Noi (una decina della B del
triennio '63-'65) riteniamo di essere stati marchiati dal professor Italo
Guidetti di Storia e Filosofia. Aveva un metodo di insegnamento
pericolosissimo: per tutto il trimestre (giurassico... giurassico, vabbè)
spiegava. Interrogava l'ultima settimana con convocazioni anche nel
pomeriggio. Insomma, promozione o bocciatura dipendevano dal nostro saper
essere studenti quanto meno "accorti". Il suo scopo era chiaro:
trasmettere a noi il piacere di porci delle domande, di affannarci con
tenacia nel risolvere dubbi e non di campare al calduccio di piccole e
gracili certezze (oggi si direbbe "integraliste"). Metterci in
grado di rispondere alle domandine con metodi usuali? Non gli interessava
assolutamente. Si capiva benissimo che le interrogazioni erano per lui un
incidente di percorso nella Stoà, da sbrigare in fretta a fine trimestre, tre
settimane l'anno. Promuoveva col contagocce: sui libri di storia e/o
filosofia, ogni anno, almeno un terzo della classe passava l'estate per l'esame
di riparazione. Io, ad esempio, in filosofia ero proprio una capra (per la
verità sono sempre stato sotto la media, in tutto). Me la beccai in terza (o
in quarta?) e alla maturità. Ma, oggi, la mia biblioteca è piena di libri
"problematici". Gli assertivi li lascio a chi deve rispondere alle
domandine. E' una biblioteca piacevolemente guidettiana.
Compatitemi questo pippone su Italo Guidetti.
Post n. 6
Ma che compatitemi!!! Io faccio
come lui ancora oggi. Solo che a me non consentono di bocciare quasi mai. Lo
scopo che perseguo è anche quello di far abituare i ragazzi ad una sana
programmazione dei tempi di studio in modo che, maturata una certa autonomia,
possano poi servirsene all'università. Peccato che mi trovi a predicare quasi
nel deserto.
Post n. 7
E' un po' triste mio caro. Una
volta la scuola era il luogo di un potenziale riscatto sociale per chi,
provenendo dalle classi sociali non "predestinate", riusciva ad
emergere negli studi e si affermava. Oggi - come si scriveva nel sito che sai
- non è permesso a chi è bravo di emergere perché tutti saranno ugualmente
emersi. A rimetterci sono i "non predestinati" (indivina da che
classi provengono), perché i "predestinati", anche se ignoranti,
avranno le strade già aperte; perché, anche se capre, avranno un titolo di
studio da sbandierare e che sfrutteranno, mentre i non predestinati lo stesso
titolo di studio se lo sbatteranno. E non potranno pretendere dalla società
scelte per merito, perché non esistono più criteri di valutazione. Vale ormai
solo il censo: il figlio del libero professionista farà il professionista
ereditando studio e clienti del padre; il figlio del giornalista potrà fare il
giornalista (guardate le nuove firme in TV), il figlio del notaio farà il
notaio (questa anche prima, ma almeno doveva studiare), il figlio del
politico farà quello che vuole...
E' stato lo storpiamento delle sorgenti del '68. Da: tutti con uguali possibilità
fino all'università, a: tutti con lo stesso risultato. Insomma, da un
trampolino uguale per tutti (poi ciascuno farà il suo tuffo), a tuffo uguale
per tutti. Le classi al potere (parlo degli anni '70) non sono state mica
sceme: hanno preso la palla al balzo ed hanno creato una scuola
"facile" per i loro rampolli-capre. E' irrilevante che risulti
facile anche per gli altri. I quali, da sciocchi, pretendono proprio questo
e, da non predestinati ma sempre promossi come gli altri - si attaccheranno.
Infatti, si stanno attaccando..... E dovranno umiliarsi per ottenere qualche
briciola... Ecco che cosa abbiamo combinato, o meglio, che cosa non siamo
riusciti a evitare....
Caro Carlo il triste è che a non voler tornare a giudizi e valutazioni serie
sono proprio i non predestinati che si cacciano in un cul de sac sociale
senza saperlo.
Passatemi le generalizzazioni per motivi di sintesi.
CRITICA
9)
Da Antonio 3°
Cogitando, cogitando...nelle
settimane scorse, fra i genitori della scuola elementare frequentata da mia
figlia, abbiamo costituito un coordinamento con lo scopo di arginare lo
scasso che la cosiddetta riforma Gelmini porterà alla scuola. Abbiamo
manifestato, abbiamo raccolto firme per ribadire la nostra volontà di non
vedere modificata l'organizzazione scolastica almeno per i bambini che stanno
frequentando dalla prima alla quarta. E' stato un movimento spontaneo, non
elettivo. E allora, a detta di Brunetta, mi dovrei sentire un guerrigliero e
sarò trattato di conseguenza.
Del resto qualche giorno fà, in
una trasmissione che si chiama Ballarò, un Vice Presidente della Camera (mi
pare) che ha nome Maurizio Lupi, ha parlato di "maledetta Italia".
Forse la parola Italia andrebbe scritta in minuscolo così come è collegata
alla parola maledetta. Quindi, evidentemente, c'è una logica in tutto questo.
Per completare l'opera e per
darsi una giustificazione e un alibi chi ci governa stà tentando la via
della provocazione. Così, come ha affermato Brunetta, "i guerriglieri
saranno trattati come tali".
E si continua a guardare la
TV!!
Povera Patria.
CRITICA
8)
Da Mauro 3°
Sulla scuola media.
Se agli esami detti “di ammissione alla scuola
media”, fosse “scappato” anche un solo errore di ortografia, si sarebbe
ripetuta la quinta elementare. In prima media, si studiava tutta la mitologia
greca; in seconda, si leggeva e si commentava tutta l’Iliade; in terza, tutta
l’Odissea.
Uno dei Cogitanti (Roberto) ama
affermare che se avesse studiato più compiutamente i due poemi omerici,
sarebbe stato un medico migliore.
Forse, in prima media, tradurre
50 frasette di latino come compito a casa, fin dai primi giorni di scuola,
era eccessivo: si impegnava un pomeriggio intero e si finiva con un mal di
testa. Ma, all’università, scoprii che il saper mettere in italiano
accettabile tre frasi o le decine di pagine di una tesi mi derivava dal
latino studiato alle medie e al liceo, articolato con l’applicazione
dell’analisi logica (i cui rudimenti erano appresi già in quinta elementare).
Si ripeteva l’anno se agli
esami di terza media fosse “scappato” qualche errore di sintassi.
Ritengo che l’eliminazione del
latino alle medie sia stata la più maramaldesca fregatura appioppata agli
studenti italiani. Perché il latino non era una lingua (morta), era una
matematica, una storia, una filosofia, una letteratura. Il suo studio
comportava la messa a punto (forse inconsapevole per lo studente, ma
impareggiabile dal punto di vista culturale)
di un metodo di apprendimento, di capacità di organizzazione delle
informazioni, di elasticità intellettuale nel passare da una disciplina
all’altra pur restando impegnati in una semplice versione di dieci righe.
Il latino era una vera e
propria tecnologia culturale messa a disposizione di chi, non più bambino e
ancora non adolescente, avrebbe dovuto cominciare a crearsi strumenti
personali per “prendere le misure” alla vita.
Chi fu l’autore dello scempio?
Non me lo ricordo.
CRITICA
7)
Da Antonio 2° (in risposta a Mauro 2°)
è molto
intenso il Tuo"memento" sulla scuola elementare. Tuttavia mi trovo
in disaccordo su alcuni dei punti da Te affrontati. Forse, questo disaccordo
si manifesta proprio alla luce della straordinaria esperienza che stò vivendo
oggi come papà di una bimba di sette anni che stà frequentando la scuola
elementare, dopo avere avuto l'esperienza dei primi tre figli che invece hanno
frequentato la scuola elementare rispettivamente trenta, venticinque e venti
anni fà.
Questa
esperienza, che ho anche maturato attraverso la partecipazione negli
Organi collegiali a tutti i livelli - nel passato e oggi - (dal Consiglio di
Classe al Consiglio Scolastico Provinciale al Consiglio di Circolo) mi porta
ad una conclusione: la scuola è sempre (stata) cristallizzata in schemi
organizzativi che non si sincronizzano con la società e con il suo
naturale evolversi.
Anche io ho
avuto il cosiddetto maestro unico. Che ricordo ancora per le sue grandi
capacità e per la sua severità. Ed è anche vero che la funzione del maestro è
stata ed è quella di sostituirsi e completare i percorsi educativi che i
genitori intraprendono o dovrebbero intraprendere. Si, dovrebbero
intraprendere. Perchè, nel frattempo la società è cambiata. mentre prima,
nella maggioranza dei casi, era solo il papà, a portare a casa il necessario
per la sopravvivenza quotidiana e quindi la mamma, a casa, poteva ancora
supplire nelle fasi educative dei figli, oggi (ma ormai da tempo) anche la
mamma come il papà deve provvedere al sostentamento della famiglia ed i tempi
da dedicare alle funzioni educative si sono drasticamente ridotti. Non solo.
La società nel frattempo si è evoluta (nel senso che ha
modificato anche i propri ritmi) ed i nostri figli hanno cominciato a
subire input sempre più diversificati. Da qui, pertanto, anche l'esigenza
proprio nella fase evolutiva più delicata per un futuro uomo, di potere
disporre non di una sola guida di riferimento, ma di una squadra, di una
funzionalità educativa diversificata sia pur nell'unico obiettivo di formare
le future generazioni.
E' questa
funzione formativa, ed è questo un punto sul quale mi permetto di
dissentire non deve essere una “autorevole (si spera) autorità” di
origine non familiare, come hai affermato, ma dovrebbe essere capace di
trasferire sicuramente con sufficiente autorevolezza (e senza autoritarismi,
aggiungo) nel più breve tempo tutte quelle conoscenze necessarie per sopravvivere
nella complessa e articolata società di oggi. L'unico maestro mi ricorda
tempi cupi dove solo uno aveva la conoscenza della verità.
Ed è
"proprio perché un bimbo di cinque, sei anni non è in grado di gestire
una pluralità di personaggi" che dovrà affrontare nella realtà
quotidiana, perchè a casa non ci saranno le mamme ed i papà che lo
potranno aiutare come ai nostri tempi, è necessario che l'educazione e la
formazione siano affidati ad una pluralità di personaggi.
CRITICA
6)
Da Roberto 2° (5-3-2009)
La scuola
come vaccinazione
Al di fuori
di scuola e famiglia, che sono almeno in teoria “dalla parte” dei ragazzi, un
mondo di interessi economici tende a condizionare le persone, omologarle, trasformarle
in consumatori acritici, succubi dell’industria pubblicitaria in senso lato
(TV, internet, cinema e stampa compresi) e degli interessi commerciali delle
multinazionali. Ciò è particolarmente facile (e criminale) quando l’oggetto
di tali ‘cure’ sono i bambini ed i
ragazzi, per loro natura particolarmente indifesi da simili insidie. Gli
adulti, salvo le doverose eccezioni, sono per la maggior parte del tempo
occupati in lavori sempre più precari, ripetitivi ed alienanti; e comunque
preda anch’essi di quel fenomeno contemporaneo sempre più accentuato che va
sotto i nomi di ‘crisi dei valori’ e ‘crisi delle ideologie’. Se nel periodo
della formazione, quando il “sistema immunitario culturale” dell’individuo si
forma, non vengono stimolate le difese (che sono, sostanzialmente,
l’abitudine al pensiero libero e magari ‘laterale’, la critica, la formazione
ragionata e consapevole di un sistema di valori), tale individuo si troverà
alla mercè delle suddette forze ‘di mercato’. Basti pensare che negli States
i pubblicitari hanno elaborato strategie che puntano ad “insegnare” a bambini
e ragazzi le tecniche per convincere (costringere?) i genitori ad acquistare
ciò che l’industria propone. Questo ricorda sinistramente gli indottrinamenti
che i regimi comunisti ed il nazismo misero in opera a suo tempo per far sì
che i figli denunciassero i genitori che avessero lasciato trasparire
opinioni avverse a quei regimi!
Fino agli
anni ’60, in Italia, il bambino e poi il giovane in formazione si trovava al
centro di un tessuto socioculturale e politico che tendeva a trasmettergli
valori omogenei. I genitori, la famiglia in generale, il prete, il maestro o
i professori, il medico di famiglia, i libri e giornali per ragazzi, tutto e
tutti, insomma, gli presentavano un sistema di opinioni, valori, consuetudini
sostanzialmente simile; pur con le differenze del caso, il giovane avvertiva
un profondo senso di comunità e di appartenenza in cui anche la ‘ribellione’
giovanile trovava il suo posto, la sua spiegazione, il suo limite. Alla fine
di tale processo educativo-formativo vi erano, non definiti ma evidenti, i
“riti di passaggio” all’età adulta: la goliardia per i figli delle classi
dominanti, la ‘naja’ per quelli delle classi cosiddette subalterne. Il
giovane, divenuto adulto, diveniva a sua volta membro di questa “società
educante” e trasmettitore , alla generazione successiva, di quegli stessi
valori e tradizioni.
Questo
meccanismo si è inceppato, forse irreversibilmente, negli ultimi decenni, e
ad esso non si è, a tutt’oggi, sostituito alcunché. Di qui una diffusa condizione di sgomento,
disorientamento, anarchia, disagio. E d’altronde, come potrebbe un genitore
disorientato dare un orientamento? O un maestro o professore demotivato,
dequalificato e mal pagato svolgere un ruolo di modello etico-culturale? Non
parliamo di una classe politica, che anche prima del disastro di Tangentopoli
era così poco credibile ed affidabile, o di una chiesa cattolica che sembra
voler ottusamente ignorare tutti i fermenti e le esigenze del mondo moderno
per riaffermare a testa bassa e denti
stretti un’autocelebrazione ed una
autoreferenzialità piuttosto medievali che contemporanee.
Ho sentito
dire una cosa che mi sembra una amara verità: i cattivi maestri sono più
ascoltati e creduti dei buoni ( in particolare di noi genitori) perché
parlano ai nostri figli del loro mondo reale, mentre noi, quello, non lo
conosciamo neppure, e parliamo loro
del ricordo impreciso di un tempo che fu, di un mondo che non è più.
Noi non
conosciamo i piccoli segreti delle strade dei nostri figli, lo spacciatore,
il cattivo compagno, il cattivo maestro, le mode giovanili di devianza, i
writers, gli squatters, i pushers… Loro sì, e solo se affrontano la loro
strada “preparati” possiamo sperare che diventino uomini e cittadini maturi e
responsabili. Come prepararli? Come
capire, e far loro capire, quali siano i rischi, i pericoli, le occasioni,
dove sia il bene e dove sia il male in una società che sembra aver bandito i
concetti stessi di bene e di male, sostituendoli con quelli di utile,
possibile, vantaggioso?
Per la quale
società, ciò che la tecnologia rende possibile fare, ebbene può essere fatto;
senza dover badare se quella cosa è moralmente accettabile o meno. Se una
cosa dà un immediato piacere, perché privarsene, anche se ci danneggia, o
danneggia qualcun altro? La morale non è più il metro su cui misurare la
liceità o meno di cose, fatti, comportamenti; è stata sostituita dal
profitto, dall’indifferenza, dal ‘laissez-faire’.
Ed in una
simile situazione, caratterizzata da istituzioni indifferenti o corrotte,
dalla tanto citata crisi delle ideologie, dal generale disorientamento, la
Scuola, che potrebbe essere portatrice della nostra cultura, dei nostri veri
valori, frana sotto il piccone di squallidi ‘riformatori’, di destra e di
sinistra, che per ignoranza o per interesse sacrificano il futuro di questo
Paese, abbandonando i giovani al loro destino!
Non più
sacrificio, responsabilità, studio, costanza, disciplina, serietà; ma invece
approssimazione, lassismo, edonismo, anarchia.
Eppure
ognuno di noi è in fondo convinto, e credo a ragione, che solo la Scuola, in
cui transitano, per un lungo periodo di 12 – 13 anni almeno, TUTTI i bambini
ed i giovani del Paese, sia l’istituzione che potrebbe svolgere un ruolo
fondamentale per uscire da questa impasse. Certo non con l’attuale personale,
l’attuale budget, l’attuale normativa!
Davanti alle
sempre più agguerrite e numerose schiere di coloro i quali hanno forti
interessi e abbondante amoralità per portare avanti e rafforzare questa nuova
“In cultura”, sparute e spaurite le forze che ancora credono in una società
più giusta, ordinata, colta e consapevole perdono continuamente terreno, e
sembrano avviate ad una inevitabile sconfitta: ma è proprio così? Certo che
se fossimo più coscienti di quello che sta accadendo, se sapessimo leggere le
conseguenze negative di fatti in sé apparentemente “neutri” saremmo meno
disarmati davanti a questa marea montante.
Parliamo ad
esempio di profitto: venerato da alcuni, esecrato da pochi, considerato dai
più come una delle molle indispensabili del progresso umano. Ognuna di queste
posizioni è più o meno ragionevole ed accettabile. Ma se ci caliamo in
qualche caso concreto vediamo come di per sé il profitto può essere una
motivazione altamente controproducente. Il 70% degli antibiotici prodotti non
vengono utilizzati per curare le malattie umane o animali, ma somministrati
indiscriminatamente agli animali di allevamento (dai pesci ai polli ai
bovini) per incrementarne la crescita e prevenire epizoozie, che sarebbero un
grave danno economico. Questo, unito ad un uso non di rado irrazionale degli
antibiotici in terapia umana, ha fatto sì che si sviluppassero moltissimi
ceppi microbici resistenti, rendendo necessaria una continua ricerca e commercializzazione
di nuovi antibiotici. Purtroppo, di antibiotico si assume una dose al giorno
per sette giorni, mentre di psicofarmaci se ne prende sì una dose al giorno,
ma per tutta la vita; per cui la
ricerca farmaceutica sforna ogni anno nuovi psicofarmaci, ma da tempo non si
brevetta un nuovo antibiotico, soprattutto farmaci attivi contro la TBC e le
malattie tropicali. Un profitto nell’immediato rischia di trasformarsi in una
catastrofe – non solo economica – nel futuro. Il cosiddetto “Capitalismo
maturo” sembra in questo caso (ed in molti altri) simile all’apprendista
stregone, che armato di potenza ma non di controllo scatena forze avanti alle
quali poi è destinato a soccombere. E lo stesso si può dire dello sviluppo
industriale, dell’uso dei combustibili fossili, dell’agricoltura intensiva e
degli OGM, del saccheggio dell’acqua e di mille altri aspetti della nostra
civiltà.
Solo
cittadini informati, responsabili ed organizzati, produttori e consumatori
consapevoli possono opporsi a queste forze cieche e brutali che sembrano
essere l’ultima incarnazione del Capitalismo. E si ritorna alla Scuola, unico
possibile vaccino contro l’acriticità, la superficialità, l’incultura che
sono il pabulum indispensabile per l’allevamento di generazioni di consumatori
acritici, disinformati, autolesionisti che garantiscono la crescita a
questo modo di produzione suicida.
Quando si prospetta un fantomatico “scontro di Civiltà” o si parla di
imminenti “Guerre di Religione” è forse il caso di chiedersi come può essere
visto questo bubbone della economia globalizzata occidentale da chi, in tutto
il mondo, ne fa le spese. Se si viaggia nei paesi dl terzo mondo, specie quelli mussulmani,
dopo un po’ si scopre di provare una sorta di nostalgia: la gente è affabile,
sorride al forestiero, appare ospitale e disponibile, i bambini giocano per
strada rispettosi degli anziani, il rapporto tra le persone appare genuino,
sembra di essere tornati nell’Italietta degli anni ’50. E’
l’industrializzazione che ci ha così depersonalizzati? Il successivo e
conseguente consumismo, con la mercificazione di tutto e di tutti? Non lo so,
ma questo mi sembra di vedere più che un conflitto di Civiltà o di Religioni:
una società compatta ed omogenea, coi suoi valori tradizionali Vs. una
società amorale, disgregata, cinica e violenta. Gli uomini sono uguali in
partenza, la cultura di un Paese li plasma poi a sua immagine; e la scuola è
veicolo di tale formazione. In questo nostro Paese il decadere
dell’istruzione pubblica sta dando spazio ad una crescente aggressività della
scuola privata e confessionale, che aggraverebbe ancor più le spinte
disgregatrici e farebbe crescere le disparità sociali, lasciando indifese e
povere di strumenti culturali di autodifesa, di ‘vaccini’, proprio le fasce
più deboli e svantaggiate. Un nuovo ‘analfabetismo culturale di massa’
garantito dalla scuola dei poveri ed una nuova élite culturalmente acritica
forgiata nella scuole confessionali private. Ben si attaglia questo modello
alla Chiesa di Ratzinger, mentre cerca di attuare il suo programma
neo-medievale di ferreo dominio delle coscienze e di lotta spietata alla
diversità!
Berlinguer
trenta anni fa dava al suo partito la parola d’ordine “La scuola pubblica
deve essere la prima priorità ”: di quel messaggio non è rimasto nulla,
destra e sinistra hanno picconato la Pubblica Istruzione con impegno
bipartisan, riducendola in fin di vita proprio nel momento in cui si avrebbe
più bisogno di lei. Ma se qualcuno non riprenderà quella parola d’ordine in
tempo, sarà forse troppo tardi, e non so se al nostro declino ci sarà
rimedio: un nuovo Medioevo ci attende?
CRITICA
5) Da Mauro 2° (4-3-2009)
Sulla scuola elementare.
Sono figlio di due insegnanti elementari
(passati da tempo a miglior vita), tanto votati alla missione quanto
esigenti.
Da giovani maestri, hanno
insegnato in vari paesetti della Sabina, dove hanno seminato i loro tre
figli. Prima di concludere (negli anni ’60 e ’70) la loro “carriera” a Roma,
mio padre aveva insegnato (pluriclasse) nella campagna reatina. Non potendo
contare su adeguati sussidi didattici, comprava lui quaderni, matite e penne
e pennini per tutti. Andava fiero del fatto che non pochi ex scolari, a
distanza di anni, lo ricercavano
per chiedere consiglio al vecchio
maestro prima di inserirsi nel mondo del lavoro o iscriversi all’università.
Mia madre andava fiera per una
cosa diversa: quando tornava a gestire una prima elementare, a Natale dava il
grande annuncio alla famiglia: “Anche in questa prima alcuni bambini mi hanno
chiamato mamma….”.
Ho recuperato questi vecchi
ricordi non per motivi sentimentali, ma per fornire la fonte intellettuale
delle considerazioni che sto per fare.
Ho sempre considerato la scuola
(almeno fino alle medie superiori) una sorta di allenamento che la società
deve imporre ai cittadini per metterli in condizione di affrontare preparati,
per quanto possibile, la partita della vita: individuale, interpersonale e
sociale. E, si sa, è opportuno effettuare gli allenamenti proprio quando le
condizioni di contorno sono negative: ci si allena con la pioggia, perché se
“giocheremo” col tempo brutto, saremo allenati, se il tempo sarà bello,
saremo avvantaggiati.
La scuola quindi, oltre ad
essere una fonte di nozioni e di metodi, è un microcosmo della società (
quella dei grandi) nella quale tutti, passata l’età scolare, dovremo
approdare.
Proprio a scuola, il giovane
che comincia a mettere il naso al di fuori delle ovattate protezioni
familiari, “prova” ad ampliare il proprio orizzonte, viene allenato a
riconoscere le grandi architetture in cui è strutturata la società (autorità,
ruoli, doveri, diritti, valori); si esercita ad assumere impegni nuovi, ad
operare insieme ad altri, a capire le dinamiche comportamentali, a prenderle
come metro di misura del proprio agire, a misurare i personali progressi
nell’apprendimento e nel vivere civile, a giudicare gli altri e se stesso, a
pretendere il giusto da se stesso e dagli altri. Insomma a diventare
cittadini di una polis e non semplici gregari.
A cinque sei anni, quindi, si
entra in società attraverso l’opera di un maestro che deve assumere le
caratteristiche rassicuranti dei genitori e, contemporaneamente, il ruolo di
chi è incaricato di procede a giudizi su quello che facciamo, su come
impariamo a farlo, su quello che dimostriamo di saper fare.
Questa operazione non può che
essere appannaggio di un solo personaggio, il maestro/maestra, in grado di
operare con serenità come compagno di viaggio del bambino e, al tempo stesso, di offrire un primo esempio
di “autorevole (si spera) autorità” di origine non familiare.
Sono quindi d’accordo col
maestro unico della Gelmini, almeno per i primi tre anni della scuola
elementare, proprio perché un bimbo di cinque, sei anni non è in grado di
gestire una pluralità di personaggi assegnatigli solo perché non si sa dove
metterli, magari in contrasto professionale tra loro, in una scuola costruita
per chi pretende di insegnare e non per chi deve pretendere di imparare e
diventare un cittadino utile a sé ed agli altri. Questo non vuol dire che poi
attorno al nuovo e diverso “genitore sociale” non possano ruotare
“specialisti” come insegnanti di lingua, di internet, di educazione stradale,
di musica ecc.; ma il rapporto fondamentale, il “calzante” utilizzato dalla
società per accogliere il nuovo cittadino ancora in età evolutiva, ritengo
debba essere costituito da un solo personaggio. Solo così il bimbo potrà
cominciare a misurarsi con l’innesto del giudizio esterno sul tronco affettivo
costituito dalla famiglia.
Per concludere senza
concludere: ritengo che la famiglia accorta non possa non vedere nella scuola
una protesi per potenziare il suo stesso ruolo, protesi che i genitori
naturali devono imparare ad utilizzare, evitando di limitarsi a considerare
gli anni di studio come parcheggio temporale dove tenere i figli in attesa
dell’attestato di ignoranza.
E’ questa concezione che in
seguito, esaltata dal complesso di colpa derivante dal trascurare la prole
(perché “troppo impegnati nel lavoro”), tenderà ad atteggiamenti
iperprotettivi in grado di produrre giovani fondamentalmente disadattati e,
quindi, cittadini, di fatto, asociali.
Insomma, l’eccesso di
protezione, i continui cedimenti alle richieste, le giustificazioni anche in
caso di mancanze gravi, la complicità a tutti i costi tranquillizzano mamma e
papà (“… e se ti bocciano, ricorriamo al TAR…”), ma non giova ai figli: è
facile e comodo atteggiarsi a loro amici contro la società ostile, anzi
nemica e causa di ogni disagio (la scuola e gli insegnanti, nello specifico),
quando invece dovremmo rivestire il difficile ed impegnativo ruolo di
educatori, mediando con altri educatori.
Ma, si sa, la cosa costa fatica
e ruba il tempo al Grande Fratello….
CRITICA
Critica
da Antonio 2°
4)
Da Roberto (3-3-2009)
RISPONDO TELEGRAFICAMENTE:
- Dagli anni ’70 s’è
spezzata l’alleanza tra scuola e famiglia (negli anni ’50, ’60, chi “andava male”
a scuola, “andava peggio” a casa). Come affrontare e superare i danni
di questa frattura?
La fine dell’alleanza
coincide con la rapida esplosione dell’intera società; in termini Marxiani si
potrebbe parlare di fine dell’egemonia di classe, che in qualche modo
uniformava ideali, valori, comportamenti. Al ragazzo parlavano più o meno
allo stesso modo i genitori, il prete, il maestro; oggi la struttura della
società è disgregata, ognuno canta ai giovani la sua canzone, non c’è più un
corpo sociale unito anche perché il mondo globalizzato non ha posto per altro
che per il profitto immediato. E le famiglie sono ormai distanti di una o due
generazioni da quelle che vivevano in ‘quell’altro mondo’, sono altrettanto o
forse più ancora disorientate dei giovani.
- Oggi “tutti promossi”,
“tutti ignoranti”. Quali fasce sociali risentono di più di questa realtà?
Che domande: quelle più
basse, per le quali una volta l’istruzione significava anche e soprattutto
riscatto sociale. Prima tutti analfabeti, ora tutti diplomati… ma la
differenza non è così grande come potrebbe sembrare! Sappiamo che le classi
dominanti non mandano i figli in questa scuola, ma : istituti privati,
università private, studi e master all’estero, e il divario persiste ed anzi
aumenta. La folle scuola italliana di oggi sembra fatta per perpetuare ed
aumentare la discriminazione e la disparità, mentre l’intenzione dichiarata
(non so quanto in buona fede) era proprio il contrario
- Alla luce dei nuovi
canali di informazione (internet ecc.) quale ruolo deve avere oggi la scuola?
Oggi (e sempre) il compito
della scuola è quello di formare cittadini capaci di essere all’altezza delle
grandi responsabilità che l’essere cittadini di un paese democratico
comporta. Già negli anni ’50 un documento di Confindustria affermava che il
grosso della preparazione professionale specifica avviene in Azienda, perché
la scuola, per sua natura, può offrire solo una formazione professionale
superata. Allora perché non approfittare per dare a tutti i giovani CULTURA?
Non credo che un tornitore o un agricoltore sarebbero peggiori se avessero
studiato Arte, Filosofia, Latino, Musica, Letteratura… Forse saprebbero
meglio trovare la dignità ed il ruolo del loro lavoro, godere di più la vita,
essere più critici e più forti davanti all’attacco della disgregazione…
- La scuola va a bene
come è oggi organizzata ?
CHIARAMENTE NO
- Deve fornire gli
strumenti per costruire un professionista specializzato. Che cosa dobbiamo
cambiare dell’attuale architettura scolastica per ottenere questo risultato?
Vedi sopra: il
professionista si fa in azienda, la scuola deve formare uomini e cittadini,
dare il quadro di riferimento, ed eventualmente fornire le cognizioni
necessarie per poter fruire dell’esperienza di lavoro
- Deve fornire un metodo
di apprendimento: ricercare e organizzare le fonti, analizzarle,
metabolizzarle e produrre “cultura”. Che cosa dobbiamo cambiare dell’attuale
architettura scolastica?
Soldi, formazione degli
insegnanti, altri soldi, rigore, soldi, coscienza che nella scuola si forgia
il futuro di tutto il paese, soldi…. (la salvezza costa!)
Fornire ogni strumento
idoneo a formare un cittadino consapevole, critico e coinvolto nella vita
socio-seconomico-politico-culturale del paese. Che cosa dobbiamo cambiare
dell’attuale architettura scolastica?
Chiederei piuttosto cosa
dobbiamo cambiare della società: non credo che si dia una scuola sana in una
società malata.
CRITICA
3)
Da Luciano (1-3-2009)
Considerazioni preliminari
sulla scuola
Senza avere la pretesa di
dire qualcosa di organico (l’argomento mi è ostico e gli impegni premono),
tanto meno su temi specifici come programmi, didattica ecc., mi limito ad
alcuni spunti di “contesto”.
I tempi mi sembrano maturi
per una riscoperta (ed un affiancamento alle altre istanze) del principio di
autorità: le tutele odierne dal punto di vista giuridico e della maturità
sociale appaiono antidoti sufficienti per evitare che ad esso si
accompagAntonio arroganza e prevaricazione.
Bullismo: occorre avere il
coraggio della giustizia a tutela dei deboli. Chiudere gli occhi di fronte a
certi episodi non è indulgenza, è - eufemisticamente - paura.
Siamo (come opinione
pubblica, organi di informazione ecc.) finalmente diventati capaci di
distinguere tra: reali istanze di miglioramento che vengano dagli studenti
(giuste o meno, ma in buona fede), strumentalizzazioni politiche, semplici
manifestazioni di immaturità?
Una proposta: in tempi di tagli
e ristrettezze economiche, credo che sarebbe essenziale investire maggiori
risorse per risolvere i problemi di:
scarsa comunicabilità (introducendo esperti di comunicazione a fare da
collegamento tra docenti e studenti), distanza dal mondo del lavoro
(intensificando e rendendo finalmente effettivo ed organico l’intervento di
operatori del mondo del lavoro e delle imprese), disinteresse delle famiglie
(trovando nuove forme di partecipazione rispetto a quelle episodiche e/o
consunte esistenti).
CRITICA
Alla luce dei disastri
scolastici degli ultimi 35 anni, mi chiedo:” Quanti genitori ritengono di
dover pretendere che la scuola frequentata dai figli sia valida, puntuale,
efficace, con il giusto rigore nell’applicare le regole interne ed esterne?”.
“Quanti considerano utili per il futuro dei loro figli i quindici, venti anni
passati sui libri?”
Al di là delle chiacchiere
promosse da personaggi in mala fede, nel ’68 (diciamo fino al 1971-1972) si
studiava due volte: una per superare l’esame, come richiesto dalla prassi
meritocratica vigente da generazioni, l’altra per avere gli strumenti
culturali per “far fuoco sul quartier generale”, come indicava Mao.
Capita velocemente
l’antifona: l’allora classe dirigente si accorse che i rampolli che uscivano
dall’università non rappresentavano più (come era stato per secoli) i
rincalzi per mantenere in piedi il sistema, ma puntavano apertamente a rivoluzionarlo.
In breve tempo, la scuola pubblica fu disarticolata. Dal ’73, ’74 non si
studiò più: tutti promossi. Ricordo i commenti di un amico di architettura
che, ridendo, mi informava della
prassi: uno fa il disegno e 15 vengono promossi.
Nel frattempo, la classe
dirigente trovò altri criteri di formazione dei successori predestinati:
scuola privata, corsi di perfezionamento, magari all’estero, qualificazioni
aziendali ecc. O altri canali: cursus honorum nei partiti politici o come
clientes, ad esempio.
Per la prima volta le
famiglie “normali” furono costrette a decidere che il tempo scolastico dei
figli era tempo perso, da far passare in fretta (se mi bocciano il ragazzo,
ricorro al Tar!) perché altre e di diversa natura ( a partire dal censo) erano le promozioni personali da coltivare
per permettere l’ingresso nel mondo del lavoro: la raccomandazione del
potente di turno, tra le altre. Perciò, a che serve studiare? Certo, pronti a
manifestare per la scuola pubblica, diciamo meglio “gratuita”, ma maestri e
professori non devono rompere con inutilità come formazione, meritocrazia,
educazione, impegno, regole: promuovano e forniscano gli attestati. E tanto
basti!.
Con gli anni ’70 si
disarticola l’alleanza famiglia-scuola.
Conclusione: siamo passati
da qualche possibilità offerta a chi “era bravo” indipendentemente dal ceto
sociale (parlo degli anni ’50 e ’60), al “tutti promossi, tutti ignoranti”
(anni ’70, ’80, ’90). Con grande
vantaggio per i “predestinati”. Pur ignoranti, e sempre promossi come tutti, costoro avranno una vita facile e già
tracciata; gli altri, i “normali”, non saranno in grado di accampare alcuna pretesa, perché da
ignoranti, non potranno più neanche
far leva sulla meritocrazia.
Alla classe al potere non
mancano rampolli in grado di rimpiazzare adeguatamente il genitore, il
padrino o il padrone, e di ereditarne gli strumenti di dominio. Sono
proprio questi rampolli che non metteranno assolutamente in discussione un
sistema che li garantisce (né avrebbero gli strumenti per farlo).
Per concludere, la scuola
italiana sta formando cittadini acritici, non istruiti, tanto meno colti,
speranzosi solo in un colpo di fortuna: questo è il miglior livello di
progettualità espressa dalla media. Con questa scuola si alimenta la fonte
maggiore di conservatorismo: è questo
il peggior guasto prodotto dalla scuola italiana.
CRITICA
Sono
stato bruciato sul filo di lana. Stavo infatti "cogitando" proprio
sul tema Scuola. Questa nuova esperienza che stò vivendo
partecipando alle attività degli Organi Collegiali (sono componente il
Consiglio del 2° Circolo Didattico di Ferentino e componente la Giunta dello
stesso Circolo) perchè papà di una bimba di 7 anni, come del resto ho fatto
in gioventù per i miei primi altri tre figli, mi stà confermando che la
scuola è ferma. Si, ferma. Perchè le stesse problematiche che avevo
affrontato 25 anni fa le sto rivivendo adesso.
Attribuisco
questa "stasi" non tanto agli insegnanti che quotidianamente ci
aiutano nella educazione e formazione dei nostri figli, quanto nella
organizzazione scolastica che mi appare ferma, cristallizzata in vecchi
schemi, dove tutto è vecchio, dagli arredi all'organizzazione, dagli stessi
edifici alle procedure. Come anche attribuisco responsabilità anche agli
stessi genitori, alle famiglie, che della scuola si ricordano solo
marginalmente.
La
sicurezza delle scuole è uno degli aspetti del problema che è cronicamente
irrisolto, ma non irrisolvibile. Anzi è uno degli aspetti più delicati perchè
la sicurezza dovrebbe garantire la salute e la vita dei nostri figli.
Facevo
una riflessione proprio oggi su come l'informazione può a volte disorientare.
Tutti abbiamo letto e ascoltato che per quella grave tragedia in Molise
qualcuno sia stato condannato in appello. Condannato a pochi anni, quando,
invece, si è trattato di una strage. Già oggi la notizia era scomparsa dai
media. Dimenticata. Eppure sono morti oltre 20 bambini più una maestra. Non
voglio fare paragoni, ma la reazione dell'opinione pubblica, in generale, dei
media e della politica non è stata la stessa "forte", aggiungerei
"caciarosa", come, invece, lo è stata per altri gravi reati che
hanno visto coinvolti di recente donne e bambini.
Perché
del fatto che circa il 50% delle scuole in Italia è a rischio nessuno fa
"caciara".
Me
lo domando ogni volta che insieme a qualche altro genitori ci troviamo a fare
pressioni, da soli, nei confronti della pubblica amministrazione e della Direzione
didattica per la "messa in sicurezza" di tetti, pareti, finestre,
pavimenti e quant'altro.
CRITICA
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