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Documento d’interesse   Inserito il 3-11-2008


 

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Il Corriere Economia 3-11-2008

La Bretton Woods del 2009?

L’analisi il debito statunitense è in gran parte in mano agli orientali. Il dialogo è inevitabile. Gli americani hanno bisogno dei cinesi per garantire la stabilità finanziaria.

 

F orse ha ragione Bhagwati che, lunedì scorso su queste colonne, ha sostenuto che la crisi in corso non passerà alla storia come il Grande Crac del 2008. E’ però chiaro che ci saranno mutamenti non secondari nell’economia mondiale. L’economia statunitense è uscita da una lunga fase di crescita sostenuta, tra le più lunghe dell’ultimo secolo. Dalla metà degli ’90 in realtà la coesistenza di una forte crescita, di un aumento dell’occupazione e di una bassa inflazione avevano spinto più di qualche studioso a parlare della nascita di una «nuova economia» negli Stati Uniti, nuova perché non più soggetta al ciclo economico. In effetti, nell’ultimo quindicennio si è ridotta drasticamente la volatilità di tutte le variabili macroeconomiche (crescita del prodotto, consumi, investimenti, inflazione, occupazione). Questa minore erraticità degli indici economici ha significato un calo robusto del rischio percepito dagli operatori, ed è stata in parte la giustificazione dell’enorme disponibilità a detenere ed emettere prodotti finanziari rischiosi. Ma oggi sappiamo che le leggi tradizionali dell’economia sono ancora valide: all’euforia fa seguito il crollo, al boom segue la recessione. Lo tsunami finanziario rende quindi palesi le difficoltà in cui versa l’economia statunitense. La lunga fase di crescita fondata sull’espansione della domanda interna, mediante la riduzione del risparmio e il forte ricorso al debito, ha comportato un forte disavanzo commerciale. Per usare un linguaggio molto di moda in Europa, l’industria americana ha accumulato un problema di scarsa competitività. Nel corso degli otto anni con George W. Bush alla Casa Bianca, al deficit commerciale si è poi sommato un deficit fiscale provocato dai tagli nelle tasse e dalle ingenti spese per le guerre in Afghanistan e in Iraq. I provvedimenti presi per far fronte alla crisi finanziaria in corso aggraveranno ulteriormente deficit e debito federale.
Oggi gli Stati Uniti sono il più grande debitore netto mondiale, con un deficit della bilancia pari a circa 700 miliardi di dollari l’anno e uno stock di debito estero pari a oltre 2,5 trilioni di dollari. Il debito pubblico ha superato la soglia dei 10 trilioni di dollari ed è detenuto per il 44% da stranieri, per lo più da banche centrali straniere, in particolare quella giapponese e quella cinese, interlocutori obbligati del presidente della Fed, Ben Bernanke.
Si parla, in queste settimane convulse, della necessità di una nuova Bretton Woods. L’idea è giusta, anche per evitare un ritorno del protezionismo e ridisegnare l’assetto del sistema finanziario mondiale. Vanno ripensati organismi internazionali come Fmi e Banca mondiale, troppo influenzabili dagli Stati Uniti. Ma chi può farsi garante del commercio e del sistema finanziario mondiale a questo punto? Libero scambio e stabilità finanziaria sono beni pubblici. Da questa consapevolezza nacquero gli Accordi di Bretton Woods nel 1944 (ispirati dal presidente americano Franklin Delano Roosevelt). La creazione e il mantenimento di un’economia mondiale integrata e liberale, hanno richiesto una potenza leader che si facesse carico di fornire questi beni pubblici svolgendo, se necessario, un ruolo di «prestatore di ultima istanza» (Kindleberger). In verità, la storia ha visto solo due grandi potenze in questo ruolo: la Gran Bretagna nel corso della prima grande globalizzazione tra il 1870 e il 1914 e gli Stati Uniti dal 1945 ad oggi. In ambedue i casi la potenza leader era un paese creditore, che aveva avanzi di bilancia corrente ed era stato spesso il più grande creditore netto mondiale. Nel 1945, ad esempio, gli Stati Uniti con il Piano Marshall furono prestatore di ultima istanza nei riguardi dell’Europa consentendo l’avvio di una ripresa mondiale.
E’ possibile mantenere la globalizzazione senza un paese leader economico mondiale? L’esperienza storica degli ultimi due secoli ci dice che ciò non è mai accaduto. La grande depressione del 1929 provocò una guerra tariffaria e un crollo del commercio mondiale che aggravò e prolungò la stagnazione. Mancava una potenza egemone capace di assicurare gli scambi e di contrastare le spinte protezioniste. La Gran Bretagna con la Prima guerra mondiale aveva cessato di essere la prima economia mondiale e gli Stati Uniti erano ancora riluttanti a farsi carico del loro nuovo ruolo.
Oggi è la Cina la grande potenza industriale mondiale e, con il suo gigantesco avanzo commerciale, il grande creditore netto. Per dimensione e peso è un paese che deve esercitare funzioni di leadership. E’ allora fondamentale convincere la Cina ad assumersi pienamente le responsabilità che le competono nella ricostruzione di un nuovo ordine economico favorevole agli scambi e alla crescita. La «nuova Bretton Woods» va organizzata a Shanghai. Il nuovo Fmi e la nuova Banca mondiale vanno trasferiti a Pechino.