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Archivio Piccola Rassegna  1/15 Luglio 2007

 

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2-7-2007

1-7-2007


 

INDICE 15-7-2007

L’Unità 15-7-2007 Per il Partito Democratico Furio Colombo  1

Il Corriere della Sera 15-7-2007 IL CICLONE FRANCESE (E I SILENZI ITALIANI) Sarkozy sta cambiando il suo Paese e l'Europa di FRANCESCO GIAVAZZI 3

La Repubblica 15-7-2007 Nel Paese debole esplode la voglia di un "uomo forte" ILVO DIAMANTI 4

L’Unità 15-7-2007 Caso Mondadori, storia di una sentenza comprata Da 17 anni Berlusconi possiede abusivamente la casa editrice. Previti torna ai "domiciliari" di Marco Travaglio  6

La Repubblica 15-7-2007 Condannato emofiliaco: frode milionaria con prescrizioni a catena Era complice di medici e farmacisti: in un anno ritirate 770 dosi di Emoclot del costo di 650 euro a confezione Il truffatore del farmaco salvavita  7

Gazzetta del Sud 15-7-2007 Anche il New York Times, assieme a molti senatori repubblicani, chiede al presidente di trovare una via d'uscita Irak, perché ormai gli Usa devono ritirarsi Bush prende tempo e spera intanto che la pressione delle nuove truppe salvi la faccia e accorci il conflitto Piero Orteca  8

 


 

L’Unità 15-7-2007 Per il Partito Democratico Furio Colombo

 

Chi avesse assistito nella mattina di venerdì 13 luglio al dibattito al Senato sul riordino dell'ordinamento giudiziario avrebbe notato subito un grave errore nel "manifesto per il Partito democratico" firmato da Rutelli, Chiamparino, Cacciari, Follini. Quel manifesto, pubblicato lo stesso giorno da Europa col titolo "Il coraggio delle riforme" dice: "È finita la lunga stagione in cui la coesione del centrosinistra è stata garantita dall'antagonismo verso Berlusconi". Ecco la prova dell'errore. Il senatore Gerardo D'Ambrosio si era appena alzato a parlare sulla legge che deve cancellare la nefanda "riforma Castelli" quando la senatrice Anna Cinzia Bonfrisco è scesa nell'emiciclo per urlare all'ex procuratore della Repubblica di Mani Pulite: "Delinquente, assassino, zitto assassino, questo è il tuo giorno!". Anna Cinzia Bonfrisco, pur essendo immensamente volgare nonostante capelli e trucco già pronti per una festa e un abito argento da pubblicità dei cioccolatini, non è matta. E infatti il senatore Schifani ha ingiunto a D'Ambrosio di chiedere lui scusa alla senatrice insultante. E Buttiglione le ha baciato la mano. Tutti hanno ricevuto gli ordini e il messaggio. La sera prima Berlusconi era in televisione, due "dirette" di Rai e di Sky (oltre al Tg 2). Dirette che non toccheranno mai a George W. Bush quando avrà lasciato la Casa Bianca e non toccheranno mai a Chirac, a Shroeder, persino al carismatico Tony Blair. Insomma, mai a nessuno, in Paesi di normale democrazia. In Italia Berlusconi è tutt'ora in grado di stare, come vuole e quando vuole, al centro della scena. È in grado di prendersi la "diretta" e di incitare il Paese alla rivolta. Berlusconi in una piazza di Napoli ha mentito per due ore. Ha detto persino (citazione) "Ho fatto più di trenta riforme, 106 opere pubbliche e 12 codici". Proprio così. Ha detto "12 codici". E ha chiamato l'Italia alla rivolta. I suoi senatori ci stanno.

I nvano i capigruppo Zanda dell'Unione e Russo Spena di Rifondazione difendono D'Ambrosio e invocano il ritorno alla ragione. La manifestazione indecente si porta via una buona ora nella triste storia di questo Senato. Ma il punto è stato fermamente segnato. Berlusconi è (politicamente) vivo e combatte insieme a loro. Perché ripetere il grande errore di negarlo? A beneficio di chi? Non del Partito democratico. *** Ma ecco ciò che sto per dire ai lettori di questo giornale, a coloro che mi seguono la domenica e che rispondono con e-mail di obiezioni e sostegno, approvazione e dissenso ai miei interventi: intendo candidarmi alla segreteria del nascente Partito democratico. Questo, vi è chiaro, non è l'annuncio del giornale l'Unità, che resta libero e aperto a tutte le candidature (speriamo molte). È l'annuncio di un candidato. Immagino una prima legittima obiezione: ma non avevamo detto di fare spazio ai giovani? È una obiezione giusta è non c'è alcuna risposta logica se non questa: ognuno fa (deve fare) quello che può, quando può. Se lo fa bene, in una situazione che interessa tutti (o tanti) come questa, lo fa per passare il risultato agli altri. Che vuol dire: prima di tutto, per cambiare il gioco. O almeno per arricchirlo, se ci riesce, naturalmente. La seconda obiezione è mia, nella forma di una incertezza. Si può partecipare alle elezioni primarie per la segreteria del Partito democratico, con una serie di regole che sembrano scritte per gli apparati dei partiti (i due "grandi", Ds e Margherita), i soli ad essere presenti e a poter agire in fretta su tutto il territorio del Paese? Vorrei ricordare che le elezioni primarie americane si svolgono nell'arco di molti mesi, Stato per Stato, luogo per luogo, quasi mai con coincidenza e sovrapposizione di date, e che ogni singolo episodio (vincere o perdere nel Vermont o in quale graduatoria ci si piazza nelle primarie del Maine) si riflette sia nel luogo sia nella opinione pubblica nazionale (nel 1980 Bush padre prevaleva su Reagan in alcune singole primarie, ma Reagan guadagnava sempre più favore nei sondaggi, anticipando i risultati delle votazioni successive). Non dubito che gli addetti al disegno definitivo di percorsi e di regole - proprio perché scelti e nominati e insediati in base, devo pensare, a esperienza e buon senso - si porranno il problema più importante per questa nuova entità politica: come si nasce nel nuovo partito (dalla partecipazione alla candidatura) se non si è figlio di uno dei due partiti? Intendo infatti rappresentare coloro che figli dei partiti non sono, non hanno alcun passato partitico da ricordare o da dimenticare. Intendo portare al centro dell'attenzione dei nuovi democratici lo squilibrio sociale nel quale vive il nostro Paese e la cui descrizione e interpretazione abbiamo affidato - chissà perché - soltanto agli uffici studi di banche e imprese, mostrando invece una sorta di istintivo fastidio, quasi una reazione allergica, se, quando parlano i sindacati. *** Userò ancora per un momento il "manifesto" Rutelli-Chiamparino- Cacciari-Follini per indicare la diversità (e anche, se volete, l'estraneità) della mia candidatura rispetto a ciò che fino ad ora è stato detto e anche celebrato. Dicono i nostri, fra l'altro, che "modernizzare l'Italia non è solo indispensabile ma può essere popolare". Affermo che la vera innovazione e modernità del Partito Democratico non è una gettata di cemento in più o in meno ma riconquistare, attraverso comunicazione chiara e immediata, attraverso il contatto continuo e l'ascolto, la partecipazione dei cittadini, che sono, o si sentono adesso, troppo lontani dai punti di decisione e troppo estranei ai modi in cui si decide. Vicenza è un capolavoro negativo, da non ripetere. Nessuno, mai, (tranne la finta rappresentanza istituzionale di un sindaco inadeguato) ha interpellato o ascoltato i cittadini di quella città sulla base Usa da costruire. Il mio modello sono i town meeting (assemblea di città o di villaggio) di Bill Clinton. S'intende che la decisione finale era responsabilità del presidente. Ma prima il presidente girava mezza America per spiegarsi e ascoltare, due atti essenziali di un governo moderno. "Coesione sociale è il futuro", affermano i "coraggiosi" di Rutelli. Ma coesione sociale è un punto di arrivo, non di partenza. Sul terreno troviamo un'Italia spaccata e divaricata in cui gli operai vengono ammoniti a non pretendere troppo sulle pensioni, ma è "moderno" stare bene attenti alle "giuste richieste" delle imprese. Aggiungono i "coraggiosi" che bisogna dare "potere alla creatività dei giovani, un ascensore sociale che torni a far salire talenti, merito, lavoro". Traducendo dallo stretto politichese, io dirò (direi, se risulterà possibile candidarsi) che ci si deve impegnare nel sostegno - e rifinanziamento - della scuola pubblica e dei suoi insegnanti; che occorre motivare le banche a sostenere con prestiti sulla parola i giovani universitari che non hanno la protezione di una famiglia agiata, ma meritano il prestito (come negli Usa e in Inghilterra) in base ai voti; che il merito non conta niente nel mondo del precariato e della raccomandazione. E che dunque tutto ricomincia dalla squalifica del familismo professionale (i genitori fortunati a cui subentrano figli o nipoti fortunati) e dal ritorno di concorsi bene organizzati e tecnicamente irreprensibili. Nel manifesto dei "coraggiosi" trovo una frase inspiegabile in un testo politico. È la seguente: "È urgente uscire dall'inverno demografico". Sono stupito e dirò perché. Il problema di governare è creare accesso alle scuole, anche quelle specialistiche, anche quelle costose; al lavoro, attraverso un disegno dei percorsi che non abbandoni i giovani alla solitudine (più soli, più poveri); alla casa, attraverso progetti e programmi che, da decenni, non esistono più. Tutto ciò è urgente, ed è responsabilità pubblica. I figli sono una splendida scelta privata su cui i politici, in un contesto politico, non hanno niente da dire. *** Trovo strana, infine, e un po' minacciosa, la frase finale (dunque, in senso retorico, la più importante) del manifesto Rutelli-Chiamparino-Cacciari-Follini che alcuni considerano fondativi del nuovo Partito Democratico. Trascrivo: "La maggioranza che ha vinto deve governare i cambiamenti. Sappiamo che potrà essere confermata solo se soddisferà le attese degli elettori. Altrimenti il Partito Democratico dovrà proporre una alleanza di centro sinistra di nuovo conio. Per non riconsegnare l'Italia alle destre. Ma soprattutto per non essere imprigionato dal minoritarismo e dal conservatorismo di sinistra, né della paralisi delle decisioni". Il problema grave posto da questa frase è che prefigura uno spostamento di scena in cui esce dalla inquadratura una parte della sinistra, arbitrariamente definita da un presunto vertice illuminato. Ed entra in scena una parte della destra, indicata con la elegante espressione "un centrosinistra di nuovo conio". Sostengono gli illuminati che "Veltroni a queste ragioni si ispira". Non mi risulta. In ogni caso propongo di battermi per un Partito Democratico meno gassoso e più fondato sulle cose, non tante. Ma chiare e sempre spiegate. *** Proverò a riassumere. Il Partito Democratico a cui penso è perfettamente cosciente del perdurare della minaccia Berlusconi, che continua a essere visto, anche fuori dall'Italia, come l'incognita allo stesso tempo ridicola (vedi le sue domande parafasciste e un po' insultanti per la folla di Napoli) e pericolosa per la nostra vita pubblica. Lo sbarramento a Berlusconi si realizza con la presentazione (già avvenuta) e il sostegno (di cui siamo in attesa) di una legge che ponga invalicabili ostacoli al conflitto di interessi. Il Partito Democratico a cui penso si fonda sulla più rigorosa legalità, vuole sapere tutto dello spionaggio militare a cui sono stati sottoposti magistrati e giornalisti nei cinque anni del governo Berlusconi, e sull'intreccio di quello spionaggio con le intercettazioni private da parte di una grande impresa esente da conseguenze e sugli effetti mediatici di tutta l'operazione. Quanto è stata deviata, inquinata, cambiata, avvelenata da quella vasta operazione illegale l'informazione su tutto ciò che sappiamo delle vicende italiane? Il Partito Democratico in cui intendo impegnarmi propone come temi fondamentali i diritti civili, il lavoro, la scuola, la salute, la ricerca, l'ambiente, la casa. Tutto ciò nel quadro - rigorosamente confermato - della Costituzione italiana. Si tratta di settori e aspetti della vita a cui il mercato (grande e superiore eroe della modernità) non provvede o che preferisce ignorare quando il costo non ha immediata contropartita. Le grandi democrazie ci dicono che la contropartita è costituita dai due valori della fiducia e della partecipazione dei cittadini. Il Partito Democratico di cui parlo capisce e si fa capire, in uno sforzo di comunicazione che non tollera zone d'ombra, segreti e cose non dette. Non vuole la solitudine disorientata dei cittadini con cui nessuno parla, spiega, ascolta prima di decidere. Il Partito Democratico di cui stiamo parlando non sarà il congiungersi di due burocrazie di partito ma l'afflusso libero di cittadini decisi a essere protagonisti della vita pubblica e non spettatori passivi. L'impegno è un paesaggio finalmente normale in cui la sinistra è a sinistra e la destra a destra, contando non sulla contaminazione o l'incrocio dei poli ma sulla chiarezza e sul riconoscimento reciproco, una volta espulsa l'illegalità e il conflitto di interessi dalla scena pulita della vita pubblica italiana. Sinistra è lo spirito della tradizione solidaristica europea, dello schierarsi socialista e cristiano con i più deboli, della tolleranza "liberal" e multiculturale di impronta americana, tutti valori che sono il più vicino possibile alla pace, alla giustizia, alla eguaglianza almeno come punto di partenza. L'impegno è di restituire al cittadino laico lo stesso riguardo, rispetto e attenzione che viene dedicato al credente e alle gerarchie religiose del credente. Per tutte queste ragioni chiederò, se sarà possibile - ai cittadini che si orientano a sostenere e dare vita e anima al Partito Democratico - di considerare la mia candidatura indipendente e laica che propongo nello stesso spirito con cui alcuni si candidano, in questo periodo, alle elezioni primarie americane. Lo spirito è dare un contributo di proposte e di esperienza, che altrimenti non ci sarebbe. Lo spirito è far sapere ai cittadini che voteranno in queste elezioni primarie che si apprestano a scegliere tra veri candidati e vere proposte alternative. La vostra risposta di lettori sarà il primo modo di rendere possibile questa candidatura. Essa è soggetta, come già detto, a un chiarimento e a una condizione. Il chiarimento è che l'Unità, con questo articolo, ospita la mia intenzione. È un annuncio, non un "endorsement" (cioè quando i grandi quotidiani americani, sotto elezioni, dichiarano le loro scelte politiche ai lettori). La condizione è che le regole consentano davvero la partecipazione di candidati senza apparato di partito e scorta di carica.

furiocolombo@unita.it.


 

Il Corriere della Sera 15-7-2007 IL CICLONE FRANCESE (E I SILENZI ITALIANI) Sarkozy sta cambiando il suo Paese e l'Europa di FRANCESCO GIAVAZZI

 

In poche settimane il "ciclone Sarkozy" ? non c'è altro modo per descrivere gli effetti del nuovo presidente della Repubblica ? ha trasformato la Francia e l'Europa. Lunedì sera Nicolas Sarkozy ha partecipato, fatto senza precedenti, alla riunione dei ministri delle Finanze dell'euro e ha chiesto clemenza: "Per riformare la Francia ho bisogno di spendere qualche soldo in più". E' stato accolto con scetticismo, i ministri temevano le solite promesse: più spese oggi, riforme mai. Quattro giorni dopo il Parlamento francese ha approvato i primi articoli della legge che elimina di fatto le 35 ore. Sarkozy lo fa con astuzia, non modificando l'orario di lavoro ma introducendo fortissimi incentivi a lavorare di più: il salario percepito nelle ore di straordinario non è tassato e le imprese non devono versare alcun contributo. Il passo successivo è l'unificazione del mercato del lavoro. Contratti a tempo determinato (i precari) e a tempo indeterminato verranno aboliti e sostituiti con un nuovo contratto di lavoro uguale per tutti. Le garanzie saranno crescenti nel tempo: tutti precari all'inizio, ma con la prospettiva di divenire dipendenti via via più stabili se il rapporto fra lavoratore e impresa funziona. Anche l'Italia a Bruxelles ha chiesto clemenza. Ma per far fronte agli effetti dell'ormai probabile abbassamento da 60 a 57 anni dell'età minima per andare in pensione. E per le nuove spese (circa 20 miliardi di euro nel 2008, in primis per gli aumenti concessi ai dipendenti pubblici) che il Dpef castamente indica come "eventuali" ma che, spiega Luigi Spaventa su la Repubblica , sono ormai certi. Al Consiglio europeo di giugno Sarkozy, con l'appoggio di Angela Merkel, ha chiuso un decennio di illusioni federaliste e di fallimenti dell'Europa. Il nuovo trattato è minimalista, ma consente all'Europa di guardare avanti. Per questo risultato il presidente francese ha tuttavia chiesto un prezzo molto elevato: la cancellazione della concorrenza dagli obiettivi primari dell'Ue. Sebbene gli articoli 81 e 82 del Trattato di Roma non siano stati modificati ? e quindi la Commissione conservi intatti i suoi poteri in materia di concorrenza e di aiuti di Stato ? il segnale politico è forte e si farà sentire. Da Roma, dove ha sede un governo presieduto da un ex presidente della Commissione il cui quinquennio verrà ricordato per l'incisività con cui ha promosso la concorrenza e vietato gli aiuti di Stato, nessun commento. Al suo ministro delle Finanze, Christine Lagarde, il presidente ha chiesto di "dialogare con la Banca centrale europea per dotare l'euro di una strategia monetaria e di una politica del tasso di cambio". Da qui a mettere in dubbio l'indipendenza della Bce il passo è breve, e d'altronde Sarkozy ha più volte criticato l'eccessiva indipendenza dei banchieri di Francoforte. I tedeschi sono insorti in difesa della Bce; da Roma, dove il ministro dell'Economia è un ex membro del comitato esecutivo della Bce, nessun commento. Martedì scorso, con straordinaria abilità diplomatica, Sarkozy ha convinto i 27 Paesi dell'Ue a sostenere la candidatura di Dominique Strauss Kahn alla direzione generale del Fondo monetario internazionale. Candidatura non scontata, considerando che la Francia già occupa tre importanti presidenze internazionali: Bce, Wto e la Banca europea per lo sviluppo. Da Roma, che pure aveva almeno 5 candidati eccellenti, nessun commento. Domani Sarkozy e la signora Merkel si recheranno insieme a Tolosa, sede di Airbus, per scegliere presidente e amministratore delegato di Eads, la società franco-tedesca che controlla l'azienda aerospaziale. L'attuale presidente, l'imprenditore francese Arnaud Lagardère, ha le ore contate. Se si attendeva un segno di come Sarkozy interpreta il ruolo dello Stato nell'economia, Tolosa offrirà un esempio illuminante. Eads è una società quotata in Borsa, il 45% delle azioni è sul mercato, Daimler Chrysler possiede il 22,4%. Lo Stato francese possiede, a metà con Lagardère, una società che controlla il 27%. La maggioranza del gruppo è quindi in mano a privati. La nostra lunga latitanza europea costerà cara a chiunque succederà a Romano Prodi. Francesco Giavazzi.


 

La Repubblica 15-7-2007 Nel Paese debole esplode la voglia di un "uomo forte" ILVO DIAMANTI

 

Sorprende lo straordinario successo di Nicolas Sarkozy in Italia. Paragonabile a quello che gli è stato tributato nel suo Paese. Anche in Italia Sarkozy piace, alla classe politica e agli elettori. Di destra, sicuramente, ma anche di sinistra. Forse perché rappresenta ciò che in Italia attendiamo, inutilmente, da troppo tempo: il rinnovamento. Sarkozy, infatti, è veramente un "homo novus", come lo ha definito Barbara Spinelli (su "La Stampa"). "Sospettato" di essere accentratore e decisionista. Secondo la tradizione e il linguaggio francese: un "bonapartista". Determinato a interpretare la parte del "Presidente che governa" (anche se in modo flessibile, come segnalava nei giorni scorsi Bernardo Valli, su "la Repubblica"). Ma più che un vizio, per gran parte degli elettori (anche di sinistra) questo è un pregio. Una virtù. In Francia e ancor più in Italia. Dove avanza, inarrestabile, una grande voglia di "cesarismo" (versione italiana del "bonapartismo"). In un recente sondaggio condotto da Demos-Eurisko per "la Repubblica" (su un campione nazionale rappresentativo), infatti, l'84% degli italiani si dice d'accordo con l'affermazione: "Ci vorrebbe un uomo forte a guidare il Paese". Perché "oggi c'è troppa confusione". Il dato è ancora più clamoroso se valutato in termini di tendenza. Visto che dal 2004, fino a novembre 2006, era cresciuto dal 49% al 56%. Mentre negli ultimi sei mesi la domanda di "un uomo forte alla guida del Paese", in Italia, è aumentata di 30 (!!!) punti percentuali. Sulla differenza dei valori (lo chiariamo per prudenza) può avere influito il fatto che l'ultima rilevazione sia stata condotta da un istituto diverso rispetto alle precedenti occasioni: Eurisko invece di Demetra.

Boom di consensi per una guida decisionista. Per anni il gradimento era fermo a quota 50 L'Italia paese debole cerca il suo Sarkozy L'84% dei cittadini vuole un "uomo forte" mappe Le istituzioni hanno assunto un'immagine "personale". Però continuano ad apparire deboli L'accelerazione del Pd mira, tra l'altro, a rispondere a questo deficit. Ma per Veltroni non sarà facile (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) ILVO DIAMANTI Tuttavia, si tratta di agenzie demoscopiche di elevata e riconosciuta professionalità. E, soprattutto, il divario è troppo elevato per dipendere da fattori tecnici. Indica, invece, un sentimento diffuso, che negli ultimi tempi ha, improvvisamente, tracimato, allagando tutta la società. Le distinzioni anagrafiche e territoriali, infatti, sono limitate. Più rilevanti appaiono, semmai, le differenze dettate dalla posizione politica. Visto che questo orientamento cresce, in modo costante, passando da sinistra a destra. Il sostegno più convinto, infatti, proviene dagli elettori di An e della Lega Nord: 96% in entrambi i casi. Non dissimile dal dato espresso dagli elettori di Forza Italia: 93%. Tuttavia, questo orientamento è largamente condiviso anche sul versante politico opposto. Perfino tra coloro che si collocano all'estrema sinistra e fra gli elettori di Rifondazione Comunista, infatti, la voglia di un "uomo forte alla guida del Paese" è vicina al 70%. Questa dilagante simpatia "cesarista" può suggerire il diffondersi, nell'opinione pubblica, di sentimenti autoritari. Tuttavia, fra gli italiani, il valore della democrazia resta elevatissimo. Circa l'80% dei cittadini lo considera "il migliore dei mondi possibili" (Indagine Demos-FNE-Pragma, settembre 2005). Anche se quasi il 60% dei cittadini si dice "insoddisfatto del funzionamento della democrazia in Italia" (Demos-Eurisko, giugno 2007). Più che un sentimento autoritario, allora, questo orientamento segnala "voglia di autorità". Di "democrazia efficiente". E', quindi, anzitutto, un segno di sfiducia verso le istituzioni, i partiti (oppure ciò che ne resta e residua) e la classe politica (nel senso oligarchico, attribuito da Gaetano Mosca). Peraltro, questo sentimento riflette la tendenza, ormai consolidata nell'Italia della (cosiddetta) seconda Repubblica, di ricondurre ogni soggetto politico e istituzionale a "singole persone". Lo Stato: identificato con Ciampi oppure Napolitano. Il governo: riassunto nella figura di Berlusconi o di Prodi. I partiti: tutti, impersonati dai leader. E ancora, gli enti territoriali, impersonati dai sindaci e dai presidenti. Ma anche le associazioni di categoria, le stesse banche. Berlusconi, da questo punto di vista, non è solo il modello, ma anche l'inventore e l'idealtipo della seconda Repubblica. Imitato da tutti. In altri termini, gli italiani chiedono un "uomo forte" perché istituzioni e partiti hanno assunto un'immagine "personale". Il volto di "uomini". (Di donne, nei luoghi del potere, in Italia, non c'è traccia). Ma continuano ad apparire "deboli", quanto a credibilità e autorità. Gli italiani, dunque, vorrebbero partiti e istituzioni "personali" più autorevoli, con cui confrontarsi direttamente. Da ciò, la domanda di semplificare la rappresentanza politica, fino a trasformare il bipolarismo in bipartitismo. E questo in bipersonalismo. Non a caso la voglia di "uomo forte" è, appunto, più "forte" (oltre 5 punti percentuali) tra gli elettori dei due schieramenti che vorrebbero trasformare la loro coalizione in un "partito unico". Assistiamo, dunque, a una duplice richiesta di semplificazione: riassumere la sfrangiata e sparsa compagine dei partiti e dei partitini in due soli grandi soggetti politici; in due grandi partiti. Da ricondurre, a loro volta, a due leader. Un modello americano, insomma. Oppure "alla francese", ma nella versione interpretata, in questa fase, da Sarkozy. (Il quale, peraltro, ambisce a riassumere "entrambi gli schieramenti", destra e sinistra, nel suo "governo presidenziale"). D'altra parte, in Italia, dal 1996 ad oggi il confronto politico ed elettorale si è progressivamente ridotto a un fatto personale, tra Berlusconi, da una parte, e Prodi (con la variante di Rutelli, nel 2001), dall'altra. L'accelerazione impressa alla costruzione del Pd e alla candidatura di Veltroni mira a consolidare questa tendenza. Rendendo più competitivo il centrosinistra, oggi in stato di asfissia. Ma rischia di accentuarne anche le contraddizioni. Perché in Italia regna il caos istituzionale. Siamo una Repubblica "preterintenzionale", dove agiscono presidenti senza presidenzialismo, premier senza premierato, partiti maggioritari senza maggioritario. Partiti personali in cui la persona e il partito (ridotto perlopiù a un'oligarchia) sono prigionieri l'uno dell'altro. Dove ogni leader, quando vince le elezioni e governa, diventa "debole". Come Prodi, che, dopo un anno di governo, ha raggiunto un indice di fiducia infimo. Mentre Berlusconi giganteggia. Un cigno. Ma ieri, quando governava, alle prese con promesse eluse e deluse, era un brutto anatroccolo, anche lui. Perché, in Italia, è "forte" solo chi sta all'opposizione. E chi, invece della politica, pratica e predica l'antipolitica (o la "contropolitica", come la definisce Alfio Mastropaolo, in un'inchiesta di Gigi Riva sull'"Espresso" di questa settimana). Da ciò l'accelerazione, davvero formidabile, che ha caratterizzato la domanda di "uomo forte" negli ultimi mesi. Riflette il malessere - acuto - della società, frustrata da un deficit di autorità e di senso. Senza guida, senza riferimenti condivisi. A livello politico, ma anche culturale. Un Paese dove è difficile perfino individuare i "poteri forti". Ostaggio di mille "poteri deboli". Capaci di "interdire" ma non di "dire". Di "porre" veti, ma non di "imporsi" agli altri. Di agire nel retroscena, non sulla ribalta. Come una commedia senza soggetto e senza sceneggiatura. Senza protagonisti. Recitata da comparse. Senza dialoghi. Solo un fastidioso brusio di fondo. Da ciò la difficoltà, per noi, di imitare il modello francese. Affidando il nostro futuro a un prossimo scontro fra Berluskozy e Veltrozy. Un Paese Debole non produce Uomini Forti. E quando li produce, meglio diffidarne?.


 

L’Unità 15-7-2007 Caso Mondadori, storia di una sentenza comprata Da 17 anni Berlusconi possiede abusivamente la casa editrice. Previti torna ai "domiciliari" di Marco Travaglio

 

DA 17 ANNI, dunque, Berlusconi - soi disant "uomo che s'è fatto da sé" - possiede abusivamente una casa editrice, con i suoi libri e i suoi settimanali (tra i quali Panorama e il defunto Epoca), che ha utilizzato finanziariamente per accumulare utili e politicamente, prima per sostenere i suoi padrini (Craxi in primis), poi per costruire il consenso necessario alla sua "discesa in campo", ai suoi due governi e alle sue quattro campagne elettorali. Ancora l'altroieri il sito di Panorama ha diramato, in violazione del segreto investigativo, la notizia della presunta iscrizione sul registro degli indagati di Romano Prodi da parte della Procura di Catanzaro: ma Panorama, senza la sentenza comprata del 1991, non apparterrebbe a Berlusconi. Visto lo spazio lillipuziano riservato dai media "indipendenti" a un verdetto così clamoroso (nemmeno un accenno sulla prime pagine di Corriere della sera, Messaggero e Stampa, per non parlare del Giornale), è il caso di riepilogare la storia di quella sentenza comprata. IL LODO. Nel 1988 Berlusconi, che già da tempo ha messo un piede nella casa editrice rilevando le azioni di Leonardo Mondadori, annuncia: "Non voglio restare sul sedile posteriore". De Benedetti, che controlla il pacchetto di maggioranza, resiste all'assalto e si accorda con la famiglia Formenton, erede di Arnoldo, che s'impegna a vendergli il suo pacchetto azionario entro il 30 gennaio '91. Ma gli eredi cambiano idea e, nel novembre '89, fanno blocco con Berlusconi che, il 25 gennaio 1990, si insedia alla presidenza della casa editrice. Oltre a tre tv e al Giornale, dunque, il Cavaliere s'impossessa del gruppo editoriale che controlla Repubblica, Panorama, Espresso, Epoca e i 15 giornali locali Finegil, spostandolo dal campo anticraxiano a quello filocraxiano. La "guerra di Segrate", per unanime decisione dei contendenti, finisce dinanzi a un collegio di tre arbitri, scelti da De Benedetti, dai Formenton e dalla Cassazione. Il lodo arbitrale, il 20 giugno '90, dà ragione De Benedetti. Il suo patto con i Formenton resta valido, le azioni Mondadori devono tornare all'Ingegnere. Berlusconi lascia la presidenza, arrivano i manager della Cir debenedettiana: Carlo Caracciolo, Antonio Coppi e Corrado Passera. Ma il Cavaliere rovescia il tavolo e, insieme ai Formenton, impugna il lodo alla Corte d'appello di Roma. Se ne occupa la I sezione civile, presieduta da Arnaldo Valente (secondo Stefania Ariosto, frequentatore di casa Previti). Giudice relatore ed estensore della sentenza: Vittorio Metta, anch'egli intimo di Previti. La camera di consiglio si chiude il 14 gennaio '91. Dieci giorni dopo, il 24, la sentenza viene resa pubblica: annullato il Lodo, la Mondadori torna per sempre a Berlusconi. L'Ingegnere lo sapeva già: un mese prima il presidente della Consob, l'andreottiano Bruno Pazzi, aveva preannunciato la sconfitta al suo legale Vittorio Ripa di Meana. "Correva voce - testimonierà De Benedetti - che la sentenza era stata scritta a macchina nello studio dell'avvocato Acampora ed era costata 10 miliardi... Fu allora che sentii per la prima volta il nome di Cesare Previti, come persona vicina a Berlusconi e notoriamente molto introdotta negli uffici giudiziari romani". Nonostante il trionfo, comunque, Berlusconi non riesce a portare a casa l'intera torta. I direttori e molti giornalisti di Repubblica, Espresso e Panorama si ribellano ai nuovi padroni. Giulio Andreotti, allarmato dallo strapotere di Craxi sull'editoria, impone una transazione nell'ufficio del suo amico Giuseppe Ciarrapico: Repubblica, Espresso e i giornali Finegil tornano al gruppo Caracciolo-De Benedetti; Panorama, Epoca e il resto della Mondadori rimangono alla Fininvest. I SOLDI. Indagando dal 1995 sulle rivelazioni di Stefania Ariosto sulle mazzette di Previti ad alcuni giudici romani, il pool di Milano scopre il fiume di denaro che dalla Fininvest affluì sui conti esteri degli avvocati della Fininvest e da questi, in contanti, nelle mani del giudice Metta. Il 14 febbraio '91 dalle casse della All Iberian parte un bonifico di 2.732.868 dollari (3 miliardi di lire) al conto Mercier di Previti. Da questo, il 26 febbraio, altro bonifico di 1 miliardo e mezzo (metà della provvista) al conto Careliza Trade di Acampora. Questi il 1° ottobre bonifica 425 milioni a Previti, che li dirotta in due tranche (11 e 16 ottobre) sul conto Pavoncella di Pacifico. Il quale preleva 400 milioni in contanti il 15 e il 17 ottobre, e li fa recapitare in Italia a un misterioso destinatario: secondo l'accusa, è Vittorio Metta. Il giudice, nei mesi successivi, fa diverse spese (tra cui l'acquisto e la ristrutturazione di un appartamento per la figlia Sabrina e l'acquisto di una nuova auto Bmw) soprattutto con denaro contante di provenienza imprecisata (circa 400 milioni). Poi si dimette dalla magistratura, diventa avvocato e va a lavorare con la figlia Sabrina nello studio Previti. A proposito di quei 3 miliardi Fininvest, Previti parla di "tranquillissime parcelle", ma non riesce a documentare nemmeno uno straccio di incarico professionale in quel periodo. Mentono anche Pacifico e Acampora. E così Metta che, sulla provenienza dell'improvvisa, abbondante liquidità (per esempio, un'eredità), viene regolarmente smentito dai fatti. Poi giura di aver conosciuto Previti solo nel '94, ma mente ancora: i pm Boccassini e Colombo scoprono telefonate fra i due già nel 1992-93. Poi ci sono le modalità a dir poco stravaganti della sentenza Mondadori: dai registri della Corte d'appello emerge che Metta depositò la motivazione (168 pagine) il 15 gennaio '91: il giorno dopo della camera di consiglio. Un'impresa mai riuscita a un giudice, né tantomeno a lui, che impiegava 2-3 mesi per sentenze molto più brevi. Evidente che quella era stata scritta prima che la Corte decidesse. IL PROCESSO. Nel 1999 il pool chiede il rinvio a giudizio per Berlusconi, Previti, Metta, Acampora, Pacifico. Nel 2000 il gup li proscioglie tutti con formula dubitativa (comma 2 art. 530 cpp). Ma nel 2001 la Corte d'appello, accogliendo il ricorso della Procura, li rinvia a giudizio, tranne Berlusconi, appena tornato a Palazzo Chigi e salvato dalla prescrizione: a lui i giudici accordano le attenuanti generiche. Perché a lui sí e agli altri no? Per "le attuali condizioni di vita individuale e sociale il cui oggettivo di per sé giustifica l'applicazione" delle attenuanti. La Cassazione conferma: il Cavaliere non è innocente, anzi è "ragionevole" e "logico" che il mandante della tangente a Metta fosse proprio lui. Ma un semplice fatto tecnico come le attenuanti prevalenti "per la condotta di vita successiva all'ipotizzato delitto". Anziché rinunciare alle generiche per essere assolto nel merito, Berlusconi prende e porta a casa. E fa bene: gli altri coimputati, senza le attenuanti, saranno tutti condannati. In primo grado, nel 2003, Metta si prende 13 anni, Previti e Pacifico 11 anni sia per Mondadori sia per Imi-Sir, e Acampora (per la sola Mondadori) 5 anni e 6 mesi. Nel 2005, in appello, tutti condannati per Imi-Sir e tutti assolti (sempre col comma 2 dell'art. 530) per Mondadori. Ma nel 2006 la Cassazione annulla le assoluzioni e ordina alla Corte d'appello di condannare anche per Mondadori. La qual cosa accade nel febbraio 2007: Previti, Pacifico e Acampora si vedono aumentare la pena di un altro anno e 6 mesi e Metta di 1 anno e 9 mesi, in "continuazione" con le condanne ormai definitive per Imi-Sir. Scrivono i giudici che la sentenza Mondadori fu "stilata prima della camera di consiglio", "dattiloscritta presso terzi estranei sconosciuti" e al di "fuori degli ambienti istituzionali". Tant'è che al processo ne sono emerse "copie diverse dall'originale". Berlusconi era all'oscuro dell'attività corruttiva del suo avvocato-faccendiere (che ufficialmente non difendeva la Fininvest nella causa, seguita dagli avvocati Mezzanotte Vaccarella e Dotti)? Nemmeno per sogno: il Cavaliere - scrivono i giudici - aveva "la piena consapevolezza che la sentenza era stata oggetto di mercimonio". Del resto, "la retribuzione del giudice corrotto è fatta nell'interesse e su incarico del corruttore", cioè di Berlusconi. E "l'episodio delittuoso si svolse all'interno della cosiddetta "guerra di Segrate", combattuta per il controllo di noti ed influenti mezzi di informazione; e si deve tener conto dei conseguenti interessi in gioco, rilevanti non solo sotto un profilo meramente economico, comunque ingente, ma anche sotto quello prettamente sociale della proprietà e dell'acquisizione dei mezzi di informazione di tale diffusione". La Corte riconosce infine alla parte civile Cir di De Benedetti il diritto ai danni morali e patrimoniali, da quantificare in separata sede civile: "tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi effettivi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato dei titoli azionari". Ora che la sentenza è definitiva, e che Previti si è visto revocare l'affidamento ai servizi sociali per il "regime" dei domiciliari (e potrebbe decadere anche a breve il suo mandato parlamentare), la Cir con gli avvocati Pisapia e Rubini chiederà 1 miliardo di euro di danni. In pratica, 17 anni dopo, la restituzione del maltolto. Chissà se il Cavalier Prescritto li farà pagare ai condannati, o se metterà mano al portafogli. Nella prima ipotesi, qualcuno potrebbe innervosirsi e ricordarsi qualcosa. Magari raccontando chi gli chiese di comprare la sentenza Mondadori.


 

La Repubblica 15-7-2007 Condannato emofiliaco: frode milionaria con prescrizioni a catena Era complice di medici e farmacisti: in un anno ritirate 770 dosi di Emoclot del costo di 650 euro a confezione Il truffatore del farmaco salvavita

 

Bari Per i giudici ha strumentalizzato la malattia: dovrà scontare 4 anni MARA CHIARELLI La malattia non si strumentalizza, neppure se si tratta della propria. Con questo principio, recependo le richieste del pm Ciro Angelillis, i giudici della seconda sezione penale del tribunale di Bari hanno condannato a quattro anni Francesco I., 40 anni, accusato di associazione a delinquere finalizzata alla truffa. L'uomo è uno dei componenti l'organizzazione che dal 2000 al 2002 avrebbe truffato il sistema sanitario nazionale per oltre quattro milioni di euro. Nel marzo 2002, infatti, i carabinieri del Nas arrestarono Annibale Pepe, titolare dell'omonima farmacia al quartiere Japigia di Bari, sua nuora Anna Maria Mastrangelo, e tre pazienti affetti da emofilia. La farmacia fu sequestrata. Francesco I. e gli altri due pazienti, sarebbero stati parte attiva nella maxitruffa, per essersi fatti prescrivere dai medici di base, in quantità di gran lunga superiore al necessario, un prezioso farmaco salvavita a totale carico del servizio sanitario nazionale. L'Emoclot, il medicinale specifico per quel tipo di malattia, veniva ritirato con la ricetta proprio dalla farmacia Pepe, che ne riportava un cospicuo quanto illecito guadagno: ogni confezione costava circa 650 euro. Una parte del denaro, che il dottor Annibale Pepe riceveva come rimborso dal servizio sanitario nazionale veniva poi girata, in forma di ricompensa ai tre ammalati. Francesco I., hanno calcolato gli investigatori, avrebbe ritirato in un solo anno dalla farmacia 770 confezioni di Emoclot. Un giro di denaro che avrebbe provocato un pesante danno all'erario e, di conseguenza, la condanna per Francesco. Contro di lui l'accusa, sottolineata dal pm Angelillis nella sua requisitoria, di aver abusato della situazione, strumentalizzando la malattia per conseguirne un indebito arricchimento. E poco rilevante, secondo il magistrato, è il fatto che lo stesso imputato sia emofiliaco, perché la truffa cui avrebbe preso parte ha danneggiato la collettività e, di conseguenza, ha penalizzato altri malati come lui che, invece, avrebbero potuto beneficiare dell'Emoclot. L'uomo era l'ultimo imputato rimasto nel processo perché l'unico ad aver scelto di proseguire con il rito ordinario: gli altri coinvolti nella maxitruffa sono già stati condannati nei mesi scorsi, con il patteggiamento o con l'abbreviato, a pene fino ai due anni di reclusione. Nello stesso processo, sono stati assolti i genitori di una delle due farmaciste, indagati nell'inchiesta perché accusati di aver agevolato la consegna dei farmaci ai pazienti. Le indagini, basate su controlli incrociati di ricette e documentazione medica, si sono concentrate anche su quello che fedelmente registravano le microspie piazzate dai carabinieri sotto il bancone della farmacia: chiacchierate, ordini trasmessi per telefono, accordi e quant'altro, tutto finito nel fascicolo della procura di Bari.


 

Gazzetta del Sud 15-7-2007 Anche il New York Times, assieme a molti senatori repubblicani, chiede al presidente di trovare una via d'uscita Irak, perché ormai gli Usa devono ritirarsi Bush prende tempo e spera intanto che la pressione delle nuove truppe salvi la faccia e accorci il conflitto Piero Orteca

 

Adesso anche il New York Times, con un editoriale al vetriolo, ha suonato la sveglia, proprio mentre va aumentando la tribù dei senatori repubblicani che, sul piede di guerra, chiedono a George Bush di trovare in fretta una via di fuga dall'Irak, prima che la sua ferrea, ma decisamente infausta determinazione, finisca per portare in carrozza alla Casa Bianca, l'anno prossimo, il candidato del Partito democratico, chiunque esso sia. Gli americani sono stufi di un intervento "per l'esportazione della democrazia" che si è invece trasformato nella metafora di una politica estera ondivaga e senza bussola. Un carnaio costato finora un sacco di vite umane, che brucia risorse con la velocità di un altoforno e che, oltre al danno la beffa, ha fatto aumentare l'ostilità verso la bandiera a stelle e strisce in tutto il pianeta (ultimo rapporto Pew Research Center), rianimando le disperse legioni qaidiste. Insomma, l'esatto opposto di quello che qualsiasi corretto progetto strategico di relazioni internazionali dovrebbe ottenere. Se ogni "foreign policy" dev'essere giudicata dai risultati, allora non solo il presidente, ma anche gli altri poteri che concorrono più o meno direttamente alla sua formazione (Dipartimento di Stato in primis, e poi Consiglio per la sicurezza nazionale, Pentagono, Vicepresidenza, agenzie di intelligence, Commissioni del Congresso) dovrebbero battersi il petto e recitare il "mea culpa". Oggi l'Islam è in fiamme. Dall'Algeria fino alle Filippine, passando per il Medio Oriente, la Penisola arabica, il Pakistan e l'Asia Centrale, non passa giorno senza che non vi siano massacri, rivolte di piazza, autobomba e teste mozzate. Ma siccome le vittorie hanno cento padri e le sconfitte sono sempre orfane, ecco che adesso infuria la battaglia per scaricare responsabilità e riposizionarsi su più comode e politicamente redditizie sponde "pacifiste". E, si badi bene, la ritirata su tutto il fronte, che rischia di diventare una rotta o, peggio, un "si salvi chi può", è equamente divisa in senso trasversale, perché sono in molti anche fra i democratici quelli che hanno bisogno di farsi perdonare l'interventismo "umanitario" della prima ora. Come Hillary Clinton. "The road home", "La strada verso casa", è il titolo eloquente dell'articolo che il più importante quotidiano americano ha dedicato al ginepraio irakeno. E ancora più "tranchant" sono le prime parole: "E' arrivata l'ora per gli Stati Uniti di lasciare l'Irak, senza perdere tempo, se non quello di cui il Pentagono ha bisogno per organizzare un rimpatrio ordinato". Il New York Times affonda il coltello nella piaga, parlando senza mezze misure di disastro "creato senza validi motivi", un'aperta sfida all'opinione pubblica internazionale, priva di un piano per stabilizzare il Paese dopo il conflitto. L'editorialista spara le sue bordate contro le forze di sicurezza addestrate da Washington, definite "milizie partigiane" incapaci di riportare l'ordine e dipinge tutta la guerra come "un fardello insostenibile per i contribuenti", un conflitto che tradisce il mondo, che invece si aspetterebbe "una saggia applicazione della potenza americana". Che il vento fosse decisamente girato lo si era già capito da un pezzo, da quando la Casa Bianca si era affannata a rimodulare la strategia dell'intervento, lo scorso gennaio, elaborando un documento (ispirato dal National Security Council) caratterizzato più dalla foga di metterci una pezza che da un respiro geopolitico innovativo. Le "guidelines" di quel programma riproponevano tre punti cardine: vincere la guerra in Irak è indispensabile per abbattere il terrorismo; un fallimento avrebbe serie conseguenze per gli Stati Uniti, i suoi alleati e per tutta la regione; non c'è una soluzione "miracolistica" del problema, ma ogni scelta è gravata da rischi conseguenti e inevitabili. Secondo questo scenario, Al Qaida in Irak lotta per istituire un Califfato attraverso il terrore, mentre gli americani devono invece battersi per difendere le istituzioni democratiche. L'Iran e in misura minore la Siria interferiscono pericolosamente. Le forze di sicurezza irakene sono lacerate da "settarismo" e non sono ancora in grado di padroneggiare la situazione, anche perché numerosi soldati disertano. Spesso gli attacchi terroristici, prima ritenuti di esclusiva matrice sunnita, si combinano con scontri tribali o fra clan, per cui diventa difficile tracciare una linea di demarcazione e approntare una risposta adeguata. Dal canto loro, i leader politici "non hanno la visione comune di un Irak unito" rendendo impossibile intavolare una trattativa generale e costringendo tutti a estenuanti negoziati bilaterali. La situazione a Baghdad rimane critica, il governo non riesce a garantire i servizi essenziali né a controllare l'ordine pubblico, mentre il sostegno della gente alle forze della coalizione è in declino. Nonostante questa analisi decisamente pessimistica, la strategia americana sei mesi fa puntava ancora su un Irak unificato e federale, capace di autogovernarsi. Per raggiungere questo obiettivo, il documento suggeriva i seguenti punti: sconfiggere i terroristi sostenuti da Al Qaida, riprendere il controllo della capitale, contrastare l'ingerenza siro-iraniana, salvaguardare la democrazia, favorire la riconciliazione nazionale, rafforzare le forze di sicurezza locali, sviluppare l'economia, cercare il sostegno delle nazioni vicine e della comunità internazionale. L'ultimo paragrafo della "Irak strategy" (meglio nota tra gli addetti ai lavori come "The surge", "Lo slancio") snocciolava poi le mosse operative per conseguire gli obiettivi sopraccitati: aumento delle truppe (cinque brigate in più), presenza di consiglieri militari americani nei reparti regolari irakeni, utilizzo della Guardia Nazionale per alimentare le turnazioni, raddoppio degli esperti civili, intensificazione delle azioni contro la guerriglia sostenuta dagli iraniani, ampliamento delle strutture militari Usa in tutto il Golfo Persico, maggiori fondi per le forze dell'Esercito e dei Marines. Praticamente un decalogo, che ora viene però rimesso in discussione dagli stessi repubblicani. Nelle ultime settimane, ai pesanti rilievi critici del senatore John W. Warner, della Virginia, si sono uniti quelli di Richard Lugar (Indiana), Gorge Voinovich (Ohio) e Pete Domenici (New Mexico): tutti hanno chiesto a Bush, loro compagno di partito, di voltare velocemente pagina. E mentre anche i democratici affilano le armi, a cominciare dal leader al Senato Harry Reid ("andarsene dall'Irak è un dovere morale"), il presidente ha cercato di parare le botte annunciando un "cambiamento del cambiamento", cioè una revisione del documento di gennaio. Parlando al Naval War College, Bush ha detto di aver dato mandato all'ambasciatore Ryan Crocker e al comandante militare, il generale David Petraeus, di studiare un diverso approccio, meno "difensivo". Con l'operazione "Tuono fantasma" resa possibile da nuove truppe, gli americani hanno alzato la loro pressione nella capitale e soprattutto sono andati all'attacco delle roccaforti della guerriglia a Dyala, nella regione di Anbar, dove più forte è la presenza qaidista, e lungo il corso inferiore del Tigri. E' una mossa rischiosa "perché - mette le mani avanti la Casa Bianca - le perdite sono destinate ad aumentare" e le polemiche, di conseguenza, a diventare incandescenti. Una spallata, frutto del fiato ormai bipartisan sul collo del presidente, che mira evidentemente ad accorciare i tempi del conflitto. Proprio per questo Bush ha chiesto al Congresso di aspettare settembre e la relazione di Petraeus, prima di prendere decisioni intempestive. Anche se non più tardi di qualche giorno fa, lo stesso generale si è lasciato scappare con la BBC una sconsolata dichiarazione: con questi chiari di luna, la guerra potrebbe durare almeno altri 10 anni. Noi pensiamo che basterà invece molto meno tempo, come ha auspicato il New York Times, per convincere gli americani a studiare il modo di ritrovare la strada di casa. Un Paese antico L'Afghanistan è una nazione dell'Asia centrale. Confina ad ovest con l'Iran, a sud e a est con il Pakistan, a nord con il Turkmenistan l'Uzbekistan e il Tagikistan e con la Cina nella regione più a est della nazione. È tra i paesi più poveri al mondo. Dopo la caduta dei talebani in seguito all'invasione statunitense e con la sua nuova costituzione il Paese viene ufficialmente chiamato Repubblica Islamica dell'Afghanistan. L'Afghanistan è un mosaico di gruppi etnici e culture e un crocevia tra Oriente e Occidente. Una terra antica che è stata spesso saccheggiata. La storia recente della nazione l'ha vista devastata dall'invasione sovietica seguita dall'ascesa e dalla caduta dei talebani e dall'intervento della Nato nel 2001. (domenica 15 luglio 2007).


 

INDICE 14-7-2007

 

+ Il Sole 24 Ore 14-7-2007 Dilaga il caro spiagge: prezzi in aumento di almeno il 3 percento (si arriva però anche al 17) rispetto allo scorso anno. Un bagnante può spendere fino a 100 euro al giorno per lettino, cabina, ombrellone e parcheggio  1

+ La Repubblica 14-7-2007 Varata la Costituente socialista Boselli: "Il nuovo partito lo chiamerei Psi" E' stata firmata la "dichiarazione del 14 luglio". La cerimonia all'Auditorium del Massimo di Roma. Ancora buio sul simbolo  4

Angius (Sinistra democratica): "Lavorerò con voi per una forza socialista e democratica" Aderiscono, a titolo personale, Grillini e Barbieri (ex Ds) e Cinzia Dato (Dl) 4

Il Corriere della Sera 14-7-2007 Di SERGIO RIZZO e GIAN ANTONIO STELLA Sforbiciatine Volonterose Trecentoventitré metri pro capite, ai nostri deputati, non bastavano. Stavano strettini. E così la Camera, per far fronte alla crescita smisurata dei gruppi parlamentari, è stata costretta ad affittare, 6 mesi fa, un appartamento di 600 metri in piazza San Lorenzo in Lucina, due passi da Montecitorio. Al modico affitto di 356.400 euro l'anno: 29.700 al mese. 5

Panorama 6-7-2007 Intrigo a Catanzaro: le relazioni pericolose del Professor Prodi 6

La Repubblica 13-7-2007 Prodi indagato a Catanzaro per abuso d'ufficio L'iscrizione sulla lista degli indagati dell'inchiesta sulla cosiddetta "Loggia di San Marino". Il presidente del Consiglio: "Non ho ricevuto alcun avviso ma ho piena fiducia nei magistrati" Seguendo i tabulati telefonici, una lunga serie di telefonate portano a un'utenza del premier 8

Il Giornale 14-7-2007  Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, è indagato a Catanzaro per abuso d'ufficio in concorso con personaggi riconducibili a un presunto comitato d'affari a San Marino. 9

 


 

 

+ Il Sole 24 Ore 14-7-2007 Dilaga il caro spiagge: prezzi in aumento di almeno il 3 percento (si arriva però anche al 17) rispetto allo scorso anno. Un bagnante può spendere fino a 100 euro al giorno per lettino, cabina, ombrellone e parcheggio


Dilaga il caro spiagge: prezzi in aumento di almeno il 3 percento (si arriva però anche al 17) rispetto allo scorso anno. Un bagnante può spendere fino a 100 euro al giorno per lettino, cabina, ombrellone e parcheggio soprattutto se sceglie la costa versiliese, o la spiaggia del Poetto di Cagliari o i Faraglioni di Capri. Sono i dati di una inchiesta che l'AGI che fatto ha nelle regioni italiane.
Toscana
Aumento di circa il 3% dei prezzi negli stabilimenti balneari della Toscana: questo l'incremento registrato, per l'estate 2007, dalla Mercury, societ
à di ricerca che opera nel settore delle statistiche in campo turistico. Chi ha scelto di prendere un abbonamento stagionale in Versilia quest'anno dovrà pagare tra i 450 ed i 600 euro, mentre per ombrellone, sdraio, sedia ed un lettino affittati giornalmente il costo oscilla tra i 18 ed i 30 euro. L'aumento delle attrezzature da spiaggia in Toscana si attesta a metà strada tra gli incrementi medi rilevati negli stabilimenti del nord Italia (più 1,5%) e del sud Italia (intorno al 5%). L'ombrellone più costoso, nell'intera penisola, è comunque a Forte dei Marmi, dove in uno stabilimento balneare si oscilla tra i 40 euro della bassa stagione ed i 55 dell'alta stagione.
Il costo dei servizi balneari, in Versilia,
è relativo anche all'offerta dei singoli stabilimenti. Chi offre la piscina privata richiede dai cinque ai dieci euro in più rispetto a chi non prevede questo servizio. Differenze di costo anche per chi sceglie ombrelloni posizionati nelle prime file. Anche se ufficialmente il prezzo dovrebbe essere lo stesso, la realtà è che la richiesta dei gestori per un servizio più vicino al mare è mediamente del 20% più alta rispetto a chi si accontenta di accomodarsi lontano dal bagnasciuga. Per chi intende usufruire di tutti i servizi la giornata al mare, in Versilia, rischia di costare tra i 50 ed i 100 euro, in relazione alla categoria del bagno. Un esborso complessivo che comprende - oltre ai servizi in spiaggia anche il pranzo (dai 15 ai 40 euro, in relazione alla scelta tra semplici pasti freddi o pasti completi) ed il parcheggio per l'auto. Un costo, quest'ultimo, contestato dalle associazioni dei consumatori. In Versilia risulta infatti difficile trovare - a parte i pochi posti disponibili nei singoli stabilimenti balneari - un posteggio libero. I comuni hanno scelto di 'fare cassà, applicando tariffe che - per una giornata sulla spiaggia - si attestano intorno ai dieci euro al giorno.
Sardegna
Passare una giornata al mare sulla spiaggia del Poetto di Cagliari, se si sceglie lo stabilimento pi
ù esclusivo, può arrivare a costare sino a 100 euro per una famiglia media di quattro persone. Meno della metà, invece, se si preferiscono le strutture più piccole e che sono sorte negli ultimi anni lungo la spiaggia del capoluogo sardo. La spesa giornaliera per una cabina negli stabilimenti «storici» può raggiungere anche i 35 euro - anche se non mancano le offerte -, mentre il prezzo dell'ombrellone oscilla fra i 5 e i 15 euro al giorno cui si aggiunge il costo del lettino (da un minimo di 4 euro a un massimo di 10). Per una doccia dopo il bagno è necessario sborsare un minimo di 30 centesimi mentre per un giro di un'ora in canoa o in pedalò non si spendono meno di 10 euro. Il prezzo di una giornata al mare sul litorale cagliaritano sale se uno decide di concedersi un pranzo o uno spuntino in uno dei tanti «baretti» disseminati lungo la spiaggia dove un caffè costa in media un euro. Per un pranzo completo di primo, secondo (ma si tratta di prodotti preconfezionati e riscaldati al microonde, considerato che questo tipo di strutture non possiedono licenze per la ristorazione) e macedonia non si spendono meno di 20 euro, se ci si accontenta di un'insalata la spesa si aggira fra i 6 e gli 8 euro. La spesa per una giornata al mare però dipende, ovviamente, anche da quanto si è abituati alle comodità e da quanto si è disposti a rinunciarci: per chi ama la spiaggia libera ed è disposto a portarsi dietro l'ombrellone di famiglia, un panino e una bottiglia d'acqua il mare del Poetto può ancora risultare alla portata di tutti.
Calabria
Sono in leggero aumento i costi in Calabria per i servizi sulle spiagge. Quest'anno per ombrelloni, sdraio e cabine si registrano aumenti che possono raggiungere anche punte del 16% nelle localit
à più rinomate. L'effetto della liberalizzazione del settore si fa, comunque, sentire, al punto che è facile trovare prezzi completamente differenti tra strutture balneari poste a poche decine di metri una dall'altra. Sulla costa ionica catanzarese, ad esempio, sullo stesso tratto di spiaggia, i prezzi per un mese di servizi sul bagnasciuga variano dai 170 ai 350 euro, pur tenendo conto delle possibili differenze in termini di qualità dei servizi. Secondo la Confesercenti calabrese, a cui aderiscono la gran parte delle strutture balneari, non si registrano aumenti ufficiali significativi sui costi dei servizi, mentre sono in leggero aumento il numero delle concessioni demaniali per nuovi insediamenti balneari, anche se questo, sempre secondo Confesercenti, non pregiudica il libero accesso alle spiagge libere che restano ancora molto numerose in Calabria.
Puglia
come molte altre regioni, registra quest'anno un incremento dei costi per accedere ai servizi forniti da un qualsiasi stabilimento balneare. Dalla sdraio all'ombrellone, dal lettino alla cabina tutto costa un p
ò di più anche se i prezzi, dai primi rilievi ufficiali, risultano in aumento mediamente del 3%. L'incremento, specie se rapportato a quello di circa il 20% negli ultimi tre anni, la dice lunga su come cresce la spesa pro capite per l'accesso ai lidi privati specie se si tratta di nucleo familiare più numeroso. Si calcola in media che per trascorrere una gionata in spiaggia una famiglia di 4 persone arrivi a spendere anche 60 euro tra accesso al lido, sdradio, ombrellone, lettino e cabina. Mediamente l'accesso al lido nel barese si paga sui 5 euro ma si può salire anche a 7-8 euro nei giorni festivi. Sempre 5-6 euro ci vogliono per sdraio e ombtrellone mentre l'abbonamento per tutta la stagione di una cabina può costare poco più di un migliaio di euro. Intanto la Regione Puglia, assessorato al Demanio, ha ripristinato perentoriamente l'accesso libero alla costa per tutti i cittadini, ovviamente si tratta solo dell'accessoalla battiglia mentre si pagano regolarmente i vari servizi messi a disposzione dai lidi. Da lunedì 16, infatti, per tutti i gestori balneari scatterà la revoca della licenza se non saranno rimosse le barriere architettoniche (recinzioni, muretti etc) che impediscono il libero accesso al mare.
Abruzzo
Nessun aumento delle tariffe, quest'estate, sulle spiagge abruzzesi, rispetto all'anno scorso. È pratica,emte l'uinico caso. Il listino prezzi, assicura la Federazione italiana balneari della Confesercenti,
è rimasto praticamente invariato. Negli stabilimenti che aderiscono a questa sigla affittare per un giorno un ombrellone tradizionale, con un lettino e una poltrona costa, a luglio e agosto, 17 euro nel primo settore, e quindi nella zona più vicina al mare, e 13 euro nel secondo settore,più in là rispetto alla riva. In bassa stagione (maggio,giugno e settembre) il prezzo giornaliero di un ombrellone con un lettino e una poltrona scende a 13 euro per il primo settore e 12 per il secondo. Aggiungere un lettino, sempre in alta stagione, costa 6 euro al giorno, una sdraio o una poltrona 4 euro, una cabina-spogliatoio 8 euro, mentre l'ombrellone hawaiano, la cosiddetta 'palmà, più grande dell'ombrellone tradizionale e più vicina al mare, costa 35 euro al giorno. I prezzi per affittare un ombrellone per l'intera stagione vanno dai 400 ai 520 euro, mentre per assicurarsi una 'palmà per tutta l'estate la spesa si aggira sui 1.250 euro.
Sicilia
Scoppia il caro ombrellone anche sulle spiagge siciliane. La tintarella in una spiaggia attrezzata sembra tramutarsi in un lusso. Secondo quanto rilevato da alcune associazioni dei consumatori, infatti, lettino e ombrellone in un arenile attrezzato dell'Isola, quest'anno costa pi
ù caro: il media il 10-13% in più rispetto alla passata stagione, come a Mondello, con punte del 14-15% nelle province di Catania e Messina. Se i gestori di stabilimenti mettono le mani avanti e parlano di aumenti contenuti tra il 2,5 ed il 5%, in realtà le voci di costo (ombrellone e lettino, soprattutto) registrano aumenti a due cifre. Secondo la rilevazione, infatti, per una sdraio si pagherà, in luglio e in agosto, da 6 a 7 euro; per un ombrellone da 6,5 a 7,5 euro; e per un lettino da 7 a 8 euro. Quanto al biglietto d'accesso agli stabilimenti, di norma non viene richiesto, ma quando è previsto passa mediamente da 4 a 5 euro, con punte di 7 euro qualora dia il diritto ad accedere a servizi particolari, come la piscina. Insomma, un 'pacchettò estivo può arrivare a costare tra i 3.500 e 5 mila euro, se ai tradizionali servizi lettino-sdraio-ombrellone si aggiungono, ad esempio, babysitter, fitness di gruppo e parcheggio.
Emilia Romagna
Nella ricercata riviera romagnola - Rimini, Milano Marittima, Riccione su tutte - si
è registrato un aumento del 2,5 per cento. I bagnanti, per un lettino, ad esempio, spenderanno tra i 5-7 euro, ricordando che in un lido più raffinato si potrà spendere fino a 12-15 euro. La conferma giunge da Riccardo Borgo, presidente del sindacato italiano balneare, che lunedì sul tema terrà un dettagliato rapporto.


 

+ La Repubblica 14-7-2007 Varata la Costituente socialista Boselli: "Il nuovo partito lo chiamerei Psi" E' stata firmata la "dichiarazione del 14 luglio". La cerimonia all'Auditorium del Massimo di Roma. Ancora buio sul simbolo

 

Angius (Sinistra democratica): "Lavorerò con voi per una forza socialista e democratica"
Aderiscono, a titolo personale, Grillini e Barbieri (ex Ds) e Cinzia Dato (Dl)

 

 

ROMA - Nasce la 'Costituente socialista' con l'obiettivo di porre fine alla diaspora. A sancire l'atto costitutivo del nuovo soggetto unitario socialista è stata la firma di una dichiarazione ribattezzata "del 14 luglio", sottoscritta da tutti i leader aderenti al progetto: oltre a Enrico Boselli (Sdi), Bobo Craxi (I socialisti) e Gianni De Michelis (Nuovo Psi). La cerimonia si è conclusa nel primo pomeriggio all'Auditorium del Massimo a Roma, tra gli applausi della platea. Tra le adesioni, a titolo personale, quelle di Franco Grillini (presidente onorario dell'Arci Gay, ex Ds ora aderente a Sinistra democratica), Cinzia Dato (Margherita), Roberto Barbieri (deputato campano Ds). Da Gavino Angius, vicepresidente del Senato, già capo dei senatori Ds che ha lasciato la Quercia dopo il congresso che ha sancito la nascita del Partito democratico, è arrivata una lettera che fa ben sperare Boselli e i suoi: "D'ora - scrive Angius - in poi volgerò il mio impegno politico per contribuire alla nascita in Italia di una forza di ispirazione socialista e democratica che sia parte integrante del Pse, per far sì che in essa possano riconoscersi con le loro storie e culture milioni di nostri concittadini". E poi: "Le forze che si riconoscono nei valori del socialismo europeo potranno presto ritrovarsi in un progetto comune, magari in una assemblea fondativa, per dare vita a una nuova sinistra di governo internata da nuovi protagonisti in grado di rappresentare al meglio le sfide future che ci attendono". Nel suo messaggio, Angius dice anche che il Partito democratico non è un partito di sinistra.

Boselli annuncia per ottobre "una grande conferenza per il programma e a dicembre il congresso di fondazione del partito". Poi precisa: "non sarà e non dovrà essere la pura e semplice somma delle nostre organizzazioni". Quanto al nome del nuovo soggetto politico, Boselli si sbilancia: ''Penso di chiamare il nuovo partito Psi, Partito Socialista Italiano'', ma chiarisce subito che è solo il suo punto e invita tutti a discuterne auspicando la rinascita dei socialisti e la fine della diaspora.

La questione centrale è sembrata proprio la stessa posta dalla lettera di Angius: la necessità, cioé, di riempire uno spazio "socialista" (in senso anche europeo) della sinistra italiana che né il Pd né Rifondazione sembrano riuscire a coprire: "Intendiamo - ha detto Boselli - diventare una vera sinistra italiana ed europea. Credo che debba finire - ha aggiunto - l'anomalia italiana, che non vede nel nostro Paese una vera forza socialista. Siamo aperti in primo luogo a chi è socialista nell'anima, ma guardiamo con grande interesse anche ai liberali, ai laici e ai radicali. Tutto questo perchè siamo convinti che il Partito democratico sia frutto solo di un accordo tra Ds e Margherita".

Ma Boselli ha parlato anche del governo con un'interpretazione piuttosto pesante della nascita del Pd: "Romano Prodi non ha avuto un proprio partito quando esistevano Ds e Margherita ed ora rischia di avere un partito, il Pd, che è solo ansioso di sostituirlo alla guida dell'esecutivo. Le primarie per l'indicazione del nuovo leader del Pd rischiano di essere lo strumento per svuotare e far perdere di legittimità quelle che hanno indicato Prodi a candidato premier".

Alla Costituente è stato eletto anche un coordinatore nella persona di Giacomo Mancini, deputato calabrese, nipote del leader calabrese che portava lo stesso nome: Mancini ricoprirà il ruolo solo per lo Sdi e non per tutti i partiti, movimenti e singoli che hanno deciso l'adesione. La decisione, infatti, resa dall'esecutivo dello Sdi, su proposta di Boselli, e non dalle altre organizzazioni aderenti.

I lavori si erano aperti sulle note di Imagine di John Lennon sul palco dell'Auditorium del Massimo. Lo speaker, il giornalista Alessandro Cecchi Paone che ha esordito dicendo: "Io mi sento a casa". In una sala affollata, insieme ai leader, tanti militanti e simpatizzanti dell'ex partito del Garofano. Come da tradizione, nella scenografia ha prevalso il rosso.

(14 luglio 2007)

 


 

Il Corriere della Sera 14-7-2007 Di SERGIO RIZZO e GIAN ANTONIO STELLA Sforbiciatine Volonterose Trecentoventitré metri pro capite, ai nostri deputati, non bastavano. Stavano strettini. E così la Camera, per far fronte alla crescita smisurata dei gruppi parlamentari, è stata costretta ad affittare, 6 mesi fa, un appartamento di 600 metri in piazza San Lorenzo in Lucina, due passi da Montecitorio. Al modico affitto di 356.400 euro l'anno: 29.700 al mese.

 

Un dato che, da solo, dimostra la sproporzione tra l'enormità dei costi di una politica impazzita e la volonterosa sforbiciatina decisa dal governo. Il cui disegno di legge, se riuscisse davvero a far risparmiare 1.300 milioni di euro, rivelerebbe in modo lampante come si possa tagliare molto di più. "La montagna ha partorito un topolino", commenta il nazional-alleato Adolfo Urso. "Per qualunque cosa a loro interessi propongono un decreto di immediata esecutività, quando devono soltanto fare degli annunci, come stavolta col taglio dei costi della politica, propongono invece disegni di legge che verranno approvati nel mese del poi e nell'anno del mai", ridacchia il leghista Roberto Calderoli. "Dopo innumerevoli annunci ci si aspettava qualcosa di serio e invece il governo Prodi, al posto di annunciare il taglio immediato del numero di ministri e sottosegretari del governo più numeroso d'Europa e della storia italiana, annuncia un ddl per tagliare qualche telefonino e qualche auto blu?", accusa il forzista Gregorio Fontana. Pulpiti sbagliati, per le prediche: i bilanci ufficiali dicono che negli anni 2001-2006 in cui governavano loro, con una maggioranza larghissima, le spese per gli organi costituzionali (dal Quirinale alla Camera, dal Senato alla Corte Costituzionale) si impennarono del 23% oltre l'inflazione. Né si ha memoria, su questo fronte, di qualche riforma significativa. Per tacere del numero di ministri e sottosegretari: prima che a Romano Prodi, che svetta oggi solitario in cima alla oscena classifica, il record di poltrone apparteneva a Giulio Andreotti (101) seguito con 98 dal terzo governo guidato da Silvio Berlusconi: 56 in più del primo governo De Gasperi. Insomma: chi è senza peccato scagli la prima pietra. Detto questo, è fuori discussione che sul versante della lotta alla crescita abnorme dei costi della politica era lecito aspettarsi molto, molto, molto di più. Confida il ministro Giulio Santagata agli amici che lui ce l'ha messa tutta, che avrebbe voluto incidere il bisturi più in profondità, che si rende conto perfettamente che dopo tanta attesa il disegno di legge varato ieri dal Consiglio dei ministri (e destinato a un cammino ricco di insidie e lungo lungo, al punto che non si entrerà probabilmente nel vivo prima di gennaio) può apparire insufficiente. Sospira che il governo non può mettere mano a certi capitoli che sono di esclusiva competenza altrui. E sbuffa lasciando capire che sui giornali tutti si riempiono la bocca ma poi, nelle segrete stanze, da sinistra e da destra, arricciano il naso davanti a questo e a quello. Come Francesco Rutelli che, davanti al taglio dei consigli circoscrizionali, avrebbe mostrato di essere assai riottoso. Fatto sta che su questo punto il documento governativo, stando alla relazione illustrativa, è per lo meno ambiguo. Dice infatti che sì, certo, bisogna "eliminare i consigli circoscrizionali nei comuni con popolazione inferiore a 250.000 abitanti (attualmente, la soglia minima è di 100.000)" ma aggiunge che va prevista "la possibilità di istituire circoscrizioni per i comuni aventi popolazione tra i 100.000 e i 250.000 abitanti". Una subordinata che, potete scommetterci, sarà interpretata, in un Paese ricco di furbetti, col tentativo di riproporre esattamente il quadro di prima: basterà cambiare il nome. Per carità, qualche sforzo di buona volontà si vede: l'impegno a una maggiore trasparenza, un giro di vite sulle società miste e sui consigli di amministrazione (dei consiglieri della Società autostradale Brescia-Verona-Vicenza-Padova i politici riciclati e non sono 11 su 15), una stretta alla distribuzione di cellulari ai dipendenti regionali, una razionalizzazione delle spese telefoniche con l'uso delle chiamate via Internet, una serie di nuove norme sui contratti flessibili per arginare la discrezionalità con cui certe amministrazioni locali vanno ad "aggirare i divieti esistenti di procedere a nuove assunzioni", una omogeneizzazione di compensi degli amministratori che oggi per fare lo stesso lavoro in luoghi diversi prendono buste paga diversissime, un limite al cumulo di incarichi, una disposizione perché i compensi dati ai consulenti non solo siano pubblici ma diventino operativi solo "dopo" la loro pubblicazione on line. E infine una riduzione del 20% (anche se la strada per arrivare al traguardo sarà assai accidentata) dei consiglieri e degli assessori regionali, comunali e provinciali. Nonché delle loro indennità e dei rimborsi. Evviva. Ma è davvero poco. Manca ogni accenno alla proposta avanzata da più parti di sopprimere le province. Manca ogni accenno all'accorpamento di un po' di comuni, anche se ce n'è uno come Monterone, in provincia di Lecco, con 33 abitanti. Manca ogni accenno alla necessità non solo di rendere i bilanci trasparenti ma leggibili: a cosa serve che vadano su Internet se poi l'"acquisto di giornali e libri" per una somma enorme (128 mila euro) può essere nascosta dalla Regione Sicilia sotto 7 voci esattamente uguali ma sparpagliate in capitoli diversi? Manca un impegno a ridurre, ora e non domani o dopodomani, i membri di un governo troppo obeso. Manca perfino l'incompatibilità, che era stata chiesta dalle stesse comunità montane, tra l'essere comune di mare e comune di montagna. Per non dire del silenzio, accanto alla timida voce del governo, degli altri organi costituzionali chiamati a far la loro parte. Come il Quirinale, che non ha ancora detto se quest'anno renderà finalmente pubblico il suo bilancio. Come la Camera e il Senato, dove anche gli uomini di buona volontà (e ce ne sono) magari aboliranno la barberia ma non riescono a metter freno all'aumento "automatico" delle spese dovuto a un sistema impazzito, come nel caso citato del dilagare di edifici parlamentari che con la targhetta "Montecitorio" occupano complessivamente ormai 204.212 metri quadri pari alla superficie di 14 basiliche di San Pietro, 31 campi da calcio internazionali o 420 campi da basket. Ce lo possiamo permettere? Questo è il nodo. Anche a dispetto di Massimo D'Alema. Il quale, durante una recente cena in Sudafrica, ha sbuffato davanti a un bel po' di testimoni che uffa, tutte queste polemiche sui costi della politica sono solo farina del sacco di "giornalisti sfaccendati"? Mica male, per uno che aveva detto: "Rischiamo di essere travolti?". Sergio Rizzo.


 

Panorama 6-7-2007 Intrigo a Catanzaro: le relazioni pericolose del Professor Prodi

giacomo.amadori   Venerdì 6 Luglio 2007 alle 11:33 2 commenti


L’inchiesta del sostituto procuratore di Catanzaro Luigi
De Magistris sulla cosiddetta loggia di San Marino sta prendendo la strada di Palazzo Chigi, sede della presidenza del Consiglio. L’ultimo atto è l’iscrizione sul registro degli indagati, con l’accusa di associazione per delinquere, truffa e violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete, del deputato dell’Ulivo Sandro Gozi, 39 anni, ex “assistente politico” (così si autodefinisce nel curriculum) di Romano Prodi all’Unione Europea e oggi membro (”in sostituzione del presidente del Consiglio Prodi” precisa il sito della Camera dei deputati) nella commissione Affari costituzionali.
Nei giorni scorsi il pm aveva ordinato una ventina di perquisizioni e aveva iscritto sul registro degli indagati altri due imprenditori considerati vicini al premier: il romagnolo Piero Scarpellini, 57 anni, e il calabrese Pietro Macrì, 43 anni. Nelle ultime ore De Magistris ha inviato un altro avviso di garanzia destinato a fare rumore: l’indagato è infatti Luigi Bisignani, 53 anni, ex giornalista, una condanna per Tangentopoli, consulente di molte aziende e, dal 2000, procuratore dell’Ilte (industria libraria tipografica). Ma soprattutto tessitore di relazioni in campo politico e finanziario.

La loggia di San Marino
Il magistrato calabrese ritiene che anche Gozi e Bisignani facciano parte di quel “comitato d’affari”, trasversale ai partiti e con base nel paradiso fiscale di San Marino, che grazie ad amicizie altolocate (anche all’interno della Guardia di finanza e della magistratura) e un reticolo di società costituite ad hoc sarebbe riuscito a drenare centinaia di milioni di euro di finanziamenti pubblici (in particolare dell’Unione Europea), indirizzandoli nelle casse dei partiti e nelle tasche dei politici e dei loro amici.
Il comitato sarebbe, con coloriture massoniche (la maggior parte degli indagati è anche accusata di aver violato la legge sulle associazioni segrete), una lobby nazionale che controllerebbe con la sua rete di contatti parte del sistema politico ed economico del Paese.
“Non andiamo a caccia di grembiulini, quello è solo folclore, anche se qualcuno lo abbiamo trovato” si lascia scappare uno degli investigatori. Che sanno di non agire in solitudine: infatti quella che è già stata soprannominata, in modo suggestivo, “nuova P3″ affiora in controluce in altre inchieste delle procure italiane, in particolare quelle milanesi sulle deviazioni dei servizi segreti e su fabbriche e botteghe di dossier illegali.
Per provare le sue ipotesi investigative, De Magistris, 40 anni, erede di una famiglia di magistrati (il bisnonno era regio procuratore a Napoli), sta utilizzando con zelo intercettazioni (poche), perquisizioni (abbastanza), tabulati (molti), ma soprattutto l’analisi dei flussi finanziari.
Gli ultimi accertamenti (sono ancora in corso) riguardano per esempio i movimenti di Bisignani e gli affari che ruotano intorno al suo ufficio di piazza Mignanelli 3 a Roma.

Il cellulare presidenziale
Tutto inizia con la scoperta nella memory card di uno degli indagati di un numero di telefono registrato come “Romano Prodi cellulare”. Gli inquirenti fanno una verifica e scoprono che quell’utenza era originariamente intestata all’azienda Delta impianti srl di Cornate d’Adda (Milano); nel 2005 diventa un numero dell’”Ulivo-i Democratici”; infine, nel 2007, passa sotto la presidenza del Consiglio. Oggi a quel telefono (32074…), come ha verificato Panorama, risponde una signora che assicura che quel numero è attualmente utilizzato da Prodi.
Ma che cosa c’entra la Delta impianti con il premier? È un rebus un po’ opaco. Per il magistrato la Delta srl è collegabile, attraverso alcuni passaggi societari, alla Delta spa di Bologna, holding finanziaria che ha tra i suoi azionisti una banca di San Marino. La stessa che ha una partecipazione nella Nomisma, il laboratorio di idee fondato dal Professore.
In ogni caso l’analisi dei tabulati del numero “Romano Prodi cellulare” ha permesso di ricostruire la rete di contatti (30 mila in due anni, dal 2005 al 2007). Un traffico diretto soprattutto verso Bruxelles e i telefoni portatili di molti degli indagati nell’inchiesta di Catanzaro: in particolare Gozi, Piero Scarpellini e il figlio Alessandro, gli imprenditori Francesco De Grano, Antonio Saladino e Franco Bonferroni. Praticamente la compagnia su cui sta lavorando De Magistris.
In attesa di essere interrogati gli indagati spiegano ai giornali i loro rapporti con Prodi. Saladino, 53 anni, imprenditore nel settore del lavoro interinale, legato all’imprenditoria cattolica della Compagnia delle opere, dichiara a Panorama: “Con Prodi c’era solo un’amicizia personale”. L’ex veterinario nega i rapporti di affari, non i consigli: “Per esempio, in un incontro milanese gli ho spiegato gli aspetti positivi della legge Biagi”. E la loggia di San Marino di cui ha scritto in un’email? “Uno scherzo, una battuta”.
Piero Scarpellini, dipendente della sammarinese Pragmata (costituita da molti ex uomini della Nomisma), si definisce consulente per le questioni africane del premier e ammette gli incontri con alcuni degli indagati. “Soprattutto attraverso l’attività del Laboratorio democratico europeo” dice. Un gruppo di giovani ulivisti presieduto da Gozi, molto attivo tra Roma e San Marino, dove il deputato è protagonista di incontri e iniziative.

Cavolini e peperoncino
Ma chi è Sandro Gozi? Originario di Sogliano sul Rubicone (Forlì-Cesena) è un ex funzionario dell’Unione Europea, un tecnocrate riservato, poco noto al pubblico. Campione di squash ed esperto di “sfoglia emiliano-romagnola” (ha cofirmato una proposta di legge per valorizzarla), è un predestinato della politica: dopo la laurea in giurisprudenza a Bologna, studi diplomatici e corsi di perfezionamento in giro per l’Europa, dalla London school of economics alla Scuola nazionale d’amministrazione di Parigi (Ena), al master di politica internazionale a Bruxelles. Dove, qualche anno dopo, diventa membro del gabinetto di Prodi all’Unione Europea e consigliere dell’attuale commissario José Maria Barroso, sino all’elezione alla Camera nel 2006.
In Parlamento, oltre a sostituire Prodi nella I commissione, fa parte di quella per le politiche dell’Unione Europea. Secondo De Magistris, sarebbe Gozi uno degli uomini chiave di questo “comitato di San Marino” pronto a fare affari tra Bruxelles e la Calabria.
Un altro protagonista dell’inchiesta (è indagato per associazione per delinquere, truffa e violazione della legge Anselmi) è Pietro Macrì, vibonese, 43 anni, dirigente di una società di informatica. Durante gli studi a Bologna entra in contatto con l’entourage di Prodi e nel suo ufficio campeggia una foto che lo ritrae insieme con il Professore. Secondo due testimoni dell’accusa, Macrì ai collaboratori “consigliava di mandare i soldi a San Marino”.
Ma i problemi per lui non sono finiti. A Lamezia Terme una decina di ex dipendenti della Met sviluppo, di cui Macrì è stato amministratore delegato, hanno presentato un esposto parlando di “operazioni finanziarie ed economiche poco chiare” del gruppo.
Alberto Burrone, ex dirigente della Met Sviluppo, è uno dei promotori dell’azione e a Panorama dice: “Prendevamo ricchi finanziamenti per lavori di poco conto che, spesso, venivano sovraffatturati”. I settori d’intervento erano diversissimi. “Faccio un esempio: noi che siamo specializzati in contabilità in ambito sanitario ci siamo occupati anche di immigrazione clandestina e sicurezza”.
Per un certo periodo la Met sviluppo ha ricevuto una mole di commesse che i dirigenti non riuscivano a spiegarsi: “Quando mi hanno chiesto di preparare un sistema per monitorare il rischio tsunami a Stromboli, mi sono messo a ridere”.
La Met sviluppo ha gestito pure il sito internet della Camera di commercio di Parigi: “Era un lavoro impegnativo, apparentemente senza ritorni per l’azienda, ma giustificava una serie di viaggi a San Marino, dove era stato progettato un sito fotocopia di quello parigino da attivare in caso di attacco hacker”.
A quali società e a quali personaggi legati alla repubblica del Monte Titano facevano riferimento gli uomini della Met sviluppo? “Ricordo la Pragmata (quella di Scarpellini, ndr) e a Bruxelles Macrì diceva che era “raggiungibile” Gozi” conclude Burrone. Di nuovo San Marino, di nuovo Bruxelles.

Calabria euromiliardaria
Gli affari tra l’Italia e il Belgio (con snodo sul Monte Titano) sono il leitmotiv dell’inchiesta calabrese. In cui è finito pure l’Osservatorio del Mediterraneo fondato nel 2004 dal vicepresidente della Commissione europea Franco Frattini. L’ex capo della sua segreteria al ministero degli Esteri, Fabio Schettini, è indagato da tempo, mentre a febbraio è stato ascoltato come testimone un membro del cda dell’osservatorio, l’ambasciatore a riposo Achille Vinci Giacchi. In procura ha parlato dei finanziatori della fondazione. Un argomento che interessa molto a De Magistris.
Cinquantamila euro li avrebbe versati personalmente Schettini. Altrettanti arrivarono dalla Finmeccanica, 30 mila dall’Enel. L’osservatorio partecipò con un proprio stand al meeting di Comunione e liberazione di Rimini, “per far conoscere i suoi scopi”. Una kermesse a cui hanno preso parte anche i vertici del Laboratorio democratico europeo di Gozi e gli uomini della Compagnia delle opere sotto inchiesta a Catanzaro. Per il pm quell’affollamento, a pochi chilometri da San Marino, sarebbe più che una coincidenza.
Perché uomini così influenti avrebbero dovuto scendere in Calabria per fare affari? Secondo la procura, la risposta è semplice: la regione è considerata dall’Unione Europea un “obiettivo 1″, ovvero una di quelle aree depresse a cui vengono destinati aiuti particolari. Questo significa che, per esempio, il Programma operativo regionale (Por) dovrà distribuire sul territorio oltre 8 miliardi di euro di fondi strutturali europei per il periodo 2007-2013.
Per gestire questo fiume di soldi l’estate scorsa Francesco De Grano, cognato di Macrì e fratello di Maria Angela (è indagata pure lei), è stato nominato responsabile dei finanziamenti Por. Per gli inquirenti di Catanzaro il suo nome avrebbe messo d’accordo Ds, Margherita e il presidente della regione Agazio Loiero, promotore del Partito democratico meridionale e socio fondatore del Pd di Prodi.


 

La Repubblica 13-7-2007 Prodi indagato a Catanzaro per abuso d'ufficio L'iscrizione sulla lista degli indagati dell'inchiesta sulla cosiddetta "Loggia di San Marino". Il presidente del Consiglio: "Non ho ricevuto alcun avviso ma ho piena fiducia nei magistrati" Seguendo i tabulati telefonici, una lunga serie di telefonate portano a un'utenza del premier

 

Il premier: "Sono totalmente estraneo ai fatti"

Berlusconi: "Non faccio alcun commento, auguro al Professore di uscire con onore da questa situazione"

 

ROMA - Il presidente del Consiglio Romano Prodi è indagato per abuso d'ufficio dalla procura di Catanzaro nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta "Loggia di San Marino". L'iscrizione sulla lista degli indagati, per la procura, è un atto dovuto per permettere al presidente del Consiglio di chiarire i rapporti tra il premier e altri personaggi sotto inchiesta.
L'indagine condotta dal sostituto procuratore Luigi De Magistris si riferisce a un presunto comitato d'affari tra San Marino e Bruxelles nel quale sarebbero coinvolte delle persone in qualche modo collegabili al premier. Ci sarebbe anche un'utenza telefonica intestata a Prodi alla quale le persone coinvolte si sarebbero più volte collegate. Il premier ha fatto sapere di non aver ricevuto nessun avviso di garanzia.
Il nome di Prodi sarebbe emerso nel corso di una perquisizione ad Antonino Saladino, ex presidente della Compagnia delle Opere del Sud Italia e titolare di una miriade di società che hanno lavorato e ottenuto contributi da regioni ed enti locali italiani e dall'Unione europea. Sull'agenda di Saladino compare un numero di cellulare sotto la voce "Prodi". La procura di Catanzaro lo affida a un consulente informatico, Gioacchino Genchi, che, di telefonata in telefonata e di voltura in voltura, risale al primo titolare (una società di nome "Delta"), poi all'Ulivo di Bologna, all'Ulivo nazionale e, infine, alla presidenza del Consiglio, l'ultimo ente che paga la bolletta.
Sul cellulare in questione arrivano e partono telefonate con diversi utenti tra i quali un vecchio amico di Prodi, Piero Scarpellini, impiegato in una società con sede nella Repubblica del Monte Titano e definito dal pm nel decreto di perquisizione 'consulente di Prodi' ('consulente non pagato dell'ufficio del consigliere diplomatico della presidenza del Consiglio per i paesi africani, ha precisato di recente palazzo Chigi)". Anche il figlio di Scarpellini, Alessandro che a sua volta collabora con il premier, risulta indagato.
Seguendo i tabulati telefonici, gli inquirenti giungono anche all'onorevole Sandro Gozi, ex funzionario dell'Unione europea, già assistente di Prodi a Bruxelles e attualmente suo sostituto in Commissione Affari Costituzionali della Camera. Altre utenze coinvolte sono quelle degli alti ufficiali della Guardia di Finanza, Walter Cretelli e Paolo Poletti, entrambi già indagati e perquisiti in questa vicenda. Da lì (anche se non ci sono contatti diretti con l'utenza attribuibile a Prodi) si arriverebbe anche a personaggi come Giuliano Tavaroli, il famoso "spione" della vicenda Telecom.
Romano Prodi, che ha detto di non avere ancora ricevuto l'avviso di garanzia, ha dichiarato la sua fiducia nei confronti dei giudici e si è detto certo di potere provare la sua estraneità ai fatti. "Pur non avendo ricevuto alcun avviso di garanzia o informazione al riguardo - ha detto il Professore - non posso che testimoniare, come sempre, la mia totale fiducia nel lavoro dei magistrati che hanno voluto tutelare la mia persona, se l'avviso di garanzia sarà effettivamente confermato, con un atto che permetterà di dimostrare la mia totale estraneità a qualsiasi eventuale accusa".
Il leader dell'opposizione Silvio Berlusconi non attacca. "Non faccio alcun commento - ha detto il capo della Cdl ai cronisti - mi limito ad augurare a Romano Prodi di uscire presto con onore da questa situazione". Il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini invita a non speculare sulle notizie apprese oggi. "Non speculerò né oggi né mai sulle vicende giudiziarie perché non si può esser garantisti con gli amici e forcaioli con gli avversari politici".
Il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Mariano Lombardi, ha però dichiarato di non essere "a conoscenza dell'iscrizione di Prodi nel registro degli indagati". Lombardi ha poi aggiunto che se "il sostituto De Magistris avesse deciso o avesse iscritto il presidente del Consiglio nel registro degli indagati, avrebbe dovuto informarmi. Il che non è avvenuto".
(13 luglio 2007)


 

Il Giornale 14-7-2007  Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, è indagato a Catanzaro per abuso d'ufficio in concorso con personaggi riconducibili a un presunto comitato d'affari a San Marino.

 

L'iscrizione sul registro degli indagati del premier da parte del pm Luigi De Magistris viene smentita dal procuratore Lombardi (che mesi fa ha denunciato il pm a Salerno per altri questioni) ma confermata da fonti investigative. Siamo di fronte all'ultimissimo atto della maxi-inchiesta per truffa, associazione per delinquere e violazione della legge Anselmi sulla massoneria coperta che al momento vede indagate una ventina di persone, tra cui Sandro Gozi, deputato dell'Ulivo, ex "assistente politico" di Prodi all'Unione Europea, diventato componente della commissione Affari Costituzionali in sostituzione dell'allora neopremier, oggi nel mirino per un presunto business illecito tra Bruxelles e la Calabria. Il sospetto di favoritismi nell'elargizione di finanziamenti europei a vantaggio di questo asserito "comitato", e una dettagliatissima consulenza tecnica inerente l'incrocio delle telefonate tra Romano Prodi e alcuni degli indagati eccellenti, ha convinto il magistrato a dare un'accelerata all'indagine destinata a sfociare nella richiesta di autorizzazione alla Camera per l'acquisizione dei tabulati telefonici di Prodi nel periodo coperto da immunità parlamentare. Per capire dove punta l'inchiesta occorre fare un passo indietro, esattamente a metà giugno quando il magistrato calabrese dispone perquisizioni e sequestri nei confronti di personaggi definiti organici alla cosiddetta "Loggia di San Marino". Molti degli indagati hanno avuto, e continuano ad avere, contatti diretti e ripetuti col premier. La certificazione arriva con una consulenza del super esperto Gioacchino Genchi, che parte dall'esame dei traffici telefonici dell'indagato Piero Scarpellini, "che insieme al figlio Alessandro - scrive il pm nel decreto di perquisizione - rappresenta persona di assoluta fiducia del premier, di cui è consulente" (non pagato, preciserà Palazzo Chigi). Se Piero ha interessi in Africa attraverso la fondazione "Teresys" di San Marino ed è dipendente della società sanmarinese "Pragmata" fondata da ex soci di Nomisma, Alessandro dal 2004 risulta essere l'assistente-portaborse di Prodi, il suo uomo ombra. Di Scarpellini senior e degli interessi a San Marino parla la gola profonda dell'inchiesta, la teste "alfa", una funzionaria della Compagnia delle Opere che tira in ballo il rappresentante per il Meridione della CdO, Antonio Saladino, collegato a Scarpellini e considerato il crocevia della lobby trasversale. Attraverso Saladino si arriva per la prima volta al premier per via di un riferimento a "Romano Prodi cellulare" in evidenza sulla rubrica del suo cellulare. I numeri in uscita e in entrata sui telefoni di Scarpellini (e Saladino), confrontati con l'esito degli accertamenti investigativi espletati, spesso coincidono. Il primo contatta ripetutamente l'onorevole Sandro Gozi nonché l'imprenditore Antonio Macrì, altro indagato eccellente, noti trascorsi nell'entourage di Prodi a Bologna, accusato dai dipendenti della sua società (la Met Sviluppo) di incassare finanziamenti consistenti per incarichi improponibili. Due testimoni parlano di lui come dell'uomo che "consigliava di mandare i soldi a San Marino".

Tornando a Scarpellini, osserva il perito del pm, costui era titolare di una scheda telefonica intestata alla medesima società, la Delta Spa, cui era intestata la scheda del cellulare in uso a Romano Prodi. "Il dato evidenziato - osserva il perito - lascia quindi ragionevolmente presumere che la sim gsm numero 320740(...) intestata alla Delta Spa fosse intestata al prof Romano Prodi che, in atto, ricopre la carica di deputato oltre che di presidente del Consiglio". Il telefonino del premier contatta molti indagati: oltre ai due Scarpellini e a Gozi, sono frequenti le chiamate con il presunto capo del comitato d'affari, Saladino, con l'ex sottosegretario Franco Bonferroni, già indagato nell'inchiesta Poseidone ed ora in Finmeccanica (considerato dalla procura la "cerniera tra il sistema bancario e la politica") nonché con Francesco De Grano, cognato di Macrì, dirigente degli Affari Internazionali della Regione Calabria e responsabile dei finanziamenti del Por, il programma operativo regionale che gestirà gli 8miliardi di euro stanziati dall'Unione europea fino al 2013. Per andare avanti con gli accertamenti, il consulente aveva fatto presente al pm che "ogni ulteriore acquisizione, sviluppo e concreta utilizzazione processuale dei dati di traffico della sim gsm 320740(...) intestata alla Delta Spa, come pure dei diversi 10 cellulari con i quali risulta nel tempo utilizzata, nonché delle ulteriori sim gsm coutilizzate coi medesimi cellulari" era ovviamente "subordinata alla preventiva autorizzazione della Camera dei deputati". Il discorso non valeva, invece, sull'utilizzabilità dei dati di traffico dell'utenza Delta Spa di Prodi "per il periodo precedente alla proclamazione del 21.04.2006 quando il professor Romano Prodi non era investito da alcun mandato parlamentare". Detto, fatto. I tabulati con il traffico telefonico di Prodi fino al 2006 sarebbero già stati sviluppati e confrontati con le varie attività di indagine. Sugli inquietanti aspetti dell'"effettiva interconnessione societaria che ricollegano il professor Romano Prodi alla Delta Spa, alla Cassa di Risparmio di San Marino e alle società collegate", il consulente Gioacchino Genchi non si esprime. Fa solo presente quanto sia singolare - a suo dire - la sospetta trafila seguita da questa scheda telefonica attivata dalla Delta il 21 ottobre 2004 presso la Wind e poi volturata, il primo aprile 2004, all'"Associazione l'Ulivo i Democratici" di Bologna. Da qui, il 17 febbraio 2005, con la medesima intestazione, il contratto con la scheda del premier viene trasferito a Roma, in piazza Santi Apostoli 73, sede dell'Ulivo. Tempo due mesi, e la solita sim, "già intestata a Delta Spa e poi all'Associazione L'ulivo i Democratici" viene rivolturata un'altra volta, "alla Presidenza del Consiglio (partita Iva 80188230587) via della Mercede 96, Roma. Esiste quindi - chiosa il perito - un incontrovertibile rapporto che lega, o legava, l'effettivo usuario dell'utenza in oggetto" alla Delta, all'Ulivo, a Palazzo Chigi. Il cellulare che ripetutamente s'interfaccia con gli indagati principali dell'inchiesta calabrese sulla loggia di San Marino e sul comitato d'affari ad essa collegato, dunque, è quello del premier. Ma c'è di più. Partendo dalla scheda telefonica di Prodi e dai collegamenti con la Delta Spa, da ulteriori incroci con le utenze di alcuni indagati, gli accertamenti della procura calabrese si starebbero indirizzando proprio sul gestore telefonico titolare di quella sim: la Wind. E tra le iniziative che potrebbero essere prese in queste ultimissime ore, caldeggiate in chiusura di perizia dal consulente del pm, vi potrebbe essere anche un'altra richiesta di autorizzazione alla Camera. Stavolta per l'acquisizione ed utilizzazione dei tabulati telefonici del segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa, pure lui in contatto con alcuni indagati.


INDICE 13-7-2007

+ Il Corriere della Sera 13-7-2007 Governo vara ddl per taglio costi politica Previsti tagli per telefonini e auto blu. Secondo fonti dell'esecutivo i risparmi derivanti dal provvedimento a regime saranno «ben oltre» i 500 milioni di euro  1

+ La Stampa 13-7-2007 Passa il ddl sui costi della politica. Il provvedimento varato dal Consiglio dei ministri consentirà un risparmio di ben oltre 500 milioni di euro  3

+ Il Sole 24 Ore 13-7-2007 Wall Street sfida la paura derivati di Morya Longo  4

+ La Stampa 13-7-2007 Usa, la Camera vota il ritiro dall'Iraq. Prosegue il braccio di ferro con Bush: i leader democratici sono riusciti a far passare una legge che richiede il ritiro delle truppe dall’Iraq fra quattro mesi 4

Il Mattino di Padova 13-7-2007 Regione Privilegi di casta, la politica si assolve Persi tempo e denaro per capire che gli sprechi sono altrove (Simonetta Zanetti). 5

L’Espresso 12-7-2007  Va in onda tele spreco di Riccardo Bocca. Mezzo milione di euro a puntata per il flop Parietti. Quasi altrettanti per 'Votantonio'. Un dossier rivela le spese folli di RaiDue  6

Il Giornale di Brescia 13-7-2007 CRONACA SCONTI AL BANCO La lettura di Federfarma sull'andamento dei prezzi minimizza l'effetto delle liberalizzazioni "Merito di Bersani? No, sono scaduti i brevetti" Michele De Tavonatti Luigi Cavalieri Vittorino Losio  7

Europa 13-7-2007 Lobby a palazzo di giustizia FEDERICO ORLANDO  7

Il Corriere della Sera 13-7-2007 Il referendum e l’incapacità di decidere Il tempo di una firma di Pierluigi Battista  8

La Stampa 12-7-2007  Il pericolo? Che il partito nasca contro il governo". La pasionaria si candida: "Offro un'altra possibilità rispetto a Walter" FEDERICO GEREMICCA  9

Milano Finanza 13-7-2007 Anche Bersani spara sulle banche Dopo antitrust e bankitalia il ministro minaccia un intervento a favore della concorrenza. Ennesimo monito al mondo del credito L'obiettivo è difendere i consumatori E Bankitalia vara la nuova compliance  10

Marketpress.info 13-7-2007 Domenica 16 settembre appuntamento da non perdere ad Asti dove si corre il Palio, una manifestazione le cui origini risalgono ben al 1275, che ogni anno si rinnova nella terza domenica del mese di settembre, e che quest'anno giunge alla sua quarantesima edizione dalla ripresa avvenuta nel 1967 e che vedrà aggiudicarsi un "drappo" a firma di Paolo Conte. 11

 


 

+ Il Corriere della Sera 13-7-2007 Governo vara ddl per taglio costi politica Previsti tagli per telefonini e auto blu. Secondo fonti dell'esecutivo i risparmi derivanti dal provvedimento a regime saranno «ben oltre» i 500 milioni di euro

 

 

ROMA - Dopo una nuova discussione il Consiglio dei ministri ha dato il via libera all'unanimità al disegno di legge sui costi della politica e per la promozione della trasparenza amministrativa presentato dal ministro Santagata. Secondo fonti governative i risparmi derivanti dal provvedimento a regime saranno «ben oltre» i 500 milioni di euro.

IL DISEGNO DI LEGGE - Il provvedimento «Ddl recante misure per la riduzione dei costi politico-amministrativi e per la promozione della trasparenza», è formato da 26 articoli. Confermato il meccanismo della «ghigliottina» per gli enti pubblici: i ministeri competenti avranno l'obbligo di riordinarli con tagli o accorpamenti e di eseguire una revisione sul loro funzionamento ogni 3 anni. Tra le novità anche un giro di vite sui telefonini e le auto blu. L'articolo 8, infatti, contiene «misure di razionalizzazione delle spese per l'utilizzo di dotazioni strumentali delle autovetture di servizio, nonchè del patrimonio immobiliare». I cellulari vengono assegnati in maniera rigorosa solo a coloro che hanno l'esigenza di una reperibilità permanente. Mentre l'uso delle auto blu sarà razionalizzato e non viene escluso l'utilizzo di «mezzi alternativi di trasporto, anche cumulativo».In particolare, il ddl stabilisce il divieto ad istituire società partecipate il cui effetto non è strettamente collegato al perseguimento di un interesse pubblico. Dice l'articolo 3 «Partecipazioni delle amministrazioni pubbliche»: «Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato», le amministrazioni «non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, nè assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza in tali società». È previsto anche il divieto di finanziamento di partiti e di gruppi parlamentari da parte di società concessionarie di diritti pubblici. Il disegno di legge promuove inoltre l'etica della trasparenza pubblicando sui siti degli enti bilanci ed emolumenti ma anche i criteri per la ricerca dei consulenti.

GOVERNANCE SOCIETA' PUBBLICHE - Il ddl prevede anche una stretta ai consigli di amministrazione (cda) delle società pubbliche non quotate. In particolare il ddl prevede la riduzione del numero dei componenti degli organi societari, l'attribuzione al presidente anche delle funzioni di amministratore delegato per i cda costituiti da tre componenti, il mantenimento della carica di vicepresidente solo per individuare il sostituto del presidente in caso di assenza o di impedimento, l'eliminazione della previsione di gettoni di presenza e la limitazione della costituzione di comitati con funzioni consultive o di proposta ai casi strettamente necessari. Modifiche statutarie, queste, come si legge nell'articolo 4 del ddl, che «hanno effetto a decorrere dal primo rinnovo degli organi societari successivo alle modifiche stesse». Ma le disposizioni, precisa il provvedimento, «non si applicano alle società quotate in mercati regolamentati». Quindi a società come l'Eni, l'Enel o Alitalia.

SANTAGATA - «Abbiamo lavorato con l'ottica di agire in maniera strutturale sulla questione dei costi della politica - spiega il ministro dell'Attuazione del programma Giulio Santagata - e dobbiamo tener presente che abbiamo una pressione dell'opinione pubblica che porta a mettere sullo stesso livello la barberia della Camera e la semplificazione dell'azione amministrativa. Su questo abbiamo qualche problema. Noi abbiamo cercato invece di stare sui livelli strutturali di fondo che generano il problema».

TAGLIO PARLAMENTARI E CONSIGLIERI - «Abbiamo fatto un lavoro molto buono e voglio dare atto della disponibilità degli Enti locali che ha prodotto risultati significativi» ha detto successivamente il ministro degli Affari regionali Linda Lanzillotta, a proposito dell'approvazione del ddl Santagata. Il patto siglato sarà «declinato- spiega Lanzillotta- secondo diversi strumenti giuridici: il governo attraverso una legge costituzionale si impegna a diminuire i parlamentari; le Regioni diminuiranno i consiglieri tramite nuovi statuti e con leggi regionali» Il ministro parla di «una diminuzione media del 20% dei consiglieri», e auspica di tornare agli «accordi pre 2001, con una diminuzione di un terzo delle Giunte regionali e assemblee elettive».

COMUNITA' MONTANE - Il ddl sui costi della politica prevede una «riduzione dei costi degli apparati di supporto degli organi politici nella misura dell'80 per cento rispetto ai costi sostenuti nel 2007» ha aggiunto la Lanzillotta che ha anche spiegato che il provvedimento intende anche mettere fine allo scandalo delle comunità montane a livello del mare.
«Introduciamo una nozione di montanità che porta la montagna a un livello minimo di 600 metri- spiega la Lanzillotta - per cui il comune deve avere l'80 per cento del territorio ad un'altitudine superiore a 600 metri» oppure con «un dislivello di almeno seicento metri». Inoltre spiega Lanzillotta, un accordo con l'Uncem prevede «il taglio del 50% del numero dei consiglieri. Questo comporterà una riduzione superiore ai 100 milioni di euro».

13 luglio 2007

 


+ La Stampa 13-7-2007 Passa il ddl sui costi della politica. Il provvedimento varato dal Consiglio dei ministri consentirà un risparmio di ben oltre 500 milioni di euro

 

ROMA - Il Consiglio dei ministri ha approvato il Ddl sulla riduzione dei costi della politica e per la promozione della trasparenza. Il provvedimento, a quanto si apprende, consentirà un risparmio, a regime, di ben oltre 500 milioni di euro.

Governo-enti locali: «Meno sprechi, più efficienza»
Costi delle istituzioni ridotti e macchina amministrativa più snella. Sono i cardini del patto siglato dai presidenti della Conferenza delle regioni e delle province autonome, della Conferenza dei presidenti dei consigli regionali, dell'Upi - che nell'occasione era delegata a rappresentare anche l'Anci (assente a seguito della sospensione con i rapporti con il Governo) - e dell'Uncem insieme ai rappresentanti del governo, i ministri Vannino Chiti, Linda Lanzillotta e Giulio Santagata e il sottosegretario all'Interno Alessandro Pajno.

I principi contenuti nell’accordo confluiranno, nelle parti di competenza statale, in appositi provvedimenti legislativi a partire dal ddl sul contenimento dei costi politico-amministrativi approvato in mattinata. Mentre per le parti di competenza regionale saranno autonomamente attuati dalle Regioni. Tra i punti dell'accordo raggiunti oggi:

- riduzione del numero dei ministeri con ritorno all'originario testo del dlgs 300/99;

- ripristino del numero dei consiglieri regionali, in linea con quanto previsto dalla legge 108/68 in proporzione al numero degli abitanti, nel rispetto dell`autonomia delle assemblee regionali;

- riduzione del numero dei consiglieri provinciali e comunali;

- riduzione e razionalizzazione delle circoscrizioni municipali e razionalizzazione dei compensi dei componenti di tali organismi;

- riduzione del numero dei comuni montani, attraverso la formulazione di nuovi criteri di montanità, e dei componenti degli organi delle comunità montane;

- riduzione del numero degli assessori regionali, provinciali e comunali in rapporto al numero dei consiglieri;

- riduzione dei componenti e dei compensi degli amministratori delle società pubbliche statali;

- eliminazione delle duplicazioni di enti e associazioni di comuni che operano nello stesso territorio;

- riordino e/o soppressione di enti pubblici;

- trasparenza delle cariche e degli emolumenti (benefit compresi);

- attivazione, presso la Conferenza unificata, della Cabina di regia per la riduzione dei costi amministrativi con il compito di monitorare le iniziative dei diversi livelli di governo.

Il Governo, riferisce infine il Ministero degli Affari regionali, si impegna inoltre a promuovere le intese necessarie a favorire la riduzione dei parlamentari e auspica che le Camere nella loro autonomia adottino le misure necessarie a rendere effettivo il contenimento dei costi della rappresentanza politica. Al momento i tecnici del Ministero di Via della Stamperia stanno mettendo a punto il documento conclusivo sul quale è stato trovato l’accordo sviluppandone i singoli elementi.


+ Il Sole 24 Ore 13-7-2007 Wall Street sfida la paura derivati di Morya Longo

Proprio nel giorno in cui Moody's ha comunicato che si aspetta maggiori perdite sui bond legati ai mutui americani subprime, Wall Street ha deciso di rialzare la testa. E di lasciare alle spalle le tensioni. Anche grazie alla spinta delle numerose fusioni societarie annunciate ieri e nei giorni scorsi, l'indice Dow Jones ha realizzato il nuovo record storico, chiudendo con un rialzo del 2,09% a 13.861,73 punti: in punti è il balzo più consistente dal 2002, in termini percentuali è il maggiore dall'ottobre 2003. Anche l'S&P 500 ha guadagnato terreno: +1,91%. E i listini europei hanno seguito la scia, realizzando ieri il rialzo più consistente dell'ultimo mese: Londra +1,25%, Parigi +1,70%, Francoforte +1,96% e Milano + 0,83%. Il tutto mentre i titoli di Stato hanno perso quota e rialzato i rendimenti: il T-Bond decennale americano ha aumentato il tasso d'interesse di 4 centesimi a 5,13 per cento. Certo, i fattori di rischio non mancano. Innanzitutto i mutui americani concessi a persone poco abbienti potrebbero subire nuove perdite. Inoltre il mercato dei derivati cresciuto fino alla cifra monstre di 327mila miliardi di euro è guardato con apprensione dalle banche centrali. Ma i mercati finanziari, pur volatili, continuano a correre. In effetti, analizzando gli elementi di rischio, si scopre che allostato attuale appaiono tutti gestibili e non eclatanti. Iniziamo dalla questione dei mutui subprime americani (quelli concessi a persone poco abbienti e dunque ad alto rischio di rimborso), che nelle scorse settimane avevano causato l'aumento della volatilità sui mercati dopo un allarme lanciato da Bear Stearns. È vero che questo mercato è sempre più in crisi: anche ieri l'agenzia di valutazione Moody's — che martedì aveva declassato il rating di 399 cartolarizzazioni costruite sui mutui subprime — ha annunciato che prevede un aumento delle perdite nell'ordine del 10% per i nuovi mutui e del 25% per quelli vecchi.
Ma se l'allarme sui subprime è elevato, è anche vero che questa particolare fetta del mercato è piccola rispetto al totale dei mutui americani: rappresenta solo l'11% di un mercato che vale 9mila miliardi di dollari. Una crisi in questo settore — sottolineano intanti — potrebbe non avere impatti violenti sul resto dei mercati. «Fin che il credito si restringe in questa particolare fetta del mercato non vedo particolari rischi per il sistema —osserva per esempio Vincenzo Guzzo, senior strategist europeo di Morgan Stanley —. Il problema si presenterebbe se il razionamento del credito si propagasse anche sulle personee sulle aziende affidabili, ma questo rischio non è allo stato attuale concreto». Un po' più cauta, ma non allarmista, è Jennifer Bridwell di Pimco: «Non si può prevedere che effetto potrebbe avere la crisi del mercato subprime — afferma —. Di certo ora la percezione del rischio è maggiore».
Se i mutui subprime per ora non impensieriscono più di tanto i mercati, anche la "montagna" dei derivati non è percepita come un reale pericolo. Certo, le banche centrali (dalla Bce alla Fed) hanno sollevato il problema più volte:i derivati sul credito —aveva detto solo pochi mesi fa il presidente della Bce Jean-Claude Trichet — stanno cambiando il sistema finanziario e rappresentano un rischio per la stabilità dei mercati. In effetti il fenomeno dei derivati è letteralmente esploso negli ultimi anni. A fine 2006 — secondo i dati dell'Isda — sul mercato c'erano contratti per un valore nominale totale di 327mila miliardi di dollari: il triplo rispetto a quattro anni prima. Ma soprattutto i derivati sul credito (strumenti che servono per "assicurarsi" contro il default di qualunque emittente obbligazionario) sono esplosi: dai 2mila miliardi di dollari del 2006 ai 34mila miliardi di fine 2006. Non solo: anche i Cdo (obbligazioni costruite su portafogli di debiti o di derivati di credito) sono cresciuti in modo abnorme, tanto che solo nel 2006 in America ne sono stati emessi per 320 miliardi di dollari.
Ebbene: di fronte a queste cifre è normale che le banche centrali si mostrino allarmate.
«Credoche lancino l'allarme per cercare di calmare il mercato — osserva Antonio Cesarano, capo economista di Mps Finance —. Ma il mercato è tranquillo, anche perché il rischio è polverizzato su moltissimi investitori». Così le Borse riprendono a correre. E non solo: gli investitori si stanno indebitando al livello record di 353 miliardi di dollari per acquistare azioni.


 

+ La Stampa 13-7-2007 Usa, la Camera vota il ritiro dall'Iraq. Prosegue il braccio di ferro con Bush: i leader democratici sono riusciti a far passare una legge che richiede il ritiro delle truppe dall’Iraq fra quattro mesi

 

NEW YORK Dopo il discorso del presidente degli Stati Uniti George W. Bush sull’Iraq, i leader democratici alla Camera dei deputati sono riusciti a far passare una legge che richiede che il ritiro delle truppe dall’Iraq inizi entro 120 giorni, per completarsi entro il primo aprile 2008. Nel testo è previsto che un impegno militare americano sul territorio iracheno prosegua poi in modo molto ridotto per addestrare l’esercito locale, proteggere le proprietà americane e scovare i terroristi di Al Qaeda.

È uno sgambetto al presidente Bush, che nella mattina di giovedì, commentando in una conferenza stampa alla Casa Bianca un rapporto preliminare sull’andamento delle operazioni in Iraq, aveva messo in chiaro che un ritiro delle truppe in questo momento sarebbe «disastroso», foriero di «massacri orribili» e di nuovi pericoli per gli Stati Uniti e l’Occidente. Anche se «l’America è stanca della guerra», anche se i politici di Washington vorrebbero chiudere subito per interessi elettorali il capitolo della guerra, «quando cominceremo a ridurre la presenza militare - ha detto Bush - sarà perché i nostri comandanti diranno che ci sono le condizioni sul campo per farlo». Non perché lo dicono gli esperti di sondaggi, aveva aggiunto.

Tuttavia il governo di Baghdad ha compiuto, lo dice il rapporto, passi avanti soddisfacenti solo su otto dei diciotto obiettivi prefissati. Non solo, nel rapporto c’è un’accusa gravissima alla Siria, che garantirebbe un flusso di kamikaze di al-Qaida: attraverso il confine ne arriverebbero ogni mese tra i cinquanta e gli ottanta. E nonostante alcuni progressi fatti dal governo di Nouri al Maliki, la «situazione in Iraq è complessa ed estremamente difficile», il «quadro economico è instabile» e di riconciliazione tra i gruppi etnici del Paese non si può neppure parlare. Il commento del presidente della camera Nancy Pelosi è stato: «Dal rapporto traspare che nemmeno la Casa Bianca può concludere che ci siano stati progressi significativi».

 


 

Il Mattino di Padova 13-7-2007 Regione Privilegi di casta, la politica si assolve Persi tempo e denaro per capire che gli sprechi sono altrove (Simonetta Zanetti).

 

VENEZIA. E' finita con un'assoluzione piena la polemica veneta sui costi della politica. E' stata sufficiente una seduta del consiglio per individuare i "veri" colpevoli, i responsabili dei reali sperperi del denaro pubblico. Che sono gli enti inutili ed i Cda multipli per finire con i giornalisti, nella fattispecie Gian Antonio Stella e il compare Sergio Rizzo che con il libro "La casta" avrebbero aizzato gli animi. Loro sì - ha avuto la spudoratezza di suggerire qualcuno all'assemblea - ci hanno guadagnato con i costi della politica. Talmente assurdo da far sorridere, se non fosse che in questo teatrino c'è ancora una volta un gabbato, il metalmeccanico separato e mai divorziato. Dal consiglio si aspettava un segnale, seppur minimo, ed invece ha rimediato l'ennesimo schiaffo: d'ora in poi i consiglieri potranno assicurare una vecchiaia serena alla compagna di un vita. Lui, al solito, no. E invece che assottigliarsi il baratro si allarga. Sia chiaro: nessuno aveva la pretesa di veder polverizzare le differenze sociali con i consiglieri autoflagellanti che si riducevano gli stipendi a livello di un impiegato statale, ma nemmeno si aspettava di vedersi liquidare da un provvedimento strafottente in stile "siamo già bravi, che volete da noi?". Potevano dirlo subito - come ha detto lo stesso Galan - sostenere le proprie posizioni, se erano convinti della loro bontà, invece che gridare allo scandalo e promettere rivoluzioni che nessuno ha mai pensato di attuare. E invece, esaurito il sacro fuoco della propaganda, si sono limitati a cercare alibi e nuovi colpevoli, come i media, accusati di essere partiti in crociata, rintuzzati dai poteri forti. Su tutti Gian Antonio Stella, reo di aver individuato un "filone voyeuristico" lucrando sul momento di difficoltà dei politici: "Ce lo aspettavamo - risponde con un mezzo sorriso l'interessato - sono accuse che si commentano da sole. Purtroppo ci sono posizioni indifendibili. Noi, come tutti, vorremmo solo una politica diversa". Indifendibile è anche la posizione della Lega moralizzatrice, che aveva proposto una mannaia dal sapore elettorale, prima di sprofondare in un silenzio di autocensura, su cui sorvola anche lo storico "eretico" del Carroccio. Forse ripreso per l'eccessiva schiettezza Giuseppe Covre dribbla l'empasse del suo partito forzando l'ipotesi di una provocazione: "Il problema non è nel "quanto" ma nel "quanti" - sostiene il leghista - ovvero quanti sono i consiglieri: ne basterebbero meno se avessimo la certezza che lavorano bene. Quando uno è ben pagato diventa anche possibile pretendere molto, innanzitutto che gestisca in maniera oculata le risorse a sua disposizione, senza permettere che finiscano sprecate, a maggior ragione in vista di un federalismo. Ma per questo serve il coraggio di misurare il rapporto tra costi e vantaggi e tagliare i rami secchi, come succede nelle aziende private". L'affondo riguarda quindi le multiutilities, le commissioni speciali, le aziende esterne, figlie della politica ma sui cui sprechi la politica si è sempre lavata le mani. Fino ai ieri. "Ci sono molta ipocrisia e consociativismo - interviene il segretario generale della Cgil Veneto Emilio Viafora - la Lega in queste situazioni è forte in campagna elettorale ma non è altrettanto famosa per le battaglie successive. E' necessario istituire una conferenza con le altre istituzioni, comprese l'Anci e l'Upi con cui individuare il sistema per abbattere i costi di funzionamento e quindi ridurre il numero dei Cda e dei manager, gli stipendi e accorpare le funzioni, fino ad arrivare a legare i compensi ai risultati. Quanto al provvedimento votato in consiglio, se volevano dare davvero un bel segnale dovevano rendere la legge immediatamente applicabile, invece di decide sempre per quelli che verranno". Come disse qualcuno doveva cambiare tutto perché nulla cambiasse. Peccato solo averci sperato.


 

L’Espresso 12-7-2007  Va in onda tele spreco di Riccardo Bocca. Mezzo milione di euro a puntata per il flop Parietti. Quasi altrettanti per 'Votantonio'. Un dossier rivela le spese folli di RaiDue

 

 

Due milioni 900 mila euro. È questa l'incredibile cifra che, RaiDue ha stanziato nell'ultima stagione televisiva per trasmettere 'Balls of steel' ('Palle d'acciaio'): un programma notturno a base di burle trash che il critico Aldo Grasso ha definito nell'ordine "campione d'insulsaggine", "uno scandalo" e "un modo per buttar via budget e risorse umane".

Assurdo? Soprattutto mentre la tv si evolve e punta ai grandi scenari del futuro? C'è molto di più, nell'esposto che l'associazione dei consumatori Codacons ha presentato lunedì scorso alla Procura di Roma e alla Corte dei conti del Lazio. Ci sono, costo per costo, tutti i denari che la seconda rete pubblica diretta da Antonio Marano ha investito tra il 2006 e il 2007 per costruire la sua offerta catodica. Dati che per la prima volta diventano pubblici, e in piena rissa sugli sprechi della politica spostano i riflettori sulla televisione.

Basti pensare, per esempio, al caso di 'Votantonio', la trasmissione di fantapolitica prodotta da Einstein Multimedia e condotta da Fabio Canino. Il 7 maggio scorso ha fatto il suo esordio ed è stato un flop: 4,96 per cento di share con un milione 174 mila spettatori. Dopodiché il programma ha chiuso i battenti, costando però a RaiDue "1 milione 350 mila euro", scrive il Codacons. Anche perché oltre alla puntata trasmessa ne sono state realizzate altre due.

Discorso simile per il naufragio di 'Wild West', il reality prodotto con Grundy Italia e presentato da Alba Parietti. L'idea della vita selvaggia nella lontana America, si pensava, poteva sedurre i pantafolai italiani. Invece no. Partito in prima serata, il programma dopo tre puntate ha tolto il disturbo. A che prezzo? "2.722,22 euro al minuto", scrive il Codacons, "pari a 490 mila euro a puntata e a complessivi 1 milione 470 mila euro".

A questo punto, non stupisce che per il salotto in prima serata di 'Donne', condotto da Monica Leofreddi e prodotto con Endemol, si siano investiti ben 489 mila euro a puntata: 163 mila euro l'ora per un totale di euro 2 milioni 934 mila euro. E nemmeno che per l'edizione serale del reality 'La sposa perfetta', format senza troppa fortuna in Italia, prodotto con Magnolia e presentato da Cesare Cadeo e Roberta Lanfranchi, siano finiti in budget 5 milioni 830 mila euro. Come dire 530 mila euro a puntata; o se preferite, 176 mila 666 euro all'ora.

Da queste e altre cifre, scrive nel suo esposto il Codacons, risultano "evidenti danni al bilancio della rete (RaiDue, ndr), finanziato come ben si conosce in buona parte dal canone pagato dai cittadini consumatori". Non solo: "A fronte di questi dati", prosegue l'associazione dei consumatori, "ciò che stupisce è la condotta editoriale tenuta dai vertici di RaiDue (...). Non si comprende bene, per quale motivo spesso non si sia provveduto a interrompere la messa in onda di programmi (...) di scarso gradimento (...). O viceversa (...) perché alcuni programmi siano stati interrotti immediatamente, nonostante fossero state già acquistate e pagate ulteriori puntate".

Un attacco, quello del Codacons, dritto al direttore di RaiDue Antonio Marano. Il quale di prodotti televisivi se ne intende, come gli riconoscono amici e nemici. Resta il fatto che a colpire, nell'esposto, non è soltanto il costo dei flop, ma anche quello dei programmi di successo. Basti pensare alle serate de 'L'isola dei famosi' (Magnolia), sostenute con 5 milioni 800 mila euro, cioè 193 mila 330 all'ora. O agli appuntamenti con 'Quelli che il calcio...', 7 milioni 953 mila euro complessivi, 203 mila a puntata.

In confronto, Michele Santoro fa la figura del poverino. Al suo 'Annozero' sono stati riservati 65 mila euro all'ora: 130 mila euro a puntata, 1 milione 950 mila in totale.

(12 luglio 2007)


 

Il Giornale di Brescia 13-7-2007 CRONACA SCONTI AL BANCO La lettura di Federfarma sull'andamento dei prezzi minimizza l'effetto delle liberalizzazioni "Merito di Bersani? No, sono scaduti i brevetti" Michele De Tavonatti Luigi Cavalieri Vittorino Losio

 

Alla luce dei dati sopra esposti, per Federfarma si sta rafforzando la possibilità concreta che la spesa farmaceutica nel 2007 rientri nel tetto del 13% della spesa sanitaria complessiva. "Il rispetto di questa percentuale è per noi molto complicato - conferma Luigi Cavalieri, direttore di Federfarma Brescia - in particolare per le farmacie che, oltre a contribuire al pay back (autoacquisto del prodotto per non far cadere il prezzo) insieme agli altri elementi della filiera, pagano uno sconto oneroso in favore del Servizio sanitario nazionale, posto esclusivamente a loro carico" Per il Codacons, di fondamentale importanza è stato anche l'ampliamento del numero di punti vendita che ha determinato un aumento della concorrenza nei mercati dei farmaci da banco e un forte incentivo per le farmacie a praticare sconti. La speranza dell'associazione a tutela dei consumatori è abbattere l'ultimo scoglio e proseguire sulla strada delle liberalizzazioni, con la vendita dei farmaci con obbligo di ricetta negli esercizi commerciali". Non dello stesso parere Michele De Tavonatti, presidente di Farmacom Brescia (associazione delle farmacie comunali). "La Legge Bersani - secondo il suo punto di vista - non ha raggiunto l'obiettivo prefissato di favorire il cittadino. Le zone che erano scoperte come ad esempio autogrill e paesini della Valtrompia, non sono state raggiunte da corner e parafarmacie. Tanto valeva dar più incentivi alle farmacie comunali che con sè portano un business sociale ed economico" "È stato molto più decisivo il fatto che sono scaduti i diritti di brevetto di alcuni farmaci - ha sottolineato Vittorino Losio, presidente della Cooperativa esercenti farmacia - la legge ci deve permettere di poter svolgere il nostro lavoro di imprenditore sociale" "Spesso, parlando di farmaci generici (o equivalenti), si possono compiere degli errori - fa notare Luigi Cavalieri di Federfarma Brescia - sono piuttosto frequenti affermazioni del tipo "costano meno valgono meno", oppure "fanno male perchè sono prodotti male", o ancora "le scatolette sono tutte uguali e quindi ci si confonde". "Per sfatare queste erronee convinzioni, sempre secondo l'associazione a tutela dei consumatori, diviene determinante la figura del farmacista. che non è più solo un esecutore della ricetta medica". Ne dà conferma il Codacons, secondo il quale sono settantatrè su cento gli italiani che sanno spiegare correttamente che cos'è un farmaco generico.Al farmacista spetterebbe, quindi, il compito di informare il cittadino della eventuale differenza di prezzo tra il generico e la specialità di marca, di guidarlo nella scelta del farmaco equivalente rassicurandolo circa una corretta alternativa e di aiutarlo ad attivare sistemi per l'identificazione di confezioni simili, magari scrivendo sulla scatola del farmaco a che cosa serve quel medicinale o il nome della specialità che costituisce. Quanto ai consumi i paesi con basso livello dei prezzi e bassa penetrazione sono quelli che offrono la più grande possibilità di aumentare i volumi di vendita. Di questi l'Italia pare essere una delle realtà più dinamiche grazie alla dimensione complessiva del suo mercato.


 

Europa 13-7-2007 Lobby a palazzo di giustizia FEDERICO ORLANDO

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Il funambolico procedere della riforma Mastella è senza rete di protezione, come ricordavano qualche giorno fa Brutti e Finocchiaro ai senatori ribelli della maggioranza (se il funambolo cade dalla corda, si va tutti al Traumatologico, cioè a votare). Naturalmente, ci sono i ribelli ragionevoli, e cioè gli ex magistrati “toghe rosse” Di Lello, Casson e D’Ambrosio; e ci sono i ribelli irragionevoli, gli ex margheriti Manzione, Barbi e Bordon. I primi sono stati scomunicati dalla loro ex corporazione, l’Anm, catafratta contro ogni innovazione allo status dei magistrati, che la legge Mastella introduce pur nel quadro di una sostanziale riforma della riforma Castelli, ispirata ai Fioretti del Poverello di Arcore e incombente già dal prossimo 31 luglio: quando entrerà in vigore, se il riformista Mastella dovesse cadere dalla fune.
A differenza dell’Anm, i tre ex magistrati condividono due principi che, secondo l’Associazione, peggiorano la legge Mastella: che il magistrato cambi regione, se passa dalla carriera requirente a quella giudicante o viceversa, e che gli avvocati siano ammessi nei consigli giudiziari, anche quando giudicano l’attività dei magistrati e ne determinano la carriera. Opinioni, come tutte le opinioni, discutibili, ma spiegate da D’Ambrosio con spirito istituzionale: «Noi sediamo in parlamento non per fare gli interessi di una corporazione, ma di tutti i cittadini». Dunque se i tre hanno piegato la testa – come hanno chiesto Finocchiaro e Brutti –, è solo per impedire la caduta del governo.
Nessun piegamento di testa invece, fino a ieri mattina, da parte degli ex margheriti, soprattutto Manzione, avvocato della Magna Grecia e perciò facondo portavoce del partito degli avvocati: la corporazione (altro che tassisti) di cui i giovani legali denunciavano martedì scorso su Europa l’egoismo professionale e che ha fatto 40 giorni di sciopero in un anno, e altri ne farà per la gioia di chi aspetta una sentenza.
Manzione è autore dell’emendamento che immette gli avvocati nei consigli giudiziari: una cosuccia gradita al partito di Berlusconi e alle Camere Penali, visto che non riescono ad annientare l’unità della magistratura attraverso la separazione delle carriere. (Neanche la riforma Castelli la comporta, perché occorre cambiare la Costituzione, la quale dice: «I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni», articolo 107. Diversità di funzioni, non separazione di carriere). Così, non potendoli frantumare in due ordini e magari in due Csm, che ne dimezzerebbero l’indipendenza, aggirano il problema col cavallo di Troia: appunto gli avvocati nei consigli giudiziari, affinché diventino giudici dei giudici. Tant’è che anche i magistrati, o almeno la lobby dell’Anm, proclamano a loro volta uno sciopero, beccandosi un’altra bacchettata dall’ex collega D’Ambrosio: «Io non l’avrei proclamato. I magistrati sono un potere dello Stato, non possono incrociare le braccia contro un altro potere dello Stato proprio mentre sta deliberando». Meno male, credevamo di essere rimasti gli ultimi a pensarla così nel paradiso dell’anarchia.
Ma nella gara delle lobby ieri ha vinto quella degli avvocati. In mattinata, Manzione ha imposto il primo bagno a Mastella e al governo, facendo approvare (coi voti della Casa delle libertà più i tre ex margheriti) un sub-emendamento che dice: il magistrato che da requirente diventa giudicante e passa dal penale al civile o viceversa, dev’essere trasferito non solo dal circondario del tribunale ma dalla provincia. E che sarà mai, direte. Nulla, specie per chi, pubblico dipendente o votato a professioni col ballo di san Vito (metti i giornalisti), ha conosciuto ben altri trasferimenti: con famiglia e senza.
Ma questo “nulla” è come il ramoscello che intralcia il torrente, tanto che lo fa deviare, lo costringe a impantanarsi e a vaporizzare la sua stessa fisicità.
E sempre allo scopo di squalificare i magistrati nell’opinione pubblica, coltivata dal berlusconismo, di conseguire una parità fra accusa e difesa non nel processo, dov’è sacrosanta, ma nell’idea stessa di giustizia penale: dove la difesa garantisce il cittadino- imputato, mentre l’accusa incarna la pubblica accusa, cioè la pretesa dello stato, e quindi di tutti, di ripristinare la legalità.
Che ciò non piaccia al partito degli inquisiti, e a una parte del partito degli avvocati, è umano e lo comprendiamo. Ma che ciò stia scritto a chiare lettere nel programma del centrosinistra e vada sostenuto, è noto anche agli avvocati della Magna Grecia e della Padania sardanapalesca eletti nell’Unione.


 

Il Corriere della Sera 13-7-2007 Il referendum e l’incapacità di decidere Il tempo di una firma di Pierluigi Battista  

STRUMENTI

Il tempo sta scadendo, nella raccolta delle firme per il referendum sulla legge elettorale (il 24 luglio è l’ultimo giorno utile). Ma il tempo è ormai irrevocabilmente scaduto per una soluzione parlamentare che possa rendere vano l’iter referendario. Nei mesi scorsi chi ha auspicato che il Parlamento trovasse una concordia bipartisan, con la stesura di un testo necessariamente condiviso per lo meno dai maggiori partiti dei due schieramenti, ha sperato anche che quel traguardo potesse essere raggiunto in tempi certi e ragionevoli. Invece il traguardo si è allontanato ancora di più. Nessun testo preparatorio appare credibile come base di discussione utile per approdare a una soluzione. Ognuno gioca per sé. E anche il tema della riforma elettorale si appresta ad entrare nell’elenco oramai sterminato delle occasioni mancate, ennesima vittima di quel morbo della non-decisione tratto caratteristico di quest’ultima stagione politica.

Per proporre una soluzione allo schieramento avversario occorre il requisito di un minimo di univocità nel proprio: non del massimo, di un minimo. Ma nella maggioranza si assiste piuttosto all’esplosione dei linguaggi e delle identità particolari. Come dimostra la sconfitta subita ieri in Senato (posticipata di un giorno solo grazie al provvidenziale sostegno di Giulio Andreotti), la navigazione della maggioranza si è fatta sempre più accidentata, preda di una spirale di discordia che oscilla tra il cupio dissolvi e la rassegnata registrazione dell’esaurirsi di un’alleanza. Appare oramai remota la preoccupazione del premier Romano Prodi quando ebbe a lamentarsi dell’invadenza della pulsione referendaria: «una pistola puntata» destinata a minare la compattezza della maggioranza. E Silvio Berlusconi che parla spazientito del referendum come di un’iniziativa «impropria », mostra di affidare ogni speranza al ricorso immediato alle urne, abbracciando senza remore una visione totalizzante delle elezioni anticipate che non prevede modifiche alla legge elettorale. La percezione diffusa di un collasso dell’attuale formula di governo rischia sempre più di configurarsi come una profezia che si autoavvera. Quale forza persuasiva può avere, nonostante le ottimistiche previsioni su misteriose «bozze segrete » che sarebbero alla base di un accordo «vicino », l’idea di una riforma condivisa del sistema elettorale se ogni voto al Senato su ogni singolo emendamento viene atteso come la pietra tombale su questo governo?

Tempo scaduto, dunque. Ma non è scaduta, se entro il 24 luglio verranno raccolte tutte le firme necessarie, la possibilità che l’impasse della non-decisione possa essere sfidata da un referendum in cui è posto l’obiettivo di rafforzare la democrazia dell’alternanza e la diminuzione del potere di ricatto dei piccoli partiti. Come ha scritto Giovanni Sartori già nel gennaio scorso in un articolo che ha interpretato autorevolmente l’impegno di questo giornale sui temi sollevati dai referendari, a consigliare l’adesione non è tanto l’assetto elettorale (ovviamente discutibile) che scaturirebbe dall’esito della consultazione ma la convinzione che qualunque soluzione alternativa possa assomigliare a un pasticcio desolante. Perciò gli ultimi, decisivi giorni della raccolta di firme saranno seguiti dal Corriere mettendo a disposizione dei referendari una tribuna quotidiana per spiegare i termini di una battaglia ancora in corso. Sperando che basti una firma per arginare la deriva della non-decisione.

13 luglio 2007


 

La Stampa 12-7-2007  Il pericolo? Che il partito nasca contro il governo". La pasionaria si candida: "Offro un'altra possibilità rispetto a Walter" FEDERICO GEREMICCA

 

ROMA Prima di tutto si deve riconoscere che è una persona onesta, una di quelle - insomma - dalla quale compreresti la famosa auto usata perché è onesto il suo modo di ragionare, visto che ti accoglie avvisandoti che «guardi non è mica che noi siamo dei pionieri, non ci stiamo mica avventurando coraggiosamente alla scoperta di terre sconosciute: noi siamo, a voler dire la verità, piuttosto i gestori di un ritardo, perché l’Ulivo è nato più di dieci anni fa e stiamo ancora qui a discutere di come farne un partito». Ed è onesta anche la trasparenza con la quale Rosy Bindi parla del suo dissenso rispetto ad alcuni dei primi movimenti del nascente Pd. Non le piace l’idea che le liste per l’elezione della Costituente debbano essere necessariamente collegate alla candidatura del segretario (e ieri è tornata a proporre, senza fortuna, al «Comitato dei 45» la doppia scheda e il voto disgiunto); non le piace la possibile rotta di collisione - che già molti intravedono - tra il nuovo partito (e il suo leader) e il governo di Romano Prodi; e non le piacciono, soprattutto, le motivazioni ex post utilizzate per coprire esigenze e giochini di Ds e Margherita, «che naturalmente capisco, perché non è che abbia cominciato a far politica ieri, ma allora se ne parli con schiettezza, insomma si passi a metodi nuovi e si cominci con lo spiegare, per esempio, quando, perché e in quale sede è stato deciso che in ticket con Veltroni ci sia Dario Franceschini, che è mio amico e che stimo: ma mi chiedo perché serva un ticket oggi, visto che l’avevamo abbandonato già nel 2001 con la candidatura di Rutelli e poi di nuovo l’anno scorso, con quella di Prodi».

Non vorremmo che da tutto questo si traesse un’impressione sbagliata dello stato d’animo di Rosy Bindi, che continua a ragionare (ma il più è deciso) alla sua candidatura per le primarie del 14 ottobre: è una entusiasta del Partito democratico, considera «l’elezione diretta del segretario una delle più importanti innovazioni politiche degli ultimi anni», ammira Veltroni «che è il leader giusto per fare ciò di cui questo Paese ha bisogno: unirlo con serenità». Ma non ci sta - per carattere e formazione - a farsi menare per il naso. Ed essendo nota come «Sorella coraggio», ed avendo cominciato a rompere le scatole a chi predica bene e razzola male già un bel po’ d’anni fa, nella sua Dc, quando segretario era un certo De Mita (e la Dc, certo, non quella di Piccoli o Forlani), insomma, essendo tutto questo, figurarsi quanto può tremare di fronte all’idea di dissentire da Rutelli e Fassino: o di fronte alla malizia che la sua candidatura possa essere fatta passare come quella di una «pasionaria» (altro suo soprannome) che parte, sventatamente, lancia in resta contro il quartier generale e il leader designato.

«Non è questo il senso, ovviamente. E del resto non mi pare che sia avvertita così - spiega accoccolata su un divano del suo ministero (un appartamento a un quarto piano, moderno, lindo, chiaro, che sembra d’essere sbarcati in Svezia) -. Ancora più contenta mi rende il fatto che la mia candidatura non sia intesa come quella “della donna” oppure come la candidatura “cattolica” di cui il Partito democratico avrebbe bisogno: per quello, cioè per la corrente cattolica del Pd, c’è Fioroni che lavora, e basta e avanza... Vede, uno studio condotto tra i potenziali elettori alle primarie rileva che la caratteristica che mi distinguerebbe sarebbe il mio impegno nel sociale, per le questioni che riguardano - insomma - direttamente la vita della gente: bene, è un giudizio nel quale mi riconosco in pieno». E proprio «la gente» - o meglio: il rapporto tra il nascente Pd e la gente - è il suo rovello di queste ore. In fondo, dietro la sua candidatura sembra esserci fondamentalmente questo: offrire un’altra opportunità, una possibilità di scelta a chi il 14 ottobre andrà a iscriversi al Pd ma non vorrebbe votare Veltroni. «Io ho chiesto solo regole che non scoraggiassero altre candidature e quindi più partecipazione da parte della gente. Gliel’ho detto all’inizio: capisco tutto e c’è poco da fare i finti ingenui - spiega- . Ds e Margherita hanno equilibri e organigrammi da far quadrare a Roma e rappresentanze locali da garantire. Però c’è modo e modo. E questo sistema delle liste nazionali legate necessariamente a un candidato segretario - e viceversa, naturalmente - non mi convince. Io sono per la doppia scheda: perché potrebbe essere, per esempio, che voglio votare per Veltroni segretario ma non anche, per dire, per Bettini. Inoltre, questo sistema di più liste collegate allo stesso candidato leader, garantisce certo a Ds e Margherita la possibilità di eleggere nell’Assemblea costituente tutti i dirigenti regionali e nazionali che devono sistemare, ma scoraggia altre candidature e ostacola la partecipazione di gruppi ed esperienze». Ieri, «Sorella coraggio» ha riproposto queste obiezioni al Comitato dei 45: respinta con perdite, si direbbe in gergo militare.

«Peccato - dice Rosy Bindi -. Ma sa che le dico? Che più ostative saranno le regole, più ho voglia di candidarmi. E se sarà così, farò una campagna per segnalare il pericolo maggiore che aleggia sopra di noi: che il Partito democratico nasca - come qualcuno forse vorrebbe - contro il governo, e che Veltroni finisca per diventare il nemico numero uno di Prodi». Questo dirà nella sua «campagna» per le primarie. Questo e altro, chiaro. Per esempio, l’ennesima fine di un’illusione. Raccontano i suoi collaboratori che Rosy Bindi avesse assai apprezzato - e ci avesse creduto - la prima pagina con la quale La Stampa salutò con grandi foto, il 22 aprile, il giganteggiare sulla scena di tre donne: Ségolène Royal, Anna Finocchiaro e Rosy Bindi. Grande titolo: «Democratici, l’ora delle donne». Non era vero. «Promesse, auspici. In fondo è di questo che abbiamo dovuto accontentarci. Ma che vuole, magari sarà vera l’ultima, quella di Giuliano Amato: il prossimo capo della Polizia sarà donna...». Lo dice sorridendo, Rosy la candidata. Come chi, insomma, alle belle favole è tempo che non crede più.


 

Milano Finanza 13-7-2007 Anche Bersani spara sulle banche Dopo antitrust e bankitalia il ministro minaccia un intervento a favore della concorrenza. Ennesimo monito al mondo del credito L'obiettivo è difendere i consumatori E Bankitalia vara la nuova compliance

 

MF Prosegue il tiro al piccione sulle banche. Dopo gli interventi del garante della concorrenza, Antonio Catricalà, e del governatore di Bankitalia, Mario Draghi, ieri è stata la volta di Pier Luigi Bersani. Il ministro dello sviluppo economico intervenendo a margine dell'assemblea di Union camere ha spiegato senza fronzoli che le banche dovranno darsi una regolata per favorire concorrenza e trasparenza nei confronti dei consumatori. In caso contrario sarà lo stesso esecutivo a provvedere con una serie di nuove norme per rimediare. Prospettando così una nuova cosiddetta lenzuolata. "Se ancora non ci fossero meccanismi", ha puntualizzato Bersani, "che rendano trasparente la concorrenza non escludo che si possa ancora intervenire". Del resto, il ministro, ricollegandosi alle parole pronunciate da Draghi in occasione della relazione annuale dell'Abi di due giorni fa, ha sottolineato, "è stata una bella giornata. Banca d'Italia ha cominciato a parlare chiaro anche su alcuni istituti come il massimo scoperto. Istituti su cui siamo intervenuti con norme non per intervenire sui prezzi ma sul concetto per cui il cittadino deve pagare quel che consuma". Musica per le orecchie delle associazioni dei consumatori a poche ore dall'intervento di Bankitalia contro il caro tassi di prodotti come mutui e credito al consumo. L'affondo di Bersani arriva anche all'indomani delle critiche dell'Antitrust che ha tra l'altro appena chiuso la procedura sulla vicenda ius variandi (le modifiche unilaterali delle condizioni nei contratti sui conti correnti). Vicenda conclusa senza sanzioni del garante ma che ha costretto l'Abi a fare un passo indietro ritirando la circolare.Sul fronte Bankitalia, intanto, ieri sono state emanate le disposizioni di vigilanza per le banche in materia di conformità alle norme. In pratica sono stati definiti ruolo e responsabilità degli organi di vertice degli istituti, prevedendo la costituzione della funzione di compliance. L'obiettivo è rafforzare il sistema dei controlli interni alle banche. Come indicato in una nota di Via Nazionale la nuova funzione è preposta al presidio e alla gestione del rischio di sanzioni giudiziarie o amministrative, perdite finanziarie rilevanti o danni di reputazione in conseguenza di violazioni di norme imperative o di autoregolamentazione. (riproduzione riservata) MF  - Denaro & Politica Numero 139, pag. 4 del 13/7/2007 Autore: Alessandro Pianetti.


 

Marketpress.info 13-7-2007 Domenica 16 settembre appuntamento da non perdere ad Asti dove si corre il Palio, una manifestazione le cui origini risalgono ben al 1275, che ogni anno si rinnova nella terza domenica del mese di settembre, e che quest'anno giunge alla sua quarantesima edizione dalla ripresa avvenuta nel 1967 e che vedrà aggiudicarsi un "drappo" a firma di Paolo Conte.

 

Infatti l'artista astigiano, oltre ad aver sfornato indimenticabili canzoni che hanno lasciato il segno nel nostro paese, è stato ed è tuttora un valente pittore tanto è che recentemente gli è stata conferita la laurea honoris causa in pittura dall'Accademia di Belle Arti di Catanzaro. Vale sicuramente la pena fare una scappata nella città piemontese per assistere a una della manifestazioni più suggestive e ricche in fatto di scenografie e costumi che vede ogni anno ripetersi un'esaltante corsa di 21 cavalli montati a pelo, rappresentanti di altrettanti borghi, rioni e comuni. Non è solo la tradizione che muove la città, ma è la passione dei borghigiani che alimenta una festa lunga un anno. Partecipare al palio può rappresentare l'occasione per un breve soggiorno che unisce cultura, gastronomia e folklore durante un lungo weekend. Infatti diversi sono gli eventi collaterali al Palio che iniziano già il giovedì precedente la corsa, in cui si svolge il Palio degli Sbandieratori che accende di suoni e di colori la piazza San Secondo: una parata dedicata alla nobile arte della bandiera messa in scena dai gruppi rionali di sbandieratori. Il venerdì, sempre in piazza San Secondo, apre i battenti il variopinto mercatino del Palio in cui ogni comitato offre curiosi e originali oggetti rigorosamente confezionati con i colori di ogni borgo, rione e comune partecipante al Palio e infine, il sabato, le grandi prove generali che vedono un'entusiasmante giornata dedicata alle prove dei fantini titolari sul campo: opportunità da non perdere per chi voglia davvero calarsi nell'atmosfera particolare di quest'evento. Mentre la sera del venerdì e del sabato si svolgono le cene propiziatrici all'aperto nelle vie e nelle piazze tra canti, balli, gastronomia. La giornata del Palio inizia con cerimonia della benedizione del cavallo e del fantino nelle varie chiese cittadine, a cui fa seguito un'esibizione degli sbandieratori in piazza San Secondo. Alle 14, 15 parte il corteo storico con la partecipazione di 1. 200 figuranti in costume medievale che attraversano il centro storico da piazza Cattedrale a piazza Alfieri. Una suggestiva e imponente rievocazione storica, che dà vita a uno spettacolo davvero unico, che vede riproporre quadri viventi che rappresentano fatti realmente accaduti della storia astese: si vedranno quindi sfilare nobili e popolani, armigeri e alto clero, dame e cavalieri che per un giorno torneranno ad abitare la città riportandoci a vivere nel Medioevo. Quest'anni i figuranti rievocheranno il periodo della illuminata dominazione orleanese sulla Città di Asti. Infine alle ore 16 parte l'avvicente corsa con cavalli montati a pelo (senza sella) con tre batterie da 7 cavalli e una finale con nove per aggiudicarsi il 'Drappo', quest'anno opera, lo ricordiamo, di Paolo Conte. I biglietti per assistere al Palio si possono acquistare all'Automobile Club di Asti (tel 0141/593534, acasti@integra. Aci. It). Per informazioni: tel 0141/399482-486; manifestazioni@comune. Asti. It NON SOLO PALIO ? Ma Asti non è solo Palio: il visitatore attento potrà scoprire musei e monumenti, botteghe di antiquari e mercatini, torri merlate e ombrosi cortili; percorrendo da est a ovest Corso Alfieri, la antica Via Maestra, noterà un palazzo imponente ed elegante nelle sue forme barocche: è la dimora dei conti Alfieri, dalla cui stirpe nacque Vittorio (Asti 1749 - Firenze 1803), insigne trageda e spirito libero, famoso per le sue opere, ma anche per la grande passione che nutriva per i cavalli. Asti, capitale del vino, è nota anche per la sua prelibata gastronomia. Dal profumato tartufo bianco agli agnolotti accompagnati dalla barbera; dal ricco bollito esaltato dai 'bagnetti' alla 'bagna caôda', portentosa salsa di acciughe aglio e olio nella quale intingere le verdure del Tanaro; dal 'bönet', sorta di budino al cioccolato, ai fragranti amaretti annegati in un profumato calice di Asti Spumante e a tutte quelle ricette tipiche di una città in cui il buon mangiare e il buon bere sono un tutt¹uno con la sua ricca storia secolare.


 

INDICE 12-7-2007

+ + +   Il Corriere della Sera 12-7-2007 Giustizia, governo battuto al Senato. Mastella minaccia di lasciare L'esecutivo va sotto con 157 sì e 154 no. Scontro Ds-Di Pietro. 2

+ +   Il Sole 24 Ore 12-7-2007 I sogni immobiliari dei nuovi poveri di Fabrizio Ghibellini 3

+ +   Milano Finanza 12-7-2007  Fassino e D'Alema incastrano Consorte Per il pm nelle telefonate c'è la prova dell'insider. Con le due telefonate a Massimo D'Alema e Piero Fassino, datate 14 e 17 luglio 2005, l'ex presidente di Unipol Giovanni Consorte avrebbe commesso insider trading.Massimo Perna. 4

+ +  Il Sole 24 Ore 12-7-2007 Scandali. La Procura di Milano ricostruisce la tentata Opa dell'estate 2005 in una memoria al Gip "Unipol-Bnl fu scalata occulta" Il Pm: Consorte rivelò a Fassino di aver informato la Consob già il 9 luglio Vincenzo Chierchia Giuseppe Oddo  5

+ +   AgenParl 12-7-2007 GIUSTIZIA: Donadi (Idv), ‘Comma Brutti’ tutela indipendenza Magistratura  6

+ Il Sole 24 Ore 12-7-2007 Il Garante della privacy: «La protezione dei dati personali è un'emergenza nazionale» di Claudio Tucci 6

+  La Stampa 12-7-2007 I servizi segreti americani: "Al Qaeda forte come nel 2001". La capacità operativa della rete di Osama Bin Laden sarebbe tornata ai livelli che permisero le stragi dell’11 settembre a New York  7

Il Resto del Carlino  12-7-2007 OLTRE 32 milioni in affitti, circa 3 milioni per i trasporti degli ex deputati, 132 milioni per i vitalizi, quasi 170 milioni per le indennità. Di MATTEO SPICUGLIA  8

Il Giornale di Vicenza 12-7-2007 I COSTI DELLA POLITICA. I progetti dei questori Montecitorio taglia su vitalizi, carta e viaggi 8

La Repubblica 12-7-2007 Oggi il confronto con gli enti locali. Prodi convoca Santagata e Lanzillotta: chiudiamo presto con equilibrio ed elasticità "Al governo massimo 12 ministri" Nel ddl sui costi della politica spunta il dimezzamento dell'esecutivo CARMELO LOPAPA  9

L’Unità 12-7-2007 Finché Unione non vi separi Marco Travaglio  9

Wallstreetitalia.com 10-7-2007  WALL STREET FRENA PER DOLLARO, GREGGIO E MUTUI . Un mix pesante di elementi negativi da' ossigeno ai ribassisti: S&P500 -1,42%, Nasdaq -1,16%. Valuta Usa ai minimi storici sull'euro, petrolio sopra i $73. 10

La Repubblica 12-7-2007 L'INCHIESTA. La riscoperta dell'America nuovo fronte di Cosa Nostra DI ATTILIO BOLZONI e GIUSEPPE D'AVANZO Tornano in Sicilia i figli dei boss scappati negli Usa per sfuggire ai Corleonesi. E si riprendono il potere perduto. 11

Europa 12-7-2007 Americani delusi. Non solo da Bush  MARIO DEL PERO  14

Il Tirreno 12-7-2007 La Cina cresce di più e supererà la Germania Riviste le stime del Pil 2006: dal 10,7 all'11,1%  15

Europa 12-7-2007 Pugni allo stomaco, ma l’ipocrisia italiana spiega che sono carezze oppure distrazioni FEDERICO ORLANDO RISPONDE  15

Il Riformista 12-7-2007 Sarkozy gioca ai dieci piccoli socialisti di Alberto Toscano  16

 


+ + +   Il Corriere della Sera 12-7-2007 Giustizia, governo battuto al Senato. Mastella minaccia di lasciare L'esecutivo va sotto con 157 sì e 154 no. Scontro Ds-Di Pietro.

 

 Approvato un subemendamento alla riforma del ministro, che ha fatto sapere di non poter tollerare il ripetersi di questa situazione

 

ROMA - Il governo scivola in Senato sulla riforma della giustizia: con 157 sì e 154 no l'aula di Palazzo Madama ha approvato infatti un sub-emendamento del senatore ulivista Roberto Manzione sul quale era d'accordo il centrodestra, ma con il parere contrario dell'esecutivo. «Non mi pare ci sia l'apocalisse, però c'è una questione di metodo», ha detto il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, intervenuto dopo il voto. «Mi sembrava raggiunto un accordo, ma nell'Unione c'è chi si muove a proprio piacere. Il governo di qui in avanti, di fronte a proposte che vengono dal centrosinistra, esprimerà non un parere collaterale o contiguo a quello del relatore, ma si rimetterà all'aula. Certo, se ci fosse uno stravolgimento del testo ne prenderei atto, ma visto che non siamo a questo il problema non si pone».

MASTELLA MINACCIA DI LASCIARE - «Se venerdì passerà un altro emendamento di Manzione, sulla presenza come membri di diritto dei presidenti degli ordini regionali degli avvocati nei consigli giudiziari al ministro della Giustizia, Clemente Mastella non esiterebbe un istante a prendere atto di questa difficoltà e a rassegnare le dimissioni». Lo ha detto il presidente dei senatori dell’Udeur Nuccio Cusumano, al termine dell’ufficio politico dell’Udeur. Mastella ha poi fatto la battuta, riferita al voto decisivo del senatore Andreotti di martedì, che «San Giulio si festeggia una volta sola».

CRITICHE DI FASSINO - «E' spiacevole - ha detto il segretario dei Ds Fassino - che ci siano alcuni parlamentari del centrosinistra che per far passare un emendamento che non ha nessun rilievo hanno prodotto una fibrillazione politica. Credo che dobbiamo lavorare tutti per avere più senso di responsabilità».

TESTO - Il sub-emendamento al «comma Butti» inasprisce le regole per il passaggio di funzioni dei magistrati. Il testo approvato prevede che per cambiare funzioni (da inquirenti a giudicanti) per i magistrati che cambiano anche settore (da penale a civile e viceversa), sarà necessario cambiare non solo circondario, ma anche provincia. Questo perché in alcuni casi (come Roma e Palermo) circondari e provincia non coincidono. Era dunque possibile, in alcuni casi, cambiare funzioni senza cambiare provincia. Con l'emendamento Manzione, questo non è possibile. Il presidente della commissione Giustizia, Cesare Salvi, ha definito il sub-emendamento Manzione «ragionevolissimo» ma «di ridotta importanza».

«MODIFICA IN LINEA CON INTESA POLITICA» - «Il sub emendamento è in linea con quanto la maggioranza ha fatto in commissione» si è difeso il senatore Roberto Manzione a proposito della proposta di modifica sul passaggio di funzione dei magistrati passato in Aula con i voti dell'opposizione. «È stato votato dall'opposizione - ha aggiunto - per il fatto che la maggioranza a volte ha paura ad agire nel merito. Ma, nel merito, quella modifica è perfettamente in linea con l'accordo politico preso».

IDV: NOI LIBERI FINO AL VOTO FINALE - Intanto però, per bocca del capogruppo, Nello Formisano, l'Italia dei valori annuncia che dopo il voto di giovedì mattina il partito guidato da Di Pietro potrebbe considerarsi con le mani libere da ogni vincolo di coalizione per quel che riguarda l'ordinamento giudiziario. «Quello che è successo in aula è gravissimo e rischia di mettere in discussione la portata generale dell'accordo che faticosamente avevamo raggiunto», spiega Formisano, che poi aggiunge: «Noi valuteremo se non sia il caso, con le forze che condividono i nostri valori, di avere la stessa libertà che si sta affermando in questa aula, fino al voto finale». Immediata la replica della capogruppo dell'Ulivo al Senato Anna Finocchiaro. «Il presidente Formisano - ha detto - mi pare abbia voluto trasformare le mie valutazioni politiche di elogio del Parlamento e della sua autonomia in un salvacondotto per sè e per i senatori che lo seguiranno nel contrastare un provvedimento del governo. Se ne assuma la responsabilità».

ENTRO SABATO IL VOTO AL SENATO - Prima del voto di giovedì mattina la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama aveva fatto sapere che il voto del Senato sul disegno di legge di riforma dell'ordinamento giudiziario sarebbe arrivato entro le 12.30 di sabato. La conferenza aveva stabilito anche di non ricorrere al contingentamento dei tempi nella discussione.

12 luglio 2007

 


+ +   Il Sole 24 Ore 12-7-2007 I sogni immobiliari dei nuovi poveri di Fabrizio Ghibellini

 

N egli ultimi mesi sono emersi via via più chiaramente segnali di rallentamento del mercato immobiliare. Per il momento si osserva una dinamica piatta e si sono ulteriormente allungati i tempi di compravendita. Si tratta di fenomeni tipici di una fase - quella nella quale l'offerta riesce solo con crescente difficoltà a incrociare la domanda - che di solito precede immediatamente la riduzione dei prezzi (è di questi giorni la notizia che la Federazione agenti immobiliari prevede per la seconda parte dell'anno una riduzione dei prezzi di circa il 10% in città come Roma). Di solito l'espansione immobiliare precede e/ o accompagna la crescita dell'economia nel suo complesso. Potrebbe quindi sembrare paradossale il fatto che nel caso italiano la frenata del settore arrivi proprio nel momento in cui, dopo gli "anni orribili" che vanno dal 2002 al 2005, il tasso di crescita è tornato ad essere (moderatamente) positivo. La spiegazione di questo apparente paradosso sta in parte in un fenomeno non solo italiano, ma particolarmente evidente in Italia nella prima metà di questo decennio: la redistribuzione di ricchezza da lavoro dipendente a lavoro autonomo. Come evidenziato da molti, l'ingresso nell'Unione monetaria ha infatti drasticamente ridotto le possibilità di sopravvivenza di un "modello" di politica economica tipicamente italiano, per il quale la competitività industriale era per molte imprese assicurata non da una compressione dei costi, ma piuttosto dal connubio perverso di evasione fiscale e svalutazioni del cambio. Dopo l'11 settembre è venuta inoltre meno gran parte della forza della domanda internazionale. Come sanno sin troppo bene i consumatori, la risposta a queste difficoltà da parte di molti produttori di beni e servizi (specialmente nei settori meno esposti alla concorrenza internazionale) si è concretizzata in un vistoso aumento dei prezzi ( mille lire = un euro). Si è trattato ovviamente di una soluzione insostenibile nel medio-lungo termine. Per qualche anno essa ha tuttavia comportato una rilevante redistribuzione della ricchezza da un settore all'altro della società. La media borghesia è stata retrocessa a piccola, e sotto di essa si è creata la categoria sociale dei "nuovi poveri", le famiglie che con un reddito fisso inferiore ai 20-30mila euro annuali in precedenza vivevano senza troppi problemi. E in un contesto di bassi tassi d'interesse i "nuovi ricchi" hanno ovviamente utilizzato parte del maggiore reddito disponibile nell'investimento più tradizionale: quello del mattone. A Londra la bolla è stata creata dalle fortune di arabi e russi, in Italia hanno contribuito commercianti e liberi professionisti. Nello stesso momento, il precedente Governo ha lanciato gigantesche operazioni (Scip 1 e 2) di cartolarizzazione immobiliare. Per quanto riguarda l'effetto sulle casse pubbliche, il tempismo è stato quindi perfetto, dato che si è venduto praticamente ai massimi di mercato. Dal punto di vista sociale, l'impatto è invece eterogeneo. Gli inquilini più abbienti hanno infatti potuto realizzare ottimi affari. Data la sostanziale inesistenza in Italia di un vero mercato delle locazioni, per quelli a più basso reddito la scelta di acquistare è stata invece quasi obbligata. è vero che il prolungamento della locazione era garantito a fasce tutelate, ma la definizione di tali fasce era talmente restrittiva da non includere, ad esempio, una famiglia di impiegati. è anche vero che si poteva acquistare con un significativo sconto. Ma lo sconto percentuale vuol dire poco quando il livello assoluto del reddito è modesto: sarebbe come proporre a chi può permettersi di mangiare solo patate di consumare invece caviale a metà prezzo. Decine di migliaia di famiglie già colpite dall'effetto "mille lire = un euro", che però, a causa della gestione "politica" degli immobili pubblici, almeno pagavano affitti bassi, hanno quindi ricevuto il colpo di grazia rappresentato dall'accollo di un mutuo a lungo termine da 1.000-1.500 euro mensili. Va detto che, anche se al prezzo di un crollo del proprio reddito disponibile, per il popolo di Scip è stato comunque possibile acquistare la casa indebitandosi a tassi storicamente bassi. Le prospettive globali di chi volesse contrarre un mutuo casa oggi sono invece complessivamente peggiori. Rispetto a due anni fa, i tassi medi sono infatti aumentati di circa 150 punti base. In media, anche con prezzi degli immobili più bassi del 10%, chi contrae un mutuo incorre quindi in oneri finanziari annui addizionali pari a circa l'1% del capitale (3-4mila euro su 300-400mila euro mutuati). Per annullare questi oneri addizionali i prezzi delle case dovrebbero scendere non del 10, ma del 30 per cento. Può anche darsi che succeda, ma occorre chiedersi cosa fare nel frattempo. Quando si parla di rilanciare l'edilizia pubblica, di puntare su fondi di social housing ad affitto "sostenibile" ci si riferisce infatti a iniziative giuste e ineludibili ma che possono dare i loro frutti solo fra diversi anni. Nell'immediato, il soggetto pubblico deve comunque intervenire. Dato lo stato delle finanze pubbliche, può farlo solo rendendo più equo/efficiente il contesto normativo (ottima l'abolizione della penale per l'estinzione anticipata dei mutui) e/o "facendo leva": utilizzando strumenti a più basso assorbimento di capitale (cofinanziamenti, garanzie ecc.) che tuttavia facilitino l'accesso alla proprietà e all'affitto. Tra le altrecose, va ad esempio approfondita l'ipotesi di concedere contributi ai " nuovi poveri" inquilini che decidano di costituire polizze/piani di accumulo per creare depositi cauzionali a favore del locatore. Quello che è certo è che occorre trovare le forme per un intervento in tempi rapidi. Negli ultimi mesi, il Governo ha organizzato una serie di "tavoli" assembleari sulla casa con la partecipazione di sindacati, banche, esperti, associazioni dei consumatori, degli inquilini e dei proprietari. Terminata la riflessione, è forse il momento di alzarsi da quei tavoli e passare all'azione. UN INTERVENTO URGENTE Al di là dell'housing sociale, il Governo è chiamato a dare risposte rapide alle difficoltà per le famiglie con un reddito inferiore ai 20-30mila euro.


+ +   Milano Finanza 12-7-2007  Fassino e D'Alema incastrano Consorte Per il pm nelle telefonate c'è la prova dell'insider. Con le due telefonate a Massimo D'Alema e Piero Fassino, datate 14 e 17 luglio 2005, l'ex presidente di Unipol Giovanni Consorte avrebbe commesso insider trading.Massimo Perna.

 

Sono le conclusioni del pm di Milano Luigi Orsi nella memoria depositata martedì all'udienza sull'utilizzo delle intercettazioni tra alcuni politici e indagati nell'inchiesta sulla scalata di Unipol a Bnl. Il pm, nel chiedere al gip Clementina Forleo, che deciderà il 20 luglio, l'autorizzazione a utilizzare le trascrizioni dei colloqui intercettati, sottolinea che "è del tutto evidente che tali conversazioni telefoniche costituiscono esclusiva fonte di prova rispetto a due episodi di insider trading nonché decisivo elemento di riscontro dell'ipotesi di reato di aggiotaggio". Nella memoria è scritto che "le comunicazioni telefoniche intercettate cadono temporalmente proprio nel corso del periodo in cui il reato di aggiotaggio ipotizzato si sta consumando (giugno-luglio 2005)". "Nel corso della conversazione n. 705 del 14 luglio 2005, intervenuta con l'on. D'Alema, Consorte informa l'interlocutore che il lunedì successivo (il 18 luglio) Unipol lancerà l'opa", scrive il pm. "Questa comunicazione riguarda una notizia riservata (informazione privilegiata) che Consorte porta a conoscenza di una persona estranea al novero di quelle legittimate a conoscerne riservatamente", consumando un fatto di insider trading. Per il pm "la conversazione telefonica è l'unica fonte di prova di questo fatto di reato". E ancora: "Nel corso della conversazione n. 1064 del 17 luglio con l'on. Fassino, Consorte reitera la propagazione di informazioni privilegiate, scandendo i nomi dei soci che lo affiancheranno l'indomani nel lancio dell'opa". Consorte ha contestato questa ricostruzione: "Per quanto ci riguarda le telefonate intercorse con i politici sono state tutte di carattere informativo e non intromissivo nell'operazione Bnl. Tutte le operazioni relative all'opa obbligatoria di Unipol sono state condotte nella piena legalità, nella trasparenza e nel rispetto delle leggi e delle normative e deliberate dal cda", così come "tutti i comunicati stampa sono stati preventivamente concordati con la Consob". Consorte ha anche ricordato che attende le conclusioni dell'inchiesta nata dall'esposto presentato da Unipol a Bologna nel dicembre 2005 "sulle azioni di ostruzionismo e sui possibili reati commessi da coloro che hanno impedito di portare a termine l'opa, consegnando di fatto Bnl a una banca estera". L'ipotesi accusatoria sostiene che Unipol e gli alleati avessero rastrellato in maniera occulta le azioni Bnl portandosi al di sopra del 50% ben prima dell'annuncio dell'opa il 18 luglio 2005. Unipol avrebbe cominciato dopo l'assemblea Bnl del 21 maggio assieme "ad alcuni suoi sodali Bpi, Bper, Popolare Vicenza" a rastrellare azioni da alcuni hedge fund "il più attivo dei quali (Leonardo Capital fund) arriva a negoziare da solo circa il 10% di Bnl". Una condotta che ha vanificato l'offerta del Bbva, provocando aggiotaggio informativo e manipolativo. In questo filone sono indagati per ora Consorte, Ivano Sacchetti e Carlo Cimbri e gli ex vertici di Bpi Gianpiero Fiorani e Gianfranco Boni.


+ +  Il Sole 24 Ore 12-7-2007 Scandali. La Procura di Milano ricostruisce la tentata Opa dell'estate 2005 in una memoria al Gip "Unipol-Bnl fu scalata occulta" Il Pm: Consorte rivelò a Fassino di aver informato la Consob già il 9 luglio Vincenzo Chierchia Giuseppe Oddo

 

MILANO Le telefonate del luglio 2005 tra i vertici dei Ds e l'allora presidente di Unipol, Giovanni Consorte, "costituiscono esclusiva fonte di prova rispetto a due episodi di insider trading, nonché decisivo elemento di riscontro dell'ipotesi di reato di aggiotaggio" a carico di Consorte e di quanti lo sostennero nella tentata Opa a Bnl. La memoria trasmessa dal sostituto procuratore di Milano Luigi Orsi al giudice per le indagini preliminari Clementina Forleo ricostruisce le tappe del fallito takeover, e mette a nudo l'insufficienza patrimoniale dell'Unipol in quell'estate 2005: non potendo farsi carico dell'onere finanziario dell'Opa, la compagnia bologne-se aveva dovuto ricorrere al "supporto di economie terze". Quella di Unipol su Bnl fu una "scalata occulta", scrive il pm. Consorte, Ivano Sacchetti e Carlo Cimbri (che guidavano il gruppo assicurativo di Legacoop) affiancati da Gianpiero Fiorani e Gianfranco Boni, di Banca Popolare Italiana (Bpi), "compivano atti concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione"delle quotazioni di Borsa di Unipol "mentre negavano reiteratamente e specificamente al mercato di condurre la scalata ":schema simile a quello seguito da Fiorani, qualche mese prima, per la tentata scalata ad Antonveneta. Non solo:"nel corso della conversazione n. 316 del 9 luglio 2005- scrive ancora Orsi - Consorte riferisce all'on. Fassino (segretario dei Ds, ndr) di avere incontrato i vertici di Consob, di avergli spiegato cosa sta facendo e di avere ricevuto una valutazione favorevole". Quindi - stando al documento della Procura -la Consob presieduta da Lamberto Cardia sarebbe stata informata nei particolari delle mosse di Consorte già nove giorni prima della data di annuncio dell'Opa, comunicata al mercato solo il 18 luglio 2005.Se la comunicazione fosse avvenuta il 28 giugno, "Unipol non avrebbe potuto rastrellare le azioni acquistate dopo di allora". A parere di Orsi, Consorte aveva superato di fatto il 30% di Bnl (soglia dell'Opa obbligatoria) tra la fine di giugno e i primi di luglio del 2005, grazie agli accordi con Bpi, Bper e Popolare di Vicenza e grazie all'intesa con i "contropattisti" (Bonsignore, Caltagirone, Coppola, Grazioli, Lonati, Ricucci e Statuto) siglata "ben prima del 18 luglio". In effetti,scrive Orsi,è almeno dal 21 maggio che Unipol e le banche al-leate hanno cominciato a rastrellare in Borsa il titolo Bnl, tramite Euromobiliare e Centrosim. Queste ultime comperano azioni sul mercato dei "blocchi" "da alcuni hedge fund, il più attivo dei quali (Leonardo Capital Fund) arriva a negoziare da solo circa il 10% del capitale di Bnl. A riprova dell'integrazione tra questi soggetti va sottolineato che acquisti effettuati da Bper sono "ordinati" da Boni, dirigentedi Bpi, mentre acquisti di Popolare di Vicenza sono " ordinati" da Cimbri, dirigente di Unipol ". Ciò a conferma del fatto che Unipol e Bpi agivano di comune accordo e con l'alto patrocinio dell'allora governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, deciso a contrastare l'offensiva straniera del Bbva in Bnl e quelladi Abn Amro in Antonveneta. Il documento è servito ad illustrare al giudice gli elementi d'accusa dell'inchiesta. Ora dovrà essere la Forleo a chiedere al Parlamento che la Procura possa utilizzare come fonti di prova le intercettazioni tra Consorte, Fassino, l'attuale ministro degli Esteri, Massimo D'Alema,e il senatore Nicola Latorre. "Nel corso di queste conversazioni, infatti,l'indagato Consorte espone ai suoi interlocutori quello che sta facendo, esplicita la logica della sua condotta, fornisce particolari operativi, solleva obiezioni strategiche e tattiche". Ecco alcune delle telefonate giudicate rilevanti. 6 luglio: Consorte riferisce al senatore dei Ds Latorre che "è ormai certo che i contropattisti venderanno le loro azioni (il 27,5% di Bnl, ndr). Entrambi gli interlocutori convengono che non sarà Unipol a comprare, ma terzi". 7 luglio: Consorte e Latorre "discutono della onerosità dell'Opa", auspicando che ad essa non aderissero né Generali, né Dorint, che con il Bbva partecipavano alpatto di sindacato di Bnl. Con un'altra telefonata, "Consorte spiega a Latorre che ha ormai definito gli accordi con gli immobiliaristi ". Latorre passa quindi l'apparecchio a D'Alema, al quale Consorte riferisce che il lancio dell'Opa "è cosa fatta". 12 luglio: Fassino teme che Unipol non abbia le risorse patrimoniali per scalare Bnl. Consorte gli spiega "che il problema si porrebbe se Unipol facesse un'Opa al buio e dovesse acquistare il 100% di Bnl". Invece Unipol - dice Consorte al segretario dei Ds - spera di poter rilevare in Opa una quota di capitale Bnl non superiore al 65 per cento. 14 luglio: Consorte informa D'Alema che il 18 luglio 2005 Unipol lancerà l'Opa. A giudizio di Orsi, questo è il primo episodio di insider a carico dell'ex presidente di Unipol. "La conversazione telefonica è l'unica fonte di prova di questo fatto di reato". 15 luglio: Secondo presunto episodio di insider: Latorre chiama Consorte che lo informa di avere già il 51,5% di Bnl. 17 luglio: "Consorte - conclude Orsi - reitera con Fassino la propalazione di informazioni privilegiate ". Consorte ieri ha replicato che"tutte le operazioni relative all'Opa su Bnl sono state condotte nel pieno rispetto delle leggi e deliberate dal consiglio d'amministrazione di Unipol. Per quanto ci riguarda, le telefonate intercorse con i politici sono state tutte di carattere informativo e non intromissivo nell'operazione Bnl". Richiesta analoga a quella di Orsi è stata indirizzata al giudice Forleo dai pm Eugenio Fusco e Giulia Perrotti. Le telefonate, in questo caso, sono quelle avvenute nella stessa estate del 2005 tra l'immobiliarista Stefano Ricucci ed alcuni parlamentari del centro-destra, tra i quali il senatore Romano Comincioli di Forza Italia, durante la tentata scalata al "Corriere della sera". In caso di via libera del Parlamento, queste intercettazioni saranno trasmesse, probabilmente, alla Procura di Roma, che ha indagato su Ricucci. v.chierchia@ilsole24ore.com g.oddo@ilsole24ore.com L'ACCUSA Nelle conversazioni con il segretario ds, D'Alema e Latorre la Procura trova conferma dell'aggiotaggio e intravede l'insider trading LA DIFESA Per l'ex numero uno dell'impresa assicurativa di Legacoop, le operazioni avvennero nel rispetto delle leggi e con l'ok del consiglio


+ +   AgenParl 12-7-2007 GIUSTIZIA: Donadi (Idv), ‘Comma Brutti’ tutela indipendenza Magistratura

 

Roma, 12 Luglio 2007 – AgenParl – “L’intesa, che sta emergendo al Senato sull’ordinamento giudiziario, rappresenta un’ottima soluzione e consente di superare definitivamente l’impostazione della riforma Castelli che appariva più come una punizione per i magistrati che come una reale iniziativa di riforma per una maggiore efficienza del sistema”. Lo dichiara l’On. Massimo Donadi, presidente del deputati di Italia dei Valori.
“L’articolo 2 del testo, – prosegue Donadi –che deriverebbe dall’approvazione del cosiddetto emendamento Brutti, trova infatti il giusto equilibrio tra l’esigenza di porre dei limiti, in particolare di natura territoriale, alla possibilità per i magistrati di cambiare funzioni e l’esigenza, ugualmente fondamentale, di tutelare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura”.
Conclude il capogruppo IdV alla Camera: “Ci auguriamo, a questo punto, che l’approvazione di questa riforma induca l’associazione dei magistrati a revocare l’ipotesi dello sciopero che rischierebbe, a questo punto, di non  essere più compreso”.


+ Il Sole 24 Ore 12-7-2007 Il Garante della privacy: «La protezione dei dati personali è un'emergenza nazionale» di Claudio Tucci

 

Crescono, nel 2006, i controlli del Garante per la protezione dei dati personali su traffico telefonico, sistemi di informazione creditizia, strutture sanitarie, misure di sicurezza adottate da amministrazioni e imprese. Contestate 158 violazioni amministrative (erano 94 nel 2005), con 11 denunce effettuate all'Autorità giudiziaria. Accanto all'attività ispettiva e sanzionatoria, il Garante, nell'anno appena trascorso, ha adottato 630 provvedimenti collegiali, di cui 435 emessi a conclusione di trattazione di ricorsi, oltre a fornire 13 pareri su atti normativi del Governo nonché risposte a 679 quesiti e a 217 segnalazioni e reclami. Intensa anche l'attività del Garante nelle sedi internazionali ed europee, in particolare, sul fronte della cooperazione giudiziaria e di polizia nonché dei rapporti con gli Usa e delle regole standard per il trasferimento all'estero dei dati da parte delle imprese. E' questa, in sintesi, la diapositiva scattata dalla relazione annuale dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali, presentata al Senato, alla presenza dei massimi rappresentanti del Parlamento, del Governo, delle Istituzioni, del mondo dell'impresa e delle associazioni di categoria.
La relazione traccia il bilancio del lavoro svolto dall'Autorità, giunta al decimo anno di attività, nel corso del 2006 e indica lo stato di attuazione della normativa sulla privacy e le prospettive di azione verso le quali intende muoversi il Garante nell'obiettivo di fornire maggiore protezione ai dati personali.

Attività del Garante. L'anno scorso il Garante evidenzia, in particolar modo, gli interventi sulla delicata materia della messa in sicurezza delle grandi banche dati pubbliche e private (anagrafe tributaria, Ced del ministero dell'Interno, gestori telefonici, banche ed istituti finanziari, servizi di massa). "La protezione dei dati è un'emergenza nazionale", sottolinea Francesco Pizzetti, presidente dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali nella sua relazione al Parlamento. Al riguardo, ha assunto un significativo risultato la messa in regola della trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione, con l'approvazione da parte del Garante di 106 schemi di regolamento sul trattamento dei dati sensibili. Particolare attenzione è stata poi riservata alle esigenze delle imprese per facilitarne gli adempimenti e garantire al contempo la corretta gestione dei dati personali di utenti e consumatori, anche in un quadro di economia globale e trasferimenti massicci di informazioni tra Paesi. In tema di lavoro, massima attenzione è stata garantita alla sicurezza della navigazione in Internet e al controllo dei lavoratori nonché alla correttezza della gestione del rapporto di lavoro e ai sistemi di rilevazione biometrica. Interventi anche sul sistema bancario e assicurativo, nello specifico, sui sistemi di informazione creditizia, black list e raccolta di immagini e impronte digitali.
Sul versante internazionale, inoltre, nel settore della cooperazione giudiziaria e di polizia, la relazione sottolinea come all'Autorità italiana sia stata affidata la presidenza dello specifico gruppo di Garanti Ue (working party on police and justice). Sul fronte, infine, del delicato tema dei rapporti tra Unione europea e Usa, il Garante ricorda l'impegno rivolto alle garanzie da assicurare nel trasferimento dei dati dei passeggeri europei contenuti nelle schede nominative, il cosiddetto Pnr (personal name record), oltre al noto "caso Swift" (society for worldwide interbank financial telecomunication) la società con sede in Belgio di cui si servono da decenni banche e finanziarie per il trasferimento internazionale di valuta, ai cui dati hanno avuto accesso le autorità Usa nel quadro della lotta al terrorismo.


 

+  La Stampa 12-7-2007 I servizi segreti americani: "Al Qaeda forte come nel 2001". La capacità operativa della rete di Osama Bin Laden sarebbe tornata ai livelli che permisero le stragi dell’11 settembre a New York

 

WASHINGTON
Al Qaida è tornata, forte come nel 2001 e pronta a nuovi micidiali attentati. A sostenerlo è un rapporto dell’intelligence americana, rivelato dall’Associated Press.

La capacità operativa della rete di Osama Bin Laden sarebbe tornata ai livelli che permisero le stragi dell’11 settembre a New York. La nuova valutazione del livello di rischio effettuata dai servizi Usa suggerisce che Al Qaida ha potuto rigenerarsi malgrado quasi sei anni di guerre, bombardamenti e altre offensive mirate ad annientarla.

Secondo quanto riferito da un funzionario di intelligence, lo scenario è delineato in un testo di cinque pagine che sarà discusso oggi alla Casa Bianca. Si tratta del lavoro di un pool di esperti di anti-terrorismo in vista della pubblicazione del prossimo National Intelligence Estimate, un rapporto prodotto da diverse agenzie coordinate dal governo.

Il documento rivelato dalla Associated Press è intitolato «Al Qaida in una posizione migliore per colpire l’Occidente». Dedica un’attenzione particolare al Pakistan, considerato una sorta di porto franco per i militanti della rete terroristica.

Secondo il funzionario di intelligence, il rapporto sostiene che Al Qaida è «considerevolmente più forte da un punto di vista operativo rispetto a un anno fa». L’organizzazione di Osama Bin Laden si sarebbe ricostituita «a un livello mai visto dal 2001». I terroristi - si leggerebbe ancora nel rapporto - «stanno mostrando un’abilità sempre più grande nel pianificare attentati in Europa e negli Stati Uniti». Secondo il funzionario di intelligence, nel documento si afferma che la rete di Bin Laden ha creato «il più ampio programma di addestramento dal 2001, un programma che prevede l’impiego di agenti europei».

Il rapporto sottolineerebbe allo stesso tempo «significative deficienze di intelligence», tali da far supporre che le autorità americane possano non essere al corrente di attentati potenziali o pianificati.

John Kringen, responsabile della direzione analisi della Cia, aveva sottolineato ieri le rinnovate capacità operative di Al Qaida in un intervento presso una commissione del Congresso americano. «Sembrano ben stabiliti negli spazi privi di autorità del Pakistan» aveva dichiarato il dirigente, in riferimento alla rete di Bin Laden. «Vediamo più attività di addestramento. Più denaro. Più comunicazioni. Le loro attività aumentano».

Il documento di intelligence vede la luce mentre l’organismo governativo National Security Council sta lavorando alla stesura del National Intelligence Estimate sulle minacce terroristiche nei confronti degli Stati Uniti.

 


 

Il Resto del Carlino  12-7-2007 OLTRE 32 milioni in affitti, circa 3 milioni per i trasporti degli ex deputati, 132 milioni per i vitalizi, quasi 170 milioni per le indennità. Di MATTEO SPICUGLIA 

 

ROMA Sono alcuni dei capitoli del bilancio di previsione della Camera per il 2007, contenuti nella relazione dei Questori resa nota nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui costi della politica. Una macchina organizzativa decisamente costosa per il contribuente, senza pari in Europa. Basti pensare che con oltre un miliardo di euro (con esattezza 1.011.505.000), il carrozzone di Montecitorio costa il 27% in più del Bundestag tedesco, il 32% in più dell'Asseblée Nationale francese e addirittura il 51% in più della House of Commons britannica. IN CONCRETO, 266.915.000 euro vanno al personale, 181 milioni all'acquisto di beni e servizi, 169.180.000 euro alle indennità e al rimborso spese dei deputati, 167.495.000 euro al personale in pensione, mentre 132.450.000 euro ai vitalizi degli ex deputati (132.450.000 euro). Dati eloquenti che la Camera vuole cambiare, sebbene per i Questori l'85% delle spese correnti sia obbligatorio, riducibile quindi soltanto attraverso modifiche di legge o di regolamento. Tuttavia, ci sono margini di intervento nel restante 15% del bilancio e nella relazione vengono indicate già alcune linee d'azione: la soppressione dei rimborsi per i viaggi di studio, nuove regole per i vitalizi e la razionalizzazione degli affitti, ma anche la riduzione delle spese per l'informatica (grazie ai software open source e quindi senza licenza), tirature più basse degli stampati e uso degli sms e della posta elettronica invece che dei fax e dei telegrammi. Con una regola di fondo: creare sinergia con il Senato, in tema di attività di documentazione e trattative sui servizi. Proposte che saranno vagliate nei prossimi giorni e adottate con tutta probabilità già nella riunione degli uffici di presidenza, in programma lunedì prossimo. CONTINUA intanto il confronto tra Governo ed enti locali, in vista del disegno di legge sui costi della politica. Ieri, si è svolta una riunione a Palazzo Chigi tra il premier Prodi e i ministri Amato, Lanzillotta e Santagata, e quest'ultimo è intervenuto anche al question time della Camera, per spiegare che l'obiettivo è la firma di un patto istituzionale tra centro e periferia, una carta di principi e impegni valida per tutti. La bozza di intesa sarà discussa oggi alla Conferenza unificata degli enti locali, per confluire poi nel ddl che dovrebbe essere approvato nel Consiglio dei ministri di domani. Tra le proposte annunciate, il tetto di 12 ministri per il Governo, la riduzione delle pensioni per amministratori ed eletti e regole stringenti per Comunità montane, società pubbliche e consigli. La bozza della legge prevede inoltre l'accorpamento di una parte degli enti e la soppressione di quelli inutili, elimina alcune forme forfettarie di rimborso e dispone maggiore trasparenza su incarichi e indennità.


 

Il Giornale di Vicenza 12-7-2007 I COSTI DELLA POLITICA. I progetti dei questori Montecitorio taglia su vitalizi, carta e viaggi

 

ROMA I questori della Camera hanno illustrato ieri in commissione Affari costituzionali di Montecitorio, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui costi della politica, le misure che la Camera intende adottare per ridurre le spese. Queste le novità principali. VIAGGI ALL'ESTERO ADDIO. Tagliando sui rimborsi delle spese dei deputati all'estero, si calcola un risparmio di 2 milioni l'anno. ASSEGNI VITALIZI. Verrà eliminata la possibilità di riscattare gli anni "non lavorati" in caso di chiusura anticipata della legislatura. Il diritto al vitalizio si otterrà solo dopo almeno cinque anni di mandato, al compimento del 65° anno. Si può avere vitalizio a 60 anni solo dopo dieci anni di mandato effettivo. Si prenderà il 20% dell'indennità con cinque anni di contributi; il 40 con dieci, e il 60 dal 15° anno di contribuzione in poi. La nuova norma si applicherà a coloro che saranno eletti per la prima volta nella prossima legislatura. RISTORAZIONE E PC. Appaltando la ristorazione si prevede un risparmio di 3,7 milioni l'anno, e la razionalizzazione del sistema informatico farà risparmiare altri 2,5 milioni. MENO STAMPE. Gli atti parlamentari saranno stampati sempre di meno visto che sono tutti disponibili su Internet: per il secondo semestre 2007 si risparmieranno circa 150 mila euro; per il 2008 circa 290 mila. RASSEGNA STAMPA SUL WEB. Sopprimendo la versione cartacea della raccolta di articoli di giornali riguardanti la politica, ci sarebbe un risparmio di 150 mila euro l'anno. L'USO DELLE E-MAIL. Convocando le commissioni via e-mail e non più per telegramma e telefax, si risparmiano 200 mila euro l'anno. LA COLLABORAZIONE. Le esigenze di documentazione delle due Camere sono in larga parte comuni. Così, si pensa a integrare l'attività dei servizi studi, bilancio, rapporti con l'Ue e rapporti internazionali, a cooperare per l'approvvigionamento comune di beni e servizi, e a unificare biblioteche, archivio storico, siti internet, canali satellitari e le librerie.


 

La Repubblica 12-7-2007 Oggi il confronto con gli enti locali. Prodi convoca Santagata e Lanzillotta: chiudiamo presto con equilibrio ed elasticità "Al governo massimo 12 ministri" Nel ddl sui costi della politica spunta il dimezzamento dell'esecutivo CARMELO LOPAPA

 

ROMA - "Cerchiamo di chiudere. Usiamo il giusto equilibrio e la necessaria elasticità, ma chiudiamo questo accordo con gli enti locali e poi il disegno di legge in Consiglio dei ministri". Alla vigilia della due giorni decisiva per il governo sul fronte dell'abbattimento dei costi della politica, Romano Prodi ha voluto attorno al suo tavolo a Palazzo Chigi i ministri Amato, Santagata e Lanzillotta che stanno lavorando alla "pratica". L'intesa con Regioni, Comuni e Province, d'altronde, attesa per la Conferenza unificata di oggi pomeriggio, non è affatto scontata. Ecco perché il premier ha raccomandato ai ministri di non incaponirsi sulla percentuale dei tagli ai consigli regionali, comunali e provinciali, che la Lanzillotta vorrebbe riportare oltre la soglia del 20 per cento. Ma nella piattaforma che oggi la responsabile degli Affari regionali e Santagata proporranno a governatori e sindaci prevede anche altro. A cominciare dal dimezzamento del numero dei ministeri, con la riduzione a 12. Punto che sta a cuore alla ministra ma che lascia un po' freddi i suoi colleghi, se non altro per l'impossibilità poi di inserirlo nel ddl del governo che dovrebbe arrivare al traguardo domani. L'esecutivo si impegna poi a sopprimere gli enti inutili, ridurre i componenti e i compensi delle società pubbliche. Ma propone anche l'abrogazione delle comunità montane sotto i 600 metri, la fissazione di un tetto alle indennità, pensioni meno ricche per parlamentari e consiglieri regionali con il passaggio al regime contributivo. Proposta, quest'ultima, che ha fatto insorgere ieri gli "amministratori" della Camera. "Vorrei ricordare al ministro Lanzillotta che esiste l'autonomia delle Camere e che nessuna decisione che le riguardi può essere oggetto di intese tra esecutivo e altri livelli istituzionali - ha protestato il deputato questore ulivista Gabriele Albonetti - Peraltro la riforma dei vitalizi è già in discussione". Proprio i questori, nell'ambito dell'indagine sui costi avviata dalla commissione Affari costituzionali, hanno presentato una sorta di "libro bianco" in 72 pagine che fornisce una radiografia delle spese di Montecitorio. Per dire che è difficile intervenire sulle indennità dei deputati (come chiesto dal 78% degli italiani nel sondaggio di Repubblica.it), per rivelare che un autentico bubbone sono le spese per i 1.977 ex onorevoli che costano ormai 132 milioni (perfino le spese per i loro viaggi sono lievitate lo scorso anno a 2 milioni 788 mila euro). E ancora, che Montecitorio dispone di 22 autoblu e 22 veicoli di servizio, che il bilancio cresce di anno in anno e che perciò la Camera spende (634 milioni) più dei Parlamenti di Francia, Germania e Gran Bretagna.


 

L’Unità 12-7-2007 Finché Unione non vi separi Marco Travaglio

 

L'unico difetto dello sciopero dell'Anm contro la controriforma Mastella che dovrebbe rimpiazzare la controriforma Castelli, è che arriva troppo tardi. Da un anno esatto il governo Prodi e la sua maggioranza che avevano promesso agli elettori di "cancellare la legge Castelli" si prodigano per fare il contrario. L'estate scorsa ne han lasciato entrare in vigore i primi due decreti delegati. Poi, al seguito di Mastella, hanno trattato per mesi con i noti giureconsulti Schifani, Pecorella e Castelli per "migliorare" il testo che s'erano impegnati a radere al suolo. Ne è nato un abortino, la Mastelli o Castella, che ha mandato in vigore con qualche microritocco altri 7 decreti berlusconiani: così - annunciò trionfante Mastella - li voterà anche la Cdl. Bella forza: se il centrosinistra copia una legge del centrodestra, è normale che il centrodestra la voti (meno normale è che la copi il centrosinistra). In ogni caso la controriforma berlusconiana avallata dall'Unione ottenne solo i voti dell'Unione, non uno di più. Ennesima prova che gl'inciuci sono sempre a senso unico: l'Unione paga,Berlusconi incassa. L'Anm, mai così afasica e tremebonda, lasciò passare il tutto, in nome della "riduzione del danno". Restò in sospeso il decimo decreto: la separazione delle carriere, congelato fino al 31 luglio 2007. Da ottobre a oggi la maggioranza, così fulminea nel varare l'indulto, il decreto Mastella per la distruzione dei dossier Telecom e la legge Mastella sulle intercettazioni, hanno cincischiato cercando il solito accordo con la Cdl e litigando al proprio interno. A due settimane dalla scadenza ha finalmente partorito il testo definitivo. Che separa di fatto le carriere dei giudici e dei pm: chi vuole passare dall'una all'altra dovrà trasferirsi in un'altra regione. Cioè cambiare casa, lasciare la famiglia e gli amici, e così via. Chi ha fatto il pm e vuol fare il giudice, o viceversa, diventa un essere infetto, da tenere in quarantena, sterilizzare, disinfestare, disintossicare. In compenso un avvocato che voglia diventare magistrato potrà restare tranquillamente nella stessa città: chi ha difeso mafiosi al Tribunale di Palermo potrà liberamente diventare giudice o pm a Palermo. Se invece ha condannato o fatto condannare mafiosi a Palermo, per cambiar funzione dovrà sloggiare da Palermo. Questa è una separazione delle carriere surrettizia, che corona dopo trent'anni il sogno di Gelli e Craxi. Berlusconi l'aveva mancato per un soffio. Ma l'Unione è lì apposta per completare la sua opera. Se passa la Mastella entro il 31, le carriere saranno separate. Se no entra in vigore la Castelli e le carriere saranno separate comunque. Una bella alternativa. Resta da capire se tutto ciò sia compatibile con la Costituzione, che inserisce tutti i magistrati ­requirenti e giudicanti­ nello stesso ordine giudiziario. Ora Mastella, spaventato dallo sciopero tardivo dell'Anm, delira di "guerre puniche" e annuncia che "il testo si può modificare": forse, se le toghe avessero scioperato prima, le modifiche sarebbero già arrivate. Ma le reazioni unioniste alla protesta togata fanno cadere le braccia, nel solco di quel "berlusconismo senza Berlusconi" (anzi, con Berlusconi più potente che mai) che molti paventavano. Il prc Di Lello, ex giudice, mette sullo stesso piano "le corporazioni dei magistrati e degli avvocati", come se un potere dello Stato minacciato dagli altri due fosse equiparabile ai tassisti o ai ferrotranvieri. Il margherito Tenaglia, ex pm, dice che la Mastella è "punto di equilibrio per l'indipendenza della magistratura", quasi che un principio costituzionale potesse essere oggetto di contrattazione. Poi c'è Boselli, Sdi, che - evidentemente ignaro della Costituzione - domanda "perché l'Italia debba restare caso unico nel mondo democratico a mantenere un solo ruolo per i magistrati". Forse non sa che in Europa non c'è alcuno sbarramento per i pm che vogliono diventare giudici e viceversa. E che nel 2000 il Consiglio d'Europa "raccomandò" di "consentire alla stessa persona di svolgere successivamente le funzioni di pm e poi di giudice, e viceversa", per "la similarità e la natura complementare delle due funzioni". Per il Ds Calvi "è grave se il Parlamento si fa influenzare dai magistrati": invece è normale che si faccia influenzare da 25 parlamentari pregiudicati e 70 imputati e indagati. Di separare le carriere dei parlamentari da quelle dei condannati, non se ne parla proprio. Uliwood party.


 

Wallstreetitalia.com 10-7-2007  WALL STREET FRENA PER DOLLARO, GREGGIO E MUTUI . Un mix pesante di elementi negativi da' ossigeno ai ribassisti: S&P500 -1,42%, Nasdaq -1,16%. Valuta Usa ai minimi storici sull'euro, petrolio sopra i $73.

 

 

Wall Street segna una brusca correzione degli indici, scontando i timori sulla tenuta del comparto subprime (i mutui ad alta remunerazione e alto rischio di insolvenza) che pagano il rallentamento immobiliare. Il Dow Jones chiude in calo dell'1,09% (a 13.501,70 punti), il Nasdaq cede l'1,16% (a quota 2.639,16), mentre lo Standard & Poor's 500 si attesta a 1.510,12 punti (-1,42%), al termine di una seduta che vede l'euro schizzare al record di 1,3740 (salito a mercati chiusi fino a 1,3787) contro il dollaro.

Sul mercato prevalgono le vendite e a poco serve l'intervento del presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, che ha parlato di "attese d'inflazione ben ancorate". I mercati hanno imboccato la via delle perdite dopo che Standard & Poor's ha fatto sapere che potrebbe tagliare i rating su qualcosa come 12 miliardi di dollari di bond cartolarizzati, emessi con mutui ipotecari subprime come collaterale.

Questo perchй aumentano i casi d'insolvenza, portando al peggioramento della qualitа del credito, Per le stesse ragioni, Moody's ha tagliato i rating a 399 bond frutto di cartolarizzazione di subprime del valore di 5,2 miliardi di dollari, mettendo sotto osservazione altre 32 emissioni con possibile downgrade. La situazione pesa, in particolare, sui titoli bancari e finanziari in generale, il cui sotto-indice и l'unico, all'interno dello S&P's 500, a essere in calo da inizio anno.

Sui bilanci pesano i default in crescita fra i proprietari di abitazioni. Si teme che la crisi dei mutui, che ha giа causato la piщ forte recessione del mercato immobiliare dal 1991 con un forte impatto sui consumi, possa avere conseguenze piщ ampie, sull'economia nel suo complesso, di quanto sinora stimato. E che possa innescarsi una reazione a catena in grado di riverberarsi su altri mercati. Per questo motivo gli investitori hanno letto molto negativamente le previsioni di D. R. Horton: il secondo costruttore edile degli Usa (-1,97% a 19,40 dollari) cede dopo aver stimato un bilancio in rosso per il terzo trimestre a fronte di un crollo del 40% degli ordini e ha fra l'altro fatto sapere di non vedere alcun recupero del mercato immobiliare.

Anche Home Depot (che perт ha chiuso in rialzo a 40,25 dollari, +0,05%) ha aggiunto un tocco di pessimismo peggiorando le proprie stime per l'utile per azione dell'anno fiscale in corso, mentre Sears и scivolata del 10,03% (a 154,24 dollari) a causa del calo dell'utile del secondo trimestre, a un valore compreso fra i 160 e i 200 milioni di dollari. In calo (_4,12% a 137,42 dollari) anche Bear Stearns, colosso finanziario Usa particolarmente attivo nelle cartolarizzazioni di mutui, che ha giа dovuto sborsare 1,6 miliardi di dollari per evitare il crac di due suoi hedge fund che hanno fatto tremare Wall Street. In rialzo, invece, Ford (+0,11% a 9,09 dollari) e General Motors (+1,74% a 37,41 dollari) dopo che JP Morgan ha migliorato a 'overweight' il rating su entrambi i titoli.


 

La Repubblica 12-7-2007 L'INCHIESTA. La riscoperta dell'America nuovo fronte di Cosa Nostra DI ATTILIO BOLZONI e GIUSEPPE D'AVANZO Tornano in Sicilia i figli dei boss scappati negli Usa per sfuggire ai Corleonesi. E si riprendono il potere perduto.


PALERMO - Chi è Frank Calì, e perché tutti lo cercano? Quel nome - il nome di un siculo-americano - ritorna ossessivamente nelle "parlate" degli uomini di Cosa Nostra. Lo fanno a Palermo, lo ripetono nel New Jersey, lo bisbigliano a Corleone. Di Frank sentiremo ancora parlare, giurateci. Eppure, al Dipartimento di Giustizia, Calì non appare mai nei report sulle cinque "grandi famiglie" di New York, i Gambino, i Bonanno, i Lucchese, i Genovese e i Colombo. Soltanto poche, quasi distratte, righe in un dossier dell'Fbi. Più o meno un "signor nessuno" che deve avere però un potere invisibile o ancora sconosciuto, se negli ultimi tre anni per lo meno una mezza dozzina di "delegazioni" di mafiosi siciliani lo hanno raggiunto dall'altra parte dell'Oceano per discutere di "affari". Ma di quali affari? E, soprattutto, di quale portata e per quali progetti?

Questa è la storia, o meglio il primo paragrafo di una storia che soltanto il tempo potrà scrivere. Vi si rintracciano indizi di un prepotente risveglio di Cosa Nostra dopo un muto decennio di ibernazione. La mafia sembra volersi liberare dall'arcaicità violenta dei Corleonesi per ritrovare dalla Sicilia - come in un passato glorioso - ruolo e protagonismo sulla scena internazionale. Nelle loro casseforti ci vogliono mettere soldi, molti soldi. Non vogliono più cadaveri per le strade o "picciotti" nelle galere. A che cosa sono serviti il sangue, le bombe contro lo Stato, gli ergastoli che hanno umiliato le famiglie? A niente. Ecco perché adesso tutti cercano Frank Calì.

Del "signor nessuno" si può dire subito - per quel pochissimo che se ne sa - che è un uomo di rispetto della Famiglia Gambino designato per trattare, con i Siciliani, la nuova avventura. Se sono buone le intuizioni degli investigatori, i mafiosi vogliono ritornare ad essere brokers nel mercato illegale/legale mondiale. Frank Calì serve a tutto questo. È "l'ambasciatore" americano.

Frank Calì ufficialmente è un imprenditore della Italian Food Distribution a New York. Da almeno tre anni, gli agenti dell'Fbi lo vedono intrattenersi con vecchi trafficanti della "Pizza Connection".

E con giovani rampolli delle Famiglie palermitane, nati però negli Stati Uniti. E con gli emissari di Bernardo Provenzano e Totò Riina, i Corleonesi. Un'agenda di incontri che mette insieme amici e nemici di antiche guerre e di mai dimenticati stermini, tutti a far la fila da Frank Calì. L'elenco è lungo. Da lui vanno in più occasioni Nicola Mandalà e Nicola Notaro della Famiglia di Villabate, Gianni Nicchi della Famiglia di Pagliarelli, Vincenzo Brusca della Famiglia di Torretta. Ma forse la traccia più rilevante per capire che cosa sta accadendo è nelle triangolazioni telefoniche tra le utenze di Calì e i cellulari degli uomini di Salvatore Lo Piccolo, ricercato da 27 anni, oggi al primo posto della lista dei latitanti dopo la cattura di Bernardo Provenzano.

Il suo "scacchiere diplomatico" non è stretto alla Sicilia. Un rapporto congiunto dell'Fbi e della Royal Canadian Mounted Police svela "i legami tra Frank Calì, Pietro Inzerillo e i membri del cartello criminale "Siderno" della 'ndrangheta". Alla sua corte ci sono proprio tutti, dunque. È la circostanza che spinge Fbi e Polizia criminale italiana a lavorare insieme, a scambiarsi informazioni e analisi come negli Anni Ottanta, quando Giovanni Falcone faceva squadra con il procuratore distrettuale Rudolph Giuliani. Si preparano a fronteggiare il nuovo piano di Cosa Nostra: la riscoperta dell'America. Con inaspettati protagonisti. Con nomi che, soltanto fino a qualche anno fa, a Palermo non si potevano nemmeno pronunciare.

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Sono tornati gli Inzerillo. Erano stati massacrati dall'aprile del 1981 all'ottobre del 1983 dai Corleonesi. "Di questi qua - disse Totò Riina - non deve rimanere sulla faccia della terra nemmeno il seme". Morì Totuccio, il rispettato capo di Passo Rigano, e poi morì suo figlio Giuseppe. Morirono in ventuno. Fratelli e zii e nipoti e cugini. Molti scomparvero afferrati dalla "lupara bianca", un impero di 27 società di riciclaggio rimase senza padroni. La scia di sangue si interruppe soltanto con l'intercessione dei parenti di Cherry Hill. Uomini potenti. Allora i più potenti d'America come Charles Gambino. Trattarono una resa senza onore. La Commissione siciliana pretese che gli Inzerillo avrebbero avuta salva la vita a condizione che non tornassero più nell'Isola. Mai più. E' la regola che dettò la Cosa Nostra di Totò Riina. Allora fu nominato, e lo è ancora oggi, un "responsabile" del rispetto di quel patto. Si chiama Saruzzo Naimo. Ma le regole, in Cosa Nostra, esistono per essere violate e interpretate per gli amici e applicate per i nemici. Così alla spicciolata gli Inzerillo sono rientrati a Palermo. Abitano tutti nella loro borgata di nascita, a Passo di Rigano.

E' tornato Francesco Inzerillo, figlio di quel Pietro che l'Fbi e la polizia canadese "vedono" sempre con Frank Calì. E poi Tommaso Inzerillo, cugino di Totuccio e cognato di John Gambino, il figlio del vecchio Charles. E un altro Francesco, fratello di Totuccio. Espulso come "indesiderato" dagli Stati Uniti è tornato Rosario, un altro fratello di Totuccio. E' rientrato Giuseppe, figlio di Santo, ucciso e dissolto nell'acido solforico. Soprattutto è tornato l'unico figlio ancora vivo di Totuccio, Giovanni, nato a New York nel 1972, cittadino americano. A lui è toccato riaprire dopo venticinque anni la casa di via Castellana 346. Insieme a loro, sono riapparsi in città gli Spatola dell'Uditore, i Di Maggio di Torretta, i Bosco, i Di Maio, qualche Gambino. Insomma, quell'aristocrazia mafiosa che i contadini di Corleone avevano spazzato via con "tragedie", tradimenti, agguati. A Palermo gli Inzerillo hanno ricostituito la loro Famiglia. Con quale "autorizzazione"? Con quali appoggi? Con quali garanzie e impegni?

Se la questione è un enigma per gli investigatori, impensierisce ancora di più alcuni alleati palermitani dei Corleonesi che erano stati in prima fila, nella strage degli Inzerillo. La preoccupazione diventa apprensione quando, nei viaggi in America, scoprono che accanto a Frank Calì c'è sempre un Inzerillo. A New York come a Palermo, per uscire dall'isolamento e pensare finalmente alla grande, bisogna fare necessariamente i conti con "quelli là" e le loro influenti parentele d'Oltreoceano.

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Nelle ultime intercettazioni ambientali - una vera miniera di inaspettate informazioni - "il discorso dell'America" è un tormentone tra i mafiosi. Riserva un punto di vista inedito su Cosa Nostra. Liquida ogni lettura convenzionale. Cosa Nostra non è il quieto monolite governato con i "pizzini" dalla furbizia contadina del vecchio Provenzano né è attraversata, come pure si è sostenuto, da una frattura territoriale e culturale. Da un lato, i contadini e i paesi di campagna. Dall'altra, i cittadini, la grande città, le borgate. E' invece un mondo smarrito e, al tempo stesso, eccitato dalle nuove opportunità. Ora, come per un riflesso condizionato, tentato di mettere mano alla pistola per eliminare ogni irritante contraddizione; ora convinto di dover cercare, senza sparare un colpo, compromessi per far valere la sola ragione che tutti può entusiasmare: fare i piccioli. Fare i soldi. Gli esiti della contesa sono del tutto imprevedibili. Nei prossimi mesi, la guerra ha la stessa possibilità di scoppiare quanto la pace. Chi lavora, con ostinazione paranoide, a una nuova contrapposizione si chiama Antonino Rotolo. E' il capomandamento di Pagliarelli. Basta ascoltare quali erano i suoi argomenti qualche giorno prima di finire in galera.

"Questi Inzerillo - dice Rotolo ai suoi - erano bambini e poi sono cresciuti, questi ora hanno trent'anni. Come possiamo, noi, stare sereni... Se ne devono andare. E poi uno, e poi l'altro e poi l'altro ancora... Devono starsene in America. Si devono rivolgere a Saruzzo (Naimo) e se vengono in Italia li ammazziamo tutti. Come possiamo stare, noi, sereni quando io per esempio - l'ho detto e lo ripeto - so di un tizio che dice a uno dei figli di Inzerillo: "Non ti preoccupare tempo e buon tempo non dura sempre un tempo"... Noialtri non è che possiamo dormire a sonno pieno perché nel momento che noi ci addormentiamo a sonno pieno, può essere pure che non ci risvegliamo più. Alzando la testa questi, le prime revolverate sono per noi. Vero è... Picciotti, non è finito niente. Gli Inzerillo, i morti, li hanno sempre davanti. Ci sono sempre le ricorrenze. Si siedono a tavola e manca questo e manca quello. Queste cose non le possiamo scordare. Questi se ne devono andare, punto e basta, non c'è Dio che li può aiutare... Ce ne dobbiamo liberare e così ci leviamo il pensiero... Per il bene di tutti, noi questo dobbiamo fare. L'avete capito o no che quello, Lo Piccolo, li utilizza già gli Inzerillo? Questa storia non finisce, non finirà mai...". Antonino Rotolo affronta con Alessandro Mannino, nipote prediletto di Totuccio Inzerillo, "il discorso dell'America". Senza giri di parole, in modo brusco.

Gli dice: "Tu sei il nipote di Totuccio Inzerillo il quale, con altri, senza ragione alcuna sono venuti a cercarci per ammazzarci, ma a loro nessuno gli aveva fatto niente. Ci hanno cercato e ci hanno trovato. Peggio per loro. Non siamo stati noi a cercarli. Così si è creata questa situazione di lutti e di carceri. La responsabilità è di tuo zio e compagni, se ci sono morti e se ci sono carcerati. Quindi io ti dico che non c'è differenza tra voi, che avete i morti, e le famiglie che hanno la gente in galera per sempre, perché sono morti vivi. Quindi, i tuoi parenti devono rimanere all'America, devono rimanere sempre reperibili. Ai tuoi parenti garanzie non ne può dare nessuno. I tuoi parenti se ne devono andare e ci devono fare solo sapere dove vanno perché noi li dobbiamo tenere sempre sotto controllo".

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Anche Antonino Rotolo ha spedito a New York il suo fidato "messaggero", Gianni Nicchi, giovane e "sperto". Al rientro dalla missione, si fa raccontare e quel che ascolta non gli piace. Rotolo, se sono sincere le sue parole, non si fida delle promesse di Frank Calì. Crede che siano soltanto "chiacchiere" per restituire Palermo agli Inzerillo. I suoi sospetti lo isolano dentro Cosa Nostra. Salvatore Lo Piccolo - il suo competitore nelle borgate - ha già chiuso l'accordo con gli Americani. L'ago della bilancia è Provenzano. Però anche a Provenzano fa gola riallacciare i rapporti con i suoi antichi nemici e ritrovarseli dopo un quarto di secolo al suo fianco. Negli ultimi mesi della sua latitanza, finita l'11 aprile del 2006, mette in moto tutta la sua sapienza ambigua. In un rosario di "pizzini" inviati ai suoi, finge di non sapere che gli Inzerillo sono già tutti a Palermo. Minimizza la rilevanza di quel ritorno. Quando gli capita, consiglia di accoglierli "se vogliono passare il Natale con i loro parenti" o se devono scontare scampoli di pena in Italia, una volta espulsi dagli Stati Uniti. E' l'abituale inganno "corleonese". In realtà, il lavorio di mediazione con gli Americani è l'ultima grande fatica del Padrino di Corleone.

Da due anni, "il vecchio" si adopera per il recupero totale alle fortune di Cosa Nostra degli Inzerillo, soprattutto dei loro legami con la mafia americana. Nicola Mandalà è l'uomo più fidato dell'inner circle di Bernardo Provenzano. Lo aiuta a farsi operare alla prostata in una clinica di Marsiglia. Fa due viaggi a New York per incontrare Frank Calì e Pietro Inzerillo. E' possibile che Mandalà, generosamente finanziato con 40 mila dollari a trasferta, abbia fatto tutto questo senza un mandato di Provenzano? Un altro "contadino" di Corleone va in America. E' quel Bernardo Riina che sarà poi arrestato come "ultimo anello" che conduce i poliziotti nel rifugio di Montagna dei Cavalli. Bernardo Riina costituisce una società a New York insieme a suo figlio nel gennaio del 2006. Appena cento giorni prima della cattura del suo Padrino. E' il ponte lanciato dalla Sicilia all'America. E' un capovolgimento di schemi e di logiche dove i Corleonesi - dati per spacciati dopo l'arresto dei suoi rappresentanti più famosi - non solo non stanno abbandonando i posti di comando di Cosa Nostra ma, al contrario, provano a penetrare un altro mondo: gli Stati Uniti. Il personaggio chiave è, dunque, il nostro misteriosissimo Frank Calì che distribuisce Italian Food su tutta la costa atlantica. Ancora più misteriose, al momento, sono le occasioni economiche e finanziarie che le due mafie prevedono di cogliere insieme. Tempo e buon tempo non dura sempre un tempo. Cosa Nostra si prepara alla sua nuova stagione.

(12 luglio 2007)


 

Europa 12-7-2007 Americani delusi. Non solo da Bush  MARIO DEL PERO

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Le improvvise difficoltà economiche di John McCain, i cui fondi per la campagna elettorale sono ormai ridotti a due miseri milioni di dollari, costituiscono una spia evidente della crisi in cui versa l’intero partito repubblicano. Candidato forte, conservatore e moralmente integerrimo, McCain sembrava la figura ideale per arginare quella crisi di credibilità che ha investito i repubblicani e ha concorso alla loro sconfitta alle elezioni del 2006. Per il momento così non è stato. E questo induce a interrogarsi sulla natura – strutturale o contingente, transitoria o irreversibile – della svolta politica in atto negli Usa.
A confrontarsi sono due tesi, diametralmente opposte.
Secondo la prima, ci troveremo nel mezzo di una transizione politica dalle matrici profonde, destinata a produrre un nuovo riallineamento elettorale e a porre termine al ciclo di dominio repubblicano maturato tra il 1968 e il 1980. Chi fa propria la seconda tesi, ritiene invece che la crisi dei repubblicani sia dovuta primariamente ai clamorosi errori politici dell’attuale amministrazione.
In quanto tale, potrebbe essere invertita dall’avvento di una nuova leadership capace di proiettare quell’immagine di competenza e onestà su cui i repubblicani hanno spesso costruito le proprie fortune, ma che Bush ha sperperato con le sue scelte e i suoi comportamenti.
Entrambe queste letture ci raccontano una parte di verità, ne omettono un’altra e dimenticano un aspetto fondamentale, che attraversa la società statunitense e colpisce entrambi i partiti. Chi abbraccia la tesi strutturalista lo fa utilizzando argomentazioni solide e dati inoppugnabili.
L’11 settembre e l’emergenza sicurezza hanno fermato solo temporaneamente dinamiche sociali, culturali e demografiche di lungo periodo che favoriscono i democratici. Dinamiche, queste, che starebbero concorrendo alla formazione di un solido blocco elettorale formato da professionisti con un alto livello di educazione, donne, giovani e minoranze che – per ragioni diverse, ma non inconciliabili – osteggiano le scelte repubblicane degli ultimi anni.
Il radicalismo populista di parte della destra, il peso crescente della sua componente religiosa, il successo dentro il partito repubblicano di posizioni radicali e xenofobe in materia d’immigrazione sono solo alcuni tra i fattori che più avrebbero spinto questi gruppi a identificarsi con il partito democratico.
Particolarmente rilevante è il dato relativo ai giovani e all’elettorato indipendente.
Laddove all’inizio degli anni Novanta il 55 per cento dei giovani tra i 18 e i 25 anni si identificava come repubblicano, ora questa percentuale è scesa al 35 per cento. Se nel 2000 e nel 2002 gli elettori indipendenti – che costituiscono circa un terzo dell’elettorato attivo – privilegiarono i candidati repubblicani, alle elezioni di mid-term del 2006 il 57 per cento di essi votò per i democratici contro il 39 per cento che scelse i repubblicani.
Eppure, vi sono indicatori non irrilevanti che contrastano con la tesi secondo la quale si starebbe assistendo alla nascita di una nuova maggioranza democratica.
Il voto indipendente è volatile per definizione; non è su di esso che si può pensare di costruire una solida coalizione politica; la sua improvvisa svolta non può che essere attribuita ai tanti fallimenti di Bush. In ambito economico e sociale, sia i professionisti sia gli indipendenti hanno posizioni moderate se non apertamente conservatrici. I criteri che ne orientano i comportamenti elettorali sono la competenza e l’efficacia di chi amministra il paese, qualità che sono chiaramente mancate a questa amministrazione.
Tutti i principali candidati repubblicani alla presidenza sono figure moderate, capaci di offrire un’immagine diversa da quella di Bush e di garantire una sintesi tra le diverse anime del conservatorismo statunitense. Infine, la demografia penalizza solo in parte il Partito repubblicano. Il peso relativo della working class bianca, che vota in maggioranza repubblicano, è destinato a diminuire, ma nelle elezioni per la presidenza essa rimane decisiva in alcuni cruciali swing states (come l’Ohio e la Pennsylvania).
Il sud profondo, infine, costituisce un inespugnabile bastione repubblicano.
Su queste dinamiche aleggia però un elemento, che già in passato ha dimostrato la sua capacità di scompaginare gli equilibri politici e di obbligare entrambi i partiti a ripensare le proprie strategie.
È, questo, il vento di un’antipolitica che il disastro Bush ha finito per esacerbare. Si tratta di una diffidenza che investe tutte le istituzioni, incluso il Congresso a maggioranza democratica (del quale meno del 25 per cento degli americani approva oggi l’operato), che non risparmia neanche le figure pubbliche più popolari, come Giuliani, Obama e Hillary Clinton e che alimenta i sogni, destinati peraltro a rimanere tali, di potenziali terzi candidati, come il sindaco di New York Michael Bloomberg.
Proprio la capacità di gestire, coltivare e assorbire questo rigetto della politica sarà uno dei fattori fondamentali che determinerà l’esito sia delle primarie sia delle presidenziali 2008.


 

Il Tirreno 12-7-2007 La Cina cresce di più e supererà la Germania Riviste le stime del Pil 2006: dal 10,7 all'11,1%

 

ROMA. Il boom economico cinese del 2006 è confermato e addirittura superiore al previsto. E la Cina già quest'anno potrebbe superare la Germania nella classifica mondiale. La crescita del Pil cinese nel 2006 è infatti stata rivista dall'Ufficio statistico nazionale ad un tasso dell'11,1%, contro il 10,7% precedente. Il valore del Pil nel 2006 ha raggiunto i 21.087,1 miliardi di yuan, pari a 2.039,7 mld di euro ai cambi attuali. Anche nel 2007, infatti, il Pil cinese continua a correre, con un'espansione dell'11,1% nel 1º trimestre, e diversi organismi internazionali, come la Banca mondiale, si aspettano che l'obiettivo di crescita dell'8% fissato dalle autorità cinesi venga nuovamente superato. Alcuni organismi non escludono una crescita nel 2007 dell'11%. Una crescita trainata da un enorme flusso di investimenti, ai quali secondo molti economisti il governo non è stato in grado di porre un freno. A guidare la crescita è soprattutto l'export che crea non pochi problemi a Pechino, accusata dall'Europa e dagli Usa di favorire i propri esportatori sfruttando la svalutazione dello yuan. In base ai nuovi dati, la crescita è equamente distribuita fra industria secondaria (manifattura e costruzioni), con un tasso rivisto al 13% dal 12,5%, e terziario (10,8% dal 10,3%). Stabile invece l'agricoltura. Nel 1º semestre 2007 sono stati prodotti in Cina circa 4,46 milioni di veicoli, in crescita del 22,4% rispetto ad un anno fa. Le vendite, invece, sono cresciute del 23,3% a 4,37 milioni. Lo scorso anno la Cina è diventata il secondo mercato mondiale dopo gli Usa. E le riserve in valuta estera della Cina sono salite alla fine di giugno al nuovo record di 1,33 trilioni di dollari (il trilione equivale a mille miliardi) con un balzo del 41,6% al netto delle riserve denominate in oro. Lo ha comunicato la banca centrale.


 

Europa 12-7-2007 Pugni allo stomaco, ma l’ipocrisia italiana spiega che sono carezze oppure distrazioni FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, nell’ultimo weekend, sulla spiaggia col Corriere della sera, mi sono divertito a far notare a mia moglie, pagina dopo pagina, che ad ogni fatto riferito (politica, cultura, religione, società) corrispondevano interpretazioni distorcenti: i pugni allo stomaco potevano sembrare carezze, le accuse più tragiche semplici distrazioni o scherzetti.
Nessuna posizione viene affermata, nulla viene trattato come cosa seria. E noi non prendiamo sul serio i giornali.
ALDO DI LORETO, OSTIA (RM)

 

Caro Di Loreto, la sua esperienza mi ha incuriosito e ho voluta ricostruirla.
Debbo convenire con lei. Si parte dall’articolo di fondo dell’ambasciatore Romano che s’intitola “Il bersaglio preferito” dagli alleati, cioè Prodi: e uno può immaginare che l’autorevole fondista scriva per deplorare l’inciviltà di questa classe politica. Niente affatto.
Quando mancano 15 righe alla fine dell’articolo, l’autore scopre il pensiero recondito, suo o del giornale, cioè questo: «Finché una parte del centrosinistra e una parte del centrodestra non si saranno accordate sul modo di governare la crisi e darle uno sbocco razionale, Prodi continuerà a galleggiare da uno scoglio all’altro».
Ma non sarebbe stato più concreto intitolare subito l’articolo: “Facciamo la grande coalizione” e tagliamo le ali? Sfoglio ancora, e trovo (pag.5) che Fassino ritiene Berlusconi responsabile oggettivamente di quello che ha fatto il Sismi di Pollari (spionaggio di massa su giudici, giornalisti e politici di centrosinistra) durante i cinque anni del governo berlusconiano (2001-2006). Ma l’articolo si conclude coi fuochi d’artificio della destra, per la quale il problema non è lo spionaggio del Sismi sulla magistratura ma «i giudici che hanno perseguitato Berlusconi » (Bonaiuti); il problema non è – come denuncia il senatore Brutti – che Pio Pompa si sia messo per fax «a disposizione» di Berlusconi, ma «come mai Brutti ne sia venuto a conoscenza» (Cicchitto).
Diceva Montanelli: se volete trasformare una cronaca in commento, basta che cambiate l’ordine delle notizie.
Però così si imbrogliano i lettori: si abolisce il fatto – come dice un bel libro del detestato Travaglio – e lo si sostituisce col “cazzeggio”.
Infine, arriviamo alla successiva doppia pagina (6-7) sul ritorno al messale in latino, nel quale c’è la famigerata preghiera del venerdì santo per la “conversione dei perfidi ebrei”, cancellata da Paolo VI, ed ecco che il problema diventa la riconciliazione coi tradizionalisti di Lefèbvre (Messori), mentre da Lisa Palmieri, rappresentante per l’Italia dell’American Jewish Committee, arriva la scusante per il papa: «Forse non si è accorto o ha sottovalutato la portata della preghiera».
A questo punto ci fermiamo, perché, a quanto pare, l’arte della dissimulazione e del cambiare le carte sotto gli occhi del lettore non è arte soltanto italiana. Se può “sottovalutare” un papa, come pensare che non “sottovalutino” un Cicchitto o un Bonaiuti?


 

Il Riformista 12-7-2007 Sarkozy gioca ai dieci piccoli socialisti di Alberto Toscano


Montecarlo. Ieri mi trovavo a colazione con sette persone tra cui un nipote di François Mitterrand. Quando uno dei commensali ha parlato dell’uscita di Jack Lang dalla direzione socialista, il nipote del fondatore del Ps ha commentato: «Mi sa che tra qualche mese il presidente del Partito socialista si chiamerà Nicolas Sarkozy». La boutade indica l’aria che si respira oggi negli ambienti della sinistra francese dopo che Sarkozy è riuscito a mettere a segno una serie impressionante di colpi per dividere i suoi avversari. Ben sei esponenti socialisti (subito espulsi dal partito) fanno parte del governo di centrodestra guidato dal primo ministro François Fillon: tra loro c’è un esponente storico della sinistra come il nuovo ministro degli Esteri Bernard Kouchner. Questa settimana Sarkozy è riuscito a togliere di mezzo il leader socialista per lui più insidioso: Dominique Strauss-Kahn, che è stato ministro dell’economia alla fine degli anni Novanta nel governo Jospin e che guida attualmente l’ala riformista del Partito socialista francese. Grazie all’impegno di Sarkozy, Strauss-Kahn ha ottenuto l’assenso europeo per divenire direttore generale del Fondo monetario internazionale. Il quadro è completato dall’intenzione dell’Eliseo di assegnare incarichi di prestigio ad altri leader storici socialisti: Hubert, Vèdrine (che fu dal 1997 al 2002 il ministro degli Esteri del governo Jospin) e Jaques Attali (già braccio destro di Mitterrand) dovrebbero ricevere l’incarico di “riflettere” per conto di Sarkozy su una serie di riforme. E adesso Jack Lang potrebbe entrare in una “squadra” destinata a studiare l’eventuale modifica della costituzione della V Repubblica.
Preoccupata da questa straordinaria serie di iniziative del neo presidente Sarkozy (che ha anche avuto un colloquio a quattr’occhi con Laurent Fabius a proposito del nuovo trattato europeo), la direzione socialista ha deciso di sospendere ogni suo membro che accetti di partecipare a “commissioni di studio” per conto dell’Eliseo. Se Vedrine, che ha abbandonato l’attività politica per dedicarsi al proprio studio di consulenze internazionali, e Attali, che punta sulla sua attività di saggista, non hanno nulla da perdere, Lang si è sentito nel mirino delle critiche e dei sospetti. E ha dunque deciso di prendere la direzione del Ps in contropiede, abbandonandola di sua stessa iniziativa. Jack Lang, che sta per compiere 68 anni, rimane deputato socialista, ma abbandona ufficialmente il vertice del partito e rivendica il diritto di dare in piena libertà consigli a proposito della riforma delle istituzioni francesi. In ogni caso, ribadisce il proprio attaccamento al Partito socialista, anche se vi avrà d’ora in avanti un ruolo meno importante.
Le polemiche nel partito socialista non sarebbero ovviamente tanto aspre se questa formazione politica godesse di migliore salute. Invece i socialisti francesi sono entrati in stato confusionale dopo la sconfitta di Ségolène Royal alle presidenziali dello scorso 6 maggio e dopo la serie di colpi efficaci che ha inferto loro Sarkozy. Ieri il quotidiano Liberation, vicino ai socialisti, dedicava grande spazio al “tramonto degli elefanti”, ossia all’uscita di scena dei dirigenti storici del partito. Secondo Liberation è in atto tra i socialisti un ricambio generazionale, che sta portando i trentenni e i quarantenni al timone del partito. Lang si è sentito probabilmente nel mirino di questa “caccia all’elefante” e ha deciso, anche per questa ragione, di lasciare ad altri la sua poltrona in seno alla direzione nazionale. Del resto già nei giorni scorsi Laurent Fabius, altro “elefante”, aveva assunto una iniziativa analoga.
La storia di Lang è quella di una genialità incompiuta. Nella Francia del dopoguerra ci sono stati due indimenticabili ministri della Cultura: Andrè Malraux accanto al generale De Gaulle e Jack Lang all’epoca della presidenza di François Mitterrand. Divenuto ministro della Cultura nel 1981, Lang ha scosso la società francese inventando iniziative a raffica, come la “festa della musica” che cade il 21 giugno e che ha ormai una risonanza mondiale. È stato lui a concepire, per conto di Mitterrand, i “grandi lavori” che hanno cambiato il volto di Parigi: il nuovo Louvre con la sua piramide di vetro, il teatro d’opera in piazza della Bastiglia, la città della scienza, la città della musica, la grande biblioteca e così via. Al tempo stesso, Lang ha varato una politica di sostegni d’ogni genere al cinema francese, che è così riuscito a resistere efficacemente all’offensiva planetaria delle produzioni americane. Per tutto il tempo della presidenza Mitterrand (dal 1981 al 1995) Lang ha fatto parte del cerchio più ristretto dei collaboratori del capo dello Stato: quelli di cui l’Eliseo sapeva di potersi fidare ciecamente.
Nel 2000 Lang ha tentato di ottenere dal Partito socialista la candidatura per diventare sindaco di Parigi e - per rendere più credibile quella sua ambizione - si è dimesso da sindaco della città di Blois, nella zona dei castelli della Loira. Tuttavia ha rinunciato alla candidatura parigina per fare spazio a Bertrand Delanoë, amico dell’allora primo ministro Lionel Jospin. In cambio, Jospin lo ha nominato ministro dell’Educazione. L’anno scorso si è candidato alle primarie in seno al Partito socialista nella prospettiva delle elezioni presidenziali. Anche stavolta non ha osato andare fino in fondo e si è ritirato sulla base di un compromesso con Ségolène, che lo ha nominato suo consigliere politico. Se la Royal fosse entrata all’Eliseo, Lang avrebbe potuto realizzare il suo vecchio sogno di diventare ministro degli Esteri. Ironia della sorte, quel sogno è stato realizzato dal suo amico Bernard Kouchner, ma in un governo fedele a Sarkozy.


INDICE 11-7-2007

+ La Repubblica 11-7-2007 Giustizia, Unione a rischio Vertice della maggioranza Al Senato l'articolo 1 del ddl sull'ordinamento giudiziario passa con 152 voti contro 151. Mancavano alcuni senatori dell'Italia dei valori impegnati in una conferenza stampa. Mastella prende la parola in aula: "Credo che la mia maggioranza debba chiarirsi le idee" 1

+ Il Corriere della Sera 11-7-2007 Avviatata una campagna contro la minerale. «Così si riducono i rifiuti»  «L'acqua? Bevete quella del rubinetto» Dopo la California, ecco la crociata di New York. In tutta Italia è guerra alle bottigliette. 2

+ Brescia Oggi 11-7-2007 Lavori entro il 2010 Tunnel del Brennero, firma Italia e Austria. Servono 6 miliardi: un terzo ciascuno i due Paesi, il resto l'Ue. 3

+ Il Sole 24 Ore 11-7-2007 «Sia per i mutui che per il credito al consumo i tassi di interesse praticati dalle banche in Italia sono più elevati rispetto a quelli medi dell'area euro su operazioni simili». Lo afferma il Governatore di Bankitalia, Mario Draghi, nel suo discorso all'assemblea dell'Abi. 4

Marketpress.info 11-7-2007 NANOTECNOLOGIE E UNIVERSITÀ: LE PRIORITÀ DELLA PRESIDENZA PORTOGHESE  5

Europa 11-7-2007 Quanto costa la casta dei politici e quanto le altre (giornalisti compresi) FEDERICO ORLANDO RISPONDE  6

Il Riformista 11-7-2007  La casta delle toghe sciopera Ma il ministro vada avanti 7

Il Corriere della Sera 11-7-2007 I VICOLI CIECHI DELLA SINISTRA Partito democratico e politiche del lavoro di  Pietro Ichino  7

L’Unità 11-7-2007 Le banche al governo: vogliamo essere consultate Oggi l'assemblea dell'Abi con Padoa-Schioppa e Draghi. Faissola: ci impegniamo a maggiore trasparenza con i clienti di Bianca Di Giovanni /  8

La Stampa 11-7-2007 L'INDAGINE SU UNICREDIT-CAPITALIA PARTIRÀ IL 17 LUGLIO. FARO SUGLI INCROCI CON PIAZZETTA CUCCIA.  FRANCESCO SPINI 9

La Stampa 11-7-2007  Moggi, la resa dei conti Richiesta di rinvio a giudizio per la "Cupola": controllava tutto FULVIO MILONE, INVIATO A NAPOLI 9

Europa 11-7-2007  Il paese che non invecchia ILVO DIAMANTI * 11

Libertà 11-7-2007 Euro-Dollaro Nuovo record storico: 1,37 sul dollaro, meno caro il greggio. 12

 


 

+ La Repubblica 11-7-2007 Giustizia, Unione a rischio Vertice della maggioranza Al Senato l'articolo 1 del ddl sull'ordinamento giudiziario passa con 152 voti contro 151. Mancavano alcuni senatori dell'Italia dei valori impegnati in una conferenza stampa. Mastella prende la parola in aula: "Credo che la mia maggioranza debba chiarirsi le idee"


Convocata per le 14 una riunione dei capogruppo. La conferenza prevista per le 16

ROMA - E' Giulio Andreotti a salvare la maggioranza al Senato sulla riforma dell'ordinamento giudiziario. L'art. 1, che regola il concorso di accesso in magistratura, passa in aula con un solo voto di differenza: 152 a 151 con alcune assenze tra le file della maggioranza. In particolare si faceva notare quella di alcuni senatori dell'Italia dei valori impegnati in una conferenza stampa sui senza tetto. In aula non erano presenti anche alcuni senatori della Cdl: Biondi di Forza Italia, Baccini e Trematerra dell'Udc e Gabana ex Lega, ora nel misto. Mastella chiede allora un chiarimento all'interno della maggioranza e per le 14 viene convocata una riunione dei capogruppo.

Secondo il senatore di Sinistra democratica Paolo Brutti, "i voti non erano 152 ma 153: aveva votato anche la senatrice Silvana Pisa, ma il suo voto, per un errore del sistema elettronico, non è stato registrato". Assenti al voto anche due capigruppo della maggioranza: Giovanni Russo Spena di Prc e Nello Formisano del Misto e del'Italia dei valori. Non c'erano al voto anche due senatori di Rifondazione Fosco Giannini e Celeste Nardini, el senador italo-argentino Luigi Pallaro e per la Sinistra democratica Massimo Villone e, appunto, Silvana Pisa.

Duro l'attacco del capogruppo leghista al Senato Roberto Castelli. "Il voto - ha detto il senatore - è stato possibile grazie al voto determinante di un senatore a vita. Dobbiamo chiederci se questa Camera rappresenta veramente il voto popolare oppure se è illegittima, visto anche quello che emerge sui brogli nelle circoscrizioni estere".

Risponde puntualmente alle parole di Castelli ("le più gravi che possano ascoltarsi in quest'aula") Anna Finocchiaro, presidente del gruppo dell'Ulivo. Sul voto di Andreotti, dice Finocchiaro che "l'argomento è frusto e inutile e assolutamente offensivo della lettera della Costituzione che dice che il Senato è composto da senatori eletti e da senatori a vita e non opera nessuna distinzione tra le funzioni, le attribuzioni, i poteri e i doveri degli uni e degli altri". Quanto all'ipotesi di brogli, "è l'Ulivo - sottolinea Finocchiaro - che chiede formalmente un dibattito pubblico".

Tra le novità introdotte dall'articolo 1, rispetto alla legge Castelli, quella che prevede che i candidati al concorso pubblico non dovranno indicare la scelta relativa alla magistratura requirente o giudicante. Non ci sarà più il test psicoattitudinale e per accedere al concorso, oltre alla laurea, servirà anche il diploma di specializzazione per le professioni legali o un dottorato di ricerca. Potranno accedere al concorso dirigenti di Stato, professori universitari e avvocati.

Il ministro della Giustizia Clemente Mastella ha poi preso la parola in aula e ha chiesto alla maggioranza di mostrare maggiore compattezza. "Con molta obiettività e lo dico con tono risoluto - ha spiegato Mastella - credo che la mia maggioranza debba chiarirsi le idee in ordine all'art. 2 perché la controversia che è all'interno della maggioranza e un pò meno nell'opposizione, che svolge il proprio ruolo con grande dignità. Spero che tale dignità e tale compattezza sia anche nella mia maggioranza nella quale faccio parte fino a prova contraria".

Ora l'attenzione si sposta su quello che potrà succedere alle votazioni successive. Per le 14 è stata convocata una riunione di maggioranza al Senato che discuterà proprio del ddl sul sistema giudiziario e in particolare degli emendamenti all'articolo 2 presentati da Brutti e Cusumano sul passaggio delle funzioni dei magistrati. Alle 16 poi si terrà la conferenza dei capogruppo.

(11 luglio 2007)

 


 

+ Il Corriere della Sera 11-7-2007 Avviatata una campagna contro la minerale. «Così si riducono i rifiuti»  «L'acqua? Bevete quella del rubinetto» Dopo la California, ecco la crociata di New York. In tutta Italia è guerra alle bottigliette.

 

 

MILANO — Dicono che il sindaco Michael Bloomberg, tra una stretta di mano e l'altra, non perda occasione per dire che a New York non si beve acqua migliore di quella che esce dal rubinetto. Provare per credere, lancia ora la sfida la sua amministrazione: «Dimenticatevi la minerale e bevete l'acqua che "sgorga" direttamente in casa vostra». E via, con la moral suasion: è sicura, gradevole, pulita, costa meno di quella imbottigliata, è più pratica. E soprattutto: permette di risparmiare e ridurre la produzione di montagne di vetro e di plastica. Difficile immaginare il sindaco Bloomberg alle prese con filtri di carbonio attivo, con ingombranti casse di minerale da stivare nel baule della sua familiare (e/o da legare al portapacchi della bicicletta), o ancora con sacchi da Babbo Natale ricolmi di bottiglie da gettare nei bidoni della differenziata. Ma il suo «prova l'acqua del rubinetto» è diventato una campagna pubblicitaria in piena regola per convertire i newyorkesi al bere in modo responsabile. Da tempo sui tavoli dei ristoranti della salutista California le brocche di acqua nostrana hanno preso il posto delle bottigliette di minerale. E anche nella Grande Mela i primi a rispondere alla svolta ecologista sono stati alcuni ristoratori che hanno deciso di servire solo acqua del rubinetto. Sarà forse per l'ondata di grande caldo, ma la campagna divide la città. E così c'è chi si converte magari al lume di candela, e chi invece cambia locale. A puntare il dito contro gli svantaggi del mineral water style sono gli ambientalisti statunitensi e non: quattro bottiglie di acqua minerale su cinque finiscono sottoterra; il processo di produzione contribuisce al surriscaldamento globale. Per non parlare della distribuzione: anche quella inquina. Finché l'invito a bere acqua del rubinetto era solo una faccenda ecologista era una cosa, ma adesso che l'appello arriva dal governo della città delle città insorgono le aziende dell'acqua minerale: «Non è corretto puntare il dito contro un'industria che si sta impegnando a promuovere il riciclo dei rifiuti e l'introduzione di involucri biodegradabili ». Le caraffe di vetro sui tavoli dei ristoranti però si moltiplicano, e la campagna pubblicitaria va avanti. «Ma arriva tardi». A rivendicare se non il primato assoluto dell'iniziativa almeno il fatto di essere arrivati prima di Bloomberg, sono le città italiane. Roma, Firenze, Milano. C'è chi ha dotato la propria acqua del marchio doc e chi ha deciso di dare l'esempio sostituendo i distributori di minerale con bidoni di nostrana. Di campagne pubblicitarie per promuovere l'acqua di rubinetto a Roma ce n'è stata più di una. L'ultima la scorsa primavera quando la «capitolina » è stata dotata di una sorta di carta di identità. Allora il sindaco Veltroni aveva sottolineato come la certificazione fosse il risultato degli oltre 250 mila campioni l'anno analizzati (il doppio di quelli previsti per legge). Ora Roberto Zocchi, presidente della Laboratori, la società che per conto della Acea si occupa dei controlli, spiega: «L'acqua di Roma arriva dalle sorgenti appenniniche. Il nostro compito è quello di mantenere la sua qualità fino al rubinetto ». Guai a fare paragoni qualitativi con le minerali, ma quanto alla bontà della «capitolina » non ci sono dubbi: «E' buona, controllata e un metro cubo costa come una bottiglietta di minerale (senza contare il costo del trasporto, dell'accumulo e dello smaltimento)». Ormai da tre anni nelle scuole di Firenze le brocche di vetro hanno preso il posto delle bottiglie di minerale. «Stessa cosa in Consiglio comunale e negli uffici pubblici dove i distributori di bottigliette griffate sono stati sostituiti da bidoni di acqua di Firenze», afferma l'assessore al Ciclo integrato dell'acqua e dei rifiuti Paolo Coggiola. «Da qualche anno abbiamo scelto la filtrazione a carbone attivo, e adesso sono molti i cittadini che dicono di preferire l'acqua del rubinetto. Più buona e senza bottiglie da smaltire». Anche nelle mense scolastiche di Milano si beve solo acqua del rubinetto (in passato, qualcuno aveva proposto anche di imbottigliarla). Ma sui tavoli del Consiglio comunale ci sono ancora bottiglie di minerale. Alcune settimane fa, in occasione della giornata mondiale dell'acqua, il consigliere Basilio Rizzo (Lista Fo) e i «suoi» sono entrati in aula con un bicchiere di acqua del rubinetto in mano. «Non ha niente a che invidiare a quella minerale: deve entrare a pieno titolo in questa aula e in tutti gli uffici comunali». Ieri l'ultimo atto: una raccolta di firme, in tutto più di 400 mila, è stata portata a Roma per chiedere una legge che tuteli il patrimonio pubblico dell'acqua.

Alessandra Mangiarotti

11 luglio 2007


 

+ Brescia Oggi 11-7-2007 Lavori entro il 2010 Tunnel del Brennero, firma Italia e Austria. Servono 6 miliardi: un terzo ciascuno i due Paesi, il resto l'Ue.

 

TRASPORTI. &nbsp VIENNA Dopo una gestazione durata 20 anni, si intravvede la luce per il tunnel del Brennero: con la firma di un memorandum di intesa, ieri a Vienna, Italia e Austria chiedono all'Ue una partecipazione finanziaria al progetto, che prevede da qui al 2022 la realizzazione del tunnel più lungo del mondo. L'accordo è stato firmato dai ministri delle Infrastrutture italiano, Antonio Di Pietro, e del Traffico austriaco, Werner Faymann, nell'ambito di un incontro trilaterale con il ministro dei Trasporti tedesco, Wolfgang Werner. Austria e Italia finanzieranno per un terzo ciascuna il progetto, l'Ue è chiamata a finanziare l'altro terzo. Il costo stimato del progetto è di sei miliardi di euro, che potrebbero arrivare ad 8-9 con i costi aggiuntivi di pianificazione e inflazione. Il 19 luglio Di Pietro sarà a Bruxelles a presentare la richiesta di confinanziamento dell'Ue. Parallelamente al memorandum austro-italiano, Tiefensee ha firmato un accordo di cooperazione col collega austriaco per la tratta Freilassing (Baviera) Salisburgo (196 milioni di euro) da realizzare entro il 2012 in vista del collegamento Bratislava, Vienna, Salisburgo, Monaco, Strasburgo, Parigi. La Germania inoltre si associa impegna a sviluppare infrastrutture per le vie di accesso al tunnel. L'idea di un tunnel europeo risale al 1986, l'inizio dei lavori potrebbe avvenire nel 2009-2010, l'entrata in funzione nel 2022. La galleria ferroviaria del Brennero, il cui obbiettivo è trasferire il traffico merci dalla strada alla rotaia, avrà una lunghezza di 63 km (56 senza l'anello attorno a Innsbruck): per collegare Bolzano-Innsbruck ci vorranno 50 minuti contro le due ore attuali, la capacità di mezzi pesanti su rotaia sarà di 1,8 milioni l'anno. Il progetto completerà l'asse nord-sud collegando la Scandinavia con Palermo. Di Pietro: "Il progetto rappresenta una soluzione equilibrata" che tiene conto dell' ambiente. "Il mio governo crede in questo progetto", volto "a unire maggiormente la comunità europea". Di Pietro ha assicurato che per il finanziamento l'Italia non procederà a un aumento di tasse con rialzi dei pedaggi. Il coordinatore Ue Van Miert ha assicurato che presenterà un rapporto positivo alla Commissione e si adopererà affinché Bruxelles garantisca un "cofinanziamento massimo".


 

+ Il Sole 24 Ore 11-7-2007 «Sia per i mutui che per il credito al consumo i tassi di interesse praticati dalle banche in Italia sono più elevati rispetto a quelli medi dell'area euro su operazioni simili». Lo afferma il Governatore di Bankitalia, Mario Draghi, nel suo discorso all'assemblea dell'Abi.

Le fusioni
Le banche protagoniste delle ultime grandi fusioni devono realizzare senza indugi i guadagni di efficienza che il mercato si attende. «Non c'è tempo da perdere» afferma il Governatore della Banca d'Italia; è un lavoro complesso «il rischio di resistenze e ritardi è forte». Draghi raccomanda la massima compattezza del management e il «massimo riserbo» ai vertici aziendali nella comunicazione esterna.
Secondo il Governatore «il consolidamento delle banche è solo un punto di partenza. Il riassetto potrà dirsi compiuto con successo quando si saranno realizzati i guadagni di efficienza previsti dai piani industriali. Il mercato si aspetta risparmi dall'unificazionde delle piattaforme tecnologiche, dall'integrazione dei canali distributivi, dall'aumento della produttività del lavoro». «L'esperienza del passato - aggiunge il numero uno di Via Nazionale - mostra quanto sia complesso mettere in comune strutture organizzative, tecnologiche, reti, culture aziendali; il rischio di resistenze e di ritardi è forte. Occorre la massima compattezza nei management aziendali, il massimo riserbo nella comunicazione esterna. Non c'è tempo da perdere».

La vicenda Italease
Bankitalia è «intervenuta» e segue «con la massima attenzione» la vicenda Italease. Parlando all'assemblea Abi, Mario Draghi sottolinea che «spingere i clienti ad assumere rischi finanziari anzichè a coprirli, accresce il rischio di controparte e di reputazione, con possibili perdite cospicue» e fa emergere «rischi legali e di reputazione» che possono metterne «in discussione la stabilità». Un caso, quello di Italease, è «sotto i nostri occhi».

Borsa Spa
Mario Draghi promuove l'integrazione tra Borsa Italiana e LSE. Piazza Affari, dice, ha «assunto concrete iniziative» per valorizzare «i propri punti di forza» e cogliere i «benefici dell'integrazione in una realtà globale». Questa apertura è «un fatto decisamente positivo» anche se, sottolinea Draghi, Bankitalia «indica quella che ritiene la giusta direzione di marcia» e «non cerca di determinare chi debbano essere i compagni di viaggio».

La trasparenza
Le banche realizzino concreti progressi sul fronte della trasparenza delle condizioni applicate alla clientela, esorta il Governatore della Banca d'Italia, che prende atto con favore del piano d'azione sulla trasparenza adottato dall'Abi e ribadisce che le liberalizzazioni, positive, devono tuttavia lasciare spazio all'autoregolamentazione.
La banche italiane devono migliorare i tempi, i costi e la qualità dei servizi di pagamenti offerti alla clientela. Mario Draghi si concentra in particolare anche sugli assegni e segnala che «per il perfezionamento di un pagamento con assegno si richiedono ancora in media 7 giorni». Una modifica legislativa che «facilitasse la trasmissione digitale dell'immagine - dice - consentirebbe una significativa riduzione».

Le liberalizzazioni
La Banca d' Italia «guarda con favore alla finalità» degli interventi previsti dalle leggi di liberalizzazioni per il settore bancario «anche se ha sollevato dubbi su taluni aspetti tecnici»: la cancellazione delle penali sull'estinzione anticipata dei mutui a tasso fisso, ad esempio, può comportare ad un aumento del tassi richiesti. Così il governatore della Banca d'Italia affronta il nodo delle liberalizzazioni chiedendo in particolare «di lasciare lo spazio necessario alla regolamentazione secondaria e all'autoregolamentazione». Draghi parla sia della portabilità dei conti correnti, sia della cancellazione delle penali per l'estinzione dei mutui. «Per i conti correnti - dice - le nuove norme hanno dato adito a difficoltà interpretative e i progressi sono insufficienti: non ne è ancora assicurata la completa portabilità. Per i mutui a tasso fisso il divieto di penai per l'estinzione anticipata può comportare un innalzamento del tasso richiesto dalle banche: l'estinzione anticipata rappresenta infatti un'opzione implicita a favore del debitore e perciò ha un costo finanziario».

Le norme Bankitalia sulla governance
«Verranno emanate norme specifiche in materia di governance delle banche». Lo ha annunciato il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, nel corso della sua relazione all'Abi dopo aver ricordato che «una condizione del successo dell'integrazione è la qualità del governo societario». E a questo proposito Draghi raccomanda «chiarezza degli obiettivi, razionalità nella divisione della responsabilità» allo scopo di «orientare le scelte». La banca centrale, osserva Draghi, «è attenta e attiva; continuerà a vigilare sulle soluzioni adottate, sul modo di operare degli organi sociali, assicurandone il buon funzionamento ai fini della sana e prudente gestione, intervenendo tutte le volte che sarà necessario».

La riforma delle popolari
«Non si tratta di fare guerre di ideologia o religione, ma a coloro che ancora privilegiano il mantenimento degli equilibri esistenti non cesserò di ricordare i benefici di una riforma che rimuova, soprattutto per le aziende più grandi e quotate in borsa, le maggiori anomalie di un ordinamento adatto a realtà locali di piccola dimensione».
Così, nel corso della sua relazione all'assemblea annuale dell'Abi,Mario Draghi, torna sul tema della riforma della governance delle banche popolari, il cui fine, «credo condiviso, è liberarne tutte le straordinarie potenzialità, assicurare la piena rappresentatività degli organi di Governo, non stravolgerne le finalità mutualistiche». Secondo Draghi, «occorre interrogarsi sulla conformità alle regole di mercato di meccanismi di formazione della volontà sociale che consentono a esigue minoranze di condizionare decisioni strategiche per la società».

L'economia dell'area Euro
Nel II trimestre del 2007 la crescita del Pil dovrebbe essersi attestata attorno al 2% in ragione annua». Lo ha detto Mario Draghi, Governatore della Banca d'Italia nel suo intervento all'Abi riferendosi all'economia dell'area Euro. «Da gennaio - ha aggiunto - l'inflazione è poco al di sotto del 2%; potrà superare temporaneamente questo valore nei prossimi mesi, risentendo del recente rincaro dei prodotti.

La conciliazione delle controversie
La Banca d'Italia dovrà presentare al Cicr una proposta per regolare la soluzione stragiudiziale delle controversie sui contratti bancari. Lo ha rivelato il Governatore della Banca d'Italia preannunciando una consultazione con gli operatori e gli utenti. La proposta si baserà sull'esperienza maturata in Italia e assicurerà che gli organi giudicanti «siano non solo indipendenti ma anche chiaramente percepiti come tali». Per il successo dell'iniziativa è necessaria la convinta adesione delle associazioni degli intermediari.

 

 


 

Marketpress.info 11-7-2007 NANOTECNOLOGIE E UNIVERSITÀ: LE PRIORITÀ DELLA PRESIDENZA PORTOGHESE

 

Bruxelles, 11 luglio 2007 - Durante il suo mandato di Presidenza dell'Ue il Portogallo spera di stimolare l'iniziativa in tre settori essenziali: editoria e informazione scientifica, nanoscienze e nanotecnologie, riforma e modernizzazione delle università. Descrivendo gli obiettivi della sua Presidenza, il governo portoghese afferma: "Sappiamo che a livello mondiale l'Unione europea non ha ancora raggiunto l'obiettivo dell'1% di investimenti pubblici o del 2% di investimenti privati in R&s [ricerca e sviluppo]. Lo scambio di esperienze e l'apprendimento reciproco tra governi nazionali sono ancora scarsi e la collaborazione tra governi, istituti di R&s e organizzazioni scientifiche a livello europeo è ancora nella sua fase iniziale. " Il Portogallo ritiene che il varo del Settimo programma quadro (7°Pq) per la ricerca abbia fornito l'opportunità di guardare con occhi nuovi alla politica scientifica dell'Ue. In materia di editoria e di informazione scientifica e tecnica, la Presidenza dichiara che incoraggerà un dibattito incentrato in particolare sulle biblioteche scientifiche digitali, che coinvolgerà tutte le parti interessate e sarà mirato a promuovere la fiducia reciproca. L'inserimento di nanoscienze e nanotecnologie tra le priorità coincide con la revisione intermedia di una strategia della Commissione in questo campo, in corso di preparazione. La Presidenza si propone di "dare risalto a questo settore, incentivando in particolare il coordinamento di attività e iniziative nazionali ed europee". Secondo il Portogallo, le università sono tra le principali risorse strategiche per una società e un'economia basate sulle conoscenza. "La Presidenza contribuirà al processo di modernizzazione dell'istruzione superiore in Europa, concentrandosi in particolare sull'apertura, sulla diversificazione e sull'internazionalizzazione delle università, nel contesto di reti avanzate di ricerca e formazione" si dichiara nelle priorità. Inoltre, nelle priorità si rileva che la prima manifestazione tenutasi durante la Presidenza portoghese è stata, simbolicamente, un incontro del Consiglio scientifico del Consiglio europeo della ricerca (Cer). Per ulteriori informazioni consultare: http://cordis. Europa. Eu/portugal/presidency .


 

Europa 11-7-2007 Quanto costa la casta dei politici e quanto le altre (giornalisti compresi) FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, mi dicono che La Casta di Rizzo e Stella abbia venduto finora più di 600mila copie. Questo dovrebbe dire qualcosa ai politici, che hanno rinviato alla prossima legislatura i tagli ai vitalizi, e forse ad altri perché, come ha scritto Eugenio Scalfari l’Italia è un paese di caste, compresa quella giornalistica, molto severa verso la consorella della politica.


GIANNI BALDI, MILANO Caro Baldi, il libro di Rizzo e Stella è una manna dal cielo nella palude della politica, dove non un soffio d’indignazione scuote la superficie purulenta. Si veda l’unanime “placare, sopire”, che accompagna in questi giorni la polemica sul Sismi: un organo dello Stato (servizio militare) che spia un ordine indipendente e sovrano dello stato (magistratura) con l’avallo o nell’ignoranza dei due poteri dello stato (esecutivo e legislativo). In un clima – dice il capo delle spie – di «regime» e di «misteri». Regime di chi? Imposto da quali caste? Con quali “misteri”? Silenzio dei politici. E silenzio anche dei cittadini, che si sono abboffati d’indignazione con La Casta e ora sono nel torpore della digestione.
Io spero che Rizzo e Stella o qualcun altro dei superstiti bravissimi giornalisti d’inchiesta risponda a quelle domande con un libro su altre caste. Ma temo che non lo scriveranno. Primo, perché è troppo facile ormai insistere nel solco tracciato, magari dicendo sciocchezze come quella del pranzo dei deputati a 9 euro, che alla camera costerebbe 90. Poiché ho partecipato anch’io e talvolta partecipo (con parlamentari, ex, giornalisti, funzionari) al rancio suddetto, dico che più di quel che si paga non vale: 90 euro, con sontuosi vini e piatti, li paghi al Toulà, al Parco dei Principi, al Bristol, alla Casina Valadier, al Forum, alla Terrazza dell’Hassler, e via a correre. Se quel che a Montecitorio si paga 9 o 10 euro costa 90 al Palazzo, vuol dire o che o che nel palazzo c’è il casino o che qualcuno ruba. I commensali non c’entrano. Attenti, perché se nell’attacco ai costi della politica si scrivono sciocchezze, il rischio è di invalidare anche le tante verità che quell’attacco contiene.
Il secondo motivo per cui non credo a un nuovo libro sui costi della classe dirigente in senso lato, compresa quella giornalistica, è il timore che esso non interessi (come tangentopoli: tutti col pool di Milano finché bastonò i politici, tutti contro quando prese a bastonare altri). Inoltre il libro sarebbe una martellata sui ginocchi di molti critici, compresi i giornalisti, come potrebbero dire gli editori (i quali però non direbbero quanto essi succhiano dalle pubbliche finanze). I direttori che stampano le favolose inchieste sui costi dei politici, hanno mai ammonito i colleghi sui loro costi, a cominciare da quelli dei direttori stessi: stipendi, residence, viaggi, macchine, segreterie, quattordicesima o quindicesima mensilità, ristoranti, biglietti omaggio, regali, eccetera? O degli inviati speciali che in un mese scrivono due servizi, “per non inflazionare la firma”? O delle colleghe a Cannes, a Venezia, a Parigi, che pretendono l’albergo a 5 stelle, perché “tutte” le altre damazze scendono colà e loro non possono essere da meno? Dopo gli avvocati e i medici, i giornalisti sono la casta che fornisce il maggior numero di soci alla casta dei politici: nessuno meglio di loro è in grado di confrontare quanto sono costati alle aziende editoriali e quanto costano all’azienda politica. Parlo, si capisce, dei giornalisti di “prima fascia”, come di “prima fascia” sono in democrazia legislatori e governanti di più alto “rango”.


 

Il Riformista 11-7-2007  La casta delle toghe sciopera Ma il ministro vada avanti

Nel nostro paese da mesi tiene banco un utile dibattito, con annesse proposte e polemiche, sui privilegi della casta politica. Certo, il rischio è quello di scadere nel qualunquismo ma la sensazione è che stavolta le oligarchie di potere abbiano davvero passato il segno in materia di privilegi e quant’altro. Detto della politica, c’è però un’altra casta che invece rimane immune da polemiche e dibattiti a livello pubblico. Parliamo dei magistrati. Ieri il loro sindacato ha proclamato uno sciopero contro la riforma Mastella che a sua volta corregge i presunti intenti punitivi della legge Castelli, che risale ai tempi di Berlusconi premier. Diciamolo pure: sia l’attuale Guardasigilli, sia il suo predecessore hanno affrontato all’acqua di rose il problema dei problemi della giustizia italiana. E cioè la separazione delle carriere, necessaria per spezzare quel vincolo di amicizia e complicità che lega tra loro i magistrati sia inquirenti sia giudicanti e sovente impedisce la cosiddetta terzietà del giudice. Eppure, nonostante le riformine partorite in tempi successivi da entrambi i poli, i magistrati hanno sentito e sentono il bisogno di scioperare. Un comportamento da casta intoccabile, oppure da corporazione come ha ricordato ieri il relatore del ddl unionista Giuseppe Di Lello.
Noi ci auguriamo che Mastella vada avanti e riesca a far approvare, come ha auspicato il Quirinale, la sua riforma entro il 31 luglio, ultima data utile per non far scattare la Castelli. Per quanto riguarda, loro, i magistrati sarebbe ora che la sinistra, in particolare quella che si ritroverà nel Partito democratico, risolva una volta per tutte le sue ambiguità nei rapporti con la magistratura. Questo paese ha bisogno di una politica efficiente, è vero, ma anche di una giustizia altrettanto efficiente: le caste vanno combattute senza distinzione. Non ci sono quelle buone e quelle cattive. Altrimenti non sarebbero caste.


 

Il Corriere della Sera 11-7-2007 I VICOLI CIECHI DELLA SINISTRA Partito democratico e politiche del lavoro di  Pietro Ichino

 

Uno dei motivi per cui nasce il Partito democratico — non il principale, ma neppure uno dei meno importanti — è la necessità per i liberal-democratici di uscire dai vicoli ciechi in cui la sinistra italiana si è cacciata nell'ultimo decennio in materia di politica del lavoro, pregiudicando la propria capacità progettuale, impedendosi di partecipare da protagonista al dibattito europeo su questi temi. La sinistra ci si è cacciata ogni volta che, per paura della discussione su qualcuno dei suoi vecchi punti fermi, ha scelto di difenderlo con uno slogan tassativo, quasi un precetto catechistico, che mirava a troncare la discussione sul nascere, ma anche a bruciarsi i ponti alle spalle, a precludersi qualsiasi futuro ripensamento. Per esempio: quando, intorno al 2000, si è incominciato — anche in seno al centrosinistra, con un progetto di legge di Tiziano Treu—a discutere della possibilità e opportunità di riformare la protezione contro i licenziamenti individuali, i Ds e la Cgil, seguiti ovviamente dalla sinistra radicale, hanno proclamato l'articolo 18 dello Statuto sacro e intangibile, in quanto «baluardo a difesa della libertà e della dignità della persona nel luogo di lavoro»; e su questo slogan hanno organizzato manifestazioni oceaniche.

Lo slogan è falso, poiché nessuno può seriamente sostenere che centinaia di milioni di europei lavorino in condizioni poco dignitose e di sostanziale servaggio, perché privi dell'articolo 18; ma evocare la dignità e la libertà della persona umana era una mossa comoda ed efficace per chiudere la discussione prima ancora che si aprisse. Il nodo è poi venuto puntualmente al pettine nel 2002, quando la sinistra radicale, prendendo in parola Ds e Cgil, ha promosso il referendum per estendere il campo di applicazione dell'articolo 18 alle imprese con meno di 16 dipendenti. Logico: se è in gioco la libertà e la dignità delle persone, tutti devono goderne. Ma le cose non stanno così e l'estensione dell' inamovibilità di fatto del lavoratore anche alle imprese minori sarebbe una follia; per questo, l'anno dopo Ds e Cgil sono stati costretti a fare poco dignitosamente il pesce in barile, adoperandosi sostanzialmente perché il referendum fallisse.

Intanto, però, sul piano della possibile riforma, il discorso era bloccato: col chiudere la questione in un cassetto gettando la chiave, Ds e Cgil si erano preclusi di affrontarla seriamente per un lungo tempo a venire. Ora il Libro verde sulla politica del lavoro dell' Unione Europea ci invita esplicitamente a ripensare la disciplina dei licenziamenti per motivi economici; ma il centrosinistra italiano si è posto in condizione di non poter partecipare utilmente a questa discussione: l'argomento è off limits. Saprà il Pd, con misura e intelligenza, liberarsi da questo blocco mentale? Qualche cosa di analogo accade sulla delicata questione della possibilità di differenziare gli standard minimi di trattamento per i lavoratori nelle regioni più povere e con disoccupazione più alta: qui la chiusura preventiva della discussione senza appello è affidata allo slogan «no alle gabbie salariali». In realtà, lasciare uno spazio alla contrattazione collettiva decentrata per differenziare il livello e la struttura delle retribuzioni, tenendo conto delle condizioni peculiari di ciascuna regione, è proprio il contrario dell'imporre una «gabbia»: la vera «gabbia», semmai, è lo sbarramento che impedisce di farlo.

Mal'artificio dialettico è efficacissimo: chi mai potrebbe essere favorevole a qualche cosa che si chiama «gabbia salariale»? Così quello slogan consente, anche qui, di calare una pietra tombale sulla questione del possibile decentramento della contrattazione degli standard minimi, nonostante che proprio questa sia la tendenza ormai nettamente prevalente nell’Occidente industrializzato. Al Pd non si chiede di essere pregiudizialmente favorevole o contrario a quella differenziazione di standard, ma solo di saper aprire su di essa una discussione pragmatica. È ancora lo stesso errore quello che la sinistra ha commesso quando ha precipitosamente demonizzato la legge Biagi, oppure lo «scalone pensionistico » (altro slogan efficacissimo) destinato a entrare in vigore nel 2008, solo perché varati dall'odiato governo di centrodestra; e ha ripetuto l'errore quando, ancora per questo solo motivo, di quelle norme ha avventatamente sancito la necessità dell'abrogazione ponendola addirittura tra i punti essenziali del proprio programma elettorale.

Salvo poi scoprire che la legge Biagi è uno strumento utile contro l'abuso dei contratti di lavoro precari e quindi servirsene per questo scopo, come ha fatto il ministro del Lavoro Damiano nei call center; oppure dover riconoscere—come hanno fatto onestamente ma ahimè intempestivamente Massimo D'Alema e Piero Fassino nei giorni scorsi — che la regola della pensione a 60 anni, sia pure introdotta con lo «scalone» di Maroni, non è affatto iniqua e rende disponibili risorse utili per affrontare questioni sociali ben altrimenti urgenti (del resto, non era uno «scalone » ben più erto quello introdotto dalla riforma Dini del 1995, col voto del centrosinistra?). Il Partito democratico nasce anche per lasciarsi alle spalle questo modo fazioso e poco intelligente di affrontare le questioni, per consentire al centrosinistra di tirarsi fuori dai vicoli ciechi in cui si è cacciato in questi anni e di elaborare una politica del lavoro più pragmatica, più aperta al dubbio e alla sperimentazione. Ma su questo punto il nuovo partito deve avere il coraggio di dare fin d'ora un segnale inequivoco e forte.

11 luglio 2007


 

L’Unità 11-7-2007 Le banche al governo: vogliamo essere consultate Oggi l'assemblea dell'Abi con Padoa-Schioppa e Draghi. Faissola: ci impegniamo a maggiore trasparenza con i clienti di Bianca Di Giovanni /

 

Roma Al primo punto della relazione di Corrado Faissola all'assemblea di oggi dell'Abi ci sarà la concertazione. Le banche vogliono essere consultate dal governo, almeno per le questioni che le rigurdano. Che Bersani intenda. Così, quella parola che fino a ieri per certi ambienti era un tabù - concertazione appunto - oggi diventa un must. Cosa mettono loro sul piatto della bilancia? L'impegno a garantire più trasparenza nel rapporto con i clienti. Trasparenza nei costi e nelle offerte proposte. "In un sistema con 1081 istituti - spiega il presidente Abi anticipando qualche traccia del suo intervento di oggi - può sempre esserci chi non si comporta bene. Ma il nostro impegno su questo fronte non si ferma". Tanto più che chi si sente "maltrattato" dalla propria banca può sempre cambiare: secondo dati forniti dall'associazione il tasso di mobilità nel nostro Paese è in linea con l'Europa. Che si possa cambiare o meno, i costi del Belpaese in fatto di conti correnti restano molto superiori rispetto all'estero. È il presidente dell'Antitrust Antonio Catricalà a rivelarlo in un'audizione al Senato. "Il costo medio di tenuta conto in Italia è pari a 182 euro annui - dichiara - con una differenza del 14% rispetto alla Germania e sino all'83% rispetto all'Olanda". Davanti ai senatori della commissione Finanze il garante del mercato aggiunge che "è pur vero che le liberalizzazioni nel settore bancario in Italia hanno funzionato, ma è anche vero che il numero di competitors non influisce sulla concorrenza, e nemmeno l'ingresso di operatori stranieri. Tant'è che questi assicurano costi vantaggiosi nei loro Paesi, mentre in Italia si adeguano ai livelli più alti". Dov'è allora il probblema? "C'è il fatto che manca la clientela mobile - spiega Catricalà - bisogna stimolare la clientela a muoversi". A questo punto c'è da chiedersi: clinenti "pigri" o disorientati? E ancora. come mai per l'Abi il tasso di mobilità del Paese è in linea con l'Europa e per Catricalà invece il vero problema è l'immobilismo? Non è chiaro. Faissola assicura comunque che l'Abi "non è insensibile" ai richiami giunti da diverse autorità. Anche a quello, giunto dalla Banca d'Italia, sul conflitto di interessi delle banche che vendono i loro prodotti finanziari. Mario Draghi ha invitato le banche a muoversi, altrimenti si muoverà qualcun altro. Nella relazione di oggi (saranno presenti anche Prodi e Bertinotti) il presidente Abi non parlerà del tema - complicato - della proprietà degli istituti e nemmeno della riforma delle popolari. Un capitolo sarà dedicato al grado di concentrazione raggiunto dal sistema italiano, in cui i primi 5 gruppi controllano il 62% del mercato. Solo la Francia fa meglio con il 64%. Resta alto il credito erogato all'impresa, che anche in periodi di crisi non ha mai visto chiudersi i rubinetti del credito.


 

La Stampa 11-7-2007 L'INDAGINE SU UNICREDIT-CAPITALIA PARTIRÀ IL 17 LUGLIO. FARO SUGLI INCROCI CON PIAZZETTA CUCCIA.  FRANCESCO SPINI

 

Catricalà sulle banche "Fusioni ok, ma ora via alla portabilità del conto corrente" Antitrust, esame su Mediobanca [FIRMA MILANO Se nella fusione tra Intesa e Sanpaolo il faro dell'Antitrust si accese sugli incroci assicurativi - tra le due banche, e con le Generali - nell'operazione UniCredit e Capitalia irrompe il tema Mediobanca. L'authority, in vista dell'esame che partirà il 17 luglio, è orientato a scandagliare le implicazioni concorrenziali nell'investment banking e quindi l'intreccio tra la Grande UniCredit - dove confluiranno la romana Mcc e la milanese Ubm - e Piazzetta Cuccia, dove il nuovo gruppo assomma una partecipazione superiore al 18%, destinata comunque a dimezzarsi. Davanti ai senatori della commissione Finanze del Senato il presidente dell'authority, Antonio Catricalà, spiega che, dopo il rinvio dell'esame dell'operazione dall'antitrust europeo a quello italiano, questa "sarà un'altra occasione importante per applicare i principi che fino ad ora l'autorità ha inteso affermare e per esplorare gli effetti dell'operazione anche se ulteriori mercati, compreso quello dell'investment banking". Catricalà, nel corso di un audizione dove traccia lo stato del mondo creditizio che da "foresta pietrificata" che era "sta conoscendo una nuova primavera" fatta di fusioni e acquisizioni, segnala l'apertura di altre due indagini conoscitive. Sorvegliate speciali saranno le banche popolari e le fondazioni. Lo scopo? Verificare il loro impatto sulla contendibilità degli istituti bancari. "Il credito cooperativo - spiega - in Italia rappresenta, infatti, quasi il 30% della raccolta complessiva". E, nota il garante, le popolari, rette dalla norma assembleare "una testa un voto", "sono caratterizzate incontestabilmente da una ridotta contendibilità e a volte, nel concreto funzionamento, il pluralismo che si vorrebbe garantito dalle particolari regole di governance può essere più apparente che reale". Secondo il garante "è doveroso interrogarsi sul futuro di queste banche", oggetto pure di una prossima riforma che, in ogni modo, "dovrebbe garantire la piena contendibilità di tutti con tutti". Altro capitolo, le fondazioni. Dove "si è attenuato" l'obbligo di separazione tra la loro attività e la gestione bancaria. E che sono tornate protagoniste nei processi di fusioni, fatto che "dimostra evidentemente l'effettiva capacità di influenza nella gestione delle banche". A questo punto, attacca Catricalà, "ci si può domandare se soggetti simili, caratterizzati da regole di governance che non rispondono a logiche di mercato" e "tenuti a perseguire una molteplicità di interessi diversi, siano i più adatti a far transitare il sistema bancario italiano verso livelli di efficienza e competitività". A tale proposito il presidente dell'Antitrust torna a chiedere più concorrenza nei servizi allo sportello. Chiede "garanzie della stabilità delle voci di costo" e di "superare i legami tra conti e altri servizi bancari e finanziari". "Un importante strumento per promuovere efficacemente la mobilità della clientela - conclude - sarebbe lo sviluppo di meccanismi che consentano la portabilità del conto corrente". Molte istanze ancora sul tavolo, dunque, cui oggi l'Abi tenterà di dare una risposta nella sua assemblea annuale.


 

La Stampa 11-7-2007  Moggi, la resa dei conti Richiesta di rinvio a giudizio per la "Cupola": controllava tutto FULVIO MILONE, INVIATO A NAPOLI

 

Quattro anni di indagini, 94 testimoni ascoltati, centinaia di migliaia di conversazioni intercettate su cinquantacinque cellulari. Bastano questi numeri per dare un’idea dell’inchiesta sul calcio sporco avviata nel 2003 dai sostituti procuratori di Napoli Giuseppe Narducci e Filippo Beatrice. Avviata e, ieri, conclusa con la richiesta di rinvio a giudizio per 37 persone: il capofila è Luciano Moggi, 70 anni proprio ieri, nato a Monticiano in provincia di Siena, ex direttore generale della Juve. Sua, secondo i magistrati, è la paternità dell’ormai famoso «Sistema» che non a caso porta il suo cognome: una cupola in cui erano cooptati designatori di arbitri, direttori di gara, dirigenti di club e funzionari della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Tutti erano impegnati a «commettere una serie indeterminata di delitti di frode in competizioni sportive... allo scopo di predeterminare i risultati delle partite del campionato di calcio di serie A per la stagione 2004-2005». Ma qui, proseguono i pm, non si parla solo di semplici partite taroccate. Il meccanismo messo a punto da Moggi, secondo l’accusa, avrebbe provocato l’«alterazione degli equilibri di natura economico-finanziaria relativi a talune società calcistiche operando, in definitiva, a vantaggio di soggetti funzionali al progetto criminale e penalizzando, viceversa, coloro che ad esso erano estranei».

I magistrati li elencano, quei «soggetti»: si tratta non solo di dirigenti di società di calcio, della Figc e dell’Aia, ma anche «di giornalisti e collaboratori di trasmissioni televisive». Il «sistema Moggi», secondo l’accusa, orientava poi le nomine ai vertici dei massimi organismi di rappresentanza del calcio. Non a caso, nell’elenco dei 37 per cui i magistrati chiedono il processo figura anche Franco Carraro: la «cupola», scrivono i pm, si adoperò per «garantire l’elezione di Franco Carraro quale presidente della Figc al fine di favorire Adriano Galliani (vicepresidente del Milan, ndr) nell’elezione alla presidenza della Lega nazionale professionisti». Sì, perché il mondo del calcio nell’era-Moggi, e non solo, funzionava così: in campo si era nemici, ma nel Palazzo si stringevano alleanze in nome dei comuni interessi economici. L’ex numero uno della Figc è accusato di frode in competizione sportiva: avrebbe raccomandato a Paolo Bergamo, ex designatore arbitrale, una squadra «amica», la Lazio di Claudio Lotito.

L’inchiesta della procura di Napoli, col tempo, ha assunto dimensioni gigantesche. Per anni i due pm hanno lavorato nei loro uffici-bunker al terzo e quarto piano del grattacielo al Centro Direzionale, ascoltando quasi cento testimoni, o raccogliendo le deposizioni rese ai carabinieri di Roma. Hanno sfilato davanti agli inquirenti personaggi noti come Pierluigi Collina e Zdenek Zeman, l’ex patron del Bologna (squadra punita dal «sistema) Giuseppe Gazzoni Frascara, Carlo Mazzone e Roberto Mancini. Anche grazie a molte di quelle testimonianze i giudici hanno stilato l’elenco di quelle che secondo loro erano le squadre protette dalla «cupola»: oltre la Juve, il Messina di Fabiani, la Reggina, la Lazio di Lotito, la Fiorentina di Diego e Andrea Della Valle, l’Arezzo, la Torres Sassari. Tutte queste squadre, sostiene l’accusa, furono favorite grazie all’assegnazione pilotata di arbitri compiacenti.

Beatrice e Narducci sostengono che il campionato 2004-2005 è stato stravolto con 29 partite «pilotate» in modo che «venissero favoriti gli interessi (sportivi e quindi economici) delle società calcistiche alleate nel sodalizio». Di più: la «cupola» lavorava affinché «venissero fornite specifiche indicazioni sulla composizione della formazione della Nazionale Italiana di calcio», anche per assecondare «i contingenti interessi della Juventus». Si adoperava «perché venissero raccolte informazioni riservate relative a procedimenti penali in corso, avvalendosi dei servigi o comunque stabilendo compiacenti relazioni con esponenti anche di vertice delle forze dell’ordine, appartenenti anche alla Guardia di Finanza e alla Polizia di Stato».

È questo un capitolo solo in parte esplorato dell’inchiesta napoletana sul calcio sporco. Sì, perché il lavoro dei due magistrati non è affatto concluso. Beatrice e Narducci hanno scritto la parola fine a un troncone, sicuramente il più importante, dello scandalo del calcio sporco. Ma restano da approfondire il filone che riguarda, appunto, i rapporti fra Moggi e alcuni magistrati e esponenti delle forze dell’ordine; quello scaturito dalle dichiarazioni dell’arbitro Gianluca Paparesta, che da vittima del sistema si sarebbe trasformato poi in complice; quello sul traffico di un numero impressionante di schede telefoniche di un gestore del Liechtenstein, che sarebbero state fornite da Moggi ad arbitri e dirigenti della Figc. Ma proprio Moggi dice di sentirsi sollevato dalla richiesta di rinvio a giudizio contro di lui: «Ben venga un processo perché finalmente potrò fare ciò che finora non mi è stato concesso: difendermi».


 

Europa 11-7-2007  Il paese che non invecchia ILVO DIAMANTI *

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È l’incertezza il marchio della gioventù dei nostri tempi, insomma, oggi siamo tutti giovani. D’altra parte le mode, gli stili di vita mimano la giovinezza eterna. Ma oggi in modo più sistematico e determinato di un tempo. Per rendere indelebili i segni del tempo che «non» passa.
Con l’aiuto della scienza e della chirurgia.
Non solo la moda giovane, la musica giovane, i consumi (tecnologici) giovani, quindi. Ma anche i trapianti tricologici, i trattamenti estetici, il fitness a ogni costo e a ogni età, il botulino per tutti, il lifting e la liposuzione. Per combattere l’età, fermare il tempo.
Un ruolo interpretato alla perfezione da Silvio Berlusconi. Divenuto, a ragione, l’icona del nostro tempo senza tempo.
Così, non dobbiamo sorprenderci troppo se l’87 per cento degli italiani (riferimento all’indagine Demos & Pi, dicembre 2006) condivide l’affermazione che nel nostro paese «i giovani dovrebbero avere più spazio nelle posizioni di responsabilità ».
Lo dicono in tanti.
Lo sentiamo ripetere in modo quasi ossessivo, in tutti i discorsi pubblici e privati. Ma non è vero. O meglio: è vero solo in parte, perché questa affermazione riflette la desemantizzazione della parola «giovani». Il cambiamento di significato che ha subito negli anni.
Gli italiani, in altri termini, invocano maggiore spazio per i giovani perché si sentono tutti giovani.
Oppure, vogliono restarlo sempre più a lungo. Rifiutano di invecchiare.
Non solo perché restare per sempre giovani non dispiace. (A molti; anche se alcuni la percepiscono come una condanna). Ma anche perché, in questo modo, gli adulti allontanano il momento del «ricambio»; della sostituzione dai posti di potere che occupano saldamente. Lo spostano sempre più in là; sempre più in avanti.
D’altronde, le figure più rappresentative, in Italia, propongono l’immagine di un paese in cui il tempo si è fermato. Per assurgere alla carica di presidente della repubblica occorre avere almeno 80 anni; dieci di meno per guidare il governo oppure l’opposizione. E i «delfini», le «eterne promesse» che premono, per rimpiazzare Prodi e Berlusconi – leader senza alternative da quasi quindici anni – hanno l’età di Tony Blair.
Oggi, che, dopo dieci anni al governo della Gran Bretagna, è a fine corsa. Per non parlare della Francia, dove a contendersi la presidenza della repubblica, quest’anno, erano tre cinquantenni: François Bayrou, Ségolène Royal e il candidato eletto Nicolas Sarkozy, 52 anni, il più giovane.
Lo stesso discorso vale per i ruoli di maggior potere: nell’editoria, nella finanza, nelle organizzazioni economiche. All’università.
Dove, mediamente, i ricercatori hanno più di quarant’anni, i professori associati più di cinquanta e i professori ordinari circa sessanta. Questa è l’immagine riflessa dallo specchio «pubblico» del nostro paese.
Quando ci si sofferma una attimo di troppo davanti è difficile trattenere un brivido di angoscia. Suscita la sensazione, insopprimibile, di un paese immobile, dove il tempo si è fermato. Dove si diventa adulti sempre più tardi. Ma non si invecchia.
Perché non c’è ricambio, né circolazione, né mobilità sociale. Perché sono invecchiati tutti. Tutti quelli che contano, quelli che fanno opinione. Quelli che decidono.
Paradossalmente, ma non troppo, in questa società, protesa all’eterna giovinezza, si assiste alla progressiva eclissi dei «giovani» veri, anagraficamente definiti (fra 15 e 24 anni). Non solo perché sono una porzione demograficamente (sempre più) ridotta. Ma perché vengono osservati, dagli adulti, con un misto di apprensione e malcelata inquietudine. Secondo l’indagine di Demos, sono ritenuti, rispetto al passato, più «incerti», «infelici»; più «soli ». Ma anche più «viziati».
Allo stesso tempo, le parole maggiormente usate per definirli (catalogate e analizzate da Natascia Porcellato, di Demos) dagli adulti evocano una generazione «spensierata» e «irresponsabile». Dunque, «oggettivamente» infelici e incerti, ma «soggettivamente» spensierati e irresponsabili.
Probabilmente: spensierati perché irresponsabili. Visto che larga parte degli italiani pensa che i figli non riusciranno a mantenere la posizione sociale raggiunta dai genitori. Anche questa è una novità. Perché tutte le «generazioni» del dopoguerra hanno migliorato la condizione sociale di quella precedente. E hanno vissuto la loro giovinezza guardando avanti, mosse dalla convinzione che ce l’avrebbero fatta. Oggi, invece, pochi pensano che i più giovani riusciranno a migliorare la posizione raggiunta dai genitori. Al massimo, riusciranno a confermarla. Grazie all’aiuto degli stessi genitori.
Anche questo meccanismo di simbiosi e di complicità, peraltro, contribuisce a spiegare l’elevata vischiosità dei rapporti fra generazioni. I genitori «spingono» i figli, li sostengono, inserendoli nel loro stesso mestiere, nella loro stessa professione.
E i figli si «fanno spingere», visto che le opportunità –e le aspettative – di lavoro e di mobilità sociale sono divenute molto limitate.
I più convinti di questa sorta di «declino » che segna il destino dei giovani, peraltro, sono proprio i genitori e i nonni.
Sono loro, i più vecchi, i più anziani, a esprimere un giudizio pessimista sul presente e sul futuro dei più giovani. I quali, invece, (come emerge anche dalla recente indagine dello Iard) si sentono e si dicono abbastanza felici. E guardano il futuro con minore apprensione degli adulti. Anche perché i più giovani, i figli, il futuro ce l’hanno davanti. Mentre i loro genitori, e soprattutto i loro nonni, ce l’hanno alle spalle.
D’altra parte, i genitori di oggi sono ritenuti, rispetto a un tempo, meno autorevoli e meno credibili. (Ma è difficile riconoscere autorità e autorevolezza a chi rifiuta di crescere e di invecchiare...).
In questa società «per sempre giovane», le indagini suggeriscono che, oltre ai «confini», si siano perduti anche i «conflitti» fra le generazioni.
Le discussioni in famiglia, le tensioni fra genitori e figli, si sono progressivamente ridotte, rarefatte. Come i divieti e le sanzioni ai danni degli adolescenti.
Fra genitori e figli vige una sorta di patto di reciproco silenzio, di reciproca cautela. Ciascuno cerca di evitare di affrontare argomenti e questioni che possano sollevare contrasti. Per garantire una coabitazione meno faticosa.
* Tratto dal saggio “Il Paese dove il tempo si è fermato” di Ilvo Diamanti, pubblicato sull’ultimo numero del “Mulino”, in uscita la prossima settimana.


 

Libertà 11-7-2007 Euro-Dollaro Nuovo record storico: 1,37 sul dollaro, meno caro il greggio.

 

Meno cari i viaggi all'estero e le spese energetiche, ma la forza della moneta unica pesa sull'export di Eurolandia L'euro vola, vacanze in Usa "a saldo" ROMA - Estate 2007 all'insegna dei saldi per viaggi, vacanze e shopping a stelle e strisce. Grazie al supereuro che ieri ha messo a segno un nuovo record storico, portandosi sopra quota 1,37 nei confronti del dollaro, il nuovo continente, ma anche tutti i Paesi le cui monete sono legate al biglietto verde, registra infatti prezzi stracciati per i turisti di Eurolandia: uno sconto cioè di oltre il 10% solo rispetto ad un anno fa. Per gli italiani in partenza per l'America un biglietto verde - tanto per avere un unità di misura più facile da confrontare con il passato - vale ora circa 1.400 lire. E così per un hamburger o un tradizionale hot dog, magari accompagnato da una Coca, i turisti del vecchio continente potranno risparmiare in questi giorni fino a quasi mezzo euro rispetto ad un anno fa. Una notte in un Hotel da 100 dollari nella Grande Mela alla fine di luglio dell'estate scorsa - quando un biglietto verde valeva 1,25 dollari - costava l'equivalente di circa 80 euro. Oggi lo stesso hotel a 100 dollari a notte "costa" 73 euro, quasi cioè 7 in meno. Vale a dire circa il 10% in meno. Il supereuro non fa bene solo alle vacanze ed allo shopping in terra statunitense, ma anche alle importazioni: dalle auto di lusso alle jeep, dall'hi-tech all'abbigliamento made in Usa. E vantaggi arriveranno anche nelle tasche degli automobilisti e delle famiglie sul fronte dell'energia elettrica e dei carburanti. Il petrolio ed i suoi derivati sono infatti quotati in dollari ed il ripiegamento del biglietto verde innesca una spirale al risparmio che, con l'effetto volano - dai prezzi di produzione a quelli di trasporto e distribuzione - si dovrebbe riversare anche su quelli finali di molti prodotti al consumo. Per ogni centesimo di dollaro guadagnato dall'euro sul dollaro, i prezzi internazionali delle benzine (Platt's per l'Europa) si riducono infatti di due millesimi di euro al litro. Non manca, comunque, anche l'effetto boomerang della debolezza del dollaro: a farne le spese rischiano di essere le esportazioni italiane e dell'intera Eurolandia negli Usa ed in tutti i Paesi legati al biglietto verde. Con una penalizzazione quindi del Made in Italy e della competitività. Ecco una breve "mappa" degli effetti legati all'euro forte VIAGGI E TURISMO Andare oltre frontiera, soprattutto negli Usa o nei Paesi extra-Ue la cui valuta è legata al biglietto verde, costa meno. Circa il 3% in meno rispetto all'inizio dell'anno ed il 10% rispetto ad un anno fa. L'impatto è più limitato per coloro che hanno già prenotato o acquistato pacchetti tutto compreso: la programmazione dei Tour Operator si basa infatti normalmente sul cambio di diversi mesi prima. BENZINA ED ENERGIA Per ogni centesimo di dollaro guadagnato dall'euro i prezzi internazionali delle benzine (Platt's per l'Europa) si riducono di due millesimi di euro al litro. Limitatamente alla componente cambio si riduce anche il costo dell'elettricità con possibili ricadute sulle bollette. PREZZI Il rafforzamento della moneta riduce il costo del petrolio (dal quale l'Italia dipende per oltre l'80%) e quindi le spese energetiche, sia per quanto riguarda i trasporti che i costi delle imprese, innescando un effetto volano che dai prezzi alla produzione a quelli di trasporto e di distribuzione, alla lunga, incide anche su quelli al consumo. E, quindi, crea lo spazio per un possibile raffreddamento del costo della vita. IMPORTAZIONI Cala il costo dell'import in moneta e si crea spazio a potenziali alleggerimento dei prezzi dei beni extra-Ue. EXPORTIl supereuro penalizza le esportazioni rendendo meno appetibili i prezzi dei prodotti Ue. E, anche, se le imprese pagheranno meno, sui mercati internazionali, per le materie prime, si rischia un rallentamento della produzione.

 


INDICE 10-7-2007

+ +  La Stampa 10-7-2007 Australia, video sui brogli elettorali: "Su quel tavolo centinaia di schede ". Elezioni politiche 2006 all'Estero, la denuncia di Paolo Rajo, candidato  tra le file dell'Udeur per l'estero. GABRIELE MARTINI 1

+ StampaWeb 10-7-2007 IL DOCUMENTO "Alleati infedeli a Silvio E lo dice anche Ruini" L'allora premier Silvio Berlusconi con il cardinale Camillo Ruini, all'epoca presidente della Cei + I dossier di Pompa nella sede Sismi + Dossier Sismi, è bufera tra i Poli + Pollari: "Sono pronto a svelare i misteri italiani" MULTIMEDIA VIDEO  2

+ Rai News 24 10-7-2007 Pollari: parlero' solo se il premier mi autorizza  3

La Repubblica 10-7-2007 AGENTI SEGRETI UN FASCINO ANTICO Impero Le spie erano di importanza fondamentale per la Gran Bretagna a causa del suo impero destra e sinistra James Bond è una classica spia "di destra". A "sinistra" gli eroi diventano stanchi e ambigui JOHN LLOYD. Traduzione di Anna Bissanti. 3

L’Unità 10-7-2007 Cesare, in arte Cristo Marco Travaglio  5

Europa 10-7-2007 Fascisti e antifascisti a Villa Ada l’eterna Italia dei fantasmi in servizio FEDERICO ORLANDO RISPONDE  5

Il Riformista 10-7-2007 La politica ridotta a misurare l’altezza degli scalini di Emanuele Macaluso  6

L’Unità 10-7-2007 Il mito della linea Maginot Silvano Andriani 7

La Repubblica 10-7-2007 Varsavia, a pezzi il governo kaczynski - Andrea Tarquini 8

Il Giornale di Brescia  10-7-2007 Consob verso una "stretta" sulle banche Arriva la direttiva Mifid. 9

Finanza e Mercati 10-7-2007 Banche poco chiare su rischio bolla  10

Miaeconomia.it 10-7-2007 Mutui e penali sotto la lente dell'Antitrust 10

 


 

+ +  La Stampa 10-7-2007 Australia, video sui brogli elettorali: "Su quel tavolo centinaia di schede ". Elezioni politiche 2006 all'Estero, la denuncia di Paolo Rajo, candidato
tra le file dell'Udeur per l'estero. GABRIELE MARTINI

 

TORINO
Elezioni politiche dell'aprile 2006 senza pace. Dopo le polemiche degli scorsi mesi arriva adesso un video destinato a riaprire la discussione. È girato con un telefonino in una casa australiana di Sydney, dove qualcuno, ripreso di spalle, ha davanti a sè, su un tavolo un mucchio di schede elettorali che compila in serie indicando preferenze in massa per l’Unione al Senato (scheda viola) e, per errore, per Forza Italia alla Camera (scheda arancione).

L'autore del filmato
Le schede vengono poi richiuse e sistemate nelle buste originali del Consolato e sigillate. Sono almeno un centinaio. L'autore del filmato (che LaStampa.it pubblica sul suo sito) è Paolo Rajo, candidato al Senato per l’Udeur all’estero. Contattato telefonicamente dalle redazione ha affermato di essere lui l'autore del video: «L'ho girato durante la campagna elettorale per le scorse elezioni politiche in cui io ero candidato al Senato nella lista Udeur» spiega a LaStampa.it: «Ero a Sydney, mentre facevo campagna elettorale e sono giunto nella casa di alcuni conoscenti per invitarli a votarmi. Quando poi ho spiegato il motivo della mia visita, questo amico mi ha detto candidamente "Ma Paolo, noi ti stiamo già aiutando, in garage c'è mio figlio con i suoi amici che stanno preparando voti per te"».

Le lattine di birra
Paolo Rajo continua il racconto: «Io ero titubante, credo fermamente nella segretezza del voto, ma loro insistevano: "Noi abbiamo per te centinaia di voti"». Gli amici della famiglia di Sydney votano centinaia di schede, «in cambio di qualche lattina di birra, d'altronde siamo in Australia». «Il conoscente - continua il candidato dell'Udeur - mi ha poi spiegato la dinamica di questa strana vicenda: gli avevano detto "se vuoi aiutare Paolo ti portiamo le schede e ti diciamo cosa devi fare, poi passeremo a riprenderle". Entrato in garage ho poi effettivamente visto il tavolo con tantissime schede pronte al voto in serie: non si votava per l'Udeur, ma per l'Unione. Ho detto che quell'aiuto non lo avrei mai accettato, e lui ci è rimasto male».

Il filmato
«Avevo con me il mio cellulare ed ho ripreso la scena ma non ho ripreso i volti. Mancava ancora una settimana al voto in Italia, così il giorno dopo ho inviato il filmato all'Udeur ma non ho ricevuto nessuna risposta. Anche inviare tutto via posta non è servito a niente. L'unica volta in assoluto che il partito mi ha contattato è stato per chiedermi di inviare al più presto la nota firmata per le spese elettorali che avevo sostenuto in Australia ai fini del rimborso. Mi hanno detto poi che per il video non si sarebbe potuto fare nulla». «Qualche settimana dopo - continua Paolo Rajo - mi ha chiamato un amico mia ha detto: "Vuoi vedere dove sono finiti i tuoi voti?". Allora mi ha portato in discarica e lì c'erano centinaia di schede votate con il mio nome. Schede che non sono mai state conteggiate. Ho fotografato quelle schede, ho inviato ale foto, ma come per il video non è successo nulla».

 

 


 

+ StampaWeb 10-7-2007 IL DOCUMENTO "Alleati infedeli a Silvio E lo dice anche Ruini" L'allora premier Silvio Berlusconi con il cardinale Camillo Ruini, all'epoca presidente della Cei + I dossier di Pompa nella sede Sismi + Dossier Sismi, è bufera tra i Poli + Pollari: "Sono pronto a svelare i misteri italiani" MULTIMEDIA VIDEO

 

Sismi, Nicolò Pollari respinge le accuse Rapporto dello 007 su una trama Cdl contro il neo-premier FRANCESCO GRIGNETTI ROMA Trepidava per le sorti di Berlusconi. Temeva che i suoi alleati lo ingabbiassero. E ne sapeva davvero tanto di quelle indiscrezioni che timidamente circolavano in Parlamento. In quell'agosto del 2001, Pio Pompa, nei report che scriveva per Pollari, anticipava tra le altre cose anche scenari politici. E non c'entravano i ritagli di giornale. Tutt'altro. "Viene riferito da fonti certe e autorevoli". Per concludere con altrettanta sicurezza da dove venivano le conferme: "Vaticano... Cardinale Ruini...". Addirittura. Le fonti "certe e autorevoli" quella volta riferirono a Pompa che, nell'ambito del centrodestra uscito vittorioso alle elezioni di due mesi prima, "esponenti politici di rilievo stanno esaminando la possibilità di sganciare i destini della maggioranza da quelli del premier, sottoposto all'alea delle azioni giudiziarie e del conflitto di interessi che ne potrebbero determinare la delegittimazione e/o le dimissioni". Di questo documento, i magistrati hanno trovato due diverse versioni. Una è scritta a mano e si legge che le ipotesi di sganciamento da Berlusconi, gli "esponenti politici di rilievo" le avevano avanzate "in incontri riservati". Nasceva male, insomma, il nuovo esecutivo. O almeno così registrava Pio Pompa. Scriveva nel suo appunto manoscritto: "In tal senso, nell'immediato, una prima iniziativa s'è già svolta, tesa al condizionamento del ruolo e del potere decisionale, attraverso una serie di rilievi e suggerimenti rivolti al Presidente". Nella versione dattiloscritta il testo è leggermente differente: "L'intenzione è quella di condizionare il potere decisionale del premier". Attorno a Berlusconi, registrava Pio Pompa, si stava sviluppando una gabbia di sollecitazioni frenanti. "Rilievi e suggerimenti opportunamente orientati a far assumere al presidente forme di attendismo poco rispondenti a decisioni rapide e efficaci". Il risultato, insomma, era un certo immobilismo di Berlusconi che a Pompa poco garbava. Atteggiamento d'attesa che stigmatizzava soprattutto su un versante e non per caso: si tardava troppo a fare le nomine ai vertici dei servizi segreti. Anche qui, alle spalle di Berlusconi, segnalava un "complotto". Questa volta non dei "nemici", ma di certi alleati poco leali. E perché? "Al fine di ricavarne margini di manovra per il controllo di importanti apparati attraverso persone meno organiche al presidente". Nella versione manoscritta il messaggio era ancora più esplicito: "Per inserire ai vertici di importanti organismi uomini meno organici al premier, attraverso cui realizzare un efficiente sistema di controllo". Ovviamente ai danni di Berlusconi. Non è difficile decifrare lo scritto a Pollari: attenzione, qualcuno nel centrodestra sta mettendo in campo candidature alternative alla sua (è di quei giorni anche il report su Frattini a cui era stato raccomandato il generale Giuseppe Orofino per la guida del Sismi) e quindi bisogna fare attenzione. Il rapporto di Pompa si conclude con una conferma autorevole. "Di tale notizia si è avuta conferma anche in ambienti del Vaticano a seguito dei chiarimenti avanzati, in proposito, dal cardinale Ruini a persone autorevoli e di sicura affidabilità". Nella versione scritta a mano, il tono è persino più drammatico e la storia è leggermente diversa: "Di tale riservatissima notizia, si è avuto riscontro anche in ambienti del Vaticano a seguito di chiarimenti in proposito chiesti dal cardinale Ruini a persone autorevoli e di sicura affidabilità". Chi fossero, questi misteriosi interlocutori del cardinale, non è scritto da nessuna parte. Però non è un mistero che l'analista di via Nazionale era un protetto di don Verzé, il carismatico prete-imprenditore, fondatore dell'ospedale San Raffaele, che lo sponsorizzò fortemente. Tutto ciò quanto Pio Pompa portava a conoscenza del vicesegretario generale del Cesis che si preparava a diventare direttore del Sismi a metà agosto 2001.


 

+ Rai News 24 10-7-2007 Pollari: parlero' solo se il premier mi autorizza

 

Niccolo' Pollari "Rispetto il segreto di Stato. Ma se il presidente del Consiglio riterrà di svincolarmi da questo segreto state tranquilli che sarò estremamente esaustivo. Ma solo se il premier mi autorizzerà". Lo ha detto l'ex capo del Sismi, Niccolò Pollari parlando con i giornalisti prima della colazione in un ristorante romano con il presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga. "Io rispetto il segreto di Stato" ha affermato Niccolò Pollari. "Ho delle direttive e dei doveri da rispettare e lo farò sempre, perché sono un uomo delle istituzioni". "Se però il presidente del Consiglio - ha proseguito - riterrà nell'esercizio delle sue attribuzioni di svincolarmi dal segreto, se mi autorizzerà a farlo, state tranquilli che io sarò estremamente esaustivo. Ma finché questo non avverrà, io rispetterò la legge come ho sempre fatto in vita mia". Ma in che contesto intende parlare? "I tutti i contesti - ha risposto Pollari - in cui il premier mi autorizzerà a farlo". "Sono un uomo delle istituzioni e rispettero' sempre la legge, anche a costo di pagare prezzi, come sto facendo". Così l'ex capo del Sismi, Nicolo' Pollari, parlando con i giornalisti prima del pranzo con Cossiga. "Finora ho soltanto ascoltato, ora voglio precisare qualcosa", ha detto Pollari. "E cioé - ha proseguito - che la mia posizione è e rimane sempre la medesima: sono un uomo delle istituzioni, io non violerò mai alcun segreto a meno che il presidente del Consiglio in carica non mi dia l'ordine di farlo. Io rispetterò la legge a costo di pagare prezzi, come sto facendo in determinati casi". L'ex direttore del Sismi ha quindi ribadito che spetta al premier svincolarlo dal segreto: "è lui titolare del segreto di stato non io - ha affermato Pollari - come qualcuno sembra voler sostenere quando dice che mi nascondo dietro al segreto di stato". "Io sono l'unico portavoce di me stesso". E' la precisazione che l'ex capo del Sismi, Niccolò Pollari, ha tenuto a fare parlando con i giornalisti. Nei giorni scorsi era stato il presidente della commissione Difesa del Senato, Sergio De Gregorio, a rendere note alcune affermazioni di Pollari, secondo le quali l'ex capo del Sismi sarebbe stato intenzionato a dire tutto sui "misteri italiani".


 

La Repubblica 10-7-2007 AGENTI SEGRETI UN FASCINO ANTICO Impero Le spie erano di importanza fondamentale per la Gran Bretagna a causa del suo impero destra e sinistra James Bond è una classica spia "di destra". A "sinistra" gli eroi diventano stanchi e ambigui JOHN LLOYD. Traduzione di Anna Bissanti.

 

Le spie esistono dacché esistono le guerre, poiché in guerra conoscere i piani e i movimenti del nemico è la cosa più importante. I Greci avevano spie a Troia. Lo stratega dell'esercito cinese Sun Tzu fornisce consigli a tutto campo nel suo L'arte della guerra su come ingannare il nemico grazie alle spie. I Guelfi avevano spie tra i Ghibellini, e viceversa. Con ogni probabilità, il drammaturgo inglese Christopher Marlow è stato una spia per la Corte di Elisabetta. Durante la guerra civile americana entrambe le parti in conflitto erano infiltrate da un gran numero di spie nemiche. Ciò nondimeno, le spie affascinano e catturano stabilmente la nostra immaginazione soltanto quando diventano protagonisti di opere di fiction: e così è stato nei venti anni che hanno preceduto la Prima Guerra mondiale, soprattutto in Gran Bretagna. Le spie erano di importanza fondamentale per la Gran Bretagna a causa del suo impero: al suo apogeo, l'impero britannico copriva un quarto della superficie terrestre del pianeta e conteneva un quarto della sua popolazione, e ciò nondimeno era poco sorvegliato e protetto. Per controllarlo efficacemente, i britannici avevano bisogno di intelligence per venire a sapere quanto prima possibile di rivolte tra le tribù locali o a conoscenza di informazioni sui nemici dell'impero, come pure sui loro stessi alleati. Quando ebbe inizio il "Grande Gioco", il Great Game - la lotta tra la Russia e l'impero britannico per il controllo dell'Asia centrale e dell'India - entrambi i contendenti ebbero bisogno di informazioni attendibili sulla lealtà delle varie tribù e dei loro leader, e sui movimenti della controparte. Per la prima volta, gli exploit di queste spie furono oggetto di trasposizione nella fiction: il Kim di Rudyard Kipling fu tra i primi romanzi di spionaggio. A quei tempi le spie erano considerate eroi coraggiosi, quanto meno dal loro Paese. Così sarebbero rimaste le cose, quanto meno nella fiction, per i decenni a seguire. Le spie dei romanzi di John Buchan - specialmente il suo protagonista principale, Richard Hannay - sono stereotipi inglesi, come loro stessi speravano di potersi considerare: riservati, coraggiosi, pieni di risorse e più di ogni altra cosa abili e di successo nello sventare i malvagi complotti dei nemici e nel proteggere la libertà della Gran Bretagna. I Trentanove scalini sono l'opera più famosa tra queste, trasposta in varie versioni cinematografiche. Quando i Paesi erano sotto minaccia - principale motivo per scatenare una guerra fino alla metà del secolo scorso - di solito le spie erano considerate anch'esse in pericolo dal loro Paese. Dovevano avere coraggio e padronanza di sé, grande intelligenza e la capacità di agire e intervenire in modo efficiente. Dovevano chiaramente operare nella massima segretezza e di conseguenza risultavano quanto mai affascinanti. Chi scriveva romanzi e opere di narrativa sulle spie era spesso a sua volta un ex agente dell'intelligence, per esempio, nel Regno Unito, Compton Mackenzie, W. Somerset Maugham ed Eric Ambler, (quest'ultimo è stato un raro esempio di autore di romanzi di spionaggio di sinistra). Dopo l'ultima guerra, a ogni buon conto, lo spionaggio ha iniziato a essere considerato qualcosa di più problematico. Il "Grande Gioco" è diventato Guerra Fredda tra Unione Sovietica e suoi alleati da una parte e l'Occidente dall'altra. In Occidente le spie erano spesso quelle che simpatizzavano con il Comunismo: tra queste le più famose sono state il diplomatico britannico nonché giornalista Kim Philby, chiamato - che ironia! - proprio col nome del protagonista di Kipling. Insieme a Philby, Anthony Burgess, Donald MacLean, John Cairncross e Anthony Blunt avevano tutti studiato a Cambridge, erano uomini dell'alta middle class e per una molteplicità di motivi odiavano il loro Paese natale. Philby è stato la spia di maggior successo tra loro, ha passato ai sovietici enormi quantità di informazioni, e determinato lo smascheramento e l'omicidio di moltissime spie che lavoravano per i britannici e gli americani. La Guerra Fredda ha prodotto il contrapporsi di sinistra e destra perfino in Occidente, e la fiction che è andata crescendo intorno alle spie si è anch'essa divisa su due fronti. A destra Ian Fleming ha creato con James Bond la spia di maggior successo di tutti i tempi: affascinante, gran seduttore, con una spiccata predilezione per i vini buoni e le sigarette speciali, tanto bravo a letto quanto nel lottare contro gli agenti del Kgb. Il culto per Bond è andato ulteriormente crescendo nei film e se all'inizio degli anni Novanta poteva sembrare che la serie di film su 007 fosse giunta alla sua conclusione, il recente successo di Casino Royale dell'anno scorso ha dato nuovo vigore alla tradizione, tanto che attualmente si sta girando il ventiduesimo film di James Bond. A sinistra le spie diventavano nella trasposizione letteraria molto più ambigue. Un americano tranquillo e Il nostro uomo all'Avana di Graham Greene, e il personaggio di George Smiley di John LeCarré, mettono in scena uomini delusi, stanchi e frustrati del loro lavoro e della vita, che combattono un nemico che spesso reputano non proprio migliore né peggiore di loro stessi. Al contempo, l'esperienza della guerra in Vietnam, le rivelazioni sulle ingerenze della Cia un po' ovunque - specialmente in America Latina - hanno contribuito a polarizzare le opinioni e i romanzi americani di spionaggio. Nei romanzi di Tom Clancy gli agenti segreti se talora paiono misteriosi nei loro obiettivi, in definitiva sono buoni dal punto di vista morale. Nei romanzi di Charles McCarry - egli stesso un ex agente della Cia - i protagonisti sono invece più complessi, mentre nei film di Oliver Stone - specialmente JFK - il mondo delle spie è visto e mostrato come il tragico mondo che complotta ai danni della democrazia stessa. Una nuova fase sta iniziando: dopo la pausa al termine della Guerra Fredda è adesso la volta della Guerra al Terrore, una "guerra" combattuta tanto dalle agenzie di intelligence quanto dagli eserciti e dalle polizie. Ovunque in Occidente i servizi segreti stanno dandosi da fare in ogni modo per capire l'islamismo radicale, e si adoperano per reclutare una nuova categoria di spie, uomini e donne in grado di infiltrarsi nelle reti del terrore che aiutano gli islamisti, e che di conseguenza sono spesso di origini mediorientali o pachistane, e sentono un attaccamento maggiore nei confronti dei Paesi dai quali sono originari che non dei loro compagni di fede che hanno adottato le tattiche del terrorismo. Già adesso appaiono in televisione e in alcuni romanzi nuovi personaggi ispirati a questi nuovi modelli di spia. Quanto tempo occorrerà prima che spunti fuori il James Bond del futuro, di pelle scura, con accento pachistano e di fede islamica?


 

L’Unità 10-7-2007 Cesare, in arte Cristo Marco Travaglio

 

Il personaggio ha sempre avuto un rapporto, per così dire, problematico con la verità. Fin da quando giurò che i 21 miliardi di lire recapitatigli in Svizzera dai Rovelli erano una "parcella" pagata da una famiglia che lui non aveva mai difeso. Poi cambiò tre o quattro versioni, spiegando poi al Tribunale attonito di aver mentito per "proteggermi dal fisco". Cioè perché era un evasore fiscale. Ma guai a ricordarglielo: lui rispondeva rabbioso "non sono un evasore perché ho fatto il condono", come se il condono lo facessero i contribuenti modello. Ora però le balle sesquipedali che Cesare Previti ha raccontato ieri alla giunta per le elezioni suonano decrepite, quasi provenissero dal Jurassic Park della memoria. Il suo vergognoso caso è già stato digerito dalla classe politica tutta, che l'ha frettolosamente archiviato insieme a tutte le altre putribonde indecenze della storia patria. Il fatto che il braccio destro di Berlusconi comprasse sentenze per conto del Cavaliere e di altri clienti che vincevano cause civili in cui avevano torto, scippando la Mondadori a De Benedetti o procurando a Rovelli 1000 miliardi di lire non dovuti a spese dei contribuenti, è considerato un accidente della storia. Da non usare mai nella battaglia politica, onde evitare che la questione morale vi si riaffacci pericolosamente. Da undici anni si sa che cosa faceva questo barattiere di sentenze con un pugno di giudici corrotti e impresari corruttori nelle aule di Giustizia, ma nessun leader politico s'è mai alzato per chiederne solennemente la cacciata dal Parlamento. Quel che lui ha detto ieri, a prescindere dal voto finale di 11 a 6 (comunque tardivo e ingiusto, per lo scempio che s'è fatto delle prerogative parlamentari dinanzi a una sentenza definitiva), dipende dall'annoiata indifferenza che l'ha avvolto in tutti questi anni. Quel che lui ha detto ieri, insozzando il Parlamento repubblicano e oltraggiando la logica, il diritto e la pubblica decenza,è esattamente ciò che lui sapeva di poter dire: "I miei persecutori non riusciranno mai a fiaccare la mia forza d'animo che deriva dal fatto che sono sempre stato onesto, leale e sono vittima di una persecuzione". In un paese che consente a tal Corona d'insultare a reti unificate senza replica i pm che hanno scoperto le sue porcherie, anche Previti vuole la sua parte. "L'ultimo mio giudice non è stato imparziale", ha sostenuto il perseguitato, profittando del fatto che nessuno ricorda quanti giudici l'han giudicato colpevole in base a prove che con la politica non c'entrano nulla: i bonifici bancari degli anni 80 e dei primi 90, quando lui faceva l'avvocato e il suo principale l'imprenditore. Previti s'è appellato alla Corte europea, come se esistesse per gli adepti della casta un quarto grado di giudizio. Anzi, un quinto: il quarto è l'incredibile giunta per le elezioni, che da 14 mesi si permette di discutere una sentenza della Cassazione e l'interdizione perpetua dai pubblici uffici che ha già prodotto la cancellazione del nostro dalle liste elettorali. Così Previti ha potuto affermare: "Tesi contrapposte si dovrebbero confrontare in una posizione "in dubio pro reo"" (le "tesi contrapposte" sarebbero una sentenza irrevocabile della Suprema Corte e i delirii di un pregiudicato). E ha potuto spiegare, in barba alla giurisprudenza consolidata, che l'anno prossimo, quando concluderà il servizio sociale nella comunità per ex-tossici di don Picchi, insieme alla pena detentiva si esaurirà anche quella accessoria, che invece viaggia separatamente ed, essendo perpetua, è incancellabile. Ma anche se, per assurdo, avesse ragione, è davvero singolare che si dica: visto che devo scontare 3 anni, tanto vale aspettare 3 anni e non farmi scontare nemmeno un giorno. Se esistesse un minimo di decenza o di normalità, tutto finirebbe in una risata omerica. Invece sono tutti seriosi: discutono, si macerano, votano, rivotano, rivoteranno e chissà quando finirà la pantomima. Ne fa parte l'ex senatore dell'Ulivo Giovanni Pellegrino, che difende Previti e mette la faccia per sostenere tesi che uno si vergognerebbe di pensare: i giudici che han condannato Previti erano "politicizzati", "parziali", "prevenuti". Insomma, come direbbe anche Pio Pompa, toghe rosse. Parola del presidente Ds della Provincia di Lecce... Il quale riesce pure a dire, restando serio: "Qui non si tratta di difendere la persona Previti, ma lo status di parlamentare: Barabba fu assolto, il Nazaremo fu condannato. E Socrate fu costretto a bere la cicuta". A nessuno è venuto in mente di rispondere: sì, ma Gesù e Socrate non rubavano. Pare brutto parlare di furto in casa del ladro. Uliwood party.


 

Europa 10-7-2007 Fascisti e antifascisti a Villa Ada l’eterna Italia dei fantasmi in servizio FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, qui a Roma, nel quartiere Trieste-Salario, si vive sostanzialmente bene, a parte le popò dei cani sui marciapiedi, gli alberelli indifesi dalle retromarce delle automobili e le squadracce fasciste che irrompono (una tantum, per fortuna) a Villa Ada e terrorizzano la gente. La contromanifestazione degli antifascisti ha chiesto al comune meno equidistanza e al ministero dell’interno più prevenzione.
Giustissimo, a patto di non ridestare gli eterni fantasmi che ci distolgono dai problemi veri: Ici, trasporti, asili, rifiuti, vigilanza sui prezzi. ALDO MARINARI, ROMA

 Caro Marinari, quand’ero ragazzino mi colpiva il fatto che nelle adunate patriottiche (24 maggio, il Piave mormorava), 20 settembre (bersaglieri a Porta Pia), 4 novembre (festa della vittoria), ci fosse in piazza, a festeggiare con noi scolari e con gli adulti di ruolo, un gruppo di vecchietti spesso stortignaccoli, con le camice rosse dei garibaldini, fra tante camice nere del tempo. Noi ragazzini, sempre cattivi, ci facevamo un po’ di conti. Eravamo nel 1940, e siccome le ultime imprese dei garibaldini ci sembrava risalissero al 1870, settant’anni prima, dicevamo: se avevano vent’anni all’epoca delle imprese, oggi ne avranno almeno novanta.
Non sarà che c’è qualche trucchetto? Bastava uno sguardo truce del maestro per non indurci in tentazioni comunicative, che avrebbero offeso la religione della patria.
Con l’antifascismo la storia si ripete. La partita fascismo- democrazia è stata liquidata con la vittoria della democrazia nel 1945, cioè 62 anni fa, da gente che oggi ne avrà più di ottanta. Francamente, vedere il corteo dei tremila antifascisti che replicano agli squadristi del Trieste-Salario dietro enormi striscioni (tipo “A.n.p.i. I Partigiani”) è parso eccessivo perfino a me, che sull’antifascismo sono intransigente come sul laicismo, due cardini della nostra democrazia.
Sicché vorrei dire ai vecchi partigiani, che in questi decenni hanno custodito lo spirito della resistenza, di non consentire del protagonismo fuori tempo dando dignità di nemico alla Banda Bassotti, ma di sostenere i ministri, i sindaci e le forze dell’ordine nel fare il proprio dovere: che è quello di reprimere, senza drammatizzare, le manifestazioni sediziose – si tratti dello stadio, di villa Ada o della caserma Diaz.
Il problema è di polizia, oltre che di cultura, perciò occorre che i poteri pubblici facciano il loro dovere di prevenzione e che la scuola educhi, cose che spesso non fanno bene.
A pochi giorni da Villa Ada, c’è stata l’aggressione di Viterbo, dove cinque neofascisti hanno pestato a sangue uno studente universitario di 27 anni (4 punti di sutura all’arcata sopraccigliare e 3 alla bocca). Ma Viterbo non è una metropoli, non si conoscono i teppisti?.
Forse ci sono picchiatori ringalluzziti dai rilanci di Storace per la “cosa nera”. Alla quale, la politica replicherà politicamente, mentre la polizia dovrebbe replicare prevenendo cattive intenzioni e possibili fattacci.
Tipo l’uccisione a Focene, vicino Roma, quasi un anno fa, di Renato Biagetti.


 

Il Riformista 10-7-2007 La politica ridotta a misurare l’altezza degli scalini di Emanuele Macaluso


Io non so se il presidente del Consiglio e i suoi due vice, i due presidenti delle Camere, che sono autorevoli esponenti dell’Unione, e tutti i leader dei partiti governativi (sono molti!) in questi giorni hanno preso coscienza che la maggioranza politica non c’è più. Il problema che è emerso in questi giorni non è più quello dei Turigliatto o della senatrice altoatesina che, nel momento in cui sono chiamati a votare, non si sa se mettono in minoranza il governo, come è avvenuto. Né si tratta di sapere, come lascia intendere con la finezza politica che lo distingue il Cavaliere, se sul mercato c’è qualche senatore in vendita. La maggioranza non c’è perché su un tema essenziale che riguarda la politica di bilancio e la riforma del welfare (a spizzichi e bocconi) c’è una spaccatura tra chi si riconosce nel Pd, i pochi parlamentari della Rosa nel pugno da un lato e l’insieme di quel che si chiama “sinistra radicale” a cui ormai vengono associati i parlamentari della Sinistra democratica dall’altro. Non sottovaluto le sceneggiate di Di Pietro alla vigilia del voto sulla legge che ritocca la riforma Castelli sull’ordinamento giudiziario (un compromesso che nella sostanza raccoglie le posizioni dei magistrati), o quelle di Mastella sui Dico, ma la spaccatura di cui parlo ha un rilievo strategico per la coalizione. Il richiamo dei partiti dell’Unione al programma non ha senso perché si tratta di parole incollate l’una all’altra, senza un’elaborazione e senza progetti reali e condivisi.
La verità è che le forze politiche italiane non hanno elaborato strategie in relazione ai mutamenti “epocali” di cui tanto si parla. O meglio, si chiacchiera. Quando dai costruttori del Pd da una parte e dalla sinistra radicale dall’altra si sentono parole di sufficienza e sprezzo verso le socialdemocrazie europee c’è da restare interdetti. Ancora una volta (errare è umano, perseverare no) la sinistra italiana esalta una sua specificità, una separatezza dal socialismo riformista europeo: “da destra” il Pd, “da sinistra” i massimalisti. Ma si tratta solo di impotenza e velleitarismo bel misurarsi con il governo delle società aperte. Oggi sembra che il Pd difenda i giovani senza un domani e i massimalisti gli anziani che debbono andare in pensione. Ma né l’uno né l’altro, e tantomeno insieme, cioè l’Unione, ha elaborato una linea, un progetto complessivo di riforme del welfare.
I sindacati hanno certo le loro responsabilità (non quelle che attribuisce loro Scalfari), ma è anche vero che non sono stati chiamati a confrontarsi con un progetto in cui l’età pensionabile dovrebbe essere solo una parte e non il tutto. Oggi l’alternativa è: o lo scalone o gli scalini. E Prodi ha l’ultima parola sull’altezza e sul numero degli scalini. Penoso. In questa dialettica in negativo tra Pd e sinistra massimalista, l’uno alimenta l’altra, divisi tra chi sta con il “riformismo confindustriale” o il “conservatorismo operista”, oppure tra “governisti moderati” o “governisti estremisti”. La Sinistra democratica di Mussi avrebbe dovuto rompere questa dualità negativa collocandosi senza equivoci nell’area del socialismo riformista italiano ed europeo per renderlo più incisivo e in grado di stimolare, nei due schieramenti, contraddizioni e ripensamenti. Invece sembra che un fatto politico e traumatico come è stata la separazione dai Ds serva solo ad accrescere la cosiddetta sinistra alternativa rendendo così ancora più impotente e perdente la sinistra nel suo complesso. Volete o no riflettere e discutere?


 

L’Unità 10-7-2007 Il mito della linea Maginot Silvano Andriani

 

Patto di stabilità La pressante richiesta dell'Unione europea ad alcuni Paesi di ridurre il livello del deficit pubblico previsto e, soprattutto, di ridurre il rapporto tra debito pubblico e prodotto lordo è fatta certamente in applicazione del "Patto di stabilità", ma fa venire in mente l'impegno dei generali francesi nell'apprestare la linea Maginot quando pensavano di affrontare un'eventuale seconda guerra mondiale con le stesse tattiche con le quali avevano vinto la prima e finirono travolti dalle novità della guerra di movimento. Dall'epoca in cui il patto di stabilità fu concordato tra i paesi dell'Unione di allora la situazione dell'economia mondiale è sostanzialmente mutata e con essa sono cambiate le condizioni che possono generarne l'instabilità. La filosofia che anima il "Patto" deriva dall'orientamento formatosi in risposta alle grandi contraddizioni esplose negli anni 70 in seguito all'enorme aumento del prezzo del petrolio e alla rincorsa salariale verificatasi in molti Paesi

L' instabilità si manifestava attraverso l'esplosione dell'inflazione e dei deficit pubblici e le politiche economiche furono gradualmente indirizzate al controllo dell'inflazione ed al contenimento dei deficit pubblici. Quelle politiche hanno avuto successo e da molti anni ormai l'inflazione è sotto controllo e, almeno nell'area dell'Unione monetaria, grazie alle regole concordate, il livello del debito pubblico rispetto al Pil si è stabilizzato. L'instabilità tuttavia, non è scomparsa. Essa è andata manifestandosi, negli ultimi venti anni, attraverso le crisi finanziarie, cioè la formazione e l'esplosione di bolle speculative: negli ultimi venti anni se ne contano sei di grande portata. Le bolle speculative sono, in fondo, un'altra forma di inflazione, l'inflazione dei beni patrimoniali, che le statistiche ufficiali, però, non rilevano e della quale le politiche economiche finora non si sono occupate. Solo di recente la Banca Centrale Europea, distinguendosi da quella statunitense e seguendo gli orientamenti della Banca Internazionale dei Regolamenti, ha ammesso l'esistenza del problema ed ha assunto come principale indicatore della sua gravità il livello di indebitamento dei privati, visto la forte relazione che esiste fra questi due fenomeni. Il "Patto di stabilità" fissa dei limiti al livello accettabile dell'inflazione, dei deficit e dell'indebitamento pubblici. Non che esista, come si sosteneva, un rapporto automatico tra deficit pubblico ed inflazione, che i fatti hanno smentito, anche di recente: l'esplosione del deficit statunitense, dopo l'11 settembre, non ha avuto effetti apprezzabili sull'inflazione. Un effetto, a certe condizioni, tuttavia, può esistere e, comunque, un eccesso di indebitamento pubblico è un male perché menoma, in prospettiva, il funzionamento dello Stato e le possibilità di sviluppo e riversa il peso di questi limiti sulle generazioni future. Anche se sarebbe bene valutarne l'andamento non solo nel singolo anno, ma in un arco pluriennale per dare al bilancio pubblico la possibilità di contrastare eventuali fenomeni recessivi. Negli ultimi quindici anni, tuttavia, almeno in Europa, e soprattutto nell'area dell'euro, il fenomeno principale non è l'indebitamento pubblico, ma quello privato, soprattutto delle famiglie. A trainare questo processo sono i paesi anglosassoni: in Usa, Uk, Nuova Zelanda, Australia il livello di indebitamento delle famiglie è oltre il cento per cento del reddito disponibile, superando il record raggiunto alla vigilia della crisi finanziaria del 1929. E poiché dopo l'11 settembre tali paesi hanno aumentato anche i deficit pubblici, si è rafforzata la loro attitudine ad importare capitali dall'estero: oggi essi assorbono oltre il 90% dei flussi netti mondiali di capitale. Ma anche gli altri paesi europei stanno seguendo quella traiettoria ed il paradosso è che i principali finanziatori di questi paesi ricchi sono paesi relativamente poveri, come la Cina e l'India, nel quadro di uno sviluppo mondiale profondamente distorto. Con il "Patto di stabilità" si è stabilito, giustamente, che un eccesso di indebitamento pubblico è cosa cattiva. Ma non è detto che un eccesso di indebitamento privato sia cosa buona o meno cattiva. Irving Fisher fu un grande economista statunitense, uno dei sostenitori della "new economy" nella versione anni '20, giacchè pare che questa teoria, che sostiene la scomparsa del ciclo economico, si ripresenti puntualmente all'inizio di ogni nuovo ciclo economico. Quando i fatti, cioè la grande crisi degli anni '30, smentirono clamorosamente la sua teoria, egli analizzò quella crisi e ci ha dato di essa la spiegazione più accreditata, che individua nell'eccesso di indebitamento privato la causa principale della crisi finanziaria e della "grande depressione" che ne seguì. Oggi questo è il rischio principale, che il patto di stabilità non rileva e neanche la Commissione europea. E questo nonostante l'allarme ripetutamente dato dalla Banca internazionale dei regolamenti ed ora da una serie di banchieri centrali europei, tra i quali Draghi. Ma forse la più importante ammissione viene da Merving King, Governatore della Banca Centrale inglese, cioè di uno dei paesi che traina il fenomeno dell'indebitamento, che in un importante discorso dedicato alla necessità di riformare il sistema finanziario internazionale riconosceva che oggi l'elemento più critico da considerare è "...il rapporto fra gli asset ed i debiti sull'estero dei principali paesi industrializzati". La valutazione del concorso di ciascun paese alla stabilità o instabilità dell'economia mondiale dovrebbe essere misurata, allora, non dal solo livello dell'indebitamento pubblico, ma anche da quelli dell'indebitamento privato e del tasso di risparmio, in ultima analisi, dal livello di indebitamento sull'estero. Qualcuno ha provato a rielaborare le graduatorie con questo nuovo criterio ed il risultato è che paesi che, come l'Italia appaiono molto viziosi lo apparirebbero molto di meno e paesi che, come l'Inghilterra, appaiono virtuosi apparirebbero decisamente viziosi. Il prevalere ancora dell'idea che l'eccesso di indebitamento pubblico sia cosa cattiva e quello privato cosa buona, così come buona sarebbe la crescita trainata dall'aumento di consumi privati finanziati con indebitamento è il segno della perdurante egemonia cultuale neo-liberista di origine anglosassone e della sua ideologia. Un approccio riformista non può non misurarsi con questa dimensione dei problemi per tradursi in proposte di riforma delle istituzioni internazionali e del loro funzionamento.


 

La Repubblica 10-7-2007 Varsavia, a pezzi il governo kaczynski - Andrea Tarquini

 

I PUNTI è crisi nell'esecutivo nazional-populista: il partito contadino "Samoobrona" abbandona la coalizione con il suo leader Lepper Varsavia, a pezzi il governo Kaczynski gli alleati in Europa l'opposizione in Polonia Il premier caccia il vice accusato di molestie ed evoca il voto anticipato Lo sbocco più probabile sembrano elezioni anticipate a metà settembre Il primo ministro: "Non ho paura di presentarmi agli elettori" ANDREA TARQUINI dal nostro corrispondente BERLINO - Esplode a sorpresa la crisi politica in Polonia. La maggioranza parlamentare del governo nazionalpopulista dei gemelli Kaczynski è in pezzi: il partito contadino "Samoobrona" l'ha abbandonata, dopo il licenziamento del suo leader Andrzej Lepper da vicepremier. Il capo dell'esecutivo, Jaroslaw Kaczynski, ha apertamente evocato ieri sera elezioni anticipate: "Un governo di minoranza sarebbe totalmente inefficiente, e io non ho paura di presentarmi agli elettori", ha detto. Legislative anticipate a metà settembre appaiono lo sbocco più probabile della crisi. Tutto è cominciato nel tardo pomeriggio. Quando il premier Jaroslaw Kaczynski ha convocato il suo vice Andrzej Lepper, capo appunto di Samoobrona. Da tempo accusato di corruzione e molestie sessuali di giovani donne dipendenti. Nelle settimane scorse gli agenti speciali dell'ufficio anticorruzione hanno perquisito i suoi uffici e arrestato due suoi stretti collaboratori. Il faccia a faccia è stato duro, senza appello. "Jaroslaw Kaczynski in realtà aveva già deciso la mia sorte", ha detto Lepper uscendo. "Io sarei restato, ma adesso tutta la delegazione del mio partito uscirà dalla coalizione. Il governo non ha più una maggioranza". Poco dopo si dimetteva anche un altro ministro di Samoobrona, il responsabile dello sport Tomasz Lipiec. Il governo nazionalpopulista è al potere dalle elezioni parlamentari e presidenziali dell'autunno 2005, che avevano sancito la vittoria di stretta misura del Pis (Legge e Giustizia), il partito dei gemelli Kaczynski. Appunto Jaroslaw, il più dinamico e aggressivo, divenuto allora premier, e Lech, poi eletto capo dello Stato. Il Pis ha al Sejm (la Dieta polacca) 146 seggi, e governa insieme ai 46 deputati di Samoobrona e ai 29 dell'estrema destra della Lega delle famiglie polacche, guidata dall'altro vicepremier Roman Giertych e accusata di antisemitismo. "Le elezioni anticipate sono uno sbocco probabile", ha detto Jaroslaw Kaczynski. La crisi colpisce a metà mandato il più discusso, euroscettico e autoritario governo polacco dall'instaurazione della democrazia nel 1989 con la rivoluzione non violenta di Solidarnosc. I gemelli Kaczynski - che secondo molti allora, nell'89, furono colti da una crisi di gelosia e di voglia frustrata di potere quando il primo capo di governo democratico, Tadeusz Mazowiecki, li escluse dal suo gabinetto - ruppero con i padri della rivoluzione. Da quando sono al potere governano chiedendo liste nere di proscrizione, diffamando i loro avversari (Mazowiecki, Geremek, Michnik, lo stesso Walesa). Hanno appoggiato la discriminazione dei gay e di altre minoranze, tentano di assoggettare le istituzioni. Lo zloty, che Mazowiecki e il presidente Kwasniewski avevano agganciato al marco e poi all'euro, ha perso un quarto del valore, un milione di laureati sono emigrati. E in Europa, la linea dura all'ultimo vertice europeo - i brutali insultanti attacchi alla Germania della Merkel e i no a un'Europa politica forte e funzionante - ha isolato il paese che aveva avviato la caduta del Muro.


 

Il Giornale di Brescia  10-7-2007 Consob verso una "stretta" sulle banche Arriva la direttiva Mifid.

 

Nella relazione del presidente Cardia i temi dei conflitti d'interesse, delle commissioni e della governance Critiche al modello "duale" con i consigli di sorveglianza e di gestione MILANO Si avvicina la stretta Consob sulla politica delle banche italiane di "spingere" la vendita allo sportello dei prodotti finanziari con commissioni più alte o delle proprie obbligazioni, anche se queste rendono meno dei titoli di Stato. L'arma che permetterà alla commissione di scardinare l'uso di tali pratiche sarà l'arrivo della direttiva Mifid. Recepita nei giorni scorsi dal Consiglio dei ministri e in vigore dal prossimo 1° novembre. Uno strumento evocato più volte nella relazione sull'anno 2006 tenuta ieri dal presidente della Consob Cardia di fronte a oltre 400 esponenti della politica e della finanza. L'introduzione della Mifid permetterà di mettere i risparmiatori al centro dell'attenzione delle banche e assicurazioni spezzando il legame e il conflitto di interesse latente fra fabbrica e rete distributiva di proprietà dello stesso gruppo bancario. Una situazione che, secondo la Consob, ha permesso alle banche di realizzare ricavi importanti spingendo la vendita di obbligazioni strutturate, con maggiori rendimenti e rischi e commissioni di ingresso più elevate. SANZIONI - Lo scorso anno, reduce dalla dura lotta ai "furbetti" Cardia aveva chiesto più poteri e norme per combattere le illeciti richieste in gran parte accolte e che già danno i primi frutti sul fronte delle sanzioni (cresciute a 11,7 milioni di euro) e dei sequestri (40 milioni) anche se, secondo il presidente, va corretto il sistema delle oblazioni che permette di "patteggiare" e pagare una sanzione senza che la cosa sia resa pubblica. Consob punta inoltre a una sempre maggiore vigilanza preventiva, con la magistratura che dovrebbe intervenire solo in seconda battuta e nei casi più gravi. MERCATO - Le operazioni di fusione hanno ridotto il numero di sistemi piramidali e "scatole cinesi" ma il peso del fenomeno, tutto italiano, dei patti di sindacato nel 2006 è passato dal 16,5 al 22,3% della capitalizzazione complessiva della Borsa di Milano rendendo minore la contendibilità. GOVERNANCE - Il modello dualistico con un consiglio di sorveglianza e uno di gestione confonde piuttosto che separare i ruoli di gestione e di controllo, che nel modello tradizionale sono divisi in modo chiaro fra Cda e collegio sindacale. Cardia lancia un attacco diretto al sistema di regole societarie adottato da Intesa SanPaolo, Mediobanca e Ubi Banca e già finito sotto la lente di Bankitalia. Cardia propone, per migliorare il controllo nel duale, "l'affidamento delle funzioni di controllo, con i connessi requisiti, a uno specifico comitato costituito all'interno del consiglio di sorveglianza" e "l'attribuzione ad un membro di tale comitato del compito di assistere alle riunioni del consiglio di gestione". Parole "sostanzialmente condivisibili", rileva Corrado Faissola, presidente dell'Abi e vicepresidente del consiglio di gestione di Ubi Banca (Banca Lombarda-Bpu), uno degli istituti ad avere adottato la governance dualistica. Faissola ricorda, senza citare Mediobanca, che quella proposta da Cardia "è una soluzione che qualche gruppo bancario credo abbia già adottato"."È tutta materia che deve essere sperimentata", riconosce poi il banchiere. In materia di organi societari Cardia ha poi preannunciato obblighi di informazione e norme più stringenti per le società che presentano maggiori rischi di conflitti di interessi in operazioni con parti correlate ed è tornato a denunciare il fenomeno dell'"interlocking", ovvero la presenza nei consigli di amministratori che hanno cariche in altre società quotate, magari dello stesso gruppo.


 

Finanza e Mercati 10-7-2007 Banche poco chiare su rischio bolla

 

"Banche poco chiare su rischio bolla"  L'attuale situazione borsistica è molto florida, forse troppo. Per cui, oculatezza e chiarezza di informazioni nelle scelte d'investimento è d'obbligo. L'allarme su una correzione netta e pericolosa all'orizzonte, arriva dal presidente Consob, Lamberto Cardia che, ieri in Piazza Affari, nel corso dell'incontro annuale con il mercato finanziario, ha detto che "l'esperienza mostra come gli investitori individuali tendano a entrare nel mercato nelle fasi di crescita prolungata dei prezzi, cui spesso seguono riassestamenti, anche di forte intensità". Ora più che mai, dunque, le banche devono fornire ai clienti una buona consulenza al momento della scelta degli investimenti. Tuttavia, in base alle parole di Cardia, non sembra che questo avvenga. Anzi, gli istituti di credito stanno addirittura incanalando i capitali provenienti dal riscatto delle quote dei fondi comuni in prodotti di scarsa trasparenza, ovvero verso "polizze assicurative a contenuto finanziario" e verso "obbligazioni bancarie, spesso caratterizzate da strutture complesse e di più difficile valutazione". "Questa evoluzione - è l'affondo di Cardia - riflette, in larga parte, gli obiettivi delle reti distributive, che negli ultimi anni hanno visto privilegiare la vendita di prodotti finanziari a più elevati margini di rendimento per i distributori e funzionali alle strategie di finanziamento dei gruppi di appartenenza". Soprattutto riguardo ai bond bancari, la Consob ha notato che ben il 40% delle emissioni è rappresentato da strutturati, tanto che su questi " sarà ulteriormente sviluppata la vigilanza con il supporto di specifici modelli di analisi". Per Cardia, quindi, i motivi addotti dalle Sgr per spiegare il deflusso di capitali (primo fra tutti la tassazione sul maturato e non sul realizzato) servirebbero solo a nascondere una strategia di convogliare i capitali verso prodotti ad alta profittabilità (per la banca). Le cifre in gioco, d'altronde, sono enormi: da inizio anno il saldo dell'industria del gestito è negativo per 20 miliardi. Le responsabilità delle banche non finiscono qui: "L'evoluzione del mercato e del quadro normativo implica maggiori responsabilità e consapevolezza dei rischi assunti". Che non sono solo "fisiologici". Bensì, sul piano "patologico", possono richiamare "eventuali comportamenti non corretti da parte di fornitori e servizi finanziari". Per Cardia questi problemi possono essere risolti anche con "una diffusa cultura finanziaria". Ma soprattutto, ha concluso, "si avverte forte l'esigenza di favorire il ricorso degli investitori alle azioni risarcitorie dei danni".


 

Miaeconomia.it 10-7-2007 Mutui e penali sotto la lente dell'Antitrust

 

Mutui (10/07/2007) Bacchettata alle banche dall'Antitrust che sta lavorando per verificare se gli istituti stiano applicando correttamente le norme previste dal pacchetto liberalizzazioni. Un accertamento partito dopo le molte lamentele arrivate all'Authority, tra cui compare anche quella dello stesso presidente dell'Autorità per la concorrenza ed il mercato. Antonio Catricalà ha infatti precisato che anche a lui è stata chiesta per l'estinzione di un mutuo "una penale più alta di quella stabilita dall'accordo siglato a maggio scorso tra l'Associazione bancaria italiana e i consumatori". I reclami sono arrivati soprattutto dalle associazioni dei consumatori che hanno inviato una lunga lettera al garante per denunciare la mancata applicazione da parte delle banche delle norme contenute nei decreti sulle liberalizzazioni: dalla portabilità dei mutui a zero spese, all'adeguamento automatico dei tassi sui depositi alle decisioni della Banca centrale europea, passando per l'applicazione di penali ridotte sui mutui contratti prima di febbraio 2007, cioè prima del secondo pacchetto Bersani. Norma che ha abolito le penali per i nuovi mutui e ha lasciato ad Abi e consumatori il compito di ricondurre "ad equità" le commissioni sui vecchi mutui, contratti cioè prima dell'entrata in vigore del decreto. Un compito portato a termine con un accordo raggiunto a maggio che ha ridimensionato le percentuali richieste dalle banche per ripagare un prestito immobiliare prima del tempo pattuito. Catricalà ora si dice pronto ad approfondire la documentazione ricevuta e vedere se sono fenomeni diffusi o casi isolati. 0 voti - › Vota questa notizia ›.


INDICE 9-7-2007

La Stampa 9-7-2007  Ecco le "verità" del Sismi. Iraq, Libano, Israele: Pollari e le incomprensioni tra gli 007 e il governo GIUSEPPE ZACCARIA  1

La Repubblica 9-7-2007 IL RICATTO DELLO SPIONE GIUSEPPE D'AVANZO  2

L’Unità 9-7-2007 Dal Sismi a Telecom: tecnica di un colpo di mano di Marco Travaglio  3

Il Corriere della Sera 9-7-2007 Il modello bizantino Più liste per Veltroni, l'ennesima anomalia di  Angelo Panebianco  4

Il Riformista 9-7-2007  VELTRONI. LA CRISI NON È SOLO DI LEADERSHIP, È SOPRATTUTTO POLITICA Il candidato unico non può guarire il Pd DI UMBERTO RANIERI 5

 


 

+  AgenParl 9-7-2007 IN PRIMAVERA AL VOTO

Roma, 9 Luglio 2007 AgenParl – Dice Gianfranco Fini che anche Walter Veltroni è d’accordo sulla ineluttabilità dello scioglimento del Parlamento agli inizi dell’anno prossimo per portare in primavera gli elettori alle urne.
Che Fini e Silvio Berlusconi abbiano questo obiettivo non c’è dubbio. Ma è altrettanto certo che i loro parlamentari non condividono questa loro volontà.
Su ciò, e cioè sulla necessità di mandare avanti la legislatura, convengono i leader dell’Unione, ben sapendo che il voto anticipato segnerebbe la fine del Partito Democratico che si accingono a costituire.
Sembra ovvio che anche Veltroni debba sottostare alla volontà di quanti, pur se sarà lui il leader del Pd, di questo partito saranno più o meno dietro le quinte i veri padroni.
Secondo Fini, a Veltroni converrebbe persino la sconfitta elettorale del Pd in quanto gli consentirebbe di liquidare i boss diessini e margheritini e quindi di non doverne subire più i condizionamenti.

 

+  AgenParl 9-7-2007  SISMI: DI PIETRO, IL GOVERNO TOLGA SEGRETI DI STATO

Roma, 9 Luglio 2007 – AgenParl – "Alla luce di tutto quanto sta accadendo: Csm, Pollari, archivi segreti e quant'altro, chiediamo al Presidente del Consiglio di ripensare e rivedere il segreto di Stato, anche quello opposto nei confronti della magistratura di Milano per la vicenda Abu Omar". E' quanto dichiara il ministro Antonio Di Pietro a commento di quanto sostenuto da Pollari sulla necessità di una commissione d'inchiesta che lo liberi dal segreto di stato e poter così svelare i fatti di cui è ritenuto responsabile.
“Pollari – continua Di Pietro – anche nel caso Abu Omar, ha sempre dichiarato di aver agito per conto del Governo e nei limiti del mandato ricevuto. C'è necessità quindi di sapere – secondo Di Pietro – quale sia questo mandato e cosa è successo all'interno di quella vicenda, come  di sapere cosa c'è dietro la vicenda archivi segreti di Pio Pompa. Chiediamo pertanto, riguardo alla vicenda Abu Omar, che sia revocato qualsiasi segreto di Stato e ritirato il ricorso alla Corte Costituzionale. Questo – prosegue il leader dell'IdV – ci sembra un atto dovuto. Così anche Pollari, come dice oggi, può dire la sua e cioè se lui e i suoi collaboratori hanno agito negli interessi dello Stato o  fuori dai limiti istituzionali. C'è bisogno di sapere chi e perchè operò in quell'occasione e nella vicenda ultima degli archivi segreti relativi a magistrati e giornalisti redatti da Pio Pompa. Ora Pollari – continua l'ex P.M. – si propone di collaborare auspicando una commissione; ma collaborare è sempre un dovere, a meno che non sia l'occasione per buttare altro fango nei confronti dei servizi italiani. Per questo sono certo della necessità di una commissione d'inchiesta che valuti tutte le versioni dei fatti. Soprattutto sono convinto – è la conclusione di Di Pietro – che un funzionario dello Stato non può aver agito da solo ma, necessariamente, deve aver ricevuto indicazioni da qualcuno.

 


 

La Stampa 9-7-2007  Ecco le "verità" del Sismi. Iraq, Libano, Israele: Pollari e le incomprensioni tra gli 007 e il governo GIUSEPPE ZACCARIA

 

ROMA. Qualsiasi grande gioco di carte comincia con una smazzata, e quella di ieri è la prima smazzata di una partita che andrà avanti a lungo scoprendo «carte» sempre più scottanti. Nicolò Pollari affida alla confidenza col senatore Sergio De Gregorio i primi elementi di un mosaico che per completarsi avrebbe bisogno dell’esenzione dall’ex comandante del Sismi dall’obbligo al segreto di Stato e della nascita di una commissione d’inchiesta parlamentare.

E’ molto difficile che le cose si verifichino entrambe, ma in attesa di servire gli altri giocatori Pollari fa intravedere quali potrebbero essere i suoi primi punti. Documenti alla mano - l’Italia è un Paese di casseforti - è pronto a parlare della missione militare in Libano, a svelare come mai il Sismi abbia mancato per un soffio la liberazione dei due soldati israeliani prigionieri degli hezbollah, di come stesse per impedire la strage di Cana, dei riscatti pagati per il ritorno il libertà di Agliana, Cupertino, Stefio e di Giuliana Sgrena, nonché di ostaggi polacchi, inglesi e americani segretamente liberati in Iraq grazie alla rete di contatti del nostro servizio di sicurezza militare. Sarà bene ribadire ancora che questo è soltanto il primo giro, scontri ben più poderosi si attendono nei giri successivi però la prima lista di argomenti serve a far capire agli avversari che qui non sta bluffando nessuno. In base a ciò che l’ex direttore del Sismi confida a De Gregorio, prendiamo dunque in esame gli elementi di un «dossier» che potrebbe diventare sterminato qualora il gioco si facesse davvero duro.

«Inutili aperture a Hezbollah»
Nei mesi scorsi, dice Pollari, il Sismi ha più volte contrastato la decisione di inviare in Libano truppe italiane e lo ha fatto per iscritto, sottolineando problemi di sicurezza e di ordine politico. Nei documenti gli uomini del Sismi giudicano inutili e controproducenti certe aperture del governo verso gli «hezbollah» e inoltre hanno segnalato più volte che i nostri reparti sono stati schierati in zone particolarmente pericolose, dove possono sopravvivere senza gravi rischi solo grazie alla benevolenza dei guerriglieri di Hassan Nasrallah. In pratica oggi nel Sud del Libano saremmo politicamente e militarmente prigionieri di un movimento estremista. Seguiranno dettagli. La scorsa estate il Sismi aveva avvertito il governo che gli «hezbollah» cercavano di provocare una strage di civili piazzando loro unità a fianco di rifugi, come accadde a Cana. Il governo non avrebbe trasmesso l’informazione per tempo. Il 30 luglio un aereo israeliano bombardò per errore un rifugio in cui rimasero uccise 60 persone, fra cui 37 bambini.

La rete del Sismi all’estero
Secondo le rivelazioni di Pollari, pochi mesi fa la rete del Sismi era giunta a un passo dalla liberazione di Ihud Goldver e Aldad Righiz, i due soldati di Israele prigionieri del movimento di Nasrallah. «La cosa era praticamente fatta», riferisce De Gregorio, «ma poi non si è potuta attuare perché il governo italiano non ha agito come avrebbe dovuto». Non si capisce ancora il genere di atto che ci si aspettava dall’esecutivo. Pollari sarebbe pronto a fornire materiale inedito circa le liberazioni di Maurizio Agliana, Umberto Cupertino e Salvatore Stefio e della giornalista Giuliana Sgrena che proverebbe come siano stati pagati grossi riscatti. In un caso, pare il secondo, Berlusconi sarebbe intervenuto con il suo patrimonio personale per rendere possibile una liberazione in tempi brevi, anche se all’epoca il governo e il suo ministro degli Esteri Fini smentirono con decisione. Grazie alla rete del Sismi, nei mesi successivi sarebbero stati liberati anche ostaggi polacchi, inglesi e americani: la guerriglia sunnita si fidava soltanto dei nostri agenti.

Anche le attività della spia «Betulla», ovvero il giornalista Renato Farina, oggi radiato dall’Ordine, andrebbero rivalutate. Attraverso i contatti con il suo amico di «Al Jazeera» Imad El Atrache (oggi protetto in Italia) secondo Pollari Farina svolse compiti decisivi sotto il profilo umanitario. Circolano indiscrezioni su esponenti del radicalismo islamico ospitati segretamente in Italia per cure mediche. Estremisti islamici, non terroristi: rimane il fatto che da noi Al Qaeda non ha mai compiuto stragi.


 

La Repubblica 9-7-2007 IL RICATTO DELLO SPIONE GIUSEPPE D'AVANZO

 

Nicolò Pollari, appena ieri lo spione più amato dalla politica italiana, si dice "pronto a raccontare i misteri d'Italia dagli anni Ottanta ad oggi, nonostante l'atmosfera di regime". Non si accontenta delle stanze chiuse della commissione di controllo sui servizi segreti (Copaco). Sono troppo protette, dice, e i commissari vincolati alla riservatezza per quel che ascoltano e accertano. Insomma, da quelle stanze lo spione non può parlare "ai cittadini", come si è messo in testa di fare.

Pollari vorrebbe "chiarire" guidando lui il gioco. Ma ha già tre sedi per dire la verità: processo di Milano, procura di Roma e Copaco La Grande Spia tenta l'ultimo ricatto Caso Speciale e Csm hanno spinto lo scontro fuori dai "sotterranei" I precedenti Telekom e Mitrokhin insegnano: in una commissione d'inchiesta i parlamentari sarebbero alla mercè delle versioni di comodo (SEGUE DALLA PRIMA PAGINA) GIUSEPPE D'AVANZO Manco fosse un caudillo e non un funzionario dello Stato che, potentissimo agente segreto, ha lavorato nel "regime" e per "il regime". Curioso per uno spione, la segretezza è oggi un deficit per Pollari. Egli vuole che si sappia che cosa svela e insinua e manipola (è quel che solitamente gli riesce meglio). Attraverso un bizzarro "portavoce" (il senatore Sergio De Gregorio, che fa lo stesso mestiere per il generale Roberto Speciale) chiede allora la platea più visibile e sensibile, una illuminatissima commissione d'inchiesta parlamentare. Lo spione sa che ogni iniziativa politica, se agitata nello spazio mediale e con la voce dei media, può fare a meno di autenticità e fondatezza (basta ripensare alle commissioni Telekom Srbija e Mitrokhin). Alle prese di venti deputati e venti senatori che, si possono immaginare, inesperti dei metodi e delle strategie di un'intelligence così controversa, e addirittura non consapevoli della cronologia degli avvenimenti, Pollari avrebbe l'opportunità in prima battuta di scrivere a mano libera il copione. Di graduare, secondo necessità, il potere di pressione e di condizionamento che si è assicurato nel tempo intrattenendo rapporti non convenzionali con entrambi gli schieramenti politici. Che domande potrebbero fargli i quaranta parlamentari? Dovrebbero soltanto ascoltare la "sua" verità (a Pollari non piace avere contraddittori), le sue mezze verità e mezze menzogne e, in attesa di definire la fondatezza del suo racconto, un caos fangoso schiaccerebbe ogni possibilità di fare luce. E' la condizione che, per il momento, sconsiglia la commissione d'inchiesta, strumento che offre molte opportunità a chi deve spiegare che cosa ha combinato e molte poche a chi deve accertarlo. Appena l'altro giorno si diceva che il gioco sarebbe stato nelle mani degli spioni e non del Parlamento. E tuttavia chi poteva attendersi che le minacciose intenzioni di Pollari sarebbero venute allo scoperto, con tanta fretta, nell'allusiva forma del ricatto? L'iniziativa dell'amatissimo spione non è altro. E' un chiassoso ricatto che ha il pregio, per così dire, di rendere chiara e concreta qualche circostanza, anche a chi per convenienza o spensieratezza o arroganza finora l'ha negata. L'"agglomerato oscuro", legale e clandestino, nato nella connessione abusiva dello spionaggio militare (Sismi) con diverse branche dell'investigazione della Guardia di Finanza (soprattutto l'intelligence business) in raccordo con la Security di grandi aziende come Telecom e il sostegno di agenzie d'investigazione private che lavorano in outsourcing, si è "autonomizzato". Lavora per sé, secondo un proprio autoreferenziale interesse e non più, come nel passato, al servizio di questo o quell'utile politico, di questa o quella consorteria politica. La scandalosa deformità s'era già avvistata. Si immaginava però che il ritorno sul "mercato della politica" dell'"agglomerato" con la sua massa critica di potenziali ricatti si sarebbe consumato, come di consueto, in quei sotterranei dove le fragili "power élite" italiane si proteggono, si rafforzano, si difendono, si accordano. L'eterogenesi dei fini ha rotto lo schema. Lo scontro Visco/Speciale ha costretto il governo di centro-sinistra a dubitare del patto di non-aggressione tacitamente sottoscritto con il network spionistico. Il Consiglio superiore della magistratura, con il documento approvato con discrezione dal capo dello Stato, ha spinto il confine ancora più in là mettendo sotto gli occhi della società politica una minaccia per un democrazia ben regolata. Il ceto politico non ha potuto lasciar cadere, come d'abitudine, la questione e - pur nella diversità degli strumenti da usare - è stato costretto a impegnarsi a fare verità e chiarezza. Pollari, come ieri il fido Roberto Speciale, ha cominciato a vedere davanti a sé un tritacarne e la catastrofe. Se Speciale ha pensato di salvarsi sollevando un'inchiesta giudiziaria e quindi "giudiziarizzando" il conflitto con il governo, Pollari è stato costretto a venire allo scoperto abbandonando il "sotterraneo" dove si trova più a suo agio. Imputato a Milano e indagato a Roma, è stato costretto a "politicizzare" la sua avventura e il suo destino. Sollecita così, per i canali politici che ancora gli restano, la nascita di una commissione d'inchiesta che gli permette o di far saltare il tavolo o di ridurre al silenzio i suoi critici di oggi (e magari amici di ieri). Ora è evidente che il ricatto dello spione non può essere accettato. Deve essere accettata la sua disponibilità a testimoniare. Nicolò Pollari dica quel che sa, ma non gli sia consentito di farlo a ruota libera, senza alcuna regola, in un rapporto diretto con l'emotività dell'opinione pubblica, lontano da una pratica che sappia accertare fatti e responsabilità prima di giungere a un qualsiasi esito. Ci sono tre sedi in cui Pollari può liberare la sua ansia di verità (si fa per dire). Il Palazzo di Giustizia di Milano, dove è imputato per il sequestro di un cittadino egiziano. La procura di Roma che lo indaga per l'ufficio di disinformazione e dossieraggio di via Nazionale. Dinanzi all'autorità giudiziaria Pollari (come chiede) può liberarsi del segreto di Stato senza alcuna autorizzazione governativa, perché la Costituzione privilegia il diritto di difesa dell'imputato rispetto al segreto di Stato. Pollari può farlo dunque da subito. Lo faccia. C'è una terza sede, politica, istituzionale. E' il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. Chieda di essere ascoltato. Non c'è dubbio che lo ascolteranno di buon grado e con i tempi adeguati. In quel contesto, e con le opportune norme di riservatezza, le sue parole possono essere tenute nel giusto conto, analizzate, verificate. Il Copaco ha strumenti d'indagine limitati? Non ci vuole molto per rafforzarli (se il Parlamento vuole), ma per intanto il comitato ha competenza e la memoria (si vedrà se la voglia) per discernere, nel racconto di Pollari, il grano da loglio anche con il contributo della documentazione che saprà offrire l'ammiraglio Bruno Franciforte, oggi a capo del Sismi. Sempre che Pollari non si sia portato dietro l'archivio. Addirittura dagli anni Ottanta ad oggi.


 

L’Unità 9-7-2007 Dal Sismi a Telecom: tecnica di un colpo di mano di Marco Travaglio

 

/ Segue dalla prima Visto che i bersagli delle sue attenzioni entravano ipso facto nel mirino di Berlusconi e della sua band. L'episodio più grave tra quelli finora emersi, dunque il più ignorato da pompieri & minimizzatori, è quello rivelato due giorni fa da Francesco Grignetti su la Stampa: il falso dossier di Pompa per screditare l'allora capo del Sismi, ammiraglio Gianfranco Battelli, poi sostituito dall'amico (di Pompa e di Berlusconi) Niccolò Pollari. Un caso da manuale di "tecnica di un colpo di mano", che fa il paio con quello gemello avvenuto in casa Telecom negli stessi giorni dell'estate 2001: la prima estate del secondo governo Berlusconi. Anche lì si trattava di epurare la vecchia guardia per rimpiazzarla con la banda Tavaroli, gemellata col Sismi pollariano tramite Marco Mancini. E anche lì non si esitò a ricorrere al falso per agevolare il cambio della guardia: una finta microspia nell'auto dell'amministratore delegato Enrico Bondi screditò i vecchi 007, prontamente rimpiazzati dai Tavaroli Boys. Due bufale d'autore per spianare la strada, ai vertici dell'intelligence dello Stato e del colosso telefonico nazionale, a quella che un generale del Sismi definirà poi "la Banda Bassotti", ora indagata a vario titolo per sequestro di persona, dossieraggi illegali, peculato, associazione a delinquere e così via. Nell'agosto 2001 Berlusconi ha appena insediato il suo governo e già rischia di tracollare per la sciagurata gestione del G8 di Genova. Al Sismi c'è ancora Battelli, nominato dal centrosinistra dopo aver fatto il capo di gabinetto di Beniamino Andreatta, padre nobile dell'Ulivo e ministro della Difesa nel primo governo Prodi. Pollari scalpita nel suo ufficio di vicedirettore del Cesis (organo di coordinamento dei servizi) e intrattiene una fitta corrispondenza con l'"analista" Pio Pompa, segnalatogli dal comune amico don Luigi Verzè, il prete-affarista del San Raffaele che è una sorta di cappellano di Forza Italia. Pompa produce "report" a getto continuo sui presunti nemici del Cavaliere, un vero e proprio "network internazionale" da "disarticolare" anche con "metodi traumatici". Il nemico - avverte - si annida ovunque, financo a Palazzo Chigi, dove urge "bonificare". Cioè, anzitutto, cacciare l'ammiraglio Battelli, noto comunista, complice - secondo Pompa - delle manovre del "dispositivo" antiberlusconiano "tese a introdurre elementi di discredito e di depotenziamento della maggioranza. a seguito dei gravissimi fatti relativi al G8 e delle durissime polemiche sfociate nella costituzione del Comitato bicamerale di indagine conoscitiva". Il vertice Sismi (in una bozza dello stesso report, Pompa fa nome e cognome di Battelli) avrebbe addirittura "costituito una ristretta task force con il compito di produrre le prove circa la presenza di estremisti di destra negli incidenti di Genova". In pratica l'ammiraglio infedele starebbe trescando con l'ex maggioranza ulivista per sabotare il governo di centrodestra fabbricando una pista nera (Forza Nuova al posto dei No global) dietro ai Black Bloc "con l'intento di alleggerire la posizione di difficoltà dell'opposizione offrendole argomenti in grado di accrescerne il potere contrattuale nei confronti del governo, costringendolo a mediare sulle decisioni che investono i vertici di polizia e dei servizi di sicurezza". L'appunto, fondato sul nulla, è della fine di agosto del 2001. Il 27 settembre Berlusconi decapita i servizi: al Sismi esce Battelli ed entra Pollari, con Pompa al seguito. Intanto l'operazione si ripete pari pari alla Telecom. Qui la patacca non è un dossier fasullo, ma una cimice-bufala. Protagonista il trio Tavaroli-Mancini-Cipriani (quest'ultimo un investigatore privato fiorentino amico di Gelli e intimo dei primi due). Secondo il gip milanese Paola Belsito, che li ha arrestati in blocco, Mancini come numero 2 del Sismi "acquisiva nell'ambito del suo ruolo istituzionale informazioni che trasmetteva a sua volta a Tavaroli, il quale le veicolava sull'investigatore Cipriani, retribuito dalle aziende di Tavaroli con cospicue somme di denaro". Prova regina della triangolazione: una "bonifica fasulla fondata su argomenti assai seri e convincenti" che consentì a Tavaroli di "acquisire un potere ancora maggiore" con l'"azzeramento dei vertici della security Telecom". Nell'estate 2001, quando Tronchetti Provera acquista la Telecom, Tavaroli è capo della security Pirelli. Ma, com'è ovvio, aspira a mettere le mani sulla prima compagnia telefonica del paese, che gestisce pure le intercettazioni per conto dei giudici. Ma Telecom una security ce l'ha già, diretta da Piero Gallina sotto la supervisione del segretario generale Vittorio Nola. Il primo deve saltare per far posto a Tavaroli e ai suoi boys, il secondo perché bolognese e dunque ritenuto un pericoloso "prodiano". Detto, fatto. Occhio alle date. Il 31 luglio 2001 il Cda Telecom nomina Enrico Bondi amministratore delegato. Il 7 agosto il top manager noleggia un'Audi A8 e avverte interferenze sospette nell'autoradio. Se ne occupa l'autista di Tronchetti Provera che, anziché affidare l'auto alla sicurezza Telecom, si rivolge a Tavaroli (Pirelli). Questi lo manda a Firenze all'officina Verzoletto, legata all'amico Cipriani. E qui, puntualmente, il 21 agosto viene trovata la presunta microspia. Tronchetti sporge denuncia contro ignoti, viene aperta un'inchiesta, la security Telecom - additata come incapace di proteggere da intrusioni i nuovi vertici del gruppo - è delegittimata: il 10 settembre Nola e Gallina si dimettono: al loro posto arriva Tavaroli, con 500 uomini, budget e poteri illimitati. Il 15 settembre la Polis d'Istinto fabbrica un dossier zeppo d'illazioni e veleni su Prodi e Nola a proposito di presunti finanziamenti occulti al Professore camuffati da attività promozionali della Telecom. Solo cinque anni più tardi, indagando sul fallimento della Verzoletto, si scoprirà che la cimice era fasulla (un telefono cellulare smontato, senza display, tastiera e involucro esterno e dotato di un'antenna e un cavetto artigianale) e, per giunta, a infilarla nell'auto di Bondi era stata la stessa ditta indicata da Tavaroli per la "bonifica". La tecnica del colpo di mano la racconterà ai pm milanesi nel 2006 Lorenzo Baroncelli, esperto in bonifiche ambientali della Verzoletto Spa: "Il 20 agosto sera Verzoletto ci disse di prepararci a bonificare una macchina che sarebbe arrivata il mattino seguente. Il mattino seguente in laboratorio Verzoletto ci disse che la bonifica avrebbe portato a trovare una microspia di sicuro, ma io mi chiesi come poteva fare a saperlo visto che tra l'altro tutte le bonifiche che avevamo fatto fino a quel momento non avevano mai trovato un tubo. Ma il mio collega mi disse: 'Fava, la microspia la piazziamo noi'. A quel punto ci disse di fare finta di diventare operativi e cominciamo a lavorare su questa Audi A8 con operazioni solo tese a perdere del tempo in modo che l'autista potesse essere allontanato con la scusa di un caffè. A quel punto la microspia fu piazzata nella plafoniera della luce di cortesia. Al ritorno dell'autista, Verzoletto affermò che la microspia era stata ritrovata: si trattava di un cellulare sgusciato di quelli che preparavamo in laboratorio. ". Fu così che nel settembre 2001, mentre Pollari e Pompa s'insediavano al Sismi, Tavaroli si installò alla security Telecom. La Banda Bassotti aveva preso il potere. E non era la sola.


 

Il Corriere della Sera 9-7-2007 Il modello bizantino Più liste per Veltroni, l'ennesima anomalia di  Angelo Panebianco

 

 

Il sistema politico italiano soffre di una frammentazione partitica esasperata. Questa frammentazione, come chiunque può constatare, ci condanna all'ingovernabilità e, alla lunga, può anche compromettere il futuro della nostra democrazia. Non è quindi un ragionare per paradossi sostenere che la sorte del costituendo Partito democratico dovrebbe stare a cuore anche a coloro che non ne condividono le proposte e non hanno intenzione di votarlo. Insieme alla raccolta di firme in corso per il referendum sulla riforma elettorale, la costituzione del Partito democratico è infatti, attualmente, la sola iniziativa tesa a invertire la tendenza, a ridurre quella dannosa e pericolosa frammentazione. Se il Partito democratico diventerà la formazione più forte e vitale del centrosinistra, una riaggregazione si verificherà certamente anche a destra. E di queste riaggregazioni la nostra democrazia necessita oggi più di qualunque altra cosa. Ma i primi passi del nascente Partito democratico non sono stati felici. Dopo l'entrata in scena di Walter Veltroni, si sono subito delineati due orientamenti. Il primo è proprio di coloro ai quali nulla interessa di riaggregazioni nel sistema politico (e poco anche della capacità di durata del Partito democratico). Costoro sperano solo di avere trovato in Veltroni un leader capace di battere Berlusconi. Punto e basta. Se poi Veltroni vince e non riesce a governare a causa del permanere della frammentazione è cosa che non li riguarda. Per questo costoro sono pronti anche ad avallare qualunque stravaganza. Essendo l'Italia un Paese fantasioso che fa sempre cose diverse da quelle che fanno gli altri, ecco la «stravaganza» che è stata immaginata. Si fanno primarie rigorosamente finte (sarebbe un bis, dopo quelle fatte a suo tempo con Prodi).

Veltroni, appoggiato dagli apparati dei Ds e della Margherita e dai loro leader, e magari anche sfidato per finta da qualche candidato di comodo, viene plebiscitato. Il plebiscito lascerebbe l'amaro in bocca a molti militanti che hanno creduto sinceramente nel Partito democratico, ma che importa?: l'unica cosa che conta è l'attesa ricaduta mediatica e propagandistica dell'evento. Contemporaneamente, si lanciano tutte le possibile e immaginabili «liste per Veltroni» in modo che gli organi di partito vengano occupati dalle varie correnti, grandi e piccole, che si vanno nel frattempo costituendo. Il partito che nascerebbe non avrebbe alcuna vitalità (non ci sarebbe nessuna vera fusione fra le forze politiche che lo hanno tenuto a battesimo) ma, ancora una volta, che importa?: l'unica cosa che conta è che esso regga almeno fino alla conclusione della campagna elettorale. Esiste però anche un secondo orientamento, caldeggiato, dentro e fuori il Partito democratico, dalle persone serie, vuoi per genuina adesione ai valori politici che il Partito democratico potrebbe rappresentare, vuoi per ostilità alla frammentazione del sistema partitico. È l'orientamento di chi non si augura false partenze né bizantinismi, né stravaganze, né coreografie da socialismo reale. Di chi auspica primarie autentiche, uno scontro vero per la leadership (e, altrettanto importante, per il controllo di tutti gli organi centrali del partito) fra candidati con proposte almeno in parte divergenti. Perché solo da uno scontro vero, dalla lotta politica (non dai calcoli e dalla pianificazione di chi controlla gli apparati), possono nascere quel generale rimescolamento delle carte e quella autentica fusione in grado di dare vitalità all'impresa.

09 luglio 2007


 

Il Riformista 9-7-2007  VELTRONI. LA CRISI NON È SOLO DI LEADERSHIP, È SOPRATTUTTO POLITICA Il candidato unico non può guarire il Pd DI UMBERTO RANIERI


Forse è opportuna una riflessione più attenta, da parte dei gruppi dirigenti promotori del Partito democratico, sulle tendenze che sembrano prevalere nella convulsa vicenda politica italiana. Il rischio è che l'operazione che ha condotto in queste settimane alla candidatura di Veltroni con l'obiettivo di aprire una nuova e più espansiva prospettiva al Partito democratico possa rapidamente ridimensionarsi; che i nodi politici irrisolti (che hanno condizionato il primo anno di vita del governo Prodi) si ripropongano prepotentemente in vista di una sorta di resa dei conti distruttiva nella maggioranza. Sbaglierò ma ho la sensazione che, rispetto a tendenze in atto che muovono le cose in questa direzione, i riformisti del centro sinistra subiscano gli eventi, quasi incapaci di reagire sul piano politico. Eccessivo pessimismo? Vediamo.
Lo stato di difficoltà politica e di crisi di comunicazione del governo è purtroppo evidente. A me pare enorme che, nel volgere di appena un anno, si siano erose, in misura consistente, le sue basi di consenso e che, su questo dato, non si rifletta a sufficienza. Quasi fosse possibile aggirarlo. La verità è che all'origine delle difficoltà del governo non c'è tanto, né solo, una crisi di leadership. È una interpretazione consolatoria quella che riduce tutto alla presunta debolezza di Prodi. I nodi sono di fondo. È la configurazione politica assunta dal centro sinistra che stenta a reggere alla prova delle scelte necessarie per affrontare i problemi aspri e duri con cui deve fare i conti il paese. Per dirla senza mezzi termini (e rischiando qualche semplificazione) la sinistra massimalista condiziona eccessivamente la capacità di innovazione e di decisione del governo. Questo comporta inevitabilmente, su alcune questioni oggetto di negoziati tra le parti sociali e il governo, l'irrigidimento del sindacato che non intende (né può) lasciarsi scavalcare da gruppi della estrema sinistra. Esemplare di questo problema è lo stallo sulla delicata vicenda delle pensioni. Certo, l'alleanza con le componenti radicali della sinistra è resa inevitabile dall'attuale legge elettorale. Si tratta tuttavia di uno stato di necessità le cui conseguenze andrebbero attenuate dalla impronta riformista che sull'azione del governo dovrebbero imprimere le forze impegnate nella costruzione del Partito democratico. La verità è che questo, finora, non è avvenuto con la limpidezza necessaria per timore che una visibilità riformatrice esplicita ostacolasse la continuità del rapporto con la sinistra estrema.
Questa è la chiave per intendere la natura dei problemi in cui si dibatte l'esecutivo. Si tratta di un circolo vizioso in cui il centro sinistra rischia di avvitarsi e che potrebbe condurre, inevitabilmente, alla paralisi o alla implosione. Cosa fare? Qui ritorna il nodo del Partito democratico e della candidatura di Veltroni. Il bel discorso di Walter a Torino segna una marcata assunzione di valore dell'identità riformista del Pd. Veltroni appare consapevole che occorre lavorare perché i riformisti diventino realmente il motore di un nuovo centro sinistra impegnato a realizzare le riforme di cui il paese ha bisogno. Decisivo tuttavia è che vi sia, in chi si candida a guidare il Pd, la volontà di affrontare anche l'impopolarità, se necessario, per difendere un progetto di cambiamento. Che non si abbia timore di distinguersi visibilmente dai luoghi comuni e dai tabù conservatori della vecchia sinistra massimalista. Ma c'è un aspetto particolarmente delicato di cui occorrerebbe discutere in vista delle primarie. La nuova formazione politica deve rappresentare un fattore di stimolo nell'attività del governo evitando di appiattire il proprio profilo su quello dell'attuale maggioranza. Occorre per esempio che il Partito democratico si mostri pronto a lavorare perché il Parlamento provveda ad approvare una nuova legge elettorale ma non abbia timore, se ciò (come purtroppo è probabile) non accade, a sostenere gli obiettivi del referendum; non abbia timore a promuovere il rilancio delle riforme economiche e sociali necessarie per il Paese e sostenga coraggiosamente misure innovative ed eque per la riforma del sistema previdenziale, ispirando a principi di solidarietà non assistenziale le proposte di riforma del welfare state.
Ecco perché, oltre l'illustrazione di una piattaforma politica (come efficacemente ha fatto Walter a Torino) occorre un'indicazione concreta delle riforme da realizzare. La stabilità del governo infine è solo una delle obbligazioni cui deve tendere il Partito democratico. L'altra è elaborare una cultura politica propria, distinta dalla semplice identificazione con il “Patto di maggioranza”. È un percorso arduo di cui non mi nascondo le difficoltà. Ma a me pare, al punto cui sono giunte le cose, obbligato. Ed è partendo da queste considerazioni che c'è da chiedersi se non sia un errore l'assenza, nelle primarie, di una competizione aperta tra candidature diverse. Io penso che lo sia. La estrema difficoltà politica dell'impresa, più che una unità rituale di facciata che dura lo spazio di un mattino, imporrebbe un dispiegarsi di candidature e progetti diversi nel quadro di regole chiare e condivise. L'argomento secondo il quale o si è portatori di piattaforme del tutto alternative o non è il caso di presentarsi, come ha dimostrato efficacemente Michele Salvati, non regge. Non capisco perché non ci si renda conto di quella che a molti pare una elementare verità.

 

 


 

INDICE 8-7-2007

Il Giorno 8-7-2007 NEI PALAZZI DEL POTERE ABITA I nostri politici? Lussi, sprechi, buste paga astronomiche. E di LORENZO BIANCHI 1

La Stampa 8-7-2007 Tra i tanti documenti sequestrati nell'archivio occulto di via Nazionale c'è anche uno scartafaccio in doppia forma (scritto dapprima a penna, poi battuto a macchina) che non ha davvero nulla a che vedere con Internet e i ritagli di giornale. 2

L’Unità 8-7-2007 I pestati del G8: "Le telefonate? Solo una parte dell'orrore" Paolo e Gabriele erano in piazza a Genova: "Non avevamo fatto nulla Portati in caserma e massacrati dai carabinieri. Ma nessuno pagherà" di Maristella Iervasi. 3

La repubblica 8-7-2007 Economia La ripresa minacciata da quattro tempeste La crescita mondiale dipende dal prezzo del petrolio, dai tassi di cambio, dal costo del denaro e dalle Borse  4

Trentino 8-7-2007 Don Milani, la scuola e le cronache attuali 5

La Repubblica 8-7-2007 "obbedirò al pontefice ma è un giorno di lutto si cancella la riforma" - Orazio La Rocca  6

L’Unità 8-7-2007 Splendori e miserie di trent'anni di Consob  6

 


 

Il Giorno 8-7-2007 NEI PALAZZI DEL POTERE ABITA I nostri politici? Lussi, sprechi, buste paga astronomiche. E di LORENZO BIANCHI

 

 ROMA  BENVENUTI nel paese di Bengodi, dei miracoli, delle spese folli per la rappresentanza politica. Giuseppe Bortolussi, segretario della Camera delle imprese artigiane di Mestre, tira fuori da una cartelletta di recente costituzione una tabella dalla quale risulta che l'europarlamentare italiano straccia, quanto a stipendio medio, tutti i suoi colleghi degli altri paesi dell'Unione. Nel 2005 ha guadagnato 149.215 euro contro i 105 mila attribuiti al parlamentare austriaco, gli 84.108 incassati dal germanico e gli 82.380 appannaggio del rappresentante del Regno Unito. Da Bruxelles a scendere è tutto un imitare. Gli eletti nell'assemblea regionale siciliana, passetto dopo passetto, sono arrivati a tallonare i senatori. Il contagio dilaga in tutte le istituzioni. Prima di essere defenestrato il governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio incamerava un emolumento che era quasi il doppio di quello percepito dal suo pari grado Alan Greenspan, guida indiscussa della Fed americana. Nei palazzi del potere abita una razza marziana che si sente autorizzata a tutto. Secondo Mario Deveg, un affidabile appassionato di internet e di calcoli, a Montecitorio siede una giovane deputata che, se verrà rieletta altre due volte, potrà andare in pensione nel 2024 a 50 anni con un assegno di 8433 euro mensili. A un altro componente dell'assemblea è riuscito un miracolo di moltiplicazione dei pani e dei pesci. Ad appena 42 anni è già un ex e riscuote 101.460 euro ogni dodici mesi, avendo versato in quattro legislature 222 mila euro. Alla faccia di chi si dibatte nella stretta dello scalone. I DUE RAMI del Parlamento pesano sulla tasca di ogni cittadino italiano 5,76 volte di più di quanto incidano negli Usa, 2,13 volte la quota sostenuta da un inglese, il doppio dell'onere sulle spalle di un francese, 3,5 volte l'obolo chiesto ai tedeschi. Bortolussi gira il coltello nella piaga mostrando un secondo schema. Le camere e la presidenza della Repubblica in Italia sono costati nel 2006 un miliardo e 927 milioni di euro, contro i 932 milioni della Francia, i 696 della Spagna e i 443 della Gran Bretagna. Fra le uscite di Montecitorio e di Palazzo Madama, Deveg scopre misteriose lievitazioni di costi. Nella scorsa legislatura le spese della Camera per il noleggio di automezzi si sono impennate del 357 per cento. Al Senato sono esplosi la voce "vestiario di servizio" (più 140,8 per cento) e il capitolo previdenza (più 159 per cento). Calando per i rami della rappresentanza politica i punti oscuri si moltiplicano. Perché, si chiede Bortolussi, l'assemblea regionale siciliana costerà, nel 2007, 156 milioni di euro, il triplo esatto di quella Veneta (52) e quasi quattro volte il consiglio dell'Emilia Romagna (42)? Anche il numero dei dipendenti per abitante è una variabile impazzita. Si balza dagli 0,39 della virtuosa Lombardia ai 2,79 del Molise. Italia paese di santi e di funamboli. Confservizi, la confederazione degli enti e delle aziende che gestiscono i servizi pubblici locali, ha scoperto una stima molto singolare. Fra il 2001 e il 2006 le società di capitale che forniscono servizi pubblici locali sono aumentate del 119,5 per cento. Nulla di male se nello stesso periodo i dipendenti non fossero cresciuti solo del 2 per cento. La facile conclusione è che è sceso in campo solo un esercito di consiglieri di amministrazione. In media sono sei per azienda. Le 3211 imprese registrate nel 2005, nella stragrande maggioranza pubbliche, hanno distribuito circa 18 mila gettoni di presenza. A questa poderosa falange si deve aggiungere l'esercito dei consulenti esterni. Secondo il dipartimento della Funzione Pubblica nel 2004 sono costati 1.097 milioni di euro. Dulcis in fundo, le contestatissime province. Mario Deveg ha calcolato che in un solo anno, fra il 2004 e il 2005, il loro personale, comprendendo i co.co.co e i consulenti, sia aumentato del 16,3 per cento. Bortolussi quantifica: "Il costo della politica è pari ad almeno 10 miliardi di euro all'anno. Insomma quasi una finanziaria". Deveg è meno ottimista. La sua stima è di 16 miliardi e 376 milioni. Pari, ricorda, al 2,4 per cento del bilancio dello stato.


 

La Stampa 8-7-2007 Tra i tanti documenti sequestrati nell'archivio occulto di via Nazionale c'è anche uno scartafaccio in doppia forma (scritto dapprima a penna, poi battuto a macchina) che non ha davvero nulla a che vedere con Internet e i ritagli di giornale.

 

Vi si racconta di un vero e proprio complotto che almeno quattro magistrati di Milano (Edmondo Bruti Liberati, Francesco Greco, Gherardo Colombo, Armando Spataro) avrebbero architettato ai danni del governo Berlusconi, in combutta con una giornalista della "Stampa" (Chiara Beria d'Argentine) e con due illustri politici diessini (Luciano Violante e Massimo Brutti). Il report di Pompa risale alla metà di agosto 2001. In tutta evidenza, dato che fa parte della serie "Aree di sensibilità", è uno tra i tanti documenti che l'analista di via Nazionale inviava in quei giorni a Nicolò Pollari, ancora vicesegretario generale del Cesis ma in procinto di diventare direttore del Sismi. Pio Pompa comincia subito con il rivendicare meriti che evidentemente ancora non gli riconoscevano. Da settimane aveva segnalato che occorreva prendere le misure del fronte antiberlusconiano e infatti, guarda caso, ecco che a metà agosto segnala le prime avvisaglie di un'offensiva mediatico-giudiziaria contro Berlusconi e i suoi. Scrive: "Come a suo tempo prefigurato, da fonti certe e sicure, puntualmente abbiamo avuto conferma che tali fasi preparatorie sono già state avviate, fidando, anche, nell'indubbio ulteriore vantaggio rappresentato dai gravi fatti accaduti nel Paese e soprattutto dalle difficoltà anche decisionali che ne sono derivate per il governo". I "gravi fatti" sono il G8, i tafferugli, la morte di Carlo Giuliani, lo choc per le violenze alla Diaz. Ma ecco, complice la disattenzione che Pio Pompa stigmatizza, che i nemici di Berlusconi hanno preso a muoversi nell'ombra. "Nella mattinata di sabato 11 agosto, presso la struttura giudiziaria di una città del Nord, è pervenuta la richiesta da parte di un noto esponente Ds (on. Brutti) di essere posto in contatto con un magistrato di quella sede (Bruti Liberati)". Il Politico e il Magistrato, dunque. C'è da registrare subito la smentita di entrambi. Dice il senatore Massimo Brutti: "Ho verificato. Trattasi di pura invenzione e posso dimostrarlo. In quei giorni, dopo essere caduto in Aula, avevo un piede ingessato e sono stato sempre a Capalbio. Il gesso l'ho tolto a Roma il 16 agosto. Mai stato a Milano in quei giorni". Nega anche Bruti Liberati, che ha scoperto nei giorni scorsi, da altro documento, di essere stato pedinato in quell'11 agosto: "Ero in sede e in effetti incontrai i colleghi Greco e Colombo al bar interno". Ma la storia è soltanto ai primi passi. "Poco dopo una giornalista (Beria d'Argentine) ha chiesto se l'esponente Ds avesse preso contatto". Nella versione manoscritta, la formulazione era leggermente diversa: "Ha chiesto informazioni se l'esponente Ds avesse inoltrato tale richiesta". Bell'esempio di prosa burocratica. Anche Chiara Beria d'Argentine smentisce e promette querele: "E' una stratosferica, ignobile bufala. In quei giorni non ero neppure a Milano, ma in vacanza. Se ne occuperanno i miei avvocati". E non è finita. Pio Pompa registra che un secondo giudice sta sulle spine per quest'incontro. "La stessa domanda è stata formulata da altro magistrato (Francesco Greco)". Quando finalmente i protagonisti della congiura sono assieme, ecco svelata la trama. "La stessa mattina, sono stati prelevati i fascicoli giudiziaria, riguardanti personaggio politico di primissimo piano, per essere fotocopiati e esaminati nell'ufficio del magistrato competente (G. Colombo). Tali movimenti corrispondono perfettamente al disegno di accelerare le azioni aggressive in presenza del dispositivo predisposto da un noto ex magistrato che si ripropone in tutta la sua pericolosità (e chi se non Luciano Violante? ndr) in assenza totale di iniziative di contrasto e disarticolazione". Il "complotto svelato" da Pio Pompa, però, è ben più articolato. C'è un fronte aperto a Roma, presso il Consiglio superiore della magistratura, dove è in azione un altro "pericoloso" giudice antiberlusconiano. "A seguito della presa di posizione di alcuni magistrati (su iniziativa di Spataro) circa la necessità di un giudizio di merito del Csm sulla riforma del diritto societario prima della sua discussione in Parlamento, è stato costituito un team di cui fanno parte elementi di spicco del dispositivo". Già, riecco il temibile "dispositivo". Un incubo ricorrente. "Si sta attivando per la riconversione dei capi d'accusa che coinvolgono un personaggio politico di primissimo piano".


 

L’Unità 8-7-2007 I pestati del G8: "Le telefonate? Solo una parte dell'orrore" Paolo e Gabriele erano in piazza a Genova: "Non avevamo fatto nulla Portati in caserma e massacrati dai carabinieri. Ma nessuno pagherà" di Maristella Iervasi.

 

GABRIELE G. clicca e riclicca quel tasto. Ascolta e riascolta su Internet l'audio delle telefonate dei poliziotti alla Questura, depositate al processo per le violenze del G8 di Genova. E scuote la testa: "Alcuni pezzi, certi frasari mi sono noti: è come se me li sentis- si ripetere ancora oggi addosso. Ma la realtà di quel che è accaduto a Genova non traspare più di tanto. Il clima in quei giorni di luglio - sottolinea - era davvero pesante". Gabriele nel 2001 si era appena diplomato e l'occasione di partecipare al G8 non voleva perderla. Così, tesserato di Rifondazione a Palermo, partì in treno con loro. "Mi ero equipaggiato bene - racconta -: anfibi, giubotto di salvataggio e gli occhiali della Fincantieri presi in prestito dal mio papà operaio". Aveva dormito allo stadio Carlini e la mattina dopo partecipò al corteo. "A metà corteo, quasi all'altezza di via Tolemaide mi ero staccato dal gruppo per vedere cosa accadeva in testa, dove i manifestanti avevano gli scudi in plexigas. I carabinieri che erano di fronte non volevano che proseguissero oltre, loro invece avanzavano. Così ecco la prima carica e il fuggi-fuggi generale. Io non mi sono mischiato, ho cercato riparo in una traversa laterale. Ma era una strada senza uscita. C'era un ferito sanguinante e un'infermiera che lo medicava, mi chiese aiuto ed io mi fermai. Ma all'improvviso arrivò un carabiniere e mi prese: "Tu vieni con me", mi disse. Poi ne arrivarono altri, che urlavano: "Chi posso prendermi?"". E nella lotteria la sorte cadde su Paolo F., impiegato di Pavia, arrivato al G8 di Genova solo per scattare qualche fotografia. Hanno subito lo stesso girone dell'inferno Paolo e Gabriele, senza conoscersi. Entrambi vegono fatti salire su un furgone e lì comincia un saliscendi di uomini in divisa che sputa, li insulta, li picchia. Solo l'inizio di un calvario, "mentre una voce urlava in una ricetrasmittente: "Sì aquilotto, chiama la canna. Li ho presi tutti io...". Poi le perquisizioni e i documenti. E per Gabriele le vessazioni diventano sempre più pesanti. ""Sei un comunista di merda", mi dicevano - racconta il ragazzo -. Un "terrone comunista figlio di operai"... E giù botte e manganellate allo stomaco senza pietà. Avevano sul telefonino "Faccetta nera" e si misero a cantarla in coro addosso a me". Storie di chi quei giorni di violenza li ha vissuti sulla propria pelle. Storie di chi è stato arrestato ingiustamente e ha denunciato l'Arma senza alcun esito. Come Paolo: "Non voglio dimenticare perchè voglio verità e giustizia. La mia vicenda personale è stata archiviata e mi è stato negato il risarcimento per l'ingiusta detenzione di tre giorni. Ma vorrei che la Benemerita finisse sotto processo. Invece il battaglione Lombardia che mi arrestò e il comando della caserma provinciale Forte S. Giuliano dove io e tanti altri fummo pestati, insultati e minacciati sono usciti indenni". Oggi Paolo ha 43 anni e fa parte del Comitato verità e giustizia per il G8. Nella carica di via Tolemaide cercò una via di fuga, ma finì nella stessa stradina cieca di Gabriele. Racconta: "Un uomo in divisa continuava a ripetermi: "a te ti conosco, ti ho visto a Napoli..." Non ero un no-global, una tuta bianca. Ero vestito normalmente, di strano avevo solo un paio di occhialetti da piscina". E dalle 14.20 di venerdì 20 luglio fino alla mezzanotte restò nelle mani della Benemerita. Poi in carcere a Pavia, fino al lunedì successivo. Il furgone con Paolo e Gabriele si ferma davanti alla questura per oltre un'ora. Dentro, vengono "buttate" anche altre persone. Poi riparte in direzione della Fiera, dove "i miei testicoli assaggiarono il cuoio degli anfibi di un militare". Ma il racconto degli orrori non si ferma qui. "C'erano marascialli alla Fiera con il viso mascherato da passamontagna che ci minacciavano - racconta Gabriele. Eravamo ammanettati e ci dicevano: "Adesso vi facciamo la festa, vi mettiamo in gabbia con i cani"". Poi l'"ordine" di spostarsi alla caserma di Forte S. Giuliano, sede del comando provinciale dell'Arma che ricevette la visita di Fini e del responsabile della sicurezza Ascieto. "Ci sembrava una liberazione - conclude Paolo -. Invece... manganelli, sputi e pugni ad ogni passo nei corridoi. Fino al tormento di un uomo in abiti borghese, con tanto di orecchini e capelli lunghi lisci: ci segnava con le sue mani in faccia il segno della croce e mentre un suo amico ci teneva fermi, ci sferzava pugni chiusi sulle tempie".


 

La repubblica 8-7-2007 Economia La ripresa minacciata da quattro tempeste La crescita mondiale dipende dal prezzo del petrolio, dai tassi di cambio, dal costo del denaro e dalle Borse

 

In questo momento non esiste nel mondo un solo analista, esperto o economista che non sia pronto a giurare sulla solidità e sulla tenuta della ripresa europea. Anzi, tutti si spingono anche oltre. E spiegano che quest'anno l'Europa andrà molto meglio dell'America. Se infatti sul Vecchio Continente la crescita sarà almeno del 2,7-2,8 per cento, negli Stati Uniti sarà difficile andare più in là del 2,3 per cento (se ci si arriverà). Insomma, l'Europa non solo va più forte dei cugini di oltre Atlantico, ma li batterà di un buon 0,5 per cento. Questo risulta persino da un sondaggio a cui hanno partecipato una dozzina delle più grandi banche d'affari del mondo e i cui risultati sono stati pubblicati nell'ultimo numero dell'Economist. Questo diffuso clima di opinioni (molto positivo) spiega anche perché a ogni sondaggio (con qualche eccezione italiana) invariabilmente tutti, imprenditori e consumatori, si dicono ottimisti e fiduciosi. E in effetti nulla sembra poter mandare a rotoli questo 2007 d'oro, per l'Europa. Insomma, sembra di sentire dire: se questo sarà un po' un anno "no" per l'America, che sia un anno "sì" per l'Europa. In realtà, se poi si va a frugare fra le carte di queste stesse banche internazionali, si vede che tutte queste grandi certezze non ci sono. I pericoli esistono e sono anche corposi. La congiuntura europea, come tutte le congiunture, non è affatto blindata e sicura al 100 per cento. E la cosa dovrebbe riguardare da vicino proprio noi, l'Italia, che di essa stiamo approfittando in misura molto parziale. Siamo la nave più lenta del convoglio e quindi, in caso di tempesta, saremo anche la prima che si inabisserà. Ma esistono possibili tempeste all'orizzonte? Qualcuno (gli economisti di Goldman Sachs) ha provato a farne un piccolo elenco, dal quale risulta che le tempeste che potrebbero abbattersi sulla congiuntura europea sono almeno quattro: forte rialzo dei tassi di cambio, forte ribasso della borsa cinese e/o americana, forte rialzo del prezzo del petrolio, stretta del credito. Gli esperti di Goldman Sachs, dopo aver fatto questo elenco, spiegano che secondo loro la tempesta più temibile è forse l'ultima, e cioè la possibilità che il costo del denaro in Europa salga ancora (causa inflazione), mettendo così in difficoltà le imprese in un momento delicato. Però nemmeno le altre tempeste sono da sottovalutare. Ad esempio, nella prima parte dell'anno la congiuntura europea ha perso chiaramente e nettamente di velocità, e un po' tutti hanno attribuito questo fatto all'improvvisa debolezza del dollaro e alla troppa forza dell'euro (evento che, ovviamente, penalizza le nostre esportazioni). Il tasso di cambio, cioè, gioca ancora un ruolo molto pesante in un'economia come quella europea che vive soprattutto (purtroppo) di esportazioni e che non sa rilanciare la propria domanda interna. Con quasi mezzo miliardo di consumatori (contro i 300 milioni dell'America) l'Europa non dovrebbe aver bisogno di nessuno e dovrebbe poter vivere il proprio benessere indipendentemente da quello che accade "fuori". Ma non è così, perché la domanda interna (la spesa dei cittadini) ristagna. Quindi il tasso di cambio è una porta attraverso la quale potrebbe entrare la crisi in ogni istante. La seconda possibile tempesta, l'eventuale rialzo del prezzo del petrolio, non ha quasi bisogno di commenti. Se si esclude la Francia, che ha una fortissima dotazione nucleare, il resto del Vecchio Continente ha una enorme dipendenza dal petrolio e quindi qualsiasi cosa accada su quel mercato pesa su di noi, e molto. Per quanto riguarda l'Italia, che va quasi solo a petrolio (grazie alla "lungimiranza" dei nostri ambientalisti), si sa che i grandi broker internazionali nei loro computer hanno addirittura dei programmi automatici: come sale il petrolio, si vendono i titoli della Borsa italiana perché è ovvio che i costi delle aziende italiane saliranno troppo. La terza tempesta, eventuale crollo della Borsa americana e/o cinese, si spiega da sé. Ne deriverebbe una grossa turbativa sui mercati internazionali e nelle varie congiunture. Con conseguenze devastanti per l'economia di un continente come quello europeo che vive bene soprattutto se gli altri sono in buona salute (poiché è un paese esportatore). La quarta tempesta (giudicata come quella più grave, e più probabile), e cioè la stretta del credito con il rialzo dei tassi, è in un certo senso già nei fatti. La Banca centrale europea va avanti da circa un anno a aumentare di 25 basis point ogni tre mesi i tassi di interesse. E ogni mese, quando fa la sua riunione standard, dice sempre la stessa cosa: attenti all'inflazione, saremo costretti a intervenire ancora più duramente e lo faremo, siatene certi. Un po' tutti i governi (a partire dal presidente francese Sarkozy) protestano, ma la Bce di Jean-Claude Trichet ha il potere di fare quello che dice e lo farà davvero. Quindi c'è solo da sperare che l'inflazione covi sotto la cenere senza esplodere davvero. In caso contrario, tempesta assicurata. E a quel punto non resterà che gettare le scialuppe di salvataggio a mare, e sperare che qualcuno (ma chi?) ci raccolga.


 

Trentino 8-7-2007 Don Milani, la scuola e le cronache attuali

 

Attualità Don Milani, la scuola e le cronache attuali Sollecitato dagli articoli di Nicola Zoller e di Franco de Battaglia apparsi sul quotidiano "Trentino" il 28 giugno, mi permetto di inviare la presente lettera di don Lorenzo Milani con alcune mie brevissime considerazioni. Io credo che il messaggio di fondo da scoprire in don Milani sia racchiuso prima di tutto nella sua chiara testimonianza di vita (un prete che dona tutta la sua vita per la promozione umana, culturale e religiosa dei suoi ragazzi); vada ritrovato in alcune intuizioni di fondo che hanno orientato il don Milani educatore; volere bene ai ragazzi per entrare in sintonia con loro e, attingendo alle loro potenzialità, camminare nella ricerca della verità (questo vuol dire essere laici). Il cantiere-scuola sia aperto a tutti, senza steccati di sorta. "La libera e pari concorrenza" farà emergere le esperienze migliori, darà respiro profondo a chi ama non tanto la scuola statale o la scuola paritaria, ma a chi ama semplicemente la scuola e i ragazzi che la vivono. Umberto Giacometti TRENTO La lettera di don Milani cui monsignor Giacometti si riferisce è datata Barbiana, 9 marzo 1961, ed è stata pubblicata integralmente su "Avvenire" del 28 gennaio 2000. Il contesto in cui si colloca appare ormai lontano. L'Italia era ancora un paese contadino di emigrazione, con tanti figli. La grande ondata di industrializzazione e urbanizzazione doveva ancora verificarsi, il Concilio era solo nella mente di Giovanni XXIII, la Chiesa presidiava il territorio, con un parroco in ogni paese, mentre la scuola di stato era ancora di selezione professionale, non di integrazione sociale, come sarebbe diventata di lì a poco, con la scuola media unificata. Alle medie si studiava il latino (come del resto al seminario minore) e l'alternativa erano le post-elementari. Nonostante questa diversità di contesto ed una prosa passionale, segnata dalla coerenza antiborghese, antimercatista (anti-usura, anti-speculazione) dei grandi romanzieri cattolici ("Diario di un curato di campagna" di Francois Mauriac) o dalla prosa dei polemici "convertiti" come Giovanni Papini, i temi sollevati da don Lorenzo Milani risuonano attuali. Aiutano a far capire come nel confronto fra scuola statale e scuola paritaria, vadano salvaguardati i diritti dello studente e le qualità dell'insegnante, non le ideologie. Merita riportare alcuni passi della lettera, come spunto per un dibattito che deve continuare, anche se va rimarcato il rischio costante di usare vecchie parole per esporre realtà profondamente mutate. I paesi, ad esempio, sono stati spogliati delle loro scuole anche pubbliche (difficile sostenere che i centri scolastici siano stati un successo) mentre la scuola cattolica non ha quasi più preti come insegnanti. Per cui la precarietà di troppe cattedere supplenti, che don Milani giustamente denuncia come carenza della scuola pubblica, è oggi diventata un problema anche della scuola paritaria. Non solo le insegnanti laiche, giustamente, si sposano e hanno figli, anche quelle cattoliche, e si può ben dire che in questo - un grave problema per ogni percorso scolastico - scuole private e pubbliche siano veramente "parificate". Ma vediamo la lettera, scritta ad Aldo Capitini, direttore del piccolo periodico umbro "Giornale Scuola", nella quale don Milani rivendica innanzitutto le sue ragioni nei confronti di due vertenze che lo oppongono alla scuola di stato. "Nella prima (contro l'Insp) si tratta - scrive - di riconoscere ai barbianesi il diritto di mandare i ragazzi a scuola "qui" e riscuotere egualmente gli assegni". Pare cronaca d'oggi, con la Provincia che chiude le piccole scuole decentrate. La seconda vertenza "è ora sul punto di maggior incandescenza". "I miei ragazzi organizzano lo sciopero della scuola elementare di stato ogniqualvolta la supplente arriva a scuola in ritardo. Lo sciopero consiste nel far venire i bambini a Barbiana, dove uno dei miei ragazzetti si improvvisa maestro. Verso le 9.30-10 arriva la supplente e viene a cercare i ragazzi. I bambini, imperturbabili, seguono le loro lezioni senza alzare la testa. Il direttore ha minacciato il 6 in condotta e conseguente bocciatura e l'intervento dei carabinieri contro gli organizzatori. Il pretore, che è quel Marco Ramat che scrive spesso sul "Mondo", nobilissima figura di laicista, è stato qui ieri, ed è costretto a darci ragione..." Un altro punto toccato è l'estrazione sociale dei ragazzi delle diverse scuole: "A Firenze l'unica scuola socialmente progredita è una scuola di preti, la Madonnina del Grappa. Il fatto che lo stato, con i soldi dei contribuenti, non l'aiuti è semplicemente scandaloso. La Madonnina ha 1200 allievi, dei quali non un solo figlio di papà. Anche la scuola di Barbiana, con 20 allievi, e non un solo figlio di papà, non ha nessuna sovvenzione, ma anzi aperta opposizione. Scandalose sono le scuole clericali di lusso di Firenze, ma mai quanto le scuole di stato che (...) servono da propaganda padronale, dove non regna nessuna libertà di idee, ma solo conformismo". Il linguaggio si fa forte. "Fogna", è un termine ricorrente. Un conto - scrive - è parlare di come le scuole di stato e dei preti "dovrebbero essere", un conto di come sono: "E' meglio l'amore di Dio dei preti o l'idea dello Stato, o del bene comune"? La risposta: "Questi sono sogni senza costrutto, perché né preti, né laici potranno mai fare nulla di perfettamente puro, e sarà dunque meglio lasciare che si perfezionino quanto possono gli uni e gli altri, possibilmente senza difficoltà economiche, in libera e pari concorrenza".


 

La Repubblica 8-7-2007 "obbedirò al pontefice ma è un giorno di lutto si cancella la riforma" - Orazio La Rocca

 

L'INTERVISTA/1 Monsignor Brandolini, della commissione liturgica della Cei "Obbedirò al Pontefice ma è un giorno di lutto Si cancella la riforma" Quanta tristezza, ho un nodo alla gola e non riesco a trattenere le lacrime ORAZIO LA ROCCA CITTà DEL VATICANO - "Oggi per me è un giorno di lutto. Ho un nodo alla gola e non riesco a trattenere le lacrime. Ma, obbedirò al Santo Padre perché sono un vescovo e perché gli voglio bene. Tuttavia, non posso nascondere la mia tristezza per l'affossamento di una delle più importanti riforme del Concilio Vaticano II". In effetti, trattiene a fatica le lacrime, monsignor Luca Brandolini, vescovo di Sora-Aquino-Pontecorso e membro della Commissione liturgica della Cei (Conferenza episcopale italiana), quando gli si chiede un commento sulla reintroduzione della Messa in latino tridentina. "Per favore non chiedetemi nulla, non voglio parlare, perché sto vivendo il momento più triste della mia vita di sacerdote, di vescovo e di uomo". Monsignor Brandolini, perché così contrariato? "è un giorno di lutto, non solo per me, ma per i tanti che hanno vissuto e lavorato per il Concilio Vaticano II. Oggi è stata cancellata una riforma per la quale lavorarono in tanti, al prezzo di grandi sacrifici, animati solo dal desiderio di rinnovare la Chiesa". Il ritorno facoltativo al rito tridentino rappresenta quindi un pericolo per la Chiesa? "Speriamo di no. In futuro si vedrà, ma intanto oggi una importante riforma del Concilio è stata minata". Perché è così toccato dalla decisione presa da papa Ratzinger? "L'anello episcopale che porto al dito era dell'arcivescovo Annibale Bugnini, il padre della riforma liturgica conciliare. Io, al tempo del Concilio, ero un suo discepolo e stretto collaboratore. Gli ero vicino quando lavorò a quella riforma e ricordo sempre con quanta passione operò per il rinnovamento liturgico. Ora il suo lavoro è stato vanificato". Lei, quindi, non accetterà il "motu proprio" di Benedetto XVI? "Obbedirò, perché voglio bene al Santo Padre. Verso di lui nutro lo stesso sentimento che prova un figlio verso il padre. E poi, come vescovo sono tenuto all'obbedienza. Ma in cuor mio soffro molto. Mi sento come ferito nell'animo e non posso non dirlo. Comunque, se qualcuno della mia diocesi mi chiederà di poter seguire il rito tridentino non potrò dire di no. Ma non credo che succederà, perché da quando sono vescovo di Sora-Aquino-Pontecorvo non c'è stato mai nessuno che abbia espresso un desiderio simile. Sono certo che in futuro sarà sempre così".


 

L’Unità 8-7-2007 Splendori e miserie di trent'anni di Consob

 

L'Autorità di controllo della Borsa e le società tra retaggi del passato e la sfida delle nuove tutele di Angelo De Mattia N on siamo all'età dell'oro della Consob, né è alle viste un nuovo Pericle (regolatore-controllore). Ma rispetto ai primi passi della Commissione compiuti alla metà degli anni '70, sembra oggi di essere in un'altra era. Per rappresentare la situazione di allora, basta ricordare che dopo la costituzione e l'avvio dell'attività con personale distaccato (lo erano anche i commissari, uno dei quali era il giudice Squillante, protagonista della cronaca per lunghi anni), la Consob aveva un solo telefono collocato in uno spazio comune e non disponeva di alcuna risorsa finanziaria e organizzativa. Non poteva che vivacchiare. Il progetto di costituzione di una autorità che sorvegliasse le società e il mercato borsistico era stato a lungo oggetto di riflessione e di studi da parte di autorevoli giuristi (uno per tutti, Bruno Vicentini). Si era cercato di allocare le progettate funzioni di controllo nella Banca d'Italia, ma Guido Carli ritenne che non fosse opportuna una commistione con le attribuzioni di una banca centrale, organo di vigilanza, tesoriere dello Stato: così l'idea fu abbandonata. E' all'inizio degli anni '80, con l'infornata dei professori promossa da Andreatta ai vertici di banche e istituzioni di governo dell'economia, che alla testa della Consob cambia aria: arriva Guido Rossi, forte della sua eccezionale preparazione, dei suoi studi e dell'esperienza comparatistici, ma anche del desiderio di cimentarsi nella direzione di un organismo allora gracile, e perciò bisognoso di tante cure e di molta dedizione. Il vento nuovo si avverte; l'opera della Consob, in quel periodo, si incrocia con le vicende dell'Ambrosiano di Calvi; ne nasce anche una querelle con la Banca d'Italia. Di lì a poco, compaiono sul mercato i titoli atipici, prodotti innanzitutto dalle carenze della legislazione. Dopo viene emanata la prima, sia pure incerta, disciplina legislativa dei fondi comuni d'investimento. Si avverte - e il primo a farlo è Rossi - la mancanza di regole che presiedano alle trasformazioni e innovazioni finanziarie. Lanciata da Rossi, compare per la prima volta la formula "mercato uguale a un suk". Ne scaturisce un lungo dibattito, dalle forti ricadute pratiche. E' possibile, metaforicamente, vendere uova marce o no? C'è chi risponde di sì, ma a patto che mercato e operatori siano adeguatamente informati. Chi dice no vuole un ruolo della Consob di ingerenza nel merito delle operazioni. E' il tema che enuclea una filosofia dei controlli e che conserva una sostanziale attualità. Rossi, nonostante le diffuse pressioni e le pubbliche denunce, non ottiene ciò che considera essenziale: una Consob con personale tutto proprio, con uno statuto di autonomia, con congrue risorse organizzative ed economiche. Se ne inferisce che non si vuole che essa funzioni come dovrebbe, e il professore milanese sbatte la porta e va via. E' solo a metà degli anni '80, dopo una grigia gestione dell'ex ragioniere generale dello Stato Milazzo, che la Consob consegue - presidente Franco Piga - una legge di riforma che le conferisce attribuzioni e risorse. E' merito anche della commissione Finanze della Camera, allora presieduta da Giorgio Ruffolo e composta da parlamentari di particolare competenza, che sul riordino della Consob si impegnò a fondo. Da quel momento, la Commissione, allora di via Isonzo, può decollare. Si registra l'exploit della Borsa e dei borsini; si diffonde il fenomeno dello yuppismo, con una visione rampante della vita, non solo finanziaria. Non si può più dire che mancano i poteri di controllo. E tuttavia, il mercato finanziario, nel suo complesso, viene ancora considerato un far west. La Consob cerca di fare del suo meglio, anche se non mancano errori, ritardi o infortuni. Eppure nell'ordinamento italiano non sono ancora presenti, per nominarne alcune, le discipline dell'insider trading, dell'Opa, delle società di intermediazione mobiliare (Sim), dei gruppi societari. La telematica non si è ancora diffusa. Per l'insider trading fioriscono i riferimenti alla corrispondente disciplina e giurisdizione Usa. Sono citati spesso i casi Chiarella, un tipografo condannato per aver utilizzato le informazioni contenute in un avviso societario da stampare, e quello di uno psicanalista che aveva utilizzato notizie attinte dalla moglie di un manager in analisi e conseguentemente era intervenuto per operazioni di Borsa: anch'egli condannato. Stanno per nascere il mercato dei titoli di Stato e quello dei depositi. Si manifesta l'esigenza di un'opera costituente per la finanza nel suo complesso, credito e mercato finanziario. Arriverà il Testo Unico Bancario del '93, saranno introdotte le leggi sull'insider trading, sulle Sim, sull'Opa; verrà prima, e rifluirà, poi nel testo unico, la disciplina della trasparenza bancaria. Per le aziende di credito si aprirà, negli anni '90, la fase del risanamento e della grande riorganizzazione. Con la legge sulle Sim - che segna anche l'inizio della fine del ruolo degli agenti di cambio - si opera la prima, importante distinzione di competenze tra Banca d'Italia, preposta ai controlli di stabilità, e Consob, cui è affidata la tutela della trasparenza e della correttezza dei comportamenti. La presidenza Piga - un eccellente giurista - vive tra contrasti, ombre ma anche approvazioni. Opaca la successiva direzione di Bruno Pazzi: frequente, durante il suo mandato, il richiamo alla "bicicletta" - i maggiori poteri acquisiti - e alla necessità di "pedalare", esercitandoli appieno. In questo contesto la qualità del personale cresce progressivamente. Le successive gestioni, a partire da quella di Berlanda, danno impulso all'authority, mentre si riduce quella che in passato era stata una costante lamentela per la carenza di poteri. Il Testo Unico della Finanza del '90 comunque accresce e sistematizza le attribuzioni della Commissione. Ritorna il dilemma tra interventismo e più accentuata terzietà; tra spostamento dell'asse verso l'azione ex ante e quella ex post. C'è chi vorrebbe sospingere la Consob a valutare il merito delle scelte dei soggetti vigilati, secondo un'impostazione neodirigistica. Centrale è l'informativa al mercato, agli operatori, ai cittadini, e centrale è il ruolo dell'autorità perché l'informativa sia la più completa possibile. Oggi, con la presidenza Cardia, la lunga traversata raggiunge una vetta con i poteri ulteriormente rafforzati dalla legge sulla tutela del risparmio, che, in una ragnatela di rapporti con l'Istituto di via Nazionale, a volte confusa e incoerente e perciò bisognevole di revisione, estende l'area delle attribuzioni della Consob. I poteri in materia di insider trading e di market abuse sono di natura paragiurisdizionale, se non propri della giurisdizione: grande è la responsabilità dell'esercizio. Non si può dire che il legislatore, che non accolse a suo tempo lo sconclusionato disegno della superConsob, sia stato avaro. Per di più, la gamma delle funzioni potrà essere ancora estesa se giungerà ad approvazione il disegno di legge sulla riforma delle autorità che prevede la soppressione di Isvap e Covip, con il trasferimento delle loro competenze, secondo il criterio delle finalità, a Bankitalia e a Consob. La proposta di legge non mette certo in forse l'autonomia delle authority come qualcuno ha sostenuto. Frattanto, presso la Commissione, si sta introducendo una nuova procedura di conciliazione nelle liti tra investitori e intermediari. Ora è al fare che bisogna guardare: rem teme, verba sequentur. La visione giuridica è curata con attenzione. Ci sarebbe bisogno di un maggiore confronto con le imprese e i soggetti del mercato, senza venire meno alla terzietà, così come di una più intensa opera di segnalazione dei ritardi dell'ordinamento (non più, ovviamente, nel conferimento di funzioni alla Consob). I poteri ispettivi debbono essere sviluppati. Al centro dev'essere collocato il tema della tutela del risparmiatore, spesso contraente debole, attraverso l'attivazione delle attribuzioni in materia di trasparenza e correttezza. Attenzione particolare merita la situazione degli azionisti di minoranza. A livello europeo avanzano i processi di integrazione degli organi di controllo: è un versante nel quale si dovrebbe accelerare, come anche recenti vicende societarie dimostrano essere necessario. Sono maturi i tempi per una visione nella quale diritto ed economia si sintetizzino meglio. La gestione delle discipline ex direttiva Mifid e poi di quella sull'Opa esigerà un maggiore impegno. La Consob ha superato i trent'anni; ha la stessa età che aveva Bankitalia quando divenne unico istituto di emissione (nel 1926). Il cammino percorso è stato non agevole. Ma, nel complesso, gli anni vissuti non stati portati male e, considerato che le risorse umane di cui dispone sono di prim'ordine e di sicura dedizione, la Consob può dirsi proiettata sulla via di ulteriori avanzamenti, per affermarsi come magistratura economica.


INDICE 7-7-2007

+  Il Corriere della sera 7-7-2007  Il retroscena La caccia dei pm nell'archivio del Sismi   I magistrati vogliono verificare se quei documenti sono stati catalogati Giovanni Bianconi 1

L’Unità 7-7-2007 "Ferite da taglio? No, teste aperte a manganellate" Le telefonate dei poliziotti nelle trascrizioni depositate al processo per le violenze del G8 di Luca Domenichini 2

La Repubblica 7-7-2007"Magistrati fiancheggiatori dei no global" I dossier Sismi sulla guerra in Iraq: saldatura tra Md e gli antagonisti i documenti Accuse gravissime in occasione del congresso di Magistratura democratica "La vicinanza tra giudici e no war porterebbe a non applicare i codici" Dopo la svolta a sinistra dell'Anm: si istiga avversione contro il governo Berlusconi CARLO BONINI 3

La Repubblica 7-7-2007 L'ANALISI Quei dossier ad uso dei governi GIUSEPPE D'AVANZO  4

Europa 7-7-2007 Rinaldi, i grandi spiriti laici se ne vanno resta l’Italia del “facite ammuina” FEDERICO ORLANDO RISPONDE  6

Il Riformista 7-7-2007 Bush resta solo ma non molla di Anna Momigliano  6

 


 

+  Il Corriere della sera 7-7-2007  Il retroscena La caccia dei pm nell'archivio del Sismi   I magistrati vogliono verificare se quei documenti sono stati catalogati Giovanni Bianconi

 

 

Prima del ministro della Difesa è stata la Procura di Roma a chiedere informazioni al nuovo Sismi sui «dossier anti-giudici», e non solo su quelli. Due settimane fa, mentre convocava Pio Pompa, il pubblico ministero Pietro Saviotti ha scritto al vertice del Servizio segreto militare. Il magistrato vuole sapere se agli atti dell'archivio, e in particolare a quelli del direttore, ci siano documenti o informazioni di qualsiasi tipo riferibili all'attività (illecita, secondo l'accusa) contestata agli indagati, cioè Pompa e il generale Nicolò Pollari, nel periodo 2001-06. L'obiettivo è di scoprire se le informazioni raccolte nell'ufficio distaccato di via Nazionale e trasmesse a Pollari sono stato effettivamente ricevute ed eventualmente catalogate o classificate. Che uso ne è stato fatto, insomma. Il servizio segreto militare non ha ancora risposto. Qualcosa hanno detto, invece, gli indagati. Prima Pollari, che l'altra sera è comparso in tv per dire che i computer da cui sono usciti di dossier erano di Pompa e non del Sismi; poi lo stesso ex consulente, che ieri ha depositato in Procura una nuova «dichiarazione spontanea» per tentare di precisare alcuni questioni. Naturale però che gli inquirenti non possano fermarsi di fronte a queste versioni difensive. «A ulteriore conferma del fatto che non si possa parlare di patrimonio informativo riservato/ segreto detenuto illegittimamente — sostiene Pompa a proposito della copia dell'archivio di via Nazionale che gli è stata trovata nell'ultima perquisizione — rilevo che si tratta di materiale informativo elaborato sulla base di notizie tratte da fonti aperte (organi d'informazione, internet, ecc.), custodito in personal computer di mia esclusiva pertinenza, e non formato mediante l'impiego di risorse del Sismi». In realtà, a leggere i documenti si scopre che molti traevano origine da attività diverse dal semplice lavoro ai computer. «Ambiti qualificati, di elevata affidabilità, hanno riferito circa la verosimile predisposizione di una ulteriore iniziativa mediaticogiudiziaria in pregiudizio del presidente del Consiglio e dell'on. Dell'Utri», è l'incipit di un appunto dell'ottobre 2002. «Persona di sicura affidabilità ha ritenuto di dover segnalare ulteriori, allarmanti elementi di pericolosità », riferisce il report compilato grazie alla fonte-magistrato non ancora individuata. Per non parlare del presunto «anonimo» (di cui esistono versioni manoscritte, dattiloscritte e computerizzate) sull'ipotetica struttura anti-Berlusconi, composta da magistrati e politici, da «disarticolare» e «neutralizzare », che con internet sembra avere poco da spartire. O dello schema sui presunti rapporti dell'ex capo della polizia De Gennaro con esponenti della finanza e delle telecomunicazioni.

Lo stesso appunto dedicato al generale Tricarico, con riferimenti anche a Prodi e ai generali Cucchi e Mosca Moschini, si apre con la frase: «A seguito delle informazioni assunte in merito alla questione riguardante Rik», cioè lo stesso Tricarico. Che fine hanno fatto questi documenti? Sono stati ricevuti e utilizzati in qualche modo dall'ex direttore del Sismi? E se no, perché il suo consulente continuava a produrre e inviare al direttore quel tipo di informative? Nell'ultima memoria consegnata al magistrato dagli avvocati Titta e Nicola Madia, Pompa afferma di non saperlo: «Nei computer personali conservavo un patrimonio di informazioni di mia esclusiva pertinenza. Quando ritenevo che una mia analisi potesse essere oggetto di interesse per il Sismi, e solo in questo caso, la trasmettevo agli organi deputati al suo impiego. Ignoro quale seguito avessero le mie analisi, se e come venissero verificate, reputati utili», conclude Pompa che aggiunge: «Di conseguenza nei miei pc personali non potevano essere memorizzate informazioni riservate/segrete, giacché la classificazione era un'operazione non di mia competenza, eventuale e successiva all'inoltro del documento e devoluta ad altre articolazioni del Servizio, di cui non venivo messo in alcun modo a conoscenza». L'ex funzionario del Sismi, quindi, sostiene che nel suo archivio non c'erano segreti. Ma un anno fa non rispose alle domande degli inquirenti milanesi «per adempiere al proprio dovere giuridico e morale di mantenere la massima riservatezza sulle proprie attività e sulle attività del Servizio, sempre nell'intento di tutelare la sicurezza nazionale». La verifica presso gli archivi ufficiali del Sismi potrebbe dare risposte un po' più certe. Anche se difficilmente chiarirà come e perché, tra i documenti di Pompa c'era un appunto con sette domande che sembrano predisposte in vista di un'audizione della commissione parlamentare d'inchiesta sull'affare Mitrokhin.

 

07 luglio 2007


 

L’Unità 7-7-2007 "Ferite da taglio? No, teste aperte a manganellate" Le telefonate dei poliziotti nelle trascrizioni depositate al processo per le violenze del G8 di Luca Domenichini

 

PAROLE E BOTTE "Oh Madonna mia... Volevo sapere la situazione dei malati... nessuna ferita da taglio, niente?". "No, no, teste aperte a manganellate". Questa è la conversazione, ore 3 e 42, tra due poliziotti, uno che si trova all'ospedale San Martino di Genova, per piantonare i primi manifestanti arrestati, e l'altro al centralino del 113. È la registrazione in presa diretta di una delle trascrizioni depositate dalla parte civile al processo per la sanguinosa irruzione della polizia nella scuola Diaz, poi continuata alla caserma di Bolzaneto, nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001. Sono, in tutto, 34 trascrizioni di conversazioni tra la centrale operativa e i mezzi di polizia - oltre che segnalazioni di semplici cittadini - durante le giornate della contestazione al G8. Nelle trascrizioni è evidenziato il drammatico clima nel corso dell'operazione di polizia. Prima ci sono alcune telefonate di persone che hanno paura dei black bloc, poi cominciano ad arrivare telefonate di poliziotti, alcune interessanti e altre meno. "Collega, sentime a me, qua c'è una situazione grave". "Dove?". "Ci stanno un sacco di giornalisti, dei deputati, abbiamo dei grossi... bisogno dei funzionari subito". "Ma dove?". "Non lo so dove, siamo in una scuola". A un certo punto c'è un cambio turno. "Ok ciao ciao", fa uno. E l'altro alla cornetta: "Il mio bottino ce l'hai sempre tu?". Poi prosegue: "Ma secondo te siamo deficienti?". Silenzio. "Sì, no, eravate deficienti se venivate dentro", dice quello sul posto. "Eravamo quelli che sparavamo... Quante persone c'erano?". La risposta è vaga: "Eccoli". Insiste quello del centralino: "Mi meraviglia che non ce ne fossero (evidentemente parla dei black bloc, ndr). Ce ne sono già una decina di ambulanze lì sotto. Tra cinque minuti vengono a prendere questo materiale, arriva una pattuglia della Digos anche perché tira una brutta aria". Arriva l'ambulanza e quello sul posto dice: "No, no, non so se c'erano black bloc". A quel punto è all'incirca l'una di notte, ma la mattanza durerà fino alle 4 del mattino. C'è anche disorganizzazione. Dalla lettura di queste trascrizioni emerge che i poliziotti sul posto cercano un'autorità "legittima", sentono che è in corso qualcosa di fuori dall'ordinario, e che ne sono parte. Ma hanno un mandato: devono cercare black bloc, "recuperare materiali", hanno delle direttive anche se sembra mancare un coordinamento. È come se la storia avesse già un copione: "Avevano delle mazze", "erano mascherati". Il copione già scritto si deve avverare comunque: "Le molotov non lasciatemele qui", dice ai ragazzi del Social Forum il comandante del reparto mobile di Roma, Canterini, al telefono con il capo della Digos di Genova, Mortola. Altre conversazioni. "Polizia. Mi passi Andrea?". E aggiunge: "Senti un po', ne è morto un secondo". "Chi?". "All'ospedale". E gli racconta di un suo collega che stava di piantone a uno dei fermati, "uno di quelli raccolti per primi da quelle parti della scuola". Così lo descrive: "Era in una pozza di sangue". Il suo collega "dice che è andato" e se ne vuole venire via, "perché questo è morto...". Nelle 176 pagine depositate dal pool di avvocati di parte civile - a sei anni di distanza - c'è tutto il film di quella notte. L'impreparazione: c'è chi dà la caccia ai "black buster" scambiandoli per fantasmi. E chi dà per scontato che ci saranno altre vittime, anche tra le forze dell'ordine. Ma ci sono anche le ambulanze e gli elicotteri, dalla Diaz voci di sottofondo "assassini, assassini". "Più voci dicono che un collega nostro è morto, ci sono tanti feriti, che cosa sta succendo?". Risposta: "Stando dicendo che un collega nostro è morto". "Questo non lo so, so che ci sono tanti feriti, questi di qua, dei manifestanti". "'Sti pezzi di merda". Vittorio Agnoletto, europarlamentare che in quei giorni era il portavoce del Social Forum ed era lì fuori dalla Diaz, parla di "strategia della tensione". Per lui "venerdì 20 luglio il comando reale delle operazioni di piazza era nelle mani dei carabinieri e del ministro Fini, che in quel momento si trovava nella sala operativa dei carabinieri. Il 20 c'è stata un'asse tra An, Fini e i carabinieri", ma la sera del 21 "le responsabilità dell'irruzione alla Diaz portano ai vertici della polizia. In primo luogo, a Gianni De Gennaro". Forse. I titoli di coda di questo film non sono stati ancora scritti. Agnoletto è sicuro che ci fossero infiltrati. Una trascrizione sembra confermarlo. In un filmato, trasmesso su La 7 - dice un agente a Nando Dominici, all'epoca capo della Squadra mobile di Genova, "hanno sostenuto in trasmissione che due persone con un fazzoletto al viso fossero degli infiltrati della polizia all' interno dei cortei... Nel filmato c'è un piccolo particolare: si vede che tutti e due, è vero, sono travisati, ma hanno la placca della polizia in vista...". Dominici a quel punto chiede: "Ma sul serio?". "Sì", risponde l'agente, "Si, vede nel filmato". Non era tanto certo.


 

La Repubblica 7-7-2007"Magistrati fiancheggiatori dei no global" I dossier Sismi sulla guerra in Iraq: saldatura tra Md e gli antagonisti i documenti Accuse gravissime in occasione del congresso di Magistratura democratica "La vicinanza tra giudici e no war porterebbe a non applicare i codici" Dopo la svolta a sinistra dell'Anm: si istiga avversione contro il governo Berlusconi CARLO BONINI

 

ROMA - Nel gennaio del 2003, le quattro giornate del quattordicesimo congresso nazionale di Magistratura Democratica a Roma inquietano il Sismi. Ne mettono in movimento le "teste". Mancano due mesi a un intervento militare in Iraq che il mondo intero sa ormai imminente (l'invasione scatterà la notte del 20 marzo). Il Servizio insegue l'ombra del "nemico politico interno", nella sua declinazione "pacifista" e "disfattista", perché se ne possano anticipare le mosse prima dello scoppio delle ostilità. Il lavoro del Sismi è occhiuto, pedante, e l'obiettivo torna ad essere, ossessivamente, lo stesso: la magistratura associata nelle sue articolazioni di sinistra. Il congresso di Md è dunque un ghiotto appuntamento (come del resto lo sono state nel tempo persino il lavoro e i convegni sull'"Iraq" di rispettate fondazioni come l'Aspen, trasformato - lo abbiamo visto appena ieri - da esclusivo think-tank, che ha avuto e ha tra i suoi soci Ciampi, Napolitano, Prodi, Amato, Tremonti, in pericoloso centro di cospirazione). LA STRATEGIA "CORPORATIVA" CONTRO LA GUERRA Nell'archivio di via Nazionale, un fitto appunto di cinque pagine documenta l'ascolto delle giornate congressuali e le conclusioni dell'istruttoria di Forte Braschi. E' un testo tanto poliziesco nella prosa, quanto rozzo nell'elaborazione. A cominciare dall'epigrafe che, se non se ne conoscesse la paternità (il Sismi), ricorderebbe linguisticamente certe risoluzioni delle formazioni armate degli anni di piombo. Si legge: "Oggetto: la strategia politica, sociale e corporativa del movimento internazionale dei magistrati e dei "giuristi" militanti e l'occasione rappresentata dalla crisi irachena". L'incipit del documento, del resto, più che rappresentarne la premessa ne prospetta già la conclusione. "Ambiti altamente accreditati hanno informato su come l'attuale crisi irachena avrebbe impresso una oggettiva accelerazione a quella strategia politica, sociale e corporativa, di contrasto alla globalizzazione capitalistica e alla violenza neoimperialista, verosimilmente riconducibile al movimento dei magistrati e "giuristi" militanti. Il tutto nell'ottica di una rifondazione complessiva del sistema di sviluppo mondiale, regolato da norme giuridiche ispirate a una "democrazia sostanziale" che dovrebbe essere garantita dalla primazìa esercitata, nei confronti di tutti gli altri poteri, da ben "orientati" Organismi giurisdizionali sovranazionali". CINQUE GIUDICI "PERICOLOSAMENTE" PACIFISTI Maneggiando con rozzezza i materiali del congresso di Md, l'addetto del Sismi che lavora l'appunto illumina ciò che, ai suoi occhi, appare l'inconfutabile prova della "saldatura" tra il "fronte antimperialista" contrario all'intervento in Iraq e quello dei "giuristi democratici". Leggiamo: "Il Congresso ha pienamente accolto la proposta lanciata da Medel (Associazione di magistrati e giuristi europei ndr.) attraverso il giudice belga Marie-Anne Swartenbroeckx, che provvede a diffondere l'appello "La guerra è illegale!". L'iniziativa è stata prontamente accolta e condivisa dai partecipanti al Congresso (tra cui Sergio Cofferati e Paolo Serventi Longhi), come dimostrato dalla "Mozione sulla pace e la guerra", sottoscritta da Ignazio Patrone (magistrato e presidente di Medel), Franco Ippolito e Giuseppe Cascini (?). Alla citata mozione fa eco la relazione svolta dal segretario generale di Md, Claudio Castelli, nella parte dedicata a "Il diritto e la forza". Egli, dopo aver premesso che "il tema della guerra e della pace riassume in sé sia la crisi del diritto internazionale classico (e perciò dell'Onu), sia le difficoltà di costruire un nuovo sistema di relazioni internazionali fondato sul "diritto", addita gli Usa come i reali responsabili di quanto sta avvenendo a livello planetario". LE ACCUSE RIVOLTE AI MAGISTRATI L'intossicata analisi del Servizio si deposita nelle sue conclusioni. In una stantia accusa di "collateralismo", che propone un sillogismo anni '70: ieri fiancheggiatori dello spontaneismo armato di sinistra, oggi dei "no-global no war". "Sulla base di quanto sin qui esposto, troverebbe conferma l'esistenza di un substrato programmatico comune tra le istanze politiche del movimento antagonista occidentale e quelle politico-corporative espresse dalla rete internazionale dei magistrati e dei giuristi militanti. L'aspetto più delicato di una simile commistione atterrebbe, aldilà degli obiettivi di contrapposizione dell'Impero occidentale, nella "tolleranza" e mancata applicazione dei dispositivi di legge, da parte di determinati soggetti istituzionali, a favore di organizzazioni e di individui penalmente perseguibili". LA DERIVA DELL'ANM E IL RISCHIO APPARATI Quattro mesi dopo il congresso di Md, in maggio, ancora un appunto. Questa volta sulle "elezioni per il rinnovo del Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati". Per il Sismi la deriva dell'Associazione "a sinistra" si è compiuta. Ora c'è da attendersi il peggio. Scrive il Servizio: "Un delicatissimo aspetto atterrebbe a una operazione, verosimilmente facente capo a specifici settori della magistratura e non solo, di chiamata a raccolta di quegli elementi, appartenenti agli organi di polizia giudiziaria, ritenuti "vicini" professionalmente (operando presso Procure e Tribunali) e politicamente, al fine di orientarne, in questo frangente, le prese di posizione. Tale presunta iniziativa avrebbe contribuito non poco a far crescere, in parte del personale di certi corpi di Polizia, un forte sentimento di avversione contro l'Esecutivo in carica, che si starebbe manifestando, in maniera più o meno larvata, in diverse realtà territoriali".

 


 

La Repubblica 7-7-2007 L'ANALISI Quei dossier ad uso dei governi GIUSEPPE D'AVANZO

 

La linea di difesa apprestata da Pio Pompa, Nicolò Pollari e, incautamente, sposata da Silvio Berlusconi è fragile. Si dice ? lo dice Pollari nel "messaggio alla nazione" ospitato dal Tg5; lo sottoscrive Pio Pompa in una dichiarazione spontanea al pubblico ministero; lo conferma Berlusconi in una nota ? le informazioni raccolte nell'ufficio riservato di via Nazionale non sono altro che una collazione di notizie reperibili da chiunque nei giornali e in Internet (Pollari). Berlusconi interviene subito dopo Mastella, che ha chiesto una commissione d'inchiesta. Una soluzione gradita a Pollari La rete di dossier a uso del Palazzo Così i Servizi truccavano sui potenziali avversari del Cavaliere Più che un nuovo organismo dovrebbero farsi largo la magistratura, il Copaco e la nuova gestione del Sismi di Branciforte

 Null'altro che "materiale elaborato sulla base di notizie tratte da fonti aperte" (Pompa). "Un tipico monitoraggio delle cosiddette "fonti aperte" che non ha in sé all'evidenza, alcunché di illecito" (Berlusconi). Il sentiero è molto sdrucciolevole. è una linea di difesa destinata a sgretolarsi contro i fatti. L'archivio, contrariamente a quanto si vuol far credere, raccoglie informative di "fonti" infiltrate dal Sismi - contro la legge - negli uffici giudiziari, nelle redazioni, nelle burocrazie dello Stato, nelle Forze Armate. Altro che "fonti aperte". Dimostrarlo è alquanto agevole. Come è comodo verificare se i dossier calunniosi raccolti da Pompa e Pollari precedono (e non seguono) le notizie di stampa. Tre magistrati italiani, giudicati "pericolosi" dal governo, vincono un concorso per lavorare nell'organismo europeo antifrode (Olaf). Un dossier raccoglie le loro storie, passa al setaccio famiglie, rete di relazioni, le loro opinioni e scritti. Lo spoglio di queste informazioni diventa materia per una campagna di aggressione giornalistica che consente all'esecutivo di non nominarli nel loro incarico. è questo il metodo messo a punto da Pollari, deciso a servire il suo leader politico del momento. Tracce di questo programma di discredito - dossier e campagna di stampa di cui l'esecutivo si avvale per proteggere se stesso o eliminare coloro che crede "nemici" - si possono individuare senza affanno nell'archivio di Pompa e Pollari. Qualche "caso" è limpido e clamoroso. Nell'ufficio riservato del Sismi in via Nazionale si raccolgono fin dall'estate del 2001 (Pollari, vicedirettore del Cesis, si prepara a diventare direttore del Sismi) notizie e "appunti" (falsi) su una sorta di "internazionale delle toghe rosse", che si riunisce segretamente e coordina le sue iniziative per delegittimare, inquisire, arrestare Silvio Berlusconi. Ne fanno parte i pubblici ministeri di Milano, un paio di procuratori spagnoli, ex-magistrati diventati parlamentari europei. Questa fanfaluca prende corpo nei media qualche mese dopo, alla fine del 2001. Il momento non è irrilevante. In novembre Cesare Previti ricusa, per la prima volta, i giudici di Milano. Qualche settimana dopo, Lino Jannuzzi, columnist di Panorama, ripreso con gran risalto dal Giornale, svela che "la settimana scorsa in un albergo di Lugano sono stati visti Elena Paciotti, parlamentare europeo dei Democratici di sinistra; Ilda Boccassini, il pubblico ministero che sostiene l'accusa contro Silvio Berlusconi e Cesare Previti; Carla Del Ponte, la procuratrice europea che sta processando Milosevic, e Carlos Castresana, procuratore anticorruzione di Madrid". "è scontato - riferisce Jannuzzi - che i quattro di Lugano "collaborano" per trovare il modo di arrestare Berlusconi". è un falso. Quella riunione non c'è mai stata. La Boccassini non ha mai incontrato o conosciuto Castresana; non vede la Paciotti da anni; non incontra la Del Ponte da sette mesi. La Paciotti non va a Lugano da venti anni; ha incontrato soltanto una volta, e anni fa, Carla Del Ponte; non conosce Carlo Castresana. La Del Ponte, in quella settimana, non era a Lugano, Svizzera, ma ad Arusha, Tanzania, sede del Tribunale internazionale. Castresana "non ha mai partecipato a nessuna riunione di questo genere né a Lugano né altrove, né la scorsa settimana né mai". Tuttavia la "bufala" costruita dal Sismi, veicolata dal settimanale della Mondadori, casa editrice del presidente del Consiglio, con la collaborazione del Giornale, quotidiano del fratello del presidente del Consiglio, con un articolo firmato da Lino Jannuzzi, senatore di Forza Italia, partito del presidente del Consiglio, apre la strada a nuove richieste di ricusazione e mostra la necessità della legge sulle rogatorie che vuole eliminare le fonti di prova raccolte all'estero contro Berlusconi e Previti. Altro che "fonti aperte". Nel lavoro segreto e illegittimo dell'intelligence militare nascono e si coltivano le muffe che avvelenano poi il dibattito pubblico. Creano il clima "giusto" per iniziative legislative che poi il governo proporrà al Parlamento e la maggioranza approverà. Naturalmente questo non vuol dire che sia stato Berlusconi a ordinare al Sismi quel "lavoro sporco". Perché escludere che fosse in buona fede? Perché escludere che Pollari confezionasse dossier di notizie fasulle in grado di dare concretezza ai fantasmi e alle paure dell'allora capo del governo? Per il momento si può dire soltanto che Berlusconi si avvantaggia del lavoro illegittimo del Sismi. Si comprende dunque perché oggi negando ogni responsabilità per "schedature e monitoraggi" abusivi, l'ex-presidente del Consiglio difenda la correttezza di Pollari. La sua sortita appare una risposta diretta alla richiesta di una commissione parlamentare d'inchiesta avanzata dal ministro della Giustizia. Clemente Mastella - non lo ha mai negato - è un buon amico di Pollari. I maligni sostengono che, dietro la richiesta del ministro, lo staff di Silvio Berlusconi abbia intravisto un'iniziativa minacciosa di Nicolò Pollari, intenzionato a non finire da solo nel tritacarne che lo attende (l'avvocato di Pollari, che è anche consigliere personale di Mastella, si è detto subito entusiasta della commissione d'inchiesta). E' un buon motivo per prendere la parola; rassicurare il "capo delle spie" nei guai; escludere ogni personale responsabilità; chiarire addirittura che non c'è "alcunché di illecito" di cui sentirsi responsabili. Quali che siano le ragioni che abbiano convinto Berlusconi a farsi avanti, e nonostante il via libera di molti (da D'Alema a Di Pietro), la commissione d'inchiesta appare oggi più un'arma brandita contro il sistema politico (o meglio contro quei segmenti di sistema politico che hanno intrattenuto rapporti non convenzionali con il Sismi di Pollari), che non lo strumento necessario per accertare fatti e responsabilità. Le commissioni parlamentari d'inchiesta, da Telekom Serbjia a Mitrokhin, sono state l'occasione per seppellire la verità, inquinare le storie, lanciarsi in operazioni di discredito degli avversari politici. Con l'inevitabile protagonismo che avrebbero nei lavori della nuova commissione gli uomini e gli archivi di un Nicolò Pollari con l'acqua alla gola (imputato a Milano e indagato a Roma, rischia condanne per una decina di anni), un mare di fango, di dossier fasulli, di "appunti" indecenti sommergerebbe il Parlamento allontanandolo da ogni possibilità di fare luce. Le "carte" (vere, false) le distribuirebbero gli spioni e la politica sarebbe soltanto prigioniera del gioco. Più lineare, coerente e protetto appare oggi uno schema di lavoro che affidi l'accertamento delle responsabilità penali alla magistratura e la verifica delle responsabilità istituzionali e politiche alla commissione di controllo sui servizi segreti (Copaco). L'una e l'altra si potrebbero avvantaggiare della collaborazione del Sismi di Bruno Franciforte che, convocato dal ministro della Difesa, è stato invitato a "mettere a sua disposizione tutti gli elementi in possesso del Sismi". è questa la strada maestra per venire a capo dei giochi storti. Magistratura. Un ristretto comitato di controllo parlamentare regolato da norme di riservatezza. La collaborazione del governo e di un Sismi rinnovato che vuole cambiare finalmente aria alle stanze.


 

Europa 7-7-2007 Rinaldi, i grandi spiriti laici se ne vanno resta l’Italia del “facite ammuina” FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, giovedì credevo che avrei trovato nelle vostre pagine un ricordo di Claudio Rinaldi, il grande giornalista laico, amico di Montanelli e Sechi, direttore e ri-fondatore di Europeo, Panorama, Espresso. A nome mio e di altri estimatori, vi prego di pubblicare questo piccolo ricordo.
SANDRO PROSPERETTI, ROMA  

 

Caro Prosperetti, lei ha tutta la nostra comprensione.
Avremmo ricordato comunque Claudio Rinaldi, dopo avergli reso ieri mattina l’ultimo saluto nella chiesa di San Carlo ai Catinari.
C’è, in questo nostro piccolo giornale, chi ha lavorato con Rinaldi, a cominciare dalla segretaria di redazione, e chi, come me, ha avuto dimestichezza con lui negli anni più difficili per tutti noi, 1992-94, fra la tempesta di tangentopoli e la controrivoluzione berlusconiana che ne seguì, e al cui sanfedismo affaristico ciascuno di noi cercò di opporsi come potè.
Eravamo tutti a Milano e il sabato ci si incontrava a “pranzo” nel ristorante toscano di Montanelli: tavolo fisso, con Rinaldi, allora direttore dell’Espresso (rientrava da Roma il venerdì,dopo aver chiuso il settimanale), e Biagi, Sechi, chi le scrive e, a volte, Mieli, Bocca o altro giornalista laico, non disposto alla grande marmellata di Arcore.
Già allora – stiamo parlando di quindici anni fa – Rinaldi aveva i primi segni della malattia che l’ha stroncato a sessantun’anni, quasi nella sesta ricorrenza (21 luglio) della morte di Montanelli, nomesimbolo, insieme al suo, del no al berlusconismo.
Fino a ieri, abbiamo letto i suoi articoli sull’Espresso: come ha scritto la direttrice Daniela Hamaui, «martedì ha aggiornato il suo Blog, mercoledì ci ha mandato la consueta rubrica». Mercoledì: pochissime ore prima di morire, come aveva fatto Montanelli al Corriere sei anni prima. Altro che pensionati bertinottiani a 57 anni.
Adesso ci mancherà: chissà che botte da orbi avrebbe tirato dalla sua carrozzella sugli spioni del Sismi, sui guastatori dello “scalone”, sul pastrocchio senatorio Piemonte-Puglia, sulla supervalletta rossosexy di “Tv della Libertà”, ed altro consimile italianume perennemente sregolato.


 

Il Riformista 7-7-2007 Bush resta solo ma non molla di Anna Momigliano

Chi pensava che George W. Bush fosse un’anatra zoppa, in questi ultimi giorni si è dovuto ricredere. Solo contro tutti, il presidente neo-con ha dimostrato di sapere mantenere ben saldo lo strapotere di cui gode, e di essere in grado di farlo per tutti i sedici mesi che gli rimangono. Nel giro di una settimana Bush infatti ha, nell’ordine: concesso la grazia ad hoc a un vecchio amico di famiglia condannato per il Cia-gate, Lewis Libby, incurante dell’indignazione di democratici e repubblicani; bloccato ogni tentativo da parte del Congresso di ottenere la collaborazione della Casa Bianca in una serie di inchieste giudiziarie, perché il Congresso sarà anche l’espressione del popolo, che ha voltato faccia all’ideologia neo-con, ma il presidente è sempre il presidente, e gode dell’«executive privilege»; continuato a difendere a spada tratta l’intervento in Iraq, nel suo discorso per l’Independence Day, il penultimo per Bush. E questo, mentre cresce il numero dei repubblicani di alto profilo che si oppongono alla guerra in Iraq: ieri il senatore Pete Domenici ha chiesto a sorpresa un’inversione di marcia in Iraq, prima di lui lo hanno fatto Richard Lugar, George Voinovich, e John Warner. La lista degli insubordinati è destinata ad allungarsi. Eppure, con il Congresso in rivolta e ai minimi storici di popolarità, ormai abbandonato dal proprio partito e mentre i suoi più fedeli collaboratori stanno lasciando, Bush ha dato prova, nel bene e nel male, di una rara tenacia, di un’incrollabile determinazione di proseguire per la propria strada, senza darsi pensiero del Congresso, dell’opinione pubblica, e persino dei propri consiglieri.


INDICE 6-7-2007

+ Il Corriere della Sera 6-7-2007 Calabria, affari e massoneria: sotto inchiesta anche Bisignani. L'indagine sui fondi Ue. Per l'accusa il centro di potere affaristico porterebbe diritto a uomini dell'entourage di Palazzo Chigi. Il caso della Loggia di San Marino, coinvolto pure Francesco Micheli 1

+ Libero 6-7-2007 Il governo taglia gli sprechi Ma solo quelli degli altri di SALVATORE DAMA  2

+ Il Sole 24 Ore 6-7-2007 Il Consiglio dei ministri vara oggi il decreto di recepimento della direttiva Ue sui servizi finanziari Mercati, la Mifid al traguardo In arrivo anche i regolamenti della Consob  3

L’Unità 6-7-2007 Forza ladri Marco Travaglio  4

La Repubblica 6-7-2007 I deputati si "regalano" il ristorante: pagano 9 euro per pranzi che costano 90. Appalto a una ditta privata per risparmiare Divario di uno a dieci tra gli incassi e le spese di gestione della buvette di Montecitorio. La "mensa" sul bilancio della Camera pesa per 5 milioni l'anno. di CARMELO LOPAPA  5

La Stampa 6-7-2007 "Il generale di Berlusconi tramava con la sinistra" Lo 007 Pompa: Tricarico da Palazzo Chigi inviava rapporti contro il premier  FRANCESCO GRIGNETTI 6

Il Corriere della sera 6-7-2007 Il trionfo dei veti Perché la concertazione si è impantanata di  di MAURIZIO FERRERA  7

Il Sole 24 Ore Avanzi di gestione. Liberato solo il 4,4% dei mezzi rimasti nelle casse dei municipi Bloccati fondi per 5,6 miliardi Gianni Trovati 8

Il Riformista 6-7-2007 Povero Garibaldi, quante scemenze sul tuo conto di Claudia Mancina  9

Il Resto del Carlino 6-7-2007"Buttano via il bambino con l'acqua sporca". E' il senso dei commenti che si levano dalle Circoscrizioni, nonché da Palazzo Garampi, all'annunciata iniziativa dell'esecutivo Prodi. Mario Gradara  10

Il Resto del Carlino 6-7-2007 "Salviamo le circoscrizioni, tagliamo Deve cominciare lo Stato ad eliminare ciò che è superfluo. di VALENTINA BELTRAME  10

 


 

 + Il Corriere della Sera 6-7-2007 Calabria, affari e massoneria: sotto inchiesta anche Bisignani. L'indagine sui fondi Ue. Per l'accusa il centro di potere affaristico porterebbe diritto a uomini dell'entourage di Palazzo Chigi. Il caso della Loggia di San Marino, coinvolto pure Francesco Micheli

 

DAL NOSTRO INVIATO
CATANZARO — Luigi Bisignani è accusato dalla procura di Catanzaro di associazione a delinquere, truffa, violazione della «legge Anselmi» sulle associazioni segrete ed è anche ritenuto «potenzialmente idoneo a gestire operazioni finanziarie finalizzate al riciclaggio di denaro». Casa e uffici sono stati perquisiti. Il pm di Catanzaro, Luigi de Magistris, è arrivato a Bisignani attraverso le inchieste avviate in Calabria e in Basilicata sui finanziamenti pubblici nazionali, europei e regionali drenati da comitati d'affari interpartitici e interistituzionali e ha individuato proprio in lui una delle «teste» del comitato d'affari che munge denaro pubblico per centinaia di milioni di euro, «operando con modalità occulte e con soci occulti e alimentando circuiti affaristici illegali, costituiti da professionisti, faccendieri, politici e imprenditori ».

La replica: «Mai messo piede in una loggia» di D. Martirano

Secondo la pubblica accusa (del caso si occupa anche Panorama in edicola oggi), questo dei quattrini erogati dall'Unione europea è ormai «un sistema ». «Apparentemente — dice il pm —, un sistema per favorire lo sviluppo e l'interesse generale». In realtà, un modo più «diretto» per finanziare se stessi: si tratti del proprio partito, della lobby di appartenenza, o del proprio conto corrente. Tanto è vero che de Magistris sta anche cercando conti esteri, sia perché il comitato d'affari avrebbe «solidi legami anche all'estero», sia perché utilizza utenze telefoniche belghe, britanniche, americane — solo in entrata o solo in uscita — in un giro di «contatti circolari e numerosissimi» nel quale si ritrovano sempre gli stessi, eminentissimi personaggi. Tutti, in un modo o nell'altro riconducibili, per coincidenze strane, o anche «per scherzo», come sostiene Antonio Saladino, ras della Compagnia delle Opere nel Sud Italia e tra i personaggi chiave della vicenda, alla cosiddetta Loggia di San Marino.

Sarebbe questo il nuovo centro di potere affaristico-massonico che, sempre secondo l'accusa, guarderebbe con favore sia a destra che a sinistra e porterebbe diritto a uomini dell'entourage del presidente del Consiglio, Romano Prodi. Non solo per la presenza, tra gli indagati, di Piero Scarpellini, che di Prodi è stato consigliere per gli affari esteri, e di suo figlio Alessandro. Di Piero Macrì, definito da Saladino «uomo di Prodi e della loggia di San Marino» e di Franco De Grano (capo dipartimento per i fondi comunitari e cognato di Macrì). Ma anche per il ruolo di due società, Delta spa e Ilte spa, e di due utenze telefoniche mobili. La Ilte spa fa capo a Luigi Bisignani, definito dal pm «ex socio attivo della P2».

Il traffico telefonico della Ilte è stato rintracciato nel cellulare sequestrato al generale della Guardia di finanza, Cretella Lombardo, al quale viene attribuito «un ruolo centrale e a dir poco inquietante nella fitta rete, occulta, per colludere in diversi ambienti istituzionali». Chi parlava con la Ilte, cioè con Bisignani? Tutti gli indagati eccellenti di questa vicenda, Delta spa in testa (tra i cui soci fondatori ci sarebbe la Cassa di Risparmio di San Marino). Questa società, dicono i risultati investigativi finora noti, utilizzava due diverse schede telefoniche Sim Gsm e lo faceva sullo stesso telefono in cui venivano utilizzate altre schede Sim Gsm «equivoche». Contatti e colloqui «riservati» a 360 gradi, dunque, «di assoluto pregio investigativo », anche con il finanziere Francesco Micheli, alcune attività del quale sono legate a Bisignani e per questo sottoposte a indagini, e persino «con la società di intercettazioni Sio srl, che esegue servizi di intercettazioni e altre attività per conto dell'autorità giudiziaria».

Ma la cosa più sorprendente è che nella memoria del cellulare sequestrato ad Antonio Saladino il numero di Delta spa è registrato con il nome «Romano Prodi». Potrebbe trattarsi di una coincidenza. Ma è da quella utenza che almeno per un paio di anni Scarpellini, e non solo lui, parlano con Bisignani, Saladino e le altre persone coinvolte a vario titolo (indagate e non) nel «programma criminoso consistente nella distribuzione di ruoli tra imprenditori, professionisti e pubblici amministratori, finalizzato a percepire illecitamente finanziamenti pubblici attraverso la costituzione di società o la partecipazione in società già costituite». E i progetti fioccano. Quello denominato Euromediterraneo vale 1.100 milioni di euro, fa capo a Scarpellini e dovrebbe studiare «i flussi migratori dalla Libia». E il cellulare? Rimane sempre attivo. Nel 2005 e fino al 2006 lo utilizzano «L'Ulivo - I democratici». Da quest'anno è passato direttamente alla presidenza del Consiglio dei ministri.

06 luglio 2007


 

+ Libero 6-7-2007 Il governo taglia gli sprechi Ma solo quelli degli altri di SALVATORE DAMA

 

La politica si mette a dieta. Ma soltanto quella fatta a livello locale. Ministeri, camere e regioni mentengono pressoché inalterati benefit e privilegi, che non vengono sostanzialmente toccati dal disegno di legge sui costi della politica predisposto dal governo. Il provvedimento, oggi all'esame del Consiglio dei ministri, prevede tagli ai classici status symbol del potere, auto blu e telefonini. Ma soprattutto, ed è il dato saliente che trapelava ieri dalle prime indiscrezioni sul testo, dà una bella sforbiciata alle spese degli enti locali. Che, non a caso, sono già sul piede di guerra. L'Anci è arrivata addirittura a rompere le relazioni istituzionali con il governo, definendosi, attraverso le parole del suo presidente Leonardo Domenici, "profondamente insoddisfatta" dai tagli inseriti nel ddl del ministro Giulio Santagata. Dal Consiglio dei ministri odierno, in ogni caso, non arriverà il via libera definitivo. Sarà, spiegano a Palazzo Chigi, un esame preliminare. Seguirà un'altra settimana di trattativa con gli enti locali, e infine il via libera conclusivo tra sette giorni esatti. IL RILANCIO DI ROMANO Ieri il presidente del Consiglio Romano Prodi ha avuto un incontro con Santangata proprio sull'argomento. I due hanno registrato la forte criticità dell'Anci, ma non hanno nessuna intenzione di recedere dall'obiettivo. Prodi ha intimamente legato i tagli al costo della politica con il rilancio della sua azione di governo. E se ora i sindaci fanno le barricate, pazienza. "D'altronde", come spiega una fonte governativa, "Santagata si è già confrontato con l'associazione dei comuni, c'è stato un percorso comune, sono state recepite le loro indicazioni. Sono infuriati? Sarà per via del federalismo fiscale, non per il ddl taglia-sprechi". Intanto il ministro per l'Attuazione del programma di governo, ancora ieri, ha continuato a limare la bozza che porta il suo nome. La cura dimagrante studiata dal governo, s'è detto, riguarda soprattutto gli enti locali, mentre le istituzioni romane vengono appena sfiorate. A Palazzo Chigi adducono motivazioni di natura tecnico-giuridica. Il governo, è la spiegazione, non può intervenire con un disegno di legge per tagliare diarie, indennità e benefit dei parlamentari, tutta roba che Camera e Senato si autogestiscono avendo piena autonomia di bilancio. Nè l'esecutivo può mettere mano al numero di deputati e senatori, riducendolo, perchè occorrerebbe una legge costituzionale. Il provvedimento in studio, inoltre, non può neanche contrarre stipendi e numero dei consiglieri regionali, che non sono disciplinati da legge ordinaria ma dagli statuti. Sicchè, per esclusione, la mannaia governativa finisce, tra capo e collo, propriosugli enti locali. Nel piano Santangata, tanto per cominciare, si prevede una significativa riduzione del numero dei consiglieri comunali e provinciali. Si parla di un taglio tra il 10 e il 15%, che procederà in proporzione al numero degli abitanti. I sindaci dovranno anche rassegnarsi a dire addio alle giunte numerose. Che, a quanto pare, non potranno in alcun caso superare il numero di 14 unità. Netto giro di vite anche per quanto riguarda le circoscrizioni. Sale la soglia minima di abitanti per le città che potranno ospitarle (da 100mila a 250mila). Il governo procede col machete anche a danno delle comunità montane, che dovranno essere effettivamente tali. Cioè la loro superficie, come logica vorrebbe, dovrà essere per la quasi totalità effettivamente montuosa. GETTONI PIÙ LEGGERI Il ministro prodiano sta inoltre lavorando anche al taglio dei gettoni. Nel senso che si farà divieto di cumulo delle indennità per chi ricopre più cariche negli enti locali. E non è finità. Il governo potrebbe volere pure il dimagrimento delle municipali, delle società legate alla pubblica amministrazione, dei consorzi, in alcuni casi riducendone il numero dei consiglieri di amministrazione, in altri sopprimendo gli enti che svolgono funzioni omologhe. Quelli cosiddetti inutili, per intenderci. Si passa poi al capitolo degli interventi a forte impatto sull'opinione pubblica. L'idea che circola, infatti, è quella di ridurre l'uso di telefonini e di auto blu allo stretto necessario. Anche in questo caso, tuttavia, si colpiscono soltanto i privilegi degli amministratori locali, dal momento che le istituzioni parlamentari, in ragione della citata autonomia finanziaria, non devono dare conto a nessuno. Cosa che, non a caso, ha mandato in bestia i comuni, i più salassati da Santangata. Fallita la sua mediazione, parte ora l'estremo tentativo della collega Linda Lanzillotta. "L'esame comincia domani (oggi, ndr)", spiega la titolare degli Affari Regionali, "ma si concluderà solo dopo la conferenza unificata del 12 luglio. Lavoreremo per definire un'intesa su dei punti base. Poi ogni livello ridurrà i propri costi con gli strumenti che gli competono. Così arriveremo a un risultato di sistema". TROPPI SOTTOSEGRETARI L'Anci però rimane sul piede di guerra. "Nel giro di sei mesi", ha dichiarato il vice presidente Osvaldo Napoli, "ci sarà un taglio agli enti locali che raggiungerà i dieci miliardi di euro Dei quali - spiega 2,6 dalla finanziaria, 5,9 dagli avanzi di amministrazione e dai due ai tre miliardi di diminuzione dell'Ici". Ma soprattutto l'associazione dei comuni non dimentica che il suo interlocutore è il governo dei cento e passa sottosegretari, cui spettano cento e passa autoblu, cento e passa telefonini e cento e passa segretarie. Salvo per uso personale è vietato qualunque tipo di riproduzione delle notizie senza autorizzazione.


 

+ Il Sole 24 Ore 6-7-2007 Il Consiglio dei ministri vara oggi il decreto di recepimento della direttiva Ue sui servizi finanziari Mercati, la Mifid al traguardo In arrivo anche i regolamenti della Consob

 

- Le norme operative da novembre Riccardo Sabbatini L'Italia recupera il ritardo sulla Mifid. Il consiglio dei ministri, in programma per oggi, si appresta ad approvare il decreto delegato messo a punto dal ministero dell'Economia che recepisce le norme della direttiva europea sui servizi d'investimento concludendo così un inseguimento di sei mesi sull'originario timing del provvedimento. Il varo del decreto, con i regolamenti attuativi della Consob attesi per le prossime settimane, permetteranno dunque all'industria finanziaria italiana di prepararsi all'appuntamento del primo novembre, quando la complessa normativa entrerà improrogabilmente in vigore in tutto il continente. La Mifid muterà radicalmente lo scenario regolamentare per le contrattazioni azionarie europee introducendo una maggiore concorrenza tra intermediari e mercati regolamentati. In particolare togliendo a quest'ultimi l'esclusiva degli scambi su titoli quotati di cui finora avevano goduto per effetto della regola sulla concentrazione, norma che verrà abrogata. Nella loro traduzione italiana, che ha impegnato per mesi la direzione ministeriale sul sistema bancario e finanziario guidata da Giovanni Sabatini, le nuove disposizioni sono ancora più rilevanti stabilendo nel preambolo iniziale i principi della "buona regolamentazione" ai quali Consob e Banca d'Italia si dovranno attenere nei rapporti con mercati, intermediari ed emittenti. Gli obiettivi della vigilanza diventano la salvaguardia della fiducia sul mercato finanziario, la tutela degli investitori, la stabilità e il buon funzionamento del sistema finanziario, e la sua competitività. Nella prospettiva di una crescente concorrenza tra sistemi- paese l'ultima versione del decreto legislativo, rispetto a quella sottoposta alla consultazione degli operatori, ha incluso anche il principio presente nella normativa europea secondo il quale i regulator potranno "soltanto in casi eccezionali", giustificati da "rischi specifici per la protezione degli investitori o l'integrità del mercato", imporre o mantenere nei propri regolamenti obblighi aggiuntivi rispetto a quelli previsti dalla direttiva. Allo scopo di "ridurre al minimo gli oneri gravanti sui soggetti abilitati", il decreto prevede anche un "protocollo d'intesa" tra Consob e Banca d'Italia con il quale le due autorità disciplineranno i rispettivi compiti e modalità di svolgimento. Quest'approccio liberista, che rappresenta una significativa novità nell'ordinamento italiano, è comunque temperato in più punti dall'attribuzione di forti poteri regolamentari attribuiti alla Consob, anche a scapito delle possibilità di ricorso all'autoregolamentazione. Ad esempio il decreto affida all'authority guidata da Lamberto Cardia il compito di dettare con proprio regolamento i criteri ai quali la Borsa si dovrà adeguare nelle proprie normative per disciplinare, tra l'altro: l'ammissione degli strumenti finanziari alle negoziazioni e l'accesso degli operatori ai mercati regolamentati, i casi di sospensione e esclusione dalle negoziazioni, la compensazione e liquidazione delle operazioni. Sempre in tema di mercati il decreto stabilisce forme di collaborazione tra Consob e l'Autorità per l'Energia per la negoziazione di derivati sull'energia nei mercati regolamentati. Le due autorità, tra l'altro, stipuleranno protocolli d'intesa e si presteranno reciproca assistenza e, tra loro, non sarà opponibile il segreto d'ufficio. Tra le altre novità in arrivo c'è una più puntuale definizione del nuovo albo in cui saranno inquadrati i consulenti finanziari la cui attività è stata inclusa tra quelle regolamentate. Il nuovo organismo, i cui componenti verranno nominati dal ministero dell'Economia, potrà anche sospendere o radiare gli iscritti che non rispetteranno le regole di condotta stabilite dalla Consob. Il provvedimento ministeriale, nella sua ultima versione, contiene anche una più puntuale segmentazione dei diversi tipi di clientela (al dettaglio, professionale, o classificata come controparte qualificata) in relazione al rispetto delle regole di comportamento degli intermediari. è infine rimasta confermata la disposizione che attribuisce alla Consob la possibilità di estendere gli obblighi di informativa pre e post negoziazione, previsti obbligatoriamente sulle azioni, anche a strumenti finanziari diversi. A conferma di un approccio più attento alle problematiche della trasparenza che il mercato italiano ha tradizionalmente avuto sugli scambi obbligazionari e che lo distingue rispetto ad altre piazze finanziarie del continente.


 

L’Unità 6-7-2007 Forza ladri Marco Travaglio

 

Un filo rosso, anzi marron, collega le spiate del Sismi, il voto del consiglio comunale di Roma per dedicare una via a Craxi e le manovre di Forza Italia per far saltare il processo Mondadori in Cassazione. È lo stesso filo rosso, anzi marron, che ha impedito finora alla politica e all'informazione al seguito di dire la verità sulla sentenza della Cassazione che ha dichiarato Giulio Andreotti mafioso fino al 1980 ma prescritto. Come ha osservato giustamente Livio Pepino, se la mafiosità di Andreotti, simbolo del potere, non esiste o non conta, vuol dire che tutti i potenti saranno autorizzati a intrattenere rapporti con la mafia. La rimozione forzata della verità non riguarda soltanto lui: è un lasciapassare per tutti, a futura memoria. I dossier di Pollari&Pompa su magistrati, politici e giornalisti non allineati, dunque pericolosi per Berlusconi, dunque da "destrutturare con azioni traumatiche" sono noti da un anno. Da allora Pollari e Pompa sono stati promossi, il primo al Consiglio di Stato e a Palazzo Chigi, il secondo al ministero della Difesa. Ora, dopo un anno di cincischiamenti, il Csm ha fatto chiarezza:quelli non erano"servizi deviati",ma istituzionali, piegati al servizio non della Repubblica, ma di un clan, il solito. E ora di chi è la colpa? Non di chi ha commesso il fatto, ma di chi l'ha denunciato: il Csm. Lo dice la Casa delle Impunità, e si può capirla. Ma lo scrivono pure commentatori, per così dire, indipendenti. Augusto Minzolini parla su La Stampa di "atto destabilizzante". Ma non da parte del Sismi: da parte del Csm, "una parodia del Parlamento" che infanga "il decoro delle istituzioni". E' l'eterna fiaba di Pinocchio.Il burattino viene derubato? Che si arresti il burattino! Commentando sul Corriere il voto su Via Craxi e la dura critica di Padellaro, il senatore veltroniano Goffredo Bettini ha voluto addirittura agganciarlo al nascente Partito democratico: "Lavoriamo a un progetto, quello del Pd, che cerca di chiudere un periodo di grande transizione che ha attraversato il Paese. Possibile che si debba ancora star qui a discutere se Craxi è stato il bene o il male?". Davvero il Pd si propone di archiviare Mani Pulite mettendo insieme colpevoli e innocenti? Su un punto Bettini ha ragione: su Craxi non c'è nulla da discutere. Grande esperto di dossier sui giudici, aveva 50 miliardi su 3 conti svizzeri personali, è stato condannato definitivamente per corruzione e finanziamento illecito a 10 anni, è fuggito all'estero per non finire in galera. A uno così non si intestano le strade. Punto e fine della discussione. Si riparla pure di Previti: condannato a 1 anno e 6 mesi in appello per aver comprato la sentenza Mondadori, "in continuazione" con la condanna definitiva a 6 anni per Imi-Sir, l'onorevole abusivo comparirà dinanzi alla Suprema Corte l'11 luglio. Se la condanna divenisse definitiva, Previti perderà l'affidamento ai servizi sociali (ottenuto grazie all'indulto) e tornerà in carcere. Ecco perché i pasdaran azzurri Bondi, Chicchitto, Vito e Leone hanno presentato un'interrogazione a Mastella per denunciare lo "zelo" e l'"accelerazione forsennata" della Cassazione, che ha fissato l'udienza entro la pausa estiva. Per i Quattro dell'Ave Cesare, è "un'operazione ad personam contro Previti". In realtà, come spiega il Pg Vito D'Ambrosio, la Corte ha seguito "la prassi normale e consolidata" di dare la precedenza ai processi a rischio prescrizione. Qui, poi, non si tratta di una questioncella da poco: si tratta della corruzione del giudice Metta, pagato da Previti con soldi Fininvest per consegnare a Berlusconi il maggiore gruppo editoriale italiano. Il che puntualmente avvenne nel 1991. Ragion per cui, prima o poi, il Cavaliere dovrebbe restituire il maltolto. La cosa comprensibilmente inquieta i suoi discepoli. Le indagini risalgono al '95, l'udienza preliminare al '99, il dibattimento al 2001. Siamo al 2007: c'è qualcosa di sospetto in quest'"accelerazione forsennata". Uliwood party.

 


 

La Repubblica 6-7-2007 I deputati si "regalano" il ristorante: pagano 9 euro per pranzi che costano 90. Appalto a una ditta privata per risparmiare Divario di uno a dieci tra gli incassi e le spese di gestione della buvette di Montecitorio. La "mensa" sul bilancio della Camera pesa per 5 milioni l'anno. di CARMELO LOPAPA

 

 

ROMA - I cavatelli al salmone fresco e zucchine serviti ieri erano una delizia (3,60 euro). Ma anche gli gnocchi di patate al pomodoro e basilico sembra che abbiano riscosso un certo successo (3 euro). Gli onorevoli più buongustai sono passati poi a dell'ottimo pescato del giorno (4,20 euro) e infine a una ghiotta "scelta di dolci" (1,80 euro). Il tutto per 9 euro, centesimo più, centesimo meno. Peccato che quel pranzo sia costato alle casse della Camera dieci volte di più: 90 euro.

Che le cose andassero più o meno in quel modo, a Montecitorio, lo si sapeva da tempo. Solo che ieri mattina la frittata, è il caso di dire, è finita sul tavolo dell'Ufficio di presidenza, l'organismo che fa capo a Fausto Bertinotti e che sovrintende all'amministrazione del palazzo. Non tanto perché si è appreso che la ristorazione a beneficio dei 630 inquilini costa 5 milioni 232 mila euro l'anno, anche questo era noto. Ma perché si è scoperto che quella cifra, ripartita per il numero di deputati, fa lievitare la spesa per ogni singolo pasto appunto a 90 euro. Il calcolo, un po' grossolano ma significativo, è stato sottoposto ai colleghi da Gabriele Albonetti e dagli altri due deputati questori, per far capire che forse era giunto il momento di mettere un taglio a cotanto spreco.

Il clima di antipolitica montante che si respira fuori dal palazzo, c'è da giurarci, avrà pure avuto il suo peso. Sta di fatto che si corre per la prima volta ai ripari. Come? La soluzione individuata consiste nell'"affidamento all'esterno di una parte dei servizi di ristoro". Così, i 7 cuochi del reparto cucina e i 25 addetti, tra camerieri e operatori vari, per un totale di 32 "unità di personale" saranno destinati "alla professionalità di assistente parlamentare con le rispondenti qualifiche", ma anche al centralino, al "reparto riproduzioni e stampa", ai servizi radiofonici e televisivi. Ora, cosa ci farà un cuoco al centralino non è dato sapere, ma il problema sarà affrontato in un secondo tempo. Per il momento, questa è la decisione adottata che si legge nella delibera del collegio dei questori varata dall'Ufficio di presidenza. E nessuno ieri ha osato obiettare alcunché, coi tempi che corrono. Anche perché il risparmio stimato supera i tre milioni e mezzo di euro. A regime, infatti, sottrarre i pranzi e le (poche) cene dei deputati alla responsabilità diretta della Camera comporterà per l'amministrazione un costo complessivo di 1 milione 662 mila euro. D'altronde, tutto è affidato da un pezzo all'esterno anche al Senato.

Per il momento e per una "fase sperimentale di diciotto mesi", i questori hanno deciso di affidare il servizio alla stessa società che finora ha gestito la mensa dei dipendenti, la "Onama". Così, senza una gara o un appalto. Perché solo al termine dell'anno e mezzo di prova si procederà a una selezione pubblica oppure, ecco la sorpresa nel provvedimento, "al ripristino della gestione interna". O funziona, oppure - se i deputati non dovessero gradire cotture e menù - si tornerà all'antico.

Ma l'Ufficio di presidenza non si è occupato solo del mantenimento in futuro di un buono standard dello "spezzato di manzo al vino rosso" e della dolorosa rinuncia alla cucina interna. Ha dovuto fare i conti anche con un'altra grana. Dopo mesi di dibattiti e buone intenzioni seguiti allo scandalo sollevato dalle "Iene" in tv sui 54 portaborse dei deputati con regolare contratto a fronte dei 683 collaboratori dotati di permesso di ingresso, dopo il giro di vite annunciato dai presidenti di Camera e Senato, Bertinotti e Marini, che avrebbe dovuto comportare la concessione dei nuovi badge solo agli assistenti messi in regola, ieri Montecitorio ha deciso di alzare bandiera bianca. E sì, perché dopo due proroghe della scadenza e molteplici appelli agli onorevoli, a consuntivo si è scoperto che solo 142 deputati hanno stabilizzato 182 collaboratori. E siccome il rischio era quello di lasciare fuori dalla porta i restanti 500 finora pagati in nero, con paghe da 400 a 800 euro, ecco l'escamotage che consentirà di fatto di proseguire come se nulla fosse: l'Ufficio di presidenza ha deciso di concedere il lasciapassare anche a collaboratori che svolgono una generica "attività di tirocinio", ma anche a pensionati disposti a collaborare gratuitamente o a dipendenti di enti e associazioni (e quindi anche di partiti). Per farla breve, si torna al passato. Tentativo fallito.

Oggi sarà la volta del Consiglio dei ministri, che inizierà ad esaminare il disegno di legge sui costi della politica studiato dal ministro Santagata, più volte annunciato e altrettante rinviato. Ma come ha anticipato anche ieri l'altro ministro che vi sta lavorando, Linda Lanzillotta, manca ancora il via libera delle Regioni, dunque oggi al più il testo (in 25 articoli) potrà essere solo esaminato. In ogni caso, quel documento non è sufficiente ad affrontare il problema dei costi nel suo complesso, secondo Antonio Di Pietro, che ieri ha presentato con Gianni Alemanno di An un piano bipartisan per abbattere le spese. Dal taglio delle tessere gratuite dei parlamentari alla riforma costituzionale che riduca la stessa rappresentanza politica.

(6 luglio 2007)


 

La Stampa 6-7-2007 "Il generale di Berlusconi tramava con la sinistra" Lo 007 Pompa: Tricarico da Palazzo Chigi inviava rapporti contro il premier  FRANCESCO GRIGNETTI

ROMA
Tra i tanti «nemici» che nel 2001 il Sismi di Pio Pompa vedeva attorno alll’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, c’era un generale che aveva un ufficio a Palazzo Chigi e che il nuovo premier si era ritrovato come addetto militare, Leonardo Tricarico, dell’Aeronautica militare, chiamato a quel ruolo da D’Alema e poi confermato da Amato.

Il generale Tricarico - che comunque nel 2002 e 2003 ha organizzato vertici internazionali di grande prestigio e poi era stato nominato Capo di stato maggiore dell’Aeronautica - si era meritato un lungo e articolato dossier. Nome in codice, «Rik». Ne viene fuori un quadro paranoico in cui magistrati, uomini delle Forze armate, Quirinale, tramano assieme a esponenti diessini per pugnalare alle spalle Berlusconi.

«Nell’ottica di una strategia, volta a perseguire ambiziosi obiettivi personali - è l’incipit del documento rinvenuto dai magistrati nell’archivio occulto di via Nazionale - egli avrebbe mantenuto solidi collegamenti con l’opposizione appoggiandosi in particolare a Folena, che fungerebbe da “trade union” (sic), e ad altri elementi di spicco come Violante, Cesare Salvi, e Brutti facenti parte, tra l’altro, del comitato interno per la sicurezza del partito dei Democratici di sinistra».

La causa di Cofferati
Il generale di Palazzo Chigi, che Pompa considera un dalemiano, però a un certo punto avrebbe uno sbandamento ideologico. «Risulterebbe inoltre che abbia abbracciato la causa di Cofferati e le posizioni da questi rappresentate sullo scenario attuale. Tant’è che D’Alema, venuto a conoscenza di tale situazione, avrebbe preso le distanze dal suo vecchio collaboratore».

La sostanza del dossier è che di Tricarico non ci si può fidare perché «organico alle forze che operano, a livello nazionale e internazionale, nel predisporre le condizioni per la caduta del Premier». E quindi non soltanto il generale, secondo quanto Pio Pompa segnala a chi di dovere, intreccerebbe rapporti con magistrati di sinistra (i soliti «esponenti di rilievo di Magistratura democratica e Medel»), ma anche giornalisti.

Gruppi di pressione
«Gruppi di pressione mediatica interni, come Serventi Longhi (a sua volta in stretti rapporti con Mosca Moschin, Camporini, Cucchi e Di Paola \ attraverso i quali sta attualmente gestendo la vicenda legata alla formazione degli inviati di guerra) e Furio Colombo, e esterni con una focalizzazione su Le Monde e il suo direttore». Principale colpa addebitata da Pio Pompa al generale fellone: passare le notizie alla sinistra. Uno dei canali, insospettabile, è Marta Dassù, la specialista di questioni internazionali, nonché stimata collaboratrice di D’Alema. La Dassù, ad esempio, aveva tenuto una relazione a Bruxelles il 9 settembre (del 2002, Ndr) per un incontro dell’European Security Forum. Si parlava di Iraq.

Lettura ispirata
La sua lettura della politica italiana sarebbe stata «opportunamente ispirata da Rik, nella quale viene evidenziata l’incertezza in cui verserebbe l’Esecutivo italiano, in particolare il Premier, sulla strategia da adottare... Inoltre la Dassù in incontri riservati avrebbe evidenziato l’estrema precarietà dell’attuale governo, derivante dai problemi giudiziari del Presidente del Consiglio e si sarebbe fatta carico di diffondere, su incarico di Rik, notizie di particolare delicatezza provenienti da ambiti militari».

E’ una fronda interna al mondo militare, quella che Pompa teme. O forse pensa che Tricarico faccia filtrare questa impressione ad arte. Ma intanto le notizie di cui sopra sarebbero legate, di nuovo, a Mosca Moschin, Camporini e Cucchi «facenti parte, tra l’altro, del Comitato organizzatore (di cui farebbe parte anche Rik) per il rientro anticipato, sulla scena politica, di Prodi». Un meeting egiziano

E di questo «Comitato», che non si capisce se sia una dicitura ironica o seria, «si è avuta notizia di un meeting» egiziano, in quel di Sharm el Sheik, «al quale avrebbero partecipato Romano Prodi, Cucchi, Antonio Casu, Stefano Nones e Politi». Si rasenta insomma la congiura, se non addirittura l’alto tradimento. «Dell’obiettivo finale del Comitato sarebbe al corrente anche il segretario generale della Presidenza della Repubblica, Gaetano Gifuni, cui farebbe costante riferimento Mosca Moschin scavalcando, su diverse questioni attinenti il suo ruolo, lo stesso ministro della Difesa». Già, perché nel 2002, Rolando Mosca Moschin era pur sempre il Capo di stato maggiore della Difesa.

Affari aeronautici
Infine, puro veleno nella coda, il dossier Tricarico si chiude con un accenno agli affari. Il generale dell’Aeronautica sarebbe stato avvicinato da imprese del settore. «Di qui l’asse che lo legherebbe a determinate grandi multinazionali francesi, quali l’aggressiva Electricité de France, il Consorzio Air Bus, la Vivendi, il gruppo Thales».


 

Il Corriere della sera 6-7-2007 Il trionfo dei veti Perché la concertazione si è impantanata di  di MAURIZIO FERRERA

 

 

La lunga trattativa sulle pensioni ha di nuovo acceso i riflettori sulla cosiddetta «concertazione» e in particolare sul potere di veto di cui sembrano godere i sindacati quando si cerca di riformare il welfare. Questo dibattito non è solo italiano. Toccare i diritti previdenziali è un'operazione delicatissima, che ha provocato turbolenze politiche e sociali in molti Paesi, spesso a causa delle intransigenze sindacali. L'osservazione comparata rivela tuttavia che il metodo seguito nell'attuale vertenza sullo scalone è decisamente anomalo rispetto alle esperienze straniere. In che cosa consiste l'anomalia? Nel fatto che governo e sindacati non stanno in realtà facendo nessuna concertazione. Ciò a cui stiamo assistendo è piuttosto un caso di contrattazione «bruta» fra una moltitudine di soggetti (esponenti del governo, della maggioranza, del mondo sindacale) che si muovono in ordine sparso, che trattano fra loro in forme assai poco trasparenti, che promuovono o difendono interessi dichiaratamente di parte. Concertare una riforma pensionistica non vuol dire «aprire un tavolo » fra governo e parti sociali e poi vedere che succede. Significa partire da una diagnosi sufficientemente condivisa dei problemi da affrontare, considerando gli interessi di tutti coloro che sono toccati anche indirettamente dalle decisioni (compresi i giovani, ovviamente).

Significa predisporre un’adeguata base di informazioni, accessibile a tutti, per identificare con chiarezza gli scenari alternativi e le loro implicazioni. Nei processi decisionali concertati i sindacati sono gli interlocutori più importanti del governo. Ma essi non possono sottrarsi al dovere di motivare le proprie posizioni con buoni argomenti e buoni dati, di giustificare ciò che propongono in chiave di «interesse generale ». Se mancano queste condizioni, perché un sistema democratico dovrebbe delegare responsabilità decisionali (o addirittura riconoscere potere di interdizione) a soggetti privi di legittimità elettorale, espliciti portatori di interessi particolari? Come emerge da un ampio studio appena pubblicato da Oxford University Press (lo «Handbook of Pension Politics»), i casi dell'Austria, dell'Olanda, della Spagna e della Finlandia offrono numerosi esempi di riforme concertate (nel senso stretto e autentico del termine). La riforma pensionistica finlandese del 2005 costituisce forse l'esempio più riuscito: le parti sociali hanno fatto quasi tutto da sole, con l'aiuto di una commissione di esperti.

Occorre però notare che la concertazione non è l'unico metodo per cambiare il welfare. In Svezia le pensioni sono state riformate grazie a un accordo bipartisan fra governo e opposizione, che ha consentito di superare le resistenze sindacali. La distanza che ci separa da queste esperienze è enorme. Il problema italiano è che sulle grandi questioni che riguardano tutti i cittadini (come appunto le pensioni) il sistema politico non è capace di seguire né la strada della concertazione né quella degli accordi bipartisan. Non avendo i numeri e la compattezza per decidere da solo, il governo si trova così impantanato in un logorante e improduttivo tiro alla fune fra interessi contrapposti, anche al proprio interno. Altro chemetodo della concertazione: sulla riforma dello scalone la politica italiana sta rapidamente degenerando verso il metodo del conflitto di tutti contro tutti. Il quale certo non produrrà alcun provvedimento serio, ma solo ulteriore disorientamento e sfiducia nella «politica» da parte dei cittadini, soprattutto quelli più giovani.

06 luglio 2007


 

Il Sole 24 Ore Avanzi di gestione. Liberato solo il 4,4% dei mezzi rimasti nelle casse dei municipi Bloccati fondi per 5,6 miliardi Gianni Trovati

 

Ha impegnato i tavoli tecnici e politici per cinque mesi, ha prodotto interrogazioni e ordini del giorno, secondo la commissione Bilancio della Camera (mozione del 15 marzo scorso) doveva essere risolta con urgenza per permettere agli enti di chiudere i bilanci preventivi. Ma alla fine la montagna degli avanzi di amministrazione di Comuni e Province ha partorito il topolino. Il braccio di ferro sugli avanzi, cioè i risparmi che gli enti locali hanno accumulato dalle gestioni precedenti, riassume bene tutte le difficoltà del rapporto con il Governo, che le Autonomie catalogano come "assenza totale di concertazione". In cassa, bloccati dai meccanismi del Patto di stabilità 2007 che si fonda sui saldi di bilancio, Comuni e Province hanno 5,6 miliardi di euro, che non possono spendere per non incidere sui saldi rilevanti e quindi sforare il Patto di stabilità. Poche settimane fa gli amministratori avevano respinto al mittente l'ipotesi di sbloccarne il 10%, escludendolo dai vincoli del Patto, ma il Dl 81/2007 ha portato una dote ben più avara: 200 milioni per i Comuni e 50 alle Province, a conti fatti il 4,41% dei risparmi bloccati. Il 70% del "bonus" finirà agli enti virtuosi, che sono riusciti a chiudere il triennio 2003/2005 con un saldo medio positivo, mentre agli altri finiranno le briciole. E anche sul meccanismo "premiale" scelto dal Governo per individuare gli enti a cui sbloccare più risorse non è piaciuto più di tanto agli amministratori locali. Meno di un Comune su tre, infatti, riesce a superare con successo l'asticella del saldo medio triennale positivo, anche perché sul risultato pesano pure gli investimenti compiuti negli anni precedenti (il Mose e le Olimpiadi invernali, ad esempio, spingono Venezia e Torino in fondo alla classifica di "virtuosità" secondo il parametro governativo). Di conseguenza, la maggioranza assoluta dei sindaci si deve accontentare di cifre quasi "simboliche" (l'1,3% degli avanzi 2005). Torino, che ha un bilancio da 2,2 miliardi e in cassa ha risparmi per 27 milioni, potrà utilizzare 350mila euro, città come Pavia o Treviso si vedono liberare meno di 100mila euro fino al caso limite di Potenza, a cui il decreto libera 53 euro. Un po' meglio va a Roma (70 milioni sbloccati), ma al Campidoglio gli avanzi hanno raggiunto la cifra record del miliardo di euro, mentre a Milano si liberano 10 milioni. Sempre che sindaci e presidenti di Provincia decidano di rimanere nei binari fissati dal decreto. "Sono soldi nostri", reclamano gli amministratori locali, che in molti casi potrebbero decidere di sforare i vincoli, pur di mettere in campo gli investimenti programmati. In quel caso, però, a pagare il conto saranno i cittadini, perché per chi non rispetta il Patto la Finanziaria 2007 fa scattare l'aumento automatico dell'addizionale comunale all'Irpef e dell'imposta provinciale di trascrizione. gianni.trovati@ilsole24ore.com LA SELEZIONE Premiati solo gli enti "virtuosi": a Roma 70 milioni, a Milano 10 Torino e Venezia penalizzate dalle spese per investimenti.


 

Il Riformista 6-7-2007 Povero Garibaldi, quante scemenze sul tuo conto di Claudia Mancina


Nella confusione attuale - tra una incombente crisi istituzionale (Csm e Sismi) e l’impasse della trattativa sulle pensioni - può essere sfuggita la celebrazione del bicentenario della nascita di Garibaldi, tenutasi al Senato tra gli schiamazzi della Lega e degli autonomisti siciliani. Eppure il modo in cui si è andati a questo appuntamento è rivelatore dello spirito pubblico di questo paese. Dal dopoguerra ad oggi, la nazione italiana non è stata in grado di confrontarsi con l’eredità del Risorgimento, che è stato consegnato al luogo comune della “retorica risorgimentale”, e demolito dalla sinistra come una rivoluzione incompiuta perché borghese e monarchica, seguendo una lettura gramsciana piuttosto banalizzata, perché Gramsci in realtà - pur critico - non sottovalutava l’importanza del movimento risorgimentale. A scuola lo abbiamo studiato come un noioso dovere, senza simpatia. Ma questa era la sinistra, che però aveva anche usato il nome e il volto di Garibaldi durante la lotta di liberazione e poi nel 1948. La novità oggi è che proprio la destra, ormai schiacciata su posizioni veteroclericali, disconosce il Risorgimento: lo accusa di essere stato anticattolico e massone, centralista e statalista. Di avere operato una forzatura rivoluzionaria che ha fatto piazza pulita degli Stati preunitari e soprattutto dello Stato pontificio; dimenticando che già da tempo la Chiesa ha riconosciuto che è stato un bene per lei la fine del potere temporale.
Il risultato di tutto questo è che l’Italia si conferma come un paese senza memoria, senza tradizione, senza identità nazionale. Un paese il cui spirito pubblico è bloccato, come in un fermo immagine, al gesto iconoclasta, che aveva un senso negli anni sessanta e settanta, ma oggi è una vuota ripetizione che trascolora nel qualunquismo. Il Risorgimento è il momento fondativo della nazione italiana: lo si può criticare quanto si vuole, ma si dovrebbe anche rispettarlo, e anzitutto conoscerlo. Per apprezzare il livello di conoscenza del Risorgimento (e in particolare di Garibaldi), anche da parte di quelle che dovrebbero essere persone colte, basta aver visto l’altra sera la puntata di Otto e mezzo, nella quale si sono sentite sciocchezze inverosimili, come quella che Garibaldi non credeva all’immortalità dell’anima (sic!) e che non ha fatto riforme sociali (come se fosse stato primo ministro!). Mentre il conduttore Buttafuoco è arrivato a interpretare la spedizione dei Mille come esportazione della democrazia, paragonandola dunque alla guerra irachena: il che significa considerare il Mezzogiorno come una regione non italiana, considerare i volontari garibaldini come un esercito imperiale, e, non da ultimo, i siciliani e napoletani che li accolsero come collaborazionisti. A parte la sconvolgente approssimazione culturale di questi giudizi, non si può non porre una domanda: dove va un paese che non ha memoria della sua nascita, pur così recente; che non ha miti fondativi né grandi personaggi? Non abbiamo avuto un Churchill, non abbiamo avuto un De Gaulle o un Willy Brandt; i leader politici del Novecento sono ancora troppo di parte per costituire un Pantheon condiviso; vogliamo rinnegare i nostri unici personaggi veramente nazionali, e insieme europei, come Cavour e Garibaldi? La verità è che il Risorgimento è stato un movimento nazionale del tutto analogo ai movimenti nazionali di altri paesi, dalla Germania all’Ungheria, che non avevano avuto la ventura di essere unificati in nazione, secoli prima, dallo stato assoluto. Conseguenza inevitabile di ciò è stato il carattere di illegalità e di limitata violenza che l’origine della nazione italiana ha avuto e che oggi, con scarsa consapevolezza storica, viene addebitato al Risorgimento.
Il rifiuto di quel movimento eterogeneo che si proponeva di “fare l’Italia” e che, come accade di rado nella nostra storia, ci riuscì, è rifiuto dell’identità nazionale. Opporsi a questo rifiuto non può non essere preliminare al tentativo di “rifare l’Italia”, se questo è oggi il compito che si propone il Partito democratico.


 

Il Resto del Carlino 6-7-2007"Buttano via il bambino con l'acqua sporca". E' il senso dei commenti che si levano dalle Circoscrizioni, nonché da Palazzo Garampi, all'annunciata iniziativa dell'esecutivo Prodi. Mario Gradara

 

Il quale - sul tema caldissimo dei costi della politica - si accinge (oggi) a presentare in Consiglio dei ministri un ddl, per un successivo accordo con Regioni ed enti locali. Un decreto taglia sprechi. In sintesi: via le circoscrizioni nei centri sotto i 250mila abitanti; nelle metropoli ogni quartiere non potrà avere meno di 50mila abitanti; consiglieri circoscrizionali senza alcuno stipendio o diaria; riduzione dei componenti delle Comunità montane, e per far parte delle stesse un Comune dovrà avere almeno l'80 per cento della propria superficie sopra i 600 metri di altitudine! Ancora, riduzione dei consiglieri comunali. A Rimini scenderebbero da 40 a 36. Inoltre, sforbiciata ad auto blu, cellulari, società partecipate più o meno inutili ecc. E' GIA' polemica a Roma, ma anche Rimini non scherza: "Se è così ? sbotta l'assessore al Decentramento, Roberto Biagini ? vuol dire che il governo non ha tenuto in nessuna considerazione l'appello salva quartieri del 2 luglio delle amministrazioni comunali, capofila Modena, sottoscritto da Rimini e da 20 città. Non è certo con l'abolizione dei quartieri che si riducono i costi della politica. Ma se questa è la linea del governo, ci dovremo adeguare. Tra l'altro, avevamo già al vaglio, con alcuni incontri effettuati, una riorganizzazione e razionalizzazione dei nostri quartieri, riducendoli e cambiando le relative coperture territoriali, in vista del Piano strategico". "Chi ha ideato questa nuova legge chiaramente non è mai stato a lavorare in una circoscrizione ? attacca Fabio Betti, Margherita, presidente del Quartiere 5 ?. QUEST'ANNO abbiamo protocollato decine di atti, svolto tantissimi incontri. Abolendo i quartieri, dovranno lavorare molto di più sindaco e assessori per stare in contatto diretto coi cittadini". "Se pensano di ridurre così i costi della politica sbagliano ? rincara Giuseppe Riccio, presidente Q1, Forza Italia ?. Noi siamo l'interfaccia coi cittadini. Eliminarci aumenterà solo la distanza con le istituzioni". "NON CREDO che l'Italia ora andrà meglio ? ironizza Abramo Fraternali, Ds, presidente Q3 ?. Vero che esistono eccessi, troppe auto blu in alcune aree del Belpaese, ma è reale il problema del decentramento verso il livello più basso. Chiudere le circoscrizioni non mi pare il massimo. Sarà necessario pensare altri strumenti". Ma si risparmia sui costi della politica tagliando i quartieri sotto i 250mila abitanti? "E' una emerita cavolata", chiosa Fraternali. "Così come sono fatti ora si possono anche chiudere ? va controcorrente Nevio Gaudi, Rifondazione, presidente del Q6 ?. Coi nostri poteri attuali, quasi nulli se non con contrattazioni personali, sono soldi sprecati. Con tempi operativi lunghissimi Andrebbero però non chiusi ma riorganizzati in maniera efficace".


 

Il Resto del Carlino 6-7-2007 "Salviamo le circoscrizioni, tagliamo Deve cominciare lo Stato ad eliminare ciò che è superfluo. di VALENTINA BELTRAME

 

L'ASSESSORE al bilancio del Comune di Modena, Francesco Raphael Frieri, ha risposto alla chiamata del ministro Santagata e ieri era alla Camera dei deputati per esaminare il decreto legge sul contenimento dei costi della politica. Gli effetti dell'articolo 16 del decreto si faranno sentire a tutti i livelli istituzionali: i tagli riguarderanno Governo, Regioni, Province, Comuni e anche le circoscrizioni. Queste ultime sono uno dei nodi fondamentali su cui si discute a Modena, che sui consigli di quartiere ha un'esperienza lunga 40 anni: probabilmente verranno eliminate nelle città sotto i 250 mila abitanti. E' il caso di Modena. Assessore, cosa pensa del decreto per limitare i costi della politica? "Sono d'accordo con Santagata, ma bisognerebbe cominciare a tagliare dall'alto, dal Governo, che per esempio, potrebbe risparmiare su autisti e uscieri. E' uno scandalo vedere come lo Stato spreca i soldi in queste figure che non sono indispensabili. Basti pensare che il Comune di Modena ha una sola auto blu per il sindaco". Cosa comporterà il decreto per il Comune di Modena? "La prima conseguenza riguarda la riduzione del numero degli assessori che sarà deciso su base demografica. Su questo punto sono d'accordo, la giunta può restringersi di qualche unità". E per quanto riguarda il consiglio comunale? "Secondo il decreto, l'assemblea dovrà essere diminuita del 25%. Questo fatto mi preoccupa un po' di più perchè il consiglio rappresenta la pluralità di vedute ed è segno di democrazia. Paradossalmente sono più favorevole ai tagli nell'esecutivo, cioè nella giunta, piuttosto che nel consiglio che passerebbe da 40 a 30 membri". A rischiare di più saranno però le circoscrizioni... "Le circoscrizioni non si toccano. Faremo di tutto per mantenerle. Sono percorsi di partecipazione dei cittadini, garantiscono un filo diretto tra popolazione e amministrazione e il lavoro che svolgono, in termini di iniziative e collaborazione, è importante e indispensabile per il bene della città". Ma quanto costano le circoscrizioni? "Un presidente di circoscrizione ha un'indennità di meno di 2mila euro al mese, mentre i membri percepiscono un gettone presenza che si aggira sui 40 euro. Il costo è basso rispetto ai vantaggi che portano". Che soluzione propone per limitare il loro peso sulle tasche dello Stato? "Come per il Comune, non toccherei i consigli circoscrizionali, ma proporrei una riduzione dell'indennità del presidente, che potrebbe lavorare a tempo parziale anzichè a tempo pieno. sarebbe un modo per limitare ancora i costi di questi enti che, ripeto, sono fra i pochi ad essere davvero utili". Quali sono gli enti inutili, che potrebbero essere aboliti? "Beh, io abolirei gli enti di paragoverno, vale a dire quelli come l'Ato, agenzia territoriale per le tariffe idriche, e l'Amo, agenzia per la mobilità. Il lavoro che svolgono queste agenzie può essere fatto da Regioni o Province. Le Province, spesso, sono dispendiose e producono poco, così potrebbero lavorare e occuparsi per esempio di mobilità al posto dell'Amo". E per quanto riguarda le comunità montane? "Sarei per la diminuzione di questi enti. Soprattutto dovrebbero far parte delle comunità montane solo Comuni con un'altitudine superiore ai 600 metri, diversamente per quanto accade nel Modenese, dove ci sono paesi quasi pianeggianti che fanno parte di una comunità montana". Quindi dei tagli in politica servono... "Certo, e i soldi risparmiati dovrebbero essere usati per migliorare i servizi ai cittadini. Però non è giusto accanirsi sulle circoscrizioni, secondo me bisognerebbe partire dall'alto, diminuendo ministri e sottogretari e mantenendo quegli enti, come i quartieri, che a Modena rappresentano una risorsa preziosa".

 


INDICE 5-7-2007

+ AgenParl 5-7-2007 MANCA IL QUORUM, NIENTE GIUDICE  1

+ Il Corriere della Sera 5-7-2007  Ministro Francia: "Bush dietro attentati 11/9"  Secondo Christine Boutin, ministro delle Politiche urbane e degli alloggi Alessandro Grandesso  1

La Repubblica 5-7-2007  IL SEGRETO SENZA STATO.  GIUSEPPE D'AVANZO  2

Il Corriere della Sera 5-7-2007  Elenchi e presunti complotti Ecco la fabbrica dei dossier 3

La Repubblica 5-7-2007  "Bonificare Palazzo Chigi mettendo persone sicure nei posti chiave" di CARLO BONINI 4

La Stampa 54-7-2007 Pollari: "Mai svolte attività illecite". L'ex numero uno del Sismi si difende dalle accuse del Csm: «I docomenti di Pompa mai trasmessi al servizio»  8

Europa 5-7-2007 Veltroni, il Pd e i costi della politica ci sono impegni sufficienti per dimezzarli  FEDERICO ORLANDO RISPONDE  9

Il Riformista 5-7-2007 L’odio verso il proletariato della nobildonna di Lampedusa di Emanuele Macaluso  9

Itali Oggi 5-7-2007 Ratzinger si brucia col supereuro In un anno perde 7milioni per colpa del cambio col dollaro di Emilio Gioventù  10

Affari Italiani 4-7-2007  Mercati/ In arrivo l'Ombudsman per i risparmiatori traditi e la riforma del credito al consumo  11

 


 

+ AgenParl 5-7-2007 MANCA IL QUORUM, NIENTE GIUDICE

 

Roma 5 Luglio 2007 – Agenparl – Oggi il parlamento si riunisce per la sesta volta in seduta comune per l’elezione di un giudice della corte costituzionale. Su chi debba ricoprire il posto vacante alla Consulta non c’è ancora accordo tra le parti politiche e la questione sembra ancora lunga. Non è però soltanto una diatriba politica (almeno in apparenza) a procrastinare l’esito della votazione, c’è anche un fatto concreto: l’assenteismo dei parlamentari. Nella scorsa seduta, il quorum necessario dei tre quinti dell’assemblea (572 voti) non poteva comunque essere raggiunto in quanto deputati e senatori presenti e votanti erano appena 405. C’è solo da chiedersi il motivo dell’assenza dei restanti 540 componenti dell’assemblea degli eletti dal popolo. Sembra assurdo che la normale vita istituzionale sia ostacolata non da questioni di politica generale ma dal semplice lassismo professionale degli eletti. Opportuna e necessaria appare la proposta sollevata dai radicali di un monitoraggio pubblico della vita parlamentare di un onorevole, riportando assenze, proposte ed indirizzi di voto. (F.G.)

 

 


 

+ Il Corriere della Sera 5-7-2007  Ministro Francia: "Bush dietro attentati 11/9"  Secondo Christine Boutin, ministro delle Politiche urbane e degli alloggi Alessandro Grandesso

 

Intervista durante la campagna elettorale: «Se i siti che lo affermano sono i più cliccati, vuol dire che c'è qualche verità»

 

 

PARIGI – Bush dietro gli attentati dell’11 settembre? Possibile. Almeno secondo Christine Boutin, esponente della maggioranza del presidente francese Nicolas Sarkozy, oggi ministro delle Politiche urbane e degli alloggi. Sarebbe il primo caso di un politico di un governo occidentale a rimettere in dubbio la teoria che vuole Bin Laden come istigatore dell’attacco alle Torri Gemelle.

VIDEO - A inchiodare la Boutin, un video che circola in Internet. Qualche mese fa, in piena campagna pre-elettorale, l'attuale ministra era ospite di una trasmissione di un noto giornalista francese. Durante l’intervista di rito ecco la domanda fatidica: secondo lei, Bush può essere all’origine degli attentati dell’11 settembre? La risposta è immediata: «Penso sia possibile».

PROVE - La Boutin però non argomenta con prove alla mano, ma si basa su una pura constatazione: «Il fatto che i siti che rimettono in causa l’11 settembre siano visitati ogni giorno da milioni di navigatori, mi spingono a pensare che l’espressione della massa e del popolo non possa non basarsi su un fondo di verità».

IMBARAZZI - Il video non è sfuggito a reopen911.info, uno dei principali portali che si prefigge di fare chiarezza sulla prima ondata di attentati da sempre attribuiti ad Al Qaeda, e che ha deciso di utilizzarlo come spot. Uno spot, che se dovesse trasformarsi in «tormentone» sulla rete, potrebbe mettere in imbarazzo il governo di François Fillon, progettato da Sarkozy che non ha mai nascosto le sue affinità con il presidente americano George W. Bush.

Alessandro Grandesso

05 luglio 2007


 

La Repubblica 5-7-2007  IL SEGRETO SENZA STATO.  GIUSEPPE D'AVANZO

 

 Il Consiglio superiore della magistratura denuncia che l'intelligence militare (il Sismi) ? a partire dal 2001 e intensamente fino al 2003 e saltuariamente fino al 2006 ? ha spiato, anche con l'aiuto di qualche "toga sporca", quattro procure della Repubblica (Milano, Torino, Roma, Palermo), 203 giudici (47 italiani) di 12 paesi europei. Li ha spiati per sorvegliarne le iniziative; per intimidirli con operazioni di disinformazione; per screditarli con manovre "anche traumatiche". Per comprenderla meglio, la notizia va ridotta all'osso. Nel suo significato essenziale ci racconta che per cinque anni un programma illegittimo, anticostituzionale e minaccioso è stato coltivato e realizzato non da un ufficio separato o infedele o "deviato" dello spionaggio, ma dal Sismi stesso, dalla sua stessa direzione perché ogni iniziativa e risultato della "pianificazione" è stato riferito direttamente al capo delle spie, il generale Nicolò Pollari. Per dirla con una formula, l'attività abusiva del Sismi era "istituzionale". A conferma dell'uso "separato" che impone a ogni sua funzione, il generale ? oggi consigliere della presidenza del Consiglio ? ha replicato alla denuncia del Csm con una lunga e solitaria apparizione al Tg5. Con il consueto disprezzo per i fatti, negando ogni responsabilità, anche quelle ammesse dal suo "braccio destro". Ha minimizzato l'attività di dossieraggio, anche quelle documentate dall'archivio sequestrato. Ha preso la parola a nome del Sismi, come se ancora lo dirigesse. Ha polemizzato, quasi si trattasse di una baruffa televisiva, con un organo di rilevanza costituzionale presieduto dal capo dello Stato. Se c'era bisogno di avere la conferma dell'esistenza di un "agglomerato" spionistico (legale/illegale) che si è autonomizzato, privatizzato intorno a interessi estranei ai compiti istituzionali e del tutto personali e autoreferenziali, Nicolò Pollari ne ha offerto ieri un saggio con il suo volto e con le sue parole: con l'irresponsabilità onnipotente di chi si sente ancora e sempre una sorta di autorità autonoma e separata.

Il j'accuse dei giudici chiarisce: quelle azioni distorte degli 007 hanno colpito le fondamenta della democrazia Il ricatto del segreto di Stato per salvare gli "amici" al governo Dopo la sfida in tv, l'ex capo del Sismi resterà consulente del governo?

 La "sfida" del generale fa chiarezza, tutto sommato. Come chiarezza fa il documento approvato dal Csm, come sempre esaminato dal presidente della Repubblica. Il lavoro del Consiglio ha infatti il pregio di eliminare la fuffa che gli attori, Pollari in prima fila, hanno accumulato su questo affare. Lo si è voluto rappresentare con la faccia e i modi di un tale di nome Pio Pompa, diventato dal mattino alla sera, nel 2001, alto dirigente del Sismi, con un suo ufficio riservato in via Nazionale a Roma, alle dirette dipendenze del direttore del Servizio. Questo Pompa è un uomo in apparenza ridicolo, che si comporta in modo ridicolo, che dice cose ridicole. Se ne va in Parlamento e dinanzi al Copaco (la commissione di controllo dei servizi segreti) si presenta come "un compagno", uno ? per dire ? che si è laureato con una tesi su "Togliatti e il Mezzogiorno"; un tipo che la domenica andava in giro a diffondere l'Unità; un funzionario dello Stato e agente segreto che riconosce un solo leader degno di governare il Paese. Romano Prodi, naturalmente. Salvo poi scoprire che scriveva a Berlusconi: "Sarò, se Lei vorrà, il suo uomo fedele e leale?". Come prendere sul serio Pompa? Il fatto è che il tipo ridicolo è soltanto una maschera grottesca e oggi utile. Protegge l'autore e le responsabilità dell'impresa. Ne occulta la ragione politica e istituzionale. Il Csm se ne libera con un tratto di penna e va al cuore nero della vicenda. Pollari, il direttore dell'intelligence militare, era informato ad ogni passo dello spionaggio contro la magistratura (lo ammette Pompa). Quindi quel Sismi si è messo al lavoro in forme del tutto illegittime rispetto alla propria missione istituzionale, che è ? secondo legge ? "la difesa sul piano militare dell'indipendenza e dell'integrità dello Stato da ogni pericolo, minaccia o aggressione". Per il Sismi proteggere l'integrità dello Stato ha voluto dire difendere un governo dai contrappesi costituzionali, tutelarlo dalle opinioni dissenzienti. è nella denuncia di questa deformazione, il segnale di pericolo lanciato del Csm. "è chiaro ? scrive il Consiglio ? che le iniziative giudiziarie (soggette ai controlli giurisdizionali previsti dall'ordinamento) e il dibattito politico-culturale sono componenti essenziali della democrazia e nulla hanno a che vedere con aggressioni o minacce che richiedono azioni di "difesa sul piano militare"; inoltre, il compito dei Servizi è quello di vigilare sulla "indipendenza e integrità dello Stato" e non sulla stabilità del Governo contingente, qualunque ne sia il segno politico". Nell'interpretazione delle regole praticata dal generale Pollari, si sono creati sillogismi deformi e antidemocratici. Lo Stato è il governo, qualunque siano le sue decisioni, mosse, progetti e responsabilità. Ogni opposizione al governo ? sia controllo giurisdizionale o informazione o convinzione culturale e politica ? diviene immediatamente, in questa dottrina azzardata, "una minaccia alla sicurezza nazionale", quindi un'eversione che giustifica ogni mezzo, ogni attività di spionaggio, finanche una "pianificazione traumatica". Per anni, si è voluto rappresentare questo sentiero stortissimo con una tautologia, a volte anche in buona fede. Si è detto, l'intelligence è l'intelligence: si sa, lavora con metodi sporchi, border line, spesso oltre i confini della legalità. Ma il nodo della minaccia non era nel metodo. Era nel fine. Non era nell'illegalità possibile del lavoro di intelligence, ma nella legittimità di quel lavoro che trova ragioni soddisfacenti e adeguate soltanto "nella difesa dello Stato" e non può trovarle, come è accaduto al Sismi di Pollari, nella protezione di un equilibrio politico; nello scudo per un governo (quale che sia); nell'aggressione ad altre indipendenti funzioni dello Stato (la magistratura), della politica (l'opposizione), della società (la stampa) e, infine, nella creazione di un potere "autonomo", privato, extraistituzionale. è nella denuncia di questa mutazione genetica di una burocrazia dello Stato la rilevanza dell'accusa del Csm. Che non può rimanere senza esiti e riscontri. Ne potrebbe (dovrebbe) trovare subito tre. In uno dei primi interrogatori a cui è stato sottoposto, Pio Pompa ha farfugliato dinanzi al pubblico ministero di Roma la formula del segreto di Stato. Bene, il governo potrebbe chiarire presto e in modo inequivoco che tutta l'attività svolta dall'ufficio di disinformazione e dossieraggio di via Nazionale non è coperta da segreto di Stato in quanto in quell'ufficio non si è svolta alcuna attività in difesa dell'integrità dello Stato. Il secondo immediato esito dovrebbe coinvolgere il Sismi, oggi diretto dall'ammiraglio Bruno Branciforte. Quante delle informazioni, dei dossier autentici e fasulli raccolti dagli uomini di Pollari ? in base al sillogismo "Stato uguale governo"; "opposizione uguale eversione" ? si sono "sedimentati" negli archivi del Servizio? Bene, ripulire gli archivi di quelle scorie avvelenate deve voler dire mettere a disposizione della magistratura le informazioni per neutralizzarle, per accertare le responsabilità di un'ombra che ha oscurato la democrazia italiana. Infine, un terzo esito. Immediato. Per il generale Pollari. Dopo la sfida lanciata dalla tv al Csm, può ancora essere consigliere del governo? Palazzo Chigi dovrebbe battere un colpo.

 


 

Il Corriere della Sera 5-7-2007  Elenchi e presunti complotti Ecco la fabbrica dei dossier

 

 

Sono fogli sparsi, senza intestazioni né firme, scritti a macchina o al computer, corretti a mano e con cancellature varie. In alcuni compaiono semplici elenchi di nomi, in altri la descrizione di presunti complotti ai danni del governo Berlusconi. E poi progetti per «aggredire » e «disarticolare» quei programmi, attribuiti ai personaggi indicati nelle liste dei «nemici ».

Sono le carte che formano gran parte del «dossier antigiudici» trovato nell’ufficio romano del Sismi di via Nazionale, che per il Csm dimostrano come il servizio segreto militare guidato dal generale Nicolò Pollari abbia indebitamente spiato e controllato magistrati da intimidire e screditare. Soprattutto quelli impegnati in «indagini e processi particolarmente delicati», a Milano e a Palermo.

L’ufficio di via Nazionale era gestito dal braccio destro dell’ex direttore del Sismi, al secolo Pio Pompa. Il quale sostiene che quei documenti non sono suoi. O meglio, a lui erano arrivati, ma chissà da dove e perché; dunque con il progetto di «disarticolazione» di magistrati e politici considerati anti berlusconiani il consigliere di Pollari non c’entra. Al comitato parlamentare di controllo ha detto di averli ricevuti in una busta chiusa e dimenticati in una borsa ritrovata durante la perquisizione in via Nazionale.

Del resto, ha spiegato nelle «dichiarazioni spontanee» alle Procure di Milano e Roma, lui per lavoro doveva «acquisire, classificare e custodire tutte le informazioni, senza distinzione di genuinità, affidabilità e attendibilità». Quindi anche «informazioni inutili, il che non significa che debbano essere cestinate e non custodite». E a proposito del «dossier antigiudici» ha precisato: «Si tratta di un vecchio documento anonimo redatto nell’agosto del 2001 di cui non ho mai fatto alcun uso e il cui contenuto non ho mai propalato ad alcuno ».

Ma investigatori e inquirenti non ne sono affatto convinti; e qualche indizio che siano frutto del lavoro di Pompa si ritrova in quelle stesse carte. Ad esempio nei fogli in cui si descrivono le presunte «iniziative e azioni aggressive » contro il governo Berlusconi insediatosi da pochi mesi. Fra queste, una ipotetica manovra studiata a tavolino l’11 agosto 2001 dal senatore diessino Massimo Brutti, alcuni pubblici ministeri milanesi e una giornalista ai danni di un «personaggio politico di primissimo piano», facilmente identificabile in Silvio Berlusconi. Con tanto di pretesa fotocopiatura ed esame degli atti giudiziari «nell’ufficio del magistrato competente (G.Colombo)». Nell’appunto si dice che «tali movimenti corrispondono perfettamente al disegno di accelerare le azioni aggressive in presenza del dispositivo predisposto da un noto ex magistrato che si ripropone in tutta la sua pericolosità».

Non è difficile riconoscere in queste parole lo spettro del «partito dei giudici » guidato dall’ex presidente della Camera Luciano Violante, che l’anonimo consigliava di «contrastare e disarticolare ». Ma il particolare interessante, per il pubblico ministero di Roma Saviotti che indaga sulla vicenda, è che di questo resoconto sono state trovate varie copie uguali nella sostanza ma diverse nei caratteri tipografici e in alcune parti (per esempio nella presenza o assenza dei nomi); e ci sono delle correzioni a mano, forse opera dello stesso Pompa, poi riportate in bella copia. Di solito un anonimo arriva in un’unica versione, e soprattutto senza le minute vergate a mano; più plausibile che quelle carte siano state studiate e rielaborate, anche se ne resta incerta la provenienza. Ma è certo che Pompa ne fosse in possesso, e che fossero custodite in una sede del Sismi.A che titolo e con quale scopo può spiegarlo solo lui. Ieri sera il generale Pollari, che l’ha prima nominato consulente personale e poi assunto al Servizio per chiamata diretta, ha spiegato che Pompa si limitava ad analizzare le cosiddette «fonti aperte », e che i documenti di via Nazionale col Sismi c’entrano fino a un certo punto. Gli appunti riveduti e corretti che costituiscono il cuore del «dossier antigiudici » per Pollari non sono documenti del Sismi. Allora, a meno che non si creda alla spedizione in busta senza mittente, resta l’ipotesi che sia materiale confezionato o utilizzato proprio da Pio Pompa, dall’estate del 2001 in poi. Cioè prima, a ridosso e magari subito dopo il suo ingresso nel servizio segreto. Del quale, il giorno stesso della sua nomina, si premurò di ringraziare via fax Berlusconi in persona, con la lettera in cui prometteva al capo del governo di «impegnarsi a fondo nella tutela e difesa della straordinaria missione che scandisce la Sua esistenza». Dove il «Sua» significa di Silvio Berlusconi.

GIOVANNI BIANCONI

05 luglio 2007


 

La Repubblica 5-7-2007  "Bonificare Palazzo Chigi mettendo persone sicure nei posti chiave" di CARLO BONINI

 

Scrive Pio Pompa in una delle sue note autografe all'allora direttore del Sismi Nicolò Pollari: "Il segreto è il punto di forza di ogni mutamento". Ora, almeno in parte, quel segreto cade e l'archivio riservato di via Nazionale (di cui Pompa era l'addetto) restituisce ciò che vi è stato custodito. Letti nella loro interezza, gli "appunti" e le "schede" impilati nell'arco di almeno cinque anni (2001-2006) sul conto di magistrati, uomini politici dell'allora opposizione, giornalisti, documentano non solo la natura illegale e calunniosa del lavoro spionistico svolto dal Servizio, ma il "programma politico" che lo ispirava e chi ne era il "dominus" tecnico: il generale Nicolò Pollari.

"Alla valutazione del generale" - come indicano gli appunti riservati - Pompa sottoponeva ogni mossa. Con Pollari e l'insediamento della nuova maggioranza di centrodestra, a Palazzo Chigi nasce un "nuovo" Servizio impegnato nella "bonifica del Palazzo", "l'epurazione della pubblica amministrazione", "la tutela di eminenti personalità di governo" con il ricorso, se necessario, a iniziative non ortodosse e traumatiche. Ecco dunque i documenti.

LA BONIFICA DI PALAZZO CHIGI
"Sicurezza del Palazzo" (Palazzo Chigi) - appunto manoscritto

"Nei confronti del personale legato da rapporto di impiego stabile con la presidenza del Consiglio, a scanso di forti reazioni burocratico-sindacali, è possibile attuare una ragionevole ed efficace attività procedendo all'attribuzione di talune funzioni a persone ritenute sicure, procedendo contestualmente ad avvicendamenti "formalmente fisiologici" di altri soggetti, onde depotenziare il dispositivo esistente, o almeno "disorientandolo" e privandolo di sicuri punti di riferimento (...) In questo senso un'attenzione particolare va rivolta ai soggetti che curano i flussi documentali e gli apparati di comunicazione. (...) Il problema di "bonificare" il dispositivo di sicurezza del "Palazzo" è meno arduo (...) Il segreto è il punto di forza di ogni decisione di mutamento. Sta nel rapporto fiduciario che deve legare tale organizzazione con la Presidenza, nonché nel sapiente dosaggio della necessità e dell'opportunità di avvicendare, nel tempo, i vari organismi nelle varie funzioni (...) E' necessario pensare alla costituzione di un dispositivo fiduciario limitato a poche persone da inserire nell'ambito della struttura (...) un apparato di sensori e cartine di tornasole utile a prevenire e, se del caso, a reprimere (...) E' superfluo aggiungere che il dispositivo in parola deve essere caratterizzato da persone di blindata affidabilità, della quale deve assumere personale responsabilità chiunque sia chiamato a individuarle".

L'EPURAZIONE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
"Supporto conoscitivo all'interno della Pubblica amministrazione" - appunto manoscritto.

a) Conoscenza e/o possibilità di conoscere le risorse umane e, segnatamente, gli "atteggiamenti" e i "riferimenti" del management pubblico. b) Individuazione delle aree e di soggetti in grado di intervenire in termini "non convenzionali" nelle scelte, nelle decisioni da assumere e/o per l'ostruzionismo delle stesse. c) Conoscenza delle aree di gestione degli stimoli impropri e/o della disinformazione organizzata rispetto alla linea decisa. d) Conoscenza e/o tendenziale possibilità di individuazione di focolai di contrapposizione tecnico-politica alla linea di governo. e) Possibilità di corrispondere alle esigenze di Governo di conoscenza, di volta in volta, di ambiti, soggetti, progetti, iniziative, atteggiamenti formali o sostanziali di eventuale interesse dell'Autorità. f) Possibilità di monitoraggio di ambiti, soggetti, programmi, progetti, iniziative di interesse dell'Autorità. g) Valutazione preventiva delle risorse umane cui affidare o comunque curare progetti di interesse dell'Autorità".

LA NEUTRALIZZAZIONE DEL NEMICO POLITICO
"Attività di tutela di eminenti personalità di governo" - appunto manoscritto


A) Al livello interno.
1) Nei rapporti con le istituzioni:
* Valutazione costante degli "atteggiamenti impropri" propalati, adottati o adottandi, da Organi o persone, da attivarsi secondo programmi preventivamente illustrati all'Autorità o su sue specifiche indicazioni.
* Monitoraggio dei settori "notoriamente sensibili".
* Studio di fattibilità di eventuali ipotesi di lavoro volte a "neutralizzare iniziative improprie".
* Attivazione di procedure indicate dall'Autorità di volta in volta interessata.
2) A livello di Organi diversi dalle Istituzioni
* Attività di "monitoraggio costante" di ogni iniziativa o ipotesi di iniziativa volta a incidere sul regolare funzionamento, sul corretto esercizio e sulla credibilità di organi e/o soggetti di Governo
* Approfondimento cognitivo di situazioni di minaccia riferite ad aree sensibili, di cui si è attinta autonoma notizia o per cui sono richieste adeguate attività.
* Valutazione delle "prospettive di rischio" e conseguente studio di fattibilità degli atteggiamenti e dei provvedimenti da assumere.
* Valutazione, a livello di intelligence economica, delle fonti, delle notizie, degli indirizzi e delle prospettive di interesse, desunte dal programma di Governo, o, di volta in volta, indicate dall'Autorità (quest'ultima voce appare nell'appunto relativo al "Supporto di sicurezza generale" ndr).

IL MONITORAGGIO DI MEDEL
Appunto al Direttore - 3 agosto 2002

"Dallo studio preliminare delle ultime attività di Medel (organizzazione europea che raccoglie giuristi e magistrati ndr) e soprattutto dal suo principale sostegno italiano (Magistratura democratica) emerge quanto segue: Settori di attività: a) impegno per la garanzia dello status di magistrato; b) opposizione a legislazione speciale sul terrorismo, che affiderebbe maggiori poteri all'autorità di polizia ai danni della magistratura; c) opposizione a politiche e legislazione restrittive in materia di immigrazione. 2) Principali contatti in Italia: a) Gruppo Abele; Arci; Associazione di promozione sociale; Centro di iniziativa per l'Europa del Piemonte; Associazione di studi giuridici sull'Immigrazione; Agenzia testimoni di Ge-Nova; Associazione "Carta". Allegato: Per quanto riguarda i progetti specifici promossi da enti e associazioni "non profit", benché non sia esplicito alcun legame con Medel, può essere interessante approfondire la natura e i contenuti del "progetto Melting pot" promosso da "Sherwood Comunicazione e Comune di Venezia". I redattori sono: Avv. Marco Paggi; Rosanna Marcato; Cris Tommesani; Gianfranco Bonesso; Milena Zappon; Barbara Barbieri; Claudio Calia; Jelena Momcilovic; Nait Salah Mourad; Leen Elen; Vojsava Zagali; Jonas Chinedu Okonkwo; Graziano Sanavia".
Appunto al signor Direttore - 13 febbraio 2002 - "La Commissione di inchiesta su Tangentopoli".
"Presso ambiti qualificati si è appreso che, ben prima dell'istituzione della Commissione di inchiesta su Tangentopoli, il movimento dei "giuristi" democratici militanti avrebbe verosimilmente predisposto una strategia di contrasto sia a livello nazionale che internazionale. I giuristi si sarebbero avvalsi, da un lato, del supporto delle componenti politiche, mediatiche e antagoniste a essi contigui o organici, dall'altro del network internazionale facente capo a Medel. Nello specifico è stato riferito di incontri e contatti riservati intercorsi nei giorni immediatamente successivi al varo della Commissione tra Bruti Liberati, Livio Pepino, Ignazio Patrone, Giovanni Salvi, Cesare Salvi, Sergio Cofferati, il segretario del Fnsi Paolo Serventi Longhi. In tale contesto, sarebbero emersi i seguenti orientamenti: adottare forme di pressione sul Presidente della Repubblica strumentalizzando anche una presunta volontà da parte del Governo di porlo in difficoltà attraverso il caso Telekom Serbia. (...) appoggiare strenuamente il disegno, che farebbe capo al fronte antiriformista e al movimento venutosi a costituire intorno a Cofferati, teso a boicottare l'attività di Governo in attesa di eventuali esiti negativi delle vicende giudiziarie del Premier".
La "scheda" Barbe.
"Secondo talune indicazioni, il magistrato di collegamento presso il ministero di Grazia e Giustizia, Emmanuel Barbe (addetto dell'ambasciata di Francia a Roma) risulterebbe da tempo in stretti rapporti con diversi esponenti di Medel (...) Sembrerebbe che Barbe abbia avuto modo di diventare un profondo conoscitore delle vicende politiche e giudiziarie riguardanti il nostro Paese sulla scorta di frequentazioni e di legami, agevolati dalla stessa Medel, con Luciano Violante, Antonio Di Pietro, Giancarlo Caselli, Ignazio Patrone, Edmondo Bruti Liberati, Alessandro Perduca, Livio Pepino, Claudio Castelli, Maria Giuliana Civinini, Giovanni Salvi, Luigi Marini".
La scheda "Gallo".
"Fonte di buona affidabilità ha riferito in merito al previsto incontro tra l'esponente del movimento Batasuna, Joseba Alvarez, e il magistrato del tribunale di Roma Domenico Gallo, membro di Medel. Tale incontro dovrebbe svolgersi nella serata del 28 aprile a margine di un'assemblea fissata per le 17.30 sulla situazione nei Paesi Baschi, organizzata dal Centro sociale Intifada, via di Casalbruciato 15, Roma. In particolare, è stato riferito che il magistrato in questione risulterebbe contiguo ad ambienti della sinistra eversiva sia a livello nazionale che internazionale e segnatamente con i "Carc", l'Eta basca, il movimento bolivariano di Evo Morales, l'Ezln del Subcomandante Marcos e con le Farc colombiane. Su tale versante, egli fungerebbe inoltre da collegamento con esponenti politici, sindacali e della magistratura, tra cui: Sergio Cofferati, Nunzia Penelope (giornalista), Cesare Salvi, Giovanni Salvi, Papi Bronzini (Md), Ignazio Patrone (Medel), Edmondo Bruti Liberati (Md), Laura Curcio (Md), Amelia Torrice (Md), Amedeo Santosuosso (Md), Paolo Mancuso (Md), Giacinto Bisogni (Md), Letizio Magliaro (Md), Gianni Palombarini (Md), Marco Paternello (Md), Mario Vaudano (Md)".

"Giuristi militanti e circo mediatico delegittimano il premier"



TELEKOM SERBIA, LA RAI E GLI INCONTRI AL QUIRINALE
Appunto al signor Direttore - 26 luglio 2002: "Situazione politica e alcuni suoi possibili risvolti"

"Trasmetto per le valutazioni di interesse. A disposizione per ogni ulteriore chiarimento, mi è gradita l'occasione per porgerLe cordiali saluti.
Ambiti bene informati hanno fornito indicazioni inerenti il significato e le motivazioni che, verosimilmente, sarebbero sottesi al recente messaggio alle Camere da parte del Capo dello Stato. Motivazioni e significato rappresenterebbero l'esito di una serie di incontri e contatti intercorsi tra il Segretario generale del Quirinale, dr. Gaetano Gifuni, e i leaders Ds, Piero Fassino e Massimo D'Alema. Tali incontri, sollecitati fortemente anche da Lamberto Dini, avrebbero avuto come finalità la definizione di una strategia tesa a tutelare il Presidente della Repubblica e alcuni uomini politici dalle vicende che potrebbe assumere la vicenda Telekom Serbia. Nell'ambito della suddetta strategia, il messaggio alle Camere, in realtà, avrebbe perseguito lo scopo di dare un preciso segnale sullo scontro politico e istituzionale che verrebbe a determinarsi qualora la Commissione parlamentare di inchiesta sull'affare Telekom Serbia dovesse orientarsi per una chiamata in causa del capo dello Stato, all'epoca ministro del Tesoro, unitamente a determinati esponenti del governo e della maggioranza di quel periodo. In particolare, l'intervento sul pluralismo dell'informazione, contenente l'auspicio di estendere le prerogative della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai alle reti private, costituirebbe l'anticamera di una ancora più decisa forma di pressione da attuarsi tramite lo sbarramento dell'opposizione e l'alea del rinvio alle Camere della legge sul conflitto di interessi".

UNA "VOCE" DA SPEGNERE. UN INGLESE DA SPIARE
Appunto per il direttore - Gennaio 2003: "Attacchi contro il presidente del Consiglio alla vigilia del semestre italiano" (di presidenza Ue).

"Si è avuta notizia che, sui recenti attacchi portati da alcune testate giornalistiche, avrebbero essenzialmente interagito:
Il nutrito gruppo di giornalisti e "giuristi" militanti raccolto intorno alla "Voce della Campania" diretta da Andrea Cinquegrani e Rita Pennarola; Michele Santoro; Giuseppe Giulietti; Paolo Serventi Longhi; Ignazio Patrone; Sandro Ruotolo e Giulietto Chiesa; il presidente della stampa estera in Italia Eric Jozsef, corrispondente del giornale francese "Liberation", autore di durissimi articoli contro il governo italiano ripresi e diffusi ad opera del magistrato belga Marie Anne Swartenbroeks.
Quanto poi al ruolo mediatico esercitato dalla "Voce della Campania" esso risulterebbe caratterizzato dalle forti connessioni stabilite con ambienti dei cosiddetti "giuristi militanti", dal rappresentare una delle principali componenti del complesso circuito telematico facente congiuntamente capo ai siti "Centomovimenti" e "Manipulite. it" che alimenta il processo di delegittimazione del premier. Prestigiosi opinionisti (sic) hanno scritto negli ultimi anni per la "Voce". Tra questi, "Percy Allum", cittadino inglese il cui nome sarebbe Antony Peter Allum, che, oltre ad essere punto di riferimento di alcuni corrispondenti come quelli del "Guardian", dell'Economist e del Financial Times, godrebbe di solidi legami (in ciò agevolato dall'essere docente presso l'Orientale di Napoli) con ambiti del fondamentalismo islamico napoletano, fungendo anche da collegamento con quelli attivi in Gran Bretagna".

LA COMMISSIONE MITROKHIN
Appunto al signor Direttore - 6 giugno 2002

"Fonte vicina ad ambienti dell'opposizione ha informato che esponenti di spicco dei Ds, appartenenti all'area cui fa ancora capo la leadership del partito, avrebbero manifestato l'intenzione di non voler ostacolare l'accertamento, da parte della Commissione, dell'eventuale coinvolgimento di determinati uomini politici della sinistra. Ciò al fine di indebolire l'asse venutosi a costituire tra la parte più ortodossa del partito, la Cgil e il suo leader, Rifondazione comunista, Comunisti italiani e l'area movimentista ricomprendente i no global e le frange più estreme dell'antagonismo. L'obiettivo sarebbe quello di ricostituire una forte sinistra, cosiddetta di Governo, in grado di ricompattare l'opposizione e mantenerne la guida su basi programmatiche".

PRODI SI CANDIDA
Appunto al Direttore (senza data)

"Ambiti bene informati hanno fornito indicazioni secondo cui la palese entrata in campo politico dell'attuale Presidente della Commissione Europea, tra l'altro sancita dalla recente diffusione di un vero e proprio documento programmatico titolato "Europa: il sogno e le scelte" avrebbe determinato negli ambienti dell'Unione Europea e in diversi Paesi membri forti reazioni contrarie che starebbero per sfociare in un clamoroso caso di incompatibilità. In particolare sembra che il caso in questione sia stato sollevato e fatto proprio, in punto di principio, dagli stessi organismi della Ue, nonché da diversi gruppi politici del Parlamento europeo. Tant'è che la eco mediatica suscitata dalla vicenda starebbe per assumere risvolti clamorosi soprattutto sulla stampa estera mentre in Italia verrebbe trattata con scarsa attenzione destando non poca meraviglia nel resto dell'Europa. Tuttavia, il dato rilevante sarebbe che, nel caso di specie, non si tratterebbe di mera polemica politica, bensì del rispetto di un principio, ormai consolidato in sede Ue, teso ad evitare fenomeni di commistione tra il ruolo di Presidente della Commissione e quello di leader di una coalizione politica nel Paese di appartenenza. Di qui la trasversalità delle prese di posizione contrarie, che abbraccerebbero larga parte del Parlamento europeo e non solo, con l'intento di perpetuare il rispetto di tale forma di incompatibilità cui si sono già attenuti altri leader politici".

(5 luglio 2007)


 

La Stampa 54-7-2007 Pollari: "Mai svolte attività illecite". L'ex numero uno del Sismi si difende dalle accuse del Csm: «I docomenti di Pompa mai trasmessi al servizio»

 

ROMA
Il Sismi è stato chiamato in causa «ingiustamente» dal Csm per la vicenda dei dossier rinvenuti nell’archivio di Pio Pompa. Il Servizio, infatti, «mai ha svolto attività non consentite, tanto meno nei confronti di uomini politici, magistrati e giornalisti». Lo ha rivendicato l’ex direttore del Sismi, Nicolò Pollari, replicando in un’intervista al Tg5 alle conclusioni contenute nella risoluzione approvata oggi dal Csm sui magistrati "spiati".

«Dal Csm accuse ingiuste»
Pollari ha premesso di avere «sempre mantenuto un doveroso riserbo per rispetto della funzione che ho svolto e delle responsabilità che me ne derivano anche oggi». «Mi sono imposto in questo caso una deroga, non al fine di difendere me stesso ma per il fatto - ha aggiunto l’ex direttore - che le conclusioni a cui è pervenuto oggi il Csm, secondo quanto divulgato dagli organi di informazione, investono ingiustamente l’istituzione Sismi». «Il Sismi da me diretto - ha sottolineato Pollari - mai, dico mai, ha svolto attività non consentite, tanto meno nei confronti di uomini politici, magistrati e giornalisti. Il Sismi da me diretto, in un periodo di guerre, si è occupato di evitare attentati in Italia o contro obiettivi italiani nel mondo, di salvare vite umane e di portare in salvo cittadini italiani e non solo sequestrati in paesi ad alto rischio».

Archivi da fonti giornalistiche
«Non esiste nè in via Nazionale nè in alcun altro luogo alcun archivio segreto del Sismi che contenga dossier illeciti nei confronti di chiunque, nè esiste alcun documento da utilizzare a fini intimidatori nei confronti di chicchessia», ha precisato Pollari. «I file oggetto di discussione, rinvenuti in via Nazionale nei computer personali del dottor Pompa, che aveva funzioni di analista di fonti aperte e di analista Internet, recano - ha specificato l’ex capo del Sismi - documentazione di sua personale riferibilità. Si tratta pertanto, e per quanto mi è dato di conoscere, di dati e notizie provenienti da fonte giornalistica, attinti da giornali, libri e da siti internet, siti aperti e disponibili per chiunque navighi e si muova nel web».

«Documenti mai trasmessi al Sismi»
Secondo Pollari, inoltre, i documenti rinvenuti nell’archivio di via Nazionale organizzato da Pio Pompa non sono mai stati trasmessi e utilizzati dal Sismi. «Mai, dico mai, tali atti e documenti sono stati trasmessi al Servizio e utilizzati in alcun modo dal Sismi», ha detto Pollari. Che ha aggiunto: «Non ritengo perciò accettabile che vengano emessi pronunciamenti in assenza di conoscenze complete ed adeguate dei fatti, e che si celebrino processi mediatici ai danni di un’istituzione repubblicana che ha operato solo per garantire la sicurezza dello Stato e dei cittadini italiani in momenti così delicati e difficili per il Paese».


 

Europa 5-7-2007 Veltroni, il Pd e i costi della politica ci sono impegni sufficienti per dimezzarli  FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, ho un quesito sul discorso di Veltroni, partendo dalla lettura de La Casta di Rizzo e Stella. La partitocrazia e le commistioni illecite fra affari e politica sono zavorra per il sistema Italia e fanno vivere male l’economia e noi stessi. Per citare (p.129), in Sicilia, mentre la sanità pubblica affonda, quella privata fiorisce e ingrassa i politici. Ecco il quesito: quale posizione ha espresso Veltroni rispetto al perverso intreccio tra politica e affari, così frequente all’ombra delle patrie istituzioni? PAOLA ROCCHI, SANTA MARINELLA (RM)

 

Cara Paola, scusa per i taglietti alla lettera, spero non gravi. È probabile che tu non abbia potuto ascoltare in diretta il discorso di Veltroni (Sky, Rai News 24) né leggerlo per intero (sito di Repubblica).
Io, che a differenza di te non ho 25 alunni a cui insegnare, ho potuto farlo e ti assicuro che per cercare la risposta alla tua domanda bisogna entrare nella logica di un discorso che dipinge un quadro generale del “sistema Italia” com’è e come vorremmo che fosse. Allora le risposte verranno implicite ma limpide.
Mi limito a riferirti quella che riguarda la questione più ricorrente (ma non unica né la più onerosa per tutti noi): il costo della Casta. Veltroni non ne parla come di un fatto in sé, perché sa che essa è l’ultima foglia di un albero malato, che non può essere curato con l’anticrittogamico.
Occorre una potatura radicale, come quella che facciamo ai nostri olivi quando li riduciamo a quattro cinque rami partenti dal ceppo. Dice: se i parlamentari eletti sono 577 in Francia, 646 in Gran Bretagna, 614 in Germania, 435 negli Stati Uniti, perché in Italia debbono essere mille tra camera e senato? Vogliamo una sola camera elettiva e legislativa (500 deputati?). Eguale cura dimezzante “per tutti gli organismi elettivi” (comuni, province, regioni, consorzi , ecc) o per quelli di essi che sopravvivranno alla falcidia. Approvazione o bocciatura della legge finanziaria a scatola chiusa (come in Inghilterra), senza emendamenti per le clientele. Eliminazione di centinaia di organismi che danno pareri e mettono veti, facendo moltiplicare nelle remore le occasioni di condizionamenti e corruzione: proprio come negli appalti subappalti e trasferimenti e lottizzazioni di opere pubbliche o forniture.
Vuoi che vada avanti? Posso farlo, ma il discorso si sposta ben oltre il limite della Casta politica di Rizzo e Stella: riguarda la tassazione delle rendite e quella dei risparmi, gli affitti, gli ordinamenti della pubblica amministrazione, i servizi esasperanti, centinaia di stanze del nostro vecchio stato barocco fatte apposta per far fermentare i germi dell’ozio, dell’intrallazzo e della corruzione.
Veltroni li indica. Credo che altrettanto faranno Letta e Bersani e altri possibili candidati alle primarie.
Resto invece sgomento nel leggere sull’ultimo numero di Micromega gli inciuci centrosinistra-centrodestra delle ultime legislature uliviste e berlusconiane. E qui per oggi fermiamoci. Però, dovremo rifletterci molto. Non possiamo consolarci col fatto che anche in Francia, nonostante il suo limpido sistema istituzionale che ci piacerebbe, Chirac stia sotto processo.


 

Il Riformista 5-7-2007 L’odio verso il proletariato della nobildonna di Lampedusa di Emanuele Macaluso


Caro direttore, in questi giorni ho letto Viaggio in Europa, l’epistolario di Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel quinquennio 1925-30, pubblicato da Mondadori e curato dal mio caro amico Gioacchino Lanza Tomasi e da Salvatore Silvano Nigra. Le lettere di Lampedusa sono tutte indirizzate ai cugini Piccolo di Colanovella, Agata Giovanna, Casimiro (pittore) e Lucio (poeta), i quali vivevano in una villa nobiliare di Capo d’Orlando, in un mondo magico, fiabesco, surreale. Di questi luoghi e di questi personaggi, i Piccolo, si è molto scritto e non è questa la ragione per cui oggi ne parlo. Mi affascinava leggere e capire il Lampedusa giovane che gira l’Europa e scrive ai suoi cugini con ironia e intelligenza. Altri potranno parlarne per gli aspetti letterari e anche di costume che le lettere ci rivelano. Quel che mi ha colpito è il fascismo giovanile di Lampedusa e soprattutto quello “classista” di sua madre. In una lettera da Parigi a Casimiro (27 luglio 1925) lo scrittore dice di essere eccitatissimo per la politica e racconta: «Qualche giorno fa, di già, la strigliata di Amendola mi aveva riempito di delicata voluttà».
Infatti Giovanni Amendola era stato bastonato a Montecatini e, come è noto, fu ricoverato in una clinica da dove uscì cadavere. Nella stessa lettera, Lampedusa vede la Francia «in stato di bolscevismo latente» e si consola perché «se anche scoppia la rivoluzione nessuno mi torcerà un capello o mi ruberà un soldo, perché alle mie spalle ho Mussolini». Come nota il curatore, Nigro, Lampedusa si ravvide presto, già nel 1938 condannò le leggi fasciste razziste e nel Gattopardo deriderà le baracconate di «gale e pennacchi».
Invece la lettera che la mamma di Lampedusa scrisse alla madre dei Piccolo, ricordata nella bella introduzione di Salvatore Silvano Nigro, è una testimonianza di come il ceto alto della società italiana vedeva il fascismo e lo squadrismo. Scrive la nobildonna: «Ho seguito qui tutti i movimenti fascisti, l’incendio della Camera del Lavoro, i cortei ecc. L’incendio era impressionante - il palazzo non ha più che le mura esterne e la torretta, esso è un edificio imponente, isolato e grandioso. Bisognava vedere quel giorno quante facce torve, impotenti a reagire, che guardavano biecamente la distruzione della loro fortezza, sulla quale sventolava un’enorme bandiera tricolore! Io ne ero entusiasta - nata sotto il Secondo Impero porto con me, perché negarlo?, tutte le aspirazioni, i sentimenti, le tendenze diametralmente opposte al proletariato, che secondo me deve rimanere nel suo ambito e non deve alzare il capo! Perciò ho salutato (alla romana), il braccio destro teso, i baldi fascisti incoraggiandoli con calde parole di ammirazione. Le camicie nere in gran numero, come si son vedute qui, sono di effetto mirabile e commovente; esse ispirano veramente fiducia e si sente che ognuno di loro ha vero coraggio. Quel giorno dell’assunzione del loro Duce, attraversavano la via con la bocca dei moschetti chiusa da in fiore (garofano o crisantemo), grandioso e poetico gesto! Lui (Benito) è l’uomo che ci vuole per questi conigli traditori [...]. Vi abbraccio fascisticamente».
Se dopo la liberazione quei proletari con «le facce torve, impotenti a reagire», viste nel 1922, o i loro figli, alzarono il capo e reagirono con lo stesso spirito di classe (rovesciato) nei confronti di chi si compiaceva delle bastonate ad Amendola e nel vedere bruciare le Camere del Lavoro, sarà stato un errore, ma è anche comprensibile. O no? Lo ricordo a chi non ha memoria.


 

Itali Oggi 5-7-2007 Ratzinger si brucia col supereuro In un anno perde 7milioni per colpa del cambio col dollaro di Emilio Gioventù

 

Nel bilancio della Santa Sede i conti non tornano: l'avanzo in un anno è sceso da 9 a 2mln di euro. Confidiamo in Dio, 'in God we trust', così è scritto sul dio denaro fino a ieri per eccellenza, il dollaro. E la Santa Sede al bigliettone verde si è affidata, ricevendone in cambio una punizione da più di 7 milioni di euro, ovvero quanto perso per via dei flussi di cambio tra il 2005 e il 2006. Ma più che dare la colpa al dollaro sarebbe più corretto dire che a bruciare il patrimonio della Santa Sede è stato piuttosto il supereuro della stessa Europa che non ha voluto riconoscere formalmente le proprie radici cristiane.Infatti il bilancio della Chiesa guidata da papa Benedetto XVI, che sarà presentato domani in conferenza stampa, è solo all'apparenza positivo con quei 2 milioni e 405.315 euro di avanzo 2006. In realtà, rispetto ai circa 9,7 milioni di euro con i quali si era chiuso l'esercizio 2005, e considerato il sostanziale pareggio tra le entrate 2006 pari a 227.815.031,00 e quelle del 2005 che a loro volta sono pari a quelle del 2004 ovvero 205,663 milioni, e il pareggio tra le uscite a bilancio lo scorso anno di 225.409.716,00 euro e quelle del 2005 uguali più o meno al 2004, 202,581 milioni, qualcosa non quadra. E la domanda sorge spontanea: perché allora l'avanzo 2006 non ripete la performance del 2005, visto che ci si affida su oboli, offerte e contributi più o meno sempre uguali? Che fine hanno fatto quei sette milioni e passa di euro? Volatilizzati per colpa del dollaro debole ovvero dell'euro troppo forte. Lo riconosce sua eccellenza, monsignor Franco Croci. Il segretario della prefettura degli affari economici della santa sede spiega a ItaliaOggi che 'il motivo di un avanzo inferiore rispetto a quello dello scorso anno è legato ai flussi di cambio'. Dice monsignor Croci: 'Chiudemmo il bilancio 2005 con un dollaro che valeva 1,17 rispetto all'euro. Al 31 dicembre 2006, invece, la valuta statunitense è balzata a 1,30 euro, un cambio decisamente sfavorevole'. Già sfavorevole al piano di investimento della Santa Sede che, seppure con prudenza, investe in obbligazioni e azioni a stelle e strisce. 'Si tratta soprattutto di investimenti mobiliari, in dollari certo ma anche in euro, ovvero le due valute più importanti, ma con un cambio così sfavorevole dollaro-euro quest'anno non abbiamo potuto eguagliare la performance dell'avanzo 2005', aggiunge sua eccellenza. In verità, a correre meno rischi la Santa Sede ci ha anche pensato 'con un tentativo di trasformare tutti gli investimenti in euro, ma alla fine abbiamo deciso di continuare a investire anche in dollari per non perdere di più', analizza monsignor Croci. Spiega che in effetti per non correre eccessivi rischi, la Santa Sede si è affidata a un piano di investimento prudente tra obbligazioni e azioni, più sbilanciato verso le prime, però. Se il dollaro tira brutti scherzi, nella Santa Sede ci si può affidare, comunque, sempre alla provvidenza che quest'anno ha portato nelle casse vaticane 24.081.560,00 euro a bilancio sotto forma di contributi in base al canone 1271 del codice di diritto canonico, ovvero il contributo a sostegno della struttura centrale della chiesa che i vescovi elargiscono secondo le possibilità delle loro diocesi: per un vincolo di unità e carità. Insomma, al dio pagano di mister dollaro sarebbe stato meglio cedere alla tentazione del laicissimo euro, anche se in Europa non sembra esserci più posto per i valori tanto cari a Sacra Romana Chiesa. (riproduzione riservata).


 

Affari Italiani 4-7-2007  Mercati/ In arrivo l'Ombudsman per i risparmiatori traditi e la riforma del credito al consumo

Mercoledí 04.07.2007 19:22

CLICCA QUI PER LEGGERE IL TESTO INTEGRALE DEL DLGS SULLE TUTELE DEI RISPARMIATORI  

Arriva l'Ombudsman dei mercati finanziari. Il viceministro dell'Economia Roberto Pinza ha scritto lo schema di decreto legislativo, riferito in dettaglio da Radiocor, che istituisce "procedure di conciliazione ed arbitrato" davanti alla Consob, per le controversie tra risparmiatori o investitori, sugli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza. Il Dlgs, venerdì in Consiglio dei ministri, istituisce anche il Fondo di garanzia per i risparmiatori. 

Il Cdm di venerdì si occuperà anche della riforma del credito al consumo a tutela dei consumatori. Il Disegno di legge di 7 articoli, infatti, è all'ordine del giorno.

La riforma, di cui Radiocor anticipa il contenuto, fa ricadere sotto la disciplina del credito al consumo operazioni fino a 100mila euro, inclusi crediti per ristrutturare case e carte di credito rotative. Rende piu' trasparenti i costi aggiuntivi legati al credito al consumo e la pubblicità.


INDICE 4-7-2007

 

INDICE 4-7-2007  1

La Repubblica 4-7-2007 Toghe spiate, Csm contro il Sismi "Fu il servizio e non i settori deviati "Il plenum del Consiglio superiore della magistratura interviene sull'attività di spionaggio sui giudici "Il Sismi ha svolto un'attività estranea ai compiti dei servizi fatta per intimidire e far perdere credibilità" 1

L’Unità 4-7-2007 Banale cinque Marco Travaglio  2

Il Riformista 4-7-2007 L’Hotel Raphael? Sì, in largo Craxi   di Paolo Franchi 3

Il Corriere del Veneto 4-7-2007 Pensioni d'oro e funerali pagati, primo sì ai tagli Accordo bipartisan in Regione, passa il Pdl anti sprechi: "Sarà legge l'11 luglio" 3

La Repubblica 4-7-2007 Torino GLI OBIETTIVI La maggioranza in Regione comincia a discutere dei risparmi e subito si divide "Stipendi tagliati ai consiglieri e stop ai rimborsi chilometrici" l'indiscreto Per il Pdci i consiglieri non vanno "criminalizzati". Le riduzioni colpirebbero anche gli assessori Gariglio presenta le sue proposte SARA STRIPPOLI 4

Italia Oggi 4-7-2007 Lo prevede lo schema di dlgs, attuativo della Finanziaria 2006, oggi in pre-consiglio dei ministri Risparmiatori, indennizzi Consob Tutela doc per i raggiri di banche e intermediari finanziari Di Marco Gasparini 5

 


 

La Repubblica 4-7-2007 Toghe spiate, Csm contro il Sismi "Fu il servizio e non i settori deviati "Il plenum del Consiglio superiore della magistratura interviene sull'attività di spionaggio sui giudici
"Il Sismi ha svolto un'attività estranea ai compiti dei servizi fatta per intimidire e far perdere credibilità"

 

ROMA - E' stato il Sismi e non i "settori deviati" del servizio a svolgere l'attività di spionaggio nei confronti magistrati che è venuta alla luce con la scoperta dell'archivio di via Nazionale a Roma. A dirlo è una risoluzione approvata all'unanimità dal Plenum del Csm.
Secondo il Consiglio superiore della magistratura il Sismi ha svolto un'attività "estranea" ai suoi compiti con lo scopo "intimidire" e far "perdere credibilità " ai magistrati.
Il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, prima dell'approvazione da parte del plenum di Palazzo dei Marescialli aveva dichiarato che "c'è stato uno sviamento di poteri da parte del Sismi. L'attività del servizio è andata al di là delle proprie attribuzioni e competenze".
La risoluzione del Csm arriva dopo le dichiarazioni dell'ex funzionario Pio Pompa che aveva voluto sminuire l'importanza dell'archivio. "La quasi totalità del materiale sequestrato nei miei pc personali - aveva scritto nella dichiarazione spontanea consegnata ieri pomeriggio al pm Pietro Saviotti - proviene da fonti aperte (internet, organi di informazioni, etc.). Le informazioni contenute nei files attinenti a magistrati sono tutte, ribadisco tutte, di fonte pubblica, giornalistica o informatica".
Per il Csm, l'opera di intelligence nei confronti delle toghe invece "si è concretizzata non solo nella raccolta e nella schedatura di materiali noti o comunque pubblici, ma anche in un capillare monitoraggio delle attività dei movimenti e della corrispondenza informatica di magistrati, mediante forme di osservazione diretta o a opera di terzi non individuati". Non solo. Il documento del Cms sottolinea come "sono stati posti in essere dal Sismi specifici interventi tesi a ostacolare e contrastare l'attività professionale o politico culturale dei magistrati e delle loro associazioni".
In particolare, scrive al riguardo il relatore della risoluzione, Fabio Roia, l'attività di intelligence da parte del Sismi - "che si è protratta in modo capillare e continuativo, fino al settembre 2003 e in modo saltuario fino al maggio 2006" - "fu oggetto di ripetute informazioni al direttore del servizio e sembra quindi riferibile al Sismi in quanto tale e non a suoi settori deviati come conferma del resto nella memoria depositata alla procura di Milano il 7 luglio del 2006 il coordinatore di questa attività, Pio Pompa".
Infine, a preoccupare il Consiglio superiore della magistratura è anche il fatto che l'opera di intelligence nei confronti di magistrati "si è talora svolta con la partecipazione o l'ausilio di appartenenti all'ordine giudiziario". Al proposito Palazzo Marescialli ammonisce che "ogni tipo di collaborazione di magistrati con i servizi segreti oltre che espressamente vietata dalla legge è estranea al modello costituzionale dell'ordine giudiziario e ai suoi connotati di terzietà e indipendenza".
(4 luglio 2007)


 

L’Unità 4-7-2007 Banale cinque Marco Travaglio

 

Lavorando per la Rai, per la Fininvest, per Mediaset e avendo lavorato anche per La7, era naturale che Maurizio Costanzo facesse un giro anche a Sky, affinché gli abbonati al satellite abbiano anche loro la giusta punizione. Il programma inaugurato dalla Tessera P2 numero 1819 s'intitola "Stella" e si sottotitola "Siete pronti a cambiare?". Nel senso che, se siete pronti a cambiare, avete sbagliato programma. Se invece non siete pronti, allora beccatevi Costanzo tutte le sere via satellite per l'intera estate. Dopodiché ­ annuncia lui minaccioso ­ "in settembre ripartirà il Costanzo Show su Canale5". E chi trovasse la sua presenza via etere ancora riduttiva, può sintonizzarsi su Radio Rai a una cert'ora notturna: vi troverà, tanto per cambiare, Maurizio Costanzo che biascica banalità e ovvietà. Il problema di Costanzo è questo: teme sempre di restare disoccupato, anche se non si comprende proprio come la cosa potrebbe accadere. Oltre ai suoi modici impegni televisivi e a quelli della sua deliziosa signora, infatti, l'ex vice-Gelli (nella P2 aveva il grado di Maestro) ha qualche piccolo impegnuccio anche nella carta stampata, curando una rubrica sul Messaggero, una su Panorama, una su Libero e, per passare inosservato, anche una sul Riformista. In più insegna all'università e dirige il teatro Parioli, è consulente di una dozzina di enti locali, fra i quali ­ almeno fino a qualche tempo fa ­ la Provincia di Roma e il Comune di Genova. Ha curato l'immagine di Irene Pivetti quand'era presidente della Camera (lei, non lui). Ha collaborato con le Ferrovie dello Stato, infatti guardate come sono ridotte. E ultimamente s'è dedicato, con analogo strepitoso successo, alla Telecom. L'altro giorno qualche quotidiano, con grave sprezzo del pericolo, ha pubblicato la notizia della sua consulenza da 7 milioni di euro per la società così ben gestita da Tronchetti Provera. "È tutto alla luce del sole", ha spiegato lui, meravigliato di tanto clamore, "con fatture e relativi pagamenti di tasse. Da vent'anni sono consulente, ho partecipato a decine di riunioni con i vertici dell'azienda per pianificare le strategie aziendali e gli spot, come gli ultimi con Christian De Sica". Costanzo rivela che i 7 milioni della Telecom si riferiscono anche all'ultima parte della gestione Colaninno-Gnutti-Consorte, quando lui, che all'epoca lavorava già a Canale 5 e ne era addirittura il direttore, lavorò alla "rilettura dei palinsesti de La7 e alle risorse artistiche". In pratica, lavorava per due televisioni concorrenti (si fa per dire, naturalmente). E guardacaso Fabio Fazio, che aveva in programma uno Show proprio in concomitanza col Costanzo Show, fu liquidato con una congrua buonuscita perché non partisse nemmeno. Ma nessuno s'azzardi a parlare di conflitto d'interessi, perché qui il conflitto non si nota proprio: si notano solo gli interessi. Ora pare che Tessera 1819 sia un po' in freddo con Piersilvio, che formalmente sarebbe il responsabile di Mediaset, ma lui non lo nomina nemmeno: quando parla di Berlusconi, lui si riferisce a Silvio, che poi è il padrone. Lo conosce come le sue tasche, dai tempi in cui lui era maestro della nota loggia e Silvio (tessera numero 1816) era un semplice "apprendista muratore". Poi il muratorino superò il maestro. "Con Berlusconi ­ dichiara Costanzo al Magazine del Corriere - il rapporto è sempre stato chiaro e leale, ma la libertà che si respira su satellite è un'altra cosa". Ecco: il problema è che cosa se ne fa, uno come lui, della libertà. Per invitare Giovanni Falcone, come ai tempi belli, forse ce ne voleva un bel po'. Ma per invitare Platinette e Costantino Vitagliano, Fabrizio Corona e Lele Mora, come fa oggi, della libertà ne può fare volentieri a meno. Resta da capire perché mai, un anno fa, prim'ancora di metter mano alla Gasparri, il ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni abbia sentito l'irrefrenabile impulso di nominarlo consulente del governo per "l'innovazione e il digitale terrestre". Forse temeva anche lui che restasse disoccupato. Uliwood party.

 


 

Il Riformista 4-7-2007 L’Hotel Raphael? Sì, in largo Craxi   di Paolo Franchi


Non esiste una via toponomastica alla soluzione della questione Craxi. Tanto più se la scelta di dedicargli una piazza o una strada matura in modo a dir poco confuso, come è capitato al Consiglio comunale di Roma. Ma adesso che la decisione è stata presa, e impegna Walter Veltroni, per lo meno non si può più girare intorno al problema. Il direttore dell’Unità, Antonio Padellaro, si indigna alla sola idea che un pezzetto di Roma porti il nome di uno che, dice, è morto latitante. Io proprio no. E non solo perché penso che verso Craxi la democrazia italiana, e in particolare la sinistra, deve onorare un debito pesante. Può sembrare una provocazione, ma non lo è. Credo che Stefania Craxi abbia più di una ragione, quando chiede che a Bettino sia intitolato largo Febo. E provo a spiegare il mio personalissimo perché.
Io c’ero, in largo Febo, davanti all’hotel Raphael, quella sera del ’93. Il giorno prima la Camera aveva negato alcune autorizzazioni a procedere contro il leader socialista, provocando le reazioni inferocite della grande stampa (compresa quella che di Craxi era stata amica) e del Pds. Niente ministri nel neonato governo Ciampi. E per l’indomani una manifestazione, sempre di protesta, anzi, di sdegno democratico, in piazza Navona, a due passi dal Raphael. Andai a vedere, sono un giornalista e un uomo di sinistra. Finito il comizio di Achille Occhetto, seguii la piccola folla che si spostava sotto l’albergo di Bettino. In largo Febo, si aggiunse altra gente. Fischi, urla, insulti, monetine, invocazioni di piazzale Loreto, inni e canti al pronto sgozzamento del Cinghiale.
Mi è già capitato di scriverlo, torno a farlo. Se non fossi stato anch’io al comizio, avrei faticato a dire di che manifestazione si trattasse: comunisti? fascisti di quelli che all’epoca assediavano Montecitorio? leghisti di quelli che alla Camera innalzavano simpaticamente il cappio? Era come se lì, in largo Febo, il rosso trascolorasse nel nero e il nero nel rosso, a formare la miscela lubrica della cosiddetta «rivoluzione italiana». Ebbi la percezione fisica che un pezzo importante della sinistra italiana, quello che proveniva dal Pci, invece che evolvere, si fosse snaturata, e si avviasse verso il baratro. Più tardi, molto più tardi, si corresse, ma solo in parte, il tiro. Io però in tutti questi anni su quello che capitò davanti al Raphael non ho cambiato idea. Non succederà. Ma dedicare largo Febo a Bettino Craxi significherebbe anche emendarsi simbolicamente dall’orrore di una simile serata, e da tutto quello che, nemmeno troppo implicitamente, ha rappresentato. E offrire almeno la speranza che la Terza Repubblica, se mai nascerà, sia tutt’altra cosa da questa Seconda di cui fatichiamo tanto a liberarci.

 


 

Il Corriere del Veneto 4-7-2007 Pensioni d'oro e funerali pagati, primo sì ai tagli Accordo bipartisan in Regione, passa il Pdl anti sprechi: "Sarà legge l'11 luglio"

 

VENEZIA - In tanti l'avevano chiamata la "legge della vergogna", dopo che era stata approvata dal consiglio regionale in notturna e un po' di soppiatto in una seduta sotto lo scorso Natale. E ieri l'onta è stata lavata: la prima commissione di Palazzo Ferro-Fini (Bilancio e Affari istituzionali) ha approvato, a larga maggioranza, un progetto di legge che ridimensiona le cosidette "pensioni d'oro" degli eletti nel parlamentino veneto e la loro liquidazione di fine mandato. IL CASO - Inoltre sparisce quel benefit un po' da menagrami che aveva fatto finire la Regione Veneto sulle prime pagine dei quotidiani nazionali e nelle battute della seguitissima trasmissione tv "Striscia la notizia". D'ora in poi il funerale i consiglieri regionali se lo pagheranno di tasca propria, niente più contributo dall'istituzione. E il testo prevede altre norme destinate in generale a ridurre il costo della politica regionale. Anche se, nei fatti, si eliminano soprattutto quegli aumenti economici fatti passare a fine 2006. TEMPI STRETTI - Il sì al provvedimento è, per ora, solo in commissione, ma l'impegno bipartisan dei poli è di approvarlo definitivamente in aula nella prossima seduta prevista per l'11 luglio. Così si avvia all'epilogo la vicenda che era stata aperta da una serie di articoli del Corriere del Veneto nei primi giorni dell'anno. Il testo varato ieri conferma la proposta presentata la scorsa settimana, a nome dell'Ufficio di presidenza del Consiglio, dai vicepresidenti Carlo Alberto Tesserin (Forza Italia) e Giampietro Marchese (Ulivo- Pd). Un documento ispirato da un ordine del giorno che l'assemblea di Palazzo Ferro- Fini aveva approvato il 1Ë? febbraio scorso per rivedere la normativa in materia secondo criteri di "equità e sobrietà". La retromarcia sarebbe dovuta avvenire entro l'aprile scorso, ma poi la campagna elettorale amministrativa l'aveva fatta slittare. A ricordare la cosa ci aveva pensato qualche consigliere d'opposizione, ma anche Mara Bizzotto della Lega, la prima a scagliarsi contro la "legge della vergogna". NORME E NOVITà - Molti gli aspetti sui quali la proposta interviene: assegno di fine mandato limitato a un massimo di 10 mensilità, indipendentemente dal numero delle legislature effettuate (a dicembre il tetto era saltato); età pensionabile innalzata a 65 anni (cosa prevista anche a fine 2006); entità dell'assegno vitalizio, che va dal 30 (una legislatura) ad un massimo - tolto con la legge di fine 2006 - del 70% (tre mandati) dell'indennità consiliare, con un 4% in più per ogni anno in carica. Limitata la possibilità di avere la pensione per i consiglieri che non completano una legislatura. Finora bastava un solo anno in carica, adesso ce ne vorranno almeno due e mezzo. La riforma sopprime, dalla prossima legislatura, l'assicurazione per l'assistenza sanitaria integrativa, mantenendola in vigore fino al termine dell'attuale mandato. Invertite però le attuali quote di costo rispettivamente a carico del consigliere e della Regione, cioè 30 e 70%, con un notevole aggravio agli eletti. Invariate invece le percentuali di spesa per l'assicurazione contro l'eventuale responsabilità civile per risarcimento danni conseguenti all'esercizio del mandato: 30 a carico del consigliere, 70 del Consiglio. "Ma nel resto d'Italia questa la paga tutta la Regione " ricorda Raffaele Grazia (Ppe Veneto), presidente della Prima commissione. GLI EMENDAMENTI - Due le correzioni alla bozza di legge. Una, sollecitata dal capogruppo di An Piergiorgio Cortelazzo, è passata. Stabilisce che consiglieri e assessori possano rinunciare, devolvendoli alla Regione, in parte o interamente, ai propri emolumenti al netto delle ritenute obbligatorie. La seconda, bocciata dal centrodestra (Udc astenuto) e proposta dal capogruppo di Progetto Nord Est Mariangelo Foggiato, prevedeva, dalla prossima legislatura, per gli assessori esterni indennità accessorie e rimborsi spese, ma non l'indennità di carica (circa metà stipendio) che spetta solo ai consiglieri eletti. E niente indennità di fine mandato né pensione. IL NODO DICO - Respinto pure un emendamento del consigliere di Rifondazione Pietrangelo Pettenò che chiedeva l'estensione della reversibilità della pensione anche ai conviventi (di entrambi i sessi) dei consiglieri da almeno due anni prima del decesso. La bocciatura di questa proposta, con un voto trasversale, ha determinato l'astensione di uno dei firmatari del testo di legge, Marchese. Astenuti pure Pettenò (Prc) e Nicola Atalmi (Comunisti Italiani) per "l'esclusione dalla discussione della nostra proposta di valutare, tra le forme di risparmio sui costi della politica, anche tetti agli stipendi dei manager regionali e l'abolizione delle inutili commissioni consiliari". Gi. Sc. LA RETROMARCIA I consiglieri hanno ridimensionato le loro pensioni.


 

La Repubblica 4-7-2007 Torino GLI OBIETTIVI La maggioranza in Regione comincia a discutere dei risparmi e subito si divide "Stipendi tagliati ai consiglieri e stop ai rimborsi chilometrici" l'indiscreto Per il Pdci i consiglieri non vanno "criminalizzati". Le riduzioni colpirebbero anche gli assessori Gariglio presenta le sue proposte SARA STRIPPOLI

 

Giro di vite in Regione? Sulla carta un coro di sì. In realtà punti di vista ancora radicalmente diversi, specialmente se sul tavolo compare il tema della riduzione delle indennità del 10 per cento per consiglieri e assessori. In attesa della riunione di maggioranza fissata per venerdì, il dibattito è vivace. C'è chi sostiene, come il capogruppo regionale dei ds Rocco Muliere, che è opportuno capire i tempi di un provvedimento nazionale ma che la riduzione dei costi della politica non può non partire da una diminuzione delle indennità. Senza però specificare di quale entità. Altri, come Luca Robotti del Pdci, sono dell'idea che non siano i consiglieri a dover essere criminalizzati, ma che il problema dei costi della politica debba comportare una riduzione complessiva, dalle consulenze al numero delle partecipate e relativi membri. Poi c'è Rifondazione, che con il capogruppo Gian Piero Clement dice di essere disponibile a vedersi ridurre del 10 per cento l'indennità di consiglieri e degli assessori e accoglie con particolare favore la scure sul Corecom, con una riduzione dei membri da 8 a 5, e dei compensi da 4 mila e 300 euro a 2.200 mensili. Il dibattito, ieri alle prime battute, proseguirà anche nel pomeriggio di oggi. Sul tavolo un pacchetto di proposte concrete presentate dal presidente del Consiglio regionale Davide Gariglio che coordina il gruppo di lavoro. Molte le novità rispetto ai punti emersi nella precedente riunione del gruppo che sta studiando le diverse ipotesi. A partire proprio dall'indennità di consiglieri e assessori, attualmente l'85 per cento di quella dei parlamentari. Adesso un consigliere riceve un'indennità lorda di 9.948.09 euro, che scenderebbe di circa mille euro se venisse applicata la riduzione del 10 per cento. Un risparmio di 63 mila euro al mese per i 63 consiglieri del Piemonte. I 14 assessori, che adesso percepiscono una indennità di 12.288.82 euro mensili, riceverebbero circa 1.200 euro in meno. Un risparmio complessivo di 16.800 euro al mese. Il giro di vite riguarderebbe anche il presidente della giunta, il presidente del Consiglio, i presidenti delle commissioni. Oltre alla riduzione del numero degli assessori da 14 a 12, solo quattro dei quali dovrebbero essere esterni (un risparmio di 525.000 euro all'anno per ogni assessore in meno, 205.000 euro all'anno per ogni assessore esterno in meno), il documento elenca anche la diminuzione dei benefit particolari, come le auto di servizio, con un'attenzione anche ai modelli e alle cilindrate. Ipotesi di eliminazione del rimborso chilometrico, prevedendo che il rimborso forfettario mensile sia costituito solo dall'indennità di presenza. Ridimensionamento anche al Corecom, con una diminuzione del numero dei membri da 8 a cinque. Con un compenso che cala al 25 per cento dell'indennità dei parlamentari, Da 4.300 euro al mese a 2.200. Sul gettone di presenza, 122 euro a seduta, la proposta che sia riconosciuto soltanto ai componenti delle commissioni o ai delegati designati dal presidente del gruppo. Vietato agli ex-consiglieri di partecipare a viaggi. Diminuiscono le Comunità montane, da 48 a 22


 

Italia Oggi 4-7-2007 Lo prevede lo schema di dlgs, attuativo della Finanziaria 2006, oggi in pre-consiglio dei ministri Risparmiatori, indennizzi Consob Tutela doc per i raggiri di banche e intermediari finanziari Di Marco Gasparini 

 

Risparmiatori raggirati dalle banche e dagli intermediari finanziari saranno indennizzati dalla Consob. Lo prevede uno schema di dlgs che dà attuazione alla legge n. 262 del 2005 sulla tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari. Il provvedimento che sarà esaminato domani in pre-consiglio istituisce un fondo di garanzia alimentato con le sanzioni pecuniarie irrogate nei confronti delle imprese e degli operatori attivi nel settore dell'intermediazione mobiliare e prevede l'attivazione di un meccanismo di conciliazione e arbitrato amministrato direttamente dalla Commissione nazionale per le società e la borsa. A beneficiare della nuova procedura di risarcimento saranno i consumatori danneggiati dalla violazione degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza stipulati nei rapporti contrattuali con la clientela. A poche settimane dal varo del regolamento sul fondo anti-crack finanziato dai conti correnti dormienti presso imprese bancarie, assicurative, sim e operatori del mercato il governo tende una nuova mano ai risparmiatori e introduce nell'ordinamento un sistema di indennizzo più rapido ed efficace rispetto a quello della giustizia ordinaria. Presso la Consob opererà, infatti, una vera e propria camera di conciliazione e arbitrato formata da esperti del settore (obbligatorie anche forme di consultazione con le associazioni dei consumatori) e specializzata nella risoluzione di controversie tra gli investitori non professionali e gli intermediari autorizzati. La procedura di conciliazione potrà essere attivata dal cliente mediante presentazione di una semplice istanza purché non sia già stato presentato reclamo all'intermediario o non sia scaduto il termine ordinario per l'impugnazione del contratto. Il procedimento dovrà rispettare i principi di riservatezza, imparzialità, garanzia del contraddittorio tra le parti e celerità. La Consob avrà infatti 40 giorni di tempo per definire la causa con un lodo arbitrale che avrà efficacia esecutiva immediata e potrà essere impugnato dinanzi al giudice civile solo per la violazione di norme e principi di diritto. La banca o l'intermediario riconosciuto responsabile della violazione degli obblighi informativi, di correttezza o trasparenza del contratto, dovrà pertanto risarcire il cliente. In caso di inerzia scatterà la garanzia del fondo gestito dalla Commissione che potrà poi rivalersi nei confronti dell'impresa o del soggetto inadempiente. Fermo restando il diritto dell'investitore di rivolgersi successivamente anche al giudice ordinario per il riconoscimento del maggior danno subito. Le risorse necessarie ad alimentare il fondo saranno garantite da un duplice flusso. Il versamento della metà dell'importo delle sanzioni pecuniarie pagate dagli operatori all'autorità di vigilanza e i diritti posti a carico degli utenti che ricorreranno alle procedure arbitrali. Sarà la stessa Commissione con appositi regolamenti da emanare entro un anno dall'entrata in vigore del decreto delegato a disciplinare l'istituzione della camera di conciliazione, il meccanismo di funzionamento e attivazione del fondo nonché la determinazione dell'indennizzo massimo che potrà essere chiesto dai risparmiatori. Per dare maggiore efficacia all'intero impianto normativo il dlgs prevede il ricorso a un'ulteriore procedura semplificata destinata a chiudersi con un 'lodo non definitivo' a favore dei risparmiatori vittime di violazioni 'manifestamente fondate' degli obblighi contrattuali. Anche questo tipo di provvedimento potrà essere immediatamente opposto alla banca. Un'ulteriore disposizione a tutela dei risparmiatori stabilisce che la clausola compromissoria inserita nei contratti riguardanti i servizi di investimento e quelli eventualmente accessori sono 'vincolanti' solo per l'intermediario. In questo modo viene salvaguardata la facoltà del cliente di ricorre a meccanismi di conciliazione diversi da quelli preventivamente concordati con l'impresa finanziaria incluso, naturalmente, l'arbitrato amministrato dalla Consob.


INDICE 3-7-2007

+ +  La Repubblica Messina, bocciano il figlio e lui picchia il prof: arrestato Prima le minacce e i tentativi di cambiare i voti, poi i pugni Vittima un docente di educazione musicale di scuola media  2

+ + Il Corriere della Sera 3-7-2007 Sull'ultimo numero di Newton. Ibridi animale e uomo: i nuovi embrioni . Nei laboratori inglesi verranno create «chimere». Newton è entrato in un centro di ricerca che si prepara ai primi esperimenti. Giorgia Scaturro Patrizia Giongo  2

+ Il Corriere della Sera 3-7-2007 Storace lascia Alleanza Nazionale  La reazione di Fini: «Dispiaciuto ma motivazioni inconsistenti» Con un comunicato sul suo sito web l'ex ministro spiega: «Vedo esaurita funzione di An nella rappresentanza valori della destra»  4

+ La Repubblica 3-7-2007 LA POLEMICA Gli insegnanti sono diventati una specie di sotto-proletariato Raddoppiamo gli stipendi ai nostri professori di PIETRO CITATI 5

+ La Stampa 3-7-2007 La Cina censura il rapporto sui morti per inquinamento http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif 6

Altravoce.net 2-7-2007 Clamoroso: il Consiglio sardo costa il doppio e anche il triplo di quelli del ricco Nord. E ai nostri onorevoli meno tasse - 2-7-07 di Giorgio Melis – 6

A ogni lombardo il Consiglio costa 9 euro, ciascun sardo ne deve spendere 64  7

Meno consiglieri, stesso personale e spesa ridotta nel virtuoso Nord  8

I consiglieri sardi pagano meno tasse di tutti, rivalutando anche la Sicilia e la Campania  8

Il Piccolo di Trieste 3-7-2007 Ha patteggiato il radiologo che aveva usato le macchine per fare delle visite ad esterni, compresi giocatori della Triestina Faceva in ospedale lastre private: un anno e 6 mesi 9

Il Corriere della Sera 3-7-2007 Pd, candidature e "liste per Veltroni" IL PARTITO FEUDALE di ANGELO PANEBIANCO  9

Il Riformista 3-7-2007  Le prime contraddizioni di Veltroni (e Scalfari)  di Emanuele Macaluso  10

Europa 3-7-2007  Le Idi di marzo contro Veltroni per lasciare il Cavaliere solo al comando  FEDERICO ORLANDO RISPONDE  11

La Repubblica 3-7-2007 IL LATINO DALL'ANTICHITà A OGGI MA QUANTI EQUIVOCI SULLA LINGUA PERDUTA RAFFAELE SIMONE  12

La Repubblica 3-7-2007 La pericolosa corsa al dollaro dei Paesi asiatici HUGO DIXON  13

La Repubblica 3-7-2007 Primo caso di delocalizzazione alla rovescia di un'azienda informatica. Gli stipendi dei programmatori quasi uguali a quelli americani Salari indiani boom, si torna in Usa Da Bangalore alla Silicon Valley. Cina, sì allo statuto dei lavoratori 14

Il Secolo XIX 3-7-2007 Andrea Villa Immaginiamo un signor Wang e un signor Higuchi che per lavoro debbano venire in Italia. 15

Corriere.it  2-7-2007Nove transazioni su dieci avvengono in banconote, in Francia solo 6 La battaglia del denaro di plastica Evasori, pirateria informatica, piccoli negozi frenano l'uso delle carte. E l'ambivalenza delle banche li aiuta . Alessandra Puato  16

 


 

+ +  La Repubblica Messina, bocciano il figlio e lui picchia il prof: arrestato Prima le minacce e i tentativi di cambiare i voti, poi i pugni Vittima un docente di educazione musicale di scuola media


MESSINA - Suo figlio è stato bocciato, lui ha picchiato un professore "colpevole". Ora il genitore violento è stato arrestato per minacce e aggressione a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina.

Benedetto Genovese, 35 anni,
aveva aggredito l'insegnante di educazione musicale del figlio il 15 giugno: il docente della suola media "Ugo Foscolo" era, secondo il padre, la causa della bocciatura del figlio, che non era stato ammesso alla terza. Nell'atrio della scuola di piazza Convento l'insegnante aveva ricevuto quattro pugni.

Ma la violenza fisica era arrivata solo dopo un tentativo di far cambiare la valutazione dello studente attraverso minacce e pressione: il papà aveva infatti chiesto con prepotenza che fosse riconvocato il consiglio di classe e che la bocciatura del figlio fosse revocata. Non avendo ottenuto quel che voleva, aveva mandato dire al professore che l'avrebbe "pagata cara".

Ora il genitore, venditore ambulante di fiori, è agli arresti domiciliari su richiesta del pm Francesco Massara. Il magistrato gli contesta i reati di minacce, violenza a pubblico ufficiale, lesioni e tentata estorsione. L'uomo sarà sottoposto a interrogatori di garanzia nei prossimi giorni.


 

+ + Il Corriere della Sera 3-7-2007 Sull'ultimo numero di Newton. Ibridi animale e uomo: i nuovi embrioni . Nei laboratori inglesi verranno create «chimere». Newton è entrato in un centro di ricerca che si prepara ai primi esperimenti. Giorgia Scaturro Patrizia Giongo

 

 

Un embrione, al 99,9 per cento umano e per lo 0,1 animale, «nascerà» tra qualche mese. E non in qualche remoto laboratorio dell’Estremo Oriente, bensì a due passi da casa nostra, nei centri universitari di Londra, Newcastle ed Edimburgo, in Gran Bretagna. Si tratta di ciò che viene detto una chimera o, più correttamente, un ibrido. Dovrà essere soppresso entro 14 giorni, ma nel frattempo permetterà ai ricercatori di ottenere colture di cellule staminali embrionali utili a studiare i meccanismi di malattie come il Parkinson o l’Alzheimer e a trovarne poi una terapia. Il primo passo verso una nuova frontiera della scienza è stato fatto: un mese e mezzo fa alcuni ministri inglesi si sono dichiarati favorevoli alla creazione di ibridi e chimere, appoggiati in questo da un’indagine della Commissione Scienza e Tecnologia della Camera dei Comuni che, preso atto dell’insufficienza di embrioni umani disponibili per la ricerca, ha concluso che è necessario provare altre strade. In nome della libertà della scienza.

OOCITI IN QUANTITA' -
Quindi, visto che mucche e conigli producono grandi quantità di ovociti, migliaia rispetto a quelli femminili, perché non svuotarli del nucleo e inserirvi cellule umane con il loro patrimonio genetico? Così gli esperimenti sui mix uomo-animale sono stati inseriti nel Libro Bianco del Dipartimento della Salute attualmente in discussione al Parlamento inglese. Però, mentre il resto dell’Europa, Inghilterra a parte, si mostra cauta su questo tema, nel mondo si fanno già da tempo esperimenti avanzati. Ci sono la pecora con gli organi al 15 per cento «umani», creata nel marzo scorso da Esmail Zanjani, dell’Università del Nevada; i topi con l’1 per cento di cellule cerebrali umane di Irving Weissman della Stanford University; e le galline che pigolano come quaglie perché Evan Babalan della McGill Universtity di Montreal ha trapiantato nel loro cervello neuroni di quaglie. Secondo alcuni questi esperimenti sono espressione della libertà scientifica, per altri pure aberrazioni della natura.

POLEMICHE E RISCHI - La polemica scatenata dalla proposta di legge inglese getta olio sul fuoco dei due filoni di ricerca che da anni si fronteggiano pro e contro l’uso di cellule staminali embrionali. Queste vengono studiate da gruppi di scienziati per la loro capacità di svilupparsi in qualunque organo e tessuto, e quindi ripararlo; ma la loro fonte è

rappresentata dagli embrioni, con i problemi etici che ciò comporta; inoltre, non riuscendo a controllarne la crescita fuori dalla provetta, possono diventare tumori. In altri laboratori, invece, si preferisce puntare sulle staminali adulte, già specializzate: si trovano in ogni tessuto e lo «curano», ma hanno un limite: non possono essere costrette a diventare un tessuto diverso da quello d’origine. Cosa succederà se, come sembra, entro l’anno la proposta di legge inglese verrà approvata?

PROGETTI E DUBBI Gli istituti di ricerca che otterranno la licenza saranno autorizzati a condurre tre tipi di sperimentazioni. La prima riguarda gli embrioni transgenici, ottenuti con l’introduzione di Dna animale in un embrione umano. La seconda si riferisce alle chimere uomo-animale: all’interno di un embrione umano vengono introdotte intere cellule animali. Infine, ci sono gli embrioni ibridi citoplasmatici, i «cibridi», nei quali il nucleo di una cellula umana, per esempio della pelle, viene inserito nell’ovocita animale svuotato quasi completamente del suo patrimonio genetico. Una clonazione, praticamente quanto è accaduto nel caso della pecora Dolly, il cui papà Jan Wilmut si è dichiarato favorevole a questo nuovo tipo di sperimentazione tanto che il suo Centre for Regenerative Medicine dell’Università di Edimburgo vuole l’autorizzazione. Ma il «cibrido» andrà distrutto entro il quattordicesimo giorno dalla sua formazione. Il Libro Bianco del Dipartimento della Salute, infatti, mostra di voler impedire la creazione di veri ibridi, perché proibisce che l’embrione venga impiantato e diventi un feto e vieta che un ovulo umano sia fecondato da sperma animale o viceversa. «La proposta di legge è ambigua e fuorviante», dice a Newton David King, presidente di Human Gene Alert, il comitato di controllo indipendente britannico. «In realtà ha come obiettivo primario quello di proteggere la competitività del Regno Unito e di fermare tutti coloro che vogliono porre qualche limite alla ricerca scientifica».

LE MALATTIE NEL MIRINO - Cosa ci aspetta nel prossimo futuro? Newton è entrato nello Stem Cell Biology Laboratory del King’s College di Londra diretto da Stephen Minger. Minger e Austin Smith, a capo del Centre for Stem Cell Research di Edimburgo, sono stati dei pionieri in Inghilterra. Nel 2002 hanno ottenuto per primi la licenza per generare cellule staminali da embrioni umani. Oggi nel Regno Unito esistono 11 centri del genere. Il solo Minger ha creato la prima linea di cellule staminali geneticamente modificate con la patologia della fibrosi cistica e ora 20 centri internazionali, proprio grazie a lui, sono in grado di studiare questo male. Con la richiesta di licenza già compilata nel cassetto, il ricercatore del King’s College sta solo aspettando il via libera alla nuova legge per passare ad altre gravi malattie. «Vogliamo produrre colture di staminali con tutte le mutazioni che provocano Alzheimer, Parkinson, atrofia muscolare, disturbi neurodegenerativi e altro ancora», spiega Minger. «Il nostro obiettivo è capire in laboratorio come si sviluppano queste patologie, in che modo possiamo interferire nel processo e, infine, usare queste linee staminali per favorire lo studio di nuove terapie». «Contro alcune malattie genetiche come il morbo di Huntington, la fibrosi cistica, la distrofia muscolare e la talassemia», continua Minger, «si stanno già facendo diagnosi genetiche sugli embrioni concepiti in provetta dalle coppie a rischio, in modo da impiantare nell’utero solo gli embrioni privi della mutazione genetica. Ma la Human Fertilisation and Embriology Authority (Hfea) proibisce di usare questo metodo di diagnosi per malattie che si presentano in età più avanzata come l’Alzheimer o il Parkinson». Eppure, solo a proposito dell’Alzheimer, i dati del 2006 rivelano che nel mondo vivono più di 26 milioni di persone afflitte da questa malattia neurodegenerativa. Uno studio appena pubblicato della Johns Hopkins University Bloomberg School prevede che il numero dei malati salirà a 106 milioni entro il 2050; di questi il 43 per cento non sarà autonomo e avrà bisogno di una costante e costosa assistenza. «Noi vogliamo creare le linee di staminali embrionali con la clonazione di un embrione umano, ma sappiamo che è un processo difficile, non ancora sufficientemente sperimentato e che finora non ha dato risultati certi», ammette Minger. «Il numero di ovuli necessari alla ricerca è incredibilmente alto e nessuno potrebbe, allo stato attuale delle conoscenze, chiedere alle donne di sottoporsi a pesanti terapie ormonali per donare, alla cieca e senza alcun vantaggio clinico, migliaia e migliaia di ovuli». «Le donne», continua Minger, «possono offrire i propri ovuli per le ricerche sulla fertilità. Ma per quanto riguarda la clonazione, queste donazioni sarebbero assolutamente premature, considerata la scarsa efficienza degli studi e la limitata esperienza che abbiamo in questi esperimenti sia io sia il collega Lyle Armstrong». Armstrong, capo di un gruppo dell’Institute of Human Genetics dell’Università di Newcastle, è l’altro scienziato che oltre a Wilmut vuole dalla HFEA il permesso di condurre esperimenti con ovociti di mucca per il trattamento del diabete e della paralisi spinale. «Io e il mio team del King’s College abbiamo bisogno di creare nuovi embrioni con la specifica mutazione genetica dell’Alzheimer e del Parkinson», spiega Minger. «E l’unica alternativa che abbiamo è usare ovociti di animali. Vorremmo impiegare quelli di mucca, che sono più grandi, o quelli pecora e coniglio semplicemente perché da questi animali, che vengono comunque uccisi per l’industria alimentare, potremmo ottenere ovociti in grande quantità e di qualità ottima».

PROCEDURE - Minger continua spiegando la sua procedura: si prende la cellula di una persona affetta da una malattia genetica e la si inserisce nell’ovocita di una mucca svuotato del nucleo, dunque della sua identità genetica. La nuova cellula, stimolata da impulsi elettrici, comincia a duplicarsi come se l’ovocita fosse stato fecondato ed ecco l’embrione. Da questo vengono isolate alcune cellule per produrre colture di staminali embrionali che, ovviamente, presentano la mutazione genetica prescelta e che possono essere usate come strumento per osservare come la mutazione alteri e uccida le cellule. Però non tutta la comunità scientifica è favorevole alla creazione di embrioni transgenici, chimere e ibridi come quelli su cui lavoreranno Minger e Armstrong. «L’embrione che viene clonato è di per sé un organismo anomalo e dunque anche la sua evoluzione rifletterà delle anormalità», sostiene David King della Human Gene Alert a proposito del lavoro di Minger. «Le linee staminali così ottenute potrebbero essere diverse da quelle embrionali umane naturali e dunque inadatte a trovare una terapia valida per l’uomo. Si tratta di esperimenti artificiosi che non possono che produrre risultati falsati. Sarebbe invece più utile finanziare ricerche sulle staminali adulte, che non presentano problemi etici e oltretutto potrebbero anche essere più efficaci sul piano dei risultati concreti». All’obiezione di King Stephen Minger risponde che dal suo laboratorio «non uscirà un farmaco contro l’Alzheimer, ma la sperimentazione sugli ibridi fornirà solo uno strumento per capire il funzionamento di mali che nel caso del Parkinson affliggono ormai un ultraottantacinquenne su cinque». Il ricercatore sottolinea come gli ovuli animali siano l’unica risorsa a disposizione degli scienziati e che la validità di questo tipo di studi è provata dai risultati ottenuti qualche anno fa nei laboratori cinesi. Nel 2003 i biologi della Second Medical University di Shanghai, guidati da Huizhen Sheng, hanno riprogrammato cellule staminali adulte fondendole con ovociti di coniglio svuotati del nucleo e ottenendo poi linee staminali embrionali. Non tutti sono convinti del successo della procedura, ma, dice Minger, «noi vogliamo collaborare con la professoressa Sheng perché la sua tecnica con ovociti animali non produce niente di diverso da una linea staminale creata usando ovociti umani. L’impiego di materiale animale, più facilmente reperibile, potrebbe accelerare la ricerca scientifica. E comunque», conclude Minger, «ogni linea cellulare che produrremo sarà depositata nella nostra Stem Cell Bank, a disposizione di chiunque in qualsiasi parte del mondo». Perché il Paese che ama sentirsi libero dalle regole, quello che nel 1978 ha visto la prima bambina in provetta, Louise Brown, e che nel 2001 ha autorizzato la creazione di cellule staminali da embrioni umani, ebbene quel Paese offre anche questo: la prima banca al mondo aperta a tutti gli scienziati, con tanto di catalogo fra cui scegliere linee cellulari umane da usare per la ricerca e la terapia.

03 luglio 2007


 

+ Il Corriere della Sera 3-7-2007 Storace lascia Alleanza Nazionale  La reazione di Fini: «Dispiaciuto ma motivazioni inconsistenti» Con un comunicato sul suo sito web l'ex ministro spiega: «Vedo esaurita funzione di An nella rappresentanza valori della destra»

 

ROMA - La rottura si è consumata. E ora potrebbe fondare un suo partito. Francesco Storace, ex presidente della Regione Lazio ed ex ministro della Sanità lascia Alleanza Nazionale. «Le mie dimissioni da Alleanza nazionale - scrive in una nota Storace - le ho inviate ieri sera (lunedì ndr) al presidente del circolo di An della Balduina, Daniele Marin, e le ho comunicate pochi minuti fa al presidente del gruppo al Senato, Altero Matteoli». «Credo che questa non sia più la mia casa politica - si legge sul sito web di Storace - ed è facilmente immaginabile quale possa essere il mio stato d'animo nel prenderne atto. Ma vedo praticamente esaurita la funzione di Alleanza Nazionale nella rappresentanza dei valori della destra, con il suo leader molto impegnato nel tentare a tutti i costi, attraverso attraverso formule che si modificano quotidianamente e incomprensibilmente, nel liberarsi di quello che appare sempre più un fardello ingombrante per i suoi disegni politici».

FINI - Immediata la reazione di Fini. «Sono umanamente dispiaciuto. Trovo le motivazioni politiche addotte da Storace inconsistenti, perché nessuno in Italia pensa che Alleanza nazionale non sia più un partito di destra. Ovviamente si tratta di capire cosa si intende per valori e programma di destra» spiega il presidente di Alleanza nazionale commentando l'addio al partito di Storace. «Contento lui!» è stata l'unica contro replica di Francesco Storace alle parole di Fini. L'ex ministro non ha aggiunto altro, rinviando ogni ulteriore commento.

03 luglio 2007


 

+ La Repubblica 3-7-2007 LA POLEMICA Gli insegnanti sono diventati una specie di sotto-proletariato Raddoppiamo gli stipendi ai nostri professori di PIETRO CITATI


SONO così vecchio, che i professori della mia giovinezza avevano studiato ai tempi della Riforma Gentile. Non vorrei sopravvalutarla. Né vorrei sopravvalutare l'insegnamento dei miei professori di ginnasio e di liceo: conoscevano male le letterature straniere, e avevano la pessima abitudine di discutere interminabilmente le opinioni di Benedetto Croce su Dante o Leopardi o Ariosto. Ma ce n'erano alcuni straordinari. In primo luogo, meravigliosa conoscenza del greco e del latino, tanto che Giorgio Pasquali sosteneva che i migliori filologi classici provenivano dalle cattedre dei licei.
Poi alcuni avevano un modo d'insegnamento che, in parte, si è perduto. Oggi la letteratura è studiata soprattutto come storia della cultura. Allora, i professori più intelligenti parlavano di Dante o Petrarca o Ariosto o Leopardi come se fossero una parte essenziale della vita quotidiana di ogni ragazzo. Vivevamo in loro e per loro. Uno dei miei professori discorreva di Machiavelli e di Guicciardini con tale passione e divertimento, che noi ne discutevamo tornando a casa e poi ne parlavamo a pranzo con nostro padre e nostra madre, come se tutti i problemi della vita moderna fossero illuminati dal Principe e dai Ricordi.
Molti maestri, e soprattutto maestre, erano meravigliosi: molto più bravi di quelli ai quali De Amicis innalzò un monumento nel Cuore. Appena aprivano bocca, tutto diventava chiaro, limpido, luminoso: i numeri si addizionavano, moltiplicavano e dividevano per conto loro: i verbi irregolari non avevano più misteri; la storia diventava un romanzo d'avventure. Avevano un grande dono comunicativo: uno spirito materno maggiore, probabilmente, di quello che esprimevano a casa; e le violente o pacate tirate d'orecchie, e i rapidi colpi di bacchetta sulle mani, venivano accettati senza ribellione.
Nei piccoli paesi, ogni maestra insegnava a due o tre classi, districandosi non si sa come in quel fantastico garbuglio. Ciascuna aveva un linguaggio e un timbro: tanto che si poteva ritrovare nelle voci dei bambini la voce delle insegnanti. E poi, la bellezza delle calligrafie (io scrivo orribilmente): tondi perfetti, linee slanciate, filettature, eleganze neogotiche. Credo che la perdita della bella calligrafia e dello studio delle poesie a memoria sia stata, come diceva Italo Calvino, una delle principali sconfitte dell'età moderna.
Tutti sapevano che gli stipendi delle maestre e dei professori non erano alti. Ma, in generale, era una cosa dimenticata. Nemmeno i più altezzosi borghesi o aristocratici di Torino ricordavano che gli educatori dei loro figli erano pagati meno dei loro autisti, e che le professoresse non frequentavano le grandi sarte. Esisteva l'inconscia convinzione che i professori non appartenessero a nessuna classe sociale: ma ad uno strano regno, dove né danari né vestiti né vacanze costose avevano importanza.
Sulla condizione dell'insegnamento nei licei, non posso che rinviare ad un libro preciso e piacevole di Paola Mastrocola, che possiede un'esperienza molto più diretta della mia. Ci furono periodi relativamente decorosi. Quello, per esempio, nel quale l'insegnamento nelle medie e nei licei fu assunto, quasi esclusivamente, dalle donne: lo stipendio era basso, ma integrava quello del marito; e poi rimaneva tutto il pomeriggio libero da dedicare ai figli. Ma questo interludio non fu lungo. Presto il Ministero elaborò una quantità mostruosa di materiale burocratico o semiburocratico e paraburocratico - riunioni, commissioni, moduli, discussioni, aggiornamenti, delirii - che distrussero i bei pomeriggi liberi, nei quali passeggiare o giocare con i figli.
Per il resto, la storia della scuola elementare, delle medie e dei licei negli ultimi trent'anni è quella di un rapido disastro. Le cause furono innumerevoli: le conseguenze del voto politico negli anni dopo il 1968: la riforma della scuola elementare, che vide la dissennata suddivisione tra i maestri (come se un solo maestro non fosse capace di insegnare sia aritmetica sia italiano): l'immissione, per motivi politici, di moltissimi pessimi insegnanti: la conseguente mancanza di posti per i giovani laureati: la confusione del Ministero; la stolidità dei programmi e dei non programmi di studio. A un ragazzo di quindici anni bisogna far leggere Delitto e Castigo, che lo sconvolge e travolge, non la per lui incomprensibile Coscienza di Zeno. A questo si aggiunse l'influenza rovinosa di alcuni libri di testo, compilati da professori universitari di tendenza strutturaliste: i quali imposero ai ragazzi di imparare a memoria gli attanti e la diegesi di Gérard Genette, invece di invitarli a comprendere la bellezza e il significato della letteratura.
Tutto questo ha portato alla degradazione della classe degli insegnanti. Cinquant'anni fa, era una non-classe, rispettata anche se non temuta. Oggi, gli stipendi miserabili hanno prodotto una sotto-classe, una specie di sottoproletariato, che possiede a malapena il danaro per vestirsi e nutrirsi, ma non per comprare un libro, sia pure in edicola. Ricordo con strazio la visione di una classe di professori, qualche anno fa: quei golfini spelacchiati, quei vestiti lisissimi. So di dire una cosa banalissima: oggi, quando la sorte della civiltà occidentale è affidata alla specializzazione, un buon liceo e una buona università sono assolutamente necessari. Invece, l'Italia ha perduto la precisione della sua vecchia cultura agricola, quando si sapeva potare un olivo e innestare una vigna. Quasi tutti lavorano in modo confuso ed approssimativo, come se la sorte del mondo non dipendesse dal dono di piantare un chiodo nel punto giusto.
Non è più possibile continuare a pagare i professori delle medie e dei licei, che devono tornare ad essere un'élite, con gli stipendi di oggi. Gli stipendi vanno almeno raddoppiati, e via via aumentati nel corso del tempo. Gli economisti mi risponderanno che i soldi non ci sono: questa proposta porterebbe a una spaventosa catastrofe, a una disastrosa inflazione. Ma so ugualmente bene che, in Italia, quando bisogna sprecarli, i soldi ci sono sempre. Se risparmiassimo sulla rasatura delle guance dei senatori, i profumi e i dopobarba dei deputati, le tinture dei capelli ahimè biancastri delle senatrici, le bare degli assessori veneti, i cuochi e i camerieri del Parlamento, i gelati dell'onorevole Buttiglione, gli stipendi delle stenografe siciliane, i premi letterari (in gran parte finanziati dalle Regioni), la politica estera del presidente Formigoni, potremmo accumulare una ricchezza immensa
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+ La Stampa 3-7-2007 La Cina censura il rapporto sui morti per inquinamento http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gif

 

http://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifhttp://www.lastampa.it/common/images/pixel.gifPECHINO   Il rapporto sull’inquinamento, frutto della cooperazione tra Cina e Banca Mondiale e costato parecchi anni di lavoro, mette in evidenza che almeno 750 mila persone muoiono prematuramente in Cina ogni anno a causa dell’inquinamento ambientale.

Come riporta in prima pagina il
Financial Times, la Cina ha obbligato la Banca Mondiale  alla censura di un terzo del rapporto poichè, ha detto una persona che ha partecipato allo studio, si trattava di informazioni «troppo sensibili, che potevano provocare moti sociali».

È in particolare l’aspetto del costo in termini di vite umane che Pechino ha voluto non fosse inserito nel rapporto, e, aggiunge il quotidiano britannico, la Cina ha ottenuto anche di non veder pubblicata la mappa dettagliata sei siti nei quali più diffusa è la morte per inquinamento. Nel rapporto, che può essere
scaricato da Internet, si sottolinea che 16 delle città più inquinate del mondo sono in Cina.

In un comunicato l’organizzazione internazionale ha detto che «alcune considerazioni sull’impatto fisico e alcuni calcoli sul costo economico sono stati ritirati a causa dell’incertezza su metodi di calcolo e sulla loro applicazione».


 

Altravoce.net 2-7-2007 Clamoroso: il Consiglio sardo costa il doppio e anche il triplo di quelli del ricco Nord. E ai nostri onorevoli meno tasse - 2-7-07 di Giorgio Melis – da l'Altra Voce


 

Sardegna parsimoniosa. Risparmiosa. Sobria. Non è Sud profondo, scialacquatore di soldi pubblici, borbonico e dissoluto. Siamo sardi, fate largo ai virtuosi. Non è questa l'immagine e l'idea che gli altri italiani e noi stessi abbiamo dei nostri costumi? Certo che lo è: distinti e distanti dai meridionali, come sempre ci ritengono al Centro-Nord. E allora? Un falso clamoroso, la verità è l'opposto. Uno scandaloso primato: incredibile da credere, amaro ma doveroso da denunciare.

La politica sarda è la più dissipatrice, spendacciona fino all'esagerazione: molto più, fatte le debite proporzioni, di quelle siciliana e campana. Quasi da non credere ai propri occhi e ai numeri.

Premessa troppo lunga ma indispensabile per dar conto di un'emozione negativa quando si credeva di averle viste tutte. Subito un esempio. Il Consiglio regionale della Sardegna, per una popolazione di un milione e 600 mila abitanti, 85 consiglieri e 160 dipendenti, costerà nel 2007 quasi 103 milioni di euro. La Lombardia - la regione più sviluppata, ricca e popolosa, con quasi nove milioni e mezzo di abitanti, 90 consiglieri e 283 dipendenti - spenderà per il suo Consiglio appena 71 milioni di euro: il 30 per cento in meno della Sardegna. Semplicemente incredibile.

Costi del Consiglio regionale in Sardegna
e nelle Regioni a statuto ordinario del Nord (bilanci 2007)

 

 

popolazione

numero
consiglieri

dipendenti
Consiglio

bilancio
Consiglio

 

Piemonte

4.124.677

63

300

71 milioni

 

Lombardia

9.475.202

90

283

72 milioni

 

Veneto

4.759.872

60

150

50 milioni

 

Emilia Romagna

4.151.369

50

200

40 milioni

 

Liguria

1.609.013

40

125

28 milioni

 

Sardegna

1.657.268

85

160

103 milioni

 

(alcune cifre sono state arrotondate per semplificare la tabella)

 

Dopo aver frugato per settimane nelle pieghe del bilancio sardo, scoprendo e disvelando una realtà pazzesca, con picchi vertiginosi (la buonuscita di 700 mila euro al segretario generale andato in pensione), credevamo di aver toccato il fondo. Con una temeraria convinzione: sarà dappertutto così, più o meno, il costo della politica è altissimo ovunque: la Sardegna non può essere il peggio, starà nell'aurea medianità e mediocrità. E abbiamo deciso di confortare questa presunzione andando a cercare, con fatica e decine di telefonate, fax ed email, il riscontro nelle altre regioni.

Dopo i primi accertamenti, si è pensato a un errore. E giù altre verifiche. Fino a doversi arrendere a un'evidenza oltraggiosa per il livello di reddito, le condizioni sociali, l'economia disastrata dell'isola. Solo nella politica, nel costo del Consiglio regionale, la Sardegna straccia tutte le altre regioni. Una realtà sfuggita perfino alle lente ustoria di quanti (i senatori Salvi e Villone in un libro-inchiesta micidiale, i giornalisti Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo che spopolano col loro bestseller La casta) hanno scandagliato a 360 gradi il sottobosco della politica istituzionale e partitica. Non hanno pensato di fare il raffronto realizzato da noi, con risultati davvero sconvolgenti. Oggi lo proponiamo con le regioni del Nord popoloso, sviluppato e produttivo. Nei prossimi giorni lo estenderemo alle regioni del Centro-Sud e infine alle altre a statuto speciale come la Sardegna.

A ogni lombardo il Consiglio costa 9 euro, ciascun sardo ne deve spendere 64

Ma è un dato assolutamente omogeneo: ogni confronto vede la nostra assemblea largamente in testa nella disonorevole corsa allo scialo, allo sperpero da nababbi di soldi pubblici in una terra sottosviluppata. La comparazione con la Lombardia dice di tutto e di peggio. Con una popolazione sei volte superiore a quella sarda, il suo Consiglio spende due terzi del bilancio sardo: appunto 71 milioni contro i nostri (scusate: i loro , di onorevoli e dipendenti) 103 milioni. Neanche nove euro di costo per ogni lombardo, contro i 64 euro che il parlamentino isolano costa annualmente a ciascuno di noi.

Ma se questo è il paragone più eclatante, rispetto al ricco Nord ci sono altri cinque esempi che propongono un'immagine intollerabile della Sardegna povera, ma che offre ai propri onorevoli trattamenti da sceicchi. Il Piemonte ha appena 63 consiglieri (contro i nostri 85) con quattromilioni e passa di abitanti e 300 dipendenti (contro i nostri 160). Ebbene, il Consiglio regionale di Torino costa appena 71 milioni di euro, 17 euro annui per ogni abitante. L'opulento Veneto (oltre quattro milioni e mezzo di abitanti) ha appena 60 consiglieri e 150 dipendenti ma un bilancio consiliare di appena 50 milioni di euro: meno della metà della Sardegna, con una tassa annua pro capite di dieci euro per ogni residente.

Vogliamo continuare? La ricca Emilia-Romagna (quattro milioni e 151 mila abitanti, appena 50 consiglieri e 200 dipendenti) spende 40 milioni di euro all'anno, contro i 103 del Consiglio sardo. L'austera Liguria, con un milione 609mila abitanti (come la Sardegna) ha limitato i consiglieri a 40 e i dipendenti a meno di 130: spesa annuale, 28 milioni di euro, appena il 36,7 per cento di quanto si spende nel palazzaccio platinato di via Roma a Cagliari.

Meno consiglieri, stesso personale e spesa ridotta nel virtuoso Nord

Sono cifre che si commentano da sole, gettando un fascio di luce abbagliante sulla munificenza senza paragoni che la Sardegna, con centinaia di migliaia di poveri e disoccupati, offre alla propria impunita classe politica. Un'immagine devastante, insopportabile, che muove allo sconforto e a una reazione furente contro un divario tanto enorme quanto inaccettabile. Forse che a Milano, Torino, Genova, Venezia e Bologna fare politica costa meno?

E perché mai dobbiamo pagare tanto per un Consiglio spesso al di sotto di ogni sospetto e decenza, di fronte all'efficienza, alla serietà e operosità di altre assemblee regionali, che hanno tutte meno (tranne Lombardia e Sicilia) e perfino la metà dei nostri eletti? Il teatrino del vaniloquio, logorroico, nullafacente, rissoso di via Roma, non è lontanamente paragonabile ai Consigli del Nord. Eppure costa dal 30 per cento in più fino al doppio e al triplo di quelli settentrionali.

Ma non si sente una parola di autocritica, un atto per riequilibrare una spesa astronomica rispetto agli altri. Anzi, chi la evoca viene tacciato di qualunquismo, demagogia e scandalismo antipolitico. Chi sono i veri qualunquisti che screditano il mandato parlamentare incassando e facendo spendere il doppio e il triplo dei colleghi che, poniamo a Bologna, da sempre hanno garantito ben altra efficienza e trasparenza all'amministrazione pubblica?

Non sono mancati e non mancano, sul versante del governo, scandali e sprechi in Veneto e in Lombardia. Ma, vuoto per pieno, la resa politica è infinitamente superiore a quella sarda, come il rapporto spesa-beneficio dei Consigli. Che diranno oggi i nostri onorevoli, l'imperturbabile presidente Spissu, i pasdaran improbabili moralisti all'Artizzu e al Sanjust-Robespierre, i campioni della sinistra radicale e della destra già incorruttibile ex missina? Davanti a un confronto che dovrebbe indurli a vergognarsi e nascondersi, diranno ancora che non sono ultraprivilegiati e costosissimi perfino di fronte ai colleghi lombardi, veneti, emiliani?

I consiglieri sardi pagano meno tasse di tutti, rivalutando anche la Sicilia e la Campania

Ora le carte e le cifre sono sul tavolo, le altre le daremo nei prossimi giorni: ancora da soli. Servirebbe una battaglia morale dei cittadini e degli altri e ben più potenti ma silenti organi d'informazione: si limitano a riprendere i risultati delle nostre inchieste senza alzare un dito per rilanciare, aprire un fronte di denuncia e d'attacco e imporre una svolta moralizzatrice. Perché c'è ancora tanto da portare alla luce. Lo faremo ancora con i nostri deboli mezzi, visto che non vengono messi in campo quelli di chi ha ben altra potenza di fuoco.

Ma la nostra battaglia si allarga, coinvolge un numero crescente di lettori e cittadini giustamente indignati. E il passaparola ci aiuta a suscitare una mobilitazione che dovrebbe essere generale. Intollerabile l'accettazione rassegnata di troppi, il silenzio che a questo punto diventa connivenza.

Come sul fatto, documentato dal Sole24Ore , che la media delle trattenute fiscali degli onorevoli sardi è la metà di quella media nelle altre regioni. Ingrassano senza pudore e si smarcano dal fisco che ad ogni contribuente a reddito fisso chiede fino all'ultimo centesimo. Dopo questa e altre puntate, si vedrà che dovremmo chiedere scusa ai politici di Napoli e Palermo, considerati sempre dissipatori a man salva. Lo sono invece, e da Guinness dei primati, i nostri. Altro che austeri, risparmiosi e virtuosi: sono uno scandalo nazionale che tracimerà fuori della Sardegna. Ristabilendo una verità da arrossire al cospetto degli altri italiani.

da www.altravoce.net

 

 

 


 

Il Piccolo di Trieste 3-7-2007 Ha patteggiato il radiologo che aveva usato le macchine per fare delle visite ad esterni, compresi giocatori della Triestina Faceva in ospedale lastre private: un anno e 6 mesi

 

Un anno e sei mesi con la condizionale. È questa la pena (condonata) che ieri ha patteggiato davanti al gip Enzo Truncellito, il dottor Leonardo Pacchiele, il medico radiologo accusato di aver esercitato in proprio all'interno dell'ospedale Maggiore. Nella breve udienza in Tribunale era presente il difensore Tiziana Benussi che a suo tempo aveva domandato di accedere al rito alternativo. Pacchiele era accusato di peculato. Il radiologo triestino era stato arrestato a metà febbraio dello scorso anno dai finanzieri della prima compagnia che su ordine del pm Maurizio De Marco gli avevano notificato un provvedimento di custodia domiciliare dell'allora gip Nunzio Sarpietro. Secondo l'indagine che si era snodata per quasi sei mesi, il medico - che in marzo si era dimesso dal servizio sanitario nazionale e che successivamente aveva risarcito il danno all'ospedale - aveva usato le strutture diagnostiche della radiologia per fini personali. È stato accertato infatti che nelle giornate festive o prefestive, ma anche di notte o in orari in cui sapeva che il reparto era scarsamente frequentato, Pacchiele aveva eseguito radiografie, ecografie, Tac, risonanze magnetiche e altri esami su suoi pazienti nel laboratorio del Maggiore. Poi aveva intascato personalmente quanto sarebbe spettato all'Azienda sanitaria. Niente ricevute, niente contabilità, niente tasse e imposte. Anzi, se l'esame costava ufficialmente al paziente "privato" 200 o 250 euro, scattava anche uno sconto consistente: almeno 50 euro. Tra i pazienti sottoposti a questo genere di esami "privati" scontati e non contabilizzati come prevede l'Azienda sanitaria, vi erano stati molti giocatori ed ex giocatori della Triestina calcio. Nell'inchiesta era emerso il nome di Denis Godeas, infortunatosi alla fine dell'incontro Triestina-Crotone di novembre del 2005. Gli altri nomi di calciatori della Triestina finiti nell'inchiesta sono stati quelli di Baù, Briano, Pianu, Rigoni, Eliakwu. Vi sono anche quelli dell'ex guardalinee internazionale e accompagnatore degli arbitri, Dino Lodolo e quello del figlio dell'ex presidente Tonellotto, coinvolto in un incidente sulle piste da sci. Nel corso dell'inchiesta erano state accertate almeno cinquanta prestazioni irregolari. All'indomani dell'arresto il radiologo era stato interrogato dal pm De Marco e aveva ammesso spontaneamente di aver sbagliato. Si era detto disponibile a risarcire immediatamente il danno provocato, cosa che è poi ha fatto. E aveva anche confermato di aver dato qualche piccola "mancia" a un paio di tecnici che lo avevano aiutato nel suo lavoro "privato" al Maggiore. Aveva spiegato senza timori i motivi che lo avevano indotto a servirsi del reparto in cui lavorava per fini personali. "Ero in difficoltà, mi servivano soldi", aveva detto. c.b.


 

Il Corriere della Sera 3-7-2007 Pd, candidature e "liste per Veltroni" IL PARTITO FEUDALE di ANGELO PANEBIANCO

 

Molti maggiorenti del costituendo Partito democratico forse non se ne rendono conto ma c'è il rischio che la nascita del nuovo partito non sia una cosa seria, proprio il contrario di quei solenni atti fondativi da cui prendono vita le imprese importanti e durature. Dopo l'autocandidatura di Walter Veltroni alla guida del Partito democratico ci si poteva aspettare che altri dirigenti, in disaccordo con la linea politica da lui tratteggiata, si candidassero subito a loro volta. Per dare vita a una vera gara. Invece, al momento, aperte critiche ai contenuti del discorso di Veltroni non ne sono state ancora fatte, i potenziali sfidanti tentennano, e i "veri" capi dei due partiti che si vanno a fondere (Ds e Margherita) cercano di scongiurare un conflitto per la leadership. In compenso, stanno sbocciando, come cento fiori, le "liste per Veltroni". Da quel che si capisce, chiunque voglia piazzare se stesso e gli amici suoi negli organi dirigenti del futuro partito metterà in piedi la sua "lista per Veltroni" e ogni lista, naturalmente, avrà il suo marchio ("cattolici per Veltroni", "girotondi per Veltroni", eccetera) e i suoi nobili propositi politici. L'impressione è che più che un problema di "tecnica" ci sia un problema di cultura politica. Non viviamo in una "democrazia popolare". Certi riti, pertanto, bisognerebbe evitarli. Fanno, come dire?, una brutta impressione. In un normale partito occidentale il solo autorizzato a dare vita a una "lista per Veltroni" dovrebbe essere Veltroni medesimo. Gli altri, tutti gli altri, dovrebbero candidarsi nella sua lista o sostenerla se concordano con lui, oppure, se non concordano, dare vita a liste contrapposte alla sua, con altri contenuti e altri candidati. I partiti, sempre e in ogni luogo, hanno una natura oligarchica. Nessuno poteva essere così ingenuo da pensare che il Partito democratico risultasse un'eccezione. Esso non può che nascere da una fusione di oligarchie e di apparati dei partiti preesistenti. Ma la fusione può avvenire in modi diversi. Quella che si prospetta (come, fra i dirigenti, il solo Arturo Parisi ha subito colto e denunciato) è la peggiore delle fusioni possibili. Ciò che si sta delineando è un partito con una struttura "feudale" (altro che federale), un partito che nello stesso momento in cui incoronerà Veltroni darà anche vita a un sistema strutturato di correnti, ciascuna facente capo a un notabile. Ne verrebbe fuori qualcosa di simile alla Polonia settecentesca. Tra l'altro, un partito così fatto toglierebbe in partenza al pur plebiscitato Veltroni lo spazio di manovra necessario per un vero esercizio della leadership. Ferma restando l'inevitabilità della fusione fra oligarchie e apparati, c'è anche un altro modo. Consiste in un uso "non improprio" delle primarie: chi non concorda con Veltroni dovrebbe scoprirsi e candidarsi proponendo cose diverse da quelle che propone lui (e fare poi pesare, in caso di sconfitta, i consensi raccolti). Per esempio, davvero nessuno, nel Partito democratico, ha da obiettare all'"assordante silenzio" di Veltroni (critiche agli americani per l'Iraq a parte) sulla politica internazionale? Che identità potrà mai avere un partito il cui leader designato non propone alcuna scelta di campo di fronte alle gravi sfide internazionali in corso? Questo sarebbe l'unico atto fondativo in grado di dare forza all'impresa: primarie vere, un vero confronto (per la leadership e per il controllo degli organi di partito) fra candidati con idee e proposte almeno in parte differenti.


 

Il Riformista 3-7-2007  Le prime contraddizioni di Veltroni (e Scalfari)  di Emanuele Macaluso


Veltroni ha perentoriamente affermato che il governo Prodi durerà sino al 2011 anche perché, se non sarà così, anche il progetto del Pd affosserà. Eugenio Scalfari autorevole tutore di Prodi e Veltroni, sabato ha scritto: «La tenuta del governo e l’arrivo in campo di Veltroni sono due elementi strettamente interconnessi che non possono fare a meno l’uno dell’altro. Ogni errore e ogni scarto da questo strettissimo sentiero di recupero della fiducia collettiva potrebbe essere fatale». Nella stessa pagina di Repubblica Ilvo Diamanti ha presentato un sondaggio Demos-Eurisko che attesta come in un anno il governo Prodi sia passato, nella fiducia degli elettori, dal 59,1% al 26,3%.
Non sono favorevole a una crisi al buio, ma affermare, come fanno Scalfari e Veltroni (non so con quanta convinzione), che una crisi di governo sarebbe un disastro e comporterebbe la fine del Pd significa accrescere in misura esponenziale il potere contrattuale (o di ricatto) dei partiti minori e anche di singoli parlamentari che al Senato dispongono della vita del governo.
Il fatto poi che le sorti di un partito (il Pd) che dovrebbe nientemeno essere il motore per la soluzione dei problemi nazionali dipendano dalla crisi di un governo la dice tutta sulla reale consistenza di quel “progetto”. Il boom mediatico messo in moto dalla candidatura di Veltroni e l’accoglienza riservatagli da forze sociali e da poteri che condizionano il sistema economico e politico ci segnala il carattere profondo di una crisi che sta soprattutto nel governo. Qui risiede la prima sostanziale contraddizione di Veltroni: vuole tenere in vita - sino al 2011! - il governo che i suoi sostenitori acquisiti (non lo zoccolo duro di Repubblica e l’Unità) pensano di potere licenziare grazie alla sua candidatura.
D’altra parte, se il governo Prodi dovesse cadere certamente per il candidato leader del Pd si porrebbero problemi di difficile soluzione. Infatti sia Prodi che D’Alema hanno recentemente affermato che se si verificasse quell’eventualità, la soluzione sarebbero le elezioni anticipate. E con quale legge elettorale? L’idea che questo interrogativo tenga in vita la coalizione non mi pare fondata (ci sono ben altri motivi) ma oggi il tema è sul tappeto perché c’è il referendum. E - sarà un caso? - i due leader più quotati nei due poli (Fini e Veltroni) sono tra i sostenitori, apertamente il primo, sornionamente il secondo, di questa opzione.
Può la coalizione di centro-sinistra trovare un accordo sulla legge elettorale per evitare il referendum? Se lo trova, il governo ottiene una proroga, se non lo trova accelera la sua crisi. Ma la legge elettorale è lo strumento di una strategia politica. Si vuole solo correggere la “porcata” vigente e mantenere il bipolarismo così com’è? Si vogliono disarticolare gli attuali schieramenti con una legge alla tedesca con sbarramenti reali? Insomma le alleanze debbono essere fatte sulla base di una affinità politica e programmatica oppure per le convenienze suggerite dalla legge elettorale?
Se si vuole correggere un sistema occorrerebbero modifiche costituzionali, come ha accennato lo stesso Veltroni. Può l’attuale governo, con i rapporti politici che ha nella sua maggioranza e con quelli conflittuali con l’opposizione mettere mano a questo complesso di riforme che dovrebbero essere condivise?
I miei interrogativi vogliono essere una sollecitazione a stare con i piedi per terra a valutare la realtà per quella che è, se si vuole capire dove stiamo andando. Insomma, tra il dire e il fare, come si sul dire, c’è di mezzo il mare. E, di questi tempi, il mare è forza 7.


 

Europa 3-7-2007  Le Idi di marzo contro Veltroni per lasciare il Cavaliere solo al comando  FEDERICO ORLANDO RISPONDE

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Cara Europa, ancora una volta nel centrosinistra ci si tuffa nel gioco prediletto del tafazzismo. Non è passata una settimana dalle accoglienze al discorso di Veltroni, ed eccoci all’opera di demolizione. Vada per la Vittoria Michela Brambilla e il suo complesso edipico per il cavaliere, ma perché tanti distinguo e animosità anche fra noi? MICHELA VITTORIA BIANCHI, VERONA


Cara signora, le differenze fra centrodestra e centrosinistra sono tante, per esempio: il centrodestra ha un padre-padrone (quello del complesso edipico, come dice lei) e noi no; ha interessi solidali, in primo luogo non pagare tasse scaricando sulle spalle degli altri il costo dei servizi sociali; mantenere in piedi l’etica arcaica, dove alle cose che si dicono non corrispondono quelle che si fanno: la cosiddetta “morale borghese”, che non è solo borghese. Il centrosinistra è la somma di due mondi strumentalmente uniti per governare, ma diversi fra loro. Fra noi c’è ancora chi pensa che a 57 anni, quando la vita… comincia, si debba andare in pensione, e chi pensa che ricerca, merito, intrapresa non possano avere limiti di età, di etica, di condizione sociale e che la vita debba essere opera nostra e non dello stato, che al più deve metterci nelle condizioni di realizzarla. Basterebbe questa divisione di fondo per spiegare, nel caso delle primarie dell’Unione del 2005, la candidatura di Bertinotti contrapposta a quella di Prodi.
Ma qui ora si tratta di eleggere il leader del Pd, dopo il clamoroso insuccesso d’opinione della coalizione e del suo governo. Inevitabilmente il segretario del Pd, se sarà una personalità di grande rilievo “trasversale”, sarà anche candidato del centrosinistra alla guida del governo, quando ci saranno nuove elezioni.
Fingere di dimenticarlo alimenta la gara tafazziana (dice lei, Galli della Loggia richiama le Idi di marzo) per demolire il leader già prescelto nei sondaggi degli italiani e per moltiplicare il numero degli aspiranti candidati. Si sostiene infatti che per essere vere elezioni primarie occorrono più candidati: e questo va bene in politologia, va meno bene nel mondo della gente comune, che distingue poco i tempi e i riti dei politici. Tanto che nei discorsi di spiaggia, che in questi giorni molti possono fare, le riserve di elettori di sinistra nei confronti di Veltroni sono perché il sindaco sarebbe… “molto simile a Berlusconi”, troppo amante della pacificazione nazionale, e altri consimili difetti che nell’attuale clima civile italiano potrebbero essere qualità. Insomma, finora di critiche a Walter ne ho raccolte anch’io, ma nessuna formulata in base alle preoccupazioni dei nostri leader – politici, politologi, giornalisti –, che sono lussi per chi vive nella politica. Non che in sé non abbiano valore, solo che dovrebbero essere fatti valere con discrezione, all’interno delle stanze del potere, non portate in piazza a rompere quel po’ di incantesimo che per qualche ora aveva ridato speranze al frustrato popolo del centrosinistra. Perché Pansa, che ormai potrebbe mettere su una bella impresa di demolizioni del centrosinistra, non ci dice cosa farebbe sorgere sugli spazi ridotti dalle sue ruspe a cumuli di macerie?


 

La Repubblica 3-7-2007 IL LATINO DALL'ANTICHITà A OGGI MA QUANTI EQUIVOCI SULLA LINGUA PERDUTA RAFFAELE SIMONE

 

Alcuni fautori del suo ritorno sostengono che nella etimologia delle parole latine si celano segreti e rivelazioni razionalità C'è chi vede nel latino una lingua logica e razionale, studiando la quale ci si addestra a ragionare Il cardinal Bertone ha assicurato (la Repubblica del 29 giugno) che la Chiesa non intende egemonizzare l'Italia ma solo evangelizzarla. In quest'inedito piano di reconquista il Vaticano usa i suoi argomenti di sempre, a partire dal rilancio del latino come lingua di tradizione. L'operazione si sta sviluppando su più fronti. Qualche settimana fa l'insolita coppia formata dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche e dal Cnr ha tenuto a Roma un convegno dal titolo Futuro Latino, con l'obiettivo di inquadrare il latino come "fondamento per la costruzione e l'identità dell'Europa" e verificare (pensate!) le sue potenzialità per la scienza. Non so che risultati il convegno abbia avuto, ma il segnale è eloquente. Se può esser difficile convincere gli scienziati che il latino serva loro a qualcosa, agire sui fedeli (sinceri o fittizi) è più agevole. Oggi tocca infatti agli aspetti liturgici. Un motu proprio papale di prossima pubblicazione prevede che, se almeno trenta fedeli lo chiedono, il sacerdote è tenuto a dire messa in latino senza obbligo di avvertire il vescovo. Così si chiuderebbe per sempre la riforma "popolare" di Giovanni XXIII, che introdusse nella liturgia l'uso delle lingue nazionali come segno di accostamento alla sensibilità della gente. Ma perché mai i fedeli dovrebbero chiedere una messa in latino? Cosa significa questa lingua per chi ne rivendica il restauro, quasi si trattasse di un vessillo mortificato? Il latino è abituato a essere coinvolto in rivendicazioni e nella storia gli è toccato prestarsi alle maschere più diverse. Per lo più è stato usato come bandiera del ritorno a un'origine imprecisata e ai presunti valori che questa rappresenta. Insomma come simbolo di conservazione o di reazione. Non a caso in una delle sue rivendicazioni l'arcivescovo Lefebvre richiedeva proprio il ripristino della messa in latino. Ma rivendicando il latino come lingua liturgica non si aspira certo al piacere di ascoltare discorsi in una lingua che magari nessuno dei richiedenti è in grado di capire. Per molti di loro il latino è puro suono, cantilena o assonanza, fonte più di confusione che di raccoglimento. Le fantasie nate dall'incomprensione di formule liturgiche sono così numerose e frequenti che sul tema si sono scritti libri interi (come il bel Sicuterat. Il latino di chi non lo sa di Gian Luigi Beccaria). Antonio Gramsci raccontava che per sua zia Grazia il da nobis hodie del Padrenostro era diventato il nome di una nobile Donna Bisodia, che veniva citata spesso come esempio. Il fatto è che le religioni amano associarsi a lingue presunte "originarie" e dotate di un flavor esoterico e iniziatico, anche se nessuno le capisce: anzi esattamente per quello. Così assicurano la propria autenticità e continuità rispetto agli inizi: allora le formule rituali possono trasformarsi tranquillamente in mantra, in "Donne Bisodie" e in "sicuterat". Non importa che si capisca, quel che conta è che ci si distingua dagli altri. La chiave in cui la Chiesa difende il latino è proprio questa. Del resto, va notato che il latino cristiano, e più ancora quello della chiesa moderna, propriamente? non è latino. Il primo (come si vede nella traduzione delle Scritture e nella Patristica) è una metamorfosi semplificata e contaminata dell'idioma di un tempo. Il latino della Chiesa d'oggi è un'invenzione delle cancellerie, una sorta di esperanto per preti. A questa visione fantastico-iniziatica se ne salda un'altra, secondo cui nell'etimologia delle parole latine si celano segreti e rivelazioni. Sono stati in molti a ricercare (nelle parole latine e di altre lingue) queste radici arcane, secondo una linea che potremmo chiamare "Vico-Heidegger." Il meraviglioso Giovanbattista e l'oscuro Martin hanno infatti pescato a piene mani nella scomposizione etimologica (vera o fantasiosa), l'uno del latino l'altro del tedesco, alla ricerca di significati riposti. Il gioco mostra però la corda, perché a questa linea si sono associati anche autentici folli, come quel Jean-Pierre Brisset, "Prince des penseurs" amato da surrealisti e psicoanalisti, che, ai primi del Novecento, proprio scomponendo parole arrivò a dimostrare l'origine "batracica" del linguaggio, cioè la sua provenienza dal cracrà delle ranocchie. Di segno opposto è la seconda maschera che il latino si trova spesso addosso: quella di lingua logica e razionale, studiando la quale ci si addestra a ragionare. I linguisti sanno bene che di lingue logiche non ne esistono, perché a esser logiche e ordinate (o il contrario) non sono le lingue ma semmai le teste di quelli che le usano. Ma questo semplice fatto non basta a convincere i fissati. Alcuni tratti della struttura del latino lo espongono davvero, del resto, al rischio di esser preso per una lingua-calcolatore: è ricco di casi e di flessioni complicate, ha una sintassi raffinata e mobile, tende a distanziare le parole che hanno a che fare tra loro e ha una forte propensione all'ellissi (il "sottinteso" che fa impazzire i lettori di Tacito e di Orazio). Per questo è stato facile spacciarlo come una lingua che richiede, per essere capita, un lavoro mentale particolarmente intenso. Anche qui l'argomento è debole. Se si volesse davvero insistere su quelle forme di complessità, la scuola avrebbe a disposizione un'altra lingua più ricca e complicata, il greco: ancora più folto di flessioni e di forme, ancora più drastico nelle "parole mancanti", ancora più ricco di problemi da risolvere prima di cominciare a capire qualcosa. Pure Gramsci era cascato in questa trappola: "Il latino non si studia per imparare il latino", scriveva in un passo dei Quaderni del carcere dedicato a questo tema. La sua formula svela l'inganno di tutte queste operazioni: i difensori spuri del latino (dal clero tradizionalista e i fedeli lefebvriani ai supposti educatori del ragionamento) non hanno alcun interesse per il latino, ma solo per ciò che presumono che si possa ottenere usandolo. Chi volesse davvero far qualcosa per il latino nella cultura della modernità dovrebbe invece promuoverlo come tale, cioè come una lingua dalla magnifica struttura, come la porta di una formidabile letteratura e il vessillo di una civiltà che ancora ci intriga.


 

La Repubblica 3-7-2007 La pericolosa corsa al dollaro dei Paesi asiatici HUGO DIXON

 

Sono passati esattamente dieci anni da quando il governo tailandese ha rinunciato alla difesa del baht, una manovra che sfociò in una bailamme di dimensioni tali da indurre a credere che la lezione fosse servita. Ma il fatto che i mercati siano ancora dominati da eccessi, come dimostrano il boom delle leveraged buy out e la crisi dei mutui subprime, fa sorgere qualche dubbio. Prima ancora di analizzare i cambiamenti avvenuti, vale la pena ricordare che i mercati emergenti hanno capito un elemento fondamentale: non fare affidamento su fondi esteri incostanti, giacché fu proprio il loro retrocedere ad innescare la crisi asiatica. Cosicché oggi gli asiatici tendono ad accumulare anziché prendere in prestito dollari. Un aspetto spesso rimarcato dagli economisti, ritenendo che i paesi poveri debbano investire e non risparmiare in valute estere. Va detto però che le riserve offrono ai paesi le risorse necessarie per contrastare attacchi di natura speculativa, come quelli sferrati da George Soros in Malesia nel 1997. Una delle conseguenze di questo accumulo valutario in Asia è il forte spostamento verso occidente registrato da questi eccessi finanziari. Gli investitori asiatici finanziano metà del deficit commerciale Usa, salito al 6% del Pil, più o meno lo stesso valore percentuale che mise nei guati Tailandia e Indonesia, mentre i prestiti hanno contribuito a rendere il ricorso al debito facile ed economico tanto per le aziende quanto per i privati americani. Dopo dieci anni iniziano ad affiorare i segni di una crisi finanziaria, che per certi aspetti ricorda la debacle del "long term capital management" (Ltcm). In entrambi i casi investitori sofisticati si affidarono a modelli matematici che dicevano di offrire buone garanzie di profitto, senza però tenere conto di quello che accade quando la liquidità viene prosciugata dai mercati. Ne sa qualcosa Bear Stearns con i suoi hedge fund subprime, costretta ad alienare le attività a un forte sconto rispetto al loro valore teorico. Attualmente la liquidità abbonda così tanto sui mercati internazionali che a soffrire sono soltanto alcune nicchie, mentre dieci anni fa in Asia la liquidità si prosciugava con estrema rapidità, diffondendo la crisi da mercato a mercato come se fosse un'epidemia. Va inoltre detto che la risposta fornita dalle autorità alla crisi indusse gli investitori a considerare l'investimento come una scommessa a senso unico, dopo che una serie di aziende asiatiche fu salvata dal Fondo monetario internazionale, mentre il fulmineo reintegro dell'Ltcm consentì agli investitori più spregiudicati di cavarsela pressoché senza danni. Per tutta risposta, la Federal Reserve tenne i tassi artificialmente bassi, adottando la politica cosiddetta "Greenspan put", in base alla quale l'ex numero uno della Fed era sempre pronto ad intervenire in caso di necessità. Una politica che fu mantenuta anche in crisi successive, come quella a seguito degli attacchi dell'11 settembre. Oggi sono ancora molti gli investitori che credono di poter fare investimenti a senso unico, come nel caso dei gestori di hedge fund e dei baroni del private equity, i cui piani di remunerazione consentono loro di fare soldi a palate in presenza di mercati in rialzo, ma di non rimetterci nulla in caso di andamenti negativi. Pur essendo l'epicentro del rischio finanziario mondiale, gli Usa hanno imparato una lezione importante dall'esperienza asiatica: non contrarre prestiti in valuta estera. Contraendo prestiti essenzialmente in dollari, gli Usa difficilmente finiranno in bancarotta e se poi le cose si dovessero mettere male, basterà stampare qualche banconota in più e lasciare che il biglietto verde continui a scivolare. A rimetterci sarebbero gli stranieri, soprattutto gli asiatici. Edward Hadas e (Traduzione a cura di MTC).


 

La Repubblica 3-7-2007 Primo caso di delocalizzazione alla rovescia di un'azienda informatica. Gli stipendi dei programmatori quasi uguali a quelli americani Salari indiani boom, si torna in Usa Da Bangalore alla Silicon Valley. Cina, sì allo statuto dei lavoratori

 

La decisione della società californiana Like.com di chiudere il suo centro asiatico Pechino introduce nuove regole: obbligo di contratti scritti e limiti ai posti a termine FEDERICO RAMPINI dal nostro corrispondente pechino - La legge della domanda e dell'offerta vale anche per Cindia. La sua rivincita si chiama "reverse offshoring": delocalizzazione alla rovescia. Per la prima volta si segnala il caso di un'azienda di software che da Bangalore, la capitale dell'informatica indiana, ri-trasferisce posti di lavoro nella Silicon Valley originaria, cioè in California. La ragione? Grazie al formidabile boom dell'industria hi-tech in India la caccia ai talenti sta facendo lievitare rapidamente gli stipendi locali. A Bangalore le retribuzioni dei programmatori di software in certi casi si stanno avvicinando a quelle praticate in America, e il vantaggio competitivo si assottiglia. Finisce sulle colonne del Financial Times il caso della Like.com, società californiana che realizza un motore di ricerca per trovare immagini su Internet. La Like.com ha deciso di chiudere il suo centro di software indiano e di riportare i posti di lavoro nella Silicon Valley. Munjal Shah, l'amministratore delegato di Like.com, ha spiegato la clamorosa decisione sul suo blog: "La crescita degli stipendi a Bangalore è impazzita". Il top manager ha calcolato che due anni fa i programmatori di software indiani gli costavano appena il 20% di quelli americani, adesso si stanno avvicinando al 75%. A questo punto lo "sconto indiano" non gli basta più per giustificare le spese di una filiale distaccata oltreoceano, e gli inconvenienti di 12 ore e mezza di differenza nei fusi orari. Altri imprenditori confermano questa diagnosi: l'India continua ad avere livelli salariali molto bassi e competitivi, ma nelle zone dove si concentra lo sviluppo delle tecnologie avanzate come Bangalore e Hyderabad l'inflazione dei compensi è spettacolare. L'altro gigante asiatico non è immune da questi effetti livellatori della globalizzazione. Il Congresso di Pechino ha appena varato uno Statuto dei Lavoratori, la più importante riforma in questo campo da quando la Cina si è convertita al capitalismo. La nuova legge introduce regole in un mercato del lavoro che finora era una giungla. Stabilisce l'obbligo di assumere attraverso contratti di lavoro scritti; limita le assunzioni a tempo determinato; sancisce il diritto a un impiego stabile dopo un periodo di prova; introduce la buonuscita per i licenziati. Questa riforma era in gestazione da tempo, l'assemblea legislativa cinese la stava discutendo da due anni. Improvvisamente è stata accelerata, entrerà in vigore con l'inizio del 2008. Tra le cause di questa svolta, anche in Cina c'è una tensione da "pieno impiego" nelle zone più sviluppate: la provincia meridionale del Guangdong, cuore pulsante della potenza manifatturiera cinese con le città di Canton e Shenzhen, vede crescere i conflitti sociali e ha dovuto alzare più volte il salario minimo legale per placare le rivendicazioni operaie. Un peso lo hanno avuto anche due scandali recenti. All'inizio di giugno i sindacati tessili internazionali hanno rivelato che alcuni prodotti con il "logo" del comitato olimpico cinese (magliette, zainetti, album di figurine) provenivano da fabbriche-lager che sfruttavano operai bambini. Poco tempo dopo la polizia cinese ha smantellato un altro racket di schiavismo, liberando 600 bambini rapiti alle famiglie e deportati nelle fabbriche di mattoni dello Shanxi e dello Henan. Il miglioramento della forza contrattuale dei lavoratori nelle zone più ricche del paese, insieme con le ripercussioni degli scandali per gli abusi contro i diritti umani, spingono al rialzo anche i salari cinesi. La protezione della salute dei consumatori è un altro punto dolente che vede la Cina sotto accusa. Da un mese si assiste a una escalation di allarmi internazionali. A Panama cento persone sono morte dopo avere usato un dentifricio made in China che contiene un gel per usi industriali, spacciato per glicerina ma altamente tossico. Dello stesso dentifricio, si è scoperto in seguito, 900.000 tubetti erano stati distribuiti negli ospedali degli Stati Uniti. In America 60 milioni di scatolette di cibo per cani e gatti - anche queste provenienti dalla Cina - sono state ritirate dalla circolazione dopo la morte di 16 animali domestici (avvelenati dalla melamina, una sostanza chimica per usi industriali). Un'azienda di giocattoli Usa, la Rc2, ha dovuto allertare le famiglie sulla pericolosità del popolare trenino "Thomas & Friends": fabbricato in Cina, contiene vernice al piombo proibita. Di colpo la Food and Drugs Administration (Fda), l'authority americana che vigila su medicine e alimenti, moltiplica controlli e sequestri di prodotti made in China, per motivi igienico-sanitari. La settimana scorsa la Fda ha bloccato le importazioni di alcune categorie di pesci e frutti di mare asiatici, finché non saranno tutti risultati innocui ai test igienico-sanitari. Multinazionali alimentari come Kellogg e General Mills passano in rassegna tutti gli approvvigionamenti che provengono dalla Cina, nel timore che emergano nuovi problemi. La Cina non può "giocarsi" il mercato Usa: da solo vale oltre 200 miliardi di dollari all'anno per i suoi esportatori. Le autorità di Pechino hanno reagito accusando gli americani di manovre protezionistiche (può esserci una parte di verità: il clima politico è meno liberoscambista da quando i democratici hanno la maggioranza al Congresso di Washington). Al tempo stesso però la Repubblica popolare cerca di correre ai ripari in casa propria. La settimana scorsa il governo di Pechino ha annunciato di avere chiuso 180 fabbriche di generi alimentari e di avere revocato 37 licenze dopo la scoperta di 23.000 infrazioni in produzioni di farine, biscotti, caramelle, conserve, sottaceti e frutti di mare. E' un'operazione di facciata, orchestrata solo per rassicurare l'opinione pubblica occidentale? Di certo in Cina "il problema vero è sempre l'applicazione delle leggi", come ha commentato la Camera di Commercio dell'Unione europea a Pechino, che rappresenta tutte le imprese del Vecchio continente. Sul mercato del lavoro come nella tutela dell'ambiente, la causa degli abusi spesso è nella collusione tra interessi economici e potere politico autoritario. Ma la forza del mercato è un vincolo serio anche per il colosso cinese. La sua crescita è stata trainata per un quarto di secolo dalle esportazioni, e il regime ha imparato ad apprezzarne l'importanza.


 

Il Secolo XIX 3-7-2007 Andrea Villa Immaginiamo un signor Wang e un signor Higuchi che per lavoro debbano venire in Italia.

 

Per entrare nel nostro paese devono fare richiesta all'ambasciata d'Italia nel loro paese di un visto di ingresso per motivi di affari, che ha durata massima di novanta giorni. Per ottenerlo, devono produrre una serie di documenti, dimostrando anche di disporre dei mezzi economici per affrontare il viaggio. Non vengono però fornite loro certezze sul rilascio, né sui tempi, che in pratica risultano molto variabili, a seconda della sede diplomatica e della stagione. Il risultato è che molti signori Wang e Higuchi scelgono di entrare in Europa da altre strade, in primis dalla Germania, e in Italia non ci arrivano mai. Con loro, il signor Rossi perde i loro investimenti e anche altre opportunità, diventando ogni giorno un po' più povero. Il permesso di soggiorno del manager Un secondo caso riguarda il distacco in Italia di manager (e personale specializzato) che curano l'avviamento di un'attività nel nostro paese: in questo caso il signor Wang e il signor Higuchi, dipendenti dell'azienda presso sede estera, se hanno qualifiche particolari, possono evitare i vincoli legati ai flussi contingentati, ma devono comunque percorrere un iter lento e tortuoso. Le loro aziende presentano domanda allo Sportello unico per l'immigrazione, presso le prefetture, che poi trasmette il nulla osta all'ingresso al consolato italiano competente. Arrivati in Italia, il signor Wang e il signor Higuchi devono poi richiedere il permesso di soggiorno, da trasmettere alla questura locale, attraverso le Poste. Questo percorso, che può durare molti mesi, presenta tre tipi di problemi: il numero di interlocutori, i tempi e soprattutto l'incertezza in cui viene lasciato l'aspirante espatriato. Per certi versi, la situazione sta lentamente migliorando, ad esempio, prima dell'istituzione dello Sportello unico, le pratiche erano due, una per la questura e una per la Direzione del lavoro, e il tramite delle Poste (che ha moltiplicato gli sportelli) evita le code disumane fuori dalle questure. Ma inizialmente, l'innovazione di una procedura causa spesso il blocco della macchina burocratica. Cosa che si è puntualmente verificata: fra l'istituzione dello Sportello unico per decreto e la sua operatività sono trascorsi mesi, cioè il tempo necessario (ampiamente variabile, a seconda delle province) agli uffici coinvolti per riorganizzarsi e adeguarsi alla nuova normativa. Più recentemente, è stata la creazione del permesso di soggiorno elettronico (Pse), a bloccare di fatto la procedura per tre o quattro mesi, con il risultato che un'innovazione introdotta per agevolare il signor Wang e il signor Higuchi, ha invece bloccato i loro permessi, allungando ulteriormente il tempo loro necessario a ottenere il visto. Tre cose da fare Da queste analisi, benché sommarie, si possono trarre tre spunti per l'agenda dell'esecutivo. Occorre in primo luogo adeguare l'organizzazione della rete diplomatica, che a oggi è lo specchio di necessità del passato, con una presenza capillare in paesi che hanno attratto gli emigranti italiani nel secolo scorso (come il Sud America) e un presidio leggero delle nuove economie asiatiche. È sintomatico che il sito web del ministero dell'Estero enumeri sessanta sedi fra consolati, vice-consolati e agenzie onorarie, in Argentina e appena quattro in Cina. Occorre poi dedicare attenzione all'intero processo di implementazione, quando si mettono in cantiere adeguamenti normativi: anche provvedimenti corretti, possono produrre effetti disastrosi se il legislatore trascura le difficoltà a cui deve fare fronte la macchina burocratica per adeguarsi. Fra i principi del buongoverno c'è quello di cambiare le regole il meno possibile. Ma quando ciòè inevitabile, sembra utile prevedere momenti di verifica o test sul campo (magari su una o due province), prima di estendere l'applicazione della nuova normativa a tutto il territorio. Infine, è necessario andare incontro alle esigenze degli utenti, allargando l'impiego di due attrezzi ormai di uso comune nel mondo attuale, ma il cui rapporto con la burocrazia amministrativa è delicato: l'inglese e l'informatica. I moduli per il signor Wang e il signor Higuchi sono oggi solo in italiano e di carta. Realizzare materiale esplicativo, renderne disponibili al pubblico traduzioni in lingua, magari via web, contribuirebbe all'efficacia del processo. Qualche prefettura aveva fatto dei tentativi in questo senso; ora è online l'utile sito www.portaleimmigrazione.it, realizzato dalle Poste con il ministero dell'Interno. Un modello di riferimento può essere il sito inglese: www.workingintheuk.gov.uk. Oltre che nel front-end, l'informatizzazione deve essere introdotta anche nel back-office. Per realizzare il collegamento informatico fra gli uffici amministrativi coinvolti, che è l'unico modo per ridurre i tempi per il passaggio di documenti che oggi viaggiano sotto forma di faldoni cartacei, è necessario un investimento di risorse e una modifica dei regolamenti che limitano l'apertura di connessioni all'interno della stessa amministrazione. In conclusione, le politiche di attrazione degli investimenti diretti esteri devono essere mirate, oltre che ad attività di comunicazione e promozione, all'accoglienza dei cittadini stranieri, attraverso la leva del servizio. Un primo, urgente, passo consiste nel mettere le strutture coinvolte - prefetture, questure, uffici provinciali del lavoro e sedi diplomatiche - nelle condizioni di garantire loro un accesso veloce e sereno. Andrea Villa è dirigente di ITP- Invest in Turin and Piedmont. Tratto da www.lavoce.info 03/07/2007 Per entrare in Europa i cinesi scelgono altri Paesi: il nostro perde occasioni e impoverisce 03/07/2007.


 

Corriere.it  2-7-2007Nove transazioni su dieci avvengono in banconote, in Francia solo 6 La battaglia del denaro di plastica Evasori, pirateria informatica, piccoli negozi frenano l'uso delle carte. E l'ambivalenza delle banche li aiuta . Alessandra Puato

 

Scena uno, la cassa si apre. "Sconto contante?". La cassa si chiude. La negoziante milanese di via Moscova paga alle banche il 2% su ogni incasso con il PagoBancomat, il 3% per CartaSì, il 3,5% per American Express. Al cliente che salda cash può abbassare i prezzi, affare fatto. Scena due, la cassa si apre. "Non accettiamo carte, prelevate al Bancomat". La cassa si chiude. Lo chef Davide Oldani del D'O di Cornaredo chiede solo banconote: "Con quello che risparmio tengo bassi costi e prezzi". L'ha detto il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi il 14 giugno, l'aveva ricordato il viceministro dell'Economia Vincenzo Visco in dicembre. L'Italia è sotto allarme: troppo contante. Siamo il fanalino di coda d'Europa per utilizzo del denaro elettronico. Nove pagamenti su dieci sono cash: il 91,1% contro il 60,6% dei francesi, il 69% degli inglesi, l'82% dei tedeschi. Usiamo le carte di credito e di debito soltanto nel 3% delle transazioni, a Parigi e Londra è il quintuplo (16% e 17%). Per il sistema è un costo: 10 miliardi di euro stima l'Abi, senza contare la pubblica amministrazione; 12-15 miliardi tutto compreso, giudica CartaSì. Sono i soldi spesi per trasportare le banconote, assicurarle, contarle, impacchettarle. È un quinto dei costi di gestione del contante di tutta Europa: 50 miliardi. Ed è un terzo di tutte le transazioni di denaro passate su suolo italiano l'anno scorso: 34,9 miliardi di euro. Qualcosa si muove. La "war on cash", guerra al contante, sta iniziando anche da noi. Mercoledì partirà la campagna delle Poste "Zero contanti, più contenti". Ed entro l'anno "è prevista una campagna di sistema", annuncia Roberto Tittarelli, direttore generale di Mastercard Italia, che riunirà l'Abi, Mastercard, Visa e American Express, "per accelerare l'utilizzo delle carte". Sarà d'aiuto anche la migrazione alla Sepa, l'area europea dei pagamenti che dal 2008 renderà omogenee commissioni e carte in tutta Europa, per la quale le banche italiane spenderanno 1,5 miliardi. Ma perché in Italia circola ancora tanto contante? Eppure l'offerta c'è: "Oltre 50 milioni di carte, quasi un milione di Pos per leggere i Pago- Bancomat, 8 milioni di clienti con conti online", elenca Domenico Santececca dell'Abi. Perché soltanto la metà dei 31,3 milioni di carte di credito sono attive? Perché i Pos sono 925 mila e gli operatori del commercio 1,6 milioni, quasi il doppio? Chi sono i "nemici" della moneta elettronica, i cavalieri del cash? Con sintesi estrema ne abbiamo individuati quattro: 1) l'evasore, il titolare di partita Iva che fa pagare in nero; 2) l'hacker, il pirata informatico che ruba i codici delle carte; 3) il piccolo esercente, che non ha potere contrattuale per ribassare le commissioni delle carte; 4) infine, per paradosso ed estensione, il banchiere, per il doppio ruolo. Da un lato spinge infatti alla diffusione delle carte per abbattere i costi di struttura, dall'altro deve tenere alte le commissioni, essendo le banche socie dei circuiti delle carte di credito: Visa è un'associazione di banche, Mastercard una spa partecipata da banche, lo stesso CartaSì, primo azionista Intesa-Sanpaolo al 36,7%. Questi quattro profili corrispondono ai quattro freni alla diffusione della moneta elettronica nel nostro Paese (oltre alla resistenza socioculturale). Vediamoli. Il primo freno è l'evasione: la carta di credito o il bonifico lasciano tracce. Nel rapporto Istat 2006 (dati al 2004) si dice che l'economia sommersa in Italia copre il 16,6-17,7% del Pil: sono 230-240 miliardi di valore aggiunto non dichiarato, di cui l'80% nei servizi. "L'uso del contante nasconde la criminalità economica ", dicono al ministero dell'Economia e sottolineano i tre provvedimenti presi. Uno è la Finanziaria 2007, che ha limitato a mille euro il pagamento in contanti ai fornitori di servizi (obiettivo 100 euro nel 2009). L'altro è il disegno di legge Bersani che chiede l'obbligo, per la pubblica amministrazione, di accettare i pagamenti elettronici: "Ora sia applicato dal governo", esorta l'Abi. Il terzo è il decreto anti-riciclaggio in arrivo, che vieta il trasferimento di contanti quando il valore dell'operazione supera i 5 mila euro. "Bisogna fare emergere le falle dell'economia sommersa", dice Giorgio Avanzi, direttore generale di CartaSì. Che ha un progetto: convenzionare commercialisti, notai, dentisti, farmacie, agenzie assicurative. "Investiremo alcuni milioni per installare i terminali", dice. Sono in fase pilota: "Abbiamo alcune migliaia di adesioni". Il secondo freno è la sicurezza. L'Abi calcola che il numero delle frodi con carta di credito sia in calo, da 56.507 nel 2004 a 40.600 nel 2006, -28%. E Davide Steffanini, direttore generale di Visa Europe, reputa "in un euro ogni mille il livello fisiologico delle frodi: lo stesso del contante ". Ma molti consumatori sono ancora restii all'uso della carta, soprattutto online."Il cliente venga assicurato contro l'hackeraggio", propone Gustavo Ghidini, presidente onorario del Movimento consumatori. Il terzo freno è la frammentazione del commercio italiano. Tre piccoli esercenti su 10 non accettano le carte. Le commissioni che pagano sono un mistero: nessun dato ufficiale. Sembra siano in calo, quelle medie di Cartasì sarebbero scese dall'1,81% del 2005 all'1,69% oggi. Ma si sa che la grande distribuzione paga molto meno, anche lo 0,2%. Mentre il piccolo esercente arriva al 4% per la carta di credito e al 2% per il PagoBancomat. "È meno del costo di gestione del contante", dice l'Abi. E Isabella Artioli, responsabile monetica in quella Unicredit che ha investito 120 milioni in tre anni per potenziare i servizi "cashless", parla di "contrattazione". Il nodo però sono le commissioni interbancarie (lo 0,8%, dice CartaSì) che la banca di chi paga gira a quella di chi riceve. Dure da abbattere. "Per il Pagobancomat versiamo una quota fissa e una percentuale dice Ernesto Ghidinelli, responsabile credito in Confcommercio . Capiamo che è perché ci sono commissioni a livello interbancario. Il problema è l'entità. In Francia le commissioni ai commercianti sono più basse". "Stiamo cercando un trattamento agevolato per le piccole transazioni ", annuncia Steffanini di Visa. E il quarto freno? L'ambivalenza delle banche, che con una mano danno e con l'altra tolgono? Loro sostengono che "prevale l'interesse alla diffusione della monetica". Sarebbe un bene per tutti. Unicredit ha calcolato che dimezzando le operazioni allo sportello si potrebbe abbassare di 40 euro l'anno il costo del conto corrente


 

INDICE 2-7-2007

 

+ +  Il Giornale di Vicenza 2-7-2007 Sanità. Il ticket si versa in anticipo, altrimenti niente visita specialistica Ulss e liste d'attesa, da oggi chi non ritira il referto paga Sarà addebitata l'intera prestazione se si "dimenticano" gli esami Misure per ridurre le code per le visite: anche i malati che hanno le esenzioni perderanno il loro diritto nel caso non diano disdetta nel tempo utile. I referti vanno ritirati entro 30 giorni altrimenti si incorrerà in una sanzione che può costare anche centinaia di euro (fr. pe.) 2

+ +  Marketpress.info 2-7-2007 PROGETTO UE SVILUPPA DETECTIVE DIGITALE PER SCOVARE TRUFFATORI IN CAMPO SANITARIO  2

+ Il Corriere della Sera 2-7-2007 Il nuovo premier L'illusione del cambiamento. Gordon Brown, a 56 anni, preoccupato di apparire vecchio, ha nominato ministro degli Esteri il quarantunenne, David Miliband  3

+ La Repubblica 2-7-2007 Bonaiuti ipotizza accordo con il Pd Polemica nella Cdl, An chiede chiarimenti  Il portavoce di Berlusconi su Veltroni: "Con lui la musica non è cambiata, o sta con la sinistra estrema o fa una intesa con Fi" Il portavoce di via della Scrofa: "Spieghi su quali contenuti di programma" Ma l'Udc apre: "E' la prova che il bipolarismo attuale è obsoleto" 4

+ Il Corriere della Sera 2-7-2007 I conti della Finanziaria 2008 Nel Dpef spuntano 21 miliardi di nuove spese Mario Sensini 4

La Stampa /7/2007 (7:9) - INTERVISTA  "Non abbiamo capito il Nord". Fassino: «Faremo di più per le medie imprese e il Lombardo-Veneto»ANDREA ROMANO  6

Il Riformista 2-7-2007 Veltroni  Il fattore Uolter e la Costituente socialista  8

Il Corriere della Sera 2-7-2007 Due scelte per Veltroni. Cosa fare su concertazione e bipolarismo di  MARIO MONTI 8

Trentino 2-7-2007 MAURO BONDI "Veltroni non ha nulla di sinistra" 9

La Repubblica 2-7-2007 LE SCELTE DEI PARTITI Costi della politica, arrivano i tagli meno telefonini per i burocrati La proposta del governo. Calano i consiglieri degli enti locali Il ddl sarà presentato venerdì in consiglio dei ministri CARMELO LOPAPA  10

L’espresso numero 26 anno 2007  Catania, il Comune vede rosso«Debiti per 40 milioni. E per correre ai ripari una rischiosa operazione immobiliare. Ora nel mirino di Padoa – Schioppa»  Francesco Bonazzi: 11

Corriere Economia 2-7-2007 Sarà più trasparente ed efficace il socialismo municipale o l'alta finanza milanese? 12

Il Giornale 2-7-2007 Messa in latino, ritorno al futuro  di Maria Giovanna Maglie  14

La Repubblica 2-7-2007IL RETROSCENA Bindi e la candidatura alle primarie. "Chiederò consiglio a Prodi" A Bose il Manifesto Rosy "Cristiani, diversi nel Pd" Stoccata a Ruini: "Una parentesi la Chiesa di questi anni". E su Pezzotta: "Il Family Day un movimento politico? Mi ribello" GIOVANNA CASADIO  15

La Nuova Sardegna 2-7-2007 Al via la liberalizzazione per il mercato domestico Energia, aiuto da Bruxelles nella scelta del fornitore  16

Microonde-oggi.it 1-7-2007« RIFIUTI TECNOLOGICI: ROTTAMAZIONE DA OGGI TOCCA AI PRODUTTORI CASA: DA OGGI SCATTA L’OBBLIGO DI CERTIFICAZIONE EDILIZIA  16

 


 

+ +  Il Giornale di Vicenza 2-7-2007 Sanità. Il ticket si versa in anticipo, altrimenti niente visita specialistica Ulss e liste d'attesa, da oggi chi non ritira il referto paga Sarà addebitata l'intera prestazione se si "dimenticano" gli esami Misure per ridurre le code per le visite: anche i malati che hanno le esenzioni perderanno il loro diritto nel caso non diano disdetta nel tempo utile. I referti vanno ritirati entro 30 giorni altrimenti si incorrerà in una sanzione che può costare anche centinaia di euro (fr. pe.)

 

È la rivoluzione-Ulss targata 2 luglio. Da oggi entra in vigore la delibera della giunta regionale del 13 marzo, quella che si propone di contenere le liste di attesa e che introduce una serie di novità alle quali bisognerà abituarsi pena andare incontro a spiacevoli sorprese. Si paga in anticipo. La prima novità è che d'ora in poi chi è tenuto a pagare il ticket e ha bisogno di una visita specialistica ambulatoriale, prima di ricevere la prestazione dovrà recarsi in cassa. Dovrà cioè recarsi dal medico con lo scontrino dell'effettuato pagamento, altrimenti niente visita. "È finita l'era dei furbi", commenta Gianferruccio Dal Corno dello staff della direzione generale. La seconda regola da osservare perché per gli inadempienti e i distratti potrebbero essere guai a livello di portafoglio, è che se uno prenota la visita o l'esame, e poi decide di non recarsi più in ospedale nel giorno stabilito dal Cup e di non usufruire più della prestazione richiesta, è tenuto a disdettare in tempo. Se non lo fa si vedrà arrivare a casa la nota di addebito della quota dovuta, anche nel caso sia in possesso dell'esenzione. Per annullare la prenotazione basta telefonare al numero verde 800403960 o recarsi agli sportelli del Cup. Solo qualche minuto di attesa alla cornetta o una passeggiata fino al S. Bortolo, ma conviene. "Multe" se salta il ritiro. Ci sarà rigore pure sul ritiro dei risultati delle visite, degli esami diagnostici e di laboratorio. Fino ad oggi molti si dimenticavano, non passavano più, e non pagavano. Ora, è tassativo. Esiti e referti vanno ritirati entro 30 giorni dalla data in cui sono disponibili agli sportelli delle casse. Se non si rispetta la disposizione, sono davvero dolori, perché l'utente, anche se esente a qualsiasi titolo, dovrà pagare il costo della prestazione per intero. E sono centinaia di euro. Altra novità assoluta: entrano in vigore le classi di priorità. In altre parole, sulla ricetta il medico di base, convenzionato o ospedaliero, dovrà apporre, sulla base del sospetto di diagnosi, un codice fisso che darà diritto o meno alla precedenza e che stabilirà l'arco massimo di tempo entro il quale visite o esami dovranno essere fatti. Visite ambulatoriali. Le classi sono 4. La classe "U" comprende le urgenze e obbliga l'ospedale a effettuare la prestazione entro 24 ore da quando arriva la richiesta. La classe "B", che sta per "breve", impone la visita entro 10 giorni. La classe "D", che sta per "differita", riguarda visite non prioritarie rispetto alle precedenti, che andranno effettuate, per la medicina fisica e la riabilitazione, entro 20 giorni dalla richiesta, e per le altre specialità, entro 30 giorni. La classe "P", che sta per "programmata", quella meno urgente di tutte, e contempla quasi sempre i controlli di routine, prevede, invece, le visite, entro 180 giorni. Esami strumentali. Sono quelli che si eseguono in radiologia, neurologia, cardiologia: lastre, ecografie, endoscopie. Anche qui le classi di precedenza sono 4. Entrano in gioco le urgenze effettive e deve essere il medico prescrittore a determinarle e certificarle. La classe "U" obbliga a effettuare l'esame entro 24 ore dalla presentazione della richiesta, la classe "B" entro 10 giorni, la classe "O" (ordinaria) entro 60, e la classe "P" entro 180. Per prenotare basta chiamare il Cup al numero verde 800403960 da lunedì a venerdì dalle 8 alle 16. Visite ambulatoriali e esami si possono eseguire al San Bortolo, negli ospedali di Noventa e di Sandrigo, al Poliambulatorio 1 di S. Lucia a Vicenza, nei distretti di Creazzo e di Dueville. Naturalmente, resta immutato il ticket da pagare a meno che non si sia esenti per la patologia, l'età o il reddito, e non cambiano neppure le regole per le visite e prestazioni a pagamento in regime di libera professione che i medici ospedalieri sono autorizzati ad effettuare fuori dell'orario di servizio, rilasciando una ricevuta. Di questi appuntamenti, extra servizio sanitario nazionale, si occupa un ufficio allo sportello del Poliambulatorio del S. Bortolo al primo piano del chiostro da lunedì a venerdì, dalle 16 alle 19, telefono 0444-752477.


 

+ +  Marketpress.info 2-7-2007 PROGETTO UE SVILUPPA DETECTIVE DIGITALE PER SCOVARE TRUFFATORI IN CAMPO SANITARIO

 

Bruxelles, 2 luglio 2007 - La frode sanitaria in Europa ha raggiunto un costo stimato impressionante di 30 Mrd Eur l'anno, e di conseguenza un progetto finanziato dall'Ue sta sviluppando un detective digitale per investigare sulle truffe sanitarie. Il progetto iWebcare, avviato nel gennaio 2006, è un'iniziativa del valore di 2,3 Mio Eur per la progettazione di una risposta informatica alla sfida degli imbrogli sanitari. Secondo il Counter Fraud Service (Cfs) del sistema sanitario britannico, il problema è enorme. La frode rappresenta quasi il 3% della spesa sanitaria pubblica nel Regno Unito, e dal 3% al 10% della spesa annuale, sia privata che pubblica, degli Usa. Poiché si stima che la frode sanitaria in Europa raggiunga i 30 Mrd Eur e i costi della sanità siano destinati ad aumentare a causa dell'invecchiamento della popolazione europea, l'incidenza della frode potrebbe raggiungere i livelli statunitensi. La lotta alle frodi è pertanto assurta a priorità per l'Europa, in quanto il denaro perso potrebbe essere speso in maniera più proficua per fornire maggiori servizi sanitari a coloro che ne necessitano. In base all'esperienza britannica, l'istituzione del Cfs ha fatto diminuire del 45% le perdite causate da frodi. Il progetto iWebcare spera di esercitare un impatto ancora più incisivo sulla frode sanitaria in Europa. Mentre i metodi attuali di intercettazione si affidano all'esperienza relativamente inefficace dei detective umani nell'ambito delle frodi che si avvalgono di strumenti informatici di estrazione di dati, il progetto iWebcare svilupperà una piattaforma web con strumenti avanzati di tecnologie dell'informazione e della comunicazione (Tic), in grado di individuare fino al 90% delle frodi. I partner del progetto sono impegnati nello sviluppo di una serie di elementi per la creazione di programmi software intelligenti per estrarre o analizzare i dati sulle operazioni sanitarie. Tale compito immane comporta la creazione di metadati, ossia informazioni significative per i computer, al fine di individuare una varietà di dati quali nomi, indirizzi, farmaci e procedure. I ricercatori stanno elaborando algoritmi speciali che consentano al sistema di apprendere dalle esperienze passate. In un primo momento sarà necessario l'intervento dei detective umani per "insegnare" all'applicazione a riconoscere modalità che meritano un esame più attento. Col passare del tempo e grazie al perfezionamento dell'applicazione, quest'ultima sarà in grado di individuare modalità che segnalano possibili frodi. L'équipe del progetto sta attualmente sviluppando il primo prototipo operativo, che verrà utilizzato in due Stati membri (Regno Unito e Grecia) in condizioni di vita reale ai fini del collaudo. A quel punto, i truffatori di tutta Europa inizieranno a temere le ripercussioni del detective digitale. Per ulteriori informazioni consultare: http://iwebcare. Iisa-innov. Com/


 

+ Il Corriere della Sera 2-7-2007 Il nuovo premier L'illusione del cambiamento. Gordon Brown, a 56 anni, preoccupato di apparire vecchio, ha nominato ministro degli Esteri il quarantunenne, David Miliband

 

 

Che cosa vogliamo dai nostri leader politici? Saggezza, esperienza, fermezza anche nelle difficoltà, lucidità di pensiero: queste erano le qualità che una volta la maggior parte degli elettori europei sembrava privilegiare, o almeno era quel che i partiti politici offrivano loro. Ora assistiamo a un culto della politica per la giovane età dei leader. Il nuovo primo ministro britannico, Gordon Brown, a 56 anni sembra preoccupato di apparire troppo vecchio. Ha perciò nominato ministro degli Esteri un quarantunenne, David Miliband.

David Miliband non ha alcuna esperienza di affari internazionali, ma ha, provvidamente, la stessa età dell' uomo che preoccupa Brown: il leader del principale partito di opposizione, David Cameron. Quest'anno due primi ministri europei hanno lasciato dopo essere rimasti al loro posto forse più di quanto si sarebbe voluto: Guy Verhofstadt in Belgio, che aveva 46 anni quando entrò in carica nel 1999, e Tony Blair, anche lui quarantaseienne quando divenne primo ministro britannico, nel 1997. Il ministro delle Finanze austriaco, Karl-Heinz Grasser, che ha lasciato il mandato dopo 7 anni, ora può passare per un veterano, anche se trentottenne. In America il candidato presidenziale favorito tra gli intellettuali, anche se non ancora tra gli elettori, è Barack Obama, che ha 46 anni e solo due di esperienza da senatore. In politica la definizione di «giovane » è però relativa, non assoluta.

Se nel 2008 Obama fosse eletto, sarebbe più vecchio di un anno di quanto fosse Bill Clinton quando divenne presidente nel 1992. Ma per lui il termine di paragone è Hillary Clinton, la candidata favorita per i Democratici, che nel 2008 avrà 61 anni. La stessa cosa vale per Walter Veltroni: a 52 anni non è un «giovane» leader di partito e potenziale futuro premier se pensiamo a Tony Blair, che assunse la guida del suo partito a 43 anni, ma lo è a fronte di Romano Prodi, che ha 68 anni, e di Silvio Berlusconi, che ne ha 70. Come dovremmo allora vedere la questione, noi elettori? L'età è veramente un buon metro? Venendo meno alla saggia regola per la quale chi scrive non dovrebbe mai parlare di se stesso, devo dichiarare un conflitto di interessi: sono diventato direttore dell' Economist nel 1993, a 36 anni. Mi è quindi difficile sostenere che la giovane età abbia risvolti negativi. Se penso a quel periodo, rabbrividisco al ricordo degli errori che ho commesso nel primo anno di lavoro. La gioventù potrà portare freschezza ed energia, ma porta anche inesperienza e mancanza di maturità. Tornando alla politica, tutti ricordiamo John Kennedy, il più giovane presidente che l'America abbia avuto, eletto nel 1960, a 43 anni: immagine di speranza, di cambiamento, di vitalità. Tendiamo però a dimenticare una delle sue prime mosse: il fallito tentativo di invadere Cuba alla Baia dei Porci. Una qualità migliore che gli elettori possono considerare è la freschezza, che porta con sé indipendenza e apertura mentale. Il vero problema dei leader politici di sessanta o settant'anni non è tanto l'età, quanto il fatto che probabilmente sono stati in politica e nei governi così a lungo da non avere più la voglia o la capacità di contemplare cambiamenti.

Poche persone sono in grado di distruggere le strutture che hanno contribuito a costruire. Ci vogliono dei nuovi venuti, degli outsider, per farlo. Gordon Brown ha solo quattro anni più del nuovo presidente francese, Nicolas Sarkozy, che ne ha 52, ma è difficile per gli elettori britannici credergli quando asserisce di volere un cambiamento. Nel primo breve discorso da premier ha usato la parola «cambiamento» otto volte. Ma negli ultimi dieci anni ha svolto un ruolo centrale per il governo laburista. I propositi di «rottura» fatti da Sarkozy erano credibili, quelli di Brown non lo sono. E Veltroni? Sappiamo dal suo libro che vorrebbe essere considerato dagli elettori italiani come colui che porterà «La scoperta dell'alba». Sappiamo che ammira Bob Kennedy, il fratello di John, che aveva energia, coraggio e immaginazione. Sappiamo che è molto più giovane degli attuali leader italiani. Ora dobbiamo scoprire se veramente vuole portare dei cambiamenti. La giovane età non è tutto. Traduzione di Maria Sepa

Bill Emmott

02 luglio 2007


 

+ La Repubblica 2-7-2007 Bonaiuti ipotizza accordo con il Pd Polemica nella Cdl, An chiede chiarimenti  Il portavoce di Berlusconi su Veltroni: "Con lui la musica non è cambiata, o sta con la sinistra estrema o fa una intesa con Fi" Il portavoce di via della Scrofa: "Spieghi su quali contenuti di programma" Ma l'Udc apre: "E' la prova che il bipolarismo attuale è obsoleto"

 

ROMA - Il portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti, ipotizza un accordo tra Forza Italia e il Pd. E nella Cdl è polemica. Per Bonaiuti, nella scelta di Veltroni come futuro leader, il ragionamento dei vertici della Quercia sarebbe stato: ''Noi siamo disperati, e per questo prendiamo Veltroni. Ma la verità è che o c'è un accordo tra Forza Italia e Partito democratico, o il Pd deve allearsi con la sinistra estrema".

Sono parole che fanno saltare sulla sedia i vertici di An. Che attraverso il portavoce ufficiale del partito, Andrea Ronchi, chiedono polemicamente allo stesso Bonaiuti "su quali contenuti programmatici dovrebbe basarsi l'accordo".

L'esatto contrario di quanto invece dichiara il deputato Udc Maurizio Ronconi. "Se anche autorevoli esponenti di Forza Italia - spiega - non escludono a priori un possibile accordo con il Partito democratico, libero dalla alleanza con la sinistra radicale, si ha il segno di quanto l'attuale bipolarismo venga considerato obsoleto anche da chi dovrebbe difenderlo d'ufficio".
Per Ronconi "questa è la prova che la discesa in campo di Veltroni non può essere considerata solo tattica e che il centro destra deve affrontare la questione con grande attenzione rifuggendo da stucchevoli slogan".

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+ Il Corriere della Sera 2-7-2007 I conti della Finanziaria 2008 Nel Dpef spuntano 21 miliardi di nuove spese Mario Sensini

 

In aumento gli stipendi del pubblico impiego. Tra gli impegni sottoscritti anche 750 milioni per il fondo anti-Aids

 

ROMA — Due miliardi e 354 milioni per gli stipendi del pubblico impiego, un miliardo in più per gli ammortizzatori sociali, 750 milioni per gli impegni internazionali. Poi 4 miliardi per le Ferrovie, uno per l'Anas, 1,2 per le agevolazioni fiscali. E infine le nuove iniziative, compresi gli sgravi per gli affitti e per l'Ici sulla casa, altri 10 miliardi di euro. E se questi ultimi sono «a titolo meramente indicativo», gli altri sono praticamente già accertati: 11 miliardi di maggiori spese (senza contare il prossimo rinnovo degli statali) che pesano sui conti del 2008 ma che non sono ancora conteggiati in bilancio. E che potrebbero proiettare la Finanziaria 2008 da "quota zero", l'ipotesi fin qui accarezzata con qualche prudenza dal governo, fino alla stratosferica cifra di 21 miliardi. Spingendo al calor bianco un confronto già accesissimo nella maggioranza sul costo dell'abbattimento dello scalone previdenziale, che per il 2008 vale appena 600 milioni di euro. Il bilancio «a legislazione vigente» al quale si rifà l'esecutivo non richiederebbe manovre correttive per portare il deficit del 2008 al nuovo obiettivo del 2,5%. Solo che in quel bilancio, come spiega il Tesoro nel Documento di Programmazione appena diffuso, molte spese già maturate non ci sono perché ne manca il presupposto giuridico: c'è l'accordo politico, non la legge. Anche se non c'è il minimo dubbio che la stragrande maggioranza, se non proprio tutte tutte, siano spese da onorare. Sicuramente lo sono quelle relative agli «impegni sottoscritti», la prima categoria individuata dal Tesoro in una tabella inserita nel Dpef con il pudico titolo: Tassonomia delle spese eventuali.

SPESE IRRINUNCIABILI —
Si comincia con gli aumenti degli stipendi del pubblico impiego, scuola compresa, già concordati con i sindacati: 2.354 milioni di euro per il 2008, 561 per il 2009 e il 2010. Poi i nuovi ammortizzatori sociali: ancora un miliardo, oltre al miliardo e mezzo già impegnato con il decreto dei giorni scorsi. E tra gli impegni «sottoscritti» ci sono pure quelli internazionali, 750 milioni tra il fondo Anti-Aids, i finanziamenti alla Banca Mondiale e la cooperazione allo sviluppo. La seconda categoria delle spese che minacciano i conti del 2008, è quella delle «prassi consolidate». Spese comunque certe ma che, sia pure con pochi margini di manovra, devono essere quantificate con esattezza nella sessione di bilancio. I contratti di servizio con le imprese pubbliche, i fondi per le infrastrutture e, ancora, i rinnovi contrattuali dei pubblici per il biennio che scatta dal 2008, ma il cui costo non è stato ancora quantificato dal Tesoro (e quindi non figura affatto nella tabellina). Tra Ferrovie, Anas, Poste, Enav, la proroga di agevolazioni fiscali (1,2 miliardi di euro l'anno), la stima degli impegni per le prassi consolidate ammonta in tutto a 7,1 miliardi di euro per il 2008 e 7,6 per il 2009 e 2010.
La seconda categoria delle spese che minacciano i conti del 2008, è quella delle «prassi consolidate». Spese comunque certe ma che, sia pure con pochi margini di manovra, devono essere quantificate con esattezza nella sessione di bilancio. I contratti di servizio con le imprese pubbliche, i fondi per le infrastrutture e, ancora, i rinnovi contrattuali dei pubblici per il biennio che scatta dal 2008, ma il cui costo non è stato ancora quantificato dal Tesoro (e quindi non figura affatto nella tabellina). Tra Ferrovie, Anas, Poste, Enav, la proroga di agevolazioni fiscali (1,2 miliardi di euro l'anno), la stima degli impegni per le prassi consolidate ammonta in tutto a 7,1 miliardi di euro per il 2008 e 7,6 per il 2009 e 2010.

DISCREZIONALITÀ POLITICA — L'ultima voce riguarda le spese per «nuove iniziative». Del tutto discrezionali sulla carta, ma in realtà oggetto di accordi politici e dunque blindate, come gli sgravi per l'Ici e quelli sugli affitti che dovrebbero scattare dal prossimo anno. In questa voce che vale «a titolo puramente indicativo» 10 miliardi di euro, rientrano anche alcune misure già attuate con il decreto di giovedì scorso ma solo sul 2007, quindi «una tantum». Interventi che «necessiteranno di adeguata copertura — spiega infatti il Tesoro nel Dpef — nel caso gli si voglia dar seguito per gli anni a venire ». Il quadro è completo: nel 2008 le maggiori spese rischiano di arrivare a 21,264 miliardi di euro, nel 2009 e nel 2010 a 19,371 miliardi. Una somma che dovrà essere coperta interamente da altrettanti tagli al resto della spesa pubblica. «Il governo è impegnato prioritariamente a contenere e gradualmente ridurre la pressione fiscale. Di conseguenza — avverte il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa nel Dpef — la ricerca delle risorse per finanziare tutti gli interventi della prima categoria già quantificati, quelli della seconda la cui quantificazione è ancora oggetto di approfondimenti e alcuni di quelli della terza, deve avvenire all'interno della componente della spesa primaria». La speranza è che la spending review, cioè la revisione di tutti i capitoli della spesa pubblica, crei i margini di manovra necessari. Altrimenti bisognerà rinunciare a qualche intervento. Oppure mettere nuove tasse. La Finanziaria "zero" del 2008, comunque sia, è già un sogno infranto. E non andrà meglio negli anni successivi. Nel 2009 il Dpef già mette in cantiere una manovra correttiva di 6 miliardi di euro, nel 2010 un'altra da 11 miliardi e per il 2011 un'ultima Finanziaria di legislatura da ben 21 miliardi di euro, 1,4 punti di pil. Sempreché tra impegni sottoscritti, prassi consolidate e nuove iniziative, non salti fuori qualche altra sorpresa.
Mario Sensini


 

La Stampa /7/2007 (7:9) - INTERVISTA  "Non abbiamo capito il Nord". Fassino: «Faremo di più per le medie imprese e il Lombardo-Veneto»ANDREA ROMANO

 

Qualche giorno fa stavo passeggiando sotto i portici di piazza San Marco. Ogni tanto mi affacciavo a curiosare dentro qualche portone. Erano tutti perfettamente puliti, tranne uno: squallido, deprimente e pieno di cartacce. Era l’ingresso di un ufficio dell’amministrazione pubblica statale. L’ho trovata una perfetta rappresentazione dell’immagine umiliante che talvolta lo Stato italiano riesce a dare di se stesso alla società del Nord». In partenza per Pechino, con la prima delegazione ufficiale del Pse (Partito socialista europeo) in visita in Cina, Piero Fassino inizia dalla questione settentrionale per una riflessione sullo stato di salute del centrosinistra.

Pochi giorni fa, Veltroni che lancia da Torino la sua candidatura. Mercoledì prossimo, lo stato maggiore della politica italiana che torna sotto la Mole per il lancio della nuova 500. Esiste una «ricetta Torino» che il centrosinistra vuole prendere a modello per l’intero Nord Italia?
«Più che un modello, Torino è la metafora del cambiamento che l’Italia ha conosciuto in questi anni. La città è riuscita a superare un durissimo ventennio di crisi, dopo essere stata per quasi un secolo la perfetta factory-town. Ha fatto i conti con la fine della centralità assoluta della Fiat, con il venir meno delle certezze legate a quel modello di produzione e socializzazione, ha sofferto il prezzo della delocalizzazione e della crisi dell’indotto. Ma nel pieno di una crisi così difficile ha saputo trovare la via della trasformazione virtuosa».

Ma cosa c’entra, questo, con il centrosinistra?
«C’entra eccome, perché Torino è riuscita a passare nel nuovo secolo senza rinnegare la propria antica identità industriale anche grazie a uomini come Castellani e Chiamparino. Questo è esattamente quanto sta facendo la sinistra italiana dando vita al Partito democratico, come ha voluto sottolineare anche Veltroni: misurarsi con il tempo nuovo senza rinnegare la propria storia».

Tuttavia il caso Torino è diverso dal resto del Nord Italia, dove il centrosinistra registra una pesante sofferenza di consensi.
«Innanzitutto va sfatata l’immagine secondo cui il centrosinistra non riesce a rappresentare il Nord. In realtà, noi governiamo sei regioni su otto e la gran parte dei principali capoluoghi, da Torino a Genova a Venezia. Ma esiste certamente un problema con il Lombardo-Veneto, dove non abbiamo colto fino in fondo i valori dell’innovazione, del saper fare e dell’intraprendere che sono tanto diffusi nell’area. Non ci siamo riusciti perché non abbiamo riconosciuto fino in fondo la dignità del nuovo capitalismo molecolare che anche qui è riuscito a rinnovarsi. Per troppo tempo abbiamo guardato con sufficienza all’esplosione di piccole e medie imprese che nel Nord Est sono riuscite a riprendere la strada dell’export e della competitività, come se si trattasse di un fenomeno effimero».

E’ solo un problema di analisi socio-economica o anche di risposte politiche sbagliate?
«Non avere riconosciuto la novità del fenomeno ci ha impedito di far capire il senso di scelte politiche anche giuste. Verso le categorie degli artigiani e dei commercianti, ad esempio, è prevalsa una rappresentazione punitiva delle nostre politiche fiscali dominata dalla figura dell’evasore. Perché non è che scarseggino gli evasori, com’è ovvio, ma è mancato da parte nostra il riconoscimento dell’enorme fatica professionale che ogni giorno viene compiuta da quei settori produttivi. Analogamente dobbiamo fare di più su alcuni nodi programmatici concreti. Sulle infrastrutture, lo sblocco della Tav è stato un passo simbolico fondamentale per cominciare a rispondere all’enorme problema della saturazione del Nord. Sul fisco, dobbiamo andare oltre la percezione persecutoria delle nostre politiche di tassazione. Sulla pubblica amministrazione, tanto per fare un esempio, è del tutto evidente che a Varese sia impresentabile l’immagine di uno Stato che a Napoli tollera l’accumulo di montagne di immondizia. E infine sulla sicurezza, dove proprio il più alto livello di legalità che si registra al Nord rende più sensibile la percezione dei rischi di illegalità. Sono questi i temi che devono essere rimessi al centro della nostra politica. E deve farlo innanzitutto il Partito democratico».

Fatto sta che in un solo anno i consensi al governo Prodi si sono dimezzati, attestandosi oggi poco sopra il 25 per cento.
«Io sono convinto che il trend del consenso possa essere rovesciato, con misure come il nuovo contratto sul pubblico impiego, lo sblocco della Tav, l’aumento delle pensioni più basse, la riforma degli ammortizzatori sociali e il federalismo fiscale. D’altra parte è da molto tempo che sostengo l’esigenza di accompagnare l’adozione di scelte doverose ma pesanti, come quelle che abbiamo fatto l’anno scorso con una finanziaria di risanamento, all’apertura di una fase di innovazione e cambiamento necessaria a dare ossigeno al Paese».

Quindi, da oggi in poi tutto dovrebbe aggiustarsi?
«Penso che la legislatura possa durare fino al 2011, a patto di governare con la determinazione di queste ultime settimane, anche se non mi nascondo la nostra fragilità al Senato. Ma dobbiamo lasciar tempo e spazio anche a nuovi processi politici: la decisione dell’Udc di distanziarsi da Forza Italia e da An può essere l’inizio di un percorso. Analogamente, possiamo verificare con la Lega la possibilità di intese su fisco e autonomie. Non si tratta di ipotizzare nuove coalizioni, ma di costruire direttamente in Parlamento convergenze con forze che non fanno ancora parte della maggioranza, ma che non accettano più di essere un’opposizione pregiudiziale».

Lei ha detto che il sindaco di Roma è stato scelto non perché più bravo di altri ma «perché non ha le nostre ferite». Ma quali sono le ferite di Fassino? Cosa le ha impedito di candidarsi alla guida del Partito democratico?
«È innegabile che in questi anni io, D’Alema e altri dirigenti abbiamo combattuto un’aspra battaglia di prima linea, sia contro il centrodestra, sia nella maggioranza, confrontandoci con la sinistra radicale. Per il fatto di essere rimasto un passo indietro, impegnato a governare Roma, Walter risulta meno logorato di noi e quindi più accattivante, sia per l’elettorato del centrodestra che per quello della sinistra radicale. È un dato di fatto, anche se il mio profilo di riformista non è certo meno innovatore e moderno di quello di Veltroni».

In vista delle primarie per il Pd, alcuni esponenti Ds, come D’Alema, sembrano osteggiare la sua proposta di un’unica lista unitaria dei riformisti a sostegno di Veltroni.
«Io penso a una pluralità di liste regionali che siano rappresentative di diverse realtà territoriali, ma che uniscano i riformisti di tutte le aree politiche. Quello che non trovo convincente è la nascita di liste contrapposte, ispirate unicamente al desiderio di visibilità di questo o quell’esponente di partito o all’intenzione di misurare la forza di correnti o cordate personali».

E in questo percorso non vede alcuno spazio per un ritorno nel Pd di coloro che hanno lasciato i Ds?
«Non solo vedo questo spazio, ma auspico la possibilità che tornino tutti coloro che se ne sono andati sulla base di un pregiudizio. Non capisco perché, quando a Firenze io lavoravo per il Pd, stavo liquidando la sinistra, mentre oggi per Mussi e Caldarola va bene Veltroni che sostiene la stessa prospettiva da molti anni. La verità è che Mussi e altri non hanno mai digerito di essere stati sconfitti a Pesaro, hanno tenuto in piedi un’opposizione interna senza contenuti e alla fine hanno voluto compiere uno strappo pregiudiziale. Tornino pure tutti quelli che vogliono tornare, ma ammettano di essersi sbagliati su di me».

E cosa risponde a Macaluso che l’accusa di non aver compreso che Togliatti tacque di fronte a Stalin per salvare il Pci?
«Rispondo che non mi sfugge la grandezza di Togliatti come costruttore della Repubblica italiana, anche se questo non assolve i dirigenti del Pci dalla passività che ebbero di fronte allo stalinismo. E, in ogni caso, vorrei anche ricordargli che Stalin è morto nel 1953, il ventesimo congresso del Pcus è del 1956 ma, in questo mezzo secolo, a nessun esponente della generazione di Macaluso è venuto in mente di compiere un semplice atto di riparazione alla memoria dei tanti antifascisti e comunisti italiani trucidati dal terrore staliniano».

www.lastampa.it/romano

 


 

Il Riformista 2-7-2007 Veltroni  Il fattore Uolter e la Costituente socialista

Parlate adesso oppure tacete per sempre. Così, scherzando ma non troppo, ci era capitato di rivolgerci, qualche mese fa, ai socialisti di tutte le specie. Nella speranza che infine si liberassero dalle infinite diatribe della diaspora. E ci facessero sapere se a loro giudizio il riformismo socialista poteva avere un ruolo nel costituendo Partito democratico o se, al contrario, proprio il terremoto che la nascita del Pd apriva nel centrosinistra e nella sinistra restituiva attualità non a una impensabile resurrezione del Psi ma a una ricomposizione politica, in tempi brevi, del socialismo italiano: di chi socialista lo è sempre stato e di chi al socialismo democratico e liberale è approdato facendo i conti con la propria storia. Certo non è stato soltanto, né soprattutto per via del nostro appello. Ma non c’è dubbio che, in questi mesi, molte cose si sono rimesse in movimento. Sino a far assumere alla questione socialista, seppure tra mille incertezze e ambiguità, quel rilievo che sembrava avere definitivamente perduto. E a porre all’ordine del giorno il tema della Costituente. Che è, o dovrebbe essere, qualcosa di più e di diverso dalla pur comprensibile aspirazione a rimettere assieme quel che resta dei cocci di un partito schiantato dalla tempesta dei primi anni Novanta.
Così stanno le cose. O meglio: così stavano le cose fino a qualche giorno fa, alla candidatura di Walter Veltroni alla guida del Partito democratico prima, al discorso di investitura del candidato poi. Da questo momento, la situazione si è un po’ complicata. Ed è naturale, anzi, è bene che sia così, perché con Veltroni in campo le cose cambiano, e in politica, se non ci si vuole condannare da soli all’irrilevanza, quando le cose cambiano bisogna tenerne conto. I principali fatti nuovi ci sembrano due. Il primo è che, risolvendosi con Dio sa quante sofferenze a chiamare sin d’ora Veltroni alla leadership del Pd, le oligarchie e gli apparati che sin qui avevano cercato di tenere sotto controllo, con i bei risultati che si sono visti, l’intera operazione hanno di fatto riconosciuto la loro sconfitta: sarebbe bene che di candidati ce ne fossero anche altri, ma chi crede che questo sia il problema dei problemi guarda il dito invece di guardare la luna. Il secondo è che già nel suo primo discorso da candidato leader (e da futuro candidato premier) Veltroni ha dato qualcosa di più dell’impressione di volersi muovere in autonomia, cercando di sostanziare il suo tante volte proclamato riformismo radicale non solo di più o meno felici immagini retoriche ma anche di indicazioni programmatiche (dal fisco alla sicurezza, dal nuovo patto tra le generazioni alle riforme costituzionali necessarie per uscire dalle paludi mefitiche della Seconda Repubblica) che, le si condividano o meno, risultano in ogni caso innovative rispetto al programma dell’Unione e, soprattutto, alla pratica politica di questo governo e di questa maggioranza.
Tutto questo non significa affatto che i socialisti debbano applaudire Veltroni, chiudere la loro Costituente prima ancora di averla varata, mettersi disciplinatamente in fila per lucrare qualche posto e trovarsi il loro spaziuccio nel Partito democratico: i motivi di diversità e di divisione restano, a cominciare dalla collocazione internazionale del Pd, visto che del socialismo europeo, in ultima analisi, a Veltroni sembra importare ancor meno che a Massimo D’Alema o a Piero Fassino. Semplicemente, non si può far finta che tutto sia rimasto come prima, o sia addirittura peggiorato per via dell’oggettivo, ulteriore indebolimento di Romano Prodi. Il terreno per un confronto serio, pubblico, dall’esito non scontato, fino a ieri era inesistente. A noi sembra che adesso, almeno potenzialmente, ci sia, e pure che sia nell’interesse dei socialisti, così come di tutta la sinistra di governo, aprirlo e presidiarlo non solo con la loro storia riformista, ma con le loro idee e le loro proposte riformiste di oggi. In ogni caso, ci piacerebbe che di questo politicamente discutessero. Magari proprio qui, sul Riformista. Come sempre.


 

Il Corriere della Sera 2-7-2007 Due scelte per Veltroni. Cosa fare su concertazione e bipolarismo di  MARIO MONTI

 

 

La candidatura di Walter Veltroni alla guida del Partito democratico ha suscitato grande interesse. Lo stile è stato apprezzato. Gli obiettivi politici, indicati con chiarezza, sono stati ampiamente condivisi. In questa candidatura, molti vedono una carica di innovazione capace di dare impulso e forse maggiore serenità alla politica italiana, non solo al centrosinistra. Sul Corriere del 25 giugno, Angelo Panebianco chiedeva a Veltroni alcuni «pronunciamenti netti sulle cose che contano», tali da «dare una vera identità riformista al Partito democratico » e da porre il candidato sulla strada della «leadership democratica», non della «leadership ulivista ». Nel discorso di Torino, Veltroni sembra aver accolto l'invito. Dallo sviluppo delle infrastrutture alla lotta alle rendite, gli obiettivi chiave per un’Italia più competitiva ed equa sono stati indicati con forza.

Ma il Partito democratico — guidato da Veltroni, come è probabile, o da un altro leader — e il governo del quale il Pd vuol essere la colonna portante riusciranno a realizzare quegli obiettivi? Con quale metodo di governo sarà possibile conseguire risultati migliori di quelli finora ottenuti, con tanto impegno e affanno, dal governo Prodi? Su questo tema cruciale, il sindaco di Roma per ora non si è espresso. Sarebbe utile che lo facesse. Così, il dibattito all'interno del Partito democratico e poi l'elezione del leader sarebbero pienamente consapevoli. E l'intero Paese sarebbe stimolato a riflettere su una questione che ci riguarda tutti: perché i governi di questi anni non sono riusciti, quanto avrebbero voluto, a dare all'Italia più dinamismo, competitività ed equità? Due punti sono rilevanti, soprattutto alla luce dell'esperienza del governo Prodi: il ruolo della concertazione e l'interpretazione del bipolarismo.

Concertazione. Oggi vi è un'asimmetria tra le rappresentanze di interessi. Alle organizzazioni sindacali e imprenditoriali viene assegnato un potere di gradimento, se non di veto, sulle politiche economiche e sociali. Altre categorie, come quelle professionali, sono state trattate con decreti legge. Gli interessi più meritevoli, come quelli dei giovani o degli anziani non autosufficienti, semplicemente non trovano rappresentanza, perché non costituiscono corporazioni. Veltroni manterrebbe questa asimmetria?O la eliminerebbe, prevedendo che ogni provvedimento sia preceduto da una consultazione pubblica aperta a tutti, ma non sia contrattato con nessuno? La questione è importante sul piano della parità di trattamento: mantenere o eliminare i residui ancora presenti di una visione secondo la quale la sovranità risiede in fabbrica, non nei cittadini? Ed è importante per l'efficacia delle politiche: si vedano i casi recenti di esercizio di un potere di interdizione su pensioni e pubblico impiego.

Bipolarismo. L'interpretazione «frontale» del bipolarismo ha portato a non cercare neppure un circoscritto consenso bipartisan per portare a buon fine alcune riforme strutturali intese a ridurre le rendite delle corporazioni. Propositi lodevoli in tema di liberalizzazioni hanno avuto risultati pratici modesti. L'opposizione, dimenticando che a volte pretende di essere «liberale», ha cavalcato in Parlamento ogni resistenza corporativa. Per imitazione il fervore di parlamentari della maggioranza si è attenuato. Veltroni riterrebbe opportuno, pur in uno schema di bipolarismo, ricercare un limitato consenso con l'opposizione su poche riforme essenziali? Quel senso bipartisan di responsabilità che emerge a volte a sostegno di missioni internazionali dell'Italia, non dovrebbe essere applicato anche ad alcuni teatri nei quali la guerriglia delle corporazioni minaccia il futuro, se non la vita, dei giovani italiani?

02 luglio 2007


 

Trentino 2-7-2007 MAURO BONDI "Veltroni non ha nulla di sinistra"

 

TRENTO. La visita della ministra Giovanna Melandri a Trento non è piaciuta a tutti. Mauro Bondi, esponente storico dei Ds, ad esempio non ha apprezzato molto il fervore espresso dalla ministra nei confronti del nascituro partito democratico. Bondi, da tempo ormai anima dissidente dei Ds trentini, ha preso in prestito l'espressione già usata dal ministro dell'università e della ricerca scientifica Fabio Mussi al congresso di Firenze della Quercia per dire che lui non ci stava: "Io mi fermo qui". Una frase che dà l'idea di un cammino comune che si interrompe. Bondi lo aveva detto da tempo che il partito democratico non gli andava a genio. La scesa in campo di Walter Veltroni quale futuro leader non ha fatto altro che rafforzare questo suo intendimento: "Per me il partito democratico è qualcosa di molto diverso dal socialismo europeo nel quale sono cresciuto e nel quale mi riconosco ancora. Quindi il mio percorso politico finisce qui. Spero che, con il passare del tempo, il partito democratico sia più socialista e meno democristiano". Bondi ce l'ha anche con il segretario in pectore, quel Walter Veltroni che in questi giorni viene osannato da tutti: "Veltroni è funzionale a questo percorso. Non ci vedo le caratteristiche del socialismo europeo. Lui non è né carne né pesce. Racchiude dentro di sé un po' di tutto. Rappresenta tutto, tranne che la storia della sinistra italiana. Va bene un po' per tutte le stagioni". L'amareggiato Bondi, ex segretario dei Ds trentini, ne ha anche per la ministra che è salita a Trento per fare pubblicità al partito democratico e per auspicare all'interno della futura formazione politica una maggiore presenza di giovani e di donne: "Anche la Melandri è perfetta per il partito democratico. E' funzionale a questo percorso in cui i principi del socialismo non ci sono o sono molto, ma molto annacquati. Va benissimo, ma io mi riconosco in altre strade. Forse l'unico per il quale potrei votare sarebbe Pierluigi Bersani. E' l'unico che ha delle prospettive concrete e serie rispetto al vogliamoci bene che viene sbandierato da Veltroni". Insomma, Bondi, non chiede nessun posto nel partito democratico: "Magari in futuro migliorerà. Forse potremmo anche incontrarci, ma per il momento, mi sembra che sia qualcosa di molto diverso dalla mia storia".

 


 

La Repubblica 2-7-2007 LE SCELTE DEI PARTITI Costi della politica, arrivano i tagli meno telefonini per i burocrati La proposta del governo. Calano i consiglieri degli enti locali Il ddl sarà presentato venerdì in consiglio dei ministri CARMELO LOPAPA

 

ROMA - La stretta in arrivo interesserà tutti. Consiglieri regionali, comunali e provinciali e componenti a gettone degli enti pubblici, chi amministra le circoscrizioni e i dirigenti della burocrazia. Ma a far discutere sarà forse la novità dell'ultimora introdotta nel disegno di legge messo a punto dal ministro Giulio Santagata per ridurre i costi della politica e pronto per l'approvazione nel consiglio dei ministri di questa settimana. Ovvero il giro di vite sui telefonini. Da una ricognizione condotta dal ministero della Funzione pubblica è stato facile scoprire quel che tutti sapevano: sono migliaia in dotazione ai manager ma anche ai semplici dirigenti della burocrazia. E allora, ecco in arrivo un taglio nella dotazione, ma anche un controllo senza precedenti sull'uso che se ne fa. Le amministrazioni statali e locali dovranno dotarsi di piani triennali di riduzione dei costi che comporterà, tra l'altro, l'assegnazione dei telefoni di servizio solo al personale che dovrà garantire una reperibilità permanente. Ma il provvedimento del governo dispone che venga motivata l'assegnazione di questo strumento di lavoro e che venga effettivamente usato solo a scopi di servizio. Così, gli uffici saranno autorizzati a effettuare verifiche a campione sull'utilizzo. Come? Semplice: accedendo ai tabulati. Tutto questo però, assicura chi ha curato il ddl, dovrà avvenire nel rispetto della tutela della privacy. Stessa storia per le auto blu: nei piani triennali, gli enti che ne dispongono dovranno specificare il numero e le finalità di utilizzo. Saranno possibili convenzioni con taxi e autonoleggi per abbattere le spese. Tutti i dati relativi a personale e costi dovranno essere trasmessi al Cnel. Ma la stretta su cellulari e auto blu costituisce forse la nota più di colore di un disegno di legge assai articolato e che finalmente, dopo due rinvii, approda in Consiglio dei ministri. L'ultimo slittamento dell'esame del testo - che il premier Prodi avrebbe voluto varare entro il 15 giugno - è avvenuto nella seduta di giovedì scorso. "Attendiamo ancora una settimana per accogliere le indicazioni che verranno dalla Conferenza unificata con gli enti locali per raggiungere un accordo ampio, che abbia realmente capacità di incidere sulle spese" spiegava dopo l'ultima seduta di giovedì scorso il primo firmatario, Santagata. Ma il testo è già pronto e tra giovedì e venerdì avrà il via libera del governo, frutto del tavolo istituito a Palazzo Chigi e al quale hanno lavorato i ministeri dell'Economia, degli Interni, Attuazione del programma, Funzione pubblica e Affari regionali. Tante le misure, dunque, le più attese e incisive sui costi della "politica" riguarderanno gli enti locali. Il ddl proporrà una riduzione del numero dei consiglieri di Regioni, Comuni e Province pari "almeno al 10 per cento". Soglia inferiore dunque a quel 25 per cento al quale pure si erano detti disponibili il presidente dell'Anci e sindaco di Firenze Leonardo Domenici e qualche presidente di Regione. Ma le resistenze opposte dagli enti locali hanno finito col pesare. Una svolta si annunzia invece per quei pozzi di spesa dalla dubbia utilità che sono ritenute le Circoscrizioni, con il loro carico di presidenti e consiglieri. Il disegno di legge del governo ne prevederà l'obbligatorietà solo per le città con più di 250 mila abitanti. Accorpamenti in vista per le Comunità montane. Si procederà invece sulla strada già intrapresa con la Finanziaria per ridurre il numero degli enti troppo spesso "inutili". Ma anche per i manager pubblici è prevista una mini stangata: non potranno percepire una retribuzione per posizione e risultato superiore al 30 per cento dell'importo complessivo della busta paga. Limiti in arrivo pure per il ricorso alle consulenze esterne. E per deputati e senatori? Il governo non può e non vuole interferire con l'autonomia di Camera e Senato, tengono a precisare da Palazzo Chigi. Ma già il 9 luglio gli uffici di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama sono convocati per approvare un piano congiunto di riduzione delle spese che inciderà per lo più su vitalizi (ma dalle prossime legislature) e spese di funzionamento dei palazzi.


 

L’espresso numero 26 anno 2007  Catania, il Comune vede rosso«Debiti per 40 milioni. E per correre ai ripari una rischiosa operazione immobiliare. Ora nel mirino di Padoa – Schioppa»  Francesco Bonazzi:

Se alle esangui casse comunali potesse dare le stesse pillole con le quali ha reso Silvio Berlusconi «tecnicamente quasi immortale», Umberto Scapagnini sarebbe un sindaco felice. O quantomeno più tranquillo. Invece no. La sua Catania è sull’orlo del fallimento, schiacciata da oltre 40 milioni di debiti e una cartolarizzazione immobiliare tutta giocata sul filo della legalità e i cui nodi stanno venendo al pettine proprio in questi giorni. Gli ispettori del ministero dell’Economia sono appena tornati a Roma, dopo aver esaminato per settimane i conti di quella che una volta era pomposamente chiamata “la Milano del Sud”. La relazione dovrebbe arrivare sul tavolo del ministro Padoa – Schioppa in tempi brevi e pare che sarà durissima. «Buon per Catania che la Sicilia sia una Regione a statuto speciale, altrimenti il Comune rischierebbe di fare la fine di Taranto», spiega a “L’espresso” un tecnico del ministero. Insomma, lo spettro della dichiarazione di fallimento c’è ed è piuttosto ingombrante, solo che toccherà al governatore Salvatore Cuffaro affrontarlo secondo le leggi. E sarà imbarazzante, per una Regione che è la cassaforte elettorale della Casa delle libertà, emettere il verdetto di vita o di morte su un’amministrazione comunale guidata da un forzista che non è soltanto il medico personale del Cavaliere, ma colui che allungò la vita al governo Berlusconi vincendo le comunali del 2005.

Già, sembra passato un secolo dal maggio di due anni fa, quando Scapagnini strappò un secondo mandato da sindaco, quando in tutto il resto d’Italia il centrodestra era alle corde. La sua campagna elettorale si era basata su uno slogan molto semplice: “Catania è bella. Veramente bella”. Il resto, fioriere a parte, ce l’aveva messo la vèrve, il sorriso, l’ottimismo di un medico – stregone che i suoi concittadini chiamano “Sciampagnino”. La polvere, però, era solo nascosta sotto il tappeto. Lo mettono nero su bianco, il 20 febbraio scorso, i revisori dei conti del Comune su richiesta della magistratura contabile siciliana: a furia di mutui e debiti con le banche, «si è arrivati al prosciugamento delle disponibilità liquide e al conseguente stato di tensione finanziaria». I fornitori vengono pagati con mesi e mesi di ritardo e la stessa funzionalità degli uffici comunali è messa a rischio. I disavanzi certificati tra mille difficoltà (i revisori puntano il dito contro un software di gestione del bilancio che farebbe acqua da tutte le parti) parlano di 40,6 milioni per il 2003 e 42,7 milioni per il 2004. in base alla legge italiana, e al Patto di stabilità europeo, i passivi vanno ripianati entro tre anni e le amministrazioni possono indebitarsi solo per investimenti. E non per fare cassa. Alla scadenza del 31 dicembre 2006, quindi, il Comune di Catania avrebbe dovuto rientrare a tutti i costi, pena la dichiarazione del dissesto finanziario. Con l’acqua ormai alla gola, l’amministrazione Scapagnini tira fuori dal cilindro l’ultima magia: vende a se stessa un bel pacchetto di immobili comunali e ottiene nuovi mutui bancari per circa 50 milioni di euro.

La sequenza delle date è rivelatrice del dramma finanziario in atto. Il 24 ottobre 2006, il consiglio comunale dà il via alla costituzione di Catania risorse srl, controllata al cento per cento dal Comune. Giovedì 28 dicembre, mentre la società è ancora in fase di registrazione, viene conferito il mandato le perizie giurate su 14 immobili che il Comune vuole vendere a Catania risorse. Tutte le perizie vengono effettuare venerdì 29 dicembre e depositate entro sera al tribunale. Roba da Guinness dei primati, ma non c’è tempo di compiacersi di tanta efficienza. Sabato 30 dicembre, caso pressoché unico nella storia della città, viene convocato un consiglio comunale che approva la vendita degli immobili. E domenica 31 dicembre, meraviglia delle meraviglie, viene stipulato il rogito notarile tra il Comune – venditore e il Comune – compratore che, pardon, si chiama Catania risorse. Scapagnini e la sua giunta possono festeggiare il Capodanno 2007 tirando un bel sospiro di sollievo. Hanno trovato i soldi, seppure accendendo altri mutui.

Il problema, però, è che la fretta ha fatto commettere qualche errore di troppo. Sono gli stessi avvocati del Comune, in un parere scritto il 18 dicembre 2006 e che non è stato portato all’attenzione del consiglio comunale del 30 dicembre, a segnalare una serie di gravi lacune. I legali, guidati da uno stimato civilista come il professor Vito Branca, fanno notare che Catania risorse avrebbe dovuto essere una spa e non una semplice srl. Che avrebbe dovuto avere un piano strategico pluriennale. Che ci si è dimenticati di fissare i requisiti di onorabilità e professionalità per gli amministratori. Che questi avrebbero dovuto essere estranei all’amministrazione comunale. Che le valutazioni del patrimonio immobiliare da gestire sarebbero spettate agli uffici dell’amministrazione finanziaria dello Stato. Che per le attività di finanzia straordinaria e di cessione degli immobili ci si doveva avvalere di advisor di elevata professionalità (insomma, almeno qualche architetto o geometra). Alla faccia di tutte queste puntuali osservazioni, si è deciso che a presiedere il cda di Catania risorse andasse il segretario generale del Comune. E il “mago” che in un giorno solo, tra Natale e Capodanno, eseguì 14 perizie milionarie è un ragioniere, dipendente comunale pure lui e iscritto all’albo dei revisori contabili.

Come se non bastasse, nell’elenco dei 14 immobili cartolarizzati figurano almeno tre complessi che per il loro valore artistico e culturale avrebbero dovuto essere “sdemanializzati” con apposito procedimento. Si tratta di due ex monasteri, quello di Santa Chiara e quello di Sant’Agata, e dell’ex caserma Malerba, complessivamente valutati oltre 26 milioni di euro. La sovrintendente ai Beni artistici di Catania, Maria Grazia Branciforti, al girare delle prime voci aveva messo le mani avanti e il 23 dicembre del 2005 aveva emesso una nota per ricordare che alcuni immobili non potevano essere dimessi. Il 22 febbraio 2007, informata dell’operazione di Catania risorse, dirama una seconda nota per avvertire il Comune della nullità dei trasferimenti. Magari con un po’ di stizza, un’amministrazione comunale sana e prudente avrebbe comunque ringraziato la signora Branciforti e sarebbe corsa ai ripari. Cinque giorni dopo, la giunta comunale adotta una delibera nella quale si chiede all’assessorato regionale competente di adottare provvedimenti nei confronti della sovrintendente. Che viene prontamente sostituita nel giro di pochi giorni con un ex assessore provinciale dell’Mpa di Raffaele Lombardo.

Di tutta questa storia, nel dibattito politico siciliano non si trova quasi traccia. A Catania c’è in gestazione il nuovo piano regolatore e la Procura, da mesi affidata ad un reggente, ha sì aperto un fascicolo su Catania risorse, ma procede coi piedi di piombo. Sembra quasi che tutti aspettino il “botto” di Padoa – Schioppa. L’unico a sollevare il velo sull’intera vicenda è stato un professore di diritto romano, Orazio Licandro, che dopo anni di battaglie in consiglio comunale ora è deputato a Roma, membro della direzione nazionale del Pdci e capogruppo in commissione Antimafia. Dopo una sua interpellanza della primavera scorsa, gli ispettori del ministeri dell’Economia sono scesi a Catania e hanno passato al setaccio i conti. In un posto normale, tanto basterebbe a consigliare cautela.

Macché: a Catania ne hanno combinate un altro paio. Il consiglio comunale ha autonomamente prorogato di altri sei mesi, ovvero al 30 giugno 2007, il termine per coprire il disavanzo del 2003. e dieci giorni fa, a Catania risorse sono state venduti dal Comune altri nove immobili, tra cui il castello di via Leucatia, per 120 milioni di euro. Tra questi figurano addirittura gli uffici della nettezza urbana e la cittadella dello sport di Nesima, valutata ben 74 milioni di euro e sulla quale il Coni promette battaglia. Quanto basta per far dire al giurista Licandro che «evidentemente, a Catania non si applicano le leggi della Repubblica».

(ripreso da "L'espresso" numero 26 anno 2007)


 

Corriere Economia 2-7-2007 Sarà più trasparente ed efficace il socialismo municipale o l'alta finanza milanese?

 

Con le grandi fusioni bancarie, la riforma di Mediobanca e le nozze in preparazione tra Aem e Asm il confronto è nell'ordine delle cose ed è già cominciato su due terreni: le attività in competizione, soprattutto l'energia, e la governance . Nel primo terreno, al momento, sembra non esserci partita: Aem l'ha spuntata su Edison. È una storia che va richiamata in premessa per non dimenticare le beffe del mercato. Con il collocamento in Borsa deciso nel 1998 dall'allora sindaco Gabriele Albertini, l'ex municipalizzata pareva dover diventare preda del gruppo di Foro Bonaparte che prese subito un 5 per cento per avere un trampolino di lancio verso il controllo. Ma le lotte intestine tra i soci della Edison hanno aperto le porte a Electricité de France e Mediobanca, che nel 2001 venne sconfitta da uno schieramento che andava dalla Fiat a Banca Intesa, grande ma senza progetto, si trovò poi a fare perno su Aem per ricostruire, anche secondo i desiderata del governo, una compagine azionaria nazionale a bilanciamento del monopolio statale francese. Considerando le possibilità di sviluppo dell'azienda Aem, la giunta Albertini non è stata lungimirante. Ha badato solo a fare cassa, senza aver fortuna neanche in questo. E tuttavia è risultata meno dannosa dell'azionariato eccellente di Foro Bonaparte. Tanto è vero che, rispetto al 1998, i ruoli della preda e del cacciatore si sono invertiti. Regime dualistico Adesso, il consiglio comunale che esprime la giunta Moratti ha dato nuove prospettive ad Aem attraverso l'integrazione con la consorella Asm di Brescia. Ed è proprio questa operazione che riapre il capitolo della governance nelle aziende dove il Comune ha il controllo di diritto o di fatto. La nuova Aem abbandonerà il tradizionale consiglio di amministrazione e adotterà il regime dualistico, fondato sul consiglio di sorveglianza che nomina il consiglio di gestione. Come per Intesa Sanpaolo e Mediobanca, che l'hanno preceduta su questa strada, la causale prima è stata la necessità di raddoppiare le presidenze per favorire le nozze. Come tra i grandi della finanza, anche tra i partiti-soci la ridefinizione delle regole non esaurisce i giochi di potere. Ma la competizione tra i partiti-soci non impedisce al consiglio comunale di approfondire la governance delle società municipalizzate attraverso la consulenza non retribuita della Fondazione Civicum che da qualche anno, in collaborazione con Mediobanca, analizza i bilanci e gli indici di efficienza delle società comunali di Milano, Roma, Torino, Brescia, Napoli e Bologna. Il presidente di Civicum, Federico Sassoli de' Bianchi, ha affidato agli economisti Fulvio Coltorti, Francesco Giavazzi, Giulio Sapelli e Marco Vitale la redazione di un documento sulla governance che è stato positivamente giudicato sia al sindaco Letizia Moratti che dalla commissione Affari Istituzionali del Palazzo Marino. Naturalmente, tra la buona educazione e le decisioni dei politici ci può anche essere una distanza infinita, ma la qualità degli estensori fa di questo testo un termine di paragone: a Giavazzi, autore con Alberto Alesina di un fortunato Goodbye, Europe , si ispira il riformismo liberista, anche in Parlamento; Sapelli, già consigliere di Eni e Unicredito e guida di Meta, l'ex municipalizzata di Modena, nella fusione con l'Hera di Bologna, oggi è lo scomodo presidente dell'Asam, holding di partecipazioni della Provincia di Milano; Marco Vitale è vicepresidente della Popolare di Milano e amministratore, critico, di Asm nonché di grandi imprese non quotate; Coltorti dirige R&S e l'Ufficio studi di Mediobanca, e partecipa a titolo personale. Valore aggiunto Le imprese comunali milanesi messe sotto osservazione da Civicum sono otto: Aem (energia elettrica e gas), Amsa (igiene urbana), Atm (trasporti locali), Metropolitana Milanese (ingegneria e acque), Milano Ristorazione (mense), Milanosport (ricreazione e impianti), Sea (Malpensa e Linate), Sogemi (mercati annonari). Tutte assieme, dati 2005, fatturano 4,8 miliardi con un utile netto di 347 milioni. Occupano 22 mila persone che generano un valore aggiunto pro capite di 85 mila euro l'anno, il più alto nella classifica dei sei comuni, Brescia a parte perché nella reginetta del socialismo municipale (ancorché di matrice cattolica) il valore aggiunto per dipendente si attesta a quota 174. Le otto società per azioni del Comune capoluogo della Lombardia gestiscono una spesa pari a 2,6 volte quella diretta del Municipio. I loro servizi hanno dunque un peso rilevante non solo nella qualità della vita dei cittadini, ma anche nella capacità di Milano di radicare le imprese già attive nel territorio e di attirarne di nuove. Poiché sono di diritto privato, queste società non possono rinunciare a una gestione che assicuri la qualità richiesta al minor costo possibile. E però i quattro economisti chiariscono che le imprese comunali possono anche non avere come traguardo esclusivo la creazione di valore per gli azionisti nel medio-lungo periodo, come invece è previsto dal codice di autodisciplina della Borsa. Il Comune, in quanto rappresentante dei cittadini-azionisti, può scegliere, per esempio, una composizione del capitale investito diversa da quella di un fondo di private equity, perché ha in mente certi obiettivi di investimento e non il rendimento a 3-5 anni. Ma l'economicità della gestione resta un dovere. E per le società quotate in Borsa è pur sempre possibile tenere conto del territorio di fronte a scelte equivalenti sul piano economico. Il regime dualistico viene ritenuto il più adatto ad assicurare dirigenze adeguate, perché pone un filtro tra gestione e tentazioni spartitorie dei partiti. Il consiglio di sorveglianza, dunque, dà le linee guida che esprimono la politica del Comune-azionista, e nomina il consiglio di gestione, formato esclusivamente da manager, che avrà dovrà attuare al meglio le scelte strategiche. Nel dibattito in commissione, è stata citata a esempio ? con scoperta malizia non tanto verso il settantottenne Renzo Capra, padre-padrone dell'Asm dei record, quanto verso le banche ? la tedesca E.On dove i consiglieri di gestione si ritirano a 65 anni e quelli di sorveglianza, che non possono prestare consulenze a imprese concorrenti né tenere ufficio presso la sede della società, non sono eleggibili oltre i 70 anni. Sette regole La cruciale nomina dei consiglieri di sorveglianza compete al sindaco, che a Milano si avvale anche di un comitato di saggi per esaminare i candidati e stabilire gli eleggibili. I quattro economisti suggeriscono sette integrazioni: 1) la metà dei nominati deve essere indipendente; 2) il rinnovo dell'incarico è possibile previa valutazione positiva del precedente mandato; 3) i saggi vengono eletti dal consiglio comunale con maggioranza dei tre quinti; 4) alle loro riunioni assiste un esponente della minoranza senza diritto di voto; 5) i verbali delle riunioni vengono resi pubblici prima delle nomine; 6) vanno evitati i conflitti d'interesse tra assessori e società comunali; 7) i curricula vanno resi pubblici. Ma prima ancora di queste sette clausole, i quattro economisti consigliano di dichiarare ineleggibili i politici. Anche senza insistere sui danni provocati dal loro inserimento delle un tempo brillanti aziende a Partecipazione statale, i politici rappresentano interessi di parte, mentre la proprietà delle imprese e delle partecipazioni comunali appartiene all'intera cittadinanza. La logica dei politici, del resto, non sempre collima con l'efficienza dell'impresa. Questo invito alla distinzione dei ruoli può avere un valore anche fuori da Palazzo Marino per quanti, nelle grandi imprese, ritengono che i patti di sindacato, formati dai soci eccellenti, e i consigli di sorveglianza, che rappresentano l'intero azionariato, non siano ancora la stessa cosa. Vedremo se Coltorti, Giavazzi, Sapelli e Vitale faranno scuola. Cartesianamente, i quattro si ispirano all'equazione che, in un mercato perfetto, l'eccellenza della governance stimola i migliori risultati nell'impresa. Ma, guicciardiniamente, si potrebbe osservare che il mercato perfetto non esiste, e dunque anche governance non edificanti possono generare ottimi profitti.


 

Il Giornale 2-7-2007 Messa in latino, ritorno al futuro  di Maria Giovanna Maglie

Da non cattolica attenta a quel che fa Papa Ratzinger sulla scena mondiale e nello spirito dell’Occidente, ho notato alcune sciocchezze dette negli ultimi giorni sul ritorno alla messa in latino, il motu proprio.
La Messa in latino nessuno l'ha mai tolta. Il Concilio Vaticano II non ha mai eliminato la Messa in latino, ma ha permesso che venisse celebrata nelle varie lingue, e così è stato. Con Paolo VI si fecero i nuovi messali, che contenevano le indicazioni del rinnovamento liturgico conciliare, e tra queste c'era anche quello in latino, che lo stesso Papa Giovanni Paolo II ha rinnovato con la «Editio typica» nel 2002. Ciò che non era più permesso usare era invece il messale, il libro con le indicazioni di «rubrica», i gesti, i movimenti, le posizioni, di Pio V. La riforma liturgica aveva infatti sfrondato molte cose, aveva rivolto l'altare al popolo, aveva semplificato alcuni passaggi, anche se sostanzialmente la Messa non cambiava.
Per usare il messale di Pio V era necessario uno speciale indulto della Santa Sede. Perché? Dopo il Concilio, la corrente contraria alle riforme, che riteneva questa svolta della Chiesa un danno, aveva preso come paradigma proprio l'uso del messale di Pio V e della messa secondo il vecchio stile «con le spalle girate», proprio per girare le spalle al Vaticano II. Basti un nome: Mons. Lefebvre. Ciò che dice il documento di Benedetto XVI è che chiunque lo desideri, può usare ancora il messale di Pio V, senza dover chiedere l'indulto della Santa Sede. Tutto qui.
Il documento di Benedetto XVI va dunque letto come un documento «moderno» e non come un'inversione di marcia: basta avere il coraggio di guardare e di conoscere le cose prima di parlarne. Innanzitutto, dopo quaranta anni dal Concilio, la corrente che si schierava e si dichiarava totalmente contraria al Concilio Vaticano II si è ormai spenta: lo spirito della riforma non viene intaccato. L'uso del messale di Pio V, invece di quello di Paolo VI, in questi quaranta anni ha assunto una valenza totalmente diversa: dall'essere gesto simbolico di rifiuto del Concilio Vaticano, all'essere una rivalutazione della tradizione dentro lo spirito del Concilio, affinché la ricchezza del passato non vada persa nella modernizzazione. Questo Papa, da grande e fine teologo quale è, fa fare un passo avanti a tutti, e a un livello profondo. Se la Messa è un mistero, non ci si può perdere in una mentalità pop alla Harry Potter. Non si può dire che con un determinato libro «di formule» è valida, e con le formule vecchie invece l'incantesimo non funziona più. La mentalità «magica» non ha nulla a che vedere con la liturgia. Il mistero della presenza di Dio, per chi ci crede, è una cosa molto più seria Questo è un grande passo all'interno della Chiesa, perché chiude uno «scisma» che si era aperto dopo il Concilio: l'arroccamento della tradizione contro lo spirito della riforma. Si rimettono le cose al loro posto, e la modernità e la tradizione tornano a dialogare. Resta solo un piccolo accenno, che sembra puramente di stile, ma in realtà è portatore di una verità profonda. Oggi il pericolo più grosso della Chiesa è esattamente opposto a quello del dopo-Concilio: è la sciatteria mascherata da «rinnovamento conciliare», è la banalità mascherata da modernità. Come ama dirmi un amico sacerdote e intellettuale, perché le chiese «moderne» devono essere così brutte, le chiese antiche così disordinate, e quelli che frequentano la parrocchia devono presentarsi tanto male, così infagottati e dimessi? Perché sacro è tanto spesso sinonimo di sdolcinato, la misura di banalità, l'ordine di rigidità, la semplicità di noia? Perché essere moderni vuol dire essere condannati alla sciatteria? Solo una modernità che stia ben salda sulle sue radici, può guardare in faccia il futuro. Attenti allora alle sottigliezze che va introducendo il pianista Ratzinger, è molto più moderno di quanto sembri! Forse non lo sarà come immagine, ma lo è come contenuto. Cosa serve di più oggi alla Chiesa che deve sfidare i Mostri, l'immagine o il contenuto?
Maria Giovanna Maglie


La Repubblica 2-7-2007IL RETROSCENA Bindi e la candidatura alle primarie. "Chiederò consiglio a Prodi" A Bose il Manifesto Rosy "Cristiani, diversi nel Pd" Stoccata a Ruini: "Una parentesi la Chiesa di questi anni". E su Pezzotta: "Il Family Day un movimento politico? Mi ribello" GIOVANNA CASADIO

 

DAL NOSTRO INVIATO BOSE - Chiederà consiglio a Prodi, certamente. Ma "la sosta", i due giorni di ritiro nel monastero di Bose - che Enzo Bianchi, il priore, definisce "un attimo per chiudere gli occhi e ritrovarsi, ordinare i pensieri e calmare l'angoscia" - a Rosy Bindi sono serviti "molto". Non scioglie ancora la riserva, se sfiderà cioè Walter Veltroni per la guida del Partito democratico (lo farà forse in settimana) ma il Manifesto-Bindi è già nato qui, nella comunità monastica sulle colline piemontesi dove "i fratelli e le sorelle" - età media sotto i quarant'anni - coltivano una spiritualità non sganciata dalle cose del mondo, "in compagnia degli uomini", come vuole la regola. Il Manifesto del ministro della Famiglia potrebbe avere un titolo, almeno a sentire gli oltre cento "laici credenti", convocati ad inviti dall'Associazione "Argomenti 2000" e che hanno partecipato al seminario sulla laicità e la politica. Intitolarsi ad esempio, "la differenza cristiana nel Partito democratico". Che ne ha tanto bisogno, ragiona la Bindi, perché non deve nascere preconfezionato. E la laicità "non è forse nel Dna dei cristiani, poiché il grande valore della distinzione tra potere politico e potere religioso - date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio - non l'ha forse introdotta Cristo? "Se non li facciamo dentro un monastero questi discorsi, quando li possiamo fare?", esordisce l'incontenibile Bindi ricordando i Dico, la legge sui diritti dei conviventi di cui è stata autrice (con la ds Barbara Pollastrini). "Quando ho pensato a questo incontro ero angosciata per due parole che non-Dico...". Ora che lo scenario è un altro, molti la incalzano per sapere se scommettere sulla sua discesa in campo per il Pd. E lei risponde, a margine del seminario in una vivace discussione che si protrae fino a notte contravvenendo alla regola del silenzio: "Ci sono tutte le condizioni perché mi candidi". Per il Partito democratico poi, "ci vuole un leader forte ma non può essere un partito del leader". Lancia quindi un paio di bordate su quel che pensa della Chiesa dell'epoca-Ruini: "Dobbiamo lavorare per considerare una parentesi quella della Chiesa italiana di questi anni. Va aperta una serena e giocosa correzione fraterna della Chiesa recente". Stoccata quindi al clericalismo e a Savino Pezzotta: "Non può essere Radio Maria che forma la coscienza dei cattolici, non per Radio Maria ma per la sua strumentalizzazione". Platea tutta dalla sua. "Mi ribello quando qualcuno vuole fare del Family day un movimento politico". Ce n'è per tutti. "L'Italia della Costituzione è stata tale perché aveva una classe dirigente che si poneva il problema di costruirlo questo Paese, se lo poneva allora il presidente degli industriali...". Come invece non se lo pone ora Luca di Montezemolo, è l'implicito riferimento. Altro tassello del Manifesto di Bose. Insieme con le parole d'ordine "contaminazione" delle identità, solidarietà, no al discredito della politica e alla società corporativizzata. Confronto serrato, che doveva volare alto, meditare seguendo la "preghiera delle ore" dei fratelli di Bose, e che plana sulla politica e l'attualità. Pierluigi Castagnetti, il vice presidente della Camera, ulivista, e Marco Follini, l'ex leader Udc approdato saldamente nel centrosinistra, cercano di convincere Bindi a non candidarsi. "Non c'è lo spazio per una candidatura alternativa a meno che i Ds non sciolgano il blocco e si riaprano i giochi. Ma Rosy è una testa dura", confessa Castagnetti. Ugualmente per Follini "il discorso di Veltroni è stato esauriente, non mi paiono esistere altri spazi". Poi la butta in battuta: "Ho capito che alla fine vuoi candidare Franceschini". Ci pensa il priore Bianchi a dire con semplicità cose complesse: "La Chiesa non può calare i suoi principi dall'alto, non possono esserci ordini apodittici. C'è molta afonia, poche le voci. I teologi sono silenziosi". E quando la politica è debole "la religione, tutte le religioni sono tentate di diventare lobby". Narra "la portata eversiva del cristianesimo" e l'occasione persa a proposito della legge sui diritti dei conviventi. Dalle riflessioni teoriche a quelle storiche di Fulvio De Giorgi, alle provocazioni di Amedeo Piva, alle riflessioni di Renato Balduzzi, presidente del Meic e consulente legislativo della Bindi. Al vescovo di Pavia, monsignor Giovanni Giudici, cresciuto alla scuola di Carlo Maria Martini, il compito di rispondere alle domande più ostiche: "Monsignore, spiegami: perché devo essere un reazionario per andare in chiesa?",.


La Nuova Sardegna 2-7-2007 Al via la liberalizzazione per il mercato domestico Energia, aiuto da Bruxelles nella scelta del fornitore

ROMA. L'apertura del mercato elettrico europeo per i clienti domestici è partita e arriva l'incoraggiamento di Bruxelles: ora i cittadini potranno scegliere il fornitore. In Italia, il provvedimento riguarda un bacino potenziale di circa 27-28 milioni di utenze che adesso potranno scegliere il fornitore ed eventualmente cambiarlo in un momento successivo, ad esempio se i servizi resi non fossero all'altezza delle aspettative. Ma con l'entrata in vigore delle nuove regole Ue per la liberalizzazione del mercato, Bruxelles intende spingere sull'acceleratore per rimuovere gli ostacoli "tuttora esistenti" per la realizzazione di un vero mercato energetico europeo che porti reali benefici alle famiglie. "Incoraggio i consumatori europei - ha detto il commissario Ue all'energia Andris Piebalgs - ad approfittare della libertà di scegliere i loro fornitori. Un mercato europeo dell'energia può funzionare solo se i consumatori vi partecipano attivamente. Ma - ha riconosciuto - ci sono ancora ostacoli per la realizzazione di un mercato interno veramente competitivo. Per questo la Commissione continuerà a sorvegliare sulla corretta applicazione delle regole in vigore e proporrà presto ulteriori misure legislative". Per rafforzare i diritti dei consumatori e la loro corretta informazione, Bruxelles ha già annunciato per il prossimo 5 luglio anche il lancio di una "Carta europea per i diritti dei consumatori di energia". In Italia intanto sono già arrivate alcune offerte tariffarie da parte delle società del settore: più che su reali sconti si gioca su promozioni, pacchetti orari di energia gratuita ed offerte combinate di elettricità e gas, il cosiddetto dual-fuel.


Microonde-oggi.it 1-7-2007« RIFIUTI TECNOLOGICI: ROTTAMAZIONE DA OGGI TOCCA AI PRODUTTORI CASA: DA OGGI SCATTA L’OBBLIGO DI CERTIFICAZIONE EDILIZIA

(AGI) - Roma, 1 lug. - Scatta oggi lobbligo di certificazione energetica anche per i vecchi edifici immessi sul mercato immobiliare. Gia dal primo gennaio scorso il certificato energetico e una condizione indispensabile per ottenere le agevolazioni fiscali per ristrutturare edifici in funzione di una maggiore efficienza energetica, ma da oggi diventa obbligatoria anche per i vecchi edifici e per quelli superiori a 1000 metri quadrati, nel caso di compravendita.
La certificazione energetica stabilisce il livello di consumo energetico di un immobile ed e redatta da soggetti terzi. Le integrazioni da oggi operative consentono di evitare il possibile rinvio dellItalia alla Corte di giustizia europea e le eventuali sanzioni economiche che ne potrebbero derivare. Con lattuazione del decreto, il ministero dello Sviluppo Economico si aspetta una spinta del mercato verso edifici a basso consumo di energia, una riduzione della bolletta energetica, uno sviluppo dellindustria sul fronte della bioedilizia e la conseguente ricerca scientifica, e un incremento occupazionale. Lobiettivo e la riduzione dei consumi di energia e delle emissioni di anidride carbonica per facilitare il raggiungimento dellobiettivo di Kyoto.
La normativa stabilisce che gli edifici immessi nel mercato immobiliare dichiarino il proprio consumo energetico, prevedendo tempi piu stretti per adeguare le costruzioni a livelli di isolamento termico efficaci. La proposta e ambiziosa: entro il 2010 intende ridurre le dispersioni termiche nei nuovi edifici di un ulteriore 20%. Per raggiungere questo obiettivo, viene imposto nei nuovi edifici che lacqua domestica venga riscaldata con lenergia solare e che si collochino protezioni solari esterne per contenere il ricorso a condizionatori. Il prossimo anno, a partire dal primo luglio, lo stesso obbligo sara allargato agli edifici sotto i 1000 metri quadrati, mentre dal 1* luglio 2009 lattestato di efficienza energetica diventera obbligatorio anche per la compravendita del singolo appartamento.
In un prossimo futuro, gli stessi annunci immobiliari potrebbero segnalare la classe di risparmio energetico degli appartamenti e degli edifici, cosi come gia accade con le classi di consumo degli elettrodomestici. (AGI)
Red/Mot


 

INDICE 1-7-2007

 

Il Giornale 1-7-2007 Quell’odiata legge elettorale che alla fine fa comodo a tanti di Paolo Armaroli – 1

Il Giornale 1-7-2007 Una gara sospetta per un prestito inutile: la finanza creativa della Regione Piemonte di Nicola Porro  2

La Stampa 30-6-2007 Chi uccise JFK? Una pallottola riapre il mistero. La perizia della ditta italiana che produsse l’arma del delitto. Oswald non può aver colpito Kennedy da quella distanza perciò non era l’unico killer VINCENZO TESSANDORI 3

La Stampa 30-6-2007 Scandalo a Parigi, "Quella deputata è una puttana". Il fedele di Sarko insulta la rivale dopo le elezioni CARLA RESCHIA  4

Il Giornale 1-7-2007 Sessant'anni di persecuzioni e clandestinità  4

 


 

Il Giornale 1-7-2007 Quell’odiata legge elettorale che alla fine fa comodo a tanti di Paolo Armaroli

 

La vigente legge elettorale, partorita dal centrodestra agli sgoccioli della passata legislatura per far contento (nomen omen) Marco Follini, è l’esatto contrario di Genoveffa la Racchia. A chiacchiere nessuno la vuole, però quasi tutti se la tengono cara cara. Per forza, è partitocratica per eccellenza: conferisce alle segreterie politiche di elevare al rango di deputato e senatore, se punge loro vaghezza, perfino un cavallo. Ma sì, il proverbiale cavallo di Caligola.
Sarà per questo che i diretti interessati sorvolano su tale trave, mentre se la prendono con una pagliuzza che non è neppure tale. Sostengono infatti che la legge non assicura la stabilità ministeriale. Come proverebbero i risultati elettorali dello scorso anno e la risicata maggioranza della quale il governo Prodi gode (si fa per dire) al Senato. Ma questo è un falso bello e buono. Nessuna legge elettorale può garantire la governabilità finché avremo un bicameralismo paritario ed elettorati attivi di diversa consistenza nei due rami del Parlamento. Ma allora perché mai si fa un gran parlare di riforme elettorali più o meno salvifiche? Per il semplice motivo che il professor Giovanni Guzzetta, diavolo d’un uomo, ha ritenuto opportuno fare il bis, dopo lo strepitoso successo ottenuto nel 1993. Quando tenne a battesimo un altro referendum elettorale. Che relegò in soffitta la proporzionale e il tripolarismo. Tolse di mezzo una democrazia consociativa, ma al tempo stesso bloccata. E, grazie al maggioritario, ci dischiuse le porte dell’agognato Paradiso del bipolarismo. All’italiana, si capisce. Ma pur sempre meglio di niente. Moderato di centro o giù di lì, Guzzetta non si considera affatto un eversore. Non ha mai preteso di indossare i panni del pubblico ministero e accusare la classe politica d’inconcludenza. Quando capi, capetti e caperonzoli della nostra partitocrazia hanno sostenuto che dopo tutto questo referendum non è altro che uno stimolo al Parlamento perché faccia la sua parte, lui, Guzzetta, non ha fatto una piega ed è stato al gioco. Un confetto Falqui la sua creatura? E sia, purché si sgombri il campo da questa legge. E si muova un altro passo avanti verso l’ex perfida Albione. Perché l’ambizione di Guzzetta è per l’appunto quella di sostituire il bipolarismo con il bipartitismo di marca britannica grazie al premio di maggioranza conferito non più alla coalizione vincente ma al partito più votato.

Nel frattempo l’ammuina va in scena alla commissione Affari costituzionali del Senato. I disegni di legge sono diciotto: una follia. Si procede in ordine sparso. E il presidente Enzo Bianco nella veste di relatore, povero Cristo, non è ancora riuscito a sfornare uno straccio di testo base. A complicare le cose, poi, la senatrice Anna Finocchiaro ci ha messo del suo. Per conto dell’Ulivo ha presentato un disegno di legge favorevole al doppio turno alla francese. Con il risultato di scontentare amici e avversari: la sinistra radicale, contraria al maggioritario, e la Casa delle libertà, contraria al doppio turno. Insomma la capogruppo dell’Ulivo è riuscita - quando si dice il genio - a conseguire l’unanimità dei dissensi. A questo punto se i promotori non riusciranno a raccogliere le cinquecentomila firme richieste per il referendum abrogativo, in Parlamento si continuerà a tessere la tela di Penelope. E la legislatura bene o male continuerà, magari con un nuovo governo. Se invece le firme saranno raccolte, si voterà nella primavera dell’anno prossimo: o per il referendum o per il rinnovo delle Camere. Perché lo scioglimento parlamentare farebbe slittare il referendum di uno o addirittura di due anni. E quest’ultima, al momento, è l’ipotesi più probabile. Sempre che, ripetiamo, arrivino le firme: tutte, benedette e subito.
paoloarmaroli@tin.it


 

Il Giornale 1-7-2007 Una gara sospetta per un prestito inutile: la finanza creativa della Regione Piemonte di Nicola Porro

da Milano

La nostra inchiesta sugli affari tra politica locale e finanza passa per le stanze eleganti di un notaio di Milano. Le nostre ricerche ci hanno fatto mettere il naso su un mercato che vale centinaia di milioni, che in modo poco trasparente, passano da Comuni e Regioni a grandi banche internazionali. Il nostro notaio si chiama L.T. e riceve il testamento di chi scrive, con data certa, 14 novembre 2005. Poche righe: «Il sottoscritto Nicola Porro conosce in anticipo i vincitori della gara di selezione di un arranger per operazioni finanziare indetta dalla Regione Piemonte: Merrill Lynch, Opi-SanPaolo e Dexia».
L’esito. La gara si chiude il giorno dopo. Passano sei mesi e arriva la delibera della giunta di Mercedes Bresso e annuncia quello che in molti, e chi scrive, sospettavano: le carte della gara erano segnate. A vincere sono le tre banche indicate nel testamento, nonostante la lista degli invitati fosse lunga. Il filo rosso che lega questa emissione da 2 miliardi di euro alle precedenti storie di Bassolino&Co sono i fratelli Pavesi. La Regione Piemonte (documento protocollato 36718\9) nell’invitare Merrill Lynch a partecipare alla gara invia un fax proprio a Napoli a Gianpaolo Pavesi, quasi fosse egli stesso il legale rappresentante di Merrill Lynch in Italia. La gara per questa obbligazione da due miliardi parte male, malissimo. Non solo perché si fa una gara con dei vincitori già scelti, ma perché in pochi sentivano in Regione l’esigenza di un nuovo bond. Certo i Pavesi e Merrill Lynch erano molto ben conosciuti a Torino. Bresso li aveva già utilizzati per una serie di rifinanziamenti in provincia, quando la signora ne era presidente. Ma in Regione affari zero. E soprattutto alla direzione Bilancio della Regione Piemonte vi è un gruppo di funzionari galantuomini, poco avvezzi alla finanza innovativa e ancor di più ad operazioni costose per i contribuenti.
Il bond Mps. La nostra storia va avanti. La giunta decide per le tre banche. La struttura dell’assessorato al Bilancio si mette, per quanto possa, di traverso. C’è infatti un nodo da sciogliere: i mutui in essere sono a tassi così competitivi che diventa ben difficile spiegare per quale motivo essi debbano essere sostituiti con il nuovo bond

. Il Monte dei Paschi infatti aveva erogato, in quattro tranche, prestiti ad un tasso di interesse ottimo: l’euribor a sei mesi (è il tasso che si applicano le banche quando si prestano i soldi tra di loro, nda) meno un punto base. Imbattibile. Alla fine l’affare si farà ma un tasso di interesse superiore e cioè «Euribor flat» (un punto base in più rispetto ai mutui Mps). Ma la legge è salva. Infatti la Regione riesce a piazzare un’infinitesimale tranche delle sue obbligazioni, 56 milioni di euro, alle due Fondazioni bancarie di Torino e a quella di Cuneo, in parte controllate proprio dagli enti locali e dalla politica. Alle Fondazioni si vendono bond della durata di sette anni con l’obbligo di non cederli almeno per quattro. Una complessa struttura fiscale che permette all’emittente, e cioè la Bresso, di portarsi a casa un credito di imposta del 12,5%. E così giustificare da un punto di vista strettamente di cassa un piccolo risparmio finanziario. Quando il 17 novembre del 2006 l’assessore al Bilancio, Paolo Peveraro (prima con ruolo simile alla città di Torino) da Londra si collega con Mercedes Bresso in videoconferenza a Torino è un tripudio di reciproci complimenti: l’operazione partita con una gara pubblica esattamente un anno prima si è felicemente conclusa.
La stangata. Non altrettanto si può dire per i contribuenti torinesi. Che pagheranno caro questo esercizio di finanza. I maghi dell’affare sono due abilissimi banchieri di Merrill Lynch, Daniele Borrega e Antonio Miele (che ora si è trasferito in Nomura). Tra la delibera del prestito del 2 agosto del 2006 e il lancio, riescono ad ottenere la formula «bullet» (il capitale viene restituito tutto in unica soluzione alla scadenza trentennale, nda) e il connesso e obbligatorio fondo di ammortamento (i famosi sinking fund oggetto della nostra seconda puntata e generosi elargitori di quattrini per le banche che li gestiscono). Nonostante la delibera di giunta del 2 agosto prevedesse come forma prioritaria una modalità di rimborso «secondo un piano di ammortamento», Miele e Borrega spiegano a settembre, quando il prestito era già stato annunciato, la «necessità, per andare in contro al mercato», di adottare invece il «rimborso in unica soluzione a scadenza». Il sinking fund è, semplificando di molto, così composto: gli 1,8 miliardi di euro di capitale da restituire sono divisi in tre periodi, nei primi dieci anni verranno accantonati nel fondo fino a 10 milioni. Nei secondi 10 anni verranno accantonati fino a 100 milioni. E poi nell’ultimo decennio le giunte dovranno recuperare tutte le risorse necessarie per arrivare a 1.800 milioni. Una botta per le generazioni che verranno. Sarebbe interessante vedere quali derivati ci siano nel fondo. Secondo la denuncia di un ex trader di Nomura nel sinking fund della Regione Liguria retta da Claudio Burlando per un bond da 200 milioni di euro c’era un prodotto derivato (un credit default swap, nda) che ha regalato extraprofitti per la banca giapponese vicini ai 20 milioni. Il 10% del bond. Non sarà il caso piemontese, ma è bene indagare.
(4. Continua)


 

La Stampa 30-6-2007 Chi uccise JFK? Una pallottola riapre il mistero. La perizia della ditta italiana che produsse l’arma del delitto. Oswald non può aver colpito Kennedy da quella distanza perciò non era l’unico killer VINCENZO TESSANDORI

 

30/6/2007 (8:47) - L'ASSASSINIO IL 22 NOVEMBRE 1963

La perizia della ditta italiana che produsse l’arma del delitto.
Oswald non può aver colpito Kennedy da quella distanza perciò non era l’unico killer VINCENZO TESSANDORI

La verità esiste, solo il falso dev’essere inventato diceva il pittore Georges Braque. La verità è che quel 22 novembre 1963, un venerdì nero pece, venne teso un agguato mortale a John Fitzgerald Kennedy, 46 anni, trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti, cattolico e ricco. Gli spararono mentre su un’auto scoperta percorreva un viale alberato a Dallas, in Texas. Con un fucile di precisione Carcano modello 91/38 matricola C2766, calibro 6.5, prodotto dalla Regia fabbrica d’armi di Terni. Forse è stato inventato, dunque è falso gran parte di quanto è stato detto, scoperto, raccontato in seguito sul complotto che «sconvolse il mondo» tanto che la radio sovietica sospese i programmi e concluse le trasmissioni del giorno con una marcia funebre. Mafia, servizi cubani, traditori: chi il colpevole?

La commissione presieduta dal giudice Earl Warren stabilì che furono esplosi tre colpi in 7 secondi: un test compiuto nel poligono di Terni sotto la supervisione di ufficiali dell’esercito, informa l’Ansa, ha stabilito che quel fucile può spararne uno ogni 5. Conclusione: è stata raggiunta la prova che almeno un altro fucile fece fuoco. Chi lo imbracciava?

Allora venne catturato un ex marine di 24 anni, Lee Harvey Oswald, uno senza arte né parte, si disse, poi gli vennero scoperte troppe arti e troppe parti, una, soprattutto, inquietante: secondo Waggoner Carr, consulente legale della commissione Warren, dal 1962 all’assassinio del presidente, Oswald sarebbe stato agente segreto dell’Fbi con una paga mensile di 200 dollari. Dissero che aveva sparato da una finestra al sesto piano di un deposito di libri. Un proiettile attraversò la gola di JFK, che con la moglie Jacqueline occupava il sedile posteriore, e poi colpì il governatore John Connally, seduto davanti. Quella pallottola, trovata intatta sulla barella di Connally, venne definita magic bullet. Il secondo centrò al capo il presidente e lo uccise. L’ultimo fallì il bersaglio, forse ferì un passante.

Impossibile, si sottolinea, che colpite due persone, una pallottola sparata da 80 metri rimanga intatta come il magic bullet: nel test di Terni, autorizzato dal Comando Logistico dell’Esercito, è stato fatto fuoco contro due blocchi di carne e il proiettile ne è uscito deformato. Non solo, ma se avesse centrato la testa del presidente il Carcano calibro 6.5 l’avrebbe passata da parte a parte: al contrario, non venne trovato foro d’uscita. Spiegazione degli esperti Usa? Il proiettile si è disintegrato. Possibile? A questo mondo tutto è possibile, ma a Terni sostengono come un fenomeno del genere «assai raro con le pallottole standard del Carcano» possa verificarsi se «i proiettili sono stati incisi da mani esperte». Allora, un secondo uomo. Accovacciato sotto un albero della grassy knoll, a 30 metri dal corteo presidenziale, avrebbe fatto fuoco lui e lo scempio sul corpo del presidente sarebbe compatibile con il tipo di proiettili rinvenuti.

E c’è un altro fatto singolare: da un documento del Sifar, come allora si chiamava il nostro servizio segreto militare, la commissione Warren avrebbe ricavato la convinzione che il Carcano modello 91/38 fosse un pezzo unico. Ma dagli archivi americani spunta un dispaccio inviato a Washington dagli agenti Cia a Roma secondo cui Giulio Andreotti, ministro della Difesa, commissionò al «Depatron Service» un rapporto sul Carcano di Dallas. E il documento conterrebbe notizie differenti da quelle sostenute nel rapporto Warren. L’informativa è siglata da William K. Harwey, capo della Cia in Italia, per anni cervello dell’Executive Action, creato a Langley per programmare l’eliminazione di leader stranieri: nella lista Trujillo, Lumumba, Fidel Castro. Evidentemente JFK non approvava tali sistemi e, pochi mesi prima dell’attentato, mister Harwey era stato «esiliato» a Roma.

Un altro punto non chiaro è come fosse finito nella mani di Oswald il fucile Carcano. Forse lui lo avrebbe raccontato, ma venne freddato da tale Jack Ruby, uno borderline col codice penale, morto più tardi, per malattia. Ma sì, in fondo «la verità esiste».


 

La Stampa 30-6-2007 Scandalo a Parigi, "Quella deputata è una puttana". Il fedele di Sarko insulta la rivale dopo le elezioni CARLA RESCHIA

PARIGI
E pensare che il suo presidente, Nicholas Sarkozy, sempre così charmant con il gentil sesso, ha appena chiamato a compiti di governo Fadela Amara, fondatrice del movimento «Ni putes ni soumises». In verità Patrick Devedjian, segretario generale delegato dell’Ump, alla signora Anne-Marie Comparini non ha nemmeno detto pute, che sarebbe francese da vocabolario, ma l’ha chiamata salope. Il significato cambia poco, forse appena meno sessuale e molto più sprezzante. Tuttavia, il termine tradisce una imbarazzante dimestichezza con gerghi assai poco istituzionali. Più adatti a una serata al bar fra uomini soli che all’arrivo dei nuovi deputati di Lione all’Assemblea nazionale.
Certo non immaginava Patrick di essere ripreso in tempo reale dalle telecamere di Tlm, una tv privata lionese, quando si è felicitato a modo suo con il collega Michel Havard, diventato neo parlamentare dell’Ump dopo aver battuto, appunto, la suddetta «salope» alle legislative. Lei, esponente del Movimento democratico e assai poco «pute» in realtà, essendo stata fra i pochissimi rimasti fedeli all’astro tramontato di Bayrou dopo la fuga di massa verso l’Ump, l’ha presa maluccio. Poi l’ha buttata, saggiamente, in politica: «Come si può, nel nostro Paese, creare la cultura del dibattito, se si parla così di chi difende valori diversi».
Lo scandalo, acceso dal filmato prontamente diffuso dalla tv e propagato dai siti internet, è divampato. Segolene Royal ne ha subito approfittato per una telefonata di solidarietà all’offesa da donna a donna, il caso è montato Alla fine, a Sarkozy è toccato usare parole dure per l’avvocato Patrick Devidjan, uno dei suoi, un fedelissimo, al governo con lui dal 2002. «Non è questo un modo di parlare nè alle donne, nè a nessun altro», ha scandito. Precisando che, però, il colpevole si era scusato. In effetti, Patrick si è scusato. Ripetutamente. Con la Comparini - rinnovandole «tutta la sua stima e la sua amicizia» -, con la Francia, con il mondo. «Non sono maschilista», ha assicurato ai giornalisti, riservandosi tuttavia una frecciata contro «le immagini rubate durante una conversazione privata».
Non lo scusa il ministro della Giustizia, Rachida Dati. «È intollerabile che si possa qualificare così una donna, politica o no», ha detto, non escludendo del tutto l’ipotesi di un provvedimento nei suoi confronti. A proposito. Proprio Rachida è stata all’origine del primo dissapore sorto, dopo anni di idillio, fra Patrick e Nicholas. Perché al ministero ci voleva andare lui, ma Sarkozy, che di certo non è maschilista, gli ha preferito la sua ex portavoce. Forse accendendo la scintilla di quell’esasperazione che, di lì a poco, gli sarebbe stata fatale?


 

Il Giornale 1-7-2007 Sessant'anni di persecuzioni e clandestinità

 

Roma La comunità cattolica cinese ha sofferto una prima persecuzione negli anni '50, con l'espulsione dei vescovi e dei missionari stranieri, l'imprigionamento di quasi tutti gli ecclesiastici e dei responsabili dei vari movimenti di laici, la chiusura delle chiese e l'isolamento dei fedeli. Risale alla fine degli anni '50 la creazione degli organismi statali quali l'Ufficio per gli Affari Religiosi e l'Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi, con lo scopo di guidare e "controllare" ogni attività religiosa. Nel 1958 avvennero le prime due ordinazioni episcopali senza il mandato papale. Nel decennio 1966-1976, la "rivoluzione culturale" coinvolse violentemente la comunità cattolica, colpendo anche quei vescovi, sacerdoti e fedeli laici che si erano dimostrati più disponibili verso le autorità governative. Negli anni '80, con le aperture di Deng Xiaoping, ha avuto inizio un periodo di tolleranza religiosa con qualche possibilità di movimento e di dialogo, che ha permesso la riapertura di chiese, seminari e case religiose, e una certa ripresa della vita comunitaria. Ancora una volta, il sangue dei martiri era stato seme di nuovi cristiani: la fede era rimasta viva nelle comunità. Il nuovo clima non mancherà, però, di suscitare diverse reazioni all'interno della comunità cattolica. Alcuni vescovi, non "volendo sottostare a un indebito controllo" da parte dello Stato, hanno dato vita a comunità clandestine e si sono fatti consacrare di nascosto per garantire la trasmissione della fede e dei sacramenti. Il Papa nella lettera spiega che la clandestinità "non rientra nella normalità della vita della Chiesa" e auspica quindi che questi vescovi siano riconosciuti. Sono quindi subentrate divisioni e tensioni tra le comunità clandestine e quelle ufficiali, che avevano accettato il riconoscimento e il controllo statale. Un dato significativo è quello dei numeri: i cattolici nel 1948 erano più di tre milioni. Oggi sono stimati tra gli otto e i dodici milioni.