PRIVILEGIA NE IRROGANTO di
Mauro Novelli IL PUNTO Documento
inserito il 10-12-2006
Il PuntO n° 90. La famiglia ostaggio delle corporazioni.
Di Mauro Novelli 10-12-2006
Storicamente le classi dirigenti
italiane non hanno mai goduto di grande considerazione da parte dei cittadini.
Per tal motivo, nel nostro paese l’ambito nucleare minimo di adeguamento alla
realtà socio-economico-politica
che cambia è da sempre la famiglia. Nel trapasso da società
agricola ad industriale, la famiglia italiana ha adeguato le sue dimensioni ed
ha rivisto le sue gerarchie: da un nucleo funzionale e potente se poteva
contare su un gran numero di figli (possibilmente maschi, in grado di fungere
da “bastone della vecchiaia” per gli i genitori; le femmine, infatti,
cambiavano famiglia) a quello con una media due o tre figli; dal ruolo
fondamentale del vecchio, del patriarca in grado di suggerire con successo le
cadenze dei lavori agricoli, all’anziano pensionato emarginato nella
società e degradato in famiglia al livello di un sopportato, comunque
sopravanzato in autorità dai giovani inseriti nei processi produttivi
nuovi e progressivi.
Il trapasso da
industriale a postindustriale, cioè ad una società terziarizzata; la fine del pericolo comunista; il crollo
delle barriere “fisiche” con l’avvento di nuove tecnologie, insomma con la
globalizzazione e la conseguente vera concorrenza al mondo occidentale da parte
di economie emergenti e massive (Cina e India) la
tranquilla stabilità della “famiglia industriale” è saltata. Ancora una volta la classe dirigente del nostro paese si
è dimostrata incapace di governare tali dinamiche ed, ancora una volta,
la famiglia italiana si è adeguata ristrutturandosi per la
sopravvivenza: restrizione dei consumi (con conseguente crisi complessiva di
una società impostata su livelli alti di consumo privato) e limitazione
drastica del numero dei figli (con conseguente crisi di tutte le dinamiche che
da sempre puntano su un numero crescente di “rincalzi”, sistema pensionistico
in testa). Del resto, una società precarizzata
e con orizzonti plumbei, non può che diminuire le variabili che influiscono
sui flussi finanziari in uscita; e se è opportuno non fare figli, perché
creare nuovi nuclei familiari? Meglio restare con i genitori o decidere per una
vita da single.
Dai censimenti Istat ricaviamo, a
tal proposito, il seguente inesorabile trend:
Censimenti Istat: famiglie con un solo componente
|
Famiglie costituite da un solo componente |
1961 |
10,6 % |
1981 |
17,9 % |
1991 |
19,8 % |
2001 |
24,9 % |
In quaranta anni, la famiglia
industriale, che contava un nucleo single ogni dieci,
si è adattata alle nuove realtà tanto che oggi una famiglia su
quattro è costituita da un solo componente.
In parallelo,
perde di efficacia lo “strumento” del matrimonio: vista la situazione di
precarietà, non è opportuno impegnarsi con sentenza definitiva:
Famiglie, matrimoni, componenti [Fonte Istat]
|
Numero di famiglie |
Numero di matrimoni |
Numero medio di componenti per famiglia |
2001 |
21.811.000 |
264.026 |
2,6 |
2005 |
23.600.370 |
250.968 |
2,5 |
Insomma, per “trovare” un figlio
occorre mettere assieme due famiglie italiane; ma se si guarda alle famiglie
residenti nelle grandi città, si ricava che il numero dei loro
componenti scende a 2,3: occorre mettere assieme tre famiglie per trovare un
figlio (e neanche sono sufficienti).
La popolazione italiana ha, da
lustri, un saldo demografico negativo. Nel 2005, questo è stato pari a -13.282: nati = 554.022; morti = 567.304 . Solo gli immigrati (
+ 302.6189) portano ad una popolazione in crescita: 58.462.375 nel 2005.
Per inciso, alla luce di questi dati
è risibile la rottamazione proposta un paio d’anni fa da Maroni: mille
euro per il secondo figlio.
Mentre la famiglia italiana ha colto
prontamente il cambiamento in atto ed è stata costretta a
ridimensionarsi, governando la nuova realtà in solitudine, la nostra
classe dirigente ha tentato di evitare la sua precarizzazione
seguendo (finora con successo) la via della corporativizzazione,
impostando cioè azioni politiche in grado di produrre formazioni
granitiche di potentati, insieme ai quali gestire le
nuove realtà socio-economiche: il resto della società si arrangi.
Uno dei potentati meglio strutturati
e, quindi, più considerati dagli altri, è la chiesa cattolica.
Oggi, Benedetto XVI fa finta di tuonare contro la corporazione di turno al
governo (“Per il Natale 2006, il governo vuole la distruzione della famiglia..”) ma sa benissimo che sta pascolando in una
prateria grassa, predisposta proprio da quella classe dirigente: il meccanismo
satanico dell’8 per mille delle tasse (si veda in nota), l’assunzione di
professori di religione indicati dalla Curia, l’abolizione dell’ICI per tutti i
beni ecclesiastici, anche commerciali (questa è stata talmente grossa
che si è deciso di non esentare gli esercizi commerciali), non fanno
altro che togliere ogni seme di speranza alle famiglie italiane. Ecco una delle
componenti distruttive dei nostri nuclei. Per carità, la Chiesa
utilizzerà, meglio di altri, quei fondi. Curerà i feriti di una
guerra atroce, fornirà sollievi e parole di conforto, ma si guarda bene
anche dal tentare di rimuovere le cause che a quella guerra portano.
In conclusione, questo paese
sopravvive perché le nostre famiglie sanno farsi carico – da sempre – dei
cambiamenti imposti da realtà nuove, soprattutto se negativi. Di questo
hanno approfittato – da sempre – le corporazioni che si sono avvicendate al
governo (del corpo e dello spirito), ma è evidente che oltre questa
ultima ristrutturazione funzionale (nuclei di un solo componente, assenza di
figli, taglio dei consumi) non può andare. Siamo arrivati al cul de sac.
Contro questa nuova forma di assolutismo imposto dalle corporazioni
per garantirsi la sopravvivenza, occorre ripensare tutta la baracca.
“L’8 per mille”
Molti concittadini
ancora credono che la destinazione da loro indicata per l’8 per mille delle
imposte pagate, sia da calcolarsi individualmente: “..parte
delle mie tasse le destino per….”. Non
è così. L’8 per mille dell’ammontare delle imposte pagate
è già – interamente – destinato. L’espressione in dichiarazione
dei redditi quantifica solo le percentuali di distribuzione di quell’ammontare.
Facciamo un esempio: se anche uno solo degli oltre 39 milioni di contribuenti
dichiarasse di voler destinare l’8 per mille (inventiamo) alla Chiesa Valdese, a
questa verrebbe versata una somma pari all’8 per mille
dell’intero ammontare dei tributi versati da tutti, non solo l’8 per mille del
tributo pagato da quel singolo cittadino.
Continuando
nell’esempio, se si esprimessero due soli contribuenti
(inventiamo) uno per la Chiesa valdese, l’altro per quella cattolica,
l’ammontare complessivo dell’8 per mille del monte tributi verrà diviso equamente
e versato alle due chiese. Interamente.
Dice: “Ma posso
anche dichiarare che voglio lasciarlo allo Stato, quindi – in funzione della
percentuale delle dichiarazioni “Stato” come la mia - quell’ammontare non verrà
versato a nessuno..”. Errore: quella somma, che si ritiene resti all’Erario, ha
già una destinazione di legge: verrà
usata per il mantenimento e la ristrutturazione dei luoghi di culto e dei beni
architettonici religiosi.
Non si scappa: le
corporazioni sanno far bene il proprio interesse.