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ARCHIVIO PICCOLA RASSEGNA     1-15 GIUGNO  2007

 

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1-6-2007


INDICE 15-6-2007

++ AgenParl 15-6-2007  MATRIMONIO CON SEPARAZIONE DEI BENI 1

+ Il Sole 24 Ore 15-6-2007 Imminente il provvedimento sui costi della politica Tagli alle Regioni, non al Governo Andrea Marini 1

+ La Padania 15-6-2007 Nel vertice di maggioranza Prodi rinvia le scelte su pensioni e surplus fiscale Dpef, il Governo decide di non decidere  2

+ L’Espresso  15-6-2007 OPINIONI CONTROPIEDE Che errore perseverare con Visco Claudio Rinaldi 3

L’Unità 15-6-2007 Silvio, facci sognare Marco Travaglio  4

La Repubblica 15-6-2007 Parla il questore Canterini "Sì, alla Diaz una notte cruenta ma non sono io il macellaio" CARLO BONINI 4

La Repubblica 15-6-2007 Bari Intervista al presidente dell'assemblea regionale. "Nessun dietrofront: attendiamo le scelte romane" "La politica abbassi i costi" Pepe: stop ai doppioni, ma difendo il Consiglio bis "Il vero problema è quello degli enti con uguali finalità" LELLO PARISE  6

L’Unità 15-6-2007IL CONFRONTO Ugo Sposetti, alla Sinistra giovanile: "Senza un partito alle spalle non avremmo potuto fare politica a sedici anni, è in corso una campagna populista" "La politica costa". Dialogo tra il tesoriere e i giovani Ds di Eduardo Di Blasi 6

Il Giornale di Brescia 15-6-2007 LETTERE LA TESTIMONIANZA DI UN CAPOGRUPPO IN CONSIGLIO COMUNALE Costi della politica: attenti a non generalizzare  7

La Repubblica 15-6-2007Il negoziato sul futuro dell'Unione alla stretta finale prima del vertice della prossima settimana La Merkel pensa a due Trattati al posto della Costituzione Ue Il rapporto della presidenza tedesca non menziona il sistema di voto a maggioranza osteggiato dalla Polonia ANDREA BONANNI 8

L’Azione 15-6-2007 Mons. Betori spiega il senso dell'otto per mille  8

Trentino Economia Pinetana, nuova multa Consob Piazza Affari colpisce Sighel, Pagano e Valentinelli 9

Il Giorno 15-6-2007 IL COMMENTO I PARTITI DI LOTTA E NON GOVERNO AVETE VISTO la gente di Ariano Irpino? 10

 


++ AgenParl 15-6-2007  MATRIMONIO CON SEPARAZIONE DEI BENI

Roma, 15 Giugno 2007 – AgenParl – Se il matrimonio tra Quercia e Margherita si farà, avverrà in regime di separazione dei beni. L’afferma il tesoriere del Partito diessino Ugo Sposetti. Ds e Margherita continueranno a tenersi ciascuno il proprio patrimonio e anche i propri debiti.
I diessini, essendo proprietari di un grande patrimonio immobiliare, non intendono conferirlo al nuovo partito, al quale potrebbero affittare alcune sedi.

 


+ Il Sole 24 Ore 15-6-2007 Imminente il provvedimento sui costi della politica Tagli alle Regioni, non al Governo Andrea Marini

 

ROMA Semplificazione degli enti, riduzione delle spese dei ministeri e trasparenza nei bilanci; misure a cui potrebbero aggiungersi la riduzione degli eletti (e delle loro retribuzioni) nelle autonomie locali. Sono queste le norme che dovrebbero entrare nel disegno di legge governativo sui costi della politica, che l'Esecutivo discuterà nel prossimo consiglio dei ministri del 28 giugno. Per il momento sembra invece slittare una misura impegnativa come il taglio del numero di ministri e sottosegretari. Una cifra (102 unità) che lo stesso ministro per l'attuazione del Programma, Giulio Santagata, aveva definito "record negativo". Il provvedimento, su cui si discute da settimane, inizialmente era stato previsto per consiglio dei ministri di oggi. Ma dopo la conferenza unificata Stato-Regioni- Enti locali del 31 maggio scorso i tempi si sono allungati. Le Regioni, in particolare, hanno presentato in quella occasione un proprio ordine del giorno in tema di taglio dei costi della politica: rapporto adeguato per tutto il territorio nazionale tra numero di consiglieri regionali e popolazione (garantendo però un minimo di rappresentanza alle realtà più piccole) e regole omogenee per le indennità dei loro eletti. Ma quell'incontro non è stato un successo: le Regioni hanno chiesto comunque che a dare il buon esempio siano Esecutivo e Parlamento. Anche Province, Comuni e Comunità montane hanno messo sul tavolo della discussione la riduzione del numero dei loro eletti. Upi e Anci sono disponibili a tagliare di un quarto assessori e consiglieri comunali e provinciali, con un risparmio di 120 milioni per i Comunie 27 milioni per le Provincie. Mentre le Comunità montane hanno avanzato l'ipotesi di ridurre del 40 e 50% i loro consiglieri e componenti di giunta. Da qui al 28 giugno, quindi, ci saranno ancora due o tre incontri tra Governo e autonomie locali per definire tempi e modi delle misure da prendere. I tagli dovranno essere a 360 gradi e dovranno riguardare tutti i livelli istituzionali.


 

+ La Padania 15-6-2007 Nel vertice di maggioranza Prodi rinvia le scelte su pensioni e surplus fiscale Dpef, il Governo decide di non decidere

 

Roma - Pensioni, casa, infrastrutture, ricerca, sicurezza. Questi i cinque punti per il rilancio dell azione di governo, delineati dal premier Romano Prodi nell incontro ieri con la maggioranza sul Dpef. Una riunione interlocutoria, distesa , come l hanno definita i capigruppo, presenti al completo, di Camera e Senato. Ma di fatto dal vertice di ieri non esce alcuna decisione. Tutto è rinviato a lunedì 25 giugno. La linea emersa da Palazzo Chigi è fare prima il documento di programmazione economica e finanziaria, il 28 giugno, e poi emanare un decreto legge (o subito, o a luglio o a settembre in contemporanea con la Finanziaria) sulla distribuzione dell extragettito che comunque non è stato ancora quantificato. Per valutare l'entità si attende la fine del mese quando arriveranno i dati sull autotassazione. Che peraltro saranno certi solo a luglio inoltrato. Prodi ribadisce anche "due impegni trasversali a tutti i provvedimenti": la riduzione dei costi della politica e la lotta all evasione e all elusione fiscale, che "non sono solo messaggi simbolici ha sottolineato Prodi -, ma stanno già portando risultati concreti". Tutti i presenti riferiscono di un "clima disteso" e di un "incontro costruttivo" perché il governo "è consapevole dice Giovanni Russo Spena di Rifondazione Comunista - che deve iniziare la fase dell equità e dello sviluppo". "L incontro di oggi gli fa eco Gennaro Migliore è servita per delineare una road-map per il rilancio dell azione di governo". "Il ministro dell Economia ha sottolineato invece Roberto Villetti, della Rosa nel pugno ci ha riferito che ci sono richieste tre o quattro volte superiori rispetto alle risorse disponibili". Un piccolo disappunto vien fuori solo da Mauro Fabris, dell Udeur: "Ci aspettavamo delle decisioni che potevano essere prese, invece tutto è stato rinviato". Le priorità avanzate dai partiti sono quelle già note: aumento delle pensioni basse e abrogazione dello scalone previsto dalla riforma Maroni (il passaggio nel 2008 da 57 a 60 per l età necessaria per la pensione di anzianità a fronte di 35 anni di contributi). "Sulla base dei dati sull autotassazione riferisce Massimo Donadi dell Idv si decideranno altre priorità". Certo è chiaro che il ministro dell Economia Tommaso Padoa-Schioppa è solo all interno dell esecutivo a tenere fermo il punto sul problema del risanamento in linea con i moniti arrivati dall'Europa a destinare il tesoretto alla riduzione del deficit. Ma sulla questione previdenziale, su cui l Europa ancora una volta ha lanciato allarmi, sembra tutto ancora in alto mare. Il Governo incontrerà oggi le parti sociali ma non risulta che all interno della maggioranza sia stata formulata una proposta precisa. Anche se il ministro del Lavoro Cesare Damiano conferma l intenzione di chiudere entro fine mese. L ipotesi rimane quella degli scalini, ossia un graduale innalzamento dell età pensionabile, per modificare la Maroni. Ovvero abrogare lo scalone. Quest operazione però necessita di risorse. Quello che rimarrebbe allora del tesoretto potrebbe non bastare più per finanziare tutte le altre richieste che arrivano dalla maggioranza a partire dal piano casa caro alla Margherita. E dagli ammortizzatori sociali cari ai sindacati. [Data pubblicazione: 15/06/2007].

 


 

+ L’Espresso  15-6-2007 OPINIONI CONTROPIEDE Che errore perseverare con Visco Claudio Rinaldi

 

Il ripescaggio dello scorbutico ministro delle Finanze fu uno sbaglio. Ora Prodi e i suoi devono dare un segno di discontinuità C'è qualcosa di dolorosamente comico nella compattezza con cui al Senato il centrosinistra, mercoledì 6 giugno, ha difeso Vincenzo Visco dall'accusa di aver esercitato sulla Guardia di finanza indebite pressioni. Si è fatto quadrato, certo, intorno all'uomo-simbolo della lotta all'evasione fiscale; ma al tempo stesso si è mandato giù il rospo della permanenza al potere di un viceministro che vanta il record assoluto dell'impopolarità, e che alla tetra immagine del governo Prodi ha causato più danni di chiunque altro. Un mezzo suicidio in diretta tv, insomma. Se in una ricerca Ipr Marketing-'Repubblica' ben 58 cittadini su cento invitano Visco a dimettersi, se molti suoi colleghi gli chiedono di attenuare le vessazioni nei confronti di commercianti e artigiani, se perfino Tommaso Padoa-Schioppa di fatto lo sconfessa affermando che le aliquote di imposta vanno ridotte, la decisione di lasciare l'arcigno personaggio al suo posto appare davvero bizzarra. Sarebbe stato meglio accompagnarlo garbatamente all'uscita; così come durante il governo Berlusconi due ministri incorsi in brutte cadute di stile, Claudio Scajola e Roberto Calderoli, vennero costretti a farsi da parte. Né è serio presentare il viceministro come colui che di riffa o di raffa ha risanato i conti dello Stato. Non scherziamo. A parte il fatto che di un vero riequilibrio si potrà parlare soltanto quando la dinamica della spesa pubblica sarà stata riportata sotto controllo, il temporaneo aggiustamento è stato realizzato nel modo più balordo: inasprendo il prelievo sui redditi personali. La Germania, che doveva anch'essa rientrare nei parametri di Maastricht, se l'è cavata semplicemente elevando l'Iva dal 16 al 19 per cento, misura che ha determinato un boom del gettito senza alcun effetto negativo sui prezzi o sulla crescita. In Italia, invece di optare per una manovra indolore, il presunto esperto Visco ha incautamente infilato la manaccia nel vespaio dell'Irpef, accentuandone la progressività e dotandola di un nuovo sistema di detrazioni; ma così ha combinato un disastro. I contribuenti, messi in allarme da quella che ipocritamente veniva definita "una rimodulazione", a lungo si sono scervellati per capire se con i cambiamenti ci avrebbero guadagnato o rimesso, e alla fine i più hanno scoperto di ritrovarsi nelle tasche meno soldi di prima. Un anno fa il ripescaggio di Visco, scorbutico ministro delle Finanze dal 1996 al 2001, fu un errore, anche se pochi se ne avvidero. Annunciando una politica fiscale punitiva, il centrosinistra aveva addirittura rischiato di perdere le elezioni; dopo il voto, dunque, sarebbe stato saggio puntare su una faccia meno usurata, meno invisa a tanti cittadini. Ma a questo punto, visti il crollo del governo nei sondaggi e il trionfo del centrodestra alle amministrative, l'insistenza dell'Unione nel propinare al paese una minestra riscaldata quale Visco è stata un totale controsenso. Se vogliono spezzare la lugubre catena degli insuccessi, infatti, Romano Prodi e i suoi hanno il disperato bisogno di dare immediatamente qualche segnale di discontinuità: ma non rispetto all'era Berlusconi, come nei mesi scorsi pretendevano i cervelloni della sinistra radicale, bensì rispetto al tafazziano avvio della legislatura unionista. Perciò, esploso il conflitto con il generale Roberto Speciale, avrebbero dovuto cogliere al volo l'occasione di concedere al viceministro un po' di riposo. Dicendogli: grazie di tutto, Vincenzo, conosciamo la tua rettitudine, puoi sempre contare sul nostro aiuto; adesso però, nel superiore interesse della coalizione, va a casa. Il sacrificio di Visco sarebbe una mossa di forte impatto, da sé creerebbe nell'opinione pubblica la sensazione di un governo che tenta un'onorevole ripartenza. Anche senza arrivare a un simile passo, tuttavia, Prodi e i partiti che lo sostengono sono in grado, almeno in teoria, di perseguire la discontinuità che serve. Purché non lo facciano nelle forme datate, autolesionistiche che taluno purtroppo auspica. Secondo l'ala sinistra dell'Unione, gli elettori si possono riconquistare soltanto grazie al cosiddetto 'risarcimento sociale': massiccia redistribuzione delle risorse a favore di operai e pensionati, ripristino della facoltà di ritirarsi dal lavoro a soli 57 anni, smantellamento della legge Biagi. Ma una svolta del genere, oltre a pregiudicare la ripresa dell'economia, non farebbe che rendere il centrosinistra ancora più minoritario nella società. Alla prima conta, il "popolo dell'Unione" mitizzato da Fausto Bertinotti & C. si rivelerebbe miserrima cosa. L'unica strada che per il governo è sensato imboccare, in realtà, è quella di un oculato contenimento della spesa pubblica: l'esatto contrario del Tax and Spend che un sinistrismo facilone tuttora vagheggia. Se Prodi all'improvviso riuscisse a instaurare un costume di sobrietà, forse si salverebbe. Basterebbero pochi ma significativi gesti: ridisegnare l'esecutivo dimezzando il numero dei ministri, tagliare sprechi, eliminare privilegi, presentare subito un grande piano di abbattimento dei costi della politica... Tutto, tranne l'ottusa continuità con un annus horribilis. Non è stato il premier, in un meeting del 4 giugno 2006, a rivendicare a sé "il coraggio di stupire"?.

 


L’Unità 15-6-2007 Silvio, facci sognare Marco Travaglio

 

E se avesse ragione Daniele Luttazzi? Sostiene, quel bandito criminoso, che quella che sta montando nel Paese non è "antipolitica". È invece una gran voglia di politica, quella vera. L'antipolitica è lo spettacolo che ogni giorno ci squadernano i cosiddetti politici. A sinistra ci sono politici che si occupano di banche, seminando sconcerto fra gli elettori che li avevano eletti per occuparsi di politica. A destra c'è un presunto politico che si occupa anche lui di banche, ma nessuno lo dice perché, intanto, lui si occupa pure di giornali, di televisioni, di radio, di portali internet, di assicurazioni, di Telecom, di Endemol, di cinema, di calcio, di lifting, di trapianti e, alla sua età, anche di ragazze. Poi ci sono suoi alleati indagati per aver preso soldi dalle banche medesime, ma nessuno ne parla perché lui, appunto, si occupa di tv e di giornali. Poi c'è il capo dello Stato che, solitario, parla di politica. Per esempio, sollecita la riforma della giustizia che dovrebbe cancellare la controriforma Castelli sulla separazione delle carriere. Ma inevitabilmente, visto che si occupa di politica, Napolitano viene accusato di "invasione di campo": infatti nessuno sa più che cosa sia il "campo". Come sia fatto, quanto misuri, quali ne siano i confini. A furia di ripetere lo slogan del "primato della politica", i politici hanno perduto il senso dell'orientamento. Non hanno più la minima idea di che cosa sia, la politica. Infatti si occupano di tutto, fuorchè di quella. Sulla mattanza messicana del G8 di Genova, per esempio, silenzio di tomba. In compenso, nei prossimi giorni, il capo dello Stato riceverà la visita del cavalier Bellachioma, che però non ha ancora deciso che cosa dirgli. Nell'attesa, ha preso appuntamento, come si fa alla mutua. Tre giorni fa pareva intenzionato a chiedere nuove elezioni, col decisivo argomento che ha vinto le elezioni a Parma e a Palermo. Poi gli hanno spiegato che lui, quando governava, ha perso tutte le elezioni possibili, dalle circoscrizionali alle comunali, dalle provinciali alle regionali, dalle europee a quelle per il rinnovo delle comunità montane, ma nessuno si è mai sognato di sciogliere le Camere. Allora ha deciso di chiedere un governo istituzionale. Ma l'hanno guardato strano, allora ha cambiato idea e ha optato per un governo di larghe intese. Ma nemmeno questo ha suscitato entusiasmi. E lui ha pensato bene di lanciare una bella protesta fiscale: nel senso che continuerà ad accumulare fondi neri nei paradisi fiscali, come fa da una trentina d'anni, ma consentirà di farlo anche a qualcun altro. Poi i suoi onorevoli avvocati gli hanno fatto notare che, essendo lui imputato di frode fiscale, appropriazione indebita, falso in bilancio e corruzione del testimone Mills, la cosa sarebbe apparsa come una piena confessione e l'hanno vivamente sconsigliato. Allora è tornato a chiedere lo scioglimento delle Camere: qualcuno, con calma e tatto, gli ha spiegato che, prima di scioglierle, deve cadere il governo e la maggioranza. Allora lui ha dichiarato che il capo dello Stato effettivamente non può sciogliere le Camere, ma glielo chiederà lo stesso perché ormai ha preso appuntamento e che figura fa se non va più. Ha anche pensato di parlare a Napolitano delle sue prossime vacanze, ma non ha ancora deciso in quale villa andare, e ha lasciato perdere. Magari, ha detto tra sé e sé, vado dal capo dello Stato e gli leggo una poesia di James Bondi, l'inno alla bellezza di Michela Brambilla, che vende il pesce surgelato e i mangimi per gatti e che diventerà la leader del Partito delle Libertà, del Giornale delle Libertà e della Tv delle Libertà. Ma dallo staff del Quirinale si son detti poco interessati. Girava anche l'idea di portare sul Colle qualche amico leghista armato della Padania col titolo "Fuori dalle balle" e di occupare simpaticamente l'ufficio del Presidente della Repubblica, ma è parso eccessivo persino a Borghezio. Qualcosa da dire si troverà, prima o poi. Alla peggio, Bellachioma lascerà in garage la Berlusmobile, si darà malato e si farà portare da un'ambulanza, magari quella che il confratello Gustavo Selva usa come taxi. Passerà inosservato, farà un giro nei giardini del Quirinale, o in infermeria, poi tornerà a casa contento con la camicia di forza. Uliwood party.


 

La Repubblica 15-6-2007 Parla il questore Canterini "Sì, alla Diaz una notte cruenta ma non sono io il macellaio" CARLO BONINI

 

La voce del questore Vincenzo Canterini arriva da Bucarest. Il Viminale ce lo ha spedito due anni fa a occuparsi di traffico di organi ed esseri umani presso una struttura Interpol, mettendo il mare tra lui e il Reparto celere di Roma, tra lui e la scuola "Diaz" di Genova, dove, la notte del 21 luglio del 2001, agli uomini che allora comandava venne ordinato di fare irruzione. Sessantatrè feriti. Una "macelleria messicana", per usare le parole del vicequestore Michelangelo Fournier, che di Canterini era il vice. "Io un macellaio non lo sono mai stato", dice lui. Insiste: "Capito? Chi parla non è mai stato un macellaio. E' un signore che è in polizia da 41 anni, fa sindacato con il "Consap" e vive in Romania, dove l'Amministrazione gli ha chiesto di andare. Detto questo, sapete quando Fournier ha parlato di "macelleria messicana"? Dieci giorni dopo quella notte. E sapete con chi? Con il Procuratore di Genova dove si era presentato spontaneamente per riferire quel che aveva visto. E sapete chi lo aveva accompagnato dal procuratore? Vincenzo Canterini. Dunque, sono un macellaio io?".

G8 di Genova, dopo il racconto di Fournier al processo parla l'allora comandante del reparto celere "Alla Diaz fu una notte cruenta ma il macellaio non sono io" Il questore Canterini: c'era una macedonia di polizia il sangue Come ho detto sempre quando entrai era tutto finito: vidi sangue ovunque le manganellate Qualche manganellata i miei uomini l'avranno data, ma non a gente a terra la versione Fournier è come un figlio per me, io e lui in fondo diciamo la stessa cosa l'irruzione Suggerii a La Barbera una soluzione diversa dall'irruzione nella scuola. Dunque, la macelleria c'è stata "Il termine è folcloristico. Ma non c'è dubbio che è stata una notte cruenta". Il sangue lo ha visto anche lei? "Certo che l'ho visto. Ne ho visto tanto e dappertutto". Ha visto poliziotti picchiare donne e uomini inermi? "No". E Fournier, allora? Ha ammesso di aver visto e interrotto il pestaggio di una ragazza a terra. Si è scusato per aver taciuto sei anni questa circostanza. Lui ha visto e lei no? "Premesso che Fournier è come un figliolo per me, io e lui diciamo in fondo la stessa cosa". "In fondo", lei ha appena detto di non aver visto nessun pestaggio. "Come ho ripetuto per tredici ore al processo di Genova, come spiegai nell'immediatezza dei fatti alla Commissione di inchiesta e appunto al procuratore di Genova dove andai insieme a Fournier, quando entrai nella "Diaz" era tutto finito. Cominciai a salire le scale della scuola e mi fermai al primo piano, proprio quando sentii le urla di Fournier". Cosa vide? "Fournier era vicino a una ragazza ridotta malissimo. E mi diedi da fare per far soccorrere lei come gli altri feriti che erano nella scuola". Qualcuno la testa l'aveva rotta a quella ragazza. "Non gli uomini del mio reparto. Non a caso, Fournier dice di essersi dovuto togliere il casco e di aver gridato "Basta!" a chi la stava picchiando. Se fossero stati i nostri ragazzi, Fournier non avrebbe avuto necessità di togliersi il casco, perché il nostro intero reparto era connesso da interfono. Avrebbe usato quello". Dunque, lei arriva a cose fatte e né quella notte, né successivamente, riesce a venire a capo di chi si è comportato da macellaio. è così? "Quella notte, dentro la Diaz, c'era una macedonia di polizia". Una "macedonia"? "Come si vede dai filmati, nella scuola entrarono almeno in 300. I miei uomini erano solo 70. Poi c'erano colleghi di altri reparti celeri, identici a noi per abbigliamento se si eccettua il cinturone bianco. C'erano agenti con l'Atlantica (camicia a maniche corte ndr.), agenti delle squadre mobili con pettorina e casco, poliziotti dell'Anticrimine. Di tutto, insomma". Insisto. La notte della "Diaz" le ha cambiato la vita. Da due anni vive a Bucarest, e in tutto questo non è riuscito a venire a capo di chi si abbandonò alle violenze. "Che vuole che le dica? è così. Che devo fare? Appena rientrai a Roma, chiesi tutte le relazioni di servizio di chi era stato nella scuola quella notte. Ma non seppi allora e non so oggi chi si è reso responsabile delle violenze". Nella "Diaz" i suoi uomini rimasero a braccia conserte? "Ma no. Non dico questo. è ovvio che qualche manganellata l'avranno data. Ma so per certo che nessuno dei miei uomini ha mai picchiato una donna o un uomo a terra. Né ha mai ricevuto ordini di questo genere. E non lo dico solo io". Chi altro lo dice? "Evidentemente non lo sa nessuno, ma soltanto su 2 dei 78 tonfa (i manganelli ndr.) in uso al mio reparto quella notte, le perizie del Ris dei carabinieri hanno trovato tracce di sangue. E quei due tonfa erano in dotazione a due agenti rimasti feriti, Ivo e Parisi. Dunque, è molto probabile che il sangue sia il loro. Dico di più. A Genova, Vincenzo Canterini è imputato di un solo presunto reato. Non violenze, non pestaggi. Ma di aver stilato una relazioncina di servizio al questore di 15 righe sui fatti di quella notte che non sarebbe stata veritiera". Tacere la verità non è un vanto per un funzionario di polizia. "Io non ho taciuto un bel niente. Io riferii al Questore quello che avevo visto. Avevo visto la pettorina e il giubbotto di uno dei miei squarciato da una coltellata e la perizia del tribunale, al contrario di quel che affermò inizialmente il Ris dei carabinieri, ha stabilito che quella coltellata fu inferta. Ho visto venire giù di tutto dai piani alti della scuola e infatti tredici dei miei sono finiti in ospedale. Quali bugie ho detto?". A distanza di sei anni ci sarà qualcosa che si rimprovera di quella notte. O no? "Mi rimprovero di non essere riuscito a imporre una soluzione diversa da quella che poi fu adottata. Ma è anche vero che non ne ebbi modo". Quale soluzione diversa? "Suggerii a chi comandava in quel momento di tirare all'interno della scuola qualcuno dei potenti lacrimogeni di cui avevamo dotazione. E di aspettare che chi era dentro uscisse. Ma non ci fu verso". A chi lo suggerì? "All'allora vicecapo della polizia e capo dell'Antiterrorismo Arnaldo La Barbera". Arnaldo La Barbera è morto. Non può né confermare, né smentire. "E infatti faccio a fatica e mi dispiace doverne parlare. Ma queste cose le ho dette già sei anni fa, quando il povero Arnaldo, un amico, era ancora vivo. Io non so con chi si consultò a sua volta La Barbera. So cosa venne deciso e so che quando l'irruzione cominciò io rimasi fuori dalla scuola e il mio reparto passò sotto il comando di due funzionari della Digos di Genova".


 

La Repubblica 15-6-2007 Bari Intervista al presidente dell'assemblea regionale. "Nessun dietrofront: attendiamo le scelte romane" "La politica abbassi i costi" Pepe: stop ai doppioni, ma difendo il Consiglio bis "Il vero problema è quello degli enti con uguali finalità" LELLO PARISE

 

"I costi della politica devono essere tagliati, ma abbiamo la necessità di tutelare la democrazia", afferma il presidente dell'assemblea pugliese, Piero Pepe. Anche attraverso l'istituzione del Consiglio delle autonomie locali o Consiglio regionale bis, come è ribattezzato? "Lo prevedono la Costituzione, lo Statuto e una legge della Regione". Però, a quanto pare, la denuncia di Repubblica vi spinge a fare retromarcia. "Questo è un grande equivoco". Cioè? "Perché i 57 consiglieri della "seconda Camera", come la chiamo io, non avrebbero percepito un centesimo come indennità per esprimere pareri obbligatori, ma non vincolanti in nome di Comuni, Province e Comunità montane, a proposito dei provvedimenti della Regione". Giudizi inutili, in pratica? "Giudizi di cui tenere conto, ancorché l'assemblea legislativa non può mai e poi mai essere condizionata. Del resto non è che oggi le amministrazioni comunali o provinciali non vengano ascoltate". Tant'è che si materializza il sospetto che stavate per dare vita a un doppione vero e proprio. O no? "La politica ha l'esigenza di compiere una salutare cura dimagrante: non ci sono dubbi. I doppioni esistono, ma questa è un'altra storia". Per esempio? "Bisognerebbe scegliere tra Comunità montane e parchi per la tutela delle aree protette: si occupano delle stesse cose. Così come dovrebbe essere sensibilmente ridotto il numero dei consorzi di bonifica e degli Edisu. Sì, insomma, dove ci sono sacche di sprechi non è impensabile intervenire con decisione". Campa cavallo? "A me non piace l'idea di adeguarsi alla "pancia" del Paese. è un ragionamento rischioso perché finiremmo per buttare il bambino con l'acqua sporca. Non per questo la democrazia non deve essere efficiente giacché se si limita a riprodurre se stessa e basta, è destinata a perdere". Presidente Pepe, quanto durerà la "pausa di riflessione" sul Consiglio bis: aspetterete che passi la piena per rialzare la testa? "Attendiamo che il governo centrale vari il codice delle autonomie locali e la legge delega sui costi della politica, per capire quali saranno le nuove regole del gioco. Ma se qualcuno continuerà a considerare senza senso il Consiglio delle autonomie o altri organismi di controllo e partecipazione, lo dica ufficialmente nelle sedi istituzionali. Possiamo stabilire autonomamente di bloccare tutto e fare un passo indietro".


 

L’Unità 15-6-2007IL CONFRONTO Ugo Sposetti, alla Sinistra giovanile: "Senza un partito alle spalle non avremmo potuto fare politica a sedici anni, è in corso una campagna populista" "La politica costa". Dialogo tra il tesoriere e i giovani Ds di Eduardo Di Blasi

 

/ Roma La campagna di stampa sui costi della politica, meglio, sui costi dei partiti politici, "non può far bene alla sinistra". Ugo Sposetti, tesoriere dei Ds, questa tesi la sostiene da anni, convinto che i partiti debbano essere finanziati, come dall'articolo 49 della Costituzione, in quanto strumento indispensabile della vita democratica del Paese. Ritiene anzi che il partito al quale appartiene non debba "farsi bloccare da questa campagna populista". Mercoledì sera, a Roma, nell'ultimo giorno della Festa della Sinistra Giovanile, Sposetti non era il solo a pensare che una campagna di stampa che metta in uno stesso calderone i costi di singoli consiglieri, di enti inutili, di auto blu, di partiti politici, "ambasciate regionali" all'estero, viaggi, deputati e rimborsi elettorali, non contribuisca a risolvere il problema. Allo stesso modo di Sposetti, infatti, oltre al tesoriere della federazione Ds di Roma Carlo Cotticelli, la pensavano anche tanti ragazzi della Sg (almeno un'ottantina presenti e plaudenti nell'area del Circolo degli Artisti), compresi i due che erano sul palco a discutere del tema: Sara Battisti e Andrea Baldini. La prima, che è coordinatrice della segreteria Sg nazionale, lo ha detto chiaramente: "Se alle spalle non avessimo avuto un partito, non saremmo stati in grado di avvicinarci alla politica attiva a 16, 17, 18 anni". Il secondo, segretario romano della Sg, sottolinea come per questa via "si ritorni alla politica fatta per censo, aperta a chi è figlio di imprenditore, a chi ha già di suo i mezzi economici per fare politica". È, di converso, un argomento a favore di questa tesi quanto afferma Cotticelli: "Ma secondo voi tutti i volontari che organizzano le feste come questa lo fanno per carrierismo o per soldi?". Questa è una faccia della medaglia, su cui è disegnata anche l'effige di quello che dovrebbe essere un forte partito organizzato, un partito che punti su giovani e formazione politica, che elabori contenuti e prospettive, che indirizzi i cittadini. Poi, però, c'è il tema attuale dello spreco delle risorse pubbliche. Sposetti ne ha una sua visione storica: lo colloca temporalmente nel crepuscolo dei grandi partiti di massa (Pci, Dc, Psi), e nella nascita dell'elezione diretta di presidenti (di Provincia e Regione) e sindaci. È un elenco lungo quello degli sprechi della politica al quale i relatori non si sottraggono: "Lo scandalo dell'assemblea regionale siciliana, le 9 circoscrizioni di Catania, le 4 di Verona, l'equiparazione degli stipendi tra un consigliere municipale di Napoli e un consigliere comunale di Roma". L'elenco potrebbe essere anche più lungo. Ma, messo in chiaro che un consigliere comunale di Roma prende 1800 euro netti al mese, che un consigliere municipale, nella stessa città, ne riceve 700 (e che, se fa a tempo pieno quel mestiere, con quei soldi non ci vive), che un deputato Ds dà al partito il 40% della propria indennità netta (il 48% quelli del Lazio), la risposta a come si possa cambiare questo stato di cose passa da "un'autoriforma", "da una bicamerale", dai singoli enti locali, dall'iniziativa, anche di un partito nuovo e forte. Il clima, d'altronde, è quello che è. Così Sposetti, non si sottrae a una domanda sulle grane della Quercia. Difende la posizione dei Ds su Unipol ("Ma perché non avremo dovuto occuparcene?"), e mette la mano sul fuoco su D'Alema ("Vi sembra che se uno deve mettere da parte dei soldi li porta in Brasile?"). E poi c'è il futuro: l'orizzonte del Pd. Come ci arrivano i Ds, finanziariamente parlando? Sposetti rivendica il risanamento finanziario portato avanti fino ad oggi: "Nel 2001 il debito era di 584 milioni di euro. La prospettiva, al 31 agosto 2008, è quella di un debito, accettabile, di 90 milioni di euro". Cotticelli, dal canto suo, ricorda come sette anni fa alla Quercia romana fosse difficile anche chiedere un prestito in banca. "Oggi abbiamo un debito di un milione e 100mila euro. A fronte di proprietà immobiliari vicine agli 11 milioni e mezzo di euro". Il risanamento è andato avanti puntando sul sistema delle feste ("fanno più soldi quelle medio-piccole", certifica Sposetti), sulle campagne di raccolta, sulle cene di autofinanziamento ("l'altra sera a Tivoli, per la Finocchiaro, c'erano 500 persone"), sul tesseramento. Anche, ovviamente, sui rimborsi elettorali. Per questo, comunque, le Feste non si toccano. E le sezioni? Su questo Sposetti è pratico: ci sono sedi storiche e sezioni di proprietà sulle quali si deciderà caso per caso. "Ci si riunisce lì? Bene, ce le teniamo. Non sono adoperate? Vediamo cosa farne...". Ultimo tema, la formazione. "Non credo che potremmo tornare ai corsi di 3 o 6 mesi delle Frattocchie". Immagina forum di formazione nei week-end.


 

Il Giornale di Brescia 15-6-2007 LETTERE LA TESTIMONIANZA DI UN CAPOGRUPPO IN CONSIGLIO COMUNALE Costi della politica: attenti a non generalizzare

 

Chiedo cortese ospitalità alla rubrica delle lettere al direttore per intervenire con alcune considerazioni sulla discussione in corso ultimamente sui costi della politica. Osservo come ciclicamente il tema ritorna di attualità con una genesi non sempre genuina, ispirata com'è, più o meno occultamente, da centri di potere che considerano favorevolmente un arretramento del potere politico. Ritengo giuste alcune considerazioni che accompagnano l'indignazione dell'opinione pubblica sui privilegi di una parte della classe politica, che sicuramente devono rientrare in un ambito di sobrietà ed equilibrio, ma mi permetto di evidenziare che il panorama della partecipazione politica è composto da una moltitudine di persone che per modesti rimborsi o, molte volte, in modo del tutto gratuito, ogni giorno trasformano la propria passione civile in azione politica, senza clamore e senza l'onore della ribalta ma con dedizione e impegno meritevoli di rispetto. Voglio ricordare ad esempio come il mio impegno politico come capogruppo comunale in Loggia, comporta ogni giorno molte ore di dedizione, tra analisi dei documenti, incontri con i cittadini, partecipazione quasi quotidiana alle Commissioni, rapporti con i media, preparazione e partecipazione ai Consigli comunali, tempo che tolgo alla mia attività lavorativa, con un rimborso spese che si limita ad un gettone netto di 50 euro per ogni Consiglio a cui partecipo, per lo stesso gettone partecipo ad una Commissione mentre ad altre otto presto la mia attività di capogruppo del tutto gratuitamente. Ritengo comunque gratificante la mia attività politica, che svolgo con grande entusiasmo, passione e arricchimento umano, ma mi permetto di evidenziare come il mio sia l'esempio, come quello di una grande moltitudine di attivisti politici, di come non si possa accomunare in una indifferenziata campagna la condanna di inaccettabili privilegi con un attacco del tutto strumentale alla politica tutta. Mi permetto di portare alla riflessione critica i nostri cittadini sulla centralità dello strumento politico per difendere gli interessi di tutti, soprattutto dei più deboli, a fronte del prevalere del "particolare", di questo o quell'interesse corporativo o lobbistico. A chi giova un ulteriore arretramento della politica dai centri decisionali? Sicuramente non a una società che vuol crescere coesa, senza lacerazioni sociali, dove l'interesse di ognuno di noi si contempera nell'interesse complessivo, dove il senso civico è il collante dei rapporti tra cittadini e dove la politica riprende il suo posto, di sintesi alta degli interessi comuni, di quelli appunto della polis. NICOLA ORTO Capogruppo Udc in Loggia Brescia.


 

La Repubblica 15-6-2007Il negoziato sul futuro dell'Unione alla stretta finale prima del vertice della prossima settimana La Merkel pensa a due Trattati al posto della Costituzione Ue Il rapporto della presidenza tedesca non menziona il sistema di voto a maggioranza osteggiato dalla Polonia ANDREA BONANNI

 

DAL NOSTRO INVIATO BRUXELLES - Il negoziato sulla riforma dei Trattati europei è arrivato ieri alla stretta finale con la presentazione ai governi di un rapporto della presidenza tedesca sullo stato delle trattative. Il rapporto lascia capire come Angela Merkel intende impostare i lavori del vertice che, tra una settimana, dovrà dare "un mandato preciso e completo" alla Conferenza intergovernativa in modo che questa "concluda il lavoro di revisione entro la fine anno". Dal testo, si può desumere quali punti della abortita Costituzione la presidenza consideri negoziabili, e quali invece non intenda mettere in discussione. La riforma sarà articolata su due Trattati: un "Trattato dell'Unione", che modificherà quello esistente, e un "Trattato sul funzionamento dell'Unione" che sostituirà l'attuale Trattato della Comunità europea. In questo modo, l'Unione avrà personalità giuridica a livello internazionale anche in materia di politica estera e di difesa. I punti che la presidenza considera negoziabili sono sei. 1) Simboli e primato della legislazione comunitaria. I simboli (inno e bandiera) potrebbero non essere iscritti nel Trattato, ma resterebbero comunque in vigore. Il primato della normativa europea su quelle nazionali è messo in discussione da britannici e olandesi, ma fermamente difeso dalla maggioranza dei Paesi. 2) Il cambio di alcune terminologie: non si parla più di Costituzione, ma di Trattati. Il ministro degli Esteri europeo potrebbe essere ribattezzato segretario di Stato 3) Il ruolo della Carta dei diritti fondamentali. Parte integrante del progetto di Costituzione, potrebbe essere stralciata dal testo del Trattato, come chiede Londra. Tuttavia molti Paesi vogliono che il suo valore vincolante venga riconosciuto con un esplicito riferimento in un articolo del Trattato. 4) Il funzionamento della Politica estera e di sicurezza. Riguarda il ruolo e le competenze del futuro "ministro degli Esteri", che dovrebbe anche essere vicepresidente della Commissione. Londra non vuole che presieda le riunioni del Consiglio perché questo darebbe all'Unione europea il rango di Stato. 5) La delimitazione delle competenze tra Unione e Stati membri. Alcune competenze di Bruxelles potrebbero essere restituite ai governi nazionali. D'altra parte l'Unione potrebbe acquisire competenza in materia di clima e di energia (quest'ultimo punto sta a cuore ai polacchi) 6) Ruolo dei Parlamenti nazionali. Olandesi e cechi vogliono dare ai parlamenti nazionali, qualora rappresentino almeno un terzo degli stati membri, il diritto di bloccare le decisioni di Bruxelles. Sarebbe un modo per sminuire le competenze del Parlamento europeo. Nel suo rapporto, la presidenza non menziona due dei punti più controversi e delicati. Il primo riguarda l'estensione del voto a maggioranza per una serie di materie, soprattutto in tema di Giustizia, immigrazione e politica estera, che vede fermamente contrari i britannici (ma anche cechi e polacchi). Il secondo riguarda la ponderazione dei voti attribuiti a ciascun Paese. Il nuovo sistema previsto dalla Costituzione aumenta il potere dei Paesi più popolosi. La Polonia, che perderebbe influenza, minaccia di mettere il veto e contropropone un sistema che ridurrebbe il peso della Germania aumentando invece il proprio. Il fatto che il rapporto inviato ieri non menzioni questi due temi di discussione, ben difficilmente potrà evitare che essi monopolizzino il dibattito al vertice europeo. Ma Angela Merkel vorrebbe riservare la discussione su questi temi alle riunioni ristrette dei capi di governo, mentre gli altri sei punti saranno discussi preventivamente, già domenica e lunedì, anche dai ministri degli Esteri per cercare di sbrogliare la matassa prima del vertice.


 

L’Azione 15-6-2007 Mons. Betori spiega il senso dell'otto per mille

 

Monsignor Betori quali sono i principi che hanno ispirato la riforma concordataria del 1984? "I princìpi ispiratori possono essere ritrovati sia nella Costituzione italiana che nel Concilio Vaticano II e si muovono nella prospettiva di sana collaborazione per la promozione dell'uomo e il bene del Paese. La Chiesa, in particolare, ha recuperato meglio il bene supremo della sua libertà ("Libertas Eclesiae"), ponendosi più coerentemente a servizio dell'uomo per promuovere il suo vero bene, sia come singolo sia nelle formazioni sociali. La revisione concordataria non offre nulla di precostituito". E quali i valori ecclesiali alla base dell'otto per mille? "In particolare l'otto per mille è una scelta che va confermata tutti gli anni. E questo è già un valore ecclesiale che gli appartiene perché ogni anno ogni cittadino contribuente è libero di scegliere e confermare nuovamente la propria fiducia verso la Chiesa cattolica. Tra i valori ecclesiali legati in particolare all'otto per mille ricordiamo quello della partecipazione consapevole alla firma, della trasparenza necessaria per rendicontare su quelle risorse che la gente ci affida". Come mai la Chiesa ha deciso di destinare delle risorse alla pubblicità? "Innanzitutto nulla è dato per scontato. La legge prevede che i contribuenti esprimano ogni anno la propria scelta sull'otto per mille a favore di una delle sette opzioni. E quindi, ogni anno, dobbiamo semplicemente ricordare che esiste questa opportunità. Inoltre esiste l'esigenza "educativa" di promuovere una partecipazione sempre più consapevole alla missione e al sostegno economico della Chiesa, informando i cittadini ancora meglio di quanto la Chiesa realizza ogni anno grazie ai fondi ad essa destinati. È perciò necessaria un'informazione sempre più trasparente, che se non è promossa crea disagio tra i sacerdoti, disaffezione tra gli offerenti e i cittadini contribuenti. Per questo una comunica zione annuale permette un legittimo controllo e rende disponibili, soprattutto i fedeli, ad un coinvolgimento al "sovvenire" capace di spingerli alla corresponsabilità, alla solidarietà più spontanea". Esiste anche un'attività di sensibilizzazione affidata alle parrocchie oltre che ai media? "Certo. Ci sono molte persone di buona volontà che ogni anno contribuiscono affinché ogni firma sia rinnovata, consapevole e motivata. In particolare penso ai 225 incaricati diocesani e agli oltre 5 mila referenti parrocchiali che portano avanti, attraverso il servizio al sovvenire, un vero e proprio servizio pastorale per la nostra Chiesa. Quest'attività, per alcuni iniziata già nel 1988, rappresenta un apporto di notevole valore alla più generale azione evangelizzatrice della Chiesa, perché concorre a stimolare l'educazione alla corresponsabilità e alla partecipazione anche attraverso il sostegno economico alla Chiesa". Dal 1990 ogni anno i fondi dell'otto per mille alla Chiesa cattolica sono cresciuti. Era un risultato prevedibile? "Inizialmente nulla si poteva prevedere. Il sistema dell'otto per mille nel 1990 fu qualcosa di veramente innovativo. Non per niente fu innovativa, per la Chiesa cattolica, anche la comunicazione che doveva informare contemporaneamente su questo nuovo meccanismo oltre 30 milioni di contribuenti italiani. Ma nulla si può prevedere neanche oggi. Nulla si può dare per scontato e anzi, proprio una progressiva assuefazione che legge questi risultati come definitivi può essere il peggior nemico". Come avviene concretamente la ripartizione? "Ogni anno i vescovi si riuniscono in assemblea generale e decidono sulla ripartizione dei fondi dell'otto per mille. Una parte va all'Istituto centrale sostentamento clero per integrare le remunerazioni dei nostri 39 mila sacerdoti diocesani, una parte dei fondi viene gestita dalla Cei, un'altra parte, invece, è gestita direttamente dalle diocesi". E le diocesi come impiegano i fondi dell'otto per mille? "Come la Cei anche le diocesi devono impiegare i fondi dell'otto per mille secondo la legge, quindi per le esigenze di culto e di pastorale e per le opere di carità. Grazie a queste risorse sono state realizzate strutture educative e ricreative per ragazzi e iniziative di cultura religiosa. Ma anche interventi per la formazione dei sacerdoti, per le scuole di formazione teologica per laici, catechisti e insegnanti di religione, per aiutare le parrocchie e i monasteri di clausura in condizioni di straordinaria necessità, tenendo conto che le attività pastorali si fanno sempre più articolate e si proiettano maggiormente in prospettiva evangelizzatrice e missionaria. Per quanto riguarda gli interventi di carità nelle nostre diocesi è stato possibile dare risposte immediate e concrete alle tante domande di aiuto provenienti dalle numerose situazioni di povertà". La ripartizione dell'otto per mille risponde a precise normative. Come si è organizzata la Chiesa per dare rendiconto di queste risorse? "Grazie alla riforma concordataria in effetti la Chiesa cattolica è stata sollecitata, sia a livello istituzionale, ma anche locale, a operare vari cambiamenti e in più ambiti per l'introduzione di strumenti e modalità nuove per un'effettiva trasparenza delle gestioni delle nuove risorse e per realizzare una sempre maggiore partecipazione e corresponsabilità di tutti i fedeli alla vita della Chiesa".


 

Trentino Economia Pinetana, nuova multa Consob Piazza Affari colpisce Sighel, Pagano e Valentinelli

 

TRENTO. Non c'è pace per la disgraziata avventura della Cassa Rurale Pinetana nella fallita Piazza Affari Sim. Dopo la super multa di 238.500 euro comminata dalla Banca d'Italia a tutti i consiglieri d'amministrazione ed al direttore (18 mila euro a testa), nonché a tre sindaci in carica nel 2006 (9 mila euro per due, 4.500 per il terzo) ora è la Consob a sancire i protagonisti di quella partecipazione. Assieme ad altri amministratori della società d'intermediazione, la Commissione per la Borsa ha giudicato poco attenti nel "dotarsi di procedure idonee a garantire l'ordinata e corretta prestazione del servizio" l'ex direttore della Rurale, Franco Pagano, comminandogli una multa di 6.100 euro, l'ex presidente della Rurale, Sandro Sighel, multato con 6.100 euro e il funzionario, sempre della Pinetana, Paolo Valentinelli che dovrà pagare 16.300 euro: 5 mila per le medesime infrazioni dei colleghi, più 11.300 euro perché, nel finanziare un investitore, non si sarebbe preoccupato di assicurare adeguate garanzie. Sempre nel medesimo provvedimento (delibera n.15947 del 23 maggio scorso) la Consob multa con 8.900 euro Rodolfo Abbbate che di Piazza Affari Sim è stato amministratore delegato dal 1º gennaio 2002 al 19 gennaio 2006, nonché promotore della filiale della società a Trento, in Via Piave. Per l'ex presidente e per l'ex direttore della Pinetana - ma anche per tutti gli altri amministratori - il conto delle sanzioni comincia a farsi pesante. Come è stato pesante l'esborso di 1 milione di euro pagato dalla Rurale per chiudere le pendenze nel fallimento di Piazza Affari Sim. Un costo, è stato rilevato nell'assemblea che ha rinnovato il cda, pagato da tutti i soci a danno dei risultati 2006. E' stato il costo di un'avventura a cui non tutti sembrano disposti a contribuire, tanto che non si escludono iniziative per chiarire, come ancora non è avvenuto, tutti i particolari del disgraziato investimento.


 

Il Giorno 15-6-2007 IL COMMENTO I PARTITI DI LOTTA E NON GOVERNO AVETE VISTO la gente di Ariano Irpino?

 

Già quelli che volevano menare Bertolaso, reo di voler costruire una discarica per smaltire i loro rifiuti. Avete visto cosa tenevamo in mano? Cartelli, manifesti? Di più. Attorno all'auto del commissario straordinario per i rifiuti, agitavano la vera, autentica bandiera italiana. "NO". Questo stava scritto sui fogli di carta che sventolavano durante l'aggressione. Altro che tricolore. Un bel "NO" nero su campo bianco. Ecco il vero vessillo del Paese. Il suo emblema. La sintesi del fronte immutabile, inossidiabile del rifiuto. Rifiuto di tutto. Persino di smaltire i rifiuti. Rifiuto della Tav. Rifiuto della base americana di Vicenza, anche da ministri e segretari del Governo che ha appena detto SI'. Rifiuto delle grandi opere, ma anche di quelle piccole. Appena parte un progetto. Appena si prospetta un'esigenza, appena sboccia il germoglio di un qualunque "SI'", all'istante si materializza, forte, combattivo, aggressivo, a volte violento, il fronte del "NO". Risultato. IN TUTTO il mondo si costruiscono strade, si fanno ponti, viadotti, ferrovie super veloci. In tutto il mondo si avanza, si progredisce, magari si esagera pure nel fare e disfare, mentre da noi si presidiano i ruderi delle nostre antiche civiltà che seppero innovare rispetto alle precedenti perché non vivevano in questa Italia paludosa. Oddio. Non per buttarla in politica, ma va detto che la legge obiettivo varata dal Governo Berlusconi, qualcosa l'ha ottenuto. I cantieri dell'Alta velocità Roma-Milano o la terza corsia dell'autosole tra Firenze e Bologna, come si vede a occhio nudo, hanno fatto grossi passi in avanti. Adesso, però, si torna indietro. O si cambia valle. Non più la Tav in val di Susa, ma in una valle a fianco, sempre che questi montanari non facciano esattamente come i loro vicini. Non a caso, stiamo restando indietro mille miglia rispetto all'Europa. Ora, se possibile, il problema si è fatto più acuto. Perché i partiti del rifiuto, il fronte del "NO" è arrivato al Governo, ne costituisce una parte solida e integrante. Siede allo stesso tavolo di chi deve dire "SI". Con il risultato di congelare addirittura il tesoretto, oppure, bene che vada, di partorire qualche "NI". Da sventolare sulla bandiera di un Paese sempre più immobile e paralizzato.

 


INDICE 14-6-2007

 

+ La Stampa 14-6-2007Tasse, sugli onesti pressione del 50% Dal 1980 a oggi il sommerso è cresciuto in maniera esponenziale PAOLO BARONI 1

Il Riformista 14-6-2007 LE VIOLENZE DELLA POLIZIA AL G8 Ecco la verità: alla Diaz fu una “macelleria”  2

Il Corriere della Sera 14-6-2007 Ok della Camera al decreto liberalizzazioni Voti a favore 265, contrari 221, un astenuto Via libera in prima lettura da Montecitorio. Ora il ddl passerà al Senato. Ecco tutte le novità e i vantaggi per i consumatori. 3

Il Piccolo di Trieste 14-6-2007 Costi della politica, lunedì Tesini convoca i capigruppo. Da Rifondazione a Forza Italia consiglieri favorevoli ad alzare il limite d'età a 65 anni Cgil: raccolta di firme per abolire il vitalizio in Regione Colussi e i segretari contro "il privilegio di chi ottiene la pensione dopo solo 30 mesi di mandato" 4

L’Unità 16-6-2007  "No, io no" Tagli sì, ma non si cominci da qui. 4

Marketpress.info 14-6-2007 Il commissario per gli affari economici e monetari Joaquín Almunia ha presentato ieri a Bruxelles l'ottava relazione annuale sulle finanze pubbliche nell'Unione economica e monetaria  6

La Stampa 14-6-2007 Turpiloquio nervosismo e affetti nelle telefonate Manuale di conversazione per furbetti e sognatori MATTIA FELTRI 7

Italia Oggi 14-6-2007 Protocollo d'intesa tra Mef e giustizia. Banche e procure, un filo diretto Acceleratore sull'informatizzazione del processo penale. 8

 


+ La Stampa 14-6-2007Tasse, sugli onesti pressione del 50% Dal 1980 a oggi il sommerso è cresciuto in maniera esponenziale PAOLO BARONI

 

ROMA
La pressione fiscale in Italia viaggia attorno al 42% del prodotto interno lordo. Ma questa è solo una media: perché in realtà, per colpa degli evasori, gli italiani onesti pagano molto di più. Secondo i calcoli dell’Agenzia delle entrate sui dati del 2004, a fronte di un prelievo «apparente» del 41,42% i cittadini onesti hanno pagato quasi 10 punti percentuali in più: il 50,74%. La ricchezza sottratta al Fisco negli ultimi 27 annim, dal 1980 ad oggi, è cresciuta infatti in maniera esponenziale, passando da 43,9 miliardi di euro ai 270,1 miliardi di euro del 2004. Che corrisponde ad una quota pari al 19,12% del Prodotto interno lordo. La ricerca rivela che è addirittura dal 1989 che la pressione reale viaggia sopra il 50%, con un picco del 55% nell’anno dell’Eurotassa, il 1997. Le stime del 2004, l’ultimo anno per il quale sono disponibili tutte le variabili, parlano di una base imponibile effettiva di 818.403 miliardi e di tasse pagate solamente su 548.301 miliardi di euro.

L’anno di massimo assoluto dell’evasione è stato il 1990: negli anni a seguire questo odiosissimo fenomeno comincia il suo graduale rientro fino ad arrivare al minimo del 1999 con un decremento di quasi 10 punti in 10 anni. Negli anni più recenti «si osserva, invece, una pericolosa fase ascendente dell’evasione negli anni 2003 e 2004». La ricerca, appena sfornata, conferma la volontà del Fisco di conoscere la reale portata del «fenomeno evasione» proprio in un momento in cui l’argomento è diventato di strettissima attualità, in vista della spartizione del cosiddetto «tesoretto» e della messa a punto del nuovo Dpef (Documento di programmazione economica). Nei giorni scorsi è stato lo stesso ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, ad affermare che in Italia il peso delle tasse è altissimo e che la riduzione delle aliquote è strettamente legata al recupero d’evasione fiscale.

Le nuove stime partono dai versamenti Iva che vengono incrociati con i dati Istat relativi alla contabilità nazionale. L’imposta sul valore aggiunto, infatti, secondo gli esperti, «è un tributo cardine del comportamento fiscale tout-court perché la gran parte delle fattispecie di comportamento evasivo generano un abbattimento di imponibile Iva». Che negli ultimi anni è stato pesantissimo: solo nel 2004 sarebbero stati sottratti al Fisco 43,2 miliardi di euro di Iva, ben il 31% in più rispetto a 5 anni prima, a fronte di versamenti per 77,9 miliardi di euro. In pratica ogni 100 euro di Iva pagata ce ne sono 55 che vengono puntualmente evasi.

La vera novità dell’analisi condotta dall’Agenzia delle entrate riguarda però la possibilità di calcolare la pressione fiscale effettiva, un dato che consente di verificare se la riduzione della pressione sia imputabile a una riduzione del carico fiscale determinato dalle leggi o se sia il risultato di un aumento dell’evasione. Nel 2002, ad esempio, si è assistito a una riduzione del carico fiscale legale, non colto tramite la pressione fiscale apparente rimasta stazionaria, poiché associato a un recupero di evasione (si riduce il carico fiscale di chi paga le tasse, perché si amplia la base di quelli che le pagano). Nel 2003, è invece accaduto l’inverso: e il carico fiscale sugli «onesti» è aumentato di più di quello apparente. Nel 2004, la pressione fiscale apparente è invece scesa di più di quella reale: questo significa che una parte della riduzione del peso fiscale era il prodotto di una nuova impennata dell’evasione. La pressione fiscale è cresciuta fino al 1997 per poi calare leggermente e stabilizzarsi: intorno al 42-43% quella apparente, mentre quella effettiva oscilla sul 51-52%. E questo, come segnalano da tempo molti osservatori, dalla Confindustria alla Banca d’Italia, è la vera anomalia italiana. «A causa del peso dell’evasione – denunciava il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, nelle sue ultime Considerazioni finali, lo scorso 31 maggio - la differenza tra l’Italia e resto dei paesi d’Europa è maggiore se si guarda la prelievo sui contribuenti fiscalmente onesti». La forbice tra pressione fiscale «apparente» e «reale» viaggia infatti attorno ai 9-10 punti percentuali del Prodotto interno lordo: ecco l’importo del vero «tesoretto» che bisognerebbe cercare di incassare.


Il Riformista 14-6-2007 LE VIOLENZE DELLA POLIZIA AL G8 Ecco la verità: alla Diaz fu una “macelleria”

Era notte a Genova. La città della Lanterna ospitava in quei giorni del luglio 2001 il G8. Erano giorni duri, che videro la morte di un ragazzo, Carlo Giuliani, e scontri violentissimi. Nella notte tra sabato e domenica la tensione sfociò in nuove, drammatiche violenze. Il sabato sera, nella scuola Diaz che era stata trasformata in una sorta di dormitorio per i manifestanti venuti da fuori, arrivò la polizia. Che cosa accade? Secondo la prima versione che venne fornita poi dagli agenti, c’erano dei manifestanti già feriti a terra, in un bagno di sangue. Una versione sempre contestata e che ieri è stata smentita definitivamente dalla testimonianza, tardiva ma onesta, di un poliziotto che è fra i 28 imputati per i fatti di quella notte. Michelangelo Fournier, all’epoca vicequestore aggiunto del primo reparto mobile di Roma, al pm Francesco Cardona Albini ha dichiarato: «Arrivato al primo piano dell’istituto ho trovato in atto delle colluttazioni. Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese, stavano infierendo su manifestanti inermi a terra. Sembrava una macelleria messicana». Pestaggi ancora in atto. «Sono rimasto terrorizzato e basito - ha spiegato poi Fournier - quando ho visto a terra una ragazza con la testa rotta in una pozza di sangue. Pensavo addirittura che stesse morendo. Fu a quel punto che gridai: “basta, basta” e cacciai via i poliziotti che picchiavano». Il racconto diventa agghiacciante: «Intorno alla ragazza per terra c’erano dei grumi che sul momento mi sembrarono materia cerebrale. Ho ordinato per radio ai miei uomini di uscire subito dalla scuola e di chiamare le ambulanze. Per me stava morendo».
Viene così a galla un pezzo di verità. Il vicequestore Fournier ha taciuto per sei anni: «Spirito di appartenenza», si è giustificato. In parlamento si parla da tempo di una commissione d’inchiesta sui fatti genovesi. Per ora è rimasta lettera morta. È augurabile che queste dichiarazioni richiamino la politica ad assumere rapidamente un impegno in questo senso. Lo impongono il rispetto della moralità della vita pubblica e il senso dello Stato.
Per finire: il Comitato verità e Giustizia per Genova ci ricorda come ai tempi si parlò (lo fece D’Alema in un memorabile discorso al Parlamento) di «notte cilena». Oggi vien fuori l’inedito - finora - riferimento alla «macelleria messicana». Sarebbe il caso di smetterla con i riferimenti esotici, quasi a spingere oltre l’oceano l’immagine di un affare che è tutto e solo nostro. Chiamiamola più semplicemente come si deve: una vergogna italiana.

 


 

Il Corriere della Sera 14-6-2007 Ok della Camera al decreto liberalizzazioni Voti a favore 265, contrari 221, un astenuto Via libera in prima lettura da Montecitorio. Ora il ddl passerà al Senato. Ecco tutte le novità e i vantaggi per i consumatori.

 

ROMA - Via libera, in prima lettura, dell'Aula della Camera al ddl liberalizzazioni, la terza lenzuolata del ministro dello Sviluppo economico, Pier Luigi Bersani. I voti a favore sono stati 265, i voti contrari 221 e unico astenuto Salvatore Cannavò, "dissidente" del Prc della corrente sinistra critica. Il provvedimento, il cui testo in buona parte è stato modificato in corso d'esame, passerà all'esame del Senato. Soddisfazione da parte del promotore del decreto, Pierluigi Bersani, malgrado alcuni passi falsi nel passaggio alla Camera: "Il processo sta andando avanti. Non vorrei che passasse l'idea che in questo Paese non si possa cambiare", ha detto il ministro. Sul decreto sono arrivate pesanti critiche da parte del presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo. VANTAGGI PER I CONSUMATORI - Con la terza lenzuolata di liberalizzazioni (ma la Cdl, viste le modifiche al decreto originario, parla più volentieri, ironicamente, di "fazzoletto") i consumatori potranno avere pane fresco anche la domenica e libri appena usciti da subito a prezzi da saldo, farmaci da banco al supermercato e biglietti "last minute" in aeroporto, segreteria gratis nei cellulari e (forse) un risparmio in banca sulla commissione di massimo scoperto. Ma per il via libera definitivo alle misure previste dal ddl ci vorrà l'ok del Senato, Dove alcune norme verranno cancellate, anche per iniziativa del governo: la vendita dei farmaci di fascia "C" al supermercato, per esempio, decadrà, come ha già annunciato il ministro della Salute, Livia Turco. In effetti, già nel passaggio alla Camera qualche misura rilevante è stata accantonata: per esempio è stata stralciata l'abolizione del Pra (il pubblico registro automobilistico, che il ministro per lo Sviluppo economico, Pierluigi Bersani, considera un doppione della Motorizzazione civlie). La cancellazione del Pra confluirà in un apposito progetto di legge. E' rimasto inoltre l'obbligo del notaio per vendite di immobili sotto i 100mila euro di valore catastale. E qualcos'altro è stato aggiunto, come la moratoria (in attesa di una nuova legge di settore) a tutte le privatizzazioni dei servizi idrici. Ecco, in sintesi, le novità. BENZINAI - Via i limiti di distanza e i parametri numerici per le pompe di benzina. I gestori potranno vendere prodotti "non oil". Sugli orari competenza regionale. BANCHE 1/CONTI DORMIENTI - Ogni volta che si aprirà un conto corrente, le banche dovranno chiedere all'intestatario le generalità di tre persone da contattare nel caso in cui per due anni non si registrino movimenti sul conto. BANCHE 2/MASSIMO SCOPERTO - Via la clausola di massimo scoperto, anche se potrà essere predeterminato un "corrispettivo" per il servizio di messa a disposizione delle somme. STOP A CARO BENZINA - Al salire del prezzo del petrolio in due mesi di oltre 2 punti rispetto dal valore di riferimento fissato nel Dpef, l'aumento degli introiti Iva servirà a finanziare un calo equivalente delle accise sui carburanti. TRASPORTO INNOVATIVO - Gli enti locali rilasceranno autorizzazioni per "forme innovative" di trasporto pubblico locale: potranno essere date a titolari di licenze taxi o di noleggio ma non alle aziende di trasporto pubblico locale. EDITORIA - È passato, contro il parere del governo, un emendamento dell'opposizione che toglie il divieto di fare sconti superiore al 20% sui libri per i primi due anni di pubblicazione. FARMACI AI SUPERMERCATI - I farmaci di fascia "C", non rimborsati dal Ssn, si potranno comprare anche al supermercato a condizione che la vendita sia curata da un farmacista. Contro la misura si è schierata il ministro Livia Turco, che ha promesso di proporne la cancellazione in Senato. TELECOMUNICAZIONI - Approvato l'emendamento del governo che dà più poteri all'Agcom per la separazione della rete Telecom dai servizi. Stop ai servizi non richiesti di telefonia mobile. PANIFICI - Pane fresco anche la domenica. Aboliti i vincoli di chiusura domenicale e festiva per la panificazione. FERROVIE DELLO STATO - Sì alla liberalizzazione delle tariffe, ma sono attenuate le norme per definire i "rami secchi". TARIFFE AEREE - Nuovo stop a pubblicità delle compagnie: non si potrà reclamizzare il prezzo del biglietto separato dagli oneri accessori. AEREI LAST MINUTE - Le compagnie aeree potranno vendere negli aeroporti con la formula "last minute" i biglietti invenduti. ACQUA - Maxi moratoria per i servizi idrici: i nuovi affidamenti, fino a che non sarà rivista la normativa in materia, non potranno essere affidati a soggetti privati. INCENTIVI PER QUOTARSI IN BORSA - La quota di capitale di nuova formazione sottoscritto da organismi di investimento collettivo potrà avere una riduzione dell'Ires che potrà scendere fino al 20%. LEGGE ANNUALE CONCORRENZA - Arriva il disegno di legge annuale "per la promozione della concorrenza e la tutela dei consumatori": servirà a recepire i suggerimenti delle Autorità. RC AUTO - È previsto il mantenimento della stessa classe di merito nel bonus-malus per chi porta l'assicurazione da un camioncino o un furgone a un'auto: per esempio, è il caso di commercianti o artigiani che cambino modo di lavorare o vadano in pensione. 13 giugno 2007.


 

Il Piccolo di Trieste 14-6-2007 Costi della politica, lunedì Tesini convoca i capigruppo. Da Rifondazione a Forza Italia consiglieri favorevoli ad alzare il limite d'età a 65 anni Cgil: raccolta di firme per abolire il vitalizio in Regione Colussi e i segretari contro "il privilegio di chi ottiene la pensione dopo solo 30 mesi di mandato"

 

TRIESTE Una raccolta di firme per abolire le pensioni d'oro, ovvero i vitalizi conseguiti da consiglieri, parlamentari, assessori o ministri, dopo neanche una legislatura. La "crociata" per ridurre i costi della politica parte da Ruben Colussi, leader regionale Cgil, che dice di parlare a titolo personale, che tuttavia viene sostenuto anche dalla segreteria del sindacato. La petizione - che sarà inviata al Parlamento e al Consiglio regionale - è il primo passo verso la costituzione di un "Comitato per l'etica della politica". Primi firmatari, con Colussi, Renato Kneipp, Giuliana Pigozzo, Ezio Medeot. Accanto a loro i segretari provinciali Franco Belci, Glauco Pittilino, Roberto Massera e Emanuele Iodice. "La nostra - spiega Colussi - non è una battaglia qualunquistica contro i costi della politica. Abbiamo scelto di colpire un privilegio che non tocca partiti politici o istituzioni bensì il trattamento personale di parlamentari e consiglieri regionali. Nessuno può sostenere che questo privilegio sia utile alla democrazia. Anzi, nel momento in cui si vuole rivedere il sistema della previdenza italiana, bisogna evitare lo sconcio generato da persone che decidono della pensione altrui, potendo usufruire di un vitalizio dopo due anni e mezzo di attività". Ma l'iniziativa non trova tappeti rossi da parte della politica. "L'Italia è solita agire sotto una spinta emozionale - evidenzia Bruno Malattia (Cittadini) - ed è quello che bisogna evitare. La caccia alle streghe non porta a nulla. Servono provvedimenti strutturati perché i veri costi della politica sono altri: le pletore che si moltiplicano, i troppi livelli decisionali che aumentano i tempi per realizzare le opere. Noi, per la Regione, proporremo alcune idee concrete". Un esempio? "Riduzione dei consiglieri regionali a 40 e conseguimento della "pensione" a 65 anni". È favorevole all'innalzamento dell'età in cui si percepisce il vitalizio (oggi 60 anni) anche il forzista Isidoro Gottardo "perché non possono esserci disparità di trattamenti rispetto a ciò che avviene nel resto della società". Ma Fi non appoggia Colussi "che ha partecipato in questi anni attivamente alla concertazione con la Regione e si guarda bene dal sollevare problemi veri. Uno per tutti il costo della comunicazione della giunta Illy: circa 5 milioni di euro". Rivedere la durata del vitalizio è una priorità anche per Rifondazione, come spiega Igor Canciani. E tra le proposte concrete che arrivano dai partiti c'è quella di abolire la "pensione" dei politici ma anche le trattenute, lasciando ai singoli la possibilità di stipulare un'assicurazione. La ripropone, Cristiano Degano (Dl) che ricorda come "un primo segno al problema dei costi, il consiglio l'ha dato riducendo le indennità del 10%". Un altro, secondo il capogruppo, sarebbe legare "l'indennità dei consiglieri al numero di votazioni fatte in aula e non solo alla presenza". Luca Ciriani (An) è favorevole all'eliminazione del vitalizio in favore di una gestione privata ed evidenzia come "i nostri benefit siano tra i più bassi d'Italia. Possiamo migliorare riducendo il numero dei consiglieri". Di costi della politica i capigruppo parleranno lunedì pomeriggio con Alessandro Tesini. "La nostra idea - dice il ds Mauro Travanut - è che l'azione della Regione debba inserirsi in un quadro di cambiamento nazionale. Diversamente sarebbe inefficace". m.mi.


 

L’Unità 16-6-2007  "No, io no" Tagli sì, ma non si cominci da qui.

 

Diaria, indennità, gettone di presenza vitalizio: l'insensata giungla retributiva degli eletti in Regione Appena sono state estratte le forbici per tagliare il costo, divenuto esorbitante, della politica - dai vertici della Repubblica ai consigli di circoscosrizione - è cominciato il balletto "tagliate prima voi, ah, no, tagliate prima voi". Morale, sembra che, per ora, siano state tagliate le indennità di presenza dei consiglieri delle circoscrizioni bolognesi che ammontavano ad una trentina di euro, ben poca cosa; il doppio, comunque, delle 34.000 lire lorde che il sottoscritto percepiva una dozzina di anni fa quale consigliere al Comune di Urbino. Tutto finirà nella solita commedia all'italiana? Un bel contributo in tal senso l'ha dato l'ex vice-premier di Berlusconi, Gianfranco Fini, intervenendo al solito Porta a porta: "Noi per la verità, con la nostra proposta di Costituzione, i parlamentari li avevamo ridotti parecchio. Certo, fra due legislature. Ma io credo che nessuna decisione del genere possa venire richiesta, a tempi rapidi, a chi è in carica." Come dire: nessuno dei 945 parlamentari pensa minimamente di tagliare l'erba sotto i piedi ai propri immediati successori o a se stessi ipotizzati ovviamente quali successori. Lo vedete pure per cambiare la legge elettorale, il Porcellum calderoliano, quante divaganti resistenze, quante accuse scaricate sul voto o sui voti di preferenza. L'elettore deve limitarsi a mettere la crocetta. Gli uomini e le donne (poche) le cooptiamo noialtri. Senza tagliare a breve il loro numero perché, altrimenti, i piccoli gruppi strillano. Commedia, commediaccia all'italiana. Ma c'è dell'altro. Il costo della politica italiana, dai rami alti a quelli bassi, è imputabile non soltanto a benefit sempre più "grassi" di tanti eletti dal popolo (in realtà, in regioni come la Toscana, cooptati dalle segreterie dei partiti), alle migliaia di auto blu (meglio se con scorta), ma pure a tempi di lavoro effettivo molto ridotti, ad una produzione e produttività ormai decisamente mediocri. Così i tempi delle decisioni si allungano e il costo finale di una legge importante diventa insopportabilmente alto. Il bipolarismo doveva servire a sveltire il lavoro deliberante e legislativo, ma la sua versione italiana, fortemente militante, di guerra permanente quasi, sta facendo terra bruciata delle commissioni parlamentari. Le quali, anche nei periodi più arroventati della nostra storia parlamentare, servivano da stanza di decombustione, di discussione e di confronto sui problemi reali, senza le bandiere ideologiche da sventolare nelle sedute pubbliche. In Parlamento "sono "sparite" le commissioni", così titolava il 26 maggio scorso Il Sole 24 Ore sottolineando come la difformità stessa dei regolamenti, la diversa forza della presidenza fra Camera e Senato (con più poteri decisionali a Montecitorio, anche in materia di calendari di lavoro), il valore di voto contrario dell'astensione al Senato complichino ulteriormente un andirivieni fra le due Camere che spesso, per un emendamento, impegna mesi. È questo un costo della politica meno visibile quanto decisivo. Nelle Camere attuali si guadagna parecchio e però si lavora male, sempre peggio e sempre meno fruttuosamente. Oltre tutto, se anche per i lavori parlamentari decide l'aula, cioè una ristretta oligarchia di responsabili dei partiti, a che servono i quasi mille deputati e senatori? Ad alimentare le rispettive tifoserie negli scontri d'aula o negli ostruzionismi. E sì che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sta dando un esempio straordinario di solerzia, di rigore, di stile e di produttività istituzionale. Si badi bene: il malessere delle assemblee non riguarda solo quelle parlamentari, bensì pure le aule dei consigli comunali e provinciali. Ne parlò, autorevolmente quanto isolatamente, Gianfranco Pasquino, tempo fa. Mi piacerebbe che riprendesse quegli argomenti. Dati recenti ci dicono che un consiglio comunale ogni 4 va deserto a Roma per mancanza di numero legale. Accade anche altrove. È il modo di manifestare profondo disagio delle maggioranze (badate bene, delle maggioranze) che hanno perduto tanti, troppi poteri. Sono d'accordo che prima della riforma della legge comunale e provinciale, le assemblee elettive avessero poteri tali da dar luogo a forme di vero e proprio "assemblearismo". E però la situazione si è ribaltata. Oggi gli atti importanti sono tutti atti di giunta che ai consigli non resta che ratificare. Nel consiglio comunale di Urbino che citavo, in tre consiglieri appena, tutti di sinistra, tenemmo l'assemblea a discutere per due giorni sani di quattro progetti o lottizzazioni assai poco persuasive che la giunta, ovviamente Pds-Psi, come dalla Liberazione, nel sonno acquiescente della Dc, aveva rifritto il primo giorno di scuola. Due furono ritirate, uno venne rifatto (e un dubbio residence divenne un albergo a tutti gli effetti, il "Mamiani"), un altro passò e poi rimase sulla carta. Oggi una operazione democratica di profonda revisione di progetti urbanistici non è più possibile in consiglio comunale. Ma la frustrazione degli odierni eletti fa sì che si allunghino artificiosamente i tempi delle decisioni e che ne soffra la stessa qualità. Almeno agli occhi di ancora crede ai benefici di un dibattito serio. Torniamo ai tagli di seggi e posti. Dalla Val d'Aosta il presidente Luciano Caveri fa sapere che lì dai 35 consiglieri è impossibile scendere. Non potrebbe però scendere l'indennità lorda, 10.878 euro, il top in Italia col Friuli-Venezia Giulia, circa 3.500 euro più di Marche o Molise? Per quali misteriose ragioni? Climatiche? Etniche? Il primato del numero dei consiglieri regionali lo detiene invece la Sicilia con 90 scranni, seguita dalla Sardegna (85) e dalla Lombardia (80, ma con oltre 8 milioni di abitanti), mentre l'Emilia-Romagna si ferma a 50 eletti in Regione. La contigua Toscana, con una popolazione inferiore, ne conta, chissà perché, 15 di più e la Puglia addirittura 20 di più. La Sicilia spende ovviamente più di tutte per le sole indennità: 854.010 euro mensili per i deputati regionali. Senza tener conto di diarie e di benefit vari (che in Veneto comprendono i funerali gratis, pure per gli ex consiglieri). Ha ben ragione il politologo Gianfranco Pasquino a tuonare: "Le Regioni? Carrozzoni. Se avessero il 20% in meno di consiglieri, questo non arrecherebbe danno al corretto esercizio della pubblica amministrazione". Anzi, da regionalista profondamente deluso (e siamo in tanti), Pasquino abolirebbe le Regioni e non le Province. In effetti, una inchiesta del Sole 24 Ore ci dice che anche nelle Regioni un tempo chiamate "rosse", dove vigeva, e in parte vige ancora, una certa sobrietà, ci sono disparità inspiegabili: in Umbria, fra indennità di carica e diaria, si sfiorano per ogni consigliere i 12.000 euro mensili, contro gli 8.537 della confinante Toscana dove i gettoni di presenza sono i più bassi d'Italia. Siamo alla "giungla retributiva", con tanti rami alti e costosi però. Tanto più che in alcuni consigli regionali ce la si prende piuttosto comoda: una riunione plenaria ogni 13-14 giorni in Umbria. E pensare che, ai tempi del Piero Bassetti, si sosteneva che le Regioni avrebbero dato un esempio allo Stato in termini di efficienza, produttività, velocità e costi delle pratiche e dunque della politica. Altra "giungla" per le indennità lorde mensili dei presidenti di Regione: si va dai 14.000 euro del Piemonte agli 11.000 del Veneto passando per cifre intermedie in Lombardia, Lazio, Veneto e Campania. Ma perché mai? Sono dislivelli insensati e inspiegabili. Naturalmente questi elevati regimi retributivi si tirano dietro non meno elevati vitalizi, anche questi però difformi: in Emilia-Romagna, nelle Marche e in Toscana il minimo sta sui 1.500 euro lordi mensili, ma balza a quasi 4.700 euro nel Lazio e a oltre 3.700 in Calabria dove peraltro la trattenuta è bassissima (17% contro il 27% di altre Regioni, come Umbria o Campania). Per i massimi, si sale, o si balza, dai 3700-3800 euro lordi al mese di Emilia-Romagna, Marche, Toscana agli oltre 8.400 della Puglia e ai 9.308 del Lazio, in alcuni casi cumulabili con altri redditi consimili (vitalizio parlamentare, ad esempio), in altri no. Nel Lazio basta avere compiuto 55 anni e aver effettuato versamenti per 5 annualità per conseguire un vitalizio minimo vicino ai 5.000 euro lordi al mese. E la Regione Sicilia, patria di tante ingegnose e pingui prebende? Non se ne sa nulla. Lo stesso Sole 24 Ore segnala che Palermo "non ha fornito alcun dato". Del resto, la Corte Costituzionale con la sentenza 157 ha stabilito l'illegittimità del taglio del 10% (appena) inferto dalla Finanziaria 2006 ai compensi dei vertici delle Regioni. Quale miglior incentivo ad abbuffarsi? Il governo Prodi - che ha già tanti problemi di sopravvivenza - sta tuttavia elaborando un "libro bianco" su tutta la scottante materia. Le anticipazioni che ne vengono date dal ministro Vannino Chiti parlano di una riduzione secca dei parlamentari, incrementata anche dalla trasformazione del Senato in Camera delle Autonomie (composta in parte da delegati delle Regioni, già eletti quindi) e da una indennità unica per tutti gli eletti. A livello regionale qualcosa si è fatto. La Regione Sardegna - come ha riferito l'Unità di domenica 10 - ha ridimensionato le auto blu della Giunta da una quarantina a 14, ha cancellato 4 enti provinciali per il turismo e 8 Aziende di soggiorno. La Regione Lazio ha soppresso le Aziende Provinciali per il Turismo (Apt) "che ci costavano 8 milioni e mezzo di euro l'anno soltanto per aprire gli uffici", spiega l'assessore Raffaele Ranucci. Qualche società a partecipazione pubblica è saltata o sta saltando, in qualche "autorità", per esempio in Emilia-Romagna, l'indennità viene sostituita dai gettoni di presenza. Ma già si va dicendo - lo fa pure il ministro Santagata - che non bisogna prendere provvedimenti "sull'onda emotiva" del momento. Passata l'onda, in genere viene la bonaccia. Che per un governo, per il sistema dei partiti annuncia soltanto il montare di una nuova tempesta sospinta dai venti furiosi dell'anti-politica e del qualunquismo. Dare un segnale politico è indispensabile. Come non mai. "Sciagurata" la classe politica, ha detto di recente Giuliano Amato, che non cogliesse questa occasione: "Ci sono almeno 300 parlamentari di cui si può fare a meno". E anche di un bel po' di ministri, di vice-ministri, di sottosegretari nonché di consiglieri e assessori regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali a libro paga. (3-fine. Gli articoli precedenti il 28 maggio e il 4 giugno 2007).


 

Marketpress.info 14-6-2007 Il commissario per gli affari economici e monetari Joaquín Almunia ha presentato ieri a Bruxelles l'ottava relazione annuale sulle finanze pubbliche nell'Unione economica e monetaria

 

Bruxelles, 14 giugno 2007 -, commentando così la situazione negli Stati membri: "Sebbene la situazione di bilancio sia notevolmente migliorata negli ultimi anni, appare chiaro che la maggior parte degli Stati membri deve migliorare i risultati per quanto riguarda il conseguimento degli obiettivi di bilancio. I benefici di politiche di bilancio sane sono evidenti: la riduzione del disavanzo e del debito e il miglioramento complessivo della qualità delle finanze pubbliche consentirebbero agli Stati membri di liberare le risorse di bilancio necessarie per promuovere l'innovazione, gli investimenti, l'istruzione e l'occupazione, i quali a loro volta permetterebbero loro di affrontare con maggiore fiducia le sfide della globalizzazione e dell'invecchiamento della popolazione". Per quanto riguarda i dati relativi al nostro paese, la relazione pone l'Italia nel gruppo dei 10 paesi a "medio rischio" dal punto di vista della sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche insieme a Belgio, Germania, Spagna, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Slovacchia e Regno Unito. Il rischio più significativo è rappresentato per l'Italia, come per Lituania, Lussemburgo, Portogallo e Regno Unito, dalla posizione di bilancio iniziale, sebbene leggermente migliore rispetto al 2005. Risulta quindi necessario un rapido consolidamento dei conti pubblici che assicuri una stabile riduzione dell'attuale elevatissimo livello del debito pubblico. Ed è proprio per l'elevato livello del debito pubblico che l'Italia deve dare seguito all'invito del Consiglio di rispettare pienamente le riforme previste del regime pensionistico, compresa la revisione periodica dei coefficienti di trasformazione adeguandoli alle attuali aspettative di vita in modo da evitare significativi incrementi della spesa legata all'invecchiamento della popolazione. Inoltre, la relazione analizza la riforma del trattamento di fine rapporto, sottolineando che pur riducendo il deficit, essa non migliora la sostenibilità finanziaria, visto che implica future spese addizionali. L'impatto sul bilancio della misura, essendo legato alla scelta non prevedibile dei lavoratori, resta dunque incerto. Insieme alla relazione annuale sulle finanze pubbliche nell'Uem, la Commissione ha adottato oggi una comunicazione al Parlamento e al Consiglio contenente una serie di proposte per migliorare l'efficacia del "braccio preventivo" del patto di stabilità e crescita. Le proposte riguardano, da un lato, il modo in cui i governi formulano e attuano le loro strategie di bilancio a medio termine e, dall'altro, il rafforzamento della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche e di bilancio a livello dell'Ue. Lo scopo è realizzare politiche di bilancio sostenibili che favoriscano la crescita e l'occupazione. Nel 2006 la situazione di bilancio è migliorata considerevolmente. Il disavanzo medio nell'Ue è sceso dal 2,4% nel 2005 all'1,7% (e dal 2,5% all'1,6% nell'area dell'euro), mentre il rapporto debito/Pil è diminuito per la prima volta dal 2002 sia nell'Ue che nell'area dell'euro. Questa evoluzione riflette i continui progressi conseguiti nella correzione dei disavanzi eccessivi. Dopo l'abrogazione, la scorsa settimana, delle procedure nei confronti di Germania, Grecia e Malta, sette sono ancora i paesi in disavanzo eccessivo, rispetto ai 13 prima della riforma del patto. Dopo la riforma la procedura è stata abrogata anche nei confronti di Paesi Bassi (2005), Cipro (2006) e Francia (gennaio 2007). I sette paesi restanti sono l'Italia e il Portogallo, fra gli Stati membri dell'area dell'euro, nonché il Regno Unito, la Repubblica ceca, l'Ungheria, la Polonia e la Slovacchia. Secondo gli ultimi aggiornamenti dei programmi di stabilità e di convergenza, solo due paesi (Ungheria e Repubblica ceca) dovrebbero ancora registrare disavanzi superiori al 3% del Pil alla fine del 2008. La Commissione è tuttavia preoccupata del fatto che il braccio preventivo del patto non funziona così bene come il braccio correttivo. In genere, nonostante il contesto economico favorevole, gli Stati membri che non hanno ancora raggiunto l'obiettivo di bilancio a medio termine non stanno risanando le finanze pubbliche ad un ritmo sufficientemente rapido. In alcuni paesi l'inatteso maggiore gettito fiscale viene in parte utilizzato per finanziare aumenti di spesa. Ciò solleva dubbi sul carattere permanente del risanamento di bilancio in corso. Le previsioni di primavera dei servizi della Commissione mostrano che a politiche invariate solo 10 dei 27 paesi dell'Ue raggiungeranno il rispettivo obiettivo di bilancio a medio termine nel 2008, nonostante tre anni consecutivi di crescita economica superiore al tasso tendenziale.


 

La Stampa 14-6-2007 Turpiloquio nervosismo e affetti nelle telefonate Manuale di conversazione per furbetti e sognatori MATTIA FELTRI

 

ROMA Non è questione di turpiloquio: quello lo usiamo tutti. "Cazzo", diceva Giovanni Consorte. "Cazzo", diceva Stefano Ricucci. Cazzo, diciamo tutti al telefono. "Figlia di troia", diceva Vittorio Emanuele di Savoia parlando di Giuliana Sgrena. E "figli di puttana" diceva Piero Fassino di quelli del Sole 24 Ore. Sì, confermava Consorte, "sono dei figli di puttana". E "Porca troia!", diceva Chicco Gnutti. "Deficiente" diceva Ricucci parlando di Marco Tronchetti Provera. "Deficiente", diceva Fassino parlando di Luigi Abete. Non è quella la questione, perché tutti al telefono spacchiamo quello a quello, e per tutti noi il tale non capisce un tubo come Nicola Latorre sosteneva del suo segretario. La questione è altra. E' la cautela furbina, per esempio. Diceva Cristina Rosati, la moglie dell'ex governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, parlando con Gianpiero Fiorani: "In questo momento meno si parla con i telefoni e meglio è". Diceva Massimo D'Alema parlando con Consorte: "Meglio incontrarsi di persona", e meglio "esser prudenti sulle comunicazioni". E così Fazio, che a Fiorani consigliava di esser prudente: "L'unica cosa, passa come al solito dal retro" di Bankitalia. "Più si passa inosservati e meglio è", diceva Consorte a D'Alema. La prudenza e lo sciorinamento di ganci buoni. "A quelli ci penso io", diceva Fazio a Fiorani riferendosi alla Consob. "Comunque ho fatto un po' di chicchierate anche milanesi... Insomma, alla fine se ce la fate vi rispetteranno", diceva D'Alema a Pierluigi Stefanini, presidente della holding delle cooperative, riferendosi a chissà chi. E poi, insomma, anche la battaglia è comune. Il furbetto ormai, per la storia, è Ricucci. E il copyright è suo. "Furbetti del quartierino" lo usò per battezzare sé e i suoi compagni. Ma peggio erano quelli del salotto buono: "Tronchetti... Loro sono il salotto buono... Ci ha 45 miliardi de' debbiti... Il salotto sano lui ci ha". "Con i pierini bisogna giocare da pierini", diceva Gnutti. E i pierini erano quelli del salotto buono. "Loro adesso si scateneranno ancora di più... ieri il Sole 24 Ore ha fatto un'intera pagina contro di me", diceva Fassino a Consorte, e il Sole è il quotidiano di Confindustria. "Abbiamo messo le mani nel loro mercato", diceva ancora Fassino a Consorte. Una partita dura. E quando la partita si fa dura... Lo sapeva Fiorani e infatti, parlando con Gnutti, diceva: "Noi siamo pronti con i bazooka...". "Oggi ho fatto una telefonata di fuoco a Montezemolo...", diceva Fassino parlando come al solito con Consorte. "Questi maledetti", diceva Fiorani. E poi: "Mettiamogli paura anche noi...". E ancora: "Bisogna partire noi con le minacce". Ecco Fassino: "Bisogna passare al contrattacco". Oppure: "Siamo in piena guerra. Bisogna che parliamo perché siamo in piena guerra". D'Alema, col suo temperamento, non minaccia, ordina: "Gianni, andiamo al sodo: se vi serve, resta". Gianni è Consorte. Quello che deve restare è Vito Bonsignore, deputato europeo dell'Udc di Pierferdinando Casini e detentore di quote della Banca nazionale del lavoro. Sono tante le questioni. C'è anche una questione di affettuosità. "Tonino, io sono commosso, con la pelle d'oca, io ti ringrazio, ti ringrazio", diceva Fiorani a Fazio. Pure Silvio Berlusconi si definiva commosso parlando con Fiorani. E pure Consorte era grato: "Grazie di tutto", diceva a Fassino. E gli ridiceva: "Ti ringrazio anche per l'aiuto che ci hai dato". C'è una questione sempre solida, e cioè quella morale. I sistemi saranno discutibili, ma li si adopera mossi da intenzioni filantropiche. "Caro Tonino, il Paese ti sarà sempre grato", diceva Fiorani a Fazio persuaso che le sue scalate fossero di pubblico beneficio. "Non c'è nessuno che fa niente per niente Piero a 'sto mondo. Siamo rimasti in pochi secondo me", diceva Consorte a Fassino a proposito di Marcellino Gavio, risoluto ad appoggiare Unipol "siccome lui ha Impregilo" e "vuole lavorare con le cooperative". E Consorte si tiene anche Gavio. Niente per niente? "Facci sognare. Vai!" è l'incoraggiamento euforico di D'Alema a Consorte. "Ti darei un bacio, in questo momento, un bacio sulla fronte", è il trasporto altrettanto euforico di Fiorani con Fazio. E infine i furbetti; lo sbrindellone, che era Giacino Facchetti per Luciano Moggi; il bulletto, che era Ricucci per Latorre. Lo scarparo, che era Diego Della Valle sia per Ricucci sia per Latorre. "Non ci vuole molto ad avere un po' più di classe di 'sti beceri", diceva Consorte.


 

Italia Oggi 14-6-2007 Protocollo d'intesa tra Mef e giustizia. Banche e procure, un filo diretto Acceleratore sull'informatizzazione del processo penale.

 

Ieri il viceministro dell'economia Roberto Pinza e il sottosegretario alla giustizia Alberto Maritati hanno firmato un protocollo d'intesa per l'implementazione di un sistema informatico per la gestione del processo penale. L'accordo muove da una precedente collaborazione tra il ministero della giustizia, dipartimento tesoro, congiuntamente con Abi, Cnipa, Agenzia delle entrate e guardia di finanza, che ha dimostrato la possibilità di utilizzare i protocolli informatici in uso presso l'Agenzia delle entrate da parte del ministero della giustizia anche in ambito di giustizia penale. Il sistema giustizia è policentrico: conseguentemente, tutti i soggetti cui compete la politica di pianificazione devono lavorare in sinergia. Ed è proprio sulla scia di tale convincimento che si è avviata un'intensa attività di cooperazione fra amministrazione della giustizia e altre amministrazioni allo scopo di conseguire un'efficacia dell'azione che i protocolli consentono di raggiungere più celermente. Con l'accordo in questione, pertanto, si arricchisce il panorama delle collaborazioni estendendo quanto già avvenuto per il processo civile telematico, che consta di un protocollo fra ministero della giustizia e dicastero per l'innovazione tecnologica, anche alla gestione procedimento penale, che godrà adesso dell'appoggio del ministero dell'economia e delle finanze per uno studio di fattibilità diretto a verificare la possibilità di consentire alle procure di richiedere ogni tipo di accertamento bancario nonché a gestori di telefonia, polizia giudiziaria, ufficiali giudiziari, carceri ecc. per via telematica e di ricevere dalle banche una risposta, in tempi rapidi, per analoga via.Il Mef - Dipartimento tesoro, oltre alla sua competenza nelle materie di interesse del ministero della giustizia, negli ultimi anni ha avviato specifiche iniziative, in accordo con gli obiettivi governativi finalizzati alla digitalizzazione della p.a., volte all'introduzione di sistemi di gestione documentale e sistemi di workflow management che, nel rispetto della rilevanza delle tematiche trattate, consentono efficienza e riduzione dei tempi. Grazie quindi alla conoscenza tecnologica sviluppata e alla performabilità dei modelli predisposti che offrono importanti possibilità di applicazione tecnica e metodologica si è potuto gettare le basi per questa nuova e importante collaborazione.


INDICE 13-6-2007

 

 

++ Ilmeridiano.info 13-6-2007 In Italia oltre la metà del Pil assorbita dalla spesa pubblica  1

++ La Stampa 13-6-2007 Ddl liberalizzazioni, ok della Camera I voti a favore sono stati 265. Bersani: il processo va avanti 2

+ Il Corriere della Sera 13-6-2007 Milano. La rivolta dei consiglieri: no al taglio dei nostri stipendi 3

+ La Stampa 13-6-2007 Sindrome complotto GIOVANNI DE LUNA  3

+ Il Corriere della Sera 13-6-2007  Parmalat: 4 banche estere rinviate a giudizio Sono Citigroup, Ubs, Deutsche Bank e Morgan Stanley  4

Sono accusate di aggiotaggio. La prima udienza si terrà il prossimo 22 gennaio alla seconda sezione penale del tribunale di Milano  4

L’Unità 13-6-2007  Antonveneta: i pm di Lodi indagano Roberto Calderoli per appropriazione indebita  5

Europa 13-6-2007 Cordero di Montezemolo: forse ci vorrebbe un po’ di corda per i troppi evasori FEDERICO ORLANDO RISPONDE  5

La Repubblica 13-6-2007 Alla Camera stralciato l'articolo che aboliva il Pra, modificate anche le norme sulle ferrovie. Bersani: vediamo se il Parlamento ci segue Liberalizzazioni sgonfiate al giro di boa Camera, oggi l'ok al ddl che perde pezzi. E il governo va sotto sui libri LUCA IEZZI 6

L’Unità 13-6-2007 La pentola e il coperchio Marco Travaglio  7

Il Riformista 13-6-2007  SENTENZE Gli Usa riscoprono la giustizia  7

Italia Oggi 13-6-2007 La Scheda. Alle camere la stessa scena di bancopoli e vallettopoli. La solita ammuina  8

La Repubblica 13-6-2007 Etichettabili come biologici i "trasformati" - riso, dolci - che contengono lo 0,9% di organismi biotech La Ue: sì agli ogm nei prodotti bio rabbia dei Verdi: consumatori traditi ALBERTO D'ARGENIO  9

L’Unità 13-6-2007"Berlusconi vuole essere aggiornato" Le telefonate tra Fiorani e i politici di centrodestra. Scontro tra Consorte e Luigi Abete di Giuseppe Caruso  9

 


++ Ilmeridiano.info 13-6-2007 In Italia oltre la metà del Pil assorbita dalla spesa pubblica

 

Roma Oltre la metà della ricchezza prodotta dall’Italia viene assorbita dalla spesa pubblica, ponendo il Belpaese al vertice dell’area euro. Secondo le informazioni dettagliate sui conti del settore pubblico resi noti dall’Istat, infatti, nel 2006 la spesa pubblica complessiva è aumentata del 7,9% rispetto all’anno precedente evidenziando una «dinamica più accentuata» di quella registrata nel 2005 (+3,6%). Inoltre, la pressione fiscale è aumentata «in maniera significativa» al 42,3%; ma nel 2006 sono cresciute anche le entrate totali: +7,7% con un incidenza sul Pil pari al 46,1% (44,4% nel 2005). Sempre nel 2006, rileva ancora l’Istat, l’incidenza della spesa pubblica sul Pil è salita al 50,5% contro il 48,6% dell’anno precedente, un livello che risulta più alto di 2,7 punti percentuali rispetto alla media dei Paesi dell’area euro, e di 3,4 punti rispetto ai 27 Stati dell’Ue. L’andamento della spesa totale italiana è il risultato della crescita delle spese correnti al netto degli interessi (+3,6%), degli interessi passivi (+5,2%) e delle uscite in conto capitale (+53,3% dovute prevalentemente a oneri straordinari. Gli investimenti fissi lordi, che costituiscono una spesa in conto capitale, aumentano dell’1,7%, a fronte di una sostanziale stabilità del 2005 (+0,4%). Il risultato è dovuto alla riduzione delle dismissioni immobiliari, portate in detrazione (1.386 milioni nel 2006, 3.176 milioni nel 2005). Escludendo l’effetto delle dismissioni immobiliari, la riduzione degli investimenti sarebbe stata del 3,4%. Le spese correnti, comprensive degli interessi passivi, evidenziano un tasso di crescita del 3,7%, con un rapporto sul Pil pari al 44,5%. In dettaglio, la spesa per consumi finali, costituita prevalentemente dalle spese sostenute per la produzione di servizi pubblici, presenta un aumento del 3,1% rispetto al 5,2% dell’anno precedente. Mentre le prestazioni sociali in natura registrano un rallentamento della crescita passando dal 5,6% del 2005 al 3,4% del 2006, dovuto al contenimento di alcuni interventi sul prezzo dei farmaci. Tra le spese correnti, fa ancora notare l’Istituto di via Cesare Balbo, sono in crescita anche gli esborsi per redditi da lavoro dipendente (+4,1% contro il +4,5%), a seguito dell’applicazione dei nuovi contratti collettivi di alcune categorie. I consumi intermedi diminuiscono invece dello 0,8% (+5% nel 2005). La pressione fiscale complessiva rispetto al Pil aumenta in maniera significativa, portandosi dal 40,6 al 42,3%.

r.e.

 


 

++ La Stampa 13-6-2007 Ddl liberalizzazioni, ok della Camera I voti a favore sono stati 265. Bersani: il processo va avanti

ROMA
Via libera, in prima lettura, dell’Aula della Camera al ddl liberalizzazioni, la terza lenzuolata del ministro dello Sviluppo economico, Pier Luigi Bersani.

I voti a favore sono stati 265, i voti contrari 221 e unico astenuto Salvatore Cannavò, dissidente del Prc della corrente sinistra critica. Il provvedimento passa ora allesame del Senato.

Bersani: il processo sta andando avanti
Le critiche sul ddl liberalizzazioni che nell
iter parlamentare è stato svuotato di alcune importanti norme non piacciono al ministro dello Sviluppo economico Pier Luigi Bersani che invita a guardare al processo nel suo complesso. «Il processo - ha detto il ministro a margine dellassemblea dellUnione petrolifera - sta andando avanti. Non vorrei che passasse lidea che in questo Paese non si possa cambiare». Il ministro ha inoltre sottolineato che coloro che criticano bisogna che «studino un pò di più». Poi, ha aggiunto, «anche io ho dei sassolini nella scarpa che mi vorrei togliere come il Pra».

Montezemolo: manca una cultura del mercato
«Devo dare ragione a quello che ha detto ieri il presidente dell
Antitrust Antonio Catricalà. Mi sembra si stia andando indietro e che si perdano troppi pezzi». Lo ha detto il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, a margine dellassemblea Up, in merito al tema delle liberalizzazioni. «Credo che il ministro Bersani abbia fatto il possibile - ha dichiarato - e questo lo abbiamo sempre detto dopo anni di liberalizzazioni zero. Questo dimostra la mancanza di cultura di mercato in molti esponenti del governo e dellopposizione. Lho detto alla mia assemblea che le liberalizzazioni servono soprattutto per dare ai cittadini servizi più competitivi e quindi meno cari. Quando leggo - ha aggiunto - che c’è ancora un dibattito sul Pubblico registro automobilistico, stiamo parlando del Medio Evo e questo è molto triste».


+ Il Corriere della Sera 13-6-2007 Milano. La rivolta dei consiglieri: no al taglio dei nostri stipendi

 

Sgarbi: gli amministratori devono essere pagati in base alle loro responsabilità. L'Ulivo: il sindaco predica bene e poi apre un ufficio a Roma da 500 mila euro La rivolta dei consiglieri: no al taglio dei nostri stipendi "I costi della politica? La ricetta della Moratti non ci convince. Diminuire gli sprechi" Avanti adagio. E soprattutto, seguendo un'altra rotta: da Palazzo Marino non partirà la crociata contro i costi della politica. Casomai, con una trattazione di massima che dovrebbe venire discussa venerdì in giunta, si cerca di essere ancora più virtuosi e di razionalizzare la gestione per garantire risparmi. Insomma: la CdL frena sulla manovra annunciata dal sindaco Letizia Moratti. E intanto, la Lista Fo annuncia che a giorni porterà alla Corte dei Conti un secondo esposto sulle consulenze della Moratti. I capigruppo di maggioranza che si sono riuniti ieri con i collaboratori del sindaco hanno corretto il tiro: "Studiamo insieme la possibilità di tagliare gli sprechi, se ancora ce ne fossero", è il massimo della disponibilità. Il resto, le poltrone e gli stipendi, per ora non si toccano. Critica la Moratti anche l'opposizione: "Invece di dare annunci demagogici - commenta la capogruppo dell'Ulivo, Marilena Adamo - il sindaco tagli le consulenze sue e degli assessori, non apra l'ufficio romano da 500 mila euro, risparmi iniziative da migliaia di euro e pseudo campagne, come quella recente sulla salute costata 620 mila euro". Cosa succederà, dunque? Il sindaco rinuncerà al 35 per cento del proprio stipendio, destinando questa quota probabilmente ad un fondo contro la violenza alle donne. Non ci sarà decurtazione tout court, perché in questo caso la legge avrebbe imposto un proporzionale taglio agli stipendi di assessori e consiglieri. I quali, per parte loro, lamentano di guadagnare poco rispetto alle responsabilità. Per intenderci: a fronte di 9 mila euro lorde appannaggio del sindaco, l'assessore guadagna il 60 per cento (un netto di 3800 euro circa ogni mese). I consiglieri funzionano con i gettoni: ciascuno vale 130 euro lordi e se ne possono accumulare fino ad un massimo di 25 al mese. Ovviamente, quando Palazzo Marino chiude per ferie, i consiglieri restano senza stipendio. Nessun amministratore, poi, può contare sui accantonamenti pensionistici e contributi previdenziali. La Moratti annuncia poi il taglio dei consiglieri di zona: da 41 a 31 per parlamentino. L'assessore Ombretta Colli dà il corretto inquadramento politico: "Non stiamo dicendo che si risanano i costi della politica, tagliando alcuni consiglieri. E non vogliamo avviare una guerra tra poveri: semplicemente, stiamo studiando la riforma del decentramento che prevede più poteri ai consiglieri di zona. Se passa la nostra proposta, ci saranno meno consiglieri, ma più funzionali". Non è piaciuta neppure l'idea di tagliare i contributi a Pim e Cimep: "Sono enti che lavorano da trent'anni e hanno dato risultati importanti", spiega Alberto Garocchio, vicepresidente del Pim oltre che del gruppo consiliare di Fim, che ha le idee molto chiare anche sugli stipendi di consiglieri e assessori: "Sono una miseria. Se li riduciamo ancora, faranno politica soltanto i ricchi o chi ruba". Tesi molto simile a quella sostenuta dall'assessore Vittorio Sgarbi: "I tagli alla politica? Stupidaggini della demagogia e stupisce che abbiano sfiorato anche la Moratti. Io insisto con la mia tesi: gli amministratori pubblici devono essere pagati in base alle loro responsabilità e quindi non ha senso che una sindaco preda cento volte meno di un amministratore delegato di grande azienda". Ci saranno poi interventi sulle auto del Comune e su alcune spese di cancelleria: "Tagliare gli sprechi va benissimo - conclude Pasquale Salvatore, dell'Udc, ribadendo la linea della CdL - anche se Milano già si è distinta fra i Comuni più virtuosi. Ma sia chiaro: il problema non sono i costi della politica".


 

+ La Stampa 13-6-2007 Sindrome complotto GIOVANNI DE LUNA

 

Le reazioni alla pubblicazione delle telefonate si sono ispirate a abitudini ormai consolidate, quasi rituali: tutti hanno chiesto di anticipare i tempi della discussione della «legge Mastella» sulle intercettazioni; la direzione dei Ds ha denunciato il tentativo di delegittimare la politica, sottolineando i rischi per lo «Stato di diritto». L’irritazione verso i magistrati e i sospetti verso i giornali e i «poteri forti» caratterizzavano la sindrome di assedio che attanagliava Berlusconi e il centro-destra. La stessa sindrome sembra oggi attanagliare gli esponenti del centro-sinistra.
Quale che sia la fondatezza di queste sensazioni, a colpire è però soprattutto il fatto che essa venga vissuta più o meno nello stesso modo da tutta intera la nostra classe politica.
Diciamolo francamente. È sicuro che molti sono i personaggi che affollano un sottobosco interessato a pescare nel torbido e che i servizi si sono largamente compromessi nella lotta politica. Ma è altrettanto sicuro che in una democrazia compiuta come la nostra, quella che Bobbio chiamava la dimensione «invisibile» della politica (quella del segreto e degli arcana imperii), non è mai in grado di sopraffare completamente quella «visibile» del confronto libero e aperto tra le varie opzioni che si fronteggiano sul terreno della rappresentanza politica.
È stato così nel lontano passato della prima Repubblica. Nel 1976, nel pieno della guerra fredda, nonostante i maneggi della Cia, della strategia della tensione, delle oscure trame del terrorismo, il Pci ottenne il 34 per cento dei voti, il maggior successo della sua storia. E nel convulso biennio 1992-1994, a decidere la dissoluzione dei vecchi partiti furono la perdita dei consensi, la frammentazione elettorale e l’emergere di un forte astensionismo manifestatisi clamorosamente già nel 1989, ben prima che scattasse Mani Pulite e le fantasmatiche «toghe rosse» evocate da Berlusconi si mettessero a complottare.
In realtà la sindrome di assedio rinvia a una sorta di ansia di delegittimazione che traspare in molti ambienti della nostra classe politica, un problema che è stato affrontato recentemente con piena consapevolezza proprio da Massimo D’Alema. L’insistenza sui «complotti» sembra così una sorta di scorciatoia elusiva ed autoassolutoria. È veramente difficile oggi immaginare una congiura contro i Ds che vedono la loro base elettorale in preda allo sbandamento e alla disaffezione. Aver paura dei Ds sarebbe come aver paura di uno squalo nel Lago di Bracciano. Ai loro nemici basta aspettare, guardare con pazienza alle convulsioni di un mondo che appare incapace di autoriformarsi, devastato dall’impatto con una gestione del potere affrontata con eccessiva «voracità», in una dimensione esistenziale attraversata più dal compiacimento che dalla consapevolezza.
Ad acuire quella sindrome c’è poi il modo confuso e contraddittorio con cui si è avviata la fase costituente del Partito democratico; contrariamente a ogni aspettativa, si profila oggi la possibilità di un suo insediamento elettorale attestato intorno a quel 14-16 per cento che segnò il punto più alto del Psi di Craxi e che lascia una vasta area scoperta alla sua sinistra senza riuscire a sfondare al centro. Su questi territori abbandonati si affollano le mille sigle che frammentano l’universo della sinistra, rinchiuse nei propri feudi elettorali, inadeguate rispetto alla vastità del potenziale consenso che potrebbero intercettare.
È vero, tra tutti serpeggia una grande paura. La sinistra si congeda dalla sua configurazione tradizionale fondata su un grande partito, «pesante» e radicato sul territorio oltre che nelle istituzioni, affiancato e legittimato dalle tante piccole eresie che lo circondavano, per affidarsi a un pulviscolo organizzativo, con tanti partiti più o meno dello stesso peso e della stessa influenza. Alla loro capacità di tenuta è affidata la «fisiologia» della dialettica democratica tra destra e sinistra, la possibilità stessa che in questo Paese possa esserci ancora un’alternanza tra i due schieramenti, senza che uno dei due si autoaffondi; e su questa loro capacità, più che nel sottobosco dei complotti, si gioca una partita importante per la nostra democrazia.

 


+ Il Corriere della Sera 13-6-2007  Parmalat: 4 banche estere rinviate a giudizio Sono Citigroup, Ubs, Deutsche Bank e Morgan Stanley

Sono accusate di aggiotaggio. La prima udienza si terrà il prossimo 22 gennaio alla seconda sezione penale del tribunale di Milano

 

 

MILANO - Quattro banche estere sono state rinviate a giudizio dal giudice per l'udienza preliminare (gup) di Milano, Cesare Tacconi, per il crack Parmalat con l'accusa di aggiotaggio in relazione alla violazione della legge 231 sulla responsabilità oggettiva per non aver predisposto il modello organizzativo adatto a prevenire la commissione di reati. Si tratta di Citigroup, Ubs, Deutsche Bank e Morgan Stanley. Rinviati a giudizio anche tredici funzionari delle banche coinvolte. La prima udienza si terrà il 22 gennaio 2008 davanti alla seconda sezione penale del tribunale di Milano. Il prossimo 18 giugno, invece, il gup milanese dovrebbe decidere sulla richiesta di patteggiamento di Nextra (società di gestione risparmio di Banca Intesa) e di suoi quattro funzionari, già avanzata nelle scorse settimane.

ESTRANEITÀ - «Il processo consentirà di accertare la totale estraneità ai fatti contestati di Citigroup e del dirigente Paolo Botta». È questo il commento ufficiale di Citigroup sulla decisione del gup di Milano. Secondo Citigroup la decisione «è stata determinata dalla ben nota limitazione probatoria che caratterizza l’udienza preliminare. Il processo confermerà che Citigroup fu parte offesa della più grave bancarotta fraudolenta della storia italiana del dopoguerra».

13 giugno 2007

 


L’Unità 13-6-2007  Antonveneta: i pm di Lodi indagano Roberto Calderoli per appropriazione indebita

I pm di Lodi indagano per appropriazione indebita l'esponente della Lega Nord Roberto Calderoli, il senatore di Forza Italia Aldo Brancher, l'ex parlamentare dell'Udc Ivo Tarolli, il presidente del Palermo calcio Maurizio Zamparini, e altre 46 persone nell'ambito di uno stralcio di indagine sulla scalata ad Antonveneta.

Gli indagati si sarebbero appropriati di somme di denaro grazie alla complicità di ex funzionari della vecchia Bpi con operazioni bancarie tra cui investimenti, disinvestimenti e fidi. Da queste operazioni gli indagati avrebbero tratto dei vantaggi mentre le perdite sarebbero state spalmate su clienti ignari della stessa banca.

La Guardia di finanza ha effettuato una serie di acquisizioni di carte e documenti nella sede centrale della banca a Lodi. All'origine delle accuse contro Calderoli ci sarebbe un interrogatorio dell'ex numero uno di Bpi, Giampiero Fiorani: Calderoli avrebbe ricevuto denaro contante.

L'inchiesta della magistratura lodigiana dovrebbe essere chiusa entro settembre, salvo imprevisti. Le indagini , che stanno procedendo in modo spedito, sono condotte dal Procuratore della Repubblica di Lodi, Giovanni Pescarzoli e dal pm Paolo Bargero e sono, in sostanza, uno stralcio dell'inchiesta milanese sul tentativo di Bpi di scalare Antonveneta. Infatti le posizioni dei 50 indagati sono state trasmesse per competenza a Lodi, nel febbraio scorso, dai pm di Milano Eugenio Fusco e Giulia Perrotti.

Sempre a Lodi, ma questa volta il pm Alessandra Simion, sta predisponendo la chiusura del filone d'inchiesta che riguarda il falso in bilancio, nel quale sono coinvolti l'ex amministratore delegato di Bpi Giampiero Fiorani, il suo braccio destro Gianfrancon Boni e una serie di amministratori della banca. Nei giorni scorsi il pm ha interrogato Fiorani.

 


 

Europa 13-6-2007 Cordero di Montezemolo: forse ci vorrebbe un po’ di corda per i troppi evasori FEDERICO ORLANDO RISPONDE

Cara Europa, ho ascoltato con piacere le dure parole di Cordero di Montezemolo all’assemblea dell’Assolombarda («Meno dello 0,8 per cento degli italiani dichiara al fisco un reddito superiore ai 100 mila euro») e, al tempo stesso, ho visto con sgomento che la classe politica di destra e di sinistra, forse perché anch’essa compresa fra i renitenti al dovere civico, ha accolto quelle parole con silenzio.
Eppure, per il boccheggiante governo di centrosinistra, poteva essere una ciambella di salvataggio.
Mara Guerzoni, Verona

Cara Signora, anch’io ho ascoltato con ammirazione le parole di Montezemolo, pronunciate, fra l’altro, in una delle platee più reazionarie d’Italia (anche se con forti minoranze aperte alle regole morali dell’impresa classica). Ricordo l’Assolombarda dai tempi in cui il centrismo, che aveva perduto la leadership di De Gasperi, non le andava più bene, e insieme a Confcommercio e Confartigianato fece un patto, la Confintesa, affidando a Malagodi l’incarico di farne una forza politica per spostare a destra l’asse del paese. Naufragò nel ridicolo, ma il paradigma del ricatto al governo attraverso la mobilitazione elettorale della “categoria” è tuttora in piedi: anche la famiglia viene organizzata in “categoria” al Family Day, con Pezzotta nel ruolo di Malagodi.
Ma torniamo a noi. Sulla fuga delle classi ricche dal dovere fiscale c’è un secolo e mezzo di consolidata storia italiana, con l’eccezione, iniziale e unica, della Destra storica: i cui notabili tartassarono le proprie ricchezze per mettere in piedi le finanze del nascente regno d’Italia e si scavarono la fossa quando chiesero eguale stoicismo, impossibile, alle classi povere. Oggi il paradosso è questo: 100 mila euro sono 200 milioni di vecchie lire, per comprare una casa media in periferia occorrono 300-500 mila euro, a chi vanno a finire le migliaia di appartamenti che continuano a intasare la penisola, se non c’è gente che possa comprarli? Oppure quella gente c’è, e tantissima: basta vedere le Ferrari e le Bmw, le infinite ville, i yacht da 30 e più metri, gli aerei privati, intere regioni dove si lavora in nero, come il Mezzogiorno, e interi settori sempre in nero, come l’edilizia di subappalto, l’agricoltura, e poi commercianti e artigiani e ristoratori (sempre affollatissimi) che rilasciano o non rilasciano la ricevuta secondo l’occasione, professionisti nelle cui case entra un fiume di denari al giorno (sbalorditiva una recente confidenza della matrimonialista Bernardini di Pace su gioielli da 400 mila euro), ecc. Eppure, non si ha la forza di liberalizzare le professioni, di aprire le corporazioni, di dare una caccia in massa agli evasori: si aumentano le tasse e i contributi e le bollette a chi già paga; il governo perde la fiducia di questi cittadini onesti (e non solo del Nord Est e di chi teme gli “studi di settore”); Berlusconi se la ride del principio prodiano di «mettere il consumatore al centro del mercato» e pensa che, se tornerà a Palazzo Chigi, continuerà a non disturbare i ribaldi e a condonare i forti. Perché, cara signora, cento ribaldi forti sono una forza, mille galantuomini deboli sono una debolezza. Almeno fino a quando i deboli non si convincono di poter diventare forti.


 

La Repubblica 13-6-2007 Alla Camera stralciato l'articolo che aboliva il Pra, modificate anche le norme sulle ferrovie. Bersani: vediamo se il Parlamento ci segue Liberalizzazioni sgonfiate al giro di boa Camera, oggi l'ok al ddl che perde pezzi. E il governo va sotto sui libri LUCA IEZZI

 

ROMA - Due ultimi "strappi" e la lenzuolata sulle liberalizzazioni completa il suo iter alla Camera. Lo stralcio delle norme che abolivano il pubblico registro automobilistico e la sconfitta del governo su un emendamento sulla liberalizzazione del prezzo dei libri simboleggiano la difficoltosa gestazione del ddl del ministro Pierluigi Bersani che oggi affronta il voto finale, per poi passare all'esame del Senato. "Non mi stupisco delle difficoltà del percorso. Ce ne sono sempre state - ha commentato Bersani - vorrei però fosse valutato il fatto che se c'è stato qualche problema e in particolare su norme che lo stesso Parlamento aveva introdotto, se guardo fin qui i contenuti della legge, salvo l'accantonamento del Pra, c'è sostanzialmente ciò che c'era e forse qualcosa in più". Al contrario il presidente dell'Antitrust Antonio Catricalà ha ammesso: "Sono stati fatti passi indietro rispetto alle scelte compiute tempo fa". Nel corso dei mesi gli interventi volti a ridurre la carica "liberalizzatrice" sono arrivati sia dalla maggioranza che dall'opposizione. Nel caso del Pra poi, lo stralcio delle norme che lo volevano far sparire è stato votato con un ampia maggioranza trasversale. Sull'altro fronte, l'emendamento che dà la possibilità di vendere libri con uno sconto superiore al 20% vedeva il governo contrario perché materia di una successiva legge sull'editoria. Invece il proponente Benedetto Della Vedova (Fi) ha trovato i voti dei suoi ex compagni del partito radicale presenti nella Rosa nel Pugno e così l'opposizione ha potuto esultare. Per il resto la legge arriva al Senato con notevoli modifiche e qualche conferma. Nella seconda categoria da ascrivere l'articolo 1 sulla libertà d'insediamento delle aree di servizio, e ciò nonostante le serrate dei benzinai. Così come confermate nella sostanza le varie misure per ridurre al minimo le autorizzazioni e i passi burocratici per le imprese e gli incentivi fiscali in caso di fusioni e di quotazione in Borsa. Rimane l'obbligo per i gestori di luce, gas e telefono di redigere le bollette con maggior trasparenza e chiarezza. Sparita, poi reintegrata con qualche modifica, la commissione di massimo scoperto sui conti correnti bancari. Per le banche l'altra novità è l'obbligo di chiedere ad ogni correntista tre nominativi da contattare nel caso il conto rimanga "dormiente" per più di due anni. "Cadute" le norme sul mercato della componentistica auto. Ridotta l'efficacia delle misure che incoraggiano il trasporto pubblico "alternativo" (non piacevano ai tassisti) e la concorrenza sulle ferrovie. Inserita anche la moratoria delle privatizzazioni degli acquedotti. Non tutte le novità hanno depotenziato la legge: l'Autorità per le Tlc avrà più poteri sulla rete telefonica fissa ed è stato approvato anche un meccanismo per sterilizzare gli effetti dell'aumento del prezzo del petrolio sulla benzina, operando su accise e Iva. Una breve apparizione l'ha fatta l'esenzione del passaggio dal notaio per la compravendita di immobili sotto i 100 mila euro. Non era nel testo iniziale e non è arrivata in fondo, ma potrebbe essere riproposta. è invece probabile che al Senato sparisca la possibilità di vendere nei supermercati i medicinali di fascia C.


 

L’Unità 13-6-2007 La pentola e il coperchio Marco Travaglio

 

Chiamo un grande inviato che lavora in America per sapere che accadrebbe lì se alcuni politici fossero sorpresi a scalare banche. E lui si mette a ridere: "Difficilmente in America i politici partecipano a scalate bancarie". Ma poniamo per assurdo che quanto sta emergendo dalle telefonate di Antonveneta-Unipol fosse accaduto negli Usa: le carte dell' inchiesta finirebbero sui giornali, o resterebbero segrete? Altra risata: "Finirebbero sui giornali, ovviamente. Come pure gli atti più segreti del governo, che grazie al "Freedom of information act" sono accessibili alla stampa e a chiunque dimostri un interesse pubblico a conoscerli e a divulgarli. Solo qualche atto supersegreto di intelligence, attinente la sicurezza nazionale, rimane inaccessibile. Il resto è pubblico. Per gli atti processuali, una volta depositati, il segreto cade. E sono accessibili tanto per le parti del processo quanto per i giornalisti: questi fanno richiesta e prelevano copia. Anche se c'è di mezzo qualche parlamentare, che non gode di alcun trattamento o segreto privilegiato. Qualcuno, politico o privato cittadino, può chiedere la segretazione: per esempio, un miliardario amico di Clinton, Ron Burkle, fece causa a un suo partner e ottenne dal giudice gli omissis sugli atti perché contenevano elementi imbarazzanti per i suoi affari; ma l'editore Bloomberg chiese al tribunale di desegretarli, in nome dell'interesse pubblico: la ottenne e divulgò tutto". Naturalmente, in America, la legge è inflessibile con le violazioni della privacy e della reputazione: ma se la notizia è vera e di interesse pubblica, tutto il resto non conta. Noi, anche se siamo in Italia, siamo comunque immersi nella comunicazione globale: se anche si facesse una legge che copre tutte le indagini fino al processo, chi potrebbe impedire a qualcuno di pubblicare atti impubblicabili su un sito francese o neozelandese? Davvero oggi qualcuno può pensare che esista un sistema per nascondere atti depositati, cioè non più segreti, a disposizione di centinaia di persone e noti a magistrati, poliziotti, cancellieri, impiegati, periti, avvocati, indagati; atti che, fra l'altro, saranno presto noti a un migliaio di parlamentari, a quali il gip Forleo li invierà presto perché votino pro o contro l'utilizzabilità a carico dei furbetti del quartierino? Quando la notizia è grossa, il coperchio è sempre più stretto della pentola. E allora: non è meglio rassegnarsi, inchinarsi all'informazione e affrontare casi simili in modo più civile e virile, garantendo ai giornalisti la completa conoscenza degli atti e fornendo le dovute spiegazioni dei propri comportamenti ai cittadini elettori? Si eviterebbe così di trasformare i tribunali nel "suk" mediorientale che vediamo in questi giorni a Milano, con i giornalisti che pendono dalle labbra di cento avvocati che trascrivono brandelli di intercettazioni, dando in pasto alla stampa quel che conviene a loro. Si eviterebbe anche il ricatto del "cosa mi dai se non parlo di te?". A quel punto, starà alla responsabilità e alla deontologia dei giornalisti, in una sistema finalmente trasparente, decidere che cosa è utile raccontare e cosa no. Chi sgarra, violando la privacy o diffamando qualcuno, ne risponde in base alle leggi vigenti. Chi scrive la verità non ha nulla da temere. E il dibattito passa dal contenitore al contenuto: si parla cioè degl'intercettati, non degli intercettatori. Ora si pensa di risolvere la questione con la legge-bavaglio Mastella, che prolunga il segreto fino al termine delle indagini, cioè per anni e anni, sottraendo l'attività dei magistrati dal necessario controllo dell'opinione pubblica. Pezo el tacon del buso: i ricatti, anziché dissolversi, si moltiplicheranno. Chi pubblicherà notizie impubblicabili incorrerà in una multa fino a 100 mila euro. Una cifra che in Italia possono permettersi 4-5 editori. Che potranno decidere di investire quei 100 mila euro secondo la convenienza, pubblicando le notizie che danneggiano i loro avversari e tacendo quelle che danneggiano i loro amici. O mettendole all'asta al migliore offerente, secondo il metodo di Ricattopoli: non vuoi che esca la tua foto? Allora paga. Bel risultato, non c'è che dire. Uliwood party.

 


 

Il Riformista 13-6-2007  SENTENZE Gli Usa riscoprono la giustizia

Aalla fine si è deciso: arrestare un civile, bollarlo di punto in bianco come «nemico combattente» e imprigionarlo a tempo indeterminato, oltre che contrario ogni regola della decenza umana, è anche contro la legge. La sentenza, pronunciata ieri da una corte d'appello federale americana, sembra quasi lapalissiana. Eppure, negli Stati Uniti di George W. Bush, dopo sei anni di renditions, di Guantanamo e di prigionieri fantasma, è a dir poco rivoluzionaria. Ieri, infatti, si è concluso il processo d'appello sul caso di Ali Al-Marri, un cittadino del Qatar che nel 2001 si trovava negli Usa con regolare visto da studente e che fu arrestato, due mesi dopo l'undici settembre, con l'accusa di avere clonato alcune carte di credito. Che Al-Marri sia colpevole o no di questa frode non è dato sapere, visto che poco dopo la sua cattura lo studente del Qatar fu dichiarato un «nemico combattente», e quindi al di fuori della giurisdizione della legge civile. Da allora Ali Al-Marri si è trovato in una sorta di «limbo legale» (l'espressione è della Cnn): senza un processo né accuse formali, Al-Marri è rimasto in carcere per quasi sette anni. Ieri la Corte d'appello ha dichiarato tutto questo «incostituzionale» e, probabilmente, presto la sentenza sarà confermata dalla Corte suprema. Il suo caso assomiglia a quello di molti altri, ma ha ricevuto particolare attenzione dai media perché Al-Marri è l'unico «nemico combattente» arrestato sul territorio americano.
La decisione presa ieri dalla Corte d'appello non ha solamente posto fine a una lunga odissea di ingiustizie. Secondo alcuni, rappresenta l'inizio della fine di un sistema di giustizia sommaria con cui l'amministrazione Bush ha gestito (e con risultati assai dubbi, anche dal punto di vista della sicurezza) l'emergenza terrorismo. Lo stesso concetto di «nemico combattente», o enemy combatant, permetteva di sottrarre un presunto terrorista alla giustizia civile senza per questo garantire le tutele previste dalla Convenzione di Ginevra per i prigionieri di guerra: un «nemico combattente» non è né civile né soldato, e in virtù di questo limbo non ha diritto a tutela alcuna. Dichiarando «incostituzionale» quello che tutte le principali organizzazioni umanitarie hanno già definito un abominio, i giudici americani hanno mandato, seppure con un certo ritardo, un messaggio chiaro all'amministrazione Bush: la lotta al terrorismo non è una giustificazione per la violazione dei diritti umani. A cominciare dal diritto a un giusto processo.

 


 

Italia Oggi 13-6-2007 La Scheda. Alle camere la stessa scena di bancopoli e vallettopoli. La solita ammuina

 

Se i dossier possono essere a orologeria come i provvedimenti giudiziari, non sono da meno le leggi o quanto meno le proposte legislative che in materia di intercettazioni hanno avuto una tempistica segnata dagli eventi più che dalla lungimiranza politica dei parlamentari sia di maggioranza che di opposizione. Infatti, non c'è stata inchiesta di questi ultimi anni, con relativa pubblicizzazione delle intercettazioni a corredo dei capi di indagine, che non sia stata accompagnata da un dibattito acceso su come era opportuno modificare il codice per eliminare la 'bulimia' delle intercettazioni. Nel passato recente per dire, in piena Bancopoli, quando tenevano banco le affettuose conversazioni tra l'ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio e l'ad di Bpl Gianpiero Fiorani, l'allora guardasigilli Roberto Castelli produsse il primo articolato organico vietando le intercettazioni di persone non indagate (tranne che nei casi più gravi), prescrivendo che comunque fossero avvisate, prevedendo multe salate per i cronisti. L'allora premier Silvio Berlusconi salutò il ddl ( approvato dal consiglio dei ministri a settembre del 2005) con un liberatorio 'oggi finisce un incubo'. Ma in effetti, scemato l'interesse giornalistico sfumò anche la pervicacia parlamentare anche se vi contribuì la levata di scudi dei rappresnentanti dei giornalisti e dei magistrati. E poi le camere furono sciolte. In questa legislatura i proclami politici e 'l'ammuina' si sono sprecati, con alterne vicende e papocchi parlamentari. Per dire, Clemente Mastella alla sua prima dichiarazioni ufficiale da guardasigilli promise un intervento contro lo 'sciacallaggio' mediatico (maggio 2006). E anche se il suo ufficio legislativo magari lavorava a un testo, la riserva fu sciolta solo i primi di agosto mica perché si riteneva che era arrivato il momento giusto ma perché nel frattempo erano scoppiate Vallettopoli e Calciopoli e sulla stampa erano finite le intercettazioni di Salvo Sottile, ex portavoce dell'ex ministro degli esteri Gianfranco Fini, poi assolto dall'accusa di concussione sessuale, per giunta. In quella occasione, in verità, Mastella avrebbe voluto correre e trasformare il disegno di legge in un decreto d'urgenza, previo accordo bipartisan. Il decreto legge arrivò, in effetti, ma per un'altra questione: le intercettazioni illegali. A settembre scorso Giuliano Tavaroli, l'ex capo della sicurezza Telecom veniva arrestato insieme al patron dell'agenzia provata di investigazione Polis d'istinto Emanuele Cipriani, accusati di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali per l'acquisizione di notizie 'sensibili'. In altre parole, intercettavano abusivamente, raccoglievano materiale, confezionavano dossier velenosi su personaggi politici di spicco (Romano Prodi, per dirne una), così come su personaggi noti del mondo della finanza, i giudici di Mani Pulite. La politica in quei giorni si interrogava su quanto sarebbe potuto uscire dall'archivio dell'altro indagato Pio Pompa, il dipendente del Sismi, fedelissimo dell'allora generale comandante Niccolò Pollari. Nel dubbio (meglio prevenire) il governo, forte dell'appoggio della opposizione, varò a settembre 2006 un decreto legge per sterilizzare i dossier illegali, arrivando a prevedere la distruzione delle intercettazioni eventualmente captata illecitamente. Ma il dl proprio non girava, era scritto male e tra l'altro neanche serviva perché di questi dossier si perse le tracce. Fu convertito solo per salvare la faccia con l'accordo che nel ddl intercettazioni sarebbe stato affrontato anche questo capitolo. E così è stato in effetti. E siamo a questi ultimi mesi. La camera dopo nove mesi ha portato in porto il ddl. Ora tocca al senato. Ma proprio perché ci sono di mezzo le 'vecchie' intercettazioni sulla scalata Bnl da parte di Unipol.


 

La Repubblica 13-6-2007 Etichettabili come biologici i "trasformati" - riso, dolci - che contengono lo 0,9% di organismi biotech La Ue: sì agli ogm nei prodotti bio rabbia dei Verdi: consumatori traditi ALBERTO D'ARGENIO

 

BRUXELLES - D'ora in poi anche nei prodotti biologici ci potranno essere tracce significative di organismi geneticamente modificati. Lo hanno deciso ieri i ministri dell'Agricoltura dell'Unione europea scatenando aspre polemiche e facendo gridare alla fine dell'epoca biologica: con il nuovo regolamento, infatti, potranno essere etichettati come bio anche i prodotti che contengono lo 0,9% di Ogm da contaminazione accidentale, una rivoluzione rispetto all'attuale soglia dello 0,1%, il cosiddetto zero tecnico perché al di sotto di questa percentuale gli ogm non sono rintracciabili. Ma non perde fiducia l'Italia, contraria al regolamento, che studia il modo per annullare gli effetti della decisione Ue. L'allarme riguarda i prodotti trasformati (quelli freschi sono al sicuro) come riso, dolci, cereali, marmellate e snack. Insomma, tutti quelli derivati da mais e soia provenienti dai mercati extraeuropei (come Usa, Cina e Argentina): è proprio durante l'importazione, infatti, che gli ingredienti naturali possono essere accidentalmente contaminati da quelli transgenici, per esempio se vengono caricati sulla stessa nave. "Purtroppo il Consiglio Ue non ha dimostrato quella sensibilità che ci saremmo augurati", ha commentato il ministro per le Politiche agricole Paolo De Castro, che ieri a Lussemburgo si è battuto per non fare passare il regolamento insieme a Belgio, Grecia, Ungheria e Polonia. Ed è stata proprio Varsavia a sparigliare le carte, sfilandosi all'ultimo momento dal fronte del no e facendo cadere la minoranza in grado di porre il veto sulla proposta della Commissione Ue. "Con questa scelta i ministri hanno tradito le indicazioni dell'Europarlamento sulla necessità di avere una soglia di tolleranza pari allo 0,1%", ha denunciato Monica Frassoni, co-presidente dei Verdi a Strasburgo, riferendosi al parere non vincolante espresso dell'Assemblea. Posizione a cui hanno fato eco tutte le associazioni, da Legambiente alla Coldiretti, secondo cui il nuovo regolamento comunitario "ignora la volontà dei cittadini europei". A ridare speranza ai sostenitori del bio ci ha pensato lo stesso De Castro, annunciando che con un disegno di legge "potremmo rafforzare" i limiti alla contaminazione. Provvedimento chiesto anche dal ministro per l'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, e dall'ex ministro dell'agricoltura Gianni Alemanno (An), secondo cui ora il governo "deve adottare delle misure molto drastiche". L'escamotage, segnalano gli esperti del settore, potrebbe arrivare dallo stesso regolamento Ue che prevede la possibilità di creare o mantenere i marchi nazionali con una soglia di transgenico inferiore allo 0,9%. Una strada da battere anche per salvare l'industria del biologico, settore in cui l'Italia è primo produttore europeo e quarto del mondo con un fatturato complessivo di circa 1,5 miliardi di euro.


 

L’Unità 13-6-2007"Berlusconi vuole essere aggiornato" Le telefonate tra Fiorani e i politici di centrodestra. Scontro tra Consorte e Luigi Abete di Giuseppe Caruso

 

/ Milano ALTRO Niente di incredibile, ma soprattutto niente che già non si sapesse. La ricostruzione delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche con protagonista il senatore di Forza Italia Luigi Grillo (molto vicino ad Antonio Fazio), non differiscono da questo punto di vista con quelle aventi come protagonisti Fassino, D'Alema e Latorre. Al centro delle conversazioni del senatore c'è la scalata che Gianpiero Fiorani (uno dei conversatori) sta preparando ai danni di di Antonveneta. MENTE FINANZIARIA, 10 luglio del 2005 Fiorani: hai visto che stamattina è apparsa la notizia allora che Unipol manda avanti l'operazione, servito su un piatto d'argento. Voglio vedere se per Unipol hanno usato gli stessi pre... gli stessi prerogativi e gli stessi rigori che hanno usato per noi. Grillo: e certo. Fiorani: quelli alzan la voce, sostengono politicamente, c'è Fassino che parla e ottiene un gran appoggio, per cui Fassino - pensa te che meraviglia - viene... viene lì a sdoganare anche Ricucci o... (parole incomprensibili, nota del perito) la vera mente finanziaria del paese è Ricucci che viene sdoganato sia da Berlusconi che da Fassino, il che è il colmo dei colmi! ma positivo dico io, eh! - Grillo: sì, sì. SPERIAMO NON DELUDA, 4 luglio 2005 Grillo: domani sera mi ha dato appuntamento anche Berlusconi, alle 19, che voleva essere aggiornato. Fiorani: sì. E sai, però a questo punto temo che la posizione... noi siamo ad un passo da poter... noi abbiamo già prenotato gli spazi sui giornali per mercoledì. Grillo: sì. Fiorani: fai tu il conto, per annunciare che partiamo con l'Opa. Grillo: certo. Fiorani: siamo a questo punto, no? Per cui non c'è neanche più nessun dubbio, nessuna incertezza... Grillo: non ce n'è. Fiorani: se non la sua firma finale sulla autorizzazione che potrebbe... Grillo: speriamo, speriamo, speriamo che non ci deluda. Sulla scia delle intercettazioni uscite in questi giorni, è tornata a divampare la polemica sulla fallita scalata di Unipol ai danni di Bnl. L'avvocato di Giovanni Consorte, Giovanni Maria Dedola, dopo aver preso visione della perizia depositata dal gip Clementina Forleo ha dichiarato che "Luigi Abete (presidente della Bnl) è uno dei principali responsabili del fallimento della scalata alla Banca nazionale del lavoro, scalata che era assolutamente lecita. Quando Abete voleva vedere Fassino, in realtà desiderava "un aggancio al fine di far fiorire una campagna stampa strumentale. Nella lettura dei documenti, ho cercato la ragione sostanziale di questo atteggiamento: vuoi tecnica finanziaria, vuoi politica, ma non sono riuscito a comprendere cosa ispirasse Abete. Ragioni tecniche proprio non se ne rintracciano". Dalla Banca nazionale del lavoro rispondono che "la mancata autorizzazione al controllo di Bnl da parte di Unipol è stata determinata da un autonomo provvedimento della Banca d'Italia. La Banca ritiene inoltre che il contenuto delle dichiarazioni relative alle pregresse vicende di Bnl sono tali da non meritare alcun commento".


 

 

INDICE 12-6-2007

++ La Stampa 12-6-2007 I pensionati protestano in cento città. Il primo obiettivo: ridurre il numero delle minime  1

++ ASCA 12-6-2007  PRC: ULTIMATUM A GOVERNO DOPO FLOP PIAZZA DEL POPOLO E DELUSIONE VOTO  2

+ Il Corriere della sera 12-6-2007 Le partite da giocare di Massimo Franco  4

+ La Repubblica 12-6-2007 Veleni e furbetti. Ezio Mauro  5

Italia Oggi 12-6-2007 Le intercettazioni 5 luglio 2005 Stefano Ricucci - Romano Prodi 6

La Stampa 12-6-2007 I partiti fanno quadrato LUIGI LA SPINA  7

Il Resto del Carlino 12-6-2007 LE REAZIONI Il Palazzo fa muro Mastella 'avvisa' i giornalisti di MATTEO SPICUGLIA  8

Europa 12-6-2007 D’Alema, Amato, Pezzotta: come si smonta la fabbrica del Partito democratico FEDERICO ORLANDO RISPONDE  8

Europa 12-6-2007 Nell’Unione gara a chi soffre di più. Chiaro che qualcosa non funziona. 9

Il Corriere della Sera 12-6-2007 «Finto-malore», Selva si dimette Il passo indietro dopo le polemiche per il passaggio in autoambulanza . Lettera a Marini: «Mie colpe eventuali non ricadano sul Senato». Relazione del 118: «Dall'esponente di An minacce e spintoni»  10

Il Riformista 12-6-2007  Ora il governo ci illustri la ricetta del possibile di Emanuele Macaluso  10

La Repubblica 12-6-2007 Bari I COSTI DELLA POLITICA Previsto dallo Statuto, gli eletti rappresenteranno i Comuni. Finanziati gettone di presenza e rimborsi spese Regione, spunta un Consiglio bis è quello delle "Autonomie", nascono 57 nuove poltrone PIERO RICCI 11

Il Resto del Carlino 12-6-2007 LE REAZIONI Su Prodi si spacca il centrosinistra Bottacin: "Subito a casa". Causin: "Ci sono anche molte colpe locali" 12

Brescia Oggi 12-6-2007 Multiproprietà, ora l'Ue vuole vederci chiaro  13

 


++ La Stampa 12-6-2007 I pensionati protestano in cento città Il primo obiettivo: ridurre il numero delle minime

 

ROMA
I pensionati scendono in piazza: la protesta, indetta dai sindacati di categoria di Cgil Cisl e Uil, si è articolata in numerose città e ha visto la partecipazione di 200 mila persone. In particolare, i pensionati rivendicano un ritocco alle pensioni minime e al fondo per i non autosufficienti le cui risorse, ricordano, ammontavano a 100 milioni di euro, ma ora sono diventate 70 perchè «30 sono stati utilizzate per ripianare i debiti della sanità».

La «Giornata di lotta» ha visto anche qualche momento di tensione a Roma quando, riferiscono i sindacati, le forze dell’ordine hanno disperso alcuni capannelli di manifestanti che, protestando, si stavano avvicinando a Palazzo Chigi. La Questura di Roma ha smentito qualsiasi azione di forza, ma il sindacato Snp Cisl ha scritto al premier Romano Prodi e al Ministro dell’interno Giuliano Amato per denunciare l’accaduto. Secondo la fotografia dell’Istat, i ’nonnì d’Italia - che nel 2005 erano 16,5 milioni, di cui 53% donne - non se la passano molto bene: uno su quattro percepisce un trattamento inferiore ai 500 euro al mese mentre il 31% ha una pensione compresa tra 500 e 1.000 euro, il 23% un importo compreso tra 1.000 e 1.500 euro, il restante 22% supera i 1.500 euro mensili.

A Napoli, il corteo dei pensionati aderenti a Spi-Cgil, Snp-Cisl e Uist-Uil ha bloccato il traffico cittadino e perfino un treno. In circa 15mila secondo gli organizzatori hanno sfilato da piazza Garibaldi verso la prefettura. A Bologna, si sono notati molti cartelli che invitavano il ministro dell’Economia Padoa-Schioppa a trovare i fondi per accogliere le richieste dei pensionati. «Padoa, stiamo tutti per schioppare»; «Anziani una risorsa per il Paese», «Il rebus è: affitto 650 euro, pensione 750 euro; la soluzione??!»; «Stavo bene nel 1993, pensione 1.000.000. Oggi devo lavorare per vivere, pensione 633 euro», questi alcuni degli slogan. A L’Aquila, invece, ad aprire il corteo dei pensionati una nutrita banda musicale che ha accompagnato la lunga catena umana, «armata» di fischietti, slogan e bandiere varie, per tutto il percorso. Il colorato corteo, partito dalla Fontana Luminosa, ha attraversato le vie principali del centro storico della città con presidi sotto la prefettura prima e sotto la Regione Abruzzo poi. Altre manifestazioni si sono tenute a Torino, Cagliari e in numerose città italiane.

 


++ ASCA 12-6-2007  PRC: ULTIMATUM A GOVERNO DOPO FLOP PIAZZA DEL POPOLO E DELUSIONE VOTO

 

(ASCA) - Roma, 12 giu - La riunione di segreteria di Rifondazione ha preso ieri una decisione unitaria: d'ora in poi il partito non fara' sconti al governo e, se le proprie richieste non dovessero venire accolte, si potrebbe tenere un referendum tra iscritti e simpatizzanti sul tema della propria permanenza al governo (su quest'ultimo punto ha insistito in particolare il capogruppo al Senato, Giovanni Russo Spena). Non e' l'annuncio dell'apertura della crisi, ma e' l'esplicitazione di un malessere che da qualche tempo attraversa il Prc, di cui sono testimonianza i deludenti risultati nelle recenti elezioni amministrative e l'annuncio di una scissione (da parte del deputato Salvatore Cannavo', leader della minoranza trotzkista di Sinistra critica) che seguono ''l'allontanamento'' del senatore Franco Turigliatto (voto' contro il rifinanziamento della missione militare in Afghanistan) e quel sit-in in una piazza del Popolo semivuota a Roma sabato scorso che avrebbe dovuto invece fare concorrenza al corteo dei noglobal e della sinistra dei movimenti contro la visita del presidente americano Bush in Italia (un corteo dove primeggiavano slogan contro il governo e contro il partito di Fausto Bertinotti). A proposito di piazze, il segretario Franco Giordano ha annunciato con tono autocritico che l'episodio di piazza del Popolo non si ripetera' e che d'ora in poi Rifondazione avviera' la competizione politica anche con la sinistra piu' estrema non rinunciando a cortei e a manifestazioni. Le richieste di Rifondazione sono chiare: abolizione dello 'scalone' dalla riforma pensionistica varata dal governo Berlusconi nella scorsa legislatura, no alla Tav (il progetto di treno ad alta velocita' nella Val di Susa), no all'allargamento della base della Nato a Vicenza, immediata ripartizione del 'tesoretto' accumulato grazie all'ultima legge finanziaria in direzione dei settori sociali piu' disagiati, immediato confronto sulle linee strategiche della prossima legge finanziaria. In sostanza, si tratta di un ultimatum al governo Prodi che si motiva con una collocazione governativa di Rifondazione difficile da sostenere se non ha contropartite sul piano sociale e dei risultati tangibili. Ma e' anche la richiesta di una svolta a sinistra nell'azione di governo che pero' Margherita e Ds non hanno intenzione di assecondare, perche' ritengono che il risultato delle recenti elezioni amministrative manifesti una disaffezione verso la politica dell'Unione che non avrebbe parlato all'insieme della societa' e non solo alle fasce sociali piu' deboli. E sul no alla Tav c'e' da prevedere pure l'offensiva di Antonio Di Pietro, ministro delle infrastrutture, che vorrebbe il via libera a quel progetto, mentre sulla base Nato di Vicenza e' assai difficile prevedere un ripensamento di Palazzo Chigi che ha sempre parlato del rispetto di impegni internazionali assunti dal precedente governo (la questione non e' stata neppure sfiorata nel colloquio Prodi-Bush di sabato scorso). Tutti questi problemi aperti sono materia ideale per il congresso di Rifondazione che dovrebbe tenersi ad aprile 2008, mentre questo fine settimana si svolgera' il congresso di Sinistra europea (l'aggregazione piu' ampia che il Prc ha promosso da qualche tempo e che e' servita a far avvicinare al partito l'Associazione per il rinnovamento della sinistra di Aldo Tortorella, Uniti a sinistra di Pietro Folena e l'Associazione rosso-verde di Armando Cossutta). Proprio domenica mattina, nelle assisi di Sinistra europea, e' previsto l'intervento di Fausto Bertinotti, che il giorno prima partecipera' alla fondazione a Berlino di Linke, il nuovo partito di sinistra che unifica gli ex socialdemocratici di Oskar Lafontaine e i neocomunisti di Gregor Gysi. L'intervento del presidente della Camera e' molto atteso perche' potrebbe contribuire a fare chiarezza sull'identita' politica e culturale di Rifondazione e Sinistra europea, pur non toccando le strette questioni di attualita' della politica italiana come vuole la sua carica istituzionale. Giordano vuole intanto accelerare i rapporti unitari con Sinistra democratica, Comunisti italiani e Verdi per rendere operativo il patto di unita' d'azione varato nella riunione dei parlamentari della sinistra critica di giovedi' scorso. Centocinquanta tra deputati e senatori sono infatti una forza d'urto e un'ipoteca sulla politica del governo di cui l'Ulivo e Romano Prodi non possono che tenere conto, pena la crisi della maggioranza. Il problema per Giordano e' indirizzare questa forza d'urto verso comuni obiettivi politici: ridistribuzione del 'tesoretto', abolizione dello scalone nella riforma pensionistica e varo della prossima legge finanziaria con il confronto preventivo tra governo e sinistra critica. Accelerare il processo unitario puo' voler dire anche dare semaforo verde a una 'confederazione della sinistra' come luogo dove avviare il processo di costruzione di un nuovo soggetto politico in vista delle elezioni europee del 2009 (decisivo e' pero' l'atteggiamento della Sinistra democratica di Fabio Mussi che sabato scorso non ha aderito ne' al corteo noglobal ne' al sit-in a piazza del Popolo e che vorrebbe non spezzare il dialogo con i socialisti dello Sdi di Enrico Boselli). Ma il problema per Rifondazione e' a questo punto anche di cultura politica e di rinnovamento ideale. Nei giorni scorsi, a causa di alcuni articoli critici su Cuba pubblicati dall'organo del Prc 'Liberazione', il quotidiano diretto da Piero Sansonetti ha dovuto dare spazio a decine di lettere che accusavano Rifondazione di un cambio di collocazione internazionale e ribadivano la tradizionale solidarieta' all'isola di Fidel Castro. Proprio Sansonetti, di cui i filocubani hanno chiesto le dimissioni da direttore, nel rispondere a una lettera molto aspra contro 'Liberazione' ha dovuto scrivere domenica scorsa: ''Non mi convincete per l'idea che esprimete sul giornalismo, come struttura di servizio del partito e del potere, che trovo assolutamente arretrata e stalinista''.

 


+ Il Corriere della sera 12-6-2007 Le partite da giocare di Massimo Franco

 

 

La sindrome del tracollo è stata tamponata a Genova. La vittoria del centrosinistra nel ballottaggio alla provincia non è stata trionfale. Ma simbolicamente addolcisce le sconfitte collezionate dall’Unione alle amministrative, sebbene non le compensi. Se il berlusconismo avesse prevalso anche lì, era già pronta la resa dei conti a Roma. E dal punto di vista psicologico, la maggioranza di governo avrebbe rischiato il «si salvi chi può».

La prospettiva, adesso, appare un po’ meno disperata. La stessa visita che Silvio Berlusconi vuole fare a Giorgio Napolitano, per additare al Quirinale un’Italia condannata al voto anticipato, assume un segno diverso. Rimane da vedere se per l’Unione sia l’interruzione di una crisi politica e d’identità, o soltanto il suo prolungamento. I numeri dicono che la coalizione prodiana ha vinto i ballottaggi alla provincia di Genova, e a Piacenza, Pistoia e Taranto; e il centrodestra a Parma, Lucca, Latina, Matera e Oristano.

Fra province e capoluoghi, 13 a 25 per la ex Cdl: nel 2002 era finita 16 a 22. L’impressione prevalente è che il governo di Romano Prodi rimanga appeso a un filo. Non c’è solo la frustrazione vistosa dell’estrema sinistra, bruciata dal divorzio con la «sua» piazza nelle manifestazioni contro la visita di George Bush. La novità è che sembra consolidarsi una tenaglia, minoritaria ma insidiosa, fra tutti gli alleati esclusi dal Partito democratico. L’obiettivo è di imputare l’instabilità e le sconfitte al progetto voluto da Ds, Margherita e premier; e di lavorare ai fianchi le due principali forze di governo, per impedire una riforma elettorale nel segno del maggioritario. Si tratta di una manovra che risulterebbe di retroguardia e inutile, se la coalizione andasse bene e i soci fondatori del Pd si mostrassero concordi. Ma di fronte alle voci di crisi, alimentate da un centrosinistra bocciato nel nord del Paese, le critiche diventano colpi dolorosi.

L’offensiva fa leva sui timori che serpeggiano fra gli stessi diessini dopo la scissione a sinistra; e in una Margherita preoccupata dalla possibile erosione di elettorato cattolico. Il martellamento di Rifondazione e Comunisti italiani contro il ministro Tommaso Padoa-Schioppa si sta intensificando, secondo le previsioni. E il fallimento dell’iniziativa anti-Bush di sabato a piazza del Popolo sembra condannare il radicalismo antagonista ad inseguire il suo elettorato più irriducibile: un magma ostile a qualsiasi compromesso di governo. L’obiettivo minimo è quello di piegare Palazzo Chigi ad una politica economica più «di sinistra». Con quale determinazione, si capirà presto.

La decisione sulla Tav (treno ad alta velocità Torino-Lione) e la riforma delle pensioni sono ostacoli sui quali Prodi si gioca la sopravvivenza. E dire che Palazzo Chigi è ottimista sarebbe una bugia. L’irrigidimento dell’estrema sinistra è dato per scontato. Ma è soprattutto il contorno di precarietà a rabbuiare le prospettive. Ci sono le intercettazioni dei vertici diessini sul caso Unipol-Bnl; la scia imbarazzante del caso Visco-Guardia di finanza, con la Corte dei conti che certifica il proprio scetticismo; ed i sondaggi impietosi sul governo. Per questo, ogni indizio in controtendenza è accolto come un balsamo: anche se è forte il sospetto che si tratti di palliativi.

12 giugno 2007

 


+ La Repubblica 12-6-2007 Veleni e furbetti. Ezio Mauro


Annunciate per giorni nel grande mercato italiano delle voci e dei veleni, le intercettazioni telefoniche legate al caso Unipol e all'estate dei "furbetti" sono infine diventate pubbliche, con la formula obliqua per cui gli avvocati possono leggerle ma non fotocopiarle. Il risultato è un gigantesco passaparola - un meccanismo che non è né garantista né garantito - che ha diffuso nomi, cognomi e verbali, in una tempesta che non è giudiziaria, ma politica.
In attesa di conoscere bene le carte, tutte, tre risultati ci sembrano chiari in una vicenda ancora per molti aspetti oscura, come quella dell'assalto al cielo della finanza da parte di Fiorani, Ricucci e Consorte, con la benevola protezione del Governatore Fazio, nella strana estate italiana di due anni fa.

Il primo è che la legge è scritta malissimo, e consente ai magistrati di interpretarla a piacere subordinando la privacy ad altri interessi: dunque la legge ha fallito il suo scopo.

Il secondo è che almeno per il momento non c'è nulla di penalmente rilevante per gli uomini politici coinvolti nelle intercettazioni, e infatti la magistratura non ipotizza alcun reato: e tuttavia la stessa magistratura, autorizzandone la conoscenza, innesca un caso politico-mediatico di grande portata, che rischia di incidere sui fragili equilibri tra maggioranza e opposizione, e dentro la stessa maggioranza.

Il terzo risultato è la conferma di un rapporto molto intimo e dunque del tutto improprio tra il gruppo dirigente Ds e Consorte nel momento in cui Unipol è parte in causa in un'aperta contesa di mercato, con legami che portano fino a Fazio, Fiorani e ai "furbetti".

Questa storia dei verbali ha molti aspetti che non convincono, dunque: ma non sarebbe mai nata, con le speculazioni che ne derivano, se la sinistra ex comunista avesse un'idea più chiara e trasparente del mercato, abbandonasse le vecchie cinghie di trasmissione e la tentazione naïve di crearsi ogni volta un capitalismo a propria immagine e somiglianza: capendo infine che Gramsci e Ricucci, anche in tempi di eclettismo, non possono stare insieme.
(e. m.)

(12 giugno 2007)

 


Italia Oggi 12-6-2007 Le intercettazioni 5 luglio 2005 Stefano Ricucci - Romano Prodi

 

Prodi: Uhe! Come va?.Ricucci: Professor Prodi, buongiorno, come sta?Prodi: Come va lei?Ricucci: Bene, bene, eh andrei meglio se potessimo parlare un po' con lei.Prodi: Facciamo due domande distinte. Come sta e come va...Ricucci: Molto molto bene, sabato mi sposo quindi sto ancora meglio.Prodi: Auguroni.Ricucci: Sabato c'è il grande evento.Prodi: Poi ci vediamo presto.Ricucci: Quando, quando?Prodi: Le dico io, adesso so che lei è in qualche modo in giro. Io sono una trottola, appena mi sarò fermato a girare ci vediamo presto.18 luglio 2005 stefano Ricucci - nicola latorreLatorre: Stefano! Ricucci: eccolo! Il compagno Ricucci all'appello! Latorre: (ride) Ricucci: ormai questa mattina a Consorte glielo ho detto:datemi una tessera perché io non gliela faccio più, eh! Latorre: ormai sei diventato un pericolo sovversivo. Ricucci: e si, eh! Latorre: un pericolo sovversivo, rosso oltretutto. Ricucci: c'è anche il bollino stamattina! Latorre: sì. Ricucci: ho preso da Unipol io tutto... ho preso, tutto a posto, abbiamo fatto tutte le operazioni con Unipol quindi... Latorre: sì, sì. Ricucci: non ti posso dire niente, eh! 5 luglio 2005giovanni Consorte - Piero FassinoFassino: Gli... gli altri cosa fa? Perché mi ha chiamato Abete. Consorte: sìFassino: chiedendomi di vederci, non mi ha spiegato, cioé voglio parlarti, parlarti a voce, a voce, viene tra un po'. Consorte: uhm. Fassino: su quel fronte lì cosa succede? Consorte: mah, guarda, su quel fronte lì... eh noi con.. però tu... ma questa... eh... non gliela devi dire a lui... Fassino: ma io non gli dico niente, voglio sapere, voglio solo avere elementi utili per il colloquio. Consorte: no, no, no. No, no. Ti sto infatti... Fassino: sto abbottonatissimo. Consorte: eh. No, ma ti dico anche quello che puoi dire e non dire, solo questo. Fassino: ecco meglio così. Dimmi tu. Consorte: noi, sostanzialmente con gli spagnoli un accordo l'abbiamo raggiunto. Fassino: sì. Consorte: anzi, non sostanzialmente ma di fatto proprio, concreto. Uhm! Naturalmente ci siamo riservati di sentire i nostri organi. Fassino: ma sarebbe un accordo che si configurerebbe come? - Consorte: l'accordo si configura che noi aderiamo alla loro ops... - Fassino: eh. Consorte: loro ci danno il controllo di Bnl Vita. Fassino: vi passano a voi le quote di Bnl Vita? Consorte: sì. Consorte: sì, sì e soprattutto ci danno tutti gli asset, quindi otto miliardi di euro che Bnl Vita gestisce, cioé tutta l'azienda proprio, praticamente no? Poi ci danno un altro oggetto... Fassino: ehm. Consorte: che però non si può dire oggi. Consorte: e poi d'altra parte il vero problema è che noi non riusciamo a chiudere l'accordo con Caltagirone, questo è il problema vero. Fassino: qual è il problema? Consorte: fa richieste 5 luglio 2005giovanni Consorte - Piero FassinoFassino: allora siamo padroni di una banca? Fassino: Siete voi i padroni della banca, io non c'entro niente. Consorte: Sì, sì è fatta, è stata una vicenda, credimi, davvero durissima... però sai... (parola incomprensibile, ndr). Fassino:Già, ormai è proprio fatta.7 luglio 2005 Giovanni Consorte - Nicola LatorreConsorte: Sono qua con i nostri amici banchieri a vedere come...facciamo a rimediare sti soldi'. Latorre: Ah, te l'ho detto, firmo io le fidejussioni, non rompere eh. Stai tranquillo. Consorte: Ma tu non sei credibile con i soldi, non c'hai una lira! Tu mi porti solo debiti. Latorre: Se c'è una cosa che non ti porto sono i debiti. Consorte: Senti hai parlato con Massimo? Latorre: Sì ma lui domani deve andare a Massa Carrara. La conversazione tra i due proseguirebbe su argomenti personali dopo di che andrebbe avanti così. Consorte: Domani vado in Consob. Latorre: Uhm. Consorte: Incontro le cooperative... Mi devono dare ancora un po' di soldi... Se me li danno... eh... andiamo avanti. Latorre: Partiamo. Consorte: Sì. Latorre: Va bene. Va bene. Consorte: Con questi signori abbiamo chiuso. Latorre: Come si sono presentati? Consorte: Bene. Hanno spergiurato che loro neanche se glielo danno nel c... danno le azioni agli spagnoli. Gli hanno posto solo una condizione per contratto. Che Luigi Abete e Diego Della Valle devono star fuori dalla Bnl. Latorre: Eh, va be' e questa l'abbiamo posta pure noi questa condizione. 7 luglio 2005Massimo D'Alema - Giovanni ConsorteEcco che cosa si sono detti Massimo D'Alema e Giovanni Consorte nella telefonata del 7 luglio di due anni fa. La conversazione clou della vicenda fa parte dei colloqui contenuti nella perizia depositata ieri dal gip Forleo nell'ambito delle inchieste sulle scalate ad Antonveneta, Bnl e RcsD'Alema: Lei è quello di cui parlano tutti i giornali? Consorte: Guardi, la mia più grande s... io volevo passare inosservato ma non riesco a farcela. D'Alema: Eh... inosservato, sì! Consorte: Massimo, ti giuro, il mestiere che faccio io più si passa inosservati e meglio è.. niente Massimo, sto provando a farcela... Con l'ingegnere abbiamo chiuso l'accordo questa sera. D'Alema: Ah! Consorte: Nel senso che loro ci danno tutto. Adesso mi manca un passaggio importante e fondamentale. Sto riunendo i cooperatori perché sono tutti gasati... Gli ho detto, però, dovete darmi i soldi, non è che potete solo incoraggiarmi. D'Alema: Di quanti hai bisogno ancora? Consorte: Di qualche centinaio di milioni di euro. D'Alema: E dopo di che fate da soli? Consorte: Sì, sì. D'Alema: Tutto da soli. Consorte: Sì, Unipol, cinque banche, quattro popolari e una banca svizzera. D'Alema: Ah, ah. Consorte: E... eh... (parola incomprensibile) lì poi andiamo avanti. Ah no! C'è Opa anche Opa che lo fa. E andiamo avanti, facciamo tutto noi. Avremo il 70% di Bnl. D'Alema: Ho capito.Consorte: Secondo te Massimo ci possono rompere i c... a quel punto? D'Alema: No, no, no. Sì qualcuno storcerà il naso, diranno che tu sei amico di Emilio Gnutti e Gianpiero Fiorani.D'Alema: va bene. Vai avanti vai! Consorte: Massimo noi ce la mettiamo tutta. D'Alema: Facci sognare. Vai! Consorte: Anche perché se ce la facciamo abbiamo recuperato un pezzo di storia, Massimo. Perché la Bnl era nata come banca per il mondo cooperativo. D'Alema: E si chiama del Lavoro, quindi possiamo dimenticare? Consorte: Esatto. C'è da fare uno sforzo mostruoso ma vale la pena a un anno dalle elezioni. D'Alema: Va bene, vai!.

 

 


 

La Stampa 12-6-2007 I partiti fanno quadrato LUIGI LA SPINA

 

La trincea dei Ds, ieri, era attaccata da due fronti. Il primo, politico-elettorale, doveva difendere l’inespugnabilità dell’ultima roccaforte del Nord, Genova e la sua provincia. Il secondo, scandalistico-giudiziario, doveva fronteggiare lo stillicidio delle intercettazioni sul caso Consorte-Bnl. A fine giornata, il bilancio era duplice: il blitz berlusconiano nelle «terre rosse» del Ponente genovese aveva suscitato la sperata reazione elettorale e, così, l’offensiva del centrodestra era stata respinta; i brani delle conversazioni filtrate dal Palazzo di giustizia milanese, invece, avevano procurato gravi danni.

La procedura escogitata dai magistrati per garantire ai legali la conoscenza dei verbali delle intercettazioni e, nel contempo, per cercare di evitarne la pubblicazione ha avuto il disastroso, prevedibile effetto. Non solo parti scottanti delle telefonate tra i leader Ds e Consorte sono trapelate lo stesso, ma non c’è alcuna garanzia che le trascrizioni siano fedeli al testo effettivamente verbalizzato, non è possibile contestualizzare le frasi nell’intero dialogo e, soprattutto, c’è stata una arbitraria selezione tra gli interlocutori dell’ex presidente Unipol che, almeno finora, ha ignorato le conversazioni con alcuni parlamentari del centrodestra. Solo una grande ingenuità, per usare un termine benevolo, può giustificare la sorpresa davanti ai risultati ottenuti.

Se a una prima, parziale conoscenza delle conversazioni telefoniche tra D’Alema, Fassino, Latorre e Consorte non sembrano emergere responsabilità giudiziarie da parte dei leader Ds, il colpo all’immagine di quel partito è davvero duro.

Si apre uno squarcio rivelatore, innanzi tutto, su uno stile, un linguaggio, un giro di alleanze con discutibili imprenditori d’assalto che documentano l’abissale lontananza con quella «diversità» di comportamenti, magari presunta ma miticamente comunque autorappresentata, che Berlinguer vantava nei confronti della classe dirigente degli altri partiti. Una leggenda che, per la verità, gli epigoni della vecchia tradizione comunista avevano già largamente contribuito a scolorire. Le frasi intercettate, pur nella comprensibile gergalità e informalità di una conversazione amicale e che doveva restare riservata, omologano definitivamente qualsiasi pretesa di superiorità morale o politica, geneticamente riferita all’appartenenza partitica dei ds.

Al di là del costume politico, però, la considerazione più grave e importante è quella che si riferisce alla conferma di un solido, antico e stretto intreccio di interessi tra il partito dei ds e il mondo cooperativo che arriva al tentativo di impadronirsi di una banca. C’è una frase rivelatrice di Consorte che non giustifica solo il «tifo» dei leader ds per l’operazione Unipol-Bnl, ammesso peraltro da Fassino quando si seppe del suo commento («abbiamo una banca») alla notizia, rivelatasi poi prematura, dell’acquisto della Bnl. Il presidente dell’Unipol, parlando con D’Alema, afferma: «È da fare uno sforzo mostruoso, ma vale la pena a un anno dalle elezioni». Il collegamento tra una operazione finanziaria che riguarda un importante istituto di credito e i suoi effetti sull’appuntamento del voto 2006 lasciano intuire quali vantaggi politici si potessero ipotizzare da quell’acquisto. La distinzione, perciò, tra il sostegno «ideologico» a un progetto economico-finanziario e l’appoggio per una convenienza partitica, alla luce di quelle parole, diventa assai difficilmente sostenibile.

Il bilancio della giornata di doppio fuoco sulla trincea ds non sarebbe completo, però, se non si manifestasse qualche impressione sulle reazioni dell’intera classe politica alle indiscrezioni sui verbali di queste telefonate. A prima vista, la sobrietà dei commenti nelle dichiarazioni dell’opposizione, il rifiuto di strumentalizzare politicamente il contenuto di quei colloqui dovrebbero testimoniare il recupero di una insperata civiltà di rapporti tra i due schieramenti. Con le immagini televisive ancora negli occhi del penoso spettacolo offerto al Senato nella discussione sul «caso Speciale», questa britannica compostezza documenterebbe un miracolo politico di fronte al quale anche i più increduli osservatori laici dovrebbero inchinarsi.

C’è, però, un sospetto. Anzi, due. Il primo si annida dietro l’ipotesi di una reazione corporativa e si rafforza dalla constatazione di una tanto estesa valanga di accuse ai magistrati da ricordare il clima che portò alla fine della cosiddetta prima Repubblica. Il secondo, più politico, è legato al futuro, così incerto e travagliato, del governo Prodi. Tutti gli scenari che si aprirebbero, dopo una sua eventuale caduta, sembrano far perno sulla figura di D’Alema. Ecco perché può essere così utile, da una parte non escludere il suo apporto alla soluzione alternativa, dall’altra, condizionare il suo potere, quello del suo partito e quello dei suoi alleati nel mondo dell’economia, della finanza, della magistratura agli sviluppi di uno scandalo.

 


 

Il Resto del Carlino 12-6-2007 LE REAZIONI Il Palazzo fa muro Mastella 'avvisa' i giornalisti di MATTEO SPICUGLIA

 

? ROMA ? MANTENERE la calma e fare quadrato, tutti ? tranne Lega e Stefania Craxi ? scelgono la cautela. Per i Ds le intercettazioni Unipol sono un attacco a cui rispondere: nessuna rilevanza penale, ma conseguenze imprevedibili, specie sul piano dell'immagine. Da qui la scelta di dichiarazioni misurate nei toni ma ferme e dure nella sostanza. "E' una storia ridicola ? attacca Piero Fassino, ospite di Porta a porta ? Da due anni sono impiccato al nulla. Le mie telefonate con Consorte hanno avuto solo carattere informativo, ora si sta cercando quello che non c'è". Sulla stessa linea il senatore Nicola Latorre, tra gli intercettati, che si dice "assolutamente tranquillo" e curioso "di vedere quali motivazioni saranno date allo spargimento di veleni", dal momento che "stiamo parlando di conversazioni che non hanno alcun rilievo penale". ANCORA PIÙ espliciti il ministro diessino Pierluigi Bersani che a domanda risponde laconico con un "proprio non ce ne interessiamo", mentre il sindaco di Roma Walter Veltroni conferma la stima a Fassino e D'Alema e dice che la vicenda è segno di "quanto torbido e pesante sia il clima politico del Paese". Il ministro Clemente Mastella invita alla cautela i giornalisti nella pubblicazione delle intercettazioni, anche perché, secondo il Guardasigilli, "non si capisce bene l'attendibilità della fonte". Arturo Parisi denuncia "il mancato rispetto del segreto istruttorio e l'uso improprio delle intercettazioni". E SE MARCO Follini parla di gossip, il segretario dello Sdi Enrico Boselli, mette in guardia dai processi di piazza, condannando "l'intollerabile violazione della privacy". Il ministro Antonio Di Pietro la butta invece sulla deontologia e spiega che "depositare le intercettazioni è stato un dovere per assicurare un diritto alle parti". È necessario piuttosto ragionare su "chi è venuto in possesso degli atti nonostante i divieti". Una levata di scudi, insomma, condivisa anche dal centrodestra con il coordinatore di Forza Italia, Sandro Bondi, che promette di non usare le intercettazioni "per attaccare i leader Ds" e il vice Fabrizio Cicchitto che liquida il caso come "partita assai pericolosa e inquietante". MA PERPLESSITÀ arrivano anche dall'Udc e da An, con le prese di distanza dei capigruppo di Camera e Senato, Ignazio La Russa e Altero Matteoli. Uniche voci fuori dal coro quelle del leghista Roberto Castelli, che condanna la fuga illegittima di notizie, e di Stefania Craxi che chiede le dimissioni di D'Alema e Fassino


 

Europa 12-6-2007 D’Alema, Amato, Pezzotta: come si smonta la fabbrica del Partito democratico FEDERICO ORLANDO RISPONDE

Cara Europa, l’onorevole D’Alema definisce “incivili” i suoi compagni che fischiano Berlusconi a Genova. L’onorevole Amato dice che, da laico, non sopporta che si definiscano “interferenze” le iniziative della Chiesa su temi che la toccano. L’onorevole Binetti fa capire che il Partito democratico non le sta bene e perciò concorda con Pezzotta che, ubriacatosi di vin santo a San Giovanni, vuol fare il partito clericale (dalle nostre parti, per reminiscenza, si direbbe di “Santa Fede”). Domando a Europa a chi e in che cosa deve credere un ex (?) elettore di centrosinistra che guarderebbe con interesse al Partito democratico? Per quanti decenni dovremo sopportare la disfatta a cui ci stanno portando con tanti distinguo?
ANDREA PIANCASTELLI, LUCCA

Caro Piancastelli, forse sui decenni lei è un po’ eccessivo, o sono io a rifiutare l’ipotesi, che esula dalle mie prospettive di vita. Io credo che parecchi nostri leader siano nel pallone. Prima di leggere la sua lettera (il sabato e la domenica la nostra redazione resta chiusa) mi ero domandato: ma come fa D’Alema a non capire che dare dell’“incivile” ai suoi elettori, che tutti i giorni subiscono da Berlusconi offese ben più sanguinose dei fischi, equivale a metterli in libera uscita, alla vigilia del voto di Genova, e far pensare a qualcuno dei più maligni che così il ministro degli esteri ricambia la solidarietà espressagli da Berlusconi per i falsi conti all’estero? E come fa il dottor sottile Amato a non capire che una cosa è il legittimo e indiscusso diritto della Chiesa (come di chiunque altro) di affermare i suoi principi e di dissentire dalle leggi che non sono ad essi conformi, e altra cosa è interferire nelle scelte elettorali dei cittadini (se votare o astenersi in un referendum) e addirittura violare la Costituzione della Repubblica intimando ai parlamentari di votare non secondo il diritto-dovere costituzionale ma secondo la fedeltà alla gerarchia e alla religione? E come può fare la senatrice Binetti a non capire che se Pezzotta fa il partito clericale (ammesso che i preti glielo permettano) si svuota di clericali il Pd, in base al principio pezzottiano che in quel partito non vi sarebbe spazio per i cattolici? (Immagino che ce ne sarebbe tanto, invece, per noi laici liberali, ma questo è un altro discorso).
Oggi debbo chiudere ricordandole che analoghe disponibilità, pendolarismi, dubbi amletici li ho visti da vicino nella legislatura ulivista 1996- 2001. Fu così che maturò in noi del Palazzo tale senso di disfatta, che Bertinotti e Di Pietro fecero liste per conto proprio. Berlusconi aveva 14 punti più di noi nei sondaggi degli ultimi mesi del governo Amato; ma Rutelli gliene riprese 13 in campagna elettorale. Senza la fuga di Bertinotti e Di Pietro avremmo di nuovo vinto, come nel 1996. Ma nessuno s’illuda, il quasi miracolo non si ripeterà e servirebbe a poco.


 

Europa 12-6-2007 Nell’Unione gara a chi soffre di più. Chiaro che qualcosa non funziona.


Guardate quest’anno di governo dal punto di vista dei riformisti, che cosa è stato? Una continua insoddisfazione perché alla fine ogni mediazione di Prodi pendeva a sinistra. Per far contenta Rifondazione e non rompere coi sindacati si smarriva il profilo riformista.
Fino al punto che Fassino, tra dicembre e gennaio, arrivò a chiedere un «cambio di passo» che offese Prodi e fece imbestialire Giordano e Ferrero: avanti come da programma e guai a sgarrare, dissero.
E adesso? Adesso scopriamo che per un anno in sofferenza ci sono stati loro, Rifondazione e dintorni. Che, vista dal loro punto di vista, la storia è rovesciata: hanno solo dovuto ingoiare compromessi per favorire il nascente Partito democratico. E adesso vogliono «un cambio di passo ». Sono stufi di pagare pegno con il loro elettorato, tant’è vero che da ora in poi andranno a tutte le manifestazioni di piazza possibili, pure dove gli tirano i pomodori.
Dunque per un anno abbiamo visto proiettati a palazzo Chigi due film diversi. Ognuno soffriva, pensando che l’altro godesse. Invece soffrivano tutti, e più di tutti soffriva l’elettorato, che infatti appena possibile ha cominciato a sfollare.
Tutti adesso vogliono cambiare film, ma con idee opposte sulla trama. Perché un film dove si abbassano le tasse ad autonomi e artigiani e si alzano le pensioni, si taglia l’Ici e si danno più soldi agli statali, la Tav si fa e non si fa, lo scalone si tocca o non si tocca, in Afghanistan si resta ma si va via, i servizi pubblici un po’ si liberalizzano e un po’ no... beh sarebbe puro splatter, roba da invocare la commissione di censura.
Siamo davanti a un nodo strategico: oltre che a battersi con la destra, questo centrosinistra può servire anche a governare l’Italia in maniera coerente, sì che chi ci sta dentro trovi una ragione per restarci, e i cittadini riescano a dare un senso compiuto allo spettacolo a cui assistono? Per saperlo non resta che affidarsi al regista, sperando che faccia parte della soluzione e non del problema.


 

Il Corriere della Sera 12-6-2007 «Finto-malore», Selva si dimette Il passo indietro dopo le polemiche per il passaggio in autoambulanza . Lettera a Marini: «Mie colpe eventuali non ricadano sul Senato». Relazione del 118: «Dall'esponente di An minacce e spintoni»         

 

 

 

ROMA - Gustavo Selva si è dimesso da senatore. L'esponente di An, 81 anni, ha inviato una lettera al presidente di Palazzo Madama, Franco Marini, in cui annuncia la sua decisione di lasciare la carica dopo le polemiche suscitate dalla sua ammissione di aver finto un malore per utilizzare un'autoambulanza per raggiungere in tempo gli studi di La7 in cui doveva intervenire a una trasmissione televisiva. In ogni caso è l'assemblea del Senato che dovrà votare per decidere se le sue dimissioni saranno o meno accettate.

LA LETTERA - «Per prendere la decisione che sto per annunciarle», scrive Selva a Marini, «ho interrogato solo la mia coscienza di cittadino e di parlamentare italiano senza ascoltare nessuna persona politica e neppure la mia famiglia. Non voglio far ricadere sulla più alta rappresentanza parlamentare della nazione italiana, quale è il Senato della Repubblica, le mie eventuali colpe politiche e i miei possibili errori. Con la presente pertanto pongo nella sua disponibilità le mie dimissioni da senatore della Repubblica. Poiché le dimissioni, a norma di regolamento, dovranno essere discusse e poste al voto dell'assemblea a scrutinio segreto, nel frattempo mi asterrò a prendere parte a qualsiasi attività e voto del Senato della Repubblica». Selva scrive poi che le dimissioni gli permetteranno di intervenire nel dibattito in aula per fare le sue considerazioni. «Lo devo anzitutto ai miei elettori della regione Veneto che mi hanno dato la dignità, la forza e il coraggio di rappresentare le loro idee nelle tre principiali istituzioni democratico-parlamentari formate dagli elettori italiani e cioè il Parlamento europeo, la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica. Spetta ora ai senatori della Repubblica decidere se si trovano in concordanza con i miei elettori: se invece sarà no, ricercherò nuovamente, pur alla mia veneranda età, a Dio piacendo, e contrariamente a quanto mi ero fissato nel mio programma politico, la legittimazione e, soprattutto, l'idoneità etica e morale dei miei atti presso gli elettori italiani, unici e definitivi giudici di etica democratica che io riconosco». Selva annuncia anche un'interrogazione con la quale chiede al presidente del Consiglio di riferire nell'aula del Senato su uno specifico aspetto della vicenda che lo ha coinvolto: «Dal momento in cui io sono stato accomodato da un infermiere sull'autoambulanza (che non fu da me chiesta, trovandosi sul posto a disposizioni di quanti come me, avevano presenziato nel cortile di Palazzo Chigi alla conferenza stampa congiunta dei presidenti Bush e Prodi) a quello in cui l'ambulanza si avviò all'ospedale San Giacomo trascorso 12 minuti 'nobile esempio della rapidità e dell'efficienza del servizio».

118: «MINACCE DA SELVA» - Nella relazione al presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, da parte degli operatori dell'ambulanza si parla dell'atteggiamento del senatore di An come «minaccioso e offensivo». Selva avrebbe inoltre «denigrato la professionalità dell'equipaggio e minacciato il licenziamento di un infermiere» nel caso in cui non fosse stato trasportato nello studio del suo cardiologo di fiducia. Nella relazione è scritto che Selva, dopo essersi fatto accompagnare nei pressi «dello studio del suo cardiologo, si strappava i fili di monitoraggio, tentava di togliersi l'agocannula e usciva frettolosamente dall'ambulanza inseguito dal personale medico». Selva ha ordinato agli addetti della portineria di non fare entrare il personale dell'ambulanza affermando che «il suo cardiologo lo stava raggiungendo». Gli operatori del 118 hanno riferito che «dopo aver chiesto presso la portineria di poter contattare il cardiologo, è stato loro risposto che si trattava di un'emittente televisiva e che non era presente nessun cardiologo» ma che il senatore era lì per partecipare a una trasmissione.

11 giugno 2007


 

Il Riformista 12-6-2007  Ora il governo ci illustri la ricetta del possibile di Emanuele Macaluso


Le sorti del governo appaiono sempre incerte, appese a un filo che in ogni momento uno o due senatori della maggioranza possono tagliare. C’è sempre chi minaccia di farlo: per l’Afghanistan, (i Turigliatto di turno), per i Dico (Mastella), per il generale Speciale (Di Pietro) e da ultimo la senatrice altoatesina per il fisco regionale.
Sabato scorso la sinistra massimalista, quarant’anni dopo, volendo imitare il Pci nei confronti di Nixon, ha fatto trascorrere a pochi affezionati di vecchi riti un pomeriggio al sole a piazza del Popolo per manifestare contro Bush. Il quale nelle stesse ore teneva un cordiale colloquio col capo dello Stato, personalità che con la sinistra italiana ha avuto una certa frequentazione. Successivamente il presidente americano in un altro Palazzo ha abbracciato l’amico Prodi il quale, come Napolitano, è stato invitato a fare una visita in Usa. Insomma il mondo cambia ma un pezzetto della sinistra non lo sa. La cordialità e gli apprezzamenti di Bush per la politica del governo italiano hanno spiazzato una destra becera e incapace di capire che il presidente degli Usa con i problemi che si ritrova in Iraq, Afghanistan, Medio Oriente, e in altre parti del mondo e nel suo stesso Paese, ha bisogno di recuperare comprensione e amicizia anche con i governi con cui il dialogo è stato più complesso, ma leale.
La verità è che la politica estera è un campo in cui il governo italiano ha un bilancio positivo e raccoglie quel che ha seminato. Il problema vero dell’esecutivo sono le contraddizioni della sua maggioranza e di una leadership che non riesce a esprimere con autorevolezza una sintesi comprensibile. Tuttavia non mi pare che la soluzione sia una crisi le cui alternative non si vedono. Io non so se fra amici del Cavaliere ci sia qualcuno che gli spieghi che in nessun Paese al mondo, quando si verifica un calo di popolarità del premier e del governo, si torna a votare. Né in Usa, né in Inghilterra, né in Italia quando c’era Berlusconi. Il quale dà l’impressione di temere il fatto che più tempo passa meno probabile è una sua candidatura: oggi sente il vento in poppa (domani non si sa) e a fine legislatura avrà 75 anni. E grida: salgo le scale del Quirinale! Per fare che? Chiunque sia, il presidente della Repubblica sino a quando c’è un governo e una maggioranza non si può sciogliere il Parlamento.
Fatte queste considerazioni, non penso che il Paese possa essere governato per altri quattro anni come fino ad ora. A parte la demagogia dell’opposizione berlusconiana, il problema del governo è aperto: si tratta di scegliere con nettezza una linea politica con un programma che l’esprima nel Parlamento e nel Paese. Chi pensa che il miracolo lo farà a ottobre la Costituente del Pd fa finta di non sapere che proprio quell’appuntamento già provoca nuove tensioni nell’Unione e quindi nel governo.
Non si tratta quindi né di fare le tradizionali “verifiche” di maggioranza, né di rinviare tutto a quando ci sarà il famoso e miracoloso “asse riformista”. Il governo ha il dovere di dire non solo ai suoi elettori ma agli italiani qual è il suo programma realizzabile con questa maggioranza: sull’economia, sul fisco, sull’apparato statale, sul costo della politica, sul welfare ecc. Ed è inutile elencare provvedimenti se su di essi non c’è una maggioranza, come a proposito dei Dico. Lo stesso vale anche per la riforma del sistema televisivo e per il conflitto di interessi. Insomma, se l’attuale leader non è in grado di fare questa operazione politica che può fare chiarezza nei rapporti tra governo e Paese occorre prenderne atto senza sfasciare tutto. Questa è la sola verifica da fare.


 

La Repubblica 12-6-2007 Bari I COSTI DELLA POLITICA Previsto dallo Statuto, gli eletti rappresenteranno i Comuni. Finanziati gettone di presenza e rimborsi spese Regione, spunta un Consiglio bis è quello delle "Autonomie", nascono 57 nuove poltrone PIERO RICCI

 

Un Consiglio regionale parallelo che non farà leggi ma che dovrà esprimere "pareri obbligatori non vincolanti" su leggi e delibere regionali che toccano le funzioni e le competenze di Comuni e Province: è il Consiglio regionale delle autonomie locali, uno dei nuovi organi previsti dal nuovo Statuto regionale. Finora era rimasto sulla carta, nonostante, "in sede di prima applicazione", nel 2006 per attivarlo erano stati riservati 50mila euro. Il nuovo organismo sta per essere varato. Gli uffici del Consiglio regionale hanno avviato i contatti con le Prefetture pugliesi per organizzare le elezioni che richiedono tempo, sicuramente non saranno fatte prima di settembre. Così mentre in via Capruzzi si discute dell'opportunità di ridurre il numero dei consiglieri regionali dagli attuali 70 a 60 o anche a 50, ma non prima della prossima legislatura, nello stesso "palazzo" la macchina burocratica lavora per insediare questo consiglio regionale parallelo che si compone di 57 componenti, eletti fra gli eletti, perché si tratta di rappresentanti che già siedono nei consigli provinciali, nei consigli comunali. Persino nelle comunità montane. L'idea è di puntare al risparmio. Ma l'operazione non sarà a costo zero. La sede sarà quella del Consiglio regionale. E anche la struttura organizzativa non prevede nuove assunzioni: sarà il Consiglio regionale a "prestare" con il trasferimento il suo personale per le incombenze burocratiche. Avrà un presidente e due vice presidenti. Ma l'operazione risparmio finisce qua. All'inizio qualcuno ha tentato di prevedere per tutti i 57 componenti, una forma di indennità parametrata a quella dei consiglieri regionali. Poi ha prevalso il pudore e si è ripiegato sul più discreto gettone di presenza. Non è stato quantificato perché sarà il Consiglio sulle autonomie, in piena autonomia, a stabilire la cifra. Ma il consiglio si riunirà ogni volta che alla Regione sarà discusso qualsiasi provvedimenti (dalla legge alla delibera) che tocchi la sfera di comuni, Province e comunità montane. Perché, su ogni atto, è previsto il parere da consegnare in due settimane. Al gettone, però, potranno essere aggiunti i rimborsi per le spese di trasporto. Il meccanismo funzionerà così: paga la Regione se il consigliere delle autonomie rappresenta comuni con meno di cinquemila abitanti, altrimenti a pagare è il comune di provenienza. Tanta austerità, però, naufraga davanti all'articolo 9 della legge istitutiva del 2006: "Per lo svolgimento del suo mandato, il consiglio delle autonomie può avvalersi, previa intesa con l'ufficio di presidenza, di istituti, centri di ricerca, università, esperti... ". Insomma la finestra dalla quale fare entrare consulenti e simili. In tempi di lotta ai costi della politica, è quanto di meno popolare si potesse fare in via Capruzzi. Tanto più per un organismo che sarà eletto nemmeno dai pugliesi, da una ristretta cerchia di eletti. Si calcola che alle urne, per la scelta dei 57 componenti, saranno chiamati in cinquemila, più o meno la "casta" che alberga in Puglia tra Consigli comunali e provinciali. Sono elezioni vere e proprie, con tanto di liste contrapposte su base provinciale e con la preferenza unica. La lista che prende più voti s'aggiudica il 60 per cento dei seggi. E in ogni lista chi prende più voti fino alla concorrenza dei seggi assegnati alla sua lista, s'aggiudica lo scranno di consigliere delle autonomie. Per cui è possibile che nel nuovo consesso si abbia una maggioranza di colore politico diverso da quello del Consiglio regionale. Ma sul punto, a garantire la governabilità ci penserà la previsione statutaria che consente ai rappresentanti istituzionali degli enti locali, di avere l'obbligo di esprimere un parere ma che quel parere non è vincolante e il Consiglio regionale può anche non considerarlo. Per i futuri "consiglieri dell'autonomia" sedere nella stessa aula dei consiglieri regionali per le proprie riunioni, non darà diritto agli stessi benefit. Quindi niente Telepass e Viacard autostradale gratis, niente budget di 120 euro per pranzo e cena o di 220 d'albergo al giorno se si va fuori in missione. E nemmeno il rimborso dei viaggi di prima classe in treno o in classe economica in aereo.


 

Il Resto del Carlino 12-6-2007 LE REAZIONI Su Prodi si spacca il centrosinistra Bottacin: "Subito a casa". Causin: "Ci sono anche molte colpe locali"

 

VENEZIA. Prodi sì o Prodi no? Stringiamo in questo dilemma due posizioni di cui si sono fatti portavoce, con interviste al nostro giornale, Mario Carraro e Massimo Cacciari. Carraro, imprenditore padovano molto noto, già presidente degli industriali veneti, idee di centrosinistra, estimatore e amico di Prodi che lo voleva come ministro nel suo primo governo, sostiene - con una libertà di giudizio invidiabile - che il livello di sfiducia di questo governo è irrecuperabile nel Nord; serve un esecutivo di emergenza nazionale, che faccia la legge elettorale e ci porti al voto. No alle dimissioni di Prodi, dice invece il sindaco Cacciari: sarebbero un salto nel buio, il Paese perderebbe quel minimo di beneficio della ripresa economica. Il governo Prodi deve vivere, il che non significa sopravvivere, per fare la nuova legge elettorale (che non può essere delegata a tecnici) e una finanziaria che dia almeno un segnale diverso al Nord del Paese. Codicillo di Cacciari: "Basta con la sinistra radicale, è solo zavorra". Queste due posizioni mettono a rumore il centrosinistra del Veneto. Diego Bottacin (consigliere regionale e coordinatore Margherita veneta): "Sono completamente d'accordo con Mario Carraro, per un governo di emergenza nazionale, di cui condivido le priorità: legge elettorale, federalismo fiscale, riforma delle pensioni. Sono richieste di assoluto buon senso, che troverebbero d'accordo gli elettori non solo del centrosinistra ma anche del centrodestra. Solo che, per procedere, è necessario il sì di Forza Italia e qui c'è l'ostacolo Berlusconi: non credo che l'ex premier abbia voglia di mettersi in disparte e aspettare due anni, che un governo istituzionale faccia la legge elettorale e vari un paio di finanziarie serie e rigorose, in linea finalmente con le esigenze del Nord. E' Berlusconi comunque che dovrebbe dire di sì. Fini e Casini sono disponibili, se non capisco male". Pietrangelo Pettenò (capogruppo Rc in Regione): "Il professor Massimo Cacciari che ci considera zavorra, dovrebbe ricordare che senza zavorra una barca non ha stabilità. Basta guardare la sua amministrazione a Venezia: è stato eletto con i voti di An e Forza Italia, ha imbarcato in giunta tutti meno noi, perché doveva fare un laboratorio di innovazione. Risultato: Venezia è più ferma che mai, in balìa alle corporazioni. Oggi scarica le colpe del governo Prodi su Rc: è una capriola pretestuosa per non discutere dei problemi del governo, che sono serissimi e riguardano tutti i partiti interessati alla nascita del Pd. Basta leggere i giornali". Andrea Causin (consigliere regionale Margherita): "Andrei cauto a scaricare tutte le colpe su Prodi, escludendo la leadership locale. Se si dimezzano i voti dell'Ulivo, qualche problema di tenuta della dirigenza locale deve pur esserci. Forse la spiegazione è che non esiste rinnovamento. Chi ha perso i confronti resta sempre al suo posto". Achille Variati (capogruppo Ulivo-Pd del Veneto): "Non c'è dubbio che Prodi deve dare un segnale diverso al Nord del Paese. E lo deve fare con la prossima finanziaria, sempre che ci arrivi. Lui e i suoi ministri devono governare, invece che pensare al Pd". Marco Zabotti (consigliere regionale Uniti per Carraro): "Il governo Prodi non ha alternative, altrimenti si va al vuoto istituzionale. Ma Prodi ha bisogno anche di un cambio di passo, di una presa di contatto con il Nord del Paese che gli sfugge completamente. Venga a passare alcune giornate nel Nordest. Pratichi l'esercizio dell'ascolto, di persona, visto che le cose gliele riferiscono tutte sballate". (r.m.).


 

Brescia Oggi 12-6-2007 Multiproprietà, ora l'Ue vuole vederci chiaro

 

La Commissione europea vuole cambiare le regole sulla multiproprietà, stanca delle continue segnalazioni di truffe che arrivano da ogni parte, Italia compresa. Per farlo il commissario alla tutela dei consumatori, Meglena Kuneva (nella foto), ha presentato nei giorni scorsi la proposta di revisione della direttiva del 1994 sul cosiddetto "time sharing". "La direttiva ha funzionato bene entro i propri limiti" ha spiegato il commissario Kuneva nel corso di una conferenza stampa a Bruxelles. Ma adesso "occorre estendere i diritti". L'attuale legislazione, infatti, si applica soltanto alle multiproprietà di case (non di altri beni), e soltanto quando il cliente acquista il diritto di usufruire dell'abitazione per più di sette giorni all'anno, e per una durata complessiva di almeno tre anni. Molti operatori scorretti hanno approfittato di questa rigidità, facendo stipulare contratti per un massimo di 6 giorni all'anno e per 35 mesi in totale, arco di tempo che non dà alcuna tutela ai consumatori. Altro problema aperto è quello delle barche e degli altri beni diversi dalle case che, sempre più, vengono proposti con contratti di "quasi multiproprietà", categoria che in realtà sfugge agli obblighi della direttiva europea in materia di informazione alla stipula del contratto, diritto di recesso e obbligo di non versare anticipi. Un terzo aspetto della questione riguarda, infine, i club vacanze. Molti intermediari, infatti, stanno iniziando a vendere diritti per ottenere sconti sui soggiorni vacanze, promettendo tagli sui prezzi fino al 99%. "In questo caso - spiega Giuseppe Abbamonte, capo unità della direzione per la protezione del consumatore della commissione dell'Unione europea -, il consumatore paga per promesse spesso illusorie o esagerate, senza nemmeno essere protetto dalla legge". L'operazione per estendere la tutela dei consumatori avviata dalla commissione europea è importante, perchè la multiproprietà rappresenta un mercato da 10,5 miliardi di euro in Europa, con 40 mila lavoratori. Nella sola Italia, poi, ci sono almeno 130 mila persone che hanno sottoscritto un contratto di multiproprietà. Per arrivare a realizzare una nuova Direttiva ci vorranno almeno due anni. Nel frattempo Ofelia Oliva, del Centro europeo consumatori dà un consiglio: "quando vi offrono un'occasione da prendere al volo, è meglio evitare e riflettere con calma, leggendo il contratto e informandosi in maniera dettagliata sui propri diritti".


 

 

INDICE 11-6-2007

+ Il Corriere della Sera  11-6-2007  I Ds si sentono sotto assedio «Se sarà linciaggio ci difenderemo» Fiorenza Sarzanini 1

+ Quotidiano.net 11-6-2007 Politici, furbetti e scalatori: è il giorno delle telefonate. di Elena Comelli 2

+ Il Corriere della Sera 11-6-2007 Sono 73 i colloqui raccolti dalla Gdf su cui è caduto il segreto istruttorio, coinvolgono sei politici. «Non hanno rilevanza penale» Intercettazioni Unipol, lettura blindata. Da oggi le telefonate a disposizione degli avvocati. Vietati foto o registratori. «Mai visto prima»Biagio Marsiglia  3

Il Sole 24 Ore 11-6-2007 Il senatore finge un malore e usa un'autoambulanza come taxi. Bufera bipartisan su Gustavo Selva (An) 4

Il Giorno 11-6-2007 LO SDEGNO DELLA TURCO "Selva finto malato? Non resterà impunito" 5

Il Corriere della Sera 11-6-2007 Il nuovo presidente e il ceto medio PARIGI, LEZIONE SULLE TASSE di FRANCESCO GIAVAZZI 5

Il Manifesto 11-6-2007 Bush e Ratzinger seppelliscono Wojtyla  6

Il Riformista 11-6-2007 Rifondazione si lecca le ferite di piazza  di Ettore Colombo  7

Il Riformista 11-6-2007 Ostentando i muscoli, il governo si è indebolito TEMPO DI BILANCI. NESSUNA RIFORMA CONDIVISA. TANTI, TROPPI DECRETI  DI MASSIMO LO CICERO  7

Corriere Economia 11-6-2007 Offshore Emergono i tesori nascosti a cura di Ivo Caizzi 8

Italia Oggi Sette 11-6-2007Prodotti assicurativi più trasparenti di Francesco Pau  9

Brundisium.net 10-6-2007 Nasce l'asssociazione "Cittadini d'Europa" 10

 


 

+ Il Corriere della Sera  11-6-2007  I Ds si sentono sotto assedio «Se sarà linciaggio ci difenderemo» Fiorenza Sarzanini

 

 

ROMA — Il clima è quello dell’assedio, anche se la parola d’ordine è ostentare tranquillità. Perché deputati e senatori dei Democratici di sinistra sono consapevoli che la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche sul caso Unipol —registrate nell’estate del 2005— può avere effetti imprevedibili sia sugli equilibri interni al partito, sia nei rapporti con gli alleati. E dunque, dati per scontati gli attacchi che arriveranno dall’opposizione, è nella maggioranza che si faranno i conti. Perché le indiscrezioni assicurano che sono proprio i giudizi, anche personali, che ognuno dà degli altri a poter creare imbarazzi e tensioni.

Così come l’interesse esplicito dei leader per una scalata finanziaria che avrebbe portato il gruppo assicurativo bolognese a conquistare la Bnl. E tutti sanno che, al di là dei rapporti personali, in gioco c’è la tenuta della Quercia. Benissimo lo sa il tesoriere Ugo Sposetti. I suoi colloqui con Giovanni Consorte, l’ex presidente di Unipol, li ha già letti sui quotidiani dell’epoca. E ora dice: «Due anni fa nessuno mi ha chiesto nulla prima di mettere sui giornali le mie conversazioni private e quindi niente devo dire adesso. Posso assicurare che nulla di nuovo mi creerà problemi, sono sereno e tranquillo ». E gli altri? «Ognuno risponde di sé e di quello che dice». A chi gli chiede commenti, Nicola Latorre risponde che «in questo momento non si deve assolutamente parlare».

Con gli amici più cari però lo ha fatto e ha più volte ribadito la sua amarezza «perché posso pure aver usato qualche frase colorita, ma è il mio carattere. Se poi si cerca il linciaggio è un’altra cosa e da quello saprò difendermi benissimo». Due anni fa, quando si diceva che proprio dal suo telefonino Massimo D’Alema parlava con Consorte, giurò che non era vero. Ora che le carte dimostrerebbero il contrario, lui non si mostra affatto preoccupato, «anche perché sono cose che non hanno alcuna rilevanza né penale, né politica ». Le parole scandite dal senatore Massimo Brutti appaiono eloquenti: «Nei prossimi giorni ci saranno insinuazioni e manipolazioni delle telefonate, con frasi estrapolate dal contesto, per attaccare i Ds. Questo è sicuro.

Non è la prima volta che i Ds vengono bersagliati, non sarà l’ultima. Interessante sarà però vedere da quale parte arriveranno le strumentalizzazioni o le calunnie che già si preannunciano. Stiano comunque tranquilli coloro che si stanno preparando all’attacco, perché nei nostri armadi non ci sono scheletri di alcun genere. Siamo pronti a difenderci da chi pensa di metterci in difficoltà inquinando il confronto politico con tutta la decisione e l’energia di cui siamo capaci». Altrettanto energica è la reazione di Guido Calvi, anche lui a Palazzo Madama. «Non c’è alcuna agitazione — assicura — anche perché se si fosse adombrato un reato, sarebbe già stato contestato. Si tenta di speculare sul nulla. Abbiamo già vissuto la pubblicazione della conversazione di Fassino che, al di là delle strumentalizzazioni, si è rivelata assolutamente innocua.

Il vero problema è che c’è chi ha interesse a mestare il quadro politico in un quadro di degrado e di meschinità». Secondo Gerardo D’Ambrosio, eletto con i Ds dopo una vita da magistrato, «non è ammissibile che ci si scateni nelle interpretazioni di brandelli di colloqui e si speculi su un linguaggio, sia pur colorito, che si usa quando due persone amiche parlano al telefono ». Quando faceva il pubblico ministero, di intercettazioni e di atti ne ha letti migliaia. Ha vissuto da protagonista gli anni di Mani Pulite. E adesso avverte: «Ricordiamoci che una campagna di delegittimazione alla fine può coinvolgere tutti».


+ Quotidiano.net 11-6-2007 Politici, furbetti e scalatori: è il giorno delle telefonate. di Elena Comelli

 

MILANO, 11 giugno 2007 - BANCOPOLI si arricchisce oggi di un nuovo capitolo. Via libera agli avvocati che avranno voglia di curiosare fra le 73 intercettazioni telefoniche dei sei parlamentari (i Ds Fassino, D'Alema, Latorre e i forzisti Grillo, Comincioli e Cicu) con alcuni imputati nell'inchiesta Antonveneta-Unipol. Ma le trascrizioni di quelle telefonate, pur non essendo più coperte dal segreto d'indagine, non verranno consegnate ai legali, che possono soltanto prenderne visione in una stanza apposita della cancelleria vigilata dai carabinieri, senza portare con sè cellulari o scanner e solo per tre giorni. Al termine dei quali verrà fissata l'udienza dove il gip Clementina Forleo deciderà quali telefonate meriteranno di essere inviate alle Camere per ottenere l'autorizzazione alla loro utilizzabilità come atto processuale. NORME RIGIDE e blindate. Ma comunque vada, l'indagine sulla scalata occulta della Banca Popolare di Lodi e dei suoi alleati 'concertisti' all'Antonveneta, accertamenti estesisi poi all'Opa di Unipol sulla Bnl, al rastrellamento di azioni Rcs ad opera di Ricucci, alle operazioni della holding di Gnutti e anche all'utilizzo di fondi della presidenza Confcommercio, resterà nella storia della seconda Repubblica quanto Mani Pulite ha segnato la prima. Se non altro in termini patrimoniali: quasi 300 milioni di euro (600 miliardi di lire) recuperati finora dai magistrati, una cifra che fa impallidire il monte-risarcimenti di Mani Pulite (150 miliardi di lire). Mai un gruppo di scalatori in Italia ha fatto una fine così rapida. Forse per le dimensioni del tesoretto che avevano accumulato. Una parte di "furbetti" (Gnutti e compagni) i denari li aveva ammucchiati nella scalata Telecom. Quegli stessi soldi, poi, sono stati investiti nelle spericolate operazioni del banchiere emergente Fiorani. E nell'estate del 2005 li troviamo impegnati su quasi tutti i fronti possibili. Fiorani è in lotta con gli olandesi della Abn-Amro per conquistare l'Antonveneta e grazie all'appoggio del governatore di Bankitalia Antonio Fazio, gli sembra quasi di avercela fatta. Intanto finanzia altre due operazioni. La scalata alla Bnl, contro gli spagnoli del Bbva. E la scalata di Ricucci alla Rcs-Corriere della Sera. Quando i furbetti capiscono che la Bnl è una preda troppo grande, passano la mano a Giovanni Consorte dell'Unipol. C'è un momento, verso fine luglio, in cui sembra che gli scalatori riescano a mettere le mani sulle loro prede. Qualcuno, nel mondo della politica, arriva a pensare che siano i nuovi "capitani coraggiosi", capaci di far fuori le vecchie famiglie del capitalismo italiano. I Fiorani, i Gnutti, i Ricucci, i Lonati, i Coppola dipinti come i nuovi, veri signori d'Italia. IN REALTà gli avvenimenti successivi dimostreranno che i soldi messi in campo erano tanti, ma non moltissimi: la maggior parte veniva dalla Popolare Italiana di Fiorani. L'intera vicenda comincia a crollare quando i magistrati di Milano decidono, sulla base di un esposto di Abn-Amro, di occuparsi della vicenda. Controllano in fretta i libri contabili, piazzano microspie ovunque e intercettano decine e decine di telefonini. I risultati sono rapidi. Al punto che già il 2 agosto il gip Forleo blocca tutto e sequestra le azioni con cui Fiorani voleva l'Antonveneta. A quel punto la verità viene a galla. I nuovi signori altro non sono che piccoli speculatori. Fermato e messo fuori dalla banca Fiorani, il cassiere di tutti, c'è una ritirata complessiva. La Popolare Italiana, travolta dallo scandalo, rinuncia all'Antonveneta, che finisce all'Abn-Amro. L'Unipol alla fine deve arrendersi, convince Consorte ad andarsene e la palla torna al Bbva, che la perde a favore della francese Bnp Paribas. Anche Fazio esce di scena. Tutti spazzati via nel giro di un'estate.


+ Il Corriere della Sera 11-6-2007 Sono 73 i colloqui raccolti dalla Gdf su cui è caduto il segreto istruttorio, coinvolgono sei politici. «Non hanno rilevanza penale» Intercettazioni Unipol, lettura blindata. Da oggi le telefonate a disposizione degli avvocati. Vietati foto o registratori. «Mai visto prima»Biagio Marsiglia

 

MILANO — «Faccio l’avvocato da un bel po’ di anni, e una cosa del genere non l’avevo mai vista... Comunque domani mattina (oggi, ndr) ci sarò anch’io a recitare la mia parte in questo circo mediatico. Non mi fa piacere, perché quelle telefonate con il procedimento penale non hanno davvero nulla a che fare, sono solo gossip. Ma dovrò esserci, perché in tempi in cui i processi stanno più in televisione e sui giornali che nelle aule dei tribunali, bisogna essere preparati a tutto... Ricordo bene i brogliacci di quelle telefonate — confida ancora l’avvocato prima di ribadire il «niente nome, mi raccomando» — tutta roba inutile che in un normale procedimento sarebbe stata cassata dall’ufficio del pubblico ministero. Mai capitato di andare a consultare atti che non si possono fotocopiare, di doverlo fare tirando fuori i documenti e, per giunta, d’essere guardato a vista da un ufficiale di polizia giudiziaria...». Pensa questo, uno degli avvocati di uno degli 84 indagati nel processo per la scalata Antonveneta e Unipol a Bnl. E non è il solo.

Oggi, per lui come per gli oltre cento altri colleghi, scatta l’ora «X». Potrà mettere gli occhiali su quelle 73 telefonate intercettate indirettamente dalla Guardia di finanza e in cui sono coinvolti sei politici, i ds D’Alema, Fassino e Latorre, e i forzisti Grillo, il non meglio identificato Cicu e Comincioli. «Di penale non c’è nulla, è vero — ammette un finanziere che quelle intercettazioni le ha ascoltate più d’una volta — maqualche epiteto che i signori della grande politica si rifilano a vicenda se finisse sui giornali potrebbe essere davvero imbarazzante». Chi insulta chi, però, il finanziere non lo vuole dire. Per visionare le intercettazioni trascritte, gli avvocati dovranno salire al settimo piano del palazzo di giustizia di Milano, alla stanza nove, che sarà sorvegliata da due carabinieri inchiodati davanti alla porta, mentre un’altra decina di militari blinderà l’intero ultimo piano del tribunale che non potrà essere raggiunto «specialmente dai giornalisti».

Molti dei legali hanno confidato che si terranno alla larga, non quelli di Consorte, l’ex numero uno di Unipol che sta combattendo la sua personale controffensiva e che conD’Alema, al telefono, di cosine ne ha dette un bel po’. Le operazioni avranno inizio non appena, questa mattina, il perito incaricato dal gip Clementina Forleo avrà terminato di fare le copie da mettere a disposizione dei legali. Documento d’identità alla mano, e senza macchine fotografiche, scanner, cellulari o registratori nella borsa, i legali potranno entrare e sguainare, se vorranno, penna e taccuino. Potranno quindi prendere appunti con calma, e per tutto il tempo che servirà loro. Al limite, potranno anche trascrivere le telefonate che dovessero reputare interessanti per la difesa del loro cliente, ma di certo mentre lo faranno avranno addosso gli occhi di un cancelliere e della stessa gip Forleo, che per tre giorni, ovvero per il tempo di permanenza previsto del materiale che scotta nella stanza nove, ha deciso di cambiare ufficio e trasferirsi lì dentro.

Voci non confermate raccontano anche della presenza di un ufficiale di polizia giudiziaria, ma è probabile che la formula sia stata rivista proprio dopo la decisione del gip di trasferirsi nella stanza della consultazione. Comunque sia, trascorsi i tre giorni, la stanza-cassaforte sarà smantellata e le consultazioni delle telefonate potranno proseguire per qualche giorno nell’ufficio della Forleo. Poco più in là e senza carabinieri all’uscio. Dopo di che il gip fisserà un’altra udienza in cui le parti potranno sollevare eventuali rilievi sul materiale studiato, e soltanto allora verrà deciso quali delle 73 telefonate distruggere e per quali inviare al Parlamento l’autorizzazione all’acquisizione agli atti del processo.

11 giugno 2007


 

Il Sole 24 Ore 11-6-2007 Il senatore finge un malore e usa un'autoambulanza come taxi. Bufera bipartisan su Gustavo Selva (An)

Bufera su Gustavo Selva, il senatore di An che sabato ha finto un malore per farsi trasportare da un'ambulanza negli studi de La7 superando così tutti gli ostacoli al traffico causati dalla visita di Bush a Roma.
Il ministro della Salute Livia Turco
è stata durissima, e non ha lesinato aggettivi: «Vergognoso, irresponsabile e indegno». «Mi auguro - ha aggiunto il ministro - che le autorità competenti verifichino se un tale comportamento non configuri ipotesi di fatti illeciti, sia in sede civile che penale. Dobbiamo infatti pensare che il bilancio di questa arrogante goliardata poteva anche essere tragico nel caso in cui, e poteva accadere, un'altra persona avesse avuto realmente bisogno di quell'ambulanza».

Dal centrosinistra si è levato un coro con la richiesta di una censura dal presidente del Senato, ma anche dal leader del suo partito, Gianfranco Fini. E la vicenda potrebbe avere sviluppi davanti alla magistratura.

A raccontare l'episodio è stato lo stesso Selva, in diretta, durante la trasmissione dedicata alla visita di Bush. Il parlamentare di An è rimasto bloccato in piazza del Parlamento visto che il centro di Roma era chiuso al traffico. Inutili le insistenze del senatore con gli agenti di Polizia perchè permettessero il passaggio ad un taxi o alla vettura dell'emittente. Niente da fare, Ed ecco il colpo di genio:

Selva ha finto di sentirsi male e si è fatto portare dall'ambulanza a via Nogaro dal suo cardiologo: in realtà alla sede de La 7. «Un trucco da vecchio giornalista per farmi portare qui», si è vantato in diretta Tv.

La notizia, pubblicata oggi dai quotidiani, ha suscitato l'indignazioni di molti parlamentari. Roberto Giachetti (Dl) ha chiesto al leader di An di condannare il suo senatore. Anche il senatore verde Tommaso Pellegrino ha chiamato in causa Fini, ma anche il presidente del Senato Franco Marini, a cui chiede di prendere «i dovuti provvedimenti di censura». E il capogruppo del Prc al Senato, Giovanni Russo Spena, ha chiesto la censura da parte di An e dell'intera Cdl. Numerosi voci si sono levate dai colleghi senatori di Selva. Diversi di essi, come Massimo Villone (Sd), hanno sottolineato che atteggiamenti del genere «confermano che quella della politica è diventata ormai una casta a tutti gli effetti». Mentre da un parlamentare della Repubblica, ha rimarcato il leghista Roberto Calderoli, «dovrebbero invece arrivare il buon esempio». «Selva si scusi pubblicamente in aula», hanno chiesto cinque senatori dell'Unione, Francesco Ferrante e Andrea Ranieri (Ulivo), Loredana De Petris (Verdi), Nuccio Iovene (SD), Tommaso Sodano (Prc).
Impietoso Piergiorgio Stiffoni (Lega): «A 65 anni bisognerebbe andare in pensione». E il verde Angelo Bonelli ha chiesto alla magistratura di aprire un'inchiesta. A fronte dell'imbarazzato silenzio di An, una voce in difesa di Selva si
è levata dalle file di Fi. Quella di Francesco Giro che ha assicurato: «Gustavo Selva è un uomo integerrimo e se i fatti si sono svolti come ci vengono oggi riferiti dalla stampa chiederà senz'altro scusa».

Il direttore generale dell'Ares-118 del Lazio, Vitaliano De Salazar, ha avviato una inchiesta amministrativa interna sulla vicenda che ieri ha visto protagonista il senatore Gustavo Selva «per le azioni doverose e opportune». «Quanto è accaduto ci lascia una grande amarezza - ha detto Vitaliano De Salazar - domani mattina convocheremo i responsabili per fare una relazione al presidente Marrazzo per le azioni doverose ed opportune». «Ieri, come tutti sanno, - ha ricordato De Salazar - è stata una giornata che ha visto l'Ares 118 e tutto il suo personale impegnata in un superlavoro. Oltre ai 600 soccorsi ordinari, infatti, è stata aggiunta la grande tensione per la gestione del piano di difesa sanitaria legato alla visita del presidente Bush a Roma, con 50 mezzi dedicati». «Rispetto agli accadimenti di ieri - ha aggiunto il direttore - non ci sono parole da parte di chi, come noi, è impegnato in un lavoro così delicato, strategico e vitale, come l'emergenza sanitaria: quanto è accaduto ci lascia un grande amarezza. Posso dire che il personale del 118 ha dimostrato, come accade tutti i giorni, correttezza tempestività e professionalità ». «Ho comunque convocato per domani mattina - ha concluso - i responsabili di tutti i servizi coinvolti, al fine di stilare una dettagliata relazione al Presidente Marrazzo per le azioni doverose ed opportune».

Il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo presenterà un esposto alla Procura della Repubblica contro il senatore Selva.

Marrazzo: «Ho già chiesto al direttore dell'Ares 118 Vitaliano De Salazar una relazione dettagliata sull'episodio che ha visto come protagonista il senatore Gustavo Selva e che attendo per domani mattina. Ho chiesto di procedere con la massima urgenza e accuratezza per verificare se corrisponde al vero che il senatore Selva abbia utilizzato ieri, in una situazione tanto delicata, un mezzo regionale adibito al soccorso pubblico per fini di tutt'altro genere». «Posso solo affermare - aggiunge Marrazzo - che, secondo le prime informazioni raccolte, l'episodio appare assai grave e suscita una forte indignazione. Nell'attesa di conoscere appieno l'esatta dinamica della vicenda posso soltanto dire che, se l'approfondita relazione del 118 che ho richiesto confermerà le notizie frammentarie di cui adesso dispongo, intendo presentare un esposto alla procura della Repubblica contro il senatore Selva per tutti i reati che si possono configurare e per richiesta danni».


Il Giorno 11-6-2007 LO SDEGNO DELLA TURCO "Selva finto malato? Non resterà impunito"

 

ROMA ? UNA DENUNCIA alla procura di Roma contro il senatore di An Gustavo Selva (nella foto Ansa) che sabato, in ritardo per la partecipazione a una trasmissione televisiva e bloccato dalle misure eccezionali di sicurezza per Bush, avrebbe finto un malore e si sarebbe fatto accompagnare da un'ambulanza. "Se la relazione chiesta alle autorità confermerà la vicenda ? ha detto il presidente della regione Lazio Piero Marrazzo ? lo denuncerò alla procura. Ho già chiesto al direttore dell'Ares una relazione dettagliata e urgente su un episodio molto grave e che suscita una forte indignazione". In effetti la raffica di critiche al comportamento di Selva ? raccontato da lui stesso durante la diretta tv su La7 ? non si è fatta attendere. Durissima Livia Turco, ministro della Salute: "Vergognoso, irresponsabile, indegno. Un senatore che rappresenta i cittadini e che dovrebbe essere esempio di rettitudine e senso civico ha agito in spregio del bene comune. E non può restare impunito". I SENATORI dell'Unione, compatti, hanno condannato questo "episodio inqualificabile", Rifondazione parla di "grave arroganza" e la Lega Nord, "censura questa vicenda sconsiderata". A fronte dell'imbarazzato silenzio di An, una voce in difesa di Selva si è levata dalle file di FI. Quella di Francesco Giro che ha assicurato: "Gustavo Selva è un uomo integerrimo e se i fatti si sono svolti come ci vengono riferiti dalla stampa chiederà senz'altro scusa. Ma i signori della sinistra si diano una calmata".


 

Il Corriere della Sera 11-6-2007 Il nuovo presidente e il ceto medio PARIGI, LEZIONE SULLE TASSE di FRANCESCO GIAVAZZI

 

Dodici anni fa a Parigi Alain Juppé ? presidente del consiglio del primo governo nominato da Jacques Chirac dopo la sua vittoria alle presidenziali del maggio 1995 ? annunciò un ambizioso programma di riforme. Avrebbe cominciato con l'estendere ai dipendenti pubblici la riforma delle pensioni che il suo predecessore, Eduard Balladur, aveva introdotto per il settore privato. Ma durante l'estate, prima di metter mano alle riforme, si occupò di riportare in equilibrio i conti pubblici. E lo fece non intervenendo sulle spese, che aumentarono, ma con un sostanzioso incremento della pressione fiscale, che salì in un anno dal 48 a oltre il 49% del reddito nazionale francese. Quando in autunno Juppé affrontò la riforma previdenziale venne travolto dallo sciopero dei ferrovieri e costretto alle dimissioni. L'opposizione dei sindacati non fu sorprendente: facevano il loro mestiere e la Cfdt addirittura appoggiò il progetto del governo. Ciò che lo affondò fu il mancato sostegno della classe media e della borghesia, che pure qualche mese prima avevano eletto Chirac con un'ampia maggioranza. Poco lo aiutò l'indubbio merito di aver riportato in attivo i conti dello Stato. (Il nostro ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa insiste ?anche nell'intervista di ieri al Tg1 ? nel tentativo di convincere i sindacati ad appoggiare la sua riforma pensionistica. Non capisce che, come Juppé, verrà travolto dai ceti medi del Nord, che già lo hanno abbandonato, non dai sindacati. Ieri alla Nuova Venezia l'imprenditore Mario Carraro, da sempre un leale sostenitore del centrosinistra, ha detto: "Non esiste più alcuna sintonia tra chi ci governa e il Nord dell'Italia"). L'esperienza di Alain Juppé è ben presente a Nicolas Sarkozy che aveva osservato il naufragio di quel governo dall'esterno, essendone stato escluso. E infatti la strategia del nuovo presidente è radicalmente diversa. Grazie alla maggioranza parlamentare conquistata con la grande vittoria di ieri, il primo passo consisterà in un'ampia riduzione delle tasse destinata a favorire un po' tutti. Deducibilità completa degli interessi sui mutui, forte riduzione dell'imposta sulla ricchezza, tetto massimo del 50% alle imposte pagate a qualsiasi titolo dai cittadini, eliminazione dei contributi sociali per le ore di straordinario. Il tutto prima dell'estate. Le riforme, e in particolare la più delicata e importante, l'unificazione dei contratti di lavoro, sono rimandate all'autunno. Il progetto per il mercato del lavoro è intelligente, e non a caso Sarkozy ne ha delegato l'ideazione a due dei migliori economisti francesi: Olivier Blanchard e Charles Wyplosz. Il nuovo contratto offrirà garanzie crescenti nel tempo: precari all'inizio, ma con la prospettiva di divenire dipendenti stabili se con il passare del tempo il rapporto tra lavoratore e impresa dimostra di funzionare. Conquistato l'appoggio del ceto medio con i tagli alle imposte ?e anche quello di molti sindacati poiché la detassazione degli straordinari favorirà l'occupazione ?Sarkozy sarà abbastanza forte da resistere all'opposizione che in autunno le sue riforme inevitabilmente incontreranno. Rimane un dubbio: il taglio delle tasse porterà per qualche anno il deficit francese in zona-rischio e Bruxelles già si preoccupa. Ma che importanza ha un deficit temporaneamente un po' più alto, se il beneficio è una trasformazione radicale del mercato del lavoro francese? Juppé aggiustò momentaneamente i conti, ma nei dodici anni successivi il debito pubblico francese è salito dal 55 al 65% del Pil e le sue riforme sono ancora tutte da fare.

 


 

Il Manifesto 11-6-2007 Bush e Ratzinger seppelliscono Wojtyla

 

Il Vaticano e la Casa Bianca ritrovano la sintonia che Giovanni Paolo II aveva guastato criticando la guerra preventiva. Benedetto XVI chiede protezione per i cristiani in Iraq, e in patria la difesa dei valori etici cattolici Mimmo De Cillis Roma Difendere i cristiani in Iraq e in altre parti del mondo. L'imperativo dal sapore crociato risuona nei palazzi vaticani, nello studio dove papa Ratzinger incontra George W. Bush, per chiedergli di diventare un bastione della cristianità. L'accorata richiesta di aiuto a Bush non è certo dispiaciuta, impegnato com'è nella sua lotta personale contro il terrorismo e nell'arginare l'estremismo islamico che ormai dilaga in Medioriente, in special modo in Iraq. In terra irachena le minoranze cristiane stanno effettivamente soffrendo un clima di minacce, intimidazioni e violenze che non ha precedenti in quella che resta la "terra di Abramo", dove i cristiani hanno una tradizione ben più antica dell'islam e dove, comunque, hanno sempre convissuto senza problemi interreligiosi. Così Benedetto XVI ha cercato conforto e appoggio nel potente di turno che passava a fargli visita: tempestiva come non mai la presenza Oltretevere del presidente americano che in Iraq ci sta ancora con tutti e due i piedi, e con un bel po' di responsabilità dell'attuale instabilità politico-sociale. E Bush - che ricorda sempre di essere un cristiano evangelico Born again - ha assicurato al papa che gli Usa faranno il possibile per proteggere le minoranze cristiane in Iraq. Anche perché Ratzinger ha espresso "la sua inquietudine profonda", come ha riferito lo stesso Bush. "Gli ho promesso che cercheremo di fare in modo che la Costituzione irachena sia rispettata", ha detto il presidente, nonostante la manifesta impotenza che gli Usa stanno dimostrando nel caos iracheno. Per il resto la visita di Bush in Vaticano ha ricalcato un copione prevedibile, con scambi di sorrisi, con un Bush disteso (al punto di compiere l'ennesima gaffe, chiamando il papa "signore") e quasi commosso che ha raccontato: "Il Santo padre è un uomo molto intelligente e compassionevole, sono rimasto veramente colpito da questo incontro, è stata un'esperienza molto emozionante per me". Confermando poi la sintonia profonda su tutti i fronti, specialmente sulle "questioni morali e religiose odierne, come quelle relative ai diritti umani e alla libertà religiosa, la difesa e la promozione della vita, il matrimonio e la famiglia, l'educazione delle nuove generazioni, lo sviluppo sostenibile", ha precisato il portavoce vaticano Federico Lombardi. "Piena convergenza di posizioni", sulle questioni di politica internazionale è stata espressa anche nel colloquio fra Bush e il Segretario di stato vaticano, Tarcisio Bertone. Agli Stati Uniti la Santa sede ha chiesto poi impegno nella lotta all'Aids (Bush ha ricordato che il Congresso ha aumentato gli aiuti da 15 a 30 miliardi di dollari annui), ma anche all'altra malattia che affligge l'Africa, la malaria. Bush, da parte sua, ha potuto vantarsi dei risultati del G8 ("un successo") e ha potuto sfoderare le cifre degli aiuti elargiti dagli Usa per la fame nel mondo, ritrovandosi a fare la parte del paladino delle preoccupazioni papali. Peccato che proprio l'identificazione dei cristiani come filo-occidentali e filo-americani - che già avviene in Iraq come in altre parti del mondo - non fa che danneggiare le condizioni di vita delle minoranze (sottoponendole alle pressioni degli estremisti) e costituisce un ostacolo imponente sulla via del dialogo islamo-cristiano, faticosamente allacciato in tanti contesti in Africa e Asia. Sta di fatto che i tempi del 2003, quando alla Casa Bianca il Vaticano, contrario alla guerra in Iraq, destava più di un grattacapo, sembrano ormai lettera morta. La Santa sede allora fu un ostacolo nella ricerca di consenso internazionale degli Usa, diedero molto fastidio i numerosi appelli alla pace nonché le argomentazioni per smontare il teorema della guerra preventiva sul piano del diritto internazionale e della legittimità morale. Ma ormai è acqua passata. Tutto è finito nel dimenticatoio. Un papa che ha come chiodo fisso la difesa dell'Occidente e dei suoi valori non vede altra strada che cercare l'appoggio, quand'anche fosse politico e militare, dell'unico stato ancora capace di dettare legge (quella del più forte) nel mondo. Nella logica manichea di Washington - che separa paesi amici e nemici - il Vaticano è passato nella lista dei "buoni".

 


 

Il Riformista 11-6-2007 Rifondazione si lecca le ferite di piazza  di Ettore Colombo

l primo turno delle amministrative (i risultati del secondo si sapranno solo oggi) è stato un mezzo disastro. Il “sit-in” di sabato in piazza del Popolo, in occasione della visita di Bush, un flop imbarazzante e, per quanto in parte annunciato, da far saltare i nervi ai più. I risultati della presenza al governo non si vedono o sono parziali risarcimenti per una base che ha “tirato la cinghia” per anni.
Ma Rifondazione comunista non può far altro che masticar amaro, deglutire e cercare di ripartire. A due giorni dal corteo che ha sancito, di fatto, la nascita di un nuovo soggetto politico radical-massimalista, e a quattro giorni dalla presentazione del Dpef a partiti e sindacati, facciamo un check-up di Rifondazione col ministro alla Solidarietà sociale Paolo Ferrero e il capogruppo al Senato Giovanni Russo Spena.
«È vero, c’era molto popolo di Rifondazione, nel corteo indetto da centri sociali, Cobas, trotzkisti e partitini comunisti vari, non ho nessun problema ad ammetterlo», attacca Russo Spena, «e non solo per la presenza, concordata, dei giovani comunisti e di qualche sezione sparsa o perché senatori come Haidi Giuliani o deputati come Francesco Caruso e Daniele Farina hanno deciso di andare là e sfilare con loro per creare “un ponte” tra le due manifestazioni. No, c’erano compagni di base in carne e ossa: sabato ne ho incontrati parecchi anch’io o l’ho saputo. Continuo a pensare che abbiamo fatto bene a organizzare il sit-in, dove c’erano presenze qualificate di esponenti di sindacati e associazioni, non solo dei partiti, anche se ci aspettavamo qualcosa di più in termini di gente reale, ma abbiamo anche cercato un’interlocuzione con l’altra piazza, nei giorni precedenti. I suoi leader, però, vogliono lanciare un nuovo soggetto politico radicale e massimalista alla sinistra del Prc e hanno cercato il massimo di separatezza».


 

Il Riformista 11-6-2007 Ostentando i muscoli, il governo si è indebolito TEMPO DI BILANCI. NESSUNA RIFORMA CONDIVISA. TANTI, TROPPI DECRETI  DI MASSIMO LO CICERO

Le circostanze in cui nasce il governo Prodi sono singolari. Debutta mentre una robusta onda espansiva sorregge l'economia mondiale e trascina l'Italia, rimettendone in moto la crescita. Una parte delle imprese italiane asseconda e intercetta questa opportunità, amplificandone gli effetti. Questa felice congiuntura si affianca a una situazione preoccupante in termini di struttura. La produttività globale del sistema Italia è bassa e la capacità di competere è debole.
Il mercato finanziario non supporta adeguatamente la trasformazione necessaria per rilanciare la crescita. La finanza pubblica è un problema. Eccesso di spesa ed eccesso di pressione fiscale, una marcata inefficienza nella erogazione dei servizi che si combina, amplificandola, con la bassa produttività del sistema. Ipertrofia e inefficienza della macchina pubblica amplificano il dualismo tra Nord e Sud. Il Nord reagisce alla pressione fiscale eccessiva. Il Sud resta una economia sussidiata e incapace di integrarsi davvero nel processo di convergenza europeo. Il governo lascia irrisolte e aperte sia una questione meridionale che una questione settentrionale. In questo clima si è consumato un anno. Sul terreno politico, il governo nasceva da una maggioranza elettorale molto risicata. La cosa più logica da fare era evidente ma la strada imboccata fu radicalmente diversa. Bisognava creare condizioni di cooperazione e convergenza sul terreno parlamentare, per alimentare una legislazione capace di dare corso a riforme condivise, recuperando anche parte dei risultati ottenuti nelle legislature precedenti, per la previdenza e il mercato del lavoro. Riforme condivise avrebbero dilatato le opportunità offerte dalla congiuntura internazionale. Non erano necessarie riorganizzazioni negli apparati ministeriali e la estrema frammentazione delle deleghe ma una spinta efficace che, in un clima di ragionevole continuità amministrativa, producesse la elaborazione di progetti e programmi, finanziati dall'Unione europea, o sbloccasse somme disponibili e impantanate nelle farraginose relazioni tra enti ed organizzazioni del settore pubblico. Con poche emblematiche priorità. Privilegiare la ripresa della crescita per chiudere il dualismo tra Nord e Sud e garantire maggiore equità. Liberalizzare, riordinare le public utilities, riproporre il merito e l'efficacia come valori guida per la produzione di beni pubblici: sanità, educazione, valorizzazione del patrimonio immobiliare controllato dallo Stato. Aprire partnership con i privati per creare nuove infrastrutture. Comprimere la spesa pubblica, razionalizzandone il contenuto, e rivedere il regime della previdenza.
La strada effettivamente percorsa è stata radicalmente diversa e si è arenata in un cul de sac. In Parlamento, ostentando i muscoli, si produce debolezza operativa. Nel medesimo tempo si è dato corso a un eccesso di legislazione per decreto, annunci e intenzioni che sostituivano, nella stessa agenda del governo, atti concreti di amministrazione. Troppi decreti e disegni di legge, anche pregevoli, ma compromessi dal tono e dallo stile di aperta contrapposizione in sede parlamentare, creano un freno oggettivo per il cambiamento. Al quale si aggiunge l'erosione degli emendamenti promossi dagli interessi corporativi costituiti: ostili alla liberalizzazione del sistema e alla competizione. In una parola nemici del lievito della crescita perché tenacemente interessati alla redistribuzione del valore esistente e alla compensazione permessa dalla dimensione della spesa pubblica. L'impianto della legge finanziaria, smentito oggi anche da Padoa Schioppa - che si accorge dell'incremento della pressione fiscale effetto di quelle scelte - ha finanziato queste erosioni mentre la disputa sul tesoretto, e i suoi impieghi, è solo l'ultimo anello di questa catena. E oggi, infine, si vede come riportare il Cipe nella presidenza del Consiglio, e spostare allo Sviluppo Economico il Dps (Dipartimento per le politiche di sviluppo), combinandosi con la superdelega fiscale a Visco, ha ridotto il Tesoro a meno di quanto contasse prima della riforma di Ciampi e Bassanini. Una riforma che ne aveva fatto, al contrario, la effettiva cabina di regia della politica economica. Tutto questo - è solo una interpretazione - sembra essere accaduto per due motivi. Una eccessiva attenzione ai dossier e non alle politiche da parte del presidente del Consiglio, molta gestione e poca visione. Una coesione della maggioranza che si regge solo contro l'altro schieramento ma che non ha alcun motivo fondamentale per l'esserci. La conseguenza di queste determinanti è il progressivo isolamento di chi, come Bersani, Damiano, Nicolais o la Lanzillotta, avrebbero potuto, e forse voluto anche, agire nel solco dello scenario virtuoso che è stato scartato imboccando la strada dell'autosufficienza parlamentare. Un percorso che ha generato solo fragilità: di azione e di elaborazione strategica.


 

Corriere Economia 11-6-2007 Offshore Emergono i tesori nascosti a cura di Ivo Caizzi

 

Mercoledì scorso Il Sole 24 ore , il più importante quotidiano economico italiano, ha pubblicato come notizia principale della sua prima pagina la decisione del governo Prodi di trasferire a un fondo dello Stato i depositi abbandonati nelle banche, noti come "conti dormienti" e finora sempre trattenuti all'infinito. Molti altri giornali hanno dato risalto alla notizia. E le associazioni dei consumatori hanno esultato nel vedere finalmente affrontato un problema che può riguardare tutti i cittadini. Pur in assenza di dati certi, si stima che le somme congelate per decenni dai banchieri italiani possano ammontare a molti miliardi di euro, accumulati in silenzio quando un cliente moriva improvvisamente o perdeva le facoltà mentali senza aver prima informato eredi e parenti su dove era depositato il suo patrimonio. Il denaro recuperato verrà destinato a risarcire i risparmiatori a cui le banche hanno rifilato obbligazioni-bidone (come Parmalat, Cirio o Argentina) e a favorire la stabilizzazione di lavoratori precari del settore pubblico. Nell'aprile del 2001, quando il Corriere Economia sollevò tramite questa rubrica il problema dei "tesori nascosti" nelle banche, l'argomento sembrava misterioso e quasi tabù. Negli ambienti bancari si riusciva ad avere qualche informazione solo informalmente e garantendo l'anonimato. Qualcosa si mosse nel 2004, quando il quotidiano Financial Times di Londra scoprì il problema dei "conti dormienti" nel sistema bancario britannico e pubblicò una stima che li quantificava in ben 15 miliardi di sterline. Ma il ministero del Tesoro, l'associazione delle banche Abi e, soprattutto, la Banca d'Italia di Antonio Fazio continuarono ha opporre un rigido silenzio alle ripetute richieste di informazioni e di interventi. La conoscenza del problema si è diffusa lentamente. Alcuni deputati e senatori hanno poi portato il problema dei "conti dormienti" in Parlamento. Varie associazioni dei consumatori hanno iniziato a interessarsene intuendo che la reticenza delle banche poteva bloccare per sempre i risparmi di incolpevoli e sfortunati cittadini. Improvvisamente l'allora ministro dell'Economia di centrodestra, Giulio Tremonti, dopo aver risposto negativamente a varie sollecitazioni, cambiò idea e ruppe il muro di silenzio della Banca d'Italia di Fazio e del sistema bancario sui "conti dormienti". Una serie di ritardi procedurali non gli hanno consentito di realizzare l'operazione di recupero del denaro, che è stata ripresa dal suo successore di centrosinistra, Tommaso Padoa-Schioppa, egualmente pressato dalla necessità di nuovi introiti per puntellare la dissestata finanza pubblica nazionale. La settima scorsa il ministro dell'Economia è arrivato il via libera al conferimento dei "conti dormienti" in un fondo dello Stato. Offshore non ha comunque dimenticato le resistenze e gli ostruzionismi che negli ultimi anni hanno rimandato la risoluzione di un problema che appariva scontata. Pertanto ritiene di ricordare che non tutto deve essere considerato ancora completamente risolto. E' necessario seguire con attenzione l'applicazione concreta del regolamento proposto da Padoa-Schioppa per verificare se consentirà: l'effettivo "risveglio" di tutto il denaro e i titoli in sonno nelle banche (a volte da decenni), la verifica attraverso la Guardia di finanza che dei depositi non siano stati prosciugati, la corretta destinazione dei soldi recuperati e, soprattutto, l'introduzione di efficaci regole precauzionali in grado di impedire davvero alle banche di trattenere in futuro i risparmi di cittadini morti o malati.


 

Italia Oggi Sette 11-6-2007Prodotti assicurativi più trasparenti di Francesco Pau

 

Le informative ai sottoscrittori saranno garantite dal Tuf Prodotti assicurativi più trasparenti. Codificati anche nel Tuf disposizioni comunitarie e regole Isvap in relazione all'informativa da fornire ai sottoscrittori di prodotti finanziari assicurativi e delle norme di condotta cui devono uniformarsi le imprese di assicurazione nella commercializzazione di tali prodotti. Rientrano in tale disciplina tutte quelle assicurazioni dall'elevato contenuto finanziario che rappresentano una quota rilevante nella raccolta dei premi nel settore vita. Con la legge 28 /12/2005, n. 262, (legge sul risparmio) e con il dlgs 29 dicembre 2006, n. 303 sono state introdotte modifiche nel dlgs 24 febbraio 1958 (Tuf) delegando nel contempo alla Consob il compito di apportare le necessarie modifiche regolamentari. Più specificamente, con la delibera n. 15961 del 30 maggio 2007 è stato modificato e integrato il regolamento in materia di intermediari (adottato con delibera n. 11522 del 1° luglio 1998) anche con riguardo alla distribuzione di prodotti finanziari emessi da banche e da imprese di assicurazione. L'art. 25-bis, comma 2 del Tuf (Prodotti finanziari emessi da banche e da imprese di assicurazione) ha esteso l'applicazione degli artt. 21 e 23 Tuf in materia di 'criteri generali' di condotta e norme in tema di contratti, anche alla distribuzione, da parte delle banche, in fase di emissione, di propri prodotti finanziari ed alla distribuzione di prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione, a opera di 'soggetti abilitati' e di 'imprese di assicurazione'. La scelta di estendere anche ai prodotto finanziari assicurativi le regole di condotta già disciplinanti la prestazione dei servizi di investimento è stata dettata essenzialmente dal 'progressivo superamento, specie dal lato dei prodotti offerti e della conseguente percezione dell'investitore, della tradizionale, rigida, tripartizione del mercato finanziario nei settori bancario, assicurativo e mobiliare'. A tal fine si è proceduto, per quanto possibile, ad estendere a banche, Sim e imprese di assicurazione regole di condotta già esistenti. Più specificamente, come precisato dalla stessa Consob nella relazione illustrativa alla delibere:- la distribuzione di prodotti assicurativi finanziari a opera di 'soggetti abilitati all'intermediazione assicurativa' è stata disciplinata sul modello degli intermediari che collocano quote di Organismi di investimento collettivo del risparmio (Oicr) e- la distribuzione, da parte della stessa banca o dell'impresa di assicurazione emittente, dei propri prodotti finanziari, è stata disegnata sul modello della 'commercializzazione diretta' a opera delle Società di gestione del risparmio (Sgr), delle proprie quote di Oicr. La commercializzazione dei prodotti assicurativi è stata regolamentata nel rispetto della corrispondente normativa comunitaria quale la direttiva n. 2002/92/Ce del 9 dicembre 2002 ”sull'intermediazione assicurativa. Così nella lett. w-bis) del comma 1, dell'art. 1 Tuf il dlgs n. 303/06 ha introdotto la nozione di prodotti finanziari assicurativi mentre l'attività di distribuzione di prodotti assicurativi è stata riservata agli intermediari italiani e comunitari. Non possono invece iscriversi nel registro degli intermediari assicurativi le sgr e le sicav. Nel regolamento intermediari è stata introdotta una nuova Sezione III-bis, dedicata alle norme in materia di distribuzione di prodotti finanziari emessi da banche e di prodotti finanziari assicurativi. Le imprese di assicurazione dovranno dotarsi di idonee procedure per garantire l'adeguata formazione, l'aggiornamento professionale e il rispetto delle regole di comportamento anche quando operano per il tramite di reti distributive. Le verifiche svolte devono, secondo quanto stabilito dall'art. 36-quinquies, risultare da un rapporto annuale, redatto dall'unità organizzativa a ciò delegata e da inviare all'Isvap entro 60 giorni dalla fine dell'anno solare, dopo essere stato sottoposto, con eventuali osservazioni di merito, dal responsabile dell'internal auditing agli organi amministrativi della societàÉ 'ponendosi in tal modo in evidenza la necessità per le imprese di assicurazione di dotarsi di idonee procedure di controllo delle loro reti di vendita. Importante in tal senso la correttezza e la rapidità nel trasmettere le informazioni alla clientela. Dispone al riguardo il secondo comma dell'art. 36-quater 'l'informazione É può essere fornita verbalmente a richiesta del consumatore o qualora sia necessaria una copertura immediata del rischio. In tali casi, l'informazione è fornita al consumatore É subito dopo la conclusione del contratto di assicurazione (É) e comunque non oltre i due giorni lavorativi successivi'. Prima di concludere qualsiasi contratto avente ad oggetto prodotti finanziari assicurativi, è fatto obbligo ai soggetti abilitati all'intermediazione assicurativa precisare le richieste e le esigenze del contraente e le ragioni su cui si fonda qualsiasi consulenza fornita su un determinato prodotto della specie. La nuova normativa di cui agli artt. 36-bis, 36-ter, 36-quater e 36-quinquies entrerà in vigore il 1° luglio 2007. In questo modo specifica la Consob nella relazione illustrativa le imprese di assicurazione, dovrebbero avere un periodo di tempo necessario per conformare pienamente la propria operatività e le proprie procedure alla nuova disciplina.


 

Brundisium.net 10-6-2007 Nasce l'asssociazione "Cittadini d'Europa"

Brindisi. Si è tenuta ieri presso la sede di Via Imp. Costantino, 27 a Brindisi, la conferenza stampa di presentazione e promozione dell’associazione Cittadini d’Europa, un Laboratorio di Politica d’ispirazione democratica, socialista, repubblicana, ambientalista.
Per i relatori (dott. Salvatore Brigante, dott. Rodolfo Gatti e Sig. Roberto Micelli) non si tratta di un ennesimo comitato elettorale né di un nuovo partito locale, ma un laboratorio di politica per la costruzione del nuovo Partito Democratico che rappresenti la sinistra brindisina del popolo delle primarie.
I recenti congressi della Margherita e dei DS, stabilendo la fine della loro esperienza come singole entità per unirsi nel Partito Democratico, hanno dimostrato tutti i limiti e le contraddizioni nella costruzione di questo nuovo soggetto politico.
Il progetto iniziale, di costituzione del P.D., affermava la necessità storica di un nuovo partito che fosse davvero di massa e che facesse della partecipazione di tutti i cittadini e del mondo dell'associazionismo una cosa fondamentale. Tuttavia, questo ambizioso progetto è stato totalmente disatteso.
L’attualità dimostra che i gruppi dirigenti dei due maggiori partiti di centrosinistra vogliono costruire un P. D. a propria immagine e somiglianza.
Difatti, non sfugge all’osservatore la netta prevalenza nel comitato dei 45 "saggi" di esponenti politici dell'establishment di DS e DL, la scarsa presenza di donne, ma, soprattutto, l'assoluta mancanza di giovani e della gente comune slegata dai partiti e dalle logiche della finta democrazia esistente nei partiti.
L’associazione Cittadini d’Europa nasce con la finalità di portare dentro il P. D. quella parte della società civile di centrosinistra, di Brindisi, che vuole una politica attenta all’analisi delle problematiche e delle esigenze dei cittadini, e che sia lontana dall’autoreferenzialità e dal depauperamento delle risorse comuni.
Sui temi di carattere generale, quali il conflitto d’interessi, la legge elettorale, le riforme della previdenza, la lotta alla criminalità organizzata, il lavoro precario, l’innovazione e ricerca tecnologica, l’associazione intende promuovere con forza il rinnovamento. Sono in cantiere incontri-dibattito con i cittadini in cui si approfondiranno le tematiche per una proposta di nuova legge elettorale che premi il candidato realmente più votato. Sulla riforma previdenziale invece avanzeremo proposte per garantire ai giovani di oggi la capacità di potersi costruire una pensione; stiamo lavorando per promuovere il rinnovamento della legge Biagi, per superare definitivamente la precarietà del lavoro. La ricerca universitaria e l’innovazione tecnologica sono i due argomenti su cui l’associazione s’impegnerà maggiormente nella promozione di idee e progetti.
L’associazione Cittadini d’Europa non tralascerà la realtà locale per la quale si batterà con maggiore energia, partendo con il denunciare apertamente il costo esagerato della politica locale che, per i risultati finora ottenuti, sembra essere davvero uno spreco. Negli ultimi mesi, sul tema dei trasporti, la politica locale si è dimostrata inefficace sia per quanto riguarda il rilancio dell’aeroporto, che per quanto riguarda il porto.
Non sono stati promossi progetti attuabili che, partendo dalle richieste reali del territorio, diano le risposte che questo chiede in termini di sviluppo ed economia. È chiaro a tutti che la ristrutturazione della nuova aerostazione è stata inutile perché non si è provveduto per tempo ad aggiudicarsi le nuove rotte nazionali ed internazionali. Per il porto di Brindisi, si continuano a fare sterili discorsi demagogici sui possibili sviluppi di traffico commerciale e turistico senza affrontare il vero problema, cioè la profondità dei fondali, troppo bassi per le grandi navi sia da crociera che da trasporto.
Anche qui vanno proposti progetti credibili e realizzabili e non vanno sbandierate come novità per lo sviluppo progetti già approvati e finanziati da precedenti governi, per i quali si è in ritardo di almeno dieci anni per la realizzazione. Brindisi è una città industriale che non deve perdere questa sua prerogativa di sviluppo, ma questo potrà avvenire solo se si intraprende la strada del rinnovamento tecnologico. Bisogna partire dal concetto di rendere economicamente, fiscalmente e burocraticamente appetibile questo territorio agli imprenditori che promuovono installazioni industriali d’alta tecnologia. È necessario fare in modo che la ricerca universitaria s’incontri con l’impresa per dare spazio alle nuove produzioni tecnologiche da avviare nel nostro territorio, senza abbandonare quanto d’innovativo il territorio già offre. L’industria aeronautica va rilanciata con proposte efficaci ed anche la cantieristica navale va rafforzata, se si vuole fare del porto di Brindisi una base per la nautica da diporto nel cuore del Mediterraneo.
Per una nuova Università di Brindisi siamo dell’opinione come associazione che la sede naturale sia quella dell’ex collegio navale Tommaseo. L’ateneo non deve essere di seconda scelta rispetto a quelli di Bari e di Lecce, ma complementare, promuovendo l’università di Brindisi come centro d’incontro per i giovani studenti stranieri che in Italia vengono a formarsi. L’associazione promuoverà, a tal proposito, un progetto già pronto per la trasformazione del C.P.T. di Restinco, che il governo ha recentemente chiuso, in un campus d’accoglienza e formazione universitaria per i giovani extracomunitari.
Infine, l’associazione Cittadini d’Europa s’impegnerà sul rilancio della questione morale affinché la politica brindisina possa riacquistare quella serenità di governo della città, poiché le recenti vicende giudiziarie che l’hanno colpita ne hanno ridotto la piena capacità di operare.


INDICE 10-6-2007

+ Il Corriere della Sera 10-6-2007 Una crisi grave e le riforme che non arrivano Se la politica è solo potere di  Sergio Romano  1

+ La Repubblica 10-6-2007L'INTERVISTA Cacciari: Giordano, Diliberto e compagni sono conservatori che con l'innovazione non hanno nulla a che spartire "Rifondazione zavorra per l'Ulivo questo flop di Roma è un segnale" sinistra radicale Ma quale sinistra radicale Blocca il rinnovamento del welfare. Ferma le riforme istituzionali. Frena le liberalizzazioni le vie d'uscita Ci vuole un Partito democratico federale. Al Nord come al Sud. Mi spiegano sennò come faccio io a fare politica? UMBERTO ROSSO  2

Il Corriere della Sera 10-6-2007  Liberalizzazioni tradite e colpe della politica. LOBBY CONTINUA di Angelo Panebianco  3

Il Corriere della Sera 10-6-2007 FRANCO VENTURINI Dialogo su Basi più Chiare  4

La Repubblica 10-6-2007 RISCHIOSO ELOGIO DEL NOSTRO PREMIER EUGENIO SCALFARI 4

La Stampa 9-6-2007 La mappa del popolo no-global . Di Igor Mann  7

Il Trentino 10-6-2007 Un tabloid berlinese l'aveva dipinta come la novella Giovanna d'Arco, pronta alla crociata ... Vittorio Cristelli. 8

Il Giornale 10-6-2007 Di Gianluigi Nuzzi Sedetevi comodi, domattina lo psicodramma dei ds entra nel vivo. A Milano gli avvocati leggeranno e trascriveranno le telefonate dell'affaire Bnl. 9

La Repubblica 10-6-2007 L'INTERVISTA Bortolussi, presidente della Cgia di Mestre e assessore con Cacciari attacca gli studi di settore "Visco non conosce le partite-Iva così fa un regalo al centrodestra" Non sono stati rispettati i patti: che fine ha fatto la prevista eliminazione degli scontrini? ALESSANDRA CARINI 10

Il Piccolo di Trieste 10-6-2007 Il Battle Group sarà agli ordini di Bruxelles. Lo formano uomini della Julia, sloveni e ungheresi Fvg, in azione 2500 soldati della Forza rapida Ue  10

La Nuova Sardegna 10-6-2007 Simone Veil, il coraggio dell'autonomia  11

Trentino 10-6-2007"Esempio di Casta? Andreotti" Stella a Matrix se la prende con l'autonomista ex Patt 13

 


 

 

 

 

+ Il Corriere della Sera 10-6-2007 Una crisi grave e le riforme che non arrivano Se la politica è solo potere di  Sergio Romano

 

 

Qualche giorno fa abbiamo scritto che l'Italia d'oggi ricorda quella del 1992: lo stesso disgusto per gli affari dei partiti, la stessa noncuranza della classe politica per i segni della tempesta che si sarebbe abbattuta di lì a poco sulla sua testa. Qualcuno ha osservato che il confronto è improprio. Non esiste un partito, come allora la Lega, pronto a cavalcare l'indignazione popolare. E non esiste un gruppo di procuratori convinti di poter provocare, con gli strumenti della loro professione, la rivoluzione morale del Paese. È vero. I confronti sono quasi sempre parziali e imperfetti. Ma a me sembra che la situazione sia per certi aspetti peggiore e proverò a spiegarne le ragioni.

Nel 1992 molti italiani capirono che la crisi non era un semplice incidente di percorso e che non poteva essere risolta con la formazione di un nuovo governo e la nascita di qualche nuovo partito. La corruzione e gli scandali erano i sintomi esterni di una crisi costituzionale che aveva investito l'intero sistema politico. La Carta era invecchiata e la Costituzione materiale aveva progressivamente creato un Paese in cui il potere dello Stato e degli organi autorizzati a esercitarlo era stato usurpato da partiti, sindacati, interessi corporativi, famiglie professionali e criminali, istituzioni pubbliche non legittimate da un pubblico mandato come, per l'appunto, l'ordine giudiziario. Il fatto stesso che un organo tecnico come la Banca d'Italia abbia fornito al Paese, da allora, due presidenti del Consiglio, un presidente della Repubblica, due ministri del Tesoro e un ministro dell'Economia, dice meglio di qualsiasi analisi quanto grave e profonda fosse la malattia del sistema politico italiano.

Non bastava quindi cambiare governi. Occorreva rifare la Costituzione. Furono inutilmente create due commissioni bicamerali. Vennero esaminati e dibattuti tutti i sistemi costituzionali delle maggiori democrazie occidentali. Fu tentata la strada parlamentare con una riforma costituzionale del centrosinistra e una riforma più incisiva del centrodestra. Ma la prima è parziale e difficilmente applicabile, mentre la seconda è stata distrutta da un voto popolare frettoloso e disinformato. Il risultato è zero. La classe politica ha buttato via quindici anni della Repubblica per girare attorno a un problema che non aveva alcuna intenzione di affrontare con metodo e coraggio. Non è tutto. Quindici anni dopo gli scandali di Tangentopoli scopriamo che questa classe politica sta facendo esattamente il contrario di ciò che dovrebbe fare. Anziché lavorare al governo del Paese e alla riforma dello Stato occupa il potere come un territorio conquistato e sta elargendo a se stessa, come certi ecclesiastici alla vigilia della Riforma, sinecure, prebende, manomorte e vitalizi. Anziché suscitare rispetto per le istituzioni e incarnare la dignità della cosa pubblica, preferisce la piazza o gli studi televisivi al Parlamento. E quando decide di partecipare a una seduta, tratta l'Aula come un chiassoso refettorio scolastico. Certe esibizioni parlamentari degli scorsi giorni dimostrano che parecchi politici hanno ormai perduto il senso della realtà e non capiscono quali sentimenti questi spettacoli stiano suscitando nella società italiana.

Danno la sensazione di pensare che la politica sia rissa, alterco, scambio d'ingiurie o, più semplicemente, dichiarazioni irresponsabili e irriflessive, rilasciate a caldo di fronte a un microfono per segnare un punto contro l'avversario del momento. Si battono per la conquista o la conservazione del potere, e non si rendono conto che stanno perdendo il Paese.

10 giugno 2007

 


+ La Repubblica 10-6-2007L'INTERVISTA Cacciari: Giordano, Diliberto e compagni sono conservatori che con l'innovazione non hanno nulla a che spartire "Rifondazione zavorra per l'Ulivo questo flop di Roma è un segnale" sinistra radicale Ma quale sinistra radicale Blocca il rinnovamento del welfare. Ferma le riforme istituzionali. Frena le liberalizzazioni le vie d'uscita Ci vuole un Partito democratico federale. Al Nord come al Sud. Mi spiegano sennò come faccio io a fare politica? UMBERTO ROSSO

 

ROMA - "Il flop di piazza del Popolo? Bene, benissimo. Così diventa sempre più evidente: Giordano, Diliberto & company sono dei conservatori, forze del passato remoto, residui di ideologia. Con l'innovazione non hanno nulla a che spartire. Ecco perché non li segue più nessuno". Sindaco Cacciari, però il governo Prodi si regge anche grazie a loro. "Oggi è così. Che altro vuoi fare, con i numeri che abbiamo? Siamo costretti. Per questa legislatura. Perché nella prossima mi auguro che il nodo venga sciolto una volta per tutte. Il Partito democratico deve smetterla di andargli sempre dietro, fanno zavorra". Non sarà invece che l'anti-americanismo non paga più? "L'anti-americanismo è un flop in sé. Ma se parliamo della reazione ad una politica imperiale, anzi ad una cattiva politica imperiale, e cioè quella di Bush, allora anche in America ormai il 70 per cento della gente manderebbe a casa il presidente. E questo io non lo chiamo anti-americanismo, vuol dire anzi far del bene agli Stati Uniti. Figurati perciò in Europa. O nella sinistra europea: siamo al 90 per cento anti-Bush. Quindi se al sit-in a piazza del Popolo non arriva nessuno, non è certo perché la gente ama il presidente degli Usa". Perché, allora? "Ma perché Rifondazione sceglie stilemi politici vecchi, decrepiti, che non andavano bene nemmeno ai tempi dell'Ungheria, di Praga, dell'Afghanistan. Immaginiamo oggi. Quella di piazza del Popolo era la manifestazione di una minoranza dei conservatori". Minoranza, perfino? "Certo. Perché, ovviamente, i veri conservatori non li becchi, perché stanno dall'altra parte. E non becchi nemmeno i no-global, i disubbidienti, che infatti stavano per conto proprio. Possiamo dire tutto il male possibile di Casarini, ma almeno qualcosa di nuovo l'hanno portato: un bisogno della politica, del desiderio, dell'utopia, chiamatela come vi pare". La sinistra radicale ha perso il rapporto con i movimenti? "Ma radicale de che? Blocca il rinnovamento del welfare. Ferma le riforme istituzionali. Mette il bastone fra le ruote alle liberalizzazioni. La chiamano sinistra, questa, e pure radicale? Comunque, il rapporto con i movimenti non l'hanno mai avuto. Andate a chiedere a Casarini che ne pensa di Rifondazione. Ripeto: non pescano né a destra né a sinistra". Però i voti li hanno pescati, il cantiere di sinistra conta 150 parlamentari. "Gli rimane qualcosa aggirandosi fra i cascami dell'ideologia. Ma soprattutto resistono ancora grazie alle cappellate altrui. Del Pd in primo luogo". Non sarà che a recitare il doppio ruolo di sinistra di lotta e di governo alla fine si paga pegno? "Berlinguer era di lotta e di governo. Ma le manifestazioni del suo Pci erano oceaniche. Allora, come la mettiamo? No, non c'entra nulla. Anche perché una forza di innovazione dovrebbe sempre essere un partito di governo responsabile e al tempo stesso guardare oltre, alto. Che altro erano i nostri padri costituenti? Puntare nell'Italia del '46, devastata dalla guerra, alla piena occupazione, era un programma di lotta e di governo". Teme, dopo il flop piazza del Popolo, una sinistra più dura rispetto al governo? "Può darsi. Ma, diciamo la verità, questo governo è sempre ostaggio di qualcuno. Se non è Mastella è Di Pietro, se no c'è Diliberto, ecco Giordano e il balletto ricomincia da capo. Prodi è meno leader. Ormai, siamo in zona Cesarini. Dobbiamo giocare tutti all'attacco. E' l'unica speranza di riuscire a fare un gol prima che l'arbitro fischi la fine della partita". Come si mette la palla in rete? "Una Finanziaria per i settori produttivi. Welfare rivolto ai giovani, anche per garantire le loro pensioni future. Liberalizzazioni. E un Partito democratico federale. Al nord come al sud. Mi spiegano sennò come faccio io a fare politica se devo stare con Rifondazione?".

 


 

Il Corriere della Sera 10-6-2007  Liberalizzazioni tradite e colpe della politica. LOBBY CONTINUA di Angelo Panebianco

 

 

Quando si concluderà la vicenda del governo Prodi i ministri delle «liberalizzazioni » Pier Luigi Bersani (Attività produttive) e Linda Lanzillotta (Affari regionali) ne usciranno a testa alta. Ma serietà e impegno di singole personalità non possono compensare una squadra che non funziona. Le liberalizzazioni dovevano avere due scopi. Mostrare la capacità e la volontà del governo di introdurre forti cambiamenti (con il passaggio — epocale — dalla tradizionale protezione delle corporazioni all’attiva difesa dei consumatori); dovevano poi essere la prova della vocazione riformista del costituendo Partito democratico. Ma il progetto si è sfilacciato per strada, con molti arretramenti sostanziali. Qualcosa forse alla fine resterà ma sarà troppo poco per salvare sostanza e immagine di quella politica.

Si è visto che cosa è accaduto. La liberalizzazione dei servizi locali su cui ha lavorato la Lanzillotta è andata a sbattere contro il muro delle lobbies locali, dell'opposizione sindacale e dei veti della sinistra estrema. Un compromesso al ribasso (Boitani, Sole 24 Ore del 7 giugno) ne ha svuotato gli aspetti innovativi lasciando i servizi locali sotto il tallone del regime pubblicistico.

Né miglior sorte tocca alle liberalizzazioni di Bersani che, peraltro, l'estate scorsa (quando il ministro ne varò, con decreto, la prima tranche) fecero crescere per un po', nel Paese, i consensi per il governo. Ora, in aula, a colpi di emendamenti, il progetto si va decomponendo: «rinazionalizzazione » dell'acqua, stralcio della norma sull'abolizione del pubblico registro automobilistico, cedimenti a quasi tutte le corporazioni colpite. Probabilmente, al termine dell' iter parlamentare, quando il provvedimento verrà approvato, i risultati appariranno modesti. E pochi i vantaggi per i consumatori.

Vari fattori hanno favorito il risultato. Non solo i veti sindacali e della sinistra estrema. Ha contato probabilmente anche il fatto che i ministri delle «liberalizzazioni» non sono stati sostenuti con l'impegno che un'impresa così difficile avrebbe richiesto dal presidente del Consiglio. Per giunta, in un clima di indebolimento dei consensi, molti deputati della maggioranza sono diventati ancor più sensibili di prima all' influenza delle lobbies colpite.

A parte gli effetti sulla sorte di un governo che sembra comunque vicino al capolinea, due sono le principali conseguenze del mesto tramonto delle liberalizzazioni. La prima riguarda i riflessi negativi sull'identità del Partito democratico. Mentre la politica fiscale del governo ha compromesso, forse irreparabilmente, il suo rapporto con il Nord del Paese, la fine della breve stagione delle liberalizzazioni svuota di credibilità la promessa «rivoluzione » che doveva mettere i consumatori al centro dell'azione politica. Che razza di pedigree riformista potrà domani esibire il Partito democratico di fronte agli elettori?

La seconda conseguenza riguarda l'opposizione e le sue ben note ambiguità in tema di liberalizzazioni. I deputati della maggioranza che lavorano all'affossamento delle liberalizzazioni sono spalleggiati da deputati dell' opposizione anch'essi impegnati a difendere corporazioni varie. L'opposizione nel suo insieme, probabilmente, tornerà al governo appena si voterà di nuovo. Per demerito del centrosinistra più che per meriti propri. Senza neppure bisogno (purtroppo) di dare chiarimenti sul perché non ci fu alcun impulso alle liberalizzazioni all'epoca del governo di centrodestra e su che cosa intenda fare al riguardo nella prossima puntata.

09 giugno 2007


 

Il Corriere della Sera 10-6-2007 FRANCO VENTURINI Dialogo su Basi più Chiare

 

Tra uomini di governo vedersi per due ore dopo aver passato insieme due giorni non sempre è assurdo. Può accadere, come è accaduto ieri a Prodi e a Bush entrambi reduci dal G8, che l'incontro bilaterale abbia una valenza diversa da quello multilaterale, che serva a riportare il sereno in un rapporto turbato da qualche nube, che ricordi a tutti le ragioni di una amicizia solida ma non subalterna. I colloqui di Bush con Napolitano e con Prodi, al di là dei temi trattati e certamente al di là delle dimostrazioni non oceaniche che hanno accolto il Presidente Usa, servono a lanciare tre messaggi. Alla destra per smentire le strumentalizzazioni che dipingono l'Italia come un pericoloso covo di comunisti e di anti-americani. Alla sinistra radicale per ribadire scelte di fondo cui essa si è liberamente associata entrando nella maggioranza. Alla sinistra moderata per confermare che le alleanze tra democrazie lasciano spazio all'autonomia dei giudizi, come sanno del resto la Merkel e Sarkozy (lo si è visto al G-8) oltre al semi-recuperato Zapatero. Sono questi i messaggi che dovrebbero stemperare da oggi la nostra endemica litigiosità sui temi di politica estera. Ed è nella piena consapevolezza di questi messaggi che si è svolta ieri la tanto attesa verifica bilaterale italo-statunitense. Forse troppo attesa, a giudicare dai ripetuti ringraziamenti di Bush e dall'impegno profuso da entrambe le parti nell'evitare l'emergere del benché minimo disaccordo, vicende Omar e Calipari incluse. Ma se l'atmosfera ha risentito di un eccesso di buonismo, è risultata egualmente agevole l'individuazione dei prevalenti interessi comuni che legano i due Paesi. Il caso Mastrogiacomo non è stato evocato in pubblico e probabilmente nemmeno in privato, così come non risulta che sia stato ribadito da Bush l'invito ad ampliare l'impegno militare italiano in Afghanistan. Ma su questi temi gli orientamenti di Washington sono ben noti, e lo stesso Presidente americano ha preferito porre l'accento sulla questione fondamentale che da noi troppo spesso viene dimenticata: l'Italia è in Afghanistan, il governo in carica vuole rimanerci anche se alcune sue componenti masticano amaro, e un ritiro italiano sarebbe un disastro per tutta la coalizione. Dunque, grazie e continuate. Le opinioni sulla crisi mediorientale talvolta non coincidono, ma l'Italia è stata determinante nello schieramento di Unifil II in Libano. Sul Kosovo la volontà di non umiliare la Serbia è più presente agli italiani che agli americani, ma le nostre forze svolgono un ruolo essenziale nei Balcani e anche sul Kosovo gli obbiettivi finali coincidono. Dunque, grazie e continuate. E poi c'è la convergenza (fino a quando non si parlerà di uso della forza) sulle risposte da dare alle ambizioni nucleari dell'Iran, c'è un interessante accenno di Bush alla politica italiana verso la Siria dove è da poco stato il ministro D'Alema, e il giudizio negativo sull'Iraq che l'attuale maggioranza ha sempre espresso non incide più di tanto ora che censure ancor più severe prevalgono in America. Evitando accuratamente gli scogli, insomma, Prodi e Bush sono riusciti a restituire il primato a quella tela di fondo dei comuni interessi strategici che ancora oggi contraddistingue il rapporto italo-statunitense. Bisogna dedurne che ogni increspatura tra Roma e Washington è definitivamente sepolta, e che non ce ne saranno di nuove? Certamente no. Ma almeno sono state create le condizioni perché il dialogo tra Italia e Stati Uniti possa ripartire da basi più chiare. Senza l'obbligo di essere sempre d'accordo. E con l'aggiunta di tre messaggi che si spera giungano a destinazione.


 

La Repubblica 10-6-2007 RISCHIOSO ELOGIO DEL NOSTRO PREMIER EUGENIO SCALFARI

 

LA LOGICA vorrebbe che, dopo l'invereconda gazzarra inscenata dalla destra in Senato durante il discorso di Padoa-Schioppa sul caso Visco-Speciale e di fronte alla fondata ipotesi d'una resurrezione del governo Berlusconi, i dissenzienti di sinistra astenutisi al primo turno delle elezioni amministrative domani tornassero in massa alle urne. Ma esiste ancora la logica? Mi viene in mente una celebre battuta di Woody Allen: "Vorrei tanto iscrivermi ad un circolo per potermi espellere un minuto dopo". Molti dissenzienti e astenuti del centrosinistra ragionano esattamente a quel modo, perciò temo che diserteranno anche questa volta. Lo temo non tanto per le sorti del governo, che non sono in discussione nei ballottaggi di domani, ma appunto per la sorte della logica che dev'essere fuggita a nascondersi in qualche soffitta o in qualche scantinato. * * * Nel frattempo il popolo degli "autonomi", piccoli imprenditori e artigiani concentrati soprattutto nel Nord, insorge contro gli "studi di settore", cioè contro le tasse, cioè contro Visco, Prodi e Padoa-Schioppa, nell'ordine. Il ministero delle Finanze ha aumentato i parametri degli studi di settore che le categorie interessate non accettano definendo l'aumento insopportabile, vessatorio, offensivo. Minacciano di non pagare gli aumenti. Reclamano una moratoria, cioè un condono e il ritiro dei nuovi parametri. La protesta riguarda più o meno 4 milioni di soggetti e un gettito stimato all'incirca in 3 miliardi e mezzo più elevato di quanto fin qui incassato dal Fisco. Si tratta dunque di una massa notevole di contribuenti e di elettori. Fin qui la loro sponda politica è stata soprattutto la Lega e Forza Italia; ma la loro protesta ha trovato ora udienza anche nella Margherita, nei Ds e in alcuni sindaci di centrosinistra del Nord e della Puglia. Lo stesso Visco del resto ha deciso di ammorbidire la stretta riconoscendo che una parte delle rimostranze degli "autonomi" meritano di esser prese in considerazione. Lo pensiamo anche noi, per quel tanto che può valere l'opinione di osservatori indipendenti. Ci sono molti casi tra i piccoli imprenditori e tra le imprese artigianali che non sono in condizioni di sopportare nuovi incrementi fiscali. I giornali ne hanno dato ampia notizia nei giorni scorsi; si tratta di casi così detti "marginali" per i quali l'amministrazione aveva già disposto criteri specifici prima che la protesta collettiva esplodesse.

Secondo stime attendibili i casi "marginali" coinvolgerebbero mezzo milione di contribuenti, ma ora sembra di capire che anche gli altri 3 milioni e mezzo saranno in qualche modo alleggeriti dall'aggravio inizialmente previsto. Ci auguriamo che questo basti ad eliminare il conflitto tra il Fisco e i contribuenti, ma non ne siamo affatto sicuri. Quanto al maggior gettito, sulla base delle nuove valutazioni risulterà "alleggerito" anch'esso: si prevede che scenderà dai 3 miliardi e mezzo a 1 e mezzo. L'intera questione merita tuttavia qualche ulteriore osservazione. Capisco che si tratta d'un terreno minato sul quale è impervio incamminarsi, ma ci sembra doveroso farlo se non altro per stanare quella famosa logica della quale abbiamo già fatto cenno dalle soffitte dove si è nascosta. * * * Le categorie degli "autonomi" alle quali si applicano gli studi di settore hanno dichiarato per bocca dei loro rappresentanti (una ventina di sigle riunite in una sorta di stati generali) di essere esasperate e anche offese dal Fisco. Esasperate è comprensibile. Non sono le sole. Sono esasperati i professionisti, le cosiddette partite Iva, gli agricoltori e coltivatori diretti e insomma tutta la vasta platea di contribuenti le cui imposte non sono trattenute alla fonte ma debbono emergere dalle dichiarazioni dei redditi. Non so se anche i lavoratori dipendenti siano altrettanto esasperati. Potrebbero esserlo perché il loro reddito viene tassato alla fonte dai cosiddetti sostituti d'imposta, cioè dai loro datori di lavoro. Non sfugge un solo centesimo alla tassazione dei lavoratori dipendenti. Esasperati è dunque possibile, offesi certamente no: nessuno infatti può sospettare che il reddito proveniente da lavoro dipendente possa essere evaso. Ma poiché il reddito delle varie categorie di lavoro autonomo dipende "in primis" dalle loro dichiarazioni, la logica ci dice che l'enorme evasione e l'enorme "sommerso" sia annidano appunto nel piccolo commercio, nella piccola impresa, nell'artigianato. Ecco perché gli "autonomi" oltreché esasperati sono anche offesi: offesi dal sospetto di evadere le imposte, reato che ciascuna categoria scrolla con sdegno dalle proprie spalle. Hanno ragione: infatti nessuno può accusare i commercianti o i barbieri o i ristoratori o gli idraulici o i medici di essere evasori in quanto categoria. Ma (aiutami logica!) poiché gli evasori ci sono e sono una massa ingente, da qualche parte bisognerà pur cercarli. Senza dire che l'evasione si annida spesso perfino nei bilanci delle grandi imprese, nelle holding non quotate in Borsa, nel sistema dei sub-appalti e delle sub-forniture, nelle false fatturazioni, nelle misteriose società domiciliate nei paradisi fiscali. Tutti, assolutamente tutti, da Tronchetti Provera all'ultimo barbiere di provincia e all'avvocaticchio di paese, vogliono che l'evasione sia debellata una volta per sempre. Ma quando l'Agenzia delle Entrate comincia a rovistare nell'ambito d'una qualsiasi categoria o d'un qualsiasi bilancio per individuare l'evasore che vi avesse fatto il nido, i lai si fanno altissimi, l'offesa diventa bruciante, il Fisco viene visto come un invasore e prende corpo la minaccia dello sciopero. Naturalmente fiscale. Che cosa sono gli studi di settore? Un metodo patteggiato tra il Fisco e il lavoro autonomo. Il Fisco rinuncia a pretendere che il lavoratore autonomo sia tassato sulla totalità del suo reddito per una serie di giuste considerazioni: l'autonomo lavora personalmente, lavora senza orario, le ferie e le malattie non sono ovviamente previste, non avrà liquidazione visto che è al tempo stesso lavoratore e datore di lavoro. Tutte buone ragioni per non toccarlo al cento per cento. Gli studi di settore servono proprio a questo: individuano un livello d'imposizione che sia una percentuale del reddito prodotto. Il problema dunque si sposta alla percentuale: dove va messa l'asticella di un equo sconto fiscale? Al 10 per cento? Al 20? Al 50? Al 70? Il sommerso la mette al 100 per cento. Dunque il problema sta nella valutazione dello sconto fiscale. Se esso compensa equamente i disagi del lavoro individuale non c'è evasione; se supera di troppo il costo stimato di quei disagi non si tratta più di compensazione ma di evasione. Del resto ciascuno di noi ne fa diretta esperienza con gli artigiani casalinghi, nel senso di quelli che vengono in casa a riparare i guasti. Avete mai avuto una fattura registrata fiscalmente? Se l'avete chiesta certo l'avrete ottenuta, ma cancellate quel lavoratore autonomo dalla vostra agenda telefonica: non lo vedrete mai più. Può darsi che il problema sia insolubile. Tremonti infatti non ci pensò nemmeno e andò avanti con i condoni. Condonò tutto il condonabile mentre l'evasione fiscale ovviamente cresceva. Prodi, Visco e Padoa-Schioppa hanno imboccato invece una strada diversa per combattere un'evasione che viene stimata a dir poco a 300 miliardi di euro. Ne faremmo di cose se solo ne recuperassimo un terzo. Ma se tutta Italia si ribella bisogna fermarsi. E questo è quanto. * * * Per le liberalizzazioni vale più o meno lo stesso discorso. Le "lobbies" non vogliono un mercato liberalizzato. Il governo di centrosinistra ci prova (quello di centrodestra si dimenticò che il problema esistesse e nessuno - dico nessuno - gliene fece carico). Le lobbies si moltiplicano e si contano. Ci si accorge che sono una moltitudine. Ci si accorge pure che, quando i provvedimenti arrivano in Parlamento, non c'è un solo deputato o senatore di centrodestra che dia il suo voto a favore delle leggi Bersani. Ci si accorge addirittura che perfino settori della maggioranza, da quelli moderati a quelli radicali, contribuiscono ad annacquare. Ci si accorge infine che i cosiddetti giornali indipendenti criticano - giustamente - l'annacquamento e ne danno principalmente la colpa al governo. Anche qui: la logica si è imboscata non so proprio dove e rifiuta pervicacemente di venir fuori. * * * Ieri a Roma è stata la giornata di Bush. E dei cortei contro di lui. Cortei pacifici ma con frange violente di difficile controllo. La stampa, compresi alcuni giornali "indipendenti", ha attribuito al governo l'eventuale responsabilità delle eventuali violenze. Il governo è certamente responsabile, in casi come questi, di effettuare un'efficiente prevenzione e attuare, se necessario, un'efficace repressione proporzionata a livello di scontro con le frange violente. Ma che l'esistenza stessa di frange violente venga ascritta a responsabilità di governo, questo rappresenta un salto logico incomprensibile. A Rostock, tanto per dire, in occasione di quest'ultimo G8 gli scontri tra i "Black Bloc" e la polizia tedesca sono durati tre giorni lasciando sul terreno oltre ducento feriti tra forze dell'ordine e dimostranti. Nel frattempo la Merkel e le delegazioni del G8 discutevano in un castello sede della riunione di clima, di Trattato europeo e anche di scudo spaziale americano e missili russi, di crisi africana e di altri non trascurabili problemi che affliggono il pianeta. Nessun giornale o telegiornale ha imputato al governo tedesco e al suo Cancelliere il fatto che esistano giovani violenti che utilizzano eventi internazionali come vetrina per le loro teppistiche imprese. Ai governi, lo ripeto, si chiede di tutelare gli ospiti, garantire la regolarità degli incontri diplomatici, prevenire e reprimere le violenze con efficacia e ponderazione. E se riusciranno in questi obiettivi alla fine gli si riconosce il merito dovuto. * * * Chiuderò queste note con qualche breve considerazione politica. La sinistra radicale, principalmente Rifondazione comunista, si sente per la prima volta lambita dalla disaffezione dei suoi elettori. Da questo punto di vista le recenti amministrative non sono andate affatto bene. L'effetto sembra esser stato quello di suggerirle un'ulteriore radicalizzazione politica soprattutto in vista del Dpef, della trattativa sulle pensioni e dell'impiego delle risorse disponibili. Lo stesso presidente della Camera, terza carica istituzionale dello Stato, si è sporto assai più di quanto la carica gli consentirebbe su questi temi e su altri ancora i quali, senza eccezione, dovranno poi esser tradotti in atti legislativi e quindi affidati al dibattito e al voto della Camera guidata dal suo presidente. Apprezzo l'eloquenza e la rettorica (nel senso scolastico del termine) di Bertinotti e ne apprezzo altresì alcune intenzioni e ragionamenti di lunga prospettiva, ma non ho cessato di ripetere che egli viola troppo spesso la discrezione del suo dire che la carica istituzionale dovrebbe imporgli. Così facendo reca danno all'immagine sua e, quel che è peggio, dell'istituzione che presiede. L'onorevole Rutelli, vicepresidente del Consiglio e leader della Margherita, ha molto accentuato dopo le elezioni amministrative e il loro magro risultato, certi suoi atteggiamenti di spiccato riserbo e anzi di critica sulla politica del governo, sulla laicità del futuro Partito democratico, perfino sulle leggi Bersani e sulla vicenda Visco-Speciale. Un leader di partito può ben avere ed esprimere pubblicamente riserve sul governo di coalizione cui appartiene; ma un vicepresidente del Consiglio può e deve farlo autorevolmente soltanto in sede di governo. Fuori da quella sede non dovrebbe e valgono le stesse ragioni che ho usato nei confronti del presidente della Camera. Si dirà che si tratta di ragioni formali. Lo stesso si diceva un tempo da parte dei comunisti contro chi difendeva le libertà borghesi. Si è visto poi che in pratica nulla è formale e tutto è sostanziale. Mi verrebbe infine da concludere facendo un elogio di Romano Prodi per la sua tenacia che può a volte sconfinare nella testardaggine. Ha innumerevoli difetti, Romano Prodi. Ma tiene. Se cadrà prima del tempo il ruzzolone metterà l'intera sinistra col sedere per terra e non gioverà in nulla al paese che riavrà Berlusconi per un altro tempo indefinito. Mi auguro perciò che Prodi continui a tenere e metta mano finalmente agli effetti positivi del suo programma di governo lasciando al Partito democratico la libertà di nascere purché senza ipoteche. Neppure la sua.

 


 

La Stampa 9-6-2007 La mappa del popolo no-global . Di Igor Mann

 

Buonasera!
Roma è piena di lapidi che io chiamo lapidi cicatrici. A doler di più sono due in particolare: quella che ricorda la morte di Giorgiana Masi, 18 anni, carina, fragile, uccisa a Roma a Ponte Garibaldi non sappiamo tuttora da chi durante i moti, diciamo così, del '77. L'altra lapide cicatrice ricord in Via Fani ricorda l'assassinio di Aldo Moro e della sua scorta. Il marmo che rammenta quella strage della quale sappiamo tutto e nulla, è stata imbrattata da una scritta in vernice rossa "Bush = Moro". A parte lo sfregio vigliacco dirò subito che codesta equiparazione è idiota. Bush crede nella guerra veicolo della democrazia, Moro aborriva le armi. L'ho conosciuto bene, mi onorava della sua stima, l'ho seguito nei suoi viaggi da ministro degli Esteri, e posso dirvi che era davvero una colomba. Da buon cristiano (si veda Papa Wojtyla) lavorava per la pace pur ironizzando sui cosiddetti pacifisti stradali. Era convinto Moro che la guerra non risolve, è un'avventura senza ritorno. Non credo che quella sverniciata idiota la si debba ai "no global" ai cosiddetti "figli di Seattle" detti così perché si affacciarono alla ribalta della nostra ineguale cultura proprio a Seattle, in quella città remota la variopinta tribù globale fece naufragare il vertice del WTO, l'Organizzazione Mondiale del Commercio, col quale WTO Clinton pensò di inaugurare la nuova era tecnologica. Più che a una opposizione, a una alternativa o a un movimento, quello dei "no global" assomiglia a un popolo, ha scritto sulla nostra Stampa Filippo Ceccarelli. Un minuscolo popolo che è cresciuto dentro la società non solo americana e che ogni tanto si raduna in qualche luogo del mondo per qualche giorno ansioso di ritrovarsi e riconoscersi come è l'Italia mistura capace di contestare il mostro della omologazione. In definitiva un popolo a parte che vive in un mondo che lui sa come sia o dovrebbe essere.

Una data di formazione esatta di questo movimento che si rifà alle contestazioni del '68 a Cleveland o a Berkley una data esatta non l'abbiamo, ma il popolo di Seattle debutta a Seattle giustappunto nel dicembre del 1999 mandando a pallino l'iniziativa, sia pure interessante, di Bill Clinton. Oggi la mappa dell'antagonismo, cosiddetto, grazie al web copre l'intero mondo sviluppato unendo spesso i partiti della sinistra a sinistra, agli ecologisti i movimenti di liberazione del Sud-America, ai luddisti gli anarchici, ai cristiani integralisti, agli squatter, il guru dei "no global" è lo scrittore Von Chomsky, il loro artista, l'unico e solo, è Kate Haring www.haring.com.

I neo global o i no global si somigliano tutti, ma sono sempre tutti completamente diversi. Sono una sorte di piramide post-moderna con differenti chiavi di lettura. Dal vetero stalinismo al "People Global Action - PGA" il sito italiano. In Italia dire G8 porta dritti alla tragedia di Genova del luglio 2001. Tragedia perché morì ammazzato un giovane neo global Carlo Giuliani, figlio di una persona onorata, già studente universitario e non male, un giovane che decide di non dar più esami, di vivere libero. Anarcoide ma non violento a 17 anni la prima denuncia: violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Di ragazzi come lui è piena l'Italia è piena Roma. Li trovi sempre con i cani appresso in Campo dei Fiori, magari a Piazza Navona dove fingono un numero di varietà per qualche euro. Lui, Carlo Giuliani, si vuole fosse stato tentato dai black block, gli anarchici neri che possiamo definire un movimento post-anarchico sfasciatutto. Le nostre solerti autorità sapevano di poter controllare la visita di Bush, temevano soltanto i black block.

Sono un fenomeno abbastanza recente, esiste un nocciolo duro che va in giro per il mondo a caccia di casini. Per sfasciare quello che gli capita sotto mano, in Francia li chiamano casseur, appunto. Ebbene i casseur hanno aggredito il corteo pacifico contro Bush all'altezza di Campo dei Fiori ed è importante sottolineare che è stata la gente del corteo pacifico a dare una mano ai poliziotti reagendo alla provocazione degli anarchici neri.

A Roma per gridare "Bush no war" "Niente guerra Bush" sono convenuti giovani da ogni parte, spinti dalla pulsione oramai diffusissima della aggregazione. Nell'estate del Giubileo a Tor Vergata non c'erano soltanto i "papa boys" ma anche giovani qualsiasi, giovani e basta, gioiosi di far gruppo, di non sentirsi più soli, affamati di aggregazione, dunque, i giovani venuti a Roma oggi vogliono sia pur confusamente i più, vogliono giustizia, una briciola di serenità se non di felicità. Per tutti, specie per i diseredati della Terra. Sognano, pretendono un capitalismo dal volto umano e la loro protesta ancorché confusa, spontaneista, senza paradigmi ragionati è una nobile protesta, tutto sommato. Il nostro corrispondente da Washington, Maurizio Molinari, nella sua recente intervista a Bush ha posto il problema della globalizzazione definendola una domanda di democrazia forte e anomala. Ecco, è qui la forza del popolo di Seattle mentre la sua debolezza è la violenza. E' però, la violenza, viene da lontano, viene dalla contestazione di chi si vede relegato ai margini del processo di globalizzazione culturale, politica ed economica. Da qui il dovere del G8 di dichiarare guerra al determinismo selvaggio dello sviluppo del sottosviluppo. Occorre far presto.
Buonasera!

 


 

Il Trentino 10-6-2007 Un tabloid berlinese l'aveva dipinta come la novella Giovanna d'Arco, pronta alla crociata ... Vittorio Cristelli.

 

Un tabloid berlinese l'aveva dipinta come la novella Giovanna d'Arco, pronta alla crociata contro gli sconvolgimenti climatici del pianeta. Già in aprile aveva promosso un incontro tra i rappresentanti di 80 organizzazioni non governative (Ong) e i delegati dei governi del G8, denominati "sherpa", per concordare strategie e proposte. Ne era uscito un documento di sfida: "La credibilità dei potenti al banco di prova", in cui si parlava di Africa, di Aids, di clima, di commercio mondiale e di debito dei Paesi in via di sviluppo. Bernd Pfaffenbach, "sherpa" di Angela Merkel, aveva dichiarato trionfalmente che la cancelliera avrebbe puntato i piedi per "la radicale riduzione delle emissioni di anidride carbonica (CO) nell'atmosfera". E la novella Giovanna d'arco l'ha fatto. Ma ecco il risultato: gli otto grandi si sono impegnati a "dimezzare entro il 2050 le emissioni di gas serra da parte delle loro industrie". Questa misura del dimezzamento è ormai classica. Anche alcuni obiettivi o "goal" del Millennio delle Nazioni Unite prevedono un dimezzamento dei morti per fame o degli analfabeti nel mondo. Ma la data fissata per il loro raggiungimento è il 2015, mentre il G8 la fissa al 2050: in mezzo c'è una vita! Eppure la Merkel la considera una vittoria di cui gloriarsi. Già perché Bush al suo arrivo ad Heilgendarm aveva fatto capire che non si sarebbe fatto nulla, adducendo come argomento che era necessario l'adesione anche di paesi come la Cina e l'India, già grandi inquinatori sia per la loro estensione che per lo sviluppo rampante che registrano. Come a dire: chi ce lo fare a ridurre l'inquinamento e a frenare il nostro sviluppo, se altri continuano ad inquinare e a crescere? A ben ricordare è successo già con il Protocollo di Kyoto, che pure prevede impegni nella diminuzione dell'emissione di CO nell'atmosfera. Gli Stati Uniti, prima non l'hanno firmato e poi vi hanno aderito nel 2005, ma in modo non decisivo. Ebbene, anche ad Heiligendamm si è inserita una ripetizione che definire malinconica è riduttivo. L'impegno a dimezzare le emissioni inquinanti entro il 2050 non è vincolante bensì volontaristico e compatibilmente con le rispettive economie. E chi stabilisce la compatibilità? Ovviamente ogni paese a suo piacere. A onor del vero, la Merkel ha preannunciato di adoperarsi perché il controllo sia posto nelle mani dell'Onu, ma oltre che essere un obiettivo di là da venire, rimane l'eterno problema della capacità impositiva delle Nazioni Unite. Esempi del passato non depongono a favore. Ma anche la storia del G8 è più storia di dichiarazioni di intenti che di risultati raggiunti e cogenti. Già nel primo vertice (allora G6) svoltosi a Rambouillet, vicino a Parigi nel lontano 1975, ci si impegnava nella liberalizzazione dei mercati per metter fine al protezionismo, che esiste ancora, basta chiederlo all'Africa. Nello stesso vertice si parlava di ambiente e di povertà in cui sono ridotti oltre un miliardo di esseri umani. Gli argomenti si sono ripetuti e gli impegni ribaditi e specificati nei vertici susseguenti. Per fare alcuni esempi: il G8 di Colonia del 1999 considerava "I cambiamenti climatici una minaccia molto seria per lo sviluppo sostenibile". Nel vertice di Gleneagles del 2005 si prometteva di radoppiare da lì al 2010 gli aiuti pubblici allo sviluppo (Aps), ma l'Oxfam recentemente ha giudicato "shoccante che gli aiuti del G8 ai paesi poveri anziché aumentare sono per la prima volta diminuiti nel 2006". E non parliamo delle promesse di azzeramento del debito, rispetto alle quali il mondo è pieno di marinai. Il G8 appare a molti un organismo inutile. Fuori dai denti, l'ex cancelliere tedesco Helmut Schmidt l'ha definito "evento mediatico" e "una chiacchierata fra amici attorno al fuoco". Ci va di mezzo però il mondo intero, come ricorda sinteticamente lo slogan coniato dai contestatori a Genova in occasione del vertice del 2001: "Voi otto, noi 6 miliardi". Il fatto è che l'impegno a diminuire le emissioni di CO nell'atmosfera è sincero solo nella misura in cui si decide a cambiare modello di produzione, adottando energie alternative e imboccando la strada suggerita dalla scuola di Wuppertal e cioè dell'efficienza nella sufficienza o, come la chiama Aubrey Meyer, della "contrazione e convergenza". In una parola, della cura dimagrante e della produzione frenata. Ma vallo a dire a chi misura il livello di civiltà con il metro del Pil! Ti rispondono come è successo a me in un dibattito sul tema: "Mica siamo tutti francescani"!


 

Il Giornale 10-6-2007 Di Gianluigi Nuzzi Sedetevi comodi, domattina lo psicodramma dei ds entra nel vivo. A Milano gli avvocati leggeranno e trascriveranno le telefonate dell'affaire Bnl.

 

Tra le altre, le chiacchierate del luglio 2005 tra Gianni Consorte di Unipol e i vertici della Quercia nei giorni caldi della scalata delle coop rosse a Bnl. Chi si aspetta che Massimo D'Alema, Piero Fassino, il tesoriere Ugo Sposetti siano lì a tessere trame illegali per far cadere Bnl nella rete della finanza rossa, si sbaglia. Non c'è rilevanza penale per la nomenklatura del partito di governo. Ma non è questo che allarma i ds. Il motivo di tanta ansia, ben misurata dalle reazioni istintive all'inchiesta dell'attento Paolo Colonnello sulla Stampa solo qualche giorno fa, ha cause più recenti. Cause che si riversano in un contenitore che si chiama Partito democratico. Che nasce claudicante, zoppo. A chi ha già sentito attentamente tutte le conversazioni, parliamo soprattutto di investigatori, è balzato all'occhio la faida interna che all'epoca montava tra gli interlocutori di Consorte, tutti d'osservanza diessina. Parlando con l'ingegnere di Chieti tra loro si smarcavano, lo pregavano magari di non farsi sfuggire niente con Fassino 'o spilungone, di stare attento che il compagno Tizio è una testa di c... mentre il compagno Caio manco parla bene e flirta con chi non deve. Assente quindi la lettura penale delle conversazioni, ma che secondo la procura offre una cornice politica che inquadra le relazioni di Consorte, tanto da chiedere l'utilizzazione alle Camere. Lo psicodramma si nutre quindi di diversi affluenti. Il primo: le telefonate creeranno fratture all'interno del Pd, alimentando uno scontro che indebolisce fortemente i ds. Secondo: si riapriranno ferite malcucite specie con gli amici della Margherita. Chissà infatti che dirà Arturo Parisi che annunciava "il ritorno della questione morale". Acuirà fratture scomposte come quelle con Luca Cordero di Montezemolo, bistrattato da Piero Fassino. E si rivitalizzeranno, soprattutto per le parole del segretario, i malumori tra ds e Banca Mps. Del resto Fassino ragiona con Consorte da segretario politico che vive con passione un'operazione amica ("Allora siamo padroni di una banca?", "Allora prima portiamo a casa tutto"). Per questo rilascia interviste a sostegno, improvvisa strategie comunicative con l'ingegnere, si lamenta degli articoli del Sole24Ore. D'Alema assume un profilo diverso. Il primo a chiamarlo in causa era stato addirittura, in un libro, Marco Travaglio. Nell'autunno scorso disse che nelle conversazioni tra Massimo e Gianni, il leader avrebbe avvertito Consorte che questi aveva il telefono sotto controllo. D'Alema non smentì. E tutti s'aspettano ora di leggere i testi delle telefonate. Staremo a vedere. Di sicuro tra Massimo e Gianni corre un rapporto più profondo che tra Fassino e Consorte. Tanto da spingere D'Alema a chiedere che la cordata Unipol rilevi, come anticipato qualche settimana fa dal Giornale, la quota in Bnl del parlamentare udc Vito Bonsignore. Cortesie da Transatlantico, si dirà. Una sorpresa saranno invece le conversazioni con il tesoriere Ugo Sposetti, incline a esprimere dure pagelle sui compagni di partito, e quelle con il senatore Nicola Latorre, che subito dopo l'uscita delle prime intercettazioni giurava che mai nella sua vita aveva passato il suo cellulare all'amico D'Alema.

Insomma, i motivi di questo psicodramma, che da domani lascia i contorni Telecom-Brasile per diventare tutto nostrano, sono molti, troppi per cadere in una situazione politica "sfrangiata", per usare un aggettivo caro a Clemente Mastella, come quella di oggi. Con il risultato dei ballottaggi che si insinua in un calendario perverso, con alle spalle le polemiche sulle pressioni esercitate da Vincenzo Visco sui vertici della Guardia di Finanza. Ce n'è abbastanza per uno psicodramma in piena regola. Del resto la proprietà, essere padroni di qualcosa, figurarsi di una banca, è cosa indigesta per la sinistra. Soprattutto se quell'operazione finì alla deriva sotto il fuoco peggiore, ovvero quello amico. Infine, l'ultima incognita che non viene dalle intercettazioni ma dal suo principale interlocutore. Ovvero Gianni Consorte. Ha ripreso a lavorare. Gira tra Milano, Bologna e Roma. Si duole delle ingiustizie patite. A tutti assicura che la storia non è finita. Raccolte le prove, racconterà i retroscena della guerra su Bnl. Con inevitabile coda di polemiche in pura salsa Pd. A iniziare da quelle con il Bbva difeso da Guido Rossi. A proposito dell'ex presidente di Telecom, da segnarsi in agenda il prossimo scandalo. Bolle in pentola, già c'è stata qualche avvisaglia. Avrà ripercussioni su destra e sinistra. Sedetevi comodi, si chiama proprio così: Telecom. gianluigi.nuzzi@ilgiornale.it

 


 

La Repubblica 10-6-2007 L'INTERVISTA Bortolussi, presidente della Cgia di Mestre e assessore con Cacciari attacca gli studi di settore "Visco non conosce le partite-Iva così fa un regalo al centrodestra" Non sono stati rispettati i patti: che fine ha fatto la prevista eliminazione degli scontrini? ALESSANDRA CARINI

 

VENEZIA - Da una settimana non fa che sfornare, con la sua Cgia di Mestre, dati e studi per sostenere le ragioni degli autonomi in lotta con il fisco. E Giuseppe Bortolussi è diventato la bestia nera del viceministro Vincenzo Visco. Eppure non è un uomo della destra: 20 anni nel Pci e oggi assessore nella giunta di Massimo Cacciari, non retrocede, nemmeno di fronte all'apertura del ministero sugli studi di settore. Dice: "Con Visco ho fatto due campagne elettorali. Lo conosco bene. Ha una visione dell'economia e dell'impresa vecchia. Per lui le piccole aziende sono un fatto interstiziale, qualche cosa di malato, da correggere. Non si rende conto che sono parte, e oggi anche la più vitale, del Paese e che andando avanti così rischiamo di consegnarle, mani e piedi e gratis, al centrodestra". Va bene, ma così si finisce per giustificare l'evasione. "Macché. Qui si paga già più del dovuto. E la pressione tributaria è nettamente superiore a quella degli altri Paesi: 28% contro una media europea del 24". Ma anche l'evasione è più alta. Come mai? "Perché siamo andati a chiedere le tasse sempre agli stessi. Abbiamo aumentato le aliquote e chi non paga ha continuato ad evadere, sempre di più". Ma la sua battaglia è per eliminare gli studi di settore? "No, ma vanno cambiati. Li abbiamo accettati obtorto collo, perché la costituzione impone che ognuno paghi secondo quello che ha guadagnato, non secondo quanto è presunto che guadagni. Abbiamo detto sì purché fossero concordati con le categorie produttive e non fossero vessatori. E invece accade esattamente l'opposto: si cambiano senza che venga concordato alcunché, si fanno medie di redditi presunti che non hanno senso perché troppo generiche e, per giunta si chiede al contribuente di dimostrare che non è vero quello che il fisco ha pensato di lui. Ma dove siamo?". Visco dice che non è così. Sostiene che i redditi scritti negli studi di settore sono solo indicativi e nemmeno l'accertamento, dice, è automatico. "Non è vero. Se l'amministrazione ti chiama, fa l'accertamento e dice che tu secondo quei parametri dovresti avere guadagnato, mettiamo, 10 mila euro in più. Sta a te dimostrare che non li hai guadagnati. Ma come si fa a invertire l'onere della prova? Come si fa a dimostrare quel che non è successo? Ed è proprio la legge che lo prevede". Insomma che cosa si deve cambiare? "Prima di tutto si deve restaurare un clima di fiducia: non si può andare avanti con la criminalizzazione di queste categorie". Ma sono proprio queste che evadono, che presentano dati scandalosi con i "padroni" che guadagnano meno dei dipendenti. "Se qualcuno ritira fuori questi dati lo denuncio. Sono falsati. E poi è molto frequente, soprattutto nelle piccole e medie aziende la ripartizione del reddito tra più familiari". Ma lei chiede una resa. "Nient'affatto: chiedo il rispetto di patti concordati a suo tempo, proprio con il governo di centro sinistra che introdusse gli studi di settore. E questa volta vorrei che tutte le promesse fatte a suo tempo venissero rispettate: che fine hanno fatto la semplificazione burocratica e l'eliminazione degli scontrini prevista nel '96?".

 


 

Il Piccolo di Trieste 10-6-2007 Il Battle Group sarà agli ordini di Bruxelles. Lo formano uomini della Julia, sloveni e ungheresi Fvg, in azione 2500 soldati della Forza rapida Ue

 

GEMONA DEL FRIULI E' in pieno svolgimento "European Wind 2007", una tra le più imponenti esercitazioni mai svolte nel Friuli Venezia Giulia che porterà alla nascita del primo Battle Group europeo, forza di pronto intervento a disposizione dell'Unione europea. Nei diversi poligoni lavorano gomito a gomito 2.500 militari di Italia, Slovenia e Ungheria con assetti specialistici, artiglierie, componenti di sorveglianza aerea e di forze speciali assegnati alla Multinational Land Force (Mlf), la brigata trinazionale italo-sloveno-ungherese su base della "Julia", nata nel 2003 e di stanza a Udine. L'unità è stata scelta dallo Stato maggiore come capofila italiana del nuovo strumento militare comunitario: sta raggiungendo le specifiche d'impiego richieste dall'Ue. La Commissione di Bruxelles aveva infatti espresso la necessità di poter disporre, a rotazione, di 13 Battle Group e l'Italia aveva aderito alla richiesta, prefigurando di poter formare e schierare, sempre a rotazione, tre grandi unità. La prima è appunto l'alpina "Julia" che, nella sua configurazione multinazionale, è stata scelta per la sua struttura e l'esperienza maturata nelle missioni di pace nei Balcani. Gli alpini friulani e i loro colleghi saranno a disposizione dell'Ue dal 1.o luglio per sei mesi. I Battle Group sono lo strumento operativo di un nuovo concetto di sicurezza che prevede l'invio di unità a livello brigata con breve preavviso (5 o 10 giorni, a seconda delle circostanze) nei più diversi teatri operativi per assolvere compiti vari: dalle missioni di stabilizzazione o di mantenimento della pace alla risposta a catastrofi naturali, dalla cooperazione civile-militare alla soluzione di crisi politico-militari. Il raggio d'azione è di 6.000 km da Bruxelles, l'autonomia di 30-120 giorni. La nuova forza di reazione rapida europea è costituita da componenti di Esercito, Marina e Aeronautica sotto un unico comando, retto dal generale di brigata Claudio Mora, comandante della "Julia", coadiuvato dai capi di Stato maggiore sloveno colonnello Ivan Zore e ungherese colonnello Istvan Biro. Sono sottoposti a valutazione circa 2.500 militari e 600 mezzi delle quattro Forze armate italiane, con soldati sloveni e ungheresi, nelle aree addestrative di Osoppo, Artegna, Gemona e nei poligoni di Rivoli Bianchi di Venzone, Tolmezzo e del Meduna-Cellina. La Brigata è schierata con il suo Comando multinazionale integrato da ufficiali della Marina e dell'Aeronautica, indispensabili per coordinare i trasporti aerei, marittimi e le esigenze di sostegno aero-tattico. Tra le opzioni è previsto che il Comando possa operare anche da unità della Marina. La componente terrestre si articola sull'8° reggimento alpini di stanza a Cividale del Friuli e Venzone, da una compagnia del 3° battaglione ungherese di Debrecem e da una compagnia del 20° battaglione sloveno di Celje. p.p.g.


 

La Nuova Sardegna 10-6-2007 Simone Veil, il coraggio dell'autonomia

 

A Sassari l'omaggio a una donna ai vertici della politica europea Enrico Ferri, docente all'ateneo sassarese, spiega gli obiettivi della giornata di studi di giovedì prossimo COSTANTINO COSSU Il professor Enrico Ferri, docente di Filosofia del diritto nella Facoltà di Lettere di Sassari, è l'organizzatore della giornata di studi che giovedì della prossima settimana l'ateneo sassarese dedicherà a Simone Veil. Con lui abbiamo tracciato il profilo di una donna giunta ai vertici della politica europea. - Una giornata di studi solo per celebrare Simone Veil? "No. Vuole essenzialmente essere uno stimolo per comprendere meglio il contributo che questo personaggio ha dato e dà alla storia del costume e della politica". - In quali ambiti Simone Veil ha offerto un contributo importante? "In diversi. Il primo è l'Europa, ma ancora prima a proposito delle relazioni tra gli Stati europei, soprattutto fra ex-nemici, come Francia e Germania, all'indomani della fine della guerra. Già poche settimane dopo la liberazione da Auschwitz, una ragazza non ancora diciottenne, che usciva da un'esperienza terribile, guardava avanti, come spesso ha fatto anche dopo, sostenendo la necessità di una riconciliazione". - Dentro quali coordinate politiche può essere collocata Simone Veil? "Qualsiasi categoria politica sta stretta a Simone Veil. Lei ha detto più volte di collocarsi in una prospettiva di centro-sinistra". - Ma i politici con i quali è stata più legata, da Giscard a Sarkozy, appartengono all'area di centro-destra. "Lei ritiene una politica di centro-destra essersi battuta, come ha fatto la Veil, per le donne algerine detenute negli anni della guerra d'Algeria? E ancora, di quale orientamento potrebbe definirsi lo sforzo per salvaguardare i più in difficoltà, i messi ai margini: gli immigrati, i detenuti, le donne per certe loro condizioni, i rifugiati? Simone Veil non è classificabile attraverso schemi ideologici e politici tradizionali. Gli stanno tutti stretti. Questa, del resto, è un'altra sua caratteristica, quella di andare oltre gli schemi". - Anche la visione dell'Europa propria alla Veil è così originale? "I principi ispiratori dell'Europa di Simone Veil sono quelli che troviamo già nella tradizione umanistica della Grecia e di Roma. L'idea di autonomia, per esempio. Simone Veil ha esteso questo principio ad un intero continente. Un'Europa libera, autonoma che sia il risultato di decisioni e di processi autonomi. Nel suo discorso di insediamento al Parlamento europeo a Strasburgo, il 17 luglio 1979, Simone Veil affermò: "E' essenziale che l'Europa possa determinare le condizioni del suo sviluppo in maniera autonoma". - La storia recente della politica francese mostra una certa diffidenza verso un'Europa che prenda il primato sugli Stati. "Madame Veil, prendendo un congedo dal Conseil Constitutionnel, si è schierata attivamente a favore dell'approvazione della Carta costituzionale. Ha avuto di mira la prospettiva continentale, quella del futuro. Ed è stata criticata da chi aveva in mente una prospettiva legata a schemi del passato. L'Europa del futuro avrà bisogno di un'identità non frammentata, dovrà giocare un ruolo non gregario". - Ma perché un'Europa più unitaria e non piuttosto l'Europa delle autonomie? "L'approccio di Simone Veil è assai realistico. A Strasburgo, nel discorso ricordato, affermò con energia: "Al confronto delle super-potenze, solo l'Europa ha la dimensione dell'efficacia che non appartiene più, se presi isolatamente, a nessuno dei suoi membri". Per Simone Veil l'unità dell'Europa è la salvaguardia di tutte le autonomie, nazionali, personali". - Come si spiega questa correlazione? "Per il semplice motivo che l'Europa di Simone Veil è fondata, anche e soprattutto, su principi e valori che affermano e tutelano le autonomie individuali e delle minoranze. Il discorso dell'indipendenza, dell'autonomia, vale per l'Europa come per i singoli. Per esempio, la Veil ha sempre sostenuto il diritto delle donne ad essere autonome, di non dipendere economicamente e psicologicamente, di affermare la propria autonomia come capacità di provvedere da sole a se stesse. Per questo Madame Veil per molte femministe, per molte donne impegnate è un vero "oggetto di culto"". - Parliamo di altri aspetti di questo complesso personaggio della scena europea. Di un dato insieme personale e storico: la deportazione ad Auschwitz, la tragedia della Shoah che travolse pure la sua famiglia che uccise il padre, la madre, il fratello, assieme a sei milioni di Ebrei. "Simone Veil, seppure ritiene importante testimoniare, trasmettere, ripensare la esperienza sua e di tanti altri innocenti, vive ancora in modo empatico la sua esperienza (privata, familiare, di popolo), la vive con profonda emozione e sofferenza. Per questo motivo non le ho mai posto domande su Auschwitz. Solo recentemente, lo scorso dicembre, pranzando insieme, le dissi che stavo studiando la persecuzione nazista degli zingari. Lei, ad un certo punto della conversazione esclamò: "Ad Auschwitz il loro campo stava di fronte al nostro"". Del resto, il suo discorso all'Onu del 29 gennaio scorso, comincia con queste parole: "Il tempo non può niente; mi coglie sempre la stessa emozione quando prendo la parola per parlare della Shoah"". - In che modo si collegano la vicenda personale della Veil di perseguitata e deportata ed il suo impegno politico contro il razzismo e l'intolleranza? "Tutte le scelte di fondo, tutte le linee che orientano il suo progetto politico sono determinate, influenzate dalle sue vicende personali. L'esperienza della deportazione, dell'attentato alla dignità personale che essa determina, ha portato Simone Veil a battersi per tutta la vita perché vengano meno le condizioni che possano permettere fenomeni simili. "Il peggio è sempre possibile", bisogna essere avvertiti e pronti". In che modo? "Parlando, raccontando, testimoniando la propria esperienza, denunciando i meccanismi alla base dell'esclusione, dell'intolleranza. Parlando soprattutto ai giovani, discutendo con loro. La trasmissione della memoria, per Simone Veil, è un contributo alla presa di coscienza individuale e collettiva". - Simone Veil sembra avere una speciale considerazione per i "giusti", per quanti spontaneamente, in modo disinteressato, correndo gravi rischi personali, salvarono dal 1942 al 1945 decine di migliaia di ebrei. "In anni oscuri i "giusti" rappresentarono per Simone Veil un presidio della dignità e dell'onore dell'Europa. Il simbolo vivente di persone che non si lasciarono contaminare dall'orgia delle ideologie del tempo, mantennero una loro autonoma prospettiva e agirono conseguentemente, da "giusti": in difesa della vita, dell'accoglienza, di persone innocenti. Anche Simone Veil appartiene a questo tipo umano, anche lei è una "giusta". Una "giusta" di Francia e d'Europa; una donna libera, con un'alta dignità, sensibile ed attenta alle vicende dell'altro". - Lei sembra avere una grande ammirazione per questa donna. "Assieme a milioni di francesi ed europei. E non solo. Ricordo la prima volta che l'invitai a Roma per ricevere un riconoscimento dell'allora Presidente Ciampi, eravamo nel 2000, ci trovavamo seduti nella Hall dell'Hotel Hassler. Alcuni tavoli più in là c'erano due giovani signore, due Kennedy, le figlie di due noti senatori. Quando la videro si alzarono e la vennero a salutare, in modo rispettoso ed insieme affettuoso e caloroso". - Simone Veil ebbe un ruolo determinante nell'approvazione in Francia della legge che rese legale l'aborto... "Occorre dire che quella che viene impropriamente, almeno da un punto di vista giuridico-politico, definita come "Legge Veil" è in realtà la legge voluta dall'allora Presidente della Repubblica Giscard, dal suo primo ministro Chirac, dal governo che essi rappresentavano e di cui Simone Veil era ministro. Una legge voluta anche dai partiti d'opposizione, ma soprattutto, da gran parte della popolazione francese, in particolare dalla sua componente femminile. - Fu però soprattutto Simone Veil a farla approvare con la sua determinazione. "Simone Veil prese atto che il cambiamento del costume determinatosi nel corso del trentennio che seguì la seconda guerra mondiale, modificando i rapporti personali e relazionali anche in sfere come la sessualità, non poteva essere né ignorato né represso, nelle sue conseguenze, semplicemente mantenendo in vita una legislazione sorta in un altro contesto storico, culturale e sociale, una legislazione che nessuno più rispettava da tempo, che quotidianamente veniva violata e raggirata. Questa legge non impediva a 300 mila donne di abortire clandestinamente in condizioni spesso prive di garanzie mediche, igieniche, di un minimo di sostegno psicologico. Questo per Simone Veil era il vero scandalo". - Lei prima diceva che la giornata di studio dedicata Simone Veil vuol farla conoscere meglio, che vuol essere un contributo in tal senso. Eppure è un personaggio di cui si discute da trent'anni. C'è pure una voluminosa biografia a lei dedicata pubblicata lo scorso anno: "Simone Veil, un destino", di Maurice Szafran. "è un lavoro superficiale. Troppo attento all'aneddotica, alle note di colore, con improvvisate introspezioni psicologiche, troppo preoccupato di stimolare l'attenzione più esteriore del lettore. Lo stesso tentativo di tracciare le coordinate del carattere di Simone Veil, mi sembra essere non di rado il risultato di incomprensioni non di poco conto". - Ci può fare un esempio di queste "incomprensioni"? "Il libro di Szafran comincia così: "Un giorno Simone Veil fece questa confessione: quando mi chiedono qualcosa, il mio primo riflesso è di rispondere no". Szafran, a partire da questo spunto, tenta di costruire l'immagine di una ragazza introversa, ribelle, poco disposta ai compromessi, insofferente dell'autorità paterna, vivace fino all'eccesso. Poi quella di una donna che conserva molti tratti di tale carattere. Io non so se Simone Veil abbia mai pronunciato questa frase, ma leggendola mi viene in mente una sua affermazione, in cui sostiene che in certi contesti quando prevale la violenza e la sopraffazione per comportarsi in modo morale "bisogna sapere disobbedire". Siamo grati a Simone Veil di aver detto tutti questi no, dall'età di 17 anni. No all'intolleranza, all'ingiustizia, alla violenza contro innocenti ed indifesi. Siamo grati a Simone Veil perché questi no li ha ripetuti quando era ministro della Repubblica francese, quando era presidente del Parlamento Europeo. Gli siamo riconoscenti perché anche oggi dice questi no e siamo sicuri che anche domani continuerà a ribadirli e a difenderli". - Che cosa si aspetta da una giornata di studi in omaggio a Simone Veil? "Il rilievo scientifico dell'iniziativa è garantito dal valore dei relatori. Per gli altri aspetti, mi permetta di riferire le parole del Rettore Alessandro Maida che, commentando la concessione dell'alto patronato del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha detto: "Consideriamo il patrocinio che la più alta istituzione dello Stato ci ha concesso, con le lusinghiere espressioni che lo hanno accompagnato, un segno di apprezzamento e di stimolo, nonché una chiara manifestazione di considerazione e stima per Simone Veil alla quale l'iniziativa è dedicata. L'Università e la città di Sassari sono onorate di ricevere Simone Veil in Sardegna ed impegnate ad offrirle un'accoglienza in linea con la tradizione di ospitalità di questa terra"".


 

Trentino 10-6-2007"Esempio di Casta? Andreotti" Stella a Matrix se la prende con l'autonomista ex Patt

 

Lo scrittore si dice scandalizzato dal gruppo con Catalano di Rc: "Solo per più soldi" TRENTO. Gian Antonio Stella venerdì sera non ha fatto in tempo a sedersi nello studio di Matrix, a Canale 5, che il conduttore Enrico Mentana gli ha fatto la fatidica domanda a proposito di privilegi: "Tu che per scrivere il fortunatissimo libro "la Casta" hai girato tutta l'Italia avrai visto dei casi particolari, che ti sono rimasti in mente in modo particolare?". Indovinate chi ha tirato in ballo, così, a freddo, Stella? Ma sì, il Trentino: "C'è un certo Andreotti...". E Mentana? "Andreotti? Non sarà...". E il giornalista di Asiago, con lo sguardo furbo: "No, non quell'eh eh. Questo è un consigliere regionale, sono 70, che per godere dei benefici di un gruppo composto da almeno due persone si è messo assieme ad un altro. Notare bene che Andreotti, pur avendo candidato come leader di una coalizione di centrodestra, ha scelto un collega, tale Catalano, di Rifondazione comunista". E via con gli appluasi e le risatone del pubblico di Matrix. Insomma Stella con noi ce l'ha su, anzichenò. Attenzione, lo scrittore è un maestro del genere reportage-inchiesta e questo (scusate la personalizzazione) va detto preventivamente per evitare i suoi strali telefonici, fatto già accaduto in presenza di una cronaca di chi scrive non gradita all'inviato del Corriere. Ma non si può negare che per il Trentino, per tutte le autonomie, abbia davvero un occhio di riguardo. Attenzione che, al recente Festival dell'Economia, ha ribadito in un faccia a faccia tra lo scrittore e il presidente Dellai. Si sono seduti ad un tavolo sul far del mezzogiorno con due diverse idee. Poco dopo si sono salutati con le stesse idee di prima. Gian Antonio Stella: "Non sono d'accordo sul fatto di abolire le autonomie con un tratto di penna, come dice ad esempio Brunetta. Però ci sono delle cose che vanno riviste". Lorenzo Dellai: "Mi spiace che si parli della nostra Autonomia confondendo le cose e usando sempre gli stessi luoghi comuni. Ma in questo contesto ci stanno anche le eresie". Stella a sua volta ha riconosciuto che la gestione della cosa pubblica che viene realizzata in Trentino è diversa rispetto a quella di altre regioni, tuttavia ha insistito sulla necessità di riforme. (g.t).


INDICE 9-6-2007

 

La Repubblica 9-6-2007 Trionfa il "metodo Merkel" l'Europa ha trovato una leader Der Spiegel: "Manifestanti in gabbia" La cancelliera si è imposta al vertice con una forza tranquilla che ricorda Kohl. Ora la sfida del Trattato Ue Andrea Bonanni 1

L’Unità 9-6-2007 Berlino PIOGGIA DI ELOGI per Angela Merkel. E la stampa tedesca elogia Frau Angela Unanime il giudizio sulla padrona di casa: la cancelliera ha vinto /  2

Europa 9-6-2007 Non andremo in piazza contro il teocon ma la nostra America è liberal senza se e senza ma FEDERICO ORLANDO RISPONDE  3

Italia Oggi 9-6-2007Toscana, gettone allo speaker Indennità su del 10% al leader dell'opposizione Riescono sempre a cadere in piedi. E Rifondazione fa le barricate contro una pdl che vuole ridurre i consiglieri regionali.. di Stefano Sansonetti 3

Il Secolo XIX 9-6-2007 Il gioco dei partiti. Il bingo e le slot machine. In tutti e due gli schieramenti il via libera al gioco, nel Duemila, ha scatenato una corsa verso nuovi mezzi di finanziamento. Dopo An e i Ds, ora tocca alla Lega Nord. 4

Il Piccolo di Trieste 9-6-2007 Sotto accusa il sistema finanziario dell'ex manager Fulchir e soci. Lunedì i primi interrogatori degli arrestati Caso Finmek, una lunga scia di strani fallimenti "Dopo i fondi pubblici, le società chiudevano" 5

Borsa e Finanza 9-6-2007Sgr, il pericolo arriva dal benchmark Dai giudici di Biella una sentenza destinata a fare scuola. L'indice di riferimento non è un valore statistico, ma un parametro per valutare il rischio del cliente di Lele Riani 6

 


 

La Repubblica 9-6-2007 Trionfa il "metodo Merkel" l'Europa ha trovato una leader Der Spiegel: "Manifestanti in gabbia" La cancelliera si è imposta al vertice con una forza tranquilla che ricorda Kohl. Ora la sfida del Trattato Ue Andrea Bonanni

 

 (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)

DAL NOSTRO INVIATO Sono bastati meno di due anni in Cancelleria a questa signora dagli occhi slavati e dagli abiti pastello per prendere in Europa il posto che fu di Helmut Kohl: una forza tranquilla che sa imporsi ma che sa anche mediare, convincere, sedurre se ce n'è bisogno. La cifra personale, indubbiamente, è la stessa. Ma Kohl, per conquistarsi quel ruolo, impiegò otto anni, dall'82 alla riunificazione delle due Germanie nel '90. E le sue capacità di persuasione dei partner europei coincidevano troppo spesso con la larghezza con cui apriva i cordoni della borsa delle ricche finanze tedesche. Angela Merkel, invece, ha saputo approfittare magistralmente del vuoto di leadership e dallo stato confusionale in cui ha trovato l'Europa del dopo-Prodi. Ha lavorato con pazienza per ricucire, almeno sul piano dei rapporti personali, la frattura tra Vecchia e Nuova Europa che la guerra in Irak, la strategia neo-con americana e l'alterigia del duo Chirac-Schroeder avevano scavato. Ed oggi è di fatto l'unico leader europeo in grado di dialogare con i suoi ventisei colleghi (tutti uomini) per cucire un nuovo compromesso sulla riforma dei Trattati senza il quale l'Unione europea non ha alcuna speranza di uscire dal coma. Al summit G8 di Heiligendamm, questa capacità di leadership della Cancelliera, fatta di tenacia e di prudenza, di equilibrio e di fermezza, ha saputo arrivare ben oltre la questione del clima, dove pure ha strappato un risultato modesto ma che nessuno si sarebbe aspettato. Anche se ufficialmente non era uno dei temi in discussione, il principio di disgelo tra Putin e Bush che si è registrato sulle rive del Baltico è stato in buona misura il frutto dell'equilibrio con cui Angela Merkel ha saputo sottrarre gli europei al ricatto incrociato di Mosca e di Washington. Se si fosse schierata incondizionatamente a favore del progetto missilistico americano reagendo alle minacce di Putin, se avesse criticato polacchi e cechi per gli accordi bilaterali con Washington, o se avesse mantenuto verso il Cremlino un atteggiamento meno fermo di quello che ha assunto al recente vertice Ue-Russia di Samara, è probabile che russi e americani avrebbero continuato a sfruttare il braccio di ferro sui missili per giocarsi il cuore e l'anima degli europei, come avevano ricominciato a fare da qualche mese a questa parte. Invece "il pulcino", come la chiamava Kohl, è riuscita a tenere la barra del timone europeo facendo chiaramente capire a Mosca e a Washington che l'interesse del Vecchio Continente era comunque un altro, e precisamente la fine di questa nuova "confrontation" tra i due blocchi. Il messaggio è evidentemente passato, se proprio dall'incontro tra Bush e Putin a Heilgendamm è ripartito un dialogo che solo alla vigilia del vertice sembrava impossibile. In questa nuova Europa che sembra ritrovare brandelli dell'identità perduta, la Merkel dovrà condividere il palcoscenico con il nuovo presidente francese. Finora l'esordio di Nicolas Sarkozy è stato più brillante che concreto. Ha proposto un corridoio umanitario per il Darfur è si è fatto rispondere picche dagli africani. Ha attaccato l'euro troppo forte, e la Banca centrale europea ha aumentato il tasso di sconto invece di diminuirlo. Ha lanciato l'idea di una moratoria di sei mesi per decidere la sorte del Kosovo, e nessuno gli ha dato retta. Ma imparerà in fretta. E la sua esuberanza, accoppiata alla cautela e alla concretezza della Cancelliera, potrebbero davvero ridare una spinta all'Europa. La risposta a queste attese arriverà molto presto. Angela Merkel, che finora ha dato prova di prudenza e di pragmatismo, sa anche prendere rischi quando occorre. E al vertice europeo, tra due settimane, si giocherà il tutto per tutto mettendo in palio il prestigio di un percorso finora impeccabile. Se riuscirà a tessere un accordo ben definito per il nuovo Trattato, che salvi una parte significativa delle conquiste che erano scritte nella Costituzione, la Cancelliera consoliderà in modo inequivocabile il suo ruolo di vero leader europeo. Se invece il Consiglio dovesse chiudersi con un accordo ambiguo, o di basso profilo, "Angie" sarà chiamata ad una scelta ancora più difficile: vivacchiare in una Ue senza capacità politica, oppure andare fino in fondo e aprire una crisi ponendosi alla guida del nocciolo duro, come le chiede di fare Romano Prodi. Per una democristiana maestra del compromesso sarebbe una scelta straziante. Ma se l'Europa imboccherà una strada o l'altra dipenderà, ancora una volta, solo ed esclusivamente da lei.

 


 

L’Unità 9-6-2007 Berlino PIOGGIA DI ELOGI per Angela Merkel. E la stampa tedesca elogia Frau Angela Unanime il giudizio sulla padrona di casa: la cancelliera ha vinto /

 

La stampa tedesca pressoché unanime ha elogiato ieri la cancel- liera Merkel per l'accordo di compromesso strappato sul clima al presidente americano George Bush e agli altri leader del G8 più restii a fare concessioni. "Merkel festeggia un compromesso sul clima", titolava a tutta prima pagina Die Welt (conservatore), che in un commento sempre in prima parlava di "Trionfo della padrona di casa". La Bild, il quotidiano che con 12 milioni di lettori è di gran lunga il giornale più diffuso in Germania, annunciava in grande pompa in prima di aver nominato Merkel "Miss World", dove al posto della O di World vi è un globo terrestre. Anche per il berlinese Der Tagesspiegel, "la cancelliera ha puntato alto e ha vinto". Insomma, il vertice del G8 conclusosi ad Heiligendamm si è rivelato un nuovo successo internazionale per Angela Merkel, dimostratasi nuovamente abile mediatrice e politico saggio e intelligente. La Merkel mostra di trovarsi più a suo agio sulla scena internazionale che non su quella interna, dove la Grosse Koalition da lei guidata - pur varando le riforme annunciate - non gode di eccessiva popolarità. In realtà sulla difesa del clima va dato atto alla cancelliera conservatrice di aver raggiunto tre obiettivi di massima: aver convinto gli Usa ad accettare il principio delle riduzioni dei gas nocivi, aver fatto passare il principio di porre il futuro negoziato sul clima sotto l'ombrello dell'Onu e di aver convinto i paesi emergenti ad unirsi anch'essi nella lotta al riscaldamento della Terra. Sugli aiuti all'Africa, la Merkel ha più volte sottolineato la volontà degli Otto Grandi di tener fede agli impegni presi due anni fa a Gleneagles, un obiettivo questo che si accompagnerà al nuovo programma di aiuti per 60 miliardi di dollari per combattere Aids, malaria e tubercolosi in Africa. Tutto ciò però, ha osservato, non è sufficiente. Serve infatti una collaborazione da parte degli stessi paesi africani, con un impegno dei rispettivi dirigenti a continuare nelle riforme e a combattere la corruzione. Infatti ha annunciato che a ottobre si recherà in Africa per visitare Etiopia e Sudafrica, e si è deta a favore di un vertice tra Ue e Unione Africana. La cancelliera ha commentato positivamente anche l'incontro con i cinque maggiori paesi emergenti - Cina, India, Brasile, Messico e Sudafrica - ai quali ha lanciato un appello a concludere al più presto il negoziato di Doha sul commercio mondiale. Anche sul fronte delle manifestazioni, un tema che ha segnato fortemente il summit di Heiligendamm, Angela Merkel ha mostrato saggezza ed equilibrio. Pur condannando infatti senza attenuanti ogni forma di violenza cieca contro le forze dell'ordine, la Merkel ha sostenuto la causa dei manifestanti pacifici, dicendosi a favore di una "globalizzazione dal volto umano".

 


Europa 9-6-2007 Non andremo in piazza contro il teocon ma la nostra America è liberal senza se e senza ma FEDERICO ORLANDO RISPONDE

 

   Cara Europa, Bush è a Roma, amici anti-americani, ma non comunisti sfegatati, mi chiedono di partecipare con loro alle manifestazioni di proteste. Io non amo Bush, ma sono esitante, vorrei protestare senza scendere in piazza. Datemi un consiglio.
ALESSANDRO DEBRAY, ROMA

Caro Debray, la sua perplessità è anche la mia e l’ho risolta scrivendo una lettera all’ambasciata Usa e andandomene fuori Roma, a respirare aria migliore. Con ciò voglio dire che non accettiamo Bush, ma non lo identifichiamo con l’America.
Questa distinzione, per noi liberaldemocratici, è ovvia, non altrettanto lo è per gli amici comunisti di cui lei parla.
Qualcosa della divisione del mondo è rimasta, magari inconscia, anche in chi si proclama comunista non viscerale. Noi abbiamo guardato all’America come all’altra faccia dell’Europa, e abbiamo concepito l’Atlantico come un mare interno all’Occidente, e il Patto atlantico come l’unione delle due sponde.
Nella guerra fredda, mentre soffrivamo per l’espansione comunista (Corea, Cina, Vietnam), ingoiavamo le prepotenze americane in Centro e Sudamerica “per contenere il comunismo”. Ma l’America si compensava con la nuova frontiera di Kennedy, con la grande società di Johnson, con l’antirazzismo di Martin Luther King, con la destituzione di Nixon nel Watergate, con la terza via di Clinton, con le leggi antimonopolistiche.
Purtroppo, i residui antiliberali della società americana (quella puritana, violente, plutocratica) si sono riuniti nella presidenza Bush: dal fondamentalismo religioso alla guerra preventiva e all’inquinamento del pianeta.
Quest’America, che Bush verrà a raccontare a Berlusconi e a Ratzinger, non sarà mai la nostra America.
Ma quella liberale non solo non possiamo dimenticarla, ma dobbiamo continuare a pensarla come il risveglio della coscienza per la lotta ai mostri del nostro tempo. Un’altra America è possibile, perché c’è già stata.


 

Italia Oggi 9-6-2007Toscana, gettone allo speaker Indennità su del 10% al leader dell'opposizione Riescono sempre a cadere in piedi. E Rifondazione fa le barricate contro una pdl che vuole ridurre i consiglieri regionali.. di Stefano Sansonetti

 

  Possono perdere le elezioni, essere inizialmente estromessi dai posti che contano, ma poi sono in grado di trovare lo spiraglio giusto per non mollare la presa. I politici locali, insomma, ne sanno una più del diavolo. E così in Toscana è capitato che il forzista Alessandro Antichi, dopo aver perso nel 2005 la corsa alla poltrona di governatore che lo vedeva opposto a Claudio Martini (Ds), sia diventato consigliere regionale, ma soprattutto portavoce dell'opposizione. Funzione, quest'ultima, che esiste solo in Toscana. E che grazie a una leggina microscopica approvata dalla regione nel febbraio di quest'anno, fa scattare il diritto a un'indennità più ricca del 10%.Il tutto mentre in regione Rifondazione comunista alza le barricate contro una proposta di legge che vuole la riduzione dei consiglieri regionali, già saliti in Toscana da 50 a 65 a ridosso delle elezioni del 2005. Insomma, da destra a sinistra sembra proprio che i bramini della politica non siano intenzionati a cedere il passo. Sta di fatto che qualche mese fa già impazzava la polemica sui costi della politica, con la giunta di Martini che lanciava la crociata contro gli sprechi. La legge che disciplina il trattamento economico di consiglieri regionali e assessori toscani, la numero 47 del 1983, fissa l'indennità di base nel 65% dell'indennità dei parlamentari nazionali. Ovviamente a questa base si devono aggiungere gli incrementi derivanti dall'indennità di funzione (il governatore e il presidente dell'assemblea, per esempio, integrano il trattamento con un 25% in più). E qui sta il giochino portato a termine dalla legge del febbraio scorso. Con un articolo unico di quattro righe, infatti, il portavoce dell'opposizione è stato inserito tra le funzioni che meritano un'indennità aggiuntiva del 10%. Ricavando, in questo modo, lo stesso trattamento che prima era riservato 'solo' al segretario del consiglio, al presidente di commissione e al presidente di gruppo consiliare. Insomma, allo sconfitto dell'opposizione, due anni dopo, è stato riconosciuto una sorta di risarcimento postumo. Che poi quella del portavoce dell'opposizione è proprio una figura particolare, nata in conseguenza del 'toscanellum'. Ovvero del sistema elettorale che, grazie a un'intesa tra centro-destra e centro-sinistra, di fatto ha anticipato il 'porcellum', il vituperato sistema elettorale con cui si è andati a votare alle politiche del 2006. Con gli esiti tristemente noti. In Toscana l'accordo bipartisan ha naturalmente prodotto effetti a cascata, tra cui anche l'aumento dei consiglieri regionali da 50 a 65. In questo contesto Antichi si era presentato alle elezioni del 3 e 4 aprile del 2005 nella Cdl per sfidare Martini. Eletto comunque consigliere regionale, in quanto secondo candidato con il maggior numero di voti dopo lo stesso Martini, grazie a una norma dello statuto regionale è stato nominato portavoce dell'opposizione. 'Questa figura è stata studiata sul modello inglese, nel quale simbolicamente il leader dell'opposizione prende un penny in più del premier', ha detto Antichi a ItaliaOggi, facendone una questione di democrazia. E rilanciando: 'Un 10% in più è anche poco, perché qui in Toscana la sinistra ha occupato militarmente tutti i posti possibili. In questo contesto l'opposizione deve avere una voce'. Ma in Inghilterra costa tutto di meno, dalla regina al parlamento. 'E va bene, se vogliamo mettere anche il mio 10% in più tra i costi della politica facciamolo', ha avvisato Antichi, 'ma secondo me è solo un costo della democrazia'. La stessa espressione, curiosamente, è stata usata l'altro ieri in un comunicato dal gruppo consiliare di Rifondazione per opporsi al taglio dei consiglieri: 'La democrazia ha un costo che va sostenuto con convinzione. La questione è migliorare la democrazia, e non la si migliora riducendo il numero dei consiglieri'.Che tutti capiscano: la casta è più unita che mai.


 

Il Secolo XIX 9-6-2007 Il gioco dei partiti. Il bingo e le slot machine. In tutti e due gli schieramenti il via libera al gioco, nel Duemila, ha scatenato una corsa verso nuovi mezzi di finanziamento. Dopo An e i Ds, ora tocca alla Lega Nord.

 

Nelle società finite male anche il ligure Balocchi, ex sottosegretario dai nostri inviati Marco Menduni e Ferruccio Sansa Roma. Almeno in un campo la par condicio funziona. Se oggi il partito di Umberto Bossi stigmatizza, con le sue interpellanze, l'introduzione delle "mangiasoldi" nei Bingo e prepara addirittura un libro bianco sul sistema di scatole cinesi messo su dal centrosinistra per controllare il tombolone elettronico, in passato il Carroccio subì la stessa, violenta fascinazione. Ma anche alla Lega andò male. Forse ancora peggio che ai compagni di sinistra. I documenti su questa avventura sono al vaglio della Guardia di Finanza che sta ricostruendo l'enorme giro di affari che gravita o è gravitato intorno ai Monopoli e alle società concessionarie dei giochi. Un sistema da cui avrebbero cercato di trarre beneficio anche i partiti, proprietari direttamente o indirettamente di alcune società concessionarie. Gli investigatori si chiedono: "Ammesso anche che non ci siano profili di illegalità, siamo sicuri che i partiti in quanto tali possano partecipare direttamente ad attività imprenditoriali che richiedono concessioni e permessi da parte degli organi dello Stato?". La storia di oggi è incentrata su un personaggio politico ben conosciuto in Liguria e soprattutto nel Tigullio: Maurizio Balocchi, che è stato sottosegretario all'Interno con Berlusconi. Anche Balocchi (un nome che sembra scelto apposta), protagonista di una serie di avventure imprenditoriali non coronate da grandi successi, fu tentato dal tombolone. Scommessa tentata con un gruppo di amici, alcuni esponenti del Carroccio, altri comunque gravitanti in quell'area politica. La società si chiamava Bingo.Net, la "risposta padana" all'asse diessina che faceva perno sulle federazioni di tutta Italia. Non andò benissimo a Balocchi. I Monopoli non gli concessero il via libera per aprire le sale a Rapallo e soprattutto a Chiavari (dove, ricorda un'interpellanza del senatore Aleandro Longhi del 19 febbraio 2002, Balocchi era anche presidente del consiglio comunale) e lui aprì contenziosi amministrativi davanti al Tar. A Genova non andò meglio. Lo stesso Longhi denunciò che la sala aveva aperto "in modo abusivo in quanto mancante di concessione edilizia, di cambio di destinazione d'uso dei locali, di certificato di prevenzione incendi, di nulla osta relativo all'inquinamento acustico, di certificato di abitabilità nonché di autorizzazione sanitaria per i locali di ristorazione". E rimarcò la poca "eleganza" di un sottosegretario contemporaneamente gestore di sale Bingo. La sala di via Donghi chiuse poi i battenti. Ma di chi era la Bingo Net, che, dopo cambi di sede, trasformazioni societarie, procedure fallimentari è oggi in liquidazione? Tra i proprietari che si dividono i diecimila euro del capitale sociale spiccano Maurizio Balocchi (6.500), Enrico Cavaliere (mille) e Mauro Damian (mille). Bisogna ora raccontare qualcosa del loro curriculum. Cavaliere fu compagno di avventura di Balocchi nella tentata impresa immobiliare leghista a Punta Salvore, in Istria. Cavaliere, poi diventato presidente del consiglio regionale veneto, fu progettista del complesso. Come investitori (nella Ceit srl) figuravano molti esponenti del Carroccio. Il grande villaggio turistico doveva diventare "Il Paradiso dei Leghisti". Finì invece con il crac e una raffica di indagati. Cavaliere torna in sella, sempre con Balocchi, nella Santex per gestire il casinò dell'Hotel Istria di Pola. Una vicenda chiusa con la vendita delle quote. La terza avventura del duo è proprio Bingo Net. Cavaliere sarà deputato della Lega dal 1996 al 2000 e componente del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato. Nella Bingo Net c'era anche Roberto Faustinelli, deputato nella tredicesima legislatura eletto nel collegio di Orzinuovi. Il sito della Camera elenca una sola proposta di legge in cui Faustinelli figura come primo firmatario: "Disposizioni per la realizzazione dell'asse viario tra Orzinuovi e Brescia". Nella Bingo.Net c'è anche Mauro Damian, lui pure finito nel buco nero del crac del "Paradiso" del Carroccio. E la stessa Bingo.Net andò a fondo, nonostante il prestito che gli concesse la banca padana Credieuronord di cui lo stesso Balocchi e Stefano Stefani, un altro sottosegretario dell'epoca, erano amministratori. Un istituto nato nel Duemila dopo una campagna a tappeto nelle sezioni della Lega, sollecitata con una lettera di Umberto Bossi. L'obiettivo dichiarato era ambizioso: "Portare avanti gli ideali della Lega: la difesa del risparmio delle famiglie e della piccola e media impresa". I militanti ci credono. Affidano il loro denaro all'istituto. Vengono raccolte tremila sottoscrizioni fino a cento milioni di lire. Si parte con due sportelli a Milano e a Treviso, ma presto si capisce che l'avventura prende una brutta piega: il bilancio del 2003 si chiude con otto milioni di euro di perdite, dodici di sofferenze su 47 di impieghi. La tecnica creditizia pare piuttosto singolare: la metà delle sofferenze fanno infatti capo a cinque soggetti, tra cui la società Bingo.Net. Nel maggio 2003 un'ispezione di Bankitalia fa emergere il dissesto. Una mezza dozzina di deputati del Carroccio rischia di essere coinvolta nel crollo. Centinaia di risparmiatori padani sono sul piede di guerra. A quel punto arriva il salvatore. Chi? Gianpiero Fiorani, allora numero uno della Banca Popolare di Lodi. Se la Lega non finisce a gambe all'aria, lo si deve proprio a lui. Che fino al 2004 garantisce milioni di euro di finanziamenti al partito di Bossi e a molti suoi dirigenti. Il Carroccio offre come pegno la storica sede di via Bellerio, la scuola leghista di Varese e addirittura il prato di Pontida, dove ogni estate il popolo padano si riunisce sventolando le bandiere verdi. Così la Lega evita la bancarotta. E Fiorani spera di ottenere l'appoggio delle camicie verdi alla sua spericolata scalata ad Antonveneta e alla politica di Antonio Fazio, l'ex governatore di Bankitalia. Sembra un discorso estraneo all'inchiesta sulle slot machine, sul Bingo e sul centro di potere che gravita intorno ai Monopoli. Ma gli uomini della Finanza non ne sono convinti. "Nel Duemila tutti i partiti si dibattevano in complesse difficoltà di natura economica e finanziaria. L'arrivo del Bingo e dei giochi a scommessa sembrò per tutti un'opportunità da sfruttare, anche muovendosi sul filo delle regole". Questo dimostra perché sulla gestione dei Monopoli ci sia stato, da parte di tutto il mondo politico, un sostanziale silenzio, fino alla rivelazione del rapporto (pubblicato dal Secolo XIX) della commissione presieduta dal sottosegretario Alfiero Grandi, che sembra aver portato lo scompiglio in entrambi gli schieramenti. 09/06/2007 Il via libera al gioco d'azzardo legale, nel 2000, ha scatenato la corsa. Dopo An e i Ds, ora tocca alla Lega Nord 09/06/2007 Le "sfortune" della società Bingo.net, concepita come la "risposta padana" al tombolone nazionale 09/06/2007.


 

Il Piccolo di Trieste 9-6-2007 Sotto accusa il sistema finanziario dell'ex manager Fulchir e soci. Lunedì i primi interrogatori degli arrestati Caso Finmek, una lunga scia di strani fallimenti "Dopo i fondi pubblici, le società chiudevano"

 

VENEZIA Inizieranno lunedì prossimo gli interrogatori delle cinque persone arrestate giovedì dalla Guardia di Finanza di Venezia nell'ambito dell'inchiesta sul crack miliardario del gruppo Finmek. I cinque - Carlo Fulchir, fondatore del gruppo, sua moglie Doris Nicoloso, suo fratello Loreto Fulchir, Paolo Campagnolo e Guido Sommella - sono accusati a vario titolo di reati che vanno dall'associazione a delinquere alla bancarotta fraudolenta, dal falso in bilancio, alle false comunicazioni sociali. Un ventaglio di accuse che inseguono anche altri tre manager Finmek destinatari di altrettanti ordini di custodia cautelare emessi dal gip Cristina Cavaggion su richiesta del pm Paola De Franceschi, ma che risultano al momento irreperibili. Si tratta di Vittorio Scialanga, 56 anni, di Jesolo (Venezia) già responsabile estero Finmek, di Luigi Boschin, 54 anni di Fagagna (Udine) già coordinatore delle società estere, e di Guido Gemellaro residente in Svizzera ritenuto dagli investigatori il "gestore" dei bond emessi all'inizio degli anni Duemila. Altre nove persone, tra cui Roberto Tronchetti Provera (non coinvolto nell'associazione a delinquere) sono indagate dalla procura di Padova che sta raccogliendo i frutti di un'inchiesta avviata nel maggio 2005. La data cruciale è il 12 maggio 2004: il tribunale di Padova, su istanza del commissario straordinario Gianluca Vidal, dichiara lo stato di insolvenza di Finmek Access e Finmek spa. È l'inizio della fine. La fine di quello che è stato per anni considerato il re della new economy, Carlo Fulchir. Per un effetto domino, vengono ammesse alla stessa procedura in un estremo tentativo di salvataggio tutte le società del gruppo: Finmek Automation, Costelmar, Cpg, Finmek Space, Finmek Sat, Finmek Manifacturing, Finmek Communication, Finmek Solutions, Finmek Sistemi, Access Media, Mekfin e Ge.Fin. È in questo momento che, oltre a Vidal assistito dalla società di advisory Deloitte, entra in campo la procura di Padova (il pm Paola De Franceschi) supportata dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza e dal suo consulente di fiducia, il commercialista Riccardo Bonivento. Così si scopre il vorticoso processo di acquisizioni e cessioni di società da parte del gruppo Finmek finalizzato a distrarre cospicue risorse finanziarie da società operative sul mercato - di regola destinatarie di sovvenzioni e finanziamenti erogati da enti pubblici o società capofila - e a dirottare tali risorse verso società estere - si legge nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Cristina Cavaggion. Il modus operandi, dice l'accusa, è sempre uguale: Finmek compra il pacchetto di maggioranza o la totalità delle quote-azioni, svuota le società cedendo uno o più rami d'azienda e le mette in liquidazione o avvia la procedura fallimentare. Per Fulchir, sostiene il pm, il vantaggio è assicurato: se la società è sana, Finmek si assicura delle linee di finanziamento da parte della venditrice e ne beneficia; se è in difficoltà, Finmek usufruisce di un contributo a fondo perduto da parte dello Stato o di un altro ente pubblico da investire per la ristrutturazione aziendale. È a questo punto che, è la tesi accusatoria, prende i soldi, spoglia la dotazione economica della società ceduta e poi se ne sbarazza, lasciando i lavoratori a casa. Un sistema che ha fatto totalizzare al gruppo Finmek un'esposizione di 906 milioni di euro. Un esempio? Finmek spa compra Ixtant e Magneti Marelli, mentre Finmek Sistemi acquisisce Upm, Telit Mobile Terminal e un ramo d'azienda dello stabilimento Italtel di S.Maria Capua a Vetere. Uno dei risultati? Magneti Marelli è svuotata di 12 milioni di euro.


 

Borsa e Finanza 9-6-2007Sgr, il pericolo arriva dal benchmark Dai giudici di Biella una sentenza destinata a fare scuola. L'indice di riferimento non è un valore statistico, ma un parametro per valutare il rischio del cliente di Lele Riani

 

- 09-06-2007 SENTENZE Il regolamento Consob degli intermediari finanziari, nonché il regolamento sulla gestione collettiva del risparmio emesso da Banca d'Italia ad aprile del 2005, hanno finalmente cominciato a produrre i loro frutti in materia di corretto utilizzo del benchmark. Da sempre, le società di gestione del risparmio considerano il parametro oggettivo di riferimento (ovvero il benchmark) poco più di una semplice pagellina del gestore. Insomma, una sorta di valutazione ex-post. In realtà, però, il benchmark rappresenta un indicatore di rischio ex-ante, estremamente preciso, di cui si deve necessariamente tenere conto. Dunque, non è soltanto un mero un indicatore statistico, come eccepiscono diverse Sgr. "Al riguardo, l'articolo 50 del regolamento Consob degli intermediari finanziari è abbastanza chiaro - commenta Giuseppe Romano, responsabile dell'ufficio studi Consultique - Il benchmark è un parametro oggettivo di riferimento che identifica il prodotto e offre un punto di riferimento ex-ante per l'indicazione degli obiettivi e rischio del cliente. Inoltre è essenziale per verificare i risultati della gestione e del portafoglio". E sempre in tema di benchmark, Banca d'Italia ha stabilito (con provvedimento datato 15 aprile 2005) che l'indice utilizzato come parametro di riferimento deve necessariamente essere coerente con l'indirizzo di investimento del fondo. Per fare un esempio, un fondo azionario Italia, deve avere come parametro di riferimento un indice di Piazza Affari e non (come può capitare) il tasso Euribor. Inoltre, l'Istituto di via Nazionale ha indicato altri due fattori fondamentali che devono caratterizzare il benchmark: da un lato l'oggettività delle basi di calcolo e la verificabilità; dall'altro l'adeguata diffusione presso i risparmiatori dell'indice utilizzato come benchmark. Leggi che hanno come fine ultimo quello di tutelare il cliente, ma che purtroppo non sono mai state applicate. Almeno fino a pochi mesi fa. A rompere ogni tabù è stato il Tribunale di Biella, con il giudice unico Eleonora Reggiani che ad aprile ha condannato Banca Sella per aver gestito in maniera eccessivamente rischiosa, rispetto alle previsioni contrattuali e al profilo del cliente, due gestioni patrimoniali: una infondi e l'altra in titoli mobiliari. Si tratta della prima sentenza di un Tribunale sul tema del benchmark, parametro da sempre "odiato" dai gestori proprio perché li espone a responsabilità che non vogliono avere. Il Tribunale ha affermato esplicitamente che "il benchmark esprime non solo quantitativamente ma anche qualitativamente il profilo di rischio della gestione: rappresenta i rischi di mercato cui tipicamente è esposto il patrimonio gestito". È chiaro che questa sentenza getterà scompiglio tra le società di gestione del risparmio, in quanto ha creato un precedente molto pericoloso; per le Sgr ovviamente. Forti di questa decisione del Tribunale di Biella, infatti, ora anche altri risparmiatori che si sentono vittime dei gestori potrebbero aprire un contenzionso. Di conseguenza altre Sgr, che non sono state leste ad adeguarsi alle disposizioni di Bankitalia in materia di benchmark, sono a rischio di condanna


INDICE 8-6-2007

 

+ La Stampa 8-6-2007 Vince la burocrazia, il Pra rimane. Uno dei simboli della nuova stagione delle liberalizzazioni, il Pubblico registro automobilistico, per ora non verrà smantellato  1

+  Europa 8-6-2007 Dopo essersi occupato dello smog nel mondo ora il governo si occupi del nebbione in Italia FEDERICO ORLANDO RISPONDE  2

+ Il Sole 24 Ore 8-6-2007 Il Pil frena nel 1° trimestre 2007: +0,3% congiunturale e +2,3% annuo tendenziale  3

+ Il Giornale 8-6-2007 Tommaso Padoa-Schioppa mercoledì sera, di fronte al Senato della Repubblica, ha negato che i quattro ufficiali della Finanza  3

L’Unità 8-6-2007 Caso De Gregorio, la Finanza rovista a casa dei giornalisti Perquisizioni sono state compiute, fino a notte fonda, dalla Guardia di Finanza nelle abitazioni e nei posti di lavoro di due giornalisti del Corriere della Sera, Giovanni Bianconi, a Roma, e Enzo d'Errico, a Napoli e Milano  4

Italia Oggi 8-6-2007 Intercettazioni scottanti.... Il palazzo non si deve toccare Guai a toccare il palazzo. Altrimenti lo spirito di casta farà in modo di sterilizzare gli attacchi, per quanto potrà. 4

Il Giornale di Vicenza 8-6-2007 Una proposta ai nostri parlamentari. "Aumenti se l'Italia va bene" "Si riducano lo stipendio" 5

La Repubblica 8-76-2007Bari I COSTI DELLA POLITICA Fitto Vendola Regione, record delle spese ogni atto costa 25mila euro All'anno 33 milioni per stipendi, missioni e benefit degli eletti Nel 2006 nell'aula si sono svolte 25 sedute e presentati 49 ddl è stata tagliata del 10 per cento l'indennità ma i consiglieri sono 70 PIERO RICCI 6

La Repubblica 8-6-2007 L'INTERVISTA Dopo la tassa sul lusso il governatore Renato Soru usa la scure e polemizza con Prodi "Accorperò le province sarde servono tagli, non libri bianchi" 7

La Repubblica 8-6-2007 Liberalizzazioni indebolite Via l'abolizione del Pra e le norme sulle vendite di case Passano gli emendamenti che bloccano l'attivazione dei servizi telefonici non richiesti: sarà l'Authority a esercitare il divieto L'iter parlamentare alla Camera sta cambiando il profilo al provvedimento. Telefonini, la Ue taglia le tariffe dall'estero ROMA BARBARA ARDU’ 8

Italia Oggi 8-6-2007 Sì dei ministri Ue delle tlc al taglio dei prezzi per chi fa o riceve chiamate sui cellulari all'estero. Tariffe roaming, via libera all'intesa Reading: le compagnie telefoniche dovranno avvisare i clienti 8

L’Unità 8-6-2007 Il partito della famiglia Paola Gaiotti de Biase  9

La Repubblica 8-6-2007 Mutui italiani nel mirino di Draghi "Tassi più alti della media europea" è ancora di circa mezzo punto la distanza tra i costi italiani e quelli medi dell'Unione europea Secondo la Banca d'Italia esiste un differenziale "anomalo". Plauso dei consumatori. Ma nel nostro Paese stanno arrivando i covered bond che secondo l'Abi permetteranno di allineare i tassi. 10

La Repubblica 8-6-2007 Scoppia la polemica in Telecom sui maxi-premi ai top manager. In attesa del probabile arrivo di Galateri, Pistorio alle prese con la grana dei bonus  11

Il Mattino di Padova 8-6-2007Perquisiti ufficio e alloggio del generale L'alto ufficiale dei carabinieri Carlo Mori inquisito nell'inchiesta sulla massoneria Indagini dirette dal pm Henry Woodcock della Procura di Potenza Perquisito l'alloggio di via Rismondo e anche il suo ufficio di Prato della Valle Di Enzo Bordin. 11

La Repubblica 8-6-2007 Crac Finmek, buco da un miliardo Arrestati Fulchir e quattro manager Il blitz all'alba della Gdf di Venezia. Indagato Roberto Tronchetti Le accuse sono di associazione per delinquere, falso in bilancio, riciclaggio, bancarotta, aggiotaggio. 12

 


 

+ La Stampa 8-6-2007 Vince la burocrazia, il Pra rimane. Uno dei simboli della nuova stagione delle liberalizzazioni, il Pubblico registro automobilistico, per ora non verrà smantellato

 

NON SARA' ELIMINATO IL PUBBLICO REGISTRO AUTOMOBILISTICO, PER IL MINISTRO UN DOPPIONE DELLA MOTORIZZAZIONE CIVILE ROMA Il Pra è salvo. Uno dei simboli della nuova stagione delle liberalizzazioni, il Pubblico registro automobilistico, per ora non verrà smantellato. I sette articoli inseriti nel disegno di legge sulle liberalizzazioni verranno infatti stralciati dal pacchetto Bersani e spediti alla Commissione trasporti che studierà una norma ad hoc. A mettersi di traverso, a fronte del rischio della perdita del posto di lavoro di alcune migliaia di persone (6 mila secondo i sindacati, 3-3.500 secondo altre stime), è stata innanzitutto l'ala sinistra della maggioranza (Rifondazione, Verdi e Pdci), che mercoledì sera era arrivata addirittura a minacciare il voto contrario sull'intero pacchetto. Il ministro, che considerava questa una delle bandiere del suo pacchetto di riforme, ora mastica amaro. "Ma l'impianto delle mie lenzuolate - si consola - non viene intaccato. E il risultato raggiunto è importante". Ieri, ovviamente, in tanti hanno cercato di attribuirsi meriti della "battaglia" vinta. Lo ha fatto Mauro Fabris dell'Udeur ("solo noi ed il Prc ci siamo opposti senza tentennamenti"), Menia di An ("abbiamo sventato il blitz di Bersani"), i Verdi e la Sinistra democratica. Il coordinamento Rdb-Cub, che per tre giorni assieme agli altri sindacati ha presidiato Montecitorio, protesta duramente: "Nessuno si deve assumere meriti che non ha: questo risultato è frutto della mobilitazione dei lavoratori dell'Aci". Dei 6 mila posti a rischio di cui parlano i sindacati, almeno 3 mila (secondo documenti interni all'Aci) avrebbero effettivamente rischiato di finire in mobilità. In prima fila i 500 di Aci Informatica, la società che gestisce la grande banca dati del Pra e il relativo call center. Tesi che il ministro dello Sviluppo economico ha sempre respinto, convinto innanzitutto che il Pra fosse un "caso unico in Europa", un doppione "inutile" della Motorizzazione civile, tanto più inutile dopo la cancellazione della "tassa" sui passaggi di proprietà dei veicoli. "La questione occupazionale - ha ripetuto più volte Bersani - non esiste. I lavoratori del Pra verranno tutti ricollocati nella pubblica amministrazione a cominciare da quei servizi della Motorizzazione che più soffrono carenze di personale". Per Bersani, che già nel 2000 da ministro dei Trasporti aveva proposto invano una norma analoga, l'abolizione del Pra avrebbe avvantaggiato i cittadini e soprattutto semplificato notevolmente la gestione dei documenti che riguardano ben 45 milioni di autoveicoli (110 milioni con quelli radiati) e producono ogni anno 7 milioni di visure e 15 milioni di pratiche, tra nuove vetture iscritte e cambi di proprietà. Di parere opposto l'Aci che a fine gennaio, in una lettera inviata al governo, sottolineava la "grave perdita di garanzia sulla proprietà del veicolo" a fronte di "risparmi irrisori". Senza contare che con i suoi 5 mila sportelli sparsi in tutta Italia l'Aci garantisce una presenza capillare su tutto il territorio cosa che la Motorizzazione da sola non riesce a fare. Dopo l'ennesimo passo indietro ieri il relatore di maggioranza Andrea Lulli (Ulivo) si è affrettato a dire che "l'obiettivo dell'abolizione del Pra resta: nessun passo indietro". Salvo poi ammettere che "il percorso sarà diverso e rallentato". Appunto.\.


 

+  Europa 8-6-2007 Dopo essersi occupato dello smog nel mondo ora il governo si occupi del nebbione in Italia FEDERICO ORLANDO RISPONDE

            Cara Europa, mi ha sorpreso che La Stampa, che anche per non torinesi come me stava diventando il primo giornale, sia caduta nella trappola dello scandalismo pubblicando su D’Alema robaccia degna della commissione Mitrokhin.
Cosa succede in Italia? Ha avuto ragione Follini: «Il mondo discute dell’emergenza climatica, America e Russia sembrano tornare alla guerra fredda, noi celebriamo in senato un referendum sul generale Speciale. Direi che stia trionfando il provincialismo».
MARIO ALPINO, ROMA

Caro Alpino, anche per me ha ragione Follini, ma nella politica italiana c’è più del provincialismo (provinciali sono le querelle sui Dico, sul testamento biologico, ed altre guerre dei cent’anni per problemi altrove risolti).
C’è una nebbia sempre più fitta prodotta dalle congiure tra poteri forti, servizi segreti, polizie private, politici di incerto rigore, giornali a servizio di fazioni o interessi da far prevalere sulla salus rei publicae suprema lex. Prodi è andato in Germania al G8, dove Bush ha ribadito il suo no al taglio delle emissioni che avvelenano l’ambiente del pianeta. Ora, tornato in Italia, dovrebbe adoperarsi a dissipare il nebbione nel nostro paese: che s’alza con la confusione del linguaggio politico, conseguenza della confusione delle idee di chi non riesce a far quadrare il cerchio del governo, a causa di una maggioranza fatta di pezzi che fra loro non hanno niente in comune.
Forse è il giudizio negativo che gli interessi forti danno sulla capacità del governo di diradare la nebbia, a spingere giornali come La Stampa ad annunciare, proprio nel giorno in cui sta per chiudersi al senato il brutto spettacolo del duo Visco-Speciale, che la settimana prossima avremo un altro di spettacolo, Unipol-intercettazioni- D’Alema, dove il primo attore, D’Alema, sembra messo nel mirino da chi, nel centrosinistra o nel centrodestra, teme che con lui possa trovarsi qualche soluzione bipartisan a problemi urgenti. Ipotesi, fantasie.
Ma cos’altro può fare il cittadino nel nebbione che le troppe infinite inconcludenti parole governative, berlusconiane, giornalistiche, gli sollevano attorno? Con quale sicurezza si può procedere, se si teme che qualche metro più avanti ci sia il fosso e non si veda? Più che provincialismo, forse si tratta della mala Italia di sempre, dove troppa gente – generali, politici, portaborse, spioni, giornalisti – si guadagna da vivere inventando dossier sui presunti nemici del potente di turno: presunto, come le procure di Milano, Torino, Roma e Palermo (occupate – abbiamo letto anche questo – a far cadere Berlusconi dopo la sua vittoria del 2001). Tutto questo alla vigilia della riforma dei servizi, che non piace ai lestofanti. I quali, fin qui, hanno avuto buon gioco, perché i potenti che una volta ne sono vittime un’altra ne sono beneficiari. E il paese dimenticato non capisce, si astiene, diventa qualunquista.


+ Il Sole 24 Ore 8-6-2007 Il Pil frena nel 1° trimestre 2007: +0,3% congiunturale e +2,3% annuo tendenziale

 

Prodotto interno lordo

Dieci anni di Pil

Tendenza dell'economia

Come va il 2007... e come andrà il 2008

Pil a confronto

Le previsioni Isae 2007-2008

I dati Istat completi e in dettaglio di contabilità nazionale sul periodo gennaio-marzo confermano il rallentamento della ripresa dell'economia italiana, ma correggono leggermente al rialzo la stima preliminare (+0,2%) di maggio. La crescita congiunturale del Pil decelera significativamente (+0,3% da +1,1% nel trimestre precedente), mentre si abbassa la dinamica tendenziale annua (+2,3% da +2,8% nell'ultimo quarto del 2006), che non contraddice tuttavia la svolta ciclica in atto. I conti economici Istat per il primo trimestre 2007. Eurolandia, a sua volta, si presenta in contenuta decelerazione, come si registra nella stima di Eurostat, che indica una crescita dello 0,6% trimestrale e del 3,1% annuo nello stesso periodo, a fronte di +0,9% e +3,3% nel quarto trimestre 2006.


+ Il Giornale 8-6-2007 Tommaso Padoa-Schioppa mercoledì sera, di fronte al Senato della Repubblica, ha negato che i quattro ufficiali della Finanza

 

Tommaso Padoa-Schioppa mercoledì sera, di fronte al Senato della Repubblica, ha negato che i quattro ufficiali della Finanza che Vincenzo Visco tentò di rimuovere s’occupassero di Unipol. La decisione del vice ministro che ha dato il via al braccio di ferro con il comandante delle Fiamme gialle e, infine, alla destituzione del generale, sarebbe dunque un’invenzione dei giornalisti, anzi del Giornale. «Contrariamente a quanto cerca di far credere una campagna di stampa in corso da circa un anno, il nesso manca di ogni riscontro – ha detto il ministro –. Che gli instancabili corifei di questa tesi non abbiano saputo a tutt’oggi citare un solo fatto a sostegno del loro canto è di per sé una forte ragione per pensare che il nesso con Unipol sia inesistente».
Padoa-Spocchia forse prima di parlare avrebbe fatto bene a documentarsi, evitando di prendere per oro colato il compitino che gli ha preparato il suo braccio destro. Se il ministro si fosse letto l’editoriale dell’ex direttore di Repubblica, Eugenio Scalfari, certo avrebbe evitato una gaffe. Nel suo sermone domenicale il fondatore del più importante organo di stampa governativo ha scritto che Visco tentò di cacciare quegli ufficiali perché li riteneva responsabili d’aver passato a noi del Giornale il famoso brogliaccio della telefonata in cui Fassino diceva al presidente di Unipol, Giovanni Consorte: «Allora, adesso abbiamo una banca?». L’accusa – per altro infondata – d’aver dato le intercettazioni al Giornale presuppone che quei documenti fossero nelle mani dei finanzieri. Padoa-Schioppa pensa che li avessero per leggerli la sera prima di addormentarsi oppure perché era materiale sul quale stavano svolgendo accertamenti? O forse crede che la Gdf li abbia trovati dentro un cassonetto?
Se Tps fosse un uomo prudente avrebbe evitato di dire in un’aula parlamentare: «Se vi sono prove in contrario le si producano». Perché le prove esistono e, visto che lo ha richiesto, le produciamo. Quella che pubblichiamo oggi è la lettera che il procuratore capo di Milano, Manlio Minale, inviò il primo giugno dello scorso anno al comandante della Guardia di Finanza della Lombardia, il generale Mario Forchetti, uno degli ufficiali che Visco voleva rimuovere. In essa si lodano il colonnello Rosario Lorusso e il colonnello Virgilio Pomponi. Chi sono costoro? Altri due ufficiali di cui Visco ordinò la rimozione.

Ma c’è di più: Minale scrive che i comandanti del nucleo regionale e provinciale della tributaria sono stati collaboratori preziosissimi nell’indagine Antonveneta. «Nel momento in cui questa Procura si avvia a formulare le prime conclusioni nell’indagine Antonveneta, vicenda giudiziaria esemplare sotto ogni aspetto ed in particolare con riguardo alla collaborazione professionalmente qualificata offerta dalla Guardia di Finanza e dai reparti già richiamati (quelli di Lorusso e Pomponi, ndr) desidero farle pervenire il più vivo compiacimento e personale apprezzamento». Forse Padoa-Schioppa non lo sa, ma dall’inchiesta sulla scalata alla banca Antonveneta, quella in cui rimasero coinvolti Giampiero Fiorani e anche l’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, è nata quella su Unipol. Le Fiamme gialle arrivarono alla compagnia delle Coop ascoltando le conversazioni dell’amministratore delegato della Popolare di Lodi. Fiorani parlava spesso con il suo omologo in Unipol e la Gdf cominciò ad ascoltare anche le chiamate di Consorte.
È così che furono registrate le chiacchiere del banchiere rosso con Fassino, D’Alema e Nicola La Torre. Sono i reparti dell’allora colonnello Rosario Lorusso e del colonnello Virgilio Pomponi a intercettarli. E sempre Lorusso e Pomponi sono i due ufficiali che, un mese e mezzo prima che Visco ne disponga l’allontanamento, Minale vuole che rimangano alla guida dei loro reparti «nell’interesse delle indagini e per la continuità nell’azione di comando». È chiaro ora il collegamento con Unipol o a Tps serve altro?
P.s. Quelle intercettazioni da cui parte il caso Unipol, ovviamente, sono le stesse su cui Bertinotti e Marini nei prossimi giorni vorrebbero mettere il segreto di Stato

 


 

L’Unità 8-6-2007 Caso De Gregorio, la Finanza rovista a casa dei giornalisti Perquisizioni sono state compiute, fino a notte fonda, dalla Guardia di Finanza nelle abitazioni e nei posti di lavoro di due giornalisti del Corriere della Sera, Giovanni Bianconi, a Roma, e Enzo d'Errico, a Napoli e Milano

 

Caso De Gregorio, la Finanza rovista a casa dei giornalisti Perquisizioni sono state compiute, fino a notte fonda, dalla Guardia di Finanza nelle abitazioni e nei posti di lavoro di due giornalisti del Corriere della Sera, Giovanni Bianconi, a Roma, e Enzo d'Errico, a Napoli e Milano su mandato della Direzione distrettuale Antimafia del capoluogo partenopeo. Lo ha rivelato il Cdr del quotidiano milanese. I giornalisti erano stati gli autori della pagina che riguardava le indagini sul senatore Sergio De Gregorio, indagato a Napoli per riciclaggio con l'aggravante di avere agevolato un'associazione mafiosa. "Tutto l'intervento ha assunto - secondo la direzione del Corsera - caratteri di un chiaro abuso e di un'intimidazione". A colpire le "modalità sconcertanti dell'azione delle fiamme gialle: i militari - prosegue la direzione - sono arrivati in piena notte nelle sedi di Roma e Milano del corriere e nelle abitazioni private di Roma, Milano e Napoli dei giornalisti. L'intervento della Gdf è durato fino all'alba ed ha portato al sequestro di computer fissi e portatili, della memoria di un pc, di rubriche telefoniche e appunti che nulla hanno a che fare con l'inchiesta di Napoli. La perquisizione non ha risparmiato a notte fonda neppure i familiari di Enzo d'Errico che tra l'altro è autore solo dell'articolo sulla storia personale e politica di De Gregorio e non del pezzo sull'inchiesta". Anche il sindacato nazionale si è inalberato (Fnsi), parlando di intimidazione "non appena si tocca un uomo del Parlamento".


 

Italia Oggi 8-6-2007 Intercettazioni scottanti.... Il palazzo non si deve toccare Guai a toccare il palazzo. Altrimenti lo spirito di casta farà in modo di sterilizzare gli attacchi, per quanto potrà.

 

Intercettazioni scottanti.... Il palazzo non si deve toccare Guai a toccare il palazzo. Altrimenti lo spirito di casta farà in modo di sterilizzare gli attacchi, per quanto potrà. La tentazione è forte: mettere in campo tutti gli strumenti normativi, attivare tutti i canali, operare con la moral suasion per mettersi al riparo dal controllo dagli attacchi, veri o solo presunti. Si prenda il caso Forleo di questi ultimi giorni. Il gip di Milano, Carolina Forleo, deve decidere sulla richiesta dei pm di chiedere l'autorizzazione al parlamento per la utilizzazione di alcune intercettazioni nell'ambito della inchiesta Antoveneta, Bnl Rcs che riguardano politici della maggioranza (Massimo D'Alema, Nicola Latorre e Piero Fassino) e della opposizione (Romano Comincioli, Salvatore Cicu e Luigi Grillo) per valutare la rilevanza ha deciso di sottoporre a perizia, ai fini della trascrizione, il supporto audio sul quale il pm aveva inviato le tascrizioni annunciando che sarebbero state depositate in segreteria a disposizione delle parti. In sostanza prima che il parlamento ne avesse autorizzato la utilizzabilità. Apriti cielo. Il palazzo, sentitosi minacciato nella sua prerogativa di immunità, ha schierato tutta la sua pattuglia. I presidenti di camera e senato, Fausto Bertinotti e Franco Marini, sollecitati anche da una lettera del persidente della giunta delle immunità Carlo Giovanardi (Udc), hanno chiesto informazioni al presidente del tribunale lombardon Livia Pomodoro e ieri ci si è messo anche il ministro della giustizia Clemente Mastella che ha scritto ieri una lettera al presidente della Corte d'appello di Milano Giuseppe Grechi e alla Pomodoro per ottenere informazioni circa ' le misure adottate per assicurare la concreta osservanza dell'articolo 68 della Costituzione e l'effettiva tutela delle prerogative parlamentari'. Tutti in agitazione, a destra come a sinistra, con Bertinotti che ieri si appellava 'al rispetto della legge (Boato, ndr). Il fatto è che però la Forleo la legge l'ha rispettata, come ieri hanno riconosciuto diversi giuristi tra cui Oreste Dominioni e Giulio Illuminati, visto che non sta per decidere sulla utilizzabilità delle intercettazioni ( per la quale deve chiedere l'autorizzazione) quanto della loro rilevanza ai fini del processo. E che, rendendo il materiale disponibile per le parti, il segreto è caduto. E il vizio di chiedere informazioni agli uffici giudiziari è risalente. Nella scorsa legislatura lo fece l'allora presidente di Montecitorio Pierferdinando Casini che interpellò il tribunale di Roma su alcune intercettazioni assunte nel corso di un procedimento per un preteso traffico di stupefacenti, quello di Cosenza nel corso di un procedimento dei confronti di esponenti del movimento no global (nel quale erano state intercettate telefonate con Paolo Cento,Graziella Mascia e Mauro Bulgarelli), al procuratore di Catanzaro con riguardo a intercettazioni che avevano riguardato Giuseppe Valentino.


 

Il Giornale di Vicenza 8-6-2007 Una proposta ai nostri parlamentari. "Aumenti se l'Italia va bene" "Si riducano lo stipendio"

 

"Gli farei sputare i denti per farmi una collanina", mi diceva l'altro giorno un signore attempato con pensieri elettrizzanti verso un noto politico che l'aveva a suo modo tradito. Il simpatico vecchietto si definiva l'asino contribuente carico di grano che stramazza al suolo sotto il peso dell'ultimo chicco. "Dunque è vero, diceva; i nostri politici costano ogni anno, tra stipendi e privilegi, in media 3 miliardi di vecchie lire, contro 500 milioni degli spagnoli e i 700 degli inglesi". Purtroppo, dico io, sembra una verità vera, anche se credo bisogna non bisogna mai fare di ogni erba un fascio. Premesso che i numeri sono argomenti testardi e non ci sono giustificazioni plausibili per questo divario, e valutato che senza ogni ragionevole dubbio il predetto stipendio non verrà mai ridotto (sic!) se non per motivi validi, io sono dell'idea di trovare soluzioni percorribili, cercando spunti per riflettere sperando che germoglino, evitando di murarci nel rancore verso lor signori sempre più spesso antipatici ed intoccabili, evitando di incrociare le loro acrobatiche satire irritanti, sciocche e patetiche quando si incolpano l'un l'altro delle nostre disavventure trascorse e future. Il bello è che vanno poi d'accordo cercando tra di loro, all'insaputa nostra, la posizione orizzontale in un amore tormentato e conviviale, truccando le carte nelle sfumature del tradimento. La verità è chi ci capisce è bravo, ma nessuno è bravo perché nessuno ci capisce. Comunque sia, io proporrei la cosidetta "logica di efficienza, logica di efficacia", come si fa di solito in un'azienda privata dove vengono premiati i lavoratori più bravi e coloro i quali a fine anno hanno consentito un aumento del fatturato, retribuendoli con il "premio di produzione o di risultato". L'idea che oserei proporre è la seguente: tutti i nostri parlamentari (tutti!) fanno un passo indietro, si riducono ad un terzo l'attuale busta paga (devono pur vivere), e si dà loro un cospicuo bonus calcolato sulla base dell'incremento reale del Pil annuale (prodotto interno lordo), che sarebbe il cosidetto premio produzione legato all'azienda Italia, ovviamente con l'ok dei sindacati che dovrebbero dare l'assenso, visto che in queste cose sono sempre favorevoli. Così se l'azienda Italia va bene si aumenta lo stipendio dei politici, se va male.. Sono straconvinto che tutti lotterebbero per questo obbiettivo, maggioranza e opposizione. Certo saranno tutti d'accordo, si risveglierebbero i furboni, gli zombie che dormono, gli zucconi supponenti evitando altresì i furti delle nostre speranze. Proporrò questa idea per iscritto ai due presidenti della Camere, sperando in una risposta che auspico non decennale, anche perché ho la seria intenzione di non demordere. Lei direttore, che percepisco molto incisivo nelle idee e nei buoni propositi, che ne pensa? Massimiliano Fattori Bolzano Vicentino L'idea mi sembra dirompente, rivoluzionaria, accattivante, interessante. Insomma, buona e praticabile. Proprio per questo può scommettere che lorsignori continueranno come se niente fosse.

 


 

La Repubblica 8-76-2007Bari I COSTI DELLA POLITICA Fitto Vendola Regione, record delle spese ogni atto costa 25mila euro All'anno 33 milioni per stipendi, missioni e benefit degli eletti Nel 2006 nell'aula si sono svolte 25 sedute e presentati 49 ddl è stata tagliata del 10 per cento l'indennità ma i consiglieri sono 70 PIERO RICCI

 

E meno male che per il 2007, i pugliesi potranno contare ancora su una dose di generosità dei propri rappresentanti in Consiglio regionale: nel dicembre scorso, quando hanno approvato l'esercizio provvisorio del bilancio di previsione, hanno confermato il taglio alle proprie indennità deciso l'anno precedente. Un 10 per cento in meno che, per quanto rappresenti lo stipendio mensile di tre precari messi insieme in un call center, fa solo il solletico a una busta paga comunque pesante che viaggia dai quasi 25mila euro al mese del governatore ai 16mila euro del consigliere regionale senza nemmeno il gallone di una vice presidenza di commissione. Sta di fatto che nelle indennità di presidenti, assessori, vice presidenti e consiglieri semplici, va quasi la metà di quei 33 milioni di euro il Consiglio regionale sborsa per far funzionare la macchina, come si dice. Quindi: spese telefoniche, straordinari e missioni ai dipendenti, biblioteca, rimborsi per i gruppi regionali. Di tutto, di più. Anzi di meno. Perché, su questa voce di bilancio, il presidente del Consiglio regionale, Pietro Pepe ha preteso di stringere la cinghia. E infatti nel 2006, la spesa fu di 35 milioni. Per l'anno in corso i 70 consiglieri regionali, dovranno fare a meno di due milioni di euro. Il problema è che, solo due anni fa, le indennità da pagare erano dieci in meno, perché con la nuova legislatura i consiglieri sono aumentati da 60 a 70. E in quella seduta del Consiglio regionale, tutti ma proprio tutti, furono d'accordo. Dieci consiglieri in più sono 160mila euro in più al mese, quasi due milioni in più all'anno, quindi la cifra che il Consiglio, in pompa magna, annuncia di voler risparmiare per il 2007. Al netto, ovviamente, degli assessori esterni che, come gli interni, portano a casa a fine mese poco meno di 19mila euro. Ma il lavoro che si svolge, vale tutto questo esborso da parte dei contribuenti pugliesi? Quando di mezzo c'è il principio che la carica elettiva non ha vincolo di mandato, in punta di diritto, la risposta deve essere affermativa. Al consigliere regionale non è chiesto di timbrare il cartellino, non ha da fare otto ore di lavoro, non ha l'obbligo di essere presente sul luogo di lavoro che è sì il Consiglio regionale ma anche il collegio elettorale di provenienza, il rapporto con gli elettori. A parte i presidenti e i vice presidenti, di giunta e di Consiglio, e gli assessori, che hanno funzioni esecutive, per gli altri il discorso della produttività che giustifichi stipendi d'oro, può essere fatto su una base empirica. E questa base può essere rappresentata da ciò che il Consiglio regionale produce: leggi, delibere, ordini del giorno, mozioni, interrogazioni e interpellanze. Nel 2006, al Consiglio regionale sono state effettuate 25 sedute, stati presentati 49 disegni di legge (33 approvati), 41 proposte di legge (12 approvate), 5 proposte di legge di iniziativa popolare, 134 delibere di giunta regionale (25 approvate), 30 ordini del giorno (discussi 26), 7 mozioni (discusse 6), 240 interrogazioni (127 discusse) e 37 interpellanze (discusse 19). In totale più di 500 atti. Calcolando lo stipendio minimo del consigliere regionale semplice quindi con una spesa totale per difetto che in un anno ha sfiorato i 15 milioni di euro, si può facilmente dedurre che ogni atto, sia esso legge o semplice interrogazione, non costi meno di 25mila euro. Se come punto di riferimento si prende invece la legge, ma nella forma della proposta che rientra nelle funzioni del consigliere regionale, e che rappresenta il prodotto principale che un Consiglio regionale è chiamato a fare, si nota ci sono più consiglieri (70) che proposte di legge presentate (41) e di queste solo 12 approvate. Un pdl solo presentato, quindi, costa 330mila euro. E che dire delle sedute: se si è assenti, al consigliere viene detratta la diaria (200 euro). Un'inezia alla quale però pochi rinunciano soprattutto dalle parti dell'opposizione che non ha da garantire il numero legale per la validità delle sedute.


 

La Repubblica 8-6-2007 L'INTERVISTA Dopo la tassa sul lusso il governatore Renato Soru usa la scure e polemizza con Prodi "Accorperò le province sarde servono tagli, non libri bianchi"

 

"Bisogna fare in fretta, se no la politica muore proprio quando il paese ne ha più bisogno" "Abbiamo già sciolto decine di enti e cancelleremo 16 consorzi industriali" ALBERTO STATERA "Macchè libri bianchi, ci vogliono leggi, leggi nero su bianco". Renato Soru, il governatore capitalista della Sardegna che si beccò l'epiteto di "comunista" per aver introdotto la "tassa sul lusso - ville, yacht e jet privati - torna a dar scandalo all'insegna del motto di suo nonno "chi non miete spigola", cioè raccoglie per terra ciò che resta delle spighe, e ha deciso di usare la falce (non il martello) per tagliare i costi della politica, gettando nello sconforto le migliaia di persone che nell'isola di politica vivono. "Non c'è più tempo per libri bianchi, come quello annunciato da Prodi, bisogna fare in fretta - dice - se no la politica muore, proprio nel momento in cui il paese ne ha più bisogno". Lei da dove comincia, governatore Soru? "Ho già cominciato, abolendo con legge regionale 24 comunità montane, comprese naturalmente quelle al livello del mare che tanto scandalo giustamente hanno suscitato. Sono cancellati per sempre 300 tra presidenti e assessori e 500 consiglieri, totale 800 persone e relativi emolumenti, con un risparmio stimabile prudenzialmente in 10 milioni. Senza considerare le società collegate". Un po' poco, le comunità montane con i loro "deputatini", politici di ultima fila, sono l'anellino più debole. Quelli forti? "Abbiamo sciolto decine di enti e messe in liquidazione decine di società regionali. Abbiamo eliminato 9 enti in agricoltura, con i rispettivi consigli d'amministrazione, 4 enti provinciali per l'edilizia abitativa, abbiamo cancellato l'Esit e 4 enti provinciali per il turismo, più 8 aziende di cura e soggiorno. Abbiamo sciolto l'Isola, l'ente per l'artigianato, e l'Esaf, quello per le risorse idriche e, al suo posto, istituito una società per azioni che accentra le funzioni di 60 enti e soggetti pubblici. Abbiamo commissariato l'Azienda regionale dei Trasporti". Sempre bazzecole, se permette, rispetto ai templi del potere della politica regionale. "Le pare una bazzecola aver soppresso altri 1000 posti tra consigli d'amministrazione di enti, giunte e consigli di società, con un risparmio di decine di milioni di euro? Ma il bello deve venire". Allora ci racconti il bello, governatore. "E' pronta la legge per cancellare, con i relativi costi, 16 Consorzi industriali, gonfi di decine e decine di società, di presidenti, vicepresidenti, consiglieri d'amministrazione, consulenti, autoblù, foresterie e quant'altro". Ecco, governatore, forse ci avviciniamo. Ma ci dicono che per far passare questa legge dovrà anche passare sul cadavere, naturalmente in senso metaforico, di molti presidenti ben sponsorizzati dai partiti, ad esempio del potentissimo e inamovibile avvocato Sandro Usai, presidente del Casic di Cagliari. "Guardi, tutte le decisioni importanti generano conflitto e magari anche perdita momentanea di consenso, ma ci vuole rapidità, decisione e coraggio, se si vuole poi recuperare la dignità della politica presso i cittadini, che non ne possono più di privilegi, storture e sprechi. Prodi stesso ha detto che i governi responsabili devono mettere in conto anche momentanee perdite di consenso, per cui confido che vogliano fare anche loro e fare in fretta, al di là dei libri bianchi". Scusi, governatore, lei ci parla di comunità montane, società pubbliche, consorzi industriali. Ma il raddoppio delle province sarde da quattro a otto per una popolazione complessiva di un milione e mezzo di abitanti, quanto una città, non è un vero scandalo? "E' vero, sono province improbabili, se si pensa che quella di Lanusei ha meno di 60 mila abitanti. Ma e' uno scandalo che non abbiamo creato noi, l'abbiamo trovato bello e fatto. E' già pronta una legge per intervenire radicalmente". Come? Avrete la forza di abolire le quattro nuove province, con presidenti, vicepresidenti, assessori, dirigenti, impiegati? "Obbligheremo le più piccole a unirsi per la gestione in forma associata dei servizi, come la manutenzione delle strade e delle scuole, e soprattutto i consiglieri provinciali dovranno essere eletti tra i sindaci del territorio in carica, con un'elezione di secondo grado, in modo da evitare la moltiplicazione del ceto politico. In più, al governo chiediamo il trasferimento alla Regione delle funzioni prefettizie". Mica vorrà abolire i prefetti? "Non spetta a me, io proporrò che gli vengano lasciate le funzioni di ordine pubblico e di lotta alla criminalità organizzata. Riduciamo invece il numero dei consiglieri comunali e sopprimiamo le circoscrizioni comunali". E dentro casa, in Regione, governatore, né falce né scopa? "Guardi che le autoblù, che tanto fanno irritare i cittadini, sono già state ridotte in Regione da 39 a 14. Sono state cancellate le missioni di giunta, i pranzi, le cene, le feste, i regali di Natale. L'appalto per le pulizie degli uffici è sceso da 8 a 3 milioni. La villa di rappresentanza della presidenza, costo inutile ed emblema del vecchio e arrogante potere, è in corso di trasformazione in scuola materna per i figli dei dipendenti regionali. Il parco viene aperto e restituito alla città". Belle cose, ma il Moloch burocratico regionale su cui lei è seduto? "La legge di riorganizzazione regionale prevede la riduzione degli assessori da 12 a 8, la riduzione del 30 per cento dei dirigenti, la riduzione del 30 per cento delle consulenze. Ridefinisce poi i costi dei consiglieri regionali, facendo chiarezza nella poco trasparente selva delle indennità. Niente più viaggi all'estero o rimborsi spese per chi abita a trenta chilometri di distanza". Lei farà felici, forse, Montezemolo, il giovane Colaninno, il professor Monti e il professor Giavazzi, ma sa che, se non la impallinano prima i partiti, così si gioca la rielezione? "Il costo della politica è un costo monetario e anche un costo in termini di disistima, non meno grave, per tutta la politica. Se non si interviene subito con rigore non riavvicineremo più i cittadini, con tutti gli evidenti rischi per la democrazia. O si fa così, qui e subito, o la politica in questo paese muore". E i voti? "Chi governa deve saper rischiare l'impopolarità, con la certezza che di fronte ai fatti e non alle parole i cittadini capiranno".


 

La Repubblica 8-6-2007 Liberalizzazioni indebolite Via l'abolizione del Pra e le norme sulle vendite di case Passano gli emendamenti che bloccano l'attivazione dei servizi telefonici non richiesti: sarà l'Authority a esercitare il divieto L'iter parlamentare alla Camera sta cambiando il profilo al provvedimento. Telefonini, la Ue taglia le tariffe dall'estero ROMA BARBARA ARDU’

 

- Le liberalizzazioni rischiano di arrivare al Senato annacquate. La Camera ieri ha stralciato, ritirato, bocciato emendamenti, indebolendo così la costruzione del ministro dello Sviluppo economico Pierluigi Bersani. Il risultato? Un disegno di legge monco, da cui sono state sfilate norme sostanziose come l'abolizione del Pra, il pubblico registro automobilistico. Troppo forte la resistenza della Margherita, cui non è mai piaciuta la norma, di Rifondazione comunista e del Partito dei comunisti italiani. L'articolo che riguarda il Pra sarà stralciato, ma il relatore al provvedimento Andrea Lulli (Ds) è tutt'altro che rassegnato. "Martedì l'aula di Montecitorio voterà lo stralcio - ha dichiarato Lulli - ma l'obiettivo della sua abolizione resta". Naufraga anche la norma che rendeva possibile la compravendita di un immobile di valore catastale non superiore ai 100mila euro senza l'ausilio di un notaio. A ritirare l'emendamento è stato lo stesso Lulli, dopo il giudizio negativo espresso dal ministero della Giustizia e dopo le pressioni del Consiglio nazionale del notariato. Un provvedimento, questo, sul quale Andrea Lulli è deciso a tornare. Altro capitolo aperto è quello sulla componentistica per le automobili: nei giorni scorsi il governo è stato battuto in Aula, ma ora potrebbe decidere di ripresentarlo al Senato o inserirlo in un altro provvedimento alla commissione Trasporti. Molto è anche quello che il governo ha portato a casa a cominciare dalle norme sulle telecomunicazioni. Ha imposto uno stop ai servizi non richiesti di telefonia mobile, all'imposizione di costi aggiuntivi per le segreterie telefoniche e dato il via libera a consultazioni dell'Agcom con gli operatori dei cellulari nel settore del roaming internazionale. Settore sul quale sono intervenuti ieri i ministri delle telecomunicazioni Ue, che hanno approvato il regolamento che fissa i tetti massimi delle tariffe. I tagli arrivano fino al 70 per cento rispetto a quelle applicate in alcuni paesi. Sempre sulle telecomunicazioni il governo ha portato a casa il via libera a una norma che consente all'utente, al momento della chiamata da un numero fisso o cellulare e senza alcun addebito, di conoscere l'indicazione dell'operatore che gestisce il numero chiamato. Eliminato anche l'obbligo del rispetto della privacy per le aziende più piccole, varata la sterilizzazione delle accise sul greggio, resa nulla la commissione di massimo scoperto sui conti correnti, anche se con un compromesso che piace alle banche. La discussione riprenderà martedì e intanto gli italiani promuovono a pieni voti il pacchetto Bersani-bis che ha introdotto, tra le altre misure, le ricariche dei cellulari senza costi aggiuntivi e le chiusure anticipate dei mutui senza penali. Così dice un sondaggio del sito del Sole24ore, cui hanno partecipato finora oltre 33mila utenti. In particolare il 90 per cento degli italiani approva la possibilità di recedere annualmente dalle polizze danni senza penali e con preavviso di 60 giorni. Il 76 per cento dice sì alle informazioni comparate sui prezzi del carburante su strade e autostrade, l'85 per cento promuove le ricariche senza costi fissi per i cellulari, il 92 per cento è soddisfatto per l'estinzione automatica dell'ipoteca sui mutui. Semaforo verde anche per la creazione di un'impresa in un giorno.


 

Italia Oggi 8-6-2007 Sì dei ministri Ue delle tlc al taglio dei prezzi per chi fa o riceve chiamate sui cellulari all'estero. Tariffe roaming, via libera all'intesa Reading: le compagnie telefoniche dovranno avvisare i clienti

 

Semaforo verde dei ministri Ue delle tlc all'intesa sulle tariffe roaming, che prevede la riduzione dei prezzi per chi fa o riceve chiamate sui cellulari quando è all'estero, nei 27 paesi membri dell'Unione europea. La nuova normativa prevede una riduzione graduale spalmata in tre anni fino al 50% delle attuali tariffe. L'intesa è stata raggiunta lo scorso 15 maggio dai rappresentanti della commissione, del Parlamento e del Consiglio europeo. 'è un bel giorno per i consumatori europei', ha detto il ministro tedesco dell'Economia Michael Glos. Le prime riduzioni dovrebbero entrare in vigore a partire da fine giugno e per il primo anno prevedono tre diversi tetti: uno di 49 centesimi al minuto per le chiamate effettuate, uno di 24 centesimi per quelle ricevute e uno di 30 centesimi per i prezzi all'ingrosso praticati da un operatore all'altro. L'anno prossimo questi tetti scenderanno a 46 e 22 centesimi per le chiamate effettuate e per quelle ricevute e a 43 e 19 centesimi nel 2009. Attualmente in Europa le chiamate effettuate e ricevute via roaming costano in media un euro al minuto. Il commissario Ue alle comunicazioni Viviane Reading ha di nuovo avvertito le compagnie di tlc che dovranno informare i clienti delle nuove tariffe inviando messaggi sms. Il nuovo regolamento dovrà adesso essere formalmente approvato a fine giugno dal Consiglio dei capi di stato e di governo dell'Ue. L'entrata in vigore dovrebbe avvenire a metà luglio. L'accordo è stato accolto con favore dal ministro delle comunicazioni, Paolo Gentiloni: 'Credo che sia una decisione molto importante', ha spiegato, 'con questo regolamento la telefonia mobile diventa europea, i vantaggi per i consumatori sono evidenti e il costo dell'operazione è considerato da tutti più che sostenibile per l'industria. Per quanto attesa, la decisione più importante del Consiglio', ha aggiunto, 'è stato l'accordo politico del regolamento sul roaming, che dura da 5-6 anni come iter comunitario. Gli ulteriori adempimenti sono di carattere tecnico


 

L’Unità 8-6-2007 Il partito della famiglia Paola Gaiotti de Biase

 

Segue dalla Prima Già in partenza l'opposizione ai Dico non sembrava poter giustificare tanto zelo organizzativo, e tanto meno lo sembra oggi, di fronte al sostegno a una tesi alternativa, che in realtà è solo tecnica (e non si fanno manifestazioni di massa per questioni tecniche) del contratto davanti al notaio, assai più simile a un contratto di matrimonio. Ora l'obiettivo, di un movimento politico, un'aggregazione come che sia, che, per lo meno, tenga fuori cattolici dal Partito Democratico, appare scoperto. In sé questo può anche essere un elemento di chiarezza, che contribuirebbe a ridurre i timori di molti sulla scarsa laicità del Pd, e salverebbe dal riprodursi domani di conflitti e incomprensioni interne. Ed è tutta da verificare la sua forza di dissuasione su tanti cattolici, almeno di quelli già schierati col centrosinistra, che all'idea del dialogo fra le culture politiche, della necessità di superare la frammentazione, di riformare il sistema politico italiano, ormai non intendono rinunciare. E tuttavia una tale iniziativa sollecita alcune riflessioni severe. Quale sarà, la traduzione concreta nell'asse politico di questa volenterosa difesa dei valori cristiani? Resterà tutta centrata sui temi della famiglia e della bioetica o si farà carico anche dei problemi, di rilevanza etica non minore, della lotta all'illegalità, alla corruzione, alla criminalità, della crescita di un nuovo senso dello Stato, del superamento di un competitività esasperata nella vita sociale, delle nuove sfide del lavoro e della politica internazionale, della stessa crisi della democrazia, non solo in termini di testimonianza, ma in termini di azione pubblica e politica conseguente e efficace? Ed è possibile non avvertire che quest'azione pubblica è imbrigliata da decenni proprio dalla frammentazione dei soggetti politici, dai caratteri del sistema, dai suoi condizionamenti corporativi, dall'autoreferenzialità perenne di coloro a cui preme più la difesa della propria identità che la costruzione delle condizioni per l'efficacia dell'azione pubblica? Un soggetto in più potrà mai essere favorevole a una legge elettorale che scoraggi la frammentazione? L'uscita a sinistra nei Ds e questa diaspora cattolica annunciata non hanno in sé nulla di assolutamente riprovevole, esprimono una libertà di giudizi assolutamente lecita; ma è una libertà che rischia, se dovesse avere seguiti consistenti, di non produrre più libertà e democrazia nel sistema, ma di avvitarlo su se stesso. Il futuro del paese si gioca, nell'attuale crisi e stallo del sistema, sulla nascita forte del partito democratico, come spinta alla riforma del sistema; il futuro della testimonianza cattolica, nel tempo della secolarizzazione e della globalizzazione, si gioca in un impegno laico per la crescita di una cultura politica che unisca e non divida di fronte alle sfide del nostro tempo. Una credente che ama insieme la Chiesa e la storia del suo paese non può non veder con angoscia il ripetersi di errori che hanno segnato drammaticamente la nostra vicenda politica. Il nostro Risorgimento e il processo di unificazione non sarebbe stato lo stesso se l'iniziale alto apporto cattolico, che vide anche tanti martiri, non fosse stato bloccato dai timori per il potere temporale, dalle paure del nuovo, che ebbero la loro più significativa espressione nella condanna delle "Cinque piaghe" di Rosmini, sotto la pressione dell' ambasciatore d'Austria, e da cui in definitiva inizia la sconfitta del cattolicesimo liberale favorevole all'Unità, e un processo unitario segnato in seno anticlericale. Il fascismo non avrebbe potuto diventare quello che è stato se una pattuglia di deputati popolari, dopo aver imposto al partito l'astensione sulla legge elettorale di Acerbo (che non l' avrebbe comunque vista vincente) non avessero votato invece a favore; e l'esilio di Sturzo resta il segno di un ritardo della Chiesa, di fronte alle potenzialità della democrazia. La pressione della Chiesa per mantenere un simbolo politico dell'unità dei cattolici ha favorito la vittoria di Berlusconi, con tutto quello che significa anche di diffusione di una cultura popolare intrisa di volgarità, di miti del successo comunque, di egoismo sociale, di irresponsabilità civile. Ciò che i cittadini cattolici hanno oggi nelle loro mani è la possibilità di riscattare questi passaggi della storia, nella pienezza delle loro convinzioni, nella forza di una tradizione politica da cui attingere, cresciuta anche attraverso un lungo dialogo storico, per poter rispondere in forme efficaci alle sfide del nostro tempo.


 

La Repubblica 8-6-2007 Mutui italiani nel mirino di Draghi "Tassi più alti della media europea" è ancora di circa mezzo punto la distanza tra i costi italiani e quelli medi dell'Unione europea Secondo la Banca d'Italia esiste un differenziale "anomalo". Plauso dei consumatori. Ma nel nostro Paese stanno arrivando i covered bond che secondo l'Abi permetteranno di allineare i tassi.

 

ROMA - Costa caro comprare casa in Italia ricorrendo a un mutuo. Più di quanto non avvenga nei Paesi dell'Unione europea. I tassi di interesse sono infatti più elevati, in media di mezzo punto percentuale. Un differenziale "anomalo", lo ha definito il vice direttore generale della Banca d'Italia, Giovanni Carosio. E una penalizzazione per gli italiani, che continuano a indebitarsi per acquistare casa, anche se il mercato è rallentato nel 2006. "A marzo scorso - ha ricordato Carosio - il tasso d'interesse sui nuovi prestiti alle famiglie per l'acquisto di abitazioni è risultato pari, in Italia, al 5,2 per cento, a fronte del 4,7 per cento registrato in media nell'area dell'euro". E il differenziale fra il costo dei mutui a tasso fisso e quelli a tasso variabile, "è stato nel 2006 di 80 punti base, a fronte dei 30 registrati, in media in Eurolandia". La forbice dunque c'è ed è elevata. "Un malvezzo delle banche che non ha giustificazione", accusano Adusbef e Federconsumatori, che da tempo denunciano il differenziale dei tassi con l'Europa. Ma le aziende di credito si sono sempre difese sostenendo che il vantaggio competitivo del mercato europeo poggia tutto sui covered bond, obbligazioni bancarie garantite che diminuiscono i costi della raccolta e dunque abbattono i tassi finali per i consumatori. Il sistema dei covered bond è infatti utilizzato in ben 22 Stati europei e per alcuni Paesi, come la Germania, è ormai un'istituzione con una tradizione che dura da oltre 100 anni. Le banche italiane da anni si battono per anni per introdurre anche in Italia questi strumenti finanziari. Ci sono riuscite: i covered bond stanno sbarcando anche da noi. Dopo l'ok del Tesoro in aprile, a maggio sono arrivate anche le istruzioni di vigilanza della Banca d'Italia. Un mercato, quello delle obbligazioni garantite, che secondo l'Abi vale circa 200 miliardi di euro, che offre un rafforzamento del livello di competitività con i concorrenti europei e maggiori opportunità per gli investitori istituzionali. L'Abi ritiene infatti che l'importanza dell'emissione di covered bond in Italia "sia finalizzata alla possibilità per le banche di migliorare la propria raccolta, in termini di riduzioni dei costi, con l'obiettivo di fornire finanziamenti maggiormente aderenti alle aspettative della clientela". Caratteristiche principali dei covered bond rispetto alle normali obbligazioni bancarie sono il profilo di rischio molto basso e l'elevata liquidità. "L'Italia entra in un mercato internazionale già affollato e competitivo - ha detto Giuseppe Zadra, direttore generale dell'Abi - ma la solidità dell'impianto normativo e l'alta qualità dei crediti utilizzabili a garanzia delle emissioni, sono una via essenziale per recuperare terreno a livello europeo e attrarre con successo gli investitori esteri". Dunque c'è ottimismo tra le aziende di credito che si dicono pronte ad affrontare la sfida di allineare i tassi sui mutui a quelli della media Ue. Se lo augura anche il vice direttore della Banca d'Italia secondo cui sembrano "esistere le condizioni perché un'offerta di mutui ipotecari in espansione, trainata dalla richiesta di covered bonds, e una domanda di mutui in rallentamento, contribuiscano a eliminare l'anomalo differenziale fra i tassi italiani e quelli degli altri paesi dell'area dell'euro". Toccherà però agli intermediari fare la loro parte e "trarre dall'utilizzo di questo nuovo strumento di raccolta vantaggi significativi, che accrescano la loro competitività sul mercato domestico così come su quello internazionale". La sfida è appena iniziata. (b.ar.).


 

La Repubblica 8-6-2007 Scoppia la polemica in Telecom sui maxi-premi ai top manager. In attesa del probabile arrivo di Galateri, Pistorio alle prese con la grana dei bonus

 

I sindacati "Un'azienda che fa regali ai dirigenti e punisce i lavoratori non è più credibile" GIOVANNI PONS MILANO - Strano a dirsi ma lo sdoppiamento del consiglio Mediobanca attraverso la governance dualistica si intreccia con il passaggio di mano della Telecom. Il 27 giugno, primo giorno in cui si riunirà il nuovo consiglio di sorveglianza di Piazzetta Cuccia, si provvederà alla nomina del consiglio di gestione. Il cui presidente dovrebbe essere Gabriele Galateri di Genola, con Alberto Nagel amministratore delegato e Renato Pagliaro direttore generale. Ma se per quella data si dovesse firmare il contratto definitivo tra la Telco e Olimpia, come auspica il presidente di Telefonica Cesar Alierta, allora Galateri potrebbe non essere nominato in Mediobanca e passare direttamente in Telecom. Sempre che ci sia il consenso della maggioranza degli azionisti Telco, tra cui figura anche Intesa Sanpaolo. Ma nell'attesa che si verifichi il passaggio del testimone tra i vecchi e i nuovi azionisti, l'azienda di tlc attraversa un periodo molto travagliato. Ieri i sindacati interni hanno scritto al presidente Pasquale Pistorio per chiedere "una informazione dell'azienda relativa alle notizie di stampa circa una presunta erogazione di premi per decine di milioni di euro alle fasce dirigenziali che, se confermate, rischiano di dare l'idea di un gruppo nel quale, a fronte di un arretramento dei dati di bilancio 2006, persisterebbe una generosità eccessiva nei confronti dei dirigenti". In sostanza i 70 mila dipendenti Telecom hanno scoperto che il Premio di risultato 2006 è stato loro negato, mentre ai dirigenti sono stati erogati circa 50 milioni. Non solo. Gli 80 milioni che erano stati accantonati per far fronte ai premi 2006 sono rimasti intatti e rappresentano una riserva per il bilancio 2007. Inoltre per le "risorse strategiche" dell'azienda, che nel bilancio 2006 erano rappresentate da dieci dirigenti superpagati (Buora, Ruggiero, Bracco, Parazzini, Castelli, Chiappetta, Luciani, Pileri, Grijuela, Spreafico), sono stati stanziati altri 50 milioni circa sotto forma di "oneri per esodi". Si tratta di una sorta di paracadute per l'attuale prima linea nel caso i nuovi azionisti dovessero provvedere alla loro sostituzione. Infine, l'ultima assemblea ha approvato un piano di assegnazione gratuita di 25 milioni di azioni Telecom (valore di mercato 50 milioni) che l'azienda acquisterà sul mercato e poi assegnerà ad alcuni dirigenti. Fonti interne stimano che già nel 2007 il beneficio per i fortunati destinatari delle azioni sarà di 15 milioni. Su questo punto, particolarmente delicato, si registrò in assemblea l'astensione dal voto della Banca d'Italia e ora anche la Consob potrebbe mettere gli occhi sulla questione. Insomma, pare proprio che la divaricazione in Telecom tra una "casta" di superdirigenti e la massa dei dipendenti si sia allargata a dismisura e sia diventata una questione che Pistorio non potrà liquidare tanto facilmente. "Un'azienda che premia azionisti e dirigenti e scarica l'insieme delle compatibilità sui lavoratori rischia di non essere credibile e creduta, e ciò sarebbe grave ? scrive il sindacato ? Il processo di risanamento finanziario di Telecom deve essere governato con trasparenza e con equilibrio".


 

Il Mattino di Padova 8-6-2007Perquisiti ufficio e alloggio del generale L'alto ufficiale dei carabinieri Carlo Mori inquisito nell'inchiesta sulla massoneria Indagini dirette dal pm Henry Woodcock della Procura di Potenza Perquisito l'alloggio di via Rismondo e anche il suo ufficio di Prato della Valle Di Enzo Bordin.

 

Stiamo parlando del generale dei carabinieri Carlo Mori, comandante del Raggruppamento tecnico-logistico-amministrativo (Rtla), indagato nelle pieghe dell'inchiesta su logge massoniche e affari coordinata dal pm della Procura di Potenza, Henry John Woodcock. Alla "perquisa", effettuata martedì pomeriggio, erano presenti il colonnello Salvatore Musso, comandante provinciale dei carabinieri di Padova, e il maggiore Federico Peri, comandante del nucleo operativo dell'Arma. In questa storia, sulla quale si sta cercando di fare chiarezza, risultano coinvolti politici e funzionari pubblici, soprattutto livornesi. E siamo solo al primo round. Ancora una volta lo spettro della massoneria incombe su scorridori d'affari legati alla politica tramite logge dove venivano svolte attività direttive in grado "d'interferire sull'esercizio delle funzioni di organi istituzionali, di amministrazioni ed enti pubblici anche economici nonché di servizi pubblici essenziali d'interesse nazionale". Soggetti in profumo di affarismi ottenuti tramite la pianificazione d'interventi "diretti ad accaparrarsi appalti, concessioni o risorse pubbliche sfruttando legami ed entrature scaturiti da rapporti di natura massonica". E' la terza mossa giudiziaria del pm Woodcock, dopo l'arresto del principe Vittorio Emanuele di Savoia e l'inchiesta su Valettopoli entro cui è rimasto intrappolato il re dei paparazzi Fabrizio Corona. Quest'ultima indagine dal collare massonico nasce dalle "dritte" agli inquirenti del faccendiere con ventilate credenziali nei servizi segreti Massimo Pizza, arrestato nei crespi sulle grandi truffe ad imprenditori e coinvolto nell'inquietante Somalia-gate. Il magistrato anglo-napoletano inizia ad approfondire le varie facce della massoneria, a cominciare da quella legale. A tal fine chiede a 103 prefetture italiane gli elenchi degli iscritti alle logge massoniche. Ma sarà arduo averli tutti, non sussistendo più l'obbligo di comunicarli alla polizia. Intanto però il pm ipotizza un capo d'imputazione di partenza: associazione a delinquere finalizzata alla violazione della legge Anselmi contro le associazioni segrete, motivata motivato in 380 pagine coi nomi di 24 inquisiti, date, luoghi e circostanze. E lunedì scorso i suoi fidi ufficiali di pg partono da Potenza alla volta di varie località italiane, perquisendo sedi di associazioni e partiti, abitazioni private e uffici, per lo più a Livorno. Arrivano anche nella città del Santo, dal cui ufficio il generale Mori può ammirare lo stupendo scenario di Prato della Valle. Il magistrato inquirente scrive che alcune riunioni si sarebbero svolte "nella sede dell'Udc di Livorno" per discutere di affari di "dubbia liceità". Tra gli indagati, oltre al generale Mori, spiccano i nomi di Giampiero Del Gamba, iscritto con tessera 863 alla vecchia P2 di Licio Gelli, e dell'ex parlamentare Emo Danesi, tesserato 752. E c'è pure Paolo Togni, collaboratore del Ministero dell'Ambiente ai tempi di Mattioli.


 

La Repubblica 8-6-2007 Crac Finmek, buco da un miliardo Arrestati Fulchir e quattro manager Il blitz all'alba della Gdf di Venezia. Indagato Roberto Tronchetti Le accuse sono di associazione per delinquere, falso in bilancio, riciclaggio, bancarotta, aggiotaggio.

 

Il default dei bond emessi da Caboto (Banca Intesa) per 150 milioni ha coinvolto i risparmiatori Esperto di aziende tlc nel tempo aveva rilevato l'ex Olivetti, la Telit e alcuni rami della Italtel ETTORE LIVINI DAL NOSTRO INVIATO MESTRE - Cinque ex manager arrestati, decine di indagati. Tre persone (di passaporto italiano ma residenti all'estero) ufficialmente latitanti. Dopo due anni di indagini, il lavoro dei magistrati sul crac della Finmek è arrivato a una svolta. Il nucleo della polizia tributaria di Venezia guidato dal colonnello Giulio Piller ha bussato alle quattro di ieri mattina alla porta della casa di Carlo Fulchir, l'ex numero uno del gruppo, a Buia, a due passi da Udine. In anticamera erano pronte le valige per una crociera programmata da tempo assieme alla moglie Doris Nicolosi. Ma i due hanno dovuto cambiare programma. I finanzieri li hanno trasferiti in carcere, dove sono finiti anche il fratello di Fulchir, Loreto, e due ex dirigenti del gruppo informatico, Paolo Campagnolo e Guido Sommella, secondo il provvedimento emesso dal gip Cristina Cavaggion su richiesta del pm Paola De Franceschi che ha condotto le indagini. Le accuse (riassunte nelle 250 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare) sono gravissime: associazione per delinquere, bancarotta, falso in bilancio, riciclaggio (per 17 milioni), malversazione ai danni dello Stato, aggiotaggio e appropriazione indebita. Tra gli indagati (con l'accusa di concorso in bancarotta) c'è anche Roberto Tronchetti Provera, fratello dell'ex numero uno di Telecom Italia, per un paio d'anni presidente della Finmek. Gli elementi raccolti dal pool della polizia tributaria lagunare (guidato dal colonnello Pier Luigi Pisano e dal tenente Francesco Mora) disegnano un quadro inquietante. In base all'accusa, Fulchir e i suoi compagni d'avventura avrebbero sistematicamente svuotato le casse della società e delle sue controllate, distraendo 150 milioni di euro, creando voci di bilancio fittizie per 650 milioni ed emettendo fatture false per 140 milioni. In tutto un buco da un miliardo che ha affondato l'intera galassia Finmek, finita in amministrazione straordinaria a fine 2004, lasciando 6mila persone senza lavoro e mandando in fumo in 150 milioni di bond emessi nel 2001 da Caboto Banca Intesa e sottoscritti da un migliaio di risparmiatori. Il responsabile numero uno del crac - secondo le carte degli inquirenti - sarebbe proprio Carlo Fulchir, l'ex enfant prodige dell'informatica italiana che grazie a una rete di relazioni bipartisan e a una grande capacità di comunicazione si era candidato a fine millennio al ruolo di risanatore dell'informatica nazionale, rilevando per un piatto di lenticchie aziende in crisi (dagli ex pc Olivetti alla Telit fino ad alcuni rami d'impresa di Italtel) per rilanciarli. Strada facendo si era guadagnato - secondo la Finanza - il ruolo di consulente dell'innovazione nel governo D'Alema, aveva aperto il cda della sua Mekfin a Umberto Minopoli uomo di Bersani, ma strizzando però l'occhio anche al fronte opposto entrando nell'azionariato del Domenicale di Marcello Dell'Utri. Il sogno del polo elettronico italiano - oliato anche da 10 milioni di contributi pubblici per progetti poi mai realizzati - si è però rivelato subito un bluff. Le aziende sono andate in crisi, i dipendenti sono rimasti per strada mentre Fulchir - secondo l'accusa - ha spolpato le società trasferendo i soldi nei suoi conti svizzeri. Lo schema era articolato. Fulchir girava i soldi in alcune società estere grazie a contratti di consulenza fittizi, a vendite di materiali e magazzini inesistenti o accendendo finanziamenti. I contanti finivano poi in un vorticoso giro di conti correnti, da Londra alle Bahamas fino alla Svizzera, dove entravano nelle disponibilità personali del manager e di sua moglie. Gli altri arrestati sarebbero invece responsabili solo di aver avvallato il meccanismo con le loro firme. I primi a sentire puzza di bruciato sono stati nel 2003 gli uomini della Deloitte. I revisori hanno avvisato la magistratura di questi strani movimenti e gli inquirenti, dopo aver passato al setaccio 713 conti correnti (20 all'estero) e dopo 17mila ore d'intercettazione, 8 rogatorie sono entrati ieri in azione per evitare la dispersione di prove. Quanto sarà possibile recuperare? Un mese fa erano stati già congelati beni per 14 milioni di euro. E secondo la polizia tributaria all'appello mancherebbero almeno un altro centinaio di milioni spariti nel dedalo di conti esteri degli imputati. Gli inquirenti sono ancora in attesa dei risultati di nuove rogatorie che potrebbero consentire di recuperare almeno un altro pezzo del tesoretto di Fulchir.


INDICE 7-6-2007

+ Il Corriere della Sera 7-6-2007 Piano contro i costi della politica. Menichini (Europa): bene, ma distinguere i fogli falsi da quelli veri. Poidomani (Unità): fondi a chi davvero rappresenta una forza.  Mario Sensini 1

+ La Repubblica 7-6-2007 Basilicata, "un comitato d'affari" Perquisiti Bubbico (ds) e il Pg Tufano L'inchiesta "toghe lucane" coordinata dal pm di Catanzaro De Magistris  Gli accusati avrebbero costituito un "vero e proprio centro di affari occulto". Tra le ipotesi di reato abuso d'ufficio, corruzione in atti giudiziari e associazione per delinquere  2

Europa 7-6-2007 Scuola, medici, questura: chi osa affrontare i ragazzi di undici anni che si drogano FEDERICO ORLANDO RISPONDE  3

Il Sole 24 Ore 6-6-2007 Il Senato: sì all'odg dell'Unione No alle mozioni Cdl e Lega Padoa-Schioppa attacca Speciale: «Corpo separato». 3

Europa 7-6-2007 Ora arriva l’altra onda di fango  6

Il Corriere della sera 7-6-2007 UNA VITTORIA EFFIMERA di PIERLUIGI BATTISTA  6

La Repubblica 7-6-2007 IL COMMENTO Il sintomo dell'infezione di GIUSEPPE D'AVANZO  7

L’Unità 7-6-2007 Discorso Speciale Marco Travaglio Questo è il discorso che ieri Prodi non ha pronunciato al Senato  8

Italia Oggi 7-6-2007  Dal mese di luglio a oggi ecco la cronistoria dello scontro tra Visco e il generale Speciale. Tutte le carte che raccontano undici mesi di faccia a faccia Pubblichiamo la seconda parte della ricostruzione raccolta dal presidente della commissione difesa del senato, Sergio De Gregorio, sulla vicenda Visco-Speciale. 9

La Repubblica 7-6-2007 IL CASO Assegni firmati dal senatore in casa di un camorrista: "Chiarirò tutto. è singolare che mi colpiscano dopo le mie parole a favore di Pollari e Speciale" Riciclaggio, indagato De Gregorio: "Attacco politico" "Pago per aver difeso le istituzioni ma non si illuda chi pensa di azzopparmi" ROBERTO FUCCILLO  12

Marketpress.info 7-6-2007 In vista dell'adozione di una relazione sulla roadmap per il processo costituzionale europeo, si è tenuto in Aula un ampio dibattito cui hanno partecipato Presidenza e Commissione e che ha visto opporsi difensori e avversari del trattato costituzionale. 12

Il Riformista 7-6-2007 D’Alema, la «spazzatura» e i conti sbagliati dei Ds di Stefano Cappellini 15

Il Sole 24 Ore 6-6-2007 Tassi Bce al 4%. Trichet: «Tutte le opzioni aperte per il futuro» P. F. 16

Il Secolo XIX  7-6-2007 Caso Roberto Calvi. A 25 anni dal delitto Tutti assolti al processo che ha smentito le indagini inglesi: "Suicidio" Pasquale Faiella  16

 


+ Il Corriere della Sera 7-6-2007 Piano contro i costi della politica. Menichini (Europa): bene, ma distinguere i fogli falsi da quelli veri. Poidomani (Unità): fondi a chi davvero rappresenta una forza.  Mario Sensini

 

Tagli anche ai giornali di partito Levi: entro giugno una riforma organica. La lente della Finanza sugli sprechi ROMA- Non ci saranno sconti neanche per il futuro Partito Democratico. I soldi andranno all'uno o all'altro, non a tutti e due i quotidiani di Ds e Margherita. A meno che non facciano una bella fusione. "Il governo ce l'ha già detto: quando arriverà il nuovo partito non potrà continuare a dare contributi pubblici a tutti e due. A Europa che è espressione della Margherita, e a noi che siamo organo dei gruppi parlamentari dei Ds" racconta Giorgio Poidomani, amministratore delegato della società editrice dell'Unità. Che comunque, fatta salva quella prospettiva sicuramente problematica, è assolutamente ben disposto ad accogliere il riordino delle provvidenze pubbliche a favore dell'editoria annunciato ieri dal governo. "è ora che i finanziamenti vadano ai giornali veri, espressione di partiti veri, che vendono copie vere. O alle vere cooperative di giornalisti" dice Poidomani. ENTRO GIUGNO IL DDL Il riordino, al quale lavora da un anno il sottosegretario alla Presidenza, Ricardo Levi, entrerà nel pacchetto di misure per l'abbattimento dei costi della politica che il ministro dell'Attuazione del programma, Giulio Santagata, ha confermato per fine giugno. Farà compagnia ai nuovi criteri per la definizione delle province, delle comunità montane, delle circoscrizioni, a quelli per snellire i consigli regionali, comunali e provinciali, per ridurre i benefit e le indennità. E forse anche ministri e sottosegretari, perché Santagata ammette che con 26 dei primi e 104 dei secondi, anche il governo di cui fa parte "ha esagerato. Sui costi della politica bisogna dare un segnale urgente, perché il rischio del distacco dei cittadini è grande e sotto gli occhi di tutti". RIFORMA ORGANICA Anche di chi si chiede come mai Torino Cronaca prenda dallo Stato quasi 3 milioni di euro in quanto espressione di un movimento politico, come il Foglio e il Riformista, ma anche come il Roma di Napoli, il Denaro, Metropoli Day, e Libero. Di chi si domanda se sia giusto che anche il mensile con i programmi che Sky invia ai suoi abbonati, in quanto prodotto editoriale, riceva le agevolazioni previste sulle tariffe postali (25 milioni di euro l'anno). O semplicemente come mai i contributi pubblici siano esplosi in 20 anni: da 28 milioni di euro del 1980 agli oltre 600 di oggi. Via alla riforma, dunque. "Che sarà organica, e riguarderà tutti gli aspetti dell'industria editoriale: il prodotto, il mercato, le imprese, e ovviamente gli aiuti" spiega Levi. Si stabilirà con precisione cosa è un prodotto editoriale, perché è dubbio che lo siano, come sono oggi considerati, e quindi agevolati, i cosiddetti "collaterali", dai dvd agli aerei da montare. I contributi alle cooperative resteranno, ma a quelle vere, composte dai giornalisti e dai dipendenti. Mettendo fine al caos generato dalla sanatoria del 2001, quando si decise che per continuare ad avere contributi i giornali espressione dei "movimenti politici" (bastavano due parlamentari) dovevano essere trasformati in cooperative anche spurie, cioè con soci azionisti e non lavoratori. Resteranno, ovviamente, i contributi ai quotidiani politici, tutelati in nome della libertà d'espressione dalla Costituzione. "Ma, anche qui, dobbiamo chiarire cosa si debba intendere per un organo legato ad un gruppo politico" spiega Levi. Soprattutto, poi, ci saranno parametri industriali per calcolare l'entità delle sovvenzioni. "Che saranno legate - aggiunge il sottosegretario - al numero effettivo di copie stampate e realmente diffuse, ma anche all'occupazione effettiva". LA FINANZA AL LAVORO Oggi il criterio per stabilire il "quantum" del contributo è facilissimo da aggirare. Basta stampare migliaia di copie e magari lasciarle in un deposito. Oppure regalarle. O venderle in blocchi ad aziende come le Fs, Alitalia, ospedali, catene alberghiere, che poi li distribuiscono gratuitamente ai loro clienti, a prezzi irrisori. "Criteri non sempre trasparenti" ammette Santagata. Tanto che due mesi fa il governo ha chiesto alla Guardia di Finanza, di distaccare un nucleo di ispettori al Dipartimento dell'Editoria, per evitare possibili truffe. Paolo Franchi, direttore de Il Riformista, organo del movimento Ragioni del Socialismo, concorda. "Dal mio punto di vista è giusto mettere ordine con regole chiare e trasparenti. Purché ci si renda conto che la tutela di una voce piccola, ma di peso, non è lo stesso problema dell'auto blu usata dal nipote dell'assessore" dice Franchi. "Da questa riforma noi abbiamo tutto da guadagnare" concorda Stefano Menichini, direttore di Europa. "Lo scenario - aggiunge - è ignobile: i soldi li prendono tutti, giornali veri e falsi, chi vende e chi non s'è mai visto in edicola, chi è espressione di veri partiti e chi lo è di sole due persone". "Però dobbiamo parlare anche della grande stampa. Il grosso delle agevolazioni - dice Poidomani - va lì. Mi chiedo se anche questo è giusto".

 


+ La Repubblica 7-6-2007 Basilicata, "un comitato d'affari" Perquisiti Bubbico (ds) e il Pg Tufano L'inchiesta "toghe lucane" coordinata dal pm di Catanzaro De Magistris  Gli accusati avrebbero costituito un "vero e proprio centro di affari occulto". Tra le ipotesi di reato abuso d'ufficio, corruzione in atti giudiziari e associazione per delinquere

 


POTENZA - Un "comitato d'affari" comprendente politici, magistrati, avvocati, imprenditori e funzionari avrebbe festito grosse operazioni economiche in Basilicata. La guardia di Finanza sta perquisendo le abitazioni e gli uffici del sottosegretario allo Sviluppo economico, Filippo Bubbico (Ds), del procuratore generale di Potenza, Vincenzo Tufano, dell'avvocato Giuseppe Labriola e della dirigente della squadra mobile di Potenza, Luisa Fasano. L'inchiesta, denominata "toghe lucane", è condotta dal pm di Catanzaro, Luigi De Magistris.

Le ipotesi di reato sono quelle di abuso d'ufficio per Tufano; corruzione in atti giudiziari e associazione per delinquere per Labriola; abuso d'ufficio per Fasano; abuso d'ufficio, associazione per delinquere e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche per Bubbico che è stato presidente della Regione Basilicata. Gli accusati avrebbero costituito un "vero e proprio centro di affari occulto", che tutelava "interessi personali e di gruppi".

Nell'inchiesta sono indagati uomini politici, amministratori, imprenditori, funzionari e magistrati in servizio in Basilicata (fra questi ultimi, uno ha lasciato la magistratura e altri sono già stati trasferiti in altre sedi dal Consiglio Superiore della Magistratura).

Bubbico, si legge nel decreto di perquisizione redatto dal pm di Catanzaro De Magistris, è "il punto di riferimento politico apicale, unitamente ad altri appartenenti alla politica", nel "comitato di affari" al centro dell'inchiesta. L'inchiesta avrebbe messo in luce, sempre a carico di Bubbico - che è stato presidente della Giunta regionale della Basilicata nella passata legislatura - "una logica trasversale negli schieramenti", con il "collante degli affari".
Mentre il procuratore Generale della Repubblica di Potenza, Vincenzo Tufano, era "il punto di riferimento" per avvocati e magistrati che volevano difendere "i 'poteri forti' operanti in Basilicata".

(7 giugno 2007)


Europa 7-6-2007 Scuola, medici, questura: chi osa affrontare i ragazzi di undici anni che si drogano FEDERICO ORLANDO RISPONDE

              Cara Europa, leggo che la Sip (non la vecchia società telefonica ma la Società italiana di psicologia) ha denunciato il drammatico abbassamento a 11 anni dell’età in cui i ragazzi si avvicinano al loro primo spinello. Il nuovo rischio, oltre quello insito nel fatto stesso, è che la nuova cannabis o marijuana è geneticamente modificata, prodotta in Albania, a prezzi stracciati.
Ministri, presidi, professori, medici, poliziotti, dovrebbero essere tutti nel problema. O ne restano fuori? ANGHELINA PODESTÀ, MILANO

Cara Anghelina, probabilmente lei ha figli in età. In questo caso, avrebbe dimenticato di inserire al primo posto, nell’elenco degli emeriti di cui vuol sapere se sono nel problema o fuori, i papà e le mamme. Comunque fa bene a lanciare l’allarme, che già comincia a risuonare anche su giornali ben più diffusi del nostro. L’allarme riguarda non solo l’abbassamento dell’età, ma anche la qualità della droga. Sull’età, l’allarme più vibrante l’ha lanciato, con un libro appena presentato a Roma e tra qualche giorno a Milano, la mia carissima amica e collega Marida Lombardo Pijola, del Messaggero, che ha figli dell’età dei miei nipoti più piccoli. Il libro, presentato a Roma da docenti e psichiatri infantili, si intitola Ho dodici anni, faccio la cubista, mi chiamano principessa: è uno spaventoso documento del divertimento adolescenziale fra balli, droga e sesso a pagamento dopo la lap dance, nelle discoteche pomeridiane per soli ragazzi, gestite da ragazzi più grandi che fanno tanti soldi trasformando le ragazzine in puttane e i ragazzini in candidati alle malattie mentali. Avessimo un governo, metterei insieme i ministri dell’istruzione, della salute, degli affari sociali, della gioventù e, perché no, dell’interno (altro che ripulire la Salaria) ; e farei acquistare tanti milioni di copie di quel libro quante sono le famiglie che hanno figli negli ultimi anni delle elementari e nei primi della scuola media: una befana per tutte, così imparerebbero quel che fingono di non sapere, e cioè cosa fanno i figli mentre papà e mamme lavorano o si distraggono a loro volta, come vuole il costume della deresponsabilizzazione.
Certo, la mia ideuzza comporterebbe qualche fatica in più per i professori e soprattutto per i presidi, sempre pronti a dire No ai Nas nelle scuole, ma lo stipendio debbono pur meritarselo. Naturalmente, non è coi Nas in classe che si risolve il dramma della droga, i Nas potrebbero aggirarsi fuori delle scuole. Nelle aule dovrebbero operare gli uomini e le donne della scuola.
Senza mandare i ragazzi nei centri di disintossicazione dei cocainomani e degli eroinomani, dove magari gli danno il metadone; ma avvertendo la famiglia e, quando questa è sorda, i “correzionali”, come si diceva una volta, con esemplari sospensioni dalla scuola. Senza dimenticare che vendere spinelli geneticamente modificati, che contengono fino al 50 per cento in più di thc (il principio attivo), può essere assimilato ai reati gravi contro la persona.


 

Il Sole 24 Ore 6-6-2007 Il Senato: sì all'odg dell'Unione No alle mozioni Cdl e Lega Padoa-Schioppa attacca Speciale: «Corpo separato».

 

Il testo integrale della replica di Padoa Schioppa (6-6-07)

 

Seguono: Mozioni e Ordini del giorno

 

Il Governo ha retto dopo una maratona conclusasi oltre le 23. L'ordine del giorno presentato da tutti i capigruppo dell'Unione ha ottenuto la maggioranza. La Cdl, contestando che parte del testo fosse preclusa da una precedente votazione (l'apprezzamento sull'operato della Guardia di Finanza), non ha partecipato al voto. La mozione della Cdl con la richiesta di revoca di tutte le deleghe al vice ministro dell'Economia è stata respinta con 155 voti a favore e 160 contrari (315 i presenti e votanti, 158 la maggioranza richiesta). Identica sorte anche per la mozione della Lega. Respinti anche tutti gli ordini del giorno.

L'intervento del ministro Padoa Schioppa

Poche parole e subito il ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa, è stato interrotto dal vociare dell'Aula. Una bagarre che ha raggiunto il culmine quando i senatori della Cdl, tutti in piedi, hanno cominciato ad agitare fogli con su scritto "ridateci la democrazia" e manifesti accompagnati dalla scritta «Don Vincenzo Visco, il padrino». Il presidente Marini ha interrotto la seduta per alcuni minuti voci.
Dopo alcuni minuti l'avvio, faticoso, dell'intervento.

L'intervento del ministro
«L'obbiettivo dominante del mio comportamento in questo delicatissimo circostanza è stato restituire serenità e fiducia alla Guardia di Finanzia».
Il governo è intervenuto nel momento in cui «la situazione è diventata insostenibile». Lo ha detto il ministro dell'Economia, Tomaso Padoa-Schioppa: «Ora è necessario un rapporto corretto tra ordine militare e ordine politico».
«La continua distorsione di regole e procedure ha portato il corpo dall'autonomia alla separatezza». «Tutta la vicenda - ha sottolineato il ministro - è stata caratterizzata da assenza di comunicazione serena e cooperativa, da mancanza di trasparenza, prudenza e riservatezza, dal venir meno delle regole etiche e deontologiche».
Visco non ha rivolto alcuna minaccia al generale Speciale. «Queste minacce - ha detto Padoa-Schioppa - se fossero state vere, Speciale avrebbe dovuto denunciarle subito. Ma - ha aggiunto - non erano tali e questo spiega perchè il procuratore
generale non le ha prese in considerazione nelle sue decisioni». È «inqualificabile che le telefonate tra il comandante Speciale e il vice ministro fossero fatte ascoltare in viva voce dal colonnello Carbone e dal maggiore Cosentino».
Opacità nei comportamenti, gestione personalistica, scontri, malessere generale. Questi gli addebiti che il ministro ha rivolto al comandante generale della Guardia di Finanza Roberto Speciale, ricordando anche la necessità di quella che ha definito «arte del comando».
«Là dove sono i generali o i colonnelli a determinare la sorte dei governanti e non viceversa siamo fuori della democrazia». Padoa-Schioppa ha ricordato che, «se un prefetto viene rimosso, non rimane neppure un momento al comando della sua
prefettura senza l'avallo del Viminale». «In guerra e in pace - ha aggiunto - la politica è
intervenuta per rimuovere un comando. McArthur fu rimosso durante una guerra».
Infine il ministro ha espresso il parere favorevole del Governo esclusivamente sull' ordine del giorno firmato dai capigruppo della maggioranza in Senato. Invito al ritiro o, in alternativa, parere negativo per tutti gli altri documenti presentati dai senatori dell' opposizione.
Il ministro ha concluso il suo intervento con una citazione. «Dice Eraclito: combattere a difesa della legge è necessario per il popolo proprio come la difesa delle mura. Ritengo di avere combattuto a difesa della legge affinchè la difesa delle mura continui a svolgersi nel modo migliore»
Le proteste
L'intervento del ministro Padoa-Schioppa si è concluso tra le proteste della CdL, mentre i senatori della maggioranza si sono alzati battendo le mani.
Gli applausi si sono accompagnati così alle grida di «buffone!buffone!» che si sono alzate dai banchi dell'opposizione. Poco prima che concludesse la sua relazione il ministro aveva fatto andare gli esponenti della CdL su tutte le furie accusandoli di fare «schiamazzi». «Tanto gli italiani - ha detto il ministro riferendosi alla diretta Tv che è stata data per questa seduta di palazzo Madama - riescono a sentire solo la mia voce e non tutti questi schiamazzi!». I senatori del centrodestra, che già stavano
protestando, alla parola 'schiamazzì hanno alzato ancora di più la voce fino ad arrivare al coro di «buffone!buffone!» che ha siglato la relazione di Padoa-Schioppa.
La cronaca della giornata
La giornata è stata davvero complicata e lunga.
Alle 9.30 è cominciata la discussione generale su mozioni, ordine del giorno e interpellanze e la Cdl ha subito chiesto chiarimenti sulla questione della correttezza delle procedure di nomina del nuovo comandante Cosimo D'Arrigo. Roberto Calderoli ha sostenuto che ieri la Corte dei Conti avrebbe rinviato a Palazzo Chigi il provvedimento di nomina di D'Arrigo e la revoca di Roberto Speciale. Il Presidente del Senato, Franco Marini, ha precisato che «il decreto non è stato respinto dalla Corte dei Conti, è all'esame», anche «se non è stato ancora registrato». Ma il centrodestra ha insistito sulla necessità di avere chiarezza sul decreto di nomina del nuovo comandante della Guardia di Finanza e sulla revoca di Roberto Speciale. E per questo ha chiesto al Presidente Marini di sospendere i lavori dell'Aula e convocare d'urgenza la conferenza dei capigruppo. La richiesta è stata accetta. La capigruppo si è riunita e ha deciso la riprese della seduta con il dibattito seguendo le modalità che erano stabilite ieri all'unanimità dalla stessa conferenza. Sono stati confermati anche i tempi preventivati per il dibattito: per le 19.40 è fissata la replica del Governo con il ministro dell' Economia Tommaso Padoa-Schioppa e il voto è previsto non prima delle 22.00.
Nella ripresa pomeridiana della seduta Roberto Calderoli ha richiesto di avere il decreto che «il Presidente della Repubblica ha trasmesso alla Corte dei conti» relativo alla rimozione del Generale Speciale e che «non è stato secretato».
I due schieramenti si confrontano con voto palese attraverso le due mozioni del centrodestra e l'odg del centrosinistra. Quest'ultimo oltreché esprimere «apprezzamento» per l'operato delle Fiamme gialle, sottolinea la «condivisione» dell'operato del Governo. La mozione della Cdl, oltre a chiedere il ritiro di tutte le deleghe a Visco, impegna l'Esecutivo a rispettare le procedure di revoca e conferimento di incarichi perché ritiene che Palazzo Chigi abbia agito non correttamente, non essendoci un atto di revoca per il generale Roberto Speciale. C'è poi la mozione a firma di Calderoli, della Lega, di solidarietà a Speciale e sempre Calderoli ha presentato tre odg. Mentre il Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga è firmatario di due interpellanze.
Nel centrosinistra sono rientrate le possibile defezioni di due senatori Prc, per malattia e anche i dubbi dell'Idv sono superati. Tra i senatori a vita dovrebbero essere in Aula Emilio Colombo, che vota con la maggioranza e Giulio Andreotti, il quale non ha ancora sciolto la riserva sulle sue intenzioni.
Oltre al nodo politico, al centro della discussione resta quello procedurale sulla sostituzione di Speciale. La Cdl accusa: c'è il decreto di nomina di D'Arrigo, ma non quello di revoca di Speciale. Roberto Calderoli insiste: «so per certo che la Corte dei conti ha respinto il provvedimento con cui si sostituisce il vertice della Guardia di finanza». Ma Palazzo Chigi già ieri sera aveva precisato: si tratta di tempi tecnici, «il provvedimento di sostituzione del vertice della Guardia di finanza è in corso di registrazione alla Corte dei conti». La Corte, a sua volta, fa sapere che nessuna decisione, ancora, è stata presa. Il ragionamento dell'opposizione è chiaro: non si può registrare la nomina del nuovo comandante della Gdf quando non esiste un atto ufficiale di destituzione del precedente. E solo se Speciale avesse accettato il nuovo incarico, il suo posto sarebbe rimasto vacante, e quindi il cambio di guardia sarebbe potuto avvenire senza contrattempi. La maggioranza controbatte che il testo del decreto è «pienamente in linea» con analoghe nomine decise in passato e fa notare che lo stesso Speciale ha infine accettato la decisione del Governo, rinunciando ad opporvisi per via giudiziaria

 

Mozioni e Ordini del giorno

Sono 2 mozioni e 8 ordini del giorno (cinque dei quali del leghista Roberto Calderoli) sulla vicenda Visco-GdF i documenti che saranno posti in votazione questa
sera, in Senato. Ecco chi li ha presentati e cosa chiedono al governo.
MOZIONI -
1) CDL - Chiede di revocare tutte le deleghe assegnate al viceministro dell'Economia Vincenzo Visco. Impegna il governo a rispettare rigorosamente le procedure giuridiche e amministrative riguardanti la revoca e i conferimenti di incarichi pubblici. Il documento, tra l'altro, fa notare che dagli atti dell'intera vicenda Visco-Speciale mancherebbe il provvedimento di revoca dell'incarico di guida della GdF e quindi ci sarebbe una «anomala situazione di incertezza ai vertici delle Fiamme Gialle» con presenza di due comandanti generali.
2) LEGA (Calderoli) - La mozione della Lega impegna il governo ad esprimere la fiducia sull'operazione del Corpo della Guardia di Finanza e dei suoi alti vertici della catena di comando. Qualora fosse bocciato - ha detto in Aula Roberto Calderoli - i nuovi vertici della GdF dovrebbero prenderne atto e dimettersi.
ORDINI DEL GIORNO -
1) UNIONE - Il testo della maggioranza afferma che il Senato condivide l'operato del governo ed esprime pieno apprezzamento per il ruolo che svolge la Gdf, essenziale per l'ordine democratico e l'equità fiscale. Il documento porta le firme di tutti i capigruppo della maggioranza compresa quella del senatore Roberto Manzione che aveva presentato nei giorni scorsi un Odg, poi ritirato, che chiedeva chiarezza sul comportamento del ministro.
2) CDL - Impegna il governo a rispettare la legge del '59 che afferma che il Corpo della GdF dipende direttamente a tutti gli effetti dal ministro delle Finanze.
3) LEGA (Calderoli) - Impegna il governo ad esprimere solidarietà e apprezzamento alla Gdf.
4) FI (Massidda) - Chiede al governo di accogliere la richiesta del generale Speciale di rimanere in carica almeno fino al 21 giugno, giorno della festa della GdF.
5) LEGA (Calderoli) - Chiede al governo di non procedere a nomine in assenza di dimissioni o di revoca di rispetti titolari che portino come conseguenza alla preposizione di due generali al comando della Gdf.
6) LEGA (Calderoli) - L'Odg sostiene che vi è la possibilità che l'azione del Governo nella questione Visco-Gdf possa determinare un contenzioso sul decreto del presidente della Repubblica. Il documento impegna il Governo, per salvaguardare le alte cariche istituzionali, a trarre le conseguenze, anche politiche dell'accaduto«.
7) LEGA (Calderoli) - Impegna il governo ad esprimere apprezzamento nei confronti dell'operato del corpo della GdF.
8) LEGA (Caledroli) - Impegna il governo ad esprimere apprezzamento nei confronti della GdF e a promuove una politica di riduzione fiscale e di sostegno delle fasce più deboli.

 


 

Europa 7-6-2007 Ora arriva l’altra onda di fango

La coalizione di centrosinistra esce dall’ennesima resa dei conti di palazzo Madama. Il voto che conferma la linea del governo sul caso Speciale arriva peraltro al termine di una giornata al di sotto delle attese, se fra le attese c’era uno scontro al calor bianco nell’aula di palazzo Madama. C’è stata la parentesi della gazzarra della destra durante il discorso di Padoa- Schioppa, e poi una serie di interventi finali pieni di propaganda ma abbastanza approssimativi: tutto qui, neanche la Casa delle libertà è sembrata voler premere più di tanto il pedale sull’acceleratore della crisi.
Per paradosso, il dibattito si è incentrato alla fine più su meriti e demeriti del generale Speciale, che non sulla linea di condotta del viceministro congelato. L’amicizia con Fiorello non è bastata: l’ufficiale è uscito male dalla giornata. Prima ha ascoltato i senatori unionisti ripercorrere i suoi anni di autocrazia nel corpo. Poi s’è sentito rimbrottare dai leghisti per aver voluto “obbedire” alla destituzione. Infine è stato accusato di slealtà dal ministro dell’economia, quando questi ha finalmente spiegato la versione governativa della vicenda.
Per onestà, non tutto è stato chiarito fino in fondo e in maniera soddisfacente (a cominciare dalla famosa nomina alla Corte dei conti).
Ma Padoa Schioppa è uscito dal cliché dell’austerità e ha ingaggiato un autentico scontro con la Cdl, la quale si sarà forse pentita di avere offerto la platea televisiva alla requisitoria ministeriale.
Più o meno chiusa la partita Speciale, il mondo politico aspetta le seconde ondate di fango. Ieri, sorprendentemente, se n’è alzata una sulle pagine della Stampa a carico di D’Alema per una storia di conti esteri tanto vecchia quanto poco documentata. Arriveranno ad horas i testi delle telefonate dei dirigenti diessini all’epoca del caso Unipol: anche qui, una vicenda tanto sgradevole quanto datata.
L’aria è mefitica. C’è però l’impressione che se la destra affida solo a queste storie le speranze di rivalsa, riuscirà solo a inquinare l’acqua nella quale tutti nuotano.


 

Il Corriere della sera 7-6-2007 UNA VITTORIA EFFIMERA di PIERLUIGI BATTISTA

 

Per durare il governo deve ritrovare coesione Come era previsto, la maggioranza di governo non è stata battuta dal voto del Senato sul caso Visco-Speciale. Ma non esce indenne da una vicenda condotta in modo contraddittorio, confuso, impacciato. Evita con i numeri del Senato guai peggiori neutralizzando defezioni e malumori che pure serpeggiavano nella coalizione. Ma lascia dietro di sé un clima intossicato, un terreno costellato di trappole e virtuosismi nell'arte del doppiogioco, imbarazzi, silenzi, lealtà strappate obtorto collo e ottenute solo per scongiurare la fine traumatica della maggioranza. Il governo non cade, ma appare debole e sfibrato il primo elemento che dovrebbe cementarne se non l'unità e la concordia, almeno una fondamentale solidarietà: la fiducia reciproca tra gli alleati, la percezione di un percorso da affrontare insieme, per obiettivi che non siano la pura e semplice durata alimentata dal comune (questo sì) istinto di sopravvivenza. Non è la prima volta che la maggioranza di governo arriva al voto del Senato in affanno, gravata dalle divisioni che ne minano la compattezza. Ma in altre occasioni la divisione politica tra le sue componenti è sembrata chiara, articolata su contenuti contrapposti, motivata dalla persistenza di culture politiche diverse che non riescono a trovare composizione sui temi qualificanti della politica di governo (a cominciare dalla politica internazionale). Stavolta tutto appare più opaco, allusivo, non motivato da spaccature politiche che, sebbene rischino di compromettere l'adozione di indirizzi coerenti e univoci, comunque rimandano all'esistenza di anime e culture diverse che si affrontano apertamente (e talvolta rovinosamente). Stavolta le divisioni della maggioranza di governo rivelano nicchie di dissenso e di disimpegno malmostoso che attraversano tutte le forze politiche, anche con propaggini all'interno dei singoli partiti. Primo fra tutti quello che ancora formalmente non esiste ma costituisce ormai l'orizzonte politico e organizzativo irrinunciabile della parte maggioritaria della coalizione: il Partito democratico. Le forze che compongono la maggioranza saranno costrette a comprendere le ragioni di tanto malessere paralizzante, il perdurare di un umore diffuso nel governo che non rappresenta il migliore dei viatici per chi ogni giorno si mostra determinato a intraprendere un cammino di altri quattro anni. Dovranno approntare gli strumenti e le medicine per una cura disintossicante che liberi l'organismo del governo dal peso di un clima, di un'atmosfera, di uno stato d'animo che fanno gradualmente ma inesorabilmente venir meno le condizioni minime di una maggioranza di governo incapace di trovare le ragioni di una convivenza duratura. Alla fine, i voti determinanti per non affogare al Senato confluiscono, per disciplina o per disperazione, o per l'insieme di questi due fattori. Mai come in questa occasione si dimostra però che una vittoria effimera e aritmeticamente scontata non è sufficiente per ritrovare quel minimo di coesione indispensabile in un governo che, a poco più di un anno dal suo insediamento, deve dimostrare di non avere le batterie irrimediabilmente scariche. Senza proclami stentorei, sistematicamente smentiti da una quotidianità rissosa e discorde. E senza interpretare le sue divisioni come una fastidiosa e superabile escrescenza. Sempre più avvelenata, però.


 

La Repubblica 7-6-2007 IL COMMENTO Il sintomo dell'infezione di GIUSEPPE D'AVANZO

 

LO SPETTACOLO andato in scena al Senato è una danza macabra per il Paese, autolesionista per il Palazzo. Il governo salva la ghirba. La maggioranza c'è e si mostra compatta nell'approvare il comportamento dell'Esecutivo nell'"affare Speciale". Tirato il sospiro di sollievo, appare difficile tirare avanti come se non fosse successo niente o poco. Perché quel che è accaduto, in questi giorni, è ben più grave di una indecorosa rissa politica. È uno scricchiolio della nostra democrazia. Un comandante generale della Guardia di Finanza - appena ieri "sempre agli ordini" della discrezionalità di Giulio Tremonti e oggi scorretto, sleale, opaco con il nuovo governo, come sostiene il ministro Padoa-Schioppa - scatena un conflitto contro l'Esecutivo in carica. E collabora, laboriosissimo, alla preparazione di una trappola politica, favorita da qualche mossa grossolana del vice-ministro Visco e soprattutto, diciamo così, dall'amore per il quieto vivere del governo. L'interesse pubblico di questo affare non è nel cinismo del generale - fin troppo tardi rimandato a casa - né nella sua spregiudicata affezione alle fortune della destra a cui ha piegato la funzione pubblica e la dignità di soldato. Quel che più conta e preoccupa è che l'opposizione ritiene di usare questo imprudente ferro di bottega per manomettere l'equilibrio politico e disarcionare il governo eletto appena un anno fa. Che il centro-destra di Silvio Berlusconi ci riproverà è, purtroppo, una facile previsione. Il programma immediato dell'opposizione, a giudicare questo "caso Speciale", sembra prevedere la sostituzione del confronto politico con una "guerra" di rivelazioni scandalistiche, notizie manipolate, campagne di stampa alimentate da segmenti di apparati dello stato che si mettono al servizio di un interesse politico. Questa strategia l'abbiamo sotto gli occhi da anni. Le bufale Telekom Srbija e Mitrokhin non sono state altro. Altre bufale possono venire. Sono in giro nel sottosuolo del "mercato della politica" muffe e tossine che basta raccattare e gettare in faccia all'avversario accompagnando il gesto con un'adeguata grancassa mediatica. L'alambicco può distillare umori maligni a ogni passaggio critico del dibattito pubblico. Se ne è avuta una conferma, appena ieri, con il frammento di un dossier calunnioso per Massimo D'Alema. Organizzato da una grande agenzia di investigazione americana (Kroll) sulla base di "informazioni" raccolte dall'intelligence italiana, è stato diffuso dagli spioni della Telecom e consegnato - accreditato e ingrassato a dovere - di nuovo alla nostra intelligence. Dio solo sa che ci ha fatto o intendeva farne. Un test in più (come se ce ne fosse bisogno) della presenza nel sottosuolo del Palazzo di un network legale/clandestino incardinato in ambienti del Sismi di Nicolò Pollari, nella Security della Telecom, in agenzie d'investigazione private, disponibile a un lavoro di pressione, condizionamento e ricatto. Gattino cieco ieri mentre il network prosperava, il centro-sinistra oggi guarda al dito e non vede la luna. Indeciso a tutto, tentato dal compromesso, diviso al suo interno, debilitato dal tarlo ossessivo della sua debolezza, confonde l'allarme pubblico per quella presenza illegittima con una critica ai suoi passi. Vede fantasmi ad ogni angolo. Non si risolve ad intervenire con decisione, come dovrebbe, là dove si addensano le ombre e le propaggini di quella minaccia che ha lasciato colpevolmente incubare. Non si accorge che l'"affare Speciale" è un sintomo. Quanto meno della paralisi in cui può essere precipitato il governo e il Paese. Ma, più probabilmente - e peggio - è l'annuncio di una stagione infetta che soltanto una decisione irresponsabile può consentire all'opposizione di sposare e soltanto alle timidezze della maggioranza di non prevenire con energia. Il sistema politico - l'intero sistema politico, il centro-sinistra come il centro-destra - appare sordo e cieco dinanzi al pericolo, prigioniero di una litigiosità autoreferenziale, che non sembra mai incontrare il bene pubblico e l'interesse generale. Nessuno attore politico - se non qualche mosca bianca - sembra comprendere che la radicalità del conflitto ingaggiato non avrà un solo vincitore, ma tutti perdenti. La crisi di credibilità verso le élite di governo - ha ragione D'Alema - può spingere il Paese verso una deriva dove le quote di sfiducia per la politica (oggi, sette italiani su dieci) non possono che aumentare. Non si può che essere scoraggiati e preoccupati. La qualità del dibattito, vissuto quotidianamente come uno "scontro tra civiltà", spinge gli uni contro gli altri a testa bassa. Persuade i due schieramenti a ritenersi e a proporsi come il solo luogo abitato da opinioni politiche compatibili con il quadro democratico. Una convinzione che lascia immaginare la propria sconfitta come un evento catastrofico. Questa contesa che non prevede prigionieri caccia in un canto la politica, le responsabilità pubbliche, le sfide e le urgenze del Paese. Lascia emergere soltanto il peggio. Fino a lasciarsi tentare - come è avvenuto al centro-destra di Silvio Berlusconi - di servirsi delle rivelazioni truccate di un generale per abbattere un governo. Ci fermeremo qui? Nell'interesse di tutti, dei cittadini e di chi li governa, conviene fermarsi qui. Le mura di una democrazia così giovane non sono indistruttibili.


 

L’Unità 7-6-2007 Discorso Speciale Marco Travaglio Questo è il discorso che ieri Prodi non ha pronunciato al Senato

 

Gentili senatrici e senatori, abbiamo sbagliato. Ha sbagliato Visco a non spiegare subito, nel luglio scorso, perché voleva il cambio della guardia al vertice dele Fiamme Gialle milanesi. Come viceministro delegato ne aveva il potere (quando le stesse cose le faceva Tremonti non fiatava nessuno, anche perché all'opposizione c'eravamo noi, e dormivamo). Ma ha sbagliato il modo: se pensava che quegli ufficiali avessero fatto qualcosa di male, doveva dire cosa; se li riteneva colpevoli della fuga di notizie sulla telefonata Fassino-Consorte al Giornale, non aveva che da dirlo. Invece ha fatto tutto in via riservata, alimentando sospetti di conflitti d'interessi su Unipol e fidandosi del comandante Speciale, uno che basta guardarlo in faccia per capire che ti frega. L'errore di partenza ne ha prodotti altri a catena: sabato abbiamo cacciato Speciale, ma nemmeno stavolta abbiamo spiegato chi è e perché lo Stato non può fidarsi di lui. Solo oggi il ministro Padoa Schioppa analizzando vita e opere non edificanti del comandante licenziato ci ha fatto capire quel perché. Costui fa parte del giro del generale Pollari, che ha trasformato il Sismi in una palude di dossier illegali, veline fasulle e stecche a giornalisti compiacenti e, pare, addirittura di sequestri di persona. Ma anche su Pollari abbiamo sbagliato: scaduto al Sismi, l'abbiamo nominato giudice del Consiglio di Stato, lui che è imputato di sequestro di persona; l'abbiamo coperto col segreto di Stato, salvo poi fare retromarcia; e l'abbiamo pure nominato consulente di Palazzo Chigi anziché spedirlo a casa. Idem per Pio Pompa, pure lui coinvolto nei dossier e nel sequestro Abu Omar: l'abbiamo tolto dal Sismi e promosso dirigente del ministero della Difesa. Lo stesso errore abbiamo commesso con Speciale offrendogli un posto alla Corte dei Conti, come se questa fosse la discarica pubblica, anziché spedirlo a casa e spiegare al Paese perché non poteva più comandare la Guardia di Finanza, anche se piace molto a Fiorello. Ecco: in tutti i nostri errori s'è incuneato come lama incandescente nel burro il centrodestra. Che, diversamente da noi, sa come fare l'opposizione. Quando l'Unità e altri giornali amici denunciavano le porcate della Banda Berlusconi, infinitamente più gravi dei nostri recenti errori, noi li invitavamo a non "demonizzare". Quando i girotondi scendevano in piazza contro le leggi vergogna, li snobbavamo o li accusavamo di radicalismo e giustizialismo, alla ricerca di un fantomatico "dialogo col Cavaliere". Ora ce lo insegna lui come si fa l'opposizione: il suo Giornale racconta le nostre pagliuzze, la Cdl ne fa una battaglia politica, e noi che potremmo rispondere con le sue travi ce ne stiamo zitti. Se penso che Berlusconi solo un mese fa veniva applaudito al congressi Ds e Dl e addirittura invitato a entrare in Telecom, mi viene da piangere. Così lui oggi ci dà lezioni di morale, con i suoi Previti, i suoi Dell'Utri, i suoi 7 reati prescritti, i suoi fondi neri, il suo processo per evasione fiscale, i suoi condoni. E atteggiarsi a difensore della Gdf, lui che la definiva "associazione a delinquere". Ma ora basta. D'ora in poi ricorderemo chi sono Berlusconi e la sua banda. Comincio subito. Il capo dei servizi fiscali della Fininvest Salvatore Sciascia fu condannato in Cassazione per corruzione della GdF. Credete che l'abbiano cacciato? Come scriverà domani Franco Bechis su Italia Oggi, è socio di Michela Vittoria Brambilla nella Vittoria Media Partners Srl, editrice del Giornale delle Libertà. Se l'on. Massimo Maria Berruti volesse, potrebbe raccontarci di quando, capitano delle Fiamme Gialle, condusse un'ispezione valutaria all'Edilnord e interrogò Berlusconi sulle sigle svizzere retrostanti le sue società. Era il 1979. Lui si spacciò per "un semplice consulente", mentre era il proprietario. Berruti bevve tutto, archiviò e si dimise dal corpo. E andò a lavorare in Fininvest. Nel '94 fu arrestato e poi condannato a 1 anno e 8 mesi per i depistaggi sulle tangenti alla Gdf, dunque è deputato di Forza Italia. Per ora basta così, il resto alla prossima puntata. Ora scusate, ma devo correre a cancellare le leggi vergogna, perché non resti traccia del berlusconismo. Uliwood party.


 

Italia Oggi 7-6-2007  Dal mese di luglio a oggi ecco la cronistoria dello scontro tra Visco e il generale Speciale. Tutte le carte che raccontano undici mesi di faccia a faccia Pubblichiamo la seconda parte della ricostruzione raccolta dal presidente della commissione difesa del senato, Sergio De Gregorio, sulla vicenda Visco-Speciale.

 

. La prima è uscita ieri 6 giugno.Il 16 luglio 2006 lo scontro sul lancio dell'AnsaIn data 15 luglio 2006, rientrato a Roma, alla presenza del generale Emilio Spaziante (capo di stato maggiore del comando generale), il comandante generale Roberto Speciale ha incontrato nel suo ufficio il generale Italo Pappa, comandante in seconda del corpo, a cui ha mostrato la lettera ricevuta dal procuratore capo di Milano, Manlio Minale. Pappa ha minimizzato l'accaduto sostenendo che di lettere come quella del dott. Minale ne arrivano tante. Il comandante generale ha chiesto al generale Spaziante di contattare il vice capo di gabinetto, generale Flavio Zanini al fine di incontrare il prima possibile il vice ministro Vincenzo Visco. Dopo aver sentito il predetto ufficiale generale, Spaziante ha riferito a Speciale che l'incontro non sarebbe stato possibile prima del lunedì successivo (17 luglio) e che comunque Zanini insisteva nell'avere assicurazione della partenza del messaggio dei movimenti definitivi. Nella serata di domenica 16 luglio 2006, alle 22,50 circa, il comandante generale ha ricevuto una telefonata da parte di Zanini che gli ha riferito della notizia battuta dall'Ansa (che annunciava l'allontanamento degli ufficiali di Milano, ndr) e che in proposito Visco sollecitava, a cura del generale Speciale, un'immediata smentita alla notizia, con riferimento alla sua connessione alla vicenda Unipol. Alle 23.20 circa il comandante generale è stato contattato nuovamente dal generale Zanini che gli ha chiesto di accelerare l'uscita della smentita alla notizia Ansa nei termini di cui sopra.Il generale Speciale ha convocato di conseguenza il capo di stato maggiore ed il sottocapo. A mezzanotte circa Zanini ha informato telefonicamente il comandante generale che Visco aveva provveduto personalmente alla smentita e che si aspettava altrettanto dal generale Speciale stesso. Quest'ultimo, dopo una consultazione con il capo e il sottocapo di stato maggiore, ha ordinato di provvedere alla diramazione di un comunicato stampa, nel quale si precisavano i reali termini dell'atto adottato, vale a dire l'avvio del procedimento amministrativo dei trasferimenti che però sarebbero stati solo eventuali in esito alla prescritta attività istruttoria.Alle ore 9.26 del 17 luglio 2006 Speciale è stato informato dal colonnello Michele Carbone che il l'aiutante di campo di Visco, Ortello, lo aveva chiamato riferendogli che avrebbe dovuto chiamare subito il viceministro. Il generale Speciale ha contattato immediatamente il viceministro, il quale ha asserito di ritenerlo responsabile di quanto accaduto, di non aver rispettato alcuna regola deontologica non avendo dato esecuzione istantanea a quanto era stato da lui disposto, di riunirsi subito con i generali Italo Pappa e Sergio Favaro per dare a quegli ordini esecuzione immediata e di concordare con loro una risposta da dare alla procura di Milano. Il vice ministro Visco ha aggiunto, infine, che se il generale non avesse ottemperato a queste direttive, erano chiare le conseguenze cui sarebbe andato incontro. Il comandante generale ha risposto a Visco che l'osservanza dalle regole era stata da sempre il faro della sua vita, di non poter, pertanto, assecondare le sue richieste e che, piuttosto, era pronto a rassegnare il mandato. L'intera conversazione telefonica è avvenuta alla presenza del colonnello Carbone e del maggiore Cosentino. Alle ore 12.00 circa del giorno 17 luglio 2006, il generale Spaziante ha informato il generale Speciale che con due distinte telefonate, sia il generale Pappa che il generale Favaro gli avevano riferito che, su disposizione del vice ministro Visco, loro pervenuta per il tramite del generale Zanini, il contenuto della lettera di risposta, da inviare al procuratore della repubblica di Milano, sarebbe dovuto essere preventivamente concertato con entrambi i suddetti generali di Corpo d'armata.Il 17 luglio 2006 l'avvocato generale della procura generale della repubblica presso la corte d'appello di Milano, Manuela Romei Pasetti, ha invitato il comandante generale e il capo di stato maggiore del comando generale a comparire avanti alla stessa autorità giudiziaria al fine di acquisire i necessari chiarimenti in relazione alle note del locale procuratore della repubblica, datate rispettivamente 1° giugno e 14 luglio 2006. Nel pomeriggio dello stesso giorno, il generale Speciale ed il generale Emilio Spaziante hanno reso, al riguardo, dinanzi alla menzionata autorità giudiziaria dichiarazioni spontanee presso gli uffici del comando regionale Lombardia della gdf, in Milano.Visco chiama Minale per tranquillizzarloSempre il 17 luglio 2006, come riscontrabile da agenzie giornalistiche, in una nota il vice ministro Visco ha affermato di aver avuto lo stesso giorno 'un lungo e cordiale colloquio telefonico con il procuratore capo della repubblica di Milano, Minale, nel corso del quale è stato ribadito che le motivazioni di tali avvicendamenti sono unicamente riconducibili ad esigenze di servizio. Le decorrenze degli stessi movimenti, come peraltro pianificato dal comando generale della guardia di finanza e con l'obiettivo di evitare plateali strumentalizzazioni saranno scaglionate per favorire un graduale inserimento da parte dei nuovi ufficiali nelle indagini in corso'. In merito giova osservare che: a) non sussistevano esigenze di servizio né sopravvenute altre circostanze alla base degli avvicendamenti alla sede di Milano, come ampiamente in precedenza motivato. Al contrario, vi era necessità di permanenza degli ufficiali in causa come puntualmente segnalato dallo stesso procuratore Minale;b) non erano state stabilite le relative decorrenze da parte del comando generale, non essendo stati a monte ancora adottati i relativi provvedimenti di impiego, poiché a quella data era semplicemente in corso la fase endoprocedimentale del prescritto iter amministrativo, volta ad acquisire il parere delle parti interessate, ivi compreso il nulla osta dell'autorità giudiziaria. Con lettera nr. 56585 del 18 luglio 2006 il comandante generale ha risposto al procuratore di Milano a seguito della sua missiva (datata 14 luglio) di richiesta di elementi sulla vicenda dei trasferimenti degli ufficiali a quella sede, in cui sono stati sintetizzati i punti salienti sin qui esposti.La lettera del viceministro al generale SpecialeIl giorno 24 luglio 2006 è pervenuta al generale Speciale la lettera nr. 787, in pari data, a firma del vice ministro Visco. In particolare, nella missiva affermava, tra l'altro: che il comandante generale gli aveva prospettato, il 26 giugno, 'l'opportunità di effettuare numerosi cambiamenti funzionali ai vertici della guardia di finanza'; che a tal fine, il 13 luglio il vice ministro ha 'parlato della questione con i generali Pappa e Favaro e da questi incontri emerse l'opportunità di coinvolgere nei movimenti anche Milano'; di averlo invitato 'a procedere nei trasferimenti, inserendo anche Milano nel complesso dei movimenti e decidendo, previa consultazione con i generali Pappa e Favaro, una proposta di avvicendamento' che trovasse 'tutti concordi'; di far conoscere gli intendimenti del comandante generale in ordine ai trasferimenti, in materia questa riservata alla competenza e alla responsabilità di quest'ultimo, invitandolo, 'in ogni caso, al criterio sopra ricordato (ossia la 'previa consultazione con i generali Pappa e Favaro'), al fine di garantire armonia ed equilibrio nella gestione del corpo'. Sul punto occorre evidenziare che:a) i numerosi cambiamenti funzionali ai vertici della Guardia di Finanza che sarebbero stati prospettati da Speciale altro non sono che i provvedimenti di impiego, resi necessari dalle circostanze sopravvenute all'approvazione del piano ordinario dei trasferimenti dei dirigenti, già adottato nel mese di marzo 2006, come illustrato in precedenza;b) il viceministro ricorda nella missiva al comandante generale di averlo pregato 'di attendere in modo da poter maturare qualche convinzione in proposito' e che a tal fine, il 13 luglio ha parlato della questione con i generali Pappa e Favaro e da questi incontri emerse l'opportunità di coinvolgere nei movimenti anche Milano'. In verità, nella sua precedente missiva del 14 luglio aveva già affermato di volersi occupare dei movimenti prospettati il 26 giugno solo in un secondo momento, preoccupandosi esclusivamente di quelli concernenti la gerarchia milanese. Va da sé, quindi, la contradditorietà dell'ulteriore affermazione contenuta nella missiva in esame, laddove Visco lamenta di non aver più ricevuto proposte in merito alla manovra di impiego del 26 giugno;c) per stessa ammissione di Visco, l'esigenza di avvicendare gli ufficiali di Milano sorge nel corso dei colloqui da lui avuti con i generali Pappa e Favaro, i quali, successivamente, 'scaricheranno' sul vice ministro la paternità dell'iniziativa (in tal senso, le dichiarazioni per iscritto rese dai generali Pappa e Favaro al comandante generale nonché le audizioni dei due ufficiali generali dinanzi all'autorità giudiziaria di Milano). In definitiva, questa è la sequenza logica dei fatti:1) nel piano ordinario di impiego dei dirigenti del marzo 2006 non viene configurata alcuna esigenza di avvicendamento di ufficiali per quanto concerne il comandante della regione Lombardia, i comandanti dei nuclei regionale e provinciale di polizia tributaria, nonché il responsabile dei servizi di polizia giudiziaria;2) nella manovra di assestamento elaborata dal comando generale e consegnata al Visco il 26 giugno non vi è traccia ancora di siffatte esigenze;3) tali esigenze, per ammissione dello stesso Visco nella lettera a sua firma del 24 luglio 2006, nr. 787, scaturiscono dai suoi colloqui con Pappa e Favaro. Questi, chiamati a rendere chiarimenti dalla magistratura, chiudono il cerchio attribuendo la paternità dell'iniziativa al solo vice ministro d) da un lato Visco riconosce al comandante generale gdf la competenza e la responsabilità in tema di impiego del personale ufficiali, dall'altro continua ad ingerirsi nella specifica materia gestionale, esortandolo ad attenersi 'in ogni caso, al criterio sopra ricordato' (ossia la 'previa consultazione con i generali Pappa e Favaro'), persistendo nel suo progetto di delegittimazione, all'interno del corpo, del generale speciale, a vantaggio di Pappa e Favaro.Ad ogni modo, la missiva nr. 787/2006 in data 24 luglio 2006, successivamente al clamore che ormai aveva assunto la questione, cerca di far rientrare i movimenti di Milano in un contesto più generale, inserendoli nella manovra di assestamento del 26 giugno 2006 che, come detto più volte traeva origine da ben motivate e improvvise ragioni di servizio. In data 26 luglio 2006, dovendo dare esito, nei termini di legge, al procedimento amministrativo per il successivo eventuale trasferimento ad altra sede degli ufficiali interessati e avuto riguardo a quanto affermato dal vice ministro nella sua lettera del 24 luglio 2006, Speciale ha interpellato per iscritto i generali Pappa e Favaro invitandoli a partecipare le motivazioni alla base dei proposti avvicendamenti, cui fornivano risposta con lettera del 26 luglio 2006. In estrema sintesi, i due generali hanno affermato che la sostituzione degli ufficiali dirigenti di Milano fu una disposizione di Visco non accompagnata da alcuna motivazione specifica.La risposta di Prodi alla camera dei deputatiSempre il 26 luglio 2006 il presidente del consiglio dei ministri, rispondendo alla camera a interrogazioni di alcuni parlamentari, ha affermato, tra l'altro che 'gli avvicendamenti indicati dal comando generale della gdf non presentano alcuna eccezionalità; infatti , tutti gli ufficiali del rango di generali e colonnelli interessati al nuovo incarico, lungi dall'essere penalizzati dalle scelte compiute, sono destinati ad incarichi di pari o superiore livello nella stessa Milano o in altre regioni o presso il comando generale della gdf'.In ordine a tali dichiarazioni si osserva come l'eccezionalità dei movimenti in questione fosse del tutto evidente sia per la mancata previsione degli stessi nel piano di impiego ordinario dei dirigenti del marzo 2006, nonché nella relativa manovra di assestamento del giugno 2006, sia per le modalità con cui era intervenuto Visco, Inoltre le affermazioni del premier venivano fatte allorquando non erano stati ancora adottati provvedimenti di impiego poiché a quella data era semplicemente in corso la fase endoprocedimentale del prescritto iter amministrativo. Il 27 luglio 2006, infatti, in piena aderenza alla normativa vigente, Speciale ha concluso senza l'adozione di alcun provvedimento di impiego il procedimento amministrativo afferente le ipotesi di avvicendamento di ufficiali alla sede di Milano. In merito è utile riferire che le ragioni sulla base delle quali è stata assunta una siffatta decisione come emerse nel corso della relativa istruttoria prescritta ai sensi degli articoli 7 e 8 della legge n. 241/1990 sono da ricondurre alle seguenti considerazioni: Pappa e Favaro, interpellati per iscritto sulle circostanze citate nella missiva di Visco del 24 luglio 2006, non hanno saputo fornire alcuna specifica motivazione sulla necessità di trasferire gli ufficiali in parola;- la procura della repubblica di Milano ha formalmente manifestato l'esigenza di garantire continuità nell'azione di indirizzo, coordinamento e controllo delle delicate attività investigative in corso a quella sede, concernenti peraltro reati di turbativa ai mercati finanziari, sottolineando nel contempo l'assoluta e incondizionata fiducia riposta negli attuali vertici milanesi del corpo;- si è rispettata l'opportunità di mantenere, anche alla sede di Milano, la linea di comando esistente, in vista dell'imminente attuazione dell'importante riforma ordinativa che ha comportato, dal 1° settembre 2006, in tutto il paese, la fusione dei nuclei regionali e dei nuclei provinciali di polizia tributaria in un unico reparto. Si è trattato di cambiamenti organizzativi di notevole complessità sul piano operativo, tali da esigere che la gestione delle relative problematiche fosse affidata agli ufficiali che già disponevano di un approfondito livello di conoscenza del contesto locale;- si è tenuto conto delle esigenze personali partecipate dagli ufficiali interessati nell'ambito del procedimento amministrativo che li ha riguardati. A tutto ciò si aggiunga che il generale Angelo Ferraro, comandante interregionale dell'Italia nord occidentale, competente anche per il territorio lombardo, nel corso di una riunione fra tutti gli ufficiali di vertice del 29 luglio 2006, ha convenuto sulla soluzione di non trasferire gli ufficiali alla sede di Milano, precisando l'insussistenza di ragioni che ne potessero motivare il movimento e, anzi, esprimendo lusinghieri giudizi nei confronti dei medesimi.In tale cornice, ogni provvedimento assunto in difformità alle univoche indicazioni che pervenivano dall'istruttoria amministrativa compiuta a norma di legge, avrebbe corso il rischio di facili censure sotto il profilo della violazione di legge per eccesso di potere e di irrazionalità manifesta. Di quanto sopra Speciale ha dato notizia all'autorità giudiziaria di Milano, con 2 missive del 28 luglio 2006. Come da consolidata prassi istituzionale, il comandante generale ha informato, con lettera nr. 56686 del 31 luglio 2006, il vice ministro dell'economia e delle finanze in ordine alle decisioni assunte. Il 5 agosto è stata inoltrata al procuratore militare della repubblica presso il tribunale militare di Roma una nota informativa a firma di Speciale sugli avvenimenti sopra descritti.


 

La Repubblica 7-6-2007 IL CASO Assegni firmati dal senatore in casa di un camorrista: "Chiarirò tutto. è singolare che mi colpiscano dopo le mie parole a favore di Pollari e Speciale" Riciclaggio, indagato De Gregorio: "Attacco politico" "Pago per aver difeso le istituzioni ma non si illuda chi pensa di azzopparmi" ROBERTO FUCCILLO

 

NAPOLI - "Aggredito per aver difeso Pollari e Speciale, e per giunta in prossimità del dibattito al Senato sul caso Visco-Speciale". è soprattutto politica la reazione di Sergio De Gregorio, il senatore che ieri ha appreso dal "Corriere della sera" di essere indagato nientemeno che per riciclaggio. Si tratta dell'esito di una indagine relativa al fatto che assegni da lui firmati fossero stati ritrovati e sequestrati in casa di un camorrista. Circostanza che alla fine ha indotto i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli a iscriverlo nel registro degli indagati per l'ipotesi di reato di riciclaggio, aggravato dall'aver agevolato un'associazione mafiosa. De Gregorio ha prima negato la gravità degli addebiti: "Ho solo firmato un preliminare di acquisto, poi non perfezionato, in tempi non sospetti, con una signora sposata con una persona perseguita per traffico di tabacchi, particolare di cui all'epoca non ero a conoscenza, ma non per associazione camorristica. Bastava chiedere, avrei mostrato il preliminare". De Gregorio dice di attendere ora con fiducia la convocazione del magistrato. Poi la butta in politica, sostenendo la tesi della manovra ai suoi danni: "Evidentemente sono diventato selvaggina pregiata. Vengo a sapere di essere avvisato il giorno stesso della seduta al Senato sul caso Visco-Guardia di Finanza e dopo le mie forti prese di posizione a difesa di Nicolò Pollari e di Roberto Speciale (il primo ex direttore del Sismi, sostituito dal governo sette mesi fa, il secondo comandante delle Fiamme gialle, rimosso invece pochi giorni fa, ndr)". è allusivo, De Gregorio, del clima che circonda i suoi rapporti col centrosinistra, certo non rafforzati dalla sua carriera parlamentare: eletto con Italia dei valori, De Gregorio si avvalse dei voti del centrodestra per farsi eleggere alla guida della commissione difesa del Senato, poi si è reso autonomo col suo movimento Italiani nel mondo, ma più spesso vicino alle posizioni del centrodestra che a quelle di Prodi e compagnia. Ora sospetta che "la temporalità è inquietante, questa è una giustizia a orologeria, la regia non è a Napoli ma sicuramente a Roma e il voto a palazzo Madama non è estraneo alla vicenda. Pago il fatto di aver difeso le istituzioni. Attaccarmi però non salverà il governo dal baratro". Comunque lui darà battaglia: "L'accusa nei miei confronti si ritorcerà su chi l'ha prodotta. Ho piena fiducia nella Procura e nella Guardia di Finanza di Napoli, ma chiunque mi ha tirato in ballo ha trovato un osso durissimo: non mi lascio assolutamente intimidire. Chi pensa di azzopparmi, pensa male, perché ho la responsabilità di un partito, Italiani nel mondo, e la simpatia di qualche militante in più".


 

Marketpress.info 7-6-2007 In vista dell'adozione di una relazione sulla roadmap per il processo costituzionale europeo, si è tenuto in Aula un ampio dibattito cui hanno partecipato Presidenza e Commissione e che ha visto opporsi difensori e avversari del trattato costituzionale.

 

Bruxelles, 7 giuno 2007 - In vista dell'adozione di una relazione sulla roadmap per il processo costituzionale europeo, si è tenuto in Aula un ampio dibattito cui hanno partecipato Presidenza e Commissione e che ha visto opporsi difensori e avversari del trattato costituzionale. Tra i temi evocati: il mandato della Cig e il calendario, la presa in considerazione di nuove tematiche, il ruolo del Parlamento e dei parlamenti nazionali, il destino della Carta dei diritti fondamentali e l'estensione del voto a maggioranza. Dichiarazione dei relatori - Enrique Barón Crespo (Pse, Es) ha spiegato che la relazione in esame ribadisce il sostegno del Parlamento ai progressi previsti dal trattato costituzionale e agli sforzi della Presidenza in vista della Conferenza intergovernativa (Cig) che dovrà modificare i trattati. Ha poi sottolineato che la Costituzione è composta da due elementi: le parti prima, seconda e quarta che sono state elaborate con il metodo della Convenzione, e la terza parte che consiste in una rifusione dei trattati esistenti a cui la Convenzione ha apportato taluni miglioramento, come l'estensione della codecisione da 37 a 86 campi. Il relatore ha poi sottolineato che la revisione dei trattati dovrebbe prendere in considerazione le nuove tematiche emerse durante il periodo di riflessione - cambiamenti climatici, lotta al terrorismo e dialogo tra le civiltà, per esempio - per arricchire la risposta alle richieste dei cittadini. Ha poi insistito sull'esigenza di coinvolgere pienamente il Parlamento nella Cig. Per Elmar Brok (Ppe/de, De) l'Unione deve poter funzionare con 27 Stati membri e, affinché ciò possa realizzarsi, è imprescindibile modificare i trattati esistenti. Questo processo dovrà anche evitare di "disintegrare l'Ue in blocchi che viaggiano a diverse velocità" e affrontare anche le nuove questioni emerse in questi anni, mantenendo i principi basilari contenuti nella Costituzione. Nell'affermare l'esigenza di garantire l'efficienza, la democrazia e il rispetto dei diritti civili, il relatore ha sottolineato anche la necessità di assicurare l'equilibrio fra tutte le istituzioni europee, rafforzando al contempo il ruolo dei parlamenti nazionali. Si tratta quindi di lavorare nell'interesse dei cittadini laddove i singoli Stati non sono in grado di farlo da soli. Ha poi sostenuto che occorre chiarire che l'Ue non è un superstato e non intende diventarlo. Ha quindi difeso l'estensione delle decisioni da prendere a maggioranza e affermato che la Carta dei diritti fondamentali rappresenta una parte "irrinunciabile" del trattato. Occorre poi eliminare il sistema di pilastri e attribuire la personalità giuridica internazionale all'Ue. Dicendosi contrario al ricorso al metodo intergovernativo, ha auspicato che il negoziato sulla base della Costituzione si concluda in tempo per le prossime elezioni europee. Dichiarazione della Presidenza Gunter Gloser ha affermato che l'appoggio del Parlamento sulla questione istituzionale è essenziale per il successo della Cig e la sua partecipazione ai lavori dovrà essere garantita. Ha quindi giudicato la relazione in esame "equilibrata", visto che combina "ambizioni e realismo". Osservando che non bisogna ascoltare solo i cittadini francesi e olandesi che hanno detto no alla Costituzione ma anche quelli ad essa favorevoli, ha sottolineato che sarà necessario trovare un compromesso che soddisfi tutti, Stati membri e Parlamento europeo. Per rispondere ai cittadini potranno anche essere presi in considerazione i nuovi temi che li preoccupano. Il Ministro ha poi notato che la posizione del Parlamento sulla Carta dei diritti fondamentali, in particolare il suo carattere vincolante, è condivisa dalla maggioranza degli Stati membri. L'ue dovrà essere in grado di prendere decisioni in modo democratico e trasparente e, in proposito, il progetto di Costituzione resta valido. Tutti devono essere disposti al compromesso, ha proseguito il Ministro, e la Presidenza - che sta continuando le consultazioni con i governi - intende proporre un calendario chiaro: la Cig dovrà iniziare nel 2007 e terminare entro la fine dell'anno, dovrà poi essere firmata all'inizio del 2008 per permettere la ratifica del nuovo trattato in tempo per le elezioni europee del 2009. Dichiarazione della Commissione Per Margot Wallström occorre migliorare la democrazia, l'efficienza e la trasparenza dell'Ue ed è necessario prevedere maggiori sforzi sulle nuove tematiche. E il trattato costituzionale, ha osservato, risponde a queste esigenze. Ha anche rilevato l'esigenza di ascoltare di più i cittadini. Sottolineando come la Costituzione sia frutto di un compromesso difficile da migliorare ma facilmente smantellabile, ha osservato l'esigenza di conferire alla Cig un mandato e un calendario chiari. La Commissione, ha poi aggiunto, illustrerà la sua posizione e inizio luglio e cercherà di conciliare tutte le esigenze, restando ambiziosa. Il minimo comune denominatore, ha precisato, "non sarà sufficiente". La Vicepresidente della Commissione ha poi sottolineato che la sostanza della Costituzione "resta valida" in quanto protegge il metodo comunitario, mantiene il diritto d'iniziativa dell'Esecutivo Ue, riunisce i pilastri, amplia le decisioni a maggioranza e rafforza il ruolo del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali. Ha inoltre affermato che la Commissione resta favorevole a conferire la natura vincolante alla Carta dei diritti fondamentali ed è pronta ad esaminare la possibilità di trattare nuove questioni. Ha quindi concluso sottolineando l'esigenza di garantire la partecipazione del Parlamento alla Cig. Interventi in nome dei gruppi Íñigo Méndez De Vigo (Ppe/de, Es) ha affermato che occorre evitare di fare come il protagonista di "Il vecchio e il mare" che, dopo una lunga lotta, "arriva in porto solo con la lisca del grande pesce". "Vogliamo un accordo", ha spiegato, "ma non di qualsiasi tipo". Ha poi sottolineato che la relazione afferma l'esigenza di non ascoltare solo chi è contrario alla costituzione, ma anche i favorevoli. Per il deputato sarebbe addirittura possibile migliorare ulteriormente la Costituzione trattando nuovi temi che non erano d'attualità cinque anni fa, come i cambiamenti climatici e il terrorismo. Ha quindi concluso sottolineando l'esigenza che il Parlamento sia debitamente ascoltato, anche perché giudicherà il risultato della Cig in funzione della Costituzione. Anche per Jo Leinen (Pse, De) il contenuto della Costituzione deve essere salvaguardato, anche eventualmente sotto una forma diversa. Si è quindi detto contrario a un "mini trattato" e ha ribadito che il Parlamento non accetterà un accordo che porti a meno democrazia, meno efficienza e miniori diritti dei cittadini. Sottolineando che sono i cittadini stessi a chiedere più Europa ha ammonito i governi a "non amputare" i testi esistenti. La Cig dovrà tenere conto dei pareri del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali e trattare anche le nuove tematiche d'attualità. Andrew Duff (Alde/adle, Uk) ha affermato che il suo gruppo condivide sia la relazione in esame sia le dichiarazioni di Consiglio e Commissione, e che occorre sostenere gli sforzi della Cig "nel rinegoziare e riconfezionare" la Costituzione "allo scopo di migliorarla sostanzialmente". Sostenendo che il nuovo Presidente Sarkozy ha portato "un pragmatismo rinfrescante alla politica europea francese" e che il futuro Primo Ministro britannico Gordon Browon farà altrettanto, ha sottolineato che l'opinione pubblica olandese e polacca ha capito che non è interesse dei rispettivi paesi appartenere a un'Unione incapace di agire. A suo parere, il periodo di riflessione ha portato a due conclusioni: occorre rafforzare la democrazia all'interno delle istituzioni europee e tra queste e le autorità locali, inoltre è necessario adottare metodi più lungimiranti e flessibili per modificare i trattati concedendo la possibilità giuridica di veto ai Paesi, ma non accordando "l'autorità morale e politica di frenare i progressi auspicati dagli altri". Per Brian Crowley (Uen, Ie) occorre ascoltare tutti i cittadini europei, non solo i francesi e gli olandesi, che sono preoccupati dal futuro dell'Europa. Dopo aver sottolineato che il successo dell'Unione si è basato sulla capacità di raccogliere il consenso attraverso il compromesso, si è detto contrario a un'Europa a due velocità ed ha auspicato che la sostanza della Costituzione sia mantenuta, portando gli adeguamenti necessari. Johannes Voggenhuber (Verdi/ale, At) ha espresso il sostegno del suo gruppo alla relazione in esame in quanto invia un messaggio chiaro ai governi: il Parlamento intende difendere i diritti universali, porre fine al sistema dei pilastri e estendere le decisioni a maggioranza qualificata. Ha poi rivolto un appello affinché il Parlamento si dimostri responsabile, non accettando compromessi insoddisfacenti. Il deputato ha quindi criticato i governi che cercano di sfruttare i "no" francese e olandese per mantenere il metodo intergovernativo. Francis Wurtz (Gue/ngl, Fr) ha criticato talune affermazioni della relazione riguardo ai "no" francese e olandese secondo cui le cause di queste scelte sarebbero ora risolte. Si è poi detto contrario al mantenimento della sostanza della Costituzione presentata sotto un'altra forma. Per il leader della Sinistra unitaria "non si serve l'Europa nascondendo i problemi crescenti creati ai nostri cittadini da una parte fondamentale dell'acquis comunitario", ossia "l'economia di mercato aperta o la libera concorrenza". Evocando quindi il rischio di una crisi di legittimità del modello economico e sociale europeo, il deputato ha auspicato un dibattito pubblico aperto su cosa deve cambiare negli orientamenti e nella struttura dell'Unione nonché un referendum per ratificare il futuro trattato. Bastiaan Belder (Ind/dem, Nl) ha criticato il fatto che la relazione riconosce a malincuore la necessità di cambiare la Costituzione ma propone solo un'operazione "cosmetica", accettando modifiche del solo "imballaggio". A suo parere, invece, è proprio il contenuto che andrà rivisto. Per Bruno Gollnisch (Its, Fr) la verità è che si vuole "creare un superstato europeo che abbia la personalità giuridica, una Presidenza stabile, il Ministro degli esteri, la moneta unica e l'estensione delle competenze e delle decisioni a maggioranza". Molti possono anche essere d'accordo, ha spiegato, ma devono avere "l'onestà di dirlo ai cittadini". Dopo aver ripercorso il susseguirsi delle revisioni dei trattati dal 1951, ha affermato che si tratta di un processo che "va contro la natura dell'Europa". Interventi dei deputati italiani Secondo Mario Borghezio (Uen, It), la relazione "insiste sulla via sbagliata dell'accanimento terapeutico per tenere in vita una Costituzione rifiutata dai popoli e poi sostenuta da grandi patrioti del federalismo, come il Presidente del Consiglio italiano Prodi, che nega al Nord, alla Padania, il federalismo interno, il federalismo fiscale per avere giustizia da "Roma ladrona"". Inoltre, elude il tema dei criteri e dei limiti dell'allargamento che invece, riprendendo quanto sostenuto dal Primo ministro Balkenende, "è al centro del dibattito politico europeo". "Invece di arzigogolare su questi sotterfugi giuridici", ha aggiunto, "l'Europa dovrebbe concentrarsi sui problemi concreti e mobilitare le sue energie per difendere la produzione, il lavoro e l'occupazione", per esempio "rispondendo con i fatti, e non con un fumoso linguaggio burocratico, come ha fatto il Commissario Mandelson, ai pesanti e puntuali rilievi delle industrie europee le quali chiedono di essere difese contro lo stop alle misure antidumping che l'ultraliberale Commissario al commercio ha imposto fin dall'inizio di quest'anno". Il deputato ha quindi proseguito sostenendo che le nostre imprese e l'occupazione "soffrono per queste scelte sbagliate, accentuate inoltre dalla decisione odierna della Banca centrale europea di aumentare i tassi di sconto". Le scelte dell'Europa, ha concluso, "sono sbagliate perché rallentano il cammino verso il progresso, l'occupazione e il benessere dell'Europa e quindi restano molto distanti dal sentire profondo e dall'opinione dei cittadini europei che pagano le tasse anche per mantenere Bruxelles".


 

Il Riformista 7-6-2007 D’Alema, la «spazzatura» e i conti sbagliati dei Ds di Stefano Cappellini


Da anni è il piatto forte annunciato, e finora mai servito, ogni qual volta lo scandalo del momento (Telecom Serbia, Telecom Italia, Telecom-spioni, Unipol-Bnl) si intreccia alla politica e in particolare al ruolo dei Ds: fondi neri, conti esteri, tangenti. Un armamentario da Tangentopoli che grava sulla Quercia e che soprattutto negli ultimi due anni, sulla scia del risiko bancario, si è riaffacciato periodicamente sui giornali e nei palazzi. Ma ieri, nel delicatissimo giorno del dibattito in Senato sul caso Visco, che ad alcune delle vicende prima citate pare intrecciato, Massimo D’Alema non si aspettava di trovare servite sul quotidiano La stampa due pagine che riscrivono la trama degli ultimi anni alla luce di un perno: un conto estero a disposizione del vicepremier.
Durissima la reazione di D’Alema, che annuncia querela. Compatti i Ds, che promettono battaglia in tutte le sedi per difendersi dalle accuse. Stavolta allineata e coperta anche la Margherita, opposta alla Quercia nell’«estate dei furbetti», che ha diffuso un comunicato unitario per esprimere solidarietà al ministro degli Esteri. Raccontano che D’Alema fosse furioso per l’attacco. Il vicepremier si è sfogato coi suoi: «Hanno il coraggio di attribuire la presunta notizia del conto a due righe di un’agenzia di intelligence americana che dice di averla da fonti dell’intelligence italiana». Per il leader ds, è evidente che qualcuno ha venduto agli americani un’informazione per ricomprarla «riciclata» e usarla per ottenere favori e mettere in atto ricatti. «Si tratta in verità di spazzatura che era in circolazione da molto tempo ad opera di provocatori che sono noti e le cui gesta sono all’attenzione della magistratura. Ciò che è assolutamente sorprendente e sconcertante è che questa spazzatura venga raccolta e rilanciata da un prestigioso quotidiano nazionale con un’operazione che sinceramente stupisce, addolora e preoccupa».
Tra i provocatori cui si riferisce D’Alema c’è l’ex numero due del Sismi Marco Mancini, citato dalla Stampa come l’uomo che nel 2004, su consiglio di Pollari, dopo aver ricevuto l’informazione del conto estero dalemiano da Giuliano Tavaroli, capo della sicurezza Telecom, cercò di “venderla” al diretto interessato. Il quale smentisce vi sia mai stato un incontro. Ma quando D’Alema sottolinea che «la spazzatura circola da molto tempo» offre una possibile chiave anche sul caso Visco.
Dicembre 2005, impazza il nuovo filone di intercettazioni sul caso Unipol-Bnl. È in quel momento, quando il Giornale pubblica la conversazione tra Piero Fassino e Giovanni Consorte, mai trascritta dagli inquirenti, che i vertici dei Ds si convincono definitivamente di essere oggetto d’attenzione di una centrale spionistica che fabbrica e gestisce dossier avvelenati contro la Quercia. L’estate successiva, dopo che il centrosinistra ha vinto le elezioni, si verifica lo scontro tra Visco e il comandante generale della Guardia di Finanza Roberto Speciale sul trasferimento dei vertici delle Fiamme gialle lombarde. Alla base della mossa di Visco c’è la volontà di intralciare le indagini sul caso Unipol-Bnl, come sostiene una parte della stampa e dell’opposizione? O non c’è piuttosto l’intenzione da parte dei Ds di recidere quei gangli dello Stato che essi reputano parte integrante della macchina spionistica che sforna la «spazzatura»? Se la verità, come suggeriscono voci interne al Botteghino, sta piuttosto in questa seconda ipotesi, si capirebbe anche la difficoltà di Visco nel fornire pubblica e ufficiale spiegazione della decisione di rimuovere gli ufficiali lombardi della Gdf. Resta però una domanda: perché l’operazione Visco non va in porto e alla fine si decide di congelare tutto, Speciale e gli ufficiali rimuovendi? Da una parte, ha il suo peso la resistenza di un pezzo di Unione, specie della Margherita, contro il provvedimento. Ma forse, più delle divisioni nella coalizione, conta il fatto che i giorni dell’estate 2006 in cui si svolge il carteggio Visco-Speciale coincidono con la bufera mediatica e politica per il coinvolgimento dell’ex capo del Sismi Nicolò Pollari nel rapimento di Abu Omar. Quel Pollari che ha sempre intrattenuto buoni rapporti con un pezzo di Quercia, ma che, con lo sviluppo delle indagini sulla centrale spionistica con base in Telecom, appare agli occhi di molti come il capo di quella centrale multiforme che spia i Ds. Sta di fatto che Massimo D’Alema è tra i garanti del patto bipartisan che offre a Pollari un salvacondotto. Forse al Botteghino qualcuno può aver pensato che si fosse spento là, con l’azzeramento dei vertici del Sismi, il motore della «spazzatura». E che quindi anche l’azzeramento della Gdf lombarda potesse attendere. Poi, ed è storia recente, ancora il Giornale tira fuori la vicenda Visco. Il motore riparte. E con le nuove intercettazioni D’Alema-Consorte in arrivo, i Ds scoprono di aver fatto male i conti.


 

 

Il Sole 24 Ore 6-6-2007 Tassi Bce al 4%. Trichet: «Tutte le opzioni aperte per il futuro» P. F.

 

Il costo del denaro nel mondo (tabella)

 

Banca centrale europea ha deciso una nuova stretta monetaria, alzando di un quarto di punto i tassi d'interesse di Eurolandia. Il tasso di rifinanziamento principale sulle operazioni pronti contro termine sale al 4%, quello marginale al 5% e quello sui depositi overnight al 3 per cento. Con il rialzo di oggi, il secondo dall'inizio dell'anno, la Bce porta il costo del denaro ai massimi di quasi sei anni: per trovare un livello dei tassi così alto bisogna infatti risalire all'agosto del 2001, quando il costo del denaro viaggiava al 4,25%, prima che il 17 settembre venisse tagliato di 50 punti base al 3,75% dopo lo scossone sui mercati finanziari dovuto agli attacchi alle Torri Gemelle dell'11 settembre. L'euro viaggia sostenuto sopra quota 1,35dollari, reagendo senza scossoni al rialzo dei tassi.

Congiunura favorevole
. «I dati in arrivo dalla congiuntura confermano chiaramente che l'economia dell'Eurozona continua a crescere a un ritmo decisamente più forte di quanto generalmente previsto un anno fa»: ha detto il presidente della Bce Jean-Claude Trichet, nella consueta conferenza stampa al termine della riunione del Consiglio direttivo. Le informazioni «indicano che questo solido tasso di crescita è continuato nel secondo trimestre». L'outlook nel medio termine «resta favorevole» e ci sono le condizioni «perchè l'economia dell'Eurozona continui a crescere a tassi sostenuti».

La Bce ha rivisto al rialzo la stima sul Pil per il 2007: quest'anno l'economia di Eurolandia si espanderà del 2,6%, contro il 2,5% previsto in marzo.Nel 2008, invece, l'economia crescerà del 2,3%, in ribasso rispetto al 2,4% stimato in marzo. Inoltre la Bce ha rialzato dall'1,8% al 2% le sue stime sull'inflazione nel 2007. Il range passa da 1,5%/2,1% a 1,8%/2,2%. Le stime sull'inflazione 2008 restano invariate nel range tra 1,4% e 2,6%, cioè al 2%.

In arrivo un altro ¼ di punto di rialzo fra agosto e settembre. La politica «monetaria è piuttosto accomodante» ha detto ancora il presidente della Bce, al termine della riunione del consiglio direttivo. Tutte le opzioni sono aperte, comunque «non c'è nessun impegno ex ante» per quanto riguarda le future mosse sui tassi, ha aggiunto Trichet, ribadendo che farà ciò che ritiene necessario per assicurare la stabilità dei prezzi. «Abbiamo le mani libere per fare tutto ciòe che riteniamo necessario in futuro», ha aggiunto Trichet, che non ha voluto commentare le ipotesi di un prossimo rialzo dei tassi, che secondo il mercato arriverà fra agosto e settembre. Dopo che la Bce oggi ha rialzato il tasso di rifinanziamento di un quarto di punto, il divario fra il costo del denaro negli Usa e in Eurolandia è sceso a 1,25 punti percentual: il tasso dei Fed Funds statunitensi è infatti al 5,25%. La maggior parte degli analisti, comunque, ritiene che la Bce entro la fine dell'anno, probabilmente in settembre, ricorrerà a una nuova stretta, portando il tasso di riferimento al 4,25%, se non addirittura al 4,50% entro dicembre.

 

 


 

Il Secolo XIX  7-6-2007 Caso Roberto Calvi. A 25 anni dal delitto Tutti assolti al processo che ha smentito le indagini inglesi: "Suicidio" Pasquale Faiella

 

ROMA. Mandanti ed esecutori dell'omicidio del banchiere Roberto Calvi, trovato il 18 giugno del 1982 impiccato a Londra sotto un ponte sul Tamigi, restano ancora sconosciuti. Non si sa - e probabilmente non si saprà mai - chi l'ha materialmente ucciso, né da chi fosse partito l'ordine di eliminarlo. Ma ieri pomeriggio è stato ufficialmente riconosciuto che quello di Roberto Calvi fu un omicidio e non un suicidio. A venticinque anni dalla morte del "banchiere di Dio", un tribunale dello Stato, pur giudicando insufficienti e contradditorie le prove a carico del faccendiere Flavio Carboni, del cassiere di Cosa Nostra, Pippo Calò, di Ernesto Diotallevi, ex boss della "banda della Magliana", e dell'ex contrabbandiere Silvano Vittor, ha stabilito che fu un omicidio. Lo ha scritto nella sentenza. Una magra consolazione per l'accusa e per il pm Luca Tescaroli, che però ha giudicato la stessa sentenza "un passo in avanti rispetto agli esiti dell'inchiesta di Scotland Yard, che lasciarono aperta l'ipotesi del suicidio". Tutti assolti gli imputati, secondo la formula che una volta indicava l'insufficienza di prove. La quinta imputata, Manuela Kleinsig - l'ex fidanzata di Carboni - è stata invece assolta con formula piena. Come aveva chiesto lo stesso pubblico ministero al termine della sua requisitoria. La II Corte di Assise, presieduta da Mario Lucio d'Andria, si era riunita in camera di consiglio martedì mattina. Il pm aveva concluso la sua requisitoria chiedendo ben quattro condanne all'ergastolo, per concorso in omicidio volontario con l'aggravante della premeditazione. Tutti gli imputati erano stati rinviati a giudizio perché in concorso tra loro e con altri non ancora identificati, avvalendosi delle organizzazioni criminali di tipo mafioso (Cosa Nostra e camorra), avrebbero organizzato la morte di Calvi "per punirlo di essersi impadronito - si legge nel capo di imputazione - di notevoli quantitativi di denaro appartenenti alle organizzazioni criminali". Roberto Calvi, secondo l'accusa, avrebbe pagato con la morte anche il "potere ricattatorio - scrive il pm - che avrebbe avuto nei confronti di referenti politico-istituzionali della massoneria, della Loggia P2 e dello Ior (la banca vaticana, ndr". A conclusione delle indagini, il pubblico ministero è andato addirittura oltre. Dietro la morte del banchiere - ha sostenuto - si nasconderebbero una serie di intrecci "torbidi": dalla cattiva amministrazione del denaro di Cosa Nostra affidato al banchiere milanese, al pericolo che fossero rivelati segreti su riciclaggi compiuti attraverso il Banco Ambrosiano. Ma non solo. L'accusa ha parlato anche della volontà dei mandanti, con quella morte, di acquisire maggiore peso negoziale nei confronti di coloro che erano in rapporti con Calvi, ovvero massoneria, P2, Ior, referenti politici e istituzionali, enti pubblici nazionali. Nell'aula-bunker del carcere di Rebibbia era evidente la soddisfazione dei difensori degli imputati (solo Calò ha ascoltato la lettura della sentenza collegato in videoconferenza dal carcere di Ascoli), quando il presidente D'Andria ha scandito la parola "assolti per non aver commesso il fatto". "È stato smantellato un altro teorema giudiziario tendente a cambiare la storia di questo Paese: come per il processo al senatore Giulio Andreotti, Calòè stato accusato da una serie di pentiti inaffidabili e incontrollabili" ha detto il difensore di Pippo Calò, l'avvocato Corrado Oliviero. Deluso il pm, che tuttavia ha affermato che "la ricerca della verità continua". Sulla morte di Calvi, in procura a Roma c'è un secondo fascicolo aperto: un'indagine-stralcio sui mandanti, che vede indagate una decina di persone tra le quali l'ex Venerabile della Loggia P2, Licio Gelli.


 

INDICE 6-6-2007

 

+ +  La Stampa 6-6-2007 L'euroseggio della vergogna  CONFLITTO ISTITUZIONALE PER ROMA E STRASBURGO NELLA POLITICA DELLE POLTRONE Sfida per Straburgo fra Occhetto e Donnici. 2

+ + La Repubblica 6-6-2007 Sondaggio sul caso Visco-Speciale per il 62% "gestione non trasparente". E se il governo non superasse lo scoglio del Senato, il 44% vuol elezioni anticipate  Rilevazione Ipr Marketing per Repubblica.it: secondo la maggioranza anche il viceministro dovrebbe dimettersi e il generale non andava cacciato  2

+ + Corriere della Sera 6-6-2007 Costi della politica, tagli ai giornali di partito. Il ddl di riordino della materia dovrebbe essere pronto entro giugno. Mario Sensini 3

+  La Stampa 6-6-2007 D'Alema, i veleni delle spie Telecom e i conti segreti in Sud America Spunta un dossier per incastrare il ministro: «Fondi movimentati al capo della Farnesina» PAOLO COLONNELLO  4

+ La Stampa 6-6-2007  Putin trova un alleato di fronte all'offensiva del presidente Usa su armi e diritti umani FRANCESCO SISCI 7

+ La Padania 6-6-2007 Inquietanti dati dell OMS Il 20% dei decessi nel Belpaese è collegato agli effetti dell inquinamento ambientale Di inquinamento si muore. 7

Europa 6-6-2007 P1, P2, P3. Fantasia e somiglianze a parte è la sospetta inaffidabilità delle sciabole FEDERICO ORLANDO RISPONDE  8

Il Giornale di Brescia 6-6-2007 Costi della politica: un ddl entro giugno. Audizione del ministro Santagata in Commissione alla Camera: il governo farà presto, ma non sull'onda emotiva  9

La Repubblica 6-6-2007 Economia LA CONCORRENZA Gimcana dei consumatori tra cavilli e spese. Appello della Ue Telefoni, conti correnti e pay tv fino a 5 mesi per cambiare utenza Ancora freni e resistenze nonostante le liberalizzazioni Complicazioni anche per internet e da luglio il banco di prova per l'elettricità BARBARA ARDU  9

Il Riformista 6-6-2007 Bush fa il superpotente per isolare Cina e Russia  di Tonia Mastrobuoni 10

Il Cittadino 6-6-2007 Angela Merkel di fronte ad una prova difficile. G8, Merkel scommette sull'ambiente: "Clima e inquinamento le nostre priorità" 11

L’Unità 6-6-2007 “Fine pena” sempre.  Marco Travaglio  11

L’Unità 6-6-2007I conti "dormienti" per le vittime dei crack Sì del Consiglio dei ministri al decreto sull'utilizzo dei depositi bancari rimasti inattivi per 10 anni di Bianca Di Giovanni 12

La Repubblica 6-6-2007 Palermo Dai costi della politica alla denuncia degli sprechi LINO BUSCEMI 13

Il Cittadino 6-6-2007La tornata amministrativa appena conclusa rischia di spegnere i riflettori sulla legge elettorale, per la quale (o meglio per la cui riforma) anche nel Sudmilano ogni municipio raccoglie le firme. 14

 


 

++  La Stampa 6-6-2007 L'euroseggio della vergogna  CONFLITTO ISTITUZIONALE PER ROMA E STRASBURGO NELLA POLITICA DELLE POLTRONE Sfida per Straburgo fra Occhetto e Donnici.

 

6/6/2007 - L'Italia denuncia Strasburgo alla Corte di giustizia. Conflitto istituzionale senza precedenti 

E' una storia difficile. Un arabesco all'italiana, dunque una brutta figura. Eccola, semplificata, nei limiti del possibile dato il caso. Italia dei valori? Lo so che è popolista, ma qui è l'Italia degli Stipendi di valore.  Di programmi, strategie politiche e coerenza ne parliamo un'altra volta.

Giugno 2004. Allontanatosi definitivamente dai Ds, Achille Occhetto fonda una lista con Antonio Di Pietro. Insieme raccolgono il 2,1% dei consensi alle elezioni per il parlamento europeo. L’ex pm è primo in due collegi, Nord Ovest e Sud. L’ex leader della Quercia secondo in entrambi.

Luglio 2004. Di Pietro rinuncia nel Nord Ovest e lascia ad Occhetto che, a sua volta, abbandona in favore di Giulietto Chiesa (il terzo arri9vato) e sceglie di restare senatore in Italia. Così rispetta l’impegno preso con un atto notarile - siglato prima dello svolgimento delle elezioni - con il quale si vincolava cedere il suo posto al giornalista, qualora quest'ultimo non avesse avuto accesso al Parlamento Europeo per percorso naturale. Di Pietro resta eurodeputato coi voti cinquistati del Mezzogiorno.

Maggio 2006. Di Pietro diventa ministro nel governo Prodi e abbandona coerentemente l’incarico a Strasburgo. Occhetto, trombato alle politiche e rimasto senza poltrona, gli subentra.

Ottobre 2006. Il ritorno di Occhetto viene contestato da Beniamino Donnici, l’ex missino terzo più votato nella lista dipietresca al Sud. Ritiene che l’elezione sia illegittima perché Occhetto ha firmato un documento privato e quindi non ha diritto a rientrare al Sud dopo essere uscito nel Nord Ovest. Occhetto si difende sostenendo che il suo atto di rinuncia era esplicitamente compiuto in favore di Chiesa e che, quindi, in questo caso, non ha alcuna validità

Dicembre 2006. Il Consiglio di Stato dà ragione a Donnici.

Marzo 2007. Il Consiglio di Stato decreta la decadenza di Occhetto da parlamentare europeo.

Aprile 2007. La Commissione affari giuridici del Parlamento europeo ripesca Occhetto. "Le dimissioni furono dettate da un accordo privato e, quindi, non possono essere considerate valide».

Maggio 2007. Il ministro di Grazia e Giustizia Clemente Mastella scrive al presidente del Parlamento europeo Poettering per chiedere all’assemblea di Strasburgo di omologarsi al pronunciamento del Consiglio di Stato. Sarebbe infatti la prima volta che un voto degli eurodeputati annulla la volontà di organo giudiziario nazionale.

24 maggio 2007. L’assemblea del Parlamento Europeo conferma il seggio di Occhetto, attaccato alla poltrona come la più tenace delle edere. All’Italia non resta che il ricorso alla Corte di Giustizia per difendere la propria sovranità legale. Donnici attende. Chiesa non ha giustamente problemi. Di Pietro bofonchia, anche perché tornando a Strasburgo, Occhetto si è iscritto al gruppo socialista europeo. 

6 giugno 2007. L'Italia denuncia Strasburgo alla Corte di Giustizia.


Paradosso finale. Poiché lo stipendio di un europarlamentare è responsabilità nazionale, la situazione finanziaria dei due contendenti è la seguente: Donnici ha l'assegno mensile ma non il seggio; Occhetto ha il seggio ma non la paga e percepisce solo le indennità che, invece, sono responsabilità dell'assemblea comunitaria. Fantastico....

continua....

 


++ La Repubblica 6-6-2007 Sondaggio sul caso Visco-Speciale per il 62% "gestione non trasparente". E se il governo non superasse lo scoglio del Senato, il 44% vuol elezioni anticipate  Rilevazione Ipr Marketing per Repubblica.it: secondo la maggioranza anche il viceministro dovrebbe dimettersi e il generale non andava cacciato

 

ROMA - Anche Visco avrebbe dovuto dimettersi, la cacciata di Speciale è stata un errore e, complessivamente, l'intera vicenda non è stata gestita in modo trasparente dal governo. E' quanto emerge da un sondaggio in tempo reale eseguito ieri da Ipr Marketing per Repubblica.it su un campione "validato" di mille persone. Su tutte e tre le questioni si coagula una maggioranza piuttosto consistente che va dal 53% (le dimissioni di Speciale) al 58% (il comportamento di Visco) fino al 62% (la gestione da parte del governo). In tutti i casi il parere di chi si dichiara elettore di centrodestra appare decisamente più compatto di quello dei simpatizzanti del centrosinistra. Il campione è formato da un 53% di elettori di centrodestra, un 45% di centrosinistra e un 2% di "non schierati": un quadro che corrisponde all'attuale composizione dell'elettorato.

Un sondaggio di questo tipo, dicono gli stessi esperti che l'hanno eseguito, risente anche dell'emozione del momento e della prevalenza della comunicazione (piuttosto aggressiva) del centrodestra, ma è pure chiaro che siamo di fronte a un atteggiamento decisamente critico da parte degli intervistati sulla conduzione dell'intera vicenda.

Se cade il governo. Il sondaggio aggiunge anche una domanda su cosa dovrebbe accadere se, oggi, la maggioranza non riuscisse a superare lo scoglio della discussione al Senato. Per il 44% del campione si dovrebbe andare al voto subito (12% tra gli elettori del centrosinistra, 70% tra quelli del centrodestra, 34% tra i non schierati). L'opzione più gettonata dagli elettori di centrosinistra (49%) è quella di un governo di larghe intese che incontra il favore del 29% del totale del campione, m a, tra i sostenitori del centrodestra piace solo al 17%. L'idea di un nuovo governo di centrosinistra limitandosi a cambiare il premier incontra il favore del 13% degli intervistati, mentre il 14% non ha un'opinione in merito.

Visco. Gli intervistati, che si sono formati la loro opinione leggendo i giornali e guardando la tv non sembrano cogliere le ragioni del viceministro. Secondo il 58% (21% del centrosinistra, 89% del centrodestra) Vincenzo Visco dovrebbe dimettersi. Per il 21% (52% del centrosinistra, 3% del centrodestra) può restare al suo posto mentre un altro 21% non ha un'opinione in merito.

Speciale. Valori simili per quanto riguarda l'antagonista di Visco, il generale comandante della Gdf, Roberto Speciale. Secondo la maggioranza (53%) il governo ha fatto male a sostituirlo; per il 31% la sua cacciata è giustificata, mentre il 16% non sa.

Il governo. Complessivamente, il governo non ne esce bene. Il campione testato da Ipr ritiene a larga maggioranza (62%) che la gestione della vicenda non si stata trasparente. In questa quota va compreso un 33% di elettori di centrosinistra che, evidentemente, sono critici nei confronti del loro esecutivo. Solo il 16% ritiene che il governo si sia comportato in modo chiaro e trasparente e il 22% non ha opinioni.

(6 giugno 2007)

 


+ +  Corriere della Sera 6-6-2007 Costi della politica, tagli ai giornali di partito. Il ddl di riordino della materia dovrebbe essere pronto entro giugno. Mario Sensini

 

Oggi lo stato finanzia l'editoria per circa 600 milioni di euro. Ci sarà distinzione tra fogli politici veri e fasulli, tra chi vende e chi no

 

ROMA- Non ci saranno sconti neanche per il futuro Partito Democratico. I soldi andranno all'uno o all'altro, non a tutti e due i quotidiani di Ds e Margherita. A meno che non facciano una bella fusione. «Il governo ce l'ha già detto: quando arriverà il nuovo partito non potrà continuare a dare contributi pubblici a tutti e due. A Europa che è espressione della Margherita, e a noi che siamo organo dei gruppi parlamentari dei Ds» racconta Giorgio Poidomani, amministratore delegato della società editrice dell'Unità. Che comunque, fatta salva quella prospettiva sicuramente problematica, è assolutamente ben disposto ad accogliere il riordino delle provvidenze pubbliche a favore dell'editoria annunciato ieri dal governo. «È ora che i finanziamenti vadano ai giornali veri, espressione di partiti veri, che vendono copie vere. O alle vere cooperative di giornalisti» dice Poidomani.

DDL ENTRO GIUGNO - Il riordino, al quale lavora da un anno il sottosegretario alla Presidenza, Ricardo Levi, entrerà nel pacchetto di misure per l'abbattimento dei costi della politica ( le novità previste) che il ministro dell'Attuazione del programma, Giulio Santagata, ha confermato per fine giugno. Farà compagnia ai nuovi criteri per la definizione delle province, delle comunità montane, delle circoscrizioni, a quelli per snellire i consigli regionali, comunali e provinciali, per ridurre i benefit e le indennità. E forse anche ministri e sottosegretari, perché Santagata ammette che con 26 dei primi e 104 dei secondi, anche il governo di cui fa parte «ha esagerato. Sui costi della politica bisogna dare un segnale urgente, perché il rischio del distacco dei cittadini è grande e sotto gli occhi di tutti».

RIFORMA ORGANICA - Anche di chi si chiede come mai Torino Cronaca prenda dallo Stato quasi 3 milioni di euro in quanto espressione di un movimento politico, come il Foglio e il Riformista, ma anche come il Roma di Napoli, il Denaro, Metropoli Day, e Libero. Di chi si domanda se sia giusto che anche il mensile con i programmi che Sky invia ai suoi abbonati, in quanto prodotto editoriale, riceva le agevolazioni previste sulle tariffe postali (25 milioni di euro l'anno). O semplicemente come mai i contributi pubblici siano esplosi in 20 anni: da 28 milioni di euro del 1980 agli oltre 600 di oggi. Via alla riforma, dunque. «Che sarà organica, e riguarderà tutti gli aspetti dell'industria editoriale: il prodotto, il mercato, le imprese, e ovviamente gli aiuti» spiega Levi.

Si stabilirà con precisione cosa è un prodotto editoriale, perché è dubbio che lo siano, come sono oggi considerati, e quindi agevolati, i cosiddetti «collaterali», dai dvd agli aerei da montare. I contributi alle cooperative resteranno, ma a quelle vere, composte dai giornalisti e dai dipendenti. Mettendo fine al caos generato dalla sanatoria del 2001, quando si decise che per continuare ad avere contributi i giornali espressione dei «movimenti politici» (bastavano due parlamentari) dovevano essere trasformati in cooperative anche spurie, cioè con soci azionisti e non lavoratori. Resteranno, ovviamente, i contributi ai quotidiani politici, tutelati in nome della libertà d'espressione dalla Costituzione. «Ma, anche qui, dobbiamo chiarire cosa si debba intendere per un organo legato ad un gruppo politico» spiega Levi. Soprattutto, poi, ci saranno parametri industriali per calcolare l'entità delle sovvenzioni. «Che saranno legate - aggiunge il sottosegretario - al numero effettivo di copie stampate e realmente diffuse, ma anche all'occupazione effettiva».

LA FINANZA AL LAVORO - Oggi il criterio per stabilire il "quantum" del contributo è facilissimo da aggirare. Basta stampare migliaia di copie e magari lasciarle in un deposito. Oppure regalarle. O venderle in blocchi ad aziende come le Fs, Alitalia, ospedali, catene alberghiere, che poi li distribuiscono gratuitamente ai loro clienti, a prezzi irrisori. «Criteri non sempre trasparenti» ammette Santagata. Tanto che due mesi fa il governo ha chiesto alla Guardia di Finanza, di distaccare un nucleo di ispettori al Dipartimento dell'Editoria, per evitare possibili truffe. Paolo Franchi, direttore de Il Riformista, organo del movimento Ragioni del Socialismo, concorda. «Dal mio punto di vista è giusto mettere ordine con regole chiare e trasparenti. Purché ci si renda conto che la tutela di una voce piccola, ma di peso, non è lo stesso problema dell'auto blu usata dal nipote dell'assessore» dice Franchi. «Da questa riforma noi abbiamo tutto da guadagnare» concorda Stefano Menichini, direttore di Europa. «Lo scenario - aggiunge - è ignobile: i soldi li prendono tutti, giornali veri e falsi, chi vende e chi non s'è mai visto in edicola, chi è espressione di veri partiti e chi lo è di sole due persone». «Però dobbiamo parlare anche della grande stampa. Il grosso delle agevolazioni - dice Poidomani - va lì. Mi chiedo se anche questo è giusto».

06 giugno 2007

 


+  La Stampa 6-6-2007 D'Alema, i veleni delle spie Telecom e i conti segreti in Sud America Spunta un dossier per incastrare il ministro: «Fondi movimentati al capo della Farnesina» PAOLO COLONNELLO

 

Sono due righe scritte in inglese all’interno di un voluminoso rapporto «privilegiato e strettamente confidenziale» intitolato «Project Tokyo» e redatto dagli uomini della Kroll, l’agenzia di investigazioni private americana più importante del mondo. Due righe che si ritrovano anche in alcune e-mail intercettate dagli uomini della Security Telecom di Giuliano Tavaroli sul computer di un agente della Kroll, tale Erginsoy, e che finiscono in un gigantesco file che racconta la guerra tra Marco Tronchetti Provera e Daniel Dantas (titolare del fondo brasiliano CvC-Opportunity) per il controllo di Brasil Telecom: il rapporto «K».

Una storia di anni fa ma resa attuale dal caso Visco-Speciale
Due righe che però riguardano anche la politica italiana e ne sono forse il cuore avvelenato delle polemiche di questi giorni che, dietro il caso Visco-Speciale, il caso Antonveneta-Unipol, e il caso Telecom, puntano in un’unica direzione, rivelare ciò che nei chiacchiericci romani si mormora da tempo e che lega in fondo, e vedremo il perché, tutte queste storie: l’esistenza di conti segreti di alcuni esponenti della maggioranza, in particolare del ministro degli Esteri Massimo D’Alema. Esistono questi conti? Negli atti in mano alla Procura milanese delle varie inchieste condotte negli ultimi due anni, c’è un solo riferimento a questa circostanza ed è contenuto in quel file dell’indagine Telecom. Due righe, non di più, di cui La Stampa è in grado di rivelare il contenuto.
Eccole: «Source intelligence in Italy indicates that Inepar (un fondo brasiliano, ndr) was the company that moved funds for the then Prime Minister D’Alema, which involved Tl activities». Tradotto in italiano significa che «fonti d’intelligence in Italia indicano che Inepar era la società che ha movimentato i fondi per l’allora primo ministro D’Alema, che ha coinvolto le attività di Telecom».

L’origine: è il rapporto della Kroll stilato ai tempi dello scontro su Brasil Telecom
In una e-mail datata 29 marzo 2004, tale Charles della Kroll scrive anche: «Mi piace questo angolo di Inepar... Ho saputo qui in Italia che Inepar era la società che ha movimentato i soldi per D’Alema, coinvolto nelle attività di Telecom...». Nello stesso rapporto si ricostruiscono anche le varie scalate Telecom, attribuendo quella «dell’era Colaninno», ma è cosa nota, sempre alla benevolenza di D’Alema. Sono accuse gravi che però si fermano qui, non trovano cioè altri riscontri, pezze d’appoggio, documenti per dimostrare un’affermazione tanto pesante quanto palesemente, almeno in quei rapporti «confidenziali», non dimostrata. Eppure questa storia di un presunto conto in Brasile dell’attuale ministro degli Esteri viene scritta nero su bianco e viene da una parte consegnata dalla Kroll ai suoi committenti brasiliani, dall’altra intercettata dagli uomini del «Tiger Team» di Fabio Ghioni che la ritrasmette a Tavaroli insieme al dossier completo delle attività Kroll in Brasile, spionaggio su Tronchetti e famigliari compreso. Diventa cioè uno dei tasselli del gigantesco puzzle di misteri e dossier che da mesi sta avvelenando la vita politica italiana.

Telecom e Unipol
Per capire infatti il duro scontro in atto in questi giorni tra maggioranza e opposizione sul caso Visco-Speciale, bisogna allargare il campo anche alla vicenda Telecom e al giro di spioni pubblici e privati che la animano, nonché interpretare correttamente i risvolti della vicenda Unipol, contestualizzando il tutto in uno scenario più generale. Non si tratta necessariamente di descrivere un gigantesco complotto, ma di seguire le tracce di una serie di avvenimenti che si concatenano tra loro e che offrono, a chi le sa sfruttare, opportunità di ricatto o di scambi silenziosi. Ma non limpidi. Dunque: il «Progetto Tokyo» e i suoi inquietanti contenuti (dentro e in alcuni allegati si trovano anche riferimenti a Berlusconi e al suo ruolo nella partita Telecom) vengono intercettati nel 2004.

Gli spioni
La prima domanda è: chi sarà mai la fonte «d’intelligence» in Italia che fa sapere agli uomini della Kroll dell’esistenza di soldi di Massimo D’Alema movimentati in un fondo brasiliano? Mistero. Impossibile non notare però un verbale del 14 dicembre scorso davanti al gip Gennari e ai pm dell’inchiesta Telecom reso dal dirigente del Sismi Marco Mancini, accusato di aver passato informazioni riservate del servizio alla premiata ditta Tavaroli & Co. Ebbene, Mancini racconta di aver ricevuto «dopo il 2003» dei dossier sui conti esteri di alcuni politici della Quercia e dell’Udc che gli sono stati consegnati da Emanuele Cipriani, investigatore fiorentino legato ad ambienti massonici (è buon amico della famiglia Gelli), nonché principale fornitore dei dossier ordinati da Telecom e animatore di un network di investigatori e uomini delle Forze dell’Ordine che arrotondano i loro stipendi trafugando informazioni dalle banche dati riservate dello Stato.

Laziogate
Cipriani è anche legato ad ambienti della destra, visto che si arriva a lui indagando sull’oscura vicenda del Laziogate, dove, secondo le accuse, l’ex presidente della Regione Lazio, Francesco Storace, si avvale di alcuni uomini del network di Cipriani per far spiare e fabbricare falsi dossier su Alessandra Mussolini e Piero Marrazzo, entrambi suoi concorrenti alla poltrona della presidenza della Regione Lazio. Non si capisce a che titolo e con quali mezzi Cipriani abbia indagato su presunti conti esteri della Quercia («dossier Oak») e del segretario Udc Lorenzo Cesa. Fatto sta che un bel giorno Cipriani consegna queste carte a Mancini. Il quale le porta all’allora capo del Sismi Nicolò Pollari. E qui iniziano i problemi. Mancini spiega infatti ai magistrati che Pollari gli consigliò di contattare i diretti interessati per sottoporre loro quel materiale. Procedura davvero singolare: un alto dirigente delle istituzioni viene a conoscenza di fondi segreti di esponenti di spicco della politica italiana e invece di rivolgersi alla magistratura o di ordinare indagini più approfondite, ritiene di doverli sottoporre, o almeno così sostiene un suo subordinato, ai diretti interessati. I quali, afferma Mancini, definirono quelle carte delle «fesserie». I diretti interessati, ovvero il senatore diessino e braccio destro di D’Alema, Nicola La Torre, e il segretario Udc, Lorenzo Cesa, smentiscono però questa versione dicendo di non avere mai saputo niente di dossier sui conti esteri fatti vedere da Mancini. La cosa sembra finire lì.

Unipol e Abu Omar
Nel frattempo, tra il 2003 e il 2005, succedono cose straordinarie. La magistratura milanese apre un’inchiesta sulla scalata Antonveneta scoprendo anche risvolti sulla scalata Unipol Bnl, con intercettazioni che vengono definite «politicamente imbarazzanti» per alti esponenti diessini. Quasi contemporaneamente si scopre anche che un cittadino egiziano sospettato di terrorismo, Abu Omar, è stato rapito nel marzo del 2003 in una strada di Milano da un commando di agenti della Cia con la complicità di agenti italiani (e forse di uomini che hanno operato con la Security Telecom) e che del sequestro era informato l’ex capo del Sismi Pollari, nonché lo stesso Marco Mancini - che pure per questa vicenda verrà arrestato - ed esponenti del governo Berlusconi. Dunque, ci sono a questo punto due storie che si muovono parallelamente e che tra la primavera e l’estate scorsa sembrano raggiungere lo zenith: l’inchiesta Antonveneta-Unipol-Bnl, che porta a scoprire il pagamento da parte di Emilio Gnutti di una consulenza di 50 miliardi di lire a Giovanni Consorte (presidente Unipol) e Ivano Sacchetti (il vice) per la rinegoziazione della vendita Telecom a Tronchetti Provera; dall’altra l’inchiesta sul sequestro Abu Omar che fa finire sotto accusa lo stesso Pollari per il quale la procura chiede il rinvio a giudizio con l’accusa di concorso in sequestro di persona. Sullo sfondo intanto inizia a muoversi l’indagine sui dossier Telecom.

Il caso Visco
È in questo momento caldissimo, luglio 2006, che s’inserisce la decisione del vice ministro Visco di rimuovere da Milano la catena di comando della Gdf. Una decisione che subito, nonostante le decise smentite del viceministro, qualcuno accredita come determinata dall’indagine condotta dalla Gdf sulla scalata Unipol-Bnl. Perché? Perché da quell’indagine sono scaturite alcune intercettazioni su vari uomini politici che solo in questi giorni un perito incaricato dal gip Clementina Forleo sta trascrivendo in vista di un’udienza peritale prevista per lunedì prossimo. Eppure una di queste intercettazioni, nemmeno trascritta ma conservata in un file a disposizione di almeno una decina di computer di inquirenti e investigatori, finisce sulle pagine de «Il Giornale». È la famosa conversazione tra il segretario dei Ds Piero Fassino e l’allora presidente di Unipol Giovanni Consorte («Allora abbiamo una banca?»). Nulla di penalmente rilevante eppure, squadernata verso il finire della campagna elettorale (era aprile) deflagra come una bomba e ingenera nuovi sospetti sulla possibilità che esistano ben altre conversazioni e maggiori compromissioni. Il fatto poi che Gnutti abbia pagato una cifra esorbitante, 50 miliardi, allo stesso Consorte per una consulenza sulla vendita Telecom tuttora all’attenzione della Procura milanese e che questi soldi, prima di rientrare in Italia per essere sequestrati, abbiano preso aria su dei conti esteri, ingigantisce ipotesi e presunti misteri. Chi ha passato quella intercettazione al Giornale? Fonti autorevoli sostengono che quell’intercettazione sia giunta da ambienti romani e non da via Fabio Filzi, sede della Gdf milanese. Eppure fare credere il contrario conviene a chi vuole accreditare l’idea di una vendetta politica del viceministro nei confronti dei quattro ufficiali milanesi da trasferire. Nel frattempo si consuma, lontano dai riflettori, lo scontro tra Visco e Speciale. Gli ufficiali alla fine non verranno rimossi e anche questa storia cade nell’oblio. In realtà diventerà il detonatore di una bomba ad orologeria che un anno più tardi, cioè ai giorni nostri, verrà fatta esplodere rianimando gli spettri dei conti esteri della Quercia. Per giunta proprio a ridosso dell’udienza davanti al gip che dovrà finalmente rendere conto delle intercettazioni Unipol-Bnl, un centinaio, non di più.

E il Sismi tace
Sono davvero così esplosive queste intercettazioni? Chi le ha potute ascoltare, sostiene che non vi sia nulla di più di qualche affermazione che potrebbe provocare degli imbarazzi politici. E allora? Perché tutta questa inquietudine? Perché in realtà qualcosa che porta a dei conti esteri della Quercia esiste, si trova invece agli atti dell’inchiesta Telecom ed è, al momento, la frase che abbiamo pubblicato. Lo intuiscono perfettamente anche alla segreteria dei Ds che, non a caso, due settimane fa si presentano in Procura con il tesoriere Sposetti costituendosi parte offesa e facendo riferimento proprio ai dossier di cui ha parlato l’ex capo del controspionaggio Marco Mancini. Manca infine ancora una versione, quella dell’ex capo del Sismi Niccolò Pollari, per il quale il governo Prodi, a differenza di Berlusconi, si spende fino ad entrare in conflitto aperto con la Procura di Milano opponendo sul caso Abu Omar il segreto di Stato e rivolgendosi alla Consulta per scaricare sui pm milanesi accuse da galera. E’ Pollari, stando a Marco Mancini, che ha potuto vedere bene questi dossier sui conti della Quercia e di Massimo D’Alema. E che forse potrebbe avere un’idea a quale fonte d’intelligence italiana si siano abbeverati gli spioni privati della Kroll per scrivere il loro rapporto «Tokyo».

 


+ La Stampa 6-6-2007  Putin trova un alleato di fronte all'offensiva del presidente Usa su armi e diritti umani FRANCESCO SISCI

 

PECHINO Con un allineamento degno dei tempo delle fratellanze comuniste, ieri anche la Cina ha preso posizione sulla questione dello scudo spaziale, e dalla parte di Mosca. Con una nota ufficiale del ministero degli Esteri, Pechino ha fatto sapere che il progetto americano "altera l'equilibrio strategico". Lo scudo sarebbe inoltre "sfavorevole per la reciproca fiducia tra grandi potenze e per la sicurezza regionale, oltre a creare problemi di proliferazione". La nota è arrivata prima del discorso di Bush a Praga: vista la differenza di fuso orario non ci sono state subito reazioni ufficiali alle dichiarazioni del presidente americano. Ma gli specialisti di questioni americane non vedono cambiamenti sostanziali nella politica bilaterale. È da notare, dicono gli esperti, che la Cina è stata messa nello stesso gruppo di Egitto, Pakistan e Arabia Saudita: Paesi sì a basso livello di democrazia, ma anche amici degli Usa. Questo ultimo dato è quello che conta davvero per Pechino. Del resto, dietro la facciata di grande cordialità politica e l'allineamento sullo scudo spaziale, le differenze tra Cina e Russia sono enormi. I cinesi sostengono di essere costretti a comprare armi dalla Russia per ammodernare l'esercito e mantenere l'equilibrio di forze nello stretto di Taiwan. Ma queste armi arrivano in Cina ad un prezzo altissimo e sono arretrate persino rispetto a quelle che la Russia cede all'India. Inoltre non c'è nessun progresso sugli accordi di esportazione di gas ed energia dalla Russia alla Cina. I patti sui tracciati di gasdotti e oleodotti sono stati cambiati più volte, non si trova un'intesa sui termini della distribuzioni o degli investimenti a monte per l'estrazione del petrolio o del metano. "Come se non bastasse nella Siberia del nord i russi si lamentano un giorno sì l'altro pure di una prossima invasione cinese, esasperando la tensione locale", aggiunge un professore dell'Accademia delle scienze sociali cinesi. Anche a livello culturale le relazioni sono stagnanti: pochi scambi di studenti, ricercatori universitari. Negli ultimi due anni le visite reciproche tra accademici di India e Cina sono raddoppiate, mentre quelle tra Russia e Cina non hanno fatto un passo avanti. Pochi ragazzi cinesi vanno a studiare in Russia e solo una manciata di giovani russi va a studiare in Cina. Di contro, gli scambi accademici e di studenti a tutti i livelli tra Cina e America crescono in maniera verticale. Gli Usa sono la meta preferita per gli studi all'estero dei ragazzi cinesi e gli americani sono il gruppo più numeroso di studenti occidentali in Cina. Una predilizione che ha solide basi economiche: l'America è il primo partner commerciale della Cina e la Cina è il primo acquirente del debito americano: di fatto è il primo creditore dell'America. Nonostante un debito americano ormai smisurato e un dollaro debolissimo, la Cina continua a finanziare generosamente gli Usa, pur sapendo che con la caduta del biglietto verde il credito di Pechino si svaluta di giorno in giorno: un grande atto di fiducia. Il timore vero della Cina, che ha bisogno di un'area di pace e stabilità per la sua crescita economica, è il nervosismo della Russia. L'irritazione di Mosca per le accuse di Bush sulle "riforme democratiche russe deragliate" rischia di ripercuotersi anche a Oriente. Una Russia agitata, nervosa, rischia trasmettere onde di destabilizzazione lungo le migliaia di chilometri del confine tra i due Paesi. E certo Pechino starà bene attenta a non dare l'impressione ai russi che si stia creando una morsa sino-americana da est e da ovest. Del resto, nella sua visione di un mondo multipolare, Pechino ha interesse a mantenere una certa equidistanza con tutti i principali attori della politica internazionale, nonostante gli afflati culturali o economici, senza sbilanciarsi troppo da una parte o dall'altra.

 


+ La Padania 6-6-2007 Inquietanti dati dell OMS Il 20% dei decessi nel Belpaese è collegato agli effetti dell inquinamento ambientale Di inquinamento si muore.

 

E i dati sono davvero inquietanti: il 20% della mortalità nel nostro Paese è legato proprio all ambiente malsano. Sotto accusa soprattutto il traffico che rappresenta il 60% dell inquinamento in generale, con punte dell 80% in alcune città: le polveri sottili sono uno dei fattori più dannosi per la salute e in Pianura Padana presentano una delle più alte concentrazioni d Europa. Si pensi che i livelli indicati dalle linee guida sono di 10 microgrammi per metro cubo, mentre qui si registrano valori che vanno dai 35 a 45, cioè tre volte superiori a quelli considerati accettabili. Non solo: un recente studio dell Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sulle 13 più grandi città italiane ha stimato che, tra il 2002 e il 2004, una media di 8.220 morti l anno sono da attribuire proprio agli effetti di queste polveri. Tra le città europee con concentrazioni più elevate di micropolveri, ci sono Milano e Torino. L'inquinamento da particolato fine - spiega Roberto Bertollini, direttore Centro Ambiente e salute Oms Europa, - preoccupa molto per la salute perchè queste sostanze sono così piccole da entrare nel sangue, riuscendo arrivare a tutti gli organi". Tutte le aree urbane italiane risentono del fenomeno. "Il problema delle polveri sottili - sottolinea Ermete Realacci, presidente della VIII Commissione della Camera dei deputati Ambiente, territorio e lavori pubblici - riguarda tutto il Paese. Le leggi ci sono: abbiamo le norme fissate dall Ue. Purtroppo, però, non sempre ci sono adeguati strumenti per dare concrete risposte operative. Per affrontare questo tema, infatti, è necessario agire su molti fronti. Uno dei più importanti è quello del trasporto. Tra le misure necessarie, ad esempio, il potenziamento del trasporto pubblico e la limitazione di quello privato. E questo significa anche risorse". Dal canto suo il rappresentante dell Oms, Bertollini, invita a seguire l esempio della maggioranza dei Paesi europei che hanno costituito organismi istituzionali, come per esempio Agenzie ad hoc, per valutare e monitorare le politiche ambientali. Per gli esperti del Cnr, conoscere meglio le reali condizioni d inquinamento del territorio e i rischi per la salute che ne derivano è ormai una necessità. "Quello che proponiamo - ha spiegato Bianchi - è un vero e proprio sistema di biomonitoraggio. Oggi, infatti, non abbiamo abbastanza informazioni. Manca, poi, una misurazione dei miglioramenti ottenuti dopo le bonifiche delle aree inquinate". A seguito dei dati allarmanti resi noti dal Cnr, il Codacons ha chiesto al ministro dell'Ambiente Pecoraro Scanio di modificare urgentemente la normativa vigente, in particolare il Decreto Ministeriale 2 aprile 2002, n. 60, obbligando i sindaci ad introdurre automaticamente il provvedimento delle targhe alterne ad ogni superamento delle soglie limite degli inquinanti. [Data pubblicazione: 06/06/2007].

 


Europa 6-6-2007 P1, P2, P3. Fantasia e somiglianze a parte è la sospetta inaffidabilità delle sciabole FEDERICO ORLANDO RISPONDE

Cara Europa, a me quel generale della Finanza, Speciale di nome e di fatto, che davanti a tutte le autorità dello stato alla parata del 2 giugno sbatte i tacchi davanti a Berlusconi e gli dice “Sempre agli ordini, presidente”, mi ricorda il generale De Lorenzo; e il presidente Prodi che non sa o non ridenuncia alla magistratura eventuali trame di sciabole, rischia come Forlani, che esitò nel fare i nomi della P2 (tanti generaloni) e finì scavalcato da Spadolini, segnando la fine dei governi Dc. La storia si ripete? COL. GIUSEPPE

 

Caro Colonnello, a parte il disagio nel pubblicare lettere firmate così, temo lei abbia ragione di pensare che anche stavolta la storia si ripete.
Ma su questo punto preferirei attendere gli sviluppi dell’inchiesta D’Avanzo su La Repubblica, che ha molte bocche da fuoco: una puntata contro le sciabole generalizie, sempre disponibili a farsi coinvolgere nei giochi d’interesse dei governi che puntano sulle faide interne delle forze armate, sugli odi sacerdotali che frammentano la casta; un’altra contro il governo Berlusconi, che ha fatto carne di porco, specie con la Finanza e specie in Lombardia, durante il quinquennio del Vanno Marchi di Arcore (la definizione è di Pannella) e del suo Professore Tributarista al Tesoro; un’altra ancora contro l’attuale governo, che avendo ereditato dalla destra il groviglio di vipere in borghese o in divisa di “servitori dello Stato”, con metastasi nei Servizi segreti di Pollari, nello spionaggio Telecom, negli affari Unipol o come si chiamino, invece di usare il lanciafiamme a costo di illuminare la notte della repubblica, ha preferito (more democristiano), sopire, tacere, tacere, sopire, magari con la speranza non solo del quieto vivere ma anche di qualche incertuccio (Alfieri) a Pasqua ed a Natale.
Oggi, dal dibattito al senato, sapremo qualcosa di più. Ma fin d’ora voglio esprimere il mio personale rammarico che un uomo di altissima coscienza morale, il mio amico Nando Dalla Chiesa, all’inizio di questa vicenda abbia detto, per comprensibilissime ragioni umane, di credere sempre alla lealtà degli uomini in divisa. Se tutti fossero come suo padre, certo. Ma io ricordo ancora, come scrivo in prima pagina, in un’altra festa del 2 giugno d’oltre 40 anni fa, gli occhiolini del generale De Lorenzo agli invitati di Palazzo Barberini, quando meditava il Piano Solo; ricordo le tazzine di caffè alla buvette di Montecitorio col generale Miceli, capo del Sid, poi arrestato, l’assassinio(?) del generale Mino odiato dai carabinieri per la sua tendenza a democratizzare l’Arma; ricordo i comandanti della Finanza (Cerciello e altri) in fortezza a Peschiera per gli scandali dei petroli; ricordo il covo di Provenzano lasciato alla mercè dei visitatori per 18 giorni dal Sisde, ma soprattutto ricordo i generali passati direttamente dalla divisa alla poltrona di Montecitorio sui banchi della destra. Mi domando, perché sempre a destra. I veri soldati, che avevano fatto la guerra – dal maresciallo Messe all’ammiraglio Durand de la Penne – entrarono in parlamento nei ranghi dei partiti liberaldemocratici.


 

Il Giornale di Brescia 6-6-2007 Costi della politica: un ddl entro giugno. Audizione del ministro Santagata in Commissione alla Camera: il governo farà presto, ma non sull'onda emotiva

 

L'emiciclo della Camera: è urgente ridurre i costi della politica ROMA Ridurre gli sprechi della politica è una priorità del governo da sempre. Quindi si deve agire e in fretta, ma non sull'onda "emotiva e mediatica" di questi ultimi tempi. E le prime mosse saranno un Patto tra le istituzioni e un disegno di legge da mettere a punto entro giugno. A spiegare cosa intende fare l'esecutivo di Romano Prodi per contenere i costi dei ''palazzi'' della politica è il ministro per l'Attuazione del programma Giulio Santagata nella sua audizione in commissione Affari Costituzionali alla Camera. Santagata, che la settimana scorsa si è incontrato con rappresentanti di Regioni, Province, Comuni e Comunità montane proprio per fare il punto su quanto costa la politica in Italia, è stato chiarissimo. Non ci saranno interventi mirati a tagliare solo in "casa di qualcuno" perchè la "dieta dimagrante" dovrà riguardare tutti: da Parlamento e governo, a Comuni e società pubbliche. Con "tempi condivisi" e metodi analoghi. "Vogliamo evitare così - precisa il ministro - di dividere le istituzioni tra ''buoni'' e ''cattivi''". L'intervento, assicura Santagata, dovrà essere a 360 gradi e riguardare tre livelli: costi della rappresentanza, che sono la voce più pesante del bilancio; razionalizzazione della Pubblica Amministrazione; maggiore trasparenza, responsabilità ed etica pubblica. Quindi, avverte il ministro, si dovrà pensare a ridurre gli emolumenti, le indennità, a ridimensionare il numero di consulenti e rappresentanti ("non solo dei consiglieri regionali"), a fare insomma tutti quei tagli che saranno necessari a contenere gli sprechi. E anche il governo dovrà fare la sua parte. Santagata infatti fa "mea culpa", come rappresentante dell'esecutivo, affermando che l'attuale governo ha talmente esagerato in termini di ministri e sottosegretari che ha toccato un "record negativo". Che ovviamente dovrà essere rivisto. Il governo dunque si è già messo al lavoro incontrando tutti gli enti locali (che tornerà a rivedere giovedì), mettendo a punto un libro bianco e accelerando il più possibile l'iter di un disegno di legge che indichi tempi e modalità. Quindi, non si escludono percorsi legislativi separati e mirati anche se, ricorda Santagata, "molto per ridurre i costi è stato già fatto nella Finanziaria e nel Dl Bersani". E poi, per Santagata, "va completato quel federalismo" che così com'è rimasto ha creato solo delle costose "sovrapposizioni". Gli interventi da fare, per il ministro, sono davvero tanti: dalla revisione dei contributi per i giornali, alla riduzione degli "incarichi per chi ha già incarichi direttivi", "evitare proliferazione eccessiva" delle società a partecipazione pubblica, discutere delle "dimensioni minime delle Province". "Non dobbiamo agire sull'onda dell'emotività - dichiara Santagata -. Ma abbiamo tutti l'urgenza di dare un segnale della capacità delle istituzioni di auto-riformarsi, perchè il rischio del distacco dei cittadini dalla politica è grande e ben visibile". "Come governo - conclude - avvertiamo la necessità di agire con urgenza".


 

La Repubblica 6-6-2007 Economia LA CONCORRENZA Gimcana dei consumatori tra cavilli e spese. Appello della Ue Telefoni, conti correnti e pay tv fino a 5 mesi per cambiare utenza Ancora freni e resistenze nonostante le liberalizzazioni Complicazioni anche per internet e da luglio il banco di prova per l'elettricità BARBARA ARDU

 

ROMA - è più facile cambiare partner che abbandonare la propria banca, passare a un nuovo operatore di telefonia mobile, disdire l'abbonamento tv. Seguire le sirene della concorrenza si trasforma spesso in un calvario che in cima ha piantate tre croci: i tempi, i costi o tutti e due. Resistono al cambiamento banche, società di telefonia e pay-tv. Resistono alle picconate di Bersani, che con le sue "lenzuolate" sulle liberalizzazioni è deciso a rendere più facile e meno costoso cambiare. Se n'è accorta da tempo anche la Commissione europea, che ieri ha pubblicato il lavoro di un gruppo di esperti sugli ostacoli che incontra chi vuole cambiare banca: asimmetria delle informazioni, opacità dei prezzi, vincoli amministrativi, spese di chiusura. Problemi che le banche italiane stanno affrontando, replica l'Abi, attraverso il Consorzio Patti Chiari e che verranno superati quando sarà operativo lo spazio unico dei pagamenti europeo. Il trasloco del conto corrente è infatti faticoso e pieno di insidie. Eliminati i costi di chiusura grazie al decreto Bersani, al cliente rimane il compito di avvisare quegli enti che sul suo conto prelevano o addebitano: il datore di lavoro, l'Inps, le società finanziarie che incassano le rate, gli abbonamenti tv. Un primo passo è stato fatto. Ci sono 17.000 sportelli che aderiscono all'iniziativa, "CambioConto" di Patti Chiari: si firma un modulo e la banca trasferisce le domiciliazioni bancarie sul nuovo conto. "L'ideale - spiega Mauro Novelli dell'Adusbef - sarebbe assegnare un codice bancario, sulla falsariga di quello fiscale, anche se il problema è a monte: le banche dovrebbero offrire contratti con condizioni valide per un anno, senza modificarle a ogni piè sospinto". Una nebbia fitta avvolge anche l'estinzione anticipata del mutuo. Da giugno chi sceglie di andarsene non paga più penali o paga penali ridotte sui vecchi mutui. "Notiamo però una certa resistenza da parte delle aziende di credito - dice Novelli - e il tentativo di imporre i loro usi. Allo sportello spesso non sanno dare risposte certe". E fanno presto le società di telefonia mobile a lanciare promozioni. Chi chiede di cambiare operatore può attendere anche cinque mesi. Un esempio? Ci sono oltre 250mila clienti che spettano di passare da Tim a Vodafone. E al danno si aggiunge la beffa: "Se scelgo un nuovo operatore perché il mio modifica il piano tariffario - spiega Antonio Bosco dell'Adiconsum - sono costretto a pagare proprio per quello da cui volevo scappare". La portabilità del numero introdotta nel 2002 è ancora una chimera. E la situazione peggiorerà perché stanno arrivando sul mercato Coop e Poste italiane. Staccare la spina di Sky o Fastweb è invece costosissimo, un salasso se si vuole recedere dal contratto nel primo anno. "Sky si è inventata una spese fissa di chiusura pari a 220 euro più 30, anche se ripartita nell'anno - accusa Mauro Vergani di Adiconsum - Fastweb ne chiede 217, cui se ne aggiungono altri 52 se si ha l'allacciamento tv". Proprio oggi l'Authority farà sentire la sua voce: l'orientamento è rendere rigoroso il rispetto della normativa Bersani: non devono esserci costi di uscita se non quelli legati alle spese aziendali. Un principio che vale anche per i gestori di Internet e della telefonia fissa (per abbandonare la linea chiedono dai 40 euro in su). Con le polizze sembra andare meglio. La prima "lenzuolata" di Bersani ha abbattuto a 15 i giorni entro i quali bisogna disdire l'Rc auto prima della scadenza del contratto. La seconda ha cancellato le penali previste per chi, prima del tempo, voleva sbarazzarsi di una polizza danni. E dal 1° luglio parte la liberalizzazione dell'energia: le famiglie potranno scegliere tra diversi fornitori. Un nuovo capitolo che per ora è fatto solo di offerte promozionali.


 

Il Riformista 6-6-2007 Bush fa il superpotente per isolare Cina e Russia  di Tonia Mastrobuoni


A Praga, durante la prima tappa del suo tour europeo, che toccherà anche l’Italia, George W. Bush ha lanciato prima un segnale distensivo, poi un affondo contro la Russia. Il presidente americano ha sdrammatizzato ieri mattina gli scenari da guerra fredda, sottolineando che quell’epoca «è finita» e ha accusato solo qualche ora dopo il presidente russo Putin di aver fatto «deragliare riforme democratiche che un tempo sembravano promettenti». Infine, Bush ha aperto un fronte anche con la Cina, annunciando di voler incontrare la dissidente cinese Rebiyah Kadeer e scandendo che «i leader di Pechino pensano di poter portare avanti l’apertura economica senza affiancarla ad un’apertura del sistema politico». Su questo punto, ha aggiunto, gli Stati Uniti non sono d’accordo.
Un esordio di fuoco che accentua l’impressione sconcertante di un remake della crisi degli euromissili di venti anni fa (compresi i manifestanti in piazza, più angosciati per i McDonald’s, oggi, che per le testate atomiche). Ma che serve a Washington per altri scopi che non per quello esclusivo di creare un braccio di ferro sugli armamenti con Vladimir Putin. Indubbiamente le sue dichiarazioni avranno l’effetto di acuire le tensioni con il Cremlino e monopolizzare le discussioni tra gli otto Grandi, che si riuniranno oggi ad Heiligendamm per uno dei G8 più burrascosi degli ultimi anni. Ma i due fronti aperti con Russia e Cina vanno al di là della contrapposizione su armamenti e diritti umani. Sono l’espressione dell’ansia di Washington di spezzare il legame sempre più stretto - soprattutto sul piano dei rapporti commerciali - che lega Europa e Russia e di riaffermare, anche ad uso interno, la leadership americana tra le superpotenze del mondo. Solo così si spiega l’accento posto ieri da Bush sul carattere antidemocratico e repressivo dei governi di Mosca e Pechino. Unito alla rivendicazione, da parte del presidente americano, della funzione “virtuosa” dello scudo spaziale, programmato per difendere l’Occidente dagli «stati canaglia», come è tornato a definirli ieri, cioè Iran in testa. In serata il portavoce del Cremlino ha respinto le accuse di Bush ed è chiaro che il presidente russo affronterà il suo omologo americano a muso duro, alle riunioni previste a Heiligendamm. E non saranno facili neanche i rapporti tra Bush e i cinesi, che si sono uniti ieri, inevitabilmente, al niet di Mosca allo scudo stellare.
Soprattutto, non sarà di buon umore la Cancelliera tedesca, Angela Merkel, che incontrerà Bush oggi a pranzo e la cui agenda è stata già letteralmente capovolta dagli eventi degli ultimi giorni. L’ambizione dichiarata della Kanzlerin era quella di mettere in primo piano temi economici e in particolare la lotta al riscaldamento climatico. Assoluti protagonisti dei summit saranno invece temi politici, che Merkel avrebbe volentieri discusso ad un altro tavolo, cioè quello della Nato. L’assoluta priorità, per Merkel, resta il tema dei cambiamenti climatici e un programma multilaterale di riduzione delle emissioni di Co2 per ottenere un dimezzamento della temperatura globale, entro il 2050. Un piano nello spirito degli accordi di Kyoto, fortemente contrastato da Washington, che vorrebbe tener fede alla linea di impegni vaghi e lasciati all’iniziativa dei singoli paesi. Un’impostazione che Bush vuole imporre anche a livello internazionale, con una conferenza dei 15 a Washington, in autunno. Ieri pomeriggio lo sherpa della Cancelliera, Bernd Pfaffenbach, ha ribadito che le trattative continuavano ad essere serrate, per avvicinare le posizioni. Ai giornalisti ha detto che ci sono «delle chance» per trovare un accordo, rivelando che la Kanzlerin era ancora al lavoro, in quelle ore, per ottenere un avvicinamento tra la posizione americana e quella europea. Ma sembra difficile che lo scenario muti, entro il vertice di oggi.


 

Il Cittadino 6-6-2007 Angela Merkel di fronte ad una prova difficile. G8, Merkel scommette sull'ambiente: "Clima e inquinamento le nostre priorità"

 

Il vertice G8 di oggi a Heiligendamm (sulla costa baltica tedesca) consacrerà definitivamente il cancelliere tedesco tra i protagonisti della scena politica internazionale. Alla vigilia dell'incontro, Merkel è riuscita a smussare le posizioni più controverse sulle misure da prendere per impedire un ulteriore aumento del riscaldamento terrestre. Il fatto che Bush nei giorni scorsi abbia affrontato il tema delle misure da prendere anche da parte degli Stati Uniti è indubbiamente un punto a favore del cancelliere. Resta il pericolo di una posizione rigida, quasi un boicottaggio, da parte del presidente russo Vladimir Putin, che potrebbe non sentire ragioni e insistere sulla sua posizione contraria ad oltranza contro i progetti di difesa spaziale degli Stati Uniti, rendendo impossibile qualsiasi accordo. Altro rischio da non sottovalutare è la possibilità che la protesta dei no-global possa essere funestata da gravi incidenti di piazza, come quelli avvenuti sabato scorso nella vicina Rostock con oltre 1000 feriti tra polizie e dimostranti. "Io sono ottimista sul fatto che assisteremo ad un buon vertice - ha detto il cancelliere in una intervista -. Ci siamo proposti un ampio spettro di temi, tra essi una delle questioni basilari di un vertice G8 e cioè la questione dei rischi e delle possibilità che comporta la globalizzazione".Ai lavori sono stati ammessi come osservatori anche i rappresentanti dei Paesi emergenti, senza i quali il mondo ormai non può più fare progetti, e cioé Cina, Brasile, India, Sudafrica e Messico. "Io non posso anticipare quali saranno i risultati, ma in tema di ambiente sono sicura che alla fine avremo compiuto passi in avanti - ha detto Merkel -. Nessuno può più ignorare il tema della tutela del clima e noi abbiamo bisogno dopo lo scadere del protocollo di Kyoto nel 2012 di un nuovo accordo internazionale".


 

L’Unità 6-6-2007 “Fine pena” sempre.  Marco Travaglio

 

Nel 1999 l'Ulivo vara la riforma del "giudice unico". La legge attuativa "Carotti" estende il giudizio abbreviato a tutti i delitti, compresa la strage: basta scegliere il rito alternativo, e scatta automatico lo sconto di un terzo della pena. Così gli stragisti, anziché l'ergastolo, rischiano al massimo 30 anni, che coi benefici della Gozzini diventano 20 e consentono i primi permessi dopo 10. Così i boss mafiosi arrestati dopo le stragi del 1992-'93, fino ad allora rassegnati all'idea di restare dietro le sbarre per tutta la vita, contano gli anni (pochissimi) che li separano dalla scarcerazione. I pm antimafia e i parenti delle vittime ricordano che in cima al "papello" consegnato da Totò Riina nei primi anni 90 ai suoi referenti politici col programma della mafia c'era proprio l'abrogazione dell'ergastolo e del 41-bis. Ma è tutto inutile. Il 23 ottobre 2000, nell'aula bunker della Corte d'assise d'appello di Firenze, Totò Riina, Giuseppe Graviano e altri 15 boss condannati in primo grado all'ergastolo per le bombe del '93 a Milano, Firenze e Roma ne approfittano: si alzano nelle gabbie e chiedono alla Corte il rito abbreviato per scendere dall'ergastolo a 30 anni. Stavolta, dinanzi alla prospettiva concreta di veder uscire in poco tempo gli stragisti del 1992-'93 e alle proteste dei familiari delle vittime dei Georgofili, il governo Amato ingrana la retromarcia e corre ai ripari in tutta fretta: il 23 novembre vara un decreto che esclude dal rito abbreviato i mafiosi processati per omicidio o strage: chiunque, oltre al delitto di sangue, risponda anche di un altro reato (tipo l'associazione mafiosa) viene condannato all'ergastolo più l'isolamento diurno. Che gli viene revocato con lo sconto dell'abbreviato, mentre l'ergastolo rimane. E, per qualche anno, non se ne parla più. Il 12 luglio 2002, dopo un anno di governo Berlusconi, Cosa Nostra torna a farsi viva: Leoluca Bagarella, dalla gabbia di un processo, tuona contro i "politici che non mantengono le promesse" e "ci usano come merce di scambio". Altri mafiosi inviano ultimatum ai loro difensori eletti con la Cdl perché si decidano a tradurre in legge il famoso papello. Alcuni onorevoli avvocati vengono precipitosa- mente dotati di scorta, e con loro anche Previti e Dell'Utri che - secondo il Sisde - potrebbero rischiare rappresaglie mafiose: stavolta Cosa Nostra non colpirà più personaggi immacolati come Falcone e Borsellino. La mafia affigge pure uno striscione allo stadio di Palermo: "Uniti contro il 41 bis. Berlusconi dimentica la Sicilia". Il governo Berlusconi vara una legge che stabilizza il 41-bis (finora rinnovati per decreto di sei mesi in sei mesi): pare una norma più severa, in realtà ha l'effetto opposto. Se prima era difficilissimo per i boss far revocare il 41-bis, visto che i tempi dei ricorsi erano più lunghi di quelli delle proroghe semestrali e ogni volta bisognava ricominciare da capo, ora che il regime è definitivo c'è tutto il tempo per chiederne e ottenerne l'annullamento. Risultato: solo nell'ultimo anno, a cavallo tra il governo Berlusconi e il governo Prodi, 89 boss e killer mafiosi su 526 escono dal 41-bis. Ma, anche per chi ancora vi soggiace, il carcere duro è sempre più molle. E c'è chi, come l'onorevole avvocata Bongiorno, vorrebbe addirittura abolirlo. Resta un solo punto del "papello" da realizzare: l'ergastolo. Purtroppo si sta provvedendo anche a quello, con una coazione a ripetere tutti gli errori del passato che lascia basiti. Mentre 310 ergastolani su 1294 (tra cui i killer di Livatino e Siani) scrivono a Napolitano, la rifondarola Luisa Boccia presenta un ddl per abolire il "fine pena mai" e lo stesso annuncia Giuliano Pisapia, che riscrive il Codice penale per il governo Prodi. Il sottosegretario Manconi è d'accordo. Naturalmente sono tutte brave persone e possono fare ciò che vogliono. L'impor- tante è avere chiare le conseguen- ze. Gli ergastolani arrestati dopo le stragi scenderebbero a 30 anni di pena, che poi, con la liberazio- ne anticipata per "regolare condotta" sono 20. Avendone già scontati 13-14, uscirebbero fra 6-7, anzi fra 3-4 ai servizi sociali. E potrebbero chiedere subito semi- libertà e permessi premio. Non bastava l'indulto? È sicura la maggioranza di voler completare il papello di Riina e di affrontare la scarcerazione di mafiosi e terroristi? Ci facciano sapere. Uliwood party


 

L’Unità 6-6-2007I conti "dormienti" per le vittime dei crack Sì del Consiglio dei ministri al decreto sull'utilizzo dei depositi bancari rimasti inattivi per 10 anni di Bianca Di Giovanni

 

i / Roma RISARCIMENTO Finalmente le vittime dei crack finanziari potranno essere risracite. Il Consiglio dei ministri ha varato ieri il decreto attuativo della norma sui depositi cosiddetti dormienti della Finanziaria 2006. In sostanza i conti correnti rimasti inattivi per 10 anni vengono devoluti a un fondo destinato in gran parte (ma non solo) ai risparmiatori traditi. Potranno così essere ricompensati delle perdite subite i cittadini rimasti impigliati nelle reti di Parmalat, Cirio, bond Argentina. Secondo le associazioni dei consumatori il "tesoro" dei conti dormienti vale tra i 10 e i 15 miliardi "L'Adusbef - dichiara in una nota il presidente Elio Lannutti - è lieta che finalmente il governo abbia sbloccato il 'tesorò dei clienti confiscato dalle banche". Anche se tra le associazioni non manca chi critica i tempi lunghi del provvedimento e chi (sempre Lannutti) attacca i "vigilanti" (cioè Bankitalia) per non aver chiesto una quantificazione esatta dei conti. Per l'Abi, lassociazione dell banche, le misure varate sono "in linea con quelle di altri Paesi". L'associazione, rivelano fonti vicine al vertice, "non ha mai considerato negative queste norme ma anzi condivisibili. L'unica preoccupazione era che gli adempimenti per rintracciare i clienti titolari dei conti dormienti fossero troppo onerose per le banche. Dalle prime anticipazioni del provvedimento sembra che non sia così". Il testo varato ieri è solo il primo passo verso lo sblocco delle risorse. Il decreto concede 6 mesi di tempo agli istituti dic redito per chiudere lo stock di conti già arrivati alla scadenza indicata (10 anni di inattività) ed altri 4 mesi per destinare le risorse dal fondo alle famiglie colpite dai crack. Il provvedimento - sette articoli di cui uno di norme transitorie, che tengono conto di una recente pronuncia del Consiglio di Stato nonchè della normativa già sperimentata in altri Paesi come Spagna, Francia e Irlanda - di fatto scongela risorse "silenti", fornendo però delle garanzie agli intestatari. Per questo occorre un lasso di tempo abbastanza lungo. considerato che gli intermediari finanziari dovranno avvisare, o comunque provare a rintracciare, gli interessati e nel frattempo dovranno essere approvati i Regolamenti del ministero dell'Economia per la gestione del Fondo e per la funzionalità dell'apposita commissione. "Non solo si dovranno avvisare gli interessati - spiega il sottosegretario all'Economia Alfiero Grandi - ma ci sarà anche un elenco pubblico, con nomi, cognomi e date di nascita" delle persone che hanno dimenticato in qualche banca, alla posta o all'assicurazione una certa cifra di denaro. "E in ogni caso l'interessato potrà sempre fare opposizione" al provvedimento di estinzione del conto. Dopo l'avviso da parte degli istituti del rischio di estinzione del conto "fermo" da 10 anni, i titolari hanno 180 giorni di tempo per "farsi vivi". Se questo non accade, le risorse vengono devolute al fondo, che in parte è destinato anche a finanziare misure per i precari e per il sociale. La norma fu introdotta dall'ex ministro Giulio Tremonti nel mezzo della bufera su Parmalat. Ma il testo era di difficile attuazione, proprio perché non consentiva alle banche di stornare i fondi senza incorrere in iregolarità. Di qui la riscrittura nella finanziaria 2007, che ha anche allargato la platea di beneficiari: non solo i risparmiatori traditi, ma anche (per circa il 20% del totale) i lavoratori precari. "Un atto importante di giustizia sociale", commenta il Verde Angelo Bonelli. Reazioni negative da FI. "Scopiazzano Tremonti - dichiara Osvaldo Napoli - il risultato non potrà che essere estremamente irrisorio".


 

La Repubblica 6-6-2007 Palermo Dai costi della politica alla denuncia degli sprechi LINO BUSCEMI

 

(segue dalla prima di cronaca) Dunque, non è di ulteriori analisi e considerazioni che la gente avverte la necessità. Pure le pietre hanno capito che c'è bisogno di una seria e convincente inversione di rotta per dire basta a un metodo di gestione degli affari pubblici che non fa altro che produrre la dilatazione della spesa pubblica e privilegiare il sovvenzionamento di barocche, inutili e autoreferenziali attività amministrative e governative. Ma la politica che si è fatta "antipolitica" con l'improvvisata azione di denuncia da postazioni qualificate, potrebbe deludere l'opinione pubblica perché sembra giocare a scaricabarile soffermandosi su questioni che, pur non prive di valenza, appaiono marginali economicamente e eticamente parlando. Si privilegia lo sdegno e la lotta per tentare di rimuovere la pagliuzza, rispetto alla necessità di impostare una duratura battaglia contro abusi, sprechi e tutele di caste e consorterie varie. Il soverchiante uso, all'interno delle istituzioni, di costose auto blu o l'utilizzo immotivato e non necessario di numerosi esperti e consulenti, pur essendo argomenti che indignano e che incidono notevolmente sui bilanci pubblici, tuttavia non possono essere additati quali unici mali da estirpare per riportare il sereno. Ci sono ben altre patologie e fattori inquinanti, ancorché destabilizzanti, dei conti pubblici regionali e locali. Si possono chiudere gli occhi su quella idrovora che è la spesa sanitaria e farmaceutica? Si può tollerare, ancora, che enti, aziende e istituti, controllati e finanziati dalla Regione, anziché promuovere sviluppo pensano soltanto a consolidare costosissime nicchie di privilegio e di sperpero? è serio non intervenire per bloccare il fiume di danaro destinato alla formazione professionale, a manifestazioni e feste paesane? Che ce ne facciamo delle decine di migliaia di forestali che qualcuno ha definito sovradimensionati persino per gestire la foresta amazzonica? Perché, dopo tanti bla bla, si coltivano ancora sogni di grandezza quali quelli di equiparare, dal punto di vista dei privilegi e delle retribuzioni, la nostra poco produttiva Assemblea regionale nientemeno che al Senato della Repubblica? C'è qualcuno che può onestamente spiegare perché la Regione debba avere un così esorbitante numero di dirigenti generali? Che dire dei tanti insignificanti uffici speciali e dei pletorici uffici di gabinetto? L'elenco è troppo lungo per continuare, come ben sanno i reggitori della cosa pubblica. è facile puntare il dito sulle auto blu (che sia chiaro vanno drasticamente ridimensionate) o sui gettoni di presenza (sproporzionati e percepiti a piene mani). Diventa più difficile farlo quando bisogna affrontare argomenti più seri che sono all'origine del depauperamento delle risorse pubbliche e del diffuso sistema di clientele e sottogoverno. Ecco: la politica che si trasforma in antipolitica, per essere credibile, impugni l'ascia della severità e colpisca le tante zone dove si annidano interessi di parte e di gruppi che nulla hanno a che vedere con l'autonomia regionale e con il suo sviluppo. Oggi la Sicilia è per antonomasia il luogo simbolo dello scialo, pur avendo il più alto tasso di disoccupati ed una economia bloccata. Se si ha la consapevolezza di tutto ciò, per favore, si eviti di fare il solito teatrino (dove c'è posto per recite a soggetto condite da finte indignazioni) con il solo scopo di confondere le acque, consentendo alle caste di sopravvivere, alimentarsi e riprodursi. Ovviamente a spese del popolo siciliano.


 

Il Cittadino 6-6-2007La tornata amministrativa appena conclusa rischia di spegnere i riflettori sulla legge elettorale, per la quale (o meglio per la cui riforma) anche nel Sudmilano ogni municipio raccoglie le firme.

 

Eppure c'è poco più di un mese e mezzo per arrivare alle cinquecentomila firme necessarie ad indire nella primavera del 2008 il referendum: il quorum va raggiunto infatti entro il 24 luglio. Il quesito che impegnerà gli italiani sarà abrogativo, nel senso che chiederà di abolire l'attuale sistema proporzionale a liste bloccate (contestato anche per i diversi premi di maggioranza fra Camera e Senato) per tornare ad una versione più vicina al maggioritario. Nel frattempo una delle non molte proposte di riforma elettorale, alternative al referendum, firmate da deputati o senatori è quella avanzata alcuni giorni fa dal parlamentare melegnanese Erminio Quartiani, segretario dell'Ulivo alla Camera, insieme ad alcuni colleghi. La bozza di revisione della legge propone di importare in Italia il maggioritario spagnolo. Quest'ultimo, a turno unico e circoscrizioni provinciali, prevede la ripartizione dei seggi secondo quorum che oscillano, a seconda del numero di seggi per circoscrizione, dal 25 al 3 per cento.


 

Finanzaonline.com 5-6-2007 Usa: Bernanke, inflazione e mercato immobiliare le minacce alla crescita

Finanzaonline.com - 5.6.07/16:11

Il presidente della Federal Reserve (Fed), Ben Bernanke, si attende che nei mesi a venire la locomotiva americana sbuffi, ma senza troppo entusiasmo. Lo ha dichiarato nel suo intervento in teleconferenza alla International monetary conference a Città del Capo, in Sud Africa. In estrema sintesi, il numero uno della Fed può essere collocato nella schiera dei "moderatamente ottimisti": "In media nei prossimi trimestri ci aspettiamo che l'economia avanzi a passo moderato, vicino o appena sotto il trend (individuato generalmente dagli economisti in un tasso di crescita annualizzato del Prodotto interno lordo pari al 3%, ndr)".

Un elemento che tuttavia potrebbe frenare la crescita dell'economia è l'inflazione: se il tasso di crescita dei prezzi, al netto di alimentari ed energia (la cosiddetta inflazione "core"), non rallenterà, il quadro macroenomico potrebbe farsi complicato. "Nonostante che appaia probabile che l'inflazione core scenda gradualmente nel corso del tempo - ha affermato Bernanke - i rischi rispetto a questa previsione sono di un'accelerazione". "In particolare - ha aggiunto il successore di Alan Greenspan alla Fed - il tasso di utilizzo delle risorse, che rimane elevato, suggerisce che il livello della domanda finale potrebbe essere ancora alto rispetto alla sottostante capacità produttiva dell'economia".
   
Tra l'altro a offuscare il quadro macroenomico di crescita moderata potrebbe anche essere il settore immobiliare e questo capitolo è quello su cui Bernanke ha speso più parole. La debolezza del comparto infatti potrebbe minare la crescita del Pil per più tempo del previsto e una attenta lettura dei dati del mercato immobiliare indica proprio che nei primi quattro mesi dell'anno in corso c'è stata una battuta di arresto. "L'aggiustamento del settore immobiliare - ha commentato il numero uno dell'autorità monetaria per eccellenza degli States - è ancora in corso e il rallentamento dell'edilizia residenziale ora sembra destinato a rappresentare un freno per la crescita economica più a lungo di quanto si ritenesse prima". Nonostante gli allarmi lanciati, Bernanke ha preferito concludere il proprio discorso con una nota di ottimismo sul mercato immobiliare: "I fattori fondamentali, che includono una solida crescita dei redditi e interessi da pagare sui mutui relativamente bassi, dovrebbero in ultima analisi supportare la domanda di case, e, a quel punto, le preoccupazioni legate al settore subprime (quello con maggiori probabilità di insolvenza, ndr) difficilmente avrebbero modo di riversarsi seriamente sull'economia o sul sistema finanziario".

Intanto, la Borsa di Wall Street, che ha da poco dato inizio alle danze del 5 giugno, viaggia all'insegna della debolezza: alle 16.00 circa ora italiana il Dow Jones industrial average cede sul terreno lo -0,45% a 13.614 punti, l'S&P500 (che aveva aperto la seduta con un ribasso dello 0,19%) scende dello 0,39% a 1.533 punti e il Nasdaq composite si muove in ribasso dello 0,49% a quota 2.608 punti.


INDICE 5-6-2007

 

+ Consiglio dei Ministri n. 54 del 5 giugno 2007 Il Consiglio ha approvato i seguenti provvedimenti: 1

+ Il Sole 24 Ore 5-6-2007 Sì al decreto presidenziale sui depositi dormienti di Nicoletta Cottone  2

+  La Stampa 5-6-2007  Berlusconi: "Voto o sciopero fiscale" L’ex presidente del Consiglio: pronti a scendere in piazza  2

Il Corriere della Sera 5-6-2007 Cossiga e i fantasmi delle scalate rosse Di FRANCESCO VERDERAMI 3

Europa 5-6-2007 Applausi e fischi di giovani confindustriali, ovvero “nuovi borghesi” come prima, peggio di prima FEDERICO ORLANDO RISPONDE  4

Il Riformista 5-6-2007 Il problema non è Visco, è la guida politica  di Emanuele Macaluso  5

L’Unità 5-6-2007 La strategia dei veleni Gianfranco Pasquino  5

La Repubblica 5-6-2007 Cercasi guida disperatamente perché la sinistra ha smarrito il carisma Un paese che appare senza un vero ricambio politico e generazionale La crisi di identità è maturata dentro scelte politiche poco coraggiose FRANCESCO MERLO  6

L’Unità Costituzione Ue un gruppo di saggi tenta il compromesso Amato presenta un nuovo testo semplificato Via bandiera e inno europei ma i pilastri restano. di Sergio Sergi 8

L’Unione Sarda 5-6-2007 Attesa per l'incontro di sabato con Prodi. Il capo della Casa Bianca: "Vedrò anche l'amico Silvio" Bush a Roma, l'ombra di Calipari 8

L’Unione Sarda 5-6-2007 "Legge" Nenni-Saragat, ovvero a tavolino 2+2=3 voti Il Pd rischia il bis di un disastro anni '60 di Beppe Benvenuto  9

Il Piccolo di Trieste 5-6-2007 VERSO IL PD Prima riunione pubblica del gruppo Due altri incontri su laicità e profilo culturale della nuova formazione Ds, l'area laica e socialista: Partito democratico, il pericolo è di restare lontani dalla gente  10

La Repubblica 5-6-2007 Così Tremonti epurò il vertice della Gdf Prima fu rimosso in sole ventiquattr'ore il capo di stato maggiore, quindi fu cambiata l'intera catena di controllo delle Fiamme Gialle a Milano  11

 


+ Consiglio dei Ministri n. 54 del 5 giugno 2007 Il Consiglio ha approvato i seguenti provvedimenti:

5 Giugno 2007

La Presidenza del Consiglio dei Ministri comunica:

Il Consiglio dei Ministri si è riunito oggi alle ore 9,40 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del Presidente del Consiglio, Romano Prodi.

Segretario, il Sottosegretario di Stato alla Presidenza, Enrico Letta.

su proposta del Ministro per le politiche europee, Emma Bonino, e del Ministro delleconomia e delle finanze, Tommaso Padoa-Schioppa:

- un decreto legislativo che prevede misure di contrasto alluso del sistema finanziario per scopi legati al finanziamento del terrorismo e dellattività di Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale; lItalia ottempera allobbligo assunto in ambito comunitario e internazionale (direttiva 2005/60, che viene organicamente recepita nel testo, Risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e regolamenti comunitari emanati ai sensi degli articoli 60 e 301 del Trattato istitutivo della CE) istituendo il Comitato di sicurezza finanziaria che opera in sinergia con analoghi organismi operanti allestero e con lAgenzia del demanio; il provvedimento ha ricevuto il parere favorevole delle Commissioni parlamentari;

su proposta del Ministro delleconomia e delle finanze, Padoa-Schioppa:

- un decreto presidenziale, sul quale è stato acquisito il parere del Consiglio di Stato, che in ottemperanza a quanto stabilito dalla legge finanziaria per il 2006 definisce la nozione di rapporto contrattuale bancario e assicurativo dormiente, anche allo scopo di indennizzare i risparmiatori che, investendo sul mercato finanziario, siano rimasti vittime di frodi finanziarie o abbiano sofferto un danno ingiusto non risarcito in altro modo. I conti correnti bancari o assicurativi che per dieci anni non abbiano subito alcuna movimentazione da parte del titolare o di un delegato vengono dichiarati dormienti e in quanto tali confluiscono in un fondo, già istituito dalla predetta legge finanziaria e gestito da una apposita commissione. Tra i risparmiatori che beneficeranno di queste norme vi sono coloro che hanno sofferto un danno in conseguenza del default dei titoli obbligazionari argentini;

 


+ Il Sole 24 Ore 5-6-2007 Sì al decreto presidenziale sui depositi dormienti di Nicoletta Cottone

Il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto presidenziale in materia di depositi dormienti. Varate, dunque, le regole per le comunicazioni ai titolari di conti e depositi dormienti e il trasferimento delle somme al Fondo per risarcire le vittime dei crack finanziari, che per il 20% sarà utilizzato per le assunzioni dei precari nella Pubblica amministrazione. I conti correnti bancari o assicurativi che per dieci anni non hanno subito movimentazione da parte del titolare o di un suo delegato vengono dichiarati dormienti e confluiscono nel Fondo, che sarà gestito da una commissione ad hoc.

Il Fondo, alimentato da conti correnti e rapporti bancari definiti dormienti all'interno del sistema bancario, assicurativo e finanziario
è stato istituito dalla Finanziaria per il 2006 per indennizzare i risparmiatori che investendo nel mercato finanziario fossero rimasti vittime di frodi finanziarie, soffrendo di un danno ingiusto, non risarcito in altro modo. Ai benefici erano stati ammessi dalla stessa Finanziaria per il 2006 anche i risparmiatori danneggiati in conseguenza del default dei titoli obbligazionari della Repubblica argentina. La Finanziaria per il 2007 ha, poi, stabilito che il 20% del Fondo sia destinato alla stabilizzazione dei precari nella Pubblica amministrazione.

Invia una emailnicoletta.cottone@ilsole24ore.com


+  La Stampa 5-6-2007  Berlusconi: "Voto o sciopero fiscale" L’ex presidente del Consiglio: pronti a scendere in piazza

 

LUCCA
«Vedo che mi state accogliendo come l’Italia accoglie Prodi...». Silvio Berlusconi arriva a Lucca e viene salutato dalla folla che lo applaude davanti all’albergo.

«Dobbiamo - dice - chiedere di andare al voto e se ce lo impediscono una volta tanto dobbiamo essere duri e andare in piazza per ottenere le elezioni». Lex premier si sofferma poi con i giornalisti: «vogliono portarci a far scendere in piazza milioni di persone? Vogliono che arriviamo allo sciopero fiscale? E allora diano uno sguardo alla situazione e traggano le conseguenze».

Lex presidente del Consiglio indica anche la strada da percorrere: «se non vogliono il voto subito allora ci sia un governo della sinistra che faccia la legge elettorale e che duri qualche mese per poi indicare la data delle elezioni. Tutto il resto - conclude Berlusconi - è poesia».

Caso Visco:Napolitano deve intervenire
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano «ha assolutamente i mezzi per intervenire» sul caso Visco-Speciale, e deve farlo: è quanto ha affermato Silvio Berlusconi, leader della Casa delle libertà, parlando con i giornalisti a margine di una iniziativa elettorale a Lucca. «Il presidente della Repubblica - ha detto Berlusconi- è il capo delle Forze armate: c’è una situazione di emergenza democratica, e il presidente della Repubblica, che io personalmente stimo, ha assolutamente i mezzi per intervenire. Anzi, deve intervenire in una situazione come questa - ha aggiunto Berlusconi - per lo meno ingiungendo a questa maggioranza di essere veramente una maggioranza. Oggi ancora non siamo riusciti a ricontare le schede elettorali, e io vi dico: non hanno vinto loro».

 


Il Corriere della Sera 5-6-2007 Cossiga e i fantasmi delle scalate rosse Di FRANCESCO VERDERAMI

 

ROMA ? Qualche giorno fa in Transatlantico, in attesa che iniziasse la seduta, il presidente della Camera sospirò: "Mi piacerebbe esser libero di dire ciò che penso". Poi venne inghiottito dai lavori dell'Aula. Il caso Visco era appena scoppiato. La terza carica dello Stato non poteva esporsi, non poteva spiegare pubblicamente ciò che aveva confidato ai suoi. Bertinotti era rammaricato per "il modo pessimo" in cui palazzo Chigi stava gestendo la vicenda, perché "all'esterno si dà l'idea di voler nascondere qualcosa", e "l'immagine del governo ne esce a pezzi": "No, non si può andare avanti così", aveva concluso sconsolato. Ecco cosa si celava dietro la frase con la quale ieri il presidente della Camera ha ipotizzato "pesanti ricadute politiche" per lo scontro tra il viceministro dell'Economia e l'ex comandante delle Fiamme Gialle, Speciale. Ma se è vero che la vicenda sta tracimando nel conflitto istituzionale, sta destabilizzando l'Unione e rischia addirittura di minare la tenuta dell'esecutivo, resta da capire il motivo di una battaglia che non ha precedenti. Come un moderno Virgilio, Cossiga accompagna per i sentieri lastricati della vicenda. Non è facile decrittare le parole del presidente emerito della Repubblica, ma è chiaro quando avvisa che le ruggini tra Visco e Speciale vanno cercate molto indietro nel tempo: "Bisognerebbe chiederlo a Spaziante, che oggi è vicesegretario generale del Cesis, e che è stato il comandante della Guardia di Finanza in Lombardia, prima di tornare a Roma". Ad essere ancor più esplicito è il segretario del Pri: "La ruggine tra il viceministro e il generale delle Fiamme Gialle risale al 1998, quando ci fu la scalata a Telecom dei "capitani coraggiosi"". Altro non aggiunge Nucara, che però si lascia andare a una previsione: "Non credo che su un tema così delicato i senatori a vita, e tra questi Ciampi, voteranno dopo il dibattito a palazzo Madama". Nucara un po' ci prende, perché Cossiga fa sapere che, "siccome sento arrivare un malessere, credo non andrò a votare al Senato: ma al momento debito chiederò che vengano rese pubbliche le intercettazioni telefoniche su Unipol che mi riguardano, perché io mi onoro di avere per amico il compagno Consorte". Telecom e Unipol. Sono questi gli indizi lasciati cadere, e ai quali Nucara aggiunge un ragionamento sull'offerta fatta dal governo Prodi a Speciale: "Gli avevano proposto di andare alla Corte dei conti, che ha un ruolo di magistratura giudicante su atti amministrativi. Ma se Speciale si è macchiato di colpe gravi, perché affidargli questo incarico? Forse perché sa troppe cose?". Gli interrogativi resterebbero inevasi, insieme a un'altra domanda: per quale motivo Visco aveva chiesto il trasferimento da Milano dei quattro ufficiali delle Fiamme Gialle, questione che è all'origine della vicenda? Anche stavolta è Cossiga a fornire una risposta. Dapprima con fare scherzoso: "Perché i quattro avevano infierito su Mediaset e Fininvest nelle indagini, e Visco ? che è uomo retto ? voleva dire basta a questa persecuzione". Poi il tono di voce muta: "Avanti... È chiaro. È in corso un regolamento di conti nel centrosinistra che parte da lontano e arriva fino al caso Unipol. E chi lavorò per far affossare la scalata Unipol alla Bnl? La Margherita, con Rutelli e Parisi". È noto che Rutelli ? da quando è scoppiato il putiferio ? non ha aperto bocca, mentre lo stato maggiore dei Ds si aspettava un sostegno a difesa del suo viceministro. Ed è altrettanto noto che Parisi aveva rotto la linea di difesa del governo, anticipando che il caso sarebbe rimasto "aperto", e lasciando poi trapelare il suo "imbarazzo" per la gestione del caso. "Ripeto, quando arriverà il momento io chiederò che le intercettazioni a mio carico siano rese pubbliche". Il fatto che Cossiga insista sulle intercettazioni impone che anche questo dato venga inserito nel rebus. D'altronde la vulgata di Palazzo fa risalire al caso Unipol i motivi di ruggine tra Visco e Speciale, "è ormai un segreto di Pulcinella", sostiene il democratico Bordon: "E come si dice in questi casi, voglio credere che Visco dimostrerà l'assoluta infondatezza delle voci. Di voci, poi, ne circolano tante: pare che da mesi il viceministro e Speciale non si rivolgessero più nemmeno la parola". Bordon ritiene che il governo non cadrà domani al Senato, e così la pensano anche nella Cdl. Ma Bordon ? cosi come i leader del Polo ? è altresì convinto che il caso non si chiuderà domani: "Se l'ex comandante della Gdf ha deciso di non rivolgersi al Tar, allora vuol dire che non è finita qui. Non vedo uno come Speciale che si ferma improvvisamente". Ancora molte cose non tornano. Anche nel centrodestra. Da esperto conoscitore della vicenda, Virgilio-Cossiga solleva il velo su un altro interrogativo. Chi volle Speciale al comando delle Fiamme Gialle, ai tempi del governo Berlusconi? La risposta dell'ex capo dello Stato è: "Tremonti. Perché Speciale a Martino non piaceva, e viceversa. Fu l'allora ministro dell'Economia a imporlo, infatti il titolare della Difesa, quando arrivò il momento di nominare il capo di Stato maggiore dell'Esercito, non prese nemmeno in considerazione il curriculum di Speciale". Ma contro Speciale "si muovevano nella Guardia di Finanza correnti a lui contrarie". Ad affermarlo è Rotondi, che da giorni esterna a difesa di Visco, e che sostiene di avere le prove di quanto dice: "Mesi fa mi venne chiesto di presentare un'interrogazione parlamentare contro Speciale". L'esponente diccì di centrodestra non fa nomi, si limita a dire che "erano uomini delle Fiamme Gialle di medio livello": "Asserivano che doveva esserci una rotazione ai vertici della Gdf, rotazione che Tremonti aveva ritardato e che Visco continuava a rimandare. L'interrogazione che loro auspicavano doveva partire proprio dal caso dei mancati trasferimenti da Milano e concludersi con la richiesta di notizie su quando ci sarebbe stato l'avvicendamento al comando delle Fiamme Gialle. Ma siccome io non conoscevo bene questi signori e non conoscevo per nulla Speciale, non feci l'interrogazione". Rotondi sostiene che "quel colloquio mi è tornato in mente quando è scoppiato il caso Visco": "Dall'impegno con cui Tremonti ha difeso Speciale, desumo che ne abbia grande stima. Da come si sono comportati il viceministro e il generale, si capisce che i due non hanno detto tutto. Se ho preso le difese di Visco è perché non posso pensare che lui ? avendo cattivi rapporti con Speciale ? gli abbia poi chiesto di cambiare quei quattro a Milano. In quel caso, gli andrebbe dato il tapiro d'oro". Francesco Verderami.

 


 

Europa 5-6-2007 Applausi e fischi di giovani confindustriali, ovvero “nuovi borghesi” come prima, peggio di prima FEDERICO ORLANDO RISPONDE

Cara Europa, a Santa Margherita Ligure, nel raduno annuale dei giovani imprenditori di Confindustria, i lui e le lei delle ultime file, ma non loro solo, hanno subissato di applausi Fini e di rumoreggiamenti Bersani, benché questi parlasse di cose concrete come liberalizzazioni e rimozioni burocratiche, e il fascista calunniasse il governo definendo «porcata» la destituzione del generale intrigante, e difendendo addirittura il Pra (oltre che i golpisti). Sarebbero questi quaquaraquà, imbottiti di miliardi facili, la nuova classe dirigente, descritta dopo il recente discorso di Montezemolo ai loro padri ? EPIFANIO DE GRANDIS, SANTA MARGHERITA LIGURE (GE)

 

Caro De Grandis, non è opportuno generalizzare e non ho conoscenza diretta del mondo o sottomondo in oggetto e quindi i giudizi che esprimerò sono “di riporto”, in base a quel che lei dice e che mi sembra confermi la devastante raffigurazione che dei “quaquaraquà confindustriali” ha fatto Alberto Statera su La Repubblica: titolo ”Quell’ovazione in stile tassista dei giovanotti targati Confindustria”, ossia “Lo strano successo del leader di An, nemico delle liberalizzazioni di Bersani e difensore del Pra”.
Se la descrizione di questi giovanotti in gessato con spacchi laterali, e di queste giovanotte in tubino con spacco centrale e coscia in evidenza, risponde alla realtà che anche lei ha osservato, allora il confronto coi tassisti mi sembra offensivo per costoro, che non hanno ereditato aziende e miliardi ma al più una macchina e una licenza, sono vittime dell’ambiente fascista che da sempre esalta le corporazioni e gli statalismi (compreso il Pra, vedi la lettera che pubblichiamo qui sotto), e che in fondo lavorano con la pioggia e sotto i dardi dell’estate e – spesso, ma non sempre – non hanno lauree più o meno elargite dai cattedratici amici di papà. Appena dieci giorni fa, commentando i frenetici applausi stile Vicenza che i papà avevano riservato a Montezemolo, proteso a riconquistare il loro cuore berlusconiano, il bravissimo Dario Di Vico parlava sul Corriere della sera di “nuova borghesia”. Questa roba? Ma allora ridateci la vecchia, che almeno non si nascondeva dietro il falso “liberismo” di Berlusconi e si dichiarava per la privatizzazione degli utili e la pubblicizzazione delle perdite senza tante storie. Scrisse Di Vico che costoro, i nuovi borghesi, «chiedono se la politica abbia scelto come missione quella di perpetuare se stessa e il suo ricco indotto o piuttosto non debba dedicarsi a costruire l’Italia del 2015». È esattamente il problema che poniamo ai giovani rampolli e alle giovani pollastre confindustriali: se abbiano studi, capacità e volontà di lavorare per l’Italia del 2015 o no, visto che a fare i fascisti e i corporativi ci hanno già pensato, e sempre con successo per loro, i bisnonni i noni e i padri.
Temo, per tutti noi, che né un maturo Montezemolo né un giovane Colaninno facciano, da soli, una nuova borghesia. Men che meno, una nuova classe dirigente.


 

Il Riformista 5-6-2007 Il problema non è Visco, è la guida politica  di Emanuele Macaluso


La Repubblica italiana, sessant’anni dopo la scrittura della Costituzione, non ha sciolto il nodo di tutti i nodi che ha condizionato la nostra democrazia: il rapporto tra il potere politico e gli altri poteri in cui si articola lo Stato nel momento in cui è chiamato a fare rispettare le sue leggi e a difendere la libertà dei cittadini: la magistratura, la polizia, i carabinieri, la guardia di finanza e anche l’esercito. La Costituzione fu approvata nel gennaio del 1948 e il 18 aprile dello stesso anno il sistema politico fu condizionato dalla guerra fredda, dalla presenza di un grande Partito comunista alleato con i socialisti (sino al 1956) e da un partito, la Dc che, di fatto, ha esercitato il monopolio del potere politico. Sono gli anni in cui i poteri dello Stato cui ho accennato sono governati da quel partito: i comandanti delle armi, i magistrati collocati nei punti chiave del sistema giudiziario, sono nominati dalla Dc.
Quando il sistema comincia a scricchiolare, il centrismo è in crisi e si prospetta l’“apertura a sinistra” chiesta da Nenni, negli anni Sessanta esplode il caso del comandante dei carabinieri De Lorenzo e del “piano Solo”. Il generale lo incontreremo a Montecitorio, deputato della destra. E con lui un altro generale che aveva avuto in mano i servizi segreti deviati, Vito Miceli.
Io non ho le informazioni di cui dispone D’Avanzo che, ieri su Repubblica, traccia somiglianze tra la rete di interessi e posizioni di potere di cui farebbe parte l’ex comandante della guardia di finanza Speciale e la P2.
La storia ci dice però che il bubbone della P2 esplose nel 1981 quando presidente del Consiglio era Arnaldo Forlani (che si dimise) e il sistema politico, scosso dall’assassinio di Aldo Moro (1978), non aveva ritrovato un punto di riferimento forte e certo. Del resto negli anni della solidarietà nazionale (1976-79), quando Ugo Pecchioli, che veniva definito il ministro degli Interni ombra di Berlinguer, pensava di concorrere, con Cossiga, al governo dei poteri, era talmente estraneo a quel mondo e ingenuo da essere veramente solo un’ombra. E anche dopo l’ondata di opinione, animata da Pertini, contro la P2 e i poteri oscuri e deviati su cui pesavano e pesano sospetti terribili negli anni delle stragi e del terrorismo, tutto si riallinea al già visto.
Con la Seconda Repubblica le cose non sono cambiate: la conflittualità tra i due poli è stata così radicale per cui anche i poteri si sono ancora una volta piegati e hanno piegato la politica. È chiaro che il generale Speciale, fortemente voluto dallo schieramento berlusconiano ha operato come parte di quel sistema. E siccome in tutte queste strutture (carabinieri, polizia, finanza, servizi ma anche magistratura), le divisioni e le guerre intestine per le carriere sono spesso feroci, le cordate attorno ai candidati si colorano anche politicamente. Così è stato anche per la nomina del comandante dei carabinieri. E la Cassazione da quasi un anno non ha ancora un presidente: la guerra continua. Diciamo la verità: l’Unione su questo terreno, come su altri, non ha avuto una linea. E lo spettacolo offerto in questi giorni è penoso. Quello della destra è semplicemente indecente.
Il problema quindi non è Visco ma la guida politica, la capacità di cambiare, anche in questo campo, facendo chiarezza sui rapporti tra il potere politico e gli altri poteri. Non si è fatto e non si fa. E chi chiama in causa il capo dello Stato vuole solo creare confusione per fare come prima e peggio di prima.


 

L’Unità 5-6-2007 La strategia dei veleni Gianfranco Pasquino

 

Segue dalla Prima Dopodiché, se alla crisi della politica, che è crisi del modo di fare politica e degli stessi uomini politici, opportunamente denunciata da D'Alema, fa seguito un attacco alle istituzioni, anche sotto forma di loro svilimento, allora ne risente tutto il tessuto democratico. Nel sottolineare l'importanza delle istituzioni e del rispetto delle regole, sono certamente influenzato dal fatto di essere vissuto in Inghilterra per parecchi mesi. Qui, il conflitto politico è sicuramente intenso, i giornalisti, televisivi e no, non si ritraggono dall'utilizzare il loro "quarto" potere interrogando senza soggezione governanti e rappresentanti, i problemi, in special modo nella transizione da Tony Blair a Gordon Brown, non sono certamente irrilevanti, ma nessuno pensa di risolverli aggredendo le istituzioni. Quello che vedo con sufficiente chiarezza in Italia è di notevole gravità. Per bocca del suo Primo ministro, il centro-sinistra ha esagerato la portata della sua vittoria elettorale, mentre il centro-destra è ancora alla ricerca di un qualche, alquanto improbabile, sconvolgimento numerico. In una democrazia parlamentare anche le spallate, ovvero vittorie elettorali di tale rilevanza che producano le dimissioni del governo, sono strumento legittimo dell'azione di qualsiasi opposizione, ma debbono avere qualche giustificazione convincente. Il luogo del confronto fra governo e opposizione rimane il Parlamento dove, opportunamente e, mi auguro, efficacemente, vale a dire con il massimo di produzione di informazioni esaurienti, mercoledì si discuterà di quello che, in estrema sintesi, chiamerò il "caso Visco-Speciale". Credo che il governo abbia fatto male a usare nei confronti del Gen. Speciale il metodo "promoveatur ut amoveatur" poiché se il Generale ha operato in maniera inadeguata dovrebbe essere semplicemente sollevato dai suoi compiti e mandato in pensione. Se no, doveva rimanere al suo posto, salvo che esistano comprovabili motivi di sostituzione. Correttamente, il vice-ministro Visco ha restituito la delega alle Finanze rimuovendo alibi dal dibattito in Senato. In maniera assolutamente criticabile, poiché si presenta come una sfida all'autorità del governo, il Gen. Speciale ha preferito alzare il livello della scontro rifiutando la nomina alla Corte dei Conti (un pensionamento alquanto dorato). Invece di esercitare il massimo della sua capacità di informare l'elettorato attraverso il dibattito in Senato, convincendo anche altri Senatori dell'eventuale gravità del caso, il centro-destra sta probabilmente, non da oggi, strumentalizzando il Gen. Speciale che, consapevolmente, accetta questo "gioco". Quello che il centro-destra non dovrebbe sicuramente fare è chiamare in causa, in maniera del tutto impropria, il Presidente della Repubblica, con l'obiettivo non troppo nascosto di "svelarne" una presunta propensione a favorire il centro-sinistra in quanto eletto da quella maggioranza parlamentare. Interpretando in maniera impeccabile la Costituzione e conoscendo perfettamente le modalità con le quali si dipanano i rapporti fra le istituzioni e si (ri-)equilibrano i poteri, il Presidente Napolitano sa difendersi da sé. Al tempo stesso, tutela la Costituzione da incursioni populiste e peroniste alle quali si è piegato Fini e non si è opposto neppure Casini. L'opposizione non è affatto priva di potere, politico e altro, e quindi non corre il rischio di logorarsi in tempi brevi, anche se qualcuno, per ragioni demografiche ha fretta. Tuttavia, almeno coloro che, ugualmente per ragioni demografiche, possono attendere una successione politica regolare e regolata, dovrebbero sentire il dovere di proteggere le istituzioni come sono, salvo denunciare il governo e la maggioranza del centro-sinistra per la sua lentezza nel proporne la riforma, a cominciare da quella elettorale e dei costi della politica. Se l'opposizione non dimostra nessuna saggezza istituzionale, sarebbe il caso che la maggioranza di centro-sinistra raddoppiasse i suoi sforzi e rilanciasse decisionalità, trasparenza, efficacia. Il Parlamento è la sede dalla quale si può riformare la politica.


 

La Repubblica 5-6-2007 Cercasi guida disperatamente perché la sinistra ha smarrito il carisma Un paese che appare senza un vero ricambio politico e generazionale La crisi di identità è maturata dentro scelte politiche poco coraggiose FRANCESCO MERLO

 

In Italia abbiamo capi e padroni, abbiamo "imperium" ma non abbiamo leadership, abbiamo bulli e abbiamo comandanti, abbiamo "dux" ma non abbiamo leader. E infatti abbiamo avuto Mussolini ma non Churchill; non abbiamo avuto De Gaulle e Mitterrand ma Togliatti e De Gasperi, che traevano la loro grande forza dalle potenze estere, erano gli autorevoli rappresentanti consolari delle due metà del mondo, erano insomma leader per conto d'altri, leader senza leadership. Alla fine, molto raramente abbiamo avuto un'autonoma leadership e dunque veri leader nazionali, che sono infatti significati non tradotti e non traducibili nella nostra pur bella e ricca lingua, benché siano essenziali alla democrazia prima ancora che al nascente Partito democratico. Supremazia, egemonia, guida dei propri uomini, controllo del Parlamento, autorevole e non autoritaria influenza politica, dirigenza e direzione: leadership è parola inglese che rimanda al mare perché viene da leader, da to lead, che vuol dire condurre, e da ship che è la nave, ma è anche è il suffisso che nella lingua inglese dà qualità all'astrazione, come in scholarship e in citizenship, e deriva dal germanico skop e quindi skip e appunto ship, nave, che in antico tedesco si dice schif, in greco skaphos e schyphos e in latino scapha ed è sempre lo stesso campo semantico, quello del bastimento e dell'imbarcarsi perché la leadership nella civiltà anglosassone viene battezzata sul mare, nel confronto con l'oceano, con quel "sea power" che è motore della storia. Senza volere qui rifare la storia dell'influenza del "sea power" nell'evoluzione dell'umanità ci basta ricordare che la seconda guerra mondiale è stata vinta dai navalisti e persa dai continentalisti, e che l'Italia è lontana dall'etimo stesso della leadership, perché, pur essendo una penisola, una quasi isola, la sua non è storia di navi, di flotte, di controllo delle acque, di ufficiali di marina che avevano un'educazione da statisti, di marinai che diventavano leader perché si misuravano con la forza degli oceani, di portaerei che erano un modo di accorciare le distanze e controllare il mondo. E infatti ancora oggi la formazione della nostra classe dirigente è lontana dagli orizzonti internazionali, non c'è nessun leader italiano che si qualifichi attraverso strategie mondiali, dal nuovo ruolo della Cina e dell'India alla forza dell'Islam? Difficilmente la leadership italiana si affaccia al mondo. Campioni di fantasia e di inventiva abbiano avuto il ministro della Devoluzione e quello dei Rapporti con il Parlamento, quello per gli Italiani nel mondo e quello per gli Affari regionali, e abbiano persino il ministero per l'Attuazione del programma di governo che è una sorta di ministero della Supercazzola con scappellamento a destra o a sinistra, ma abbiamo, senza nulla togliere alle qualità di Massimo D'Alema, per tradizione, un politica estera approssimativa e abborracciata, con gli avanzi di cucina delle politica interna, idea arcitaliana appunto, radicatissima nella nostra storia, con alleanze mai sicure, trattati mai definitivi, con il nemico che è anche amico e viceversa. Come si forma la leadership in Italia? Ebbene, non c'è nulla di più lontano dalla idea occidentale della leadership. Le ambizioni infatti si muovono nell'ombra, malcelate sotto cumuli di ipocrisia, non c'è nessuno che osi dire "io voglio fare il presidente del consiglio, o della repubblica o il segretario del partito democratico", come ha fatto per esempio per esempio Sarkozy che già tre anni fa conquistava l'Ump, il partito dell'ostile Chirac, e intanto confessava di pensare all'Eliseo "tutte le mattine mentre mi faccio la barba". In Italia invece tutti hanno paura di bruciarsi e di esporsi, Veltroni non osa sfidare D'Alema, la Finocchiaro si finge umile, Rutelli lavora nell'oscurità, nessuno si fida di nessuno, si inventano candidati civetta e finte primarie con il vincitore bloccato, si punta su qualcuno solo per farlo impallinare, non c'è nulla di pulito, di chiaro, di laico, e alla fine la scelta del leader, quale che sia la carica da ricoprire, sarà il frutto di negoziati estenuanti, di compromessi al ribasso e mai di una forte competizione a viso aperto. La scelta viene via via depotenziata politicamente e umanamente. Quasi sempre il prescelto è un politico di basso profilo, possibilmente già vecchio, meglio se un po' acciaccato, si spera che sia un utile brav'uomo, il quale ovviamente alla prima prova difficile, alla prima sconfitta amministrativa per esempio, o si rifugia nella retorica o si esprime in una rabbia inconsulta minacciando di dimettersi. Ricordate come Tony Blair seppe prendere su di sé l'impopolarità della guerra in Iraq e riuscì a vincere per la terza volta le elezioni politiche? Invece il leader italiano somiglia al titano Enceslao che scala l'Olimpo e crede di essere diventato un dio. Giove afferra quell'omuncolo e lo scaglia sulla terra mettendogli sullo stomaco un'immensa montagna, l'Etna. E il tapino sta lì, costretto a fare il morto, a trattenere il respiro... Solo quando non ne può più tossisce e si agita, si scuote, si gratta, starnutisce. E allora apriti cielo, la terra trema, le bocche del vulcano sputano fuoco e pietre, il cielo si oscura. Né va meglio nella cosiddetta società civile, all'università per esempio, che, unico paese occidentale, l'Italia considera il serbatoio fintamente tecnico della politica. E' tipico di un Paese arretrato trarre i suoi quadri dirigenti dall'università. La leadership nei paesi occidentali si forma nella scuole di alta amministrazione, oppure nell'alta politica o ancora nelle professioni. La classe dirigente italiana, invece, o viene dalla burocrazia dei partiti, o è una specie di università allargata con tutte le miserie della gestione del potere universitario spavaldamente praticate in nome della cultura. All'università il clientelismo si chiama cooptazione, la mafia si chiama scuola o baronia, la gerontocrazia si chiama scienza, il traffico delle cattedre si chiama concorso. Ma la sostanza è che la leadership universitaria è autoreferenziale, immutabile, cerimoniale, fondata sul culto del vecchio, sulla ossificazione delle idee, sulla mummificazione della cultura e dunque anche della politica. E dovrebbe essere superfluo spiegare che il leader guida e il padrone comanda e che nella cultura della leadership, scriveva Comte, "ogni partecipazione al comando è degradante". Non ci sorprende dunque che i governi italiani, quelli di sinistra come quelli di destra, siano in perenne crisi di consenso, si dissipino in un gorgoglio di comandi, un flottare di ordini, perché appunto la mancanza di leadership ordina e riordina e preordina e postordina e sputacchia disordinatamente discorsi e sentenze, encicliche e omelie, ordini di servizio e servizi d'ordine, ma non governa, non guida, non dirige, non traccia la rotta di un Paese che rimane "nave senza nocchiero in gran tempesta". La leadership italiana sembra l'epifania postcoitale perché, come si sa, nel nostro Paese, "cumannari è megghiu di futtiri".


 

L’Unità Costituzione Ue un gruppo di saggi tenta il compromesso Amato presenta un nuovo testo semplificato Via bandiera e inno europei ma i pilastri restano. di Sergio Sergi

 

corrispondente da Bruxelles S'AFFIDA ad una delle sue battute, Giuliano Amato, occhialini sul naso, per schivare una domanda "pericolosa" sul testo di trattato costituzionale "semplificato" che è venuto a presentare a Bruxelles, a nome di un gruppo di indipendenti volenterosi, a meno di venti giorni da un cruciale Consiglio europeo che dovrebbe fissare, finalmente, un percorso rapido alle tanto attese riforme istituzionali dell'Ue. La domanda è: quanto è differente questa proposta dal cosiddetto "mini trattato" del neo presidente francese Nicolas Sarkozy? La risposta: "La differenza sta nel fatto che il nostro testo è scritto e voi potete leggerlo". Infatti, le proposte dell'Eliseo non sono ancora state esplicitate. Quel che si sa, da più voci, è che il "mini trattato" di Sarkozy non sarebbe più tale. E che, dunque, grazie anche al lavorio della presidenza tedesca e all'impulso molto forte dato, in svariate e recenti occasioni dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e dal presidente del Consiglio Romano Prodi, la possibilità che si vada ad un'intesa su un testo che non distanzi, nella sostanza, più di tanto dal progetto di tre anni fa, non sarebbe più un'ipotesi remota. Ma la cautela non è mai troppa. Nel frattempo, il "gruppo Amato" (il ministro dell'Interno è stato vice presidente della Convenzione presieduta da Valery Giscard d'Estaing), che ha lavorato a stretto contatto con l'Istituto universitario europeo di Fiesole, ha messo sul tavolo il "suo" progetto. Un trattato "semplificato", fatto di 70 articoli e 12.800 mila parole (il progetto, firmato nel 2004 da tutti i capi di Stato e di governo, è formato da 448 articoli e circa 63 mila parole). Per cercare di venire incontro alle obiezioni ben note di alcuni Paesi riluttanti, il trattato cassa la parola "costituzione" e rinuncia al riferimento simbolico per l'inno, la bandiera e il preambolo. In questo "contributo" al lavoro della cancelliera Merkel che il 18 giugno presenterà un testo scritto delle sue proposte per il summit del 21-22, il "gruppo Amato" salva, praticamente, tutta la prima parte della Costituzione e anche la parte terza che altro non è che la riproduzione dei trattati esistenti e delle politiche dell'Unione. Insomma si tratta di un testo reso "leggibile", molto più chiaro del precedente, e che viene accompagnato da due "protocolli". Il primo è dedicato al funzionamento dell'Unione europea, il secondo agli sviluppi delle politiche con la soppressione dell'attuale struttura in "tre pilastri" (politiche comunitarie, politica estera e di difesa, politica degli affari interni e giustizia). La Carta dei diritti fondamentali (che non piace ad alcuni Paesi, Gran Bretagna in testa) è citata in un articolo che ne proclama il suo valore giuridico vincolante. Nel testo vengono salvate le principali innovazioni della Costituzione, come il presidente in carica per due anni e mezzo rinnovabili, come la figura del ministro degli Esteri che, proprio se a qualcuno non piace, gli si potrebbe cambiar nome ma non la sostanza del mandato. Soprattutto viene mantenuta la "personalità giuridica" dell'Unione e, anche, il primato del diritto comunitario. Ma tutto questo servirà per tacitare i governi recalcitranti o ostili? Si tratta, essenzialmente, di Gran Bretagna, Olanda, Polonia e Repubblica Ceca. Che continuano a manifestare forti resistenze. Il rappresentante del governo Blair avrebbe presentato, nelle riunioni dei cosiddetti "focal points" organizzati dalla presidenza Merkel, ben dodici punti irrinunciabili, tra cui l'opposizione alla Carta dei diritti, l'allargamento del diritto di veto, il no alla personalità giuridica e cosí via boicottando. Il tempo stringe. Il Consiglio del 21-22 giugno dovrebbe dar mandato ai ministri degli Esteri, sotto presidenza del Portogallo, di avviare una "breve" Conferenza intergovernativa per la stesura del nuovo testo, previo il parere del Parlamento europeo e della Commissione che sono pronti a darlo il 10 luglio prossimo.


 

L’Unione Sarda 5-6-2007 Attesa per l'incontro di sabato con Prodi. Il capo della Casa Bianca: "Vedrò anche l'amico Silvio" Bush a Roma, l'ombra di Calipari

 

ROMA Tra Italia e Stati Uniti ci sono "rapporti solidi e molto intensi" che permettono di affrontare discussioni libere e franche dove si possono manifestare anche "idee diverse" senza alcun "senso di colpa". Su questa base si svolgerà sabato prossimo a Roma l'incontro tra Romano Prodi e George W. Bush. Un colloquio nel quale i due leader cercheranno soprattutto di parlare dei temi che uniscono piuttosto che di quelli - e non sono pochi - che dividono il Governo dell'Unione dall'amministrazione repubblicana. "L'amicizia e l'alleanza tra i due Paesi non è in discussione, ma questo non significa aderire acriticamente a qualunque cosa venga detta o fatta da Washington; se gli americani fanno delle scelte che non condividiamo, nello spirito di amicizia e alleanza, lo diciamo e la stessa cosa vale per loro", ha spiegato una fonte diplomatica di palazzo Chigi facendo capire che il colloquio di palazzo Chigi - sarà presente anche il ministro degli Esteri Massimo D'Alema - si svolgerà in un clima di " serenità " alimentato dalla consapevolezza che l'Italia non ha "sensi di colpa", nè la necessità di "farsi perdonare qualcosa". Una premessa necessaria quest'ultima, visto che i rapporti bilaterali, il cui esame rappresenterà l'ossatura delle discussioni romane, da mesi veleggiano con alterne fortune. Diversi e importanti sono a tutt'oggi i punti di frizione tra Roma e Washington: si parte dalle valutazioni diametralmente opposte sulla guerra in Iraq (solo domenica Prodi ha ripetuto che si è trattato di un "errore storico"); si prosegue con la non archiviata uccisione di Nicola Calipari (per la quale è indagato dalla magistratura italiana il marine americano Mario Lozano); per arrivare ad uno dei temi più caldi, il rapimento di Abu Omar (il giorno dell'arrivo di Bush in Italia, l'otto giugno, parte il processo a Milano contro 26 agenti della Cia accusati del sequestro in pieno centro a Milano dell'Imam); ultimo punto ma non meno di attualità è l'Afghanistan, area di crisi dove i due Paesi sono entrambi impegnati seppure in operazioni distinte - Enduring freedom gli Usa e missione Isaf l'Italia - ma con approcci sostanzialmente diversi. Da tempo l'amministrazione Bush chiede ad alcuni alleati in Afghanistan un ruolo più combattente sul campo e la modifica dei caveat nazionali per permettere gli spostamenti dei contingenti nelle zone più pericolose del sud del Paese. Richieste alle quali l'Italia ha sempre replicato con un fermo "no grazie". Intanto, il presidente americano, sul volo che lo portava a Praga, all'inizio del suo viaggio in Europa, ha annunciato che la sera del 9 giugno a Roma si vedrà con l'ex premier Silvio Berlusconi: un incontro "tra due vecchi amici", l'ha definito. Nella sua prima visita a Roma dalla vittoria dell'Unione di Romano Prodi nel 2006, l'agenda di Bush sarà fitta di colloqui istituzionali, ma lascerà spazio nella serata di sabato ad una "rimpatriata" con uno dei leader alleati che più gli sono stati vicini nel travagliato periodo alla Casa Bianca e che anche ieri ha invitato gli italiani a ricordare "quello che devono agli Stati Uniti per la nostra libertà, per quello che hanno fatto per noi in passato". Come Blair e in alcune circostanze forse più di Blair, l'"amico Silvio" ha rappresentato agli occhi di George W. un alleato fedele e convinto. Dall'11 settembre, all'Afghanistan, fino alla contestatissima "coalizione dei volenterosi" della guerra in Iraq, Bush ha sempre avuto al suo fianco, nei passaggi più delicati della sua presidenza, l'Italia di Berlusconi: "Il mio rapporto con questo signore - spiegò il presidente Usa - è strategico, non solo politico". Una sintonia assoluta sulla scena internazionale: non è un caso se il Cavaliere, ai tempi di Palazzo Chigi, fu uno dei pochissimi leader alleati ad essere invitato a più riprese alla Casa Bianca, a Camp David e perfino al ranch texano di George W.

 


 

L’Unione Sarda 5-6-2007 "Legge" Nenni-Saragat, ovvero a tavolino 2+2=3 voti Il Pd rischia il bis di un disastro anni '60 di Beppe Benvenuto

 

Pd, ovvero proprio un gran bel discorrere. Un discutere a getto continuo. Un precisare, un ricamare, un riprendere, un sentenziare. Così scorrendo la stampa, così guardando i tiggì. Romano Prodi impegnatissimo a mettere i puntini sulle "i". Ad assicurare che non c'è davvero alcun problema, e che il percorso verso la costituente è obbligato e tutto fila nel migliore dei modi. Per la democrazia interna della nascente aggregazione non c'è da preoccuparsi, anzi ci saranno sorprese, forse persino regali e cotillons. In giro per la capitale durante il fine settimana, spesso in compagnia del più papabile antagonista e/o successore, Walter Veltroni, il premier motteggia e proclama. In primis, l'iperdiscussione è "una forza e non una debolezza", insomma una maniera per sottolineare che l'incipiente parto, quanto a regole e comportamenti democratici virtuosi, non avrà nulla da spartire con altri aggregati del panorama nazionale (intendi berluscones) "comandati e posseduti". Identica ostentata sicurezza sul rischio diarchia, visto che lo stesso Romano Prodi ha pensato bene di farsi nominare già presidente del futuro Pd; quindi nessun timore, dato che "non intendo violare i tempi dell'investitura di cinque anni avuta alle primarie". Su democrazia ed elezione degli organismi direttivi massima apertura, perché nel caso in cui avvenisse sulla base di "un listone" sarebbe proprio "un fallimento". Al contrario "se ci sarà una pluralità di concorrenti ci divertiremo tutti quanti e nascerà un grande partito". Parola di economista navigato (e politico consumato). Eppure, persino nel trionfale tour qualche dubbio si faceva largo. A dargli voce, il medesimo compagno d'avventura, l'ottimo sindaco di Roma, che denunciava il pericolo di "un partito virtuale come Second life". Insomma, una certa confusione sotto il cielo. Un disagio, che la recente batosta al Nord, o semplice sconfitta se si preferisce, ha dilatato, ma non inventato. Il pericolo più serio è che tanto can can paghi poco elettoralmente ed esasperi la diaspora nel centrosinistra irrigidendo antiche rendite di posizione, vedi la cosiddetta sinistra radicale che teme un'ulteriore sterzata a destra nella politica di governo. Per quanto concerne le percentuali di voto, i risultati, ma anche i sondaggi, non incoraggiano. Se poi si vanno a vedere i precedenti storici c'è poco da stare allegri. A cominciare dall'unificazione socialista. È l'anno di grazia 1966, quando Pietro Nenni e Giuseppe Saragat, da tre anni di nuovo alleati, pensano, anche per ridare fiato a un centrosinistra in versione morotea che langue e vivacchia (le analogie con l'attuale esecutivo non sono casuali, lo stesso Prodi in qualche modo arriva dal giro del leader ucciso dalle Br), di porre termine a una divisione d'area che, all'apparenza, non aveva più ragion d'essere, lanciando la prospettiva di una terza forza, fra i colossi Diccì e Piccì, capace di dar voce all'Italia laica, riformista e liberal. Risultato, una débâcle. Scadenti i riscontri delle urne. Peggio quelli politici. Vista come operazione a tavolino che non riuniva praticamente nulla. A cominciare dagli attori principali, Psi e Psdi, le cui storie negli anni si erano molto diversificate. Al massimo, l'unione li sovrapponeva, senza che nella fase preparatoria fosse stato svolto alcun serio lavoro di chiarificazione ed elaborazione identitaria e culturale. All'incirca, stando a coloro che vedono nero, quanto sta accadendo nel percorso Pd. Un iter ispirato più che altro a uno stato di necessità. Quasi una cosa da farsi comunque, dato che, assiomaticamente, va fatta. I rischi di replicare alla grande il disastro Nenni-Saragat sono perciò tutt'altro che lievi. Nel frattempo, la Seconda Repubblica è in affanno e, come ha rilevato di recente sul Corsera Ernesto Galli della Loggia, non riesce proprio a darsi quella "costituzione materiale" (ben viva invece prima del '92) che permette di tirare avanti. Per capirci, "quella cornice di regole, non definite formalmente ma rispettate per tacito accordo da tutti gli attori, che assai più delle regole scritte consentono a un sistema politico nel suo complesso di funzionare". Intanto, forse ancora per la "legge" Nenni-Saragat, si preannunciano nuovi scossoni fra i possibili azionisti Pd. Dopo la scissione a sinistra guidata da Fabio Mussi, ora se ne paventa un'altra a destra, capeggiata dall'ex segretario della Cisl, Savino Pezzotta, che chiama a raccolta quei cattolici, teodem eccetera, che non si sentono rappresentati dai valori espressi dalla nuova formazione. È l'ala dura, papista, dei diellini, che per il momento non ha deciso il suo futuro, ma si organizza e lavora. Che avesse dunque visto giusto Ciriaco De Mita quando ammoniva che "per voler fare un solo partito si rischia di farne nascere tre"? Se sì, saremmo ancora in pieno effetto Nenni-Saragat che a un fragile anelito all'unità per l'unità pagò un prezzo chiamato Psiup e indipendenti di sinistra, oltre alla fulminea dissoluzione, solo tre anni dopo, del formidabile giocattolino progettato a freddo. 05/06/2007.


 

Il Piccolo di Trieste 5-6-2007 VERSO IL PD Prima riunione pubblica del gruppo Due altri incontri su laicità e profilo culturale della nuova formazione Ds, l'area laica e socialista: Partito democratico, il pericolo è di restare lontani dalla gente

 

Nasce il Partito democratico, ma l'ondata dell'antipolitica non si placa. E allora, mentre ormai dei politici e dei loro privilegi si parla e si scrive come di una "casta", tra i compiti principali della nascente formazione c'è proprio quello di ricucire un rapporto ormai troppo sfilacciato con la società. E tra i pericoli più concreti da evitare c'è proprio quello di non capire come il crinale sia stretto, perché il rischio è che "qualche demagogo calchi l'ondata anti-politica e travolga non solo - non tanto - l'attuale governo e le principali forze che lo sostengono, quando l'intero sistema di garanzie costituzionali e la democrazia italiana nel suo complesso". Questo ha sottolineato ieri pomeriggio Giorgio Rossetti aprendo l'incontro che l'area "democratica, laica e socialista" dei Ds - ex sostenitori della mozione Angius che hanno deciso di rimanere nel partito - ha organizzato innanzitutto per "ascoltare" appunto la gente. "Tanti cittadini e pochi politici" - osserva lo stesso Rossetti - in sala ieri, dunque, per fare il punto della situazione e proporre a loro volta contributi di riflessione. Nella presentazione fatta dall'ex europarlamentare, promotore del gruppo assieme a Piera Alzetta, Mauro Gialuz e Marino Pittoni, c'è stato appunto ampio spazio per lo sprone ai partiti a uscire dall'autoreferenzialità del dibattito. Ma Rossetti - che assieme al gruppo ha confermato la volontà di partecipare alla fase costituente del Pd - ha posto l'accento anche sulla necessità di affermare il "carattere laico" del nuovo partito, l'esigenza di vederlo coinvolgere fin da subito altre forze riformiste "che non possono essere chiamate quando tutto è già stato deciso", e la necessità che la nuova formazione stia nel Pse su scala europea. Tra i presenti in sala docenti universitari, studenti, professionisti ma anche esponenti dello Sdi e Gianfranco Carbone. "Non ci sono state conclusioni proprio perché l'incontro era stato organizzato per ascoltare", commenta Rossetti, "e i sedici interventi in sala la dicono lunga sull'esigenza di dialogo". Una decisione però è stata presa: prima del 15 giugno, data dell'assemblea in cui a livello locale si riunirà il comitato costituente del Pd, il gruppo intende indire altri due incontri nei quali mettere a fuoco altrettanti temi: "Il primo, l'orizzonte culturale del nuovo partito che ha da essere con forza laico e avere la sua prioritaria referenza nel mondo del lavoro; il secondo, il contenuto di quello che sarà il Manifesto del Pd". Sull'iniziativa del gruppo, intanto, arriva una nota del segretario provinciale del Nuovo Psi Alessandro Perelli, che criticando la posizione dei socialisti nel Pd, annuncia invece "la Costituente socialista in cui l'identità socialista e laica non sarà camuffata né relegata in secondo piano e che avrà come unico riferimento il Partito socialista europeo".


 

La Repubblica 5-6-2007 Così Tremonti epurò il vertice della Gdf Prima fu rimosso in sole ventiquattr'ore il capo di stato maggiore, quindi fu cambiata l'intera catena di controllo delle Fiamme Gialle a Milano

 

IL RETROSCENA Nel dossier di Visco le sostituzioni disposte dal centrodestra D'Ambrosio: "Domani spiegherò perché Speciale è pericoloso" Mariella fu silurato senza spiegazioni e senza incarichi di prestigio CARLO BONINI ROMA - Per fulminare Romano Prodi e la sua evanescente maggioranza sul caso Visco-Speciale, per rendere nitida la gravità di un brutale tentativo di spoils system nella Guardia di Finanza, Silvio Berlusconi ha usato un argomento di indubbia efficacia: "Io mi domando se fosse successo a noi...". Bene. E' successo. Cinque anni fa. Quando - ministro dell'Economia Giulio Tremonti - venne prima rimosso in ventiquattro ore il capo di stato maggiore della Guardia di Finanza, perché ritenuto politicamente inaffidabile, e quindi avvicendata l'intera catena di comando delle Fiamme Gialle a Milano: il comandante regionale, il comandante provinciale, il comandante del nucleo regionale di polizia tributaria. Non si levò un fiato. Nessuno ebbe a indicare inopportuni incroci con le allora indagini sui diritti tv di Mediaset, né che tra i promossi ai nuovi incarichi vi fosse l'aiutante di campo del ministro Tremonti. Non ci fu il tempestivo e preoccupato intervento dell'Avvocatura Generale per verificare la limpidezza professionale degli ufficiali che venivano messi alla porta. Non furono sollecitate lettere allarmate alla Procura della Repubblica. Non fu chiamato in causa il capo dello Stato. La vicenda non ha nulla di segreto, ha il pregio di mettere a nudo qualche ipocrisia e, per quel che se ne sa, è tra quelle che il viceministro Visco, in questi giorni, ha ricostruito nel suo dossier consegnato a Palazzo Chigi e di cui il senato discuterà domani. I fatti, dunque. Settembre 2001. Giulio Tremonti è da qualche mese il nuovo ministro dell'Economia. Comandante generale della Guardia di Finanza è il generale di corpo d'armata Alberto Zignani, anche lui nuovo nell'incarico (è stato nominato in marzo). Di fatto, la Guardia di Finanza ereditata dal governo di centrodestra è quella che, per quattro anni (1997-2001), ha governato e riformato il generale Rolando Mosca Moschini, uno dei migliori e più brillanti ufficiali del nostro esercito, apprezzato all'estero, integrato per lungo tempo nei comandi Nato. Mosca Moschini, oggi consigliere militare del Presidente della Repubblica, è fumo negli occhi per il centrodestra. Nella sua lunga stagione di comando in viale XXI aprile ha aggredito un grumo di potere che ha coltivato, con il rancore, voglia di rivincita. Si è liberato di Nicolò Pollari, sostituendolo dopo neppure due mesi con un nuovo capo di Stato Maggiore, il generale Giovanni Mariella, un pugliese solare, un galantuomo di buon carattere che, di fatto, nel settembre 2001, quando Moschini lascia il comando ne raccoglie l'eredità. Mariella dura poco. Alla fine di settembre del 2001, il centrodestra se ne libera in ventiquattro ore, sostituendolo con il generale Nino Di Paolo. Delle ragioni della sua destituzione il comandante generale Zignani non offre nessuna spiegazione. Né, soprattutto si comprende, perché, una volta avvicendato, Mariella finisca nel magazzino delle scope del Comando. Per lui non ci sono incarichi di prestigio. Non ci sono poltrone da vicesegretario del Cesis (che, a quanto pare, sono invece un esito di carriera naturale se gli ex capi di stato maggiore si chiamano Nicolò Pollari ed Emilio Spaziante). C'è solo un lungo esilio da comandante interregionale della Guardia di Finanza dell'Italia meridionale. Fino a quando, quattro mesi fa, non se lo porta via una malattia fulminante. Ai suoi funerali a Napoli, lo scorso 24 febbraio, nella basilica di san Francesco di Paola, in piazza Plebiscito, sono presenti sia il comandante generale Roberto Speciale che l'ex comandante Mosca Moschini. Ed è lui a pronunciare un ricordo che convince Speciale a lasciare infuriato la chiesa prima del feretro, per un caffè al "Gambrinus" insieme al suo seguito di ufficiali. Ma torniamo a quell'autunno 2001. Perché accade qualcosa di più. Contemporaneamente alla destituzione di Mariella, su sollecitazione di Tremonti, viene ridisegnata competenza e gerarchia degli uffici periferici del II Reparto, l'intelligence della Guardia di Finanza (che Mariella, prima di diventare capo di Stato maggiore, ha comandato), stanza di scambio e compensazione con il Sismi, la nostra intelligence militare. Delle informazioni che raccoglieranno sul territorio, i "nuovi" reparti informazione non risponderanno più al Comando generale, ma ai comandi regionali. La "riforma" coincide con l'allontanamento di alcuni dei responsabili del reparto informazioni a Milano, come a Roma. Rende i comandanti regionali centri nevralgici nella raccolta delle informazioni, accrescendone il potere. E annuncia quel che accadrà nell'ottobre del 2002. In un unico giro di avvicendamenti, viene sostituita l'intera catena di comando della Guardia di Finanza di Milano. Il comando interregionale della Lombardia viene assegnato al generale Emilio Spaziante. Uomo di Pollari, suo luogotenente in una piazza che esprime la nuova classe dirigente politica, i suoi interessi economici. Comandante provinciale è nominato il colonnello Rosario Lo Russo. Ma, soprattutto, al Nucleo regionale di polizia tributaria arriva il colonnello Stefano Grassi. L'ufficiale è aiutante di campo del ministro Tremonti. Ha lavorato al ministero dell'economia insieme a Marco Milanese, capo della segreteria del ministro, altro brillante ufficiale della Finanza che ha avuto quale suo compagno di corso Dario Romagnoli, poi passato allo studio tributario di Milano dello stesso Tremonti. Gerardo D'Ambrosio, allora procuratore della Repubblica di Milano, oggi senatore dei Ds, ha un ricordo sfumato di quegli avvicendamenti. Sicuramente non prese carta e penna per redigere lettere allarmate. "Perché - dice - la legge stabilisce che il procuratore della repubblica e il procuratore generale non hanno alcun potere di intervento sui trasferimenti di ufficiali al vertice della catena di comando locale della Guardia di Finanza a meno che non si tratti di ufficiali di polizia giudiziaria. Perché in questo caso, non solo devono essere informati ma è addirittura necessario il loro consenso. Sicuramente, nessuno in quell'occasione, al contrario di come mi pare sia invece accaduto nel caso Visco, venne a sollecitare un mio interessamento a quel che stava accadendo". Aggiunge l'ex Procuratore: "La verità è che da questa storia ho tratto delle convinzioni che, domani, proverò a comunicare all'aula del Senato. Un ufficiale come il generale Speciale è pericoloso innanzitutto per la Guardia di Finanza. Se le cose fossero andate come lui dice, un anno fa avrebbe dovuto prendere la porta e denunciare Visco alla competente Procura di Roma per poi dimettersi un minuto dopo. Non mi risulta lo abbia fatto. Perché?".


INDICE 4-6-2007

+ AgenParl 4-6-2007 Prodi APRÈS MOI LE DÉLUGE  1

La Repubblica 4-6-2007 LA NUOVA P2 DEL RICATTO E' PRONTA ALLA SPALLATA Migliaia di intercettazioni al centro del network Pollari-Speciale L'errore del viceministro: non rendere pubbliche le ragioni dei cambi voluti a Milano. Dietro la vicenda Visco-Gdf c'è il prepotente riemergere di un ramificato potere occulto (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) GIUSEPPE D'AVANZO  2

L’Unità 4-6-2007 Un caso Speciale Furio Colombo  4

La Repubblica 4-6-2007Nel quinquennio di Speciale né il comandante in seconda né il capo di stato maggiore sono mai stati informati dei piani di trasferimento Così il "Sistema" decideva le promozioni il retroscena "Una struttura di cui Pollari è stato maestro e il comandante uno scienziato" CARLO BONINI 5

Il Corriere della sera 4-6-2007 L'analisi di Draghi e l'incertezza delle famiglie LA DEPRESSIONE DEI CONSUMI di FRANCESCO GIAVAZZI 6

Il Riformista 4-6-2007 Se le intercettazioni sostituiscono i pentiti 7

La Repubblica 4-6-2007 I COSTI DELLA POLITICA Premi natalità e contratti d'oro così si spende in Lombardia E in comuni e province dilagano le consulenze Ai consiglieri regionali incentivo del 2% ogni milione di abitanti ETTORE LIVINI 8

La Stampa 4-6-2007 I COSTI DELLA POLITICA IERI L'ATTACCO DELLA MARGHERITA SUGLI SPRECHI DI CHI GESTISCE I QUARTIERI Per le Circoscrizioni è l'ora dei tagli EMANUELA MINUCCI 9

Il Giornale 4-6-2007 Di Pierangelo Maurizio - Tagliare i costi della politica: una parola. Chi glielo dice per esempio al consigliere abruzzese Vito Domenici? Al parlamentino regionale ha fondato il Gruppo Misto. Da solo. È capogruppo di se stesso. Ben altri cinque partiti hanno un solo consigliere-capogruppo: l'Unione, Comunisti italiani, Verdi, Udc, Dc e Italia dei valori. 10

La Repubblica 4-6-2007 LINEA DI CONFINE MARIO PIRANI 11

Il Messaggero veneto 4-6-2007 Udine Come abolire i privilegi della classe politica DIBATTITO di CLAUDIO CALLIGARIS e GUERRINO CECOTTI 12

Il Centro 4-6-2007 Avezzano Zulli: politica? Costi stratosferici La proposta: riduciamo il numero di assessori e consiglieri 12

Il Giornale 4-6-2007 Di Valentina Giuli da Roma Poca trasparenza e costi più alti d'Europa: i conti correnti italiani sono nella lista nera del Fondo monetario internazionale (Fmi) e dell'Antitrust 13

Il Manifesto 4-6-2007 Spunto Tra Mosca e Varsavia la carne è debole Astrit Dakli 13

 


+ AgenParl 4-6-2007 Prodi APRÈS MOI LE DÉLUGE

Roma, 4 Giugno 2007 – AgenParl – “Dopo di me il diluvio”. L’ha detto Prodi ai leader della coalizione, affermando che “con la caduta del mio governo lo scioglimento delle camere diventa inevitabile”.
Il “capo” del governo ha così minacciato sia i suoi alleati che la stessa opposizione. A nome di quest’ultima gli ha risposto Gianfranco Fini il quale, in polemica con Berlusconi, ha detto che “non ci sono le condizioni di uno scioglimento delle camere, anche nel caso in cui il governo dovesse cedere”. Con queste affermazioni il leader di Alleanza Nazionale ha offerto ai partner di Prodi un’alternativa per sottrarsi ai ricatti del Professore, nei confronti del quale cresce di giorno in giorno la sfiducia.
La mossa di Fini obbedisce ad un disegno strategico contrapposto a quello di Berlusconi- Egli è consapevole del fatto che l’eventuale costituzione di un governo istituzionale, più o meno di transizione, consentirà la nascita di un’aggregazione centrista che potrebbe spaccare Forza Italia, consentendo così ad AN di acquisire l’eredità di Berlusconi.
In questa direzione, sia pure guardando all’altro versante, si muove l’Udc del suo vecchio amico Pierferdinando Casini, il quale conta di trarre notevoli vantaggi dalla spaccatura di Forza Italia e della costituzione di una grande area centrista.
Sulla medesima linea si muove anche il nascente movimento di Savino Pezzotta, intenzionato a chiamare a raccolta tutti i teo-dem del centro destra e del centro sinistra, compreso l’UDEUR di Clemente Mastella, al fine di sollecitare il Partito Democratico a rompere gli indugi nel buttare a mare Prodi e la sinistra “alternativa”.
Ovviamente Berlusconi punta a tamburo battente sullo scioglimento delle camere, in quanto questo avvenimento costringerebbe i partiti alleati a ricompattarsi, scongiurando la dissoluzione definitiva del centro destra.

 


La Repubblica 4-6-2007 LA NUOVA P2 DEL RICATTO E' PRONTA ALLA SPALLATA Migliaia di intercettazioni al centro del network Pollari-Speciale L'errore del viceministro: non rendere pubbliche le ragioni dei cambi voluti a Milano. Dietro la vicenda Visco-Gdf c'è il prepotente riemergere di un ramificato potere occulto (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) GIUSEPPE D'AVANZO

 

Visco cede alla tentazione di avviare, come si legge in una lucida analisi del Sole-24 Ore, "un rozzo spoils system nei confronti di personale militare ritenuto troppo vicino alla gestione politica precedente". Che in Lombardia, la Guardia di Finanza sia stata molto prossima e a volte subalterna alle volontà del ministro dell'Economia uscente, Giulio Tremonti ? e che ancora oggi possa esserlo ? è fatto noto dentro la Guardia di Finanza e nella magistratura, ma Visco tira per la sua strada in silenzio e al coperto, con un altro passo falso. "Anziché stare alla larga da diatribe annose e poco misurabili", pensa "di utilizzare un gruppo contro un altro, senza calcolare modi, conseguenze e nemmeno la forza di chi gli sarebbe potuto rivoltare contro" (ancora il Sole-24 Ore). Tatticamente difettosa, l'iniziativa di Visco ha un altro deficit. Non è politicamente omogenea alle scelte del governo che ha deciso di stringere, contrariamente a quel che crede Visco, un patto di compromissione, un'intesa, un patto di non-aggressione, chiamatelo come volete, proprio con quel network di potere, di cui il generale Roberto Speciale è soltanto uno degli attori, e nemmeno il maggiore. * * * Di quel network di potere occulto e trasversale, ormai si sa o si dovrebbe sapere. E' un "apparato" legale/clandestino deforme, scandaloso, ma del tutto "visibile". Nasce con la connessione abusiva dello spionaggio militare con diverse branche dell'investigazione, soprattutto l'intelligence business, della Guardia di Finanza; con agenzie di investigazione che lavorano in outsourcing; con la Security privata di grandi aziende come Telecom, dove esiste una "control room" e una "struttura S2OC" "capace di fare qualsiasi cosa, anche intercettazioni vocali: può entrare in tutti i sistemi, gestirli, eventualmente dirottare le conversazioni su utenze in uso, con la possibilità di cancellarne la traccia senza essere specificatamente autorizzato". Quel che combina questo "mostro", che dovrebbe preoccupare chi ha a cuore la qualità della democrazia italiana, si sa. Qualche esempio. Dopo la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi, pianifica operazioni ? "anche cruente" ? contro i presunti "nemici" del neopresidente del Consiglio. Durante la legislatura 2001/2006 raccoglie, "con cadenza semestrale", informazioni in Europa su presunti finanziamenti dei Democratici di Sinistra. E' il "dossier Oak" (Quercia), alto una spanna, denso di conti correnti, bonifici, addirittura con i nomi e i cognomi di presunti "riciclatori" e "teste di legno" dei finanziamenti occulti dei Ds che fanno capo ai leader del partito. Prima della campagna elettorale del 2006, l'apparato legale/clandestino programma e realizza una campagna di discredito contro Romano Prodi. Sarebbe un errore, però, considerare il network "al servizio" del centrodestra. Quell'apparato legale/clandestino, a cavallo tra due legislature, si è "autonomizzato", si è "privatizzato", è autoreferenziale. Raccoglie e gestisce informazioni in proprio. Vere, false non importa: sono qualifiche fluide ? il vero e il falso ? nella "mediatizzazione della politica dove ogni azione politica si svolge all'interno dello spazio mediale e dipende in larga misura dalla voce dei media". A questa variante moderna di P2 è sufficiente amministrare, saggiamente, la cecità e le nevrosi delle power élite, angosciate dalle mosse degli alleati; spaventate dai complotti possibili, probabili, prossimi. Con accorta disciplina, il network spionistico sa essere il virus e il terapeuta della malattia del sistema politico italiano che impedisce, all'uno come all'altro schieramento, di riconoscersi la legittimità (morale prima che politica) di governare. Alimenta così la sindrome di Berlusconi consegnandogli dossier sul complotto mediatico-giudiziario. La cura con una pianificazione di annientamento dei presunti complottardi. Eccita il "complesso berlusconiano" della sinistra e lenisce quello stato psicoemotivo, prima che politico, con informazioni sulle mosse vere o presunte del temuto spauracchio. Quanto più il conflitto pubblico precipita oscurandosi in un sottosuolo, dove poteri frantumati, deboli, nevrotici tentano di rafforzarsi o difendersi; tanto più il network è in grado di essere il custode dell'opaca natura del potere italiano o il giocatore in più che può favorire la vittoria nella contesa. * * * La minaccia di questa presenza abusiva e minacciosa nel "mercato della politica", alla vigilia delle elezioni del 2006, sembra chiara al centrosinistra. C'è chi esplicitamente, con grande scandalo e dopo anni di distratto silenzio, avverte che "sono tornati i tempi della P2" e chi, più lucidamente, ragiona sul quel che è accaduto e sul da farsi. Preoccupato da una realtà che ha consentito di "sviluppare un agglomerato oscuro fatto di agenzie di investigazione e polizie private in combutta con infedeli servitori dello Stato che si muove in una logica di ricatto", trova "lo spettacolo spaventoso" e promette che "il nuovo governo solleciterà il Parlamento a indagare, accertare, comprendere cosa è accaduto". (Marco Minniti, oggi viceministro agli Interni). In realtà, il governo Prodi appena insediato muove in tutt'altra direzione. Preferisce guardare altrove, incapace di prendere atto dell'infezione, in apparenza impotente a comprenderne il pericolo, addirittura impedito a programmare il necessario lavoro di bonifica. Quel che appare al vertice del network, il direttore del Sismi Nicolò Pollari, incappa nelle indagini della procura di Milano per il sequestro di un cittadino egiziano. L'inchiesta mostra le connessioni del network e dimostra la sua attività di dossieraggio illegale. Incrociata con i risultati dell'istruttoria Telecom, offre una scena così inquietante per la qualità della nostra democrazia che dovrebbe convincere il governo a darsi da fare in fretta, a rimuovere, rinnovare, risanare; a chiedere al Parlamento ? appunto ? di "accertare e comprendere". Accade il contrario. Il sequestro del cittadino egiziano è protetto da un segreto di Stato che nemmeno Berlusconi e Gianni Letta hanno mai proposto alla magistratura milanese. Di più, per dare un minimo di credibilità alla sorprendente iniziativa, l'esecutivo non esita ad accusare dinanzi alla Corte Costituzionale di illegalismo la procura di Milano. Un altro segreto di Stato va a coprire gli avvenimenti che hanno accompagnato la missione in Iraq di Nicola Calipari, salvo poi chiedere a Washington "verità e giustizia". Che si voglia tutelare, anche nella nuova stagione politica, il passato, i traffici e la fortuna dei protagonisti di quel network è ancora più chiaro quando si procede alla sostituzione dei vertici dell'intelligence. L'ammiraglio Bruno Branciforte va al Sismi senza alcuna delega in bianco o margini operativi e decisionali. Viene consegnato a un imbarazzante stato di impotenza. In sei mesi, per vincoli politici, non ha avuto la possibilità di rimuovere nemmeno un dirigente. Lo staff, i direttori centrali e periferici, il potentissimo capo del personale sono gli stessi dell'éra Pollari. Ad alcuni degli uomini più fidati del generale uscente è stato consigliato di fare un accorto passo laterale diventando gli uomini forti e ascoltati del ministero della Difesa. Al Sisde il nuovo capo, Franco Gabrielli, ammette addirittura davanti al Parlamento che "così com'è, il servizio interno non può svolgere appieno un efficace compito di prevenzione". E tuttavia non riesce a incuriosire il ministro dell'Interno che, in sei mesi, non ha ancora trovato il tempo e il modo di riceverlo. Se i "nuovi" hanno difficoltà a fare il loro lavoro, i "vecchi" possono ampliare ? al contrario ? il loro margine di manovra e i "punti di appoggio". Pollari è oggi consulente di Palazzo Chigi; il suo fidatissimo braccio destro, che con spavalderia minacciosa si è detto dinanzi al Parlamento "di sinistra" e prodiano, è addirittura al "Personale" della Difesa mentre il generale Emilio Spaziante, l'operativo di Pollari nella Guardia di Finanza di Roberto Speciale, è il numero due al Cesis, la struttura che fa da link tra la presidenza del Consiglio e l'intelligence militare e civile, una poltrona che, nel 2001, già fu di buon auspicio per Nicolò Pollari che da lì partì alla conquista della direzione del Sismi. * * * Il governo di centro-sinistra ha preferito chiudere un accordo di non-aggressione con quel network che, soltanto alla vigilia delle elezioni, appariva all'opposizione di ieri "spaventoso", "oscuro". Un'intesa cinica, realista che avrebbe anche potuto resistere se la parabola dell'esecutivo avesse dimostrato di poter durare a lungo; se la forza del governo avesse dimostrato, in questo suo primo anno, di essere adeguatamente salda e autosufficiente per poter affrontare l'intero ciclo quinquennale della legislatura. Ai primi scricchiolii di popolarità e consenso, ai primi segnali di debolezza politica interna, il network è ritornato a muoversi con tutta la sua pericolosità. Le minacce del generale Roberto Speciale ne sono una eloquente testimonianza. "So io che fare", ha detto ieri al Corriere della Sera. La congiuntura politica, la debolezza e le divisioni della maggioranza, qualche appuntamento di carattere giudiziario non inducono all'ottimismo e lasciano pensare che il peggio debba ancora venire, altro che il match Visco/Speciale. Dunque. Ancora poche settimane e nel frullatore politico-mediatico entreranno le migliaia di intercettazioni telefoniche raccolte nell'inchiesta Antoveneta/Bnl. Un breve saggio di quanto possano essere esplosive lo si è già avuto nel 2006 con la pubblicazione della conversazione tra Gianni Consorte (Unipol) e il segretario dei Ds, Piero Fassino. Ma in quelle intercettazioni si sa, per dirne una, che si ascolta la voce dei maggiori leader del centro-sinistra, a cominciare da Massimo D'Alema e del suo collaboratore più affidabile, il senatore Nicola Latorre. A incupire la scena, la preoccupazione che le intercettazioni legali possano incrociarsi con gli ascolti abusivi e le indagini illegali della Security Telecom. Per quel che se ne sa, è stato trovato soltanto un dvd con migliaia di dossier, nella disponibilità di un investigatore privato che lavorava per la società di telecomunicazioni (o per lo meno per gli uomini della sua sicurezza). Nessuno è in grado di escludere, a Milano come a Roma, che quel dvd sia soltanto una parte dell'archivio segreto. Mentre non c'è dubbio che anche la più irrilevante briciola di quelle informazioni, raccolte illegalmente, sia oggi nella disponibilità dell'"agglomerato oscuro". Che avrà il modo e l'occasione di giocare una nuova partita e qualche asso. I tempi sono favorevoli. Le anomalie, i vizi, gli sprechi della politica italiana hanno scavato un solco tra il Paese e il Palazzo mettendo in moto, per dirla con le parole di Massimo D'Alema, "una crisi di credibilità della politica che tornerà a stravolgere l'Italia con sentimenti come quelli che, negli anni novanta, segnarono la fine della Prima Repubblica". La storia ci insegna che una democrazia fragile e largamente screditata può sopravvivere anche molto a lungo, grazie ai sui meccanismi di autotutela, soltanto però "in assenza di eventi traumatici "esterni" che la facciano crollare". Ora tutta la questione è in questa eventualità. Non c'è dubbio che il network oscuro sia in grado di creare, anche artificialmente, un evento "traumatico" esterno. I dossier ? veri o falsi, non importa ? raccolti negli anni del governo Berlusconi dall'apparato legale/clandestino di spionaggio possono di certo esserlo. Se si guarda a come si è mosso, contro Vincenzo Visco, il generale Roberto Speciale, sembra di poter dire che in giro ci sia anche la volontà di farlo, la determinazione senza tentennamenti. Il comandante della Guardia di Finanza ha tentato, infatti, di "giudiziarizzare" il braccio di ferro con il viceministro, di alimentare con la sua testimonianza (aggiustata per l'occasione) un'indagine penale e, sotto l'ombrello dell'inchiesta, mettere in circolo veleni, notizie mezze vere e mezze false o del tutto manipolate, capaci di "travolgere il Paese con i sentimenti degli anni novanta". Può essere stato soltanto un piccolo accenno di quanto accadrà di qui a dieci giorni. Sapremo presto quali iniziative intende muovere, quest'altra P2 ? simile, ma non uguale a quella che abbiamo conosciuta ? e quale forza di dissuasione o di compromesso è in grado di opporre il sistema politico.

 


 

L’Unità 4-6-2007 Un caso Speciale Furio Colombo

 

Segue dalla Prima. Annuncia clamorosamente, il proprietario di tutti i media privati italiani, l'arrivo della "tv della libertà", "la tv della gente fatta dalla gente", niente di più sudamericano, lungo un percorso che va da Peron a Chavez, sempre al di fuori di ogni regola democratica e costituzionale. È evidente quello che è accaduto, e sta ancora accadendo. Poiché nonostante l'incapacità espressiva e comunicativa del legittimo governo Prodi, la spallata non c'è stata e la forza della opposizione distruttiva lanciata da Berlusconi paralizza le Camere ma non è riuscita ad affondarle, poiché la formula esclusiva della piazza, benché tentata due volte, con e senza vescovi, non ha rovesciato il Paese, occorrevano i militari. Chi scrive crede fermamente che tutti gli altri vertici militari italiani che hanno giurato fedeltà alla Costituzione, non si uniranno alla mossa illegale, incostituzionale e - rispetto alle regole democratiche - estrema del generale Speciale. Ma il generale Speciale, "sempre agli ordini", ha dato il via al suo piano ben preparato, che appare in curiosa e interessante sintonia con il piano "Peron-Chavez-Brambilla" di Silvio Berlusconi. Purtroppo, nonostante l'evidente striatura di ridicolo che attraversa la vita e le opere (quelle pubbliche, politiche) di Silvio Berlusconi, la vicenda non fa ridere. Ricorda i film di Tognazzi, quando Berlusconi, il 2 giugno, si fa circondare da "ali di folla" mentre va alla parata (famiglie di militari appostate per l'evento, ci dicono alcuni giornali, ma certo non c'erano i familiari dei morti di Nassiriya). E l'effetto Monicelli scatta in pieno quando l'ex comandante della Guardia di Finanza si fa deliberatamente sentire da tutti mentre grida "sempre agli ordini". Ma in quella frase il generale ci dice a quali ordini si ubbidisce (quelli di Silvio Berlusconi) e a quali ordini si disubbidisce, marcando il tono di ribellione e disprezzo: quelli del vice ministro Visco, notoriamente uno dei personaggi da umiliare e da abbattere, nella visione berlusconiana di un mondo di liberi ricchi possibilmente fuori da ogni legalità e sgombro di tasse. Che cosa sia accaduto e di quanti gradi ciò che è accaduto, protagonista il gen. Speciale, si separi dalla legge e dalle regole democratiche, lo ha raccontato in modo incontestabile Eugenio Scalfari su La Repubblica di domenica. Il generale Speciale, nega, resiste, si oppone, non risponde, fa ascoltare in viva voce le telefonate del suo legittimo superiore, per poi passare i materiali direttamente al Giornale di Berlusconi ("sempre agli ordini"). E quando il dissenso è clamoroso e inaccettabile per il legittimo capo e responsabile politico (il ministro) il generale mostra di non vedere il solo onorevole percorso a disposizione di un militare che rifiuta gli ordini: dimettersi. Invece oppone ribellione, si arruola apertamente nella politica della parte avversa al governo (ovvero rivela i veri legami) pretendendo di restare generale comandante di una delle tre forze di polizia del Paese. La destituzione che segue è inevitabile e legittima. Già il presidente emerito Cossiga aveva chiaramente ammonito: "Un generale può dimettersi ma non può disobbedire". Il caso dunque è tra i più gravi nella storia della Repubblica, anche perché alcune delle conseguenze avvelenate e perverse possono ancora verificarsi. Il mondo di Berlusconi è fittamente popolato di personaggi stravaganti, di una tipologia non disponibile fuori dal mondo del realismo magico sud americano. Ma quando uno di questi personaggi è generale, è armato, è circondato da altri generali, comanda una parte delle forze armate del Paese e si esprime come se fosse doppiato da Bondi, Baget Bozzo e (nei suoi giorni peggiori) da Tremonti (si veda l'intervista sul Corriere della Sera del 3 giugno) il gioco cambia e la farsa si avvicina bruscamente al dramma. Tutto ciò non sottintende che, nel confronto fra un politico e un militare, il politico abbia per forza ragione. Ripeto Cossiga: "Il militare obbedisce o si dimette. Non gli è consentita la sfida". Ma il politico risponde senza rete al Parlamento e, se del caso alla autorità giudiziaria. Mai attraverso la ribellione concertata fra militari e partiti politici avversi. Mai facendosi rappresentare dalla furente dichiarazione di guerra dell'ex ministro degli Esteri Fini, che, a Santa Margherita Ligure, di fronte all'assemblea dei giovani industriali, rifiuta in modo insultante un dibattito col ministro Bersani, accusato di essere complice di Visco. Evidentemente per Fini si possono liberamente licenziare sui due piedi giornalisti e autori di libera satira. Ma non si può nemmeno parlare con il membro di un legittimo governo che ha dimesso un generale. Perché dei giornalisti e dei civili in genere - ci dice, con un curioso automatismo del passato, Gianfranco Fini puoi fare quello che vuoi. Ma se tocchi un generale "è una porcata". È bene dirlo. È un linguaggio golpista. Per fortuna a quel linguaggio il presidente della Repubblica ha risposto con fermezza. furiocolombo@unita.it.


 

La Repubblica 4-6-2007Nel quinquennio di Speciale né il comandante in seconda né il capo di stato maggiore sono mai stati informati dei piani di trasferimento Così il "Sistema" decideva le promozioni il retroscena "Una struttura di cui Pollari è stato maestro e il comandante uno scienziato" CARLO BONINI

 

ROMA - Il "Sistema" (lo chiamano proprio così in viale XXI aprile) che ha fatto della Guardia di Finanza un corpo separato, che ne ha consegnato le gerarchie a una doppia fedeltà, è semplice. Antico. Arruolamenti, avanzamenti, encomi. Se li controlli e non devi rispondere, se non con vuota formalità, delle tue scelte, l'apparato sarà tuo. L'"autonomia" diventerà separazione. La politica, un interlocutore fragile e passeggero, in un rapporto di forza capovolto. Del "Sistema", osserva una fonte del Comando generale, "il generale di corpo d'armata Nicolò Pollari è stato maestro. Il generale Roberto Speciale, uno scienziato". Qualche dato. Lo scorso anno, il 70 per cento degli allievi ufficiali entrati nei ranghi del corpo avevano almeno un finanziere in famiglia. Un padre, uno zio, un fratello, un cugino. In tutte le commissioni di arruolamento ufficiali e sottoufficiali, per prassi, il comandante Speciale ha imposto l'incongrua partecipazione di un ufficiale della sua segreteria particolare. E gli encomi sono diventati lo strumento per arrivare dove non riescono capacità, concorsi interni, anzianità. Per ripulire carriere non esattamente adamantine. Ne sono stati distribuiti a centinaia, soprattutto "solenni" (dovrebbero distinguere il militare che, nell'adempimento dei propri doveri, acquisisce meriti eccezionali). Come quelli che hanno consentito all'aiutante di campo di Speciale, il capitano Cosentino (cinquantesimo del suo corso, indagato dalla procura di Salerno per falso ideologico e materiale) di diventare maggiore. Come quelli che, la scorsa estate, consegnarono la guida dell'Accademia della guardia di Finanza al generale Francesco Attardi, penultimo del suo corso, impicciato nelle telefonate di Calciopoli, e, nelle valutazioni individuali, ottavo di otto tra i generali di brigata. Arruolamenti, avanzamenti, encomi. Non bisogna essere degli addetti per capire. Il vincolo del "sangue" e quello del voto di fedeltà e appartenenza al Comandante decidono dei primi passi nel corpo e di quelli futuri. Della resurrezione dopo eventuali cadute. O dentro, o fuori. O "con", o "contro". La legge che governa le carriere non impone particolari obblighi di motivazione all'autorità politica. Quella interna e di clan è nota a tutti. E si deposita nel pervasivo potere del I Reparto, l'articolazione del Comando generale deputata al "personale". Il generale Speciale - come dato conto da "Repubblica" ieri - ha ordinato che alla guida di questo nevralgico centro di potere e controllo un fedelissimo si avvicendi ad un altro fedelissimo, il generale Caprino al generale Adinolfi. Sommando i tempi dell'incarico del primo a quelli del secondo (due anni più due anni) si arriva quasi a un lustro. Il che significa qualche migliaio di carriere segnate o comunque avviate in direzioni di cui è complesso modificare l'inerzia. L'affare Visco ha aperto più di uno squarcio sul "Sistema" e sulla natura autocratica e autoreferenziale con cui lo ha scientificamente modellato Speciale. Nel quinquennio del centrodestra a Palazzo Chigi, né il comandante in seconda del corpo (che è poi il più alto ufficiale in grado proveniente dai ranghi della Finanza, essendo il comandante scelto in quelli dell'Esercito), né il capo di stato maggiore sono mai stati messi preventivamente al corrente dei piani di "trasferimento" disposti dal Comandante, né delle ragioni che li hanno sollecitati. Né sono stati in altro modo coinvolti nel traffico degli "encomi". Quando hanno provato a ficcare il naso in quel che evidentemente non dovevano (i trasferimenti sollecitati da Visco a Milano), Speciale - lo sappiamo - li ha denunciati alla Procura militare per attentato ai poteri del comandante. Per difendere la Democrazia o il Sistema?.

 

 


 

Il Corriere della sera 4-6-2007 L'analisi di Draghi e l'incertezza delle famiglie LA DEPRESSIONE DEI CONSUMI di FRANCESCO GIAVAZZI

 

Negli anni Sessanta e Settanta le famiglie italiane acquistavano beni e servizi per un 4-5% in più ogni anno. Da allora la crescita dei consumi si è progressivamente esaurita: 2,6% negli anni Ottanta, meno del 2% negli anni Novanta. Dal 2001 a oggi i consumi delle famiglie sono rimasti sostanzialmente invariati. (Questi dati sono calcolati pro capite, così che il rallentamento dei consumi non possa essere attribuito al venir meno della crescita della popolazione). La spesa delle famiglie rappresenta oltre i due terzi della domanda totale per i beni e i servizi prodotti dalle nostre imprese: se essa non cresce è difficile che la produzione si espanda. E infatti il rallentamento dell'economia italiana ha seguito passo passo quello dei consumi. Ad esempio, a poco è servito che lo scorso anno le esportazioni delle nostre imprese aumentassero del 6%: la crescita dei consumi non ha raggiunto l'1,5% e così è stato, sostanzialmente, per l'intera economia. Perché le famiglie italiane hanno smesso di accrescere i loro consumi? "La spesa delle famiglie è erosa dalle rendite, frenata dall'incertezza sull'esito di riforme che toccano in profondità la loro vita", ha detto la scorsa settimana il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. L'analisi del ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero (di Rifondazione comunista), è più semplice: "Se salari e pensioni non crescono come aspettarsi una crescita dei consumi?". Hanno ragione entrambi: la stagnazione dei consumi è il sintomo di alcuni difetti della nostra società e dell'incapacità della classe politica di prendere decisioni. E' vero che i salari reali non crescono. In sei anni sono aumentati solo del 3%, ma comunque più della produttività, immutata dal 2001. Se non riprende la produttività, i salari reali non possono crescere, a meno di mandare in malora le imprese. La produttività dipende dall'innovazione e quindi dalla qualità del capitale umano: se non si migliora la scuola non c'è speranza. Finché eravamo un Paese di aziende manifatturiere l'istruzione era meno importante: molti mestieri ? il saldatore di metalli, il falegname ? si imparavano lavorando. Ma in un'economia di servizi senza una buona istruzione si è perduti perché si rimane schiacciati in mestieri sottopagati. L'indagine dell'Ocse sui livelli di apprendimento dei ragazzi quindicenni ("Problem Solving for Tomorrow's World ") mostra non solo un ritardo delle scuole italiane rispetto a quelle europee, ma anche un forte divario fra Nord e Sud, anche a parità di voto scolastico. Un 4 in matematica in una scuola del Nord mostra un livello di conoscenze superiori a un 7 in una scuola del Sud. Se poi confrontiamo i quindicenni italiani con i loro colleghi europei, la percentuale di coloro che ? posti di fronte a un problema relativamente semplice, come decidere il percorso più efficiente in un viaggio che deve toccare 6 città diverse ? ottengono un voto superiore a 592 (in una scala da 0 a 750) sono il 30% in Finlandia, il 22% in Francia, Germania e nella Repubblica Ceca, solo l'11% in Italia. E' vero che le pensioni sono basse: la pensione media è di circa mille euro al mese. Ma come si possono pagare pensioni più alte in un Paese in cui 16 milioni di pensionati sono sostenuti da solo 24 milioni di lavoratori, quasi 7 pensionati per ogni dieci lavoratori? Se non si lavora di più, è difficile pagare pensioni più dignitose. Con una popolazione che invecchia il reddito delle famiglie dipende sempre più dalle pensioni ma anche dal rendimento dei risparmi accumulati in una vita. I risparmi delle famiglie italiane sono per lo più investiti in attività finanziarie domestiche: meno del 20% è investito in azioni e obbligazioni estere. Questo non è sorprendente: la presenza di banche estere in Italia è trascurabile, soprattutto nella gestione del risparmio, e le banche italiane sanno vendere solo titoli italiani, talvolta, come nel caso delle obbligazioni Cirio e Parmalat, per motivi inconfessabili. Ma se si investe in un Paese che non cresce, difficilmente si otterranno buoni rendimenti. Il monopolio delle banche italiane nel mercato del risparmio gestito non solo pone gravi problemi di trasparenza, ma produce anche rendimenti bassi, che comprimono i consumi dei molti anziani che vivono soprattutto di cedole. Nel 1998 il cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, appena eletto, cancellò la riforma pensionistica che era stata introdotta dal suo predecessore cristiano-democratico, Helmut Kohl, pochi mesi prima delle elezioni. Quella riforma alzava l'età di pensionamento, riduceva le prestazioni, aumentava i contributi, in una parola riduceva la ricchezza pensionistica delle famiglie tedesche. La notizia che la "legge Kohl" era stata abrogata avrebbe dovuto indurre le famiglie a risparmiare di meno perché i tagli alla loro ricchezza pensionistica venivano cancellati. Tutt'altro: lo sconcerto e la preoccupazione per un problema che si riteneva risolto e invece veniva riaperto, indusse le famiglie tedesche a risparmiare di più. Quell'episodio è all'origine della stagnazione dei consumi tedeschi che dura da quasi un decennio. A Caserta, il 13 gennaio scorso, il presidente del Consiglio, Romano Prodi, aveva promesso la riforma delle pensioni entro il 30 marzo. Siamo a giugno e ancora in alto mare. Questi ritardi e l'incapacità del governo di decidere su questioni che toccano in profondità la vita di tutti noi non hanno solo un effetto meccanico sui conti pubblici. Preoccupano le famiglie e creano un clima di incertezza che, come è accaduto in Germania, deprime i consumi e quindi la crescita.


 

Il Riformista 4-6-2007 Se le intercettazioni sostituiscono i pentiti

Quasi tre lustri dopo Tangentopoli, in Italia il nodo gordiano tra politica e giustizia è ben lungi dall’essere tagliato. Anzi: Vallettopoli, i furbetti incarcerati e poi, ancora, la pubblicazione delle intercettazioni alimentano il sospetto che l’agenda della politica sia sempre più dettata o, quantomeno, condizionata dalle iniziative della magistratura. Del resto, basta vedere gli ostacoli che incontra il Guardasigilli Mastella nell’azzerare la riforma Castelli, il punto di frattura più grave negli ultimi anni tra il potere legislativo e quello giudiziario. Che fare, allora? Nella scorsa legislatura, il senatore di An Giuseppe Valentino, penalista calabrese con studio a Roma, è stato sottosegretario alla Giustizia. Sostiene Valentino: «Uno dei primi atti del ministro Mastella è stato quello di “consegnarsi” all’Anm, l’Associazione nazionale magistrati. Ricordo che in un’intervista a Repubblica, il Guardasigilli sostanzialmente invitava i magistrati a tracciare le linee politiche di una sorta di “controriforma”. È stato, però, un tentativo meno semplice di quanto non si pensasse perché il capo dello Stato non diede corso alle richieste di decreto legge ipotizzate dal governo al fine di bloccare l’entrata in vigore della riforma dell’ordinamento giudiziario realizzata durante il governo Berlusconi. Oggi nove decreti delegati su dieci della riforma sono in vigore. Le uniche questioni aperte - proprio in questi giorni in discussione al Senato - sono quelle della progressione in carriera e dei limiti imposti al transito del magistrato dalla funzione requirente a quella giudicante».
In pratica, il cuore della Castelli, tra l’altro frutto di un compromesso al ribasso, visto che dalla separazione delle carriere fortemente voluta dalla Cdl si passò a quelle delle funzioni. Continua Valentino: «Sì, anche io ritengo che la scelta di separare le funzioni o meglio di prevedere particolari condizioni per il transito del magistrato da una funzione all’altra, sia stata una soluzione minima. In ogni caso alcune scelte non sono più rinviabili perché è l’Europa a chiederci una grande opera di modernizzazione dell’ordinamento giudiziario, è l’Europa a sollecitarci la separazione delle carriere per realizzare sistemi più omogenei ed è, soprattutto, l’articolo 111 della nostra Costituzione a reclamarlo nel momento in cui sottolinea la terzietà del giudice: un soggetto processuale distinto dalle parti in causa che non può appartenere, quindi, allo stesso ordine giudiziario del pm».
Sull’attuazione però di queste modifiche radicali, e sui relativi tempi, Valentino è lucidamente pessimista. Primo: perché adesso c’è una maggioranza attestata sulle posizioni più conservatrici della magistratura. La seconda ragione è, invece, più profonda e meno contingente: «Le leggi non cambiano la mentalità, è necessaria, dunque, una riflessione più ampia. Le riforme arrivano fino a un certo punto. Questo perché aree della magistratura sono ormai convinte di dover combattere una sorta di crociata, come dimostra il tentativo costante di alcuni magistrati, da Mani Pulite in poi, di condizionare la politica. Omettono di ricordare, però, che il loro compito è solo quello di applicare la legge. Quanto accaduto durante il governo Berlusconi è esemplare: per cinque anni vi è stata la percezione che la vera opposizione alla maggioranza fosse la magistratura e non il centrosinistra. Si ha, così, l’impressione di esser di fronte a una patologia del sistema dove l’agenda politica è per molti versi scandita da iniziative giudiziarie, anche se poi si risolvono in un nulla di fatto in una percentuale elevatissima di casi. C’è bisogno di cambiare il passo, per fare della magistratura la vera, autentica struttura delle garanzie fortemente volute dal cittadino. Per questo motivo, occorre che la magistratura si apra di più alla società e si confronti con essa. Una possibilità potrebbe essere costituita da un’applicazione ampia dell’articolo 106 della Costituzione che prevede possano essere chiamati all’ufficio di Consigliere di Cassazione giuristi non togati di particolare livello. Culture costituitesi in contesti diversi contribuirebbero, così, a vivacizzare e stimolare il dibattito in un prestigioso presidio giudiziario dove nasce la giurisprudenza, fonte primaria del Diritto».
Ultima nota dolente, ultima in ordine di apparizione sui media, le intercettazioni telefoniche. Valentino conosce molto bene il problema dal momento che quand’era sottosegretario alla Giustizia aveva la delega all’Informatica: «In Italia le intercettazioni assorbono gran parte delle risorse del ministero della Giustizia, svariate centinaia di milioni di euro l’anno. Un’enormità. Se avessimo fortemente condizionato la criminalità in tutte le sue accezioni, capirei pure, ma, purtroppo, non è stato così. Anzi. Ho la sensazione che l’uso delle intercettazioni, da qualche tempo, abbia sostituito quello ormai usurato dei pentiti. Due strumenti investigativi di indubbia efficacia che in molti casi, però, rappresentano pericolose scorciatoie che, temo, possano “impigrire” intellettualmente gli inquirenti. Peraltro, analoghe valutazioni ha svolto un illustre magistrato torinese sostenendo che prima i pentiti e poi le intercettazioni hanno, in certo senso, attenuato le capacità investigative dei magistrati». Per quanto riguarda l’uso mediatico delle intercettazioni, l’opinione di Valentino è netta. «In ogni caso, uso o abuso che sia, l’intercettazione è atto di indagine funzionale al processo non al diritto di cronaca. Eppoi l’ordinanza di custodia cautelare quando viene emessa dal giudice per l’indagine preliminare non è ancora atto pubblico, né lo diviene subito dopo la sua esecuzione. Per questo sono d’accordo con l’introduzione di sanzioni adeguate per chi pubblichi questi documenti sottoposti ancora al segreto istruttorio».


 

La Repubblica 4-6-2007 I COSTI DELLA POLITICA Premi natalità e contratti d'oro così si spende in Lombardia E in comuni e province dilagano le consulenze Ai consiglieri regionali incentivo del 2% ogni milione di abitanti ETTORE LIVINI

 

MILANO - Ci sono i superstipendi "a incentivo demografico" del Pirellone, rimpolpati da rimborsi chilometrici arrotondati (crepi l'avarizia) alla ventina superiore. Ci sono le teche d'oro per gli orologi della Provincia di Milano e gli hovercraft comprati (e mai usati) da Palazzo Marino. Ci sono i super-contratti garantiti in Comune dal sindaco-manager (Letizia Moratti) ai compagni di cordata trombati alle elezioni. Hai voglia a essere padano, a essere cresciuto nella cultura dell'efficienza, magari lanciando anatemi contro "Roma Ladrona". Davanti alle tentazioni della politica, tutto il mondo è paese. E anche i Lumbard, alla fine si adeguano. A risparmiare qualcosa, a dire il vero, ci provano: la Regione dà lavoro a 3.729 persone (di cui 297 dirigenti), il 6,7% in meno dal 2002 e il rapporto abitanti per dipendente (2.518) è il migliore d'Italia. Così come il costo del personale del Comune di Milano (598 milioni nel 2005) è calato dell'1,5% dal picco del 2003. Per il resto però la politica lombarda è uno specchio fedele di quella del resto del Paese. Con gli stessi privilegi, gli stessi sprechi e le consulenze a pioggia che uniscono l'Italia più della nazionale di calcio. Il costo del politico. L'Oscar del privilegio va di diritto agli 80 consiglieri del Pirellone. Lo stipendio (circa 10mila euro netti al mese tra indennità e diaria) è solo una voce. Pari comunque al 100% della busta paga di un parlamentare per il Governatore e al 75% per i presidenti di Commissione (sono "solo" 7, molte meno delle 21 cui è arrivata la Campania). Tanto? Forse, ma non per i diretti interessati che nell'estate 2002 si sono regalati il "premio natalità": uno scatto del 2% dello stipendio per ogni milione di abitanti della Lombardia oltre il primo. Tradotto in cifre (i 9 milioni di lombardi) un aumento secco del 16%. Siamo però solo all'inizio. La vita del Consigliere è dura. Qualcuno ad esempio viene da fuori Milano. Poco male. Ha diritto al rimborso per il viaggio: 0,35 euro a km. per un massimo di 240 chilometri al dì a seconda del luogo di partenza (arrotondati ai 20 chilometri superiori, ad abundantiam) per un massimo di 18 giorni al mese. Poi ci sono le trasferte istituzionali e le missioni. Certo da un po' di tempo a questa parte si sono rarefatti i periodici viaggi (rigorosamente maschili, pare) a San Pietroburgo, assistiti da una diaria da 464 euro al giorno. Ma le relazioni internazionali e con Roma sono lo stesso frequenti. Prendiamo il Governatore Roberto Formigoni, che per gli spostamenti in auto, stando alle delibere, viaggia su una Bmw blindata (presa usata) in leasing per 272mila euro in due anni. Nel 2005 ha fatto 21 missioni a Roma (per 41 giorni), un viaggio in Usa (7 giorni) e una a Bruxelles (in giornata) per cui si è visto rimborsare spese per 25mila euro (513 al giorno). Il suo ufficio di presidenza ha speso per colazioni di lavoro, rappresentanza e omaggi istituzionali 73mila euro (292 euro a giorno feriale) oltre ad altri 19mila per ospitalità riunioni e 13mila in corone e necrologi. La vita da Consigliere, insomma, sarà stressante ma ha i suoi privilegi. E anche la vecchiaia, per gradire, non è un problema: dopo cinque anni di legislatura (anche meno se integra i contributi) si ha diritto a un vitalizio pari al 20% dell'indennità di funzione (1.500 euro circa al mese) dopo i 60 anni. Dopo 12 anni di lavoro in Regione l'assegno sale oltre i 2.800 euro. I costi della politica. Il problema numero uno in Lombardia su questo fronte, secondo il procuratore della Corte dei conti Domenico Spadaro, è l'area grigia delle consulenze. Gli enti locali hanno conferito nel 2004 (ultimo dato disponibile) 45mila incarichi per 185 milioni, il 21% del totale nazionale. Un mare magnum senza controlli. Anzi: in molti casi i revisori di nomina pubblica hanno "applaudito" iniziative rivelatesi poi "dannosissime per l'erario" (parole di Spadaro). Ci sono le consulenze milionarie delle Asl, i 7 milioni pagati nel 2006 dalla Provincia rossa di Filippo Penati, i 50 milioni di collaborazioni esterne di Palazzo Marino nel 2007. L'indotto della politica ha però confini più larghi dei palazzi. Prendiamo le nomine negli enti e nelle fondazioni, strumento di gestione del consenso spesso lautamente retribuito. La regione Lombardia "sintetizza" le sue in un tomo di 322 pagine. Le partecipazioni autostradali (Asam e Serravalle) di Penati sono al centro di una bufera per le "pressioni politiche" sulla gestione. Ma le polemiche più feroci sono quelle che hanno travolto il sindaco di Milano Letizia Moratti. In nome dell'efficienza ha impostato una riorganizzazione del Comune che ha portato da 13 a 22 le direzioni centrali (moltiplicando stipendi e poltrone) e ha deliberato l'assunzione di 51 dirigenti esterni pagati 9 milioni annui. Tutte iniziative finite sotto la lente di Procura e Corte di Conti. Il problema non è solo la quantità, ma anche la qualità dei nuovi manager. Per tre di loro lo stipendio comunale ? da 203 ai 217mila euro l'anno ? è stato lo zuccherino che ha reso meno amara la bocciatura elettorale. Luca Concone ? 41enne ingegnere "che associa l'orientamento ai risultati con la profondità di pensiero strategico", recita il suo curriculum ? è stato assunto a 244mila euro l'anno per l'area pianificazione. Dimessosi dopo otto mesi è stato riciclato dalla Sea, quegli aeroporti di Milano dove lo spoil system interno al centrodestra ha portato a liquidare l'ex numero uno dell'era Albertini, Giuseppe Bencini, con una maxi-buonuscita (pare 1,3 milioni). Dietro super-stipendi e consulenze d'oro c'è poi la lunga teoria dei piccoli sprechi quotidiani. La casistica, volendo, sarebbe lunga. Ci sono due hovercraft voluti dalla giunta Albertini per la Polizia (la sicurezza dei milanesi non ha prezzo), usati per un'esibizione e poi dimenticati. Ci sono 10 teche per proteggere gli orologi antichi della Provincia costate 20mila euro. Ci sono gli assessori del Comune che appena insediati, hanno ordinato costose ristrutturazioni dei loro uffici e bagni. O i 10mila euro stanziati (come preventivo, va detto) dalla Provincia per una missione per due persone di una settimana a Cuba. Quattromila euro per il viaggio e 6.000 per "spese minute". C'è persino la storia a lieto fine: quella dei milioni stanziati per acquistare trattorini incaricati di aspirare le feci dei cani milanesi. La giunta Albertini ne ha provato uno. Funzionava male e non poteva operare sui marciapiedi. La commessa è stata bloccata e il metabolismo dei quattrozampe meneghini è stato affidato al buon senso e alle palette dei milanesi. La zavorra della macchina. Patologie straordinarie e privilegi a parte, il vero "costo" della politica locale lombarda è quello dell'inefficienza. Il Comune di Milano, ad esempio, assorbe il 29% del budget (450 euro di spesa a cittadino) solo per funzionare. Meno del 43% di Napoli ma se Palazzo Marino scendesse al livello di Torino (21,9%) libererebbe 120 milioni per investimenti utili alla collettività. Altro spreco, perlomeno di tempo, è l'inattendibile e corposo bilancio preventivo. Per il 2005 a Milano prevedeva 3,7 miliardi di investimenti e 2,2 di dismissioni. Il bilancio reale, alle due voci, segna oggi 618 milioni di investimenti e 117 di cessioni. Si possono tagliare queste spese? Può darsi, ma per ora gli enti locali lombardi, invece che dimagrire, ingrassano. La neonata Provincia di Monza e Brianza ha già provato a stendere un primo bilancio teorico: ci sono 124 milioni di entrate previste (tasse già esistenti) e 91 milioni di spese (nuove di pacca). Oltre 65 milioni per il personale e la funzionalità interna, solo 25 per investimenti sul territorio. Il classico doppione mangia-soldi. Forse, alla fine, la soluzione è fare come la Provincia di Varese. In bilancio tra le entrate, ha 7mila euro alla voce Casinò di Campione. Magari è un affitto. Ma in fondo una puntata al tappeto verde, viste le resistenze dei palazzi, è forse la soluzione più razionale per far quadrare i conti (e i costi) della politica.


 

La Stampa 4-6-2007 I COSTI DELLA POLITICA IERI L'ATTACCO DELLA MARGHERITA SUGLI SPRECHI DI CHI GESTISCE I QUARTIERI Per le Circoscrizioni è l'ora dei tagli EMANUELA MINUCCI

 

"Sono d'accordo con il "compagno" Laus. D'altronde la prima idea di ridurre le circoscrizioni da 10 a 5 fu mia. Ne avevamo già discusso nella scorsa legislatura: sarebbe un modo per dare più potere e aumentare l'efficienza di questi enti. Fosse per me potrei arrivare a soluzioni più radicali, modello Barcellona, ma il percorso sarebbe lungo". Il sindaco Chiamparino, nonostante ieri i presidenti delle sue circoscrizioni abbiano masticato parecchio amaro leggendo che cosa pensa il leader dei Dl cittadini Laus sull'amministrazione delle medesime (troppi sprechi) gli dà ragione su un fatto: dieci quartieri sono troppi, la politica del decentramento va rivoluzionata. Lo dice al termine di un pomeriggio scandito da una levata di scudi, sottoscritta anche da parecchi rappresentanti della sua maggioranza. Una su tutti, Paola Bragantini, segreteria provinciale dei Ds, che avvisa: "La questione dei costi della politica non è una specie di patata bollente che gli enti si possono passare l'un l'altro, cercando di lasciarla nelle mani del più debole". Mentre Chieppa del Pdci aggiunge: "Mauro Laus ha compiuto un errore clamoroso. Le circoscrizioni rappresentano il livello istituzionale più a contatto dei cittadini e dovrebbero assumere sempre più competenze". Più sfumata la posizione di un comunicato congiunto, sottoscritto da Rifondazione, Sinistra democratica, Pdci, Rnp, Verdi: "Convochiamo al più presto un vertice di maggioranza sul decentramento". Una cosa è certa: il sasso scagliato nello stagno dei costi della politica, partendo "dall'esercito di stipendi delle circoscrizioni" per mano di Laus (condivisa dal consigliere comunale Salvatore Gandolfo) ha scatenato una specie di tsunami. E la forza che accompagna la polemica è inversamente proporzionale alla grandezza dell'ente che colpisce: lo stagno, appunto delle circoscrizioni, mica il mare magnum dei Consigli regionali e comunali. Piccolo bersaglio (anche se i 10 quartieri, insieme, amministrano ben 12 milioni di euro l'anno) che scatena le reazioni indignate dei loro presidenti al capitolo "guadagni&sprechi ". Il primo a sfogarsi sul tema è il "presidente dei presidenti" Michele Paolino, responsabile della circoscrizione 3 (Margherita anche lui, oltretutto): "Non è vero che portiamo a casa 5000 euro lordi, ma 3300 e di quei 3300 ce ne restano in tasca, a noi presidenti, al massimo 2474 di cui paghiamo altre tasse - si sfoga Paolino -, un consigliere invece al top dei gettoni arriva a guadagnare 1100 euro lordi, e le assicuro, ne restano al massimo 600 netti. Basta scorrere la legge per scoprire queste cifre. E poi va aggiunto che non abbiamo nemmeno una possibilità di fare una nota spese: se io le offro un caffè, insomma, devo farlo di tasca mia, come anche nel caso in cui voglia comprarmi dei quotidiani per sapere che cosa accade nel mio quartiere". Se invece si vuol parlare di inutilità dell'ente allora Paolino (come molti dei suoi colleghi: ieri siamo riusciti a sentirne 7 su 10) si scalda ancora di più: "Siamo la realtà più vicina alla gente, da quando c'è stato lo scandalo geometri va detto che noi ci occupiamo della manutenzione ordinaria e non abbiamo mai abbastanza fondi per riuscirci". Anche An, alla voce guadagni, ha qualcosa da ridire: "Ho cominciato a fare il consigliere di circoscrizione da pensionato delle Poste - spiega Antonio Pasquarella consigliere della circoscrizione 5 - la mia aliquota fiscale è aumentata e, colpo di scena, il partito mi ha chiesto anche il 50% dei gettoni da me percepiti. Dopo aver pagato il partito, le tasse, il commercialista, la benzina, il telefonino, i volantini e i manifesti, forse e dico forse, mi restano in tasca solo 50 euro al mese...".


 

Il Giornale 4-6-2007 Di Pierangelo Maurizio - Tagliare i costi della politica: una parola. Chi glielo dice per esempio al consigliere abruzzese Vito Domenici? Al parlamentino regionale ha fondato il Gruppo Misto. Da solo. È capogruppo di se stesso. Ben altri cinque partiti hanno un solo consigliere-capogruppo: l'Unione, Comunisti italiani, Verdi, Udc, Dc e Italia dei valori.

 

Tutti one-man-show: si riuniscono, discutono, propongono, dissentono. In perfetta solitudine. È ininfluente il fatto che, oltre agli 8mila euro lordi al mese come consiglieri, ne intascano altri 2mila per questa funzione. E in più: ognuno ha un ufficio, i finanziamenti previsti per i gruppi, personale di segreteria. Così, dopo l'Umbria, anche in Abruzzo si fa strada l'idea di dare una sforbiciata a questa manna, via referendum. "L'ufficio legale della Regione ha dato parere favorevole" dice Pio Ravagnà, ex parlamentare (eletto nel '92 nelle Liste Pannella) e portavoce del comitato promotore: "Ora si devono attendere i tempi dell'Ufficio di presidenza del consiglio regionale: perché a norma di statuto sono i consiglieri regionali a decidere sull'ammissibilità della consultazione sui loro privilegi". L'inizio della raccolta di firme è previsto a metà giugno. Il fatto è che se a livello nazionale si predica bene (con piano di governo per ridurre i costi di Comuni, Province, Regioni e studi per abolire le Comunità montane), a livello locale si razzola meno bene. In Umbria il presidente ds, Maria Rita Lorenzetti, ha fatto slittare tre volte in due anni la data del referendum. E in Abruzzo il governatore Ottaviano Del Turco, appena passato al Partito democratico? "Non ha detto una sola parola" affonda Ravagnà. Che aggiunge: "Per tagliare i privilegi dei consiglieri regionali, di referendum ce ne vorrebbero 12. Tanti quanti le voci che compongono gli emolumenti". Intanto si comincia con tre. Tre quesiti referendari. Il primo chiede di abolire l'articolo relativo alle cosiddette "indennità aggiuntive". Dai 3mila euro "aggiuntivi" al mese per i presidenti di giunta, consiglio, commissioni. Ai 2mila dei capigruppo (più rimborsi spese, diaria, gettoni di presenza eccetera). Il secondo quesito cancella il vitalizio - le pensioni dei consiglieri: da 3.500 euro al mese con un mandato, fino a 6mila per più mandati - e gli assegni di reversibilità per vedove e orfani. Il terzo quesito è il più dirompente. Vuole azzerare gli "organi di vertice degli enti strumentali". Vale a dire le nomine politiche dei consigli d'amministrazione negli enti per la portualità, consorzi di bonifica, agenzie per la cultura o la sanità, l'ambiente, l'acqua, i rifiuti. Sono 3mila persone che in Abruzzo vivono di politica. "Al di là degli annunci roboanti - commenta Pio Ravagnà - i politici cercano in tutti i modi di ignorare il referendum". C'è da stupirsi?


 

La Repubblica 4-6-2007 LINEA DI CONFINE MARIO PIRANI

 

Al momento in cui scrivo (ore 16 dell'1 giugno) le risposte positive al cosiddetto "decalogo per il Palazzo" lanciato da Repubblica (24/5), assommavano a 150.197, un livello tra i più considerevoli per questo tipo di iniziative su web. Ringrazio di cuore tutti i lettori che hanno compreso il senso di quella che ha voluto essere una provocazione positiva nei confronti dei dirigenti di centro sinistra. Analogo valore ha la verifica successiva sul candidato preferito per la guida del futuro partito unificato che vede di gran lunga in testa Walter Veltroni (col 47% delle preferenze) seguito a molta distanza da Anna Finocchiaro col 10% e dagli altri papabili con percentuali ad una sola cifra. Non si tratta, è vero, di sondaggi, elaborati in base a tecniche demografiche, sociologiche e di campionatura precise, così da riflettere con un alto grado di approssimazione, le scelte dell'assieme dei cittadini, ma di un termometro per saggiare il grado di reattività politica di quanti si riconoscono nel profilo del nostro giornale. Il fatto che in così gran numero abbiano voluto far sentire la propria volontà in ambedue i test assume, peraltro, un valore tutt'altro che trascurabile per percepire in presa diretta l'orientamento di una aliquota molto corposa di uno strato qualificato di cittadini - in grande maggioranza di centro sinistra - rappresentata dai lettori di Repubblica. Per questo il fatto che i maggiorenti della nomenklatura, in primo luogo i cosiddetti 45 saggi del costituendo partito democratico, mostrino di non tenere in alcun conto le propensioni espresse da un'avanguardia significativa del loro elettorato, comprova l'involuzione autoreferenziale di un gruppo dirigente refrattario a una seria analisi critica del proprio operato. Un gruppo, dunque, assai restìo ad affidare al vento della democrazia la spinta propulsiva per far decollare con forza il partito democratico. Di qui il rifiuto delle primarie, in cui i leader dovrebbero gareggiare, confrontarsi e trarre dal voto diretto di tutti gli aderenti la legittimazione a guidare il partito. Premessa ad un'altra tornata di primarie in cui siano gli elettori di centro sinistra a scegliere il candidato premier. Il successo del Decalogo, peraltro, induce a qualche altra riflessione. In primo luogo vorrei dire che quello che è stato definito semplicisticamente lo tsunami dei "costi della politica" genera alcuni dubbi. Da un lato, più che propiziare la riforma indispensabile della politica, può alimentare con nuovi flussi il bacino già esteso dell'anti politica. Dall'altro si presta fin troppo ad innescare dibattiti ripetitivi, anche se speziati da ripetuti talk show e accompagnati da finte indignazioni ed ipocriti buoni propositi. Alla fine tutto potrebbe concludersi con qualche taglio di auto blu e una modesta limitazione di remunerazioni di vertice. Bisognerebbe, per contro, tenere ben fermo che il problema dei costi e dei privilegi esiste, ma, soprattutto, che la dilapidazione va misurata dal rapporto squilibrato fra i costi della politica e la sua inefficienza (se volessimo usare un linguaggio economico dovremmo parlare di caduta verticale di produttività). E', quindi, la struttura del potere che va riformata se vogliamo rimettere in riga l'efficienza del sistema e la sua efficacia. Per questo al centro del "decalogo" sono stati inseriti una serie di quesiti che sottolineavano l'abnorme crescita delle cariche elettive stipendiate, del numero di ministri, consiglieri regionali, provinciali, comunali, ecc., l'occupazione partitica di gran parte della pubblica amministrazione o, quantomeno, la necessità di "targarsi" politicamente per ogni dirigente, la creazione di migliaia di enti inutili su scala regionale e locale, veri e propri uffici di collocamento politico a spese dei contribuenti. I lettori, chiamati a scegliere tre questioni su dieci hanno per il 23% votato per una riduzione drastica dei privilegi dei parlamentari, per il 20% per la riduzione di un terzo dei consiglieri regionali e locali, per il 15% per un cambio radicale della squadra di governo e il taglio dei suoi membri da 104 a 60. Al quarto posto, col 12% dei voti, si piazza l'abolizione dei finanziamenti diretti ai consiglieri regionali, la censita e il taglio degli enti inutili. Dalla qualità delle preferenze adottate si intuisce una scelta consapevole per colpire sia i privilegi e gli sprechi, quanto le inefficienze strutturali. Resta il quesito se i registi del partito democratico lo capiranno o continueranno a discettare se ci vuole un segretario, un coordinatore o un semplice portavoce, agitandosi vanamente come mosche chiuse in una bottiglia.


 

Il Messaggero veneto 4-6-2007 Udine Come abolire i privilegi della classe politica DIBATTITO di CLAUDIO CALLIGARIS e GUERRINO CECOTTI

 

Sul tema dei costi e dei privilegi della politica, e più in generale sulla questione morale, abbiamo già scritto in passato. In questi anni la situazione è certamente e ulteriormente peggiorata a tutti i livelli e forse anche i risultati delle recenti amministrative trovano una parziale spiegazione in questo argomento. Perciò, a nostro avviso, non è più il tempo delle denunce, bensì di cercare di avanzare proposte credibili per riuscire a dare un contributo a quella parte della politica che può essere riformata. L'aspetto positivo di questa situazione è che sempre più spesso i cittadini, alle volte anche in maniera confusa e su questioni localistiche, si auto-organizzano autonomamente non avendo più fiducia nelle istituzioni e nella politica. Gruppi che andrebbero, per quanto possibile, "recuperati" alla politica con la p maiuscola. Sicuramente la crisi della politica non è determinata solamente e unicamente dai suoi costi e dai privilegi che produce. Pesa senz'altro la caduta di ideologie e valori forti, anche contrapposti. Ma sicuramente, anche rimanendo al solo fronte privilegi-costi della politica, molto si può e si deve fare da subito. Questo è un compito che da subito le forze di sinistra debbono assumersi in prima persona. La destra, infatti, può pensare di ben vivere e svilupparsi in un contesto di "antipolitica", in cui regnino il qualunquismo e la diffidenza verso i meccanismi democratici di partecipazione e decisione. La sinistra in un clima di questo tipo, invece, è destinata alla sconfitta, soffre la disillusione dei suoi militanti ed elettori che vogliono contare, poter dire la loro e soprattutto essere ascoltati. Deludere ancora le attese degli elettori di sinistra, accrescere le distanze tra i palazzi e i cittadini, non è difficile da ipotizzare, porterebbe a una sicura sconfitta elettorale del governo di centro-sinistra. È giunto il tempo di lanciare proposte concrete: abolizione di tutti i privilegi degli eletti in materia pensionistica, riduzione di stipendi e indennità, trasparenza nei contributi e nei finanziamenti di partiti e testate giornalistiche di partito, riduzioni delle consulenze a titolo oneroso, retroattività di queste disposizioni, abolizione delle Province, accorpamenti dei Comuni, gratuità della carica di consigliere di circoscrizione, eccetera. In questo senso un primo passo è stato fatto dalla proposta di legge presentata dai parlamentari Salvi e Spini. Naturalmente neppure questi provvedimenti possono essere risolutivi se non accompagnati da un radicale cambiamento del modo di fare politica che privilegi i contenuti e la partecipazione e che sappia respingere i richiami dei poteri forti e delle varie lobby che perseguono interessi personali o di parte. Riuscirà la sinistra del terzo millennio a proporre un orizzonte credibile per lo sviluppo del nostro paese nel rispetto dell'ambiente e dei diritti di tutti i cittadini? Dipenderà dalla passione politica che sapremo mettere in campo, dalla capacità d'incontrarci, discutere, confrontarci. Questione morale, temi del lavoro e dell'ambiente, del sapere e della ricerca, assieme alla riduzione dei costi della politica, possono essere un buon inizio per ridare cuore, ragione, passione e autorevolezza alla politica. Una nuova e rinnovata sinistra in campo che non urla le sue verità, che non può né oggi né domani essere avversaria del Partito democratico ma suo leale alleato, con idee e programmi di rinnovamento di stampo europeo.


 

Il Centro 4-6-2007 Avezzano Zulli: politica? Costi stratosferici La proposta: riduciamo il numero di assessori e consiglieri

 

CHIETI. I costi della politica a Chieti? Stratosferici. E' il giudizio espresso da Giustino Zulli (nella foto) che propone una cura per evitare che "processi involutivi abbiano la meglio" in città. Nel 2006, il Comune ha speso circa un milione di euro per far funzionare la macchina amministrativa. "La democrazia ha un suo costo di cui tutti i cittadini dovrebbero tener conto", dice l'ex segretario generale della Cgil teatina, "ma se si fa il rapporto costi-benefici, a Chieti non è alto ma stratosferico". Cosa fare per cambiare le cose? "Prima di tutto", sostiene Zulli, "bisognerebbe ridurre gli assessorati: nella precedente gestione delle destre erano otto. Per ora siamo arrivati a 11 e sembra che, per qualcuno, non bastino. Inoltre, bisognerà ridurre, a partire dalla prossima legislatura, il numero dei consiglieri comunali a 30 e le indennità per tutte le cariche come hanno già fatto molte amministrazioni". Per Zulli, la riduzione dei costi della politica è possibile, basta solo volerlo. "La riduzione del numero dei consiglieri e assessori", riprende, "dovrebbe essere bilanciata dalla costituzione dei consigli di quartiere da prevedere senza indennità. Un altro problema ruguarda i doppi incarichi: se uno è contemporaneamente sindaco e consigliere provinciale, senatore o deputato e consigliere comunale, segretaria regionale di partito e consigliere regionale, vice sindaco e componente degli organismi dirigenti di partito, potrebbe non trovare il tempo necessario per onorare al meglio tutte le responsabilità".


 

Il Giornale 4-6-2007 Di Valentina Giuli da Roma Poca trasparenza e costi più alti d'Europa: i conti correnti italiani sono nella lista nera del Fondo monetario internazionale (Fmi) e dell'Antitrust.

 

Gli italiani infatti spendono mediamente 182 euro l'anno per usufruire dei servizi di conto corrente offerti dagli istituti creditizi nazionali. Ben 101 euro in più rispetto ai principali Paesi europei. È quanto riportato ieri da un'inchiesta del Sole 24 Ore in cui vengono evidenziate luci e ombre del sistema bancario italiano. In Germania si spende mediamente il 17% in meno, in Olanda il risparmio arriva addirittura all'83 per cento. Una situazione allarmante che è stata evidenziata in questi giorni dallo stesso governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, il quale ha invitato anche a una maggiore trasparenza. Infatti secondo un'indagine condotta dall'Autorità non esiste una prassi che indichi la redazione di un documento sintetico dei costi delle operazioni bancarie: il 66,6% dei fogli informativi esaminati non riporta i costi dei bonifici, il 31,9% quelli del bancomat, il 57% glissa sui costi per la carta di credito e il 46,3% sul costo degli assegni. Il Fmi ha concluso che in Italia le banche operano ancora in un regime di concorrenza monopolistica, mantengono alti i costi perché sanno che non perderanno tutti i clienti. Nonostante la ristrutturazione, conclude il Fmi, i recuperi di efficienza non si sono del tutto concretizzati. Nel 2004, infatti, commissioni e canoni valevano un quinto delle prime 50 banche, quattro volte il valore relativo agli Stati Uniti. Le banche si giustificano sostenendo di sopportare un'elevata aliquota fiscale, superiore del 6,85% rispetto alla media Ue.


 

Il Manifesto 4-6-2007 Spunto Tra Mosca e Varsavia la carne è debole Astrit Dakli

 

Uno dei motivi che paralizzano da tempo i rapporti fra l'Unione europea e la Russia - e hanno per esempio impedito di mettere a punto un nuovo trattato di cooperazione, che agli europei affamati di energia servirebbe moltissimo - è il rifiuto di Mosca all'importazione di carne polacca, finché non ci saranno garanzie di qualità che secondo i russi attualmente non ci sono. In breve, il Cremlino sostiene che nelle partite di carne importate dalla Polonia e "certificate Ue" è stata riscontrata la frequente presenza di partite avariate e, fatto potenzialmente ancor più grave, di partite provenienti da paesi extra-Ue, prive di qualsiasi certificazione e riesportate semplicemente aggiungendo un timbro. Per le autorità polacche, quella di Mosca è una "ritorsione politica" con cui il governo russo pensa di "punire" la Polonia per altre vicende bilaterali che qui non stiamo a vagliare; essendo la Polonia un membro a pieno titolo della Ue, quest'ultima ha ritenuto di doverla difendere in ogni caso, senza neanche provare a considerare il punto di vista russo: così, nei suoi recenti colloqui moscoviti e poi nel fallito summit Ue-Russia della settimana scorsa a Samara, il presidente della Commissione Barroso ha affermato con sicurezza che "la carne polacca risponde agli elevati standard qualitativi dell'Unione europea e non c'è nessun motivo per rifiutarla". Meno sicura di sé è apparsa la cancelliera tedesca Angela Merkel, che finora ha evitato di affrontare in modo troppo diretto l'argomento: il fatto è che di recente la carne polacca è stata respinta al mittente anche dall'amministrazione municipale di Moabit (una delle municipalità della grande Berlino), con motivazioni del tutto analoghe a quelle avanzate dai servizi sanitari dello stato russo. La notizia è arrivata a Vladimir Putin, che con un largo sorriso ha detto ai giornalisti: "Vedete come stanno le cose? Ma comunque state tranquilli: quando sarò ospite della signora Merkel, nella cena dei G8 ad Heiligendamm, non andrò a dirle 'dunque lei rifiuta di mangiare la carne che vuole far mangiare a me?'. Non sono così maleducato". Forse a tavola no, ma non scommetteremmo sul fatto che in un modo o nell'altro il presidente russo questa storia non la sollevi più. La vicenda potrebbe essere divertente, se non mostrasse due problemi tutt'altro che buffi, sui quali forse in Italia non ci si interroga abbastanza, e cioè: a) che in realtà l'Europa, espandendosi all'est, ha inglobato dentro di sé, senza nemmeno rendersene conto, delle tensioni molto serie che ora rischiano di paralizzare la sua stessa crescita; b) che la decantata sicurezza igienico-alimentare garantita dalle normative elaborate a Bruxelles - le stesse che hanno messo al bando tanti meravigliosi prodotti artigianali - alla resa dei conti non è poi tanto garantita, se basta trovarsi in una "marca di confine" per essere di fatto autorizzati a traffici pericolosi e disonesti, altrimenti inammissibili.


INDICE 3-6-2007

Il Manifesto 2-6-2007 L'intervento Lo Scudo in Europa è una mossa di guerra Noam Chomsky  1

Il Corriere della Sera 2-6-2007 Elezioni, una proposta contro la casta. In Parlamento a turni alterni di Giovanni Satori 2

La Repubblica 3-6-2007 LA DESTRA GIACOBINA A PASSO DI CARICA Eugenio Scalari 3

La Repubblica 3-6-2007 IL PERSONAGGIO La raffica di nomine del generale rimosso CARLO BONINI 5

L’Unità 2-6-2007 Io dico: avanti Ds Alfredo Reichlin  6

La Nuova Sardegna 3-6-2007In Senato la conta sulla mozione anti-Visco. Maroni non esclude la sfiducia La Cdl assapora la spallata E Di Pietro annuncia: vigileremo se c'è stata ritorsione Per il premier il voto potrebbe essere evitato perché le deleghe sono state congelate GABRIELE RIZZARDI 8

Il Piccolo di Trieste 3-6-2007   UE. Coinvolti funzionari Eurogoverno: nuovo scandalo per fatture false  8

La Repubblica 3-6-2007 IL CASO Mussi favorevole, Bonino contraria. E Parisi avverte: le cose che diciamo vanno mantenute "Dimezzare i ministri? Un'idea" Il premier apre, la squadra si divide Prodi: "So bene che siamo troppi ma abbiamo già ridotto le spese del 30 per cento" Ma di riduzione non c'è traccia nel piano che Santagata presenterà il 15 CARMELO LOPAPA  9

La Stampa 2-6-2007 Bush, scommesse romane MAURIZIO MOLINARI 10

 

 


 

Il Manifesto 2-6-2007 L'intervento Lo Scudo in Europa è una mossa di guerra Noam Chomsky

 

L'installazione di un sistema di difesa missilistica in Europa orientale è praticamente una dichiarazione di guerra. Provate a immaginare come reagirebbe l'America se la Russia, la Cina, l'Iran o qualunque potenza straniera osasse anche solo pensare di collocare un sistema di difesa missilistica sui confini degli Stati uniti o nelle loro vicinanze, o addirittura portasse avanti questo piano. In tali inimmaginabili circostanze, una violenta reazione americana sarebbe non solo quasi certa, ma anche comprensibile, per ragioni semplici e chiare. E' universalmente noto che la difesa missilistica è un'arma di primo colpo. Autorevoli analisti militari americani la descrivono così: "Non solo uno scudo, ma un'abilitazione all'azione". Essa "faciliterà un'applicazione più efficace della potenza militare degli Stati uniti all'estero". "Isolando il paese dalle rappresaglie, la difesa missilistica garantirà la capacità e la disponibilità degli Stati uniti a "modellare" l'ambiente in altre parti del mondo". "La difesa missilistica non serve a proteggere l'America. E' uno strumento per il dominio globale". "La difesa missilistica serve a conservare la capacità americana di esercitare il potere all'estero. Non riguarda la difesa; è un'arma di offesa e è per questo che ne abbiamo bisogno". Tutte queste citazioni vengono da autorevoli fonti liberali appartenenti alla tendenza dominante, che vorrebbero sviluppare il sistema e collocarlo agli estremi limiti del dominio globale degli Stati uniti. La logica è semplice e facile da capire: un sistema di difesa missilistica funzionante informa i potenziali obiettivi che "vi attaccheremo se ci va e voi non sarete in grado di rispondere, quindi non potrete impedircelo". Stanno vendendo il sistema agli europei come una difesa contro i missili iraniani. Se anche l'Iran avesse armi nucleari e missili a lunga gittata, le probabilità che le usi per attaccare l'Europa sono inferiori a quelle che l'Europa venga colpita da un asteroide. Se dunque si trattasse davvero di difesa, la Repubblica Ceca dovrebbe installare un sistema per difendersi dagli asteroidi. Se l'Iran desse anche il minimo segno di voler fare una simile mossa, il paese verrebbe vaporizzato. Il sistema è davvero puntato contro l'Iran, ma come arma di primo colpo. Fa parte delle crescenti minacce americane di attaccare l'Iran, minacce che costituiscono di per sé una grave violazione della Carta delle Nazioni unite, sebbene questo tema non emerga. Quando Mikhail Gorbaciov permise alla Germania unita di far parte di un'alleanza militare ostile, accettò una grave minaccia alla sicurezza della Russia, per ragioni troppo note per rivederle ora. In cambio il governo degli Stati uniti si impegnò a non allargare la Nato a est. Questo impegno è stato violato qualche anno più tardi, suscitando pochi commenti in Occidente, ma aumentando il pericolo di uno scontro militare. La cosiddetta difesa missilistica aumenta il rischio che scoppi una guerra. La "difesa" consiste nell'aumentare le minacce di aggressione in Medio Oriente, con conseguenze incalcolabili, e il pericolo di una guerra nucleare definitiva. Oltre mezzo secolo fa, Bertrand Russell e Alfred Einstein lanciarono un appello ai popoli del mondo perché affrontassero il fatto che ci troviamo di fronte a una scelta "netta, terribile e inevitabile. Dobbiamo porre fine alla razza umana, o l'umanità è disposta a rinunciare alla guerra?". Accettare il cosiddetto "sistema di difesa missilistica" colloca la scelta a favore della fine della razza umana in un futuro non troppo distante.

 


Il Corriere della Sera 2-6-2007 Elezioni, una proposta contro la casta. In Parlamento a turni alterni di Giovanni Satori

 

La crisi della politica è anche, più propriamente, crisi della democrazia? Direi di sì. La democrazia non sta progredendo, sta retrocedendo. E se non funziona non è perché sia superata (da una fantomatica post democrazia), ma perché l'abbiamo sciupata. Benjamin Franklin, uno dei costituenti di Filadelfia, rispose così alla domanda su cosa la Convenzione avesse partorito: «Una repubblica, se sarete capaci di mantenerla». Appunto: se sarete capaci di tenerla in vita. Uno dei principi fondamentali di qualsiasi organizzazione — e anche la democrazia lo è — è di saper premiare e di poter punire. Se una organizzazione contiene sacche di impunibilità, queste sacche diventano lestamente aree di inefficienza e di parassitismo. Pertanto una democrazia che diventa una «repubblica degli impuniti» è sicuramente una pessima democrazia. E l'Italia sopravanza tutte le tradizionali democrazie occidentali nell'essere caratterizzata dal premiare chi non merita premi (nel settore pubblico le promozioni sono per lo più automatiche) e dal proteggere chi invece merita castighi. Tempo fa Pietro Ichino ha osato chiedere su queste colonne che gli statali «fannulloni» vengano licenziati o comunque puniti. Ma a tutt'oggi non mi risulta che nemmeno uno degli assenteisti di professione sia stato licenziato o che nemmeno uno dei fannulloni sia stato punito. E' normale che i sindacati proteggano l'occupazione.

Ma è nocivo per tutti, e iniquo, che proteggano il cattivo lavoratore a danno del buon lavoratore disoccupato. Ma torniamo alla democrazia e veniamo al caso specifico dei politici, di chi gestisce la democrazia. Domanda: i nostri eletti in Parlamento sono punibili? Nella teoria della democrazia rappresentativa la punizione è la non rielezione: gli elettori scontenti del candidato o del partito per il quale hanno votato si vendicano cambiando voto. Questa sanzione in passato era efficace. Non lo è più. E questo è il problema. La «casta» magistralmente raffigurata da Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo fa soltanto finta, il più delle volte, di servire l'interesse pubblico. In realtà il «politico gentiluomo» è pressoché sparito, sostituito dal politico che «fa per sé», soltanto per sé e per la poltrona. Il che equivale a dire che il movente che più lo muove è la propria rielezione. E siccome siamo arrivati a un sistema elettorale senza preferenze che sottopone all'elettorato soltanto due listoni preconfezionati, a questo punto l'elettorato è impotente. Può soltanto scegliere tra una coalizione di destra oppure di sinistra; ma così non ha alcun modo di punire o premiare uno specifico partito o persona. E meno democrazia (elettorale) di così si muore. Il rimedio ci sarebbe: vietare la rielezione consecutiva, il che implica che viene consentita a intervallo. L'idea non è balzana perché è anche stata, seppur raramente, attuata. E anche se si presta a obiezioni, i vantaggi ne superano i difetti. Primo vantaggio: rende inutile l'elettoralismo acchiappa- voti. Chi promette mari e monti promette senza tornaconto. Secondo vantaggio: così apriamo davvero le porte al rinnovamento della classe politica. I nuovi entranti non saranno tutti nuovi, perché ci saranno sempre dei rientranti delle penultime elezioni; ma questo è un riequilibrio positivo. Non mi faccio illusioni. La proposta verrà seppellita dal silenzio oppure da acutissimi strilli di dolore. Serve però a mostrare che, volendo, i rimedi esistono. Appunto, volendo.

02 giugno 2007

 


 

La Repubblica 3-6-2007 LA DESTRA GIACOBINA A PASSO DI CARICA Eugenio Scalari

 

La maionese è impazzita. Quando avviene questo incidente culinario (e può accadere anche se le uova sono fresche di giornata) non c'è che buttarne il contenuto e ricominciare pazientemente da capo. Un'altra immagine dello stesso fenomeno che ho usato qualche mese fa è quella dello specchio rotto. Lo specchio è uno strumento che serve a riflettere l'immagine. Se si rompe in tanti frammenti l'immagine non c'è più e sopraggiunge una sorta di cecità, sia che si tratti d'un soggetto individuale sia ? peggio ancora ? d'un soggetto collettivo. Ma nel caso nostro, voglio dire nella società italiana, nelle forze politiche e sociali che ne sono parti rilevanti, nella classe dirigente che dovrebbe guidarla ed esserne punto di riferimento e di esempio, non ci sono più nemmeno i frammenti di quello specchio. Si direbbe che un cingolato ci sia passato sopra e l'abbia polverizzato. Così si procede a tentoni, animati solo dall'istinto di sopravvivenza, dagli spiriti animali, dalla psicologia del branco, dai legami corporativi. La razionalità non fa più parte del nostro bagaglio intellettuale e morale. è stata picconata da tutte le parti la razionalità; accusata di essere all'origine dei delitti e del più grave tra tutti ? quello della superbia. Così la luce della ragione è stata spenta, nuove ideologie si sono installate al posto di quelle crollate in rovina, fondamentalismi d'ogni tipo hanno preso il posto della tolleranza e della certezza del diritto. I circuiti mediatici hanno dato mano a questa devastazione e salvo rarissime eccezioni ancora continuano in questa funzione amplificatoria e istigatrice del peggio, accreditando e ventilando versioni dei fatti prive di verità e di ragione. Questo complesso di circostanze ha toccato il suo culmine nel conflitto in atto tra il governo e il generale comandante della Guardia di finanza, Roberto Speciale. Un conflitto certamente grave perché motivato da ragioni tutt'altro che futili, ma che sta coinvolgendo le massime istituzioni repubblicane in un contesto, appunto, di impazzimento generale sapientemente alimentato da una psicologia del tanto peggio tanto meglio che ha ora raggiunto livelli mai visti prima. Ci occuperemo dunque di questa incredibile vicenda cercando di chiarirne gli elementi di fatto con la massima obiettività possibile in questi chiari di luna. Non senza avvertire che essa è soltanto l'ultimo episodio d'una serie che costella da anni il costume nazionale gettando nello sconforto tutte le persone di buona fede e di buona volontà che costituiscono ancora la maggioranza del Paese e assistono impotenti e senza voce allo scempio della ragione.

Sarò conciso nel rievocare fatti già noti ma spesso trascurati o volutamente stravolti. E comincio dalla fine, cioè da quanto è avvenuto ieri, 2 giugno, festa della Repubblica. La giornata è cominciata malissimo. A Roma nella tribuna dalla quale le autorità dello Stato assistevano alla parata delle Forze armate mentre sfilavano i vari corpi, le storiche bandiere dei reggimenti con i medaglieri guadagnati sui campi di battaglia e nelle rischiose missioni di pace, andava in scena una lite continua e sommamente disdicevole tra i rappresentanti dei due schieramenti politici, seduti alle spalle del presidente della Repubblica. Poco dopo il capo dell'opposizione, Silvio Berlusconi, interrogato dai giornalisti sull'intenzione di chiedere udienza al Capo dello Stato per rappresentargli una situazione definita di "attentato alla democrazia" da lui e da tutti gli altri componenti del centrodestra, rispondeva: "Quella visita al Quirinale sarebbe nei nostri desideri, ma purtroppo non c'è più nessuna istituzione che ci dia garanzie d'indipendenza: la sinistra le ha occupate tutte". Affermazione della quale è superfluo segnalare la gravità e che, pronunciata da chi ha guidato il governo per cinque anni e da un anno guida l'opposizione, segnala - essa sì - un degrado democratico che colpisce il presidente della Repubblica in prima persona e il suo ruolo di massima garanzia. Prodi dal canto suo, nel corso di un drammatico Consiglio dei ministri avvenuto il giorno prima, di fronte alle reiterate divisioni sull'uso delle risorse disponibili, aveva detto: "Se si continua così io me ne vado, ma non vi illudete pensando a soluzioni dopo di me perché dopo di me ci sono soltanto le elezioni". Si può capire il perché di questa affermazione, volta a richiamare all'ordine gli alleati riottosi, ma non toglie che si tratti d'una forzatura poiché non spetta a Prodi stabilire che cosa potrebbe avvenire dopo le sue eventuali dimissioni; spetta soltanto al Capo dello Stato dopo che abbia consultato i gruppi parlamentari. Quanto a Napolitano, egli ha più volte ripetuto che non intende sciogliere le Camere con la vigente legge elettorale che le rende ingovernabili e comunque senza prima aver accertato l'esistenza o meno d'una maggioranza parlamentare che possa dare fiducia ad un governo istituzionale insediato per formulare una nuova legge elettorale e adempiere ai compiti urgenti che incombono sulle materie dell'economia, della finanza pubblica e della sicurezza nazionale. Infine lo stesso Napolitano ha dichiarato che il tema della Guardia di Finanza e della rimozione del suo comandante generale esulano dalle sue competenze. In quelle stesse ore, nel corso d'un convegno dei giovani industriali a Santa Margherita, Gianfranco Fini insultava pesantemente il ministro dell'Industria, Bersani, ottenendo dalla platea un'ovazione da curva sud dello stesso tipo di quelle ottenute da Berlusconi a Vicenza alcuni mesi fa sotto lo sguardo allora allibito di Montezemolo e del vertice della Confindustria. Spettacolo preoccupante, quello di Santa Margherita; non perché gli industriali non possano applaudire un uomo di partito che esprime le sue idee, ma perché quell'uomo di partito è lo stesso che ha condiviso quella politica che ha portato il reddito nazionale a crescita zero, il debito pubblico a risalire, l'avanzo primario del bilancio a scomparire, la pressione fiscale ai suoi massimi, i fondi per le infrastrutture inesistenti e le liberalizzazioni interamente inevase. Questo, ad oggi, il grado di impazzimento di quella maionese di cui si è parlato all'inizio.

Ma ora risaliamo a quanto è accaduto tra il vice ministro delle Finanze e il generale Speciale. Ecco i fatti nella loro crudezza.

1. Speciale presenta a Visco qualche mese fa un piano di avvicendamenti comprendenti l'intero quadro di comando della G. d. F. Motivazione: è prassi che ogni tre anni gli incarichi siano avvicendati per ragioni di funzionalità.

2. Visco esamina il piano e vede che l'avvicendamento riguarda tutti i comandi salvo quelli di Milano e della Lombardia. Ne chiede ragione. Speciale, in ottemperanza, si impegna a riformulare il piano includendovi i comandi della Lombardia.

3. Visco sa benissimo il motivo dell'esclusione dei generali e dei colonnelli che hanno incarichi dirigenti a Milano: si è formato da anni in quella provincia un gruppo di potere collegato con il comando generale di Roma. Risulta a Visco che quegli ufficiali abbiano "chiuso gli occhi" su gravissime irregolarità verificatesi nel sistema delle intercettazioni telefoniche, avvenute nel corso di scalate finanziarie a banche e a giornali. Alcuni di quei documenti sono stati trafugati e consegnati a giornali di parte per la pubblicazione. In alcuni casi le intercettazioni non sono neppure arrivate all'ufficio del Pubblico Ministero ma trafugate prima e consegnate ai giornali senza che la magistratura inquirente ne avesse preso visione.

4. Passano i giorni e le settimane ma Speciale non consegna il nuovo piano di avvicendamento.

5. Nel frattempo lo stesso Speciale avvisa, all'insaputa di Visco, il procuratore della Repubblica di Milano che i comandi della G. d. F. milanese stanno per essere sostituiti. Il procuratore si preoccupa per i nuclei di polizia giudiziaria che operano ai suoi ordini effettuando inchieste delicate e importanti. Speciale lo invita a mettere per iscritto quelle preoccupazioni. Arriva la lettera del procuratore. Speciale la mostra a Visco.

6. Visco, dopo aver riesaminato la pratica, telefona a Speciale per manifestare la sua sorpresa e il suo malcontento. Speciale mette in vivavoce la telefonata alla presenza di due alti ufficiali che ascoltano la conversazione.

7. Il tribunale di Milano, richiesto di verificare lo stato dei fatti in via di accertamento, esclude che esista alcuna indebita interferenza da parte di Visco.

8. Speciale rende pubblico il conflitto in atto presentandolo come un'interferenza di Visco sull'autonomia della G. d. F. Di qui i seguiti politici che conosciamo e che portano all'autosospensione di Visco dalla delega sulla G. d. F. e alla rimozione di Speciale dal comando generale per rottura del rapporto fiduciario tra lui e il governo.

 Dove sia in questa arruffata vicenda l'attentato alla Costituzione e alla democrazia denunciato con voce stentorea da Berlusconi e da tutti i suoi alleati, Casini compreso, è un mistero. Il vice ministro delle Finanze aveva - ed ha - il fondato sospetto di gravi irregolarità compiute da alcuni comandi collegati con il comando generale. Rientra pienamente nei suoi poteri stimolare il comando generale ad avvicendare i generali non affidabili. Alla fine, accogliendo le preoccupazioni del procuratore di Milano, lo stesso Visco consente ad escludere i comandi milanesi dall'avvicendamento dei quadri nel resto d'Italia. Tra i dettagli (dettagli?) incredibili c'è quella telefonata messa in vivavoce all'insaputa dell'interlocutore ed ascoltata da due ufficiali di piena fiducia dello Speciale. Basterebbe questo dettaglio a rimuoverlo dal comando. Del resto - e purtroppo - non è la prima volta che il comando generale della G. d. F. dà luogo a gravissimi scandali. Almeno in altre due occasioni dovette intervenire la magistratura penale e fioccarono pesanti condanne di reclusione. Ovviamente ciò non lede il valore e l'affidabilità di quel corpo militare, così come i tanti casi di pedofilia dei preti non vulnerano l'essenza della Chiesa quando predica il Vangelo. Certo ne sporca l'immagine e quindi danneggia fortemente la Chiesa. Così le malefatte di alcuni generali e perfino del comandante generale pro-tempore non inficiano l'essenza d'un corpo chiamato a tutelare le finanze dello Stato ma certamente ne sporcano l'immagine. Quanto a Visco, quando il conflitto si è fatto rovente tracimando nella politica e in Parlamento, ha restituito la delega in attesa che si pronunci la magistratura di Roma che nel frattempo ha aperto un'inchiesta contro ignoti su quel tema.

C'è un'orchestrazione sapiente in tutto questo. La ricerca della spallata che tarda a venire. L'uso delle proteste provenienti dai tanti interessi corporativi. I danni gravi dell'eterno litigio all'interno del governo e della coalizione che lo sostiene. Il voto elettorale certamente sfavorevole al centrosinistra specie nel Nord. Il riemergere del massimalismo della Lega e dei falchi berlusconiani. Le rivalità fra i riformisti del centrosinistra per la leadership del Partito democratico. La sinistra radicale imbizzarrita. C'è un paese che non ha più una classe dirigente ma solo veline e velini disposti a tutto pur d'avere due minuti su un telegiornale e un titolo di prima pagina su un quotidiano. Possiamo esser tranquilli in mezzo a questo "tsunami"? Due punti fermi negli ultimi tre giorni ci sono stati. Il primo è la correttezza e la forza di Giorgio Napolitano di fronte agli sguaiati tentativi di coinvolgerlo e il richiamo del Capo dello Stato al principio della divisione dei poteri che rappresenta il cardine dello Stato di diritto e che, in verità, Berlusconi ha calpestato e calpesta da dieci anni a questa parte. Le leggi "ad personam" e la sua prassi di governo lo provano a sufficienza, quale che sia in proposito l'opinione della nuova borghesia sponsorizzata e immaginata da Montezemolo e dal giovane Colaninno. Il secondo punto di tranquillità è venuto dalle Considerazioni finali esposte il 31 maggio dal governatore della Banca d'Italia. Draghi, con una prosa secca quanto lucida e documentata, ha segnalato le luci e le ombre dell'economia italiana distribuendole equamente tra la classe politica, le parti sociali, gli operatori economici. Ha dato a ciascuno il suo, nessuno è stato privato dei riconoscimenti meritati e del fardello di critiche altrettanto dovute. Personalmente temevo che il tecnocrate Draghi si mettesse sulla scia della protesta confindustriale legittima ma sciupata dalla salsa demagogica servita a piene mani nell'Auditorium di Roma e in quello di Santa Margherita. Non è stato così e ne sono ben lieto. Draghi ha reso un servizio al paese, come ha fatto Mario Monti in altre occasioni. Come fece Ciampi nelle varie tappe della sua vita al servizio delle istituzioni. Queste persone ci danno calma e recuperano la morale e la ragione. Seguendo questa traccia si potrà forse costruire uno specchio nuovo e recuperare un'immagine decente di noi stessi e d'un paese deviato dai cattivi esempi a ingrandire il fuscello che sta nell'occhio altrui senza occuparsi della trave che acceca il proprio.

 


 

La Repubblica 3-6-2007 IL PERSONAGGIO La raffica di nomine del generale rimosso CARLO BONINI

 

NELLE ORE in cui un generale nella polvere manomette per l'ultima volta un Corpo su cui non ha più autorità, firmando un rosario di nomine, l'immagine proposta da un alto ufficiale della Guardia di Finanza è ancora più nitida. Più vera. "Il Comando generale è una foresta pietrificata. Per metterci davvero mano ci vorranno non più mesi, ma anni". Fino alla fine, all'ombra dell'ex direttore del Sismi Nicolò Pollari, che ne è stato il ventriloquo, Roberto Speciale ha avuto il tempo di lavorare in profondità sulla catena di comando. Ha cementato una fitta ragnatela di nuove fedeltà, creato i presupposti di durature riconoscenze, distribuito a decine gradi ed encomi in una logica di clan.

IL RETROSCENA Al comando generale c'è chi ammette: la mano di Speciale è arrivata ovunque Tutti i fedelissimi in posti chiave e D'Arrigo ricomincia da qui La mano di Speciale è arrivata ovunque. Non esiste un generale che non si sia inchinato Il caso di Cretella, indagato in Calabria su un caso di spionaggio politico a Fassino.

Il nuovo comandante generale, Cosimo D'Arrigo, ricomincia da qui. E, almeno all'inizio, sarà solo. Forse in compagnia del nuovo e "giovanissimo" (51 anni) capo di stato maggiore nominato a fine marzo con i favori del governo di centro-sinistra, il generale di divisione Paolo Poletti, già presidente del Cocer. O, forse, dell'unico nemico che a Speciale era rimasto in viale XXI Aprile: il comandante in seconda Sergio Favaro, di cui lo scorso agosto aveva tentato di liberarsi con una denuncia alla Procura militare di Roma, vagheggiandone l'insubordinazione e la complicità "nell'attentato ai poteri del comandante" ordito da Vincenzo Visco. La corona di generali con cui l'ex comandante generale ha sigillato e sugellato la sua stagione ha piedi ben piantati nei gangli della gerarchia e nei comandi che contano. Gode della benevolenza e delle attenzioni dell'ultimo e inatteso dioscuro di Speciale, il generale Emilio Spaziante, capo di stato maggiore fino al marzo scorso, oggi vicesegretario del Cesis (l'organo di coordinamento dei Servizi). Un ex nemico divenuto d'incanto "amico carissimo" proprio nel luglio 2006, nei giorni del conflitto con il viceministro dell'economia. In nome di un comune interesse. Mantenere intatti gli assetti, l'equilibrio e il controllo della Guardia di Finanza di Milano e della Lombardia, a tutt'oggi comandata dal generale Mario Forchetti. L'ufficiale che a Milano non sarebbe mai arrivato, se non fosse stato il delfino di Spaziante, e che da Milano non se ne sarebbe mai andato. Grazie a Spaziante e a Speciale. Ai due deve molto anche il generale di brigata Renato Russo. Sin qui custode del comando regionale in Sicilia, l'isola dove Speciale è nato e in cui governano gli amici forzisti. Dal prossimo luglio sarà al comando del II Reparto, l'intelligence della Guardia di Finanza, il suo occhio e orecchio. La stanza di compensazione con il Sismi. L'ufficio a cui non si accede se non in nome di una provata fedeltà al clan di Pollari. Russo succede al generale Raffaele Romano, altro naufrago tratto in salvo. L'estate scorsa, era rimasto malamente impicciato in Calciopoli. Con il suo nome a ballare in telefonate non proprio edificanti con Luciano Moggi per qualche biglietto e un passaggio aereo gratuito nella trasferta della Juventus a Madrid. Speciale lo aveva premiato. Con una promozione utile a cavarsi di impaccio da un problema serio. Collocare altrove un altro degli "illustri" comandanti del II Reparto, il generale Walter Lombardo Cretella, delfino di Pollari. Cretella, oggi, comanda la scuola di polizia tributaria delle Fiamme Gialle, a Ostia. La fucina dei nuovi ufficiali, il passaggio obbligato per il loro avanzamento in carriera. A nulla rilevando, evidentemente, il fatto di essere indagato dalla procura di Catanzaro in un'inchiesta del pm Luigi De Magistris sulla gestione illecita di impianti di depurazione, sul finanziamento in nero di esponenti politici di centro-destra, sullo spionaggio politico in danno del segretario dei Ds Piero Fassino (venivano illegalmente intercettate le sue conversazioni con il presidente dell'Anas, Vincenzo Pozzi) per la quale, non più tardi del 2 marzo scorso, gli uffici e l'abitazione del generale sono state perquisite. Da ex capo di stato maggiore del I Reparto di Esercito e Difesa, Speciale, che conosce il peso decisivo del governo del "personale", ha evidentemente provveduto anche in viale XXI Aprile. Al I Reparto della guardia di Finanza ha voluto prima Michele Adinolfi, ex comandante della Regione Veneto, ufficiale gradito alla Lega e a Forza Italia. Ora, ne lascia l'eredità al fedele Giuseppe Zafarana, un colonnello, che libera la poltrona di comandante del nucleo provinciale di Roma (dove va Andrea De Gennaro, sin qui portavoce del Comando). Mentre Adinolfi potrà sedere nella accogliente poltrona di nuovo comandante delle Fiamme Gialle del Lazio (sin qui, guidate da Giuseppe Caprino). "E' un domino che consegna carriere e movimenti a criteri di appartenenza e che da quattro anni non conosce eccezione - osserva una fonte del Comando - Diciamolo chiaramente: oggi, non esiste un solo generale, di brigata o di corpo d'armata che sia, che non abbia dovuto inchinarsi. La mano di Speciale è arrivata ovunque". Già. Comincia in ripida salita il lavoro di Cosimo D'Arrigo. Per un po' farà fatica a spostare anche soltanto un posacenere in viale XXI aprile.


 

L’Unità 2-6-2007 Io dico: avanti Ds Alfredo Reichlin

 

Dopo il voto del 27 maggio il problema che si pone (Prodi e non Prodi, si rilanci il governo oppure cada) è l’autonomia dei Ds. E la loro funzione che diventa essenziale. E ciò nell’interesse di tutti e vorrei dire perché. Un nuovo soggetto politico-culturale e un processo unitario non si farà se non sarà in grado di dare una risposta al grandissimo problema che il Nord ha squadernato. Finalmente, io dico. È venuto all’ordine del giorno (sia pure nel modo peggiore) il problema dello Stato e della europeizzazione della nazione italiana.
Guardiamo bene in faccia la realtà. È evidente che il Nord ha votato così per le tante ragioni di cui si parla: le tasse, gli errori del governo, le intollerabili divisioni tra le decine di partitini e partitini che formano l’attuale maggioranza (Diliberto esulta perché è passato dal 2,3 al 2,4 per cento). Sì, si è votato così anche per queste ragioni.
Penso però, quando si assiste a certi smottamenti, che questo vuol dire che è venuta al pettine un questione più grossa, di fondo, e di più lungo periodo. Ed è in rapporto a questa (non solo a Prodi) che il partito democratico non è stato percepito come un partito nuovo ma come l’ennesima trasfigurazione della cosidetta partitocrazia. Voglio dire che si è votato così perché non appariva in campo una forza in grado di dare una risposta nuova a quella che si configura ormai come una crisi crescente dell’assetto reale (centralistico, romano-centrico, inefficiente) dello Stato democratico. Di qui la protesta, ma una protesta con una grande giustificazione. È questo che punisce la sinistra. Noi paghiamo il fatto che la «transizione» non si è compiuta e una seconda repubblica non è nata. Si è creato un vuoto, tanto più insopportabile perché insieme con l’epoca e le cose del mondo, sta cambiando intorno a noi la nostra gente. Occorreva, quindi, e occorre oggi più di ieri una nuova idea dell’Italia e della sua nuova configurazione in Europa e nel mondo. Il vuoto è questo. Perciò siamo stati sconfitti noi e non la destra, la quale si avvantaggia del fatto che è corporativa e protestataria e nessuno le chiede di farsi carico dell’interesse generale.
Ma se il tema è questo, noi da qui possiamo e dobbiamo ripartire. Perchè quale forza di radice nazionale e con una grande storia politica e culturale alle spalle è in grado di costruire una risposta all’altezza di una crisi che non riguarda solo le istituzioni e le strutture formali dello Stato ma il venir meno di un collante più profondo capace di tenere insieme gli italiani diventati europei? È il vecchio compromesso tra il Nord e il Mezzogiorno che è saltato. È impressionante il modo come il fossato si è aggravato, anche qualitativamente, in questi anni. E ciò nel silenzio totale. Ma sta qui la radice della cosidetta «questione settentrionale».
Io non so leggere il modo separato in voto leghista di Verona, così massiccio e di rivolta xenofoba anche contro il candidato moderato proposto dal vescovo, e il voto di Reggio Calabria: un numero enorme di liste, rappresentative di ogni «famiglia» che spazzano via la sinistra ed eleggono più che un sindaco, il loro capo più affidabile. E potrei continuare con l’associare il voto della Brianza alla prova di forza che sta dando la camorra napoletana con lo spettacolo orrendo delle vie cosparse di immondizia. E non è forse vero che la mafia non spara più in Sicilia perché ormai è andata al governo in prima persona e non ha più bisogno delle vecchie minacce per fare accordi con i partiti?
Io credo sia questo, insieme a tanti altri deficit, che ha fatto esplodere la «questione settentrionale». La parte più dinamica del paese, quella più direttamente coinvolta dalle sfide della mondializzazione, la quale esprime anche forze dirigenti nuove e cosmopolite, non tollera più questo stato di cose.
Ecco perché io non credo che si debba concentrare tutta la nostra iniziativa sul governo. Il governo è fondamentale, lo so anch’io, ma Prodi o non Prodi, noi, la sinistra italiana, quella che viene da lontano, da Gramsci, non da Stalin (e da ben prima dell’Ulivo) quella che ha fatto nel bene e nel male la Repubblica e la costituzione (noi, non quella borghesia corporativa che si specchia nel Corriere della Sera) non possiamo procedere allo scioglimento delle nostre file e partecipare alla costruzione di un nuovo soggetto politico senza interrogarsi su ciò che al fondo è la vera giustificazione di un nuovo partito.
Parlo della necessità di una forza la quale intervenga sul problema dei problemi della politica (se intendiamo la politica come la polis, la scelta del destino di una nazione) sul fatto cioè che si sta ridefinendo lo stare insieme degli italiani non in astratto ma nel vivo di scontri e di sfide che investono la vecchia compagine nazionale e, di conseguenza, il vecchio sistema politico che la rappresentava. Di questo partito bisognerebbe - finalmente - rendere chiara la missione, oltre che il leader. Il suo compito. Che a me sembra quello di riempire il vuoto lasciato dalla fine della prima repubblica. La quale crollò (lo ricordo per accenni) non per le inchieste dei giudici, le quali vennero dopo, ma per il fatto che l’integrazione europea metteva fuori gioco la costituzione materiale del paese: appunto quell’insieme di compromessi che tenevano insieme gli italiani. Parlo di cose fondamentali come l’economia mista e la svalutazione della lira, la spesa in deficit per finanziare corporazioni e rendite, lo scambio tra Nord e Sud in base al quale il Sud forniva mano d’opera e mercati protetti al Nord e il Nord finanziava, con i trasferimenti, il reddito e i consumo del Mezzogiorno. E tutti erano contenti.
Questo è il vuoto. Chi lo riempie? Noi non possiamo lasciare lo spazio pubblico alla mercè delle scorrerie di poteri e oligarchie politicamente irresponsabili le quali fanno il bello e il cattivo tempo approfittando della mancanza di una nuova guida nazionale. Parlino i Ds anche in prima persona. Si ricordino che il Pds nacque così, nel senso che dieci anni fa esso si collocò al centro della scena e fece il miracolo di salvare gran parte del patrimonio politico e morale della sinistra perché disse al paese che il comunismo era morto ma sopravviveva la capacità di una sinistra rinnovata di farsi carico dell’interesse generale. Non per caso fu chiesto a D’Alema di presiedere la Bicamerale per riscrivere la Costituzione. Non ci riuscì ma non per colpa sua. Perciò io sento così acutamente il dramma della crisi attuale della politica. È una sciocchezza ridurre tutto ai costi eccessivi dei politicanti: questa razza davvero insopportabile, tanto arrogante quanto capace di leggere solo i titoli dei giornali. Il dramma è l’impotenza, la frammentazione, l’incapacità a decidere. È il fatto che alla assemblea annuale di quella che, dopotutto, è una associazione di categoria, la Confindustria, sono accorsi 15 ministri. E per sentirsi prendere a pernacchie. Che pena.
Siamo arrivati a un dunque. Lo Stato italiano, e quindi tutto, compreso la questione sociale, la cittadinanza, l’idea di sé degli italiani va posto su una base nuova. E’ un problema terribilmente concreto. È vero che non si può più pensare al vecchio modello di Stato centralistico. I Chiamparino e i Cacciari, e su questo punto anche Maroni, hanno ragione. Ma anch’essi devono sapere che se il federalismo, ormai necessario, non avrà una forte cornice politica e se non si farà carico di funzionare in modo tale da colmare il divario crescente tra Nord e Sud (e ciò proprio in funzione del Nord, se è vero che in una economia moderna la produttività dipende dall’insieme dei fattori sistemici) noi condanniamo la nazione italiana all’irrilevanza. Possiamo anche diventare una brutta copia del Belgio dove valloni e fiamminghi coesistono ma a mala pena. E nel caso nostro sarebbe peggio. A me non sembra un caso l’attivismo politico della Chiesa.
Io non ci sto. Resto convinto che il problema che ci sfida è tale per cui la forza della destra è certo notevole ma, al fondo è effimera, è corporativa. Però alla condizione che noi, invece di inseguirla, la sfidiamo sul terreno dello Stato, cioè dello stare insieme degli italiani, che poi è il terreno del compimento della democrazia italiana, della dignità del lavoro e dell’intelligenza, della selezione di una nuova classe dirigente.

 


La Nuova Sardegna 3-6-2007In Senato la conta sulla mozione anti-Visco. Maroni non esclude la sfiducia La Cdl assapora la spallata E Di Pietro annuncia: vigileremo se c'è stata ritorsione Per il premier il voto potrebbe essere evitato perché le deleghe sono state congelate GABRIELE RIZZARDI

 

ROMA. Sul caso Visco-Speciale l'opposizione tenta l'affondo e in vista del dibattito che ci sarà mercoledì al Senato non esclude che la richiesta di dimissioni possa essere estesa all'intero governo. Romano Prodi prova invece a disinnescare la mina e dopo il "congelamento" parziale delle deleghe a Visco fa capire che il dibattito potrebbe non essere più necessario. "Sono stati presentati degli ordini del giorno che chiedevano la revoca temporanea delle deleghe. A questo punto non so se si svolgerà lo stesso il dibattito al Senato. In teoria non dovrebbe più esserci motivo" spiega il premier ai microfoni di Radio 24. La risposta della Cdl viene affidata a Renato Schifani per il quale la discussione avverrà in ogni caso. "Sarà un dibattito alla luce del sole e sotto gli occhi del paese" assicura il capogruppo dei senatori di Forza Italia, che contesta la soluzione adottata due giorni fa dal consiglio dei ministri e promette battaglia in Parlamento. "Il paese non intende accettare supinamente un rimedio finto e iniquo. Comprendiamo lo stato d'animo del Professore ma" avverte il senatore "non potremo lasciare che la trasparenza e la legalità siano condizionate da un Prodi che ha perso il controllo di sé". In queste ore il centrodestra sta valutando l'atteggiamento da tenere in Senato. Martedì il presidente dei senatori Dc, Mauro Cutrufo, chiederà alla conferenza dei capigruppo che il dibattito in Senato si svolga in diretta Tv ma c'è anche chi vorrebbe trasferire la protesta in piazza e dare vita ad una imponente manifestazione contro il governo. Questa soluzione, però, non viene neppure presa in considerazione dall'Udc che ha già definito un "fatto eccezionale" la nota unitaria firmata due giorni fa da Berlusconi, Fini, Cesa, Bossi, e prende le distanze dal pressing del centrodestra sul Quirinale. Ma anche nella maggioranza c'è chi non approva l'operato del governo. Antonio Di Pietro, che dopo la restituzione della delega sulla Finanza da parte di Visco ha ritirato il suo ordine del giorno, non considera chiusa la partita e si chiede se la rimozione di Speciale possa essere considerata una "ritorsione". "L'Italia dei Valori vigilerà su questa vicenda. Noi siamo leali ma" avverte il ministro "non staremo solo a guardare". Maggioranza spaccata? Quel che è certo è che il malumore di Di Pietro offre nuove munizioni all'opposizione e il leghista Roberto Maroni fa partire il primo colpo: "Insisteremo con la richiesta di dimissioni del viceministro Vincenzo Visco, ma forse le estenderemo all'intero governo". Roberto Calderoli prova a giocare con il calendario e nota che ieri non si è celebrata la festa della Repubblica ma si sono celebrate le "esequie" della Repubblica. "Tutti coloro che hanno a cuore questa democrazia avrebbero dovuto disertare i festeggiamenti o parteciparvi con la banda nera del lutto al braccio" dice il vicepresidente del Senato. Per Maurizio Ronconi (Udc), il voto del Senato previsto per mercoledì potrebbe essere evitato solo se Visco si dimettesse dal governo oppure restituisse tutte le deleghe. "Per noi" taglia corto il parlamentare centrista "non c'è altra soluzione".


 

Il Piccolo di Trieste 3-6-2007   UE. Coinvolti funzionari Eurogoverno: nuovo scandalo per fatture false

 

BRUXELLES Un nuovo caso di corruzione colpisce le istituzioni dell'Unione: la procura di Bruxelles ha aperto un'inchiesta sulle attività di alcuni funzionari Ue ed i loro rapporti con una società privata belga sospettata di aver fatturato l'Eurogoverno per lavori di manutenzione mai realizzati. La notizia, pubblicata dal quotidiano belga "Le Soir", è stata confermata da un portavoce dell'Olaf, l'ufficio antifrode Ue. Se le accuse saranno confermate, si tratterà del secondo caso di corruzione che coinvolge le istituzioni comunitarie dopo l'inchiesta avviata dall'Olaf nel 2004 che lo scorso marzo ha portato all'arresto di tre italiani, tra i quali un funzionario della Commissione europea. Al centro di quest'ultima vicenda c'è la società belga Pedus di Zellik (una città nella parte fiamminga del Belgio) che - secondo quanto scrive "Le Soir" - da tempo si occupa dei lavori di manutenzione dei palazzi della Commissione Ue (il Berlaymont) e del Consiglio europeo (il Justus Lipsius), grazie a un appalto quadriennale da circa 60 milioni di euro. Il nuovo caso è sulla scrivania della procura di Bruxelles dal 23 maggio scorso grazie alla denuncia di un dipendente dell'ufficio contabile della stessa Pedus, il quale è stato licenziato dopo aver segnalato alla direzione alcune anomalie nei conti della società relative proprio ad alcuni contratti di manutenzione dei palazzi delle istituzioni Ue.


 

La Repubblica 3-6-2007 IL CASO Mussi favorevole, Bonino contraria. E Parisi avverte: le cose che diciamo vanno mantenute "Dimezzare i ministri? Un'idea" Il premier apre, la squadra si divide Prodi: "So bene che siamo troppi ma abbiamo già ridotto le spese del 30 per cento" Ma di riduzione non c'è traccia nel piano che Santagata presenterà il 15 CARMELO LOPAPA

 

ROMA - La provocazione l'aveva lanciata Fabio Mussi in settimana, subito dopo l'esito non proprio confortante delle amministrative. "Seguiamo l'esempio Sarkozy, dimezziamo il governo, sono pronto io stesso a lasciare il posto". Romano Prodi l'ha preso sul serio, fosse pure per vedere l'effetto che fa dentro la rissosa compagine che si ritrova a guidare. "Dimezzare il numero dei ministri? Potrebbe essere un'idea - ha iniziato a ventilare il Professore ai microfoni di Radio 24 - So bene che siamo troppi. è stato un errore da parte nostra. Abbiamo tre o quattro sottosegretari in più del precedente governo (una decina a guardare bene le tabelle di Palazzo Chigi, ndr), ma abbiamo ridotto le spese e costiamo il 30 per cento in meno". E poi, la situazione è "il risultato di una legge elettorale disgraziata e non di una cattiva volontà". Se ci fosse stata la vecchia legge, al governo sarebbero andati molti ministri in meno, "nel primo erano 17 e non 25". Per non dire se ci fosse stata la legge francese: "Datemi quella di Sarkozy e io vi presento 12 ministri e non 15". Dimezzare, dunque. Figurarsi l'opposizione che da settimane non invoca altro. Ma i diretti interessati, ecco, i ministri, saranno d'accordo? Lo sono, in linea di principio. Ma pronti anche a fare un passo indietro, alla Mussi? Molto meno, diciamo. Va detto che lo stesso ministro ex diessino all'Università ha puntato il dito intanto sulla poltrona di Padoa Schioppa ("Ha fatto un eccellente lavoro, ma non si può restare piantati a custodire il tesoretto"). Così fanno un po' tutti gli altri. Antonio Di Pietro (Infrastrutture) sui tagli ha imbastito una battaglia di partito. "Resto convinto che sia necessario, bisogna dare segnali forti ai cittadini. Passo indietro? Semmai, in un'ottica di risparmio, si potrebbe pensare a riaccorpare i ministeri dell'Infrastruttura e dei Trasporti". Come dire, potrebbe tornare a lui la delega affidata non senza polemiche ad Alessandro Bianchi (Pdci), per esempio. Di riduzione a 15 ministeri in stile Sarkozy parla da giorni la paladina del "partito dei tagli" dentro il governo, Linda Lanzillotta (Affari regionali, Margherita): "Sono per una forma più asciutta anche dell'esecutivo e sono favorevole all'idea di costituzionalizzarla" esulta dopo le parole di Prodi. Quanto al suo posto, poi, "si faccia prima la riforma e si veda quale ministero serve davvero e quale è stato creato ad hoc. Non è un problema di nomi, ma di consistenza delle deleghe". Che è poi il ragionamento di Emma Bonino, unica radicale, a capo delle Politiche comunitarie. "Dunque, il Commercio internazionale è stato ricostituito dopo anni in cui è stato inglobato nelle Attività produttive, la crescita è trainata dall'export, c'è bisogno di più Europa e non di meno, sarebbe autolesionistico tornare al passato. E poi il mio è un ministero senza portafoglio. Forse un bel gesto potrebbero farlo i colleghi di Ds e Margherita". Pecoraro Scanio su questo terreno ritiene di giocare in casa: "Il nostro ministero ha fatto il record di risparmi per consulenze e spese, la riduzione dei costi è una battaglia storica dei verdi - premette - Mercoledì presenteremo un disegno di legge. Tagliare il ministero dell'Ambiente? Sono gli enti inutili e le consulenze, piuttosto, da cancellare". Il clima insomma è quello che è. Il ministro della Difesa Arturo Parisi ha capito l'antifona: "Tutto ciò che comporta un alleggerimento e una maggiore funzionalità dell'amministrazione è benvenuto. Quel che è importante è che le cose che diciamo siano poi mantenute. Altrimenti si rischia ulteriore disaffezione dalla politica e dallo Stato". Di dimezzamento dell'esecutivo non vi è traccia nel progetto al quale sta lavorando il governo e che il ministro Giulio Santagata vorrebbe portare in Consiglio dei ministri il 15 giugno. Per quel che possa valere, il fedelissimo del Professore sarebbe pronto se, come è avvenuto per il comitato del Pd, "il presidente chiedesse un sacrificio". Giusto lui e pochissimi altri.


 

La Stampa 2-6-2007 Bush, scommesse romane MAURIZIO MOLINARI

 

La sera dell’8 giugno George W. Bush arriva a Roma con la scommessa di trovare nell’Italia di Romano Prodi un partner globale sui più importanti temi in agenda degli ultimi 18 mesi di Casa Bianca, inclusa la transizione a Cuba nel dopo-Fidel. Il presidente cresciuto a Midland, Texas, dove ai bambini si insegna che «sky is the limit» («il limite è il cielo»), quando compie una scelta è abituato ad andare fino in fondo, giocare ogni carta, senza farsi impressionare troppo dalle difficoltà. La scelta di Bush di andare in Italia è dovuta non solo al prioritario desiderio di incontrare Benedetto XVI, con cui condivide molti valori e alcune politiche, ma anche alla volontà di mettersi alle spalle incomprensioni e polemiche con il governo Prodi. Incomprensioni che hanno avuto il culmine nella decisione italiana di far liberare da Kabul alcuni capi taleban per riottenere l’ostaggio Daniele Mastrogiacomo e nelle conseguenti dichiarazioni del ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, che attribuivano a Condoleezza Rice un avallo americano che in realtà non vi era mai stato.

Se Bush crede nella possibilità di avere a fianco l’Italia nel prossimo anno e mezzo è perché è l’agenda stessa a suggerirlo. Basta sfogliarla per rendersene conto. Sul fronte del clima, entro un anno gli Stati Uniti riuniranno attorno a un tavolo le 15 maggiori potenze industriali - e dunque inquinanti - del pianeta tanto per ridurre le emissioni nocive che per sviluppare energia rinnovabile e l’invito che Bush recapiterà a Prodi testimonia l’interesse per le posizioni ambientaliste sostenute con forza dall’Italia. Sul fronte degli aiuti al Terzo Mondo, il pacchetto di stanziamenti per la lotta all’Aids - 30 miliardi di dollari - punta a innescare un volano di cooperazione con nazioni come la nostra, in prima linea sulla cancellazione del debito dei Paesi in via di sviluppo. E sul fronte umanitario l’urgenza di far intervenire i caschi blu in Darfur per porre fine al genocidio degli africani per mano delle tribù arabe Janjaweed fa dell’Italia un interlocutore prioritario per due ragioni: sediamo nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu e condividiamo, sin dai tempi dell’intervento in Kosovo nel 1999, il principio dell’ingerenza umanitaria.

Poiché a Washington la politica estera bada poco al colore del governi dei partner ma assegna molta importanza a ciò che fanno e dicono, per gli sherpa della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato è stato naturale inserire l’Italia fra i potenziali interlocutori su temi globali come clima, lotta all’Aids e soccorso al Darfur che terranno banco al G8. Questa possibile partnership fra i governi di Washington e Roma, portatori di politiche e valori molto diversi, nasce dall’apertura alla comunità internazionale che distingue l’azione del presidente dall’indomani della rielezione nel 2004. È in questo quadro di estremo pragmatismo che Bush discuterà con Prodi di quanto sta avvenendo sui diversi scenari della guerra al terrorismo, tentando di comprendere se l’interlocutore è pronto a compiere un passo in più lì dove sarà necessario.

In Libano le truppe italiane dell’Unifil già arginano le milizie Hezbollah nel Sud, ma l’insediamento di Al Qaeda nei campi palestinesi del Nord potrebbe richiedere a Roma un maggiore impegno, politico ed economico, per la stabilità del governo di Fouad Siniora. In Iran il programma nucleare sta accelerando e l’Onu discuterà presto nuove e più rigide sanzioni incluse in una terza risoluzione che Washington auspica venga approvata all’unanimità, ovvero anche con il nostro assenso. In Iraq la ricostruzione civile, miglior argine contro la guerra civile, richiede un maggior impegno all’Europa e quindi anche all’Italia. E in Afghanistan, unico fronte caldo della guerra al terrorismo dove sono presenti soldati italiani, Washington vorrebbe avere da Roma più truppe e mezzi nonché la rinuncia ai limiti del loro impiego contro i taleban e i mujaheddin di Osama bin Laden.

Ma non è tutto: fonti diplomatiche di entrambi i Paesi confermano che Bush parlerà a Prodi (oltre che a Benedetto XVI) di Cuba. Fidel Castro sta morendo e nel laboratorio di Washington si lavora agli scenari di una transizione che può prendere due strade: la successione di Raul, con il mantenimento dell’attuale regime comunista, oppure il progressivo avvento di riforme, libertà e democrazia. Per favorire questo secondo scenario l’Europa potrebbe rivelarsi decisiva se scegliesse di non legittimare Raul: di questo la Rice ha parlato a Madrid e di questo discuterà Bush a Roma e in Vaticano, avendo accanto John Negroponte che oltre ad essere l’ex zar dell’intelligence e il numero due del Dipartimento di Stato è un noto esperto di America Latina.

Le tante opportunità di partnership racchiuse nell’agenda del viaggio romano, unite all’assenza della Rice nella delegazione, svelano la volontà di Bush di puntare sul rapporto personale con Romano Prodi, archiviando i disaccordi avuti nel 2001 sulle biotecnologie e l’ambiente e nel 2003 sull’Iraq. Se la scommessa di George W. avrà successo e l’esito dei colloqui romani guarderà al futuro anziché al passato potremmo vivere nei prossimi mesi una stagione di inedite convergenze fra il governo di centrosinistra e le politiche di un’amministrazione oramai definita «neo-liberal» dal «Washington Post».

 


INDICE 2-6-2007

La Repubblica 2-6-2007 L'INCHIESTA Per la Procura si tratta di plusvalenze sulla vendita di proprietà del gruppo assicurativo Unipol, sequestrati a Casale 55 milioni di titoli e immobili Si indaga su 133 edifici ceduti all'imprenditore e poi da questi passati alla Pirelli Real Estate ELSA VINCI 1

Europa 2-6-2007  Repubblica tra crescita e senilità  FEDERICO ORLANDO  2

La Repubblica 2-6-2007 Palermo L'INTERVENTO I costi della politica nel sistema clientelare FRANCESCO PALAZZO  2

Il Piccolo di trieste 2-6-2007 La Giunta regionale ha deliberato ieri la riduzione delle indennità e dei gettoni di presenza per i membri di 149 organismi pubblici Commissioni Fvg: tagliati i compensi del 10%  3

Il Secolo XIX 2-6-2007 Clima, l'Ue boccia Bush"Il suo piano fa solo danni" riduzione delle emissioni Alla vigilia del G8 tedesco, si allontana la possibilità di un accordo. Jeff Mason traduzione di Elisa Marelli 4

Città di Salerno 2-6-2007 I tempi della maturità per i laici sono ancora lontani Di Massimo Onori 5

La Repubblica 2-6-2007 LE SCELTE DEI PARTITI Bologna Nasce la "Cosa arcobaleno" è il primo passo verso l'organizzazione della componente. De Maria: rischiate di fare un favore all'opposizione  6

Il Corriere della Sera 2-6-2007 Doveva essere il vertice del "rilancio" dopo la batosta, ma a raccontare com'è andata basta la secca replica con cui Romano Prodi ammonisce i segretari e sigilla una drammatica riunione. Di MONICA GUERZONI 6

La Repubblica 2-6-2007 IL RETROSCENA Il gran rifiuto del Generale CARLO BONINI 7

Europa 2-6-2007 Taxi, spiagge, famiglie assatanate un 2 giugno più feudale che repubblicano FEDERICO ORLANDO RISPONDE  8

Finanza e Mercati 2-6-2007 Profondo rosso per Banca Italease, che ieri è crollata del 19,98% a 29,27 euro, raggiungendo i nuovi minini degli ultimi 16 mesi 9

 

 


 

La Repubblica 2-6-2007 L'INCHIESTA Per la Procura si tratta di plusvalenze sulla vendita di proprietà del gruppo assicurativo Unipol, sequestrati a Casale 55 milioni di titoli e immobili Si indaga su 133 edifici ceduti all'imprenditore e poi da questi passati alla Pirelli Real Estate ELSA VINCI

 

ROMA - Unipol, la procura di Roma sequestra 55 milioni all'immobiliarista romano Vittorio Casale. Il provvedimento è diretta conseguenza della querela presentata dall'attuale dirigenza dell'Unipol nei confronti dell'ex presidente Giovanni Consorte e del suo ex braccio destro Ivano Sacchetti e che ha consentito ai magistrati di ipotizzare contro di loro l'appropriazione indebita e l'infedeltà patrimoniale. Il provvedimento firmato dal gip Guicla Mulliri è una tranche dell'indagine sul tentativo di scalata alla Bnl e si riferisce alla dismissione di 133 immobili dell'Unipol che Consorte e Sacchetti fecero in favore della società Glenbrooker di Casale per circa 250 milioni tra il 2004 e il 2005. Gli immobili furono poi rivenduti a Pirelli Real Estate fruttando una plusvalenza da 55 milioni, oggetto del sequestro fatto ieri dal nucleo valutario. Nel decreto il gip Mulliri sostiene che non c'è alcuna rispondenza tra le dichiarazioni di Giovanni Consorte e il quadro indiziario. Di più, il magistrato afferma che le spiegazioni fornite dall'ex numero uno dell'Unipol e dal suo ex vice non sono state suffragate da quanto finora accertato dalla procura di Roma. Interrogato dai pm romani, Consorte aveva dichiarato di avere informato e di avere ricevuto il via libera per la vendita degli immobili dagli attuali vertici dell'Unipol, l'amministratore delegato Pier Luigi Stefanini, e il suo vice Vanes Galanti, allora a capo di Holmo, la cassaforte del gruppo bolognese. Che però interrogati dai medesimi pm hanno smentito la ricostruzione. E nel motivare il sequestro, il gip ricorda come nella circostanziata querela presentata dall'Unipol contro Consorte e Sacchetti emergano ulteriori elementi che smentiscono un'intesa con Stefanini e Galanti. Quindici milioni sono stati sequestrati in contanti, circa quaranta in azioni e immobili. La vendita a Casale di 130 dei 133 tra uffici, ville, appartamenti sotto inchiesta aveva già provocato un sequestro nel gennaio scorso: 9,5 milioni di euro, una plusvalenza che Consorte e Sacchetti avrebbero realizzato cedendo un appartamento a Bologna. Parte del pagamento era stata anticipata da Casale. Secondo gli investigatori una forma di ringraziamento ai due ex manager proprio per la vendita degli immobili, avvenuta, secondo i magistrati, a prezzi inferiori a quelli di mercato. La procura aspetta in giugno un ultimo rapporto della guardia di finanza sulla tentata scalata dell'Unipol. Ma appare scontata ed è attesa nei prossimi mesi la richiesta di rinvio a giudizio per Consorte e Sacchetti.

 


Europa 2-6-2007  Repubblica tra crescita e senilità  FEDERICO ORLANDO

La repubblica ha 61 anni. Giovanissima non è più, qualche medicina e qualche intervento sono necessari. Il discorso è semplice.
Quel che l’organismo poteva dare in sviluppo e socialità, e in democrazia delle istituzioni, l’ha dato. Siamo tutti più ricchi o meno bisognosi, siamo tutti più liberi, quasi non abbiamo più terra dove costruire case e capannoni, siamo così sazi di diritti da rinunciare ai doveri. La crescita naturale continua: ne va merito – ha voluto ricordarlo Napolitano – a imprenditori, lavoratori e contribuenti «sensibili al dovere civico ».
Ai cattivi cittadini, quelli delle corporazioni, delle caste, delle camorre, dell’evasione, del crimine, nessun merito. Essi sono la piovra che tira a fondo la repubblica. Per poterla fiocinare, servono politiche non più legate al patto della società classista e dell’imprenditoria assistita del 1946, ma concordate con una borghesia “nuova”, se c’è, e con s i n d a c a t i “nuovi”, più rappresentativi del lavoro reale.
Quel patto aveva anche una cornice di regole. Anch’esse non servono più, per cambiamento dei soggetti e degli obbiettivi di riferimento.
I punti da correggere sono arcinoti: parlamento e governo, autonomie e legislazioni corporative, sindacati e partiti.
    Tutto dovrà essere più magro e più pubblico: lo stato dovrà riprendere le redini, le autonomie dovranno essere reali e non mafiose. Mentre si cammina sul terreno del credito e delle privatizzazioni e si accenna almeno alla parola liberalizzazione, i tentativi di nuove regole istituzionali sono falliti, perché impostati, sia da sinistra che da destra, contro l’altra metà del paese. «Nulla può sostituire – ripete Napolitano – la ricerca di intese, di soluzioni condivise», senza confondere i ruoli di governo e di opposizione.
Aggiungiamo: senza confondere i ruoli di classe (ottimati o no) e di società generale, di governo e di opposizione, di controllo dell’ordine civile e di censura, di convinzioni religiose e di diritti civili. E invece sono proprio queste le confusioni d’ogni giorno, le cause della malattia da ricchi che anticipa la senilità della repubblica.
Giusto a 62 anni, lo statuto albertino si arrese. E venne il fascismo. Se la Costituzione repubblicana fa altrettanto, un nuovo abisso sarà inevitabile.

 

 

 


 

La Repubblica 2-6-2007 Palermo L'INTERVENTO I costi della politica nel sistema clientelare FRANCESCO PALAZZO

 

In questo momento il primo posto nella classifica dello sdegno popolare è rappresentato dai costi della politica. è in corso - il tema l'ha lanciato proprio "Repubblica" - la polemica sulla scarsa produttività dei deputati regionali a fronte di emolumenti non proprio da fame. Le accuse in realtà colpiscono tutti i livelli di rappresentanza, dalle circoscrizioni al parlamento. Certo, non siamo di fronte a quella che si direbbe una novità assoluta. Il primo atteggiamento dei cittadini, quando si parla di politica, è di disgusto per gli alti guadagni e ai privilegi di chi abita i palazzi del potere. Ciò che difficilmente si ammette, da parte di coloro che s'indignano per stipendi e prebende altrui, sono i conti salatissimi che a volte essi stessi presentano alle pubbliche amministrazioni.

Talvolta nel rispetto formale delle regole, spesso ricorrendo a procedure illegali. In ogni caso facendo lievitare in maniera esponenziale e davvero insostenibile le spese pubbliche che in teoria si vorrebbero ridimensionare. Proprio l'altro giorno abbiamo appreso che l'Inps, che gestisce soldi di tutti, ha subito un danno di circa 3 milioni di euro a causa dei falsi braccianti scoperti in provincia di Palermo. Superfluo sottolineare che si tratta della punta di un enorme iceberg. In Sicilia c'è un fiume di gente che ha mani illibate eppure certifica decenni di lavoro nei campi. In fondo è facile puntare ferocemente i costi delle istituzioni pubbliche, è come sparare sulla Croce rossa. Basta che poi le vite private di ciascuno possano muoversi liberamente alimentando la prassi predatoria di tutto ciò che ricade sulle tasche della collettività. Se passiamo dall'agricoltura alla formazione professionale, perché non riflettere sull'enorme spesa pubblica che finanzia corsi che mai hanno prodotto un solo posto di lavoro? E non ci sono solo le risorse interne. Ci si potrebbe chiedere, a esempio, quanto denaro, dell'enorme flusso arrivato con Agenda 2000, è andato ad alimentare rivoli minuscoli o grossi torrenti di spesa inutile fine a se stessa. E se i fondi che arriveranno nei prossimi anni seguiranno la stessa strada. Scendendo poi nello spicciolo, si possono citare i tantissimi, e in Sicilia ne vengono scoperti continuamene, che dichiarano un reddito inferiore per non pagare il ticket sulle medicine, aggravando il buco profondo del settore che poi le casse pubbliche devono in qualche modo coprire. Oppure i giovani che certificano stati patrimoniali da fame per evitare di pagare le tasse universitarie. O quelli che certificano stati familiari inesistenti per incassare corposi assegni. Non parliamo, poi, della ricerca spasmodica di entrare, da parte di molti giovani della nostra regione, tra le fila del precariato. Dove tale approdo non è inteso come la ricerca di un vero lavoro e il premio alla propria professionalità da mettere al servizio della comunità, ma come la possibilità di ottenere un gratuito assegno mensile proveniente sempre dal forziere pubblico. Gli esempi potrebbero proseguire all'infinito. Ricordiamo le continue truffe scoperte nella nostra regione sull'utilizzo dei fondi della legge 488. Che, da strumento per distribuire aiuti statali alle aziende, si trasforma di sovente in un grande supermercato del raggiro e della distrazione di milioni di euro. In tutti gli ambiti citati c'entra sempre la politica, certo. Ma nel senso che i rappresentanti del popolo dirigono un'orchestra sociale che già conosce a memoria lo spartito. Il popolo, da parte sua, critica aspramente chi dirige la compagnia. Guai però a mettere in discussione la musica, perché ciò significherebbe la fine dei tanti pezzetti di spreco individuale che compongono un totale gigantesco. Al cui confronto anche i costi, pur esosi, delle istituzioni impallidiscono. Quante volte ci capita di assistere a veementi proteste corporative davanti agli assessorati regionali contro chi intende abbattere, anche di poco, qualche spesa? Basta ricordare, per tutti, il settore della sanità. In genere l'approccio è il seguente: si tagli pure, si tagli tutto, purché non si tratti del mio orticello. Vista così, la vicenda dei costi della politica assume una dimensione diversa. è più complessa da affrontare, ma lo si può farlo con meno ipocrisia.

 


 

Il Piccolo di trieste 2-6-2007 La Giunta regionale ha deliberato ieri la riduzione delle indennità e dei gettoni di presenza per i membri di 149 organismi pubblici Commissioni Fvg: tagliati i compensi del 10%

 

Tesini: "Bisogna ridimensionare i costi della politica. Troppi 103 fra ministri e sottosegretari" TRIESTE Compensi tagliati del 10% per i componenti delle commissioni pubbliche, in tutto 149. La giunta regionale ha deliberato ieri la riduzione delle indennità e dei gettoni di presenza, fra l'altro, per i membri del Comitato di indirizzo e di verifica dell'Arpa, della Commissione Tecnico - Consultiva Via, delle Commissioni provinciali di Trieste, Gorizia, Udine e Pordenone per la determinazione delle indennità di espropriazione, del Comitato incaricato alla verifica delle fasi dello studio finalizzato alla predisposizione del Piano regionale di tutela delle acque, della Commissione regionale per le servitù militari del Friuli Venezia Giulia, del Comitato misto-paritetico per le servitù militari del Friuli Venezia Giulia. Si tratta di un provvedimento che era previsto già nella Finanziaria regionale approvata lo scorso dicembre, la quale prevedeva, appunto, il taglio del 10% dei compensi corrisposti ai componenti di commissioni, comitati e organi collegiali nell'ottica di una riduzione della spesa pubblica. Un tema che è stato affrontato a Roma al tavolo sulla riforma della politica e su cui è tornato, attraverso il suo blog, il presidente del Consiglio regionale Alessandro Tesini: "Il clima che si respira a Roma è brutto. - commenta Tesini - Sui costi della politica serve fare chiarezza e soprattutto serve una profonda azione di trasparenza. Ci sono Consigli regionali che costano "cinque" e Consigli che, a parità di produzione, costano "dieci". Non solo. Siccome nel termine "costi della politica" si comprende tutto serve capire bene da dove si comincia, che cosa si toglie, che cosa si aggiunge". Una questione che tocca anche l'ipotesi di riforma federale dello Stato italiano che, secondo il presidente del Consiglio regionale, "non deve essere la via italiana al declino ma il modo con il quale le Regioni e gli Enti locali vengono coinvolti in una azione di sviluppo e partecipano al rilancio del sistema Italia. Ebbene - ha aggiunto Tesini - non è possibile andare verso un Federalismo a responsabilità invertita". Cioè chi chiede di più, più spende. Per questo dico che c'è bisogno di chiarezza e anche Governo e Parlamento devono fare la loro parte. Forse 103 tra ministri, viceministri e sottosegretari e 945 parlamentari sono un po' troppi. Per raggiungere un obiettivo - ha concluso Tesini - serve un tavolo tra Governo, Parlamento e Regioni per provare a stipulare un patto. Ma non so se ci saranno le condizioni politiche per farlo". COMPARTO UNICO È stato approvato in via preliminare dalla Giunta regionale lo schema di regolamento sui criteri di riparto a favore degli enti locali per l'istituzione del comparto unico regionale del pubblico impiego. Secondo questo schema, l'amministrazione regionale si sobbarcherà gli oneri derivanti dagli aumenti per i dipendenti degli enti locali parificati ai colleghi regionali, dall'estensione di un ulteriore mese di congedo parentale retribuito, dalla quota di perequazione relativa al risparmio sul part-time destinata all'incremento del fondo di secondo livello e dal costo relativo al ricalcolo Inpdap per la quota di perequazione per i pensionamenti per gli anni 2004 e 2005. Sarà invece a carico degli enti locali, a decorrere dall'anno 2006, una parte degli oneri di perequazione corrispondente alle risorse destinate al fondo per la contrattazione di secondo livello derivanti dal mancato accantonamento dello 0,20% per le alte professionalità e dalla riduzione dello 0,20% dell'incremento del fondo previsto dal contratto nazionale relativo al biennio 2004-2005.

 


 

Il Secolo XIX 2-6-2007 Clima, l'Ue boccia Bush"Il suo piano fa solo danni" riduzione delle emissioni Alla vigilia del G8 tedesco, si allontana la possibilità di un accordo. Jeff Mason traduzione di Elisa Marelli

 

ESSEN (Germania). Qualcuno lo ha salutato persino con entusiasmo, azzardando la definizione di "svolta ecologista" della Casa Bianca. Ma il piano per combattere i cambiamenti climatici del presidente George W. Bush ha ricevuto un'accoglienza fredda in Europa, e la direzione generale della Commissione europea per l'ambiente l'ha respinto definendolo modesta e "di classico stampo americano". Bush, sotto pressione per fare di più in vista del vertice del G8 in Germania la settimana prossima, giovedì ha annunciato che cercherà di fare un accordo a lungo termine con i 15 maggiori produttori di gas del mondo per ridurre le emissioni a effetto serra entro la fine del 2008. "La dichiarazione del presidente Bush sostanzialmente ribadisce la classica linea americana - nessuna riduzione obbligatoria, niente quote per l'emissione di carbonio e obiettivi espressi con vaghezza", ha detto il commissario per l'Ambiente Stavros Dimas. "La strategia degli Stati Uniti si è dimostrata incapace di ridurre le emissioni", ha poi aggiunto. Bush intende trovare un accordo a lungo termine con i 15 maggiori Paesi produttori di gas serra, inclusi quelli (come l'Australia e gli stessi Usa) che hanno sempre avversato il protocollo di Kyoto. Alcuni giornali hanno definito il progetto di Bush come una sconfitta per il Cancelliere tedesco Angela Merkel, che vuole che durante il vertice il G8 acconsenta a ridurre le emissioni mondiali di gas a effetto serra del 50% circa entro il 2050. "Una delle usanze dei vertici del G8 è che gli altri partecipanti garantiscano a chi li ospita di soddisfare una sua grande richiesta" ha scritto il Financial Times Deutschland in un articolo. "Il fatto che Bush non si sia attenuto a questa regola è un affronto e ha reso la sconfitta della Merkel ancora più dura" diceva l'articolo. In Gran Bretagna il Guardian ha scritto "Bush ha distrutto le speranze di variare il piano per i cambiamenti climatici al G8". Il portavoce di Angela Merkel, Ulrich Wilhelm, ha detto che è ancora troppo presto per prevedere gli esiti del vertice: "Credo che a questo punto si possa solo dire che sarà dura". L'Ue vorrebbe ridurre le emissioni del 20% entro il 2020. Alcuni leader, tra cui il premier britannico Tony Blair, hanno apprezzato la svolta di Bush. "Adesso voglio vedere se saremo capaci di fare più di quello che ha previsto il presidente Bush, ma è importante chiarire che per la prima volta ci sono gli elementi per un accordo mondiale che ha l'obiettivo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, e dietro a questo c'è l'America" ha detto Blair durante una visita in Sud Africa. Un entusiasmo condiviso solo dal commissario Europeo per l'Energia Andris Piebalgs: "Secondo me è un buon piano e ci dà delle buone notizie", ha detto a Helsinki. "Il piano americano non può essere un cavallo di Troia per distruggere praticamente il processo internazionale di protezione del clima", ha obiettato invece il ministro dell'Ambiente tedesco Sigmar Gabriel, che con la Merkel progettava di mettere intorno a un tavolo esattamente i Paesi indicati da Bush. Paesi come l'Australia, che pur essendo alle prese con la peggiore siccità che si ricordi a memoria d'uomo, continua a sostenere l'impossibilità di limitare l'uso dei combustibili fossili (è il maggior produttore di carbone del mondo). O come la Cina, che, pur non volendo rinunciare alla propria crescita economica, la prossima settimana varerà il suo primo piano nazionale per la riduzione delle emissioni. Nell'ultimo Consiglio europeo di marzo, i 27 Stati membri della Ue hanno concordato un obiettivo vincolante unilaterale di riduzione delle emissioni di gas serra del 20% entro il 2012, indicando la disponibilità ad elevare questa soglia al 30% se allo sforzo si uniranno gli altri Paesi industrializzati. Obiettivi ben più ambiziosi rispetto al 5 per cento previsto dal Protocollo di Kyoto. E che, comunque, saranno al centro del G8 tedesco, perché il riscaldamento globale è ormai il problema dei problemi anche per i grandi della Terra.

 


 

Città di Salerno 2-6-2007 I tempi della maturità per i laici sono ancora lontani Di Massimo Onori

 

Ho visto Annozero, dalla prima all'ultima sequenza, con la massima concentrazione possibile. Devo confessarlo: non è stato facile vincere la noia. La domanda resta ineludibile: qual è lo stato di salute di un Paese in cui si ha bisogno di una trasmissione così per indignarsi o per gridare alla libertà d'informazione? Direi: pessimo. Comincio da Marco Travaglio e dalla commossa lettera indirizzata al suo maestro Montanelli: quel Montanelli sempre più celebrato, non solo come grande giornalista, ma addirittura come importante scrittore. Ma davvero l'Italia ha bisogno d'un mito così? Dell'inventore, in politica, della raffinata metafora del "votare turandosi il naso", del perentorio semplificatore d'ogni problema: in gloria dell'eterno piccolo borghese italiano, quello che ha fatto la peggiore storia nazionale. A pensarci bene non è un caso che si sia iniziato con un omaggio del genere. Santoro, in tempi televisivi, non fa altro che colmare il vuoto lasciato da Montanelli: altrettanto fazioso e spiccio, altrettanto abile nel farsi carico di quel moralismo e di quel giustizialismo facile da cui una democrazia vera dovrebbe difendersi come dal peggior nemico. Altrettanto bravo, il Santoro, nel farci credere che il suo populismo forcaiolo, il suo perbenismo, rappresenti invece il non plus ultra della libertà e della spregiudicatezza civile. Ma vengo al tema della trasmissione: Chiesa e pedofilia. Che Santoro ha orchestrato - di sicuro non aiutato dai due partners laicisti: lo spento Piergiorgio Odifreddi, il concitato giornalista della Bbc Colm O'Gorman - su un ripetitivo refrain: l'accusa alla Chiesa e a Ratzinger d'aver sempre mantenuto un atteggiamento di omertà nei confronti dei preti pedofili. L'impianto della trasmissione m'è parso di un anticlericalismo davvero puerile. Che cosa si voleva dimostrare insistendo su un vecchio documento come il "Crimen sollicitationis" del 1962? Non ci sarebbe bisogno di dirlo: basterebbe un solo prete santo, uno solo, a garantire l'Istituzione, a salvarla per sempre. Così come resta puerilmente anticlericale la pretesa che la Chiesa - come ogni Istituzione di Potere costitutivamente votata alla sua sopravvivenza - non metta in atto, per lo scopo, tutte le risorse e la sua millenaria prudenza. La Chiesa non è più quella di Giordano Bruno: non ha il monopolio della forza, il potere di condannare al rogo. E non coincide con tutta la società: per questo, non possiamo chiederle di rinunciare al suo diritto d'azione e di parola. Come noi laici non possiamo rinunciare al nostro. Dalla Chiesa si può entrare e uscire: ma non si può chiederle d'accettare, nel suo seno, l'inaccettabile . Inaccettabile, piuttosto, mi pare la posizione di chi difende i suoi sacrosanti diritti, magari in nome di una diversa idea di natura da quella cattolica, ma che, nello stesso tempo, chiede il consenso del Papa. Ecco il punto: la Chiesa si guarda dentro, riflette, ma senza derogare ai suoi principi. Com'è emerso dalle serene parole di monsignor Fisichella. Ma noi laici siamo stati mai capaci d'accettare la condizione d'orfanezza in cui la morte di Dio ci ha precipitati? La nostalgia risentita e moralistica con cui, ad Annozero, si guardava al papa e la Chiesa, alla loro autorità, la dice lunga: i tempi della maturità, per i laici, sono lontani.

 


 

La Repubblica 2-6-2007 LE SCELTE DEI PARTITI Bologna Nasce la "Cosa arcobaleno" è il primo passo verso l'organizzazione della componente. De Maria: rischiate di fare un favore all'opposizione

 

Parte il coordinamento dei consiglieri della sinistra dissidente La replica di Loreti: non siamo certo noi a minare la tenuta della coalizione ANDREA CHIARINI Più che "rossa" potrebbe diventare una "Cosa arcobaleno" quella tenuta a battesimo ieri a Palazzo d'Accursio. Ne fanno parte sei consiglieri comunali (quattro dell'Altrasinistra più i due dell'area Mussi). E' il primo passo verso una nuova componente di maggioranza - ancora da decidere se si arriverà a un unico gruppo oppure no - sempre più critica nei confronti di Sergio Cofferati. Un segnale che la Quercia - impegnata nella costruzione del Partito democratico - non sottovaluta. Al punto che sempre ieri il segretario diessino Andrea De Maria si è chiesto retoricamente se la nuova formazione non finisca col fare un favore all'opposizione che in Comune stenta a trovare un leader. Resta il fatto che la sinistra radicale sta pensando seriamente a un proprio candidato sindaco (anche se non tutti, come il verde "controcorrente" Carmelo Adagio, sono convinti della bontà del progetto). I vertici del Sole che ride, insieme al Pdci, si dicono già pronti a presentarsi da soli nel 2009 in Provincia e in Comune. Per ora si muovono Roberto Sconciaforni e Valerio Monteventi (Prc), Roberto Panzacchi (Verdi), Serafino d'Onofrio (lista del Cantiere), Gian Guido e Milena Naldi (Sinistra democratica). I consiglieri si sono riuniti ieri per la prima volta a Palazzo d'Accursio e promettono di rivedersi periodicamente. Se sarà una sorta di opposizione interna lo dirà il tempo, in ogni caso il centrosinistra senza i voti dei sei "rossoverdi" non avrebbe più la maggioranza assoluta in aula. Il che significa che se nascesse ora il Pd non sarebbe autosufficiente. Mentre Ds e Margherita accelerano verso il gruppo unico, si organizza anche la sinistra alternativa. "Abbiamo deciso di incontrarci ogni settimana per coordinare le nostre iniziative consiliari - dice Gian Guido Naldi - il punto di partenza è la condivisione di un giudizio critico nei confronti dell'amministrazione che non riguarda solo l'aspetto della comunicazione con i cittadini. Ci siamo anche impegnati per i prossimi due anni a lavorare per attuare il programma dell'Unione. Inizia così percorso unitario dei consiglieri alla sinistra del Pd". Nel dibattito interviene anche il Ds De Maria aprendo i lavori al Baraccano del convegno dell'Ulivo sulla riforma della politica. Il segretario di via Beverara corregge Tiziano Loreti del Prc che, ragionando a voce alta sulla tornata elettorale del 2009, aveva parlato di un candidato alternativo a Cofferati (scelto, tra l'altro, fuori dai partiti). Affermazioni per De Maria "strane, anzi addirittura non normali per forze che stanno insieme nella stessa coalizione". E, a scanso di equivoci, il numero uno della Quercia spiega che "se l'obiettivo è arrivare uniti nel 2009, i Ds ci sono e sono pronti a sentire le idee di tutti e a riconoscere a ogni forza politica il proprio spazio. Ma se uno sta pensando a correre da solo nel 2009, lo scenario è un altro". Se poi si vuole polemizzare, ironizza, "polemizziamo con il centrodestra. Così facendo, infatti, faremmo anche un favore all'opposizione che qui a Bologna è quasi scomparsa. E questo non è un bene". La replica di Loreti non si fa attendere. "Non siamo noi a minare la tenuta della coalizione - dice il segretario del Prc - noi non consideriamo il cittadino un consumatore come fa il Pd, non ci interessano gli equilibri di potere, i rapporti con la Curia, ma vogliamo affrontare i temi concreti della città: precariato, giovani, immigrati. Ma se le risposte sono più polizia e il kit antidroga alle famiglie non si va da nessuna parte".

 


 

Il Corriere della Sera 2-6-2007 Doveva essere il vertice del "rilancio" dopo la batosta, ma a raccontare com'è andata basta la secca replica con cui Romano Prodi ammonisce i segretari e sigilla una drammatica riunione. Di MONICA GUERZONI

 

ROMA ? "Se non vado bene è meglio dirlo subito. Se non vado bene ? scandisce il premier col suo tono privo di impennate ? me ne vado. Ce ne sono tanti che vogliono prendere il mio posto, fuori c'è la fila... Mi dimetto e la legislatura finisce qui. Perché si torna a votare". La minaccia del Professore vibra tra le pareti ovattate di Palazzo Chigi e chiude un incontro che ha il sapore della resa dei conti. Di Pietro che mena fendenti incrociati su Visco e su Prodi, Mastella e l'ex Tonino nazionale che si scambiano epiteti per nulla cortesi, Diliberto che auspica le dimissioni di Padoa-Schioppa... E poi il bilancio elettorale spietato di una sinistra compatta come un sol'uomo, lo scontro annunciato su "tesoretto" e pensioni e pure, evento che ha gelato i presenti, la plateale defezione del vicepremier Rutelli. "Impegni pregressi a Milano", ha fatto sapere l'ufficio stampa Dl e così ai piani alti è salito il ministro Beppe Fioroni. Assente anche Massimo D'Alema, a Valencia per la Coppa America: "Io ho l'autorizzazione di Prodi". Riunione nervosa, quasi furibonda. E dire che il Professore la apre con un appello accorato al senso di responsabilità. Chiede a Di Pietro di ritirare quell'atto di accusa contro Visco depositato al Senato. Prima con le buone, poi con le cattive: "Non esiste che un ministro presenti una mozione senza che il capo del governo ne sappia nulla". Ma lui niente, fermo come una pietra. "Ma come non ti ho detto niente, Romano, ti ho sempre informato, te ne ho parlato per la prima volta a giugno". E Prodi, scuro in faccia: "Non me l'hai detto. E se l'hai fatto, dopo non mi hai fatto sapere più nulla". Nervosissimo, Di Pietro. Sospettoso. Quasi convinto di un complotto governativo contro la Procura di Milano: "Vogliamo parlare del segreto di Stato su Abu Omar?". Nervoso anche Mastella, che finisce per azzuffarsi col responsabile delle Infrastrutture. Finché Fassino non lascia intendere che mercoledì il governo non cadrà: "Vedrete, qualcuno farà un passo indietro...". Poteva finire qui, col sospirone di sollievo del Professore. Invece Giordano battibecca col leader Ds su lavoro e previdenza e riapre la tenzone, estremisti co ntro riformisti. E Fioroni, con le stesse parole che Rutelli scandisce nelle riunioni riservate: "Ma vi rendete conto del clima che c'è? O siamo in grado di rimuovere tutte queste cavolate, o è meglio che ce ne andiamo a casa". "Diciamo che non è stata una delle migliori riunioni" lascia Palazzo Chigi il segretario dello Sdi, Boselli. Pecoraro se n'è andato da un pezzo quando dal portone sbucano, in favor di telecamera, Giordano, Diliberto e Mussi. Quel che uno dice l'altro conferma, un terzetto affiatatissimo che ha studiato nei particolari come mettere all'angolo i riformisti, già piuttosto provati dal voto. "Tutta colpa del Pd" è il leitmotiv dei massimalisti, assai zelanti nel porre un freno allo slancio riformatore di Fassino. "Le pensioni non si toccano ? fa muro la triplice ?. L'unica riforma possibile è l'abolizione dello scalone". Il leader Ds chiede "tre o quattro misure concrete da annunciare subito", vuole abbattere la precarietà giovanile, alzare le pensioni minime, varare un pacchetto casa, cose non molto diverse da quelle che teorizzano i segretari dell'estrema sinistra. Ma la parola d'ordine per i sinistri uniti è rintuzzare Fassino per punire il Pd: "Romano, ammetti che il vostro partito sta facendo ballare il governo" colpisce duro Diliberto, che a forza di invocare collegialità strappa a Prodi la promessa di un dpef scritto "tutti assieme". Si litiga, ma una gaffe di Prodi fa ridere di gusto Diliberto e Giordano. "Dobbiamo fare un grande balzo in avanti" sprona il premier, di certo dimenticando le conseguenze nefaste del Grande Balzo imposto da Mao ai cinesi negli anni '50. Il segretario del Prc chiede di non sottovalutare il "profondo malessere sociale del Nord", vuole più risorse dall'extragettito per giovani, precari e casa e una agenda identica propongono Diliberto e Mussi. E poi è inutile, bacchettano a sinistra, discutere di quei due terzi di tesoretto da distribuire alle famiglie mentre Rutelli, il teorico del taglio dell'Ici, se ne sta a Milano a inaugurar triennali. "Vi ricordo ? si schiera con Padoa-Schioppa il rigorista Boselli ? che la vicenda è iniziata dalla violenta polemica del vicepremier contro Prodi, proprio sul tesoretto". Non sarà gran cosa, ma una bozza di accordo salta fuori: ritocchi alle pensioni minime, maquillage della riforma Maroni e azioni mirate contro la precarietà. Un vertice drammatico Monica Guerzoni.

 


 

La Repubblica 2-6-2007 IL RETROSCENA Il gran rifiuto del Generale CARLO BONINI

 

Nell'epilogo, dunque, il generale di fanteria Roberto Speciale da Petraperzia (Enna), "Ciccio il comandante", come ama farsi vezzeggiare dai suoi amici forzisti e di Alleanza nazionale, non batte i tacchi. Nella sua uscita non c'è traccia di uno di quei suoi "Ossequiosamente obbedisco", "Subordinatamente La saluto", con cui per dodici mesi ha omaggiato un nuovo padrone politico cui scavava la fossa. In trenta minuti di colloquio in via XX Settembre, comunica al ministro dell'Economia Padoa-Schioppa, che gliele chiede, che lui alle dimissioni "non ci pensa nemmeno". Si fa mettere alla porta e destituire dal comando con effetto immediato lasciandosi offrire un posticino alla Corte dei conti (che forse accetterà, o forse no).

IL PERSONAGGIO Da sconosciuto generale imposto da Pollari allo strappo finale. Oggi Speciale forse alla festa del 2 Giugno, pensa un ricorso al Tar L'ultima partita del Comandante E a Padoa-Schioppa dice: andarmene? Non ci penso neanche La nomina del 2003 sotto il governo Berlusconi dopo una carriera di potere Non è escluso che possa opporsi al trasferimento con un ricorso al Tar (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) CARLO BONINI Perché questo contemplava il format che il centro-destra aveva scritto e che con diligenza lui ha interpretato in queste due settimane. L'uscita di scena doveva essere rumorosa. E rumorosa è stata. Perché, da oggi, in un'ultima operazione di "spin", rumore possa chiamare altro rumore ("La destituzione è un golpe". "Un attentato alla Costituzione". "Un'esecuzione gappista") convincendo il Paese di essere rimasto orfano di un generale "spezzaferro", di un "civil servant", che non si è piegato all'arroganza della politica. Roberto Speciale non è stato né l'uno, né l'altro. Roberto Speciale è un fungo cresciuto nel sottobosco in cui, per cinque anni, il centro-destra ha coltivato un disegno di controllo degli apparati che doveva avere nell'intelligence politico-militare, il Sismi di Nicolò Pollari, e nelle Fiamme Gialle, un nuovo potente e pervasivo strumento di controllo e intervento a uso politico. Un grumo di potere non più misterioso almeno da quattro anni. Di cui il governo di centro-sinistra conosceva e conosce uomini e coordinate. Di cui ha fatto le spese (la campagna sul caso Unipol, le intrusioni abusive nelle anagrafi tributarie, il sistema di spionaggio illegale in Telecom). Ma a cui sin qui non ha voluto (o potuto) mettere mano. Per insipienza, per miopia, per divisioni interne. E a cui oggi sacrifica, non a caso, il viceministro Vincenzo Visco (l'unico, a quanto pare, ad aver avvistato per tempo "criticità" che altri non hanno voluto vedere). Eppure, non era necessario un indovino per intuire come sarebbe andata a finire. Per comprendere quale fosse la posta in gioco. Nell'autunno scorso, con l'uscita di Pollari dal Sismi, Speciale perde il suo mentore e rimane unico custode della potente macchina che, nel luglio 2003, gli era stata consegnata con ben altre e per lui più consone mansioni. E' un Carneade, "Ciccio il comandante". E, in quell'estate, quando decidono di nominarlo comandante generale della Finanza, Berlusconi e Tremonti ne ignorano persino l'esistenza. E' Nicolò Pollari, siciliano come Speciale, che garantisce per lui. Che ne sollecita e impone la nomina. E' l'uomo giusto, al posto giusto, al momento giusto, ragiona l'allora direttore del Sismi. E' una muffa degli Stati Maggiori della Difesa che a fatica ha superato l'Accademia militare di Modena. Un burocrate furbissimo con un debole per le belle cose (arredi e orologi), la bella gente, i bei luoghi (Capri). Che in dieci anni (dal 1993 al 2003), da poltrone di nessuna visibilità, ha coltivato una fitta rete di benevolenze. Ha comandato infatti il primo Reparto dello Stato maggiore Esercito e quindi il primo Reparto dello Stato maggiore Difesa, da dove ha controllato "il personale" (avanzamenti e stato giuridico della truppa e dei quadri ufficiali. Per un periodo anche la leva). Nell'estate 2003, Pollari ha bisogno di una testa di legno che governi per conto terzi (per suo conto) la Guardia di Finanza. Il tempo necessario al governo di centro-destra per varare la riforma che (come per l'Arma dei carabinieri) dovrebbe consentire di nominare al comando del corpo un proprio generale. Che prepari cioè a Pollari, generale di corpo d'armata delle Fiamme Gialle, il suo grande rientro quando si tratterà di lasciare il Sismi. E' un piano di cui Pollari si compiace e che Speciale racconta in giro, vantandosene. Pollari dispone. "Ciccio" esegue. Il Sismi si gonfia di ufficiali della Finanza e, va da sé, anche del figlio di Speciale, cui per qualche tempo viene affidato (con esiti disastrosi) il centro di Abu Dhabi. Speciale ridisegna i vertici del Corpo con organigrammi dettati da Pollari e dal suo delfino, il generale Emilio Spaziante, che dalla Lombardia (di cui controlla ogni ufficiale) viene portato a Roma, come capo di Stato Maggiore. Speciale fa e disfa, ritenendo di non dover neppure informare il suo comandante in seconda. Poi, il piano Pollari va a farsi benedire. E con lui la direzione del Sismi e l'osmosi tra la nostra intelligence militare e le Fiamme Gialle. Speciale resta il solo garante, con pieni poteri di comando, di una ragnatela pazientemente tessuta per quattro anni. Di un apparato che è stato il braccio operativo dell'esecutivo di ieri, oggi opposizione. Il tentativo di Visco di cominciare a intaccarne i gangli (Milano) è troppo. Ma è anche una magnifica occasione. L'operazione può cominciare. E Speciale ne conosce l'epilogo. Si aggiusterà la fascia in vita e si farà saltare come un martire nel governo di centro-sinistra. Forse, farà qualcosa di più. Se è vero, come dicono quando ormai è notte, che oggi, da destituito, sederà ai Fori imperiali nel palco autorità della Festa della Repubblica. Se è vero che in queste ore lo accende l'idea di mummificarsi in Viale XXI Aprile ricorrendo a qualche tribunale amministrativo contro la decisione del governo.

 


 

Europa 2-6-2007 Taxi, spiagge, famiglie assatanate un 2 giugno più feudale che repubblicano FEDERICO ORLANDO RISPONDE

Cara Europa, nell’Italia di destra, governata dalla sinistra, i padroni dei taxi ci tolgono i taxi, i padroni degli stabilimenti ci tolgono le spiagge e i padroni delle famiglie ci tolgono la serenità di cenare guardando un tg senza crimini consanguinei. E allora? ELENA CAMINITI, CATANIA

E allora, cara signora Elena? E allora le dirò: ci vorrebbe un governo in sintonia, ci vorrebbe un’opposizione responsabile, ci vorrebbe una stampa vigile, ci vorrebbe una chiesa non medievale, ci vorrebbe una borghesia meno vigliacca ed egoista, ci vorrebbe una società civile capace di esprimere, appunto, tutto ciò. Si rassegni, non c’è, non esiste.
Quando le avvelenano la cena con le cronache sanguinolente della nostra Family, ha mai sentito un intervistato della porta affianco dire: “Sì, ho sempre pensato che fosse un farabutto”? Quando mai: “Tutta brava gente, mai sospettato nulla”. Sono questi gli italiani che tutte le sere ci passano sui teleschermi, sfuggendo alla responsabilità, al coraggio di esprimersi liberamente. Come meravigliarci se alla Rai c’è chi si batte per la censura a Santoro, come ci fosse ancora Mussolini? Se l’ospedale Galliera di Genova – presieduto dal presule Bagnasco – abbia sospeso da due mesi le interruzioni di gravidanza? Se i magistrati di Rignano Flaminio non riescano a raccapezzarsi come, in un paese di 8mila abitanti, nessuno abbia saputo niente di un problema che coinvolgeva centinaia di persone? Veda, cara signora, nel nostro paese la democrazia è cresciuta e diventata vecchia (oggi la repubblica fa 61 anni, la costituzione 60) ma non ha creato lo spirito repubblicano, inteso come autocoscienza di libertà, indipendenza, anticonformismo, autodeterminazione, servizio della comunità, adempimento dei doveri, pretesa dei diritti. Siamo ancora all’elargizione, all’accattonaggio.
Noi che ne siamo consapevoli possiamo usare l’unica arma che ci è concessa: la parola, per dire quel che pensiamo di tutto e di tutti. Magari rimettendoci un po’ del nostro quieto vivere. Che non è quieto, e nemmeno tanto vivere, perché alla fine è un boomerang che ci tornerà in fronte, a tutti.


 

Finanza e Mercati 2-6-2007 Profondo rosso per Banca Italease, che ieri è crollata del 19,98% a 29,27 euro, raggiungendo i nuovi minini degli ultimi 16 mesi

 

Finanza&Mercati del 02-06-2007. Il titolo, che nel corso della giornata è stato sospeso due volte per eccesso di ribasso, è stato travolto da una raffica di vendite. Sono passati di mano oltre 11,8 milioni di azioni, pari al 12,89% del capitale, contro una media giornaliera di 2,3 milioni. Il tonfo di Italease (-32,41% da inizio anno) ha trascinato al ribasso anche Bpvn (azionista di riferimento con il 30,71% del capitale), che ieri ha perso il 3,54%, chiudendo a 21,77 euro. L'ondata ha travolto anche Bpi (-3,40%), l'istituto che si fonderà con la Bpvn il primo luglio dando alla luce il Banco Popolare. Con il tonfo di ieri, la perdita dei titoli della banca guidata da Massimo Faenza ha superato 32 punti percentuali. Giovedì, in tarda serata, l'istituto aveva comunicato che "il potenziale rischio riferibile a strumenti derivati (attivati a titolo di copertura sulle operazioni di leasing immobiliare stipulate dalla clientela, ndr) attualmente si attesta a circa 400 milioni". Quindi quasi raddoppiato rispetto ai 225 milioni del 31 dicembre scorso "per effetto dell'evoluzione del mercato". Un peggioramento che potrebbe essere all'origine delle dimissioni di Massimo Sarandrea, ad della controllata Italeasing (ex Bipielle Leasing), che mercoledì 30 maggio ha lasciato il gruppo. Sarandrea era entrato in Banca Italease nel 2003, insieme a Faenza, e aveva avviato l'operatività dei derivati a copertura dei rischi di tasso. Intanto ieri Cheuvreux ha tagliato il target price su Banca Italease da 42 a 38 euro confermando il giudizio di underperform. I vertici della banca hanno precisato di aver "avviato contatti con i clienti titolari di questi contratti per prendere decisioni a reciproca tutela". L'esito degli approfondimenti, inclusa l'indagine interna sui rapporti con il gruppo Coppola, saranno comunicati dal presidente Lucio Rondelli al cda del 7 giugno. Un appuntamento importante, in cui verrà svelata anche la nuova struttura organizzativa dell'istituto. Il mercato scommette sulle dimissioni di Faenza dalla carica di ad (Faenza è indagato nell'inchiesta sulla bancarotta fraudolenta da 109 milioni dell'immobiliarista romano) e sull'ingresso di un nuovo direttore generale che andrà ad affiancare Antonio Ferraris, ma avrà cariche più operative. Mentre la presidenza resterà salda nelle mani di Rondelli.


INDICE 1-6-2007

+  Il Gazzettino 1-6-2007 Delusione per questa Repubblica  Claudio Calligaris Guerrino Cecotti 1 (Udine)

Eurotendenze.info 1-6-2007  - Daily News by APCOM -   EUROSTAT: IN I TRIMESTRE 2007 PIL IN EUROZONA +0,6% , +3% SU ANNO. L'Italia è ultima con lo 0,2 %  3

La Repubblica  1-6-2007 Interrogazioni contro Iorio, governatore del Molise. (g. cap.). 3

L’Unità 1-6-2007 Gli impuniti Marco Travaglio  4

Europa 1-6-2007  Qualcosa da dire a Romano Prodi  STEFANO MENICHINI 5

Europa 1-6-2007 La sconfitta ha molti padri, ma il premier migliori il governo anziché legarlo al collo del Pd  FEDERICO ORLANDO RISPONDE  5

Il Riformista 1-6-2007 Il Pd non aiuta il governo, il governo fa male al Pd. di Claudia Mancina  6

La Repubblica 1-6-2007  I tagli della politica e la governabilità Fino ad oggi è stato privilegiato il valore della rappresentatività rispetto a quello della capacità decisionale del Parlamento MASSIMO RIVA  7

La Repubblica 1-6-2007   La Ue contro l'Italia "Gli incentivi dati con la Finanziaria 2004 sono aiuti di Stato" Economia La Commissione ha avviato un'indagine formale. Gli istituti di credito potrebbero dover restituire quasi 600 milioni Banche.   ALBERTO D'ARGENIO  8

L’Arena di Verona 1-6-2007 Vari gli istituti multati dalla Consob La Consob sanziona anche Banca Popolare per i bond Argentina Multa di quasi 182mila euro ai vertici 9

L’Unità 1-6-2007 Cuffaro: i miei 11.700 euro al mese non si tagliano Costi della politica, l'Unione attacca. E Il governatore siciliano: 500 euro di multa agli assenteisti 9

Il Giorno 1-6-2007 I tagli uguali per tutti non ci stanno bene. Massima inefficienza a Roma Formigoni difende i costi della politica lombarda di ROSSELLA MINOTTI 9

L’Unità 1-6-2007 I costi della politica? Noi abbiamo fatto così Gian Mario Spacca (Presidente della Giunta regionale Marche.) 10

La Stampa 1-6-2007  Bush: "La missione dell'America è portare la libertà" Il presidente Usa alla vigilia del viaggio in Italia: «La mia visita rafforzerà la determinazione di Prodi a Kabul» MAURIZIO MOLINARI 11

Il Giornale di Vicenza 1-6-2007 Il "nodo Kosovo" al pettine dell'Europa  13

Il Cittadino 1-6-2007 Dalla Cei critiche al video e al conduttore: "Sciacallaggio mediatico contro il Vaticano" 14

Il Giornale di Brescia 1-6-2007 Mario Segni: il referendum, occasione per riformare la politica. L'incontro con il comitato bresciano. mott. 14

 


 

+  Il Gazzettino 1-6-2007 Delusioneper questaRepubblica  Claudio CalligarisGuerrino Cecotti

 

2 Giugno: festa della Repubblica. Anche festa della povertà, della disuguaglianza socioeconomica, della disoccupazione, della corruzione, dello sfacelo della Democrazia?. Sul "palco". politici, amministratori. elettrizzati, gonfi, appagati di trovarsi sul "piano rialzato" con voce tonante, ma vuota, esaltano i valori della Democrazia, della partecipazione civile e sciorinano magnanime promesse e fondamentali riforme per il bene comune. Ma chi ascolta, radicalmente provato e conscio della caduta della funzione civilizzante della politica, rimane deluso, sconcertato o indifferente all'agitato vociare degli "impalcati". a quell'arte oratoria di grandi effetti fine solo a sé stessa, sfogo del delirio di potere: l'art pour l'art politica. La non credibilità dei loro sermoni, infatti, è ormai un dato comune nella gran parte della popolazione unitamente a un'esplosione di correnti antipolitiche contro liturgie sempre più patetiche, quasi ridicole, decaloghi inutili o ad personam, apparati senza legittimazione democratica. E i populisti leader televisivi che fanno? Attraggono il consenso appropriandosi dei linguaggi non politici degli esclusi dalla cultura e dai palazzi dei poteri tanto che il popolo dei consumi e della televisione spazzatura è uno dei loro maggiori bacini elettorali. Infatti, i tele-leader hanno ben compreso che il legame fra politica e collettività è il calore delle emozioni condivise, la gestualità, l'imponenza dell'immagine, è il mimetizzarsi a livello di massa: tale escamotage, mito ingannevole della "teledemocrazia" viene da questi sfruttato, consapevoli di poterci contare. Davvero sono passati i tempi in cui la proposta e il "fare politico" sapevano diventare reale mobilitazione popolare emotiva nella produttività delle interazioni! "La Verità non è più ciò che è utile all'Io, bensì ciò che serve a Noi. 'Noi' che dovrebbe identificarsi con il popolo, ma, di fatto, è rappresentato solo dai potenti che, pur di conservare ed estendere il proprio potere, si adoperano per alimentare la fede nella verità cui essi non credono più". Una colata di lava sta scendendo, una colata nera, buia, bruciante che tenta di coprirci, di annullarci. La mattanza si fa sempre più forte e incisiva nella carne di tutti, in particolare degli "Ultimi", mentre continua la "moltiplicazione dei pani e dei pesci" per la classe politica, quella classe che, secondo me, ed è parere diffuso, ha mistificato la Democrazia e non vuole assumerla nel proprio agire come ideale, come virtù da proporre e praticare. La virtù democratica è Amore per la Res publica, è disponibilità a dedicarvi energie e risorse, è amore e rispetto di sé e degli altri, è dignità e riconoscimento del cittadino come capace di partecipare, discutere, decidere sulla vita pubblica, è dialogo paritario. In ogni sistema di governo dovrebbe vivere l'ethos come guida dello spirito dei governanti altrimenti è inevitabile l'autocrazia e quindi lo sgretolamento dell'essenza democratica fondata sulla scelta dell'uguale dignità delle esistenze irripetibili nella necessità assoluta per il riconoscimento della propria identità. Questa è un'epoca politica d'implosione delle aspettative. Non c'è più l'idea del futuro che deve dar senso all'operare collettivo, non c'è l'innovazione di quella cultura-educatio essenziale a cambiare la sfera pubblica e a reinventare la Democrazia. Ma il popolo ha una mentalità progressista? Ha voglia di giustizia, pulizia morale, libertà, di azione concreta e benefica? O come diceva Nietzsche "la tendenza del gregge è sempre lasciare le cose come sono"? nel tempo in cui viviamo e soffriamo e nel quale non si scorge più orizzonte. è ardentemente auspicabile che la gente stanca e delusa, sfiduciata e frustrata, nauseata e allibita ascolti con speranza il forte scricchiolio della trasversale, oscura, cadente montagna politica che la sovrasta e la soffoca giorno per giorno. Montagna di costi assurdi, di incredibile spreco di denaro pubblico, di scandalosi stipendi e immeritevoli indennità, di vergognosi benefit, di spropositato numero di parlamentari e istituzioni e assenza di ricambio generazionale, di carrierismo opportunistico, illegalità e ingiustizia. Ormai i mediocri e gli arrampicatori sociali hanno invaso il mondo del potere: c'è un autentico trionfo ella superbia e del proprio ego nel tramonto dell'umiltà, dell'onestà, della trasparenza, dell'equità. Purtroppo l'accaparrato scanno aureo è prezioso e non si può lasciare a costo di seguire Faust: "vendere l'anima al diavolo". Invece, questi "signori" devono andarsene. Non vivono la Democrazia, non ci rispettano. La ferita è profonda e non è lacerazione dell'ultima ora, ma vecchia, necrotica piaga che si sta progressivamente dilatando. E l'unica proposta di speranza per infrangere la cristallizzazione dei paradigmi relazionali e di potere è distruggere questa pericolosa architettura con un No collettivo.Gianna BianchiCoordinatrice Fogolâr civic UdineCosti carie privilegidella politicaSul tema dei costi e dei privilegi della politica, e più in generale sulla questione morale, abbiamo già scritto in passato. In questi anni la situazione è certamente e ulteriormente peggiorata a tutti i livelli e forse anche i risultati delle recenti amministrative trovano una parziale spiegazione in questo argomento. Perciò, a nostro avviso, non è più il tempo delle denunce, bensì di cercare di avanzare proposte credibili per riuscire a dare un contributo a quella parte della politica che può essere riformata. L'aspetto positivo di questa situazione e che sempre più spesso i cittadini, alle volte anche in maniera confusa e su questioni localistiche, si auto organizzano autonomamente non avendo più fiducia nelle istituzioni e nella politica. Gruppi che andrebbero, per quanto possibile, "recuperati" alla politica con la "P" maiuscola. Sicuramente la crisi della politica non è determinata solamente e unicamente dai suoi costi e dai privilegi che produce. Pesa senz'altro la caduta di ideologie e valori forti, anche contrapposti.Ma sicuramente anche rimanendo al solo fronte privilegi-costi della politica molto si può e si deve fare da subito.E questo è un compito che da subito le forze di sinistra debbono assumersi in prima persona. La destra infatti può pensare di ben vivere e svilupparsi in un contesto di "antipolitica", in cui regni il qualunquismo e la diffidenza verso i meccanismi democratici di partecipazione e decisione. La sinistra in un clima di questo tipo invece è destinata alla sconfitta, soffre la disillusione dei suoi militanti ed elettori che vogliono contare, poter dire la loro e soprattutto essere ascoltati.Deludere ancora le attese degli elettori di sinistra, accrescere le distanze tra i palazzi e i cittadini, non è difficile da ipotizzare, porterebbe ad una sicura sconfitta elettorale del governo di centro sinistra. È giunto il tempo di lanciare proposte concrete: abolizione di tutti i privilegi degli eletti in materia pensionistica, riduzione di stipendi e indennità, trasparenza nei contributi e finanziamenti dei partiti e testate giornalistiche di partito, riduzioni delle consulenze a titolo oneroso, retroattività di queste disposizioni, abolizione delle province, accorpamenti dei comuni, gratuità della carica di consigliere di circoscrizione, ecc ecc.In questo senso un primo passo è stato fatto dalla proposta di legge presentata dai parlamentari Salvi e Spini.Naturalmente neppure questi provvedimenti possono essere risolutivi se non accompagnati da un radicale cambiamento del modo di fare politica che privilegi i contenuti e la partecipazione e che sappia respingere i richiami dei poteri forti e delle varie lobby che perseguono interessi personali o di parte.Riuscirà la sinistra del terzo millennio a proporre un orizzonte credibile per lo sviluppo del nostro paese nel rispetto dell'ambiente e dei diritti di tutti i cittadini? Dipenderà dalla passione politica che sapremo mettere in campo, dalla capacità di incontrarci, discutere, confrontarci. Questione morale, temi del lavoro e dell'ambiente, del sapere e della ricerca assieme alla riduzione dei costi della politica possono essere un buon inizio per ridare cuore, ragione, passione e autorevolezza alla politica. Una nuova e rinnovata sinistra in campo che non urla le sue verità, che non può ne oggi ne domani essere avversaria del Partito Democratico ma suo leale alleato, con idee e programmi di rinnovamento di stampo europeo.Claudio CalligarisGuerrino CecottiUdine.

 

 


Eurotendenze.info 1-6-2007  - Daily News by APCOM -   EUROSTAT: IN I TRIMESTRE 2007 PIL IN EUROZONA +0,6% , +3% SU ANNO. L'Italia è ultima con lo 0,2 %

Bruxelles, 1 giu. (Apcom) - Il prodotto interno lordo (Pil) della zona euro e dell'Ue a 27 è cresciuto dello 0,6 per cento nel primo trimestre del 2007 rispetto all'ultimo trimestre del 2006. Lo ha reso noto oggi Eurostat, l'ufficio statistico delle comunità europee, nella sua prima stima sulla crescita del primo trimestre di quest'anno. La crescita del trimestre precedente era stata dello 0,9 per cento. Su base annua (rispetto al primo trimestre 2006), le stime di crescita sono del 3,0 per cento nell'eurozona e del 3,2 per cento nell'Ue a 27.

Fra i grandi paesi dell'Unione, su base trimestrale la Spagna mantiene il tasso di crescita più elevato con l'1,1%, seguita dalla Gran Bretagna allo 0,7 per cento e da Francia e Gernania allo 0,5 per cento.

L'Italia è ultima con lo 0,2 per cento, dopo l'1,1 per cento dello scorso trimestre. Su base annua, in testa sempre la Spagna al 4,1%, seguita da Germania al 3,6 per cento, dalla Gran Bretagna al 2,9 per cento. Chiudono l'Italia al 2,3 per cento e la Francia al 2 per cento.


La Repubblica  1-6-2007 Interrogazioni contro Iorio, governatore del Molise. (g. cap.).

 

Ds: in Molise il governatore aiuta i parenti

ISERNIA - Per il governatore del Molise, Michele Iorio, la famiglia viene prima di tutto. Lo denunciano le opposizioni in consiglio regionale, indicando incarichi e presunti benefit ottenuti da fratelli, sorelle, figli e nipoti. La "parentopoli" molisana è contenuta in una serie di interrogazioni del capogruppo dei Ds Michele Petraroia. E si svolge quasi tutta ad Isernia. Si parte da uno dei rampolli di casa Iorio, Raffaele, che in città ha aperto qualche settimana fa un centro privato di riabilitazione, proprio mentre la Regione, attraverso l'azienda sanitaria, decideva di chiudere il reparto di ortopedia dell'ospedale e trasferirlo alla vicina Venafro. Di figli, il governatore ne ha tre. Anche Luca e Davide hanno trovato, durante il governo paterno, ottimi impieghi. Il primo, è stato assunto all'ospedale, come chirurgo, entrando a far parte dello staff del discusso medico Cristiano Huscher, al centro di diverse vicende giudiziarie e fortemente voluto ad Isernia, proprio dall'azienda sanitaria regionale. Davide invece lavora nel privato. E' in forza a finanziaria svizzera. Coincidenza vuole che questa società abbia gestito la cartolarizzazione dei debiti della Regione, relativi proprio al buco sanitario. Ha poi motivo di ringraziare il governatore anche la sorella Rosetta. Nelle recentissime elezioni amministrative è risultata la più votata dei cinquecento candidati al consiglio comunale, pur essendo alla sua prima esperienza politica. Ora la attende un incarico di vicesindaco o un posto di riguardo nella giunta. Rosetta Iorio è stata anche nominata direttore del distretto sanitario della stessa città. Suo marito, Sergio Tartaglione, invece, è primario all'ospedale civile, sempre qui. Nello stesso ospedale lavora anche il fratello del governatore, Nicola Iorio, neo primario del nuovissimo reparto di neurofisiopatologia, al centro di polemiche perché poco frequentato, visto la specificità della patologia. (g. cap.).

 


L’Unità 1-6-2007 Gli impuniti Marco Travaglio

 

A furia di parlare degli scandalosi costi della politica, si trascura l'aspetto forse più odioso della Casta degl'Intoccabili: il ritorno surrettizio dell'immunità parlamentare, abrogata nel '93 in un sussulto di dignità dal Parlamento degl'inquisiti. Caduta per le indagini, l'autorizzazione a procedere restò per arresti, intercettazioni e perquisizioni, che però può essere negata solo quand'è provato il "fumus persecutionis". Cioè in casi eccezionalissimi. Restò anche l'insindacabilità per le opinioni espresse e i voti dati "nell'esercizio delle funzioni parlamentari", molto ampliata nel 2003 con la legge Boato-Schifani: si stabilì pure che i giudici non possano, senza il permesso delle Camere, usare le intercettazioni quando un indagato intercettato parla con un parlamentare. Per usarle, a carico del cittadino comune come del parlamentare, occorre il permesso del Parlamento. Che lo nega sistematicamente. Così Montecitorio e Palazzo Madama son tornati a essere quello che erano prima di Tangentopoli: come le chiese e i conventi del Medioevo. Chi entra lì dentro, può aver fatto o fare quel che gli pare. Previti, interdetto in perpetuo dai pubblici uffici il 4 maggio 2006, è ancora deputato a nostre spese: l'altro giorno la giunta ha votato per cacciarlo, ma l'iter è ancora lungo e non si vede francamente perché, visto che la decisione l'ha già presa la Cassazione, inappellabile e immediatamente esecutiva. In 61 anni di storia repubblicana si son potuti arrestare solo 4 deputati su 61 candidati alle manette: 2 richieste accolte per l'ex partigiano comunista Franco Moranino, condannato per 5 omicidi; una per il fascista Massimo Abbatangelo, coinvolto in storie di armi; una per il missino Sandro Saccucci, omicidio e cospirazione. Nel primo anno della legislatura, tre richieste di arresto: tutte respinte coi voti determinanti di parte dell'Unione oltre a quelli, scontati, della Cdl. La prima riguardava Vittorio Adolfo (Udc), indagato per turbativa d'asta, corruzione e truffa aggravata. Respinta. La seconda era per l'ex governatore pugliese Raffaele Fitto (FI), proposto per gli arresti domiciliari per aver ricevuto 500 mila euro dalla famiglia Angelucci in cambio ­ secondo l'accusa ­ dell'appalto da 198 milioni per 11 residenze sanitarie assistite. Respinta con applausi bipartisan e abbracci festosi per l'onorevole miracolato. La terza investiva il forzista Giorgio Simeoni, ex vicepresidente della giunta Storace, eletto deputato, coinvolto nello scandalo della sanità del Lazio e accusato da "Lady Asl" (arrestata in quanto non parlamentare: non ancora). Secondo l'accusa, Simeoni "usava il suo ruolo per appropriarsi di denaro pubblico in modo reiterato" e "inquinava le prove". Nella giunta per le autorizzazioni a procedere l'Unione aveva annunciato il sì all'arresto, ma all'ultimo momento ha cambiato idea e ha votato no. Solo Vacca (Pdci), Palomba (Idv) e Samperi (Ulivo) han votato a favore. Arresto negato, Simeoni salvato. Poi c'è l'abuso di insindacabilità. L'onorevole o il senatore diffamano o calunniano un privato cittadino; questo querela o chiede i danni; il Parlamento annulla il processo perché il suo membro agiva "nell'esercizio delle sue funzioni". Qui, per fortuna, i giudici possono ricorrere alla Consulta, che sempre più spesso cancella il voto parlamentare, stabilisce che le Camere hanno abusato del proprio potere e sblocca il processo. È accaduto per Previti che aveva diffamato l'Ariosto, per Iannuzzi e Sgarbi specializzati nel diffamare i pm di Milano e Palermo, per Bondi che se l'era presa con due ginecologi favorevoli alla fecondazione assistita, per la Maiolo che aveva insultato il giudice Almerighi, per Bossi che voleva "pulirsi il culo col Tricolore", per Boato che aveva lanciato accuse al gip Salvini. La Camera aveva salvato persino il ds Rocco Loreto, imputato non per le sue parole, ma per calunnia e violenza privata, cioè per aver convinto un imprenditore a calunniare un giudice. Nelle ultime settimane il Parlamento ha negato ­ sempre coi voti della Cdl e di un bel pezzo di Unione ­ l'ok alle intercettazioni nei processi a carico di Altero Matteoli di An (imputato di favoreggiamento) e Michele Ranieli dell'Udc (concussione). E tra poco si vota sulle telefonate dei furbetti del quartierino e su quelle del duo Guzzanti-Scaramella. Gentilissimi politici preoccupati per la crisi della politica, ci fate sapere qualcosa? Uliwood party.

 


 

Europa 1-6-2007  Qualcosa da dire a Romano Prodi  STEFANO MENICHINI

Due cose, con il rispetto dovuto al fondatore dell’Ulivo, a colui che è stato il punto di riferimento del centrosinistra per dodici anni, andrebbero dette a Romano Prodi.
La prima: che se vuole un segretario alle sue dipendenze che si occupi degli affari correnti del Partito democratico, se lo può prendere dallo staff di palazzo Chigi. Così comincia anche a sfoltire i ranghi. La seconda: che se c’è qualcuno che in questo momento ha dei problemi con il presidente del consiglio, questi è il popolo italiano. Non chi vorrebbe dare una guida autentica, dinamica e di prospettiva al Pd.
Alla radice del conflitto in corso c’è un errore di analisi. Siccome per anni s’è detto e scritto – ed era vero – che la debolezza di Prodi nasceva dal non avere un partito dietro di sé, s’è coltivata l’idea che l’Ulivo prima, poi la Margherita, infine il Pd potessero servire a colmare l’aporia.
Dell’Ulivo e della Margherita non parliamo, è storia passata. Ma sul Partito democratico abbiamo le idee chiare: dal punto di vista politico e persino storico, non potrà essere il partito di Prodi perché casomai sarà il contrario, ovvero il partito col quale il centrosinistra esce dalla stagione di Prodi. Cioè la stagione di Prodi-Berlusconi- Prodi-Berlusconi, eccetera eccetera.
Ciò che accade in questi giorni c’entra solo in parte con i destini del governo. Essi non dipendono dalla competizione per la leadership ulivista, ma dalla capacità residua di ricostruire un rapporto di fiducia con gli italiani. Dalle scelte che verranno fatte, dall’equilibrio possibile fra le posizioni della sinistra comunista e quelle riformiste, dalla rapidità con cui si darà esecuzione al perfetto programma riformista suggerito ieri dal Governatore Draghi: meno spesa corrente, meno tasse, più investimenti.
Le chance di palazzo Chigi sono legate alla capacità di vincere il braccio di ferro con le corporazioni.
Di chiudere la partita sulle pensioni.
Di rispettare l’impegno a tagliare i costi dell’amministrazione pubblica centrale e periferica.
Il Partito democratico ha un altro lavoro da fare, e per questo lavoro ha bisogno di un’altra guida politica. Deve giocare d’anticipo sul terreno dello scontro prossimo venturo con la destra.
Deve far capire agli italiani che tipo di paese ha in mente per il futuro. Una roba alla quale il governo attuale – neanche per suoi demeriti, ma per le condizioni oggettive, il risultato elettorale, i numeri parlamentari – può appena alludere.
Il governo va difeso, e deve soprattutto difendersi da sé (a solo evocare il ’98 c’è da mettere mano alla pistola). Prodi può reggere ancora molto, poco, o così così. Comunque, non basterà la sua resistenza a proiettarci dentro la stagione nuova che serve all’Italia. Ci vuole altro, e ci vogliono altri, da far scegliere a quel popolo ulivista che è stato tirato in ballo tante volte, per anni, anche un po’ a sproposito. A noi pare un’idea molto ulivista. Diremmo prodiana.


 

Europa 1-6-2007 La sconfitta ha molti padri, ma il premier migliori il governo anziché legarlo al collo del Pd  FEDERICO ORLANDO RISPONDE

Cara Europa, ho letto sul Corriere della sera la “reprimenda” di Burlando a Marta Vincenzi, che, pur perdendo moltissimi voti rispetto a Pericu, ci ha consentito di salvare la città dall’alluvione lanzichenecca. Alla Vincenzi, che lamentava lo scarso sostegno ricevuto in campagna elettorale, Burlando ha replicato che l’aiuto del partito c’era stato e che il centrosinistra non ha bisogno di Giovanne d’Arco. Sarà. Ma non mi sembra il modo di affrontare l’emergenza.
LELIO BAGNASCO, GENOVA

 

Lei ha ragione, caro Bagnasco. I politici debbono smetterla di scaricarsi delle responsabilità delle sconfitte e correggere i propri errori. Non conosco i casi di Genova da vicino, ma la perdita dei voti dell’Unione ha una sola concausa in tutta Italia: essa si chiama governo Prodi, rissosità della coalizione, incapacità della sinistra di distinguere tra politiche di nicchia e politiche di governo, refrattarietà di Ds e Margherita a costruire un partito nazionale generale, il Pd, che doveva essere fondato col popolo e dal popolo e invece a molti elettori è apparso sacrificato alla carriera della Casta. In questo quadro, credo tuttavia che il governo Prodi – come sostengono i suoi critici più costruttivi, da Ferrara a Sergio Romano – pur portando le responsabilità massime, abbia l’attenuante d’aver affrontato una crisi finanziaria abissale e d’averla curata, sia pure con lacrime e sangue. Si aggiunga che questo è un paese dove, se non paghi le tasse, tutti ti applaudono come uno capace di “fregare il governo”; se le paghi ti dissangui; se i carabinieri restano in caserma non c’è sicurezza, se vanno a scuola a prelevare teppistelli dediti all’hashish i presidi insorgono (si sentono extraterritoriali) e le famiglie pure; se le convochi a San Giovanni, non per indicare “quali” politiche per le famiglie ma solo per dire come Pezzotta “abbasso i Dico”, accorrono in un milione, ma se preti pedofileggiano all’oratorio, o mariti uccidono mogli incinte di 8 mesi, o bimbe pugnalano madri e fratellini, o padri stuprano figli e figlie, o costoro massacrano genitori per soldi, il problema viene rimosso dal popolo sperando che ci sia di mezzo un extracomunitario, dalla Cdl provando a introdurre la censura su Santoro, dalla stampa relegando le storie di quel porcaio di lussurie e crimini che spesso è la famiglia nelle pagine della cronaca nera. E perché non abolire anche questa, come già fece Mussolini? Il quale, tuttavia, concluse che “Governare gli italiani non è difficile, è inutile”. Anche Prodi deve convincersene, ma, poiché non ha il diritto di trascinare tutti in un altro 25 luglio o 25 aprile, separi le sue responsabilità di governo (un governo dimagrito, che restituisca le tasse – Ici in testa –, che si occupi di autostrade, Tav, centrali e termovalorizzatori) e consenta al Partito democratico di nascere e vivere federativo e pluriculturale, senza l’ossessione di una balia il cui latte non è piaciuto alla cittadinanza e potrebbe risultare indigesto anche al neonascente partito.


 

Il Riformista 1-6-2007 Il Pd non aiuta il governo, il governo fa male al Pd. di Claudia Mancina


Sta accadendo una cosa imprevista: anziché essere il Partito democratico a rafforzare il governo, è il governo a indebolire il Partito democratico. Il timore di Prodi di essere delegittimato dal leader del partito è comprensibile; la sua rivendicazione che leader e premier debbano coincidere nella stessa persona, è corretta rispetto a una situazione stabile, a partito già consolidato. Ma la situazione attuale - anche prima del cattivo risultato delle amministrative - è tutt’altro che solida. Si tratta di costruire il partito e dargli rapidamente un profilo, per farne un protagonista del sistema politico. Di più: nessuno si nasconde che bisogna recuperare una tendenza già negativa, e per questo ci vuole un fortissimo impegno ideale e organizzativo. Tutto ciò richiede una scelta significativa, sia rispetto alla persona, sia rispetto alla procedura di elezione. Sarebbe veramente miope interpretare ciò che sta avvenendo come uno smarcamento dei dirigenti dell’Ulivo dal governo o come un assedio a Prodi. È evidente che il governo non è in ottima salute e non si può correre il rischio di trovarsi senza governo e senza partito. Con i congressi di poche settimane fa Ds e Margherita hanno davvero bruciato i vascelli, come disse Parisi. Non si può tornare indietro; dunque si deve andare avanti, e questo comporta che il partito dev’essere salvaguardato, al di là del governo e della stessa legislatura.
Il Partito democratico non è di Prodi né di nessun altro: è dei cittadini che lo sceglieranno, e dei militanti che hanno deciso di trasferire in esso la loro storia. È quindi del tutto positivo che finalmente i capi dei due partiti abbiano deciso di affrontare il problema del leader, per quanto possa essere complicato. Un nuovo partito non nasce senza un leader riconoscibile; questo non può essere Prodi, che è il capo di una coalizione composita e deve rispondere a tutti i partiti che la compongono. Anche se è inevitabile rinviare la scelta del candidato premier a un momento più vicino alle elezioni, ci vuole un segretario, non un portavoce. Un segretario che potrà concorrere, quando quel momento sarà arrivato, per essere scelto come candidato premier, alla pari con tutti gli altri.
C’è da chiedersi però come mai questo passaggio difficile non sia stato previsto, e preparato per tempo. Ci volevano le elezioni per capirne la necessità e anche l’urgenza? Il centrosinistra sta dando l’ennesimo triste spettacolo, che certo porterà un contributo non piccolo alla crisi della politica di cui si parla. C’è un modo per riprendersi? Sì, se si cambia decisamente stile. Un primo test è quello relativo alle modalità di elezione del leader. C’è chi vuole le primarie, chi invece propone una elezione da parte dell’assemblea costituente, anche per differenziare la base di legittimità di questa carica da quella di Prodi. Ci sono argomenti a favore e contro entrambe le soluzioni: la prima ha maggiori possibilità di coinvolgere l’elettorato, e quindi di determinare un evento politico positivo, di cui il Pd ha molto bisogno. La seconda, oltre a non ferire la sensibilità del premier, sembra una investitura più adatta per non condizionare le scelte future. Ma ciò che conta, qualunque sia la procedura seguita, è che l’elezione scaturisca da un processo politico reale, da un dibattito sulle idee e sulle proposte, e non da una decisione di vertice, che inevitabilmente avrebbe un sapore oligarchico.
L’assemblea costituente si avvicina. Non ci si può arrivare discutendo solo di cariche e di liste. Sono cose importanti, certamente; ma più importante, se si vuole costruire un consenso intorno a questo nuovo partito, è discutere le sue idee, elaborare la sua cultura politica. Anche le elezioni amministrative, con la sconfitta al Nord, ci dicono che c’è un problema di cultura politica: quella del centrosinistra, a quanto sembra, è vecchia e arretrata rispetto alla parte più dinamica del paese. I partiti servono per questo: per discutere, analizzare, elaborare, raccogliere proposte; la scelta dei leader si fa sulla base di una battaglia delle idee. In Europa è così. E in Italia?

 


 

La Repubblica 1-6-2007  I tagli della politica e la governabilità Fino ad oggi è stato privilegiato il valore della rappresentatività rispetto a quello della capacità decisionale del Parlamento MASSIMO RIVA

 

Bella l'appassionata difesa del Parlamento da parte di Stefano Rodotà. Bella, ma anche pericolosa. Nel suo generoso e condivisibile tentativo di arginare la marea montante dell'antipolitica, infatti, l'amico Rodotà rischia di fornire - certo senza volerlo - ottimi argomenti a coloro (e non sono pochi) che in realtà intendono lasciare le cose come stanno nell'inconfessabile speranza che anche questa ondata di confuso malcontento prima o poi passi, come sovente accade in questo paese. Perché sarà giusto sostenere che la riduzione del numero dei parlamentari andrebbe coordinata con una riforma più articolata delle funzioni delle due Camere, di cui lo stesso Rodotà offre alcune argomentate esemplificazioni. Ma forse è altrettanto giusto riconoscere che la praticabilità politica di una ridefinizione complessiva dell'istituto parlamentare è oggi pari a zero. Almeno alla luce degli equilibri numerici dell'attuale Senato, ma anche politici della Camera dei deputati. Insomma, sarebbe ottima cosa rivedere un defatigante bicameralismo perfetto o rendere più cogente, per esempio, l'iniziativa legislativa popolare. Altrettanto lo sarebbe immaginare che i nostri parlamentari possano disporre di staff e di servizi analoghi a quelli che operano nel Rayburn Building di Capitol Hill. Ma Roma non è Washington. Non lo è sotto il profilo dell'impianto costituzionale: la nostra, nonostante tutto, è e rimane una democrazia parlamentare, mentre negli Usa il Congresso fronteggia un esecutivo presidenziale dai poteri forti, talora prepotenti. Ma non lo è anche sotto il profilo funzionale: i tempi decisionali delle nostre Camere sono incomparabili con quelli altrui. Non per caso perfino il presidente della Repubblica si è appena sentito in dovere di intervenire sulla questione per sollecitare il Parlamento a darsi, come s'usa dire, una mossa in termini di efficienza. In quest'ambito la secca proposta di ridurre il numero dei parlamentari - per esempio, a 400 deputati e 200 senatori - può apparire semplificatoria rispetto alla complessità dei problemi. O, peggio, potrebbe sembrare perfino una capitolazione dinanzi al cretinismo antiparlamentare - quando non antidemocratico - che anima sotto traccia molte delle attuali critiche ai costi della politica. E però, proprio perché esiste questo rischio, chi opera dentro la cultura politica della sinistra dovrebbe tenere ben dritte le orecchie. Si tratta di non ripetere in materia errori i cui effetti, in altri campi, stanno venendo clamorosamente alla luce. Un primo esempio: è vero che sotto un diffuso disagio popolare in tema di gestione dell'immigrazione covano spinte sia di razzismo latente sia di miope autarchia economica. Ma coi loro malcerti modi di contrastare questi minacciosi impulsi, partiti e amministratori della sinistra hanno finito per perdere contatto con molte realtà sociali scomode. I risultati di questo astratto arroccamento in difesa di valori per altro sacrosanti si sono appena visti nelle ultime elezioni in grandi capoluoghi del Nord. Dove la sconfitta è stata duplice, perché a quella numerica nelle urne occorre sommare quella politica di avere regalato più potere e spazio proprio a chi fomenta l'intolleranza sociale. Un secondo esempio: è vero che le resistenze interne alla sinistra sul nodo delle pensioni (età di quiescenza e coefficienti di calcolo) mette radici in un disagio diffuso fra coloro che si sentono prossimi al ritiro dal lavoro. Un disagio che i sindacati rappresentano con forza, forse anche con qualche eccesso. Ma è altrettanto un fatto che non voler completare oggi la riforma del sistema significa anche fare una precisa scelta di classe, ancorché generazionale: cioè, proteggere gli interessi dei padri contro quelli dei figli, come s'è fatto per decenni lasciando correre il debito pubblico. E anche in questo caso gli effetti si vedono. A che serve che i partiti di sinistra si lamentino della scarsa propensione dei giovani all'impegno politico oltre che al voto? Come si può attirarli se gli si governa contro? Sulla questione dei costi della politica la sinistra si trova dinanzi a un bivio assai simile a quelli descritti. Lasciare spazio alla destra perché possa cavalcare demagogicamente il disagio popolare ovvero assumere proprie, rapide e forti, iniziative? Lasciamo perdere le proposte di cui più si parla - come la revisione dell'età per i vitalizi o la soppressione dei consiglieri circoscrizionali - che stanno a metà fra il placebo e il rito pseudopenitenziale, come lo chiama sarcasticamente il ministro Bersani. Non si tratta stavolta di contare le foglie degli alberi, ma di incidere sulla dimensione della foresta. Insomma di cominciare dal flusso maggiore dei costi della politica - il numero dei parlamentari - per poi poter proseguire a cascata sul resto. In chiave di cultura politica soprattutto di sinistra, questo passaggio comporta una riduzione anche del livello di rappresentatività del Parlamento. Perché una simile operazione è anche una riforma elettorale implicita in quanto alza e non di poco il quoziente necessario per l'accesso a Montecitorio e a Palazzo Madama. Ma è proprio qui la scelta da compiere. La scarsa efficienza del Parlamento dipende in larga misura dal fatto di avere finora privilegiato il valore della rappresentatività rispetto a quello della capacità decisionale. Come dimostra la proliferazione di gruppi parlamentari e il potere di condizionamento sulle scelte nelle mani di forze politiche, magari di piccola presa nel paese ma di sovrabbondante potestà in Parlamento. La sinistra può continuare a pensare che il tenore della rappresentatività debba essere un valore superiore e perciò fissarlo nel bronzo della nuova riforma elettorale. Il prezzo che rischia di pagare per questa sua scelta è già alto oggi in termini di governabilità, potrebbe rivelarsi esiziale domani se alla destra si farà il duplice regalo di lasciarla coltivare il fertile campo del malcontento popolare e di sottrarsi al banco d'esame della riduzione dei parlamentari, tema sul quale non sarebbe male veder ballare anche i seguaci di Berlusconi, Bossi e Fini. Poi, di sicuro, ci sono anche altre riforme da fare per riqualificare il Parlamento. Il meglio, però, è sempre stato nemico del bene.

 


 

La Repubblica 1-6-2007   La Ue contro l'Italia "Gli incentivi dati con la Finanziaria 2004 sono aiuti di Stato" Economia La Commissione ha avviato un'indagine formale. Gli istituti di credito potrebbero dover restituire quasi 600 milioni Banche.   ALBERTO D'ARGENIO

 

BRUXELLES - Nove banche italiane sono finite nel mirino della Commissione europea per gli incentivi fiscali introdotti dalla Finanziaria del 2004 che hanno permesso loro di sbloccare le plusvalenze realizzate con le privatizzazioni degli anni '90 dietro il pagamento di un'imposta ridotta. E se l'indagine formale aperta ieri da Bruxelles confermerà i sospetti dalla responsabile Ue per la Concorrenza, Neelie Kroes, gli istituti di credito saranno costretti a restituire alle casse pubbliche i 586 milioni di euro che hanno risparmiato grazie alla tassazione di favore creata dal precedente governo senza notificarne il contenuto all'Unione europea. A non convincere Bruxelles è la norma inserita nella manovra di tre anni fa che consente agli "ex istituti di credito di proprietà dello Stato di sbloccare i capitali latenti generati dalle ristrutturazioni aziendali degli anni Novanta attraverso il pagamento dell'imposta nominale del 9% al posto di quella ordinaria applicata alle società del 37,5%". In particolare, la Commissione ricorda che con la legge del 1990 sulla privatizzazione degli istituti di credito è stata attuata una vasta riorganizzazione delle banche pubbliche, mentre la Finanziaria del 2004 ha introdotto la possibilità di rimettere in circolo le plusvalenze latenti derivanti da tali privatizzazioni - fino a quel momento rimaste congelate sotto forma di riserve di capitale - pagando un'imposta ridotta e per di più spalmabile in tre rate senza interessi (l'ultima è stata versata nel 2006). E secondo le informazioni raccolte da Bruxelles diversi gruppi bancari hanno riallineato il valore dei loro attivi proprio sfruttando il regime fiscale favorevole sui 2 miliardi di euro di plusvalenze realizzate con le ristrutturazioni dello scorso decennio Nel mirino della Commissione sono quindi finite nove banche, ma il portavoce della Kroes ha spiegato che Bruxelles non ne conosce l'identità (a parte Banca Intesa, secondo indiscrezioni). Una situazione paradossale, praticamente un'indagine contro ignoti, che viene spiegata sottolineando che al tempo dell'approvazione degli incentivi l'Italia non ha notificato all'Ue la loro introduzione, spingendo così la Kroes ad interessarsi del dossier di propria iniziativa e basandosi su semplici notizie di stampa. Ad ogni modo Bruxelles teme che "lo sblocco delle plusvalenze potrebbe incidere in misura eccessiva sull'attuale processo di consolidamento dei conglomerati bancari nell'Ue senza contribuire in modo significativo allo sviluppo economico". Insomma, gli incentivi "potrebbero produrre un impatto negativo sulla concorrenza" attraverso "un aumento del valore economico delle banche agli occhi degli investitori e degli acquirenti aziendali". Il che porterebbe gli incentivi ad essere condannati in quanto aiuti di Stato contrari alle regole comunitarie. Per spazzare il campo da ogni dubbio la Commissione ha quindi deciso di aprire un'indagine formale, passo che permetterà ai tecnici della Kroes di "valutare in maniera più approfondita la misura e di calcolare l'entità del vantaggio fiscale" e alle parti coinvolte di inoltrare a Bruxelles le proprie difese.


 

L’Arena di Verona 1-6-2007 Vari gli istituti multati dalla Consob La Consob sanziona anche Banca Popolare per i bond Argentina Multa di quasi 182mila euro ai vertici

 

La Consob ha applicato sanzioni amministrative pecuniarie di 181.900 euro a 25 componenti dei vertici (consiglieri e amministratori) del Banco Popolare di Verona e Novara per volazioni commesse nella negoziazione di bond Argentina, Cirio e Parmalat nel 2001, quando, cioè, si chiamava ancora Banca Popolare di Verona-Bsgsp. Le multe sono arrivare a seguito dell'attività ispettiva della Commissione di vigilanza che aveva coinvolto anche vari altri istituti di credito tutti sanzionati anche essi (tra cui Bnl, Pop Ancona, Credem, Carifirenze, Antonveneta, Agricola Mantovana, Cassa di Risparmio Torino-Unicredit, Banca di Roma-Capitalia, Cariplo-Comit-Intesa, San Paolo Imi, Credito Italiano-Unicredit, Bpm). Le sanzioni complessivamente applicate sono state pari in totale a 10,6 milioni di euro. Per il Bpvn l'importo della multa varia da un minimo di 5.900 a un massimo di 11 mila euro, mentre per gli altri istituti si arriva anche 52.600 euro, in proporzione alle irregolarità riscontrate dalla Consob. Irregolarità che vanno dall'"assenza di procedure idonee allo svolgimento del servizio di negoziazione in conto proprio" alle informative agli investitori alle ricezioni e trasmissione di ordini. Al banco sono state contestate I reclami presentati al Banco per i bond Argentina, Cirio e Parmalat nel 2005 sono stati 943, in netto calo rispetto ai 1.307 dell'anno prima.


 

L’Unità 1-6-2007 Cuffaro: i miei 11.700 euro al mese non si tagliano Costi della politica, l'Unione attacca. E Il governatore siciliano: 500 euro di multa agli assenteisti

 

Palermo Costi della politica, il dibattito investe anche la Sicilia. Il giorno dopo l'ennesimo rinvio dell'assemblea regionale per assenteismo, i Ds aprono la polemica: il capogruppo all'Ars Antonello Cracolici, presenta un disegno di legge contro gli sprechi, la leader dell'Unione, Rita Borsellino, propone che ogni sei mesi il consiglio regionale presenti un rendiconto ai cittadini sul lavoro d'aula e il contenimento dele spese. Ma il governatore Totò Cuffaro dice, intanto: "Non voglio essere ipocrita. Guadagno 150 mila euro all'anno che è un quinto di quanto guadagna l'onorevole Michele Santoro. E io ho qualche spesuccia in più di lui, se non altro per tutti i regali di cresima e matrimonio a cui vengo invitato". Il suo stipendio non si tocca: "Avendo scelto di non rubare non mi scandalizza la mia busta paga", osserva. Ed elenca: "Prendo al mese 8.500 euro, più l'indennità da presidente della regione, altri 3.200 euro al mese. Il totale è di tutto rispetto: 11.700 euro. Però "cominciare a discutere di tagli ai compensi è solo ipocrisia. Non capisco il presidente della Camera, Fausto Bertinotti che dice che deve tagliare lo stipendio ai parlamentari del 50%. Avremmo un Parlamento di imprenditori che non hanno problemi di soldi nel mantenere la segreteria e la famiglia. Non è che un parlamentare regionale debba guadagnare quanto un dipendente pubblico". Giù le zampe dagli emolumenti. Meglio contingentare i tempi di intervento in aula dei deputati e multare di 500 euro gli assenteisti. Il centrodestra - c'è da sorprendersi? - è tutto d'accordo con il governatore della Sicilia. Da An, con il presidente della commissione affari costituzionali all'Ars Nicola Cristaldi, arriva il richiamo sulla "lentezza esasperante di trovare soluzioni ai problemi dei cittadini" e l'invito a maggioranza e opposizione di trovare soluzioni per rivedere la legge elettorale per i Comuni e le province, ma anche il sistema che incide sui costi in maniera spropositata. Forza Italia, dice il capogruppo all'Ars Francesco Cascio è d'accordo con le multe e propone di pubblicare ogni giorno i nomi dei deputati assenti in aula e in commissione. Un'idea che "farà un po' di rumore ma non risolve il problema", ribatte Tonino Russo, segretario dei Ds siciliani: "L'improduttività dell'Ars, infatti, dipende dall'assoluta mancanza di proposte del governo e dalla continua litigiosità della maggioranza, che non riesce a mettersi d'accordo e paralizza il parlamento. Se si aggiunge l'inadeguatezza del presidente Miccichè, ne viene fuori un cocktail micidiale per la Sicilia".


 

Il Giorno 1-6-2007 I tagli uguali per tutti non ci stanno bene. Massima inefficienza a Roma Formigoni difende i costi della politica lombarda di ROSSELLA MINOTTI

 

? MILANO ? "CHE SIA CHIARO, i luoghi della massima inefficienza in Italia sono lo Stato e il Parlamento". Attacca invece di difendersi, il presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni, dopo le recenti polemiche sui costi della politica. E contrattacca coi numeri per sottrarsi a quella che definisce "una scorciatoia fuorviante", quella dei "tagli per tutti". Perché si dovrebbe tagliare una regione che, dati alla mano, ha il più basso numero di consiglieri per abitanti? NON SOLO. Il governatore descrive i molti virtuosismi della sua gestione: dipendenti ridotti da 4.109 a 3.000, dirigenti da 660 a 250, aziende sanitarie da 85 a 44. In realtà, controbatte il consigliere di opposizione Luciano Muhlbauer (Prc), "questi lavoratori mancanti continuano a essere pagati dal contribuente lombardo. Infatti si tratta di centinaia di lavoratori dei centri di formazione professionale passati dalla Regione alle Province, di un altro nutrito gruppo trasferito dal Pirellone all'Arpa, e di molti precari dipendenti di varie cooperative che lavorano direttamente per l'amministrazione regionale". In sostanza, per l'opposizione si tratterebbe di esternalizzazioni e trasferimenti. D'accordo anche la Margherita, mentre Ds e Verdi puntano il dito contro la spesa per la comunicazione che, denunciano, ammonta a 15 milioni di euro l'anno. MA SONO anche altri i numeri che fanno paura. Quelli dati dall'assessore alle Finanze Romano Colozzi: "Ogni giorno per i ritardi nel trasferimento dei soldi dal Governo centrale alla sanità lombarda paghiamo 220mila euro di interessi. In una settimana vengono divorate risorse pari al costo di un anno di tutte le auto di servizio della Regione e in soli due giorni quelle pari al costo di tutte le spese di rappresentanza di un anno". Quindi urge il federalismo fiscale, ma su questo ormai sono tutti d'accordo in Lombardia. Ma intanto, niente tagli per tutti. ANCHE PERCHÉ secondo Formigoni la Lombardia si conferma "regione virtuosa anche dal punto di vista della trasparenza. Siamo stati i primi a iscriverci al sistema Siope, che rende i bilanci leggibili da tutti". E poi, ribadisce, i costi della politica "vanno analizzati anche in base al rapporto costi-benefici per il cittadino". E in effetti i 40 euro per abitante, ossia il costo del funzionamento dell'intero ente Regione, non sono molti se raffrontati alla media di 80 delle altre regioni. Lunedì il presidente della Regione incontrerà a Roma il presidente del Messico Felipe Calderon in visita in Italia. "Tra i temi che affronteremo - ha preannunciato Formigoni - la candidatura di Milano per l'Expo 2015 (il Messico è infatti uno dei 98 Paesi Membri del Bie - Bureau International des Espositions chiamati a decidere sulla sede); l'organizzazione della terza Conferenza Nazionale sull'America Latina che si svolgerà a Roma dal 14 al 18 ottobre e la proposta di una nuova Intesa tra Regione Lombardia e Stato di Nuevo León per l'avvio di collaborazioni in campo economico e formativo".


 

L’Unità 1-6-2007 I costi della politica? Noi abbiamo fatto così Gian Mario Spacca (Presidente della Giunta regionale Marche.)

 

Il tema della riduzione dei costi della politica è da giorni al centro del dibattito ed accoglie autorevoli interventi. Martedì, su queste stesse pagine, il presidente Errani ha lanciato la proposta di un "patto tra le Regioni" per offrire soluzioni positive ad un tema che chiama in causa l'intero sistema politico. Accolgo questa sollecitazione e propongo di avviare un processo che coinvolga le autonomie locali. D'altro canto le Regioni sono state chiamate in causa dallo stesso ministro Lanzillotta che ha invitato i Presidenti a ridurre del 10% le spese della pubblica amministrazione, agendo su indennità dei consiglieri, società partecipate e struttura organizzativa. Intendo testimoniare l'esperienza della Regione Marche che ha avviato un'azione di riforma del sistema politico e amministrativo con risultati che vanno esattamente nella direzione auspicata dal Governo. Nel periodo 2004/2006 la spesa pro-capite per il funzionamento della macchina amministrativa è scesa dai 105 ai 95 euro per ogni cittadino marchigiano. Nella sua relazione annuale la Corte dei Conti ha sottolineato come le Marche siano tra le Regioni che destinano alle spese istituzionali la minore quota di bilancio. È il risultato di una azione di semplificazione della struttura organizzativa, con un risparmio di 10 milioni di euro; della riduzione di due terzi dei posti nei Consigli di Amministrazione delle agenzie regionali, del numero degli enti strumentali. Nello stesso periodo le spese delle consulenze sono passate da oltre 3 milioni a 531 mila euro, le indennità dei Consiglieri regionali, Assessori, Presidente, dirigenti della sanità si sono ridotte del 10%. Insieme a queste misure di risparmio è cresciuta la capacità di attrarre risorse europee e la lotta all'evasione ha aumentato il gettito della fiscalità regionale. Questo ci ha permesso di aumentare le disponibilità di bilancio da dedicare allo sviluppo, alla sicurezza, alla protezione sociale ed al territorio. Alcuni dati sono significativi: nel periodo preso a riferimento, le risorse che la Regione ogni anno destina a ciascun cittadino, sono passate da 1.795 a 1.980 euro per la sicurezza e la protezione sociale, da 75 a 138 euro per lo sviluppo, da 181 a 223 euro per le infrastrutture territoriali e difesa dell'ambiente. Naturalmente si può fare di più e meglio. Ma per aumentare l'efficienza del sistema occorre anche la disponibilità del Governo. Un esempio concreto: quest'anno la Regione Marche ha pagato 32 milioni di interessi passivi per il mancato trasferimento, da parte dello Stato, di oltre 834 milioni di euro, di cui 504 derivanti dalle tasse addizionali regionali (Irap e Irpef). Una situazione paradossale, che drena risorse altrimenti utilizzabili e che finiscono per incrementare i costi impropri. Quindi, se è necessario tagliare, occorre anche aumentare le sincronie del sistema. Anche se appare lontana una soluzione per il federalismo fiscale, le Regioni devono poter contare su un rapporto più corresponsabile con lo Stato, dato che il sistema delle Regioni e delle Autonomie locali gestisce circa il 60% del totale della spesa per gli investimenti pubblici. Un dato che deve far riflettere, per evitare che il tema "dei costi della politica" assuma aspetti soltanto emotivi che non contribuiscono a migliorare l'organizzazione e l'efficienza del sistema. Ridurre i costi ed aumentare l'efficienza sono condizioni essenziali ma ancora non sufficienti. Serve anche qualcos'altro alla politica per recuperare la distanza dai cittadini. Occorre un colpo d'ali perché la sfida a cui la politica è chiamata è anche quella di sapersi riscoprire agenzia di senso e di orientamento. Si sente il bisogno di una politica che sappia progettare e farsi carico di quel governo della complessità che la società richiede. E qui si consuma il paradosso di un sistema politico che appare incapace di rispondere alle nuove sfide e che si allontana sempre più dalla società, proprio mentre quest'ultima si avvicina sempre più alla politica. Infatti, i cittadini non chiedono "meno politica", ma più politica. Una politica attenta, però, ai bisogni concreti, capace di garantire opportunità e diritti, efficiente ed efficace sia nel disegnare perimetri che nell'indicare direzioni. Chi si auspica e predica di poter fare a meno della politica fa male i suoi conti. Semmai si sente il bisogno di un "nuovo inizio", dove il senso del "progetto" sia nel comune sentire di valori condivisi e di una civile appartenenza. Se questo è ciò che ci viene richiesto, se fare politica deve essere inteso come un viaggiare insieme nella stessa direzione, occorre che sul grande autobus che accompagna la comunità verso il futuro ci sia anche scritto: "Per favore, parlate al guidatore". Allora fare politica può anche non essere difficile, se si ha la mente libera dai condizionamenti del consenso a ogni costo e dalla disperata ricerca delle rendite di posizione. Niente è più facile che perdere tutto per voler testardamente conservare ciò che si possiede e che non serve più.


La Stampa 1-6-2007  Bush: "La missione dell'America è portare la libertà" Il presidente Usa alla vigilia del viaggio in Italia: «La mia visita rafforzerà la determinazione di Prodi a Kabul» MAURIZIO MOLINARI

 

WASHINGTON
Cravatta rossa, spilla dorata a forma di bandiera sul risvolto della giacca grigia ed espressione determinata sul volto, il presidente americano, George W. Bush, ci accoglie nella sala della West Wing intitolata a Teddy Roosevelt, il precedessore repubblicano passato alla Storia per le riforme di inizio ‘900. Un quadro ritrae Roosevelt in divisa mentre è in sella a un cavallo bianco nella prateria. Sulla parete a fianco campeggiano le bandiere dei corpi scelti attorno a un mobile in legno con sopra il bronzo di un bisonte gigante impegnato a difendersi dall’assalto dei lupi. E’ in quest’ambiente ricco di simboli e richiami ai valori a lui più cari che Bush incontra «La Stampa» assieme ad altri giornali europei per presentare i messaggi di cui è portatore nel viaggio che inizia lunedì a Praga, prosegue in Germania per il G8 e Polonia e quindi farà tappa a Roma per gli incontri in Vaticano e Palazzo Chigi prima di proseguire alla volta di Albania e Bulgaria.

Quando si mette seduto al centro del tavolo con al fianco i consiglieri Stephen Hadley e Dana Perino Bush ha di fronte appunti preparati che non legge, due mentine che non tocca e un bicchiere d’acqua che resterà pieno fino al termine dell’intervista. Ha qualcosa da dire e lo vuole fare in maniera chiara, senza preamboli, riaffermando il proprio stile.

Presidente Bush, che cosa verrà a dire all’Europa?
«Vengo per discutere un’agenda basata sulla libertà, il G8 è al centro del viaggio assieme ai bilaterali in cui si discuterà di Iraq, Afghanistan e Iran, ma all’inizio parlerò a Praga al Forum della Democrazia di Havel per affermare con forza che il compito dell’America è promuovere la democrazia nel mondo, anche in luoghi che non sembrano troppo ospitali».

E la tappa a Roma?
«Vedrò per la prima volta Benedetto XVI e la mia intenzione è soprattutto di ascoltarlo. Poi vedrò il primo ministro Prodi che conosco da tempo, ricordo quando era presidente della Commissione Europea e ricordo anche quando ci incontrammo mentre stava correndo su una spiaggia della Georgia al summit del G8 del 2004, c’è fra di noi una forte amicizia».

Quali valori sente di condividere con Benedetto XVI?
«Il comune rispetto per vita e dignità dell’uomo. Credo che il Santo Padre è lieto del fatto che gran parte della nostra politica estera è basata sul principio secondo cui a chi molto è dato, molto è richiesto. Condivido con lui il desiderio di combattere la povertà e le malattie. Spendiamo 30 miliardi di dollari per combattere l’Aids in Africa, fra i molti che aiutano questi programmi per circa 30 milioni di persone vi sono enti cattolici. Sono orgoglioso dei tanti cattolici americani che si offrono volontari. Credo anche di condividere con Benedetto XVI il valore universale della libertà, che non è solo un’idea occidentale. La Storia ha dimostrato che le democrzie non si fanno la guerra e dunque la migliore maniera per raffozare la pace è promuovere le libertà. Spero che parleremo a lungo, è un solido pensatore, vado con mente molto aperta e sono pronto ad ascoltare».

Usa e Vaticano possono operare assieme su scenari come Cuba, Cina o Libano?

«Se il Papa vorrà, mi farà piacere parlare di Cuba e del suo desiderio di essere libera. Nel momento in cui c’è una transizone verso una nuova leadership il mondo deve lavorare per la libertà, non per la stabilità. In cima all’agenda non ci deve essere il nome di chi governa ma elezioni libere, stampa libera, liberazione dei prigionieri. Riguardo al Libano confermerò al Papa il sostegno al governo Siniora, il rafforzamento che ha avuto grazie al varo all’Onu del Tribunale sull’omicidio di Hariri e la nostra determinazione a impedire interferenze straniere. Sulla Cina dirò al Papa che gli parliamo con chiarezza delle libertà religiose, gli ricorderò che sono stato in una vera Chiesa in Cina e gli assicurerò che continueremo a batterci per i cattolici in Cina»

Come giudica la linea del governo Prodi sull’Afghanistan?
«Prodi sta facendo delle scelte difficili sull’Afghanistan e spero che la mia visita le rafforzerà. Voglio sedermi con Prodi e parlare con lui di quanto è importante l’impegno italiano in Afghanistan, ora e in futuro».

Cosa si aspetta dalla presenza italiana?
«Il ruolo italiano è importante, fa sapere agli afghani che esiste la volontà di aiutarli a consolidare la loro giovane democrazia. L’Italia dà importanti contributi nell’addestramento della polizia e dell’apparato giudiziario. Sono di valore».

E nella guerra al terrore, qual’è la partnership con l’Italia?
«La cooprazione di intelligence fra noi e l’Italia è solida. Ci parliamo in maniera tale da proteggerci a vicenda perché i nemici vogliono ancora colpirci. Sono pericolosi, ideologici e dobbiamo prenderli sul serio. Il rischio resta, ho bisogno del pieno impegno delle nazioni libere su questo terreno. L’Italia è un forte alleato a tale riguardo, lo apprezzo molto»

A Roma i manifestanti la aspettano con la dimostrazione «No Bush Day». Se potesse parlargli, cosa gli direbbe?
«Quando si va in Paesi liberi spesso si vedono proteste. E’ la libertà di parola. E’ possibile che vi saranno proteste non solo a Roma ma anche in Germania. Quando i leader si riuniscono la gente vuole far sapere come la pensa in tv. Sono contento di andare in un Paese dove c’è la libertà di parola, è il segno dell’esistenza di una società robusta. Ricordo cosa avvenne a Genova, fu dura».

Come risponde alle proteste di Mosca contro lo scudo antimissile in Europa?
«Il mio amico Putin vede nello scudo qualcosa che lo minaccia ma in realtà lo scudo difende i Paesi europei dal lancio di missili da Paesi ostili, non dalla Russia che è un amico. Non andiamo sempre d’accordo con la Russia ma questo avviene quando si è amici».

Lei dice che Putin è un suo amico ma i rapporti non sono mai stati tesi come ora...
«Siamo molto trasparenti con Mosca. Ho mandato il Segretario alla Difesa Robert Gates a Mosca per invitare la Russia a partecipare allo scudo. Vogliamo condividere la tecnologia, non abbiamo nulla da nascondere ma schierare lo scudo è la costa giusta da fare. Chi pensa che la Guerra Fredda continui si sbaglia, siamo nel XXI secolo e dobbiamo affrontare le nuove sfide: l’ideologia estremista e la proliferazione delle armi di distruzione. C’è molto da fare assieme alla Russia, continuerò a parlarne con Putin».

Cosa c’è dietro la sua determinazione di realizzare lo scudo sull’Europa?
«Sono molto preoccupato dalla possibilità che un missile iraniano possa essere lanciato verso l’Europa o verso qualsiasi altro nostro alleato. Non vogliamo trovarci nella condizione in cui l’Iran potrebbe ricattarci. Una maniera per evitarlo è la difesa antimissile».

La sua popolarità è molto bassa in America e all’estero è contestato. A 18 mesi dalla fine della presidenza è deluso?
«Sento cosa dice la gente ma la nostra nazione è stata attaccata ed è ancora minacciata. La migliore maniera per difenderla è andare all’attacco e non lo facciamo da soli ma con alleati e amici. Per difenderci dobbiamo farlo prima che la minaccia si materializzi, le decisioni prese in Iraq e Afghanistan sono state giuste. Ora bisogna aiutare queste giovani democrazie a sopravvivere. Se le democrazie non posso aiutare altre democrazie allora è la stabilità di tutti ad essere in pericolo. Siamo impegnati in una lunga guerra contro nemici che usano grandi risorse per sconfiggere la democrazie».

I disaccordi sull’ambiente rischiano di far fallire il summit del G8...
«Non credo. Si tratta di contributi diversi per trovare un accordo. Rispondendo alle sollecitazioni della Merkel ho detto che serve un accordo per il dopo-Kyoto: deve prevedere un obiettivo internazionale sulla riduzione dei gas inquinanti da raggiungere con il contributo non solo di Usa e Ue ma anche di Cina, India e Russia. Ogni nazione deve darsi un proprio obiettivo, compatible con la propria economia. Riguardo all’America, sarà la tecnologia a trovare le risposte. Sono pronto a dire al G8 quanto sta già avvenendo: ad esempio 6 miliardi di litri di etanolo prodotto da granturco sono usati dalle auto e nel corso del prossimo anno metà delle vetture saranno flex-fuel. Bisogna investire nelle tecnologie e poi condividerle con altri. Abbiamo un’iniziativa con Russia, Cina e India e Francia sul riciclaggio di scorie nucleari. Altri Paesi hanno esempi da seguire: è interessante quanto fa il Giappone sull’energia da batterie».

 

 


Il Giornale di Vicenza 1-6-2007 Il "nodo Kosovo" al pettine dell'Europa

 

Nulla è, spesso, peggio dell'apatia della politica internazionale. Negli anni Novanta l'Europa fu distratta e apatica di fronte alla violenta dissoluzione dell'ex Jugoslavia. Sappiamo come andò a finire. Ci volle la determinazione degli Stati Uniti; una guerra dai contorni ancora discutibili e ormai otto anni di decadente e ancor più contestabile regno delle Nazioni Unite. Il Kosovo rimane nel suo limbo. Una soluzione negoziale fra la Serbia e la provincia irredentista è stata disperatamente cercata dal mediatore internazionale Martti Ahtisaari. Non era possibile, semplicemente, perché Belgrado e Pristina non vogliono, non possono o non sanno ancora parlarsi. Alla fine, l'unica via d'uscita rimasta è la proposta Athisaari. Un Kosovo indipendente, ma dalla sovranità limitata e sotto rigido controllo internazionale, a garanzia soprattutto dei diritti e degli interessi della minoranza serba. Impossibile illudersi. Neppure dopo otto anni di "scuola Onu", Pristina può pretendere di essere una capitale democratica. Non sono bastati i miliardi di euro profusi dall'Europa per dare al Kosovo un aspetto diverso da quello di una landa devastata. Inutili, pure, tutti i costosi tentativi di dar vita a un'economia reale, che resta moribonda mentre prospera quella criminale. Eppure, non c'è altra soluzione possibile! E la diplomazia non è un'arte perfetta, ma solo quella del possibile. La Russia non ha considerazione particolare per la Serbia. Fa il suo gioco e lo sta conducendo con energia a tutto campo. Nel copione di Putin il veto sulla nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza sul Kosovo non è un favore dovuto né necessario a Belgrado. E solo un tatticismo per marcare il nuovo corso della diplomazia del Cremlino. Il tempo stringe. I capipopolo di Pristina sanno che ne rimane poco. Il rapporto Athisaari ha illuso i kosovari-albanesi che l'indipendenza fosse questione di settimane; di mesi al massimo. Ne sono passati già quasi sette. L'estate potrebbe portare a nuove esplosioni di violenza; anche perché il quadro politico e istituzionale kosovaro sembra al rimasto privo d'ogni riferimento. L'amministrazione internazionale dell'Onu è ormai, fin da troppo tempo, sul piede di partenza. La Lega Democratica del Kosovo, dopo la morte di Rugova, si è spaccata in almeno due correnti avverse e agguerrite. Dopo la nuova estradizione di Ramush Haradinaj, l'altra componente al governo, l'Aak, è diventata irrilevante. Lasciando il Kosovo, per almeno i prossimi due anni, Haradinaj ha nominato luogotenente il fratello, ma solo per gli affari di famiglia. Infine, Hashim Thaci, creatura degli americani, sembra caduto in disgrazia e non più affidabile come interlocutore né all'interno né all'esterno. Non resta che l'Europa, chiamata dal piano Athisaari a sovrintendere e guidare la nascita del nuovo Stato balcanico. La Ue dovrà avere il coraggio d'imporsi a Mosca, o il bubbone dei Balcani marcherà nuovamente la sua storia. Poi, dovrà imporsi ai kosovari. Ma questa è un'altra storia, ancora tutta da scrivere. Quella già scritta, invece, negli anni Novanta racconta di un'Europa priva di visione e coraggio. di Gian Pietro Caliari.


 

Il Cittadino 1-6-2007 Dalla Cei critiche al video e al conduttore: "Sciacallaggio mediatico contro il Vaticano"

 

Roma "Il battage pubblicitario che ha preceduto la messa in onda, su Rai Due, del video Sex crimes and the Vatican ha già fatto chiarezza sulle reali intenzioni della trasmissione: fare sciacallaggio mediatico contro la Chiesa e il Papa". Così il Sir, Servizio Informazione Religiosa della Cei, ha bollato ieri prima della messa in onda la scelta di "Annozero" di Michele Santoro di trasmettere l'inchiesta realizzata dalla Bbc sugli abusi sui minori perpetrati dai sacerdoti e sul Crimen sollicitationis, il documento riservato emesso nel 1962 (sotto Giovanni XXIII) dal Sant'Uffizio - e aggiornato nel 2001 con la lettera De delictis gravioribus dall'allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Joseph Ratzinger - nel quale si istruiscono i sacerdoti sui comportamenti da tenere in caso di scandalo. Secondo l'agenzia di stampa cattolica, "questo filmato della Bbc, più che un'inchiesta, in realtà è un video a tesi, non credibile, con grandi falsità, pretestuoso e pregiudizialmente ostile". Secondo la nota "noi non abbiamo paura della verità. Riteniamo la pedofilia un grave crimine contro l'umanità e la Chiesa. Ma facciamo nostro quanto richiamato da Papa Giovanni Paolo II ai vescovi americani: "pur riconoscendo il diritto alla dovuta libertà d'informazione, non bisogna consentire che il male morale divenga occasione di sensazionalismo"". Sul tema interviene anche padre Gianfranco Ghirlanda, rettore magnifico della Pontificia Università Gregoriana. "La lettera della Congregazione per la dottrina della fede non riguarda solo i processi per abuso sessuale, ma anche altri: per i delitti contro l'Eucaristia e per i delitti contro il sacramento della penitenza. Nella Lettera si afferma il segreto pontificio, ma senza stabilire alcuna pena per la violazione di esso, anche se si tratta di un segreto che lega la coscienza più fortemente che il segreto normale. In questo caso, il senso del segreto è quello di proteggere il più possibile la buona fama dell'imputato, che fino alla condanna va considerato innocente. Nel Codice non viene prevista la pena della scomunica per chi viola il segreto pontificio. La giusta pena non comprende mai la scomunica".


 

Il Giornale di Brescia 1-6-2007 Mario Segni: il referendum, occasione per riformare la politica. L'incontro con il comitato bresciano. mott.

 

L'on. Mario Segni all'incontro bresciano di ieri Un referendum elettorale per rinnovare la politica italiana e per renderla capace di decidere. Lo ha sottolineato Mario Segni, coordinatore nazionale del movimento referendario, intervenuto ieri in città a un incontro del comitato bresciano. All'iniziativa hanno preso parte anche l'on. Diego Masi (membro del comitato nazionale), Stefano Facchi (coordinatore per la Lombardia dell'iniziativa referendaria), Ciro Ramaschiello (coordinatore bresciano) e Guido Alberini (consigliere comunale dei Ds). "Nella storia italiana - ha detto Segni - le istituzioni non si sono mai riformate da sole. È stato necessario il movimento referendario dei primi anni '90 per cambiare qualcosa. Oggi la macchina riformatrice può ripartire. Abbiamo infatti un Parlamento frammentato, una maggioranza che ha il record di gruppi parlamentari e che, dopo l'uscita di Mussi dai Ds, è composta da 13 partiti". Proprio per questo, secondo il promotore della consultazione referendaria, oggi la cittadinanza è pervasa da una profonda sfiducia e da un giudizio estremamente negativo della classe dirigente. "Lo stesso Calderoli, che ha definito l'attuale legge elettorale una porcata - ha fatto notare ancora Segni -, è il primo a riconoscere la necessità di un cambiamento, sottolineando che bisogna far approvare una nuova legge almeno in un ramo del Parlamento entro il 25 luglio. Il referendum, dunque, segna la scadenza del dibattito parlamentare" (il 24 luglio infatti scadono i termini per depositare le 500mila firme in Cassazione). In particolare, i referendari, attraverso tre quesiti chiedono l'abrogazione, sia alla Camera sia al Senato, del premio di maggioranza alle coalizioni, in modo tale che il premio venga concesso solo alla singola lista (e non più alla coalizione di liste), che abbia ottenuto il maggior numero di seggi. Inoltre, i promotori chiedono di elevare lo sbarramento al 4% alla Camera e all'8% al Senato e si battono per l'abrogazione delle candidature multiple. Con queste correzioni il sistema elettorale dovrebbe andare verso il bipartitismo (comunque con la tutela delle minoranze rilevanti), eliminando la frammentazione, visto che sulla scheda elettorale comparirebbero un solo simbolo, un solo nome e una sola lista per ogni aggregazione. Durante l'incontro di ieri, i promotori del referendum hanno espresso poi soddisfazione per "l'andamento positivo delle aspettative della raccolta firme". Fino ad oggi in tutta Italia sono state raccolte 150mila firme, 20mila in Lombardia. Infine, i rappresentanti hanno ricordato che i cittadini interessati possono firmare per il referendum non solo ai banchetti allestiti dal comitato, ma anche nelle sedi comunali.