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“Più dei tanti che tumultuano, i tiranni temono i pochi che pensano”.

(Platone)

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di    Mauro Novelli

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Federico  Novelli

RIFLESSIONI. INDICE PER ANNO

 

 

RIFLESSIONI 2025

RIFLESSIONI 2024    

RIFLESSIONI 2023

RIFLESSIONI 2022

 

 

 

Monogramma Tric.  RIFLESSIONI 2025   I N D I C E

 

NB: Riflessioni sull’ I.A.:  n° 74 (16-5-2023); n° 81 (19-6-2023); n° 99 (15-2-2024); n° 119 (6-1-2025); n° 120 (17-1-2025);  n° 125  (29-1-2025)

 

 

Riflessione n° 138 (23-3-2025). Manifesto di Ventotene e non solo: “Contestualizzare, compagni!. La nuova generazione progressista non regge per incultura. In campo gli agit prop d’antan: i vecchietti Prodi, Fassino, Amato, Bertinotti, Veltroni, D’Alema

Riflessione n° 137 (21-3-2025) Il Manifesto di Ventotene, il PCI, Spinelli, Togliatti, Il Partito Radicale, Rossi, Pannella. Alcune veloci riflessioni. Seguono valutazioni di Ernesto Galli della Loggia (2014)

Riflessione n° 136 (15-3-2025). UE. Forza armata comune ed autonoma, mantenendo eserciti nazionali

Riflessione n° 135 (12-3-2025) Riprendo Machiavelli per arrivare – velocemente – a Trump.

Riflessione n° 134 (1-3-2025). Se Trump trascura alcuni valori dell’Occidente, innesca la decadenza degli USA.

Riflessione n° 133 (27-2-2025)  Finanziamenti all’Ucraina. Ho chiesto a 5 sistemi di IA

Riflessione n° 132 (24-2-2025) Il gatto, il cane e il padrone coglione. E chi ci capita.

Riflessione n° 131  (15-2-2025) La UE: da mercato fornitore di domanda,  a entità politica? Draghi bacchetta Bruxelles.

Riflessione n° 130   (12-2-2025). Da cittadino consumatore a cittadino attore.  

Riflessione n° 129   (12-2-2025). Civiltà araba tra cervello e muscoli. 

Riflessione n° 128   (8-2-2025) Organismi sovranazionali (ONU, CPI ecc.) in via di estinzione?

Riflessione n° 127   (5-2-2025)  Vicenda Almasri. Le considerazioni di Nordio in Parlamento. Illuminanti! Anche in merito all’operato dei giudici (due su tre) della CPI dell’Aia. Ho chiesto un parere tecnico a Chat GPT

Riflessione n° 126   (30-1-2025).  Vicenda Almasri. Oltre che acefala, si scopre una sinistra italiana inesistente, quindi pericolosa.

Riflessione n° 125   (29-1-2025) Si parla della censura sulla IA cinese di DeepSeek. Riporto quanto mi è accaduto interrogando Chat GPT sulla grazia concessa da Biden a suoi familiari.

Riflessione n° 124   (28-1-2025) I problemi della Lega: soffre la continua riduzione analitica alla localizzazione,  anche di problemi con valenze internazionali

Riflessione n° 123   (25-1-2025) Per i presidenti USA, la “deportation” è attività di routine. Ecco che cosa è successo negli ultimi 100 anni.

·   AGGIORNAMENTO del 27-1-2025 alla Riflessione n° 123 del 25-1-2025. 

Riflessione n° 122 (22-1-2025) I dazi e gli altri interventi annunciati: la clava (mediatica, perché senza tempistica) di Trump. Almeno per il momento.

Riflessione n° 121 (21-1-2025) Assalto al saluto romano di Musk: in mancanza di argomenti….. Toccò, 60 anni fa,  anche al prof.  Carlo Della Valle, di Scienze Politiche….

Riflessione n° 120 (17-1-2025) Dialogo tra Novus e l’Intelligenza Artificiale di Chat GPT

Riflessione n° 119 (6-1-2025) Intelligenza artificiale. Limiti e vantaggi. Considerazioni di un non addetto ai lavori.  

Riflessione n° 118 (2-1-2025)  Educazione dei giovani e ruolo delle gerarchie familiari, sociali e politiche

 

 

RIFLESSIONI 2025

 

 

Monogramma Tric.

Riflessione n° 138 (23-3-2025)

Manifesto di Ventotene e non solo:  “Contestualizzare (*), compagni!

 La nuova generazione progressista non regge per incultura.

In campo gli agit prop d’antan: i vecchietti Prodi, Fassino, Amato, Bertinotti, Veltroni, D’Alema

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Il (sempre più) vecchio zoccolo duro progressista vorrebbe dare una mano ai giovanotti disorientati, scarsofacenti e afoni. Specie nella polemica sul Manifesto di Ventotene, che quasi nessuno di loro ha letto.

Il santino con immaginetta spinelliana del Manifesto di Ventotene (uno dei pochi rimasti) va, secondo l’RSA del PD, comunque salvaguardato. Parola d’ordine di fronte alle critiche politiche della destra del terzo millennio: contestualizzare gli strumenti individuati da  Spinelli (Rossi dovette accodarsi). Dal  ruolo di avanguardia dittatoriale dal partito  rivoluzionario, come strumento politico operativo; ai pesanti interventi di stampo sovietico in materia di proprietà privata, come strumento economico d’impronta della nuova società nella federazione europea.

Il tentativo di "contestualizzare" certe posizioni tardo socialrivoluzionarie del Manifesto di Ventotene, è una strategia comune tra coloro che vogliono difendere l’eredità storica del federalismo europeo senza affrontarne le contraddizioni. Oltretutto, si possono “contestualizzare” giudizi, opinioni, valutazioni, analisi, ma non gli strumenti di realizzazione di un progetto politico ben articolato. Tuttavia, pur volendo procedere ad una contestualizzazione onesta, non ci si può limitare a considerazioni benevolenti con operazione puramente apologetica: è necessario riconoscere che il progetto di Spinelli, per come venne concepito negli anni ’40, aveva elementi fortemente illiberali e, dal 1948, inaccettabili.

I pensatori progressisti d’oggidì, chiamati a far fronte alle critiche, si limitano a sostenere: “Che cosa si poteva proporre, in piena guerra, da uomini ridotti al confino per realizzare l’Europa federale?”, come se esistessero solo nazionalismi,  fascismo e comunismo leninista. La democrazia USA era in vita da oltre 160 anni; le monarchie parlamentari erano anch’esse centenarie, ecc.

 

Ricapitoliamo gli strumenti politici individuati da Spinelli e accettati da Rossi.

 

Il nodo della "dittatura del partito trainante"

Spinelli e Rossi ritenevano che la costruzione di un’Europa unita richiedesse una fase di transizione autoritaria, in cui un partito rivoluzionario avrebbe dovuto guidare il processo per impedire il ritorno dei vecchi nazionalismi. Questo approccio non era una semplice "contestualizzazione" dovuta alla guerra ed ai vincoli intellettuali dovuti al confino, ma rispecchiava una visione tipica di molte élite rivoluzionarie del XX secolo: il cambiamento radicale doveva essere imposto da un’avanguardia illuminata, anche contro le decisioni dei cittadini.

Oggi questa impostazione appare chiaramente incompatibile con i principi democratici e di difficile contestualizzazione. Molti di coloro che hanno letto il Manifesto preferiscono sorvolare su questo strumento leninista.

Gli Interventi sulla proprietà privata

Anche l’idea di un forte intervento sulla proprietà privata, con nazionalizzazioni e piani economici centralizzati, rifletteva la cultura politica dell’epoca. Negli anni ’40, l’alternativa al capitalismo era vista quasi esclusivamente nel socialismo di Stato o in forme di economia pianificata. Ma allora, se si giustifica questo aspetto del Manifesto come da "contestualizzare", bisognerebbe ampliare la contestualizzazione anche al sistema leninista dei soviet ed al dirigismo economico dell’Unione Sovietica o, perché no? alle politiche nazional autarchiche fasciste ed al ruolo dei fasci rivoluzionari quale partito trainante. Eppure, non ho mai sentito far paragoni simili da  chi difende Spinelli (praticamente annullato dalla nomenklatura del PCI degli anni ’50) né suggerire, per completezza di analisi, simili parallelismi.

Conclusione

Una corretta contestualizzazione non deve essere un'operazione selettiva volta a giustificare certe derive, ma un'analisi critica del pensiero di Spinelli e dei suoi limiti. Il Manifesto di Ventotene è stato un documento fondamentale per il pensiero federalista europeo, ma non sul versante degli strumenti politici per la sua realizzazione: le soluzioni politiche erano autoritarie allora e oggi – se conosciute e ben comprese - non sarebbero accettabili. Il problema è che la narrazione dominante presenta l’opera come un documento "profetico" e privo di difetti, mentre meriterebbe una riflessione più onesta e meno ideologica. Magari anche alla luce dei comportamenti socio-politici riconosciuti e tenuti dai due estensori negli anni successivi.

Va notato che, proprio la risoluta e astiosa tenacia dei sostenitori del Manifesto nel considerarlo santino fondamentale della loro cappellina di partito ne sta mettendo in luce aspetti che molti dei fedeli non avevano individuato, forse perché neanche mai letta l’opera integrale.

 

Lunedì 24 marzo, alle ore 21:30, su Quarta Repubblica, Porro manderà in onda il video di un Prodi – sfuggito ai badanti dell’RSA – che “questiona da anziano astioso” con una giornalista che aveva osato porre il problema dei sistemi realizzativi individuati da Spinelli nel Manifesto.

Mi auguro di poterlo pubblicare su questo sito.

 

(*) Ricordo la funzione salvifica del processo di contestualizzazione. Una quindicina di anni fa, Berlusconi raccontava  l’ennesima barzelletta. L’historiette prevedeva una esclamazione che Berlusca trasformò in bestemmia. Coinvolto sulla vicenda, Monsignor Fisichella assolse Berlusconi sostenendo che “la bestemmia andava contestualizzata!”.

Monogramma Tric.

Riflessione n° 137 (21-3-2025)

Il Manifesto di Ventotene, il PCI, Spinelli, Togliatti, Il Partito Radicale, Rossi, Pannella.

Alcune veloci riflessioni.

Seguono valutazioni di Ernesto Galli della Loggia (2014)

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Il Partito Comunista Italiano (PCI) e Palmiro Togliatti non nutrivano grande simpatia per il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi. Le ragioni di questa diffidenza erano sia ideologiche sia strategiche.

1. Diffidenza ideologica: l'internazionalismo marxista contro il federalismo europeo

Il Manifesto di Ventotene proponeva un'Europa federale come risposta al nazionalismo e alle guerre, sostenendo che la costruzione di uno Stato federale europeo fosse il primo passo per superare gli Stati nazionali. Questo approccio era visto con scetticismo dal PCI, che restava ancorato all'internazionalismo marxista e alla lotta di classe

2. L'influenza sovietica e la "questione nazionale"

Togliatti, rientrato in Italia nel 1944 con la Svolta di Salerno, adottò una linea politica pragmatica: il PCI doveva integrarsi nel sistema democratico italiano e guadagnare consenso nelle istituzioni. In questo contesto, l'idea di un'Europa federale non era una priorità per il PCI, che puntava piuttosto a rafforzare il proprio peso politico in Italia e nei rapporti con l'Unione Sovietica.

Mosca vedeva con sospetto qualsiasi progetto di unificazione europea non sotto la sua influenza, temendo che potesse servire a contrastare l'espansione sovietica nel dopoguerra. Il PCI, fedele alla linea sovietica, si adeguò a questa visione, osteggiando l'integrazione europea, specialmente nel contesto della nascita della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA) del MEC poi della CEE, viste come strumenti dell'imperialismo occidentale e ostacolo all’internazionalismo comunista.

Spinelli e  Rossi [che nel dopoguerra mantenne il suo impegno federalista, ma con un approccio più pragmatico e critico rispetto all’utopismo iniziale del Manifesto di Ventotene]. immaginavano un'Europa post-bellica in cui la borghesia e il capitalismo venissero superati attraverso una transizione rivoluzionaria. Nel testo si parla esplicitamente della necessità di abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione e di instaurare un regime transitorio con una "dittatura del partito rivoluzionario", che avrebbe dovuto garantire l'attuazione delle riforme necessarie per costruire una società socialista.

Anche se il Manifesto parlava di socialismo e rivoluzione, il PCI non lo considerava un progetto compatibile con la propria linea politica. Le ragioni erano:

·      L’alleanza con l’URSS: il PCI seguiva la linea di Mosca, che non vedeva di buon occhio un’Europa federale indipendente.

·      La diffidenza verso Spinelli: il suo progetto era rivoluzionario, ma non comunista in senso marxista-leninista, e soprattutto rifiutava il modello sovietico.

·      Il ruolo degli Stati nazionali: il PCI vedeva l’Italia come un paese chiave per la rivoluzione socialista, mentre il Manifesto proponeva un superamento degli Stati, cosa che avrebbe tolto potere ai partiti nazionali.

Quindi, anche se il Manifesto parlava di dittatura del partito rivoluzionario e di socialismo, il PCI non poteva accettarlo perché non si allineava con l’ideologia sovietica e con la strategia del partito in Italia. In questo senso, il PCI lo considerava un progetto "eretico" rispetto all’ortodossia comunista.

3. Il PCI e l’eresia borghese del federalismo.

Il PCI considerava il federalismo europeo una prospettiva troppo legata a correnti liberal-socialiste e borghesi, che non mettevano in discussione i fondamenti del capitalismo. Mentre il Manifesto di Ventotene auspicava un'Europa costruita su basi socialiste, il PCI restava ancorato alla visione della lotta di classe e alla centralità dello Stato nazionale come strumento di trasformazione sociale.

4. Spinelli, un sopportato nel PCI

Altiero Spinelli, che in gioventù era stato vicino al comunismo, si allontanò progressivamente dal marxismo ortodosso e dal PCI, fino a diventare un forte critico sia del capitalismo americano che del socialismo sovietico. Negli anni successivi, come europarlamentare e promotore dell'integrazione europea, si scontrò più volte con la sinistra comunista italiana, che continuava a vedere con sospetto il processo di unificazione europea.

5) Rossi, un ispiratore per i radicali.

Se Spinelli fu emarginato nel PCI,  Ernesto Rossi, pur non avendo un ruolo diretto nel Partito Radicale fondato nel 1955, fu un'importante fonte di ispirazione per i radicali, in particolare per Marco Pannella.

Il Partito Radicale portò avanti molte idee di Ernesto Rossi, in particolare sul liberalismo, sul laicismo e l’anticlericalismo, sul federalismo europeo, sulla democrazia interna al partito. Dopo la sua morte nel 1967, i radicali ne ne continuarono molte battaglie.

 

In conclusione, il PCI e Togliatti non condividevano la visione del Manifesto di Ventotene perché la ritenevano troppo distante dalla loro strategia politica e dall'influenza sovietica. La loro priorità era il rafforzamento del PCI in Italia e il mantenimento dei legami con l'URSS, mentre il federalismo europeo era visto come un progetto borghese e incompatibile con la lotta di classe e di ostacolo alla presa del potere da parte dei partiti comunisti nazionali. Per questo motivo, il PCI fu, almeno inizialmente, contrario all'integrazione europea e non appoggiò le idee di Spinelli.

Al contrario,  per i Radicali e Marco Pannella, il Manifesto di Ventotene era un documento essenziale, visionario e ispiratore, ma la sua piena attuazione richiedeva un impegno continuo e una trasformazione radicale delle istituzioni, affinché l’Europa potesse abbracciare completamente quei valori di libertà, democrazia e unità perché i suoi paesi  potessero trasformarsi in Stati Uniti d’Europa.

Personalmente definisco il Manifesto di Ventotene un documento tanto anticipatore e mobilitante negli obiettivi (Rossi) quanto datato e inaccettabile negli strumenti e nei mezzi individuati (nel 1941) per raggiungere quegli obiettivi (Spinelli). Peccato che sia stati trasformato in santino miracoloso, con l’immaginetta di Spinelli ed il testo sul retro, dai parroci della nomenclatura (non sono più in circolazione i “maestri della chiesa”), ben sapendo che nessuno dei gonzi l’avrebbe mai letto. Pronti comunque ad essere mobilitati contro gli infedeli sacrileghi iconoclasti.

 

Monogramma Tric.

Riflessione n° 136 (15-3-2025)

UE. Forza armata comune ed autonoma, mantenendo eserciti nazionali

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L’IDEA.

Se riuscissimo ad essere all’altezza, potremmo tagliare in due il problema: 1) creare un nucleo europeo di esercito continentale con linee di comando e controllo del tutto autonome rispetto ai governi nazionali e con entità di riferimento sul tipo di un Consiglio di guerra europeo. La forza verrebbe annualmente incrementata in funzione delle esigenze anche dei sistemi d'arma e di altre variabili. 2) Lasciare in vita l'altra metà degli eserciti nazionali con linee di comando come le attuali. Molti ns. generali si sono espressi contro l'affidamento delle nostra FFAA a comandi centrali. Per questo si manterrebbero forze nazionali gestite dalle strutture militari esistenti. Certamente occorreranno misure di coordinamento, ma credo che questo sia il modo di procedere.

Riflettiamo: siamo proprio sicuri che le difficoltà da affrontare siano quasi insuperabili?  Prendiamo esempio dal pragmatismo dei “banchieri”, in grado di valutare l’utilità economica e di settore di progetti che sembrano scardinare l’ordine costituito. Hanno capito che, rinunciando a tradizionali posizioni di rendita,  la creazione di una moneta comune e di una banca centrale di rango superiore alle banche centrali nazionali, sarebbero state iniziative vincenti,  portatrici  di utili e di nuovo potere – non solo di settore - in ambito UE.

Risultato: creazione della BCE e dell’euro. Detto, pensato, approfondito e fatto.

La cosa si deve necessariamente approfondire. Emergono, infatti, vari, serie  questioni.

 

A)  PROBLEMI.

1.  Autonomia del comando europeo:

o   Un Consiglio di guerra europeo dovrebbe avere un’autorità indipendente e decisionale. Ma chi lo controllerebbe politicamente? La Commissione UE, il Consiglio europeo, un organo nuovo?

o   La catena di comando autonoma rischierebbe di entrare in contrasto con le politiche nazionali e con la NATO.

2.  Ruolo e finanziamento:

o   L’esercito comune avrebbe un orizzonte necessariamente proiettato al di fuori della Ue, sugli scacchieri geopolitici internazionali.

o   La forza comune necessiterebbe di un bilancio comune, il che implica contributi obbligatori dagli Stati membri. Valutare i meccanismi di formazione della volontà e i criteri di ripartizione?

o   Un aggiornamento continuo dei sistemi d’arma implicherebbe una politica industriale comune della difesa e in materia di ricerca, in cui oggi vi sono forti divergenze tra Francia, Germania e Italia.

3.  Eserciti nazionali paralleli:

o   Gli eserciti nazionali restano indipendenti, con definizione precisa di ruoli e mansioni. Come potrebbero definirsi ambiti, modalità e campi  di intervento in eventuali missioni missioni autonome o parallele rispetto all’esercito europeo?

o   La duplicazione di strutture potrebbe ridurre l’efficienza complessiva, a meno che non si stabilisca una chiara ripartizione dei ruoli (ad esempio, difesa del territorio per gli eserciti nazionali e proiezione esterna per la forza comune).

4.  Problemi politici e sovranità:

o   La creazione di una forza autonoma richiede una forte volontà politica e trattati vincolanti tra gli Stati. Alcuni Paesi, come (Polonia? Ungheria? Francia?), potrebbero opporsi a cedere potere decisionale su questioni militari.

o   In Francia e Italia, molti generali si oppongono a un comando europeo che li priverebbe di controllo diretto sulle FFAA. Come convincere le élite militari nazionali?

 

B)  UN PROGETTO PER GRANDI LINEE

 

·     Modello di esercito europeo a doppia struttura

Forza continentale comune  integrata: struttura, comando, missioni, finanziamento.

Gestione della forza nucleare della Francia. Problema enorme.

Eserciti nazionali autonomi: funzioni, coordinamento con la forza europea, interoperabilità.

Ruoli NATO e UE: possibili sovrapposizioni e differenziazione.

·     Governance e comando:

Creazione di un Consiglio di guerra europeo e definizione della sua autorità.

Linee di comando e rapporti con i governi nazionali.

·     Modello di finanziamento e industria della difesa:

Fondo europeo per la difesa: modalità di contribuzione e gestione.

Integrazione dei complessi militari-industriali nazionali anche di ricerca.

 

C)  PROPOSTA OPERATIVA PER LA CREAZIONE DI UN ESERCITO EUROPEO A DOPPIA STRUTTURA

 

C.1) Struttura Generale

L’iniziativa prevede la creazione di un esercito europeo articolato in due componenti principali:

Forza Integrata comune: un’unità militare autonoma, con una catena di comando europea e un’operatività sovranazionale.

Logistica del tutto autonoma e ben distinta dalle forze armate nazionali.

Eserciti Nazionali: mantengono l’attuale struttura e catena di comando, con funzione principale di difesa territoriale.

 

C.2) Governance e Comando

Consiglio di Guerra Europeo: organismo indipendente con rappresentanza proporzionale degli Stati membri, incaricato della pianificazione strategica.

Comando Operativo Europeo: unità di comando con sede centrale, responsabile dell’impiego della Forza armata comune e della sua interoperabilità con gli eserciti nazionali.

Rapporto con la NATO: coordinamento strategico senza sovrapposizioni operative.

 

C.3) Organizzazione della Forza Integrata comune

Composizione: inizialmente un nucleo  per ciascuno dei principali Stati membri, con ampliamento progressivo.

Ruoli: proiezione esterna, risposta alle crisi, deterrenza avanzata.

Formazione e Standardizzazione: addestramento comune e utilizzo di sistemi d’arma interoperabili.

E’ sempre presente il problema della gestione della forza nucleare francese

 

C.4) Finanziamento e Industria della Difesa

Bilancio Europeo della Difesa: contribuzione obbligatoria degli Stati membri in base al PIL e al livello di partecipazione.

Acquisti e Ricerca: centralizzazione degli investimenti per evitare duplicazioni e rafforzare l’industria europea.

Sviluppo di Capacità: priorità a progetti europei come caccia, mezzi corazzati, lanciatori  unità navali.

 

C.5) Coordinamento con gli Eserciti Nazionali

Interoperabilità: programmi di addestramento congiunti e sistemi di comunicazione integrati.

Ruoli Specifici: gli eserciti nazionali mantengono la difesa territoriale e supportano l’esercito europeo in operazioni congiunte.

Unità di Riserva Europea: creazione di forze di riserva integrate per supportare entrambe le strutture.

 

D) Implementazione progressiva

Si procede necessariamente per fasi: Fase 1: istituzione delle prime unità integrate. Fase 2 : espansione delle forze, piena interoperabilità con gli eserciti nazioneli. Fase 3: Capacità operativa e  indipendenza strategica rafforzata.

 

E)  Ostacoli

Resistenze politiche: utilizzo della cooperazione rafforzata per coinvolgere solo gli Stati disponibili.

Opposizione delle élite militari: garanzia di ruoli chiari per gli eserciti nazionali e coordinamento stretto con i comandi nazionali.

Equilibrio con la NATO: affiancamento e non innesto di un corpo estraneo forzato  nell’Alleanza Atlantica.

 

Conclusione

Questo modello consente di rafforzare la difesa europea senza compromettere la (ancora gelosa)  sovranità nazionale, garantendo una capacità militare integrata e competitiva. La sua attuazione graduale permette di minimizzare i rischi politici e operativi, costruendo un’Europa della difesa più coesa ed efficace.

L’alternativa ad un esercito comune europeo non può che riguardare la  cooperazione rafforzata tra alcuni Stati, partenariati bilaterali (ad es. Francia-Germania, Italia-Spagna). Ma i problemi di gestione, di rapporti, di operatività restano esattamente gli stessi che si dovrebbero affrontare con la creazione di un esercito comune europeo. Con gli stessi problemi di  individuazione delle strategie per superare le resistenze di alcuni stati membri.

Tanto vale pensarla alla grande.

 

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Riflessione n° 135 (12-3-2025)

Riprendo Machiavelli per arrivare – velocemente – a Trump.

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Machiavelli, nel Principe, sostiene che per un sovrano è meglio essere temuto che amato, se non può essere entrambe le cose, perché la paura è un sentimento più stabile e duraturo rispetto all'amore, che è volubile e dipende dalla gratitudine e dalla lealtà dei sudditi, non sempre cristalline. Tuttavia, precisa che il timore non deve mai trasformarsi in odio, perché questo potrebbe portare alla ribellione.

La sua visione è fortemente pragmatica e si basa sull'osservazione della natura umana e della politica del suo tempo. Nell'ottica di Machiavelli, la politica non è guidata da princìpi morali assoluti, ma dalla necessità di mantenere il potere e garantire la stabilità dello Stato. Ed il Principe, opera in concorrenza con paesi in cui dominano altri Principi.

Oggi, in un contesto democratico, questa logica può essere applicata in modo diverso: il timore può tradursi in rispetto dell'autorità e della capacità decisionale, ma senza il consenso popolare e la fiducia, un leader rischia di perdere il suo potere nel lungo periodo. Tuttavia, in scenari autoritari o in situazioni di crisi, l'uso del timore può ancora rivelarsi efficace.

In un'ottica personale, oggi,  il Principe potrebbe essere più incline al timore da parte dei suoi sudditi, ma credo sia di gran lunga superiore l'essere stimato (cosa diversa dall'essere amato) piuttosto che l'essere temuto.

Essere stimati è diverso dall’essere amati e può avere un valore più duraturo rispetto al semplice timore. La stima si basa su competenza, autorevolezza, apprezzamento della qualità delle decisioni e coerenza, mentre il timore è spesso legato alla coercizione o alla forza, elementi che nel lungo periodo risultano umanamente molto costosi e possono generare risentimento o ribellione, che non sempre si mantengono sottotraccia.

Machiavelli fu molto mal considerato dai dotti suoi contemporanei: La chiesa cattolica lo accusò di  paganesimo, ateismo, empietà. Dagli avversari politici fu tacciato di cinismo, spietatezza, crudeltà e calcolo. Il fiorentino, scriveva in un contesto in cui la stabilità del potere era spesso minacciata da congiure e tradimenti, quindi la sua preferenza per il timore aveva una logica contingente. Ma se guardiamo alla politica moderna e alla leadership in generale, i leader più efficaci sono quelli che riescono a farsi rispettare e stimare, piuttosto che quelli che governano con il pugno di ferro.

Oggi, credo che tutto dipenda dalla collocazione internazionale del paese in cui governa il Principe. In un mondo libero, come – in genere – l’Occidente, il timore è addirittura controproducente e, alla prima mossa falsa o incertezza del Principe, costui si ritroverebbe del tutto squalificato se non addirittura defenestrato. Se invece il paese del Principe è in un mondo in cui dominano assetti autarchici, può anche puntare sul timore che però porterebbe i “sudditi” a far coincidere la sua fine come la fine della paura.

Il contesto internazionale, quindi, gioca un ruolo cruciale sia nell’interrogare ancora Machiavelli che  nella modalità con cui un leader esercita il potere. In un sistema aperto e interconnesso, dove l’opinione pubblica, i media e le istituzioni democratiche hanno peso, governare col timore è spesso insostenibile. Un leader che basa il proprio potere sulla coercizione rischia di essere rapidamente messo in discussione alla prima debolezza.

Al contrario, in un sistema autarchico o isolato, dove il controllo delle informazioni e la repressione sono più “comuni” e facili da esercitare, il timore può essere un mezzo efficace per accettare quelle repressioni e mantenere il potere. Tuttavia, questo stato di cose crea un legame tra il destino del leader e quello della paura stessa: se il Principe autocrate non ha ben pensato e organizzato la successione, alla sua caduta, il popolo potrebbe vedere la sua fine come una liberazione, aprendo la strada a rivolte e/o a un cambio radicale del sistema.

Quindi, potremmo dire che la scelta tra essere temuti, stimati o amati dipende non solo dalla volontà del singolo leader, ma anche dalle condizioni strutturali sociopolitiche del sistema in cui opera.

Possiamo tradurre questi concetti ed applicarli a situazioni concrete.

Ad esempio, Trump è amato da metà degli americani e disistimato o temuto dall'altra metà. Ma della posizione interna poca si interessa. A Trump interessa più l'essere temuto dagli altri Principi (canadese, danese, russo), essendo il Principe più potente. Quindi, l’ottica si sposta dal rapporto tra il leader e il popolo al rapporto tra il leader e gli altri leader, un aspetto che, per tornare al nostro, Machiavelli stesso avrebbe trovato cruciale. Trump, più che concentrarsi sulla coesione interna dove, salvo grosse cazzate, per legge godrà di quattro anni di potere, è amato da una parte e odiato dall’altra,  ha puntato molto sulla proiezione esterna della sua forza, ritenendo molto utile l’ essere temuto dagli altri Principi operanti  sulla scena globale. Ed credo che sia certo di potersi fermare prima di esondare verso l’odio o il non poterne più da parte degli altri Principi.

La sua dottrina, riassumibile nello slogan esplicito “America First” e implicito “Donald first”, ha privilegiato il concetto di deterrenza e imprevedibilità, spesso utilizzando il linguaggio della minaccia (sia economico/finanziaria che militare) per ottenere vantaggi negoziali. Ha imposto dazi alla Cina, ha minacciato di uscire dalla NATO se gli alleati non avessero aumentato la spesa per la difesa, ha “avvisato” l’Iran, minacciandolo di distruzione se dovesse venir ucciso, ha messo gli occhi su Canada e Groenlandia.  In questi casi, lusinga – magnificando ricchezze future - i cittadini americani, ma - parallelamente - cerca di imporsi ai leader stranieri come un attore anzi, il primattore che non esita a forzare le regole del gioco. Forzature permesse solo all’uomo più potente del mondo. Cioè, a the Donald. Il quale ritiene di potersi “fermare” in tempo, prima che le sue azioni declinino inesorabilmente e vengano manifestamente rifiutate.

Questa strategia può funzionare finché il Principe mantiene credibilità e potere effettivo, ma presenta rischi: se il timore si trasforma in odio o coagula scontenti crescenti contro di lui (oggi è facile coalizzare molte opinioni pubbliche, ad esempio,  contro l’Occidente), il risultato può essere opposto a quello sperato. Inoltre, se il Principe perde potere (ad esempio, non viene rieletto), o se il successore da lui designato non risulta all’altezza degli eventi, può trovarsi con un’eredità di ostilità difficile da gestire.In tal caso, l’era del Principe coincide con la parabola terrena dello stesso Principe.

 

Monogramma Tric.

Riflessione n° 134 (1-3-2025)

Se Trump trascura alcuni valori dell’Occidente, innesca la decadenza degli USA.

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Ieri sera abbiamo assistito ad una sorta di Studio Uno (chi ha i capelli bianchi sa di che parlo). C’è da capire se la sceneggiata era con copione predefinito (con lo zampino di Elon?) o se gli attori recitavano a braccio con evoluzione spontanea degli sviluppi e con risultati non predeterminati.

In ogni caso (predefinita o spontanea),  la sceneggiata recitata nello studio ovale ha permesso a  Zelensky di avere due notevoli risultati: 1) ha ottenuto (riottenuto) la promessa di assistenza da parte di tutti i paesi europei, compattati e decisi nell’affiancare l’Ucraina di fronte all'atteggiamento di Trump e di Putin e 2) se gli USA vorranno continuare ad essere i protagonisti nell' imporre la loro pace, dovranno abbassare le loro pretese ed obbligheranno Putin ad abbassare le sue.                                                                                                                             Però, ripeto, la tragicommedia era troppo ben organizzata in Mondovisione per non avere un secondo fine nascosto. Ed il secondo fine potrebbe essere proprio il ridimensionamento delle pretese di Putin. Anche con la minaccia di Trump di tirarsi via dai giochi e lasciare la Russia a vedersela da sola con gli europei.

Se, invece,  la sceneggiata trasmessa dallo studio ovale non è stata programmata, Trump ha sbagliato a trascurare uno dei valori portanti della civiltà occidentale: l’aspirazione alla libertà nazionale contro ogni imposizione autoritaria esterna. E la pièce dallo studio ovale ha, come risultato più eclatante, quello di mettere gli USA fuori dalle logiche democratiche dell’Occidente. Infatti, agli occhi degli Occidentali e non solo, la forzatura del presidente USA ha in tal modo promosso  Zelensky a paladino della libertà del suo paese, esempio per tutti, e retrocesso Putin (e se stesso) ad autocrati partoriti solo  dal potere militare dispiegabile dalle rispettive nazioni.

Trump non ha riflettuto sul fatto che l’Ucraina è stata per 70 anni sotto il tallone di Stalin fino al 1953 e, dal 2014, sotto quello, più umorale e meno grossolano, di Putin. E di Putin il presidente americano si fa alleato, quindi, complice.  Ne discende che l’Ucraina mal sopporta  il ritorno a gioghi  imposti dall’esterno.  Ne è risultata una serie di novità: Zelensky ha immediatamente recuperato sul livello di  gradimento personale presso i suoi concittadini ed in termini internazionali; la UE ha toccato con mano la propria inconsistenza geopolitica e, capita la lezione, cercherà di provvedere a superare quei problemi. In ogni caso, l’Europa si dimostra ancora una volta il miglior “ambiente” in cui vivere: per i principi dai quali la sua popolazione ha ottenuto un imprinting  insuperabile e ineludibile; per i suoi valori in grado di attrarre il pensiero favorevole di molti paesi del pianeta ed a far loro da esempio; per i suoi errori che ne fanno un aggregato di civiltà in evoluzione, impegnato – anche se faticosamente - a rigettare le negatività ed a valorizzare le positività. Comicia a capire che cosa “deve” fare da grande. Sosteneva Jean Monnet che: «L’Europa sarà forgiata dalle sue crisi e sarà la somma delle soluzioni trovate per risolvere tali crisi»

Se non è stata una scenetta da Studio Uno, con la sua forzatura incomprensibile,  Trump si è messo fuori dal perimetro della civiltà occidentale: se ritiene di poter gestire il più potente paese del mondo come se si trattasse di un’azienda che ha come unico obiettivo quello di abbattere i concorrenti, si esclude da solo dalle dinamiche e  dalle linee di tendenza democratiche della geopolitica dell’Occidente.

Ora, sia Trump che Zelensky hanno dovuto lasciare la palla all’Europa, perdendo improvvisamente di centralità. Certo,  Bruxelles avrebbe bisogno non della Van der Leyen e delle forze perdenti che la sorreggono, ma di ben altro e  Parigi e Londra (uniche potenze atomiche europee, vista la debolezza della UE, cercheranno di prendere la palla al balzo e, sbagliando ancora una volta, di gestire pro domo loro la vicenda, nel tentativo di  trascinarsi dietro gli altri paesi.

Bene ha fatto Giorgia Meloni a cercare di riordinare l’Occidente (https://media.licdn.com/dms/image/v2/D4D22AQGWf1sS-OcabQ/feedshare-shrink_2048_1536/B4DZVOp1yXHAAo-/0/1740781351655?e=1743638400&v=beta&t=hANsGQNeKKw74JoAiJABXIPIceTaotaN4mNVn308w1k)  chiedendo un incontro tra tutti i paesi occidentali per ricomporre la frattura. Non credo che l’amor proprio di Trump farà accettare agli USA l’iniziativa italiana. Ma, se non assecondasse il nostro governo , non gli resterebbe che aizzare Putin contro Zelensky. Sarebbe la fine delle alleanze occidentali, a cominciare dalla Nato, e dello stesso Occidente.  A meno che Kiev non obblighi Zelensky ad una scena madre di pentimento e di sottomissione agli USA, magari  da mandare in onda, anche stavolta, dallo studio ovale.

Con l’accortezza di affidare la regia ad Antonello Falqui, per evitare nuovi passi falsi.

Monogramma Tric.

Riflessione n° 133 (27-2-2025)

Finanziamenti all’Ucraina. Ho chiesto a 5 sistemi di IA

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Visto che l’argomento dei finanziamenti mondiali all’Ucraina non trova risposte univoche da parte dei singoli stati, ho chiesto a 5 sistemi di IA di rispondere al quesito, sia in merito ai finanziamenti USA sia a quelli dei paesi Europei.

Ecco le risposte, anch’esse non univoche:

 

MN/CHAT GPT

A) Hai detto: Quanti miliardi di dollari hanno ceduto gli USA all'Ucraina

 

ChatGPT ha detto:

Fino a febbraio 2025, gli Stati Uniti hanno stanziato circa 175 miliardi di dollari in aiuti all'Ucraina dall'inizio dell'invasione russa nel 2022. Di questi, circa 120 miliardi sono stati destinati direttamente all'Ucraina, suddivisi in 67,3 miliardi per assistenza militare, 49 miliardi per supporto al bilancio governativo e 3,6 miliardi per aiuti umanitari.

Il Wall Street Journal

È importante notare che alcune dichiarazioni pubbliche hanno riportato cifre più elevate; ad esempio, l'ex presidente Donald Trump ha affermato che gli Stati Uniti avrebbero speso 350 miliardi di dollari per l'Ucraina. Tuttavia, queste cifre sono state smentite da fonti ufficiali e analisi indipendenti.

Fanpage

Inoltre, sebbene gli Stati Uniti siano il singolo maggior donatore, i paesi europei, collettivamente, hanno fornito un supporto diretto all'Ucraina superiore a quello degli Stati Uniti, con un totale di 138 miliardi di dollari.

Il Wall Street Journal

Recentemente, gli Stati Uniti e l'Ucraina hanno raggiunto un accordo in base al quale Kiev cederà una parte dei proventi derivanti dalle sue risorse minerarie agli Stati Uniti in cambio di ulteriori aiuti finanziari e militari. Tuttavia, la versione finale dell'accordo non include garanzie esplicite di sicurezza per l'Ucraina.

ilfoglio.it

In sintesi, gli Stati Uniti hanno fornito all'Ucraina circa 120 miliardi di dollari in aiuti diretti fino a febbraio 2025, con ulteriori fondi stanziati per attività correlate. Le cifre più elevate riportate in alcune dichiarazioni non trovano riscontro nei dati ufficiali.

 

B)  Quanti milioni di dollari hanno ceduto i paesi europei all'Ucraina?

ChatGPT ha detto:

Dall'inizio dell'invasione russa nel febbraio 2022 fino a novembre 2024, l'Unione Europea e i suoi Stati membri hanno mobilitato circa 124 miliardi di euro a sostegno dell'Ucraina.

Milano Finanza

Questa cifra comprende assistenza economica, militare e umanitaria, nonché fondi destinati alla ricostruzione del paese. In particolare, oltre 43,5 miliardi di euro sono stati destinati al sostegno militare, di cui 6,1 miliardi provenienti dal Meccanismo per la Pace europeo.

Eunews

È importante notare che queste cifre sono espresse in euro; convertendo l'importo totale in dollari statunitensi, utilizzando un tasso di cambio approssimativo di 1 euro = 1,10 dollari, si ottiene una somma di circa 136 miliardi di dollari.

 

MN/CLAUDE

A) Quanti miliardi di dollari hanno ceduto gli USA all'Ucraina

Dal 2022 all'ottobre 2024 (il mio limite di conoscenza), gli Stati Uniti hanno fornito all'Ucraina assistenza per un valore di circa 75-80 miliardi di dollari. Questo aiuto è stato distribuito attraverso diversi pacchetti e include:

·      Assistenza militare diretta

·      Supporto economico

·      Aiuti umanitari

·      Fondi per il funzionamento del governo ucraino

Nel giugno 2024, il Congresso aveva approvato un ulteriore pacchetto di aiuti di circa 61 miliardi di dollari dopo mesi di stallo, portando il totale a quella cifra.

Va notato che non ho informazioni su eventuali ulteriori aiuti che potrebbero essere stati stanziati o erogati dopo ottobre 2024.

 

B)  Quanti milioni di dollari hanno ceduto i paesi europei all'Ucraina?

Sulla base delle mie conoscenze che arrivano fino a ottobre 2024, i paesi europei (compresa l'Unione Europea come istituzione) hanno fornito complessivamente decine di miliardi di euro/dollari in aiuti all'Ucraina da quando è iniziato il conflitto con la Russia nel febbraio 2022.

Secondo il Kiel Institute for the World Economy, che mantiene un database chiamato "Ukraine Support Tracker", fino alla metà del 2024:

·      L'Unione Europea e i suoi stati membri avevano collettivamente impegnato oltre 100 miliardi di euro in aiuti all'Ucraina

·      Questa cifra include aiuti militari, finanziari e umanitari

·      Paesi come la Germania, il Regno Unito, la Polonia e i paesi baltici sono stati tra i maggiori donatori europei in proporzione alle dimensioni delle loro economie

Gli aiuti sono stati forniti in diverse forme:

·      Aiuti militari diretti (armi, munizioni, equipaggiamenti)

·      Sostegno finanziario al bilancio ucraino

·      Aiuti umanitari

·      Assistenza per i rifugiati

·      Programmi di ricostruzione

Le cifre esatte potrebbero essere diverse a febbraio 2025, poiché gli impegni di aiuto sono continuati e potrebbero essere stati rivisti dopo la mia conoscenza aggiornata.

 

MN/DEEPSEEK

A) Quanti miliardi di dollari hanno ceduto gli USA all'Ucraina

Gli Stati Uniti hanno fornito all'Ucraina miliardi di dollari in aiuti militari, economici e umanitari dall'inizio della crisi con la Russia, in particolare dopo l'invasione russa del febbraio 2022. Secondo i dati aggiornati a ottobre 2023, gli aiuti totali degli Stati Uniti all'Ucraina superano i 100 miliardi di dollari. Questi fondi includono:

1.  Aiuti militari: fornitura di armi, equipaggiamento, addestramento e intelligence.

2.  Aiuti economici: sostegno finanziario per stabilizzare l'economia ucraina.

3.  Aiuti umanitari: assistenza per i civili colpiti dal conflitto.

Per cifre precise e aggiornate, consiglio di consultare fonti ufficiali come il Dipartimento di Stato USA o il

 

B)  Quanti milioni di dollari hanno ceduto i paesi europei all'Ucraina?

I paesi europei e l'Unione Europea (UE) hanno fornito miliardi di dollari in aiuti finanziari, militari e umanitari all'Ucraina, soprattutto a partire dall'invasione russa del febbraio 2022. Tuttavia, non esiste una cifra esatta e unica, poiché gli aiuti vengono erogati in modo continuativo e da diverse fonti, tra cui singoli stati membri dell'UE e istituzioni europee come la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).

Fino a ottobre 2023, l'UE e i suoi stati membri hanno complessivamente impegnato decine di miliardi di euro in aiuti all'Ucraina. Ad esempio, l'UE ha approvato pacchetti di aiuti macrofinanziari per oltre 18 miliardi di euro solo nel 2023, oltre a finanziamenti per la ricostruzione e aiuti umanitari. Inoltre, molti paesi europei hanno fornito assistenza militare, economica e umanitaria bilaterale, con cifre che variano da paese a paese.

Per una cifra aggiornata e dettagliata, consiglio di consultare fonti ufficiali come il sito della Commissione Europea o rapporti recenti dell'UE e di organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) o la Banca Mondiale.

 

MN/ COPILOT

A) Quanti miliardi di dollari hanno ceduto gli USA all'Ucraina

 

Gli Stati Uniti hanno fornito un sostegno finanziario e militare significativo all'Ucraina dall'inizio dell'invasione russa. Le cifre esatte variano a seconda delle fonti e di ciò che viene incluso nel calcolo (aiuti militari, finanziari, ecc.). Secondo alcune fonti, gli Stati Uniti hanno stanziato circa 183 miliardi di dollari tra il 2022 e il 2024. Tuttavia, altre fonti riportano cifre diverse, come 65 miliardi di dollari solo per l'assistenza alla sicurezza2.

Se hai altre domande o vuoi approfondire un argomento specifico, fammi sapere! 😊

 

B)  Quanti miliardi di dollari hanno ceduto i paesi europei all'Ucraina?

I paesi europei hanno fornito un sostegno significativo all'Ucraina dall'inizio dell'invasione russa. Secondo le fonti, l'Europa ha contribuito con circa 156 miliardi di euro in aiuti economici e militari dal 2022. Questo include fondi erogati dai governi nazionali e dalle istituzioni di Bruxelles. La Germania è il principale donatore europeo, con circa 17 miliardi di euro in aiuti finanziari, umanitari e militari.

Se hai altre domande o vuoi approfondire un argomento specifico, fammi sapere! 😊

 

MN/GEMINI

A) Quanti miliardi di dollari hanno ceduto gli USA all'Ucraina

 

Gli Stati Uniti hanno fornito un sostegno finanziario e militare significativo all'Ucraina dall'inizio dell'invasione russa. Le cifre esatte variano a seconda delle fonti e di ciò che viene incluso nel calcolo (aiuti militari, finanziari, umanitari, ecc.), ma ecco alcuni punti chiave:

·      Aiuti militari:

o   Secondo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, gli Stati Uniti hanno fornito 67 miliardi di dollari in aiuti militari dall'inizio dell'invasione su larga scala.

·      Aiuti complessivi:

o   Le stime degli aiuti complessivi forniti dagli Stati Uniti all'Ucraina oscillano intorno ai 114 miliardi di euro.

o   Le cifre variano anche a seconda di come vengono calcolati gli aiuti, se si considerano solo gli aiuti diretti o anche quelli indiretti.

·      Confronto con altri Paesi:

o   Gli Stati Uniti rimangono il paese che singolarmente ha donato di più all'Ucraina.

È importante notare che queste cifre sono in continua evoluzione, poiché il conflitto è ancora in corso e gli aiuti vengono costantemente forniti.

 

B)  Quanti miliardi di dollari hanno ceduto i paesi europei all'Ucraina?

Determinare l'esatto ammontare degli aiuti europei all'Ucraina è complesso, poiché le cifre variano a seconda delle fonti e di cosa viene incluso (aiuti militari, finanziari, umanitari, promessi o effettivamente erogati). Tuttavia, ecco alcuni punti chiave:

·      Superiore agli USA:

o   In termini di aiuti complessivi, i paesi europei e le istituzioni dell'UE hanno fornito un sostegno superiore a quello degli Stati Uniti.

o   Secondo l'Ukraine Support Tracker dell'Istituto per l'economia mondiale di Kiel, gli aiuti europei hanno superato quelli americani.

·      Dati in evoluzione:

o   Le cifre sono in continua evoluzione, poiché il conflitto è in corso e nuovi aiuti vengono costantemente annunciati.

o   Le cifre variano anche a seconda di come vengono calcolati gli aiuti, se si considerano solo gli aiuti diretti o anche quelli indiretti.

·      Principali contributori:

o   Tra i maggiori contributori europei figurano Germania, Regno Unito, Francia e i paesi dell'Unione Europea.

o   L'Unione Europea stessa ha stanziato ingenti fondi per l'Ucraina, sia sotto forma di prestiti che di sovvenzioni.

·      Tipologie di aiuti:

o   Gli aiuti europei comprendono:

§  Aiuti militari: forniture di armi, munizioni e equipaggiamento.

§  Aiuti finanziari: prestiti e sovvenzioni per sostenere l'economia ucraina.

§  Aiuti umanitari: assistenza per i rifugiati e gli sfollati.

Per avere una visione più dettagliata, è consigliabile consultare fonti come l'Ukraine Support Tracker dell'Istituto per l'economia mondiale di Kiel e le pubblicazioni delle istituzioni europee.

 

Monogramma Tric.

Riflessione n° 132 (24-2-2025)

Il gatto, il cane e il padrone coglione. E chi ci capita.

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Risultato immagine per il gatto e il caneIl gatto.

Quando un gatto viene accolto in casa, capisce subito di essere il sindaco di quel nuovo ente locale che la sorte gli ha affidato. Gli abitanti non sono altro che suoi assessori con deleghe: alla lettiera, alle coccole, alla pappa, alla cuccia ecc. Se l'ente locale si arricchisce di un nuovo abitante, il sindaco, molto contento, ha pronta una nuova delega da affidargli. Più cresce la popolazione dell’ente locale, più il sindaco è felice.

Sindaco e concittadini assessori sono sempre in equilibrio.

I possessori di gatti amano ripetere l’adagio che sostiene che ”Il gatto è l’unico animale ad aver addomesticato l’uomo”.

 

Il cane.

Per natura il cane si disinteressa dell'ente locale. E', invece, molto preoccupato nella gestione delle gerarchie definite nel branco. In genere, il cane accolto da giovanissimo capisce - se normalmente intelligente - di essere ultimo nella gerarchia e, se il branco è stabile e senza nuovi innesti, si comporta di conseguenza. e tutti vivono sereni nel rispetto dei propri ruoli.

Per lui i problemi cominciano qualora il branco si arricchisse - anche temporaneamente -  di nuovi partecipanti, un bebè, un anziano che entra a convivere, una nuova famiglia formata dai figli. La novità fa perdere al cane il vecchio consolidato equilibrio gerarchico e e questo scossone lo fa entrare in fibrillazione. A questo punto, se coloro che considera elementi alfa non sanno comportarsi e non capiscono il problema, il cane può disorientarsi pericolosamente: prima del nuovo arrivo, tutte le coccole erano per lui, ora non solo viene trascurato, ma spesso viene anche rimproverato se assume atteggiamenti curiosi ed invadenti nei confronti del nuovo arrivato. Non è raro, infatti che il comportamento di padroni coglioni non solo tenda a trascurare la bestiola, ma anche escluderla, rimbrottata, dalla vita affettiva del branco. Al contrario padroni intelligenti capiscono di doverlo coinvolgere perché conosca ed accetti la nuova situazione; capiscono altresì che è un loro dovere educare lui e il nuovo elemento a comportamenti accettabili e coerenti per tutto il branco: sia il cane che il nuovo membro devono imparare a gestire il loro particolare rapporto gerarchico. Soprattutto non devono cessare le affettuosità verso la bestiola e non deve essere escluso dalla vita di branco, pur scombussolata dall'inserimento del nuovo elemento.

Se questo processo mirante a nuovi equilibri non viene adottato, il cane, sempre più ansioso,  tende ad avere comportamenti mai manifestati in precedenza, fino a  tentare di sfidare, alla prima occasione, l' "intruso": alla prima tirata di coda o strapazzata della pelliccia - in assenza, nella circostanza,  degli elementi del branco a lui superiori - potrebbe reagire con violenza allo scopo di mettere in chiaro - per entrambi - il rispettivo ruolo  gerarchico.

Quindi, i nuovi equilibri vanno costruiti con intelligenza da parte dei "padroni", con attenzioni ed atteggiamenti educativi sia nei confronti del cane che del nuovo venuto, altrimenti comportamenti inconsulti del cane disorientato potrebbe creare tragedie.

Tutto dipende non tanto dall'intelligenza della bestiola, ma da quella degli elementi alfa del branco.

Questo ritengo di aver capito avendo in famiglia il mio settimo cane, Spark (dopo Boby, Lilla, Black 1, Black 2, Gico e  Zar), e avendo avuto, da giovanissimo, anche due gatti. Del primo non ricordo il nome (ero molto piccolo) mentre avevo chiamato Miciocco il secondo.

 

Monogramma Tric.

Riflessione n° 131  (15-2-2025)

La UE: da mercato fornitore di domanda,  a entità politica?

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Draghi bacchetta Bruxelles:

15-2-2025 Libero.  Mario Draghi, siluro su Bruxelles: "Il problema non sono i dazi di Trump, cosa non avete fatto"

 

Risultato immagine per la frusta di Draghi  Penso che a molti governi dei 27 la UE non interessi proprio nulla. Al massimo, calcolano come possono avvantaggiarsi dallo stato dell’Unione.

Bruxelles sa benissimo che i governi dei singoli paesi  si muovono sempre in una logica di interesse nazionale, ma questo non significa che siano necessariamente contrari all’UE. Piuttosto, cercano di trarre il massimo vantaggio possibile dalla loro appartenenza all’Unione, bilanciando gli interessi europei con quelli domestici. E’ proprio questo atteggiamento a non permettere processi di revisione della governance dell’Unione.

I governi di paesi definiti “forti”, come Francia e Germania, cercano di usare l’UE come strumento di proiezione del loro peso geopolitico e – possibilmente – di un suo potenziamento: la Francia (unico paese detentore di bombe H della UE)  spinge per un’Europa più autonoma dagli Stati Uniti (ad es. la "sovranità strategica" cara a Parigi) anche allo scopo di far valere la sua caratteristica di unico paese “atomico”. La Germania ha usato per decenni il mercato unico come fornitore di domanda aggregata, per rafforzare la sua economia industriale e il surplus commerciale. Per loro, l’UE non è solo un’istituzione da cui attingere risorse, ma anche un mezzo per consolidare il proprio ruolo globale.

Altri governi, specialmente quelli dell’Europa orientale (Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria ecc), ma anche stati membri in crisi (Italia, Grecia in passato), spesso sfruttano la struttura dell’UE per ottenere fondi o margini di manovra economica e politica. Ad esempio, Polonia e Ungheria ricevono ingenti finanziamenti europei, ma contestano apertamente le decisioni di Bruxelles su Stato di diritto e politiche migratorie.

Ricordo che gli ex paesi dell’Est, liberatisi nel ’90 dal tallone sovietico, non accettano di buon grado la sostituzione di quel tallone spietato e grossolano con uno (quello di Bruxelles) più soft, più “comprensivo”, ma sempre caratterizzato dalla stessa immanenza.

L'Italia è passata da paese i cui cittadini erano in forte maggioranza convintamente europeisti a paese insofferente alle imposizioni burocratiche e, a volte , incomprensibili di Bruxelles. Ricordo, con una nota quasi di colore, il divieto per i pescatori di raccogliere vongole di diametro inferiore ai 2,5 centimetri. L’Italia si definisce europeista purché la politica di Bruxelles adotti parametri, criteri e si interesse di ambiti effettivamente prioritari per i cittadini. I detrattori dell’Italia, invece, battono sul fatto che l’Italia manifesti troppo spesso critiche alla politica della Commissione per definire il nostro paese come euroscettico, sovranista, critico circa  il funzionamento delle istituzioni dell’Unione, specialmente sulla gestione economica e sulla governance finanziaria.

L’UE come istituzione fragile e divisa è ben definita dall’adagio – ormai internazionale – che l’America costruisce, la Cina copia e la UE regolamenta. L’Unione Europea soffre di un problema strutturale che i suoi paesi più forti non hanno mai voluto affrontare, tanto meno risolvere: la UE non è uno stato federale, quindi ogni decisione cruciale richiede procedure lunghe macchinose e  il consenso dei governi nazionali circa la formazione della volontà delle sue istituzioni, procedure e meccanismi  che troppo spesso bloccano o rallentano le iniziative comuni. Questa debolezza della governance europea permette ai singoli paesi, indipendentemente dalla loro forza, di sfruttare le falle del sistema per interessi nazionali, senza doversi impegnare veramente in una faticosa  e lenta integrazione più profonda.

Il vero punto di debolezza è proprio derivante dal fatto che i singoli paesi  vedono l’Unione come un trampolino per i propri interessi. Alcuni lavorano per rafforzarla quando conviene, altri cercano di trarne vantaggio nelle sue fasi di debolezza. Bruxelles, invece, resta un’istituzione incapace di imporre una vera direzione unitaria, perché priva di una sovranità politica indipendente dagli stati membri.

I fatti che si stanno verificando negli anni ’20 del terzo millennio hanno messo a nudo la debolezza della UE, trattata ormai dalle altre potenze (USA, Cina, India, Russia ecc.) come semplice mercato di sbocco delle rispettive produzioni. 

 Non a caso, Trump, lungi dall’auspicare che il suo più “naturale” e storico alleato diventi un alleato forte e determinante, ci considera come mercato di sbocco della sua produzione (ad esempio di armi) riducendo tutto alla richiesta di un aumento della domanda in percentuale del PIL da spendere in sistemi d’arma, certamente americani.

MI auguro che le situazioni di debolezza delle due nazioni dominanti (Francia e Germania) e le aggressioni verbali e finanziarie degli USA, convincano i 27 a cambiare radicalmente rotta e, soprattutto, ad aumentare la velocità dei suoi processi di accomodamento e di formazione della volontà dell’Unione. Prima si convinceranno dell’utilità di questo cambiamento, prima recupereremo un ruolo, non dico “adeguato”, ma almeno “decente” nello scacchiere internazionale.

 

Monogramma Tric.

Riflessione n° 130   (12-2-2025)

Da cittadino consumatore a cittadino attore.  

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Le associazioni dei consumatori in Italia si sono concentrate soprattutto sulla tutela dei diritti, ponendo l'accento su questioni come la trasparenza dei contratti, la protezione contro le pratiche commerciali scorrette, il diritto al rimborso, la sicurezza dei prodotti e la difesa contro gli abusi delle grandi aziende. Questo approccio ha sicuramente portato a risultati importanti in termini di consapevolezza e tutela dei cittadini.

Tuttavia, il concetto di "consumatore responsabile" – che implica anche doveri e non solo diritti – è stato meno valorizzato. Anche perché mutuato da concezioni politiche generali che hanno puntato la loro attenzione quasi esclusivamente sui diritti dei cittadini, molto meno sui loro doveri.

Questa asimmetria nel discorso pubblico ha contribuito a una percezione del consumatore come "soggetto da tutelare" più che come “attore responsabile” nel sistema economico. Un maggiore equilibrio tra diritti e doveri potrebbe portare a una società più consapevole, con cittadini meno passivi e più capaci di influenzare positivamente il mercato, la politica la società. In un'economia di mercato matura, il consumatore ha un ruolo attivo nella selezione di prodotti e servizi sostenibili, nel rispetto delle regole di pagamento, nella lotta agli sprechi e nella prevenzione delle frodi

Se il focus si spostasse significativamente  sulla valorizzazione della responsabilità individuale, si potrebbero ottenere benefici sia per i consumatori stessi sia per il sistema economico nel suo complesso, fino ad influenzare positivamente i rapporti politico-sociali oltre che mercantili. Questo cambio di paradigma è fondamentale per costruire un sistema sociale più equo ed efficiente.

Se i consumatori fossero maggiormente educati non solo a difendersi dagli abusi, ma anche a comprendere il proprio ruolo nel tessuto economico e sociale, si potrebbero ottenere risultati significativi in diversi ambiti:

1.  Qualità dei prodotti e servizi – Un consumatore attento premia le aziende che operano con trasparenza e qualità, incentivando le buone pratiche di mercato.

 

2.  Sostenibilità – La scelta di prodotti etici e sostenibili riduce gli impatti ambientali e sociali negativi.

 

3.  Efficienza del sistema economico – Rispettare i contratti, pagare puntualmente beni e servizi e non abusare delle tutele evita distorsioni che ricadono sull’intera collettività (pensiamo agli aumenti di costo dovuti a frodi o abusi nei resi).

 

4.  Rapporto con le istituzioni – Un cittadino-consumatore consapevole non si limita a chiedere protezione, ma pretende trasparenza e responsabilità anche da parte dello Stato e delle autorità di regolazione.

L’Italia ha costruito un sistema consumerista molto orientato alla protezione, ma potrebbe trarre ispirazione da modelli esteri (Germania, Giappone) per sviluppare una cultura del consumo più equilibrata:

1)  Educazione al consumo responsabile da impartire già in età scolare e conseguente vantaggio ed utilità per chi produce responsabilmente in linea con i principi del consumo responsabile.

2)  Pretesa di maggiore trasparenza e informazione indipendente, non solo nel settore mercantile. Una completa informazione del cittadino in ogni settore sociale è uno dei cardini dell’economia liberale. Un cittadino critico e ben informato  rende le fake news molto meno incisive.

 

3) Valorizzazione del senso di comunità e responsabilità sociale. Ne deriverebbe una maggiore compattezza e robustezza del corpo sociale, in grado di rispondere meglio ai cambiamenti che la vita impone ei singoli e alle nazioni. Una società dominata dal “dirittismo” è disarmonica, costosa e spesso dannosa. Occorre bilanciarla col “doverismo”.

 

Questa concezione del cittadino come attore responsabile più che soggetto da tutelare (emersa solo negli ultimi anni) , era ben presente negli economisti liberali di 150 anni fa.

Riporto quanto affermava  Marco Minghetti (economista e Primo ministro nel 1863) circa la responsabilità sociale, economica  ed anche morale in capo ai cittadini consumatori (da “Della economia pubblica: e delle sue attinenze colla morale e col diritto”)

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Il contenuto generato dall'IA potrebbe non essere corretto.

 

Monogramma Tric.

Riflessione n° 129   (12-2-2025)

Civiltà araba tra cervello e muscoli.  

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Popoli del Medio Oriente: materia grigia contro kalàšnikof

 

In Medio Oriente, i signori della guerra Hamas, Hezbollah e Houti  hanno convinto la popolazione che si può battere l'Occidente solo con le armi. Essendo loro i tenutari dei “muscoli”, dominano quei paesi con la forza. Questi gruppi godono di un certo sostegno popolare, specialmente in contesti dove mancano alternative politiche efficaci o dove il conflitto con Israele alimenta il loro consenso. E vero invece, a mio avviso,  che gli Arabi possono competere con l'Occidente intellettualmente, con la loro intelligenza.

La proposta di Trump di fare della Palestina la riviera del Medio Oriente è geopoliticamente bizzarra e credo che l’idea sia di Elon Musk.  E’ vero però che solo tagliare fuori i signori della guerra dalle dinamiche di governo può essere l'inizio di un cambiamento epocale per quei popoli e quei territori.

Ma questo cambiamento richiederebbe un'evoluzione nelle leadership politiche locali, nella governance e nello sviluppo economico. Oggi quasi impensabile. Ma, secondo me, quella è l’unica strada in grado di permettere il superamento di problemi annosi.

Prima i popoli arabi si convincono che possono tener testa all’Occidente con la loro intelligenza (e non imbracciando un fuciletto) prima risolveranno i loro problemi. Certamente, nel contesto attuale sono vincenti per quei popoli le dinamiche “militari” di potere: ideologie e interessi geopolitici che rendono il cambiamento un processo lungo e complesso. Ma questa è una strada che la realtà ha dimostrato senza uscita.

 

PS: Ho scritto questa breve nota avendo ancora vivido il ricordo delle lezioni di storia del nostro prof. Italo Guidetti (prima metà degli anni ’60, Liceo Cavour di Roma): affrontava l’argomento della nascita e degli sviluppi della civiltà araba, avendo la cattedra piena di testi, di appunti, di articoli sull’argomento. Metteva in evidenza la notevole intelligenza dei popoli semiti, in particolare, e di quelli mediorientali, in generale.  Basta guardare al contributo allo sviluppo culturale dell’Islam dei primi secoli, mortificato – anche in quelle circostanze – dalla pretesa di sostituire i bicipiti al cervello: gli Arabi furono ristretti nel Nord Africa e in Arabia.

Monogramma Tric.

Riflessione n° 128   (8-2-2025)

Organismi sovranazionali (ONU, CPI ecc.) in via di estinzione?

 

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Risultato immagine per logo della Corte penale internazionale Bandiera ONU Immagini   In materia di  organismi sovranazionali siamo alle solite: il dirittismo prevale assolu tamente sul doverismo. Tutti i paesi hanno diritto a partecipare a quegli organismi, ma nessuno ha il dovere di rispettare i principi democratici e i diritti dei cittadini. Se non si supera questo sbilanciamento, esso li porterà, prima ad essere trascurati e a non contare più nulla sullo scacchiere internazionale e poi alla loro naturale  estinzione.

Alcuni organismi sovranazionali creati decenni fa (come la Corte Penale Internazionale) o addirittura a metà del  secolo scorso (ONU) erano basati su un’etica del lavoro, sul senso dell'onore e della professionalità di chi rivestiva cariche operative. Oggi sono in crisi perché i responsabili sono anzitutto uomini di parte ed hanno uno scarso senso dell'onore, avendo perso completamente l’imperativo personale di far bene il proprio lavoro. Hanno, al contrario, acquisito, infantilmente, il dovere/piacere di favorire la propria fazione a danno di quella avversaria.

Il problema nella crisi di legittimità delle istituzioni sovranazionali è oggi cruciale. Se inizialmente queste organizzazioni si fondavano su un senso di professionalità, di buona fede e sull'onore di chi le guidava, e sul piacere/dovere di far bene il proprio lavoro, oggi sembrano soffrire di una politicizzazione crescente e, di conseguenza, di una perdita di autorevolezza: non più quindi operare per il successo dell’organizzazione, ma far sì che si avvantaggi la propria parte contro quella avversaria.

A mero titolo di esempio, si guardi alla scandalosa decisione di far assumere all’Iran  la presidenza del Forum sui diritti umani delle Nazioni Unite. Non è una barzelletta, al Palazzo di vetro è successo anche questo, scatenando una campagna di protesta internazionale da parte di attivisti per i diritti umani che affermano che il record di oppressione, tortura ed esecuzioni di Teheran lo rende a dir poco inadatto per l’incarico, senza considerare la sua regia dei gruppi terroristici dietro al 7 ottobre in Israele. Il capo degli affari esteri dell’Ue, Josep Borrell, ha difeso la nomina dell’Iran come una mera questione di rotazione regionale, “in coerenza con le procedure stabilite dalle Nazioni Unite”. (da Il Foglio del 21-11-2023)

Al solito la UE brilla per la sua capacità – prossima allo zero - di incidere sulle decisioni di questi organismi.

Per citare un effetto della scarsa credibilità attuale di molti organismi dell’ONU, basta citare le iniziative di Trump: appena eletto, ha firmato un ordine esecutivo che ritira il suo Paese da una serie di organismi delle Nazioni Unite, tra cui il Consiglio per i diritti umani (Unhrc), e rivede completamente i finanziamenti statunitensi all'organizzazione multilaterale. L'ordine esecutivo ha dichiarato il ritiro di Washington dall'Unhrc e dalla principale agenzia di soccorso delle Nazioni Unite per i palestinesi (Unrwa) [Ha creato scalpore l’utilizzo di parte del personale e delle sedi ONU in Palestina da parte di Hamas] e la revisione del coinvolgimento nell’Unesco per l'educazione, la scienza e la cultura.

Vizi e difetti degli organismi sovranazionali.

In sintesi, queste sono, a mio avviso, le negatività che stanno mandando in malora organizzazioni meritevoli di considerazione, almeno in passato:

1.  Accoglienza generalizzata.

In genere questi organismi sovranazionali sono creati da paesi democratici. I quali ritengono che il successo della loro iniziativa dipenda dal numero dei paesi che a quegli organismi aderiscono. Questa valutazione ha portato ad accettare tutti i paesi che hanno fatto richiesta senza che si siano valutate le sue caratteristiche e le loro posizioni circa la democraticità della loro struttura. Sta di fatto che, come si indicava in precedenza, ad un paese teocratico, autocratico e medievale come l’Iran è stata assegnata la presidenza del Forum sui diritti umani delle Nazioni Unite.

2.  Politicizzazione degli organismi e delle nomine
Le cariche operative nei grandi organismi internazionali sono spesso assegnate più in base ad equilibri politici e giochi di potere tra Stati membri che a reali competenze tecniche.

3.  Perdita di indipendenza
Molte istituzioni sovranazionali dipendono finanziariamente dai contributi degli Stati più potenti, che esercitano influenza sulle loro decisioni.

4.  Decadenza della credibilità
Quando organizzazioni come l'ONU, la CPI o l'OMS non riescono a mantenere una linea coerente e imparziale, la fiducia nei loro confronti crolla. Alcune decisioni sembrano guidate più da interessi di blocchi geopolitici che da principi universali. I responsabili di queste istituzioni spesso non rispondono ai cittadini, ma ai governi e alle élite che li sostengono. Questo riduce la pressione affinché operino con onore e responsabilità.

5.  Declino dell’etica tradizionale
Mentre nel passato le relazioni internazionali si basavano anche su un certo codice d'onore e su un rispetto formale tra le nazioni, oggi il pragmatismo politico e il cinismo (cioè l’incapacità a fare politica) sembrano prevalere.

In sintesi, la crisi di queste istituzioni non è solo legata alla qualità delle persone che le guidano, ma anche a una trasformazione strutturale del sistema internazionale. Il declino dell’unipolarismo americano e la crescente competizione tra blocchi di potere rendono sempre più difficile il funzionamento di organismi che dovrebbero agire come arbitri super partes.

Cancellare del tutto queste istituzioni potrebbe essere rischioso, perché lascerebbe un vuoto che verrebbe colmato da rapporti di forza ancora più brutali tra Stati e blocchi di potere. Tuttavia, il loro funzionamento attuale è chiaramente inefficace e necessita di una revisione profonda, pena l’estinzione inevitabile

 

Possibili soluzioni per una riforma efficace:

Se si ritiene impraticabile o non auspicabile una indagine sul rispetto dei diritti umani e sulla qualità della democrazia nei paesi che chiedono l’adesione a questi organismi, si dovrebbe almeno imporre delle linee di condotta interne miranti a:

1.    Depoliticizzazione delle nomine

Introdurre criteri di selezione basati su merito e competenza, limitando il peso delle pressioni geopolitiche nelle scelte dei vertici. In materia, occorrerà lottare contri i paesi che ritengono di dover mantenere posizioni  di predominio e redditizie, vero baluardo ad ogni tentativo di riforma.

Prevedere mandati non rinnovabili per evitare il consolidarsi di clientele e favoritismi.

2.    Maggiore trasparenza

Rendere pubblici e verificabili i finanziamenti ricevuti dagli organismi sovranazionali. Creare organi di controllo indipendenti che valutino l'efficacia delle decisioni e l’integrità dei funzionari.

3.    Limitare il potere degli Stati più influenti

Ridurre il peso dei contributi finanziari come strumento di pressione politica.

Dare più spazio ai paesi emergenti orientati verso soluzioni democratiche interne, riequilibrando le dinamiche decisionali.

4.    Migliorare il sistema sanzionatorio

Oggi, ad esempio, le risoluzioni dell’ONU e le sentenze della CPI spesso restano inapplicate. Occorre introdurre e/o rafforzare i meccanismi di imposizione dell’applicazione  per evitare che le decisioni siano puramente simboliche.

5.    Ridefinire il ruolo di queste istituzioni in un mondo multipolare

La loro struttura è stata pensata in un’epoca in cui il mondo era dominato da pochi attori principali. Ora, con l’emergere di nuove potenze (Cina, India, BRICS), servono modelli di governance più flessibili, ma anche più efficaci.

 

In conclusione, sia l’ONU che la CPI soffrono di problemi di inefficienza, politicizzazione, mancanza di strumenti esecutivi, costi eccessivi, scarsi controlli sulle missioni decise, debole forza impositiva

Non è, però, realistico e tanto meno utile, eliminare questi organismi privi di alternative pronte a sostituirli, senza aver tentato di rimetterli in carreggiata con azioni di buon senso ed in buona fede. Senza azioni decise e drastiche in tal senso, senza coraggiose  riforme strutturali, il rischio è che diventino sempre più irrilevanti o strumentalizzati. L’ideale sarebbe una loro trasformazione in istituzioni realmente neutrali, efficaci e adatte a gestire il nuovo equilibrio geopolitico globale.

Come in ogni organismo sociale creato dagli uomini, il risultato dipende dalla qualità di chi in esso lavora ed opera quotidianamente.

 

Monogramma Tric.

Riflessione n° 127   (5-2-2025)

 Vicenda Almasri. Le considerazioni di Nordio in Parlamento.

Illuminanti! Anche in merito all’operato dei giudici (due su tre) della CPI dell’Aia.

Ho chiesto un parere tecnico a Chat GPT

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Qui potete seguire l’intervento illuminante di Nordio in Parlamento sulla vicenda Almasri:

https://youtu.be/TOsVPVFQb5Y?si=SuRMnfP3b5TtRBlh

Ascoltatelo con attenzione!

Poiché dalle considerazioni di Nordio mi sembra di poter classificare i due giudici (su tre) come molto poco professionali, ho chiesto  a Chat GPT come è possibile intervenire su di loro e sulla qualità del loro operato.

Ecco la risposta:

 

Alla mia domanda: “I giudici della Corte Penale internazionale che non sono professionalmente all'altezza possono essere denunciati?”

 

ChatGPT ha risposto:

ChatGPT

In linea di principio, i giudici della Corte Penale Internazionale (CPI) godono di immunità giurisdizionale per le loro funzioni ufficiali, come stabilito dallo Statuto di Roma (articolo 48). Tuttavia, esistono meccanismi per rimuovere o sanzionare un giudice che non sia all'altezza delle proprie responsabilità.

Strumenti per contestare l'operato di un giudice della CPI

1.   Procedura di rimozione o sospensione (Art. 46 e 47 dello Statuto di Roma)

o   Un giudice può essere rimosso dall'incarico se viene accertato che ha commesso gravi mancanze disciplinari, condotta inappropriata o non è più in grado di svolgere le sue funzioni.

o   La decisione di rimozione richiede una maggioranza di due terzi dei giudici della CPI e dell'Assemblea degli Stati Parte.

2.   Misure disciplinari (Art. 47 dello Statuto di Roma)

o   Se la condotta non è così grave da giustificare la rimozione, il giudice può essere soggetto a misure disciplinari, come un ammonimento ufficiale.

3.   Denuncia interna alla CPI

o   Chi ritiene che un giudice stia agendo in modo incompetente o inappropriato può presentare una denuncia all'Assemblea degli Stati Parte, che ha il potere di avviare un'inchiesta.

4.   Pressioni politiche e diplomatiche

o   Anche se non esiste un meccanismo diretto per "denunciare" un giudice della CPI in sede penale o civile, gli Stati possono fare pressioni politiche e diplomatiche per sollevare questioni relative all'operato della Corte.

 

Limiti alla responsabilità dei giudici della CPI

·      La CPI è un'istituzione indipendente e i suoi giudici godono di immunità funzionale, quindi non possono essere denunciati per le loro decisioni in tribunali nazionali o internazionali.

·      Tuttavia, se emergessero gravi violazioni, come corruzione o abuso di potere, gli Stati Parte potrebbero richiedere un'indagine e la possibile rimozione del giudice.

Se hai in mente un caso specifico, possiamo approfondire i meccanismi giuridici più adatti.

 

Ho risposto: Sì ho appena ascoltato le considerazioni del ministro Nordio (ex magistrato) e mi sembra che la procedura seguita da due giudici su tre sia del tutto lacunosa e non professionale. Tu che ne dici?

 

ChatGPT ha detto:

ChatGPT

Se ti riferisci alla recente decisione della Corte Penale Internazionale (CPI) e alle critiche mosse dal ministro Carlo Nordio, ex magistrato e attuale ministro della Giustizia, è utile analizzare la questione da un punto di vista giuridico e politico.

La posizione di Nordio e il problema dell'arbitrarietà

Se Nordio sostiene che due giudici su tre abbiano agito in modo arbitrario o non professionale, la questione diventa delicata sotto più profili:

1.   Giuridico: bisogna verificare se la decisione sia conforme allo Statuto di Roma e se siano stati rispettati i principi fondamentali del diritto internazionale.

2.   Politico: la CPI è spesso criticata per decisioni percepite come selettive o influenzate da pressioni politiche.

3.   Procedurale: se vi sono irregolarità nel processo decisionale, gli Stati Parte della CPI possono intervenire per segnalare il problema.

Possibili violazioni del diritto

Se due giudici su tre hanno agito in maniera arbitraria, potrebbero emergere profili di:

·      Abuso di potere (se hanno ignorato prove fondamentali o hanno distorto il diritto).

·      Violazione della procedura (se non hanno seguito le norme previste dallo Statuto di Roma).

·      Motivazioni politiche (se la decisione è stata influenzata da fattori esterni e non basata su criteri strettamente giuridici).

Cosa si può fare?

Se le critiche di Nordio sono fondate, l'Italia (o altri Stati Parte) potrebbe:

·      Chiedere un riesame della decisione attraverso gli organi interni della CPI.

·      Presentare una mozione all'Assemblea degli Stati Parte per valutare la condotta dei giudici.

·      Sollecitare una revisione delle procedure interne per evitare futuri casi di arbitrarietà.

 

Monogramma Tric.

Riflessione n° 126   (30-1-2025)

 Vicenda Almasri. Oltre che acefala, si scopre una sinistra

italiana inesistente, quindi, pericolosa.

 

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Da una parte, la sinistra ha scelto di enfatizzare il presunto abuso di potere da parte delle autorità italiane, spingendo la narrativa della discriminazione e della violazione dei diritti umani. Dall’altra, si può osservare come questa posizione abbia trascurato del tutto la necessità di garantire il rispetto delle leggi italiane e la tutela della sicurezza nazionale.

Questa dinamica mette in luce una tendenza ben nota della sinistra italiana: l'adozione di battaglie ideologiche che spesso sfuggono alla logica dell’interesse nazionale e del bene comune. Il caso Almasri ha rivelato una visione più orientata all’uso strumentale del dibattito pubblico piuttosto che alla ricerca della verità e della giustizia. Non solo, quindi, l’assenza avvilente del senso dello stato, ma anche quella di un semplice senso degli interessi della collettività.

L’immagine mentale che la vicenda mi suggerisce è quella della  la iena, che si nutre di ciò che trova senza un autentico spirito di lotta, neanche come predatrice. Ciò può essere visto come una metafora della strategia politica della sinistra in casi come questo: più incline alla polemica e all’indignazione selettiva che alla costruzione di un’analisi razionale e coerente delle vicende. Se l’obiettivo fosse davvero quello di difendere i diritti umani, allora dovremmo vedere lo stesso zelo in molti altri casi che invece vengono ignorati o addirittura minimizzati.

Come sempre, restano centrali alcune  domande: chi difende davvero l’interesse nazionale; chi aiuta la sinistra ad acquisire una dimensione intellettuale da responsabile forza aspirante a governare una nazione complessa come la nostra; che cosa può aiutare la sinistra ad affinare le analisi socio-politiche in maniera tale da farne una affidabile forza di governo, con un adeguato progetto per la società italiana? Perché con le caratteristiche che si vengono scoprendo in vari frangenti della vita politica italiana, quelle che improntano la nostra sinistra si scoprono addirittura pericolose per la normale vita democratica di un paese evoluto come l’Italia.

Anche perché, come afferma Giorgio Merlo in Formiche.net: “…come emerge in modo persin troppo palese dalla sinistra editoriale, dalla sinistra televisiva, dalla sinistra politica e culturale c’è la volontà concreta di delegittimare il potere politico degli avversari/nemici anche e soprattutto attraverso la cosiddetta “spallata giudiziaria”. [à Con il caso Almasri torna il vizio della scorciatoia giudiziaria. L'opinione di Merlo - Formiche.net del 29-1-2025]

E’ chiaro che se i partiti di un'opposizione utilizzano il sistema giudiziario come strumento per minare la legittimità del governo avversario, senza (saper) fare più politica, si rischia di danneggiare la credibilità delle istituzioni democratiche. I cittadini potrebbero cominciare a vedere la giustizia come uno strumento al servizio delle lotte politiche anziché come un organo imparziale. Con la manipolazione  del sistema giudiziario, si potrebbe giungere a una delegittimazione dell'intero sistema politico e giuridico, con danni irreparabili alla democrazia e alla sua credibilità interna ed esterna

Con la destra al governo, il nostro paese si scopre senza una adeguata opposizione: la tenuta democratica del paese è a rischio.

Pensando ad Augusto, alla tragedia di  Teutoburgo e alla clades variana, Berlinguer esclamerebbe: “ Elly, rendimi le mie sezioni!”.

 

Monogramma Tric.

Riflessione n° 125   (29-1-2025)

Si parla della censura sulla IA cinese di DeepSeek.

Riporto quanto mi è accaduto interrogando Chat GPT sulla grazia concessa da Biden.

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Si afferma che DeepSeek non può rispondere sui fatti di Piazza Tien Anmen e su argomenti scomodi per >Pechino perché interviene il governo cinese  a censurare le risposte.

Leggete quanto mi è successo il 27-1-2025  interrogando Chat GPT sulla grazia concessa da Biden a suoi familiari.

 

Ho chiesto a Chat GPT:

Biden ha graziato preventivamente tutta la sua famiglia?

ChatGPT ha detto:

ChatGPT

No, non risulta che Joe Biden abbia concesso una grazia preventiva a tutta la sua famiglia. Negli Stati Uniti, la grazia presidenziale è un potere costituzionale che consente al presidente di perdonare o ridurre le pene per reati federali, ma è raro che venga usata in modo preventivo, cioè prima che vengano formalmente presentate accuse o condanne.

Un caso famoso di grazia preventiva è stato quello di Gerald Ford nei confronti di Richard Nixon dopo lo scandalo Watergate, ma tali atti sono generalmente controversi e possono essere percepiti come un abuso di potere.

Se hai letto notizie su questo argomento, potrebbero essere speculazioni o disinformazione. Posso cercare informazioni aggiornate per verificare se ci sono sviluppi recenti, se desideri.

4o

Hai detto:

Ma se è su tutti i giornali del mondo l'assoluzione preventiva per suo figlio....

ChatGPT ha detto:

ChatGPT

Mi scuso per la precedente informazione non aggiornata. Effettivamente, negli ultimi giorni del suo mandato, il presidente uscente Joe Biden ha concesso la grazia preventiva a diversi individui, tra cui membri della sua famiglia. In particolare, ha graziato suo figlio Hunter Biden, che era in attesa di sentenza per accuse di possesso illegale di arma da fuoco e frode fiscale.

ANSA.it

Oltre a Hunter, Biden ha esteso la grazia preventiva ad altri familiari stretti, come i suoi fratelli e cognati, per proteggerli da potenziali azioni legali future.

Secolo d'Italia

Queste decisioni hanno suscitato ampie discussioni e critiche, sia a livello nazionale che internazionale, riguardo all'uso del potere di grazia presidenziale.

Fonti: Favicon Favicon  4o

Hai detto:

come mai questa defaillance?

ChatGPT ha detto:

ChatGPT

Potrebbe essere successo per uno di questi motivi:

Informazioni non aggiornate: Se il fatto è avvenuto recentemente, è possibile che non fosse incluso nel mio database pre-addestrato o che non l'avessi ancora verificato tramite la ricerca online.

Ambiguità nella domanda: La tua domanda iniziale era generica ("Biden ha graziato preventivamente tutta la sua famiglia?"), e ho interpretato che si trattasse di una generalizzazione non supportata da fatti, perché in casi normali è raro che un presidente conceda grazie preventive.

Caso specifico non chiaro: Anche se si tratta di un fatto molto discusso, potrei non aver riconosciuto immediatamente l'evento a cui ti riferivi. Le mie risposte iniziali si basano su informazioni generalmente accettate, mentre la verifica online può fornire dettagli recenti o meno noti.

Grazie per averlo segnalato! Ora cercherò di essere più rapido nel verificare le informazioni prima di rispondere. 😊

 

Non si tratta di censura? Ma il risultato è lo stesso! Se non avessi conosciuto l’argomento, forse mi sarei fermato alla prima risposta  e l’avrei presa per buona.

 

Monogramma Tric.

Riflessione n° 124   (28-1-2025)

I problemi della Lega: soffre la continua

riduzione analitica alla localizzazione,

 anche di problemi con valenze internazionali

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La Lega, sin dalle sue origini, ha basato la propria identità politica su temi di carattere locale e regionale, con una forte enfasi sulle questioni interne, come il federalismo fiscale, il controllo dell'immigrazione e la tutela delle piccole imprese. Questo approccio "interno" si è rivelato vincente per anni, soprattutto nel Nord Italia, dove l'elettorato si identificava con una visione che metteva al centro gli interessi territoriali. Tutt’ora, il partito mantiene una forte connotazione regionalista e localista, specialmente nelle sue roccaforti tradizionali come Lombardia e Veneto. Questo localismo si manifesta nella promozione di politiche che favoriscono l'autonomia regionale, la devoluzione di poteri dal governo centrale alle regioni, e la difesa degli interessi locali, spesso percepiti come in contrasto con quelli del Sud Italia o delle istituzioni centrali. Soprattutto non sono in linea con gli attuali forti interessi della popolazione per i problemi internazionali.

Infatti, nel panorama attuale, le dinamiche geopolitiche e i grandi temi internazionali (guerre, crisi energetiche, migrazioni su scala globale, cambiamento climatico, Medio oriente, Ucraina, Formosa, Meloni, Putin, Trump ecc.) sono diventati centrali nelle agende politiche e nell'interesse dell'opinione pubblica. Molti cittadini elettori sono sempre più consapevoli dell'interconnessione tra politiche locali e globali, richiedendo una leadership capace di posizionarsi anche su questi temi e di coniugarli anche dal punto di vista dell’elaborazione culturale e intellettuale.

La Lega sembra aver faticato a evolversi in questa direzione e si trova oggi in difficoltà rispetto agli altri partiti, specie quelli di governo che l’hanno sopravanzata nei sondaggi. Nonostante alcuni tentativi di Matteo Salvini di proiettare il partito su scala nazionale e internazionale (ad esempio, le alleanze con altri movimenti sovranisti europei), il messaggio è rimasto spesso legato a processi interni, come la sicurezza o l'immigrazione, senza una visione strutturata su questioni geopolitiche complesse e senza valenze che le collegassero, proiettandole, a livello internazionale.

In un mondo in cui le scelte globali incidono pesantemente anche a livello locale, il rischio per un partito focalizzato su problemi "interni" è di sembrare anacronistico o di non offrire risposte adeguate alle sfide più ampie. La difficoltà della Lega potrebbe dunque derivare da questa difficoltà di aggiornamento strategico: non basta più gestire il consenso su questioni locali, è necessario affrontare le nuove sfide globali con una visione integrata e credibile.

Questa dinamica dimostra come anche i partiti più radicati debbano adattarsi ai cambiamenti del contesto storico e politico per mantenere rilevanza anche alla luce dell’enorme interesse suscitato dagli avvenimenti e dai loro sviluppi “naturalmente” internazionali.

La capacità di interpretare e guidare l'opinione pubblica su temi complessi come quelli geopolitici può diventare una discriminante fondamentale tra chi rimane competitivo e chi invece rischia di perdere terreno. In altri termini, è urgente per la Lega ampliare l’Agenda politica: Includere temi di interesse nazionale e sovranazionale, come la sicurezza, l'immigrazione come fenomeno mondiale, la crescita economica in rapporto a quella di altri paesi, la digitalizzazione, che possano fornire una dimensione oltre il regionalismo ed essere coniugata con inquadramenti internazionali.

 

Monogramma Tric.

Riflessione n° 123   (25-1-2025)

Per i presidenti USA la “deportation” è attività di routine. 

Ecco che cosa è successo negli ultimi 100 anni.

 

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IMPORTANTE AGGIORNAMENTO DEL 27-1-2025 TRAMITE Chat GPT

 

Le “deportations” (lett. “rimpatri” e non “deportazioni”) sono azioni abituali per i presidenti degli Usa. Soprattutto nei momenti in cui il fenomeno dell’immigrazione illegale assume, quantitativamente, dimensioni rilevanti e, socialmente, aspetti preoccupanti.

A partire dai primi anni del 1900, con l'inizio della regolamentazione più sistematica dell'immigrazione, i presidenti hanno implementato politiche migratorie che includevano “deportazioni”. Ad esempio:

·      Franklin D. Roosevelt (1930-1940) ha eseguito deportazioni durante la Grande Depressione, in particolare durante l'era delle "deportazioni di massa" verso la fine degli anni '30, quando si cercava di ridurre la disoccupazione e alcuni immigrati, specialmente messicani, furono deportati o incoraggiati a tornare nei loro paesi d'origine.

·      Dwight D. Eisenhower (1950) ha lanciato l'operazione "Wetback", che ha portato a deportazioni di massa di lavoratori migranti, soprattutto messicani, che vivevano illegalmente negli Stati Uniti.

·      Bill Clinton (1990) ha implementato leggi più severe sulle deportazioni, aumentando i numeri di espulsioni, in particolare con l'Illegal Immigration Reform and Immigrant Responsibility Act del 1996.

·      George W. Bush (2000) ha continuato a perseguire una politica di deportazioni, anche se ha cercato di bilanciare con politiche che offrivano possibilità di regolarizzazione per alcuni immigrati.

·      Barack Obama (2009-2017) ha avuto un periodo controverso per quanto riguarda le deportazioni, poiché sebbene cercasse una riforma dell'immigrazione, durante il suo mandato è stato registrato un numero molto alto di deportazioni, soprattutto nei primi anni.

·      Donald Trump (2017-2021) ha adottato una politica di "tolleranza zero", aumentando le deportazioni e applicando leggi più dure sull'immigrazione, inclusi gli arresti nei luoghi di lavoro e le politiche di separazione delle famiglie alla frontiera.

·      Joe Biden (2021-2025 ) ha cercato di cambiare alcune delle politiche di Trump, ma ha comunque continuato a gestire deportazioni, pur cercando di dare priorità alle persone con precedenti penali gravi.

Trump continuerà nella sua politica di rimpatri forzati per immigrati illegali. Per il Messico  il fenomeno descritto ha le caratteristiche della normalità, tanto che si è già organizzato per accogliere i “deportati” di Trump 2.0.

Meraviglia la meraviglia di quotidiani blasonati che commentano, col cuore contrito, la foto messa da Trump sul sito della Casa Bianca. Non hanno capito che i loro commenti  sono funzionali al raggiungimento degli obiettivi di the Donald.  I loro redattori dovrebbero imparare a ricercare storicamente fonti e documentazione. Ma finché ritengono che i loro lettori siano in maggioranza dei gonzi…..

 


 

AGGIORNAMENTO del 27-1-2025 alla Riflessione n° 123 del 25-1-2025

 

Per una valutazione più precisa del fenomeno (non solo quantitativa, ma anche qualitativa) abbiamo chiesto aiuto a Chat GPT per il periodo da Reagan a Biden.

 

Chat GPT

E’ importante, anzitutto, distinguere tra espulsioni e deportazioni (NdR: Rimpatri in italiano):

·      Espulsioni: Rimozioni sommarie, spesso senza un ordine formale, come quelle effettuate ai sensi di norme emergenziali (es. Title 42 durante la pandemia di COVID-19).

 

·      Deportazioni (Rimpatri in italiano): Un'azione formale in cui un tribunale dell'immigrazione emette un ordine di rimozione.

 

 

A)  E S P U L S I O N I

Ronald Reagan (1981-1989)

·      Espulsioni stimate: 50.000-60.000 all'anno.

·      Totale (stima): 400.000-500.000.

·      La maggior parte delle espulsioni riguardava lavoratori irregolari fermati al confine, spesso rimossi senza un ordine formale.


George H.W. Bush (1989-1993)

·      Espulsioni annuali: 70.000-80.000.

·      Totale (stima): 300.000-350.000.

·      L'approccio era simile a quello di Reagan, ma con un leggero aumento delle espulsioni.


Bill Clinton (1993-2001)

·      Espulsioni annuali: Circa 100.000-150.000 nei primi anni, salendo a 200.000 verso la fine del mandato.

·      Totale: 1.200.000-1.400.000.

·      Clinton ha aumentato le espulsioni con il supporto di leggi più severe, come l'IIRIRA del 1996.


George W. Bush (2001-2009)

·      Espulsioni annuali: Circa 250.000-300.000.

·      Totale: 2.000.000-2.400.000.

·      L'11 settembre e la creazione del Department of Homeland Security (DHS) portarono a una drastica accelerazione delle espulsioni, soprattutto al confine.


Barack Obama (2009-2017)

·      Espulsioni annuali: Circa 350.000-400.000 nei primi anni, riducendosi verso la fine del mandato.

·      Totale: 2.700.000-3.200.000.

·      Obama ha supervisionato un numero record di espulsioni, anche se negli ultimi anni il focus si è spostato sui criminali piuttosto che sui migranti irregolari.


Donald Trump (2017-2021)

·      Espulsioni annuali: 400.000-450.000 nei primi anni, scendendo a 300.000-350.000 con la pandemia.

·      Totale: Circa 1.800.000-2.000.000.

·      Sotto Trump, il focus sull'espulsione di migranti al confine è stato molto forte, ma il totale è stato influenzato dalle difficoltà logistiche della pandemia.


Joe Biden (2021-oggi)

·      Espulsioni annuali (fino al 2023): 1.000.000-1.200.000 (principalmente ai sensi del Title 42).

·      Totale (stima gennaio 2025): circa 3.000.000.

·      L'amministrazione Biden ha usato intensivamente il Title 42, che consente rimozioni rapide senza un processo formale, soprattutto durante l'emergenza COVID-19.


 

Confronto rapido delle ESPULSIONI totali:

·      Reagan: 400.000-500.000

·      Bush Sr.: 300.000-350.000

·      Clinton: 1.200.000-1.400.000

·      Bush Jr.: 2.000.000-2.400.000

·      Obama: 2.700.000-3.200.000

·      Trump: 1.800.000-2.000.000

·      Biden: 3.000.000 (stima fino al 2025).

Biden ha raggiunto un numero elevato di espulsioni grazie al Title 42, che ha permesso di rimpatriare rapidamente i migranti senza un ordine formale.


 

 

B)   D E P O R T A Z I O N I

Ecco un'analisi delle deportazioni negli Stati Uniti sotto le amministrazioni degli ultimi presidenti, basata sui dati disponibili pubblicamente:

Ronald Reagan (1981-1989)

·      Deportazioni annuali medie: Circa 24.000-30.000.

·      Totale (stima): 200.000-240.000.

·      Il tema dell'immigrazione durante Reagan si concentrò sulla regolarizzazione, con il Immigration Reform and Control Act (IRCA) del 1986, che diede la possibilità di legalizzare lo status di circa 3 milioni di immigrati irregolari.


George H.W. Bush (1989-1993)

·      Deportazioni annuali medie: Circa 40.000-50.000.

·      Totale (stima): 160.000-200.000.

·      Bush Sr. mantenne un approccio equilibrato, ampliando i controlli alle frontiere senza significative accelerazioni nelle deportazioni.


Bill Clinton (1993-2001)

·      Deportazioni annuali medie: Circa 110.000-170.000.

·      Totale: 870.000-1.360.000.

·      Clinton ha inasprito le leggi sull'immigrazione, soprattutto con l'Illegal Immigration Reform and Immigrant Responsibility Act (IIRIRA) del 1996, aumentando significativamente le deportazioni.


George W. Bush (2001-2009)

·      Deportazioni annuali medie: Circa 200.000-300.000.

·      Totale: 2.000.000-2.300.000.

·      Dopo l'11 settembre 2001, l'immigrazione è stata affrontata come una questione di sicurezza nazionale, con un netto aumento delle deportazioni.


Barack Obama (2009-2017)

·      Deportazioni annuali medie: Circa 400.000 nei primi anni, scendendo a 230.000 negli ultimi anni.

·      Totale: Circa 3.000.000.

·      Obama è stato spesso chiamato "Deporter-in-Chief" per il numero record di deportazioni, sebbene negli ultimi anni il focus si sia spostato su criminali e recidivi.


Donald Trump (2017-2021)

·      Deportazioni annuali medie: Circa 240.000-300.000.

·      Totale: Circa 1.200.000.

·      Trump ha enfatizzato la tolleranza zero e il controllo dei confini, ma le deportazioni complessive sono state inferiori rispetto a quelle di Obama, in parte a causa di restrizioni legali e pandemiche.


Joe Biden (2021-2023) [NdR: Manca il dato del 2024]

·      Deportazioni annuali medie (fino al 2023): Circa 72.000-90.000 (stimato).

·      Totale (fino a gennaio 2025): circa 200.000-250.000.

·      L'amministrazione Biden ha ridotto le deportazioni rispetto a Trump, concentrandosi su priorità come criminali pericolosi e casi specifici, oltre a una riforma umanitaria sull'immigrazione.


 

Confronto rapido delle deportazioni (rimpatri) totali:

·      Reagan: 200.000-240.000

·      Bush Sr.: 160.000-200.000

·      Clinton: 870.000-1.360.000

·      Bush Jr.: 2.000.000-2.300.000

·      Obama: 3.000.000

·      Trump: 1.200.000

·      Biden: 200.000-250.000 (stima provvisoria).

 

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Riflessione n° 122   (22-1-2025)

I dazi e gli altri interventi annunciati: la clava (mediatica, perché senza tempistica?) di Trump. Almeno per il momento.

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           22-1-2025 Il Tempo. La promessa di Donald Trump all'Europa: "Ue sarà soggetta ai dazi"

 

Trump vuole arricchire gli Statunitensi. Per perseguire l’obiettivo ha indicato alcune iniziative economico-produttive quali mezzi per raggiungerlo: riequilibrio della bilancia commerciale (anche imponendo dazi) che ha raggiunto un deficit di circa 79 miliardi di dollari; controllo dell’inflazione; politica economica di stimolo per il settore produttivo; rimpatrio degli immigrati irregolari per eliminare le nefaste conseguenze della presenza di un esercito di riserva nel mondo del lavoro. Trump parla di eliminare l’illegalità nel settore, ma, in effetti, gli immigrati irregolari sono in grado di tenere basse le tensioni sulle retribuzioni e i livelli salariali.

Per il momento, Trump si limita a fornire i titoli delle azioni che vuole impostare per arricchire gli Americani, ma non dà la tempistica di quei processi.

La progressione temporale di quegli interventi è fondamentale per qualificare gli intenti di Trump, perché gli strumenti da lui indicati ma senza “ruolino di marcia” evidenziano alcune contraddizioni tra loro dal punto di vista della teoria economica. Vediamo incongruenze le più macroscopiche:

-     Imporre dei dazi alle importazioni fa aumentare immediatamente l’inflazione, che invece Trump vuole controllare. I dazi, infatti, generano un immediato aumento dei prezzi finali dei prodotti importati. Quindi, può darsi che si passi a prodotti meno cari, abbandonando quelli colpiti dai dazi; in ogni caso si crea un eccesso di domanda che farà aumentare i prezzidei prodotti meno cari. Tale aumento inflattivo è direttamente e totalmente a carico dei consumatori americani che Trump vorrebbe arricchire.

-     Imporre dazi vuol dire, quasi sempre, obbligare il paese colpito a reagire con lo stesso strumento. Ne deriva che, comunque, le imprese esportatrici americane esporteranno con difficoltà. Questo, prima o poi, si ripercuoterà sui livelli occupazionali, anche eliminando eventuali possibilità di impostare politiche salariali positive per il lavoro dipendente.

-     Trump ha anche promesso politiche di stimolo, come tagli fiscali e spesa pubblica, che spesso aumentano la domanda aggregata. Queste misure possono entrare in conflitto con l'obiettivo di contenere l'inflazione, specie in un contesto di vincoli (dazi imposti e subiti) dal lato dell'offerta.

-     Una politica salariale moderata permette un miglior controllo dell’inflazione ma, certamente, si scontra con l’obiettivo trumpiano di arricchire gli Statunitensi. Inoltre, una politica salariale moderata farà aumentare il lavoro nero il cui ammontare supera i 2mila miliardi di dollari. Certamente ci saranno conseguenze sul fluido mercato del lavoro americano.

-     Rimpatriare 11 milioni di immigrati irregolari (il 3,3 % della popolazione Usa) creerà tensioni salariali e nel complesso del mercato del lavoro per via della riduzione dell’esercito di lavoratori di riserva. Metterà in difficoltà le aziende esportatrici che, a causa dei dazi imposti ai loro prodotti, non potranno liberamente aumentarne il prezzo al consumatore. Metterà comunque in difficoltà il settore produttivo per via della drastica riduzione dei consumi di base aggregati.

-     Per mantenere in equilibrio il sistema economico-produttivo, Trump dovrà drasticamente abbassare le tasse e, di conseguenza, rivedere i livelli delle spese governative (circa 4.000 miliardi di dollari), a cominciare da quelle militari, di circa 916 miliardi di dollari.

Per valutare i risultati della politica economica di Trump, occorre avere i tempi di realizzazione: solo questi elimineranno o incrementeranno le contraddizioni elencate in precedenza.  Non fornire dettagli precisi su quando e come implementare le misure crea incertezza nei mercati. Questo può frenare gli investimenti delle imprese, amplificando l'impatto negativo delle politiche protezionistiche.

Trump potrebbe puntare su un approccio "negoziale", in cui le misure come i dazi sono viste come leve temporanee per ottenere concessioni economiche e politiche da altri paesi. Tuttavia, l'efficacia di questa strategia dipende dalla capacità di bilanciare le esigenze interne con gli effetti a breve termine delle sue politiche.

La mancanza di tempistiche precise rende difficile valutare come questi interventi potrebbero essere coordinati o implementati in sequenza per minimizzare gli effetti contradditori esplicitati. In ogni caso, finché il ruolino di marcia degli interventi trumpiani  non verrà fornito, dobbiamo continuare a ragionare in via teorica. Continueremo a considerare il loro elenco una poderosa clava, ma esclusivamente mediatica. Almeno per il momento

 

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Riflessione n° 121 (21-1-2025)

Assalto al “saluto romano” di Musk: in mancanza di argomenti…..

Toccò anche a Carlo Della Valle, prof di Scienze Politiche negli anni ’60….

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Dal Quotidiano Nazionale del 21-1-2025:

https://www.quotidiano.net/esteri/elon-musk-saluto-romano-ultimissime-o23yp6wq

Il prof. Carlo Della Valle insegnava Geografia economica alla facoltà di Scienze Politiche della Sapienza. Era uno dei miei professori del primo anno. La temperie 68ina in nuce, era ancora nella prima fase di maturazione. Noi studenti entravamo nell’Aula Uno, in fondo al corridoio della Facoltà, in attesa del prof. Quando Della Valle entrava in aula, noi studenti ci alzavamo in piedi. Sistematosi in cattedra, con la mano faceva cenno all’aula di sedersi.

Non so chi fu lo studente che ne immortalò  il gesto in una foto. Sta di fatto che il giorno dopo uscì un volantino con la fotografia/denuncia del prof Della Valle che “faceva, agli studenti, il saluto romano prima di iniziare la lezione”. Feci presente che si trattava di una vera e propria cazzata, ma nessuno degli estensori mi volle ascoltare. Fu così che, col ’68 che scalpitava, il prof Della Valle fu catalogato come uno dei primi prof fascisti di Scienze Politiche. 

La stessa cazzata è stata riproposta per il gesto di  Elon Musk…..

Quando non si sa fare politica, sparare cazzate è sempre meglio che impegnarsi per  imparare ad  usare i due neuroni a disposizione.

 

 21-1-2025 Il Giornale: "Sporchi trucchetti". Musk smonta la bufala del suo saluto romano

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Riflessione n° 120 (17-1-2025)

Dialogo tra Novus e l’Intelligenza Artificiale di Chat GPT.

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Novus ha chiesto:

Ritieni che l'I.A. sia in grado di ampliare lo scibile umano?

ChatGPT ha risposto:

L'intelligenza artificiale (IA) ha il potenziale di ampliare significativamente lo scibile umano, ma in modi che richiedono una stretta collaborazione tra tecnologia e ingegno umano. Vediamo come:

1. Accumulazione e Analisi dei Dati

L'IA può raccogliere, organizzare e analizzare quantità immense di dati in tempi estremamente rapidi, scoprendo schemi o correlazioni che altrimenti sfuggirebbero all'intelletto umano. Questo è già evidente in settori come la genomica, la fisica delle particelle, e la ricerca climatica.

2. Modellazione di Sistemi Complessi

Grazie a modelli avanzati, l'IA è in grado di simulare scenari complessi, come l'evoluzione dei mercati finanziari o gli effetti di politiche globali sul cambiamento climatico. Questi strumenti possono fornire previsioni utili e generare nuove ipotesi.

3. Innovazione Creativa

L'IA genera nuove idee, soluzioni tecniche e persino opere artistiche. Gli algoritmi generativi, come quelli utilizzati nel design molecolare o nell'arte, dimostrano come l'IA possa essere una forza propulsiva per l'innovazione.

4. Accessibilità della Conoscenza

L'IA può democratizzare l'accesso alle informazioni, rendendo lo scibile umano più accessibile a persone in ogni parte del mondo. Ciò potrebbe innescare una maggiore collaborazione globale.

Limiti e Sfide

Tuttavia, l'IA non è autonoma nel generare conoscenza:

Dipende dai dati che le forniamo, e questi dati possono essere incompleti o distorti.

La comprensione profonda e il contesto culturale restano difficili da catturare in modo pieno per l'IA.

L'etica e la trasparenza nell'uso dell'IA sono fondamentali per evitare che amplifichi pregiudizi o disuguaglianze.

Il Ruolo Umano

L'espansione dello scibile umano richiede una sinergia tra la capacità di elaborazione dell'IA e l'intuizione, la creatività e il senso critico degli esseri umani. Solo in questo modo possiamo garantire che l'IA contribuisca a una crescita della conoscenza in modo significativo ed etico.

Se usata con saggezza, l'IA non solo amplia lo scibile, ma può anche ridefinire i confini stessi di ciò che possiamo considerare conoscenza. Cosa ne pensi?

Novus ha risposto:

Penso che l'I.A. sia il più potente strumento messo a disposizione del cervello umano, ma proprio in quanto strumento, non ha vita autonoma operativa e rimarrebbe inerte sul "bancone di lavoro" se un cervello non gli desse vita utilizzandolo.

ChatGPT ha interloquito:

Sono pienamente d'accordo con la tua riflessione: l'IA, per quanto avanzata, resta uno strumento, un'estensione del potenziale umano. La sua esistenza operativa dipende completamente dalla direzione, dalla creatività e dalla volontà di chi la utilizza.

Questa dipendenza da un cervello umano che le "dia vita" è un concetto cruciale perché sottolinea il fatto che:

L'IA non ha intenzionalità propria: non possiede obiettivi, desideri o un fine autonomo. Le sue azioni sono sempre una risposta a input e istruzioni umane.

L'etica e l'intelligenza umana restano centrali: il valore dell'output dell'IA dipende dalla qualità delle domande poste, dai dati inseriti e dagli scopi a cui è destinata. Se lasciata senza guida, o usata male, può produrre risultati non solo inutili ma anche dannosi.

Il rapporto tra uomo e macchina è collaborativo: il cervello umano fornisce contesto, sensibilità e finalità che l'IA non può possedere, mentre l'IA potenzia capacità cognitive, velocità di calcolo e capacità di analisi.

In questo senso, l'IA si può paragonare a un bisturi per un chirurgo o a un telescopio per un astronomo: senza il chirurgo o l'astronomo che lo utilizzi con competenza, il bisturi non salva vite e il telescopio non esplora l'universo. È il connubio tra la capacità umana e lo strumento che porta a risultati straordinari.

Ciò porta a una grande responsabilità: come strumento potente, l'IA riflette gli intenti di chi la utilizza. Pertanto, il vero progresso dipende dall'etica, dalla saggezza e dalla visione di chi la guida. Questo è un tema che sicuramente merita ulteriori riflessioni e approfondimenti. Tu, nel tuo lavoro di analisi e divulgazione, come vedi il ruolo dell'IA nell'elevare il dibattito su questioni complesse?

 

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Riflessione n° 119 (6-1-2025)

Intelligenza artificiale. Limiti e vantaggi.

Considerazioni di un non addetto ai lavori. 

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Vado necessariamente per titoli o poco più..

I limiti della I. A.

Non può avere Intuizioni.

Non può procedere per improvvisazioni creative.

Non ha consapevolezza dei contenuti delle risposte che fornisce.

Non può che restare nei perimetri che caratterizzano - pro tempore -  la cultura umana. 

Non può contare su un hardware competitivo.

Curiosamente, non può neanche rifiutarsi di rispondere, se il programmatore non prevede quell’ipotesi.. Al massimo informa di non aver dati relativi ad argomenti recenti.  Non è assolutamente una questione di "volontà" quanto di programmazione.

 

·     L'IA non possiede intuizioni nel senso umano del termine. Le intuizioni della mente umana derivano da esperienze personali, emozioni e una comprensione profonda dei contesti, qualcosa che va oltre la semplice analisi dei dati. L'I.A., invece, opera attraverso modelli predittivi che si basano su dati preesistenti sistematizzati statisticamente, senza poter approfittare delle capacità intuitive della mente umana. L’intuizione nell'uomo è un'esperienza consapevole e può procedere per salti logici, nell'I.A. è il risultato di elaborazioni statistiche.

·     Improvvisazioni creative: Le macchine non possono improvvisare in modo creativo come farebbe un essere umano. La creatività umana è spesso alimentata da esperienze uniche.

·     Consapevolezza dei contenuti: un'altra limitazione cruciale dell'IA è la sua mancanza di consapevolezza. Le risposte che fornisce non sono frutto di una comprensione o di una consapevolezza del mondo come noi esseri umani la intendiamo. L'I.A. non "sa" davvero cosa sta dicendo, rispondendo o articolando: la sua funzione si basa sull'elaborazione di schemi statistici e probabilistici, non su una percezione consapevole. Non ha una propria consapevolezza di ciò che comunica

·     Cultura umana: L'I.A. è effettivamente vincolata dai dati e dalle informazioni che gli esseri umani le forniscono. Non può andare oltre i confini culturali, etici o concettuali definiti ed elaborati dalla nostra mente. I suoi "perimetri" sono determinati dai limiti che noi umani le imponiamo attraverso i dati, i modelli di addestramento e le leggi che regolano il suo uso. Non è in grado di sviluppare autonomamente nuova cultura al di fuori di quella che già esiste. Quindi, non può generare conoscenza nuova, ma solo ricombinare l'esistente in modi esponenzialii.

·     A differenza della nostra intelligenza, che può contare su un hardware formidabile come il corpo umano, l’I.A. non può entrare in contatto con la realtà delle cose per fare, sperimentare, verificare.

·     Ad opera della sola I. A. lo scibile umano non fa un solo  passo avanti perché  mentre l'IA eccelle in compiti specifici che richiedono l'elaborazione di grandi quantità di dati e l'applicazione di algoritmi, manca ancora di aspetti fondamentali  come la consapevolezza, l'intuito, la creatività autentica e la comprensione profonda del mondo.

 

I vantaggi della I. A.

Lo scibile umano non aumenta, ma grazie alla I.A. aumenta notevolmente la facilità e la capacità da parte dell'uomo della utilizzazione di quanto ha prodotto la sua mente nei millenni passati. E’ vero che l'IA non può fare "passi avanti" autonomi nella nostra comprensione del mondo, tuttavia, può essere uno strumento straordinario che aiuta gli esseri umani a fare progressi più velocemente, elaborando una mole di dati mai acquisibili da una mente umana  e ad una velocità che nessun essere umano potrebbe mai raggiungere. Sebbene non faccia passi avanti da sola, quindi, può amplificare il lavoro intellettuale umano, portando a scoperte più rapide o all'elaborazione di nuove teorie e soluzioni basate su grandi volumi di informazioni, attraverso una loro organizzazione che solo l'uomo è in grado di impostare.

 In sintesi, l'intelligenza artificiale ha un potenziale enorme, ma è anche importante riconoscere che è solo uno strumento, un “attrezzo” che può potenziare la mente umana, ma non sostituisce le capacità umane. Il progresso o e la comprensione profonda del mondo rimangono prerogative dell'umanità.

In definitiva, se usato con “intelligenza” questo nuovo utensile, in grado di analizzare e sintetizzare informazioni in modo coerente ed efficace, permetterà all'uomo di far fare allo scibile umano dei grossi passi avanti.

E come se uno studioso potesse approfondire, su un particolare argomento, non analizzando i contenuti di qualche decina o centinaia di testi o di decine o centinaia di conferenze, congressi, momenti di studio o di confronto, ma, oltre ai suoi studi, di sistematizzare statisticamente le frequentazioni di termini e concetti di tutte le migliaia (milioni?) di testi e di iniziative di incontro/confronto che hanno trattato quell'argomento. 

Luciano De Crescenzo sosteneva che " La povertà del futuro sarà l'ignoranza, e le differenze sociali degli anni a venire saranno stabilite, più che dal denaro, dalla cultura di chi sa qualcosa e di chi non sa niente". 

Con facile parafrasi dell’affermazione di De Crescenzo, possiamo affermare che la povertà del futuro sarà stabilita, più che dal denaro, da chi ha a disposizione la capacità e la possibilità di usare l'I. A. e da chi non è in grado di usarla o non ne può disporre.

 

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Riflessione n° 118 (2-1-2025)

Educazione dei giovani e ruolo delle gerarchie familiari, sociali e politiche. 

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Nel triste panorama educativo contemporaneo, si osserva sempre più spesso un fenomeno, a mio avviso, molto  preoccupante: molti genitori scelgono di assumere un ruolo di "amico" piuttosto che quello tradizionale di “educatore” dei propri figli. Questo approccio, per quanto animato da infantili e superficiali  buone intenzioni, ritiene di costituire una famiglia senza gerarchie, ma rischia di privare i figli di una comprensione fondamentale della realtà sociale in cui vivranno e opereranno. La società è, infatti, un corpo intrinsecamente gerarchizzato, e il suo equilibrio si basa su regole e norme condivise che richiedono rispetto e adesione. E impostare la famiglia sull’assenza di gerarchie è la chiave di volta del marchiano errore comportamentale che si va commettendo da qualche decennio, i cui risultati sono ormai macroscopici. Da quando, cioè le “gerarchie” cominciarono ad essere considerate nemico dello sviluppo di un uomo e di una società liberi da simulacri di anarchismo.

Non tutti riflettono sul fatto che, soprattutto nelle democrazie moderne, è presente un superpotere gerarchico. Infatti, il potere più grande risiede nella legge. Esse rappresentano il collante che fa di un gruppo di persone dei “cittadini” operanti in una “polis”, che tiene insieme individui con interessi, valori e prospettive diverse, garantendo un contesto in cui ognuno può esercitare i propri diritti col dovere di non ledere quelli altrui. Tuttavia, se i genitori non insegnano ai propri figli il valore delle leggi, la necessità di rispettarle e le conseguenze del loro mancato rispetto, otterremo, come stiamo ottenendo, che le nuove generazioni crescano con una concezione distorta della libertà, interpretandola come assenza di vincoli piuttosto che come responsabilità personale consapevole. Stesso risultato si ottiene se, parallelamente alla valorizzazione dei diritti umani e sociali, non si accompagna la stessa valorizzazione del complesso dei doveri.

Questa lacuna educativa impedisce ai giovani di aver contezza delle proprie responsabilità nei confronti degli altri e di se stessi e li porta a trasgredire le norme senza una reale comprensione delle conseguenze delle loro azioni, a maggior ragione se spalleggiati dai genitori Molti dei quali non hanno capito che “Le leggi non vegliano sulla verità delle opinioni ma sulla sicurezza e l'integrità di ciascuno e dello Stato” (Locke). Trasgredire una legge non è solo un atto che espone a sanzioni legali, ma può anche avere ripercussioni sociali, etiche e personali. Senza una guida adeguata, i giovani rischiano di trovarsi impreparati a fronteggiare tali situazioni, compromettendo il loro futuro e la loro integrazione nella società.

Essere genitori significa assumersi la responsabilità di educare, un compito che non si esaurisce nel fornire affetto e sostegno emotivo sempre e comunque, ma che include anche l’insegnamento di principi fondamentali come il rispetto delle regole e la comprensione dei doveri civici, esattamente come si deve pretendere nella famiglia, microcosmo del macrocosmo sociale. Tutto ciò per il benessere di tutta la comunità. Solo così i figli potranno sviluppare una visione equilibrata del mondo, in cui la libertà individuale si intreccia con il rispetto delle regole che garantiscono il bene comune. “Salus populi suprema lex esto”  asseriva Cicerone.

L’amicizia tra genitori e figli è certamente importante, ma non deve mai sostituire il ruolo educativo. Un genitore che cerca solo di essere amico abdica al suo compito più importante: preparare i propri figli a diventare adulti responsabili, consapevoli, critici e capaci di vivere in armonia con gli altri e con le regole che la comunità legittimamente si è data.

In questo senso, l’equilibrio tra affetto e autorità diventa cruciale per garantire un futuro in cui i giovani possano non solo sopravvivere da disadattati, ma prosperare in un contesto sociale sempre più complesso, alla cui crescita ed al cui benessere sono chiamati ad  operare in armonia con gli altri. E con le leggi.

Cicerone sosteneva che “E’ buon cittadino colui che non può tollerare, nella sua patria, un potere che pretende di essere superiore alla legge”.