai vertici. Tronchetti: "Mai ordinato illegalità" 5

Da La Stampa 19-1-2007 Al via le città metropolitane  6

Da La Stampa 19/1/2007 (13:47) Turchia, ucciso giornalista armeno  7

Dal Corriere della Sera 18-1-2007 Uno studio di Harvard conferma l’aumento della quantità di nicotina presente nelle sigarette negli ultimi anni 8

LIBERTA' di sabato 20 gennaio 2007 Lotta al riciclaggio del denaroAssegni trasferibili verso il tramonto

MILANO - Assegni addio. Già messi a dura prova dal sopraggiungre dei pagamenti elettronici, i vecchi assegni rischiano di andare in pensione. Il ministero del Tesoro sta per accettare i consigli del Comitato antiriciclaggio e vuole preparare un decreto che dovrebbe mettere la parola fine agli assegni trasferibili. Si tratta dei normalissimi assegni che, tramite una serie di "girate" possono passare di mano in mano.
Questo sistema rende difficile la tracciabilità del denaro (non sempre le firme sono leggibili). Il governo, è vero, vuole combattere l'evasione fiscale eliminando (quasi) tutti i pagamenti per contanti, ma questo degli assegni è un caso diverso.
Qui non c'entra l'evasione di tasse e imposte, ma c'entrano le nuove normative europee in tema di riciclaggio del denaro. E' evidente che gli assegni che passano di mano "per girata" possono rappresentare un pericolo. Di qui la decisione di sostituirli con assegni "non trasferibili".
Attualmente sull'assegno c'è uno spazio dove, chi lo emette, può scrivere la dicitura "non trasferibile". Invece, per il futuro, le situazione dovrebbe ribaltarsi: gli assegni delle banche sarebbero tutti "non trasferibili" mentre quelli che si potranno ancora "girare" dovranno essere richiesti esplicitamente agli istituti di credito.
«Intendo mettere a punto al meglio la normativa - dice il sottosegretario al tesoro, Mario Lettieri - e sto pensando a un gruppo di lavoro per rendere più organica la disciplina, vedere quali adempimenti sono necessari e quali, invece, sono inutili a carico dei professionisti».
Lo stesso Lettieri, al contrario di quanto si era saputo ieri, ha assicurato che nulla è stato deciso circa su un'eventuale "tassa" che verrebbe messa sugli assegni trasferibili. «Non c'è nulla di deciso, anche perchè la materia è delicata e va concordata con l'Ufficio italiano cambi e la Banca d'Italia», dice il sottosegretario.
L'Abi (l'Associazione delle banche italiane) dice di essere all'oscuro di questo progetto ma da diverso tempo auspica una riduzione del numero degli assegni circolanti in Italia a favore della moneta elettronica.
In base ai dati di Bankitalia, nel nostro Paese gli assegni usati nel 2005 sono stati circa 500 mila, con un calo del 5,13% (sul 2004) per un ammontare di oltre un miliardo di euro.
L'uso degli assegni, un tempo unico modo di pagamento per cifre ingenti, va via via diminuendo se è vero che solo il 14,2% delle operazioni di pagamento è stata realizzata in questo modo. Invece è sempre più frequente l'uso di conti correnti via internet (comunque non senza rischi) che consentono di effettuare bonifici on line. Inoltre per molti pagamenti si usano carte di credito e le tessere del Bancomat che diventano "pagobancomat".
Oltre a limitare l'uso degli assegni trasferibili, l'Italia deve adeguarsi alle normative europee in tema di antiriciclaggio: per questo deve riconoscere nuovi reati e crare un'apposita autorithy. Per recepire le nuove norme Ue c'è tempo, comunque, fino ad agosto.

 

Da La Repubblica 20-1-2007 Cassazione: lecito scaricare file protetti basta non usarli a scopo di lucro

 

 La sentenza dopo il ricorso di due studenti torinesi: non è reato "risparmiare" sui film
scagionati nonostante avessero un programma per eliminare i dispositivi di protezione

Ma la sentenza si riferisce a un caso precedente alla legge del 2004 sul diritto d'autore

 

 

ROMA - Anche se c'è il copyright, si può scaricare lo stesso. Purché non si faccia a fini di lucro. Lo ha stabilito la III sezione penale Cassazione con una sentenza destinata a far discutere (è la numero 149/2007) con cui ha accolto il ricorso presentato da due studenti torinesi, condannati in appello ad una pena detentiva, sostituita da un'ammenda, per avere "duplicato abusivamente e distribuito" programmi illecitamente duplicati, giochi per psx, video cd e film, "immagazzinandoli" su un server del tipo Ftp (File transfer protocol) "dal quale potevano essere scaricati da utenti abilitati all'accesso tramite un codice identificativo e relativa password".
Una sentenza che fa discutere, anche se si riferisce a un caso precedente alla legge del 2004 sul diritto d'autore. La cosiddetta legge Urbani rende invece lo scaricamento di file protetti da copyright un diritto amministrativo e la loro condivisione un reato penale.

Ad uno dei due la sentenza della Corte d'appello del capoluogo piemontese datata 29 marzo 2005 (ora annullata "senza rinvio" dalla Suprema Corte) imputava anche il possesso, presso la propria abitazione, di software destinato "a consentire o facilitare la rimozione dei dispositivi di protezione "facilitare la rimozione dei dispositivi di protezione applicati a programmi per pc. Di fatto, i due studenti, avvalendosi di un computer in funzione presso l'associazione studentesca del Politecnico di Torino, avevano creato, gestito e curato la manutenzione di un archivio on line di dati e programmi, raggiungibile da un normale indirizzo ip, dal quale una "community" di utenti era libera di attingere in cambio, a sua volta, del rilascio di materiale informatico.
I reati contestati ai due ricorrenti erano quelli previsti dagli articoli 171 bis e 171 ter della legge sul diritto d'autore, la numero 633/41, sottoposta a tutta una serie di modifiche in anni recenti: nell'ultima formulazione, il primo prevede "la punibilità da sei mesi a tre anni, di chiunque abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Siae"; il secondo punisce con la reclusione da uno a quattro anni chi "riproduce, duplica, trasmette o diffonde abusivamente, vende o pone altrimenti in commercio, cede a qualsiasi titolo o importa abusivamente oltre cinquanta copie o esemplari di opere tutelate dal diritto d'autore e da diritti connessi".

Ebbene, per la Cassazione in primo luogo è da escludere per i due studenti la configurabilità del reato di duplicazione abusiva, attribuibile non a chi in origine aveva effettuato il download, ma a chi semmai si era salvato il programma dal server per poi farne delle copie. Ma soprattutto "deve essere escluso, nel caso in esame, che la condotta degli autori della violazione sia stata determinata da fini di lucro, emergendo dall'accertamento di merito che gli imputati non avevano tratto alcun vantaggio economico dalla predisposizione del server Ftp".

Per "fine di lucro", infatti, "deve intendersi un fine di guadagno economicamente apprezzabile o di incremento patrimoniale da parte dell'autore del fatto, che non può identificarsi con un qualsiasi vantaggio di genere; nè l'incremento patrimoniale può identificarsi con il mero risparmio di spesa derivante dall'uso di copie non autorizzate di programmi o altre opere dell'ingegno, al di fuori dello svolgimento di un'attività economica da parte dell'autore del fatto, anche se di diversa natura, che connoti l'abuso".

Anche con riferimento alla detenzione di un programma destinato a rimuovere o ad aggirare dispositivi di protezione "non emerge - avvertono i giudici - dall'accertamento di merito la finalità lucrativa cui sarebbe stata destinata la detenzione e, tanto meno, un eventuale fine di commercio della stessa".

(20 gennaio 2007)

Da Il Sole 24 Ore – 19-1-2007 Geronzi torna in sella, Emanuele (Fondazione Cassa di Roma) va dagli avvocati

Cesare Geronzi confermato dall'assemblea dei soci al vertice di Capitalia (-0,32% a 6,95 euro la chiusura di settimana in Borsa) - con i consiglieri Roberto Colaninno ed Ernesto Monti - nonostante la condanna in primo grado nel crack Italcase-Bagaglino, ma non senza strascichi polemici. Favorevole al reintegro è stato il 37,2% del capitale, contrari azionisti per il 9,7% e astenuti per lo 0,98%. Al voto ha partecipato il 47,9% del capitale. Per effetto della votazione, ha annunciato il vicepresidente Paolo Savona, che presiedeva l'assemblea, i tre amministratori «riprenderanno le loro funzioni con effetto immediato». Quindi sin dal consiglio di amministrazione in programma nel pomeriggio di venerdì 19 gennaio.

Deminor, società che rappresenta alcuni fondi di investimento (0,39% del capitale), e la Fondazione Cassa di risparmio di Roma (secondo i dati Consob azionista numero due con il 7,186% dopo Abn Amro al 7,679%, pur non essendo nel patto di sindacato che controlla il 31,01%), hanno votato contro, una decisione - ha spiegato il rappresentante di Deminor - opportuna «per evitare le critiche e i sospetti sulla banca». Gli amministratori, ha aggiunto, «ai quali auguriamo di uscire in modo cristallino dalla vicenda, hanno il dovere di presentare le dimissioni».

La Fondazione, presieduta da Emmanuele Emanuele, ha ribadito le proprie «riserve» sull'opportunità di confermare le cariche definendosi «a favore della revoca», e ha anche dato mandato ai propri legali per verificare se le decisioni del patto di sindacato possano essere valutate come «evento generatore» di eventuali danni che possano derivare. Valutazione ribadita da Emanuele a margine dell'assemblea: «Il fatto che Geronzi sia stato condannato è già un danno d'immagine per la banca», da tempo al centro dei rumor su fusioni e acquisizioni. La Fondazione ha sottolineato «l'opportunità di revoca» nei confronti del presidente e degli altri amministratori che erano stati sospesi Colaninno (numero uno del gruppo Piaggio) e Monti, condannato per bancarotta preferenziale e per distrazione nel processo Trevitex (e sospeso venerdì dal cda di Finmeccanica). Geronzi, è stato condannato alla pena di un anno e otto mesi di reclusione, oltre alle realtive pene accessorie, per concorso nel reato di bancarotta semplice, Roberto Colaninno (sempre per Italcase), alla pena di quattro anni e un mese di reclusione, oltre alle relative pene accessorie per concorso nei reati di bancarotta preferenziale e di bancarotta semplice.

Tuttavia secondo il presidente del Patto di sindacato della banca, Vittorio Ripa di Meana, «Allo stato degli atti non sussistono motivi per mettere in discussione il rapporto di fiducia» con gli amministratori. «I manager - ha aggiunto Ripa di Meana - stanno gestendo la banca con effetti soddisfacenti ed il patto ha tenuto conto delle capacità nel confermare la fiducia e sul piano tecnico e giuridico bisogna attendere il giudizio definitivo, altrimenti entreremmo in un sistema che dopo una semplice iniziativa della magistratura o in presenza di sentenze di primo grano potrebbero creare delle vittime» alla luce dei risultati definitivi della vicenda. «È in questo contesto - ha concluso - che il patto di è mosso: sarebbe paradossale che i soci sindacati si riuniscano per esaminare le conseguenze di processi futuri».


Da La Repubblica 19 -1- 2007 Spie Telecom, le indagini puntano ai vertici. Tronchetti: "Mai ordinato illegalità"

L'inchiesta sulle intercettazioni illegali: nell'ordinanza del gip, che ha portato
a quattro arresti, si dice che i dossier erano preparati nell'interesse del proprietario

MILANO - Marco Tronchetti Provera, in una nota diffusa questa sera, dichiara ancora una volta la sua estraneità ai fatti: "Mai ordinato dossier o altre attività illegali", ribadisce l'ex presidente Telecom. Ma dagli atti dell'inchiesta sulle intercettazioni illegali emerge uno scenario inquietante: "Una gravissima intromissione nella vita privata delle persone", un tentativo di "captazione occulta di dati e notizie riservate, mossa da logiche puramente partigiane, nella contrapposizione tra blocchi di potere economico e finanziario". Logiche tendenti a beneficiare non l'azienda Telecom ma "colui che, in un dato momento storico, ne è proprietario di controllo".

Dunque puntano in alto, stando alle parole contenute nell'ordinanza del gip di Milano Giuseppe Gennari, le indagini sui dossier illegali, che ieri hanno portato ad altri quattro arresti. Due in carcere: il responsabile della Information Security Telecom, Fabio Ghioni, mentre un' altra ordinanza è stata notificata all'ex capo della sicurezza della compagnia telefonica, Giuliano Tavaroli, arrestato il 20 settembre scorso. Altre due ai domiciliari: i giornalista, ex Famiglia Cristiana, Guglielmo Sasinini, e il braccio destro di Ghioni, Rocco Lucia.

Indagini riguardanti Rcs, con incursioni nel sistema informatico dell'ad, Vittorio Colao, e del vicedirettore, Massimo Mucchetti, anche pedinato mentre da Brescia, dove abita, andava al lavoro a Milano. Indagini a tutto campo: "Per quanto riguarda Ghioni lo stesso mi ha sempre riferito di avere la possibilità di accesso anche a dati sensibili di altri gestori come Vodafone e Wind", racconta a verbale la 'gola profonda' dell' inchiesta, Marco Bernardini, che parla anche di accertamento sull' Authority sulla concorrenza.

"La Telecom aveva subito una multa molto consistente dal Garante Concorrenza e Mercato - spiega ai pm - e mio compito era quello di raccogliere elementi non solo sul dirigente dell' Autorithy, ma anche su tutto lo staff dirigenziale, per verificare se qualcuno di loro aveva preso soldi dai concorrenti, se erano comunque in contatto con dirigenti della concorrenza o infine di individuare possibili aspetti negativi sulle condotte di vita di ciascuno e ciò a mio avviso per poter poi avvicinarli ed esercitare pressioni".

Per il gip Gennari, "la notevole tecnologia di cui disponeva (e dispone) una grande azienda come Telecom poteva essere e veniva asservita al programma criminale". "E osserviamo anche emergere - scrive il giudice - una tipologia di investigazioni che (al di là di quanto dice Sasinini circa i report commissionati dalla presidenza) in modo difficilmente revocabile in dubbio, rispondevano ad esigenze dei vertici e della proprietà aziendale".

E' poi il testimone Patrizio Mapelli, dipendente della Value Partners, società che offriva consulenza a Telecom, a spiegare di aver ricevuto, nel gennaio-febbraio 2005, una telefonata da Tavaroli, in cui l'ex manager lo avvertiva che sarebbe stato citato in un rapporto su Rcs "destinato a Tronchetti". Sempre Bernardini, invece, parla di un interesse di Telecom nell'avere copia di un "contratto stipulato tra Tremonti e Bossi presso un notaio".

Un documento che l'ex Sisde, poi investigatore privato, non riuscì ad avere e che ambienti di Forza Italia identificano con il cosiddetto "accordo segreto", l'accordo politico-programmatico che legava Bossi a Berlusconi per le regionali 2000. Qell'ormai "leggendario documento politico", osserva Fi, peraltro, non fu stipulato da Tremonti, ma direttamente dallo stesso Berlusconi e da Umberto Bossi. I contenuti di quell' accordo divennero poi pubblici, fanno notare negli stessi ambienti, perchè inseriti nel programma elettorale delle regionali 2000.

Da La Stampa 19-1-2007 Al via le città metropolitane

19/1/2007 (16:22) - RIFORME

Individuate nel ’90, le aree di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli, sostituiranno le province

ROMA
Il Codice delle Autonomie, approvato oggi dal consiglio dei ministri, dà il via alle città metropolitane. Compito di promuoverle spetta agli stessi territori che, se vorranno, potranno richiedere la creazione di una città metropolitana nelle nove aree, già individuate nel ’90, di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli. L’iniziativa spetta al comune di capoluogo o al 30% dei comuni della provincia o delle province interessate, che rappresentino il 60% della relativa popolazione, oppure ad una o più province insieme al 30% dei comuni della provincia/e proponenti. Sulla proposta la Regione dovrà esprimere un parere e successivamente saranno chiamati ad esprimersi anche i cittadini con un referendum.

Referendum che non avrà quorum se il parere della Regione sarà favorevole, avrà un quorum del 30% se sarà contrario. «Nelle aree intorno alle città si può decidere di costituire al posto di una o più province una città metropolitana attraverso una procedura che parte dal territorio, con il consenso delle istituzioni e poi con un referendum», ha spiegato oggi il ministro degli Affari regionali e delle autonomie locali, Linda Lanzillotta. «Laddove viene costituita una città metropolitana la provincia scompare - ha spiegato il ministro - per lasciare il posto alla città metropolitana, che ha un perimetro stabilito dagli stessi enti locali e istituzioni che ne hanno voluto la costituzione. Il comune capoluogo viene articolato in municipalità, gli altri comuni resteranno gli stessi e svolgeranno funzioni di prossimità, di servizio diretto ai cittadini e alle imprese.

La stessa Regione è inoltre vincolata ad attribuire ai comuni funzioni che possono essere da loro meglio amministrate tanto che sono previsti anche meccanismi di garanzia per i comuni». «Una provincia troppo piccola perde la ragione della sua essenzialità costituzionale - ha affermato il ministro dell’Interno, Giuliano Amato - La revisione delle circoscrizioni provinciali che si prefigura non può avvenire se non c’è iniziativa dei comuni, senza il parere favorevole delle Regioni interessate e della stessa Conferenza Unificata».


Da La Stampa 19/1/2007 (13:47) Turchia, ucciso giornalista armeno

Era stato processato per offesa alla patria. Per le strade di Istanbul è caccia all'assasino

ISTANBUL
È caccia all’uomo per le strade di Istanbul. La polizia sta cercando l’assassino del giornalista turco di origine armena Hrant Dink, una delle voci più autorevoli del settore, direttore del settimanale bilingue turco-armeno Agos e più volte attaccato dagli ultranazionalisti e sotto processo per tradimento della patria per le sue dichiarazioni sul genocidio degli Armeni del 1915, in base al famigerato articolo 301 del codice penale turco, che l’Europa vorrebbe cancellato o quantomeno emendato. Per i colleghi giornalisti o per chi lo conosceva bene, la morte di Dink «è una perdita per la Turchia» e le pallottole che hanno colpito il suo corpo, hanno «colpito il Paese».

Sarebbe un ragazzo tra i 18 e i 19 anni, con un cappello bianco e una giacca di jeans, secondo le prime ricostruzioni, l’omocida dileguatosi dopo aver esploso quattro colpi di pistola, due dei quali hanno colpito alla testa il 53enne giornalista e lo hanno lasciato senza vita davanti all’entrata della sua redazione a Sisli, nella parte europea di Istanbul. La televisione Ntv riporta che la polizia turca è alla ricerca dell’assassino la cui identità rimane ancora sconosciuta. Per il quotidiano Hurriyet si potrebbe trattare di più di un uomo. Le forze dell’ordine hanno circondato la zona per precauzione. L’omicidio non è stato ancora rivendicato, ma secondo le prime ipotesi potrebbe essere stato commesso da un giovane estremista.

Un colpo al cuore per la Turchia, quella che vuole fortemente entrare in Europa e che adesso si trova con la patata bollente della libertà di espressione di nuovo sotto i riflettori europei. Dink, infatti, era stato preso di mira dagli ultranazionalisti, da quei lupi grigi che hanno pilotato la maggior parte dei processi per offesa all’identità turca secondo l’articolo 301. Dink, più volte alla sbarra, viveva con la spada di Damocle di quattro anni di prigione. L’accusa era in mano all’avvocato Kemal Kerencsiz, lo stesso che aveva trascinato in tribunale il premio Nobel Orhan Pamuk e la scrittrice Elif Shafak. L’udienza era stata aggiornata al prossimo 18 aprile, non senza imbarazzo da parte delle autorità turche, sotto pressione da parte di Bruxelles. Ma Dink, che aveva dichiarato di non volere vivere in un Paese che non lo vuole, non potrà difendersi.


Dal Corriere della Sera 18-1-2007 Uno studio di Harvard conferma l’aumento della quantità di nicotina presente nelle sigarette negli ultimi anni

Incremento anche nel numero di «tiri», e quindi anche della dipendenza

Fumo: smettere è sempre più difficile

BOSTON - Smettere di fumare è sempre più difficile. E non solo a causa della scarsa forza di volontà dei fumatori. Il problema è che i livelli di nicotina presenti nelle sigarette sono aumentati, e non per caso. Lo scrive uno studio pubblicato oggi dalla Harvard School of Public Health , che riapre le polemiche mai del tutto sopite tra enti regolatori americani e multinazionali del tabacco. Secondo i ricercatori di Boston – che hanno ripreso in mano i dati di una precedente analisi condotta dallo stato del Massachusetts, ampliandone portata e profondità – tra il 1997 e il 2005 la quantità di nicotina inalata attraverso le sigarette vendute in America è aumentata dell’11 per cento. E questo vale per tutti i tipi, compresi ultralight e mentolo.

UN AUMENTO NON CASUALE - Alla base dell’incremento di questa sostanza chiave delle sigarette – croce e delizia di ogni fumatore, poiché responsabile sia della sensazione di piacere procurata dal fumo sia della dipendenza indotta dallo stesso – sarebbe il tipo di tabacco utilizzato, forse una particolare parte della pianta, una specifica varietà o un tipo di trattamento. Di una cosa però lo studio sembra certo: l’iniezione extra di nicotina non è casuale. «Si è trattato di un aumento pervasivo, sistematico, che riguarda tutti i produttori e che è stato fatto di proposito», ha commentato Howard Koh, uno degli autori dello studio, al Boston

 Globe

. Ce n’è abbastanza per far saltare quella specie di tregua siglata nel 1998 tra industria del tabacco e autorità americane, in base alla quale le multinazionali del fumo si sarebbero dovute impegnare per ridurre il popolare vizio tra i più giovani.

PIU’ TIRI PER SIGARETTA - Lo studio ha anche dimostrato un aumento del numero di tiri per sigaretta, dovuto a cambiamenti nella progettazione della stessa. Insomma, difficile non tracciare la seguente equazione: più tiri, più inalazioni, più nicotina per numero di tiri, più dipendenza. E dunque più difficoltà a smettere, dal momento che l’astinenza da questa sostanza provoca sintomi quali insonnia, irritabilità, irrequietezza, deficit di concentrazione e via dicendo. Gli attivisti anti-fumo si sono subito appellati al governo federale affinché regolamenti e controlli il tabacco così come fa con i medicinali. La Philip Morris – la prima a rispondere tra le multinazionali chiamate in causa, nonché il maggior produttore americano di tabacco - ha contestato i risultati dello studio di Harvard, affermando che il livello di nicotina dei suoi prodotti di marca Marlboro ha semplicemente fluttuato negli ultimi anni. Ma per i ricercatori non c’è dubbio: il livello di nicotina è salito. E i tabagisti sono avvisati.

Carola Frediani

18 gennaio 2007


Piccola Rassegna del 19-1-2007

 

INDICE

1

Da borsaitaliana.it (18-1-2007)   Bankitalia: cade obbligo inderogabile segreto ufficio (MF) 2

Dal Corriere della Sera 18-1-2007 Statali, c'è l'accordo: mobilità e «pagelle» arrivano gli esodi incentivati 2

Da borsaitaliana.it (18-1-2007)   Bankitalia: cade obbligo inderogabile segreto ufficio (MF)

 MILANO (MF-DJ)--L'obbligo inderogabile del segreto d'ufficio nell'ambito dell'attivita' di vigilanza della Banca d'Italia "non e' piu' inderogabile, anzi, le deroghe sono gia' legge, visto che sono state inserite in un decreto del governo" approvato a dicembre e giunto alla Camera per l'iter di approvazione.

E' quanto si legge in un articolo di MF, che spiega come il ministro dell'economia Tommaso Padoa Schioppa sia riuscito laddove il predecessore Giulio Tremonti aveva dovuto fermarsi quando aveva cercato di chiedere informazioni all'ex-governatore Antonio Fazio "nella fase piu' dura dello scontro sui casi Cirio e Parmalat".

Inoltre, Bankitalia, se la situazione di emergenza "potenzialmente lesiva della stabilita' del sistema finanziario italiano" coinvolge gruppi bancari con operativita' in altri stati europei dovra' informare anche l'autorita' monetaria competente, ovvero la Bce. red/mur

Dal Corriere della Sera 18-1-2007 Statali, c'è l'accordo: mobilità e «pagelle» arrivano gli esodi incentivati

Intesa tra Governo e sindacati sul Pubblico Impiego:, la meritocrazia e i «voti» dei cittadini ai servizi   

Previsti anche dirigenti-manager licenziabili e la scomparsa del precariato

Sportello comunale

ROMA - Accordo tra Governo e sindacati per la riforma della pubblica amministrazione. Arrivano la mobilità degli statali, gli esodi incentivati, la meritocrazia, le 'pagelle' dei cittadini alla qualità del servizio, i dirigenti-manager licenziabili in casi estremi. Ma anche il telelavoro. E un sforzo per mettere fine al precariato. A giorni sarà firmato un successivo accordo a Palazzo Chigi che interesserà i settori delle Autonomie Locali e della Sanità.

ACCORDO - All'incontro che ha portato all'intesa sul Memorandumdel Pubblico impiego erano presenti il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, il ministro della Funzione pubblica, Luigi Nicolais, i segretari generali della Cgil, Cisl e Uil, Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti e i rappresentanti sindacali della categoria del Pubblico impiego. L'accordo quadro «per una nuova qualità dei servizi e delle funzioni pubbliche» è un testo con cui l'esecutivo punta a introdurre i concetti di meritocrazia e qualità nel servizio pubblico coinvolgendo cittadini e imprese nella valutazione dei risultati. Il testo ha subito diverse elaborazioni e la stesura definitiva è arrivata a poche ore dalla firma, con l'apporto di alcune modifiche ritenute essenziali dai sindacati. Queste, più nel dettaglio, le proposte nelle linee generali contenute nel testo siglato a Palazzo Vidoni:

MOBILITÀ. Per favorire la mobilità del personale pubblico, statale, regionale e locale, «anche a seguito di riorganizzazioni e in attuazione del trasferimento di funzioni fra livelli istituzionali, verranno individuati meccanismi anche contrattuali di sostegno e incentivazione mediante agevolazioni economiche sia dirette che indirette» con il ricorso anche all'autonomia di bilancio. Nel testo si legge che «sarà strutturato un sistema che favorisca l'incontro fra la 'domanda' di amministrazioni con carenze di personale e 'l'offerta' di dipendenti che intendono cambiare collocazione, anche al fine di contribuire all'effettiva attuazione del decentramento delle funzioni amministrative».

USCITE INCENTIVATE. Forme incentivate di uscita dovranno essere previste in caso si accertino esuberi non ricollocabili con processi di mobilità. L'obiettivo è anche quello di un ricambio generazionale. La previsione è che dal 2008, quando si potrà tornare ad assumere, ci siano su dieci uscite sei assunzioni, di cui una parte riservata a giovani. Il ministro Nicolais più volte non ha escluso anche prepensionamenti per i lavoratori più anziani.

STRETTA SUI DIRIGENTI, LICENZIABILI. Confermata la stretta sui dirigenti, con il taglio del numero. Sarà eliminata ogni progressione di carriera automatica, mentre gli incarichi e le promozioni saranno collegate ai risultati della valutazione.In casi estremi di performance negative, previsto il licenziamento, al pari di quanto avviene nel privato. Il ricorso allo spoil system andrà limitato alle posizioni che collaborano direttamente con l'autorità politica. Il dirigente avrà autonomia nell'uso del proprio budget per conseguire obiettivi di gestione.

TURN OVER PROGRAMMATO, CONCORSI DECONGESTIONATI. L'ingresso per concorso, come prevede la Costituzione, resterà la modalità ordinaria. La scelta dei settori prioritari di destinazione e la programmazione delle assunzioni sarà continua. Prevista la decongestione dei concorsi, con la definizione dei requisiti di partecipazione.

PAGELLA CITTADINI SU SERVIZI. Il governo punta alla misurazione dei risultati dell'azione amministrativa, prevedendo anche sedi e momenti di misurazione con la partecipazione anche di amministrazioni, sindacati e utenti.

GIRO DI VITE SU ESTERNALIZZAZIONI. Previsto un giro di vite su esternalizzazioni e consulenze: un aumento di efficienza dovrà essere perseguito ricorrendo a esternalizzazioni solo per per le attività no core, limitando il ricorso alle consulente.

SCOMPARSA DEL PRECARIATO. Nell'ambito della legislatura è prevista la scomparsa del precariato. Secondo le ultime stime della Ragioneria, sono circa mezzo milione i contratti precari.

TELELAVORO. Con l'informatizzazione a tappeto della macchina amministrativa è previsto anche il maggior ricorso al telelavoro.

18 gennaio 2007


Piccola Rassegna del 18-1-2007

 

INDICE

Da Quotidiano di Sicilia (qds.it) 18-1-2007  La privacy è una stronzata. Contrasto all'evasione senza veli di C.A. Tregua 1

Dal Sole 24 Ore 18-1-2007 Rottamazione dell'auto, così i produttori si organizzano per restituire il bonus 2006

di Nicoletta Cottone

 

Dal Sole 24 Ore 18-1-2007 Rottamazione dell'auto, così i produttori si organizzano per restituire il bonus 2006

di Nicoletta Cottone

La Fiat e la Renault hanno aperto le danze chiedendo alla rete di venditori di inviare una nota di credito ai clienti per la restituzione del bonus rottamazione varato dalla Finanziaria per il 2007. Destinatari del provvedimento sono i clienti delle case automobilistiche che hanno acquistato una nuova vettura in linea con gli standard di rispetto dell’ambiente, rottamando una vecchia auto Euro 0 o Euro 1 nel periodo compreso fra il 3 ottobre 2006 e il 31 dicembre 2006. Chi si è seduto al volante di una nuova auto Euro 4, rottamando la vecchia, prima del 2007, non ha, infatti, ricevuto il contributo di 800 euro che la manovra di fine anno riconosce a chi ha svecchiato il parco auto passando a un veicolo più rispettoso dell’ambiente. La Finanziaria, infatti, è entrata in vigore il 1° gennaio 2007, dunque le norme non potevano essere applicate prima dell'entrata in vigore della legge. Prevista anche l’esenzione per due annualità dal bollo, estesa di una ulteriore annualità se la cilindrata del veicolo è inferiore a 1.300 cc. (questi limiti di cilindrata non si applicano se vetture e veicoli sono acquistati da persone fisiche nel cui nucleo familiare ci siano 6 componenti non intestatari di altre vetture o veicoli).
Fiat e Renault hanno deciso, dunque, tramite la rete di venditori, di inviare una nota di credito ai clienti in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa. Alla Peugeot l’attivazione della pratica avviene, invece, su segnalazione diretta della concessionaria che ha venduto la vettura nuova.
Molti gli automobilisti a caccia di informazioni per capire se sussiste il diritto al bonus. «C’è stata molta confusione e disinformazione - sottolinea Diego Graziani, 38 anni, di Creazzo in provincia di Vicenza, che ha rottamato a dicembre una vettura Euro 0, acquistando una Daihatsu - Al momento del pagamento il venditore non sapeva bene chi doveva finanziare gli 800 euro della rottamazione, quindi abbiamo pagato con un po’ di perplessità senza usufruire del contributo».
Certamente la reatrottività della norma ha creato confusione e non tutte le case automobilistiche, causa le festività, hanno diffuso alle proprie reti le indicazioni su come muoversi. Intanto è attesa una circolare Aci, dopo una consultazione con il ministero dell’Economia, sui primi aspetti controversi della vicenda rottamazione. La Direzione centrale servizi delegati dell’Aci, comunque, si è già mossa sul fronte dei motorini Euro 3, segnalando agli 8.692 utenti che ne hanno acquistato uno a dicembre, con una comunicazione ad personam, il bonus introdotto per le due ruote dalla Finanziaria, invitandoli a verificare il possesso dei requisiti. «L'azione informativa - spiega nella nota il direttore centrale Vincenzo Pensa - intrapresa con spirito proattivo e propositivo, va a innestarsi nel più ampio quadro di iniziative volte ad amplificare il ruolo istituzionale dell'ente a salvagiardia e promozione dell'automobilismo e del motocicolismo, e a limitare la percezione dell'ente quale impositore ed esattore del contributo». La nota dell’Aci ha anche chiarito che è chi ha acquistato un motorino Euro 3 nel mese di dicembre 2006 può usufruire del bonus (80 euro e l’esenzione dal pagamento di 5 anni di bollo) anche consegnando un motorino da rottamare al demolitore entro il mese di gennaio. Per il bonus l’interessato dovrà presentare una domanda al Pra, mentre l’esenzione dal bollo sarà automatica. È probabile che una strategia analoga sarà decisa anche per il bonus vetture.
«La nuova normativa - spiega Antonio Cernicchiaro, direttore delle relazioni istituzionali dell’Unrae, l’Unione nazionale rappresentanti di veicoli esteri - pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 27 dicembre, crea un problema di applicazione soprattutto per la parte retroattiva al 2006, con circolari informative che a cascata, a partire da noi, giungono alle case automobilistiche estere e alle reti». L’associazione ha attivato una sorta di help desk sulle novità della Finanziaria a disposizione degli associati. Un consiglio per chi ha acquistato una vettura nuova rottamadone una Euro 0 o Euro 1 a fine 2006 è quello di rivolgersi al venditore per controllare di essere in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa e chiedere il bonus non fruito.
Fra i controlli da effettuare è necessario verificare che il veicolo avviato alla demolizione sia Euro 0 o Euro 1, sia intestato all'acquirente della nuova vettura o a un familiare convivente, fatto che deve essere attestato dallo stato di famiglia. Il contributo, inoltre, spetta, se il nuovo veicolo acquistato Euro 4 emette non oltre 140 grammi di Co2 al chilometro. Nella normativa sono citati anche acquisti di ipotetici veicoli Euro 5, che in realtà saranno in circolazione solo dal 2009, visto che si tratta di uno standard di omologazione in corso di definizione: queste vetture dovrebbero dare un taglio del 20% delle emissioni di NOx per i motori diesel e del 25% per quelli a benzina. Inoltre i motori diesel dovranno abbattere dell'80% l'emissione di polveri sottili, il che renderà obbligatorio l'applicazione di filtri ad hoc.

nicoletta.cottone@ilsole24ore.com

 

da quotidiano di sicilia (qds.it) 18-1-2007  la privacy è una stronzata. contrasto all'evasione senza veli di c.a. tregua


catregua@quotidianodisicilia.it

"Stronzata", secondo il dizionario della lingua italiana De Mauro, vuol dire "ciò che è fatto male, che risulta brutto o insulso e cattivo". Usare la privacy come scudo per evadere le imposte è brutto, insulso e cattivo.
Perché con la competizione internazionale, la ristrettezza delle risorse finanziarie, il giusto cappio dell'euro alle esportazioni (che non possono più contare sulla svalutazione per diventare competitive) rende indispensabile portare a casa i 115 miliardi di euro che mancano nelle entrate dello Stato, per effetto dell'evasione di imposte e contributi che imprese e professionisti non versano all'erario.
L'illegalità è vasta, maggiormente diffusa nel Sud, ma anche nelle regioni ricche del Nord Italia. Ormai è stima comune che sfuggono ad ogni forma di tassazione fra i 250 e i 266 miliardi di euro.

I contributi sociali sono maggiormente evasi per un ammontare di circa 40 miliardi; segue l'Irpef con circa 36 miliardi, l'Iva con 14 miliardi, l'Ires con 10 miliardi, altre imposte con 9 miliardi e quelle locali con 6 miliardi. Un lungo elenco che dev'essere assolutamente azzerato perché costituisce la più importante rendita di posizione degli evasori rispetto a tutti i cittadini che pagano regolarmente le imposte.
Troppi condoni, ripetuti all'incirca ogni dieci anni, hanno indotto quei furbetti a non pagare le imposte, tanto sarebbe arrivato il democristiano di turno o il Tremonti di turno a mettere una croce tombale sull'effettivo obbligo tributario. Dunque, il primo atto da compiere è quello di non fare più condoni di nessun genere e tipo e bisogna che la gente ci creda, perciò destra e sinistra dovrebbero enunciare questo tassativo impegno.
Poi, una vera lotta all'evasione con i moderni sistemi informatici, che consentono l'incrocio di tutti i dati, per cui è possibile creare una griglia dalla quale pochi possano sfuggire.

Tra le indagini da fare preliminarmente a tavolino risulta importante quella finanziaria. Diceva Giovanni Falcone che, per colpire al cuore la mafia, bastava seguire le vie del denaro, che inevitabilmente entrano dentro il sistema bancario e lì vi rimangono. Parallelamente, per colpire gli evasori bisogna che Guardia di Finanza, Agenzia delle entrate e Ispettorati del lavoro percorrano le vie del denaro e chiedano conto di tutti quei movimenti cui non corrispondono i documenti fiscali. Aiuta in questa direzione la legge antiriciclaggio, entrata in vigore nell'aprile 2006, che impedisce i trasferimenti di somme in contanti al di sopra di una certa soglia.