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Archivio di Piccola rassegna
Gennaio 2007
INDICE
ARCHIVIO DI GENNAIO 2007
INDICE 31-1-2007
Dal Corriere della Sera 31-1-2007 A Kinshasa tra
i volontari. «Pochi antivirali per i minori, non sono convenienti per le
aziende»
Mario Porqueddu
Da Il Sole 24 Ore 30-1-2007 L'ideale dei Volenterosi: una marcia dei
40mila per le riforme
Da fainotizia.radioradicale.it 30-1-2007 Primo incontro pubblico dei Volenterosi
Da punto-informatico.it 31-1-2007
Telecom, risarcimento multimilionario
per Fastweb
Dal Corriere della Sera 31-1-
Nell’Africa degli orfani dell’Aids. «Milioni di bimbi senza farmaci»
L’appello di Medici senza frontiere: mancano le cure in dosi
pediatriche Piccoli soli per le strade del Congo. «Siete stregoni, portate il
contagio»
KINSHASA (Congo) —
Sabato di gennaio, è caldo e umido a Kinshasa. In un ambulatorio
donne del Congo raccontano ai loro figli una strana fiaba. Parla di malattia e
discriminazione, perché qui tutti, madri e bambini, sono sieropositivi.
È la storia del leoncino Becki: «La sua mamma si è ammalata ed
è morta mentre erano in viaggio per cercare le medicine di cui aveva
bisogno: un pezzo di luna, l’acqua del Mar Rosso, una foglia verdissima. Un
giorno il pelo di Becki diventa più chiaro: il virus l’ha colpito. Il
leoncino pensa di essere l’unico piccolo malato e si nasconde per la vergogna.
Ma una giovane leonessa si innamora di lui, gli spiega che quelle medicine che
cercava sua madre funzionano, lo invita a tornare al villaggio per dirlo a
tutti. Alla fine lei e Becki vanno a casa assieme: ogni giorno mangiano un
pezzetto di luna e uno di foglia, con un po’ d’acqua del Mar Rosso». L’educatrice
ripiega i fogli con i disegni degli animali e chiede «chi di voi prende
medicine?»: i bambini alzano la mano. Saranno una trentina, i più
piccoli hanno 2 o 3 anni, quelli grandi 8 o 9. Quasi tutti sono sieropositivi
dalla nascita. E alcuni hanno già bisogno dei farmaci antiretrovirali
(Arv), le sostanze che rendono possibile una vita normale a chi ha il sistema
immunitario minato dall’Hiv. In Africa, però, trovarli è
difficile come fare un cocktail di luna, Mar Rosso e foglie verdissime. Al
Centro di trattamento ambulatoriale del quartiere Kabinda una volta al mese si
riunisce il gruppo di supporto di Medici senza frontiere per i bambini malati.
Qui gli Arv, quelli «generici» prodotti in India a basso costo, vengono
distribuiti gratis. In tutto sono un centinaio i minori sotto terapia in questo
avamposto della lotta al male che nel
Per la terapia
di un bimbo di 14 chili ci
vogliono circa 1.300 dollari l’anno, contro i 200 necessari a trattare un
adulto». L’ostacolo principale si chiama povertà. Alcuni Arv vanno
conservati in frigorifero e anche questo è un problema quaggiù:
«Frigo? A volte non ce l’hanno nemmeno gli ospedali» dice Anja, una belga di 33
anni, coordinatrice del progetto Hiv di Msf a Kinshasa. Milioni di bimbi
infetti Medici senza frontiere cerca di scuotere coscienze e governi: «Al mondo
ci sono circa 2 milioni e 300 mila bambini affetti da Hiv/Aids; oltre 2 milioni
vivono in Paesi poveri: 660 mila sono a uno stadio della malattia che
richiederebbe terapie Arv, ma solo una minoranza le ottiene. Ogni giorno 1.500
bambini vengono infettati, in gran parte sono neonati e 9 su 10 contraggono il
virus dalla madre, perché gli sforzi per prevenire la trasmissione
materno-fetale nei Paesi del Sud sono insufficienti. Il 50% dei neonati
sieropositivi muore prima dei 2 anni». Ma è davvero uno scontro tra
ragioni dell’economia e diritto alla vita? Stefano Vella, dell’Istituto
superiore di sanità, lavora con l’Agenzia europea per la valutazione dei
prodotti farmaceutici (Emea) e da anni combatte l’Hiv: «Per l’Aids si sta
cercando di portare cure dappertutto. Non è stato fatto per la malaria,
né per la Tbc, che pure uccidono. L’Hiv, il solo virus venuto dal Sud del
pianeta che il Nord ha conosciuto da vicino, ha cambiato la sensibilità
rispetto alla disuguaglianza in materia di salute. Oggi al mondo gli Arv
arrivano al 20% di chi ne ha bisogno. Non basta a battere l’epidemia, ma
è una grande avventura dell’umanità ». Già,ma i bambini?
«Credo che gli Arv per curarli ci sarebbero. Però è vero,
l’Africa è tagliata fuori. E in generale molti farmaci vengono sviluppati
solo per l’adulto. Perché quello dei bimbi è un mercato piccolo: in loro
le patologie sono più rare, fare test sui minori è difficile e
senza test non si può commercializzare farmaci, e poi è
più immediato ed economico fare compresse per adulti invece di sciroppi
o pasticche da succhiare che abbiano un gusto piacevole e funzionino ». Da
GlaxoSmithKline, multinazionale del farmaco, replicano così: «Produciamo
7 antiretrovirali, tutti disponibili in forma di sciroppo e tutti, tranne uno,
indicati per l’impiego pediatrico. Nei Paesi in via di sviluppo concediamo
licenze volontarie per la produzione dei nostri Arv a società locali ».
Però qualcosa non va se a dicembre l’Ue ha approvato un «sistema di
obblighi, premi e incentivi » per fare in modo che i farmaci creati per gli
adulti, inclusi gli Arv, vengano prodotti anche in dosi adatte ai bambini. «Il
mercato da solo — dice il nuovo regolamento—si è rivelato insufficiente
per stimolare la ricerca, lo sviluppo e l’autorizzazione di medicinali di uso
pediatrico». Vella ammette: «È la prova che il problema di cui parla Msf
esiste».
Quando lo si
trasferisce nel Sud del mondo assume dimensioni drammatiche. Tre sorelle sieropositive Un dato
italiano aiuta a capire. Grazie a terapie contro la trasmissione del virus da
madre a feto l’Aids tra i nostri bambini (e quelli dei Paesi ricchi) è
un evento raro: nel 2005 i casi in Italia sono stati tre. A Kinshasa, invece,
ce ne sono tre nella famiglia di Papa Jean. Lui ha 56 anni ed è malato
di Aids. Le figlie sono sieropositive: Ruth e Sara, le due gemelle di 4 anni, e
Majoie, la grande, che ne ha 9. Ogni giorno, mattino e sera, Papa Jean spezza
le grosse pastiglie di Arv con le dita, creando a occhio le dosi per le
bambine. Se non riescono a buttarle giù, sbriciola i farmaci e li
scioglie in acqua. Vive a Kimbanseke, quartiere periferico dove chi viene
dall’Europa realizza di essere bianco, lo diventa davvero, si trasforma in
«mundele»—bianco in lingua lingala—come gridano i ragazzi al passaggio di
un’auto piena di tipi esotici. Davanti alla sua catapecchia Papa Jean racconta:
«I miei due figli maschi sono sieronegativi. Mia moglie non ha l’Aids. Non so
come si siano infettate le bimbe». Formula ipotesi che oscillano tra sfortuna e
superstizione: «Magari giocando con un mio rasoio. Oppure è stato un
miracolo di Belzebù». La Tbc gli toglie il fiato. Tossisce, poi
riprende: «Quando sono stato male uno zio mi ha portato da un guaritore. Quello
mi ha detto che erano state le bimbe a contagiarmi, che erano abitate da
spiriti maligni. Non gli ho creduto. La gente intanto mi isolava, per strada mi
chiamavano relitto. Dal 10 ottobre 2005 prendo gli Arv: per me è
iniziata una seconda vita». Generazioni a perdere A Papa Jean è andata
bene e anche alle sue tre figlie. Perché le strade di Kinshasa sono piene di
bambini abbandonati: negli anni 90 l’artista congolese Papa Wemba in una
canzone li ha chiamati shegue, abbreviazione di Che Guevara, per esaltarne il
coraggio e lo spirito di indipendenza. Ma di poetico nelle loro storie
c’è solo quel nome. Humanrights watch ne conta 30mila, per la
OngMedicines du monde, che ha aperto per loro un centro di accoglienza, sono 15
o 20 mila. Finiscono in strada per tanti motivi, quasi tutti hanno a che fare
con la povertà, ma spesso è anche a causa dell’Aids.
La malattia ha
reso orfani molti di loro
e si è tradotta in un’assurda condanna formulata dai parenti rimasti:
«Avete ucciso i vostri genitori: siete stregoni». Cacciati di casa e
discriminati, dormono dove capita, vivono di espedienti. Ci sono ragazze, o
magari bambine, che si prostituiscono per uno o due dollari e così nel
20% dei casi diventano sieropositive. Dieci di loro, avranno 14 anni, vivono
accampate vicino a un canale sulla strada che va all’aeroporto. Msf le ha
visitate. Squadre di medici e consulenti cercano le prostitute di Kinshasa,
distribuiscono preservativi nei quartieri poveri, insegnano alle ragazze come
usarli, da maggio le invitano al centro Biso na Biso, che in lingala vuol dire
«Tra di noi» perché è dedicato alle professioniste del sesso. Ci lavora
Stella Egidi, 30 anni, di Viterbo. Ha lasciato l’ospedale di Perugia per
spendere qui la sua specializzazione in malattie infettive. «La lotta all’Aids
in Africa è difficile — racconta —. Immaginiamo di avere tutti gli Arv
di cui c’è bisogno: andrebbero presi con cura e regolarità da
parte del malato, dovrebbero arrivare in luoghi che magari non sono
raggiungibili perché non c’è la strada. E poi bisogna mangiare bene
perché il fisico li tolleri e usare acqua potabile. Cose complicate
quaggiù ». Msf dà cibo ai malati, ma a volte non basta: «Trecento
persone ricevono razioni mensili di provviste—spiega Raphael, l’infermiere che
lavora con i bambini — ma capita che la gente divida con parenti e vicini sia i
farmaci sia gli alimenti». Allora perché restare qui? «In 12 anni a Kinshasa abbiamo
curato 6.900 persone con l’Hiv—dice Anja —. Per 1.900 pazienti sono partiti
trattamenti Arv. Senza, sarebbero morti in pochi mesi. Invece la maggior parte
è tornata a stare meglio, lavora, ha una vita sociale. Con due pastiglie
al giorno. Secondo i nostri dati la probabilità di sopravvivenza nei
bambini curati con gli Arv è dell’87% a 12 mesi e del 77% a 36 mesi».
Dicono che è per questo che continuano a sfidare l’Aids e il Congo.
Povero e vitale, disperante e pieno di fede e culti nuovi, con figure a
metà fra il prete e il santone che predicano così: «Se credete in
Dio non prendete pillole, lui vi guarirà».
31 gennaio 2007
Rivelati i primi
giorni di Pompei così nacque la città sotto il vulcano
SI SA MOLTO, ormai
quasi tutto, di come sia morta Pompei. Ora si comincia a far luce sulla sua
storia secolare, a cominciare dalla sua nascita. Le fonti mitologiche e
letterarie sono state sempre vaghe: ma adesso affiorano in vari punti del
territorio tracce archeologiche sull'origine della città. Che si
potrebbe fissare al VI secolo avanti Cristo, a opera di popolazioni indigene
etruscheggianti.
Una vasta campagna di scavo fra il 2003 e il
I risultati di
questa intensissima attività di ricerca, condotta da archeologi di varie
parti del mondo, vengono illustrati in un convegno internazionale che si svolge
da domani fino a sabato a Roma, presso la Sala del Mappamondo di Palazzo
Venezia. I relatori sono una cinquantina, provenienti da Università
italiane e di 12 paesi. Sei sessioni presiedute da Adriano La Regina, Paul
Zanker, Fausto Zevi, Ida Baldassarre, Dieter Mertens, Stefano De Caro. Il
convegno sarà aperto dal Soprintendente di Pompei Pier Giovanni Guzzo.
Agli archeologi che hanno scavato sotto alcuni dei suoi più celebri
edifici, ma anche in zone meno note, Pompei ha rivelato un volto diverso da
quello dei custodi riottosi, dei parcheggiatori abusivi o delle bancarelle di
patacche. Artefice di questa nuova effervescenza scientifica è stato il
soprintendente Guzzo, da oltre dieci anni alla guida dell'area che comprende
Pompei, Ercolano, Oplontis e Stabiae. Invece che allargare la superficie
scavata, Guzzo ha spinto gli archeologi a scendere in profondità. Oltre
a ipotizzare un'origine di Pompei, ci si avvia anche a rivedere la storia della
città, in particolare la storia della sua crescita urbana: si riteneva che
Pompei si fosse sviluppata a partire da una piccola zona centrale, quella del
Foro, grande
Secondo Fabrizio Pesanda, archeologo dell'Istituto Orientale di Napoli, e
responsabile di uno dei progetti di scavo, le cose sarebbero andate
diversamente. Sotto la cinta muraria è stato rintracciato uno strato
risalente alla prima metà del VI secolo, caratterizzato da blocchi di
"pappamonte", un tufo tenero. A questo stesso periodo risalgono due
rilevanti edifici di carattere sacro, fra i più celebrati: il Tempio di
Apollo e il Tempio Dorico del Foro Triangolare, ma anche altre piccole aree di
culto esterne al presunto nucleo originario arcaico, ora riportate alla luce.
Pesanda ha scavato nella cosiddetta Regio VI, la zona della città
affacciata sulla Via Mercurio, area poco frequentata e distante dal Foro. Sotto
le mura del Thermopolium ha rinvenuto un frammento di coppa in bucchero
databile alla prima metà del VI secolo.
In quest'area sono stati individuati diversi strati, costruzioni che si
sovrappongono l'una all'altra, come in un grande palinsesto urbano. Tracce di
un edificio sono presenti anche sotto la Casa dell'Ancora e sotto la Casa del
Centauro, dove sono state trovate anfore interrate verticalmente (avevano lo
scopo di impermeabilizzare il pavimento) e anche un grande ambiente
residenziale, abbellito con decorazioni parietali.
Gli scavi sono proseguiti in modo coordinato, senza tanti intoppi burocratici o
traversie accademiche. Il territorio della città, soprattutto quello
meno battuto dai cortei di turisti, è stato diviso fra diversi gruppi di
archeologi. Un'équipe proveniente da Matera ha studiato gli strati sottostanti
il Tempio di Venere, un'altra, composta da archeologi francesi, ha scavato un
edificio per banchetti del IV secolo. Hanno lavorato ricercatori provenienti da
Sheffield, Stoccolma, Oxford, Berlino, Valencia, Stanford, Uppsala, Kyoto,
oltre che da Napoli, Venezia, Siena, Trieste e Roma. In questi anni non
è stato rinvenuto materiale di grande pregio artistico, ma si è
potuto documentare quanto Pompei sia una città romana soltanto
nell'ultima parte della sua esistenza.
Questa messe di scoperte conduce a una serie di conclusioni, che potrebbero
invertire l'immagine classica d'una città che si sviluppa a partire da
un piccolo nucleo. "Nel VI secolo Pompei era già una città
di grandi dimensioni e con edifici rilevanti diffusi capillarmente",
spiega Pesanda. Da allora in poi queste diverse zone si sarebbero ingrandite,
riempiendo i vuoti fra l'una e l'altra. Non sarebbe stato, però, un
processo lineare. Mancano attestazioni di rilievo che risalgano al V secolo.
Intorno a questi anni, stando alle ipotesi che ora prevalgono, Pompei subisce
un arresto della sua crescita, "causato probabilmente da una profonda
crisi demografica", aggiunge Pesanda. "Forse ha subito la sorte del
più rilevante evento storico che coinvolse l'intera regione Campania in
quei decenni, vale a dire la conquista di quasi tutte le città da parte
delle popolazioni di stirpe sannitica, che provocò un ridimensionamento
anche di insediamenti più grandi di Pompei, come le colonie greche di
Cuma e di Poseidonia".
Dunque Pompei a un certo punto della sua storia si restringe ed è forse
in questa fase che si richiude nella zona che fino agli ultimi scavi è
stata ritenuta la parte più antica. Dopodiché s'apre un periodo di
rinnovato vigore. Riprende a crescere rioccupando tutta l'area degli
insediamenti arcaici, ricostruendo una nuova città sopra la vecchia,
arricchendo la sua trama urbana in corrispondenza del diverso peso delle classi
sociali che l'abitano. "L'ingresso di Pompei fra le città alleate
di Roma, dopo il
(31
gennaio 2007)
Da Il Sole 24 Ore 30-1-2007 L'ideale dei Volenterosi: una marcia dei
40mila per le riforme
A ll'inizio i Volenterosi erano un tentativo volto a correggere
alcuni aspetti della legge finanziaria spezzando le rigide gabbie delle
militanze politiche. Oggi sono molto di più.Non un movimento politico,
ma qualcosa a metà fra un circolo culturale e un gruppo di pressione che
sarebbe opportuno non sottovalutare. Costituiscono ormai una spina nel fianco
dei due schieramenti.Capezzone,Tabacci, Franco Debenedetti, Nicola Rossi, Gianni
De Michelis e molti altri: trasversali nel vero senso del termine, uniti
idealmente da uno spirito pragmatico.
Qualcuno dice:i Volenterosi sono e saranno ancor di più in futuro uno
stimolo ai riformisti, un invito perché questi ultimi escano
dall'ombra e difendano con determinazione e loro tesi. Altri aggiungono: i
Volenterosi con la loro stessa esistenza dimostrano i limiti del bipolarismo
italiano; e suggeriscono come rimodellarlo sulla base di una maggiore
omogeneità dei progetti.
C'è molto di vero in queste osservazioni. Anche se la forza dei
Volenterosi sta proprio nel non essere «l'ennesimo partitino». E nel non
volerlo diventare.Questo permette loro una libertà d'azione che è
grande e sarà ancora più estesa in futuro. Possono davvero essere
il fulcro di un'azione riformatrice di stampo «neoliberale», raccogliendo le
istanze provenienti da spezzoni del mondo politico delusi o frustrati. Non
c'è dubbio infatti che il gruppo dei Volenterosi riunisce alcuni tra i
migliori intelletti della classe dirigente. Personaggi in grado di testimoniare
con la loro esperienza diretta quanto l'attuale sistema politico sia ingessato
e autoreferenziale, quanto sia tetragono nell'escludere le voci anticonformiste
e testardo nel proteggere il proprio istinto di conservazione.
Si dirà che i Volenterosi dispongono di una modesta capacità di
incidere sulla realtà, proprio perché non hanno potere politico. O hanno
perso quello che individualmente avevano. Ma è un'obiezione
sbagliata.Proprio perché non sono un partito, ma una sorta di club, i
personaggi riuniti ieri a Milano sono in grado di farsi sentire. Sulla stampa,
certo,ma anche presso le segreterie dei partiti. Il caso di Nicola Rossi
può essere forse trascurato finché resta l'episodio di un professore
deputato che se ne va denunciando lo scarso riformismo del governo.Ma diventa
un fatto politico di prima grandezza nel momento in cui questo stesso
professore si lega ad altri come lui e trova una sponda nel gruppo
deiVolenterosi.
I quali sembrano rivolgersi soprattutto al centrosinistra, ma solo perché
questo è il colore del governo in carica. In realtà si rivolgono
a tutti, a destra non meno che a sinistra: e basta sentir parlare un uomo come
Tabacci per capire quanto andrebbe destrutturata e ricostruita anche la Casa delle
Libertà per esprimere un coerente disegno riformatore.
La verità è che i Volenterosi tentano di sollecitare un movimento
dal basso contro le insufficienze della classe di governo partitica. Per meglio
dire,contro le illusioni del nostro debole bipolarismo. Un volontarismo fin
troppo generoso che spinge tanti, nelle segreterie dei partiti, a fare
spallucce di fronte agli sforzi di questi «cavalieri solitari ». Quando
Capezzone invoca una sorta di «marcia dei quarantamila» a favore delle riforme,
rievocando la mobilitazione dei quadri Fiat nel 1980, esprime bene il senso e
la vocazione dei Volenterosi. Ricollegare i cittadini alla politica: ambizione
tutt'altro che piccola.
Da fainotizia.radioradicale.it 30-1-2007 Primo incontro pubblico dei Volenterosi
Dal
blog di Blogroll (18) - Martedì, 30 Gennaio 2007 -
6:41pm
Primo incontro
pubblico dei Volenterosi, ieri a Milano. In programma tre sessioni dedicate al
Welfare (con gli interventi, tra gli altri, di Giuliano Da Empoli, Alberto
Alesina, Roberto Cicciomessere e Daniele Capezzone), alle Liberalizzazioni (con
Franco Debenedetti, Francesco Giavazzi, Enrico Cisnetto, Alberto Mingardi,
Chicco Testa e Bruno Tabacci) e alla Pubblica Amministrazione (con Pietro
Ichino, Fiorella Kostoris, Michele Vietti e Antonio Polito). Le conclusioni
sono state affidate a Savino Pezzotta. «Siamo pronti a dare una mano, essendo
anche noi fra i volenterosi», hanno scritto in una dichiarazione di adesione
Marco Beltrandi, Rita Bernardini, Marco Cappato, Maria Antonietta Coscioni,
Sergio D’Elia, Marco Pannella, Donatella Poretti, Elisabetta Zamparutti,
esponenti dei soggetti dell’area radicale. Per Emma Bonino, intervistata da
Radio Radicale, si è trattato di una iniziativa «politicamente molto
utile». Video, link e interviste su
Radioradicale.it
Politicaesocietà.blogosfere.it intervista Daniele Capezzone (sul sito
trovate il video) e scrive:
«La sala
dell’Angelicum era piena. Soprattutto di addetti ai lavori, da politici di
vecchia data (De Michelis, La Malfa, Chicco Testa, Marco Taradash) a quelli di
nuovo corso (Linda Lanzillotta, Bruno Tabacci, Davide Corritore, Filippo
Penati, Antonio Polito). Molti i giornalisti (Piero Ostellino, Oscar Giannino).
Tra i blogger noti, Mario Adinolfi. Tra chi ci ha provato e forse ci
riproverà, Ivan Scalfarotto. Una cosa sensata l’ha detta Giuliano Da
Empoli nell’intervento di apertura: «La politica deve cambiare anche la
comunicazione: se parli di scalone i giovani non ti seguono. Si è mai
visto Tony Blair parlare di pensioni in quel modo?».
Scrive Mario
Francescato su Migliore.blog.lastampa.it:
«Ieri a Milano
grande successo della manifestazione dei Volenterosi, il gruppo trasversale che
non si riconosce più nei partiti tradizionali (…). Si noti che, a parte
qualche giornalista e qualche economista, gli altri, oltre che Volenterosi sono
anche AZZERATI (dalle nomenclature dei partiti)».
Scrive Alessandro
Caforio su Radioweblog.it:
«In molti ci
scrivono per riascoltare l’incontro dei Volenterosi ieri pomeriggio nella
capitale economica del paese. Numerosi i partecipanti e ancor più
affollata la platea con politici di ieri e di oggi che sgomitavano per farsi
vedere. I bene informati ci dicono che si procede verso una futura associazione
per promuovere la meritocrazia e se così fosse si tratterebbe di
rivoluzione vera. Gli ostacoli, i limiti sono comunque ancora molti e il
futuro, siamo certi, non è dietro l’angolo. Continueremo a seguire
questa iniziativa e le correlate cronache bizantine».
Sul sito
ufficiale, Volenterosi.it, troviamo il Manifesto dei Volenterosi:
«Era il 1994
quando il professor Prodi, insieme al premio Nobel Modigliani e altri
autorevoli economisti, firmò un appello all’allora premier Berlusconi
stigmatizzando la scelta di quel governo di rinunciare alla riforma delle
pensioni. Era il 1997 quando, divenuto Prodi presidente del Consiglio, si
insediò una commissione presieduta dal professor Paolo Onofri che
elaborò alcune serie proposte di riforma, rimaste lettera morta.
Governare è difficile. Avere il coraggio di rischiare è ancora
più difficile. Ma possono le inevitabili difficoltà frenare il
futuro del nostro Paese?».
Il sito dei
Volenterosi, a sua volta, linka ai siti personali di alcuni dei firmatari. Tra
costoro Frnco Debenedetti. Sul suo sito, Francodebenedetti.it, troviamo anche uno spazio dedicato ai
lettori (Il
sasso nello stagno).
Una delle proposte
dei lettori è la razionalizzazione delle ferie:
«La
razionalizzazione delle ferie vale almeno un + 10% d’efficienza per il
Sistema-Italia Un semplice progetto, come forte stimolo per avviare un ciclo
virtuoso dello sviluppo economico, sociale ed innovativo del
Sistema-Paese-Italia. Nella situazione attuale avviene che dal 15 luglio al 10
settembre, dal 15 dicembre al 10 gennaio e per altre due settimane durante la
Pasqua la produttività del Paese rallenta e vengono rimandati per tempi
significativi progetti, incontri ed attività d’ogni genere. Bisogna poi
considerare come la concentrazione dei periodi di ferie provochi una cattiva
utilizzazione delle strutture con un affollamento, che nuoce sotto diversi
aspetti ai cittadini, a causa del traffico, di costi maggiorati, servizi
inefficienti, che spesso portano a ferie più stressanti del lavoro stesso».
Molti i lettori
critici con il Governo Prodi e le misure predisposte dal ministro per lo
Sviluppo economico, Pierluigi Bersani:
«Forse ho un
vocabolario troppo datato, ma colpire sistematicamente gli avversari politici e
le categorie che non ti hanno votato, mi pareva si chiamasse vendetta politica
o al limite persecuzione, accanimento ecc. ecc. non certo liberalizzazione».
Del secondo
pacchetto Bersani scrive anche Formiche.net, la rivista curata da Paolo Messa, uno dei
quattro autori (con Daniele Capezzone, Nicola Rossi, Bruno Tabacci) del
Manifesto dei Volenterosi.
«Bersani ha
concesso il bis. Dopo il primo pacchetto di liberalizzazioni a luglio, è
riuscito a farne approvare un secondo. Comunque la si voglia giudicare,
è una buona notizia. Va quindi aggiunto che non tutte le misure
contenute nella nuova legge sono davvero oro come luccicano. Segnaliamo, ad
esempio, come per i distributori di carburante si è scelta una strada
che potrebbe portare l’effetto opposto a quello desiderato, ovvero un aumento
ulteriore del prezzo della benzina. Invece di liberalizzare l’orario di lavoro (e
permettere di rafforzare la vendita non-oil delle stazioni di servizio), si
è preferito dare il via libera alla costruzione di nuovi impianti, di
cui solo una piccola parte sarà negli iper-mercati e conveniente. Per
quanto riguarda i telefonini poi, la scelta di abolire il costo di ricarica
è benvenuta (l’avevamo invocata da queste colonne lo scorso autunno),
peccato che tocchi all’Autorithy intervenire sulla regolazione di questi
aspetti. Il rischio ora è che le compagnie di telefonia mobile, da un
lato aumentino le tariffe in modo indistinto e, dall’altro, tentino (e
riescano) di bloccare il provvedimento in Tribunale, con tanto di danni allo
Stato. Infine, la norma beffa: quella sulla semplificazione. Il governo
è riuscito nel capolavoro di voler raggiungere questo obiettivo
prevedendo disposizioni con il decreto legge, quindi con il disegno di legge.
Senza tenere conto che in Parlamento sta avanzando (con successo bipartisan) il
progetto di legge di Capezzone. Per semplificare, tre diversi iter
legislativi!».
Esiste oggi, a
destra come a sinistra, un elettorato disposto a sostenere le riforme proposte
dai Volenterosi? Esistono dei cittadini disposti a lavorare di più come
ha proposto Daniele Capezzone o a rinunciare ad alcune garanzie per guadagnare
di più? Nicola Rossi, che ha lasciato i Ds sottolineando la mancanza di
una politica di riforme, non ha preso la parola nell’incontro pubblico di ieri.
Sul suo sito internet, Nicolarossi.it troviamo però un intervento, sul
lavoro e la meritocrazia, che ha scritto per un incontro della Fondazione
Italiani Europei che si è svolto nell’ottobre scorso.
«Provate a
domandare ad un campione rappresentativo di italiani se preferiscono un lavoro
sicuro ma meno redditizio ad uno meno sicuro ma con prospettive di reddito
più interessanti (D.1, R.1). Provate a domandare agli stessi italiani se
eventuali aumenti salariali dovrebbero essere distribuiti in maniera uguale a
tutti i dipendenti di una data impresa o se invece dovrebbero essere
concentrati sui dipendenti a più elevata produttività (D.2, R.2).
Provate a domandare loro se, guardando in avanti, immaginano orizzonti piatti o
profili di vita dinamici e frontiere che si spostano incessantemente in avanti
(D.3, R.3). E provate a leggere le risposte alle vostre domande guardando alla
composizione per età del vostro campione. Fatelo. E vi troverete di
fronte ad un paese in buona misura – non del tutto, per fortuna - senza età
e senza futuro. Le opinioni dei meno giovani vi sembreranno indistinguibili da
quelle dei più giovani e quelle di questi ultimi visibilmente passive ed
arrendevoli. Fatelo e faticherete non poco a trovare i segni dell’audacia e
dell’ambizione. A sessanta come a vent’anni. Fatelo e faticherete ancor di
più a trovare quei segni fra i vostri elettori. Fra quelli che lo sono
da tempo e quelli cui solo da poco è stata data questa
possibilità».
Vediamo dunque le
domande e le risposte dello studio compiuto da Renato Mannheimer per
LibertàEguale e citato da Nicola Rossi nel suo intervento alla
Fondazione ItalianiEuropei. Lo studio è stato condotto su un campione
rappresentativo della popolazione italiana di circa 2 mila individui (di cui
poco meno di 600 di età inferiore ai 34 anni) fra l’8 ed il 10 settembre
2006.
«D.1: “Alcuni
preferiscono nella vita un lavoro sicuro, anche se magari meno redditizio,
altri preferiscono un lavoro meno sicuro ma con più prospettive di
reddito. Lei con chi si sente d’accordo?
R.1: “Con i primi”
(71% nel complesso del campione, era il 59% nel 2001; 62% nel complesso della
popolazione fra i 18 e i 34 anni; 68% nel complesso della popolazione fra i 18
e i 34 anni che si autocolloca nel centrosinistra)
D.2: “Supponiamo
che un’impresa stia attraversando un periodo florido, decida di aumentare lo
stipendio ai propri dipendenti. Secondo lei sarebbe più giusto se questa
aumentasse lo stipendio a tutti i dipendenti in modo eguale o a quelli che ne
hanno più bisogno oppure a tutti i dipendenti ma in particolare a coloro
che hanno lavorato meglio?”
R.2: “A tutti i
dipendenti in modo eguale o a quelli che ne hanno più bisogno” (36% nel
complesso del campione; 44% nel complesso della popolazione fra i 18 e i 34
anni)
D.3: “Secondo lei
per un giovane di 20-30 anni, c’è oggi una effettiva opportunità
di crescita lavorativa e di affermazione professionale nel nostro Paese?”
R.3: “Sicuramente
o probabilmente no” (53% nel complesso del campione; 58% nel complesso della
popolazione fra i 18 e i 34 anni; 61% nel complesso della popolazione fra i 18
e i 34 anni che si autocolloca nel centrosinistra o a sinistra)
D.4: “Mi dica se
ed in che misura la seguente riforma può favorire le opportunità
lavorative e la crescita dei giovani: una riforma del sistema scolastico e
universitario che favorisca la concorrenza tra gli istituti e le
università, al fine di elevare il livello e premiare gli studenti
più meritevoli”
R.4: “Molto o
abbastanza” (66% nel complesso del campione; 64% nel complesso della
popolazione fra i 18 e i 34 anni; 71% nel complesso della popolazione fra i 18
e i 34 anni che si autocolloca nel centrosinistra o a sinistra)
D.5: “Mi dica se
ed in che misura la seguente riforma può favorire le opportunità
lavorative e la crescita dei giovani: una riforma che riduca l’età
pensionabile in moda da generare nuovi posti di lavoro”
R.5: “Poco o per
nulla” (28% nel complesso del campione; 26% nel complesso della popolazione fra
i 18 e i 34 anni; 31% nel complesso della popolazione fra i 18 e i 34 anni che
si autocolloca nel centrosinistra o a sinistra)».
daniele capezzone, volenterosi
L'autodifesa di Nicolò Pollari: ecco perché non mi dissero
di Abu Omar
ROMA
Di Abu Omar a me la Cia non ha mai detto nulla. E il motivo è molto
semplice: sapevano bene che la mia gestione del Servizio non ammetteva
illegalità». Nicolò Pollari ha diretto il Sismi per cinque lunghi
e difficilissimi anni. Da quando è stato sostituito, un paio di mesi fa,
lavora in un posto molto diverso dal luminoso ufficio al secondo piano di
Palazzo Baracchini, sede del ministero della Difesa, dove dietro l’ampia
scrivania campeggiava un enorme planisfero sul quale erano quotidianamente
registrate le missioni dei nostri
Nel corso del trasloco è andata perduta una poltrona importante, ma non
l’indignazione per l’accusa di aver favorito il sequestro di Nasr Osama Mustafa
Hassan, alias Abu Omar, un egiziano sospettato di appartenere a un gruppo
eversivo islamico: con tutta probabilità una delle decine di
«extraordinary renditions», rapimenti mirati, della Cia. «Di quanto accaduto a
Milano quattro anni fa io ho saputo soltanto a cose fatte e il Servizio
è estraneo a quella vicenda», dice Pollari, sul cui capo pende una
richiesta di rinvio a giudizio. La fermezza dell’ex direttore del Sismi,
confermata dalle dichiarazioni spontanee da lui rese ai magistrati di Milano
nell’udienza di lunedì scorso, non è minimamente scalfita dalle
prove in contrario.
Che sono parecchie. Dalle testimonianze di almeno due operativi del Servizio e
da diverse intercettazioni telefoniche è infatti emerso che tutta una
serie di alti gradi del Sismi, tra i quali Marco Mancini capoarea per il
Centro-Nord, erano al corrente dell’azione che la Cia stava preparando. Non
solo. Alcuni capicentro che si erano detti perplessi o non erano di piena fiducia
di Mancini furono sostituiti su due piedi. Ma soprattutto, l’ex capodivisione
del Sismi, il generale Pignero morto nel settembre scorso, ha raccontato ai
magistrati di aver ricevuto da Pollari, prima del rapimento, la disposizione di
fare accertamenti su Abu Omar che «appagassero» gli americani pur senza
coinvolgere il Servizio nell’operazione.
«Fraintendimenti, supposizioni, facile sensazionalismo, leggerezze anche della
stampa che non ha mai voluto sapere, capire, indagare», ribatte Pollari.
Sostenendo che non esiste nessuna prova di un coinvolgimento diretto del
vertice Sismi nella scomparsa di Abu Omar. Quanto a Mancini, «può darsi
che qualcuno abbia voluto giocare allo sceriffo...». E chi in questi giorni ha
fatto osservare all’ex Comandante della Guardia di Finanza che sia comunque
insostenibile la posizione di un capo del Sismi che non si accorge di tutto
questo via vai di agenti della Cia e del fiorire di riunioni e pour parler tra
gli uomini del Servizio che dirige, ha ricevuto una replica secca: «In Italia
per fortuna non c’è uno Stato di polizia e io non sono Fouchet. Tra i
miei compiti, intendo quelli del Sismi, non c’è quello di controllare
l’ingresso e l’uscita dall’Italia di tutti i cittadini, italiani o stranieri
che siano. Semmai, questo è un compito di altri. E poi, con le regole di
Schengen, un’attività del genere è difficile per chiunque».
Sorprendente è che Pollari confidi di non avere ancora oggi, in
coscienza, un’idea chiara di quel che sia successo davvero il 17 febbraio di
quattro anni fa. Ai suoi continua a ripetere di non essere convinto nemmeno che
si sia trattato di un vero rapimento e non, piuttosto, di una «sparizione
concordata». E mette in fila una serie di elementi poco chiari. Come le
dichiarazioni ai magistrati di Luciano Pironi, nome in codice «Ludwig»,
sottufficiale dei Ros e unico italiano ad aver confessato la sua partecipazione
all’operazione Abu Omar: non a un sequestro però; ma, stando a quanto
gli aveva assicurato Robert Seldon Lady, capocentro della Cia a Milano, a
«un’azione di reclutamento». Seconda stranezza: la telefonata con la quale
nella primavera del 2004 Abu Omar si rifà vivo dopo essere svanito nel
nulla per un anno, dai tabulati risulta essere stata fatta a lui dalla moglie e
non viceversa. E infine: possibile che in un Paese famoso per la durezza del
suo regime carcerario Abu Omar possa far filtrare all’esterno dichiarazioni,
interviste, telefonate e addirittura fotografie?
Intendiamoci: Pollari non nega affatto di essere stato al corrente di un programma
americano di «extraordinary renditions» da attuare in Italia e in altri Paesi.
Come ha già detto in passato, «operazioni di questo genere mi sono state
sottoposte non una ma più volte, e ho sempre rifiutato il mio consenso,
minacciando anche di dimettermi». Racconta anzi che nel corso degli anni ha
avuto un solo dubbio, a proposito di un italiano appartenente alla
criminalità organizzata e latitante all’estero. In quel caso Pollari si
rivolse all’autorità giudiziaria e si decise di non farne nulla. «In tutti
gli altri casi, anche in quelli di brigatisti come Alessio Casimirri, il mio
rifiuto è stato secco. E il mio no l’ho messo su carta, nero su bianco
in più occasioni».
Il problema è che queste carte, un’ottantina di documenti dai quali la
difesa processuale a suo dire trarrebbe gran giovamento, l’ex direttore non le
può rendere pubbliche perché sono coperte da segreto di Stato, come ha
confermato di recente il governo ai magistrati milanesi. «Che il responsabile
di un servizio di intelligence sia chiamato dalla magistratura a violare
ciò che proprio lui è chiamato a difendere», si è sfogato
in questi giorni Pollari, «è una cosa che può succedere soltanto
in Italia. E’ paradossale che mi si accusi di nascondermi dietro il segreto di
Stato quando esso è stato messo, come è giusto che sia, da altri.
Anzi, io ho detto il contrario: se il presidente del Consiglio lo togliesse a
me farebbe soltanto un piacere».
Il fatto che il governo abbia chiarito che non intende rimuovere il segreto di
Stato può voler dire cose diverse. Una delle ipotesi è che
esistano patti riservati con i quali gli italiani si impegnano a fornire agli
Usa collaborazione nei casi delle «extraordinary renditions». Intese che
potrebbero risalire all’indomani dell’11 settembre, e quindi ricadere sotto la
responsabilità del governo Berlusconi, ma anche a un periodo precedente
e quindi agli esecutivi italiani di centrosinistra. Il programma antiterrorismo
infatti, non è tutto farina del sacco del presidente Bush. Al contrario,
fu battezzato nel 1995 da Bill Clinton e dal suo consigliere Richard Clark.
L’esistenza di questi accordi confermerebbe ulteriormente quel che è
già lampante, nonostante le smentite del governo Berlusconi: in un modo
o nell’altro del rapimento di Abu Omar qualcuno in Italia sapeva. D’altra
parte, nei casi di «extraordinay renditions» compiute su territorio europeo i
governi del Paese interessato sono stati sempre messi al corrente.
Con grandissima cautela, e soltanto nei colloqui più riservati,
Niccolò Pollari non esclude in linea di principio una trasmissione per
via politica: «E’ sempre possibile che nel quadro di intese globali ci sia
all’interno dei singoli campi qualcuno favorevole ad adottare una
interpretazione letterale e qualcun altro che è pronto anche a lasciare
il suo posto pur di non farlo. E che chi è contrario venga tenuto in
disparte...». Quel che invece Pollari dice chiaro, come abbiamo visto, è
che a lui dagli americani non è stato detto niente. E a scavare un po’
si capisce che la ragione non starebbe soltanto nella sua dichiarata
contrarietà alle «extraordinary renditions», ma anche in un altro fatto:
di lui i cugini si fidavano poco. «In questi cinque anni», spiega, «per quel
che riguarda i rapporti con gli alleati ho cercato di instillare nel Servizio una
filosofia chiara: noi siamo una scuderia piccola, ma non dimentichiamo mai che
giochiamo con colori diversi. Insomma: alleati sì, succubi no».
Una linea di autonomia che, soprattutto in Iraq, ha pagato, ma ha anche acceso
focolai di tensione con gli americani, abituati a guidare le danze senza se e
senza ma. La tattica del Sismi infatti, è stata quella di guadagnarsi la
fiducia dei propri interlocutori arabi, semplicemente «non fregandoli». E
questo ha fatto sì che oggi i nostri agenti parlino con tutti i Paesi e
le fazioni islamiche. La tensione e l’irritazione statunitense per questi
italiani che facevano di testa propria giunse al massimo nei giorni del
rapimento di Giuliana Sgrena e dell’uccisione di Nicola Calipari, quando
Pollari si rifiutò di avallare le tesi Usa sulla non colpevolezza del
marine che sparò e di addossare le responsabilità ai nostri per
la mancata informazione sull’operazione Sgrena.
E’ in questo contesto di scontro e di ansiosa ricerca di fonti e contatti
autonomi che gli uomini di Pollari collocano anche il caso «Betulla», nome in
codice del vicedirettore di Libero Renato Farina, arruolato e retribuito dal
Sismi in violazione della legge sui Servizi che vieta di assoldare giornalisti.
Farina in seguito si presterà anche a simulare interviste ai pm milanesi
che indagano su Abu Omar per cercare di capire, per conto di Pio Pompa, uomo di
fiducia dell’ex numero uno dell’Intelligence, quanto sapessero del
coinvolgimento del Sismi nel caso. Ma all’origine viene reclutato perché aveva contatti
privilegiati all’interno di Al Jazeera. In un colloquio riservato di qualche
giorno fa, così Pollari ha ripercorso la vicenda: «Non dimentichiamo che
si trattava di salvare vite umane e ogni volta che un ostaggio veniva liberato
la Tv del Qatar aveva lì, sul posto un suo uomo.
Ci siamo rivolti a Farina. Fra l’altro, del suo intervento era stata messa al
corrente, con discrezione, anche la magistratura. E, come sa bene il governo,
lui non è certo l’unico personaggio che abbiamo utilizzato per avere risultati.
Che altro avremmo dovuto fare? Sarebbe stato meglio se non avessimo liberato la
Sgrena? Saremmo stati seppelliti dalle critiche...». A riprova
dell’utilità di «Betulla» a Forte Braschi si cita un fatto: il cd con il
video che provava che la Sgrena era ancora viva arrivò attraverso questa
strada e non fu consegnato da uno sconosciuto a una stazione degli autobus di
Baghdad, come ha sostenuto un operativo del Sismi interrogato dai magistrati.
La contrarietà alle «extraordinary renditions» sulla quale Pollari ha
sempre insistito e il clima tempestoso con gli Usa sono l’architrave del
ragionamento politico che esclude il coinvolgimento del vertice del Sismi nel
caso Abu Omar. E dell’ipotesi, tutta da verificare, che la Cia abbia cercato
collaborazione altrove, tanto in sede politica che in settori dello Stato che
si muovevano autonomamente. Tra gli uomini di Pollari si ricorda l’episodio
dell’assenza degli agenti della Digos di Milano, che pure pedinavano Abu Omar,
sul luogo del rapimento. Si cita quel che raccontò ai magistrati il 14
aprile dell’anno scorso Luciano Pironi. E cioè che al momento del
reclutamento, Bob Seldon Lady, capocentro della Cia a Milano, lo
rassicurò circa i rischi che correva, dicendogli di aver ricevuto assicurazioni
da Roma che quel giorno gli agenti dell’antiterrorismo italiano non ci
sarebbero stati. E si aggiunge che proprio negli ambienti della polizia Lady
era praticamente di casa. Rispunta insomma la tesi di un «partito americano»,
ostile al Sismi di Pollari e alla sua linea di indipendenza. E,
inevitabilmente, torna il carsico tam tam sulla eterna guerra tra corpi dello
Stato e sull’inimicizia fra Pollari e il capo della Polizia De Gennaro, uomo
che per la sua storia professionale ha stretti rapporti di collaborazione oltreoceano.
Ma l’ex numero uno del Sismi, anche nei colloqui più riservati, esprime
stupore per come siano potute nascere queste voci su contrasti personali.
Assicura che da parte sua non ricorda episodi significativi che abbiano potuto
fornire occasione alla loro diffusione. Si limita a commentare: «Io sono
più cane sciolto e, certo, questo a qualcuno può essere
dispiaciuto...». E aggiunge un particolare inedito: «Quel che so è che
quando ho odorato che altri nel nostro Paese volevano aprire la porta a operazioni
ambigue come le “extraordinary renditions”, mi sono addirittura impicciato e ho
avvertito di non valicare la linea rossa. Cosa che risulta anche al governo».
Sono questi i ragionamenti che Pollari va facendo negli ultimi giorni. La
nomina a Consigliere di Stato incassata giovedì scorso, che l’ex numero
uno del Sismi considera l’ennesimo attestato di fiducia da parte del governo,
gli ha fatto ovviamente piacere. Ma non è stata sufficiente a dissipare
la rabbia e l’incredulità «di fronte a un Paese che non vuole capire e
nel quale un funzionario se vuole restare fedele deve rinunciare ad avere
voce». Di più: un Paese nel quale, a differenza di quanto accade nelle
altre democrazie occidentali, sull’intelligence continua a pesare un
pregiudizio, quasi un marchio d’infamia: «Da noi, quando va bene i Servizi sono
inquietanti, quando va male deviati. Con il risultato che lavorare è
impossibile, scusi. Allora, o decidiamo che non servono e li appaltiamo agli
americani, agli inglesi, ai francesi; oppure riconosciamo loro il rispetto che
meritano dei servitori dello Stato. E non li costringiamo più ad andare
in giro con il cartello “Non sono disonesto” appeso al collo».
Inquinare di meno, risparmiare energia ed evitare il riscaldamento
globale con accorgimenti quotidiani che sembrano banali
Non chiedere cosa può fare il mondo per salvare il Pianeta,
chiediti cosa puoi fare TU per salvare
la Terra dalle prossime catastrofi ambientali che si annunciano se non si
agisce subito. Parafrasando una famosa frase del presidente
Kennedy, ci si domanda: quali sono i piccoli gesti quotidiani che non costano
fatica ma che, sommati ad altri milioni di piccoli gesti, possono contribuire a
inquinare di meno, a risparmiare energia, a migliorare l'ambiente, a non
incrementare il riscaldamento globale e a risparmiare risorse per le
generazioni future?
Non basta, infatti, (non basta più) non buttare la carta
per terra, non lasciare rifiuti ai lati delle strade per sentirsi la
coscienza a posto, utilizzare i mezzi di trasporto pubblici rispetto a quelli
privati. Questo ormai è solo questione di educazione, mentre l'aumento
delle temperature medie, lo scioglimento dei ghiacciai, l'innalzamento dei
mari, la scomparsa delle barriere coralline richiede ben altro: soprattutto un
diverso modello di vita e l'impegno quotidiano di ognuno, fatto anche di
piccole cose.
Si va delle azioni che sembrano banali, ma non lo sono se
si sommano a tutti gli altri, come spegnere il televisore e gli altri apprecchi
elettrici e non lasciarli tutta la notte (o per giorni) in «stand-by», cioè
con la lucetta rossa accesa. Sembra una piccola cosa, ma se lo facessero tutti
si risparmierebbero migliaia di kiloWatt, risparmio che si traduce in migliaia
di tonnellate di petrolio non bruciate per produrre energia elettrica utlizzata
per nulla. I produttori di telecomandi, inoltre, potrebbero togliere il tasto
stand-by (per non indurre in
tentazione...). Sarebbe meglio sostituire
le lampadine a incandescenza con le nuove lampade a fluorescenza:
consumano molto meno, circa il 75% in meno e durano di più (senza
contare che è meglio spegnere le luci se si prevede di non tornare in
quella stanza nei successivi cinque minuti). Acquistando un nuovo elettrodomestico,
preferire quelli a risparmio energetico (ora sono indicati in modo chiaro):
costano un po' di più, ma nel tempo si ripagano ampiamente con i minori
consumi. Senza contare inoltre che l'utilizzo degli elettrodomestici in modo
più razionale consente un notevole risparmio di energia.
Ma non è solo l'energia che è opportuno risparmiare. Anche
l'acqua sta diventando un bene prezioso, e costoso.
Fare un doccia, per esempio, significa consumare circa
Isolamento termico: attenzione poi agli spifferi da porte e finestre. Il
freddo che entra (o il caldo in estate) costringe a riscaldare di più (o
aumentare l'aria condizionata in estate) con un importante incremento nel
consumo di energia.
Tenendo sempre conto della fondamentale importanza della raccolta
differenziata dei rifiuti (il cui però il funzionamento non dipende
dal cittadino, ma dalle amministrazioni pubbliche), un aspetto poco considerato
ma che sta assumendo una dimensione consistente è l'alimentazione. Non
è solo una questione di obesità, e quindi di salute e di spesa
sanitaria, ma i modelli alimentari influenzano l'emissione di gas serra, la
deforestazione e il riscaldamento globale. L'aumento del consumo
di carne di manzo rispetto al passato ha moltiplicato gli
allevamenti. Recenti
studi hanno dimostrato che i bovini sono responsabili del 23% delle emissioni
di metano, un gas serra molto più efficiente dell'anidride carbonica
per il riscaldamento terrestre. Inoltre l'aumento dei capi di bestiame per
carne ha fatto aumentare le coltivazioni di soia e mais destinate alla loro
alimentazione, piante che hanno bisgono di molta acqua, senza contare la
deforestazione (specie in Amazonia) per far spazio alle culture e ai capi di
bestiame che alimentano l'industria dell'hamburger. Secondo
l'Istituto francese dell'ambiente per produrre un chilo di carne di vitello si
immettono nell'ambiente oltre 45 kg equivalenti di anidride carbonica, un
chilo di carne di agnello equivale a
Nessuno chiede di diventare vegetariani e di abbandonare la carne, ma quando si
sta per addentare un filetto pensiamo un po' anche all'ambiente.
31 gennaio 2007
Da qualenergia.it 30-1-2007 Bioenergie in campo. Le bioenergie possono offrire un contributo importante
allo sviluppo delle fonti rinnovabili. di Fabrizio Rossi
Le
opportunità offerte dalle filiere bioenergetiche sono state evidenziate
in diversi documenti di programmazione comunitaria e nazionale e lo stesso
Parlamento Europeo ha recentemente rilevato che il ricorso alla bioenergia
offre molti vantaggi non solo rispetto alle fonti energetiche convenzionali ma
anche nei confronti delle altre energie rinnovabili: costi relativamente
contenuti, minore dipendenza alle variabili atmosferiche ed ambientali e
conseguente maggiore programmabilità, sviluppo di strutture economiche
locali e possibilità di fonti alternative di reddito per il settore
agricolo.
Il potenziale di biomassa nell’Unione Europea è stato evidenziato nel
Biomass Action Plan in cui si rileva come il 4% del fabbisogno energetico sia
attualmente soddisfatto dalla biomassa; se si sfruttasse l’intero potenziale di
tale risorsa, di qui al 2010 tale valore potrebbe più che raddoppiare.
Un’importante impulso alla bioenergia potrà essere offerto dalla riforma
della Politica Agricola Comunitaria attuata nel 2003 (Regolamento comunitario
1782/2003) in cui il sostegno al reddito degli agricoltori non è
più vincolato alla produzione agricola. Gli agricoltori possono quindi
rispondere liberamente alla crescente domanda di biomassa e beneficiare dello
speciale regime di “aiuto alle colture energetiche”.
Nell’ambito delle strategie di sviluppo della bioenergia bisogna distinguere le
potenzialità ed opportunità offerte dalle diverse filiere: mentre
la biomassa utilizzata per la produzione di calore ed energia elettrica offre
le migliori opportunità in termini economici, di affidabilità dal
punto di vista tecnologico e in termini di riduzione delle emissioni
climalteranti, i biocarburanti offrono le maggiori possibilità
occupazionali e la migliore sicurezza di approvvigionamento. .
La filiera e le tecnologie per l’impiego della biomassa per la produzione di
calore, sia esso destinato al mercato civile che industriale, infatti, è
relativamente semplice, poco costosa e, per quanto matura dal punto di vista
tecnologico, sempre soggetta ad innovazioni finalizzate a favorirne la
diffusione su larga scala.
Tale filiera è caratterizzata da “grappoli di attività” in grado
di interessare il settore industriale, quello dei servizi e dell’innovazione
tecnologica. Si consideri, a titolo esemplificativo, l’erogazione dei servizi
di gestione calore forniti anche da Esco (Energy Service Company) basati
sull’installazione di caldaie a biomassa in sostituzione di impianti
convenzionali.
Lo sviluppo di tale filiera è però condizionato da barriere non
tecnologiche, legate soprattutto alla fiducia del mercato nei confronti della
garanzia di reperimento di un combustibile, come la biomassa, ancora non
commercializzato su canali tradizionali.
Per quanto riguarda la filiera italiana di produzione di energia elettrica essa
rappresenta ad oggi una realtà importante nel settore forte di
più di 32 impianti, con una potenza totale installata netta di circa 400
MWe ed un consumo annuale di biocombustibile stimato intorno a 4,2 milioni di
tonnellate tal quale; è significativo notare che di questa potenza solo
una piccola parte sfrutta il calore cogenerativo per il riscaldamento di utenze
civili ed industriali
Il combustibile è generalmente legno cippato di varia qualità ma
sono largamente utilizzati anche scarti agroalimentari quali lolla di riso,
sansa e vinacce esauste. È importante sottolineare come la provenienza
delle biomasse non è sempre nazionale ma vi sono“sensibili” importazioni
di biomasse lignocellulosiche dall’estero soprattutto per impianti ubicati nel
meridione d’Italia.
Visualizza la tabella
Tale filiera, soprattutto in riferimento alle tecnologie a griglia ed a letto
fluido, presenta un elevato livello di maturità tecnologica. Anche il
quadro normativo risulta abbastanza definito soprattutto in riferimento al
meccanismo di incentivo dei Certificati Verdi recentemente aggiornato con il
recepimento della Direttiva Comunitaria 2001/77 recante norme in materia di
obiettivi minimi di produzione di elettricità da fonti rinnovabili.
Se negli anni ’90 i limiti allo sviluppo della filiera erano rappresentati
dalle tecnologie utilizzabili nel processo industriale, attualmente l’anello
debole è rappresentato dall’approvvigionamento che come accennato viene
garantito da materiale residuale o da importazioni.
Il precedente regime Pac impediva di fatto il ricorso alle colture energetiche,
limite attualmente rimosso con la politica del disaccoppiamento che può
determinare il rilancio di una nuova stagione di programmazione di tali
investimenti.
Ulteriori opportunità di sviluppo alla “filiera bioelettrica” vengono
offerte da due grandi temi di sviluppo industriale del Paese:
il ritorno
all’utilizzo del carbone con conseguente possibilità di co-firing con
biomasse;
il processo di
riconversione del settore bieticolo-saccarifero prevalentemente finalizzato
allo sviluppo di investimenti nella bioeenrgia.
La figura seguente riporta la localizzazione delle centrali a carbone nel
nostro Paese (realizzate ed in conversione); alcune di queste stanno già
attivando programmi di co-combustione con biomasse agricole di varia
provenienza.
Visualizza la tabella
La possibilità di utilizzare combustibile lignocellulosico in miscela
con il carbone presenta diversi aspetti positivi, quali rendimenti energetici
elevati garantiti dalle grandi potenze elettriche in gioco, contenimento delle
emissioni di anidride carbonica e quindi compatibilità rispetto alla
direttiva UE “Emissions Trading”, flessibilità nelle strategie di
approvvigionamento rispetto ad impianti dedicati ad un solo combustibile. Negli
impianti co-firing, la quota di energia prodotta dalla componente biomassa
è inoltre eleggibile al riconoscimento dei Certificati Verdi.
E’ interessante osservare come la co-combustione sia una soluzione tecnica
già ampiamente utilizzata da quei Paesi comunitari in cui il carbone
rappresenta una importante fonte di diversificazione degli approvvigionamenti
energetici (Gran Bretagna, Danimarca, Svezia, Olanda, Belgio, Ungheria,
Repubblica Ceca).
Tale soluzione, anche per il nostro Paese, è in grado di assicurare una
importante richiesta di biomassa capace di assecondare, in tempi relativamente
brevi, la necessità di diversificazione produttiva del mondo agricolo
per determinati bacini produttivi.
Per quanto riguarda gli effetti della riconversione della filiera
bieticolo-saccarifera nei confronti del settore bioenergetico è
importante analizzare i piani industriali che le realtà (SFIR, Italia
Zuccheri-Co.Pro.B, Sadam e il gruppo del Molise) hanno definito per la
successiva approvazione nazionale e comunitaria e l’accesso ai fondi della
riconversione.
La figura seguente riporta la distribuzione degli zuccherifici sul territorio
nazionale andando ad evidenziare quelli oggetto di riconversione distinguendo
tra impianti a bioetanolo, biodiesel e centrali elettriche a biomassa.
Visualizza la tabella
Analogamente alla generazione elettrica, anche il settore dei biocarburanti
è disciplinato dalla normativa comunitaria: la direttiva fissa al 2% il
valore di riferimento per la quota di mercato nel 2005 ed al 5,75% nel 2010.
Il valore di riferimento fissato per il 2005 non è stato raggiunto dagli
Stati Membri ed un forte ritardo si registra soprattutto in Italia.
Per quanto il costo del petrolio si sia attestato al di sopra i 60 USD,
risultano ancora rilevanti le distanze di competitività dei
biocarburanti rispetto ai prodotti petroliferi. Uno studio della Commissione
Europea sostiene che affinché il biodiesel risulti competitivo, il prezzo del
petrolio deve aggirarsi sui 75 Euro al barile, mentre nel caso del bioetanolo
il prezzo dovrebbe salire a 95 Euro al barile. Si consideri che, con l’attuale
quotazione del petrolio (65 $/barile) ed il recente rapporto di cambio (1,27
$/Euro), il prezzo del barile è fissato a 51 Euro.
Appare quindi evidente come lo sviluppo di tale filiera, in grado di impattare
fortemente su comparti agricoli in grande difficoltà come il settore
bieticolo saccarifero ed i grandi seminativi in generale, debba essere
supportata da una politica di incentivi indiretti (obbligo alla miscelazione
dei biocarburanti nei combustibili convenzionali) e/o da quelli diretti
(esenzione dalle accise).
Il ricorso al sistema di esenzione dall’accisa, prevista dall’articolo 16 della
Direttiva Biocarburanti, può essere applicato da ciascun stato membro
senza autorizzazione della Commissione e con durata massima di 6 anni.
Tale sistema è stato quello maggiormente adottato dagli Stati Membri in
occasione del lancio del nuovo mercato. Alla lunga ha però presentato
diversi limiti nella possibilità di sostenere forti incrementi di quote
di mercato. La definizione di un livello di esenzione o di riduzione dell’accisa,
infatti, necessita di una implementazione molto attenta alle dinamiche dei
mercati delle materie prime, al fine di evitare distorsioni sui costi di
produzione e provocare asimmetrie di mercato tra biocarburanti e combustibili
fossili, ma soprattutto deve essere ben bilanciata e ben quantificabile per
poter essere coperta e sostenuta nei bilanci statali.
Tale limite è ben riscontrabile nell’esperienza nazionale in riferimento
alla filiera del biodiesel.
Dinanzi ad una capacità produttiva crescente (vedi figura X), i livelli
di produzione si sono attestati sui valori previsti dal contingente massimo
defiscalizzato (vedi figura Y).
Nel caso del bioetanolo la mancanza di decreti attuativi interministeriali e
del parere di approvazione di Bruxelles ha impedito l’attivazione dei 73
milioni di euro annui stanziati nella finanziaria
Visualizza la tabella
Il sistema basato sulle quote, contrariamente al sistema basato sulle politiche
fiscali, si concentra invece sui produttori di combustibili fossili,
obbligandoli ad immettere sul mercato (producendola o acquistandola da
produttori terzi) una quota di biocarburanti predefinita e ripartita secondo le
quantità di carburanti non rinnovabili prodotti da ciascun attore.
La stessa Commissione Europea indica in tale strumento, quello maggiormente
idoneo a favorire il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi previsti dalla
Direttiva.
Gli obblighi di immissione, se in grado di garantire il mercato di sbocco dei
biocarburanti, rischiano però di non incidere sulla filiera di
approvvigionamento della materia prima.
I biocarburanti e le materie prime da cui sono estratti, in quanto commodities,
sono oggetto di scambi sui mercati mondiali con prezzi internazionali spesso
più competitivi rispetto a quelli nazionali.
Una politica autarchica per il soddisfacimento della domanda interna dell’UE
non è né realizzabile né auspicabile così come non è
auspicabile una politica di incentivo in grado di favorire la sola apertura del
mercato al consumo, trascurando quello della produzione della materia prima.
Un esempio di tale squilibrio si è avuto con la recente applicazione
della Legge 81/2006 in cui è stato introdotto l’obbligo, per i
produttori di carburanti diesel e di benzina, dal 1° luglio 2006, di immettere
al consumo biocarburanti di origine agricola oggetto di un’intesa di filiera, o
di un contratto quadro, o di un contratto di programma agroenergetico, in
misura pari all’1 per cento dei carburanti diesel e della benzina immessi al
consumo nell’anno precedente. Tale percentuale, espressa in potere calorifico
inferiore, è incrementata di un punto per ogni anno, fino al 2010.
L’obbligo indicato al 1° luglio 2006 è stato disatteso vista
l’impossibilità di reperire materia prima di origine agricola nonché
l’attuale limitata capacità industriale di produzione di bioetanolo.
Conclusioni
Nel Documento di Programmazione Economico-Finanziaria 2007-2011, il Governo
ritiene necessario intervenire con decisione sul mix energetico, valorizzando
le risorse interne, promuovendo le fonti rinnovabili in maniera efficiente e
secondo logiche di filiera industriale.
Tra le fonti rinnovabili, grande rilevanza è stata riservata alle
“Agro-energie”, che dovranno essere favorite attraverso il rafforzamento delle
potenzialità della L. 81/2006.
La diffusione su larga scala della bioenergia non può che passare
attraverso la coerente applicazione degli strumenti di intervento già
previsti dalla citata legge ed in particolare:
Ricorso
equilibrato agli strumenti di incentivazione diretta (esenzione dalle accise)
ed indiretta (obbligo di miscelazione).
Progressiva
diminuzione degli interventi di incentivazione diretta e contestuale
innalzamento degli obiettivi di miscelazione.
Possibilità
di revisione periodica (annuale o biennale) dei livelli di incentivazione
diretta in funzione dell’andamento dei livelli di competitività dei
biocarburanti rispetto ai combustibili fossili (quotazioni dei prodotti
petroliferi, rapporto di cambio Euro/$ e livello di innovazione delle
tecnologie di trasformazione).
Programmazione
degli obiettivi diversificati in funzione del differente livello di
maturità delle filiere: obiettivi di breve-medio periodo per il
biodiesel e di medio-lungo periodo per il bioetanolo.
Definizione di una
strategia di promozione dell’industria di trasformazione attraverso la piena
applicazione e sostegno dei piani di riconversione della filiera bieticolo
saccarifera.
Definizione di una
strategia di sostegno alla produzione agricola attraverso la nuova
programmazione dei piani di sviluppo rurali.
Definizione di
criteri di certificazione ambientale, da riconoscere su scala comunitaria e non
discriminatori nei confronti dei prodotti di importazione, in grado di
sostenere le produzioni agroenergetiche
Applicazione,
anche per la filiera bioelettrica, dello strumento del contratto di programma
agroenergetico
Estensione
dell’applicazione del decreto 102/2005 per la definizione dei contratti di
filiera/contratti quadro da applicare alla bioenergia
Favorire il
ricorso al co-firing (co-combustione carbone-biomassa) in linea con quanto
avviene negli altri paesi comunitari e con la necessità di diversificazione
delle fonti di approvvigionamento per la sicurezza energetica nazionale
Dott.Fabrizio
Rossi - Agriconsulting SpA
L'articolo è stato pubblicato su Progetto & Pubblico n.27
30 gennaio 2007
Da punto-informatico.it
31-1-2007 Telecom, risarcimento multimilionario per Fastweb
L'ex monopolista è stato condannato a risarcire l'operatore
del broad band con 60 milioni di euro. Il motivo? Non aver fornito l'accesso
disaggregato alla rete ULL per 11mila clienti
Milano - Il 2007 è un anno cominciato pesantemente per le
finanze di Telecom Italia. La richiesta di interessi avanzata dall'Antitrust (per cui l'incumbent ha
presentato ricorso) è stata infatti seguita a ruota da una richiesta di
risarcimento, di 60 milioni di euro, da parte di Fastweb.
Ne dà notizia la stessa Fastweb con un proprio comunicato diffuso ieri.
"Il Collegio arbitrale presieduto dal professore Guido Alpa - riferisce
l'operatore - ha pronunciato un lodo con cui condanna Telecom Italia a
risarcire a Fastweb la somma di oltre 60 milioni di euro per inadempimento agli
obblighi di fornire a Fastweb l'accesso disaggregato alla rete locale
(unbundling local loop o ULL). Con tale pronuncia il Collegio ha riconosciuto
che il mancato collegamento di circa 11.000 clienti Fastweb è dovuto a
comportamenti negligenti da parte di Telecom Italia negli anni 2001-2004".
Una negligenza che è stata ritenuta "interessata": avendo il
controllo dell'infrastruttura sull'ultimo miglio, a Telecom Italia non sono
mancate, secondo il collegio arbitrale, le opportunità per "tirare
il freno a mano" nell'iter della migrazione degli abbonati.
"Nel processo operativo dell'unbundling - precisa il comunicato - Fastweb
ha denunciato che numerosi clienti che avevano richiesto i suoi servizi non
erano stati collegati nei tempi previsti e ciò senza giustificazione
tecnica plausibile da parte di Telecom Italia. Pertanto Fastweb aveva avviato
un tentativo di conciliazione davanti all'Agcom
e, di fronte ad un
atteggiamento di totale chiusura di Telecom Italia, ha instaurato il giudizio
arbitrale previsto dal contratto di accesso disaggregato".
Le lagnanze di Fastweb, in realtà, riguardavano 15 mila clienti, ma
"per altri 4.000 casi circa - aggiunge la nota dell'operatore - il
Collegio ha ritenuto improcedibile la domanda di Fastweb perché presentata
irritualmente dopo l'avvio dell'arbitrato". "Fastweb - conclude il
comunicato - prende atto delle proprie ragioni e del riconoscimento del danno
sofferto sia in termini patrimoniali sia di immagine. Si riserva di richiedere
i danni per i casi giudicati improcedibili e confida che le nuova dirigenza di
Telecom Italia favorisca un clima di sviluppo concorrenziale del mercato".
D.B.
Da L’Opinione 30-1-2007 Edizione 24 del
30-01-2007 Una sanità tutta da rifare e gli Usa
si ispirano all’Europa di Domenico
Maceri
I democratici propongono un sistema
interamente statale
Da La Repubblica 30-1-2007 Riforma tv. L'arbitro
di parte di Giovanni Valentini
Da ANSA 29-1-2007 RCAUTO:AL VIA INDENNIZZO
DIRETTO, ECCO COME FUNZIONA/SCHEDA
Da rivistaonline.com (30-1-2007). A chi serve la
base Nato di Vicenza. di Valerio Di Paola
Dal Sole 24 Ore 29-1-2007 Consumi: i contratti da riscrivere di Rosella Cadeo e Antonello Cherchi
Da Panorama Economy 29-1-2007 Alitalia, Toto modo di Cristina Florio
Da La Stampa 29-1-2007 Ministri contro nella
guerra delle Authority Paolo Baroni
Da Crema Web 29-1-2007 Meno spesa pubblica con il fotovoltaico
Romolo Dell’Angelo
Da La Repubblica 30-1-2007 Riforma tv. L'arbitro di parte
di GIOVANNI VALENTINI
Catricalà:
"No al tetto del 45% per la pubblicità"
Il presidente dell'Antitrust critica il ddl Gentiloni. Il commento
È come se un arbitro di
calcio, mentre sta arbitrando, contestasse la regola del fuori gioco o
permettesse a una squadra di scendere in campo con dodici o più giocatori.
Come se la Polizia stradale, in servizio di Stato, criticasse i limiti di
velocità. O come se una commissione urbanistica comunale, nell'esercizio
delle sue funzioni amministrative, rinunciasse a disciplinare l'altezza dei
palazzi in costruzione.
La sconcertante sortita di Antonio Catricalà - presidente
dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato - contro il
"tetto" alla pubblicità televisiva previsto dal disegno di
legge del ministro Gentiloni, è innanzitutto una negazione del proprio
ruolo e della propria responsabilità all'interno di una democrazia
economica, in base ai principi del sistema capitalistico.
Se non si può porre un "tetto" alla raccolta pubblicitaria,
perché questo - secondo il ragionamento di Catricalà, definito
"assolutamente falso" da una durissima nota di Palazzo Chigi -
è il fatturato di un'azienda televisiva, allora non si può porre
un "tetto" ad alcun fatturato di alcuna azienda. E allora tanto vale
abolire il mercato, abolire la normativa antitrust e abolire di conseguenza
anche l'Authority.
Sappiamo bene,
invece, che dagli Stati Uniti all'Europa, al di là e al di qua
dell'Oceano, proprio questa è la funzione delle autorità
indipendenti (cioè non dipendenti dal potere politico ed economico) chiamate
a garantire appunto la libera concorrenza: valga per tutti il caso di Bill
Gates e della sua Microsoft, per fare soltanto l'esempio più recente.
Nessuno può impedire evidentemente l'espansione di un'azienda
all'interno di un qualsiasi settore. Ma quando la sua crescita ammazza i
competitors, quando un'azienda assume o detiene posizioni dominanti, quando
realizza una condizione di monopolio o di duopolio, come nel caso della tv
pubblica e privata in Italia, è chiaro che si determina una situazione critica,
incompatibile con il regolare funzionamento del mercato.
Tutto ciò è tanto più vero in un settore nevralgico come
quello dell'informazione, dove concorrenza è uguale pluralismo e
pluralismo è uguale democrazia. Lo è in particolare per la
televisione che - ricordiamolo sempre - funziona in regime di concessione
pubblica e a maggior ragione è vero per un gruppo come Mediaset che
prima ha occupato l'etere abusivamente, con la copertura e la complicità
della politica; poi ha continuato a presidiarlo con tre reti, nonostante le
numerose sentenze della Corte costituzionale in materia, tutte rinviate, eluse
o infine aggirate addirittura con un decreto-legge scandaloso del governo
Berlusconi a favore dell'azienda Berlusconi. Non si vede perché, d'altronde,
gli editori di carta stampata vengano sottoposti al "tetto" del 20%
sulla tiratura complessiva dei quotidiani, anch'esso un "tetto"
antitrust, mentre la tv commerciale dovrebbe crescere all'infinito senza regole
e senza limiti.
Sono almeno vent'anni che la "questione televisiva" si trascina nel
nostro Paese, alla ricerca di una soluzione che non arriva mai e forse mai
arriverà. È dal 1997 che la legge Maccanico - predisposta per
ironia della storia dallo stesso Catricalà, allora capo di gabinetto al
ministero delle Poste - ha fissato due "tetti" per la tv: il 20%
delle reti e il 30% delle risorse. E se vogliamo, perfino la famigerata legge
Gasparri ne ha stabilito uno, seppure mostruoso e ipertrofico, con
l'introduzione del Sic (Sistema integrato delle comunicazioni). Ma il duopolio
ha continuato a imperversare, soffocando le altre reti e tutti gli altri media,
a cominciare proprio dai giornali. Eppure, in passato, la medesima
Autorità antitrust - sotto la precedente gestione - aveva denunciato più
volte l'abnorme concentrazione televisiva in capo alla Rai e a Mediaset,
dichiarando anche "ridondante" il numero delle rispettive frequenze.
Oggi il Garante si preoccupa di garantire il fatturato del gruppo Berlusconi
invece dell'equilibrio di mercato. A seconda delle stime di fonte diversa, la
riduzione per le casse del Biscione potrebbe variare dai 100 ai 500 milioni di
euro. Ma a parte il fatto che - all'indomani dell'approvazione della Gasparri -
fu lo stesso Fedele Confalonieri ad annunciare trionfalisticamente che in forza
di quel provvedimento la sua azienda avrebbe incassato uno o due miliardi in
più all'anno, la proposta Gentiloni indica un "tetto" del 45%
(fin troppo alto) rispetto a una "torta" che può continuare a crescere
e che verosimilmente continuerà a crescere, consentendo a Mediaset di
macinare utili netti nell'ordine dei 500-600 milioni all'anno com'è
avvenuto negli ultimi tempi.
Con una coincidenza singolare, l'outing di Catricalà arriva proprio
all'indomani del furibondo attacco di Silvio Berlusconi che - incurante del suo
macroscopico conflitto d'interessi - s'è permesso di definire "un
crimine" la riforma Gentiloni, annunciando la mobilitazione della piazza:
ma è bene dire fin d'ora che cinque milioni di persone sarebbero
comunque poche, troppo poche, per un'azienda che vanta gli ascolti televisivi
di Mediaset. Per di più, la pronuncia del Garante cade alla vigilia di
un'audizione presso la Commissione Trasporti (e Telecomunicazioni) della
Camera, in programma già da tempo per oggi, di cui il Parlamento non
potrà non chiedergli conto.
È lecito concludere, dunque, che tutta questa fretta,
questa precipitazione, questa ansia di apparire e sentenziare, risultano nello
stesso tempo inopportune e sospette? Con quale legittimità e
credibilità l'Antitrust interverrà d'ora in poi sulle pompe di
benzina, sulla vendita dei farmaci nei supermercati o su altre quisquilie del
genere? Più che una bocciatura della legge Gentiloni, come si sono
affrettati ad annunciare i tg di Mediaset, questa è un'abdicazione ai
compiti e ai doveri istituzionali dell'Authority. Un atto di subordinazione. O
forse, una tratta o una cambiale ipotecaria.
(30 gennaio 2007)
Da
ROMA
(
- IN QUALI CASI SCATTA LA
PROCEDURA: Il meccanismo riguarderà gli incidenti avvenuti in Italia in
cui sono coinvolte due sole vetture, immatricolate nel nostro Paese, a San
Marino o nella Città del Vaticano, e in cui le eventuali ferite agli
occupanti siano lievi, valutabili tra uno e nove punti di invalidità.
Nel caso siano coinvolti più veicoli dovranno invece essere adottate le
classiche procedure di risarcimento.
- COSA FARE IN CASO DI
INCIDENTE: Sia in caso di torto che di ragione l'incidente va innanzitutto
denunciato alla propria compagnia con il modulo blu fornito dall'assicurazione.
Il danneggiato non responsabile dovrà inoltre inviare alla compagnia una
raccomandata, un telegramma, un fax o una e-mail per la richiesta di
indennizzo. L'importante è che contenga i dati degli assicurati, le
targhe dei veicoli, i nomi delle compagnie, la data e la descrizione
dell'incidente, e, se ci sono danni fisici, le generalità del ferito e
il tipo di lesioni.
- I TEMPI DI RISARCIMENTO:
Le assicurazioni hanno 60 giorni di tempo (90 se ci sono lesioni) per inviare
al danneggiato una offerta o comunicare i motivi per i quali non intende
procedere al rimborso. Il tempo si dimezza a 30 giorni se, in caso di soli
danni a cose, la richiesta di risarcimento è sottoscritta da entrambi i
conducenti. Se l'offerta è insoddisfacente per l'automobilista, il
danneggiato può rivolgersi a un legale o ad un'associazione dei
consumatori per chiedere la conciliazione. Dalla comunicazione dell'offerta la
compagnia deve procedere entro 15 giorni al pagamento.
- I BENEFICI DEL SISTEMA:
La conoscenza reciproca, sia per le compagnie che per gli automobilisti,
dovrebbe permettere di contenere il fenomeno delle frodi e allo stesse tempo
semplificare le procedure. Gli assicurati potranno inoltre rendersi più
facilmente conto delle prestazioni dell'impresa. A medio e lungo termine, la
riduzione del contenzioso legale legate al nuovo sistema dovrebbe portare ad un
calo delle tariffe. (
Dal Corriere della Sera 30-1-
Passanti scannerizzati ai raggi X in nome della sicurezza e della lotta al terrorismo e in barba alla privacy
LONDRA
- Spogliati per strada dagli occhi elettronici. Ripresi nelle proprie parti
intime da telecamere piazzate su lampioni e altri arredi urbani che passano ai
raggi X il corpo dei passanti per vedere se sotto i vestiti si nascondono armi
o materiali pericolosi. Scannerizzati come i bagagli a mano negli aeroporti.
Uno scenario agghiacciante che potrebbe diventare realtà in Gran
Bretagna. Sul tavolo del governo Blair è approdata infatti un documento
riservato contenente una proposta destinata a sollevare un mare di polemiche.
Disseminare le strade di «body scanner» che riprendono chi passa come mamma lo
ha fatto. Il quotidiano The Sun è riuscito ad entrare in possesso del
documento, datato 17 gennaio 2007 e messo a punto dall'Home office britannico, il ministero che si occupa
della sicurezza, responsabile delle forze di polizia e del sistema giudiziario.
Dunque in barba alla privacy e in nome della lotta al terrorismo, il Grande
Fratello diventerebbe una realtà. Il giornale riporta uno stralcio del
testo: «Alcune tecnologie sperimentate negli aeroporti sono state già
utilizzate nell’ambito di operazioni di polizia per scovare droga e armi nei
locali notturni. Queste e altre potrebbero essere sviluppate per un uso molto
più diffuso negli spazi pubblici».
Già nel 2004 le autorità dell’aeroporto di Heathrow, a Londra,
avevano installato in via sperimentale un congegno di sicurezza ai raggi X in
grado di «fotografare» i passeggeri sotto i vestiti, nelle loro
intimità. E oggi i passeggeri degli aerei vengono selezionati
casualmente, a campione, per controlli ai raggi X, a cui non possono sottrarsi,
ma di cui sono a conoscenza. Se il nuovo progetto decollasse invece uno difficilmente
saprebbe dove e quando viene sorvegliato dagli occhi indiscreti delle
telecamere. Così il documento rivela anche timori per la reazione
dell’opinione pubblica. Per smorzare le prevedibili polemiche «una soluzione
sarebbe quella di far monitorare soltanto alle donne il pubblico femminile
anche se - ammettono - sarebbe molto problematico in caso di folla».
(a.mu.)
30 gennaio 2007
Da rivistaonline.com (30-1-2007). A chi serve la base Nato di
Vicenza. di Valerio Di Paola
Serve spazio alla
caserma Ederle: civili e militari statunitensi devono raggiungere gli attuali
dodicimila. L'aeroporto Dal Molin occorre alla base Nato per rimettere insieme
la 173^ brigata Airborne, ora divisa tra Vicenza e la Germania. Gente
tosta, quella della 173^: truppe d'assalto, con il paracadute sempre pronto.
Setacciarono la giungla vietnamita alla ricerca del ribelle Kurtz di Apocalypse
Now; furono i primi a scendere su Bagdad tre anni fa. E se l'aeroporto
vicentino non è adatto ai grandi aerei dei parà, poco male:
Aviano è dietro l'angolo.
Nel 2003, mentre la 173^ cala sull'Iraq, l'Unione Europea pubblica
"Un'Europa sicura in un mondo migliore", ovvero suggerimenti per una
strategia militare comune. È escluso l'attacco militare ad un paese
membro: le minacce sono "non convenzionali", leggi
"terrorismo", e la sicurezza viene dall'accesso all'energia.
All'Europa interessa la stabilità, soprattutto a est, dove la politica
energetica disinvolta di Putin si avvicina sempre di più con
l'allargamento dell'Unione alla Romania. Il Mar Nero, dove incrociano il gas e
il petrolio che accendono le nostre lampadine e i termosifoni, è il
posto dove annodare fitti lacci diplomatici. Per dialogare con l'Iran e le
turbolente repubbliche ex Sovietiche del Caucaso, feudi di mafia e d'affaristi,
servono parole accorte, molta intelligence e nessun cedimento alla tentazione
dello scontro frontale. L'Unione Europea del resto non ha un esercito comune:
seguire le direttive è compito dei governi nazionali, all'ombra del
guardiano secolare delle utopie e degli interessi delle democrazie occidentali:
la Nato.
S'immaginano contingenti Nato a supporto della protezione civile contro le
bombe nel metrò, o presidi poco vistosi lungo le rotte dell'energia, per
domare i prezzi impazziti e ragionare con "l'alleato" russo e gli
altri suscettibili baroni delle risorse. Che c'entra una forza di proiezione
rapida dislocata sul suolo vicentino? L'Italia, si sa, "ripudia la guerra
come strumento di offesa", e le sue truppe in giro per il globo dovrebbero
svolgere attività esclusiva di peacekeeping. La 173^ non
distribuisce aiuti umanitari, non ricostruisce ponti né presidia seggi
elettorali: meno ancora può fare contro il terrorismo sul territorio
nazionale. I parà sono ottimi per blitz come quello in Somalia, magari
lungo rotta tra Beirut, Damasco e Teheran. Le priorità strategiche
dell'Italia, fino a prova contraria membro paritario della Nato, sono distanti.
Tuttavia l'Italia copre il 41% dei costi delle basi, a fronte di una media
europea del 28%: 366,54 milioni di dollari nel 2003, ultimo anno in cui il
Pentagono ha pubblicato l'Allied Contributions to the common defense,
per terreni ed edifici, riduzione delle spese telefoniche, benzina esentasse e
molto altro. Il rompicapo si complica, ad ascoltare il capo di Stato maggiore
della Difesa Giampaolo Di Paola, che parla di prepensionamenti e tagli di
personale delle Forze armate e reclama 20 miliardi di Euro, contro i 14,5
stanziati dal Governo.
Vicenza non fa spazio a interessi comuni, e il membro più ingombrante
della Nato ci va non tanto, o perlomeno non solo, con la voglia di
cannoneggiare l'Iran, per cui il la commissione Affari esteri del Senato Usa a
messo sotto osservazione la Casa bianca. Basta guardare il Quadriennal
defense review report, firmato dal segretario alla Difesa Donald Rumsfield
diciotto giorni dopo il crollo delle Torri (e quindi elaborato molto prima).
C'è scritto che urge sganciarsi dal Pacifico, dove la Corea resta uno
spauracchio da verificare e il "soft power" cinese, il controllo con
il capitale più che con le pallottole, rende sterile l'ostentazione dei
muscoli. "Disinnescare" la Nato e imporre una spina dorsale made
in Usa al Mediterraneo è il cardine della strategia: è in
gioco la possibilità di andare a prendersi le risorse energetiche dove
sono di casa, nel Medio oriente. La 173^ è uno dei vanti dell'
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Dal Sole 24 Ore 29-1-2007
Consumi: i contratti da riscrivere
di Rosella Cadeo e Antonello Cherchi
Gli interventi
Le disposizioni previste dal Governo nel decreto legge e nel disegno di legge
che comporteranno modifiche nei contratti
A meno di clamorosi sconvolgimenti parlamentari, di sicuro c'è che il
pacchetto di liberalizzazioni varato giovedì imporrà a utenti e
società — dalle banche ai gestori telefonici,dalle assicurazioni alle
Poste, dagli operatori di Internet ai fornitori di gas — di sedersi intorno a
un tavolo e riscrivere le regole contrattuali. Decine di milioni di accordi che
dovranno essere modificati in senso migliorativo per i consumatori.
Tra i contratti da rinegoziare ci saranno sicuramente quelli sui mutui. Il
Governo, infatti, ha deciso, con decreto legge, la cancellazione della penale
in caso di estinzione anticipata del mutuo. Un onere che gli istituti di
credito impongono soprattutto sui mutui a tasso fisso. In qualche caso,
infatti, i variabili sono esonerati e quando non c'è l'esenzione, la
percentuale della penale,da calcolare sul capitale residuo,è in genere
più bassa.
La novità interessa una vasta platea di persone, perché i mutui hanno
risentito del dinamismo delle compravendite immobiliari: nei primi 9 mesi dello
scorso anno ne sono stati sottoscritti 375mila, per un valore di oltre 45
miliardi di euro.
Sempre in tema di mutui, sono da rivedere le modalità di cancellazione
dell'ipoteca sulla casa. Ora l'operazione è onerosa e richiede
l'intervento del notaio, mentre il decreto legge prevede una semplice
comunicazione alla Conservatoria da parte della banca.
Alle banche, poi, toccherà rivedere le condizioni di parte dei circa 32
milioni di conti correnti, perché il disegno di legge sulle liberalizzazioni
rende nulle le clausole contrattuali sulla commissione di massimo scoperto.
Minori vincoli anche nei contratti per l'utilizzo del gas domestico. Oggi,
laddove non esiste il metano di città, chi installa il serbatoio
fornisce anche il prodotto. In futuro, l'utente potrà rifornirsi dove
ritiene più opportuno o conveniente.
Importanti novità anche nel capitolo telecomunicazioni. Per le ricariche
dei cellulari— che costituiscono oltre il 90% dei circa 70 milioni di Sim card
in circolazione in Italia — l'importo da pagare comprenderà
esclusivamente il traffico telefonico: stop a commissioni e contributi fissi
che incidevano soprattutto sui tagli piccoli e, di conseguenza, maggiore
trasparenza sulle tariffe applicate (ma bisognerà vedere se gli
operatori non decideranno di ritoccarle per compensare le minori entrate,
quantificate in circa due miliardi).
Anche l'annosa questione del credito residuo — venuta alla ribalta con l'arrivo
della
number portability e la possibilità di cambiare operatore mantenendo lo
stesso numero telefonico — è risolta a favore del consumatore: non si
perderà nel passaggio né avrà una scadenza.
Più chiarezza anche sul fronte telefonia fissa, Internet e tv: chi
stipula un contratto per adesione (come quelli telefonici, per arginare
l'invadenza dei quali è intervenuta di recente l'Autorità per le
comunicazioni) potrà recedere in qualsiasi momento senza spese o ritardi
non giustificati da parte dell'operatore e senza obbligo di preavviso.
Infine,le assicurazioni,quelle Rca (solo le auto sono 34 milioni e i motorini
più le moto un'altra decina) e le polizze danni (diffuse in una famiglia
su cinque,per un totaledi circa 4,6 milioni di nuclei).
Per la responsabilità civile obbligatoria tre gli interventi: se si
assicurano ulteriori veicoli o si stipula una nuova polizza, si avrà
diritto alla stessa classe di merito dell'ultimo attestato di rischio (norma
interessante per chi ha una seconda auto o per il guidatore virtuoso che, dopo
aver goduto per un periodo di un'auto aziendale, torni ad assicurarsi da
privato); nell'applicazione del malus o comunque di variazioni peggiorative le
compagnie devono rispettare precisi vincoli e principi di trasparenza; un
apposito sito Internet del ministero dello Sviluppo economico offrirà
maggiori opportunità di confronto online dei preventivi.
Due invece le novità negli altri rami danni: dal
Da Panorama Economy 29-1-2007 Alitalia, Toto modo di Cristina Florio
La
compagnia ha fornito alla Consob le ultime indicazioni sulla propria situazione
finanziaria. Intanto oggi è l'ultimo giorno a disposizione per
presentare le manifestazioni di interesse per rilevare la quota detenuta dal
Ministero del Tesoro
Sta per
scadere il primo tempo. Air France ha già pensato a un presidente:
Giancarlo Elia Valori. Ma il patron di AirOne è in vantaggio, perché ha
l'appoggio di Lufthansa e di Intesa Sanpaolo. » Forum
Per ora gli unici requisiti richiesti sono una «credibilità industriale»
(sic!) e un patrimonio di almeno 100 milioni di euro. Solo a chi
dimostrerà di avere queste credenziali sarà data la
possibilità di ficcare il naso nei libri contabili di Alitalia
per poter fare i conti e decidere se e quale offerta mettere sul tavolo del ministero
dell'Economia per rilevare almeno il 30,1% del capitale di Alitalia in suo
possesso (49,9%) nonché gli oltre 1,2 miliardi di euro in
obbligazioni convertibili della compagnia con scadenza nel 2010 e del valore
nominale di 0,37 euro ciascuna.
Le carte si scopriranno il 29 gennaio (oggi ndr), quando le buste delle
manifestazioni d'interesse presentate da chi punta al vettore italiano saranno aperte.
E da quel momento avrà inizio il valzer delle cordate:
partner industriali e finanziari dovranno indicare se e come intendono
consorziarsi e quanto sono disposti a mettere sul piatto per l'azienda che
continua a bruciare cassa e che, alla fine del 2006, pare abbia accumulato
perdite per 400 milioni di euro a fronte di ricavi che, già a settembre,
erano pari a 3,2 miliardi.
Se si guarda alla Borsa, la cifra di partenza potrebbe essere quel miliardo e
400 milioni che oggi la società capitalizza a Piazza Affari.
IL PREZZO NON È GIUSTO
Un importo giudicato già «impegnativo» dai più e che potrebbe far
restare alla finestra alcuni pretendenti. Tra questi, anche Air France-Klm.
Il mistero della presenza o meno del gruppo franco-olandese al tavolo delle
manifestazioni di interesse del 29 gennaio si sta infittendo. Da una parte le
dimissioni di Jean-Cyril Spinetta, numero uno di Air France, dal
consiglio di amministrazione di Alitalia, fanno pensare alla volontà del
manager di non trovarsi in conflitto di interesse in sede di trattative.
Dall'altra, un recente articolo del quotidiano francese La Tribune, che
sostiene il ritiro dei francesi dalla gara e non smentito da Air France-Klm, ha
aumentato i dubbi sulla reale intenzione di partecipare.
Eppure, secondo quanto risulta a Economy, l'interesse da parte del
colosso franco-olandese ci sarebbe, tanto che Spinetta avrebbe già un
nome per la presidenza futura di Alitalia: si tratterebbe di Giancarlo Elia
Valori, ex boiardo di Stato di lungo corso che ha guidato (tra le altre cose)
la privatizzazione di Autostrade per l'Italia e la sua vendita al gruppo
Benetton e che ha affari in Francia proprio nel settore delle infrastrutture.
NON LASCIARE CAMPO LIBERO
Di certo (e questo Spinetta lo sa bene) uno dei pericoli maggiori della mancata
partecipazione di Air France-Klm alla gara su Alitalia è quello di
lasciare la pista libera al concorrente tedesco Lufthansa che non si è
ancora espresso riguardo a un suo reale interesse per la partita.
Ma il boccone italiano è appetitoso per la compagnia di Francoforte che,
con Alitalia, potrebbe trasformarsi nel vero padrone dei cieli dell'Europa
centrale. Lufthansa, infatti, ha già una partnership di ferro con AirOne
di Carlo Toto e, grazie anche al controllo totalitario di Air Dolomiti, collega
25 aeroporti italiani con 17 tedeschi.
Per questo, non è da escludere la possibilità che Wolfgang
Mayrhuber, numero uno della compagnia di bandiera tedesca, preferisca mandare
avanti proprio AirOne, per poi entrare in un secondo momento. Dal quartier
generale della compagnia di Carlo Toto non confermano né smentiscono
l'interesse a partecipare alla gara, ma si limitano a dire che sono
«concentrati sul business per dare nuovi servizi ai loro clienti».
Secondo quanto risulta a Economy, però, Toto parteciperà
da subito e sarebbe in grado di mettere sul piatto diverse centinaia di milioni
di euro.
Anche grazie al gruppo Intesa Sanpaolo, pronto a sostenere
l'imprenditore abruzzese aggiungendo i capitali necessari per fargli avere una
quota di riferimento nel raggruppamento che si potrà coagulare intorno
al patron di AirOne nella seconda fase dell'offerta.
L'unica
presenza certa, finora, è quella di Carlo De Benedetti che
presenterà una manifestazione di interesse attraverso la sua Management
& Capitali con l'appoggio di partner tra cui il fondo Cerberus,
la banca d'affari americana Goldman Sachs, la Sopaf di Giorgio Magnoni e
un'altra banca d'affari, Lehman Brothers.
Parte del sostegno finanziario potrebbe arrivare a De Benedetti anche
dall'istituto di credito tedesco Deutsche Bank. Il numero uno italiano,
Vincenzo De Bustis, sarebbe ben lieto di cogliere questa occasione per
rientrare a pieno titolo nel panorama dei grandi affari italiani, dopo l'estate
del 2005 che aveva visto coinvolto l'istituto nelle vicende poco chiare dei
«furbetti del quartierino».
IN LISTA D'ATTESA
Possibili attori della partita sono anche l'Aga Khan, che ha
appena acquisito Eurofly attraverso la sua Meridiana e che
potrebbe candidarsi a fulcro centrale di una cordata da costituire in un secondo
momento, e Paolo Alazraki, atipico uomo d'affari che ha più volte
annunciato di aver dalla sua parte un manipolo di quindici imprenditori e due
banche, di cui una italiana, pronti a mettersi in gioco per
rilevare Alitalia.
Sempre che riescano a trovare i 1.400 milioni di euro necessari
per portarsela a casa.
ALITALIA, ORA SI SCOPRONO LE CARTE
La
società ha fornito alla Consob le ultime indicazioni sulla propria
situazione finanziaria. Intanto oggi è l'ultimo giorno a disposizione
per presentare le manifestazioni di interesse per rilevare la quota detenuta
dal Ministero del Tesoro
In attesa di conoscere chi sono i soggetti interessati a rilevare la
quota di Alitalia che il Tesoro intende cedere, la compagnia di
bandiera ha risposto nelle scorse ore a una richiesta della Consob,
che ha obbligato il gruppo di Giancarlo Cimoli a fornire un aggiornamento sulla
situazione finanziaria del gruppo.
Così
la società ha dichiarato che prevede di aver chiuso il 2006 con una
perdita operativa di 380 milioni di euro e un risultato netto negativo per 197
milioni di euro. Ciò significa che la compagnia aerea
non è riuscita a centrare gli obiettivi fissati nel piano industriale.
Si amplia così l'indebitamento netto, cresciuto a quota 1,03 miliardi di
euro dai 964 milioni di fine novembre. Nel solo quarto trimestre i conti si sono chiusi
con una perdita netta di 95 milioni.
A novembre il risultato operativo era stato negativo per 197 milioni di
euro. Il risultato operativo consuntivo, nel mese, evidenzia
così uno scostamento negativo, rispetto agli obiettivi di budget di 364
milioni di euro. I ricavi, alla fine del mese in oggetto erano pari a 4,33 miliardi di
euro, mentre i costi per carburante e gli oneri da lavoro erano
pari rispettivamente a 940 e 698 milioni.
I vertici continuano a porre il loro accento su queste due poste, ritenute le
vere cause dei problemi gestionali della compagnia di bandiera. Sempre rispetto
al budget i minori ricavi sono stati di 122 milioni di euro, i
costi per il carburante sono stati più alti per 42 milioni di euro,
quelli del personale di 60 milioni.
Diffusi anche i dati sul traffico.
In
calo quello passeggeri, che a dicembre ha evidenziato una flessione del 2,3%.
Bene, invece, il trasporto merci, che ha mostrato una crescita del 29,2%. In
particolare, rispetto al dicembre 2005 il network passeggeri domestico ha registrato un
coefficiente di riempimento in live miglioramento, al 61,1% con i passeggeri
scesi del 7,5%.
Il business dei passeggeri internazionali ha visto un incremento di capacità
del 2,1%, con un traffico trasportati in diminuzione dello 0,6%.
Il coefficiente di riempimento si è attestato al 63%.
Da La Stampa 29-1-2007 Ministri contro nella guerra delle
Authority Paolo Baroni
Di Pietro difende
l'Anas, Bianchi il suo ministero, Damiano non vuole guai sull'operazione Tfr
ROMA
C'и Di Pietro, che ha fatto le barricate per difendere l'Anas, e
c’и Bianchi che vuole evitare lo svuotamento del suo ministero. Poi
c'и Amato, che ha chiesto precisazioni su Consob, Antitrust e Banca
d'Italia, mentre Damiano и «scettico» sulla soppressione del
l'autoritа che vigila sui fondi pensione. Ma se i ministri lavorano di
fino, i sindacati sono giа sul piede di guerra. Per non parlare di
commissari iperpagati destinati a saltare, centinaia di funzionari e dipendenti
che stanno per essere «deportati», e di piccoli-grandi centri di potere che
finiranno smantellati. La riforma delle authorithy si presenta molto piщ
complicata di quello che appariva.
Il presidente del Consiglio, perт, и «molto deciso», vuole «andare
avanti» come ha ribadito sabato. E non a caso ha affidato la stesura di questo
disegno di legge (21 articoli in 18 pagine) a uno dei suoi piщ fidati
sottosegretari, Enrico Letta. Il quale si и avvalso della collaborazione di
Giulio Napolitano, grande esperto di diritto pubblico ma soprattutto figlio del
presidente della Repubblica. «Prodi accetterа qualche ritocco, ma и
chiaro che un provvedimento del genere и blindato» commentavano
giovedм sera a palazzo Chigi. Lм il progetto Prodi-Letta-Napolitano
jr. ha fatto il suo debutto: ma dopo svariate bordate tutto и stato
rinviato di 7 giorni.
Ministri
in manovra
Il ministro alle Infrastrutture Antonio Di Pietro, intanto, il suo risultato
l'ha giа portato a casa: la nuova Autoritа dei Trasporti non
sottrarrа infatti alcuna competenza all'Anas. La vigilanza sulle
autostrade resterа in capo all'azienda per le strade, «perchй
l'atto di concessione и unico, vale sia per la costruzione che per la
gestione, e non ha senso separare le due cose». Ma dovrа operare «in
stretto coordinamento con l'authority». Il ministro dei Trasporti, invece,
prima ha parlato di «sgarro politico» e ha battuto i pugni sul tavolo del
premier ottenendo alcuni impegni, poi ha messo al lavoro i suoi esperti e conta
di riuscire a limitare i danni di qui al prossimo consiglio di venerdм.
Arriva
la SuperConsob
La partita piщ grossa, perт, riguarda la riorganizzazione delle
autoritа che sovraintendono ai mercati finanziari. «Troppi doppioni e
sovrapposizioni - sostiene da tempo Prodi -. Bisogna intervenire». Come?
Tagliando qua e lа: abolendo la Covip e l'Isvap, smontando il Cicr, il
Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, rafforzando Consob e
Bankitalia. Alla prima spetterа la vigilanza su trasparenza del mercato e
correttezza dei comportamenti, alla seconda il controllo della stabilitа
degli operatori e del sistema finanziario.
Il ministro dell’Interno Giuliano Amato, dall'alto della sua esperienza al
Tesoro, a palazzo Chigi e all'Antitrust, ha espresso alcuni dubbi. «Sarebbe
bene introdurre il parere di Banca d'Italia sulle pratiche antitrust
interamente trasferite all’esclusiva competenza dell'Agcm - ci spiega -. Io
volevo questo trasferimento, ma mi и parso eccessivo non dare alla Banca
d'Italia neppure il parere. E ho posto il problema di una riformulazione della
delega per il riparto di compiti fra Consob e Banca d'Italia, in modo da
assicurare un’esaustiva tutela delle due finalitа - stabilitа e
trasparenza - ad esse affidate».
Barricate
sulla Covip
Il ministro del Lavoro Cesare Damiano sta in silenzio. Si capisce perт
che la decisione di sopprimere la Covip, proprio durante l’operazione-Tfr, non
lo convince. Stessa posizione espressa dalla Commissione guidata da Luigi
Scimia, che venerdм ha infranto il galateo istituzionale diffondendo una
nota di protesta: «In questo modo si mina profondamente la legittimitа
dell’Autoritа, che proprio in questi mesi и chiamata a svolgere una
funzione essenziale per assicurare il decollo della previdenza complementare e
lo sviluppo del settore».
I sindacati sono dello stesso avviso. Protestano tutti, in prima fila Cisl, Uil
e Ugl. «Non si cambiano le regole del gioco e l’arbitro nel momento piщ
delicato della partita» denuncia il segretario confederale della Uil Lamberto
Santini. Che difende anche l’Isvap e parla di scelta «intempestiva, illogica e
rischiosa».
Da dinoxpc.com 29-1-2007 L´associazione Anti Digital Divide ci fa sapere di un nuovo caso tutto
italiano relativo al monopolio di Telecom Italia circa l´IPTV.
Riportiamo la
lettera integralmente in quanto spiega in maniera precisa come sono andate le
cose:
Fin
dall´annuncio di Alice 20MB, Anti Digital Divide aveva fatto notare le
violazioni ed i rischi che tale offerta comportava scrivendo ad AGCOM.
Riassumendo: non vi era una offerta all´ingrosso per gli operatori concorrenti
basata sul cost plus, che avrebbe consentito un abbattimento delle tariffe per
gli utenti, nonostante la delibera 34/06 AGCOM imponesse questa a Telecom Italia; non vi era garanzia della
qualitа effettiva di alice 20 MB; l´offerta non rispettava i principi di
neutralitа della rete. AGCOM purtroppo ha ignorato sia la nostra
lettera sia le osservazioni dei provider. AIIP ha quindi inoltrato un ricorso
al TAR.
In seguito il TAR ha emesso la sentenza che ha annullato l´autorizzazione alla TV via cavo IP di Telecom Italia.
Sembra assurdo ma la sentenza del TAR и stata ignorata e l´IPTV,
cosм come и accaduto per la telefonia e l´ADSL, sarа
monopolizzata da Telecom Italia con grave danno per la concorrenza e per la
neutralitа della rete.
Telecom Italia infatti puт produrre sulla rete i contenuti delle sue TV,
LA7 quindi digitale terrestre, di MTV, ha raggiunto un accordo con Mediaset
prima per i diritti del campionato di calcio italiano poi per diversi contenuti
ed и notizia di queste ore che ha stretto un accordo anche con SKY,
accordo che consentirа la visione dei canali dell’offerta Premium di Sky
su Alice Home Tv. L’intesa riguarda 8 nuovi canali dedicati allo sport, 15 sul
calcio e altri sei canali opzionali. Dopo questo accordo, la programmazione
della TV via Internet di Telecom Italia sale complessivamente a
53 canali.
Va da se che nessun altro potrа competere su questo mercato con TI e
quindi non potrа svilupparsi alcuna concorrenza.
Questo и solo l´ultimo esempio di come le autoritа di controllo non
svolgano le funzioni di garanzia del mercato per gli utenti, и quindi
ormai inevitabile cambiare la legge sull´elezione delle autoritа in modo
che siano i consumatori a scegliere e non i politici.
L´Italia и l´unico paese in cui nell´autoritа sono presenti
politici invece di tecnici e questi sono i risultati del desolante primato.
Ulteriori dettagli
sono disponibili a questo indirizzo.
Fonte: AntidDigitalDivide.org
Ci mancava solo il profit warning di Deutsche Telekom per
affossare definitivamente il titolo Telecom Italia in borsa. Per la seconda
volta in soli sei mesi il colosso telefonico tedesco ha tagliato le stime sui
risultati 2007 (Ebitda visto ora a 19 miliardi di euro, dai precedenti
19,7-20,2 miliardi) a causa della concorrenza esistente in Germania e
dell’andamento dei cambi, annunciando che investirà più di quanto
pianificato per incrementare il business nella telefonia mobile e a banda
larga. Immediata e pesante la reazione del listino, col titolo che a
Francoforte è arrivato a perdere oltre il 6% prima di abbozzare un
debole recupero.
Anche perché oltre che dal mercato la bocciatura è arrivata
senza incertezze anche dagli analisti: quelli di Citigroup, in particolare,
ora consigliano di vendere (“sell”) il titolo, in precedenza giudicato da
tenere in portafoglio (“hold”), nel timore che le operazioni domestiche possano
andare di male in peggio nel 2007. La competizione si intensificherà, la
sostituzione tra operatori di telefonia mobile accelererà e i cavi
emergeranno come una nuova minaccia strategica, secondo gli esperti americani,
che puntano il dito sulla rigidità del mercato del lavoro tedesco, che
continuerà a a pesare sui bilanci di Deutsche Telekom che dovrà
utilizzare i risparmi di costo realizzati in altre aree per cercare di
mantenere la quota di mercato.
Un’analisi che rischia di attagliarsi molto bene anche a Telecom
Italia, da tempo sofferente di problemi analoghi (crescente
competizione in casa, difficoltà a tagliare i costi ed in particolare a
ridurre il personale) oltre che di pecche proprie come in particolare la
pressoché totale assenza, se si esclude il Brasile, dai mercati emergenti, gli
unici con la loro crescita in grado di offrire un’alternativa strategica alla
lenta ma costante erosione di quote di mercato domestico per l’ex monopolista
italiano.
Difficoltà che sommate alle incertezze ai vertici e ai
timori degli analisti sul reale andamento dei conti in casa Telecom Italia (specie dopo il
via libera al taglio dei costi di ricarica dei cellulari in Italia) rendono
l’investimento sul titolo telefonico italiano sempre più rischioso,
salvo che non si voglia scommettere su novità importanti all’interno del
capitale. In questo senso l’ultima pista da seguire con attenzione sembra
quella russa, dopo che a margine del forum economico di Davos Vladimir
Yevtushenkov, presidente e maggiore azionista del gruppo russo AFK
Sistema, ha confermato che sono in corso colloqui in corso con Pirelli Spa
per l’acquisto di un pacchetto di azioni Telecom Italia. Sulla concretezza di
tale interesse, tuttavia, non sono in molti a scommettere.
I soldi a Yevtuschenkov, ex tecnico del settore chimico-plastico
assurto alle luci della ribalta dopo l’elezione a sindaco di Mosca del suo
amico Yuri Luzhkov, non mancano di certo: Forbes stimava che disponesse
a fine 2006 di un patrimonio personale di 6,3 miliardi di dollari, che lo
rendeva il più ricco uomo d’affari russo tra coloro che non avevano
accumulato fortune partendo dal settore delle materie prime. Sistema è
infatti un agglomerato che riunisce sotto di sé quasi 200 aziende che vanno dai
produttori microchip ai negozi di giocattoli, ma le partecipazioni principali
sono rappresentate da MGTS e MTS, vale a dire i principali operatori russi
nella telefonia fissa e in quella mobile. Il nome di Yevtuschenkov e Afk
Sistema non è tuttavia nuovo a Piazza Affari, dato che giusto un anno fa
l’allora ministro delle Attività Produttive, Claudio Scajola, aveva firmato
un protocollo d’intesa col quale la stessa Sistema si impegnava ad acquisire e
riattivare le attività del gruppo Finmek.
Impegno che a distanza di un anno, ha dichiarato il ministro per
lo Sviluppo Economico Pierluigi Bersani, non ha portato ad alcun risultato. “Dopo un anno -
ha afferma il ministro rispondendo ad un’interrogazione in un question time
alla Camera - abbiamo dovuto registrare che la società indicata non
aveva intenzione di tradurre tutta la discussione svoltasi in un’impegnativa
offerta d’acquisto (nonostante le manifestazioni di interesse più volte
reiterate). Ne abbiamo preso atto e, a breve, avvieremo un nuovo procedimento
di gara per la ricollocazione del sito produttivo”. Se il buon giorno si vede
dal mattino, non sarà Yevtuschenkov a riportare la serenità
attorno al titolo Telecom Italia.
Da Crema Web 29-1-2007
Meno spesa pubblica con il fotovoltaico Romolo Dell’Angelo
Calcolato
un risparmio di 13mila euro annui
RIVOLTA D’ADDA – Proseguono le valutazioni
dell’amministrazione in relazione all’inserimento di pannelli fotovoltaici in
alcuni edifici di proprietà comunale.
Valutazioni che vanno nella direzione di un risparmio energetico oltre che
economico. Da qui l’avvio di una serie di interventi che riguardano le scuole
cittadine e le palestre comunali che necessitano quotidianamente di elevati
quantitativi di energia elettrica e gas per il riscaldamento, in modo da
garantire un servizio ottimale per gli utenti.
Per questo l’amministrazione comunale, rappresentata dal sindaco Lamberto
Grillotti, sta ipotizzando una politica alternativa per quanto riguarda i
consumi energetici dei luoghi pubblici, cercando i finanziamenti necessari per
investire sul futuro del paese, sia dal punto di vista economico sia
ambientale.
I costi complessivi per dotare le scuole e le palestre di via Galilei di
panelli fotovoltaici si aggirano attorno ai 300mila euro, essendo impianti
ancora molto costosi sul mercato e non ancora convenzionati dagli enti provinciali
e regionali. Il risparmio energetico calcolato dai tecnici comunali si aggira
attorno ai 13 mila euro annui riguardanti il solo risparmio della corrente
elettrica.
Inoltre, gli impianti istallati permetterebbero di avere un medesimo introito
per le casse comunali derivanti dalla vendita di energia ad enti privati, anche
per uso domestico. Quindi l’ingente investimento che l’amministrazione potrebbe
affrontare con un mutuo presso una banca locale, potrebbe essere recuperato da
proventi in una dozzina d’anni.
Fattore da non trascurare è la questione ambientale, essendo i pannelli
fotovoltaici basati sul “riciclo” dell’energia solare che non è
inquinante e non reca danni all’ecosistema locale. La giunta comunale è
in attesa del parere dei tecnici comunali per valutare la serie d’interventi.
La scelta dei pannelli fotovoltaici come linea d’intervento è già
stata decisa dall’attuale maggioranza, anche se l’obiettivo ancora da definire
è l’ipotetica realizzazione di un unico impianto per entrambi gli edifici
pubblici. La legge regionale assegna un contributo sulla spesa effettiva del
50% sul costo complessivo sostenuto dall’ente che superi i 35 kilowattora di
consumo.
Da una prima analisi un unico impianto per la palestra e le scuole medie
dovrebbe richiedere una potenza di 50 kilowatt all’ora, mente in caso siano
separati, rispettivamente di 30 per la palestra e 25 per le scuole medie.
Comunque l’attuale maggioranza intende proseguire con l’analisi dei possibili
interventi anche per ridurre la spesa corrente.
Tale soluzione trova l’accordo anche dalla minoranza di centrosinistra
rappresentata dalla lista Insieme per Rivolta, che reputa fondamentale e
indispensabile proseguire con una volontà politica volta al risparmio
energetico e alla tutela ambientale.
Da guidasicilia.it Sulla mortificazione della Giustizia. La denuncia dei
giudici siciliani per l'inaugurazione dell'Anno giudiziario
La scorsa settimana, nelle varie Corti d'appello italiane, si
è svolta l'inaugurazione dell'Anno giudiziario. L'anno scorso furono le
toghe a disertare clamorosamente le cerimonie nei distretti in polemica con il
ministro Castelli, quest'anno sono stati gli avvocati a non assistere
all'inaugurazione in polemica con la legge Bersani sulla liberalizzazione della
professione forense.
La protesta dei legali ha fatto da contraltare al nuovo
clima di dialogo tra le toghe e il mondo politico sottolineata da alcuni
procuratori e ribadita dal ministro della Giustizia, Clemente
Mastella, presente a Napoli, e dal vice
presidente del Csm, Nicola Mancino, a Salerno.
I
tempi lunghi dei procedimenti, la scarsità di risorse per fare fronte al
carico di lavoro e gli effetti delle indagini particolarmente eclatanti e
delicate sono state il motivo conduttore delle relazioni dei responsabili degli
uffici giudiziari italiani.
In Sicilia, e per la precisione a Catania, Guido Marletta, presidente della Corte d'appello etnea (che comprende
anche Siracusa, Ragusa, Caltagirone e Modica), nella sua relazione introduttiva
all'inaugurazione dell'anno giudiziario ha proprio affrontato la questione
della scarsità di risorse di cui la Giustizia, in particolar modo
quella isolana, soffre.
''Le
restrizioni di bilancio e l'ulteriore riduzione delle spese non potevano non
incidere in senso peggiorativo sulle dotazioni per l'amministrazione della
giustizia'', ha detto Marletta, rilevando
inoltre che ''l'organico di magistratura degli uffici giudicanti e requirenti
è pressoché inadeguato''.
''Il
punto critico'', ha detto il magistrato,
è che le restrizioni ''sono irrazionali ed ancorati a una cultura del
servizio della giustizia che non può essere condiviso'', perché, ha spiegato il presidente Marletta, ''sono disposte
a tappeto, senza la minima considerazione della peculiarità di
moltissimi servizi della giustizia''.
''Nel
settore dell'amministrazione della giustizia -
ha sottolinea il giudice - non può operarsi alcun serio rapporto tra
costi e benefici in una visione strettamente aziendalistica che non tenga conto
del rilievo per cui la giurisdizione è garanzia ineliminabile per tutti
indipendentemente da costi dei servizi e vantaggi economici per lo Stato o i
singoli utenti''. Secondo Marletta
il problema economico incide sulle strutture, sul numero dei magistrati in
servizio, sui materiali utilizzati e ''investe pesantemente anche la posizione
del personale giudiziario'' che è ''spesso mortificato da trattamenti
economici e normativi non adeguati''.
All'inaugurazione
palermitana si sono invece tirate le somme dell'attività giudiziaria del
2006. Dall'arresto di Bernardo
Provenzano all'ultima operazione contro
la cosca di Salvatore Lo Piccolo, la
pressione repressiva sulla mafia ha raggiunto altri risultati significativi. E tuttavia Cosa
nostra continua a esercitare ancora in Sicilia un controllo forte e capillare
sull'economia e perfino sulla politica. A
confermarlo le inchieste più recenti che il presidente della corte
d'appello di Palermo, Carlo Rotolo,
ha richiamato nella sua relazione per il nuovo Anno giudiziario.
I rapporti di collusione si realizzano in quella ''zona grigia'' su cui da tempo, ha ricordato Rotolo, si orientano le indagini
più importanti. Tra le altre la relazione ha citato quella scaturita
dalla collaborazione di Francesco Campanella, già presidente del consiglio comunale di Villabate, il
quale ha ''riferito anche del ruolo di alcuni esponenti politici di rilievo
regionale e di alcuni imprenditori non solo siciliani''. Sono proprio loro, ha sottolineato Rotolo, a trarre dal
rapporto con le cosche ''forza e vantaggi di vario tipo''.
Nella relazione del presidente della Corte d'appello anche un
riferimento agli sbarchi di extracomunitari in Sicilia, e in particolare nei
confronti della sempre maggiore presenza di bambini e di minori, che arrivano
nelle coste siciliane mescolati agli altri disperati trasportati dalle
''carrette del mare'', e che spesso non sono neppure accompagnati. Bambini che senza genitori né parenti, di regola finiscono
nel giro della prostituzione e della criminalità.
Da La Repubblica 29-1-2007 La Ue: oltre 200mila piccoli genii, ma l'Italia
non sa cosa farne
Da La Repubblica 29-1-2007 La Ue: oltre 200mila piccoli genii, ma
l'Italia non sa cosa farne
Preoccupanti
risultati del Rapporto Eurydice: nel nostro Paese potrebbero arrivare
anche a 700mila e spesso a scuola vanno male per noia. I piani nelle altre
nazioni
di SALVO INTRAVAIA
Alunni superdotati? Spesso distratti, si annoiano durante le lezioni. In molti
casi sono addirittura a rischio di insuccesso scolastico e alcuni abbandonano
gli studi. Per loro le 'normali' lezioni sono banali. I problemi derivano dal
fatto che sono più intelligenti degli altri alunni e da una scuola che,
almeno in Italia, non sa come interessarli. Si tratta dei cosiddetti alunni
'talentati', cioè particolarmente dotati: piccoli geni che potrebbero
fare la fortuna del Paese ma che spesso non vengono neppure individuati e
valorizzati.
Secondo il la Commissione europea nelle classi italiane ce ne sono un numero
compreso fra 200 e 700 mila, ma gli insegnanti non hanno neppure gli strumenti
per riconoscerli. Il rapporto Eurydice (il network sull'Educazione della
Commissione europea nel 1980) dal titolo 'Misure educative specifiche per la
promozione di tutti i talenti in Europa' mette in evidenza il sostanziale
ritardo della scuola italiana, e dei suoi insegnanti, in materia. In Italia non
esiste una legislazione che affronti la questione, non ci sono strumenti
specifici per l'individuazione dei ragazzi dotati di talenti particolari e
mancano, di fatto, percorsi mirati per chi mostra capacità al di sopra
della norma. In più, gli insegnanti sono impreparati ad affrontare
questi 'casi particolari'. In parecchie nazioni europee la questione è
da tempo al centro di un ampio dibattito ed è stata affrontata in
maniera organica.
La raccomandazione del Consiglio d'Europa. 'L'educazione è un
diritto fondamentale per tutti (...) E' con questo spirito che una raccomandazione
del Consiglio d'Europa nel 1994 mette in evidenza i bisogni educativi dei
giovani con elevate potenzialità', spiega il documento di Eurydice . La
raccomandazione insiste sulla necessità di offrire a questi alunni il
sostegno di cui hanno bisogno. 'Esistono alunni con bisogni particolari - si
legge nel documento - per i quali occorre adottare disposizioni speciali. Gli
alunni superdotati sono fra questi, essi devono potere beneficiare di
condizioni di insegnamento appropriate che permettano loro di mettere
pienamente in atto le loro potenzialità, nel loro interesse e in quello
della società. Nessun Paese può permettersi di sprecare dei
talenti'.
Gli alunni superdotati in Italia. Sulla questione, lo studio Eurydice fa
lo stato dell'arte in 30 paesi europei. In quasi tutti, Italia compresa, esiste
una definizione degli alunni 'superdotati'. Ma nel nostro Paese non è
stato ancora messo a punto nessun 'criterio di appartenenza'. L'individuazione
del talento a scuola, in poche parole, è demandato alla sensibilità
dell'insegnante. Nell'ordinamento scolastico italiano, per questi soggetti, non
esistono neppure percorsi particolari da seguire: 'misure di arricchimento' o
'attività extrascolastiche paricolari'. Nel nostro paese i talentati seguono
le lezioni accanto ai loro compagni 'normalì e non possono neppure
accorciare il loro percorso scolastico di uno o più anni. E gli
insegnanti? Non hanno nessun obbligo di promuovere o acquisire particolari
competenze sugli eventuali talenti che si trovano i classe.
Le strategie degli altri Paesi. In metà dei Paesi esaminati le
cose vanno diversamente. Quindici stati o regioni (la Turchia non ha fornito
informazioni) si sono attrezzati con test attitudinali o di abilità per
scovare i piccoli geni in classe. Fra questi Francia, il Regno Unito, Germania
e Irlanda. In 10 paesi (Francia, Spagna, Portogallo, Regno Unito e Grecia, per
esempio) la legislazione include i superdotati fra gli alunni con 'bisogni
educativi particolari'. Ma a prescindere dalle definizioni in quasi tutti i
paesi esistono risorse educative/pedagogiche destinate ai giovani 'talentuosi'.
Nel Regno Unito i superbravi hanno la possibilità di iscriversi in corsi
potenziati. Gli alunni per l'apprendimento delle diverse discipline possono
essere suddivisi in gruppi omogenei o possono seguire corsi extrascolastici di
'arricchimento'. In ogni caso ai piccoli geni viene offerta la
possibilità di accorciate il percorso di studi tradizionale. In Francia
è possibile suddividere gli alunni di una stessa classe 'in livelli'. E
in alcuni casi gli alunni possono seguire sezioni con insegnamento
differenziato: sport, musica e danza per coloro che manifestano un talento
particolare in questi ambiti. In Spagna è invece possibile saltare anche
tre anni rispetto alla durata ordinaria dei percorsi di studio.
I due modelli teorici. Tutti i paesi concordano nell'offrire agli alunni
particolarmente dotati qualche chance in più. Ma esistono attualmente
due visioni contrapposte: una 'integrativa'e l'altra 'segregativa'. Il primo
modello si caratterizza per una politica inclusiva per la presa in carico dei
giovani 'dotati': niente definizioni né strategie o misure didattiche
particolari. Gli esponenti più convinti della bontà di questo
approccio sono quattro pesi nordici: Norvegia, Svezia, Finlandia e Islanda. Il
secondo modello adotta un approccio 'altamente selettivò con definizioni
criteri di appartenenza e strategie ben definite. E' il caso di Polonia,
Lettonia e Repubblica Ceca. Molti paesi adottano un modello integrato in ambiente
scolastico con la formazione di gruppi separati. In Italia siamo fermi ai piani
di studio personalizzati inventati dalla Moratti, ma quasi irrealizzabili i
classi superaffollate.
(29 gennaio 2007)
Ingiunzioni anche ai proprietari delle ville. E arriva l'imposta di soggiorno
CAGLIARI — I primi avvisi di
pagamento arriveranno
fra qualche settimana ai proprietari dei maxi yachts: su 3 mila approdati nei
porti sardi, nel 2006 hanno versato la tassa soltanto 250, gli altri 2800 —
evasori, potenziali per ora — sono stati individuati dal corpo forestale
regionale. Poi sarà la volta dei proprietari di case; entro marzo i non
residenti in Sardegna riceveranno la notifica di accertamento e dovranno pagare
a maggio quasi certamente con le medesime modalità con le quali si
pagano i tributi allo Stato, il modello F 24. Il governatore Renato Soru non
torna indietro: è caccia ai super ricchi. Difficile farla franca, perché
ci sarà un incrocio fra i dati della Regione e del ministero delle
Finanze. Con una novità, aggiuntiva: la tassa di soggiorno: «Che cosa saranno
mai 3/4 euro al giorno in più per chi arriva in Sardegna e usufruisce di
territorio e servizi?», aveva dichiarato a luglio. Ora la norma sarà
inserita nella legge finanziaria regionale, da approvare entro febbraio forse
anche con modifiche (però non sostanziali) alle tasse sul lusso. Soru
non vuole dare anticipazioni: «Le finanziarie si fanno, non si annunciano».
LE CIFRE — Su
turismo, ambiente e imposte
su seconde case e imbarcazioni alla battaglia delle parole — all'apice la
scorsa estate con discesa in campo di Flavio Briatore anti Soru e contestazione
by night al Billionaire — segue ora la guerra per stanare chi non ha pagato. Il
gettito delle imbarcazioni è stato di 1 milione e 600 mila euro. Il 90
per cento ha evaso la tassa e le somme non incassate sono rilevanti: fra i 15 e
i 20 milioni di euro per le imbarcazioni e forse più di 100 milioni di
euro per le seconde case, per le quali il pagamento era stato differito a
maggio 2007. Per gli yachts tassabili (lunghezza più di
REFERENDUM — Ma
su turismo e coste è guerra anche politica. Mauro Pili, ex presidente della Regione e
ora deputato di Forza Italia, e il centrodestra hanno promosso un referendum
per abrogare il piano paesaggistico che vieta le costruzioni fino a oltre
29 gennaio 2007
I nomi degli ex pm
comparirebbero nelle carte dell'archivio
del detective Bernardini, ingaggiato dalla Pirelli
M
Dall'archivio sono saltate fuori le schede delle operazioni controllate dagli
uomini di Bernardini. In ogni scheda, i nomi (in codice) degli
"operatori", il nome (in codice) dell'"operazione" e, in
molti casi, il nome dell'obiettivo.
Nelle carte, che Repubblica ha potuto leggere, è possibile
risalire anche al committente dello spionaggio. C'è una legenda del
numero dei protocolli con cui le operazione vengono archiviate. Pirelli
è "1". Telecom è "2". I lavori trasmessi
dalla "Global Security Services" di Gianpaolo Spinelli a Marco
Bernardini sono collazionati con la sigla "Gp". E' aggiunta la
lettera "E" se è necessario allargare l'indagine abusiva
all'estero e "R" se lo "studio" - par di capire così
- è a "rete", da un personaggio all'altro, da una
società all'altra, da un Paese all'altro.
Alla fine del 2004, Marco Bernardini è alle prese con, per lo meno,
venti "operazioni" commissionate dalla Cavi e Sistemi Pirelli.
Ecco il codice delle operazioni: Monte; Garbo (Giorgio Garbellini); Cavallo
(Andrea Cavalli); Profeta (Walter Giacobbe); Soda; Kuneo; Brigitte; Casanova;
Moto; Akuel; Drago; Wolf (Wolf Gang Staele); Rose; Kazakistan; Slovacchia,
Corona (in Lussemburgo); Cheope (in Egitto); Biscotto (in Togo); Duma (in
Russia). E' in questo elenco che i pubblici ministeri hanno ritrovato le tracce
dello spionaggio contro Gherardo Colombo e Gerardo D'Ambrosio. Con il numero di
protocollo "1/5" è segnalata l'Operazione Piccione. E' una due
diligence.
La formula maschera, nei rapporti tra il detective e il committente, lo
spionaggio che viene definito così: "Informazioni/investigazioni di
ordine approfondito in area nazionale su persone fisiche finalizzate a poter
tracciare un indice di affidabilità, con riferimenti patrimoniali e
indicatori di rischio". C'è un altro modo, a quanto pare, per
camuffare l'attività illegale di spionaggio Nell'archivio di Bernardini
sono state rintracciate note in bianco in cui Pierguido Iezzi, già
responsabile della Sicurezza delle Informazioni prima in Pirelli e poi in
Telecom, assegnava a Bernardini un'indagine (preliminare) con l'obiettivo
formale e giuridico di avviare una non meglio precisata "iniziativa
legale".
Nell'Operazione Piccione contro Gherardo Colombo, ancora in via di
accertamento, sono coinvolti tre spioni. In codice, "C4",
"K2" e "Chalet". Sono sei invece i "segugi" in
azione nell'Operazione San Gennaro contro il napoletano Gerardo D'Ambrosio
(numero del protocollo 1/6): "C4", "K2",
"Chaled", "Shalom", "Diodo", "Az". Le
schede Colombo (Piccione) e D'Ambrosio (San Gennaro) sono raccolte nello stesso
file (e in una voce diversa) che custodisce le notule dello spionaggio contro
Massimo Mucchetti, vicedirettore del Corriere della Sera. "Operazione
Mucca Pazza", numero di protocollo 2 (Telecom)/2. Operatori "K2"
e "Josef". La documentazione dà conto con minuzia delle spese
sostenute per il lavoretto sporco. L'undici gennaio del 2005 è
necessario seguire Mucchetti in auto (il pieno costa 78 euro) e stargli dietro
in un ristorante (66 euro).
Questa faccenda dei soldi non è un dettaglio trascurabile.
Dalle carte dell'archivio, risulta evidente che la cifra destinata allo
spionaggio da Telecom/Pirelli è ben superiore ai 20 milioni di euro in
nove anni, di cui si è parlato finora. In un solo mese del 2004,
Bernardini riceve 462mila euro e spiccioli da Telecom Italia. Importi simili si
succedono nei mesi . E in più ci sono: 11.910 da Telecom Brasile;
105.500 da Pirelli; 22.270 per i mezzi e gli uffici di Roma e Milano.
Eccentrici anche i modi di pagamento. Le "Operazioni" erano retribuite,
come si legge da decine di note bancarie, presso un istituto di credito di
Annandale, Virginia, la Suntrust Bank, 7617 Little River Turnpike (la Global
Security Services di Gianpaolo Spinelli è nei dintorni, al 4504 di
Mullen Lane).
I saldi della Telecom agli spioni sono vari e anche cospicui. Si va dai 1.200
euro dell'"Operazione Pira" (3 marzo 2005, la distruzione
dell'archivio della Security, una volta avviata l'inchiesta giudiziaria) ai 156
mila dell'Operazione Gancio (14 gennaio 2005) o ai 240 mila
dell'"Operazione Zucca" (12 gennaio 2005).
E' singolare che non ci sia un'unica fonte di pagamento. A volte il dovuto agli
spioni è liquidato da Telecom Italia, via Torino
La procedura inusuale conferma, comunque, che lo spionaggio non è stato
retribuito da una sola sorgente di pagamento. Dunque, non solo dalla Security
di Giuliano Tavaroli. Da chi, allora? Aiutano a sciogliere il nodo alcune
lettere pre-stampate sequestrate a Bernardini. "Il vicepresidente per
l'Europa della Global Security Services" (così firma le missive),
il 15 febbraio 2005, spedisce un preventivo di 77 mila dollari per servizi di
"competitive intelligence area nazionale e Svizzera, Inghilterra e
Brasile" non a Giuliano Tavaroli, ma al "dott. Valente".
Il "dott. Valente" è Giancarlo Valente, il gestore del
"Fondo del Presidente" della Telecom, Marco Tronchetti Provera. E non
poche operazioni di intelligence (sei su dieci, stando ai primi atti
dell'inchiesta), sono state retribuite da Giancarlo Valente con risorse di quel
"Fondo".
(29 gennaio 2007)
L'appello di Fioroni ai professori: tolleranza zero. Pronto il piano anti-bullismo
ROMA — Cari professori, vigilate.
E se è il caso, non esitate: punite. «L'uso dei telefonini a scuola,
durante le lezioni, è vietato. Non solo per telefonare o ricevere
messaggi ma ancor di più per filmare o giocare». Parola del ministro Beppe
Fioroni. Non sono dunque in arrivo nuove circolari, reprimende o provvedimenti
per spiegare che il cyberbullismo va combattuto cominciando con il togliere
dalla circolazione nelle classi dello strumento indispensabile per trasformare
ragazzi e studenti in teppistelli da video: «Il divieto c'è già,
bisogna farlo valere come già succede nella maggior parte delle scuole
italiane che sono serie e autorevoli », spiega il ministro dell'Istruzione.
Niente schermature degli edifici come avevano tentato di fare al Tosi di Busto
Arsizio, bloccati poi da una circolare del ministero delle Comunicazioni.
Niente provvedimenti ad hoc come hanno fatto in Baviera e nella blairiana
Inghilterra.
Tutt'al
più, potrà pensarci il Parlamento dove giace la proposta del capogruppo verde alla
Camera Angelo Bonelli per proibire l'uso dei cellulari per legge nelle scuole:
«Le Camere sono sovrane e ne discuteranno se crederanno» è il distaccato
commento del ministro Fioroni che spiega la sua filosofia: «Non c'è
niente da censurare oltre quello che è già vietato. Non devo
certo fare una circolare per dire a professori e studenti che non si gioca a
poker durante la lezione di matematica. Non sarebbe offensivo se mi mettessi a
scrivere l'ennesima circolare per dire che non si fanno filmini hard a scuola o
non si pestano i compagni più deboli, magari filmandoli?». A collegarsi
con YouTube e a leggere le cronache dei quotidiani degli ultimi mesi il
sospetto che una ripassatina di ciò che è ammesso e ciò
che non lo è, forse non guasterebbe. Ma il ministro Fioroni non ci sta
ed è categorico: «Lo ripeto il divieto di disturbare e di tenere
comportamenti non consoni durante le lezioni c'è già, tanto
è vero che i professori possono adottare sanzioni disciplinari per chi
trasgredisce. Gli episodi di questi mesi sono stati gravissimi, ripeto
gravissimi, ma molto pochi, un numero insignificante rispetto ai milioni di
studenti delle scuole italiane. E i responsabili sono stati tutti puniti».
Più del divieto, Fioroni contro i teppisti del telefonino vorrebbe usare
la Costituzione, perché si tratta di un problema «di democrazia vero e
proprio».
Nel piano che
presenterà a febbraio
non solo contro la violenza fisica e psicologica «che nelle scuole purtroppo ci
sono sempre state» ma anche contro «il menefreghismo, l'assuefazione, il non
volersi accorgere, il non reagire a quello che sta succedendo lì a un
metro da te», Fioroni ha inserito il progetto di una riflessione annuale sui
valori costituzionali da tenersi nelle scuole medie inferiori e superiori. Una
rivisitazione dell'educazione civica «per parlare ai ragazzi del rispetto di sé
e degli altri, della cifra delle democrazie moderne che è la tutela
della libertà dei deboli, per combattere la violenza come
autoaffermazione». «Cito un episodio per tutti — racconta il ministro —: mesi
fa i figli dei boss locali non fanno entrare i ragazzi in una scuola media del
Sud. Chiamo il preside che mi dice: "Addirittura il ministro... ma non si
preoccupi, non è vero che hanno sparato un proiettile, era solo una
biglia, non sono entrati a scuola in moto ma in motorino e poi hanno rotto
soltanto un vetro. Provvederemo a ripararlo."». Non impeccabile, anche se
dal punto di vista legale inattaccabile, il preside assediato dai baby boss.
Basteranno le campagne proposte dal ministro Fioroni? «Dobbiamo mobilitare gli
studenti e gli insegnanti, perché adottino la tolleranza zero verso le mele
marce», insiste il ministro. Il piano prevede tre direttrici per recuperare
l'idea che «la scuola è un'istituzione seria dove si deve imparare ad aver
rispetto di sé e degli altri». Oltre alle lezioni di Costituzione e al recupero
dei violenti con iniziative specifiche, Fioroni punta su uno slogan già
sperimentato anche in politica, una campagna contro il menefreghismo dal titolo
«I care». Il resto è affidato ad un tavolo al quale siedono oltre a
Fioroni il ministro della famiglia Rosy Bindi, delle comunicazioni Paolo
Gentiloni, della Giustizia Clemente Mastella: «Perché non si può
chiedere ai docenti di fare quello che gli altri non fanno. E se i genitori non
danno mai torto ai figli, la tv generalista propone come unico riferimento la
cultura dei reality, pensare di risolvere tutto vietando i cellulari a scuola,
è molto ma molto riduttivo. E inefficace».
29 gennaio 2007
Il debito ha
superato quota mille milioni
ROMA
Conti a picco e debito alle stelle per Alitalia. Messa alle strette dalla
Consob, ieri la compagnia di bandiera è stata costretta a fare luce
sulla propria situazione. Che, come indicavano le previsioni più fosche,
è disastrosa: il 2006, infatti, chiuderà con una perdita di 380
milioni di euro. Un vero e proprio salasso per una società che negli
ultimi 5 anni ha perso ben 2,7 miliardi di euro.
Nei primi undici mesi del 2006 l’Alitalia ha infatti accumulato perdite
operative per 197 milioni di euro a fronte di ricavi consolidati pari a 4,328
miliardi. Tra le voci di spesa più significative quella per il
carburante (940 milioni di euro) e gli stipendi del personale (698 milioni).
Ovviamente, in questa situazione, continua a salire l’indebitamento che a
dicembre sfonda quota 1 miliardo di euro (1,026 miliardi per la precisione) in
rialzo del 6,4% rispetto a novembre. La situazione è pesante, ma non
ancora disperata sostiene la compagnia: l’attuale liquidità del gruppo
Alitalia, dice una nota, «risulta essere adeguata a garantire continuità
aziendale ben oltre i 12 mesi».
Come spiega un simile disastro il presidente e Ad del gruppo, Giancarlo Cimoli?
A suo parere la «colpa» è innanzitutto dei 122 milioni di minori ricavi
«in massima parte imputabili alla minore capacità offerta (derivante sia
dagli scioperi, sia dall’operativo effettivamente volato dalla compagnia)
nonché alla crescita della pressione competitiva, anche in ragione della
maggiore attività dei vettori low-cost». A questa cifra occorre poi
aggiungere 42 milioni di euro di maggiori costi per il carburante, e circa 60
milioni di euro venuti meno «principalmente a causa della mancata
implementazione dei progetti di efficientamento del costo del lavoro previsti
dal piano». I dati sul traffico di dicembre sono in chiaro-scuro: male
l’attività passeggeri (-2,3% nel trasportato e -2% nell’offerto per un
totale di 1,8 milioni di passeggeri), bene l’attività cargo che cresce
del 29,2% (+22,4% l’offerto).
Dopo lo sfaldamento del Cda provocato dalle dimissioni del presidente di Air
France Jean-Cyril Spinetta, che ha fatto saltare la riunione del 19,
giovedì scorso la Consob aveva richiamato all’ordine la società.
«Troppa incertezza sulla situazione» ha fatto sapere la Commissione, irritata
per la scarsa disponibilità a collaborare e una dose forse eccessiva di
reticenza. Per questo l’Autorità che controlla le società e la
Borsa ha imposto a Cimoli di fare chiarezza sulla situazione della compagnia.
Il termine scadeva ieri e l’Alitalia se lo è preso praticamente tutto
arrivando a diramare la sua nota solamente poche minuti prima delle 21.
Quattro i punti da chiarire: le stime sul risultato di esercizio 2006 e i dati
più recenti disponibili, lo scostamento tra risultati e piano
industriale che prometteva invece il ritorno all’utile e lo stato di
validità del piano industriale 2005-2008. Quindi la Consob chiedeva di
sapere se i due consiglieri superstiti fossero abilitati o meno a gestire
l’ordinaria amministrazione.
Detto dei conti, con la sua nota Alitalia risponde anche a tutti gli altri
quesiti. Primo: il risultato di novembre è sotto il budget per 364
milioni. Secondo: il piano industriale 2005-2008, col Cda decaduto e la
procedura di vendita ormai avviata è «superato e inattuabile». Terzo:
gli amministratori di Alitalia rimasti in carica, ovvero Cimoli e il
consigliere del Tesoro Giovanni Sabatini, «esercitano poteri di ordinaria
amministrazione» e «a Cimoli rimane attribuito il potere di rappresentanza».
Basterà tutto ciò al mercato? La risposta arriverà questa
mattina dalla Borsa. Che dopo la chiusura positiva di venerdì scorso
(coi titoli Alitalia saliti dell’1,2% a 1,075 euro) oggi aspetterà
soprattutto di conoscere i nomi delle cordate che accetteranno la sfida tutta
in salita di risanare Alitalia.
Da Repubblica 28-1-2007
L'INCHIESTA/ Chi comanda nelle grandi città. Napoli langue
all'ombra del finto Vesuvio di Alberto
Statera
CON BUONA pace del professor Michael Sheridan dell'Università di Buffalo
che insiste a pronosticarne un'eruzione, il "Vulcano cattivo", jella
permettendo, tace e fortunatamente continua a tacere dal 18 marzo 1944. Ma alle
sue spalle, sul versante opposto rispetto a quello riprodotto nelle cartoline e
nelle gouaches ottocentesche, nella piana di Nola sta per eruttare
gaudiosamente il "Vulcano buono" con un immenso getto di natura
imprecisata - acqua, vapore, o simil- lapilli? - che sgorgherà nel cielo
ad opera di Renzo Piano dalla bocca alta più di quaranta metri di
"' O Vesuviello".
Clone di cemento ricoperto da una giungla di verde, il Vulcano buono è
stato partorito dalla fantasia di uno degli architetti più famosi del
mondo su istigazione visionaria di Gianni Punzo, ex commerciante di biancheria
nel regno ormai dismesso dei "pannazzari" in piazza Mercato, e oggi
icona vivente di quella che il presidente della Confindustria Luca Cordero di
Montezemolo definisce "l'altra Napoli". La Napoli che produce, innova,
inventa, va per il mondo, esorcizza la povertà, la criminalità e
il declino. Quell'altra Napoli che il presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano in libera uscita dal Quirinale invoca ormai quasi quotidianamente
sorbendo il caffè al "Gambrinus" o passeggiando sul molo
desolato di Bagnoli con donna Clio, di fronte a uno dei panorami più
suggestivi della terra, ferito dall'altoforno dell'acciaieria dismessa,
provocando le peristalsi gastriche del governatore Antonio Bassolino e del
sindaco Rosa Russo Iervolino, che si sentono messi sotto accusa per le grandi
"incompiute napoletane".
Quell'altra Napoli che Romano Prodi evocherà oggi nella visita ufficiale
partenopea e che aleggerà per due giorni sul conclave del centrosinistra
di governo nella reggia di Caserta. "A Bagnoli gli abbiamo liberato i
suoli da anni - fu sentito dire il premier durante la visita in Cina - e non
sono riusciti a combinare niente: altro che rinascimento di Napoli, sono degli
incapaci".
Soltanto pochi mesi dopo quello sfogo, paradossalmente gli interrogativi sulla
capacità di modernizzazione della sinistra che governa ormai
ininterrottamente Napoli da quasi tre lustri con esiti poco rinascimentali, s'
intersecano pericolosamente con la domanda di "rilancio" - fase uno,
due o x - dell'azione di un governo nazionale faticosamente in carica da sei
mesi.
Ma l'altra Napoli sta per mettere in scena - inaugurazione tra pochi mesi con i
lapilli di Renzo Piano, la bandiera, l'inno di Mameli e il presidente
partenopeo - 'O Vesuviello, che a dispetto del diminutivo è la grandiosa
epitome "glocal", globale e locale, della modernità: 450 mila
metri quadrati a forma di cono come il vulcano che ha di fronte, alto
quarantadue metri, 600 pilastri d' acciaio a forma di sigaro toscano, una
piazza centrale grande come piazza Plebiscito, un sistema logistico
sotterraneo, una galleria circolare di un chilometro con 180 negozi, un
parcheggio per 8 mila auto, una multisala Warner Bros, un ipermercato Auchan,
un albergo Holiday Inn, centri congressi, decine di ristoranti e bar.
Non chiamatelo, per carità, centro commerciale perché Renzo Piano si
offende. Non uno shopping center in cui "come in un juke box la gente che
entra viene scossa fino a far cadere i soldi dalle sue tasche", ma un
sistema di servizi per la "città Cis- Interporto", il maggior
sistema di distribuzione commerciale d' Europa, un distretto di logistica
integrata di 4,5 milioni di metri quadrati, con 600 aziende, e 6 mila addetti,
che cresceranno col Vesuviello rispettivamente a mille e 9 mila, con un giro d'
affari di 7 miliardi di euro, destinato a raddoppiare. Costo 250 milioni di
euro. "'O denaro parla", fa ispirato il mercante che in vent' anni
dice di aver creato la "bancarella del millennio " trasferendo da
piazza del Mercato, l'antico Campo Miricino dove fu decapitato Corradino di
Svevia, alla piana di Nola, dove la camorra ha solida tradizione, i suoi
colleghi "pannazzari". E reclutato poi centinaia di altre imprese di
tutti i settori "perché 'a merce ha da girà cò 'a
testa".
Perfetta maschera partenopea che potrebbe sgusciare da una commedia di Eduardo
Scarpetta o di suo figlio Eduardo De Filippo, Gianni Punzo, un po' per
abitudine un po' per vezzo, parla un dialetto stretto e a mitraglietta, per cui
all'inizio Renzo Piano non lo capiva. Oggi, dimenticato l'incidente che lo
portò in prigione per presunte e mai provate collusioni con il clan
Alfieri ("Niente mi appaura, neanche la camorra - dice - perché chi non
semina chiodi può anche andare scalzo") s' intende con tutti quelli
che vagheggiano l'altra Napoli qui e fuori di qui.
Luca Montezemolo lo ha accolto in "Charme", la società di
investimenti fondata con Diego Della Valle, con Deutsche Bank, Unicredit e
Monte dei Paschi, ed è a sua volta entrato nella Banca Popolare
Sviluppo, fondata da Punzo con la consulenza di Pellegrino Capaldo, grande
giurista ed ex presidente del Banco di Roma. Alessandro Profumo lo segnala come
inventore di un modello da realizzare in altre parti d' Italia e da esportare
nel mondo. Ambrogio Prezioso, presidente dell'Associazione dei costruttori, lo
invidia perché riesce "a fare", mentre per colpa della politica a
Napoli giacciono nei cassetti almeno trenta progetti che sarebbero subito
realizzabili. Ma non saranno anche i costruttori napoletani che non riescono a
"pensare in grande", come sospetta lo stesso Punzo, il quale maledice
i 60 mila miliardi che piovvero in Campania dopo il terremoto e furono dispersi
in mille rivoli di cemento? Persino il cardinale Crescenzio Sepe, giunto qui da
sei mesi, dopo aver organizzato in Vaticano i grandi eventi papali e diretto
"Propaganda Fide", sembra fare l'identikit dell'ex pannazzaro quando,
all'unisono col presidente Napolitano e - come assicura - dopo aver informato
Papa Ratzinger, accusa la politica per le grandi "incompiute"
napoletane, prime fra tutte le riqualificazioni congelate di Bagnoli e di
Napoli Est, già all'ordine del giorno ai tempi di Chinchino Compagna,
politico repubblicano e intellettuale della migliore napoletanità.
"Non si poteva evitare almeno di vendere al Nord il Banco di Napoli, che
oggi si chiama San Paolo-Banco di Napoli? ", lamenta l'arcivescovo che di
economia non è digiuno.
Per fortuna, Corrado Passera ha già promesso almeno una prossima
revisione del logo, che diventerà "Banco di Napoli" e in
piccolo "Gruppo Intesa", per evi- tare che chi telefona e chiede
"Banco di Napoli?" si senta rispondere "No, qui San Paolo".
Conclamato deficit di classe dirigente votata alla modernità segnalato
dal capo dello Stato come dall'arcivescovo, o piuttosto Beresina della politica
dopo una stagione di speranza rinascimentale indotta con abilità
mediatica dal primo Bassolino sindaco, che ha consolidato la "crosta
cattiva" della città, come la chiama monsignor Sepe? Francesco
Saverio Nitti, all'inizio del secolo scorso, ci mise meno di un decennio a
ridisegnare urbanisticamente l'area occidentale, il porto, a industrializzare
l'area orientale.
Aveva dietro gli imprenditori, gli avvocati, i medici, in un humus intriso non
di animal spirits capitalisti, ma di individualismo preborghese. Eppure ci
riuscì. Bassolino - sono passati tredici anni da quell'8 dicembre 1993,
quando si arrampicò sulla scala di cinquanta metri dei pompieri per
deporre un fascio di fiori ai piedi dell'Immacolata - aveva dietro tutti con il
70 e passa per cento dei voti.
Partì alla grande, progetti, sogni, speranze. Poi il meccanismo
s'inceppò fino a riproporre sotto al Vesuvio cattivo l'emblema
dell'emergenza nazionale, gli ammazzamenti, la camorra, o "il
sistema" come lo chiama il giovane scrittore Roberto Saviano, il degrado,
la monnezza, le clientele. Perché Napoli è persa per sempre in una
irrefrenabile deriva clientelar-delinquenzial- sudamericana? E' il caso di
lasciare la parola a una fonte insospettabile: Enrico Cardillo, per anni segretario
dei metalmeccanici della Uil, confluito nei diesse, assessore al Bilancio del
comune di Napoli vicino a Bassolino e uomo forte della giunta di Rosetta
Iervolino, il sindaco che gli avversari di An guidati da Mario Landolfi hanno
soprannominato "Meglio nonna" in alternativa a "Zia della
patria".
Cardillo ha scritto un saggio "eretico" intitolato: "Napoli
l'occasione post industriale, da Nitti al piano strategico". "Nel
1993 - ricorda l'assessore, che gli avversari di destra definiscono "corto
e male incavato" - eravamo al dissesto, la città era tecnicamente
fallita, non potevamo pagare i fornitori. Oggi siamo la città meno
indebitata d' Italia, a Londra abbiamo offerto 400 milioni di Boc e ce ne hanno
chiesti il doppio. Ma non basta, perché, diciamolo apertamente, abbiamo
commesso molti errori. Abbiamo perso molte occasioni, disperso un nascente
dinamismo strategico. A cominciare dagli ostacoli che la sinistra pose al
grande progetto di riqualificazione urbana e innovazione tecnologica, temendo
ai tempi di Tangentopoli l'agguato della speculazione edilizia. Perdemmo per
paura dell'inciucio l'onda modernista, rifugiandoci nella spiaggia
conservativa". Cardillo, ben stimato da Napolitano, non teme
l'autocritica, né risparmia la critica severa al "bassolinismo". Ma
l'umore della città, dopo tredici anni, va ben oltre: oggi - si sente
dire - non abbiamo una classe dirigente, ma una degenerazione in ceto politico
autoreferenziale, che più che alla modernizzazione pensa all'occupazione
dei posti di potere, alla loro moltiplicazione, non alla modernizzazione della
città per farla uscire dall'emergenza criminalità - plebeismo -
degrado, ma a distribuire risorse pubbliche con i criteri del "bastard
keynesism", come lo chiama l'economista Massimo Lo Cicero. Quasi un
residuo leninista che non sa distinguere tra politica e società.
Per carità, Bassolino non è Gava, la corrente del Golfo è
per fortuna un ricordo perso nel passato. Il ministro Francesco De Lorenzo un
antico fantasma, ma nella sanità comanda il consolato di ferro
Bassolino- De Mita, attraverso il proconsole democristiano Angelo Montemarano.
E soprattutto l'industria del crimine è diventata sempre più
l'ammortizzatore sociale di una città che, dopo la
deindustrializzazione, sembra invertebrata, in una regione che, col 10 per
cento della popolazione, produce soltanto il 7 per cento del Pil. Torino
post-fordista rinasce, Napoli sembra affondare: l'aquila subalpina vola,
l'anatra partenopea annaspa.
Dicono che Achille Lauro sia stato l'uomo che ha distrutto Napoli, ma, salvo
errore, 'o Comandante monarchico dopo aver fatto surf su tutti i partiti,
governò soltanto per sette anni, ragion per cui oggi la sinistra, che
per otto anni ebbe come sindaco anche quel gentiluomo di Maurizio Valenzi - con
Bassolino e Iervolino fanno un ventennio - non può chiamarsi fuori. Come
può farlo se, per sistemare clientele, giunge a costituire una
Commissione Mare e una Commissione Mediterraneo? Se incrocia in un singolare
scambio di ruoli un vicesindaco uscente (Rocco Papa) con il presidente della
società (Tino Santangelo) che avrebbe dovuto realizzare il progetto
Bagnoli? Se soltanto nelle ultime settimane ha ricollocato nel sottogoverno
cittadino ben sette assessori trombati dalla giunta Iervolino? Fino a causare
una crisi nell'associazione femminile Emily, cara alla moglie del governatore
Annamaria Carloni, con il siluramento di Elena Perrella della Margherita,
indignata, per mettere al suo posto alla Fondazione Mondragone, che si occupa
di moda, l'ex assessore Giulia Parente. Come la Iervolino con Cardillo, anche
Bassolino ha in giunta la sua perla di Labuan, che comincia a fargli un po' d'
ombra, come gliene ha fatta Luigi Nicolais, voluto da Massimo D' Alema ministro
dell'Innovazione nel governo Prodi. Si chiama Ennio Cascetta, è
professore di Economia dei Trasporti e figlio di quel Vittorio Cascetta, ex
presidente fanfaniano della regione Campania e autore delle "Opzioni
Cascetta", la programmazione regionale ai tempi del meridionalista
Pasquale Saraceno. Carmen Verderosa, fascinosa e severa presidente dei Giovani
industriali, lo colloca nella sua pagella dei politici ai vertici dell'altra
Napoli. Quel che di buono resterà del governatorato Bassolino - dice
l'altra Napoli - sarà di certo l'"Opzione Cascetta junior".
Che lui professoralmente descrive così: Napoli, Caserta e Salerno sono
un'unica conurbazione, un'area metropolitana con 4 milioni di abitanti, la
più alta densità d' Italia e una delle maggiori al mondo: 1900
abitanti per chilometro quadrato, contro i 900 di Milano e i 400 di Roma. Per
far funzionare questo mostro urbano bisogna cominciare dalla mobilità,
visto che la stagione dell'industria manifatturiera dei tempi di Nitti è
ormai fuori dalla storia, sviluppare la vocazione logistica, le ferrovie, i
porti, gli aeroporti, gli interporti, i trasporti dal mondo verso il
Mediterraneo, perché il paesaggio e il turismo non possono essere tutto.
"I ritardi di Bagnoli e di Napoli Est - ammette - ci ricordano che la
classe dirigente tutta, non solo la politica, deve fare di più. Ma
bisogna tener conto del fatto che l'operazione di trasformazione urbana che
stiamo compiendo vale quattro volte i due miliardi di euro necessari per
Bagnoli. E che l'Italsider nel suo momento di massimo splendore occupava 11
mila operai, la metà degli addetti di oggi nelle compagnie di
navigazione napoletane, che rappresentano il 46 per cento dell'intera flotta
nazionale".
L'Opzione Cascetta junior prevede che l'anno prossimo, quando sarà
pronta la stazione di Afragola, l'alta velocità ferroviaria
entrerà come una benefica spada nel corpo della New York orizzontale
sotto il Vesuvio, tutte le linee si infileranno nel passante ferroviario di
Napoli, un vecchio signore di ottant' anni, nato nel 1926 e poi dentro, verso
le 48 stazioni del metrò che apriranno nei prossimi cinque anni.
Sogni, di fronte alla maledizione di Napoli sospesa tra eccellenza e
inciviltà, tra individualismo preborghese, talenti musicali,
cinematografici, calcistici e criminalità spietata? I prefetti arrivano
e ripartono con le mani nei capelli: "Questa è stata la mia trincea
e Pozzuoli la mia Waterloo", ci ha confidato il prefetto uscente Renato
Profili, che ha sciolto decine di comuni infiltrati dalla camorra. Mentre s'
insediava il successore Alessandro Pansa, ex vicecapo della polizia, a Scampia
un gruppo di donne in rivolta tentava d' impedire l'arresto di un pusher: tre
agenti feriti e un'Alfa 159 della Volante nuova di zecca distrutta. Un
simpatico benvenuto, mentre emergevano i dettagli dello stupro del Parco
Troisi, una ragazzina violentata da un branco: niente di nuovo se non il tifo
entusiasta delle amichette presenti con videotelefonino. Guido Bertolaso, che
è un caratteraccio, alle prese con la grana della monnezza già
non ne può più per le interferenze di alcuni politici e si sfoga
quotidianamente con Giorgio Napolitano, che lo ascolta sconfortato.
"Vede - fa il giudice Carlo Alemi, che si occupò del rapimento di
Ciro Cirillo, indicando gli ospiti del ricevimento d' addio del prefetto
Profili - questa è una città in cui, poco o tanto, nessuno
rispetta le regole, neanche tutte le persone per bene che stanno brindando qui
intorno". Per fortuna c' è ancora il calcio che in Aurelio De
Laurentiis, il produttore dei film di Natale, ha ritrovato il suo eroe cittadino,
l'uomo che tiene le chiavi del grande sogno collettivo, il sogno che tutti
unisce all'ombra del Vesuvio, ricchi e poveri, guardie e ladri, intellettuali e
politici, dal Vomero alla Sanità, da Posillipo ai Quartieri Spagnoli.
"Forza Vesuvio" scandirono i tifosi veronesi durante una celebre
partita col Napoli di qualche anno fa; alla partita di ritorno, dall'alto di
una curva, spuntò uno striscione di risposta ai veronesi:
"Giulietta è 'na zoccola". Un picco di genio napoletano come
sempre applicato al calcio. Oggi, al contrario dei veronesi, l'altra Napoli
incita: "Forza Vesuviello".
(1-continua)
(28 gennaio 2007)
Monitorato
anche legale dei soci-rivali brasiliani
M
L'elenco delle caselle di posta «abusivamente monitorate», quale risulta
dall'esame dei cd-rom sequestrati il 10 agosto
Spiata anche la posta elettronica «di Giannalberto D'Ecclesia Farace,
facente parte di Acif», società che, «a quanto si evince, ha curato le
relazioni pubbliche di Opportunity in Italia». Nel cd-rom custodito in
cassaforte da Pompili (interrogato sino a tarda sera venerdì), è
registrata traccia dell'attività degli ignoti "pirati" di
posta elettronica di queste persone vicine a Brasil Telecom: per un po' di
tempo risultano «essere state individuate e memorizzate sul cd alcune videate
(dello schermo degli spiati, ndr) catturate durante gli accessi abusivi
perpetrati»; poi l'attaccante «cessa di memorizzare le videate», ma «l'attività
prosegue e viene registrata tramite salvataggio delle e-mail in formato testo o
Html». Un secondo cd-rom, rileva la Polizia Postale, «contiene le tracce di
un'attività svolta nei confronti di Telefonica» (la compagnia spagnola):
«Sul supporto sono memorizzate informazioni probabilmente riservate e ottenute
presumibilmente attraverso manipolazioni degli Url» (cioè degli
indirizzi in un formato specifico che possono identificare in modo univoco la
posizione di un oggetto sul web).
Il terzo cd-rom è quello che contiene una cartella alla quale
faceva già cenno l'ordinanza di arresto di Ghioni e Lucia, ovvero la
cartella Vodka Red, quella con l'attività abusiva svolta ai danni di
Vodafone e della sua società di consulenza RibesInformatica. Sul primo
bersaglio, «in particolare è stato attaccato, tra il 26 gennaio e il 24
febbraio 2004, un apparato della rete Vodafone a Ivrea equipaggiato con
un'interfaccia web per la gestione di apparati di sicurezza, dal quale sono
stati eseguiti diversi back-up dei files di configurazione e di sistema»;
mentre sull'altra società, «sono stati eseguiti accessi abusivi a
diverse caselle e-mail aziendali». Nella cartella Vodka Red, rispetto a tutti i
cd, compare l'unico documento che «reca un'intestazione Telecom Italia, datata 5
febbraio e marcata "confidenziale", con i risultati di un'analisi
informativa svolta sul gruppo Vodafone». Del quarto cd-rom, allo stato si sa
pochissimo. «Contiene un solo file», ma non è possibile analizzarne il
contenuto: «È protetto da password».
lferrarella@corriere.it
28 gennaio 2007
Da albstudent.UE
27-1-2007 Albania, il “Paese delle Aquile” vuole volare sempre
più in alto
I fondi che
investono in infrastrutture (autostrade, porti, aeroporti, ma anche ospedali,
reti elettriche e per la distribuzione del gas) sono sempre più
numerosi. Solo negli ultimi mesi ne sono nati 5 o 6, ad esempio quello lanciato
dalla società americana Carlyle, con una dotazione iniziale di oltre un
miliardo di dollari. I fondi dell'australiana Macquarie (che in Italia possiede
il 44,5% degli Aeroporti di Roma) investono nel mondo un totale di circa 40
miliardi, abbastanza per costruire otto ponti sullo Stretto di Messina.
In Italia accade raramente che opere pubbliche siano finanziate ricorrendo a
questi fondi: il motivo per cui esse non decollano è l'incertezza
regolamentare. Esemplare è il caso Autostrade: dopo aver firmato una
concessione trentennale, oggi il governo ha deciso di riscriverla. E' vero che
quella concessione era forse troppo favorevole ai privati, ma lo Stato avrebbe
dovuto pensarci prima: rinnegare un contratto firmato ha effetti deleteri e
tiene alla larga gli investitori. E quando ciò accade, per finanziare
opere pubbliche non rimane che ricorrere alle tasse dei cittadini.
La scorsa settimana il governo ha creato un fondo per le infrastrutture nel
quale investiranno la Cassa depositi e prestiti, le nostre banche maggiori e le
fondazioni bancarie. Ce n'era davvero bisogno? E perché le banche, anziché
creare un proprio fondo, come Macquarie o Carlyle, ne sottoscrivono uno la cui
regia è saldamente in mano al governo e la cui guida è affidata a
Vito Gamberale, già manager delle Partecipazioni statali, poi passato
dalla parte dei «cattivi rentier » di Autostrade e ora redento?
Il motivo contingente che ha indotto a creare il nuovo fondo è la
decisione dell'Antitrust che impone alla Cassa depositi e prestiti di cedere o
la partecipazione in Enel o quella in Terna, la società che possiede la
rete elettrica. Per non perdere il controllo né dell'una né dell'altra, Terna
sarà trasferita al nuovo fondo e quindi rimarrà nella sfera
pubblica. Ma a che prezzo avverrà la cessione? Se fosse troppo basso ci
perderebbero i contribuenti, se fosse troppo alto a perderci sarebbero gli
azionisti delle banche che partecipano al fondo. Per garantire entrambi ci
vorrebbe una gara aperta ai fondi internazionali. Ma di gare non si parla.
Senza gare e finanziato da banche amiche (ora si capisce perché il governo ha
applaudito alla nascita di Intesa-San Paolo) il fondo crescerà: dopo
Terna, acquisterà la partecipazione dell'Eni in Snam Rete Gas, poi la
rete fissa di Telecom Italia, secondo il principio che le reti devono essere
separate dai gestori dei servizi. Questo è giusto. Ma non c'è
ragione che siano anche pubbliche. E così, grazie alla tenacia di Prodi,
il piano di settembre del suo (ex) consigliere Rovati — che prevedeva appunto
la nazionalizzazione della rete fissa di Telecom — arriverà in porto.
Vent'anni fa Prodi, allora presidente dell'Iri, cercò di togliere ai
privati il controllo di Mediobanca. Non ci riuscì. La nuova Mediobanca
nasce oggi, sotto l'ala protettiva di Palazzo Chigi e degli azionisti bresciani
di Intesa-San Paolo. Non mi sorprenderei se il prossimo passo fosse la nomina
all'Antitrust e all'Autorità per l'energia di qualche commissario
perbene, che tuttavia nutre dubbi sulle proprietà taumaturgiche del
mercato. Autorità amiche non obietteranno a canoni un po' più
alti per l'accesso alle reti possedute dal nuovo fondo. Le risorse del fondo
cresceranno e così i suoi orizzonti, per arrivare ad altre mete
più ambiziose. Può darsi che tutto ciò sia nell'interesse
del Paese ma è legittimo chiedere che un passo tanto importante sia preceduto
da una grande e libera discussione.
27 gennaio 2007
La
classifica della rivista Usa International Living tiene conto
di tasse, prezzi, opportunità di lavoro e di investimenti
LONDRA - Una volta erano la pizza e il mandolino,
oggi sono la Ferrari e le borse di Prada. I tempi cambiano e con loro anche i
miti considerati oggi buoni motivi per vivere in Italia, che si piazza
all'ottavo posto per qualità della vita. Almeno secondo la classifica
stilata dalla rivista americana International Living (www.internationalliving.com).
Per fortuna, oltre ai marchi che sono l'orgoglio del mercato italiano, la
rivista americana assegna al Bel Paese anche il primato della cultura e delle
arti, per i quali vengono chiamati in causa i nomi illustri del Rinascimento:
Raffaello, Michelangelo e Botticelli.
Ma tra gli ingredienti fondamentali compaiono anche la buona cucina, la
varietà dei paesaggi e la nostra storia. Insomma, Italia patria della
"dolce vita" più che del vivere bene e che resta un po' in
disparte rispetto ad altri Paesi del Nord Europa che brillano tra i primi dieci
posti classifica: la Francia davanti a tutte, seguita da Australia e Olanda,
sesta la Svizzera, poi la Danimarca e, nono, il Lussemburgo.
La hit parade stilata ogni anno dalla rivista americana tiene conto di diversi
fattori, primi fra tutti quelli che secondo il buon senso comune sono
condizioni irrinunciabili per vivere bene: poche tasse, prezzi bassi, buon
clima, opportunità di lavoro e di investimento. Insomma, tutto
ciò che può aiutare a scegliere dove mettere radici o
ricominciare una nuova vita.
Nove, dunque, le categorie considerate dal rapporto "Quality of Life
2007", secondo le quali sono stati giudicati 193 Paesi nel mondo per costo
della vita, cultura e tempo libero, economia, ambiente, libertà,
sanità, infrastrutture, sicurezza e clima.
A conti fatti, la Francia è imbattibile per quanto riguarda i prezzi e
consumi (Parigi non è "cheap" ma risulta comunque più
abbordabile di altre capitali europee), i beni artistici e le bellezze
paesaggistiche, le specialità gastronomiche e i trasporti (fiore
all'occhiello i treni ad alta velocità), la capacità d'impresa e
il mercato, la produzione agricola e, non ultimo, il sistema sanitario, il cui
primato mondiale è riconosciuto persino dall'Oms. A tutto ciò si
aggiunga il fatto che la qualità della vita nelle regioni francesi
sembra essere ben distribuita tra città e campagne.
L'Australia, terza classificata nel rapporto del 2006, quest'anno conquista una
posizione grazie ai suoi spazi sconfinati e al clima generoso, che ne fanno un
posto ideale per giovani alla ricerca di una "sede" definitiva. La
natura, i divertimenti e le attività culturali coronano il ritratto di
un Paese dove l'easy life diventa un traguardo raggiungibile.
Sempre nelle prime dieci posizioni, Nuova Zelanda e Stati Uniti risultano
rispettivamente al quarto e quinto posto. Al decimo compare invece l'Argentina,
novità assoluta rispetto ai Paesi selezionati negli anni precendenti.
Dopo anni di crisi nera e grazie ad una faticosa ricostruzione economica, il
Paese della Pampa sembra infatti rappresentare nuovamente un meta appetibile
per investimenti, a cominciare dal mercato immobiliare.
Meno premiate risultano invece la Germania (undicesima insieme alla Norvegia),
il Belgio e la Spagna, mentre il Giappone è al venticinquesimo posto. E
se Haiti risulta essere il primo Paese per corruzione, l'isola di Naru, nel
Pacifico, è quello dove la vita costa di meno in assoluto.
Gli Stati africani, infine, con lo Yemen e l'Afghanistan, restano in fondo alla
classifica, seguiti solo dall'Iraq, che a oggi non può che essere
fanalino di coda. Da quelle parti la vita è davvero difficile.
(27 gennaio 2007)
Da La Repubblica 27-1-
L'Osservatore
condanna L'Espresso
Profanazione del sacramento. E' la sentenza senza appello che L'Osservatore
Romano lancia contro L'Espresso, reo di aver pubblicato l'inchiesta sui
confessionali italiani.
Il giornalista Riccardo Bocca ha visitato 24 chiese, in cinque città
italiane, per "confessarsi" sulle questioni più
"scomode", ottenendo spesso risposte contrastanti rispetto alle
direttive di Papa Ratzinger. L'intervista, uscita ieri nelle edicole, mette in
luce le voci dissonanti della Chiesa per quanto riguarda temi importanti, dai
Pacs alle staminali, dalla contraccezione all'omosessualità. Per nulla
scontate e spesso sorprendenti le risposte dei confessori interpellati dal
"peccatore".
"Vergogna. Un sacramento è stato profanato". Il giornale della
Santa Sede si scaglia contro il settimanale definendo il dossier
"un'operazione disgustosa, indegna, irrispettosa, particolarmente
offensiva".
Secondo l'Osservatore, a farne le spese sono soprattutto i "milioni di
credenti, il cui sentimento religioso è stato offeso". In sostanza,
il quotidiano del Vaticano punta il dito contro "la grave lesione
all'inviolabilità del ministero pastorale" che deriva dall'avere
ingannato, a scopo scandalistico, la buona fede dei sacerdoti. "Si
è infranto quello spazio certamente sacro - chiarisce il giornale - che
è il luogo in cui l'uomo che si riconosce peccatore chiede intimamente
di incontrare l'amore misericordioso di Dio".
Altrettando grave, conclude "con tristezza e rammarico"
L'Osservatore, è l'assenza di altre reazioni che il servizio non sembra
aver suscitato, soprattutto in "quanti in altre circostanze si erano
pronunciati in difesa del senso religioso altrove offeso".
(27 gennaio
2007)
Quante volte si
è deciso di rinunciare a un acquisto on line per riluttanza a rivelare i
propri dati personali, come il numero della propria carta di credito? Un passo
in avanti per risolvere il problema potrebbe essere stato messo a punto dai
laboratori IBM di Zurigo, che hanno creato Identity Mixer, un software che
consente di nascondere o rendere anonimi i dati personali sul web, assicurando
così la protezione da furti di identità e abusi di questo tipo. A
differenza di altri programmi che trasmettono parti della vera identità
di un utente, Idemix funziona in base a un sistema di credenziali digitale
anonime: in pratica, per acquistare dei brani musicali da Internet occorrerebbe
prima ottenere dalla propria banca un file con i codici della propria carta di
credito. Al momento del pagamento interviene il software Idemix, che dapprima
analizza i dati presenti in quella credenziale digitale, e poi fornisce al
venditore l’unica informazione che gli può davvero servire, ossia che il
cliente abbia una sufficiente disponibilità finanziaria per effettuare
la transazione. Oppure, nei casi di servizi per adulti, il programma è
in grado di specificare se il cliente possieda o meno la maggiore età.
IBM prevede di incorporare la tecnologia nel proprio portafoglio software
Tivoli per la gestione delle identità e, in definitiva, Idemix
può essere visto come una risposta a Windows CardSpace, una funzione
inserita nel nuovo sistema operativo Microsoft, Windows Vista. CardSpace
permette all'utente di memorizzare sul pc un profilo personale dettagliato, che
può essere poi inviato ai siti web (che devono però possedere una
tecnologia compatibile), in modo da snellire l'operazione ed eliminare
l'utilizzo delle password.
Da albstudent.UE 27-1-2007
Albania, il “Paese delle Aquile” vuole volare sempre più in alto
Scritto da IL
MERIDIANO sabato 27 gennaio 2007
L’Albania – “Paese delle Aquile” – è uno
stato che per gli standard europei non è ricco, ma sta compiendo la
difficile transizione verso un’economia di mercato. Situato nella Penisola
Balcanica, nel sud-est dell’Europa, confina con il Montenegro a nord-ovest e la
Serbia a nord-est, con la Macedonia ad est e con la Grecia a sud mentre le sue
coste si affacciano sul Mar Adriatico e sullo Ionio.
La storia di
questa terra parte da molto lontano, infatti il territorio albanese è
stato abitato fin dall’antichità, come dimostrano i ritrovamenti archeologici
e gli studi antropologici su campioni di resti umani del medio-tardo
paleolitico, risalenti a un periodo compreso tra 100 mila e 10 mila anni fa,
rinvenuti presso la località di Xare e nelle caverne di Santa Marina a
Saranda, nel sud del Paese. Per migliaia di anni, l’Albania fu abitata da
<+nero>diverse colonie autoctone illire, discendenti dai Pelasgi, il cui
territorio confinava con le colonie tracie e dardane a nord e con le colonie
macedoni e greche <+tondo>a sud-est. Intorno al VI secolo a.C. gli stessi
Illiri, grazie ad un rapido sviluppo economico agricolo e produttivo
determinato dalla metallurgia (per uso civile e militare) del bronzo e del
ferro, svilupparono una forte identità comune, rafforzando il predominio
sul territorio con il commercio e in molti casi con atti di pirateria.
Fondarono importanti città sulla costa mediterranea, tra cui le attuali
Durazzo, Valona, Scutari (Shkodër), Butrinto ed Alessio. Nella storia
più recente di questo Paese, il 1943 é una data molto importante. Infatti,
subito dopo la firma dell’armistizio con gli Alleati da parte del Governo
italiano, l’Albania venne invasa dall’esercito nazista. Si formò
così un movimento dei gruppi nazionalisti e di resistenza partigiana
(formato principalmente dal partito nazional-comunista guidato da Enver Hoxha),
che riuscì a prendere il controllo del paese fino alla cosiddetta
vittoria popolare di liberazione nazionale antifascista, nel 1944. I
nazionalisti e i patrioti antifascisti albanesi si organizzarono nella L.A.N.Ç
(Lufta Antifashiste Nazional Çlirimtare). Dal 1944 al 1990 l’Albania fu uno
stato nazional-comunista estremamente isolazionista, che dedicò poche
energie alla cooperazione politica anche con gli altri stati comunisti del
Patto di Varsavia dominato dall’Unione Sovietica. Enver Hoxha morì nel
1985. Cinque anni dopo, la caduta del Muro di Berlino ebbe un forte impatto sul
sistema mono-partitico e su quello politico-economico. Negli anni 1990-1992 si
ebbe un movimento di rivolta, guidato dagli studenti e dai professori
universitari di Tirana, da intellettuali moderati e da tecnici delle fabbriche,
che portò alla rinascita della democrazia e al ripristino del
multi-partitismo. Il paese soffriva di molti problemi legati al limitatissimo
sviluppo socio-economico. La prima riforma legislativa riguardò il
diritto alla proprietà privata, sostituito alla gestione statale dei
beni. Poi venne intrapresa la lunga strada verso l’adeguamento ai programmi
europei del Patto di Stabilità e Crescita secondo il protocollo del
Trattato di Maastricht. Il 12 giugno 2006 il Governo e i rappresentanti
parlamentari dell’Albania hanno siglato a Lussemburgo un Accordo di
Stabilizzazione e Associazione (ASA) con l’Unione Europea, diventando
così il terzo paese della penisola balcanica, dopo la Croazia e la
Macedonia, ad impegnarsi con le istituzioni politiche di Bruxelles ad
introdurre riforme. Per quanto concerne l’economia, invece, la situazione
è ancora in una fase transitoria vittima di un passato che ha indebolito
molto questo settore. La caduta del regime politico comunista del 1990 è
infatti avvenuta più tardi e in modo più caotico rispetto agli
altri paesi dell’Est europeo ed è stata caratterizzata da un massiccio
esodo di rifugiati verso l’Italia e la Grecia nel 1991 e nel 1992. I primi tentativi
di riforma cominciarono all’inizio del 1992, dopo che il valore reale del PIL
era diminuito di oltre il 50% rispetto al picco del 1989. Il governo,
democraticamente eletto ed insediato nel 1992, lanciò un ambizioso
programma di riforme i cui elementi chiave comprendevano la liberalizzazione
del sistema dei prezzi e degli scambi, un consolidamento fiscale, un più
serrato controllo sulla politica monetaria e una rigorosa politica delle
entrate. Questi cambiamenti erano supportati da un ampio pacchetto di riforme
strutturali, che comprendevano la privatizzazione, la creazione di imprese,
riforme nel settore finanziario e la creazione di un quadro legale per
l’economia di mercato e le attività del settore privato. Il nuovo
governo (insediato nel luglio del 1997), fu costretto ad adottare energiche
misure per ristabilire l’ordine pubblico e rivitalizzare le attività
economiche e il commercio. Nel 1998 l’Albania si riprese dalla crisi. Il 1999
fu caratterizzato dal conflitto fra NATO e Serbia (allora Repubblica Federale
di Jugoslavia) per la questione del Kosovo. Molti aiuti economici vennero
stanziati dalla comunità internazionale per aiutare il Governo albanese
a sostenere gli alti costi dovuti all’afflusso di quasi mezzo milione di
rifugiati dal Kosovo. Nel 2006 è iniziata la fase finale per una nuova
gara di privatizzazione di Telecom Abania - Abatelecom, impresa statale di
telecomunicazione fissa (con le tecnologie di fibra ottica, servizi ADSL e una
licenza integrata di rilancio per un Operatore Mobile GSM).
Il Paese
chiamato alla prova di democrazia di Flavio Bianchi
Fissata per il 18 febbraio la data delle amministrative
L’Albania, in questi giorni, è stata al centro dell’opinione
pubblica per forti polemiche e aspre contese derivanti da motivi elettorali.
Già da qualche tempo, infatti, si sarebbe dovuta stabilire la data delle
elezioni amministrative, ma maggioranza e opposizione non si sono messe
d’accordo arrivando perfino all’annullamento della prima data che doveva essere
il 20 gennaio. Poi però, la crisi è stata risolta ed è
stato deciso di fissare per il 18 febbraio prossimo la data della tornata
amministrativa. I partiti di maggioranza e opposizione hanno così
raggiunto l’accordo che dà finalmente il via libero alla consultazione
elettorale. Dopo settimane di difficili trattative, finalmente tutte le forze
politiche hanno accettato la proposta, mediata dal capo dello Stato Alfred
Moisiu, sull’uso dei certificati elettorali. La disputa riguardava una serie di
garanzie che l’opposizione, guidata dal sindaco socialista di Tirana Edi Rama,
chiedeva durante le fasi del voto per tutti certificati elettorali messi in
circolazione dal governo senza alcun tipo di registrazione fino alla data del
primo novembre. Il premier Sali Berisha si era finora rifiutato di cedere alle
richieste dell’opposizione. Poi anche sotto la pressione della comunità
internazionale, si é giunti all’accordo che accoglie sia pure solo in parte le
richieste dei socialisti, che hanno ottenuto di far accompagnare i certificati ritenuti
sospetti con altri due documenti di identità, invece che con uno
soltanto come chiedeva il premier. Alla firma dell’accordo mancava solo il
primo ministro che ha inviato al suo posto il vice capo del Partito
democratico, Baimir Topi. Intanto, si registra il primo colpo di scena
sull’imminente sfida alle urne. Dopo sedici mesi dalla sua nomina, infatti,
l’altro giorno si é dimesso a Tirana il ministro albanese dell’Interno, Sokol
Olldashi, candidato dal Partito democratico del premier Sali Berisha alla
carica di sindaco della capitale. Olldashi gareggerà alle elezioni
amministrative fissate per il prossimo 18 febbraio. «Ho scelto di dimettermi
non perché fosse un obbligo di legge, ma come gesto etico e morale nei
confronti dei cittadini di Tirana» ha dichiarato Olldashi, che invece per legge
deve ora rinunciare anche al suo mandato di parlamentare. Con un passato da
giornalista e un clamoroso successo personale alle elezioni politiche del 3
luglio del 2005, quando riuscì a sconfiggere a Durazzo uno degli uomini
più forti del partito socialista, Sokol Olldashi, 34 anni, si cimenta
adesso in una nuova sfida altrettanto ardua: strappare al popolare sindaco di
Tirana, Edi Rama, il controllo della capitale. Rama si candida per il suo terzo
mandato consecutivo, ma nel frattempo é diventato capo del Partito socialista
(principale forza dell’opposizione) e quindi una sua eventuale sconfitta
elettorale costituirebbe un tonfo politico per l’intera sinistra albanese.
Nell’annunciare le sue dimissioni, Olldashi ha voluto ricordare i più
importanti risultati raggiunti nella lotta alla criminalità organizzata
durante il suo mandato. «La nostra polizia ha smantellato alcune delle
più potenti bande criminali del paese - ha detto il ministro uscente -
abbiamo sequestrato oltre 120 chili di eroina e cocaina e ridotto del 75% la
coltivazione di marijuana facendo registrare anche un drastico calo nel numero
degli omicidi». Fonti politiche escludono che il premier Sali Berisha intenda
nominare un nuovo titolare del dicastero prima delle elezioni, che si
svolgeranno così con un intero apparato di polizia guidata solo da un
vice ministro.
«La crescita
passa anche dalla cultura» di Flavio Bianchi
Roma L’Albania, nonostante tutte le difficoltà storico-politiche
incontrate in passato e i grandi problemi economici che ancora oggi la
investono, è un Paese che crede fortemente nella cultura e ha una grande
voglia di esportarla. Molti gli artisti in tutti i settori che sono
riconosciuti ed apprezzati fuori dai propri confini. In particolare, come
sottolinea nell’intervista che segue Visar Zhiti, gli artisti albanesi hanno
una forte suggestione e vocazione di stampo europeistico. Visar Zhiti,
scrittore e poeta di fama internazionale e vittima nel suo Paese di
persecuzioni politiche (fu condannato a tredici anni di carcere e ai lavori
forzati per essersi opposto al socialismo reale) è attualmente ministro
consigliere alla Cultura dell’ambasciata albanese a Roma. Con lui abbiamo fatto
il punto della situazione socio-culturale di questo “piccolo grande” Paese.
Qual è, attualmente, il clima che si respira fra le gente e i movimenti
artistici in Albania?
«L’Albania è un piccolo paese ma ha una grande cultura. Formalmente non
è nell’Unione Europea ma simbolicamente la sua cultura ne fa parte. Vi
sono molti artisti, infatti, che sono importanti non solo per l’Albania ma per
tutto il Vecchio continente. Molti dei nostri scrittori, ad esempio, scrivono
spesso direttamente in italiano. Gran parte dei pittori più affermati,
invece, espongono in tutto il mondo, compreso nel vostro Paese. Ma ci sono
anche cantanti, cineasti che hanno una vocazione e una risonanza
internazionale. Tutto ciò rappresenta una forza e una testimonianza
diretta dello spirito europeo della nostra cultura e della nostra gente».
Per quanto rigurda la cinematografia, esistono delle iniziative concrete a
sostegno di questa industria?
«La produzione dei film è ancora molto scarsa e per lo più legata
a partnerschip straniere come quelle tedesche, italiane e francesi. C’è
ancora tanta difficoltà e povertà. Io ho ripetuto spesso che in
Albania è caduta la dittatura ma è rimasta la dittatura della
povertà. Tuttavia, il governo attuale sta compiendo un grosso sforzo per
rialzare spiritualmente il nostro popolo perché, a mio avviso, è proprio
dalla cultura che deve si partire per guardare con fiducia al futuro».
Ma concretamente, in campo politico-economico, come ci si sta muovendo per
incentivare il settore della cultura?
«Le idee e i progetti ci sono, ma spesso manca ancora qualcosa per attuarli
fattivamente. Gli artisti, comunque, devono cercare di ottenere di più
da se stessi, dalle proprie risorse».
Esistono delle scuole, dei centri statali dove studiare e apprendere l’arte?
«Sì, ne esistono diversi: per la musica, per la pittura e per la danza.
Ci sono anche delle associazioni culturali e una lega di scrittori che ha una
tradizione dal tempo della dittatura che sta cercando se stessa. Siamo in una
fase di transizione, la nostra cultura sta cercando di ritrovarsi».
Crede che siate sulla strada giusta verso la rinascita di un movimento
culturale forte?
«E’ ancora una fase embrionale, ideale. Ma bisogna lavorare molto poiché quello
che è stato fatto finora è troppo poco».
La sua esperienza di scrittore e poeta da cosa è stata influenzata e da
cosa trae ispirazione?
«Sono stato sempre mosso dalle realtà che ho vissuto e toccato
personalmente. Quando sono stato in carcere per motivi politici, i temi delle
mie opere vertevano su quella esperienza dittatoriale. Adesso che c’è un
clima nuovo, di democrazia sono interessato al fatto che stiamo costruendo la
libertà ma ancora non la conosciamo, perché ancora non siamo del tutto
liberi. Perché per essere liberi, infatti, occorre più cultura. Sotto la
dittatura, invece, va bene l’ignoranza. I miei personaggi, poi, sono legati ai
posti dove sono andati i miei concittadini e anche l’Italia, infatti, è
un palcoscenico ideale per le mie opere».
La sua è una delle nazioni più antiche d’Europa e come tale
avrà sicuramente importanti tradizioni folcloristiche. Può
parlarcene?
«Ci sono molte feste che vengono organizzate all’interno delle città
storiche come Berat e Gjirokastra che sono patrimonio dell’Unesco. Proprio
oggi, ad esempio, ci siamo ritrovati in Piazza Albania a Roma - dove c’è
la statua dell’eroe nazionale albanese Giorgio Castriota Skanderbeg - per
commemorarlo. Egli è stato anche un eroe europeo, è stato
definito “l’impavido difensore della società occidentale” mentre gli
scrittori italiani dicono che è stato un precursore dell’Unione Europea.
Ecco, spesso anche questi nomi importanti, sono un’occasione per festeggiare e
stare tutti assieme».
Flavio Bianchi
Inserimenti del 27-1-2007
Da La Repubblica 26-1-2007 Cresce a dicembre il
surplus della bilancia extra Ue
Da Il Sole 26-1-2007 Per il contratto dei bancari
i sindacati chiedono 188 euro nel biennio (+9%)
Da La Stampa 26-1-2007 Cristiano Fioravanti:
"A Bologna la stessa mano di Ustica
Dal Corriere della Sera 26-1-2007 Rosetta
incontra l’asteroide Lutetia
Dal Corriere della Sera 26-1-2007 Nuova arma Usa:
il raggio che non ferisce Simone
Bertelegni
Anno giudiziario anche in Vaticano. Dall'avversione al sesso
all'uso di droghe: le cause prese in esame dal Tribunale ecclesiastico
CITTÀ
DEL VATICANO — Eccessiva dipendenza dalla mamma tipica dei mariti «mammoni», patologica
tendenza a mentire, abuso di cannabis e alcool, avversione parossistica al
sesso, disturbi congeniti all'orgasmo maschile: sono alcune delle anomalie
comportamentali e psichiche che sono state prese in esame dal Tribunale della
Rota Romana nelle sentenze di «nullità» matrimoniali emesse nel corso
del 2005. La casistica delle cause trattate lungo quell'anno è
analizzata sotto il profilo giuridico nella «Relazione annuale statistica» che
viene stilata in occasione dell'apertura dell'Anno Rotale che avviene oggi, con
un discorso di Benedetto XVI al «Collegio dei prelati uditori».
Nella relazione
affiora qualche caso curioso,
quasi sempre catalogabile sotto il titolo «incapacità ad assumere gli
obblighi essenziali del matrimonio». Nel linguaggio comune si parlerebbe di
immaturità o anomalie psichiche, o psicologiche, che impedisce di
realizzare la «comunione di tutta la vita» che dovrebbe qualificare il
matrimonio canonico. Si va da matrimoni riconosciuti «nulli» per la già
citata «incapacità» di assumere i doveri coniugali ad altri la cui
sentenza di nullità è sancita per «grave difetto di discrezione
di giudizio». Questa motivazione generalmente fa riferimento all'immaturità
affettiva di coniugi spesso dotati di uno smisurato amor proprio, o gelosi
fuori misura, o inclini all'eccessiva autonomia, o con una abnorme tendenza a
mentire, fino alla «simulazione del consenso».
I giudici si
sono trovati alle prese con casi di mariti (ma anche mogli) morbosamente dipendenti dai genitori. Una
dipendenza talmente forte da impedirne l'autonomia, l'autodeterminazione, la
capacità di prendere decisioni in proprio. Cioè la libertà
che deve caratterizzare un vero matrimonio. I casi di «avversione al sesso » —
pochi ma costanti negli anni — riguardano persone che hanno subito un trauma
nella primissima infanzia e che, a causa di esso, non desiderano avere rapporti
sessuali e si bloccano al solo sentirne parlare. Questa avversione costituisce
ragione di nullità, se documentata come esistente, almeno «in nuce»,
prima del matrimonio e attestata con periziemedico- psichiatriche. Le cause
esaminate durante l'anno dai giudici — in tutto sono 20 «prelati uditori» di
cui nove italiani, due polacchi, due americani, due libanesi, uno spagnolo, un
tedesco, un francese, un brasiliano e uno scozzese — sono state 1.679.
In totale le
decisioni sono state 262,
di cui 126 sentenze definitive. Di queste ultime solo 69 sono state le sentenze
affermative, che cioè hanno dichiarato nullo il matrimonio. Il 67 per
cento delle cause (85 cause) hanno beneficiato del gratuito patrocinio. Le
cause giunte alla Rota Romana (che funziona da tribunale di appello rispetto
alle sentenze emesse dai tribunali regionali e nazionali) provengono da un
totale di 27 paesi. La nazione che risulta in testa alla lista è
l'Italia con 128 cause inoltrate in seconda istanza dai tribunali diocesani,
seguita dagli Stati Uniti (38), Polonia (19), Libano (12), Slovacchia (12). Una
causa è giunta da Cuba e una da Israele. L'attività del tribunale
della Rota con gli anni va lentamente aumentando: nel 1996 le cause pendenti
all'inizio dell'anno erano 814 e si ebbero 130 sentenze definitive, mentre
l'anno scorso sono state 1.083 con 147 sentenze definitive.
Luigi Accattoli
27 gennaio 2007
Da La Repubblica 26-1-2007 Cresce a dicembre il surplus della
bilancia extra Ue
M
Sempre nel mese di
dicembre - sottolineano all'Istat - proseguono positive le variazioni
tendenziali di entrambi i flussi commerciali, con una intensità della
crescita delle esportazioni che, per il secondo mese consecutivo, risulta
superiore a quella delle importazioni. I dati destagionalizzati registrano un
deficit nel mese di dicembre di 1,101 miliardi, con importazioni in aumento del
4,1% congiunturale e le esportazioni in crescita, rispetto a novembre, del
6,9%.
I maggiori aumenti
dell'export sono stati verso la Russia per un +43,6% tendenziale, altri paesi
europei per un +23,9% e verso la Cina +23,1%; per l'import gli incrementi
più elevati si sono registrati con i paesi Efta (Islanda, Liechtenstein,
Norvegia e Unione europea) per un +30% e con la Russia +21,4%. In calo gli
acquisti dagli Stati Uniti (-17,1).
L'analisi per
settore di attività economica mostra i maggiori aumenti tendenziali per
l'export di altri prodotti dell'industria manifatturiera (compresi i mobili)
con +36,8%, di metalli con +23,3%, legno e prodotti in legno (esclusi i mobili)
con +20,6%; cali per prodotti petroliferi raffinati con -6,3%.
Sul fronte delle
importazioni, incrementi rilevanti si sono avuti per metalli e prodotti in
metallo (+57,6%), prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali (+15,4). In
diminuzione apparecchi elettrici e di precisione (-14,7%), carta e prodotti di
carta, stampa, editoria (-8,3). In particolare, soffermandosi sui minerali
energetici che riguardano prevalentemente petrolio greggio e gas naturale,
l'Istat fa notare che il loro peso totale sulle importazioni ha raggiunto nel
2006 il 31,6% (29,7% nel 2005) e il saldo è risultato negativo per
49,013 miliardi. Pertanto nell'intero 2006, al netto dei minerali energetici,
il saldo della bilancia commerciale risulta positivo per 29,880 miliardi.
Insomma, dopo
cinque anni l'Italia, con i suoi circa quattro milioni di imprese (+7,4% tra
2000 e 2005, una ogni 14 abitanti) ha registrato una ripresa del sistema
produttivo, anche se è scesa dal 90 al 190 posto tra le mete di
investimento al mondo. Nel
Da Il Sole 26-1-2007 Per il contratto dei bancari i sindacati
chiedono 188 euro nel biennio (+9%)
Circa 188 euro in
più in busta paga, pari a un incremento complessivo medio del 9 per
cento. È l'aumento chiesto per il biennio economico 200607 dai sindacati
dei bancari nella piattaforma varata ieri a Roma in vista del rinnovo del
contratto di categoria scaduto a fine 2005 (il riferimento è lo stipendio
di una figura media del settore, III area IV livello per esempio un impiegato
con 10 anni di anzianità). Un documento unitario (anticipato da «Il
Sole24 Ore»del 24 gennaio),sottoscritto da tutte le nove sigle di categoria
(Dircredito, Fabi, Falcri, FibaCisl, FisacCgil, Silcea, Sinfub, Ugl, Uilca) che
rivendica «centralità del lavoro,riequilibrio redistributivo e
responsabilità sociale e d'impresa». La parola passa ora ai lavoratori
(340mila i bancari in Italia) che discuteranno il documento nelle assemblee,
poi a fine marzo sarà presentato all'Abi (Associazione bancaria
italiana).
Un aumento richiesto, quello del 9% che comprende un 3,8% di costi inflazione
cioè il recupero del potere d'acquisto dei salari, un ulteriore 3,5%
medio di riparametrazione. A queste cifre vanno poi aggiunte le richieste fatte
sugli incrementi delle indennità, l'aumento dei giorni di permesso, una
rivalutazione degli scatti di anzianità, i contributi per la previdenza
complementare. Tra le novità annunciate negli assetti professionali
l'introduzione di un V livello nei Quadri direttivi (capi d'agenzia e di
filiale).Nella piattaforma si ribadisce la volontà di contrastare la
precarietà spiega Francesca Furfaro, alla guida della Falcri. «Il
contratto di apprendistato dovrà ottenere miglioramenti economici e
normativi che ne diminuiscano la durata e il differenziale economico;
ilcontratto di inserimento andrà specializzato per utilizzi mirati».
Insomma, nessuna ulteriore apertura sulla legge Biagi. Tra i capitoli«caldi »
anche quello sull'orario di lavoro «ormai dilatato», sulla formazione,sui
sistemi incentivanti e la responsabilità sociale d'impresa, che vuol
dire «regole chiare per la vendita di prodotti finanziari a tutela di bancari e
consumatori ».Quanto alla contrattazione di secondo livello «c'è la
necessità di un ampliamento dei poteri di contrattazione aziendale». «Si
tratta di una piattaforma dialtoprofilo — spiega Giuseppe Gallo segretario
generale di FibaCisl — perché realisticamente rivendica per i lavoratori una
quota di dividendo del risanamento del sistema, per tutti noi un punto
fermo».Dall'altra parte, invece, le banche che puntano a una riduzione dei
costi e che insistono sull'esigenza di ulteriori recuperi di margini e di
competitività. «Per loro — continua Gallo — l'accordo del '93 per le
politiche dei redditi è ancora valido,noi invece lo riteniamo superato
come è antistorica ogni ipotesi di gabbie salariali, voci circolate nei
giorni scorsi e parzialmente smentite dall'Abi.Cosa diversa —prosegue Gallo —
è ragionare su elementi di variabilità nei premi aziendali».
Intanto, anche le banche sono allavoro.«Speriamo che non presentino alcuna
piattaforma — prosegue Gallo — Sella non ha mai fatto una contropiattaforma.
Quella circolata nei giorni scorsi ci auguriamo sia stato un'irrituale
esercizio di scuola che non ci venga mai ufficialmente presentato perché
gravido di contenuti regressivi e che scatenerebbe un inizio conflittuale».
Insomma, la situazione si prospetta delicata. A guidare la delegazione dei
banchieri nella partita del rinnovo è Fabio Innocenzi l'ammininistratore
delegato di Bpvn, uomo di punta nella fusione con Bpi. Toccherà a lui
mediare tra le diverse anime ed esigenze degli istituti in uno scenario che fa
i conti con processi di aggregazione e consolidamento. Una sfida complessa che
riguarda l'intero sistema a partire dal sindacato. «Questa piattaforma nasce da
un momento di analisi oggettiva del settore — prosegue Cristina Attuati
segretario della Fabi — siamo riusciti a mettere insieme storie e sensibilità
diverse, le banche sono uscite dalla crisi producendo molti utili che vanno
redistribuiti non solo agli azionisti ma anche ai lavoratori ». Insomma, la
battaglia sarà dura, senza esclusione di colpi con un sindacato che,
stavolta, si presenta al tavolo unito e quindi più forte. «Un passo
avanti importante — sottolinea Mimmo Moccia segretario generale FisacCgil —
questa piattaforma pone al centro il lavoro e sono molto soddisfatto del
risultato raggiunto».
Da La Stampa 26-1-2007 Cristiano Fioravanti: "A Bologna la
stessa mano di Ustica
Parla per la prima volta il pentito dei Nar. "Noi non
c’entriamo, i killer erano stranieri"
Cristiano Fioravanti, lei è stato scarcerato nel ‘92?
Una vita nuova?
«Devo tutto ad Angelo Reitano. E' una guardia carceraria. Io depresso, non
riuscivo ad accettare il ruolo di pentito. In cella stavo male, pesavo 50
chili. Avevo fatto il liceo, ci sentivamo intellettuali. La guardia mi
salvò. Mi disse: “Dai, vieni a lavorare con me”. Accettai, a malincuore.
Fu la salvezza. Ho imparato un mestiere. Mio padre lo dice sempre: hai fatto
bene, non resterai mai senza lavoro. Quando mi ritrovai, per il mio primo
permesso sulla spiaggia di Ischia, scoppiai a piangere come un bambino. Avevo
capito che la vita è meravigliosa e va vissuta, sempre. Il br Valerio
Morucci mi disse, “Abbiamo rischiato, corso pericoli, subito e fatto violenze
in soli dieci anni, che un uomo qualsiasi in cento”. E’ vero».
E il suo percorso politico?
«Avevo 15 anni, nella sezione Msi Monteverde. Lì nacquero i Nar. C’era
mio fratello, più vecchio di due anni, e altri, Franco Anselmi, compagno
di scuola di Giusva e Alessandro Alibrandi, uccisi entrambi. Si teorizzava la
lotta armata: prime azioni, la vendetta contro chi ci aveva attaccato. Siamo
nel ‘74. Fu un’escalation inarrestabile».
Le ombre mai chiarite. I Nar erano collegati con i Servizi?
«In senso stretto, cioè addestramento, forniture di armi, strategie,
dico no. Certo, “loro” sapevano molto. Chi eravamo e dove, i nostri piani. La
scoperta della valigia con le armi sul treno Milano-Taranto: andarono a colpo
sicuro. Così di decise di dire basta alla leggenda di noi protetti dalle
divise. Attaccammo carabinieri, polizia, magistratura. Lasciammo una scia di
morti».
Arsenali e la banda della Magliana? Collegamenti?
«Costruiti da noi, gli arsenali, con le rapine. O con l’assalto al camion dei
Granatieri di Sardegna. Ricordo di essermi trovato sul cassone, non so neanche
come. Si andava a sparare nelle cave, ci si addestrava da soli. Nessun aiuto
esterno. “Romanzo Criminale”, il film di Placido? No, non l'ho visto. Leggo
libri, è meglio. I rapporti con la banda della Magliana erano assai
labili. Ci rifugiammo, talvolta, in una delle loro basi, c'erano Stefano
Sederini e Pasquale Belsito e Marcello Colafigli che era della banda. Il
collegamento era Massimo Carminati. Poi c'era Massimo Sparti. Con il suo
comportamento, mi indusse a collaborare. Ora è morto, era malato, lo
scarcerarono quasi subito. Confessava ma si teneva fuori, accusava x o y. Scoppiai.
E proprio Sparti fu il teste chiave della strage di Bologna. Inchiodò
Giusva e Francesca. Con Luigi Ciavardini avevano un alibi. Mai verificato. Fu
un processo politico, speriamo nella revisione.
Chi erano, secondo lei, gli autori della strage di Bologna, agosto 1980, 85
morti?
«Era il tempo di Ustica, dei Mig libici. L’Italia crocevia del terrorismo
internazionale. Forse agenti stranieri: una seconda edizione della strategia
della tensione, già globalizzata. Uccidere innocenti non è mai
stato nei nostri programmi. Giusva e Francesca: facili bersagli da colpire».
Espiata la pena, scelse il Nord, per cambiare vita.
«Perchè sono zone che non conoscevo. Nar e Tp hanno fatto poco, qui, una
rapina, qualche "passaggio" in Svizzera... Stop».
C'è questo fratello ingombrante, famoso per i telefilm tv della
«Famiglia Benvenuti», sparito e ricomparso come terrorista? Quanto ne fu
condizionato?
«La celebrità di Giusva non mi interessava. Quasi un fastidio.
Papà lavorava in Rai, mamma casalinga. Ho una sorella gemella. Tutto
è iniziato con la politica. All'inizio, separati; dopo, assieme. Io ero
quello di cui si fidava ciecamente».
Come vive il suo passato?
«Male. Ho chiesto perdono alle famiglie delle vittime, convivo con un senso di
colpa che non mi abbandona mai. Non sono mai stato un confidente. Ho parlato
solo con i pm. Non sono mai stato una figura ambigua. I miei valori, sempre gli
stessi: fedeltà, lealtà, coraggio. Ho ucciso e salvato delle
vite. Non parlo di questo».
E con i vecchi camerati, distacco completo?
Non vedo più nessuno, salvo mio fratello e mia cognata. Resta il
disgusto per i cattivi maestri della destra, che spinsero migliaia di ragazzi
in buona fede a rapinare, uccidere e ad essere uccisi. Loro scapparono con la
cassa in inghilterra o altrove, si sono riciclati nella politica, persino nelle
istituzioni. Io sono rimasto di destra, quella moderata: rifiuto il nazismo.
Non sono mai stato antisemita; Alibrandi andò a combattere in Libano,
con i cristiano-maroniti, alleati di Israele. ll Mein Kampf non è
più nella mia libreria. C’è il "Signore degli anelli".
Che direi a chi, oggi, ha fatto la scelta del terrorismo? Le mie parole non
servirebbero a niente...Finito tutto, molti volevano continuare a combattere.
Potevamo seguire Delle Chiaie in Sudamerica o andare in Libano. Ma non volevamo
padroni. Restai a Roma. Ma avevo già chiuso con i Nar. Poco tempo prima
mi ero ritirato in un casolare. Giusva venne a trovarmi e mi chiese di tornare
ad aiutarlo, si fidava solo di me. Mi sentii pieno di orgoglio. Lo seguii. Che
errore. La partita era già chiusa».
Quali sono, oggi, i suoi rapporti con suo fratello dopo averlo accusato, tra
l’altro, anche dei delitti Pecorelli e Mattarella?
«Quella fase fu il frutto di un terribile equivoco. Mi ritrovai in carcere Angelo
Izzo; si era pentito e lo mandarono da noi. Prima, era con mio fratello e altri
dei Nar. Mi riferì cose incredibili, lentamente mi avvelenò
l’anima. Per reazione, dissi ai pm alcune circostanze... Ero confuso. Nacque la
leggenda che avessi accusato Giusva di delitti mai commessi. Colpa di Izzo,
allora non sapevo chi fosse. I rapporti ora sono ottimi, ci sentiamo sempre. I
Nar volevano uccidermi. Mi consideravano un traditore ed ero pronto ad
accettare le conseguenze. Lui non mi avrebbe sparato. Siamo fratelli, stesso
sangue. Nel nostro primo confronto, mi disse: "Non voglio più
influenzarti, decidi tu cosa fare". Il pentimento, una malattia; l'arresto
una liberazione. Non c'era la legge sui pentiti, non l'ho fatto per il premio.
Una donna mi disse: "Ti capisco sotto il profilo umano, non su quello
politico". Ma Giusva no, tra noi non ci sono più ombre».
Lei è considerato il Patrizio Peci della destra estrema. Paragone
corretto?
«Sì. Aveva chiuso con le Br, capito gli errori. Tutti. E’ stato
coerente».
Il presidente della Corte di Cassazione invita il legislatore ad
operare con spirito veramente innovativo
ROMA
Di fronte al ripetersi «allarmato ed allarmante, di anno in anno, di dati che
evidenziano le disfunzioni della giustizia» il presidente Gaetano Nicastro nel
corso della sua relazione d'inaugurazione dell'anno giudiziario si interroga
sul significato che possa ancora avere «questa pubblica solenne cerimonia»,
lasciando intendere che si svuota di significato «se rimane fine a se stessa».
«Presenze qui sì autorevoli confermano l'interesse che può avere
per il Paese la panoramica che vi si svolge -precisa subito dopo Nicastro-, se
non rimane fine a se stessa ma, facendo emergere a livello ufficiale,
unitamente all'attività della magistratura e all'impatto positivo ma
anche, eventualmente, negativo delle leggi che si sono succedute nel tempo
sull’esercizio della giurisdizione, i gravissimi problemi che l'attanagliano,
possa essere di stimolo alla loro soluzione». Governo e parlamento «portino a
conclusione quelle riforme, anche profonde, ma ormai improcrastinabili,
perchè il servizio giustizia risponda più adeguatamente alle
esigenze di una società moderna».
IL CASO WELBY
C’è anche il caso Welby tra gli argomenti presi in esame dal primo
presidente di Cassazione Gaetano Nicastro nella relazione con cui viene
inaugurato l’anno giudiziario. Per l'alto magistrato la questione è
delicata e necessita di un intervento normativo più chiaro.
«Di fronte al progresso della farmacologia e dell'ingegneria medica - scrive
Nicastro - rimane ambiguo il concetto stesso di accanimento terapeutico, sicché
appare indispensabile e urgente un intervento del legislatore che affronti e
chiarisca i gravi problemi che sempre più frequentemente si presentano
al giurista e al medico». Per il primo presidente della Cassazione a questo
argomento «sono connessi profondi problemi etici che investono il significato
stesso della vita umana e dei diritti ritenuti indisponibili. È
difficile appellarsi alla legge del '93 che collega la morte alla
"cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo dettata ad
altri fini ed in particolare a quelli dell'espianto degli organi, mentre
è indubbio che la nostra Costituzione esclude che si «possa essere
obbligati a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge,
garantendo il diritto alla salute e contemporaneamente alla autodeterminazione
dei soggetti capaci».
TROPPE INTERCETTAZIONI SUI MEDIA
«Un malcostume ricorrente che va colpito anche penalmente e che non si sa
quanto consono alla stessa deontologia giornalistica». Nella sua relazione
sull'attività giudiziaria, il primo presidente della Corte di cassazione
Gaetano Nicastro censura senza mezzi termini l'eccessivo spazio dato dai media
alle intercettazioni. «Un problema che si è insistentemente riproposto,
rispetto al ripetersi di alcuni fatti - scrive in particolare Nicastro -
è la tutela dei dati acquisiti in sede di indagini preliminari, con i
normali mezzi di investigazione e in particolare mediante le intercettazioni,
dei quali si sono spesso impadroniti i mass-media, con danno per la
prosecuzione delle indagini e talvolta dello stesso indagato; soprattutto
coinvolgendo anche soggetti terzi, persino per fatti strettamente personali e
del tutto estranei a quel provvedimento».
Dal Corriere della Sera 26-1-2007 Rosetta
incontra l’asteroide Lutetia
E ha un «appuntamento» con la cometa 67P Churyumov-Gerasimenko
La sonda Esa ha inviato immagini dal corpo celeste, con un
diametro di circa 100 chilometi, tra Marte e Giove
Un breve ma
suggestivo filmato ci è arrivato dalla sonda Rosetta dell’Esa, l’agenzia
spaziale europea. Il suo occhio elettronico ha inseguito per 36 ore l’asteroide
21-Lutetia in orbita tra Marte e Giove e distante 245 milioni di chilometri.
Tanta insistenza non è casuale. Il pianetino è infatti uno dei
due obiettivi della missione da raggiungere durante il viaggio prima del
fatidico incontro con la cometa 67P Churyumov-Gerasimenko previsto nel 2014.
Per arrivare all’ambita destinazione Rosetta percorre delle orbite studiate in
modo da avvicinarsi anche a due corpi minori del sistema solare ma ricchi di
interesse scientifico. Uno è 2867-Stein, l’altro è appunto
21-Lutetia ora raccontato nel breve ma importante filmato. Degli asteroidi si
sa in generale molto poco, oltre al fatto che sono testimoni delle origini del
sistema solare. Pochissimi sono stati avvicinati dalle sonde automatiche
raccogliendo dati utili ma ancora troppo poveri per arrivare a spiegare storia
e natura di questi oggetti cosmici di taglia diversissima e presenti a milioni
nel corteo planetario.
CURVA DI LUCE -
Lutetia,
scoperto il 15 novembre 1853 da H.Goldsmith, ha un diametro di circa cento
chilometricome si è potuto dedurre dalle misurazioni effettuate con il
satellite all’infrarosso Iras. Ma per il resto il buio è totale. Queste
prime osservazioni compiute da Rosetta permetteranno di cominciare ad
aggiungere qualcosa di significativo come la «curva di luce», vale a dire le
sue variazioni nell’intensità luminosa dalla quale si potrà
capire in che modo sta ruotando su se stesso. E’ un primo passo, un primo
tassello delle conoscenze ben più approfondite che Rosetta
riuscirà a conquistare quando, il 10 luglio 2010, si avvicinerà
sino a una distanza di tremila chilometri correndo alla velocità di
ROBOT
TRIVELLATORE - Rosetta per
riuscire a raggiungere il suo obiettivo finale della cometa (sulla quale
sbarcherà un piccolo robot con le zampe capace di bucare il nucleo con una
trivella costruita a Milano dal Politecnico e da Galileo Avionica)
dovrà, dicevamo, compiere un tortuoso tragitto cosmico avvicinandosi ad
alcuni pianeti per ricavare l’energia necessaria al grande balzo verso la meta
ultima. Per questo il mese prossimo sfiorerà Marte (trasmettendoci
fotografie) e il prossimo novembre anche la Terra. Una carambola spaziale che
alla fine rilancerà la sonda verso il desiderato astro con la coda.
Giovanni Caprara
26 gennaio 2007
Dal Corriere della Sera 26-1-2007 Nuova arma
Usa: il raggio che non ferisce Simone Bertelegni
Prima dimostrazione in Georgia, sul campo fra tre anni
Da una parabola parte un impulso che dà a chi è
colpito la sensazione di andare a fuoco. Ma non lascia ustioni e ferite
GEORGIA
(STATI UNITI) – Non
è letale, non ferisce nemmeno, ma nessuna folla inferocita può
fronteggiarla: è la «Guardia silenziosa», la nuova arma presentata
dall’esercito statunitense a un gruppo di giornalisti. E’ ancora un prototipo e
non verrà utilizzata davvero sul campo prima del 2010; insomma, è
l’arma del futuro (prossimo), eppure colpisce, prima ancora dei nemici
potenziali, l'immaginario collettivo perchè porta con sé un bel bagaglio
di reminiscenze classiche.
Il Silent Guardian
(Ap)
MODERNO
SPECCHIO USTORIO – La
«Guardia Silenziosa» («Silent Guardian») è simile a un’antenna
parabolica, è facilmente installabile su camionette, fuoristrada e
quant’altro, ed è in grado di emettere, fino a
LA DIMOSTRAZIONE – Secondo quanto riferito
dall’agenzia Ap, un gruppo di giornalisti si è radunato in Georgia,
fingendo di essere una piccola folla in rivolta e provando in prima persona
l’effetto dei raggi della nuova arma Usa. La «Guardia Silenziosa» era montata
sopra un Humvee, la versione militare del fuoristrada Hummer. Sebbene non
abbiano riportato la minima ustione, i giornalisti presenti hanno dichiarato
chi di aver provato la sensazione di andare a fuoco, chi di essersi sentito
investito da un’onda di calore simile a quella che si prova avvicinandosi a un
forno incandescente. Tutti si sono gettati a terra o fatti da parte.
VANTAGGI – Rispetto ad altre armi non letali
usate come sfollagente, il raggio ustorio non lascia ferite (a differenza, ad
esempio, dai proiettili di gomma). Secondo dichiarazioni di fonti militari
americane diffuse dall’AP, il congegno si rivelerebbe utilissimo in luoghi
turbolenti come l’Iraq, dove, se utilizzato, permetterebbe di ottenere grandi
risultati nel mantenimento dell’ordine pubblico evitando molte morti innocenti.
26 gennaio 2007
Inserimenti del
26-1-2007
Dal Sole 24 Ore
La Ue archivia il dossier sull'Italia delle banche di Enrico Brivio
Da Repubblica 26-1-2007 Le lettere perdute del papà di Anna
Frank ALBERTO FLORES D'ARCAIS
Un provvedimento
di legge lungo 47 articoli più uno «da inserire». È questa la
«bozza provvisoria» del disegno di legge sulle liberalizzazioni, in queste ore
all'attenzione del Consiglio dei ministri. Il testo si occupa di «misure per il
cittadino consumatore, per imprese e mestieri più liberi, per l' impresa
più facile e per settori di rilevanza nazionale».
Ricariche telefoniche: la questione è affrontata al primo
articolo e prevede «il divieto da parte degli operatori della telefonia mobile
dell'applicazione di costi fissi e di contributi per la ricarica di carte
prepagate, anche via bancomat o in forma telematica, aggiuntivi rispetto al
costo del traffico telefonico richiesto».
Benzina: la parola d'ordine è «pubblicità» e informazione
degli automobilisti. Sono previsti sistemi incrociati: le società che
gestiscono le infrastrutture stradali dovranno predisporre «dispositivi d'
informazione e stipulare convenzioni con le reti radiofoniche» per informare
gli utenti sui prezzi di vendita, anche in forma comparata, praticati dai
distributori delle strade e autostrade. I benzinai, dall'altro lato, dovranno
usare «gli stessi metodi per avvertire, in tempo reale» i propri clienti delle
«'condizioni di grave limitazione del traffico». E nella parte del
provvedimento relativo alle «restrizioni alla concorrenza» si prevedono - anche
se mai esplicitamente citati - interventi apri-pista anche alla grande
distribuzione, alla vendita cioè in supermercati e ipermercati. ll
provvedimento stabilisce infatti che non possano essere poste «limitazioni alla
possibilità di abbinare nello stesso locale o nella stessa area di
vendita prodotti e servizi complementari e accessori rispetto a quella
originale o principale». E tale «principio - è esplicitamente riportato
- si applica anche alla distribuzione carburanti». Come dire che i benzinai
possono vendere anche prodotti diversi dai carburanti (il cosiddetto non-oil) e
gli altri esercizi, supermercati e ipermercati compresi, possono vendere
carburanti.
Nuove imprese: sarà più facile avviare un'impresa.
È prevista la presentazione al Registro delle imprese, in via telematica
o mediante la Camera di commercio competente, della «comunicazione unica». La
comunicazione unica vale quale assolvimento di tutti gli adempimenti
amministrativi previsti per l'iscrizione al registro delle imprese e ai fini
previdenziali, assistenziali, fiscali e per l'ottenimento del codice fiscale e
della partita Iva. La nuova procedura si applica anche in caso di modifiche o
cessazione dell'attività d'impresa.
Compagnie low cost: il testo sancisce inoltre lo stop alla
pubblicità delle tariffe aeree che non contengono anche in maniera
esplicita l'indicazione di spese, tasse e oneri aggiuntivi.
Assicurazioni: non potranno stipulare nuovi contratti di Rc auto con un
automobilista per una classe di merito inferiore a quella che risulta
dall'ultimo attestato di rischio. L'impresa di assicurazione, in tutti i casi
di stipula di un nuovo contratto «non può assegnare al contraente una
classe di merito più sfavorevole rispetto a quella risultante
dall'ultimo attestato di rischio conseguito», dice l'articolo 7 del testo.
Inoltre le assicurazioni, dopo un incidente, non potranno cambiare classe di
rischio ai propri clienti prima di aver accertato l'effettiva
responsabilità «che è individuata nel responsabile principale del
sinistro, secondo la liquidazione effettuata in relazione al danno e fatto
salvo un diverso accertamento in sede giudiziale». Le imprese assicurative poi
saranno obbligate a comunicate «tempestivamente» le variazioni in peggio della
classe di merito.
Il Pubblico registro auto: viene abolito. Gli autoveicoli, i motoveicoli
e i rimorchi cessano di esser sottoposti alle disposizioni riguardanti i beni
mobili registrati. Ad essi «si applicano le disposizioni del codice civile sui
beni mobili». Gli atti che incidono sul diritto di proprietà dei veicoli
«sono stipulati mediante registrazione nell'Archivio nazionale dei veicoli» e
poi annotati sulla carta di circolazione.
Autoscuole: non servirá più alcuna autorizzazione. «L'attivitá di
autoscuola è soggetta alla sola dichiarazione di inizio attivitá da
presentare all'amministrazione provinciale territorialmente competente, fatto
salvo il rispetto dei requisiti morali e professionali, della capacitá
finanziaria e degli standard tecnico-organizzativi previsti dalla normativa vigente».
Veicoli truccati: per chi trucca l'auto, la noto o il motorino arriva
una multa che potrà partire da un minimo di 375 euro fino ad un massimo
di 1.433 euro. Alla sanzione pecuniaria sarà accompagnato anche il
ritiro del libretto di circolazione.
Mutui: nessuna autentica notarile per l'estinzione di un mutuo. Il
cittadino «è tenuto a comunicare entro 30 giorni, anche direttamente,
l'avvenuta estinzione del mutuo alla conservatoria che provvede d'ufficio alla
immediata cancellazione dell'ipoteca».
Scoperto conto corrente: i correntisti che vedono andare in rosso
talvolta il proprio conto non pagheranno più la commissione di massimo
scoperto. «Sono nulle», inoltre, «le clausole che prevedono una remunerazione
accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del
correntista, indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma». I
contratti in corso saranno adeguati entro 60 giorni dall'entrata in vigore
della legge.
Poste: arriva il risarcimento in caso di ritardata o mancata consegna
della posta (la misura compare all'articolo 2 del provvedimento). In caso di
ritardi postali il mittente avrà diritto a un bonus «automatico
immediatamente spendibile, di valore equivalente (alle spese sostenute, ndr)
quale rimborso» ovvero «di valore superiore in caso di mancato recapito nella
consegna degli invii postali».
Gas naturale: è previsto che «le aliquote dovute allo stato dai
titolari delle concessioni di coltivazione, siano cedute presso il mercato
regolamentato». Si tratta di cedere metri cubi di gas sul cosiddetto punto di
scambio virtuale, la piattaforma digitale per la compravendita di gas, che
è il nucleo iniziale di una vera e propria Borsa del gas. Inoltre le
autorizzazioni all'importazione di gas rilasciate dal ministero dello Sviluppo
economico sono subordinate all'obbligo di offrire una quota del gas importato
presso il punto di scambio virtuale, in rapporto ai volumi importati.
Modernizzazione Pubblica amministrazione: bancomat e carte di credito
potranno essere utilizzate nei pagamenti presso le Pubbliche Amministrazioni
che dovranno dotarsi dei sistemi per accettare qualsiasi pagamento con moneta
elettronica. L'obbligo sarà esteso ai grandi gestori, come le aziende di
fornitura di elettricità, acqua e di servizi telefonici. Sarà
reso obbligatorio il pagamento con moneta elettronica anche per pensioni e
stipendi oltre un certo importo. Nel provvedimento anche incentivi in favore
dei privati per dotarsi di POS.
Agenti immobiliari e di commercio:: scompare il «ruolo» specifico presso
la Camera di Commercio nel quale debbono iscriversi gli agenti immobiliari per
esercitare la loro professione. La norma riguarda anche gli spedizionieri, i
raccomandatari marittimi e i rappresentanti di commercio che potranno svolgere
attività «previa presentazione della dichiarazione di inizio
attività alla Camera di commercio competente per territorio e per
conoscenza alla Questura», corredata dalle autocertificazioni e dalle
certificazioni necessarie. La Camera di Commercio verifica il possesso dei
requisiti e assegna la qualifica di intermediario distintamente per tipologia
di attività.
Cinema: «L'apertura di sale cinematografiche non può essere
subordinata al rispetto della distanza minima fra più strutture».
Edicole: perdono l'esclusiva sulla vendita dei giornali e saltano anche
tutti i paletti che finora regolamentavano l'apertura di nuovi esercizi. In
particolare si vieta «agli operatori economici di stipulare clausole
contrattuali o di imporre condizioni di esclusiva territoriale nella distribuzione
intermedia di quotidiani e periodici».
Parrucchieri e centri estetici: per aprire un negozio di parrucchiere o
un centro estetico basterà la «sola dichiarazione di inizio
attività da presentare al Comune territorialmente competente».
Decadrà così l'obbligo di licenza e anche l'obbligo di rispettare
la distanza minima tra due esercizi che svolgono attività analoghe.
Guide turistiche: non sarà più necessario essere residente
per mostrare le bellezze di una regione ai turisti. La bozza del provvedimento
prevede infatti che le attività di guida e accompagnatore turistico «non
possono essere subordinate all'obbligo di autorizzazioni preventive, al
rispetto di parametri numerici e requisiti di residenza, fermo restando il
possesso dei requisiti di qualificazione professionale secondo la normativa
vigente».
Alimenti: più visibilità alla data di scadenza dei
prodotti. «L'indicazione del termine minimo di conservazione deve figurare in
modo facilmente visibile, chiaramente leggibile e indelebile secondo modalità
non meno visibili di quelle indicanti la quantità del prodotto ed in un
campo visivo di facile individuazione da parte del consumatore». Le aziende
hanno 180 giorni per adeguarsi alla nuova normativa dalla sua entrata in
vigore.
Scuola: i benefici fiscali previsti per le donazioni alle fondazioni «si
applicano anche a quelle in favore delle istituzioni scolastiche - si legge nel
testo - finalizzate all'innovazione tecnologica, all'edilizia scolastica e
all'ampliamento dell'offerta formativa». Inoltre gli istituti tecnici
torneranno ad essere una scuola secondaria con pari dignità rispetto ai
licei. Il provvedimento prevede anche l'istituzione di un polo
tecnico-professionale, almeno uno per provincia, che comprenda istituto
tecnico, istituto professionale, percorso triennale e alta qualificazione
tecnico-professionale.
Il Ddl Letta sul riordino delle Authority: è composto da 22
articoli in 25 pagine ed è stato scritto a Palazzo Chigi dal
sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta, che ci lavorava da
tempo, con i suoi consiglieri giuridici Giulio Napolitano e Andrea Zoppini. Sul
Ddl il Consiglio dei ministri ha effettuato un esame preliminare,
l'approvazione del testo da inviare al Parlamento è prevista per la
prossima riunione del Cdm. Prevede tra l'altro una nuova Authority «per i
servizi e le infrastrutture di trasporto». Il Ddl affida la regolazione dei
servizi idrici integrati all'Autorità per l'energia elettrica e gas, il
settore postale all'Autorità per le comunicazioni e istituisce
l'Autorità dei trasporti con competenze estese «ai settori aereo,
autostradale, ferroviario e marittimo», fermi restando i poteri di indirizzo,
programmazione, investimento, stipula di convenzioni e contratti, tutela della
sicurezza dei ministri di Trasporti e Infrastrutture». Il Capo III riguarda le
Autorità di vigilanza sui mercati finanziari: Banca d'Italia per la
stabilità degli operatori e del sistema finanziario, la Consob per la
trasparenza del mercato. L'articolo 8 trasferisce a Bankitalia le competenze
dell'Uic su controlli finanziari, prevenzione del riciclaggio e del
finanziamento al terrorismo internazionale. L'articolo 9 istituisce il Comitato
per la stabilità finanziaria (Csf) al posto del Cicr. L'articolo 10
conferisce al Governo una delega legislativa da esercitarsi entro un anno per
la soppressione di Isvap e Covip e l'attribuzione delle relative competenze a
Banca d'Italia e Consob. Viene inoltre istituito (articolo 11) il Comitato
antiriciclaggio, oltre al Servizio di analisi finanziaria (Saf), che nasce con
l'articolo 12 presso via Nazionale come erede dell'Uic. Con l''articolo 21
nasce la Commissione parlamentare per i rapporti con le Autorità
indipendenti, composta da 20 senatori e 20 deputati. La legge non comporta
oneri finanziari aggiuntivi per lo Stato.
La copertina del provvedimento presenta la doppia veste tecnica di decreto e
disegno di legge, perché quasi certamente una parte delle misure
confluirà in un intervento d'urgenza.
Gli
interrogatori ai pm di Milano. "Pollari
mi disse di indagare, ma non trovai nulla"
M
Da dicembre, Marco Mancini è in carcere, accusato di "associazione
per delinquere finalizzata alla rivelazione e utilizzazione di segreti
d'ufficio". Avrebbe incassato moneta sonante per consegnare a un
investigatore privato di Firenze (Emanuele Cipriani) le notizie riservate in
possesso del Sismi. Emanuele Cipriani è il private eye a cui Giuliano
Tavaroli, il capo della Security della società telefonica, assegna il
lavoro sporco di intrusioni, pedinamenti, analisi, furto di informazioni
riservate.
Mancini dice: "Non ho mai preso un euro da Cipriani. E' infamante soltanto
pensarlo. Sono un servitore dello Stato. Con Cipriani scambiavo informazioni.
Era il mio lavoro - può piacere o meno - raccogliere notizie. E anche a
Cipriani capitava di averne d'interessanti. Ricordo che nel
Il dossier di cui parla Mancini è alto una buona spanna. Risale a
quattro anni fa. Con aggiornamenti bimestrali, gli spioni della Security
Pirelli-Telecom controllano, per il periodo 2001/2002, banche europee e
nazionali, conti, bonifici, flussi finanziari estero su estero e verso
l'Italia.
L'ex dirigente del Sismi si mostra risentito ai pubblici ministeri che lo hanno
raggiunto nel carcere di Pavia. Quelli, dinanzi al fiume in piena, si fanno
guardinghi. Accettano l'apertura di Marco Mancini, ma - a quanto trapela da
più fonti - non fanno più alcuna domanda sul "dossier
Ds". Perché?
Sta in questo interrogativo e nelle possibili risposte il senso di quanto
gravi, preoccupanti, persino minacciosi, siano i quotidiani ritrovamenti nella
"caccia" agli spioni. Mancini cita i Democratici di Sinistra, ma -
come conferma l'ultima ordinanza d'arresto (la terza) - sono moltissimi i nomi
dei politici (otto righe di testo protetto dagli omissis) che entrano, non si
sa bene a che titolo e con quale attendibilità, nelle attenzioni
"sporche" dei "segugi" retribuiti dalla Telecom.
Se si segue il "cammino istruttorio" del "dossier Ds" si
può comprendere meglio (forse) che cosa è e che cosa può
diventare l'inchiesta di Milano. Non solo. Emergono le inquietudini dei
pubblici ministeri; i tentativi di inquinamento in corso; il possibile
orizzonte di responsabilità penali e conseguenze politiche. Soprattutto,
si può affrontare la questione che schiaccia l'inchiesta come un cielo
basso e nero: quando - e per conto di chi, nell'interesse di chi - è
nata questa piattaforma di spionaggio cresciuta dentro e grazie alla Telecom?
La strategia dei pubblici ministeri
L'orizzonte si apre attraverso un semplice compact disc. È nascosto
nello studio del commercialista milanese di Emanuele Cipriani, Marcello
Gualtieri. Per settimane i tecnici informatici della polizia giudiziaria
provano a violarne l'accesso. Ogni tentativo viene respinto. A quel punto
l'investigatore, per salvare se stesso, comincia una parziale collaborazione e
fornisce le password utili per sbloccare il cd.
Sui computer dei pubblici ministeri appaiono migliaia di icone. In ogni icona,
un dossier. In ogni dossier, un profiling personale, finanziario, relazionale
dei principali protagonisti, istituzioni e società della vita pubblica
del Paese, politici, finanzieri, imprenditori, banchieri, giornalisti e - ora
si scopre con sconcerto - magistrati. E' una massa d'informazioni degna di un
servizio segreto. Notizie vere o false? O parzialmente vere, deformate e
condite fino alla calunnia? Sono informazioni di laboriosa verifica. In ogni
caso, hanno bisogno di molto tempo per essere valutate. È la prima
difficoltà che gli inquirenti devono affrontare con la squadra di
polizia giudiziaria costituita ad hoc. Che fare? Come procedere? Muoversi
contestualmente su tutto il fronte dell'indagine? Cercare, prioritariamente, le
responsabilità individuali della rete di spionaggio? Oppure privilegiare
con urgenza le eventuali notizie di reato contenute nell'archivio illegale?
Spiega a Repubblica una voce interna all'inchiesta: semplicemente non ci sono
le forze sufficienti per affrontare tutti i capitoli dello zibaldone che ci
è caduto in mano. Lo stato delle cose impone, si può dire, un
metodo di lavoro - certo - più lento, ma non minimalista. O peggio,
così cauto da poter apparire ambiguo.
"Abbiamo così organizzato un'agenda di priorità
investigative", dice la fonte. Al primo posto, la rete di spionaggio e
l'individuazione dei burattini e dei burattinai, riservando a un secondo tempo
la valutazione dell'attendibilità, la fondatezza o l'infondatezza delle
notizie raccolte illegalmente da quella che gli addetti definiscono una
piattaforma di spionaggio.
È il metodo che, al palazzo di giustizia di Milano, chiamano lo schema
del fascicolo in C. Non è una cosa poi molto complicata, nonostante la
formula un po' criptica. Dal troncone d'un'inchiesta si stralciano alcune
posizioni aprendo un fascicolo di "Atti relativi a...". Questo
è il fascicolo in C: permette al pubblico ministero di tenere in parcheggio
l'iniziativa penale senza pregiudicarla con i tempi stretti dell'istruttoria,
del processo e della prescrizione. Sono atti che, in qualsiasi momento, a ogni
occasione utile, possono uscire dal parcheggio con un'ipotesi di reato quando
questa viene individuata e sostenuta da un'apprezzabile fonte di prova.
Nell'inchiesta dello spionaggio illegale, il parcheggio è
affollatissimo. I dossier sono seimila e, se si prende per buono quel che
assicura una fonte bene informata, a parte duemila sconosciuti aspiranti
impiegati di Telecom, ce n'è per tutti - nessuno escluso - del Gotha
nazionale.
Improvvisamente una luce si accende sul dossier dei Ds
Dicembre scorso. Marco Mancini, in codice doppia M e Tortellino, già
capo del controspionaggio del Sismi, decide di muovere le acque fangose con lo
strale contro i Ds. E' vero, dice di aver verificato le informazioni, di aver
concluso che il castello fosse di sabbia. E tuttavia, lasciando emergere il
dossier del 2003, lancia un segnale con l'intento di far salire la temperatura
politica intorno all'affaire e raffreddare la tensione dell'istruttoria intorno
alle responsabilità penali sue e dei suoi complici (Giuliano Tavaroli,
Emanuele Cipriani, i loro collaboratori nei servizi segreti esteri e nelle
forze di polizia nazionali). Promettendo di allargare la manovra all'intero
arco dei politici "dossierati". Mancini non sa che, con "il
fascicolo in C", gli inquirenti hanno già fermato, più o
meno dieci mesi fa, la tritasassi che egli vuole manovrare.
La ragione dello stop tattico, rivela la fonte, è questa: non possiamo -
per il momento - indagare soltanto su uno dei dossier lasciando in ombra gli
altri. Se imbocchiamo questa strada, rischiamo di far deragliare il treno delle
indagini. Crediamo di doverci muovere con una priorità: accertare la
responsabilità di chi ha controllato e gestito la piattaforma
spionistica; verificare gli interessi reali di chi ha utilizzato quelle
informazioni oblique. Perché questo - dice ancora la fonte - è per noi
oggi il punto cardine dell'inchiesta: conoscere gli organizzatori, i
beneficiari, gli "utilizzatori" del lavoro della piattaforma. A
nostro avviso, muovendoci al contrario, andando dietro alle indicazioni
estratte dai dossier abusivi, non sarebbe più la procura a condurre
l'inchiesta. Con le loro suggestioni e indicazioni ed eventuali imposture,
sarebbero gli arrestati a guidarla su un binario che potrebbe essere ancora una
volta cospirativo, diffamatorio, ricattatorio.
Se la procura dovesse occuparsi delle migliaia di fascicoli su imprenditori di
primo piano, ex ministri del governo di destra, ex segretari dei partiti oggi
d'opposizione ieri di governo - paventa la fonte - ne nascerebbe
un'insopportabile pressione sul già affannoso lavoro dei pubblici
ministeri con la richiesta, pur legittima, di "fare presto" per
sgomberare il campo dalla calunnia o, al contrario, per accertare le possibili
responsabilità penali. Proteggere la riservatezza dei dossier è
per la procura di Milano un'imprescindibile necessità per lavorare in
sicurezza fino a cavare il ragno dal buco.
I "padroni" della piattaforma Telecom
La fonte vicina all'inchiesta non gradisce fantasie investigative, e tuttavia
se ragiona dell'intrigo che ha sotto gli occhi, se ne segue le tracce e la
logica, è costretta a proporre una lettura più complicata di
quanto sia apparso sinora. Chi governava la "piattaforma"? Quali ne
erano gli scopi, gli ispiratori, i "garanti"?
Alcuni obiettivi sono ragionevolmente chiari. Lo spionaggio permette a chi
opera nella "piattaforma" (Tavaroli; Cipriani; un ex-agente della
Cia, John Spinelli; un'ex-fiduciario del Sisde, Marco Bernardini; il capo del
controspionaggio del Sismi, Marco Mancini) di mettere da parte il bel
gruzzoletto in euro e in dollari assicurato da Telecom (più o meno, secondo
i primi, approssimativi calcoli, 20 milioni di euro). L'arricchimento personale
della combriccola, dunque, è una delle ragioni accertate. Ce n'è
una seconda che non esclude la prima, ma a quella si sovrappone: le
informazioni sono raccolte dagli spioni al di fuori di ogni legge
"nell'interesse dei vertici della Telecom" (come sostengono i
pubblici ministeri) o addirittura a vantaggio del "proprietario"
della società, Marco Tronchetti Provera (come crede il giudice per le
indagini preliminari). Può non finire qui, perché a Milano è
ormai un'ossessione questa domanda: quando è nata la "piattaforma
di spionaggio"? E quanto è "grande" e diffusa? Sono
domande decisive alle quali sinora non si trovano risposte precise, ma solo
qualche indizio e più di un nesso logico. Appare ragionevole pensare che
la data di nascita della "piattaforma di spionaggio" possa
addirittura pre-esistere a Telecom, risalire alla Anni Ottanta, quando Giuliano
Tavaroli e Marco Mancini sono ancora sottufficiali dell'Antiterrorismo di via
Moscova a Milano.
I due entrano in contatto (1986) con John Spinelli, l'ufficiale di collegamento
della Cia con l'intelligence italiana. La circostanza lascia credere che
"la piattaforma" sia stata sostenuta e utilizzata dalla Central
Intelligence Agency. L'essenziale dettaglio è confermato dai primi
risultati dell'inchiesta. Due protagonisti - Tavaroli e Mancini - appaiono
"legati" alla Cia. "L'orecchio di Nicolò Pollari"
(Pio Pompa) si lascia intercettare mentre rivela che "Tavaroli è
stato pagato 15.000 dollari o euro al mese dalla Cia". Una testimonianza
interna al Sismi svela che Marco Mancini era considerato "un agente doppio
della Cia". Il percorso di un terzo uomo (estraneo a quest'indagine)
lascia intuire quali fossero le tappe di avvicinamento alla
"piattaforma". Luciano Pironi è un maresciallo del nucleo
d'eccellenza dei carabinieri (Ros). Il capocentro della Cia a Milano (Robert
Seldon Lady) gli chiede di partecipare al sequestro di Abu Omar (2003). In
cambio avrebbe ottenuto di lavorare al Sismi o, in alternativa, di entrare
nella Security di Pirelli.
La storia di Pironi (poi premiato a Langley per la sua partecipazione al
sequestro del cittadino egiziano) può dimostrare che Pirelli/Sismi/Cia
sono fili di quel che appare ora un unico gomitolo.
Questa approssimata ricostruzione indiziaria e logica impone così agli
inquirenti di verificare se la rete, nata per scopi illegali ma legittimi (per
l'interesse nazionale alla sicurezza), nel tempo muti la sua "ragione
sociale" e si potenzi, trasferendosi armi e bagagli, e gonfia di risorse
finanziarie e di mezzi tecnologici, prima in Pirelli e successivamente in
Telecom, fino a costruire le basi per rendersi autonoma con il progetto di
creare la "One Security": "una società di sicurezza
internazionale" al cui capitale la Pirelli - azionista di riferimento -
avrebbe dovuto partecipare per il 40 per cento.
In questo schema, tutti gli attori che ruotano sulla "piattaforma"
ricevono benefici. Gli "amici al bar" (Tavaroli, Mancini, Cipriani),
potere d'influenza e ricchezza. Pirelli/Telecom o, come sottolinea il giudice
delle indagini preliminari, "il suo proprietario, in un dato momento
storico" (Tronchetti Provera) informazioni riservate, dossier maligni,
notizie ingannevoli, utili però ad affrontare i conflitti con
concorrenti, soci in affari, sistema bancario, establishment politico, circuito
mediatico, ambiente giudiziario. La Cia, il nostro servizio segreto militare o
altre intelligence" (qui e lì fa capolino anche il controspionaggio
francese), utilizzano, per parte loro, la "piattaforma" con lo scopo
di trarre informazioni d'interesse strategico (e non) raccolte nei Paesi
(soprattutto in Medio-Oriente e nell'area dell'ex-blocco sovietico) dove si
agitano le iniziative di espansione di Telecom (eccellente e insospettabile
"copertura"per i maneggi degli spioni). È una trama che non
disprezza le notizie genuine o da manipolare. Se "giocate" nel
sottosuolo italiano, possono essere un buon carburante per condizionare -
avvelenandola - la vita politica del nostro Paese. Forse davvero questa
inchiesta può avere il clamoroso valore dello scandalo P2.
(26 gennaio 2007)
Dal Sole 24 Ore La Ue
archivia il dossier sull'Italia delle banche di Enrico Brivio
Può essere
visto come un atto dovuto che, con i tempi lunghi degli iter comunitari, chiude
un tormentato capitolo, già di fatto archiviato dagli eventi. Ma fatto
sta che ieri il commissario europeo al Mercato interno, Charlie McCreevy, ha
deciso di prendere atto che la supervisione finanziaria è ora svolta in
Italia in modo corretto; e si può pertanto chiudere la procedura
d'infrazione europea, aperta con gran clamore il 13 dicembre 2005, quando si
imputò all'allora Governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio, di
esercitare in modo poco trasparente i propri poteri di vigilanza prudenziale.
Ovvero, di utilizzare i margini troppo ampi di discrezionalità concessi
dall'articolo 19 del Testo unico bancario per attuare tattiche dilatorie che,
di fatto, ostacolavano il tentativo degli spagnoli di Bbva di acquistare Bnl e
anche degli olandesi di Abn Amro di rilevare Antonveneta. Disincentivando
così «gli altri Stati membri dall'investire nel settore bancario
italiano — come ricorda il comunicato della Commisione europea di ieri — in
violazione delle norme del trattato Ue sulla libera circolazione dei capitali
(articolo 56) e sul diritto di stabilimento (articolo 43) ».Bruxelles si
è preoccupata che il quadro regolamentare «potesse consentire
l'esercizio di una vigilanza senza trasparenza procedurale, creando così
incertezza giuridica».
Sembrano ora veramente lontane le polemiche sui fondamenti giuridici
dell'intervento di Mc Creevy,l'unico atto di accusa formale partito da
Bruxelles nei confronti di Bakitalia dell'era Fazio, dopo un incalzante
pressing epistolare e mediatico di nove mesi condotto in tandem con la
responsabile dell'Antitrust comunitario, Neelie Kroes. E forse c'è
ancora chi pensa che, sebbene fondate sul piano sostanziale, da un punto di
vista strettamente legale, le contestazioni di McCreevy fossero piuttosto
fragili e difficili da difendere in un eventuale contenzioso alla Corte di
Giustizia europea. Ma ormai si tratta di pura accademia. L'uscita di scena di
Fazio, l'arrivo di Mario Draghi, il felice esito dell'offerta di Abn Amro e
l'entrata di Bnl nella galassia francese di Bnp Paribas hanno ormai da tempo
dimostrato in maniera tangibile che l'aria in Italia e in Via Nazionale
è cambiata. Anche se, con la cautela e i riflessi lenti tipici
dell'eurocrazia, Bruxelles ha deciso solo ora di archivare il dossier e di
porre il proprio sigillo di approvazione all'operato di Draghi. Ma lo fa in
modo convinto.
«Qualcuno l'ha chiamato caso Fazio,non noi —ha osservato ieri Oliver Drewes,
portavoce di McCreevy — Aprimmo il caso italiano perché ritenevamo che l'autorità
di supervisione fosse esercitate in Italia con scarsa trasparenza, creando
incertezza legale. Da allora è stato fatto molto lavoro,i problemi sono
stati risolti in modo sostanziale e la situazione risulta ora in pieno accordo
con la legge comunitaria». Drewes ha aggiunto che "naturalmente" la
Commissione continuerà a vigilare come di consueto, «per eliminare tutti
gli eventuali ostacoli alla libera circolazione dei capitali »che potrebbero
«ostacolare il consolidamento transfrontaliero del settore finanziario
comunitario». E agli osservatori italiani,a questo punto, non resta che sperare
che l'attenzione di Bruxelles rimanga alta anche nei confronti di procedure e
comportamenti delle autorità di supervisione di altri grandi Paesi
europei.
Da Repubblica 26-1-2007 Le
lettere perdute del papà di Anna Frank ALBERTO
FLORES D'ARCAIS
Da un archivio Usa
le inascoltate richieste
di aiuto che Otto lanciò per la sua famiglia
NEW YORK - Il 30 aprile del 1941 Otto Frank e la
sua famiglia vivevano ancora alla luce del sole. Amsterdam era stata occupata
dalle truppe naziste da quasi un anno (15 maggio 1940); Otto, ebreo tedesco di
Francoforte, che all'ascesa al potere di Hitler aveva lasciato la Germania
(dopo un breve periodo ad Aquisgrana) per raggiungere l'Olanda, in quella
primavera del '41 si rese conto che anche Amsterdam non era più terra
sicura. Da quel giorno fino all'11 dicembre dello stesso anno (giorno in cui la
Germania dichiarò guerra gli Stati Uniti) fece di tutto per abbandonare
la città dove lui, la moglie Edith e le figlie Margot e Anna, si
sarebbero dovuti nascondere per due anni prima di essere scoperti grazie a una
denuncia anonima.
La drammatica storia di Anna Frank, il suo diario, è uno degli episodi
più conosciuti della Shoah. Nessuno sapeva però con certezza che
in quei mesi del 1941 Otto fece di tutto per scappare da Amsterdam e
raggiungere gli Stati Uniti. Un "buco" storico che viene adesso
colmato grazie alle ricerche di una giovane archivista del Yivo l'Institute for
Jewish Research, un centro fondato nel
Durante la seconda guerra mondiale i ricercatori del Yivo riuscirono a scappare
negli Stati Uniti e subito dopo la guerra - grazie alla collaborazione
dell'esercito americano - anche il grande archivio venne trasportato in
America. Oggi, nella sua sede al 15 West della 16esima strada di Manhattan sono
archiviati circa 360mila libri (in dodici lingue) e migliaia di documenti.
In questa
sterminata biblioteca una giovane ricercatrice (archivista volontaria), Estelle
Guzik, ha trovato nel 2004 un'ottantina di lettere che Otto Frank scrisse ai
parenti (due zii di Anna Frank erano immigrati nel
Le lettere saranno rese pubbliche soltanto il prossimo 14 febbraio, quando al
Yivo verrà organizzata una conferenza stampa in cui verranno svelati i
contenuti delle missive spedite da Otto Frank nei mesi che hanno preceduto la
sua decisione di nascondersi insieme alla famiglia, murandosi vivi all'interno
del palazzo dove Otto aveva il suo ufficio (luglio 1942).
Le lettere erano state inizialmente archiviate dalla Hebrew Immigrant Aid
Society, anche questa di New York, che nel corso di diversi anni, tra il 1948 e
il 1974, le ha poi consegnate al Yivo, dove per decenni sono rimaste sepolte
negli archivi. Dopo la scoperta di Estelle Guzik, l'istituto ha deciso di non
rivelare la loro esistenza fino a quando fossero state controllate tutte le
questioni legali legate a diritti e copyright. La notizia è state resa
pubblica grazie ad una esclusiva del settimanale Time che racconta come Estelle
abbia rintracciato le lettere in un file che non era stato catalogato,
ricordando come nel periodo in cui vennero scritti i documenti il consolato
americano ad Amsterdam fosse già stato chiuso.
Secondo Time la domanda più interessante che suscitano le lettere
è il perché a quelle missive e a quelle richieste di aiuto non venne mai
data risposta. Per il direttore esecutivo del Yivo, Carl Rheins, serviranno
meglio a capire come ha funzionato (o non funzionato) la politica di
immigrazione degli Stati Uniti nei confronti degli ebrei europei durante gli
anni della Seconda Guerra mondiale.
Non è chiaro per quale motivo Otto Frank, che fu l'unico della famiglia
a sopravvivere all'Olocausto (la moglie e le figlie morirono nel lager di
Bergen-Belsen, lui venne trovato ancora in vita ad Auschwitz dalle truppe
sovietiche il 27 gennaio 1945) e morì in Svizzera nel 1980, non
parlò mai pubblicamente di queste lettere. Di questi documenti non
c'è cenno neanche nella accurata biografia che Carol Ann Lee ha dedicato
al padre di Anna Frank (La vita nascosta di Otto Frank). L'unico accenno
polemico di Otto Frank verso gli Stati Uniti si trova in un nastro con una
conversazione tra il padre di Anna Frank con il giornalista Arthur Unger.
Conversazione che aveva come oggetto una pièce teatrale sulla vita di
Anna; un ricercatore del Western Historical Manuscript Collection
dell'università del Missouri che l'ha ascoltata sostiene che durante il
colloquio i due (Unger e Frank) "dicono cose importanti sul pregiudizio e
la discriminazione in questo paese".
(26 gennaio 2007)
Inserimenti del
25-1-2007
Dal Corriere della Sera 25-1-2007
Liberalizzazioni, sì a 100 misure. Mario Sensini
Dal Corriere della Sera 24-1-2007 La partita
quasi impossibile di Bush di Alberto
Ronchey
Da Repubblica 24-1-2007 Ue, decoder: "Aiuti 2004-05 illegittimi
Le emittenti provvedano ai rimborsi"
Dal Corriere della Sera 23-1-2007
Medici Finanziaria: stop a congressi. Licenziamenti
Dal Corriere della Sera 25-1-2007
Liberalizzazioni, sì a 100 misure. Mario Sensini
Oggi in Consiglio dei ministri il via libera
In arrivo i piani Bersani e Rutelli
L’esecutivo vara il «pacchetto» di riforme: in un decreto le norme
più urgenti
ROMA — Non uno,
ma almeno tre progetti di disegno di legge. Più la bozza di un decreto legge. È un
pacchetto di riforme molto corposo e articolato quello che arriverà oggi
pomeriggio sul tavolo del Consiglio deiMinistri. La famosa lenzuolata del
ministro dello Sviluppo, Pier Luigi Bersani, il pacchetto predisposto dal
vicepremier, Francesco Rutelli, poi la riforma delle Autorità di
garanzia curata dal sottosegretario Enrico Letta, con l’abolizione del Cicr e
la nascita del Comitato di Stabilità Finanziaria, e la nuova Agenzia per
i Trasporti. Poi, ancora, le agevolazioni fiscali del viceministro
dell’Economia, Vincenzo Visco. In tutto un centinaio di misure tra
liberalizzazioni e interventi a favore dei consumatori. Con la conferma di
molti interventi già annunciati (benzinai, edicolanti, cinema, guide
turistiche, barbieri, estetisti, l’apertura di nuove imprese) e anche molte
sorprese: dal bonus per la mancata consegna della posta, all’eliminazione dei
vincoli all’estinzione anticipata dei mutui prima casa, alle targhe personali
per i veicoli, al divieto di pubblicizzare voli aerei indicando il costo al
netto di tasse e oneri aggiuntivi.
La messa a
punto dei provvedimenti richiederà,
prima del Consiglio dei ministri di oggi, un’ulteriore verifica tecnica e forse
anche un ultimo confronto politico. C’è da decidere quali norme dovranno
essere inserite in un ddl da sottoporre al confronto con le categorie
interessate e con il Parlamento, e quali altre infilare in un decreto subito
operativo, con cui dare un segnale concreto di avanzamento sulle riforme. Ma ci
sarà anche da mettere un po’ d’ordine perché in alcuni casi, come sul
gas e le ferrovie, i testi di Bersani e di Rutelli paiono ancora sovrapporsi.
Le prime norme contenute nel pacchetto Bersani riguardano il «Cittadino
consumatore ». Probabilmente con il decreto scatterà il divieto di
applicare costi fissi per la ricarica delle carte telefoniche, ma cadranno
anche i vincoli temporali all’utilizzo del credito.
I costi del
traffico tra i vari operatori dovranno essere comparabili, e i contratti, anche per internet e
tv, dovranno prevedere una facoltà di recesso senza «vincoli temporali»,
ritardi o spese non giustificati da esigenze tecniche. I gestori delle
autostrade dovranno informare gli utenti sui prezzi dei carburanti praticati
dalle varie compagnie. C’è poi lo stop alla pubblicità dei falsi
voli low-cost e una norma per dare maggior visibilità alla data di
scadenza degli alimentari. Un secondo capitolo della lenzuolata di Bersani
riguarda banche e agenzie di assicurazioni, per le quali cade il divieto di
esclusiva in tutti i rami danni. Altre norme riguardano le classi di rischio Rc
Auto e la facoltà di recedere annualmente dai contratti assicurativi
poliennali.
C’è poi
una nuova procedura per la
cancellazione delle ipoteche immobiliari e una normache dichiara la
nullità delle clausole sulle commissioni di massimo scoperto che non
siano parametrate all’utilizzo e alla durata della somma messa a disposizione
dalla banca. Sarà abolito il Pubblico Registro Automobilistico con la
modifica del regime giuridico di auto e mobili: saranno beni mobili e non
più beni mobili registrati. C’è poi la parte delle imprese e dei
mestieri. Via, dunque, ai vincoli alla vendita di prodotti accessori e
complementari: varrà per i benzinai, ma anche come principio generale.
L’apertura di nuovi distributori, ma anche di edicole, cinema, autoscuole,
barberie non potrà essere più limitata da vincoli numerici o
territoriali. Per avviare l’attività di intermediario commerciale e
guida turistica basterà la dichiarazione di inizio attività, come
per le imprese di facchinaggio, pulizia e disinfestazione.
Chi produce
componenti e ricambi per auto non dovrà più avere l’ok da parte delle case
automobilistiche.E per creare nuove imprese scatta la procedura semplificata
dichiarazione unica e procedure accentrare in un unico sportello comunale.
Prevista, infine, la revoca delle concessioni per la Tav non ancora partite e
per le quali non siano state ancora fatte le gare previste dalla legge Merloni.
Mario Sensini
25 gennaio 2007
Da Repubblica 25-1-
Uno studio
analizza il profilo di una figura difficile da catalogare
"L'ultima generazione è molto giovane e non teme le leggi"
"Ci sono
ragazzini che per 5.000 euro attaccano il sito di un'azienda concorrente"
ROMA - Il fine ultimo è chiaro: definire le
differenze tra hacker "puri" e hackers "criminali". Fornire
un quadro dettagliato di un mondo di cui spesso si sa poco e quel poco che si
sa è tutt'altro che preciso. Per questo è nato il progetto Hpp-hacker's
profiling project. In pratica una delle più grandi ricerche sul
mondo hacker fatta fino ad oggi. E' partita con l'invio di un questionario
(diffuso attraverso la realizzazione di un sito internet), a circa 600 hackers
di tutto il mondo. Un questionario che, pur essendo solo il punto di partenza
dello studio, offre però interessanti spunti di discussione. Ne parliamo
con uno degli autori, Raoul Chiesa.
Chiesa è stato uno dei primi hacker italiani (fu anche arrestato per
l'intrusione nel sistema informatico della Banca d'Italia) e attualmente
gestisce una società di sicurezza informatica.
Si può definire una figura di hacker tipo?
"Esattamente come nel "mondo normale", dove ogni persona
è differente dall'altra, anche nel mondo dell'hacking ogni hacker
è una persona a sé, con i suoi gusti, abitudini, cultura, esperienze,
hobby. Ad oggi il progetto Hacker's Profiling ha identificato nove
categorie di hacker, ognuna delle quali è spinta da motivazioni
differenti, opera verso obiettivi diversi e, soprattutto, rientra in fasce di
età e comportamenti nettamente dissimili: Wannabe Lamer (l'incapace),
Script Kiddie (il ragazzini degli script), Cracker (il distruttore), Ehical
Hacker (l'hacker "etico"), Quiet, Paranoid & Skilled Hacker
(l'hacker "paranoico"), Cyber Warrior (il mercenario), Industrial Spy
(la spia industriale), Military Hacker (arruolato per combattere "con un
computer")".
Che età hanno?
"Si parte dai 9, 10 anni di età delle prime categorie, sino ad
arrivare a figure esperte di 40, 50 o 60 anni".
Stando ai dati, perché si diventa hacker?
"La risposta standard è 'per curiosità'. Curiosità di
imparare un nuovo sistema operativo, scoprire una nuova vulnerabilità.
Volontà di non subire il mezzo informatico ma, anzi, di gestirlo
attivamente".
A che età si diventa hacker?
"L'ultima generazione di hacker sta iniziando molto presto, complice
l'enorme diffusione di internet e dei personal computer già
nell'età prescolare. La precedente generazione iniziava invece
all'Università, non essendo presente in quegli anni una diffusione delle
telecomunicazioni e dell'informatica com'è invece oggi".
L'hacker è un Robin Hood del 2000 o un criminale?
"Purtroppo l'hacking ha man mano abbandonato, quello spirito gioviale e
puro, per sposarsi in alcuni casi, che aumentano però oramai quotidianamente,
con la criminalità. Questo significa che oggi, a differenza di anni fa,
è possibile assoldare hacker, per scopi ed obiettivi ovviamente
illegali: spionaggio industriale, furto di credenziali di accesso bancarie o
identità personale, danneggiamento di sistemi informativi e così
via. Resiste, per fortuna, lo spirito hacker iniziale, grazie al quale sono
proprio gli ethical hacker a scoprire vulnerabilita', frodi e truffe che
potrebbero colpire l'utene ignaro e che, invece, vengono scoperte e denunciate
da coloro che hanno deciso di utilizzare la propria conoscenza per fini
benevoli".
Etica hacker? Che significa?
"In principio, l'etica hacker di base consisteva in una serie di regole
chiare e semplici: non danneggiare i sistemi informativi che attacchi, non
danneggiare economicamente l'utenza privata, rispetta il sistema
operativo e le reti che violi, non mischiare l'hacking con il denaro e la
politica. Nel corso degli anni queste regole hanno subito delle variazioni,
sono diventante più "elastiche" da un lato, e meno restrittive
dall'altro. Si sono anche scontrate con l'evoluzione della tecnologia e dei
mercati, oltre che con le sempre più pressanti richieste della
criminalità organizzata, nazionale ed internazionale. Oggi ci si
può trovare di fronte a 15enni che, senza batter ciglio, accettano 5.000
euro in contanti per attaccare il sito di un'azienda concorrente, ed allo
pseudo hacker "etico", che in realtà non lo è, a rubare
informazioni per cifre di poco superiori, come si legge sui giornali. Siamo
quindi di fronte a problematiche serie, dove solo l'etica può fare
l'effettiva differenza tra il serio professionista e coloro che hanno deciso di
sposare la criminalità".
Dal questionario viene fuori che non temono le conseguenze legali: ma che
rischi si corrono realmente?
"Un dato veramente particolare è quello relativo alle legislazioni
anti computer-crime. Queste leggi, oramai, sono presenti nella maggior parte
dei paesi del mondo eppure, abbiamo visto come per nessun hacker queste leggi comportino
un "blocco", una sorta di effetto deterrente. Questo nonostante
l'asprezza, nella maggior parte dei paesi, di queste leggi: in Italia si richia
da un minimo di due o tre anni, unitamente al pagamento di salate multe; negli
Usa si può addirittura richiare il divieto di utilizzare computer ed
internet per un certo periodo; in altri paesi ancora, come la Cina o Singapore,
vi sono punizioni corporali ed, in alcuni casi, la pena di morte. Quello che
è incredibile è proprio il fatto che, nonostante queste dure
legislazioni, hacker di tutto il mondo continuino a fare hacking, consapevoli
dei rischi, certo ma, quasi in una sorta di "estasi e dipendenza da
droga" (Hacking Addiction, ovverosia dipendenza dall'hacking) dalla
quale non riescono a staccarsi".
Prende piede una nuova figura di hacker, quelli militari? Di che si tratta?
"Il Military Hacker ha visto la luce durante la prima Guerra del
Golfo, agli inizi degli anni '90. Questo in quanto i governi di vari paesi
(USA, Korea del Nord e del Sud, Cina) e la nascente minaccia del terrorismo
hanno iniziato una compagna di Information WarFare, "guerra
dell'informazione". Oggi le guerre sono sempre più combattute con
il supporto della tecnologia, ed oggi più che mai "l'informazione
significa potere", come affermano da sempre gli hacker. E' stato quindi
naturale vedere la nascita di queste unità speciali, dove spesso
troviamo ex-hacker, legalmente arruolati all'interno di corpi speciali di
stampo militare".
Contratti per
370mila miliardi di dollari, con un incremento del 24%, il più
significativo negli ultimi otto anni, soltanto nei primi sei mesi del 2006. Un
giro d'affari quello dei prodotti finanziari derivati - come opzioni, futures e
swap (operazioni di permuta) utilizzando azioni o obbligazioni corporate che
puntano a sfruttare al massimo la capacità d'indebitamento delle imprese
- che ha fatto la fortuna delle grandi banche d'investimenti come i colossi del
settore, le americane Goldman Sachs e Morgan Stanley. Una massa di soldi che
spaventa economisti e top manager riuniti a Davos, in Svizzera, in occasione
del World Economic Forum al via da oggi e che si conclude domenica 28 gennaio.
L'allarme lanciato è chiaro: la domanda impetuosa di derivati sta
rendendo i mercati finanziari più vulnerabili ad ogni rallentamento
dell'economia mondiale. «Ottenere liquidità sul mercato - ha osservato
il vicepresidente di Bank of China Zhu Min - è facile e veloce in qualsiasi
momento. Davvero non possiamo calcolarne i rischi». Una preoccupazione che di
recente è stata condivisa anche dalla Banca centrale europea guidata da
Jean-Claude Trichet. Eppure la percezione dei rischi da parte degli investitori
è ai minimi storici. Uno dei segnali è anche il sempre più
disinvolto ricorso al debito per finanziare i buy-out (acquisizioni), che in
Europa ha superato di quasi nove volte il valore dei profitti, record di
sempre. «Stanno certamente aumentando i rischi di sistema, anche se non
sappiamo se i derivati li stiano maggiormente diffondendo o concentrando».
Inizio modulo
Inizio modulo
La Commissione
europea ha bocciato gli aiuti ai decoder per la televisione digitale terrestre
(Dvb-T) decisi dal governo Berlusconi nel 2004 e 2005 e ha dato il via libera a
quelli per il 2006, destinati a tutti i set-top-box, a prescindere dalla
piattaforma di trasmissione. Confermata, dunque, la notizia resa nota
informalmente nei giorni scorsi. La Commissione ha, inoltre, stabilito che
saranno i radiodiffusori che hanno beneficiato dei 200 milioni di euro di
sussidi a dover rimborsare gli aiuti di Stato. Secondo il commissario europeo
alla concorrenza Neelie Kroes i radiodiffusori non erano, infatti, neutri sul
piano tecnologico e falsavano la concorrenza escludendo la radiodiffusione
televisiva via satellite.
Con lo stesso
metro di giudizio, invece, hanno ottenuto semaforo verde gli aiuti concessi nel
2006 ai consumatori sardi e valdostani per l'acquisto di decoder a prescindere
dalla piattaforma di trasmissione utilizzata e proporzionali all'obiettivo
perseguito, vale a dire il passaggio al digitale e all'interattività. La
decisione è conseguenza della denuncia ai servizi della concorrenza di
Bruxelles da parte delle reti televisive che trasmettono via etere e via
satellite. D'altra parte analoga strategia era stata adottata in un caso
precedente nel Berlin-Brandebourg.
«Queste due
decisioni - sottolinea il commissario alla concorrenza Neelie Kroes - mostrano
una volta di più che la Commissione si adopera per facilitare il
passaggio alla Tv numerica e all'interattività. Ma gli aiuti pubblici
destinati a raggiungere questi obiettivi possono essere concessi se conformi
alle regole sugli aiuti di stato. Al contrario non è disposta ad
accettarli se falsano indebitamente la concorrenza tra le piattaforme di
trasmissione».
Ora il DGTVi (che
associa Rai, Mediaset, Telecom Italia Media, DFree-Sportitalia e tutte le
emittenti locali) ritiene opportuno che, prima di varare il decreto per la
detraibilità fiscale dell'acquisto di televisori integrati con un
ricevitore digitale, prevista dalla Finanziaria per il 2007, il ministero
verifichi con la Commissione europea le caratteristiche minime che devono avere
gli apparecchi. In questo modo - sottolinea una nota di Dgtvi - si potrà
evitare di finanziare televisori destinati ad essere rapidamente superati
dall'evoluzione tecnologica e persino più poveri di prestazioni e
servizi di quelli già attualmente presenti.
nicoletta.cottone@ilsole24ore.com
Da http://italy.usembassy.gov/viewer/ Cautela da parte
del Ministero del Tesoro americano sul programma di raccolta dei dati
finanziari dei terroristi, 22 gennaio
TRADUZIONE
INFORMALE, DA NON CONSIDERARE COME TESTO UFFICIALE
(Necessità di ulteriori analisi sul
costo-beneficio)
Washington -- Il
Ministero del Tesoro degli Stati Uniti ha dichiarato che una raccolta massiccia
di dati relativi ai trasferimenti elettronici di fondi oltre confine è
tecnicamente possibile, e potrebbe contribuire ad individuare i finanziamenti
dei terroristi; tuttavia, essa richiede più tempo per essere realizzata,
ed un’analisi più accurata dei costi che le istituzioni dovranno
sostenere.
La Riforma
dell’Intelligence ed il Decreto sulla Prevenzione del Terrorismo del 2004 ( Intelligence
Reform and Terrorism Prevention Act ), stabiliscono che sia il
segretario al tesoro a decidere sulla necessità e la fattibilità
di dichiarare tali trasferimenti.
Un possibile
intervento richiederebbe che tutti i trasferimenti oltre confine, al di sopra
di un determinato importo, venissero dichiarati al FinCen, Financial
Crimes Enforcement Network , agenzia governativa del Ministero del
Tesoro che si occupa di prevenire il riciclaggio del denaro sporco. Il
Ministero stima che tale provvedimento farebbe affluire circa mezzo miliardo di
relazioni finanziarie ogni anno.
In un rapporto
presentato al Congresso il 17 gennaio scorso, il Ministero del Tesoro ha
affermato che occorreranno circa 3 anni e mezzo per il completamento del
sistema di raccolta dati, ed il costo si aggirerà intorno ai 32,6
milioni di dollari. Tale rapporto ha inoltre sollevato una serie di
problematiche che devono essere analizzate, come ad esempio i costi che
graveranno sulle istituzioni finanziarie e le agenzie americane, e la
capacità del governo di utilizzare questi dati in modo efficace.
Il rapporto mette
in evidenza anche le possibili ripercussioni negative del programma sulle
transazioni mondiali in dollari, ivi inclusi: uno spostamento dalla moneta
americana ad altre valute, la creazione di un meccanismo per rendere
trasparenti le transazioni in dollari fuori dagli Stati Uniti, e l’interferenza
con le operazioni dei sistemi centrali di pagamento.
Il programma
proposto sulla raccolta dati è stato criticato dalle organizzazioni per
i diritti umani e da alcuni funzionari europei, che lo considerano una
potenziale violazione della privacy. Anche la comunità bancaria si è
opposta, in quanto ritiene che il programma proposto sia gravoso ed invasivo.
“Il nostro attuale
programma di anti-riciclaggio di danaro soffre già di un sovraccarico di
dati inutili - con oltre 14 milioni di relazioni presentate nel
Secondo quanto
dichiarato nel rapporto stesso, se un tale sistema fosse implementato, il
governo degli Stati Uniti dovrebbe imporre limiti severi sul suo impiego e
sulla ridivulgazione dei dati forniti alle forze dell’ordine, alle agenzie
regolatorie ed alle sue controparti straniere. Dovrebbe, inoltre, controllare
più da vicino le persone e le organizzazioni che hanno accesso a tali
dati.
Tuttavia, il
rapporto raccomanda un processo a più ampio raggio, nel corso del quale
le autorità finanziarie americane devono impegnarsi in un’analisi del
costo-beneficio insieme a forze dell’ordine, agenzie regolatorie e di
intelligence, rappresentanti dei servizi finanziari degli Stati Uniti e dei
paesi stranieri.
Il testo completo
( http://www.fincen.gov/cross_border/index.html ) sulla Fattibilità del Sistema di
Rapporto Relativo al Trasferimento Elettronico di Fondi Oltre Confine (Feasibility of a
Cross-Border Electronic Funds Transfer Reporting System)
nell’ambito del Decreto sulla Segretezza Bancaria (Bank Secrecy Act) ,
può essere visionato sul sito web del Dipartimento di Stato.
Dal Corriere della Sera 24-1-2007 La partita quasi impossibile di
Bush di Alberto Ronchey
Bagdad
Sulle sorti
dell'Iraq, ancora i pareri saranno a lungo discordi se consideriamo
l'esperienza degli ultimi anni. Dopo la caduta di Saddam Hussein, dal 2003,
nessun tentativo ha potuto reprimere le conflittualità irachene.
Inefficaci le periodiche offensive contro il terrorismo di al-Qaeda, o contro
la guerriglia cronicizzata nel «triangolo sunnita» e quella delle milizie
sciite filo-iraniane dell'imam ribelle Moqtada al-Sadr. Impotenti le operazioni
rivolte a sedare i feroci scontri etnico- religiosi e tribali.
Non è stato affatto risolutivo il referendum dell'ottobre 2005 sulla
Costituzione, seguito dall'elezione del primo Parlamento. Vana risulta
l'amnistia promessa per i rivoltosi «non terroristi» dal governo di al-Maliki.
E malgrado l'eliminazione dello stratega di al-Qaeda operante sul territorio
iracheno, al-Zarqawi, l'Onu stima che solo nel 2006 i civili uccisi nelle
disparate conflittualità siano stati 34.452, mentre le stragi
continuano.
George Bush, a questo punto, ha deciso l'invio di altri 21.500 soldati a
Bagdad, respingendo i cauti consigli dell'Iraq Study Group presieduto da James
Baker. Ha contro i pareri prevalenti al Senato e alla Camera, oltreché la
maggioranza dell'opinione pubblica. Può insistere, anzi già
procede quale «comandante in capo delle forze armate», ma sfida i legislatori
arbitri degli stanziamenti militari, anche se non è facile negare mezzi
di vitale necessità per i soldati sul campo.
Fra i collaboratori del presidente non si parla dell'inizio di un'escalation,
formula che rievoca le sventure degli anni '60-'70 nel Vietnam, bensì di
surge, impulso. Con quale scopo? Controllare anzitutto Bagdad fuori dalla Green
Zone, l'area di massima sicurezza presidiata finora, e la provincia di Anbar
dominata tuttora dagli «squadroni della morte» baathisti. Ma Bagdad si estende
per oltre
curdi, o le truppe saudite disponibili a contrastare l'influenza iraniana. Fra
gli stessi amici e seguaci di Bush, affiorano dubbi e obiezioni. Persino Daniel
Pipes, fondatore del Middle East Forum, ha commentato: «Sono scettico
sull'esito del nuovo corso... Mi auguro che abbia successo, anche se non mi
convince».
Bush ricorre all'ultima prova, definita in America un azzardo senza forze
sufficienti. Ma non può ammettere che l'intervento militare in Iraq,
già dal principio, sia stato un errore dovuto in gran parte
all'inadeguata comprensione dei caratteri e costumi bellicosi nel contesto
geopolitico della composita e turbolenta società. O non lo pensa
nemmeno. E quando riconosce «alcuni errori», non pare che sia di quello che sta
parlando. Non vuole né ormai può decidere un prossimo disimpegno,
lasciando l'Iraq alla guerra di spartizione tra sciiti, sunniti, curdi, e
all'invadenza dell'Iran. Come avverte a Londra il conservatore
Daily Telegraph: «Qui si gioca tutto». Fra l'altro, ancora pericoloso rimane
dietro l'Iraq il terreno d'occupazione dell'Afghanistan, laddove fra Kabul e
Kandahar lo stesso presidente Hamid Karzai mette in pericolo quotidiano la
propria vita dinanzi alla guerriglia talebana di ritorno.
24 gennaio 2007
Da Repubblica 24-1-2007 Ue,
decoder: "Aiuti 2004-05 illegittimi Le emittenti provvedano ai
rimborsi"
Per
la commissaria alla Concorrenza Kroes i sussidi "non sono
tecnologicamente neutri" dato che escludono il satellitare
Corretti
invece i contributi concessi nel 2006 ai consumatori sardi e valdostani
BRUXELLES - Gli aiuti all'acquisto di decoder per il digitale terrestre
sono illegittimi sotto il profilo della concorrenza. Lo ha stabilito la
Commissione Europea, che ha anche deciso che saranno le emittenti televisive
che ne hanno beneficiato a dover rimborsare quanto ricevuto. Legali invece i
sussidi concessi nel
I sussidi dichiarati illegittimi corrispondono a 200 milioni di euro. "I
sussidi concessi nel 2004 e nel 2005 - si legge in una nota diffusa dalla
commissaria europea della Concorrenza Neelie Kroes - sono incompatibili con le
regole degli aiuti di stato in quanto non sono tecnologicamente neutri e creano
una indebita distorsione della concorrenza escludendo la tecnologia
satellitare. La Commissione ha deciso che le emittenti che hanno beneficiato
maggiormente dei sussidi dovrebbero rimborsare gli aiuti di Stato". Il che
significa che Rai e Mediaset dovranno accollarsi l'onere dei rimborsi.
Invece gli aiuti concessi nel 2006 ai consumatori sardi e valdostani
riguardavano l'acquisto di decoder a prescindere dalla piattaforma di
trasmissione utilizzata, e pertanto si configurano come legittimi e
"proporzionali all'obiettivo perseguito", vale a dire il passaggio al
digitale ed all'interattività.
Erano state proprio le reti televisive che trasmettono via etere e via
satellite, secondo quanto si legge in una nota della Commissione Europea, a
presentare regolare denuncia ai servizi della concorrenza di Bruxelles. Una
linea analoga era già stata seguita in un caso precedente in Germania.
"Queste due decisioni mostrano una volta di più che la Commissione
si adopera per facilitare il passaggio alla TV numerica ed
all'interattività - commenta Neelie Kroes secondo quanto si legge nella
nota - Ma gli aiuti pubblici destinati a raggiungere questi obiettivi possono
essere concessi se conformi alle regole sugli aiuti di stato. Al contrario non
è disposta ad accettarli se falsano indebitamente la concorrenza tra le
piattaforme di trasmissione".
(24 gennaio 2007)
Dal Corriere della Sera 23-1-2007
Medici Finanziaria: stop a congressi. Licenziamenti
Coinvolte complessivamente mille aziende
Sono 5mila i posti di lavori che andranno persi secondo le
associazioni di categoria. Perso un quarto del fatturato
ROMA - Cinque mila posti di lavoro persi nel
segmento dei congressi medico-scientifici a causa dei tagli in Finanziaria. Lo
sottolinea Federcongressi ricordando che dallo scorso ottobre il settore legato
agli eventi medico-scientifici sta subendo perdite significative. «Questo
è il risultato ad alto impatto sociale della situazione di stallo
provocata - si legge in una nota di Federcongressi, la federazione delle
associazioni del congressuale e dell'incentive, che rappresenta, attraverso le
cinque associazioni-socie, più di mille aziende operanti in tutti i
comparti del settore - dalla normativa riguardante la formazione continua in
medicina e dal blocco delle sponsorizzazioni congressuali in vigore dal 1' di
gennaio 2007. Blocco adottato dalle associazioni industriali del mondo del
farmaco (Farmindustria ed Assobiomedica) come risposta alla Finanziaria ed al taglio
del prezzo dei farmaci».
PERDITE - A conclusione del primo trimestre del
23 gennaio 2007
Inserimenti del
24-1-2007
Da La Repubblica 24-1-2007 Il tardivo ecologista di
VITTORIO ZUCCONI
Da La Stampa 24-1-2007 Mastella. "Tutti i
processi finiranno in 5 anni" GIGI
PADOVANI
Fine modulo
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ROMA - Il testo, o meglio i testi, sono pronti.
"Giovedì cominceremo ad affrontare il problema" ha confermato
il ministro per lo Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, che ieri ha
illustrato anche al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, i temi del
ddl. "Sui tempi serve una valutazione collegiale, deciderà Palazzo
Chigi" ha precisato rimandando ogni decisione al Consiglio dei ministri di
domani. Qualche difficoltà politica rimane, come dimostra la minaccia
del ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, di non votare "al
buio" provvedimenti che non sono stati portati al pre-consiglio di ieri.
In realtà tra i ministri le bozze stanno circolando e nelle ultime ore
il lungo lavoro sui contenuti ha assunto anche una fisionomia d'insieme:
"Più che un singolo provvedimento, stiamo cercando di lavorare
perché passi l'idea che il paese deve cambiare, con tranquillità"
chiarisce Bersani.
Il pacchetto complessivo si struttura su quattro punti: salvaguardia del
cittadino-consumatore, libertà d'impresa, semplificazione amministrativa
e intervento di riorganizzazione delle Authority. Anche se va ricordato che si
tratterà di una prima bozza e le modifiche, anche sostanziali, sono date
per scontate.
Il primo punto è il cuore del ddl con una serie di micro-interventi sui
vari settori: benzinai, tabaccai, parrucchieri, edicole, cinema. L'idea di
fondo è eliminare ogni vincolo quantitativo o divieto di apertura di
un'attività che non sia giustificato da interesse pubblico o da motivi
di sicurezza. Per cui via alle distanze minime tra esercizi dello stesso tipo,
eliminati i quozienti che definiscono il numero di cinema in base ai residenti,
così come i vincoli per vendere sigarette o giornali. Stessa filosofia
per gli orari e giorni di apertura (il classico caso dei parrucchieri). A
questo si aggiunge anche il preannunciato taglio della commissione fissa nelle
ricariche telefoniche su cui è già a lavoro l'Autorità per
le comunicazioni.
Alla libertà d'impresa invece sarà dedicato l'unico decreto
legge. Per rendere concreto lo slogan "Un'impresa in un giorno"
verranno tagliati tempi, certificazioni, adempimenti notarili necessari per
poter aprire una nuova azienda. Si aggiungono proposte del viceministro per
l'Economia, Vincenzo Visco, di incentivi fiscali per chi migliora la
patrimonializzazione e per chi apre il capitale a nuovi soci.
La semplificazione punta a "disboscare" le leggi che limitano la
libertà d'impresa come le autorizzazioni obbligatorie per aprire una
scuola guida o per diventare una guida turistica o agente immobiliare. L'idea
è di limitarsi a verificare requisiti professionali piuttosto che
vincolare l'accesso alle meccaniche tipiche degli ordini professionali. In
discussione anche l'abolizione del Pra (pubblico registro automobilistico).
Infine Palazzo Chigi ha preparato un altro ddl che riorganizza le
Autorità indipendenti con la nascita dell'Autorità dei trasporti.
Inoltre quella sull'Energia si occuperà anche di acqua e rifiuti, mentre
l'Isvap (assicurazioni) sparirà per essere assorbita dalla Consob e la Covip
(fondi pensione) lascerà le sue competenze alla Banca d'Italia.
Da La Repubblica 24-1-2007 Il tardivo ecologista di VITTORIO ZUCCONI
Ascoltare il Presidente Bush parlare a una nazione che non lo ascolta
più, significava assistere a due formidabili drammi racchiusi uno dentro
l'altro, al dramma di un uomo sconfitto che sta trascinando nel suo mesto
finale una grande democrazia senza più timoniere credibile.
Questo penultimo discorso annuale sullo Stato dell'Unione è stato un
discorso sullo Stato del Presidente e le notizie non sono buone. Soltanto Nixon
prima di lui era salito sul podio del Senato con un indice di popolarità
collassato al 28% e a questi livelli di ostilità si apre sempre il
rischio che i due drammi si fondano e il disastro di un presidente divenga il
discredito dell'istituzione che lui incarna.
I ricercatori d'opinione e i parlamentari del suo stesso partito repubblicano
in pieno ammutinamento da "si salvi chi può", indicano
naturalmente nella "Campagna d'Iraq" la causa prima di questa
impopolarità e di questa sua irrilevanza. È ovvio che sia
così, perché il pubblico americano è sempre generosamente pronto
a raccogliersi attorno alla bandiera, ma anche spietato con chi ha barato al
gioco del patriottismo.
Ma la guerra in Iraq, che ora il nuovo generale Petraeus dovrebbe fingere di
vincere per consentire una dignitosa ritirata e non una rotta all'esercito
imperiale, è soltanto una componente del collasso di questa presidenza.
È stato l'effetto catastrofico di una cultura di governo che aveva fatto
della polarizzazione ideologica e del manicheismo trasportato su scala
internazionale, la propria forza e che ora viene ripagata della stessa moneta,
incapace di divincolarsi dalle manette che si è messa ai polsi, secondo
il classico difetto delle ideologie e dei regimi che risolvono tutti i problemi
meno il principale cioè loro stessi.
Il Bush che parlava dal podio del Senato, nel dettato costituzionale che dal
1790 obbliga il capo dello Stato a fare rapporto alla nazione, non era
più un presidente di destra o di sinistra, un repubblicano o un
democratico. Era semplicemente un uomo non più credibile, qualcuno che
ha raggiunto dopo troppe panzane il "tipping point", secondo la
definizione di Malcolm Gladwell del "New Yorker", il punto nel quale
l'equilibrio statico cambia e le cose precipitano a velocità terminale
verso il meglio o il peggio. Niente di quanto lui ha annunciato come le ultime,
grandi iniziative della sua presidenza per dare ancora l'impressione di essere
all'offensiva, diventerà legge, davanti a un Parlamento dove ogni
proposta della Casa Bianca è "Doa", si dice oggi, "dead
on arrival", arriva già morta all'ospedale.
Scoprire improvvisamente tutto ciò che fino a ieri veniva deriso o
marginalizzato di fronte all'imperativo onnivoro della "Guerra al Terrore",
cioè della campagna d'Iraq, per strappare qualche dissidente alla
maggioranza democratica, sa di "perestrojka" gorbacioviana, troppo
poco e troppo tardi, anche se fosse sincero. La ammissione della minaccia del
surriscaldamento della Terra sarebbe stata credibile sei o sette anni or sono,
quando invece questa amministrazione stracciò con scherno quel Trattato
di Kyoto che aveva almeno accettato il principio della nostra
responsabilità nei mutamenti di clima.
La tragedia dei costi astronomici per la salute, che saranno la punta di lancia
della campagna dei democratici, della Clinton e di Obama, per la Casa Bianca
2008, viene improvvisamente scoperta da Bush, che propone come soluzione la
detraibilità fiscale delle polizze, ignorando che per 46 milioni di
americani è il reddito, non il fisco, che non permette di pagarsi una
polizza. E al miracolo della mini escalation militare in Iraq, sembra non
credere neppure il generale chiamato a compierlo, Petraeus, che ha promesso al
Parlamento di "ammettere pubblicamente se la strategia nuova non
avrà efficacia". Sarebbe una novità sensazionale, dopo
quattro anni di "missione compiuta".
Ma se gli avversari e i critici di Bush, che spuntano come topi dalla nave che
affonda, gongolano, il dramma maggiore non è la caduta di una stella
politica e la delusione che ha scavato il volto di un uomo che sa di essere
stato sconfitto da se stesso e porta i segni della durezza di questi anni.
Il dramma è quello del cuore vuoto, di una Casa Bianca allo sbando ma
pur sempre centrale, chiamata, dalla costituzione, a essere il motore che regge
l'organismo istituzionale e nazionale. Il lusso di un "presidente
inesistente", di un comandante in capo disfunzionale e irrilevante,
è qualcosa che l'America, una democrazia presidenziale e non
parlamentare, non può permettersi a lungo senza che l'intero organismo
ne soffra. La democrazia americana non tollera "presidenticchi" come
Bush sta diventando.
Né l'opposizione, anche se maggioranza come oggi è, può divenire
la fonte di decisioni politiche alternative, una sorta di "presidenza
ombra". Senato e Camera possono opporsi, modificare, fare rumore, chiudere
i cordoni della borsa, ma non possono, perché non devono, sostituirsi
all'esecutivo con strategie e piani. I democratici non hanno proposte
alternative perché non spetta a loro avanzarle, né hanno alcun interesse
politico ad "adottare" la guerra in Iraq che è e deve rimanere
per loro, la guerra di Bush.
Questo dramma della "Casa Vuota", della voce ridotta a parlare al
deserto da un pulpito screditato è ciò che spinse, nel 1974, i
"grandi vecchi" del partito repubblicano, guidati da Barry Goldwater,
a marciare nello studio Ovale per spiegare a Nixon che era suo dovere
andarsene, per salvare l'America. Ma i Goldwater non ci sono più e alle
spalle di Bush non c'è il placido, ragionevole e ora rimpianto Gerald
Ford. C'è Dick Cheney, l'anima peggiore di questa Casa Bianca che si
dice sogni l'attacco all'Iran per distrarre lo sguardo dall'Iraq e chiudere
questo dramma in un tragico crepuscolo finale degli dei sconfitti.
(24
gennaio 2007)
Da La Stampa 24-1-2007 Mastella. "Tutti i processi finiranno
in 5 anni" GIGI PADOVANI
24/1/2007 (7:44) -
IL MINISTRO PRESENTA IN PARLAMENTO LA SUA RELAZIONE CON UN OBIETTIVO AMBIZIOSO
Progetto di Mastella per cambiare la giustizia. I Magistrati: ma
oggi è impossibile
ROMA
Sarà fatta giustizia in cinque anni, parola di Guardasigilli. Se i
cittadini possono incominciare a sperare, i magistrati, per bocca del
segretario della loro associazione, Nello Rossi, non ci credono e «bocciano» il
«timing» molto stretto che sarà contenuto nella prossima riforma come
«difficilmente praticabile». Per lo meno, il ministro Clemente Mastella ci
prova e ieri alla Camera ha annunciato, in una relazione al Parlamento che oggi
sarà replicata in Senato, le linee guida della sua azione per il 2007.
Secondo un sistema in auge nelle giustizia francese, Mastella ritiene che si
debba fissare una «udienza di programmazione» all’inizio del dibattito per
stabilire i tempi. Sia nel civile sia nel penale non potranno superare i 5
anni: due per il primo grado, due per il secondo e uno per la Cassazione.
E’ la vera novità contenuta nella relazione di Mastella, che con
terminologia calcistica ha ammonito la difesa a «non fare melina» per arrivare
alla prescrizione. A Montecitorio la sua relazione è stata ascoltata da
appena una trentina di deputati, così che la leghista Carolina Lussana
ha detto con sarcasmo: la maggioranza ha relegato l’intervento del
Guardasigilli «in un giorno e in un orario in cui i parlamentari non sono
ancora arrivati a Roma». Il piano di riforma è comunque ambizioso e su
di esso il ministro chiede un dialogo con l’opposizione, perché sostiene di
avere come «stella polare» soltanto il bene del cittadino. Così Mastella
ha accolto nel dibattito le osservazioni di Forza Italia e ha anche incassato
il consenso del presidente dell’Unione Camere Penali, Oreste Dominioni.
Il piano del Guardasigilli riguarda dunque diversi aspetti, oltre la durata del
processo: le ferie, il no alla separazione delle carriere, le carriere dei
magistrati, la ex Cirielli e il patteggiamento. Il «piano straordinario per la
giustizia» presentato da Mastella è basato su una serie di dati molto
pesanti sulle giacenze troppo lunghe nei tribunali. «Una sentenza che arriva
tardi - ha detto il ministro -, anche se giusta finisce per essere ingiusta». A
Roma un processo medio iscritto in primo grado ha un tempo di giacenza di 30
mesi, a Messina si arriva a 52. Per il penale, la giacenza media è di
622 giorni prima del dibattimento. Nelle Corti di appello si va dai 230-250
giorni di Palermo o Potenza ai 1200 di Ancona e Venezia. Tra i punti sui quali
il Guardasigilli vuole intervenire ci sono anche le cosiddette «leggi ad
personam» varate dal governo Berlusconi: falso in bilancio ed «ex Cirielli». Da
capogiro le cifre spese per intercettazioni telefoniche: in quattro anni, dal
2003 al 2006, sono 1,3 miliardi di euro. Mastella si è riproposto di
ridurre da
Contrastanti le reazioni in Parlamento. La Cdl spara ad alzo zero, con Erminia
Mazzoni (vicesegretario Udc) che definisce «insufficiente» la relazione e
Giuseppe Consolo (An) che bolla come «fallimentare» il bilancio del governo
sulla giustizia. Dalla maggioranza Alessandro Maran e Pierluigi Mantini (Ulivo)
sottolineano invece il «cambio di rotta». L’Anm, l’Associazione dei magistrati,
regala un giudizio positivo, anche se i giudici rimangono convinti che i tempi
del processo dipendano da eventi indipendenti dal loro impegno e chiedono
quindi snellimento delle procedure, con più mezzi e personale.
Dall'Agenzia delle
entrate arrivano le prime linee guida per la prevenzione e il contrasto
dell'evasione fiscale. Le istruzioni arrivano con la circolare n. 2 del 2007,
che ha lo scopo di dettare gli indirizzi per far emergere le posizioni
soggettive interessate da fenomeni evasivi e fraudolenti legati a residenze
fittizie all'estero e a omesse dichiarazioni dei redditi e dell'Iva. Fra le
novità un impegno straordinario nelle verifiche territoriali mirate, con
200mila ore riservate a stanare l'evasione e l'elusione con interventi
strutturati a livello regionale e nazionale.
Si intensificano e diventano più specifici i controlli su soggetti con
volumi d'affari o compensi superiori ai 25 milioni 822mila 845 euro. Si tratta
di circa 10mila soggetti distribuiti in tutto il Belpaese. Piani mirati di
accertamento interesseranno il settore immobiliare, dove si nascondono
categorie a maggior rischio di economia sommersa. Si rafforza, inoltre, il
contrasto alle frodi Iva, in particolare quelle intracomunitarie: l'azione di
intelligence interessa soprattutto chi apre nuove partite Iva e presenta
elevati indici di pericolosità.
Inizio modulo
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La presentazione
della ricerca Mediobanca-Civicum
Due Italie, ancora
una volta. Accade nei servizi pubblici locali, più efficienti e virtuosi
nel Nord Italia, mentre il Sud arranca e mostra difficoltà che si
traducono in un maggior aggravio economico e disagi per i cittadini
meridionali. L'immagine di un'Italia divisa anche in questo settore emerge
dall'edizione 2007 della ricerca «Costi, qualità ed efficienza delle
società controllate dai maggiori comuni italiani», promossa dalla
Fondazione Civicum e realizzata dall'ufficio studi di Mediobanca. L'indagine,
che prende in considerazione il triennio 2003-
Costi operativi e investimenti in crescita. Il punto debole dell'intero
sistema, per il quale il processo di liberalizzazione non è
sostanzialmente decollato, era e resta l'efficienza. I costi operativi unitari
sono cresciuti in tutti i settori, non sempre compensati da maggiori ricavi,
anche come effetto delle dinamiche monetarie e dei volumi di offerta
sviluppati: +15% nel settore idrico, +5,9% nel settore dell'igiene ambientale,
+ 5% nel trasporto pubblico e +2,7% nell'aeroportuale. Gli investimenti unitari
sono aumentati nel triennio del 21% nel settore idrico, del 9,5% nel trasporto
pubblico, del 3,3% nell'igiene ambientale e di ben il 44,8% negli aeroporti.
Energia, costi e ricavi allineati. Da Asm Brescia forniture più continue.
Nel settore energetico generazione e distribuzione sono i settori con un
rapporto più favorevole tra costi operativi e ricavi unitari e dunque i
più redditizi, mentre la vendita, aperta alla concorrenza, presenta una
maggiore vicinanza tra costi e ricavi e appare il segmento meno remunerativo.
Gli operatori mostrano valori di costo e ricavo unitario sostanzialmente
allineati e solo i gestori di grandi reti (Enel ed Italgas) hanno incidenze dei
costi sui ricavi particolarmente contenute. Asm Brescia è la
società con i migliori indici di continuità nella fornitura di
energia elettrica (solo 11 minuti di interruzioni medie per cliente nel 2005),
mentre le situazioni peggiori si sono verificate a Roma e Napoli (60 e 68
minuti rispettivamente).
Acqua: Milano spreca poco, nel settore ricavi +9,7%. In campo idrico,
l'Acquedotto pugliese (Aqp) è risultato la rete più
"colabrodo", con la percentuale maggiore di dispersione idrica, pari
al 49,1% di acqua immessa e non fatturata, a cui si è contrapposta la milanese
MM con una quota di perdite pari all'11,3% (in aumento rispetto all'8,6% del
2003). Il settore idrico, si diceva, è anche quello che nel triennio
preso in esame ha visto il maggiore incremento di costi operativi, pari al 15%.
Un dato che è stato compensato da una crescita dei ricavi del 9,7%, tra
le migliori performance nel mondo delle utilities insieme a quella dell'igiene
ambientale (per lo più dalla termovalorizzazione) con un +10% in tre
anni. I minori investimenti per
Trasporti, Milano e Brescia pesano meno sui conti pubblici. Nel
trasporto locale Atm Milano e Brescia Mobilità sono invece le
società locale che assorbono i minori quantitativi di fondi pubblici e
nel contempo coprono maggiormente i propri costi con ricavi da traffico e
servizi, rispettivamente con quote pari al 53 e il 54 per cento. In fondo alla
classifica si pone la performance del "sistema napoletano" (Ctp, Anm
e Metronapoli) che assorbe il triplo di quanto ricevuto da Milano e Brescia e
copre solo in minima parte (18%) i propri costi con i ricavi dal mercato. Nord
più virtuoso anche per quanto riguarda la raccolta differenziata: Asm
Brescia arriva al 41%, seguita dall'Amiat di Torino (36%) e dell'Amsa di Milano
con il 33%.
Trasparenza, resta ancora molto da fare. Tutto il settore resta afflitto
da una ancora insufficiente inclinazione alla trasparenza. «Le informazioni
pubblicamente disponibili - ha spiegato Federico Sassoli de Bianchi, Presidente
di Civicum - sono decisamente carenti. Ad esempio spesso sono assenti, nelle
aziende multiutility, le rendicontazioni separate per singole aree di business.
Inoltre gli indici di qualità ed efficienza calcolati dalle aziende non
sempre sono oggetto di certificazione da parte di enti terzi o di verifica da
parte di authorities: attualmente, solo i Comuni di Roma e Torino dispongono di
agenzie predisposte al controllo della qualità dei servizi pubblici».
Inserimenti del
23-1-2007
Da Il Corriere della Sera 23-1-2007
Se la poligamia viene rivendicata come un diritto di Magdi Allam
Da Il Sole 24 Ore – 22-1-2007 Casa, 200 milioni
di tasse in più di Saverio Fossati
Da La
Repubblica 22-1-2007 Il settore lusso continua a brillare
Da Il
Sole 24 Ore 22-1-2007 La grande marcia del credito al consumo - Il Sole 24 Ore di
Chiara Bussi
Da Il Corriere della Sera
23-1-2007 Se la poligamia viene
rivendicata come un diritto di Magdi Allam
Mi fa piacere
avere quattro mogli, ma se
il governo non mi permette allora cosa faccio? Devo andare in
clandestinità e questo non è giusto». Così Mohamed Baha'
el-Din Ghrewati, eminenza grigia dell'Ucoii, nel Tg1 di domenica sera si
è spinto oltre l'apologia della poligamia, arrivando a chiederne la
legalizzazione: «Magari se la legge italiana accetta la poligamia, così
risolve tanti problemi di milioni di persone, non migliaia». Il servizio di
Barbara Carfagna, nel telegiornale di massimo ascolto della Rai, ha il merito
di aver chiarito a milioni di italiani la strategia degli estremisti islamici.
Hanno iniziato con il celebrare i matrimoni islamici in seno alle moschee,
attribuendogli una connotazione religiosa e trasformandolo in un sacramento,
laddove negli stessi paesi musulmani è un semplice contratto
privatistico che si contrae e festeggia laicamente nell'abitazione degli sposi.
Hanno proseguito con l'invocare «la facoltà di celebrare e sciogliere
matrimoni religiosi senza alcun effetto o rilevanza civile secondo la legge e
la tradizione islamica» (articolo 12 della bozza d'intesa dell'Ucoii con lo
Stato Italiano), cioè la possibilità di essere poligami di fatto
senza esigere il riconoscimento giuridico. Ed ora hanno compiuto un ulteriore
passo in avanti chiedendo pubblicamente la legalizzazione della poligamia. Si
obietterà che Ghrewati, neuropsichiatra e omeopata, ufficialmente
presidente onorario della Casa di cultura islamica di via Padova a Milano, non
è nel direttivo dell'Ucoii e che quindi parlerebbe a titolo personale.
In realtà sappiamo che i veri leader dei Fratelli Musulmani, a cui fa
riferimento l'Ucoii, preferiscono operare sotto mentite spoglie. Come è
stato il caso del banchiere Youssef Nada, cittadino italo-egiziano, residente a
Campione d'Italia, fondatore della Banca Al Taqwa, che era il «ministro degli
Esteri» del movimento internazionale dei Fratelli Musulmani fino al sequestro
dei beni quando, all'indomani dell'11 settembre 2001, emerse la sua connivenza
con il terrorismo islamico globalizzato. La particolarità
dell'iniziativa di Ghrewati, così come lui stesso ha dichiarato a Paolo
Colonnello nell'intervista pubblicata su La Stampa il 7 gennaio scorso, è
il tentativo di far passare la poligamia come «una proposta culturale che
andrebbe discussa». Dopo essersi qualificato come un «poligamista», Ghrewati ha
esplicitato che «noi musulmani proponiamo la poligamia come rimedio al
fallimento della società italiana».
E indossando i
panni del medico ha
sentenziato che «la poligamia è un rimedio contro le tensioni sociali e
i tumori della prostata e del seno». L'obiettivo di Ghrewati è quello di
accreditare la poligamia come un diritto individuale che, al pari della coppia
omosessuale, dovrebbe essere riconosciuto dalla legge come un Pacs: «Qui
parlate apertamente di matrimoni tra gay e rifiutate anche solo l'idea della
poligamia. Però tollerate amanti e doppie famiglie. Basta che tutto si
viva in clandestinità». Ci rincuora il fatto che i musulmani d'Italia
sono subito insorti contro le farneticazioni di Ghrewati e contro l'intento
dell'Ucoii di legalizzare la poligamia. Nella consapevolezza che non si tratta
affatto di una rivendicazione che attiene alla sfera individuale, bensì
di una strategia di potere mirante a imporre in Italia la loro versione
radicale, maschilista e violenta della sharia, la legge islamica. Ed è
significativo che i primi a protestare siano state le donne, a cominciare da
Souad Sbai, fino a coinvolgere la maggioranza dei membri della Consulta per
l'islam italiano. Mi auguro che a questo punto se ne accorga anche la
maggioranza del Parlamento e della magistratura italiana, fin troppo silente su
una questione considerata erroneamente come inesistente o tutt'al più
marginale. Immaginando che ci si possa mettere l'anima in pace fintantoché non
viene violata la legge formale, anche se di fatto la poligamia si celebra nelle
moschee e si pratica nelle case dei musulmani. Dobbiamo forse attendere il
prossimo spettacolo televisivo di un corteo di donne velate e uomini barbuti
che rivendicano il diritto alla poligamia, per deciderci a sanzionare
seriamente questi militanti dediti all'islamizzazione dell'Italia?
23 gennaio 2007
Un unico grande
superente previdenziale. È questa l'ultima tentazione del Governo, o
almeno di una sua parte. Un intervento che, almeno sulla carta,consentirebbe di
recuperare, a regime, quasi 3 miliardi da utilizzare per aumentare il milione e
mezzo di pensioni basse legate a contribuzione ( non quelle sociali, quindi),
attualmente non superiori ai 400 euro mensili. E che garantirebbe una nuova
gestione del cosiddetto " tesoro" dell'Inail.Che dovrebbe confluire,
insieme a Inps, Inpdap, Enpals, Ipsema e forse Ipost, in questa nuova sorta di
Iri pensionistica.
Una nuova configurazione, che non dispiacerebbe all'ala sinistra della
maggioranza e a diversi settori della Margherita e su cui avrebbe chiesto
alcuni approfondimenti palazzo Chigi, ma che è tutt'altro che certa. E
non solo perché il ministro Cesare Damiano sembri prediligere un'operazione
più soft e i sindacati siano tutt'altro che entusiasti di discutere di
accorpamento degli enti previdenziali. Quella dell'ente unico è infatti
solo l'ipotesi più "hard" di quelle allo studio del Governo in
vista dell'avvio del confronto con le parti sociali. Sul tavolo ci sarebbero
altre due opzioni: la prima è quella "intermedia" con la
creazione di due superenti, uno pensionitico (Inps, Inpdap ed Enpals), l'altro
"assicurativo" (Inail e una parte dell'Ipsema); la seconda più
"circoscritta", che prevederebbe la sola fusione di Inps e Inpdap e
il passaggio della "fetta" assicurativa dell'Ipsema all'Inail. Soluzioni
che sembrano essere maggiormente gradite al ministero del Lavoro.
La partita sugli enti
La decisione verrà presa solo nelle prossime settimane e molto
dipenderà anche dalle indicazioni che arriveranno dai sindacati, da
sempre contrari a qualsiasi ipotesi di accorpamento. Ma,a prescindere dalla
portata (quella "intermedia" garantirebbe risparmi per circa 22,5
miliardi, mentre con la "soft" ne arriverebbero 1,61,7), il riassetto
si farà. Anche se i tempi di realizzazione non saranno brevi. Lo stesso
Romano Prodi lo ha fatto capire chiaramente al termine del conclave di Caserta
e nei giorni successivi. Del resto,un primo progetto di fusione era stato
già abbozzato al momento della stesura della Finanziaria 2007 e poi
accantonata in attesa del confronto tra Governo e parti sociali. Ora il
riordino degli enti previdenziali torna al centro della discussione. A gestire
l'operazione è il ministro Damiano, che appare favorevole a un
"riordino concertato". Ma a contribuire alla definizione dell'intervento
dovranno comunque essere anche il ministro Nicolais e Santagata.
Età, riforma light
Nella maggioranza continuano le schermaglie sul superamento dello scalone. Che,
nel frattempo, vede aumentare i suoi fan. Proprio per la complessità
della partita il ministero del Lavoro non scopre ancora le carte. Mai tecnici
di vari dicasteri sono al lavoro da tempo. E quella che si va profilando, per
giungere a un compromesso all'interno della maggioranza e tra Governo e
sindacati, è una riforma light: l'età di riferimento per il
pensionamento di anzianità rimarrebbe a 60 anni di età e 35 di
contributi, ma verrebbe consentita l'uscita a 57 anni per la categorie di
lavoratori impiegati in attività usuranti (che verrebbe ampliata
rispetto alle ipotesi degli scorsi anni), e a 58 anni per gli altri lavoratori
(ma probabilmente con un particolare calibratura dei "coefficienti").
Certi gli incentivi per favorire il rinvio dei pensionamenti. E praticamente
sicura anche la revisione dei coefficienti di trasformazione. Non è
comunque esclusa qualche sorpresa, come l'aumento graduale della soglia di
vecchiaia delle donne, per reperire le risorse necessarie per ammorbidire lo
scalone. I fondi per la revisione degli ammortizzatori arriverebbero dalla
lotta all'evasione.
Lo scoglio da superare resta quello dell'età. Domani saranno Piero
Fassino e Francesco Rutelli che tenteranno di far valere le ragioni dei
riformisti enunciando le proposte dell'Ulivo. Damiano parla di età
minima a 58 anni (due in meno rispetto ai 60 della "Maroni"). Ma per
l'ala sinistra della maggioranza si tratta di un «inganno», visto che in questo
modo verrebbe alzata di un anno l'età minima della "Dini" (57
anni). Di qui la nuova richiesta di Prc, Pdci e Verdi di abolire completamente
lo scalone e aumentare le pensioni basse. Tuttavia Lamberto Dini afferma: lo
scalone «è iniquo» ma occorre comunque innalzare, seppur «gradualmente»,
l'età. Tiziano Treu rilancia la proposta degli "scalini". In
caso contrario, l'unica soluzione resterebbe quella di mantenere lo scalone. Ed
è l'invito che arriva dall'opposizione, in particolare da Roberto
Maroni, preoccupato per una negativa controriforma.
Da Il Sole 24 Ore – 22-1-2007 Casa, 200 milioni di tasse in
più di Saverio Fossati
Si
comincerà così, con quei 200 milioni in più nella casse
dello Stato e, soprattutto, dei Comuni. La preda più facile, nella
caccia all'evasione immobiliare, è rappresentata proprio da quelle
tipologie immobiliari che nei fatti non dovrebbero più esistere:
abitazioni ultrapopolari e rurali, categorie immaginate negli anni Trenta per
case destinate a famiglie operaie e contadine a bassissimo reddito.
Il passaggio del Catasto ai Comuni, fissato al 1° novembre prossimo,
avrà certamente un significato simbolico ed è sicuro che per i
Comuni, più o meno direttamente investiti della gestione,
scatterà la molla dell'impegno all'uso dei dati catastali per la
riorganizzazione dell'imposizione tributaria immobiliare. Nella realtà
gli strumenti ci sono già: con i commi 335 e 336 della Finanziaria 2005
(si veda l'articolo sotto) e la possibilità di accedere gratuitamente
alla banca dati catastale, già effettiva, i Comuni potrebbero partire da
subito a recuperare le quote di evasione Ici. E le sperimentazioni attuate
negli anni passati hanno dato ottimi frutti.
Tuttavia è ragionevole pensare che solo da novembre sarà
immaginabile un'offensiva a largo raggio e, soprattutto, rapida. Una blitzkrieg
per il recupero dell'evasione basata sulle tecnologie informatiche e sulla
telematica che costringerà i contribuenti in malafede o semplicemente
distratti a rientrare nei ranghi già nel 2008.
Il gettito
Si può ipotizzare che il passaggio di categoria conduca a un aumento
delle rendite (non aggiornate) di almeno 313 milioni e che possano così
entrare nelle casse comunali circa 179 milioni di Ici e 26 di Irpef. La
differenza è giustificata dalla massiccia presenza media di abitazioni
principali, sulle quali si applica un'aliquota Ici in genere più bassa e
non si paga del tutto Irpef.
Non solo: a volte il passaggio di categoria crea sì un incremento
dell'Ici ma solo sulla carta, perché la detrazione è talmente alta da
"assorbire" anche gli aumenti. Come nel caso di Napoli (si veda la
tabella a fondo pagina), dove la base imponibie, raddoppia ma, tratandosi di
abitazione principale, la super detrazione di 155 euro azzera comunque
l'imposta.
Le categorie da cambiare
Le unità immobiliari abitative, che con i 541mila uffici abitazioni
arrivano a un totale di 31,2 milioni (il 58% del totale delle unità
immobiliari in Italia), sono divise in dieci categorie, da A/1 (lusso) ad A/11
(case tipiche dei luoghi, come i trulli), passando appunto per gli uffici
(A/10). Si tratta di categorie certo obsolete ma che rispondono a requisiti e
caratteristiche abbastanza precise, che per le A/5 e le A/6 (si veda l'articolo
qui sotto) sono evidentemente inesistenti. Quanti italiani vivono (magari anche
solo occasionalmente) senza bagno in casa? Anche escludendo quelle famiglie che
hanno abbandonato a se stesse alcune vecchie catapecchie rurali destinate ai
braccianti, la stragrande maggioranza di quei 2,2 milioni di unità
è stata rimessa a posto, per abitarci o andarci in vacanza, soprattutto
nei centri medio-grandi.
Ma, naturalmente, se a ricordarsi di procurarsi il titolo abilitativo per fare
i lavori (Dia o concessione) sono stati in molti, pochissimi si sono ricordati
invece di comunicare la variazione al Catasto. Mantenendo così vecchia
categoria e rendita. Insieme, ovviamente, alle vecchie tasse.
Far emergere questa cospicua sacca di evasione non sarà difficile: un'azione
a tappeto dei Comuni, che da novembre consentirà anche di accelerare la
procedura un po' farraginosa della Finanziaria 2005, è facilmente
ipotizzabile. E anche in campagna, pur in assenza di segnalazioni al municipio,
sarà facile recuperare gli immobili che hanno perso i connotati delle
A/6.
Da La Repubblica 22-1-2007 Il settore lusso continua a brillare
M
Luxottica invece
che domani diffonderà i risultati trimestrali beneficia dell'upgrade di
Lehman Brothers (a "overweight" con target a 27 euro) : secondo gli
analisti, il prezzo attuale non riflette le prospettive di crescita del gruppo
veneto ed esistono opportunità di una ulteriore espansione dei margini
nel
E Swatch,
il maggior gruppo mondiale degli orologi, chiude il 2006 con un balzo del 12%
del fatturato, che dovrebbe portare a un utile operativo in aumento oltre la
media, chiudendo il 2006 con "il miglior risultato del gruppo di tutti i
tempi". Il fatturato lordo - si legge in una nota - è salito a
oltre cinque miliardi di franchi svizzeri (3,1 miliardi di euro) dai 4,49
miliardi del 2005, grazie anche alla forte domanda per gli orologi dei marchi
di lusso del gruppo, e cioè Breguet, Blancpain e Omega. Quanto al nuovo
anno, "il consiglio di amministrazione - prosegue la nota - conta che
questa tendenza positiva prosegua anche nel 2007".
22/01/2007 - 16:15
Da Il Sole 24 Ore 22-1-2007 La grande marcia del credito al
consumo - Il Sole 24 Ore di Chiara Bussi
Prosegue la marcia
del credito al consumo in Italia e i numeri lo dimostrano: secondo la prima
edizione dell’Osservatorio McKinsey-Il Sole 24 Ore i volumi supereranno quota
130 miliardi di euro nel 2010, un risultato più che triplicato rispetto
ai 42 miliardi del 1998. Niente a che vedere con la performance della Gran
Bretagna, dove tra tre anni gli stock dovrebbero sfiorare i 340 miliardi, ma la
marcia è innescata. Un Rapporto che uscirà domani, martedì
23 gennaio, in allegato al Sole 24 Ore fornirà una mappa per orientarsi
nella galassia dei prestiti personali.
“Fino a qualche anno fa – spiega Vito Giudici, partner di McKinsey e
responsabile della ricerca sul credito al consumo in Europa – l’indebitamento
in Italia veniva visto come un peccato. Con il passare degli anni queste
resistenze culturali sono state però superate e si è sviluppata
una consapevolezza maggiore dei prodotti offerti”. In base a una recente indagine
realizzata dalla multinazionale della consulenza il 58% dei consumatori del
nostro Paese dichiara di essersi affacciato al settore dei finanziamenti ai
privati. Lo ha fatto, anche in più occasioni, per l’acquisto di
elettrodomestici (39%), dell’auto (35%) e della casa (25%). I dati Assofin lo
confermano: nel 2006 sono stati erogati tra i 52 e i 53 miliardi con un ritmo
di crescita del 12% rispetto al 2005.
A segnare il balzo maggiore da qui al 2010, secondo le stime di McKinsey,
saranno le carte di credito (+21% annuo), seguite dai prestiti personali
(+15%). Non solo. Nei prossimi anni i consumatori italiani si troveranno ad
esplorare nuove frontiere che in altri Paesi sono già una realtà.
Alcuni esempi? La casa, che da classico bene rifugio si trasformerà in
uno strumento di liquidità. In gergo si chiama home equity release e
significa utilizzare l’immobile come garanzia per ottenere finanziamenti. Ma
anche una nuova carta di credito ritagliata su misura con modalità di
pagamento diverse a seconda dell’acquisto effettuato e delle esigenze di
portafoglio.
Il dado, dunque, è tratto e rappresenta “un’opportunità da
cogliere”, aggiunge Giudici, per tutti i giocatori coinvolti. In primo luogo i
consumatori, che diventano sempre più esigenti. Lo prova un’indagine
realizzata da Gfk-EurisKo: il 45% sceglie il finanziamento a rate per
comodità e praticità, perché consente di “non esaurire i
risparmi” e il 37% per convenienza, in particolare se il tasso di interesse
è basso.
L’avanzata in Italia, prosegue l’esperto di McKinsey, andrà di pari
passo con un accesso al credito allargato a fasce della popolazione, come i
lavoratori atipici e gli immigrati, che finora per mancanza di informazioni o
per minori garanzie hanno avuto difficoltà ad affacciarsi su questo settore.
Per le banche, forti di una conoscenza approfondita della clientela, questa
sarà “una grande chance”. Ma solo se sapranno raccogliere la sfida,
offrendo prodotti più innovativi a condizioni convenienti. Anche perché,
stando al sondaggio GfK-Eurisko, senza un finanziamento a rate il 66% degli
intervistati avrebbe rinunciato o rimandato l’acquisto.
Inserimenti del
22-1-2007
Da Libertà del
22-1-2007 Caso Welby, Martini riapre il dibattito
Da Repubblica 22-1-2007
IL SONDAGGIO. I
vecchi? Non esistono più. Adulti si diventa a 35 anni
Da
Il Sole 24 Ore 19-1-2007 Saras,
indagini sulle banche di Monica D'Ascenzo Morya Longo
Da
La Stampa 21/1/2007 (14:37) - LA SENTENZA Stress da giudice di pace. Ministero
condannato
Dal
Corriere della Sera 22-1-2007 Francia: è morto l'Abbè Pierre. Aveva fondato la comunità di Emmaus
L'abate, simbolo del cattolicesimo francese, aveva 94 anni. E'
deceduto all'ospedale Val de Grace di Parigi
PARIGI - È morto l'abate Pierre, simbolo del
cattolicesimo francese. Aveva 94 anni. Il religioso è deceduto durante
la notte nell'ospedale Val de Grace di Parigi dove era ricoverato dallo scorso
15 gennaio, era stato ricoverato per una infezione polmonare. La notizia
è stata diffusa dal Martin Hirsch, presidente di Compagnons d'Emmaus
Francia, l'organizzazione per i poveri e i rifugiati, fondata dall'abate nel
Il suo vero
nome era Henri Groues,
prese gli ordini religiosi nel 1938 e, durante la seconda guerra mondiale,
partecipò alla resistenza francese salvando numerose vite e favorendo la
fuga di ebrei e perseguitati politici verso Svizzera o Algeria.
22 gennaio 2007
Da
Libertà del 22-1-2007 Caso Welby, Martini riapre il dibattito
Per il porporato «non può essere trascurata la
volontà del malato» anche se «l'eutanasia non va in alcun modo
legalizzata». Il cardinale invita il mondo politico a elaborare una legge
CITTÀ DEL VATICANO - Alla vigilia dei suoi 80 anni, il
cardinale Carlo Maria Martini, tra le voci più autorevoli del mondo
cattolico, riflettendo sulla vita e la malattia riapre il dibattito politico
aperto dal caso Welby. E, col suo intervento pubblicato ieri sul Sole 24 Ore,
da malato parkinsoniano che abbisogna di continue cure e terapie per «reggere
alla fatica quotidiana e per prevenire malanni debilitanti», affronta
compiutamente gli interrogativi sul terreno chiarendo che l'eutanasia non va
confusa col rifiuto dell'accanimento terapeutico.
Ma che, tuttavia, c'è l'esigenza di elaborare norme che
consentano di respingere le cure, anche se per stabilire se un intervento
medico è appropriato «non ci sono regole generali e non può
essere trascurata la volontà del malato».
Di casi come quello di Piergiorgio Welby che «con lucidità ha
chiesto la sospensione delle terapie di sostegno respiratorio» per porre fine
alla sua vita saranno «sempre più frequenti» e, di conseguenza, «la
Chiesa stessa dovrà darvi più attenta considerazione pastorale»
sottolinea il cardinale che invita implicitamente il mondo politico ad
elaborare una normativa ma senza «che questo implichi in alcun modo la
legalizzazione dell'eutanasia». Pacate parole che arrivano in cui momento in
cui serpeggiano non pochi timori tra i cattolici per la possibilità che
il testo sul testamento biologico - all'attenzione del Senato - possa fare da
"cavallo di Troia" e consentire l'introduzione dell'eutanasia anche
in Italia. Non è un caso se ieri i rappresentanti di oltre 60
associazioni cattoliche si sono dati appuntamento al Laterano per una
riflessione comune sul tema della cosiddetta 'dolce morte’. Una legge in
materia, riconosce Martini, è una «impresa difficile, ma non
impossibile» e andrebbe portata avanti «guardando più in alto e
più oltre che è possibile per valutare l'insieme della nostra
esistenza e giudicarla alla luce non di criteri puramente terreni bensì
sotto il mistero della misericordia di Dio e della promessa della vita eterna».
Poi il gesuita indica come possibile soluzione il modello francese. Oltralpe si
è trovato un equilibrio se non perfetto, almeno capace di realizzare un
sufficiente consenso in una società pluralista. La legge cui fa
riferimento Martini è stata approvata due anni fa, non legalizza l'eutanasia
ma prevede che le cure mediche non debbano essere protratte «con ostinazione
irragionevole». In pratica una persona in fase terminale può decidere
«di limitare o di interrompere ogni terapia» e può autorizzare la
somministrazione di farmaci contro il dolore, anche se questi possono
accelerarne la morte. L'intervento del cardinale ha riscosso il plauso di
autorevoli esponenti diessini. Primo tra tutti il presidente della Commissione
del Senato, Ignazio Marino: sono «parole di grande saggezza" in cui
"si ritrova pienamente», mentre Cesare Salvi ha parlato di
possibile cooperazione tra cultura laica e liberale quando si confrontano senza
pregiudizi, mentre il ministro Pierluigi Bersani ha invitato l'Italia a
fermarsi per leggere le parole del cardinale. Toni preoccupati, invece, da An. Riccardo
Pedrizzi, responsabile del partito per le politiche della famiglia fa
notare che il pericolo non è costituito dall'«accanimento terapeutico ma
dall'abbandono terapeutico e dall'eutanasia». Intanto il caso Welby fa scuola.
Anche nella cattolicissima Spagna un analogo caso, quello di Meledeine,
è diventato oggetto di una battaglia mediatica prima ancora che politica
- come evidenzia l'Avvenire - tesa ad influenzare la gente e inscenare un
plebiscito a favore dell'eutanasia.
Da
Repubblica 22-1-2007 IL SONDAGGIO. I vecchi? Non esistono più. Adulti si
diventa a 35 anni di Luigi Ceccarini
Indagine Demos-La
Repubblica su gioventù e vecchiaia. Figli e lavoro le tappe
E sopra i 64 solo
la metà si definisce anziano
VIVIAMO in una
società che non vuole invecchiare. Alla quale non piace l'idea che il
tempo passi. Gli italiani tendono a definirsi giovani anche quando sono adulti,
e adulti anche quando sono anziani. Vecchiaia è un termine tabù.
I giovani, coerentemente, spostano in avanti le tappe verso la vita adulta. E
non si distinguono per reclamare uno spazio maggiore nelle posizioni di
responsabilità della società. E' quanto emerge dai risultati
della 12° indagine dell'Osservatorio sul Capitale sociale degli italiani curata
da Demos - COOP, che ha approfondito il significato della giovinezza.
Alcuni dati fanno riflettere. Anzitutto va detto che gli orientamenti rilevati
variano sensibilmente solo in base all'età dei rispondenti, senza
apprezzabili differenze quando vengono considerate altre caratteristiche
sociali.
Solo la metà (54%) di chi ha più di 64 anni si definisce anziano.
Il 41% preferisce dirsi adulto. Quattro su dieci tra coloro che hanno tra 35 e
44 anni si ritengono giovani; evidentemente ai quarantenni non piace crescere.
Allora l'indagine Demos-Coop ha chiesto agli italiani a che età si
diventa adulti. Il dato medio indicato è 35 anni. Ma tanto più si
è avanti con gli anni tanto più questa età di passaggio
aumenta. Per i giovanissimi (15-17 anni) si diventa adulti a 26 anni. Per i
ventenni a 30. Per quarantenni e cinquantenni a 36 anni. Avviene a 40 anni
circa secondo i più anziani. I più giovani tendono a collocare
questo passaggio in avanti nel tempo. Gli altri indietro, ma nelle immediate
"vicinanze", in modo da non vederlo come un momento passato da troppo
tempo.
Ma essere giovani o adulti, come spiegano gli studiosi, non è
semplicemente una questione di età. Contano alcune tappe superate nella
vita: 1) finire gli studi, 2) trovare un lavoro stabile, 3) vivere in una casa
diversa da quella dei genitori, 4) sposarsi o convivere, 5) avere dei figli.
Tutti passaggi che in Italia avvengono sempre più in là nel
tempo. I giovani, quindi, rimangono tali più a lungo. Fatto
comprensibile visto che la gioventù richiama anzitutto la parola
spensieratezza (30%).
Fare un figlio (31%) e trovare un lavoro stabile (26%) sono i due passaggi che
gli italiani più associano al diventare adulti. Ma i rispondenti
valutano questi "riti di passaggio" con occhi diversi. Per i giovani
si diventa adulti anzitutto attraverso la conclusione degli studi e andando a
vivere fuori dalla casa dei genitori. Mirando così ad una maggiore
libertà, che non necessariamente significa indipendenza economica o
autonomia nei lavori domestici. I trentenni, invece, guardano in misura
maggiore alla maternità e alla paternità come momento
fondamentale. I soggetti più anziani riconoscono il lavoro stabile e il
matrimonio come riti di passaggio. Le ragazze tra 18 e 34 anni attribuiscono
più importanza all'uscire di casa e alla maternità (36%). I loro
coetanei ad un lavoro e ad una unione stabile (22%).
Il ruolo dei giovani nella società è un aspetto centrale. Ed
è opinione diffusa che questa generazione dovrebbe avere più
spazio nelle posizioni di responsabilità (il 41% si dice molto e il 47%
abbastanza d'accordo). E' interessante notare che tale orientamento viene
sostenuto con più forza dagli italiani in là con gli anni (che si
vedono ancora giovani). Ci si aspetterebbe, invece, che fossero i diretti interessati
a rivendicare queste maggiori opportunità: i "veri" giovani.
La gioventù di oggi, rispetto a quella del passato, viene vista come
più viziata (95%), con meno certezze (75%), più sola e meno
felice. Resta ampia la componente di coloro che vedono il futuro dei giovani
peggiore, sotto il profilo della posizione sociale ed economica, rispetto alle
opportunità avute dai loro genitori (45%).
Gli stessi punti di riferimento della vita sono molto diversi tra le
generazioni: la religione e la politica contano meno per i giovani. Il lavoro,
l'amore, l'avere figli pesano maggiormente nelle prospettive degli adulti e
degli anziani. Forse, non è solo un effetto legato al ciclo di vita, ma
è anche il segno di trasformazioni più ampie che interessano la
società italiana.
(22 gennaio 2007)
Da
Repubblica 22-1-2007 Il commento. Una
società ferma dove incombe il mito di Faust di ILVO
DIAMANTI
PER accorgersi di quanto siamo invecchiati bisogna uscire dal nostro Paese. Non
è necessario cambiare continente. Basta recarsi ad Est, nei Paesi della
nuova Europa. E guardarsi intorno. Una folla di bimbi. E di giovani
"veri". Allora ci sentiamo vecchi. Altrimenti, chiusi nel nostro
mondo, i criteri per misurare il tempo biografico tendono a sfumare. Si perdono.
Così, si invecchia senza ammetterlo.
Mentre, parallelamente, si "istituzionalizza" la giovinezza, come una
condizione permanente. "Per sempre giovani". Il mito faustiano
incombe. Assai più che una conquista, evoca una minaccia. Peggio: una
condanna. Lo suggerisce l'Osservatorio sul Capitale Sociale di Demos-Coop,
presentato oggi su Repubblica. A un primo sguardo, infatti, colpisce che il 35%
degli italiani, con più di 15 anni, si definiscano
"adolescenti" (5%) oppure "giovani" (30%). Mentre nella
stessa popolazione coloro che hanno meno di trent'anni non superano il 20%.
Peraltro, solo il 15 % si riconosce "anziano". Anche se il 23% della
popolazione ha più di 65 anni.
D'altronde, da noi, quasi nessuno "ammette" la vecchiaia. Che,
secondo il giudizio degli italiani, come mostra un'indagine condotta pochi anni
fa (settembre 2003, Demos-Eurisko), comincerebbe solo dopo gli 80 anni. In
coincidenza con l'aspettativa di vita. In altri termini, in Italia, si
"diventa" vecchi solo dopo la morte.
Gli italiani. La gioventù, secondo loro, finisce dopo i 35 anni.
Però, più invecchiano e più si sentono (e si dicono)
giovani. La giovinezza, infatti, per coloro che hanno più di 45 anni,
finisce a 40 anni. D'altra parte, non si percepiscono più le fratture
chiare di un tempo, quando i cicli di vita erano separati nettamente da riti di
passaggio condivisi. Il matrimonio, il lavoro, l'autonomia residenziale.
Perlopiù, coincidevano.
Perché occorreva avere un lavoro, per potersi permettere una famiglia e una
casa. Crescere, superare la soglia della giovinezza: costava sacrifici e
conflitti. Perché significava "liberarsi", guadagnarsi l'autonomia;
anzitutto dai più anziani. I padri, i nonni.
Per contrasto con il presente, rammentiamo una ricerca condotta nel
D: Come ti trovi in famiglia? R: Male. D: Come ti trovi con tuo padre. R: Bene.
D: Con i fratelli? R: Bene (la madre e le sorelle non erano considerate;
contavano ancora poco e non minacciavano l'"integrazione" sociale).
D: Problemi? R: Io e la mia famiglia, desideriamo immensamente dividerci e
stabilirci con la nostra famiglia per conto nostro ma non possiamo, perché il
nonno ci costringe a vivere tutti insieme, per via della campagna. D: Come
pensi di migliorare i problemi familiari? R: Aspetto che muoia il nonno.
Sono passati oltre cinquant'anni, da allora. Oggi, i nonni possono vivere
tranquilli; come i genitori; perché i figli non hanno intenzione di andarsene
da casa anzitempo. Solo l'12% degli italiani, infatti, pensa che il passaggio
alla vita adulta avvenga quando si va a vivere "in una casa diversa da
quella dei genitori". Mentre per il 20% coincide con il "matrimonio o
con la convivenza stabile". Per diventare adulti contano di più il
lavoro stabile (26%) e, soprattutto, la nascita di un figlio (31%). D'altronde,
tanto il lavoro stabile quanto la nascita di un figlio appaiono, entrambi,
eventi rari.
Sembra quasi che la società si sia predisposta a un destino di
precarietà lunga e indefinita. Che non riguarda più un passaggio
specifico della vita. La gioventù come fase di apprendimento, durante la
quale è normale "provare". Sospesa fra anticipazione del
futuro e ancoraggio al presente. E' difficile immaginarla ancora così,
visto che l'instabilità è divenuta regola. Mancano riferimenti di
valore. Autorità dotate di autorità. Il lavoro, le relazioni, gli
affetti. Sono instabili un po' per tutti.
Se l'incertezza è la prerogativa della gioventù, insomma, oggi
siamo tutti giovani. D'altra parte le mode, gli stili di vita, mimano la
giovinezza eterna. L'abbigliamento giovane, la musica giovane. E poi i
trapianti tricologici, i trattamenti estetici, il fitness a ogni costo e a ogni
età, il botulino per tutti, il lifting e la liposuzione. Per combattere
l'età, fermare il tempo (Berlusconi docet).
Così, non dobbiamo sorprenderci troppo se l'87% degli italiani condivide
l'affermazione che nel nostro Paese "i giovani dovrebbero avere più
spazio nelle posizioni di responsabilità". Gli italiani invocano
maggiore spazio per i giovani perché si sentono tutti giovani.
D'altronde, lo specchio offerto dalle figure più rappresentative, in
Italia, riflette l'immagine di un Paese in cui il tempo si è fermato.
Per assurgere alla carica di Presidente della Repubblica occorre avere almeno
80 anni; dieci di meno per guidare il governo oppure l'opposizione. E i
"delfini", le "eterne promesse" che premono, per
rimpiazzare Prodi e Berlusconi, hanno l'età di Blair. Oggi, che è
a fine corsa. Lo stesso vale per i posti di maggior potere: nell'editoria,
nella finanza, nelle organizzazioni economiche.
All'Università. Dove, mediamente, i ricercatori hanno più di quarant'anni
e i professori ordinari circa sessanta. Questa è l'immagine riflessa
dallo specchio "pubblico". E suscita la sensazione, insopprimibile,
di un Paese dove si diventa adulti sempre più tardi. Ma non si
invecchia. Perché non c'è ricambio. Circolazione sociale. Perché sono
invecchiati tutti. Tutti quelli che contano, che fanno opinione. Quelli che
decidono.
Paradossalmente, ma non troppo, in questa società, protesa all'eterna
giovinezza, si assiste alla progressiva eclissi dei "giovani" veri,
anagraficamente (fra 15 e 24 anni). Osservati, dagli adulti, con un misto di
apprensione e malcelato fastidio. Ritenuti, rispetto al passato, più
incerti, infelici. Più soli. Ma anche più viziati. Le parole
maggiormente usate per definirli (catalogate e analizzate da Natascia
Porcellato, di Demos), dalle persone intervistate in questo sondaggio, evocano
una generazione "spensierata" e "irresponsabile".
Probabilmente: spensierata perché irresponsabile. Visto che larga parte degli
italiani pensa che i figli non riusciranno a mantenere la posizione sociale
raggiunta dai genitori. I più convinti, al proposito, sono proprio i
genitori.
La nostra società, in altri termini, soffre di una sindrome da eterno
presente. Guarda con nostalgia il passato e con paura il futuro. Per cui sta
ferma. Impiantata nell'immediato, che dilata all'infinito. Gli adulti, gli
anziani: scacciano dal proprio orizzonte i "giovani più
giovani", perché ne hanno paura. In quanto rammentano loro quanto siano
(siamo) divenuti vecchi. I giovani più giovani. Costretti ai margini.
Precari. Ma, al tempo stesso, protetti. In libertà vigilata. Perché
viaggiano spesso, studiano lontano da casa. Ma poi ritornano. Controllati, a
ogni passo, complici i telefonini. Ostaggi di un presente senza certezze. Salvo
il fatto che non ci sono certezze, per loro. E non possono neppure augurarsi -
come quel contadino ventunenne di Vicenza, cinquant'anni fa- la morte del
nonno, per liberarsi. Perché i nonni, per fortuna, vivono sempre più a
lungo. Sempre più soli. E non tengono prigioniero nessuno. Perché loro,
i giovani, sono coccolati come ninnoli. Protetti e controllati. Si libereranno
quando avranno raggiunto l'età dei loro genitori. Quando saranno troppo
vecchi per accettare di essere invecchiati.
(22 gennaio 2007)
Da
Il Sole 24 Ore 19-1-2007 Saras,
indagini sulle banche di Monica D'Ascenzo Morya Longo
«Sussiste il
sospetto che tra gli operatori istituzionali alcuno possa avere agito in
conflitto d'interesse,concorrendo a valutare il titolo ad un prezzo incompatibile
con l'operatività di Borsa successivamente svolta». È racchiuso
in questa frase del decreto con cui la Guardia di finanza ha perquisito gli
uffici di Saras, Jp Morgan e Caboto, il senso di un'indagine ancora agli
albori. Gli inquirenti, coordinati dal sostituto procuratore Luigi Orsi, stanno
cercando di capire se le banche d'affari abbiano operato contemporaneamente su
due fronti in conflitto d'interessi: da un lato coordinando l'offerta sul
mercato delle azioni Saras e supportando la società nel fissare il
prezzo dell'Ipo; dall'altro operando direttamente sul mercato sui titoli della
stessa Saras. La duplice attività da parte delle banche non rappresenta
in sé un reato, ma gli inquirenti sospettano che alcune di queste operazioni
sul mercato possano non essere del tutto limpide. Per ora, però,
è solo un sospetto: le indagini sono appena iniziate.
Il faro degli inquirenti sta cercando di illuminare le prime sedute di
contrattazione del titolo Saras, società petrolifera controllata al
62,46% dalla famiglia Moratti. Il prezzo dell'offerta venne stabilito il 13
maggio a 6 euro per azione,che secondo diversi analisti rifletteva una
valutazione della società a multipli paragonabili a quelli di
concorrenti a livello europeo. Il debutto in borsa avvenne cinque giorni dopo,
periodo durante il quale il mercato subì una forte correzione: quando il
18 maggio Saras sbarcò a Piazza Affari le azioni lasciarono dunque sul
terreno il 13% in un'unica seduta. Impressionanti anche i volumi: passarono di
mano quasi 125 milioni di azioni, pari al 35% del flottante. Il ribasso, poi,
continuò nelle sedute successive, lasciando molti investitori (e
risparmiatori) con parecchio amaro inbocca.Dal debutto alla chiusura di ieriil
saldo per Saras è negativo per il 35,22 per cento. Forse è per
questo che alcuni risparmiatori hanno deciso di presentare esposti sia alla
Consob, sia alla magistratura. E se la Commissione,dopo aver esaminato i
movimenti di Borsa, ha deciso di archiviare la pratica, la magistratura ha
deciso di andare avanti.
L'operatività sul titolo in quei giorni fu davvero enorme. Anzi
iniziò addirittura prima della quotazione sul mercato grigio, dove il
titolo chiuse il 17 maggio a 6,3 euro per azione.Alcuni operatori di Borsa
ipotizzano inoltre che nei primi giorni di contrattazione gli hedge fund
abbiano operato con particolare intensità nelle vendite allo scoperto.
Si tratta della cessione di azioni di cui non si è in
possesso,chiedendole in prestito a fronte di un tasso d'interesse. L'azionista
di riferimento della Saras ha però negato ieri di aver mai prestato
titoli per questo tipo di operazioni.Un'altro tema di cui si discute nelle sale
operative è quello della greenshoe: si tratta di un'opzione che permette
a una società appena sbarcata in Borsa di aumentare l'offerta di azioni
in modo da soddisfare l'eccesso di domanda degli investitori. Nel caso della
Saras questa opzione non fu esercitata,dato che iltitolo crollò subito
dopo il debutto, ma ititoli furono usati per sostenere le quotazioni come
previsto anche nel prospetto informativo, spiega la società.
Dai primi accertamenti emergerebbe che almeno una banca, di quelle che hanno
collocato le azioni, avrebbe poi operato sul mercato sullo stesso titolo. Le
perquisizioni, eseguite dagli ufficiali di polizia giudiziaria del nucleo di
polizia tributaria della guardia di finanza di Milano e della sezione
diP.G.,hanno portato al sequestro tra mercoledìe giovedì di
numerosi documenti e materiali informatici: documentazione relativa all'Ipo e
alle operazioni sul mercato, email e registrazioni telefoniche (di prassi nelle
sale operative). In particolare a Saras sono state copiate dal server le
comunicazioni via mail di una quindicina di manager a partire dal gennaio
2000.Il titolo Saras,dopo un tonfo del 2% inapertura, ha recuperato fino a un +
0,77%per chiudere praticamente in parità a 3,887 euro per azione
(0,15%).
Da
La Stampa 21/1/2007 (14:37) - LA SENTENZA Stress da giudice di pace. Ministero
condannato
Il contenzioso nasce nel 2005 contro "l'inefficenza del
sistema giudiziario caratterizzato dalle violazioni del diritto di difesa"
NAPOLI
Cento euro per ciascuno degli ottanta avvocati napoletani che lo hanno citato
in giudizio. È quanto deve il ministero della Giustizia secondo una
sentenza emessa dal giudice di Pace partenopeo della Prima Sezione civile
Renato Marzano.
Il contenzioso nasce da una causa promossa dall’avvocato Angelo Pisani, alla
quale poi si sono accodati altri suoi colleghi iniziata il 28 ottobre del 2005
contro «l’inefficiente sistema giudiziario napoletano caratterizzato da gravi e
ingiustificati disagi, gravi violazioni del diritto di difesa, delle regole
processuali come illegittimi ed inspiegabili rinvii delle prime udienze, lunghe
file per la verifica dell’assegnazione delle cause, ingiusticate condizioni di
lavoro, inspiegabili ritardi anche di otto/nove mesi per il rilascio di copie
esecutive di sentenze relative a procedimenti tenuti presso l’ufficio del
giudice di Pace».
Come sottolineato da un servizio di Sky Tg24, il giudice di Pace Marzano ha
dato ragione agli avvocati partenopei, condannando il ministero ad una equa
riparazione dei «danni esistenziali conseguenti allo stress derivante dai
disagi subiti» quantificati in cento euro ciascuno, attribuendo anche al dicastero
il pagamento delle spese di giudizio liquidate in 70 euro per le spese, 125
euro per i diritti, 75 per gli onorari oltre l’Iva, il 12,50% a titolo di
rimborso spese generali. Il giudice di Pace ha però accolto solo in
parte le richieste dei legali, che avanzavano anche l’ipotesi di una
applicazione della legge Pinto, individuando anche gli elementi per ritenere di
dover essere risarciti per una ingiustificata durata dei processi.
Nei motivi della decisione, Marzano rileva, tra l’altro, «l’avvocatura dello
Stato ha provveduto unicamente a costituirsi in giudizio, mediante deposito in
cancelleria della comparsa di costituzione e del fascicolo di parte, ma non ha
mai partecipato ad alcuna udienza».
Tutti i testi hanno riferito al giudice di Pace che mentre sino a qualche tempo
fa una causa iscritta a ruolo veniva chiamata dopo sette giorni rispetto la
data indicata in citazione, questo termine nel tempo si è dilatato fino
ad arrivare a 60 giorni; senza contare le file lunghissime, per circa una ora,
per iscrivere una causa a ruolo, e i quattro mesi che occorrono per ottenere
copie urgenti di una sentenza, pagando il triplo dei diritti previsti, mentre
per le vie ordinarie ci vogliono anche 12 mesi per quelle stesse copie. Una
situazione per la quale gli avvocati si trovano coinvolti in discussioni
continue con i loro clienti esasperati; da qui lo stress.
Il
Sole 24 Ore 17-1-
La Russia non sfugge alla regola universale, secondo cui l’inizio dell’anno
coincide con aumenti di prezzi e soprattutto di tariffe per servizi pubblici.
Dal primo gennaio, infatti, sono aumentate le tariffe che colpiscono le fasce
di popolazione a reddito medio-basso e basso della popolazione. I trasporti, ad
esempio. A Mosca sono aumentati i trasporti pubblici, a partire dal metro, il
mezzo più efficiente e amato dai cittadini della capitale (specie ora
che il traffico su superficie è diventato impossibile per i frequentissimi
imbottigliamenti e le code di ore).
Ancora più forti i salassi annunciati nel complesso abitativo pubblico
(comunale: ZhKKh). Aumenteranno gli affitti con i relativi servizi
(riscaldamento, elettricità, gas, acqua calda e fredda, ascensore,
rifiuti, riparazioni), calcolati al metro quadrato di superficie occupata.
Costeranno il 20% in più quest’anno, rispetto al 2006, anno in cui la
crescita complessiva di quei costi si erano aggirati tra il 26 e il 37%
rispetto al 2005, anno d’inizio di una corsa al rialzo che ha suscitato non
poche proteste (spontanee o organizzate dal Partito comunista).
Si registrano aumenti dei prodotti alimentari. Nonostante sia partito il
programma di bonifica dei mercati generali delle grandi città, deciso da
Putin nei mesi scorsi. Mercati sottoposti a controlli mafiosi ed etnicamente
caratterizzati, che portano – grazie anche alla corruzione del funzionariato
pubblico del settore – a vere e proprie forme di monopolio, eliminando la
concorrenza.
Inflazione – previsioni
Nei primi nove giorni dell’anno – secondo dati resi noti dal Servizio federale
di statistica lo scorso 16 gennaio – il tasso di inflazione è stato
dell’1%, ovvero 12,5% proiettato sul piano annuale.
Addirittura, secondo le previsioni del ministero delle Finanze, l’incremento per
l’intero mese di gennaio potrebbe essere del 2,2%, poco meno di quello che si
registrò nel gennaio 2006 di 2,4%.
Il fatto preoccupa il ministro delle Finanze Kudrin, che alla fine dell’anno ha
dovuto rendere conto a Putin di un tasso d’inflazione del 9% nel 2006 , a
fronte di obiettivi prefissati del 7-8%.
Anche per quest’anno, il tetto è stato fissato al 7-8%, anche se al
ministero delle Finanze e dell’economia – guidati rispettivamente dai ministri
Kudrin e Gref, in fama di liberali monetaristi sacrificati sull’altare del
dirigismo e della politica di spesa promossa da Putin – si vagheggia di portare
l’inflazione ai “tassi civilizzati” del 3-4% annui.
Il timore che il 2007 possa portare ad un ulteriore “schizzo” dell’inflazione
(cioè oltre il 9% registrato per il 2006) ha spinto il ministro delle
finanze Kudrin a presentare al premier Fradkov un documento dal titolo “Analisi
della situazione nella sfera monetario-creditizia nel 2006 e misure aggiuntive
per diminuire i tassi di crescita dell’offerta di moneta nel
Rimedi contro l’inflazione
Si tratta di un documento che il “Minifin” ha elaborato insieme al Ministero
dell’Economia e alla Banca centrale, di cui ha anticipato i contenuti
l’autorevole quotidiano moscovita “Kommersant” (16 gennaio).
L’affermazione principale e categorica del documento è che il governo
deve operare, assieme alla Banca centrale, perché nel 2007 il tasso
d’inflazione non superi il 7-8%.
Nel corso degli ultimi anni – riassume il documento, secondo “Kommersant” – la
crescita dell’offerta di moneta in Russia è stata prevalentemente legata
al grande afflusso di valuta forte nel Paese a sua volta provocata dalle
entrate derivanti dall’export delle materie prime, segnatamente gas e petrolio.
Così è stato fino a tutto il 2005.
Grazie a questo la Banca centrale ha accresciuto ulteriormente le riserve
aureovalutarie e ha accresciuto l’emissione di rubli. Nel 2006 si è
registrato un fenomeno nuovo: un grande afflusso di investimenti di capitali
(IDE), pari a 41,6 miliardi di dollari. Si tratta di ben 40 miliardi in
più rispetto al 2005.
E questo è avvenuto quando, stando a recentissimi dati di Banca
centrale, si è registrato (2006) un saldo attivo della bilancia
commerciale di 95,6 miliardi di dollari.
Il budget e il Fondo di stabilizzazione - voluto da Putin pochi anni fa per
destinarvi una quota delle entrate “aggiuntive” dell’export energetico,
favorite dall’alto regime dei prezzi correnti sui mercati internazionali - sono
stati finora gli strumenti in mano al ministero delle Finanze per controllare e
limitare l’offerta di moneta e conseguentemente l’inflazione.
Ora – sostiene il documento - Banca centrale deve attivarsi in materia di
controllo della massa monetaria più di quanto ha fatto in passato. Per
questo deve incrementare l’uso di strumenti, come l’emissione di nuove
obbligazioni a scadenza annuale e dei titoli semestrali.
Il governo dovrà avere un comportamento virtuoso. Mikhajl Fradkov – che
ne è il capo - deve innanzi tutto impegnarsi a non sfondare i tetti di
spesi fissati dal budget 2007.
Così non avvenne l’anno scorso, quando si incrementarono come mai prima,
oltre alle spese per la difesa, quelle sociali – sanità, istruzione,
edilizia abitativa, aumenti di pensioni e stipendi per i bjudzhetniki, ovvero
pubblici dipendenti – in particolare insegnanti, personale medico e paramedico.
Poi entra in ballo Gazprom. Il monopolio, divenuto il protagonista della
strategia internazionale di Mosca, viene sollecitato a destinare i “profitti
aggiuntivi” realizzati nel 2006 (grazie all’ incremento dell’export del gas e
dei suoi prezzi sul mercato estero) al pagamento dei debiti contratti con
banche estere, piuttosto che a insistere nella sua politica di continue nuove
acquisizioni (recentissime sono le sue richieste di prestiti per acquisire il
contrastatissimo controllo del progetto Sakhalin-
Il documento riflette implicitamente le tensioni nel governo, e tra alcuni dei
ministeri chiave con il Cremlino e il suo entourage di “energetici”. E’
arcinoto che né Gref né Kudrin hanno simpatia per la strategia di Gazprom e
più in generale con l’incremento delle spesa pubblica.
Tuttavia, non solo gli indirizzi liberal-monetaristi e antiinflazione di
Kudrin-Gref, ma anche la politica di Putin di creazione del Fondo di
stabilizzazione e dei rimborsi largamente anticipati al Club di Parigi, sono
criticati duramente da noti e influenti economisti sia dell’Accademia delle
scienze, sia tra quelli politicamente attivi come Sergej Glazev.
Essi danno un altro tipo di allarme. Non sono i tassi più o meno
crescenti di inflazione il maggior pericolo che incombe sulla Russia, ma il
ritardo che essa continua ad accumulare in quei settori che hanno determinato e
determinano la crescita delle grandi nuove realtà economiche mondiali,
come Sud Corea, Cina e ora anche l’India. Quello delle alte tecnologie e
dell’innovazione.
La forte crescita russa degli ultimi anni non deve trarre in inganno – essi
affermano. Essa è legata al settore delle materie prime e alla
congiuntura internazionale dei loro prezzi. Ma l’industria in generale non
dà segni di crescita. Non cresce perché non si investe nell’innovazione.
E non innova perché non le si destinano i capitali necessari per farla decollare.
Così, la Russia non profitta della congiuntura favorevole per
reinvestire i superprofitti dalle materie prime nell’innovazione. Preferisce
“sterilizzarli”, “congelarli” nello Stabfond (il Fondi di stabilizzazione
voluto da Putin) e in politiche monetariste che alla fin fine condannano la
Russia – secondo Glazev - ad avere un ruolo complessivamente secondario e
marginale nell’economia globalizzata. E finita la stagione delle vacche grasse
per greggio e gas , i ritmi di crescita potrebbero cadere. Rovinosamente.
17 gennaio 2007
Da agi.it
(21-1-2007) Turismo: Enit, Aumentano Gli Stranieri Che Scelgono L'italia
Dal
quotidiano.net (20-1-2007) Sanità Usa: iniziativa privata allo sbaraglio
di Domenico Maceri
Da
Repubblica 19-1-2007 Freno agli assegni trasferibili con il decreto antiriciclaggio
Da agi.it (21-1-2007) Turismo: Enit, aumentano
gli stranieri che scelgono l'Italia
(
Nella quinta riunione di ieri del CdA - ha informato Paolucci - sono
state poste le basi per la definizione delle Linee strategiche dell'Agenzia per
il 2007, rimodulate sulla base dei nuovi stanziamenti previsti dalla
Finanziaria per l'Agenzia, mirate al raggiungimento di una piu' incisiva
penetrazione sul mercato mondiale dei viaggi. Cercheremo di modificare la
visibilita' dell'Italia con strumenti nuovi, come i blog, i motori di ricerca,
sui quali faremo in maniera di essere identificati, creeremo fenomeni virali
positivi, come insegna il mondo di internet e della comunicazione globale.
Proseguiremo a ritmo serrato le riunioni dei tavoli di lavoro, ha
continuato Paolucci, per la definizione dello Statuto e del Regolamento di
Organizzazione. Gia' dalla prossima riunione del Consiglio, programmata per il
15 febbraio prossimo, potra' scaturire un documento condiviso e partecipato da
tutti gli attori del turismo, che ridisegnera' la mappa dell'Agenzia e dei suoi
uffici all'estero.
Dal quotidiano.net (20-1-2007) Sanità
Usa: iniziativa privata allo sbaraglio.
di Domenico Maceri
Il capitalismo ha creato il benessere in molti paesi del mondo
soprattutto nell’occidente ma quando si tratta di sanità negli Stati
Uniti il risultato è completamente diverso.
Si calcola che 47 milioni di americani non abbiano diritto alla sanità
che negli Stati Uniti è in gran parte dominata dalle assicurazioni
private la cui ragione di essere è il profitto. Dove non ci sono
guadagni le grandi compagnie di assicurazioni stanno alla larga. Ma dati gli
aumenti esorbitanti per coloro che hanno l’assicurazione medica si sta
incominciando a parlare seriamente del sistema euro-canadese in cui il governo
ha un ruolo centrale. Si comincia dunque a considerare un sistema che abbandoni
i profitti e veda nella sanità il diritto di ogni cittadino come lo
è negli altri paesi industrializzati.
Ma la ristrutturazione del sistema sanitario in Usa non sarà facile
perché le lobbies delle assicurazioni sono molto potenti. Ciononostante la
situazione è così drammatica che qualcosa si farà per la
solita motivazione principale del capitalismo—i profitti.
Gli alti aumenti dell’assicurazione hanno cominciato ad avere un impatto nelle
grosse aziende le quali tradizionalmente hanno pagato il costo della
sanità per i loro lavoratori. Secondo alcuni studi i continui aumenti
delle spese sanitarie eliminerebbero i profitti per tutte le ditte entro il
2008.
Nonostante gli aumenti dei costi i risultati qualitativi non sono
incoraggianti. Un articolo del New York Times ha fatto una comparazione delle
spese sanitarie degli Stati Uniti con quelle del Canada, la Francia,
l’Australia e la Gran Bretagna usando dati della Organization for Economic
Cooperation and Development. Gli Stati Uniti spendono 6,102 dollari all’anno
per ogni cittadino, il doppio degli altri paesi nello studio. Si crederebbe che
i benefici della salute sarebbero superiori considerando la spesa ma ciò
non è vero. La mortalità dei neonati in America è la
più alta nei paesi in considerazione (6,9 per 1.000 nascite in Usa,
Dove vanno i soldi spesi? In parte per pagare le cure dei 47 milioni senza
assicurazione i quali usano il pronto soccorso quando sono gravemente malati e
non possono essere rifiutati. Ma una buona parte è assorbita dalle spese
burocratiche dato che ogni assicurazione ha i suoi moduli da riempire e
naturalmente il personale per sbrigare tutte queste carte. Si calcola che il
31% della spesa sanitaria in America è costituita dalla spese
burocratiche. Si calcola anche che se invece di tante assicurazioni ci fosse
solamente un’agenzia incaricata di pagare le spese si risparmierebbe abbastanza
da potere assicurare i 47 milioni che ora fanno senza.
La combinazione del costo della sanità per le ditte e per gli americani
già assicurati spingerà la mano dei politici ad agire. Arnold
Schwarzenegger, governatore della California, ha introdotto una proposta che
richiederebbe a tutti i residenti dello stato di comprare l’assicurazione
medica. La proposta segue ciò che è avvenuto già nello
stato del Massachusetts. Al livello nazionale il terreno è già
spianato dal fatto che le elezioni di midterm del novembre scorso hanno dato il
controllo del potere legislativo ai democratici (il centrosinistra). Alcuni
candidati presidenziali come John Edwards si sono già schierati a favore
della sanità per tutti gli americani.
Ma i cambiamenti necessari per spostarsi a un sistema che assicuri tutti non
saranno facili. Le assicurazioni sono molto potenti e nonostante il fatto che i
repubblicani, i loro alleati naturali, abbiano perduto il controllo del potere
legislativo, continuano ad avere un forte alleato alla Casa Bianca. I
democratici dovranno approvare leggi con due terzi dei voti per evitare che
Bush le blocchi per mezzo del suo veto. Inoltre in America si crede che
l’iniziativa privata possa fare qualunque cosa meglio del governo. Quindi ogni
programma governativo è presto etichettato “socialista” e perde spesso
l’appoggio dei cittadini. È successo con Hillary Clinton negli anni
novanta quando la allora first lady propose un sistema di sanità per
tutti gli americani. Le lobbies delle assicurazioni la massacrarono e la
proposta non andò in porto.
Ma naturalmente le cose sono diverse adesso. Dopo una dozzina di anni di
governo repubblicano fra potere legislativo e esecutivo e il disastro della
guerra in Iraq, gli americani, o almeno una maggioranza di loro, avranno capito
che il governo non è il loro nemico. Nella questione della sanità
il governo potrebbe essere non il salvatore ma almeno la soluzione come lo è
in altri paesi industrializzati.
Dal Corriere della Sera (20-1-2007) Hillary
scende in campo: «Corro per vincere»«Solo un nuovo presidente potrà
riportare speranza e ottimismo»
La moglie di Bill
Clinton annuncia ufficialmente la sua candidatura alle primarie in vista delle
presidenziali: «Bisogna cacciare Bush»
WASHINGTON (Stati
Uniti) - «Solo un nuovo presidente può riguadagnare la posizione
dell'America come leader rispettato nel mondo»: così Hillary Clinton,
con un video-annuncio sul suo sito Internet ufficiale, ha formalizzato la
propria candidatura alla Casa Bianca.
«CORRO PER
VINCERE» - «Sono in corsa per vincere», ha affermato la Clinton, in un
messaggio affidato al sito HillaryClinton.com, promettendo di cambiare il
paese dopo «sei anni di fallimenti dell' amministrazione Bush».
COMITATO E FONDI -
La Clinton ha annunciato la formazione di un comitato esplorativo, un passo che
le permette ora di raccogliere formalmente fondi elettorali e aprire uffici
negli stati-chiave delle elezioni 2008. «Come senatore - ha detto la Clinton
nel suo annuncio - trascorrerò i prossimi due anni a fare tutto
ciò che posso per limitare i danni che George W.Bush può fare. Ma
solo un nuovo presidente potrà smontare gli errori di Bush e riportare
speranza e ottimismo». Seduta su un divano a fiori, in un ambiente domestico
accuratamente studiato dai suoi strateghi elettorali, la Clinton nel video ha
esortato gli americani a unirsi alla sua campagna «per una conversazione sul
futuro del nostro paese».
DIALOGO ONLINE -
Seguendo lo stesso metodo di campagna basata sul dialogo con cui sei anni fa
persuase a votarla gli elettori dello Stato di New York, Hillary Clinton invita
ad aprire un dibattito con lei sui maggiori temi - salute, sicurezza sociale,
assicurazione malattia, la guerra in Iraq - in vista del voto. «Non sto solo
varando una campagna, sto cominciando una conversazione con voi, con l’America
- afferma nel messaggio -. Parliamone. Chiacchieriamone. Le conversazioni a
Washington finora sono state alquanto unilaterali, non vi pare?».
CHAT CON GLI
ELETTORI - Da lunedì, la senatrice progetta di aprire delle chat online
con i potenziali elettori. A cui si rivolge con un accorato appello via
Internet: «Andiamo a lavorare. Il futuro dell’America ci chiama». L’annuncio
della senatrice segue di pochi giorni quello del senatore Barack Obama. Nelle
fila dei democratici così si preparano le candidature della prima donna
e del primo afro americano. Assieme all’ex candidato vicepresidente John
Edwards, Clinton e Obama sono i favoriti per la candidatura democratica. Come
ousider però è interessante la candidatura del governatore del
New Mexico, Bill Richardson, che dovrebbe annunciare domani i suoi piani, e che
sarebbe il primo ispanico a candidarsi.
GLI APPOGGI -
Hillary Rodham Clinton ha dalla sua una vastissima rete di sostenitori,
l’influenza del marito, milioni di dollari in banca pronti per la campagna, e
quasi tutti i sondaggi fra gli elettori democratici che la danno in testa. Per
lei, del resto, candidarsi era possibile solo avendo buone opportunità
di vittoria. E’ la prima donna, ma anche la prima ex first lady a cercare di
rientrare alla Casa Bianca da protagonista. Bill Clinton fu presidente dal 1993
al 2001.
20 gennaio 2007
Da Repubblica 19-1-2007 Freno agli assegni
trasferibili con il decreto antiriciclaggio
ROMA - Gli assegni
non trasferibili, quelli che non prevedono la girata, sono destinati a
diventare la norma. Il ministero del Tesoro, sotto la spinta del Comitato
antiriciclaggio, sta preparando un decreto legislativo che dovrebbe capovolgere
quello che fino a oggi è stato un uso delle aziende di credito: la
consegna di assegni trasferibili, che tramite una serie di "girate"
possono passare di mano in mano. Chi ha un conto in banca e va a chiedere un
nuovo libretto di solito riceve dal cassiere una mazzetta di assegni che
possono essere girati ad altri come mezzo di pagamento. Sul titolo non
c'è nessuna dicitura che recita "non trasferibile". C'è
solo uno spazio, di solito in alto a destra, dove il titolare del conto, una
volta firmato l'assegno, può aggiungere a mano la "non
trasferibilità". Sia chiaro, è un uso. Chiunque può
chiedere un libretto di assegni con scritto "non trasferibile" alla
propria banca.
Il decreto legislativo ribalterà la consuetudine delle aziende di
credito: la norma per il cliente sarà ricevere assegni "non
trasferibili" e solo dietro specifica richiesta il titolare del conto
potrà disporre di assegni "girabili". Proprio quelli di cui i
commercianti fanno grande uso: con l'assegno che gli dà il cliente ci
pagano in genere il fornitore. Ma non è una questione di fisco,
tant'è che la norma riguarda l'antiriciclaggio e il ministero del
Tesoro, non l'evasione né il fisco. Già oggi d'altra parte non è
possibile usare un assegno "girabile" per importi che superino i
12.500 euro, come non si possono usare contanti o titoli al portatore.
Non solo. È possibile che la norma passi anche con un piccolo prezzo da
pagare per il cliente bancario: chi vuole assegni "girabili" non solo
deve chiederlo espressamente alla banca (perché al contrario varrà la
regola del silenzio assenso), ma è possibile che sarà costretto a
pagarli qualcosa.
L'Abi, l'associazione delle banche italiane, dice di non saperne nulla del
progetto, ma per i banchieri l'assegno è in realtà uno strumento
di pagamento in via di estinzione (man mano che si fanno strada bonifici e
pagamenti elettronici che saranno il futuro nel mercato unico integrato). La
Banca d'Italia s'è detta d'accordo.
D'altra parte la norma ha il preciso obiettivo di rendere ancora più
stringente la normativa antiriciclaggio, di riuscire a capire in modo veloce e
agevole dove vanno a finire i soldi. Compito difficile quando si ha in mano un
titolo di credito, com'è un assegno, dove le girate sono innumerevoli, e
dove spesso, a malapena, si riescono a identificare solo il traente e il
beneficiario finale. Le innumerevoli sigle sul retro spesso rimangono
sconosciute e gli organi investigativi fanno fatica a ricostruire le strade che
hanno preso i soldi.
Piccola Rassegna del
20-1-2007
INDICE
Da La Stampa
19-1-2007 Al via le città metropolitane
Da La Stampa
19/1/2007 (13:47) Turchia, ucciso giornalista armeno
LIBERTA'
di sabato 20 gennaio 2007 Lotta al riciclaggio del denaroAssegni trasferibili
verso il tramonto
M
Questo sistema rende difficile la tracciabilità del denaro (non sempre
le firme sono leggibili). Il governo, è vero, vuole combattere l'evasione
fiscale eliminando (quasi) tutti i pagamenti per contanti, ma questo degli
assegni è un caso diverso.
Qui non c'entra l'evasione di tasse e imposte, ma c'entrano le nuove normative
europee in tema di riciclaggio del denaro. E' evidente che gli assegni che
passano di mano "per girata" possono rappresentare un pericolo. Di
qui la decisione di sostituirli con assegni "non trasferibili".
Attualmente sull'assegno c'è uno spazio dove, chi lo emette, può
scrivere la dicitura "non trasferibile". Invece, per il futuro, le
situazione dovrebbe ribaltarsi: gli assegni delle banche sarebbero tutti
"non trasferibili" mentre quelli che si potranno ancora
"girare" dovranno essere richiesti esplicitamente agli istituti di
credito.
«Intendo mettere a punto al meglio la normativa - dice il sottosegretario al
tesoro, Mario Lettieri - e sto pensando a un gruppo di lavoro per rendere
più organica la disciplina, vedere quali adempimenti sono necessari e
quali, invece, sono inutili a carico dei professionisti».
Lo stesso Lettieri, al contrario di quanto si era saputo ieri, ha assicurato
che nulla è stato deciso circa su un'eventuale "tassa" che
verrebbe messa sugli assegni trasferibili. «Non c'è nulla di deciso,
anche perchè la materia è delicata e va concordata con l'Ufficio
italiano cambi e la Banca d'Italia», dice il sottosegretario.
L'Abi (l'Associazione delle banche italiane) dice di essere all'oscuro di
questo progetto ma da diverso tempo auspica una riduzione del numero degli
assegni circolanti in Italia a favore della moneta elettronica.
In base ai dati di Bankitalia, nel nostro Paese gli assegni usati nel 2005 sono
stati circa 500 mila, con un calo del 5,13% (sul 2004) per un ammontare di
oltre un miliardo di euro.
L'uso degli assegni, un tempo unico modo di pagamento per cifre ingenti, va via
via diminuendo se è vero che solo il 14,2% delle operazioni di pagamento
è stata realizzata in questo modo. Invece è sempre più
frequente l'uso di conti correnti via internet (comunque non senza rischi) che
consentono di effettuare bonifici on line. Inoltre per molti pagamenti si usano
carte di credito e le tessere del Bancomat che diventano
"pagobancomat".
Oltre a limitare l'uso degli assegni trasferibili, l'Italia deve adeguarsi alle
normative europee in tema di antiriciclaggio: per questo deve riconoscere nuovi
reati e crare un'apposita autorithy. Per recepire le nuove norme Ue c'è
tempo, comunque, fino ad agosto.
Da La
Repubblica 20-1-2007 Cassazione: lecito scaricare file protetti basta non
usarli a scopo di lucro
La
sentenza dopo il ricorso di due studenti torinesi: non è reato
"risparmiare" sui film
scagionati nonostante avessero un programma per eliminare i dispositivi di
protezione
Ma
la sentenza si riferisce a un caso precedente alla legge del 2004 sul diritto
d'autore
ROMA - Anche se c'è il copyright, si può scaricare
lo stesso. Purché non si faccia a fini di lucro. Lo ha stabilito la III sezione
penale Cassazione con una sentenza destinata a far discutere (è la
numero 149/2007) con cui ha accolto il ricorso presentato da due studenti
torinesi, condannati in appello ad una pena detentiva, sostituita da
un'ammenda, per avere "duplicato abusivamente e distribuito"
programmi illecitamente duplicati, giochi per psx, video cd e film,
"immagazzinandoli" su un server del tipo Ftp (File transfer protocol)
"dal quale potevano essere scaricati da utenti abilitati all'accesso
tramite un codice identificativo e relativa password".
Una sentenza che fa discutere, anche se si riferisce a un caso precedente alla
legge del 2004 sul diritto d'autore. La cosiddetta legge Urbani rende invece lo
scaricamento di file protetti da copyright un diritto amministrativo e la loro
condivisione un reato penale.
Ad uno dei due la sentenza della Corte d'appello del capoluogo piemontese
datata 29 marzo 2005 (ora annullata "senza rinvio" dalla Suprema
Corte) imputava anche il possesso, presso la propria abitazione, di software
destinato "a consentire o facilitare la rimozione dei dispositivi di
protezione "facilitare la rimozione dei dispositivi di protezione
applicati a programmi per pc. Di fatto, i due studenti, avvalendosi di un
computer in funzione presso l'associazione studentesca del Politecnico di
Torino, avevano creato, gestito e curato la manutenzione di un archivio on line
di dati e programmi, raggiungibile da un normale indirizzo ip, dal quale una
"community" di utenti era libera di attingere in cambio, a sua volta,
del rilascio di materiale informatico.
I reati contestati ai due ricorrenti erano quelli previsti dagli articoli 171
bis e 171 ter della legge sul diritto d'autore, la numero 633/41, sottoposta a
tutta una serie di modifiche in anni recenti: nell'ultima formulazione, il
primo prevede "la punibilità da sei mesi a tre anni, di chiunque
abusivamente duplica, per trarne profitto, programmi per elaboratore o ai
medesimi fini importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale o
imprenditoriale o concede in locazione programmi contenuti in supporti non
contrassegnati dalla Siae"; il secondo punisce con la reclusione da uno a
quattro anni chi "riproduce, duplica, trasmette o diffonde abusivamente,
vende o pone altrimenti in commercio, cede a qualsiasi titolo o importa
abusivamente oltre cinquanta copie o esemplari di opere tutelate dal diritto
d'autore e da diritti connessi".
Ebbene, per la Cassazione in primo luogo è da escludere per i due
studenti la configurabilità del reato di duplicazione abusiva,
attribuibile non a chi in origine aveva effettuato il download, ma a chi semmai
si era salvato il programma dal server per poi farne delle copie. Ma
soprattutto "deve essere escluso, nel caso in esame, che la condotta degli
autori della violazione sia stata determinata da fini di lucro, emergendo
dall'accertamento di merito che gli imputati non avevano tratto alcun vantaggio
economico dalla predisposizione del server Ftp".
Per "fine di lucro", infatti, "deve intendersi un fine di
guadagno economicamente apprezzabile o di incremento patrimoniale da parte
dell'autore del fatto, che non può identificarsi con un qualsiasi
vantaggio di genere; nè l'incremento patrimoniale può
identificarsi con il mero risparmio di spesa derivante dall'uso di copie non
autorizzate di programmi o altre opere dell'ingegno, al di fuori dello
svolgimento di un'attività economica da parte dell'autore del fatto,
anche se di diversa natura, che connoti l'abuso".
Anche con riferimento alla detenzione di un programma destinato a rimuovere o
ad aggirare dispositivi di protezione "non emerge - avvertono i giudici -
dall'accertamento di merito la finalità lucrativa cui sarebbe stata
destinata la detenzione e, tanto meno, un eventuale fine di commercio della
stessa".
(20 gennaio 2007)
Da
Il Sole 24 Ore – 19-1-2007 Geronzi torna in sella, Emanuele (Fondazione Cassa
di Roma) va dagli avvocati
Cesare Geronzi confermato dall'assemblea dei soci al vertice di
Capitalia (-0,32% a 6,95 euro la chiusura di settimana in Borsa) - con i
consiglieri Roberto Colaninno ed Ernesto Monti - nonostante la condanna in
primo grado nel crack Italcase-Bagaglino, ma non senza strascichi polemici.
Favorevole al reintegro è stato il 37,2% del capitale, contrari
azionisti per il 9,7% e astenuti per lo 0,98%. Al voto ha partecipato il 47,9%
del capitale. Per effetto della votazione, ha annunciato il vicepresidente
Paolo Savona, che presiedeva l'assemblea, i tre amministratori «riprenderanno
le loro funzioni con effetto immediato». Quindi sin dal consiglio di
amministrazione in programma nel pomeriggio di venerdì 19 gennaio.
Deminor, società che rappresenta alcuni fondi di investimento (0,39% del
capitale), e la Fondazione Cassa di risparmio di Roma (secondo i dati Consob
azionista numero due con il 7,186% dopo Abn Amro al 7,679%, pur non essendo nel
patto di sindacato che controlla il 31,01%), hanno votato contro, una decisione
- ha spiegato il rappresentante di Deminor - opportuna «per evitare le critiche
e i sospetti sulla banca». Gli amministratori, ha aggiunto, «ai quali auguriamo
di uscire in modo cristallino dalla vicenda, hanno il dovere di presentare le
dimissioni».
La Fondazione, presieduta da Emmanuele Emanuele, ha ribadito le proprie
«riserve» sull'opportunità di confermare le cariche definendosi «a
favore della revoca», e ha anche dato mandato ai propri legali per verificare
se le decisioni del patto di sindacato possano essere valutate come «evento
generatore» di eventuali danni che possano derivare. Valutazione ribadita da
Emanuele a margine dell'assemblea: «Il fatto che Geronzi sia stato condannato
è già un danno d'immagine per la banca», da tempo al centro dei
rumor su fusioni e acquisizioni. La Fondazione ha sottolineato
«l'opportunità di revoca» nei confronti del presidente e degli altri
amministratori che erano stati sospesi Colaninno (numero uno del gruppo
Piaggio) e Monti, condannato per bancarotta preferenziale e per distrazione nel
processo Trevitex (e sospeso venerdì dal cda di Finmeccanica). Geronzi,
è stato condannato alla pena di un anno e otto mesi di reclusione, oltre
alle realtive pene accessorie, per concorso nel reato di bancarotta semplice,
Roberto Colaninno (sempre per Italcase), alla pena di quattro anni e un mese di
reclusione, oltre alle relative pene accessorie per concorso nei reati di
bancarotta preferenziale e di bancarotta semplice.
Tuttavia secondo il presidente del Patto di sindacato della banca, Vittorio
Ripa di Meana, «Allo stato degli atti non sussistono motivi per mettere in
discussione il rapporto di fiducia» con gli amministratori. «I manager - ha
aggiunto Ripa di Meana - stanno gestendo la banca con effetti soddisfacenti ed
il patto ha tenuto conto delle capacità nel confermare la fiducia e sul
piano tecnico e giuridico bisogna attendere il giudizio definitivo, altrimenti
entreremmo in un sistema che dopo una semplice iniziativa della magistratura o
in presenza di sentenze di primo grano potrebbero creare delle vittime» alla
luce dei risultati definitivi della vicenda. «È in questo contesto - ha
concluso - che il patto di è mosso: sarebbe paradossale che i soci
sindacati si riuniscano per esaminare le conseguenze di processi futuri».
Da
La Repubblica 19 -1- 2007 Spie Telecom, le indagini puntano ai vertici.
Tronchetti: "Mai ordinato illegalità"
L'inchiesta sulle intercettazioni illegali: nell'ordinanza del
gip, che ha portato
a quattro arresti, si dice che i dossier erano preparati nell'interesse del
proprietario
M
Dunque puntano in alto, stando alle parole contenute nell'ordinanza del gip di
Milano Giuseppe Gennari, le indagini sui dossier illegali, che ieri hanno
portato ad altri quattro arresti. Due in carcere: il responsabile della
Information Security Telecom, Fabio Ghioni, mentre un' altra ordinanza è
stata notificata all'ex capo della sicurezza della compagnia telefonica,
Giuliano Tavaroli, arrestato il 20 settembre scorso. Altre due ai domiciliari:
i giornalista, ex Famiglia Cristiana, Guglielmo Sasinini, e il braccio destro
di Ghioni, Rocco Lucia.
Indagini riguardanti Rcs, con incursioni nel sistema informatico dell'ad,
Vittorio Colao, e del vicedirettore, Massimo Mucchetti, anche pedinato mentre
da Brescia, dove abita, andava al lavoro a Milano. Indagini a tutto campo:
"Per quanto riguarda Ghioni lo stesso mi ha sempre riferito di avere la possibilità
di accesso anche a dati sensibili di altri gestori come Vodafone e Wind",
racconta a verbale la 'gola profonda' dell' inchiesta, Marco Bernardini, che
parla anche di accertamento sull' Authority sulla concorrenza.
"La Telecom aveva subito una multa molto consistente dal Garante
Concorrenza e Mercato - spiega ai pm - e mio compito era quello di raccogliere
elementi non solo sul dirigente dell' Autorithy, ma anche su tutto lo staff
dirigenziale, per verificare se qualcuno di loro aveva preso soldi dai concorrenti,
se erano comunque in contatto con dirigenti della concorrenza o infine di
individuare possibili aspetti negativi sulle condotte di vita di ciascuno e
ciò a mio avviso per poter poi avvicinarli ed esercitare
pressioni".
Per il gip Gennari, "la notevole tecnologia di cui disponeva (e dispone)
una grande azienda come Telecom poteva essere e veniva asservita al programma
criminale". "E osserviamo anche emergere - scrive il giudice - una
tipologia di investigazioni che (al di là di quanto dice Sasinini circa
i report commissionati dalla presidenza) in modo difficilmente revocabile in
dubbio, rispondevano ad esigenze dei vertici e della proprietà
aziendale".
E' poi il testimone Patrizio Mapelli, dipendente della Value Partners,
società che offriva consulenza a Telecom, a spiegare di aver ricevuto,
nel gennaio-febbraio 2005, una telefonata da Tavaroli, in cui l'ex manager lo
avvertiva che sarebbe stato citato in un rapporto su Rcs "destinato a
Tronchetti". Sempre Bernardini, invece, parla di un interesse di Telecom
nell'avere copia di un "contratto stipulato tra Tremonti e Bossi presso un
notaio".
Un documento che l'ex Sisde, poi investigatore privato, non riuscì ad
avere e che ambienti di Forza Italia identificano con il cosiddetto
"accordo segreto", l'accordo politico-programmatico che legava Bossi
a Berlusconi per le regionali 2000. Qell'ormai "leggendario documento
politico", osserva Fi, peraltro, non fu stipulato da Tremonti, ma
direttamente dallo stesso Berlusconi e da Umberto Bossi. I contenuti di quell'
accordo divennero poi pubblici, fanno notare negli stessi ambienti,
perchè inseriti nel programma elettorale delle regionali 2000.
Da
La Stampa 19-1-2007 Al via le città metropolitane
19/1/2007 (16:22) - RIFORME
Individuate nel ’90, le aree di Torino, Milano, Venezia, Genova,
Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli, sostituiranno le province
ROMA
Il Codice delle Autonomie, approvato oggi dal consiglio dei ministri, dà
il via alle città metropolitane. Compito di promuoverle spetta agli
stessi territori che, se vorranno, potranno richiedere la creazione di una
città metropolitana nelle nove aree, già individuate nel ’90, di
Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli.
L’iniziativa spetta al comune di capoluogo o al 30% dei comuni della provincia
o delle province interessate, che rappresentino il 60% della relativa
popolazione, oppure ad una o più province insieme al 30% dei comuni
della provincia/e proponenti. Sulla proposta la Regione dovrà esprimere
un parere e successivamente saranno chiamati ad esprimersi anche i cittadini
con un referendum.
Referendum che non
avrà quorum se il parere della Regione sarà favorevole,
avrà un quorum del 30% se sarà contrario. «Nelle aree intorno
alle città si può decidere di costituire al posto di una o
più province una città metropolitana attraverso una procedura che
parte dal territorio, con il consenso delle istituzioni e poi con un
referendum», ha spiegato oggi il ministro degli Affari regionali e delle autonomie
locali, Linda Lanzillotta. «Laddove viene costituita una città
metropolitana la provincia scompare - ha spiegato il ministro - per lasciare il
posto alla città metropolitana, che ha un perimetro stabilito dagli
stessi enti locali e istituzioni che ne hanno voluto la costituzione. Il comune
capoluogo viene articolato in municipalità, gli altri comuni resteranno
gli stessi e svolgeranno funzioni di prossimità, di servizio diretto ai
cittadini e alle imprese.
La stessa Regione è inoltre vincolata ad attribuire ai
comuni funzioni che possono essere da loro meglio amministrate tanto che sono
previsti anche meccanismi di garanzia per i comuni». «Una provincia troppo
piccola perde la ragione della sua essenzialità costituzionale - ha
affermato il ministro dell’Interno, Giuliano Amato - La revisione delle
circoscrizioni provinciali che si prefigura non può avvenire se non
c’è iniziativa dei comuni, senza il parere favorevole delle Regioni
interessate e della stessa Conferenza Unificata».
Da
La Stampa 19/1/2007 (13:47) Turchia, ucciso giornalista armeno
Era stato processato per offesa alla patria. Per le strade di
Istanbul è caccia all'assasino
ISTANBUL
È caccia all’uomo per le strade di Istanbul. La polizia sta cercando
l’assassino del giornalista turco di origine armena Hrant Dink, una delle voci
più autorevoli del settore, direttore del settimanale bilingue
turco-armeno Agos e più volte attaccato dagli ultranazionalisti e sotto
processo per tradimento della patria per le sue dichiarazioni sul genocidio
degli Armeni del
Sarebbe un ragazzo tra i 18 e i 19 anni, con un cappello bianco e una giacca di
jeans, secondo le prime ricostruzioni, l’omocida dileguatosi dopo aver esploso
quattro colpi di pistola, due dei quali hanno colpito alla testa il 53enne
giornalista e lo hanno lasciato senza vita davanti all’entrata della sua
redazione a Sisli, nella parte europea di Istanbul. La televisione Ntv riporta
che la polizia turca è alla ricerca dell’assassino la cui identità
rimane ancora sconosciuta. Per il quotidiano Hurriyet si potrebbe trattare di
più di un uomo. Le forze dell’ordine hanno circondato la zona per
precauzione. L’omicidio non è stato ancora rivendicato, ma secondo le
prime ipotesi potrebbe essere stato commesso da un giovane estremista.
Un colpo al cuore per la Turchia, quella che vuole fortemente entrare in Europa
e che adesso si trova con la patata bollente della libertà di
espressione di nuovo sotto i riflettori europei. Dink, infatti, era stato preso
di mira dagli ultranazionalisti, da quei lupi grigi che hanno pilotato la
maggior parte dei processi per offesa all’identità turca secondo
l’articolo 301. Dink, più volte alla sbarra, viveva con la spada di
Damocle di quattro anni di prigione. L’accusa era in mano all’avvocato Kemal
Kerencsiz, lo stesso che aveva trascinato in tribunale il premio Nobel Orhan
Pamuk e la scrittrice Elif Shafak. L’udienza era stata aggiornata al prossimo
18 aprile, non senza imbarazzo da parte delle autorità turche, sotto pressione
da parte di Bruxelles. Ma Dink, che aveva dichiarato di non volere vivere in un
Paese che non lo vuole, non potrà difendersi.
Dal
Corriere della Sera 18-1-2007 Uno studio di Harvard conferma l’aumento della
quantità di nicotina presente nelle sigarette negli ultimi anni
Incremento anche nel numero di «tiri», e quindi anche della
dipendenza
Fumo: smettere è sempre più difficile
BOSTON - Smettere di fumare è sempre più difficile.
E non solo a causa della scarsa forza di volontà dei fumatori. Il
problema è che i livelli di nicotina presenti nelle sigarette sono
aumentati, e non per caso. Lo scrive uno studio pubblicato oggi dalla Harvard
School of Public Health , che riapre le polemiche mai del
tutto sopite tra enti regolatori americani e multinazionali del tabacco.
Secondo i ricercatori di Boston – che hanno ripreso in mano i dati di una
precedente analisi condotta dallo stato del Massachusetts, ampliandone portata
e profondità – tra il 1997 e il 2005 la quantità di nicotina
inalata attraverso le sigarette vendute in America è aumentata dell’11
per cento. E questo vale per tutti i tipi, compresi ultralight e mentolo.
UN AUMENTO NON CASUALE - Alla base dell’incremento di questa
sostanza chiave delle sigarette – croce e delizia di ogni fumatore, poiché
responsabile sia della sensazione di piacere procurata dal fumo sia della
dipendenza indotta dallo stesso – sarebbe il tipo di tabacco utilizzato, forse
una particolare parte della pianta, una specifica varietà o un tipo di
trattamento. Di una cosa però lo studio sembra certo: l’iniezione extra
di nicotina non è casuale. «Si è trattato di un aumento
pervasivo, sistematico, che riguarda tutti i produttori e che è stato fatto
di proposito», ha commentato Howard Koh, uno degli autori dello studio, al Boston
Piccola
Rassegna del 19-1-2007
Da
borsaitaliana.it (18-1-2007)
Bankitalia: cade obbligo inderogabile segreto ufficio (MF)
Da
borsaitaliana.it (18-1-2007)
Bankitalia: cade obbligo inderogabile segreto ufficio (MF)
Dal Corriere della Sera
18-1-2007 Statali, c'è l'accordo: mobilità e «pagelle» arrivano
gli esodi incentivati
Previsti
anche dirigenti-manager licenziabili e la scomparsa del precariato
Piccola
Rassegna del 18-1-2007
Dal
Sole 24 Ore 18-1-2007 Rottamazione dell'auto,
così i produttori si organizzano per restituire il bonus 2006
Dal Sole 24 Ore 18-1-2007 Rottamazione dell'auto, così i
produttori si organizzano per restituire il bonus 2006
nicoletta.cottone@ilsole24ore.com
da quotidiano
di sicilia (qds.it) 18-1-2007 la privacy
è una stronzata. contrasto all'evasione senza veli di c.a. tregua
catregua@quotidianodisicilia.it