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Il PuntO n° 88. Contro l’assolutismo occorre rivisitare
John Locke!
Di
Ormai
comincia ad essere sempre più evidente la decadenza di questa
società: ministri che disconoscono documenti (è stata la mia segretaria);
processi che non devono mai giungere a conclusione e condannati che brindano
perché il reato verrà certamente prescritto; processi che vanno avanti
per lustri e che, si scopre, non dovevano celebrarsi in quel tribunale; ex
presidenti della Repubblica che si dimettono dal Senato perché ad una loro
interrogazione non ha risposto il ministro in persona, ma un sostituto; primi
ministri che ritengono di evitare posizioni di conflitto di interessi uscendo
dall’aula del Consiglio, quando si tratta delle “loro” cose; politici che fanno
eleggere parenti, amici e benefattori, ma che sostengono che il paese deve
recuperare principi di meritocrazia; politici che riempiono il paese di
province, tanto costose quanto inutili, al solo scopo di sistemare famelici
clientes e obbedienti portaborse; politici che riempiono il paese di decine di
migliaia di società partecipate da enti locali (con presidenti,
consiglieri, sindaci, revisori ecc.) per fare affarucci (privati) di risulta
impegando denaro pubblico; politici che stampano qualche decina di copie di
giornali di partito per avere milioni di euro di finanziamenti; politici che
inventano finanziamenti a corporazioni circonvicine (se non è peccato
mortale il meccanismo dell’8 per mille …!); truffatori che mantengono il loro
posto di “legislatori” perché la condanna non è ancora passata in
giudicato; personaggi capaci di andare al potere ma non al governo,
sempliciotti mentali non in grado di contrapporrre all’avversario soluzioni
politiche alternative, e perciò tenacemente occupati a ricercare gli
strumenti, anche deviati, in grado di denigrarlo, delegittimarlo, di
abbatterlo: è l’unica cosa in grado di fare chi non sa fare nulla;
Deaglio e Cremagnani incriminati per aver diffuso le stesse notizie che Berlusconi,
nelle elezioni di aprile, riferì il giorno successivo allo spoglio delle
schede.
L’occupazione
del potere ( e della sua gestione in veste democratica) da parte di cosche
corporative è pressoché definitiva e i cittadini sono ormai privi di
qualsivoglia baluardo costituito da principi etici condivisi. E’ il sopruso ad
imperare ed è “giusto” che resti “indietro” chi non è in grado di
prevaricare gli altri.
Si
dia una scorsa all’articolo di M. Ainis su La Stampa del 20 novembre 2006: “La spesa gonfiata
dai partiti Ci costano 4 miliardi
di euro l’anno i quasi 428 mila consulenti e…”.
Due conti: 58 milioni di cittadini (molti in avanzato stato di precarizzazione) devono accollarsi il mentenimento di 428mila ben piazzati personaggi che campano di politica: ogni scherano è mantenuto da 136 italiani. Quasi mezzo milione di mandriani, ciascuno con una buona mandria.
Occorre reagire, anzitutto culturalmente. Parola d’ordine: “Rivisitiamo John Locke!”, recuperiamo cioè quegli strumenti etici che permisero a Montesquieu di scardinare i principi dello stato assoluto ed all’umanità di “tentare” la via della democrazia.
Da:
“Critica illuminista e crisi della società borghese” di Reinhart
Koselleck - Edizioni “Il Mulino” - 1972
Capitolo secondo: L'autocoscienza degli illuministi e lo Stato assoluto.
(1°)
L’intellighenzia borghese nasce proprio in quello spazio
interno privato in cui lo Stato assoluto aveva relegato i suoi sudditi. Ogni passo verso l'esterno è un passo
verso la luce, un atto di illuminazione.
L'Illuminismo inizia la sua marcia trionfale nel momento stesso in cui
allarga lo spazio privato interno fino a farlo diventare pubblico. Senza rinunziare al suo carattere privato,
questo settore pubblico diventa la tribuna della società che compenetra
tutto lo Stato. Infine, la
società busserà alla porta dei detentori del potere, per esigere
anche qui l'accesso all'opinione pubblica.
[….]
John Locke (1632-1704), il padre spirituale
dell'Illuminismo borghese cominciò nel 1670 sotto il dominio
assolutistico degli Stuarts, a lavorare a An
Essay Concerning Human Understanding.
L'ampia opera fu terminata durante i sei anni di esilio in Olanda e poté
essere pubblicata in Inghilterra dopo la caduta di Giacomo II. In quest'opera, che nel secolo successivo
doveva diventare un po' il Vangelo della borghesia moderna, Locke si occupa
anche delle leggi in base alle quali i borghesi regolano la loro vita. Com'egli stesso dice, si avventurò
così in un campo che doveva essere meditato con cura tutta particolare,
per evitare oscurità e confusioni.
Locke distingue qui tre tipi di leggi: « La legge
divina, che è misura del peccato e del dovere», e viene manifestata
all'uomo dalla natura o dalla rivelazione; « La legge civile, che è
misura dei crimini e dell'innocenza » ed è la legge dello Stato legata
al potere di coercizione, il cui compito consiste nel proteggere i cittadini;
al terzo posto la legge specificamente filosofica cioè « La legge
morale, che è misura della virtù e del vizio ».
[…]
Come Locke dimostra in modo del tutto empirico, le leggi
morali borghesi nascono nello spazio interno della coscienza umana, che Hobbes
aveva escluso dall'ambito del potere statale.
Quantunque i cittadini abbiano attribuito allo Stato la facoltà
di disporre di tutto il loro potere, in modo che essi non possano procedere
contro nessun concittadino al di là dei limiti concessi dalle leggi del
Paese, « tuttavia conservano il potere di pensare bene o male, approvando o
disapprovando le azioni di coloro coi quali vivono e con cui hanno
rapporto». I cittadini non hanno insomma
alcun potere esecutivo, ma possiedono e mantengono il potere spirituale del
giudizio morale. […] Per Locke, le opinioni dei cittadini sulla
virtù e il vizio non sono più limitate al campo delle opinioni e
dei pareri: i giudizi morali dei cittadini possiedono invece essi stessi
carattere di legge. La morale
dell'opinione, esclusa dallo Stato per opera di Hobbes, viene così
allargata in duplice guisa.
Senza autorizzazione statale, le leggi della morale borghese
come per Hobbes sussistono in modo tacito e segreto, ma non restano più
limitate agli individui in quanto tali: al contrario, acquistano la loro
obbligatorietà universale dal consenso segreto e inespresso dei
cittadini. Portatore della morale segreta
non è più l'individuo ma la società, che si forma nei «
circoli », nei quali ad esempio i filosofi si occupano in particolare di
esplorare le leggi morali. I cittadini
non si subordinano più soltanto alla autorità statale, ma formano
tutti insieme una società, la quale sviluppa le sue leggi morali che
compaiono a fianco delle leggi dello Stato.
Così la morale borghese - per sua natura tacita e segreta - si
sposta nel settore pubblico, e con ciò stesso diviene visibile la
seconda trasformazione che ha subito, per opera di Locke, la morale hobbesiana
dell'opinione: le leggi morali borghesi valide in segreto non restano
più limitate all'opinione, ma determinano il valore morale delle
azioni. I cittadini stessi stabiliscono
il livello di valore di tutte le azioni, che per Hobbes era riservato al
sovrano « danno il nome della virtù a quelle azioni che in mezzo a loro
sono giudicate lodevoli, e chiamano vizio ciò che considerano
riprovevole ».
[….] Le opinioni
private dei cittadini assurgono a legge unicamente grazie alla censura insita
in esse. Per questo Locke definisce la
legge dell’opinione pubblica anche « legge della censura privata ». Spazio
privato e pubblico si escludono tanto poco che semmai avviene che il secondo
scaturisca dal primo. La certezza dell'interiorità morale consiste nella
sua capacità di acquistare carattere pubblico. Lo spazio privato per virtù propria si
dilata fino a diventare ambito pubblico e soltanto per il tramite di quest'ultimo
le opinioni private si confermano come legge.
[….] Per non
mettersi da soli dalla parte del torto, i cittadini sono costretti a emettere
di continuo i propri giudizi, e soltanto attraverso i propri giudizi
stabiliscono ciò che è moralmente giusto nello Stato e ciò
che non lo è. […..] Addirittura per Locke i cittadini devono proclamare
le proprie private opinioni come una legge universalmente vincolante, perché
soltanto nella sentenza autonoma dei cittadini viene a costituirsi
l'autorità della società, e soltanto con l'esercizio costante della
censura morale questa censura dimostra di essere legge. [….]
Come in Bayle la ragione si stabilisce come istanza
suprema soltanto nell'eterno processo della critica, così in Locke le
opinioni morali dei cittadini si innalzano a legge universalmente vincolante
soltanto nel costante esercizio della censura.
La critica associata alla ragione e la censura associata alla morale
divennero la stessa cosa per l'autocoscienza borghese, vale a dire
un'attività che motiva se stessa. La loro comunanza consiste nella
sentenza. nel giudizio, che da un lato divide il mondo nei regni del bene e del
male, o del vero e del falso, ma contemporaneamente sulla base e nell'esercizio
di questa divisione innalza i cittadini a suprema istanza giudicante. Senza richiamarsi alle leggi statali, ma
anche senza possedere un proprio potere esecutivo politico, nel costante
alternarsi di critica intellettuale e di censura morale si sviluppa la
borghesia moderna. «Soltanto allora », dirà un secolo dopo Schiller,
«soltanto quando avremo deciso da noi stessi che cosa siamo e che cosa non
siamo, soltanto allora saremo sfuggiti al pericolo di soffrire per il giudizio
altrui ». La sentenza dei cittadini legittimante se stessa come giusta e vera,
la censura, la critica divengono il potere esecutivo della nuova
società.
Locke con la sua interpretazione della legge filosofica
ha dato un peso politico allo spazio interiore della coscienza umana, che
Hobbes aveva subordinato ad una politica statale. Le azioni pubbliche non soggiacciono soltanto
all'istanza statale, ma contemporaneamente all'istanza morale dei cittadini. A
questo modo, Locke ha dato espressione alla decisiva irruzione nell'ordine
assolutistico, che si esprimeva nel rapporto tra protezione e obbedienza: la
morale non è più una morale formale dell'obbedienza, non è
più subordinata ad una politica assolutistica ma si contrappone alle
leggi dello Stato.
[….] Il potere politico diretto resta riservato allo
Stato, la «legge dell'opinione» invece
è priva di mezzi statali di coercizione.
Ma anche se i cittadini hanno ceduto alla guida dello Stato il proprio
potere politico di intervento, tuttavia la loro « legge filosofica » è
solo apparentemente priva di autorità.
Essa esiste ed opera soltanto per mezzo della lode o del biasimo, ma di
fatto è assai più efficace nelle sue ripercussioni, nei suoi
effetti. Infatti nessuno può
sfuggire a questa sentenza. Su diecimila
individui, non uno è in grado di sottrarsi al giudizio morale degli
altri uomini: «Chiunque agisca contro il costume o l'opinione della compagnia
in cui si trova, non sfuggirà alla pena della sua censura e della sua
ripulsa ». Perciò, accanto alle istanze statali e religiose, il terzo
potere si presenta come il più potente, poiché ad esso sono subordinati
tutti i cittadini, «e così essi fanno ciò che procura loro buona
reputazione nella loro compagnia e tengono minor conto delle leggi di Dio o del
magistrato ». Così, al di là della situazione inglese, Locke ha
descritto la peculiare efficacia della legislazione morale.
Le leggi statali operano direttamente attraverso il
potere di coercizione dello Stato che sta dietro di esse, la legislazione
morale opera nel medesimo Stato, ma indirettamente e assai più
incisivamente. La morale borghese
diventa un potere pubblico che, pur operando soltanto sul piano spirituale,
nelle sue ripercussioni è politico in quanto obbliga il cittadino ad
adattare le proprie azioni non soltanto alle leggi dello Stato ma
contemporaneamente, e innanzi tutto, alla legge dell'opinione pubblica.
[….]
(2°)
[….]
Totalmente esclusi dalla politica, gli uomini della
società si incontravano in luoghi «apolitici»: alla Borsa o nei
caffè, nelle Accademie, dove le nuove scienze venivano promosse senza
dover sottostare all'autorità ecclesiastico-statale di una Sorbonne, o
nei club, dove non potevano amministrare la giustizia ma criticavano la
giustizia dominante; nei salotti, dove lo spirito poteva muoversi in
libertà senza avere carattere ufficiale come sul pulpito o nelle
cancellerie, oppure ancora nelle biblioteche e nelle associazioni letterarie,
nelle quali ci si occupava di arte e di scienza, non però di politica
statale. Così sotto la protezione
dello Stato assolutistico la nuova società creò le proprie istituzioni,
i cui compiti - fossero o no tollerati e promossi dallo Stato - erano
«sociali». Si creò così nello sfondo una istituzionalizzazione la
cui forza politica non poteva però dispiegarsi apertamente nel solco
della legislazione monarchica o nell'ambito delle istituzioni statali o di
quelle ancora esistenti di ceto; questi rappresentanti della società
semmai poterono fin da principio, esercitare un'influenza politica soltanto per
via indiretta. Tutte le istituzioni sociali di questo nuovo strato ottennero
quindi un carattere potenzialmente politico, e nei limiti in cui riuscivano ad
esercitare un’influenza sulla politica e la legislazione statale, divennero
autorità politiche indirette.
Non appena lo Stato vide minacciato da questa direzione
il monopolio della propria legislazione, intervenne contro queste istituzioni
di tipo nuovo. Illuminante in proposito la sorte del « Club de l'Entresol». «
E’ una specie di club all'inglese, o di società politica perfettamente
libera », riferisce il marchese d'Argenson, il suo membro più
importante, nelle sue Mémoires «
composta di persone che desiderano discutere di ciò che avviene, che
possono riunirsi e parlare senza alcun timore di compromettersi, perché si
conoscono l'un l'altro e sanno con chi e davanti a chi parlano. In questa
associazione suggerita da Bolingbroke ", si trovavano eminenti studiosi,
sacerdoti progressisti, alti ufficiali ed esperti funzionari, che raccoglievano
e discutevano le notizie di tutto il mondo; ciascuno aveva una sua determinata
competenza. e il lavoro principale riguardava i problemi di politica interna ed
estera. [….]