RIFLESSIONI 2025
|
|
|

Riflessione n° 138 (23-3-2025)
Manifesto
di Ventotene e non solo:
“Contestualizzare (*), compagni!
La nuova generazione progressista non
regge per incultura.
In
campo gli agit prop d’antan: i vecchietti Prodi, Fassino, Amato,
Bertinotti, Veltroni, D’Alema
Il (sempre più) vecchio zoccolo duro progressista vorrebbe dare una
mano ai giovanotti disorientati, scarsofacenti e afoni. Specie nella
polemica sul Manifesto di Ventotene, che quasi nessuno di loro ha letto.
Il santino con immaginetta spinelliana del Manifesto di Ventotene
(uno dei pochi rimasti) va, secondo l’RSA del PD, comunque salvaguardato.
Parola d’ordine di fronte alle critiche politiche della destra del terzo
millennio: contestualizzare gli strumenti individuati da Spinelli (Rossi dovette accodarsi).
Dal ruolo di avanguardia
dittatoriale dal partito
rivoluzionario, come strumento politico operativo; ai pesanti
interventi di stampo sovietico in materia di proprietà privata, come
strumento economico d’impronta della nuova società nella federazione
europea.
Il tentativo di
"contestualizzare" certe posizioni tardo socialrivoluzionarie del
Manifesto di Ventotene, è una strategia comune tra coloro che
vogliono difendere l’eredità storica del federalismo europeo senza affrontarne
le contraddizioni. Oltretutto, si possono “contestualizzare” giudizi,
opinioni, valutazioni, analisi, ma non gli strumenti di realizzazione di un
progetto politico ben articolato. Tuttavia, pur volendo procedere ad una
contestualizzazione onesta, non ci si può limitare a considerazioni
benevolenti con operazione puramente apologetica: è necessario riconoscere
che il progetto di Spinelli, per come venne concepito negli anni ’40, aveva
elementi fortemente illiberali e, dal 1948, inaccettabili.
I pensatori progressisti d’oggidì,
chiamati a far fronte alle critiche, si limitano a sostenere: “Che cosa si
poteva proporre, in piena guerra, da uomini ridotti al confino per
realizzare l’Europa federale?”, come se esistessero solo nazionalismi, fascismo e comunismo leninista. La
democrazia USA era in vita da oltre 160 anni; le monarchie parlamentari
erano anch’esse centenarie, ecc.
Ricapitoliamo gli strumenti politici
individuati da Spinelli e accettati da Rossi.
Il nodo della "dittatura del
partito trainante"
Spinelli e Rossi ritenevano che la
costruzione di un’Europa unita richiedesse una fase di transizione
autoritaria, in cui un partito rivoluzionario avrebbe dovuto guidare il
processo per impedire il ritorno dei vecchi nazionalismi. Questo approccio
non era una semplice "contestualizzazione" dovuta alla guerra ed
ai vincoli intellettuali dovuti al confino, ma rispecchiava una visione
tipica di molte élite rivoluzionarie del XX secolo: il cambiamento radicale
doveva essere imposto da un’avanguardia illuminata, anche contro le
decisioni dei cittadini.
Oggi questa impostazione appare
chiaramente incompatibile con i principi democratici e di difficile
contestualizzazione. Molti di coloro che hanno letto il Manifesto
preferiscono sorvolare su questo strumento leninista.
Gli Interventi sulla proprietà privata
Anche l’idea di un forte intervento
sulla proprietà privata, con nazionalizzazioni e piani economici centralizzati,
rifletteva la cultura politica dell’epoca. Negli anni ’40, l’alternativa al
capitalismo era vista quasi esclusivamente nel socialismo di Stato o in
forme di economia pianificata. Ma allora, se si giustifica questo aspetto
del Manifesto come da "contestualizzare", bisognerebbe ampliare
la contestualizzazione anche al sistema leninista dei soviet ed al
dirigismo economico dell’Unione Sovietica o, perché no? alle politiche
nazional autarchiche fasciste ed al ruolo dei fasci rivoluzionari quale partito
trainante. Eppure, non ho mai sentito far paragoni simili da chi difende Spinelli (praticamente
annullato dalla nomenklatura del PCI degli anni ’50) né suggerire, per
completezza di analisi, simili parallelismi.
Conclusione
Una corretta contestualizzazione non
deve essere un'operazione selettiva volta a giustificare certe derive, ma
un'analisi critica del pensiero di Spinelli e dei suoi limiti. Il Manifesto
di Ventotene è stato un documento fondamentale per il pensiero federalista
europeo, ma non sul versante degli strumenti politici per la sua
realizzazione: le soluzioni politiche erano autoritarie allora e oggi – se
conosciute e ben comprese - non sarebbero accettabili. Il problema è che la
narrazione dominante presenta l’opera come un documento
"profetico" e privo di difetti, mentre meriterebbe una
riflessione più onesta e meno ideologica. Magari anche alla luce dei
comportamenti socio-politici riconosciuti e tenuti dai due estensori negli
anni successivi.
Va notato che, proprio la risoluta e astiosa
tenacia dei sostenitori del Manifesto nel considerarlo santino fondamentale
della loro cappellina di partito ne sta mettendo in luce aspetti che molti
dei fedeli non avevano individuato, forse perché neanche mai letta l’opera
integrale.
Lunedì 24 marzo, alle ore
21:30, su Quarta Repubblica, Porro manderà in onda il video di un Prodi –
sfuggito ai badanti dell’RSA – che “questiona da anziano astioso” con una
giornalista che aveva osato porre il problema dei sistemi realizzativi
individuati da Spinelli nel Manifesto.
Mi auguro di poterlo pubblicare su questo sito.
(*) Ricordo la funzione salvifica del
processo di contestualizzazione. Una quindicina di anni fa, Berlusconi
raccontava l’ennesima barzelletta.
L’historiette prevedeva una esclamazione che Berlusca trasformò in bestemmia.
Coinvolto sulla vicenda, Monsignor Fisichella assolse Berlusconi sostenendo
che “la bestemmia andava contestualizzata!”.
|

Riflessione n° 137 (21-3-2025)
Il
Manifesto di Ventotene, il PCI, Spinelli, Togliatti, Il Partito Radicale,
Rossi, Pannella.
Alcune
veloci riflessioni.
Seguono
valutazioni di Ernesto Galli della Loggia (2014)
Il
Partito Comunista Italiano (PCI) e Palmiro Togliatti non nutrivano grande
simpatia per il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, Ernesto
Rossi. Le ragioni di questa diffidenza erano sia ideologiche sia
strategiche.
1.
Diffidenza ideologica: l'internazionalismo marxista contro il federalismo
europeo
Il
Manifesto di Ventotene proponeva un'Europa federale come risposta al
nazionalismo e alle guerre, sostenendo che la costruzione di uno Stato
federale europeo fosse il primo passo per superare gli Stati nazionali.
Questo approccio era visto con scetticismo dal PCI, che restava ancorato
all'internazionalismo marxista e alla lotta di classe
2.
L'influenza sovietica e la "questione nazionale"
Togliatti,
rientrato in Italia nel 1944 con la Svolta di Salerno, adottò una
linea politica pragmatica: il PCI doveva integrarsi nel sistema democratico
italiano e guadagnare consenso nelle istituzioni. In questo contesto,
l'idea di un'Europa federale non era una priorità per il PCI, che puntava
piuttosto a rafforzare il proprio peso politico in Italia e nei rapporti
con l'Unione Sovietica.
Mosca
vedeva con sospetto qualsiasi progetto di unificazione europea non sotto la
sua influenza, temendo che potesse servire a contrastare l'espansione
sovietica nel dopoguerra. Il PCI, fedele alla linea sovietica, si adeguò a
questa visione, osteggiando l'integrazione europea, specialmente nel
contesto della nascita della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio
(CECA) del MEC poi della CEE, viste come strumenti dell'imperialismo
occidentale e ostacolo all’internazionalismo comunista.
Spinelli
e Rossi [che nel dopoguerra mantenne
il suo impegno federalista, ma con un approccio più pragmatico e critico
rispetto all’utopismo iniziale del Manifesto di Ventotene].
immaginavano un'Europa post-bellica in cui la borghesia e il capitalismo
venissero superati attraverso una transizione rivoluzionaria. Nel testo si
parla esplicitamente della necessità di abolire la proprietà privata dei
mezzi di produzione e di instaurare un regime transitorio con una
"dittatura del partito rivoluzionario", che avrebbe dovuto
garantire l'attuazione delle riforme necessarie per costruire una società
socialista.
Anche
se il Manifesto parlava di socialismo e rivoluzione, il PCI non lo
considerava un progetto compatibile con la propria linea politica. Le
ragioni erano:
· L’alleanza con l’URSS: il PCI seguiva la
linea di Mosca, che non vedeva di buon occhio un’Europa federale
indipendente.
· La diffidenza verso Spinelli: il suo
progetto era rivoluzionario, ma non comunista in senso marxista-leninista,
e soprattutto rifiutava il modello sovietico.
· Il ruolo degli Stati nazionali: il PCI
vedeva l’Italia come un paese chiave per la rivoluzione socialista, mentre
il Manifesto proponeva un superamento degli Stati, cosa che avrebbe tolto
potere ai partiti nazionali.
Quindi,
anche se il Manifesto parlava di dittatura del partito rivoluzionario e di
socialismo, il PCI non poteva accettarlo perché non si allineava con
l’ideologia sovietica e con la strategia del partito in Italia. In questo
senso, il PCI lo considerava un progetto "eretico" rispetto
all’ortodossia comunista.
3.
Il PCI e l’eresia borghese del federalismo.
Il
PCI considerava il federalismo europeo una prospettiva troppo legata a
correnti liberal-socialiste e borghesi, che non mettevano in discussione i
fondamenti del capitalismo. Mentre il Manifesto di Ventotene
auspicava un'Europa costruita su basi socialiste, il PCI restava ancorato
alla visione della lotta di classe e alla centralità dello Stato nazionale
come strumento di trasformazione sociale.
4.
Spinelli, un sopportato nel PCI
Altiero
Spinelli, che in gioventù era stato vicino al comunismo, si allontanò
progressivamente dal marxismo ortodosso e dal PCI, fino a diventare un
forte critico sia del capitalismo americano che del socialismo sovietico.
Negli anni successivi, come europarlamentare e promotore dell'integrazione
europea, si scontrò più volte con la sinistra comunista italiana, che
continuava a vedere con sospetto il processo di unificazione europea.
5)
Rossi, un ispiratore per i radicali.
Se
Spinelli fu emarginato nel PCI,
Ernesto Rossi, pur non avendo un ruolo diretto nel Partito Radicale
fondato nel 1955, fu un'importante fonte di ispirazione per i radicali, in
particolare per Marco Pannella.
Il
Partito Radicale portò avanti molte idee di Ernesto Rossi, in particolare
sul liberalismo, sul laicismo e l’anticlericalismo, sul federalismo
europeo, sulla democrazia interna al partito. Dopo la sua morte nel 1967, i
radicali ne ne continuarono molte battaglie.
In
conclusione, il PCI e Togliatti non condividevano la visione del Manifesto
di Ventotene perché la ritenevano troppo distante dalla loro strategia
politica e dall'influenza sovietica. La loro priorità era il rafforzamento
del PCI in Italia e il mantenimento dei legami con l'URSS, mentre il
federalismo europeo era visto come un progetto borghese e incompatibile con
la lotta di classe e di ostacolo alla presa del potere da parte dei partiti
comunisti nazionali. Per questo motivo, il PCI fu, almeno inizialmente,
contrario all'integrazione europea e non appoggiò le idee di Spinelli.
Al contrario, per
i Radicali e Marco Pannella, il Manifesto di Ventotene era un
documento essenziale, visionario e ispiratore, ma la sua piena attuazione
richiedeva un impegno continuo e una trasformazione radicale delle
istituzioni, affinché l’Europa potesse abbracciare completamente quei
valori di libertà, democrazia e unità perché i suoi paesi potessero trasformarsi in Stati Uniti
d’Europa.
Personalmente definisco il Manifesto di
Ventotene un documento tanto anticipatore e mobilitante negli obiettivi
(Rossi) quanto datato e inaccettabile negli strumenti e nei mezzi
individuati (nel 1941) per raggiungere quegli obiettivi (Spinelli). Peccato
che sia stati trasformato in santino miracoloso, con l’immaginetta di
Spinelli ed il testo sul retro, dai parroci della nomenclatura (non sono
più in circolazione i “maestri della chiesa”), ben sapendo che nessuno dei
gonzi l’avrebbe mai letto. Pronti comunque ad essere mobilitati contro gli
infedeli sacrileghi iconoclasti.

|

Riflessione n° 136 (15-3-2025)
UE.
Forza armata comune ed autonoma, mantenendo eserciti nazionali
L’IDEA.
Se riuscissimo ad essere all’altezza, potremmo tagliare
in due il problema: 1) creare un nucleo europeo di esercito continentale
con linee di comando e controllo del tutto autonome rispetto ai governi
nazionali e con entità di riferimento sul tipo di un Consiglio di guerra
europeo. La forza verrebbe annualmente incrementata in funzione delle
esigenze anche dei sistemi d'arma e di altre variabili. 2) Lasciare in vita
l'altra metà degli eserciti nazionali con linee di comando come le attuali.
Molti ns. generali si sono espressi contro l'affidamento delle nostra FFAA
a comandi centrali. Per questo si manterrebbero forze nazionali gestite
dalle strutture militari esistenti. Certamente occorreranno misure di
coordinamento, ma credo che questo sia il modo di procedere.
Riflettiamo:
siamo proprio sicuri che le difficoltà da affrontare siano quasi
insuperabili? Prendiamo esempio dal
pragmatismo dei “banchieri”, in grado di valutare l’utilità economica e di
settore di progetti che sembrano scardinare l’ordine costituito. Hanno
capito che, rinunciando a tradizionali posizioni di rendita, la creazione di una moneta comune e di
una banca centrale di rango superiore alle banche centrali nazionali, sarebbero
state iniziative vincenti,
portatrici di utili e di
nuovo potere – non solo di settore - in ambito UE.
Risultato:
creazione della BCE e dell’euro. Detto, pensato, approfondito e fatto.
La cosa si deve necessariamente approfondire.
Emergono, infatti, vari, serie
questioni.
A) PROBLEMI.
1. Autonomia
del comando europeo:
o
Un Consiglio di guerra europeo dovrebbe
avere un’autorità indipendente e decisionale. Ma chi lo controllerebbe
politicamente? La Commissione UE, il Consiglio europeo, un organo nuovo?
o
La catena di comando autonoma rischierebbe di
entrare in contrasto con le politiche nazionali e con la NATO.
2. Ruolo
e finanziamento:
o
L’esercito comune avrebbe un orizzonte
necessariamente proiettato al di fuori della Ue, sugli scacchieri
geopolitici internazionali.
o
La forza comune necessiterebbe di un bilancio
comune, il che implica contributi obbligatori dagli Stati membri. Valutare
i meccanismi di formazione della volontà e i criteri di ripartizione?
o
Un aggiornamento continuo dei sistemi d’arma
implicherebbe una politica industriale comune della difesa e in materia di
ricerca, in cui oggi vi sono forti divergenze tra Francia, Germania e
Italia.
3. Eserciti
nazionali paralleli:
o
Gli eserciti nazionali restano indipendenti,
con definizione precisa di ruoli e mansioni. Come potrebbero definirsi
ambiti, modalità e campi di intervento
in eventuali missioni missioni autonome o parallele rispetto all’esercito
europeo?
o
La duplicazione di strutture potrebbe ridurre
l’efficienza complessiva, a meno che non si stabilisca una chiara
ripartizione dei ruoli (ad esempio, difesa del territorio per gli eserciti
nazionali e proiezione esterna per la forza comune).
4. Problemi
politici e sovranità:
o
La creazione di una forza autonoma richiede una
forte volontà politica e trattati vincolanti tra gli Stati. Alcuni Paesi,
come (Polonia? Ungheria? Francia?), potrebbero opporsi a cedere potere
decisionale su questioni militari.
o
In Francia e Italia, molti generali si
oppongono a un comando europeo che li priverebbe di controllo diretto sulle
FFAA. Come convincere le élite militari nazionali?
B) UN
PROGETTO PER GRANDI LINEE
·
Modello di esercito europeo a
doppia struttura
Forza
continentale comune integrata:
struttura, comando, missioni, finanziamento.
Gestione
della forza nucleare della Francia. Problema enorme.
Eserciti
nazionali autonomi: funzioni, coordinamento con la forza europea,
interoperabilità.
Ruoli
NATO e UE: possibili sovrapposizioni e differenziazione.
·
Governance e comando:
Creazione
di un Consiglio di guerra europeo e definizione della sua autorità.
Linee
di comando e rapporti con i governi nazionali.
·
Modello di finanziamento e
industria della difesa:
Fondo
europeo per la difesa: modalità di contribuzione e gestione.
Integrazione
dei complessi militari-industriali nazionali anche di ricerca.
C) PROPOSTA OPERATIVA PER LA CREAZIONE DI UN
ESERCITO EUROPEO A DOPPIA STRUTTURA
C.1)
Struttura Generale
L’iniziativa
prevede la creazione di un esercito europeo articolato in due componenti
principali:
Forza
Integrata comune: un’unità militare autonoma, con una catena di
comando europea e un’operatività sovranazionale.
Logistica
del tutto autonoma e ben distinta dalle forze armate nazionali.
Eserciti
Nazionali: mantengono l’attuale struttura e catena di
comando, con funzione principale di difesa territoriale.
C.2)
Governance e Comando
Consiglio
di Guerra Europeo: organismo indipendente con rappresentanza
proporzionale degli Stati membri, incaricato della pianificazione
strategica.
Comando
Operativo Europeo: unità di comando con sede centrale,
responsabile dell’impiego della Forza armata comune e della sua
interoperabilità con gli eserciti nazionali.
Rapporto
con la NATO: coordinamento strategico senza
sovrapposizioni operative.
C.3)
Organizzazione della Forza Integrata comune
Composizione:
inizialmente un nucleo per ciascuno
dei principali Stati membri, con ampliamento progressivo.
Ruoli:
proiezione esterna, risposta alle crisi, deterrenza avanzata.
Formazione
e Standardizzazione: addestramento comune e utilizzo di sistemi
d’arma interoperabili.
E’
sempre presente il problema della gestione della forza nucleare francese
C.4)
Finanziamento e Industria della Difesa
Bilancio
Europeo della Difesa: contribuzione obbligatoria degli Stati membri
in base al PIL e al livello di partecipazione.
Acquisti
e Ricerca: centralizzazione degli investimenti per
evitare duplicazioni e rafforzare l’industria europea.
Sviluppo
di Capacità: priorità a progetti europei come caccia,
mezzi corazzati, lanciatori unità
navali.
C.5)
Coordinamento con gli Eserciti Nazionali
Interoperabilità:
programmi di addestramento congiunti e sistemi di comunicazione integrati.
Ruoli
Specifici: gli eserciti nazionali mantengono la difesa territoriale
e supportano l’esercito europeo in operazioni congiunte.
Unità
di Riserva Europea: creazione di forze di riserva integrate per
supportare entrambe le strutture.
D) Implementazione
progressiva
Si
procede necessariamente per fasi: Fase 1: istituzione delle prime
unità integrate. Fase 2 : espansione delle forze, piena
interoperabilità con gli eserciti nazioneli. Fase 3: Capacità
operativa e indipendenza strategica
rafforzata.
E) Ostacoli
Resistenze
politiche: utilizzo della cooperazione rafforzata per
coinvolgere solo gli Stati disponibili.
Opposizione
delle élite militari: garanzia di ruoli chiari per gli eserciti
nazionali e coordinamento stretto con i comandi nazionali.
Equilibrio
con la NATO: affiancamento e non innesto di un corpo
estraneo forzato nell’Alleanza
Atlantica.
Conclusione
Questo modello consente di rafforzare la difesa
europea senza compromettere la (ancora gelosa) sovranità nazionale, garantendo una
capacità militare integrata e competitiva. La sua attuazione graduale
permette di minimizzare i rischi politici e operativi, costruendo un’Europa
della difesa più coesa ed efficace.
L’alternativa
ad un esercito comune europeo non può che riguardare la cooperazione rafforzata tra alcuni Stati,
partenariati bilaterali (ad es. Francia-Germania, Italia-Spagna). Ma i
problemi di gestione, di rapporti, di operatività restano esattamente gli
stessi che si dovrebbero affrontare con la creazione di un esercito comune
europeo. Con gli stessi problemi di
individuazione delle strategie per superare le resistenze di alcuni
stati membri.
Tanto
vale pensarla alla grande.
|

Riflessione n° 135 (12-3-2025)
Riprendo
Machiavelli per arrivare – velocemente – a Trump.
Machiavelli, nel Principe, sostiene che per un
sovrano è meglio essere temuto che amato, se non può essere entrambe le
cose, perché la paura è un sentimento più stabile e duraturo rispetto
all'amore, che è volubile e dipende dalla gratitudine e dalla lealtà dei
sudditi, non sempre cristalline. Tuttavia, precisa che il timore non deve
mai trasformarsi in odio, perché questo potrebbe portare alla ribellione.
La sua visione è fortemente pragmatica e si
basa sull'osservazione della natura umana e della politica del suo tempo.
Nell'ottica di Machiavelli, la politica non è guidata da princìpi morali
assoluti, ma dalla necessità di mantenere il potere e garantire la
stabilità dello Stato. Ed il Principe, opera in concorrenza con paesi in
cui dominano altri Principi.
Oggi, in un contesto democratico, questa logica
può essere applicata in modo diverso: il timore può tradursi in rispetto
dell'autorità e della capacità decisionale, ma senza il consenso popolare e
la fiducia, un leader rischia di perdere il suo potere nel lungo periodo.
Tuttavia, in scenari autoritari o in situazioni di crisi, l'uso del timore
può ancora rivelarsi efficace.
In un'ottica personale, oggi, il Principe potrebbe essere più incline
al timore da parte dei suoi sudditi, ma credo sia di gran lunga superiore
l'essere stimato (cosa diversa dall'essere amato) piuttosto che l'essere
temuto.
Essere stimati è diverso dall’essere amati e
può avere un valore più duraturo rispetto al semplice timore. La stima si
basa su competenza, autorevolezza, apprezzamento della qualità delle
decisioni e coerenza, mentre il timore è spesso legato alla coercizione o
alla forza, elementi che nel lungo periodo risultano umanamente molto
costosi e possono generare risentimento o ribellione, che non sempre si
mantengono sottotraccia.
Machiavelli fu molto mal considerato dai dotti
suoi contemporanei: La chiesa cattolica lo accusò di paganesimo, ateismo, empietà.
Dagli avversari politici fu tacciato di cinismo, spietatezza, crudeltà e
calcolo. Il fiorentino, scriveva in un contesto in cui la stabilità del
potere era spesso minacciata da congiure e tradimenti, quindi la sua
preferenza per il timore aveva una logica contingente. Ma se guardiamo alla
politica moderna e alla leadership in generale, i leader più efficaci sono
quelli che riescono a farsi rispettare e stimare, piuttosto che quelli che
governano con il pugno di ferro.
Oggi, credo che tutto dipenda dalla
collocazione internazionale del paese in cui governa il Principe. In un
mondo libero, come – in genere – l’Occidente, il timore è addirittura
controproducente e, alla prima mossa falsa o incertezza del Principe,
costui si ritroverebbe del tutto squalificato se non addirittura
defenestrato. Se invece il paese del Principe è in un mondo in cui dominano
assetti autarchici, può anche puntare sul timore che però porterebbe i
“sudditi” a far coincidere la sua fine come la fine della paura.
Il contesto internazionale, quindi, gioca un
ruolo cruciale sia nell’interrogare ancora Machiavelli che nella modalità con cui un leader esercita
il potere. In un sistema aperto e interconnesso, dove l’opinione pubblica,
i media e le istituzioni democratiche hanno peso, governare col timore è
spesso insostenibile. Un leader che basa il proprio potere sulla
coercizione rischia di essere rapidamente messo in discussione alla prima
debolezza.
Al contrario, in un sistema autarchico o
isolato, dove il controllo delle informazioni e la repressione sono più
“comuni” e facili da esercitare, il timore può essere un mezzo efficace per
accettare quelle repressioni e mantenere il potere. Tuttavia, questo stato
di cose crea un legame tra il destino del leader e quello della paura
stessa: se il Principe autocrate non ha ben pensato e organizzato la
successione, alla sua caduta, il popolo potrebbe vedere la sua fine come
una liberazione, aprendo la strada a rivolte e/o a un cambio radicale del
sistema.
Quindi, potremmo dire che la scelta tra essere
temuti, stimati o amati dipende non solo dalla volontà del singolo leader,
ma anche dalle condizioni strutturali sociopolitiche del sistema in cui
opera.
Possiamo tradurre questi concetti ed applicarli
a situazioni concrete.
Ad esempio, Trump è amato da metà degli
americani e disistimato o temuto dall'altra metà. Ma della posizione
interna poca si interessa. A Trump interessa più l'essere temuto dagli
altri Principi (canadese, danese, russo), essendo il Principe più potente.
Quindi, l’ottica si sposta dal rapporto tra il leader e il popolo al
rapporto tra il leader e gli altri leader, un aspetto che, per tornare al
nostro, Machiavelli stesso avrebbe trovato cruciale. Trump, più che
concentrarsi sulla coesione interna dove, salvo grosse cazzate, per legge
godrà di quattro anni di potere, è amato da una parte e odiato
dall’altra, ha puntato molto sulla
proiezione esterna della sua forza, ritenendo molto utile l’ essere temuto
dagli altri Principi operanti sulla
scena globale. Ed credo che sia certo di potersi fermare prima di esondare
verso l’odio o il non poterne più da parte degli altri Principi.
La sua dottrina, riassumibile nello slogan
esplicito “America First” e implicito “Donald first”, ha privilegiato il
concetto di deterrenza e imprevedibilità, spesso utilizzando il linguaggio
della minaccia (sia economico/finanziaria che militare) per ottenere
vantaggi negoziali. Ha imposto dazi alla Cina, ha minacciato di uscire
dalla NATO se gli alleati non avessero aumentato la spesa per la difesa, ha
“avvisato” l’Iran, minacciandolo di distruzione se dovesse venir ucciso, ha
messo gli occhi su Canada e Groenlandia.
In questi casi, lusinga – magnificando ricchezze future - i
cittadini americani, ma - parallelamente - cerca di imporsi ai leader
stranieri come un attore anzi, il primattore che non esita a forzare le regole
del gioco. Forzature permesse solo all’uomo più potente del mondo. Cioè, a
the Donald. Il quale ritiene di potersi “fermare” in tempo, prima che le
sue azioni declinino inesorabilmente e vengano manifestamente rifiutate.
Questa strategia può funzionare finché il
Principe mantiene credibilità e potere effettivo, ma presenta rischi: se il
timore si trasforma in odio o coagula scontenti crescenti contro di lui
(oggi è facile coalizzare molte opinioni pubbliche, ad esempio, contro l’Occidente), il risultato può
essere opposto a quello sperato. Inoltre, se il Principe perde potere (ad
esempio, non viene rieletto), o se il successore da lui designato non
risulta all’altezza degli eventi, può trovarsi con un’eredità di ostilità difficile
da gestire.In tal caso, l’era del Principe coincide con la parabola terrena
dello stesso Principe.
|

Riflessione n° 134 (1-3-2025)
Se
Trump trascura alcuni valori dell’Occidente, innesca la decadenza degli
USA.
Ieri sera abbiamo assistito ad una sorta
di Studio Uno (chi ha i capelli bianchi sa di che parlo). C’è da capire se
la sceneggiata era con copione predefinito (con lo zampino di Elon?) o se
gli attori recitavano a braccio con evoluzione spontanea degli sviluppi e
con risultati non predeterminati.
In
ogni caso (predefinita o spontanea),
la sceneggiata recitata nello studio ovale ha permesso a Zelensky di avere due notevoli risultati:
1) ha ottenuto (riottenuto) la promessa di assistenza da parte di tutti i
paesi europei, compattati e decisi nell’affiancare l’Ucraina di fronte
all'atteggiamento di Trump e di Putin e 2) se gli USA vorranno continuare
ad essere i protagonisti nell' imporre la loro pace, dovranno abbassare le
loro pretese ed obbligheranno Putin ad abbassare le sue.
Però,
ripeto, la tragicommedia era troppo ben organizzata in Mondovisione per non
avere un secondo fine nascosto. Ed il secondo fine potrebbe essere proprio
il ridimensionamento delle pretese di Putin. Anche con la minaccia di Trump
di tirarsi via dai giochi e lasciare la Russia a vedersela da sola con gli
europei.
Se,
invece, la sceneggiata trasmessa
dallo studio ovale non è stata programmata, Trump ha sbagliato a trascurare
uno dei valori portanti della civiltà occidentale: l’aspirazione alla
libertà nazionale contro ogni imposizione autoritaria esterna. E la pièce
dallo studio ovale ha, come risultato più eclatante, quello di mettere gli
USA fuori dalle logiche democratiche dell’Occidente. Infatti, agli occhi
degli Occidentali e non solo, la forzatura del presidente USA ha in tal
modo promosso Zelensky a paladino
della libertà del suo paese, esempio per tutti, e retrocesso Putin (e se
stesso) ad autocrati partoriti solo
dal potere militare dispiegabile dalle rispettive nazioni.
Trump
non ha riflettuto sul fatto che l’Ucraina è stata per 70 anni sotto il
tallone di Stalin fino al 1953 e, dal 2014, sotto quello, più umorale e
meno grossolano, di Putin. E di Putin il presidente americano si fa
alleato, quindi, complice. Ne
discende che l’Ucraina mal sopporta
il ritorno a gioghi imposti
dall’esterno. Ne è risultata una
serie di novità: Zelensky ha immediatamente recuperato sul livello di gradimento personale presso i suoi
concittadini ed in termini internazionali; la UE ha toccato con mano la
propria inconsistenza geopolitica e, capita la lezione, cercherà di
provvedere a superare quei problemi. In ogni caso, l’Europa si dimostra
ancora una volta il miglior “ambiente” in cui vivere: per i principi dai
quali la sua popolazione ha ottenuto un imprinting insuperabile e ineludibile; per i suoi
valori in grado di attrarre il pensiero favorevole di molti paesi del
pianeta ed a far loro da esempio; per i suoi errori che ne fanno un
aggregato di civiltà in evoluzione, impegnato – anche se faticosamente - a
rigettare le negatività ed a valorizzare le positività. Comicia a capire
che cosa “deve” fare da grande. Sosteneva Jean Monnet che: «L’Europa sarà
forgiata dalle sue crisi e sarà la somma delle soluzioni trovate per
risolvere tali crisi»
Se non è stata una scenetta da Studio
Uno, con la sua forzatura incomprensibile,
Trump si è messo fuori dal perimetro della civiltà occidentale: se
ritiene di poter gestire il più potente paese del mondo come se si trattasse
di un’azienda che ha come unico obiettivo quello di abbattere i
concorrenti, si esclude da solo dalle dinamiche e dalle linee di tendenza democratiche
della geopolitica dell’Occidente.
Ora, sia Trump che Zelensky hanno dovuto
lasciare la palla all’Europa, perdendo improvvisamente di centralità.
Certo, Bruxelles avrebbe bisogno non
della Van der Leyen e delle forze perdenti che la sorreggono, ma di ben
altro e Parigi e Londra (uniche
potenze atomiche europee, vista la debolezza della UE, cercheranno di
prendere la palla al balzo e, sbagliando ancora una volta, di gestire pro
domo loro la vicenda, nel tentativo di
trascinarsi dietro gli altri paesi.
Bene ha fatto Giorgia Meloni a cercare di
riordinare l’Occidente (https://media.licdn.com/dms/image/v2/D4D22AQGWf1sS-OcabQ/feedshare-shrink_2048_1536/B4DZVOp1yXHAAo-/0/1740781351655?e=1743638400&v=beta&t=hANsGQNeKKw74JoAiJABXIPIceTaotaN4mNVn308w1k) chiedendo un incontro tra
tutti i paesi occidentali per ricomporre la frattura. Non credo che l’amor
proprio di Trump farà accettare agli USA l’iniziativa italiana. Ma, se non
assecondasse il nostro governo , non gli resterebbe che aizzare Putin
contro Zelensky. Sarebbe la fine delle alleanze occidentali, a cominciare
dalla Nato, e dello stesso Occidente.
A meno che Kiev non obblighi Zelensky ad una scena madre di
pentimento e di sottomissione agli USA, magari da mandare in onda, anche stavolta, dallo
studio ovale.
Con l’accortezza di affidare la regia ad
Antonello Falqui, per evitare nuovi passi falsi.
|

Riflessione n° 133 (27-2-2025)
Finanziamenti
all’Ucraina. Ho chiesto a 5 sistemi di IA
Visto che l’argomento dei finanziamenti
mondiali all’Ucraina non trova risposte univoche da parte dei singoli
stati, ho chiesto a 5 sistemi di IA di rispondere al quesito, sia in merito
ai finanziamenti USA sia a quelli dei paesi Europei.
Ecco le risposte, anch’esse non univoche:
|
MN/CHAT
GPT
A) Hai
detto: Quanti miliardi di dollari hanno ceduto gli USA all'Ucraina
ChatGPT
ha detto:
Fino
a febbraio 2025, gli Stati Uniti hanno stanziato circa 175 miliardi di
dollari in aiuti all'Ucraina dall'inizio dell'invasione russa nel 2022. Di
questi, circa 120 miliardi sono stati destinati direttamente all'Ucraina,
suddivisi in 67,3 miliardi per assistenza militare, 49 miliardi per
supporto al bilancio governativo e 3,6 miliardi per aiuti umanitari.
Il Wall Street
Journal
È
importante notare che alcune dichiarazioni pubbliche hanno riportato cifre
più elevate; ad esempio, l'ex presidente Donald Trump ha affermato che gli
Stati Uniti avrebbero speso 350 miliardi di dollari per l'Ucraina.
Tuttavia, queste cifre sono state smentite da fonti ufficiali e analisi
indipendenti.
Fanpage
Inoltre,
sebbene gli Stati Uniti siano il singolo maggior donatore, i paesi europei,
collettivamente, hanno fornito un supporto diretto all'Ucraina superiore a
quello degli Stati Uniti, con un totale di 138 miliardi di dollari.
Il Wall Street
Journal
Recentemente,
gli Stati Uniti e l'Ucraina hanno raggiunto un accordo in base al quale
Kiev cederà una parte dei proventi derivanti dalle sue risorse minerarie
agli Stati Uniti in cambio di ulteriori aiuti finanziari e militari.
Tuttavia, la versione finale dell'accordo non include garanzie esplicite di
sicurezza per l'Ucraina.
ilfoglio.it
In
sintesi, gli Stati Uniti hanno fornito all'Ucraina circa 120 miliardi di
dollari in aiuti diretti fino a febbraio 2025, con ulteriori fondi
stanziati per attività correlate. Le cifre più elevate riportate in alcune
dichiarazioni non trovano riscontro nei dati ufficiali.
B) Quanti
milioni di dollari hanno ceduto i paesi europei all'Ucraina?
ChatGPT
ha detto:
Dall'inizio
dell'invasione russa nel febbraio 2022 fino a novembre 2024, l'Unione
Europea e i suoi Stati membri hanno mobilitato circa 124 miliardi di euro a
sostegno dell'Ucraina.
Milano Finanza
Questa
cifra comprende assistenza economica, militare e umanitaria, nonché fondi
destinati alla ricostruzione del paese. In particolare, oltre 43,5 miliardi
di euro sono stati destinati al sostegno militare, di cui 6,1 miliardi
provenienti dal Meccanismo per la Pace europeo.
Eunews
È
importante notare che queste cifre sono espresse in euro; convertendo
l'importo totale in dollari statunitensi, utilizzando un tasso di cambio
approssimativo di 1 euro = 1,10 dollari, si ottiene una somma di circa 136
miliardi di dollari.
|
MN/CLAUDE
A)
Quanti miliardi di dollari hanno ceduto gli USA all'Ucraina
Dal 2022 all'ottobre 2024 (il mio limite
di conoscenza), gli Stati Uniti hanno fornito all'Ucraina assistenza per un
valore di circa 75-80 miliardi di dollari. Questo aiuto è stato distribuito
attraverso diversi pacchetti e include:
·
Assistenza
militare diretta
·
Supporto
economico
·
Aiuti
umanitari
·
Fondi
per il funzionamento del governo ucraino
Nel giugno 2024, il Congresso aveva
approvato un ulteriore pacchetto di aiuti di circa 61 miliardi di dollari
dopo mesi di stallo, portando il totale a quella cifra.
Va notato che non ho informazioni su
eventuali ulteriori aiuti che potrebbero essere stati stanziati o erogati
dopo ottobre 2024.
B) Quanti milioni di dollari hanno ceduto i
paesi europei all'Ucraina?
Sulla base delle mie conoscenze che
arrivano fino a ottobre 2024, i paesi europei (compresa l'Unione Europea
come istituzione) hanno fornito complessivamente decine di miliardi di
euro/dollari in aiuti all'Ucraina da quando è iniziato il conflitto con la
Russia nel febbraio 2022.
Secondo il Kiel Institute for the World
Economy, che mantiene un database chiamato "Ukraine Support
Tracker", fino alla metà del 2024:
· L'Unione Europea e i suoi stati membri
avevano collettivamente impegnato oltre 100 miliardi di euro in
aiuti all'Ucraina
· Questa cifra include aiuti militari,
finanziari e umanitari
· Paesi come la Germania, il Regno Unito,
la Polonia e i paesi baltici sono stati tra i maggiori donatori europei in
proporzione alle dimensioni delle loro economie
Gli aiuti sono stati forniti in diverse
forme:
· Aiuti militari diretti (armi, munizioni,
equipaggiamenti)
· Sostegno finanziario al bilancio ucraino
· Aiuti umanitari
· Assistenza per i rifugiati
· Programmi di ricostruzione
Le cifre esatte potrebbero essere
diverse a febbraio 2025, poiché gli impegni di aiuto sono continuati e
potrebbero essere stati rivisti dopo la mia conoscenza aggiornata.
|
MN/DEEPSEEK
A)
Quanti miliardi di dollari hanno
ceduto gli USA all'Ucraina
Gli Stati Uniti hanno fornito
all'Ucraina miliardi di dollari in aiuti militari, economici e umanitari
dall'inizio della crisi con la Russia, in particolare dopo l'invasione
russa del febbraio 2022. Secondo i dati aggiornati a ottobre 2023, gli
aiuti totali degli Stati Uniti all'Ucraina superano i 100 miliardi di
dollari. Questi fondi includono:
1. Aiuti
militari: fornitura di armi, equipaggiamento, addestramento e intelligence.
2. Aiuti
economici: sostegno finanziario per stabilizzare l'economia ucraina.
3. Aiuti
umanitari: assistenza per i civili colpiti dal conflitto.
Per cifre precise e aggiornate,
consiglio di consultare fonti ufficiali come il Dipartimento di Stato USA o
il
B) Quanti
milioni di dollari hanno ceduto i paesi europei all'Ucraina?
I
paesi europei e l'Unione Europea (UE) hanno fornito miliardi di dollari in
aiuti finanziari, militari e umanitari all'Ucraina, soprattutto a partire
dall'invasione russa del febbraio 2022. Tuttavia, non esiste una cifra
esatta e unica, poiché gli aiuti vengono erogati in modo continuativo e da
diverse fonti, tra cui singoli stati membri dell'UE e istituzioni europee
come la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e il Meccanismo Europeo di
Stabilità (MES).
Fino
a ottobre 2023, l'UE e i suoi stati membri hanno complessivamente impegnato
decine di miliardi di euro in aiuti all'Ucraina. Ad esempio, l'UE ha
approvato pacchetti di aiuti macrofinanziari per oltre 18 miliardi di euro
solo nel 2023, oltre a finanziamenti per la ricostruzione e aiuti
umanitari. Inoltre, molti paesi europei hanno fornito assistenza militare,
economica e umanitaria bilaterale, con cifre che variano da paese a paese.
Per
una cifra aggiornata e dettagliata, consiglio di consultare fonti ufficiali
come il sito della Commissione Europea o rapporti recenti dell'UE e di
organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI)
o la Banca Mondiale.
|
MN/ COPILOT
A)
Quanti miliardi di dollari hanno ceduto gli USA all'Ucraina
Gli
Stati Uniti hanno fornito un sostegno finanziario e militare significativo
all'Ucraina dall'inizio dell'invasione russa. Le cifre esatte variano a
seconda delle fonti e di ciò che viene incluso nel calcolo (aiuti militari,
finanziari, ecc.). Secondo alcune fonti, gli Stati Uniti hanno stanziato
circa 183 miliardi di dollari tra il 2022 e il 2024. Tuttavia, altre fonti
riportano cifre diverse, come 65 miliardi di dollari solo per l'assistenza
alla sicurezza2.
Se hai altre domande o vuoi approfondire
un argomento specifico, fammi sapere! 😊
B)
Quanti
miliardi di dollari hanno ceduto i paesi europei all'Ucraina?
I paesi europei hanno fornito un sostegno
significativo all'Ucraina dall'inizio dell'invasione russa. Secondo le
fonti, l'Europa ha contribuito con circa 156 miliardi di euro in
aiuti economici e militari dal 2022. Questo include fondi erogati dai
governi nazionali e dalle istituzioni di Bruxelles. La Germania è il
principale donatore europeo, con circa 17 miliardi di euro in aiuti
finanziari, umanitari e militari.
Se hai altre domande o vuoi approfondire un
argomento specifico, fammi sapere! 😊
|
MN/GEMINI
A) Quanti
miliardi di dollari hanno ceduto gli USA all'Ucraina
Gli Stati Uniti hanno fornito un sostegno
finanziario e militare significativo all'Ucraina dall'inizio dell'invasione
russa. Le cifre esatte variano a seconda delle fonti e di ciò che viene
incluso nel calcolo (aiuti militari, finanziari, umanitari, ecc.), ma ecco
alcuni punti chiave:
·
Aiuti militari:
o
Secondo il presidente ucraino Volodymyr
Zelensky, gli Stati Uniti hanno fornito 67 miliardi di dollari in aiuti
militari dall'inizio dell'invasione su larga scala.
·
Aiuti complessivi:
o
Le stime degli aiuti complessivi forniti dagli
Stati Uniti all'Ucraina oscillano intorno ai 114 miliardi di euro.
o
Le cifre variano anche a seconda di come
vengono calcolati gli aiuti, se si considerano solo gli aiuti diretti o
anche quelli indiretti.
·
Confronto con altri Paesi:
o
Gli Stati Uniti rimangono il paese che
singolarmente ha donato di più all'Ucraina.
È importante notare che queste cifre sono in
continua evoluzione, poiché il conflitto è ancora in corso e gli aiuti
vengono costantemente forniti.
B)
Quanti miliardi di dollari hanno ceduto i paesi
europei all'Ucraina?
Determinare
l'esatto ammontare degli aiuti europei all'Ucraina è complesso, poiché le
cifre variano a seconda delle fonti e di cosa viene incluso (aiuti
militari, finanziari, umanitari, promessi o effettivamente erogati).
Tuttavia, ecco alcuni punti chiave:
· Superiore
agli USA:
o
In termini di aiuti complessivi, i paesi
europei e le istituzioni dell'UE hanno fornito un sostegno superiore a
quello degli Stati Uniti.
o
Secondo l'Ukraine Support Tracker dell'Istituto
per l'economia mondiale di Kiel, gli aiuti europei hanno superato quelli
americani.
· Dati in
evoluzione:
o
Le cifre sono in continua evoluzione, poiché il
conflitto è in corso e nuovi aiuti vengono costantemente annunciati.
o
Le cifre variano anche a seconda di come
vengono calcolati gli aiuti, se si considerano solo gli aiuti diretti o
anche quelli indiretti.
· Principali
contributori:
o
Tra i maggiori contributori europei figurano
Germania, Regno Unito, Francia e i paesi dell'Unione Europea.
o
L'Unione Europea stessa ha stanziato ingenti fondi
per l'Ucraina, sia sotto forma di prestiti che di sovvenzioni.
· Tipologie
di aiuti:
o
Gli aiuti europei comprendono:
§ Aiuti
militari: forniture di armi, munizioni e equipaggiamento.
§ Aiuti
finanziari: prestiti e sovvenzioni per sostenere l'economia ucraina.
§ Aiuti
umanitari: assistenza per i rifugiati e gli sfollati.
Per avere
una visione più dettagliata, è consigliabile consultare fonti come
l'Ukraine Support Tracker dell'Istituto per l'economia mondiale di Kiel e
le pubblicazioni delle istituzioni europee.
|

Riflessione n° 132 (24-2-2025)
Il
gatto, il cane e il padrone coglione. E chi ci capita.
Il
gatto.
Quando un gatto viene accolto in casa, capisce subito
di essere il sindaco di quel nuovo ente locale che la sorte gli ha
affidato. Gli abitanti non sono altro che suoi assessori con deleghe: alla
lettiera, alle coccole, alla pappa, alla cuccia ecc. Se l'ente locale si
arricchisce di un nuovo abitante, il sindaco, molto contento, ha pronta una
nuova delega da affidargli. Più cresce la popolazione dell’ente locale, più
il sindaco è felice.
Sindaco e concittadini assessori sono sempre in
equilibrio.
I possessori di gatti amano ripetere l’adagio
che sostiene che ”Il gatto è l’unico animale ad aver addomesticato l’uomo”.
Il cane.
Per natura il cane si disinteressa dell'ente locale.
E', invece, molto preoccupato nella gestione delle gerarchie definite nel
branco. In genere, il cane accolto da giovanissimo capisce - se normalmente
intelligente - di essere ultimo nella gerarchia e, se il branco è stabile e
senza nuovi innesti, si comporta di conseguenza. e tutti vivono sereni nel
rispetto dei propri ruoli.
Per lui i problemi cominciano qualora il branco
si arricchisse - anche temporaneamente -
di nuovi partecipanti, un bebè, un anziano che entra a convivere,
una nuova famiglia formata dai figli. La novità fa perdere al cane il
vecchio consolidato equilibrio gerarchico e e questo scossone lo fa entrare
in fibrillazione. A questo punto, se coloro che considera elementi alfa non
sanno comportarsi e non capiscono il problema, il cane può disorientarsi
pericolosamente: prima del nuovo arrivo, tutte le coccole erano per lui,
ora non solo viene trascurato, ma spesso viene anche rimproverato se assume
atteggiamenti curiosi ed invadenti nei confronti del nuovo arrivato. Non è
raro, infatti che il comportamento di padroni coglioni non solo tenda a
trascurare la bestiola, ma anche escluderla, rimbrottata, dalla vita
affettiva del branco. Al contrario padroni intelligenti capiscono di
doverlo coinvolgere perché conosca ed accetti la nuova situazione;
capiscono altresì che è un loro dovere educare lui e il nuovo elemento a
comportamenti accettabili e coerenti per tutto il branco: sia il cane che
il nuovo membro devono imparare a gestire il loro particolare rapporto
gerarchico. Soprattutto non devono cessare le affettuosità verso la
bestiola e non deve essere escluso dalla vita di branco, pur scombussolata
dall'inserimento del nuovo elemento.
Se questo processo mirante a nuovi equilibri
non viene adottato, il cane, sempre più ansioso, tende ad avere comportamenti mai
manifestati in precedenza, fino a
tentare di sfidare, alla prima occasione, l' "intruso":
alla prima tirata di coda o strapazzata della pelliccia - in assenza, nella
circostanza, degli elementi del
branco a lui superiori - potrebbe reagire con violenza allo scopo di
mettere in chiaro - per entrambi - il rispettivo ruolo gerarchico.
Quindi, i nuovi equilibri vanno costruiti con
intelligenza da parte dei "padroni", con attenzioni ed
atteggiamenti educativi sia nei confronti del cane che del nuovo venuto,
altrimenti comportamenti inconsulti del cane disorientato potrebbe creare
tragedie.
Tutto dipende non tanto dall'intelligenza della
bestiola, ma da quella degli elementi alfa del branco.
Questo ritengo di aver capito avendo in
famiglia il mio settimo cane, Spark (dopo Boby, Lilla, Black 1, Black 2,
Gico e Zar), e avendo avuto, da
giovanissimo, anche due gatti. Del primo non ricordo il nome (ero molto
piccolo) mentre avevo chiamato Miciocco il secondo.
|

Riflessione n° 131 (15-2-2025)
La
UE: da mercato fornitore di domanda,
a entità politica?
.
Draghi bacchetta Bruxelles:
15-2-2025
Libero. Mario Draghi, siluro su
Bruxelles: "Il problema non sono i dazi di Trump, cosa non avete
fatto"
Penso
che a molti governi dei 27 la UE non interessi proprio nulla. Al massimo,
calcolano come possono avvantaggiarsi dallo stato dell’Unione.
Bruxelles
sa benissimo che i governi dei singoli paesi si muovono sempre in una logica di
interesse nazionale, ma questo non significa che siano necessariamente
contrari all’UE. Piuttosto, cercano di trarre il massimo vantaggio
possibile dalla loro appartenenza all’Unione, bilanciando gli interessi
europei con quelli domestici. E’ proprio questo atteggiamento a non
permettere processi di revisione della governance dell’Unione.
I
governi di paesi definiti “forti”, come Francia e Germania, cercano di
usare l’UE come strumento di proiezione del loro peso geopolitico e –
possibilmente – di un suo potenziamento: la Francia (unico paese detentore
di bombe H della UE) spinge per
un’Europa più autonoma dagli Stati Uniti (ad es. la "sovranità
strategica" cara a Parigi) anche allo scopo di far valere la sua
caratteristica di unico paese “atomico”. La Germania ha usato per decenni
il mercato unico come fornitore di domanda aggregata, per rafforzare la sua
economia industriale e il surplus commerciale. Per loro, l’UE non è solo
un’istituzione da cui attingere risorse, ma anche un mezzo per consolidare
il proprio ruolo globale.
Altri
governi, specialmente quelli dell’Europa orientale (Polonia, Ungheria,
Romania, Bulgaria ecc), ma anche stati membri in crisi (Italia, Grecia in
passato), spesso sfruttano la struttura dell’UE per ottenere fondi o
margini di manovra economica e politica. Ad esempio, Polonia e Ungheria
ricevono ingenti finanziamenti europei, ma contestano apertamente le
decisioni di Bruxelles su Stato di diritto e politiche migratorie.
Ricordo
che gli ex paesi dell’Est, liberatisi nel ’90 dal tallone sovietico, non
accettano di buon grado la sostituzione di quel tallone spietato e
grossolano con uno (quello di Bruxelles) più soft, più “comprensivo”, ma
sempre caratterizzato dalla stessa immanenza.
L'Italia
è passata da paese i cui cittadini erano in forte maggioranza convintamente
europeisti a paese insofferente alle imposizioni burocratiche e, a volte ,
incomprensibili di Bruxelles. Ricordo, con una nota quasi di colore, il
divieto per i pescatori di raccogliere vongole di diametro inferiore ai 2,5
centimetri. L’Italia si definisce europeista purché la politica di
Bruxelles adotti parametri, criteri e si interesse di ambiti effettivamente
prioritari per i cittadini. I detrattori dell’Italia, invece, battono sul
fatto che l’Italia manifesti troppo spesso critiche alla politica della
Commissione per definire il nostro paese come euroscettico, sovranista,
critico circa il funzionamento delle
istituzioni dell’Unione, specialmente sulla gestione economica e sulla
governance finanziaria.
L’UE
come istituzione fragile e divisa è ben definita dall’adagio – ormai
internazionale – che l’America costruisce, la Cina copia e la UE
regolamenta. L’Unione Europea soffre di un problema strutturale che i suoi
paesi più forti non hanno mai voluto affrontare, tanto meno risolvere: la
UE non è uno stato federale, quindi ogni decisione cruciale richiede
procedure lunghe macchinose e il
consenso dei governi nazionali circa la formazione della volontà delle sue
istituzioni, procedure e meccanismi
che troppo spesso bloccano o rallentano le iniziative comuni. Questa
debolezza della governance europea permette ai singoli paesi,
indipendentemente dalla loro forza, di sfruttare le falle del sistema per
interessi nazionali, senza doversi impegnare veramente in una faticosa e lenta integrazione più profonda.
Il
vero punto di debolezza è proprio derivante dal fatto che i singoli
paesi vedono l’Unione come un
trampolino per i propri interessi. Alcuni lavorano per rafforzarla quando
conviene, altri cercano di trarne vantaggio nelle sue fasi di debolezza.
Bruxelles, invece, resta un’istituzione incapace di imporre una vera
direzione unitaria, perché priva di una sovranità politica indipendente
dagli stati membri.
I
fatti che si stanno verificando negli anni ’20 del terzo millennio hanno
messo a nudo la debolezza della UE, trattata ormai dalle altre potenze
(USA, Cina, India, Russia ecc.) come semplice mercato di sbocco delle
rispettive produzioni.
Non a caso, Trump, lungi dall’auspicare
che il suo più “naturale” e storico alleato diventi un alleato forte e
determinante, ci considera come mercato di sbocco della sua produzione (ad
esempio di armi) riducendo tutto alla richiesta di un aumento della domanda
in percentuale del PIL da spendere in sistemi d’arma, certamente americani.
MI
auguro che le situazioni di debolezza delle due nazioni dominanti (Francia
e Germania) e le aggressioni verbali e finanziarie degli USA, convincano i
27 a cambiare radicalmente rotta e, soprattutto, ad aumentare la velocità
dei suoi processi di accomodamento e di formazione della volontà
dell’Unione. Prima si convinceranno dell’utilità di questo cambiamento,
prima recupereremo un ruolo, non dico “adeguato”, ma almeno “decente” nello
scacchiere internazionale.
|

Riflessione n° 130 (12-2-2025)
Da cittadino consumatore a cittadino attore.
Le
associazioni dei consumatori in Italia si sono concentrate soprattutto
sulla tutela dei diritti, ponendo l'accento su questioni come la
trasparenza dei contratti, la protezione contro le pratiche commerciali
scorrette, il diritto al rimborso, la sicurezza dei prodotti e la difesa
contro gli abusi delle grandi aziende. Questo approccio ha sicuramente
portato a risultati importanti in termini di consapevolezza e tutela dei
cittadini.
Tuttavia,
il concetto di "consumatore responsabile" – che implica anche
doveri e non solo diritti – è stato meno valorizzato. Anche perché mutuato
da concezioni politiche generali che hanno puntato la loro attenzione quasi
esclusivamente sui diritti dei cittadini, molto meno sui loro doveri.
Questa
asimmetria nel discorso pubblico ha contribuito a una percezione del
consumatore come "soggetto da tutelare" più che come “attore
responsabile” nel sistema economico. Un maggiore equilibrio tra diritti e
doveri potrebbe portare a una società più consapevole, con cittadini meno
passivi e più capaci di influenzare positivamente il mercato, la politica
la società. In un'economia di mercato matura, il consumatore ha un ruolo
attivo nella selezione di prodotti e servizi sostenibili, nel rispetto
delle regole di pagamento, nella lotta agli sprechi e nella prevenzione
delle frodi
Se
il focus si spostasse significativamente
sulla valorizzazione della responsabilità individuale, si potrebbero
ottenere benefici sia per i consumatori stessi sia per il sistema economico
nel suo complesso, fino ad influenzare positivamente i rapporti
politico-sociali oltre che mercantili. Questo cambio di paradigma è
fondamentale per costruire un sistema sociale più equo ed efficiente.
Se
i consumatori fossero maggiormente educati non solo a difendersi dagli
abusi, ma anche a comprendere il proprio ruolo nel tessuto economico e
sociale, si potrebbero ottenere risultati significativi in diversi ambiti:
1. Qualità dei prodotti e servizi – Un consumatore attento premia le
aziende che operano con trasparenza e qualità, incentivando le buone
pratiche di mercato.
2. Sostenibilità – La scelta di prodotti etici e
sostenibili riduce gli impatti ambientali e sociali negativi.
3. Efficienza del sistema economico – Rispettare i contratti, pagare
puntualmente beni e servizi e non abusare delle tutele evita distorsioni
che ricadono sull’intera collettività (pensiamo agli aumenti di costo
dovuti a frodi o abusi nei resi).
4. Rapporto con le istituzioni – Un cittadino-consumatore consapevole
non si limita a chiedere protezione, ma pretende trasparenza e
responsabilità anche da parte dello Stato e delle autorità di regolazione.
L’Italia
ha costruito un sistema consumerista molto orientato alla protezione, ma
potrebbe trarre ispirazione da modelli esteri (Germania, Giappone) per
sviluppare una cultura del consumo più equilibrata:
1) Educazione al consumo responsabile da impartire già in età scolare e
conseguente vantaggio ed utilità per chi produce responsabilmente in
linea con i principi del consumo responsabile.
2) Pretesa di maggiore trasparenza e
informazione indipendente, non solo nel settore mercantile. Una completa informazione del cittadino
in ogni settore sociale è uno dei cardini dell’economia liberale. Un
cittadino critico e ben informato
rende le fake news molto meno incisive.
3) Valorizzazione del senso di comunità
e responsabilità sociale. Ne deriverebbe una maggiore compattezza e robustezza del corpo
sociale, in grado di rispondere meglio ai cambiamenti che la vita impone ei
singoli e alle nazioni. Una società dominata dal “dirittismo” è
disarmonica, costosa e spesso dannosa. Occorre bilanciarla col “doverismo”.
Questa
concezione del cittadino come attore responsabile più che soggetto da
tutelare (emersa solo negli ultimi anni) , era ben presente negli
economisti liberali di 150 anni fa.
Riporto
quanto affermava Marco Minghetti (economista e Primo ministro
nel 1863) circa la responsabilità sociale, economica ed anche morale in capo ai cittadini
consumatori (da “Della economia pubblica: e delle sue attinenze colla
morale e col diritto”)

|

Riflessione n° 129 (12-2-2025)
Civiltà araba tra cervello e muscoli.
Popoli
del Medio Oriente: materia grigia contro kalàšnikof
In Medio Oriente, i signori della guerra
Hamas, Hezbollah e Houti hanno
convinto la popolazione che si può battere l'Occidente solo con le armi.
Essendo loro i tenutari dei “muscoli”, dominano quei paesi con la forza.
Questi gruppi godono di un certo sostegno popolare, specialmente in
contesti dove mancano alternative politiche efficaci o dove il conflitto
con Israele alimenta il loro consenso. E vero invece, a mio avviso, che gli Arabi possono competere con
l'Occidente intellettualmente, con la loro intelligenza.
La
proposta di Trump di fare della Palestina la riviera del Medio Oriente è
geopoliticamente bizzarra e credo che l’idea sia di Elon Musk. E’ vero però che solo tagliare fuori i
signori della guerra dalle dinamiche di governo può essere l'inizio di un
cambiamento epocale per quei popoli e quei territori.
Ma
questo cambiamento richiederebbe un'evoluzione nelle leadership politiche
locali, nella governance e nello sviluppo economico. Oggi quasi
impensabile. Ma, secondo me, quella è l’unica strada in grado di permettere
il superamento di problemi annosi.
Prima i popoli arabi si convincono che
possono tener testa all’Occidente con la loro intelligenza (e non
imbracciando un fuciletto) prima risolveranno i loro problemi. Certamente,
nel contesto attuale sono vincenti per quei popoli le dinamiche “militari”
di potere: ideologie e interessi geopolitici che rendono il cambiamento un
processo lungo e complesso. Ma questa è una strada che la realtà ha
dimostrato senza uscita.
PS: Ho scritto questa breve nota avendo
ancora vivido il ricordo delle lezioni di storia del nostro prof. Italo
Guidetti (prima metà degli anni ’60, Liceo Cavour di Roma): affrontava
l’argomento della nascita e degli sviluppi della civiltà araba, avendo la cattedra
piena di testi, di appunti, di articoli sull’argomento. Metteva in evidenza
la notevole intelligenza dei popoli semiti, in particolare, e di quelli
mediorientali, in generale. Basta
guardare al contributo allo sviluppo culturale dell’Islam dei primi secoli,
mortificato – anche in quelle circostanze – dalla pretesa di sostituire i
bicipiti al cervello: gli Arabi furono ristretti nel Nord Africa e in
Arabia.
|

Riflessione n° 128 (8-2-2025)
Organismi sovranazionali (ONU, CPI ecc.) in via di estinzione?
In materia di organismi
sovranazionali siamo alle solite: il dirittismo prevale assolu tamente sul
doverismo. Tutti i paesi hanno diritto a partecipare a quegli organismi, ma
nessuno ha il dovere di rispettare i principi democratici e i diritti dei
cittadini. Se non si supera questo sbilanciamento, esso li porterà, prima
ad essere trascurati e a non contare più nulla sullo scacchiere
internazionale e poi alla loro naturale
estinzione.
Alcuni organismi sovranazionali creati
decenni fa (come la Corte Penale Internazionale) o addirittura a metà
del secolo scorso (ONU) erano basati
su un’etica del lavoro, sul senso dell'onore e della professionalità di chi
rivestiva cariche operative. Oggi sono in crisi perché i responsabili sono
anzitutto uomini di parte ed hanno uno scarso senso dell'onore, avendo
perso completamente l’imperativo personale di far bene il proprio lavoro.
Hanno, al contrario, acquisito, infantilmente, il dovere/piacere di favorire
la propria fazione a danno di quella avversaria.
Il problema nella crisi di legittimità
delle istituzioni sovranazionali è oggi cruciale. Se inizialmente queste
organizzazioni si fondavano su un senso di professionalità, di buona fede e
sull'onore di chi le guidava, e sul piacere/dovere di far bene il proprio
lavoro, oggi sembrano soffrire di una politicizzazione crescente e, di
conseguenza, di una perdita di autorevolezza: non più quindi operare per il
successo dell’organizzazione, ma far sì che si avvantaggi la propria parte
contro quella avversaria.
A mero
titolo di esempio, si guardi alla scandalosa decisione di far assumere
all’Iran la presidenza del Forum sui diritti umani delle
Nazioni Unite. Non è una barzelletta, al Palazzo di vetro è successo anche
questo, scatenando una campagna di protesta internazionale da parte di
attivisti per i diritti umani che affermano che il record di oppressione,
tortura ed esecuzioni di Teheran lo rende a dir poco inadatto per
l’incarico, senza considerare la sua regia dei gruppi terroristici dietro
al 7 ottobre in Israele. Il capo degli affari esteri dell’Ue, Josep
Borrell, ha difeso la nomina dell’Iran come una mera questione di rotazione
regionale, “in coerenza con le procedure stabilite dalle Nazioni Unite”.
(da Il Foglio del 21-11-2023)
Al solito la UE brilla per la sua
capacità – prossima allo zero - di incidere sulle decisioni di questi
organismi.
Per citare un effetto della scarsa
credibilità attuale di molti organismi dell’ONU, basta citare le iniziative
di Trump: appena eletto, ha firmato un ordine esecutivo che ritira il suo
Paese da una serie di organismi delle Nazioni Unite, tra cui il Consiglio
per i diritti umani (Unhrc), e rivede completamente i finanziamenti
statunitensi all'organizzazione multilaterale. L'ordine esecutivo ha
dichiarato il ritiro di Washington dall'Unhrc e dalla
principale agenzia di soccorso delle Nazioni Unite per i palestinesi
(Unrwa) [Ha creato scalpore l’utilizzo di parte del personale e delle
sedi ONU in Palestina da parte di Hamas] e la revisione del coinvolgimento
nell’Unesco per l'educazione, la scienza e la cultura.
Vizi e difetti degli organismi
sovranazionali.
In sintesi, queste sono, a mio avviso,
le negatività che stanno mandando in malora organizzazioni meritevoli di
considerazione, almeno in passato:
1.
Accoglienza generalizzata.
In genere questi organismi
sovranazionali sono creati da paesi democratici. I quali ritengono che il
successo della loro iniziativa dipenda dal numero dei paesi che a quegli
organismi aderiscono. Questa valutazione ha portato ad accettare tutti i
paesi che hanno fatto richiesta senza che si siano valutate le sue
caratteristiche e le loro posizioni circa la democraticità della loro
struttura. Sta di fatto che, come si indicava in precedenza, ad un paese
teocratico, autocratico e medievale come l’Iran è stata
assegnata la presidenza del Forum sui diritti umani delle Nazioni
Unite.
2.
Politicizzazione degli organismi e delle
nomine
Le cariche operative nei grandi organismi internazionali sono spesso
assegnate più in base ad equilibri politici e giochi di potere tra Stati
membri che a reali competenze tecniche.
3.
Perdita di indipendenza
Molte istituzioni sovranazionali dipendono finanziariamente dai contributi
degli Stati più potenti, che esercitano influenza sulle loro decisioni.
4.
Decadenza della credibilità
Quando organizzazioni come l'ONU, la CPI o l'OMS non riescono a mantenere
una linea coerente e imparziale, la fiducia nei loro confronti crolla.
Alcune decisioni sembrano guidate più da interessi di blocchi geopolitici
che da principi universali. I responsabili di queste istituzioni spesso non
rispondono ai cittadini, ma ai governi e alle élite che li sostengono.
Questo riduce la pressione affinché operino con onore e responsabilità.
5.
Declino dell’etica tradizionale
Mentre nel passato le relazioni internazionali si basavano anche su un
certo codice d'onore e su un rispetto formale tra le nazioni, oggi il
pragmatismo politico e il cinismo (cioè l’incapacità a fare politica)
sembrano prevalere.
In
sintesi, la crisi di queste istituzioni non è solo legata alla qualità
delle persone che le guidano, ma anche a una trasformazione strutturale del
sistema internazionale. Il declino dell’unipolarismo americano e la
crescente competizione tra blocchi di potere rendono sempre più difficile
il funzionamento di organismi che dovrebbero agire come arbitri super
partes.
Cancellare
del tutto queste istituzioni potrebbe essere rischioso, perché lascerebbe
un vuoto che verrebbe colmato da rapporti di forza ancora più brutali tra
Stati e blocchi di potere. Tuttavia, il loro funzionamento attuale è
chiaramente inefficace e necessita di una revisione profonda, pena
l’estinzione inevitabile
Possibili soluzioni per una riforma
efficace:
Se si ritiene impraticabile o non
auspicabile una indagine sul rispetto dei diritti umani e sulla qualità
della democrazia nei paesi che chiedono l’adesione a questi organismi, si
dovrebbe almeno imporre delle linee di condotta interne miranti a:
1.
Depoliticizzazione delle nomine
Introdurre
criteri di selezione basati su merito e competenza, limitando il peso delle
pressioni geopolitiche nelle scelte dei vertici. In materia, occorrerà
lottare contri i paesi che ritengono di dover mantenere posizioni di predominio e redditizie, vero baluardo
ad ogni tentativo di riforma.
Prevedere
mandati non rinnovabili per evitare il consolidarsi di clientele e
favoritismi.
2.
Maggiore trasparenza
Rendere
pubblici e verificabili i finanziamenti ricevuti dagli organismi
sovranazionali. Creare organi di controllo indipendenti che valutino
l'efficacia delle decisioni e l’integrità dei funzionari.
3.
Limitare il potere degli Stati più
influenti
Ridurre
il peso dei contributi finanziari come strumento di pressione politica.
Dare
più spazio ai paesi emergenti orientati verso soluzioni democratiche
interne, riequilibrando le dinamiche decisionali.
4.
Migliorare il sistema sanzionatorio
Oggi, ad
esempio, le risoluzioni dell’ONU e le sentenze della CPI spesso restano
inapplicate. Occorre introdurre e/o rafforzare i meccanismi di imposizione
dell’applicazione per evitare che le
decisioni siano puramente simboliche.
5.
Ridefinire il ruolo di queste
istituzioni in un mondo multipolare
La loro
struttura è stata pensata in un’epoca in cui il mondo era dominato da pochi
attori principali. Ora, con l’emergere di nuove potenze (Cina, India,
BRICS), servono modelli di governance più flessibili, ma anche più
efficaci.
In
conclusione, sia l’ONU che la CPI soffrono di problemi di inefficienza,
politicizzazione, mancanza di strumenti esecutivi, costi eccessivi, scarsi
controlli sulle missioni decise, debole forza impositiva
Non è, però, realistico e tanto meno
utile, eliminare questi organismi privi di alternative pronte a
sostituirli, senza aver tentato di rimetterli in carreggiata con azioni di
buon senso ed in buona fede. Senza azioni decise e drastiche in tal senso,
senza coraggiose riforme
strutturali, il rischio è che diventino sempre più irrilevanti o
strumentalizzati. L’ideale sarebbe una loro trasformazione in istituzioni
realmente neutrali, efficaci e adatte a gestire il nuovo equilibrio
geopolitico globale.
Come in ogni organismo sociale creato
dagli uomini, il risultato dipende dalla qualità di chi in esso lavora ed
opera quotidianamente.
|

Riflessione n° 127 (5-2-2025)
Vicenda
Almasri. Le considerazioni di Nordio in Parlamento.
Illuminanti! Anche in merito all’operato dei giudici (due su tre)
della CPI dell’Aia.
Ho chiesto un parere tecnico a Chat GPT
Qui potete seguire l’intervento illuminante di
Nordio in Parlamento sulla vicenda Almasri:
https://youtu.be/TOsVPVFQb5Y?si=SuRMnfP3b5TtRBlh
Ascoltatelo con attenzione!
Poiché dalle considerazioni di Nordio mi sembra
di poter classificare i due giudici (su tre) come molto poco professionali,
ho chiesto a Chat GPT come è
possibile intervenire su di loro e sulla qualità del loro operato.
Ecco la risposta:
Alla mia domanda:
“I giudici della Corte Penale internazionale che non sono professionalmente
all'altezza possono essere denunciati?”
ChatGPT
ha risposto:
ChatGPT
In linea di principio, i
giudici della Corte Penale Internazionale (CPI) godono di immunità
giurisdizionale per le loro funzioni ufficiali, come stabilito dallo Statuto
di Roma (articolo 48). Tuttavia, esistono meccanismi per rimuovere o
sanzionare un giudice che non sia all'altezza delle proprie responsabilità.
Strumenti per contestare
l'operato di un giudice della CPI
1.
Procedura
di rimozione o sospensione (Art. 46 e 47 dello Statuto di Roma)
o
Un
giudice può essere rimosso dall'incarico se viene accertato che ha
commesso gravi mancanze disciplinari, condotta inappropriata
o non è più in grado di svolgere le sue funzioni.
o
La
decisione di rimozione richiede una maggioranza di due terzi dei
giudici della CPI e dell'Assemblea degli Stati Parte.
2.
Misure
disciplinari (Art. 47 dello Statuto di Roma)
o
Se la
condotta non è così grave da giustificare la rimozione, il giudice può
essere soggetto a misure disciplinari, come un ammonimento
ufficiale.
3.
Denuncia
interna alla CPI
o
Chi
ritiene che un giudice stia agendo in modo incompetente o inappropriato può
presentare una denuncia all'Assemblea degli Stati Parte, che ha il
potere di avviare un'inchiesta.
4.
Pressioni
politiche e diplomatiche
o
Anche
se non esiste un meccanismo diretto per "denunciare" un giudice
della CPI in sede penale o civile, gli Stati possono fare pressioni
politiche e diplomatiche per sollevare questioni relative all'operato
della Corte.
Limiti alla responsabilità
dei giudici della CPI
· La CPI è un'istituzione
indipendente e i suoi giudici godono di immunità funzionale, quindi
non possono essere denunciati per le loro decisioni in tribunali nazionali
o internazionali.
· Tuttavia, se emergessero gravi
violazioni, come corruzione o abuso di potere, gli Stati Parte
potrebbero richiedere un'indagine e la possibile rimozione del giudice.
Se hai in mente un caso
specifico, possiamo approfondire i meccanismi giuridici più adatti.
Ho
risposto: Sì ho appena ascoltato le considerazioni del
ministro Nordio (ex magistrato) e mi sembra che la procedura seguita da due
giudici su tre sia del tutto lacunosa e non professionale. Tu che ne dici?
ChatGPT
ha detto:
ChatGPT
Se ti riferisci alla recente
decisione della Corte Penale Internazionale (CPI) e alle critiche
mosse dal ministro Carlo Nordio, ex magistrato e attuale ministro
della Giustizia, è utile analizzare la questione da un punto di vista
giuridico e politico.
La posizione di Nordio e il
problema dell'arbitrarietà
Se Nordio sostiene che due
giudici su tre abbiano agito in modo arbitrario o non professionale, la
questione diventa delicata sotto più profili:
1.
Giuridico: bisogna verificare se la
decisione sia conforme allo Statuto di Roma e se siano stati
rispettati i principi fondamentali del diritto internazionale.
2.
Politico: la CPI è spesso criticata
per decisioni percepite come selettive o influenzate da pressioni
politiche.
3.
Procedurale: se vi sono irregolarità nel
processo decisionale, gli Stati Parte della CPI possono intervenire per
segnalare il problema.
Possibili violazioni del
diritto
Se due giudici su tre hanno
agito in maniera arbitraria, potrebbero emergere profili di:
· Abuso di potere (se hanno ignorato prove
fondamentali o hanno distorto il diritto).
· Violazione della procedura (se non hanno seguito le
norme previste dallo Statuto di Roma).
· Motivazioni politiche (se la decisione è stata
influenzata da fattori esterni e non basata su criteri strettamente
giuridici).
Cosa si può fare?
Se le critiche di Nordio sono
fondate, l'Italia (o altri Stati Parte) potrebbe:
· Chiedere un riesame della
decisione
attraverso gli organi interni della CPI.
· Presentare una mozione
all'Assemblea degli Stati Parte per
valutare la condotta dei giudici.
· Sollecitare una revisione
delle procedure interne per
evitare futuri casi di arbitrarietà.
|

Riflessione n° 126 (30-1-2025)
Vicenda
Almasri. Oltre che acefala, si scopre una sinistra
italiana inesistente, quindi, pericolosa.
Da una parte, la sinistra ha scelto di
enfatizzare il presunto abuso di potere da parte delle autorità italiane,
spingendo la narrativa della discriminazione e della violazione dei diritti
umani. Dall’altra, si può osservare come questa posizione abbia trascurato
del tutto la necessità di garantire il rispetto delle leggi italiane e la
tutela della sicurezza nazionale.
Questa dinamica mette in luce una
tendenza ben nota della sinistra italiana: l'adozione di battaglie
ideologiche che spesso sfuggono alla logica dell’interesse nazionale e del
bene comune. Il caso Almasri ha rivelato una visione più orientata all’uso
strumentale del dibattito pubblico piuttosto che alla ricerca della verità
e della giustizia. Non solo, quindi, l’assenza avvilente del senso dello
stato, ma anche quella di un semplice senso degli interessi della
collettività.
L’immagine mentale che la vicenda mi
suggerisce è quella della la iena,
che si nutre di ciò che trova senza un autentico spirito di lotta, neanche
come predatrice. Ciò può essere visto come una metafora della strategia
politica della sinistra in casi come questo: più incline alla polemica e
all’indignazione selettiva che alla costruzione di un’analisi razionale e
coerente delle vicende. Se l’obiettivo fosse davvero quello di difendere i
diritti umani, allora dovremmo vedere lo stesso zelo in molti altri casi
che invece vengono ignorati o addirittura minimizzati.
Come sempre, restano centrali
alcune domande: chi difende davvero
l’interesse nazionale; chi aiuta la sinistra ad acquisire una dimensione
intellettuale da responsabile forza aspirante a governare una nazione
complessa come la nostra; che cosa può aiutare la sinistra ad affinare le
analisi socio-politiche in maniera tale da farne una affidabile forza di
governo, con un adeguato progetto per la società italiana? Perché con le
caratteristiche che si vengono scoprendo in vari frangenti della vita
politica italiana, quelle che improntano la nostra sinistra si scoprono
addirittura pericolose per la normale vita democratica di un paese evoluto
come l’Italia.
Anche perché, come afferma Giorgio Merlo
in Formiche.net: “…come emerge in modo persin troppo palese dalla sinistra
editoriale, dalla sinistra televisiva, dalla sinistra politica e culturale
c’è la volontà concreta di delegittimare il potere politico degli
avversari/nemici anche e soprattutto attraverso la cosiddetta “spallata
giudiziaria”. [à Con
il caso Almasri torna il vizio della scorciatoia giudiziaria. L'opinione di
Merlo - Formiche.net del 29-1-2025]
E’ chiaro che se i partiti di
un'opposizione utilizzano il sistema giudiziario come strumento per minare
la legittimità del governo avversario, senza (saper) fare più politica, si
rischia di danneggiare la credibilità delle istituzioni democratiche. I cittadini
potrebbero cominciare a vedere la giustizia come uno strumento al servizio
delle lotte politiche anziché come un organo imparziale. Con la
manipolazione del sistema
giudiziario, si potrebbe giungere a una delegittimazione dell'intero
sistema politico e giuridico, con danni irreparabili alla democrazia e alla
sua credibilità interna ed esterna
Con la destra al governo, il nostro
paese si scopre senza una adeguata opposizione: la tenuta democratica del
paese è a rischio.
Pensando ad Augusto, alla tragedia
di Teutoburgo e alla clades variana,
Berlinguer esclamerebbe: “ Elly, rendimi le mie sezioni!”.
|

Riflessione n° 125 (29-1-2025)
Si parla della censura sulla IA cinese di DeepSeek.
Riporto quanto mi è accaduto interrogando Chat GPT sulla grazia
concessa da Biden.
Si
afferma che DeepSeek non può rispondere sui fatti di Piazza Tien Anmen e su argomenti scomodi per >Pechino perché interviene il governo cinese a censurare le risposte.
Leggete
quanto mi è successo il 27-1-2025
interrogando Chat GPT sulla grazia concessa da Biden a suoi
familiari.
Ho chiesto a Chat GPT:
Biden ha graziato preventivamente tutta la sua
famiglia?
ChatGPT
ha detto:
ChatGPT
No,
non risulta che Joe Biden abbia concesso una grazia preventiva a tutta la
sua famiglia. Negli Stati Uniti, la grazia presidenziale è un potere
costituzionale che consente al presidente di perdonare o ridurre le pene
per reati federali, ma è raro che venga usata in modo preventivo, cioè
prima che vengano formalmente presentate accuse o condanne.
Un
caso famoso di grazia preventiva è stato quello di Gerald Ford nei
confronti di Richard Nixon dopo lo scandalo Watergate, ma tali atti sono
generalmente controversi e possono essere percepiti come un abuso di
potere.
Se hai
letto notizie su questo argomento, potrebbero essere speculazioni o
disinformazione. Posso cercare informazioni aggiornate per verificare se ci
sono sviluppi recenti, se desideri.
4o
Hai detto:
Ma se è su tutti i giornali del mondo
l'assoluzione preventiva per suo figlio....
ChatGPT
ha detto:
ChatGPT
Mi
scuso per la precedente informazione non aggiornata. Effettivamente, negli
ultimi giorni del suo mandato, il presidente uscente Joe Biden ha concesso
la grazia preventiva a diversi individui, tra cui membri della sua
famiglia. In particolare, ha graziato suo figlio Hunter Biden, che era in
attesa di sentenza per accuse di possesso illegale di arma da fuoco e frode
fiscale.
ANSA.it
Oltre
a Hunter, Biden ha esteso la grazia preventiva ad altri familiari stretti,
come i suoi fratelli e cognati, per proteggerli da potenziali azioni legali
future.
Secolo d'Italia
Queste
decisioni hanno suscitato ampie discussioni e critiche, sia a livello
nazionale che internazionale, riguardo all'uso del potere di grazia
presidenziale.
Fonti:
4o
Hai detto:
come mai questa defaillance?
ChatGPT
ha detto:
ChatGPT
Potrebbe
essere successo per uno di questi motivi:
Informazioni
non aggiornate: Se il fatto è
avvenuto recentemente, è possibile che non fosse incluso nel mio database
pre-addestrato o che non l'avessi ancora verificato tramite la ricerca
online.
Ambiguità
nella domanda: La tua domanda
iniziale era generica ("Biden ha graziato preventivamente tutta la sua
famiglia?"), e ho interpretato che si trattasse di una
generalizzazione non supportata da fatti, perché in casi normali è raro che
un presidente conceda grazie preventive.
Caso
specifico non chiaro:
Anche se si tratta di un fatto molto discusso, potrei non aver riconosciuto
immediatamente l'evento a cui ti riferivi. Le mie risposte iniziali si
basano su informazioni generalmente accettate, mentre la verifica online
può fornire dettagli recenti o meno noti.
Grazie
per averlo segnalato! Ora cercherò di essere più rapido nel verificare le
informazioni prima di rispondere. 😊
Non si
tratta di censura? Ma il risultato è lo stesso! Se non avessi conosciuto
l’argomento, forse mi sarei fermato alla prima risposta e l’avrei presa per buona.
|

Riflessione n° 124 (28-1-2025)
I problemi della Lega:
soffre la continua
riduzione analitica alla
localizzazione,
anche di problemi con valenze
internazionali
La Lega, sin dalle sue origini, ha basato la
propria identità politica su temi di carattere locale e regionale, con una
forte enfasi sulle questioni interne, come il federalismo fiscale, il
controllo dell'immigrazione e la tutela delle piccole imprese. Questo
approccio "interno" si è rivelato vincente per anni, soprattutto
nel Nord Italia, dove l'elettorato si identificava con una visione che
metteva al centro gli interessi territoriali. Tutt’ora, il partito mantiene
una forte connotazione regionalista e localista, specialmente nelle sue
roccaforti tradizionali come Lombardia e Veneto. Questo localismo si
manifesta nella promozione di politiche che favoriscono l'autonomia
regionale, la devoluzione di poteri dal governo centrale alle regioni, e la
difesa degli interessi locali, spesso percepiti come in contrasto con
quelli del Sud Italia o delle istituzioni centrali. Soprattutto non sono in
linea con gli attuali forti interessi della popolazione per i problemi
internazionali.
Infatti, nel panorama attuale, le dinamiche
geopolitiche e i grandi temi internazionali (guerre, crisi energetiche,
migrazioni su scala globale, cambiamento climatico, Medio oriente, Ucraina,
Formosa, Meloni, Putin, Trump ecc.) sono diventati centrali nelle agende
politiche e nell'interesse dell'opinione pubblica. Molti cittadini elettori
sono sempre più consapevoli dell'interconnessione tra politiche locali e
globali, richiedendo una leadership capace di posizionarsi anche su questi
temi e di coniugarli anche dal punto di vista dell’elaborazione culturale e
intellettuale.
La Lega sembra aver faticato a evolversi in
questa direzione e si trova oggi in difficoltà rispetto agli altri partiti,
specie quelli di governo che l’hanno sopravanzata nei sondaggi. Nonostante
alcuni tentativi di Matteo Salvini di proiettare il partito su scala
nazionale e internazionale (ad esempio, le alleanze con altri movimenti
sovranisti europei), il messaggio è rimasto spesso legato a processi
interni, come la sicurezza o l'immigrazione, senza una visione strutturata
su questioni geopolitiche complesse e senza valenze che le collegassero,
proiettandole, a livello internazionale.
In un mondo in cui le scelte globali incidono
pesantemente anche a livello locale, il rischio per un partito focalizzato
su problemi "interni" è di sembrare anacronistico o di non
offrire risposte adeguate alle sfide più ampie. La difficoltà della Lega
potrebbe dunque derivare da questa difficoltà di aggiornamento strategico:
non basta più gestire il consenso su questioni locali, è necessario
affrontare le nuove sfide globali con una visione integrata e credibile.
Questa dinamica dimostra come anche i partiti
più radicati debbano adattarsi ai cambiamenti del contesto storico e
politico per mantenere rilevanza anche alla luce dell’enorme interesse
suscitato dagli avvenimenti e dai loro sviluppi “naturalmente” internazionali.
La
capacità di interpretare e guidare l'opinione pubblica su temi complessi
come quelli geopolitici può diventare una discriminante fondamentale tra
chi rimane competitivo e chi invece rischia di perdere terreno. In altri
termini, è urgente per la Lega ampliare l’Agenda politica: Includere temi
di interesse nazionale e sovranazionale, come la sicurezza, l'immigrazione
come fenomeno mondiale, la crescita economica in rapporto a quella di altri
paesi, la digitalizzazione, che possano fornire una dimensione oltre il
regionalismo ed essere coniugata con inquadramenti internazionali.
|

Riflessione
n° 123 (25-1-2025)
Per i presidenti USA la
“deportation” è attività di routine.
Ecco che cosa è successo
negli ultimi 100 anni.
Le
“deportations” (lett. “rimpatri” e non “deportazioni”) sono azioni abituali
per i presidenti degli Usa. Soprattutto nei momenti in cui il fenomeno
dell’immigrazione illegale assume, quantitativamente, dimensioni rilevanti
e, socialmente, aspetti preoccupanti.
A partire
dai primi anni del 1900, con l'inizio della regolamentazione più
sistematica dell'immigrazione, i presidenti hanno implementato politiche
migratorie che includevano “deportazioni”. Ad esempio:
·
Franklin
D. Roosevelt
(1930-1940) ha eseguito deportazioni durante la Grande Depressione, in
particolare durante l'era delle "deportazioni di massa" verso la
fine degli anni '30, quando si cercava di ridurre la disoccupazione e
alcuni immigrati, specialmente messicani, furono deportati o incoraggiati a
tornare nei loro paesi d'origine.
·
Dwight
D. Eisenhower (1950) ha
lanciato l'operazione "Wetback", che ha portato a deportazioni di
massa di lavoratori migranti, soprattutto messicani, che vivevano
illegalmente negli Stati Uniti.
·
Bill
Clinton (1990) ha
implementato leggi più severe sulle deportazioni, aumentando i numeri di
espulsioni, in particolare con l'Illegal Immigration Reform and Immigrant
Responsibility Act del 1996.
·
George
W. Bush (2000) ha
continuato a perseguire una politica di deportazioni, anche se ha cercato
di bilanciare con politiche che offrivano possibilità di regolarizzazione
per alcuni immigrati.
·
Barack
Obama (2009-2017) ha
avuto un periodo controverso per quanto riguarda le deportazioni, poiché
sebbene cercasse una riforma dell'immigrazione, durante il suo mandato è
stato registrato un numero molto alto di deportazioni, soprattutto nei
primi anni.
·
Donald
Trump (2017-2021) ha
adottato una politica di "tolleranza zero", aumentando le
deportazioni e applicando leggi più dure sull'immigrazione, inclusi gli
arresti nei luoghi di lavoro e le politiche di separazione delle famiglie
alla frontiera.
·
Joe
Biden (2021-2025 ) ha
cercato di cambiare alcune delle politiche di Trump, ma ha comunque
continuato a gestire deportazioni, pur cercando di dare priorità alle
persone con precedenti penali gravi.
Trump
continuerà nella sua politica di rimpatri forzati per immigrati illegali.
Per il Messico il fenomeno descritto
ha le caratteristiche della normalità, tanto che si è già organizzato per
accogliere i “deportati” di Trump 2.0.
Meraviglia
la meraviglia di quotidiani blasonati che commentano, col cuore contrito,
la foto messa da Trump sul sito della Casa Bianca. Non hanno capito che i
loro commenti sono funzionali al
raggiungimento degli obiettivi di the Donald. I loro redattori dovrebbero imparare a
ricercare storicamente fonti e documentazione. Ma finché ritengono che i
loro lettori siano in maggioranza dei gonzi…..
AGGIORNAMENTO del 27-1-2025 alla
Riflessione n° 123 del 25-1-2025
Per
una valutazione più precisa del fenomeno (non solo quantitativa, ma anche
qualitativa) abbiamo chiesto aiuto a Chat GPT per il periodo da Reagan a
Biden.
Chat
GPT
E’
importante, anzitutto, distinguere tra espulsioni e deportazioni
(NdR: Rimpatri in italiano):
· Espulsioni: Rimozioni sommarie, spesso senza un
ordine formale, come quelle effettuate ai sensi di norme emergenziali (es.
Title 42 durante la pandemia di COVID-19).
· Deportazioni (Rimpatri in italiano): Un'azione formale in cui un tribunale
dell'immigrazione emette un ordine di rimozione.
A) E
S P U L S I O N I
Ronald
Reagan (1981-1989)
·
Espulsioni
stimate: 50.000-60.000 all'anno.
·
Totale
(stima): 400.000-500.000.
·
La
maggior parte delle espulsioni riguardava lavoratori irregolari fermati al
confine, spesso rimossi senza un ordine formale.
George
H.W. Bush (1989-1993)
·
Espulsioni
annuali: 70.000-80.000.
·
Totale
(stima): 300.000-350.000.
·
L'approccio
era simile a quello di Reagan, ma con un leggero aumento delle espulsioni.
Bill
Clinton (1993-2001)
·
Espulsioni
annuali: Circa 100.000-150.000 nei primi anni, salendo a 200.000
verso la fine del mandato.
·
Totale:
1.200.000-1.400.000.
·
Clinton
ha aumentato le espulsioni con il supporto di leggi più severe, come l'IIRIRA
del 1996.
George
W. Bush (2001-2009)
·
Espulsioni
annuali: Circa 250.000-300.000.
·
Totale:
2.000.000-2.400.000.
·
L'11
settembre e la creazione del Department of Homeland Security (DHS)
portarono a una drastica accelerazione delle espulsioni, soprattutto al
confine.
Barack
Obama (2009-2017)
·
Espulsioni
annuali: Circa 350.000-400.000 nei primi anni, riducendosi verso la
fine del mandato.
·
Totale:
2.700.000-3.200.000.
·
Obama
ha supervisionato un numero record di espulsioni, anche se negli ultimi
anni il focus si è spostato sui criminali piuttosto che sui migranti
irregolari.
Donald
Trump (2017-2021)
·
Espulsioni
annuali: 400.000-450.000 nei primi anni, scendendo a 300.000-350.000
con la pandemia.
·
Totale:
Circa 1.800.000-2.000.000.
·
Sotto
Trump, il focus sull'espulsione di migranti al confine è stato molto forte,
ma il totale è stato influenzato dalle difficoltà logistiche della
pandemia.
Joe
Biden (2021-oggi)
·
Espulsioni
annuali (fino al 2023): 1.000.000-1.200.000 (principalmente ai sensi
del Title 42).
·
Totale
(stima gennaio 2025): circa 3.000.000.
·
L'amministrazione
Biden ha usato intensivamente il Title 42, che consente rimozioni
rapide senza un processo formale, soprattutto durante l'emergenza COVID-19.
Confronto rapido delle ESPULSIONI totali:
·
Reagan: 400.000-500.000
·
Bush Sr.: 300.000-350.000
·
Clinton: 1.200.000-1.400.000
·
Bush Jr.: 2.000.000-2.400.000
·
Obama: 2.700.000-3.200.000
·
Trump: 1.800.000-2.000.000
·
Biden: 3.000.000 (stima fino al 2025).
Biden
ha raggiunto un numero elevato di espulsioni grazie al Title 42, che
ha permesso di rimpatriare rapidamente i migranti senza un ordine formale.
B) D
E P O R T A Z I O N I
Ecco
un'analisi delle deportazioni negli Stati Uniti sotto le amministrazioni
degli ultimi presidenti, basata sui dati disponibili pubblicamente:
Ronald
Reagan (1981-1989)
·
Deportazioni
annuali medie: Circa 24.000-30.000.
·
Totale
(stima): 200.000-240.000.
·
Il
tema dell'immigrazione durante Reagan si concentrò sulla regolarizzazione,
con il Immigration Reform and Control Act (IRCA) del 1986, che diede
la possibilità di legalizzare lo status di circa 3 milioni di immigrati
irregolari.
George
H.W. Bush (1989-1993)
·
Deportazioni
annuali medie: Circa 40.000-50.000.
·
Totale
(stima): 160.000-200.000.
·
Bush
Sr. mantenne un approccio equilibrato, ampliando i controlli alle frontiere
senza significative accelerazioni nelle deportazioni.
Bill
Clinton (1993-2001)
·
Deportazioni
annuali medie: Circa 110.000-170.000.
·
Totale:
870.000-1.360.000.
·
Clinton
ha inasprito le leggi sull'immigrazione, soprattutto con l'Illegal
Immigration Reform and Immigrant Responsibility Act (IIRIRA) del 1996,
aumentando significativamente le deportazioni.
George
W. Bush (2001-2009)
·
Deportazioni
annuali medie: Circa 200.000-300.000.
·
Totale:
2.000.000-2.300.000.
·
Dopo
l'11 settembre 2001, l'immigrazione è stata affrontata come una questione
di sicurezza nazionale, con un netto aumento delle deportazioni.
Barack
Obama (2009-2017)
·
Deportazioni
annuali medie: Circa 400.000 nei primi anni, scendendo a 230.000
negli ultimi anni.
·
Totale:
Circa 3.000.000.
·
Obama
è stato spesso chiamato "Deporter-in-Chief" per il numero record
di deportazioni, sebbene negli ultimi anni il focus si sia spostato su
criminali e recidivi.
Donald
Trump (2017-2021)
·
Deportazioni
annuali medie: Circa 240.000-300.000.
·
Totale:
Circa 1.200.000.
·
Trump
ha enfatizzato la tolleranza zero e il controllo dei confini, ma le
deportazioni complessive sono state inferiori rispetto a quelle di Obama,
in parte a causa di restrizioni legali e pandemiche.
Joe
Biden (2021-2023) [NdR:
Manca il dato del 2024]
·
Deportazioni
annuali medie (fino al 2023): Circa 72.000-90.000 (stimato).
·
Totale
(fino a gennaio 2025): circa 200.000-250.000.
·
L'amministrazione
Biden ha ridotto le deportazioni rispetto a Trump, concentrandosi su
priorità come criminali pericolosi e casi specifici, oltre a una riforma
umanitaria sull'immigrazione.
Confronto rapido delle
deportazioni (rimpatri) totali:
· Reagan: 200.000-240.000
· Bush Sr.: 160.000-200.000
· Clinton: 870.000-1.360.000
· Bush Jr.: 2.000.000-2.300.000
· Obama: 3.000.000
· Trump: 1.200.000
· Biden: 200.000-250.000 (stima
provvisoria).
|

Riflessione
n° 122 (22-1-2025)
I dazi e gli altri
interventi annunciati: la clava (mediatica, perché senza tempistica?) di
Trump. Almeno per il momento.
22-1-2025
Il Tempo. La promessa di Donald Trump all'Europa: "Ue sarà soggetta ai
dazi"
Trump
vuole arricchire gli Statunitensi. Per perseguire l’obiettivo ha indicato
alcune iniziative economico-produttive quali mezzi per raggiungerlo:
riequilibrio della bilancia commerciale (anche imponendo dazi) che ha
raggiunto un deficit di circa 79 miliardi di dollari; controllo
dell’inflazione; politica economica di stimolo per il settore produttivo;
rimpatrio degli immigrati irregolari per eliminare le nefaste conseguenze
della presenza di un esercito di riserva nel mondo del lavoro. Trump parla
di eliminare l’illegalità nel settore, ma, in effetti, gli immigrati
irregolari sono in grado di tenere basse le tensioni sulle retribuzioni e i
livelli salariali.
Per
il momento, Trump si limita a fornire i titoli delle azioni che vuole
impostare per arricchire gli Americani, ma non dà la tempistica di quei
processi.
La
progressione temporale di quegli interventi è fondamentale per qualificare
gli intenti di Trump, perché gli strumenti da lui indicati ma senza
“ruolino di marcia” evidenziano alcune contraddizioni tra loro dal punto di
vista della teoria economica. Vediamo incongruenze le più macroscopiche:
- Imporre dei dazi alle importazioni fa
aumentare immediatamente l’inflazione, che invece Trump vuole controllare.
I dazi, infatti, generano un immediato aumento dei prezzi finali dei
prodotti importati. Quindi, può darsi che si passi a prodotti meno cari,
abbandonando quelli colpiti dai dazi; in ogni caso si crea un eccesso di
domanda che farà aumentare i prezzidei prodotti meno cari. Tale aumento
inflattivo è direttamente e totalmente a carico dei consumatori americani
che Trump vorrebbe arricchire.
- Imporre dazi vuol dire, quasi sempre,
obbligare il paese colpito a reagire con lo stesso strumento. Ne deriva
che, comunque, le imprese esportatrici americane esporteranno con
difficoltà. Questo, prima o poi, si ripercuoterà sui livelli occupazionali,
anche eliminando eventuali possibilità di impostare politiche salariali
positive per il lavoro dipendente.
- Trump ha anche promesso politiche di
stimolo, come tagli fiscali e spesa pubblica, che spesso aumentano la domanda
aggregata. Queste misure possono entrare in conflitto con l'obiettivo di
contenere l'inflazione, specie in un contesto di vincoli (dazi imposti e
subiti) dal lato dell'offerta.
- Una politica salariale moderata permette
un miglior controllo dell’inflazione ma, certamente, si scontra con
l’obiettivo trumpiano di arricchire gli Statunitensi. Inoltre, una politica
salariale moderata farà aumentare il lavoro nero il cui ammontare supera i
2mila miliardi di dollari. Certamente ci saranno conseguenze sul fluido
mercato del lavoro americano.
- Rimpatriare 11 milioni di immigrati
irregolari (il 3,3 % della popolazione Usa) creerà tensioni salariali e nel
complesso del mercato del lavoro per via della riduzione dell’esercito di
lavoratori di riserva. Metterà in difficoltà le aziende esportatrici che, a
causa dei dazi imposti ai loro prodotti, non potranno liberamente
aumentarne il prezzo al consumatore. Metterà comunque in difficoltà il
settore produttivo per via della drastica riduzione dei consumi di base
aggregati.
- Per mantenere in equilibrio il sistema
economico-produttivo, Trump dovrà drasticamente abbassare le tasse e, di
conseguenza, rivedere i livelli delle spese governative (circa 4.000
miliardi di dollari), a cominciare da quelle militari, di circa 916 miliardi
di dollari.
Per
valutare i risultati della politica economica di Trump, occorre avere i
tempi di realizzazione: solo questi elimineranno o incrementeranno le
contraddizioni elencate in precedenza.
Non fornire dettagli precisi su quando e come implementare le misure
crea incertezza nei mercati. Questo può frenare gli investimenti delle
imprese, amplificando l'impatto negativo delle politiche protezionistiche.
Trump
potrebbe puntare su un approccio "negoziale", in cui le misure
come i dazi sono viste come leve temporanee per ottenere concessioni
economiche e politiche da altri paesi. Tuttavia, l'efficacia di questa
strategia dipende dalla capacità di bilanciare le esigenze interne con gli
effetti a breve termine delle sue politiche.
La
mancanza di tempistiche precise rende difficile valutare come questi
interventi potrebbero essere coordinati o implementati in sequenza per
minimizzare gli effetti contradditori esplicitati. In ogni caso, finché il
ruolino di marcia degli interventi trumpiani non verrà fornito, dobbiamo continuare a
ragionare in via teorica. Continueremo a considerare il loro elenco una
poderosa clava, ma esclusivamente mediatica. Almeno per il momento
|

Riflessione
n° 121 (21-1-2025)
Assalto al “saluto romano”
di Musk: in mancanza di argomenti…..
Toccò anche a Carlo Della
Valle, prof di Scienze Politiche negli anni ’60….
Dal Quotidiano Nazionale del 21-1-2025:
Il prof. Carlo Della Valle insegnava Geografia
economica alla facoltà di Scienze Politiche della Sapienza. Era uno dei
miei professori del primo anno. La temperie 68ina in nuce, era ancora nella
prima fase di maturazione. Noi studenti entravamo nell’Aula Uno, in fondo
al corridoio della Facoltà, in attesa del prof. Quando Della Valle entrava
in aula, noi studenti ci alzavamo in piedi. Sistematosi in cattedra, con la
mano faceva cenno all’aula di sedersi.
Non so chi fu lo studente che ne immortalò il gesto in una foto. Sta di fatto che il
giorno dopo uscì un volantino con la fotografia/denuncia del prof Della
Valle che “faceva, agli studenti, il saluto romano prima di iniziare la
lezione”. Feci presente che si trattava di una vera e propria cazzata, ma
nessuno degli estensori mi volle ascoltare. Fu così che, col ’68 che
scalpitava, il prof Della Valle fu catalogato come uno dei primi prof
fascisti di Scienze Politiche.
La stessa cazzata è stata riproposta per il
gesto di Elon Musk…..
Quando non si sa fare politica, sparare cazzate
è sempre meglio che impegnarsi per
imparare ad usare i due
neuroni a disposizione.
21-1-2025
Il Giornale: "Sporchi
trucchetti". Musk smonta la bufala del suo saluto romano
|

Riflessione
n° 120 (17-1-2025)
Dialogo tra Novus e
l’Intelligenza Artificiale di Chat GPT.
Novus ha chiesto:
Ritieni che l'I.A. sia in
grado di ampliare lo scibile umano?
ChatGPT ha risposto:
L'intelligenza artificiale (IA) ha il
potenziale di ampliare significativamente lo scibile umano, ma in modi che
richiedono una stretta collaborazione tra tecnologia e ingegno umano.
Vediamo come:
1. Accumulazione e Analisi dei Dati
L'IA può raccogliere, organizzare e
analizzare quantità immense di dati in tempi estremamente rapidi, scoprendo
schemi o correlazioni che altrimenti sfuggirebbero all'intelletto umano.
Questo è già evidente in settori come la genomica, la fisica delle particelle,
e la ricerca climatica.
2. Modellazione di Sistemi Complessi
Grazie a modelli avanzati, l'IA è in grado
di simulare scenari complessi, come l'evoluzione dei mercati finanziari o
gli effetti di politiche globali sul cambiamento climatico. Questi
strumenti possono fornire previsioni utili e generare nuove ipotesi.
3. Innovazione Creativa
L'IA genera nuove idee, soluzioni tecniche
e persino opere artistiche. Gli algoritmi generativi, come quelli
utilizzati nel design molecolare o nell'arte, dimostrano come l'IA possa
essere una forza propulsiva per l'innovazione.
4. Accessibilità della Conoscenza
L'IA può democratizzare l'accesso alle
informazioni, rendendo lo scibile umano più accessibile a persone in ogni
parte del mondo. Ciò potrebbe innescare una maggiore collaborazione
globale.
Limiti e Sfide
Tuttavia, l'IA non è autonoma nel generare
conoscenza:
Dipende dai dati che le forniamo, e questi
dati possono essere incompleti o distorti.
La comprensione profonda e il contesto
culturale restano difficili da catturare in modo pieno per l'IA.
L'etica e la trasparenza nell'uso dell'IA
sono fondamentali per evitare che amplifichi pregiudizi o disuguaglianze.
Il Ruolo Umano
L'espansione dello scibile umano richiede
una sinergia tra la capacità di elaborazione dell'IA e l'intuizione, la
creatività e il senso critico degli esseri umani. Solo in questo modo
possiamo garantire che l'IA contribuisca a una crescita della conoscenza in
modo significativo ed etico.
Se usata con saggezza, l'IA non solo amplia
lo scibile, ma può anche ridefinire i confini stessi di ciò che possiamo
considerare conoscenza. Cosa ne pensi?
Novus ha risposto:
Penso che l'I.A. sia il più potente
strumento messo a disposizione del cervello umano, ma proprio in quanto
strumento, non ha vita autonoma operativa e rimarrebbe inerte sul
"bancone di lavoro" se un cervello non gli desse vita
utilizzandolo.
ChatGPT ha interloquito:
Sono pienamente d'accordo con la tua
riflessione: l'IA, per quanto avanzata, resta uno strumento, un'estensione
del potenziale umano. La sua esistenza operativa dipende completamente
dalla direzione, dalla creatività e dalla volontà di chi la utilizza.
Questa dipendenza da un cervello umano che
le "dia vita" è un concetto cruciale perché sottolinea il fatto
che:
L'IA non ha intenzionalità propria: non
possiede obiettivi, desideri o un fine autonomo. Le sue azioni sono sempre
una risposta a input e istruzioni umane.
L'etica e l'intelligenza umana restano
centrali: il valore dell'output dell'IA dipende dalla qualità delle domande
poste, dai dati inseriti e dagli scopi a cui è destinata. Se lasciata senza
guida, o usata male, può produrre risultati non solo inutili ma anche
dannosi.
Il rapporto tra uomo e macchina è
collaborativo: il cervello umano fornisce contesto, sensibilità e finalità
che l'IA non può possedere, mentre l'IA potenzia capacità cognitive,
velocità di calcolo e capacità di analisi.
In questo senso, l'IA si può paragonare a
un bisturi per un chirurgo o a un telescopio per un astronomo: senza il
chirurgo o l'astronomo che lo utilizzi con competenza, il bisturi non salva
vite e il telescopio non esplora l'universo. È il connubio tra la capacità
umana e lo strumento che porta a risultati straordinari.
Ciò porta a una grande responsabilità: come
strumento potente, l'IA riflette gli intenti di chi la utilizza. Pertanto,
il vero progresso dipende dall'etica, dalla saggezza e dalla visione di chi
la guida. Questo è un tema che sicuramente merita ulteriori riflessioni e
approfondimenti. Tu, nel tuo lavoro di analisi e divulgazione, come vedi il
ruolo dell'IA nell'elevare il dibattito su questioni complesse?
|

Riflessione
n° 119 (6-1-2025)
Intelligenza artificiale.
Limiti e vantaggi.
Considerazioni di un non
addetto ai lavori.
Vado necessariamente per titoli o poco più..
I limiti della I. A.
Non può avere Intuizioni.
Non può procedere per improvvisazioni creative.
Non ha consapevolezza dei contenuti delle
risposte che fornisce.
Non può che restare nei perimetri che
caratterizzano - pro tempore - la
cultura umana.
Non può contare su un hardware competitivo.
Curiosamente, non può neanche rifiutarsi di
rispondere, se il programmatore non prevede quell’ipotesi.. Al massimo
informa di non aver dati relativi ad argomenti recenti. Non
è assolutamente una questione di "volontà" quanto di
programmazione.
· L'IA
non possiede intuizioni nel senso umano del termine. Le intuizioni della
mente umana derivano da esperienze personali, emozioni e una comprensione
profonda dei contesti, qualcosa che va oltre la semplice analisi dei dati.
L'I.A., invece, opera attraverso modelli predittivi che si basano su dati
preesistenti sistematizzati statisticamente, senza poter approfittare delle
capacità intuitive della mente umana. L’intuizione nell'uomo è
un'esperienza consapevole e può procedere per salti logici, nell'I.A. è il
risultato di elaborazioni statistiche.
· Improvvisazioni
creative: Le macchine non possono improvvisare in modo creativo come
farebbe un essere umano. La creatività umana è spesso alimentata da
esperienze uniche.
· Consapevolezza
dei contenuti: un'altra limitazione cruciale dell'IA è la sua mancanza di
consapevolezza. Le risposte che fornisce non sono frutto di una
comprensione o di una consapevolezza del mondo come noi esseri umani la
intendiamo. L'I.A. non "sa" davvero cosa sta dicendo, rispondendo
o articolando: la sua funzione si basa sull'elaborazione di schemi
statistici e probabilistici, non su una percezione consapevole. Non ha una
propria consapevolezza di ciò che comunica
· Cultura
umana: L'I.A. è effettivamente vincolata dai dati e dalle informazioni che
gli esseri umani le forniscono. Non può andare oltre i confini culturali,
etici o concettuali definiti ed elaborati dalla nostra mente. I suoi
"perimetri" sono determinati dai limiti che noi umani le
imponiamo attraverso i dati, i modelli di addestramento e le leggi che
regolano il suo uso. Non è in grado di sviluppare autonomamente nuova
cultura al di fuori di quella che già esiste. Quindi, non può generare conoscenza nuova, ma solo
ricombinare l'esistente in modi esponenzialii.
· A
differenza della nostra intelligenza, che può contare su un hardware
formidabile come il corpo umano, l’I.A. non può entrare in contatto con la
realtà delle cose per fare, sperimentare, verificare.
· Ad
opera della sola I. A. lo scibile umano non fa un solo passo avanti perché mentre l'IA eccelle in compiti specifici
che richiedono l'elaborazione di grandi quantità di dati e l'applicazione
di algoritmi, manca ancora di aspetti fondamentali come la consapevolezza, l'intuito, la
creatività autentica e la comprensione profonda del mondo.
I vantaggi della I. A.
Lo scibile umano non aumenta, ma grazie alla
I.A. aumenta notevolmente la facilità e la capacità da parte dell'uomo
della utilizzazione di quanto ha prodotto la sua mente nei millenni
passati. E’ vero che l'IA non può fare "passi avanti" autonomi
nella nostra comprensione del mondo, tuttavia, può essere uno strumento
straordinario che aiuta gli esseri umani a fare progressi più velocemente,
elaborando una mole di dati mai acquisibili da una mente umana e ad una velocità che nessun essere umano
potrebbe mai raggiungere. Sebbene non faccia passi avanti da sola, quindi,
può amplificare il lavoro intellettuale umano, portando a scoperte più
rapide o all'elaborazione di nuove teorie e soluzioni basate su grandi
volumi di informazioni, attraverso una loro organizzazione che solo l'uomo
è in grado di impostare.
In
sintesi, l'intelligenza artificiale ha un potenziale enorme, ma è anche
importante riconoscere che è solo uno strumento, un “attrezzo” che può
potenziare la mente umana, ma non sostituisce le capacità umane. Il progresso
o e la comprensione profonda del mondo rimangono prerogative dell'umanità.
In definitiva, se usato con “intelligenza”
questo nuovo utensile, in grado di analizzare e sintetizzare informazioni
in modo coerente ed efficace, permetterà all'uomo di far fare allo scibile
umano dei grossi passi avanti.
E come se uno studioso potesse approfondire, su
un particolare argomento, non analizzando i contenuti di qualche decina o
centinaia di testi o di decine o centinaia di conferenze, congressi,
momenti di studio o di confronto, ma, oltre ai suoi studi, di sistematizzare
statisticamente le frequentazioni di termini e concetti di tutte le
migliaia (milioni?) di testi e di iniziative di incontro/confronto che
hanno trattato quell'argomento.
Luciano De Crescenzo sosteneva che " La
povertà del futuro sarà l'ignoranza, e le differenze sociali degli anni a
venire saranno stabilite, più che dal denaro, dalla cultura di chi sa
qualcosa e di chi non sa niente".
Con facile parafrasi dell’affermazione di De
Crescenzo, possiamo affermare che la povertà del futuro sarà stabilita, più
che dal denaro, da chi ha a disposizione la capacità e la possibilità di
usare l'I. A. e da chi non è in grado di usarla o non ne può disporre.
|

Riflessione n° 118
(2-1-2025)
Educazione
dei giovani e ruolo delle gerarchie familiari, sociali e politiche.
Nel triste panorama educativo contemporaneo, si
osserva sempre più spesso un fenomeno, a mio avviso, molto preoccupante: molti genitori scelgono di
assumere un ruolo di "amico" piuttosto che quello tradizionale di
“educatore” dei propri figli. Questo approccio, per quanto animato da
infantili e superficiali buone
intenzioni, ritiene di costituire una famiglia senza gerarchie, ma rischia
di privare i figli di una comprensione fondamentale della realtà sociale in
cui vivranno e opereranno. La società è, infatti, un corpo intrinsecamente
gerarchizzato, e il suo equilibrio si basa su regole e norme condivise che
richiedono rispetto e adesione. E impostare la famiglia sull’assenza di
gerarchie è la chiave di volta del marchiano errore comportamentale che si
va commettendo da qualche decennio, i cui risultati sono ormai
macroscopici. Da quando, cioè le “gerarchie” cominciarono ad essere
considerate nemico dello sviluppo di un uomo e di una società liberi da
simulacri di anarchismo.
Non tutti riflettono sul fatto che, soprattutto
nelle democrazie moderne, è presente un superpotere gerarchico. Infatti, il
potere più grande risiede nella legge. Esse rappresentano il collante che
fa di un gruppo di persone dei “cittadini” operanti in una “polis”, che
tiene insieme individui con interessi, valori e prospettive diverse,
garantendo un contesto in cui ognuno può esercitare i propri diritti col
dovere di non ledere quelli altrui. Tuttavia, se i genitori non insegnano
ai propri figli il valore delle leggi, la necessità di rispettarle e le
conseguenze del loro mancato rispetto, otterremo, come stiamo ottenendo,
che le nuove generazioni crescano con una concezione distorta della
libertà, interpretandola come assenza di vincoli piuttosto che come
responsabilità personale consapevole. Stesso risultato si ottiene se,
parallelamente alla valorizzazione dei diritti umani e sociali, non si
accompagna la stessa valorizzazione del complesso dei doveri.
Questa lacuna educativa impedisce ai giovani di
aver contezza delle proprie responsabilità nei confronti degli altri e di
se stessi e li porta a trasgredire le norme senza una reale comprensione
delle conseguenze delle loro azioni, a maggior ragione se spalleggiati dai
genitori Molti dei quali non hanno capito che “Le leggi non
vegliano sulla verità delle opinioni ma sulla sicurezza e l'integrità di
ciascuno e dello Stato” (Locke).
Trasgredire una legge non è solo un atto che espone a sanzioni legali, ma
può anche avere ripercussioni sociali, etiche e personali. Senza una guida
adeguata, i giovani rischiano di trovarsi impreparati a fronteggiare tali
situazioni, compromettendo il loro futuro e la loro integrazione nella
società.
Essere genitori significa assumersi la
responsabilità di educare, un compito che non si esaurisce nel fornire
affetto e sostegno emotivo sempre e comunque, ma che include anche
l’insegnamento di principi fondamentali come il rispetto delle regole e la
comprensione dei doveri civici, esattamente come si deve pretendere nella
famiglia, microcosmo del macrocosmo sociale. Tutto ciò per il benessere di
tutta la comunità. Solo così i figli potranno sviluppare una visione
equilibrata del mondo, in cui la libertà individuale si intreccia con il
rispetto delle regole che garantiscono il bene comune. “Salus populi
suprema lex esto” asseriva
Cicerone.
L’amicizia tra genitori e figli è certamente
importante, ma non deve mai sostituire il ruolo educativo. Un genitore che
cerca solo di essere amico abdica al suo compito più importante: preparare
i propri figli a diventare adulti responsabili, consapevoli, critici e
capaci di vivere in armonia con gli altri e con le regole che la comunità
legittimamente si è data.
In questo senso, l’equilibrio tra affetto e
autorità diventa cruciale per garantire un futuro in cui i giovani possano
non solo sopravvivere da disadattati, ma prosperare in un contesto sociale
sempre più complesso, alla cui crescita ed al cui benessere sono chiamati
ad operare in armonia con gli altri.
E con le leggi.
Cicerone
sosteneva che “E’ buon cittadino colui che non può tollerare, nella sua
patria, un potere che pretende di essere superiore alla legge”.
|
|