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inserito il 10-2-2007 |
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Il PuntO n° 99 Da pescatore di anime a correttore di commi.
Un successone! Di Mauro Novelli 10-2-2007 La religione cristiana è
religione rivelata. Non ha quindi necessità di interpreti, mediatori,
gestori dei canoni di volgarizzazione. Anzi, è proprio il povero di
spirito ad avere una chiave di accesso privilegiata. Non a caso, Cristo, detentore di
un quoziente di intelligenza divino, ha dato indicazione di gestire il sacro
tramite perdono e salvezza. Non ha fornito elenchi di cose da fare (con i
corrispondenti premi) e cose da non fare (con le sanzioni conseguenti). Abbassatosi il livello di
intelligenza, e fatto sfumare il senso e l’esigenza del sacro – troppo
pericoloso per chi crede nella rilevazione e nella assoluta mancanza di
necessità di mediatori- ci si
è affannati attorno agli
elenchi di peccati e di santità, riuscendo ad imporre diritti di
prelazione sulla loro redazione. E’ chiaro che, abbandonata la
sfera della sacralità per la più agevole e descrittiva
santità è facile scadere dal trascendente al secolare. Oggi non si può
più tornare indietro: se a suo tempo la Chiesa, eletta da Cristo a
gestire le sue cose in terra, ha definito un elenco di peccati, oggi non
può sconfessare quello stesso elenco. Se duemila o mille anni fa,
assecondando – a suo dire - divine disposizioni, è stato inserito in
elenco il peccato di dispersione del seme (salvo che non ci si trovi in
ambito matrimoniale e con la precisa intenzione di procreare), oggi non si
può tornare indietro: perché
pretendere che la Chiesa dia indicazioni permissive nell’uso del
preservativo? Dovremmo contestualizzare la disposizione di Dio: una
contraddizione in termini. Così come ha impostato il suo ruolo nella vita
dell’uomo, sarebbe un disastro. Insomma se alle origini si decise che chi
avesse commesso un particolare peccato sarebbe andato – in mancanza di
pentimento - all’inferno, oggi non si può decidere di mandarlo in
paradiso. Quegli elenchi, spacciati per
divini, sono condannati semmai a crescere, non potendosi rivedere né ridurre
alla luce delle vicende umane. Ecco quindi che occorre
ricorrere a forzature cui sottoporre il gestore del civile: poiché non
è possibile cambiare gli elenchi, si cerca di imporre una impossibile
sclerosi dei costumi, perché la discrasia tra registro dei peccati e comportamenti
non giunga al limite della rottura. Per questo, oggi, il tentativo
del Papa (atemporale) di correggere commi e alinea non solo è
comprensibile ma è addirittura cosa per lui ineludibile, obbligata per
la di lui piccola salvezza. Ne discende la parallela e
necessaria produzione di elaborazioni teologiche che si distinguano dal
catechismo adottato per il volgo e creino una cesura tra chi ha gli strumenti
(dottrinari) per gestire e chi è gestito. Come sostenere altrimenti la
barricata che protegge la stessa trappola in cui si è cacciato?
Occorre annettere unicamente all’apparato la
capacità/possibilità di gestione dell’affare, in quanto unico
in grado di usare gli strumenti teologici. A questo punto cominciano i
guai: un tale comportamento – ripetiamo ormai obbligato – si scontra con la
definizione del cristianesimo come
religione rivelata. Occorre impostare elaborazioni e comportamenti che
rispondano all’obbiettivo di rendere sempre meno “rivelata”, cioè “per
tutti”, una religione nata per essere degli “ultimi”, per ricondurla a naturale appannaggio di
dotti teologi, gli unici in grado di dettare comportamenti anche al povero
Cesare. Per il suo stesso bene. In tal modo, invece di elevarsi
verso i confini dello spirito, ci si riduce a grufolare nel truogolo
secolare. Che fine
hanno fatto Il trascendente, il sacro, il perdono, la salvezza lasciati intuire con
ineffabilità – a tutti - da Cristo? |