|
PRIVILEGIA
NE IRROGANTO Documento inserito il: 21-5-2015 |
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
DOCUMENTI CORRELATI |
|
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
Il PuntO
n° 315 Famiglie e imprese abbandonano i
titoli di stato. Come stanno orientando i loro
risparmi/investimenti ? Troppo impetuoso il boom del
risparmio gestito? Di Mauro Novelli 21-5-2015 In 14 mesi, da
dicembre 2013 a febbraio 2015, i titoli di stato detenuti da famiglie ed
imprese (non finanziarie) sono diminuiti del 17,6 percento, passando da 235 a
193,7 miliardi di euro (- 41,256 miliardi). [Vedi: 14-5-2015
Il PuntO n° 314 Debito pubblico negli anni
2006-2014.Detentori: tornano gli stranieri,
lasciano famiglie e imprese residenti. Interessi pagati. ]
A parte i titoli
liquidati per far fronte ad esigenze finanziarie, è presumibile che una quota
delle liquidazioni di titoli di stato sia confluita verso prodotti
concorrenti: mobiliari (obbligazioni e
azioni private, fondi comuni, gestioni patrimoniali) o immobiliari. Per lo stesso periodo (dicembre 2013, marzo
2015), la TAB. 2- mostra l’impressionante trend del settore mobiliare in
Italia per il comparto relativo al
risparmio gestito.
(*) La voce comprende: gestioni in fondi,
in titoli, gestioni previdenziali e assicurative. Crescita quindi del
30 %, con i fondi a + 35,3 % e le
gestioni a +25,5 % Assogestioni
informa inoltre che i primi tre mesi del 2015 si chiudono con un saldo totale
pari a +55,4 miliardi di euro, in crescita di circa il 90% rispetto ai
29,4 miliardi del primo trimestre 2014. L’andamento in calo
dei rendimenti dei titoli di stato (effetto anche della liquidità immessa
tramite il quantitative easing di BCE) e gli esaltanti titoli di stampa sul
risparmio gestito, stanno spingendo i cittadini ad orientarsi verso prodotti
– come gestioni e fondi – che stanno raggiungendo, in molti casi, il massimo storico in termini di
quotazione, quindi, chi investe in questo momento rischia di incappare in inversioni di tendenza. In ultima analisi,
si può affermare che, alla luce della crescita evidenziata dalla TAB. 2- , la
collocazione del risparmio delle famiglie sta acquisendo caratteristiche di
rischio crescente e maggiore che in passato. Anche per via del fatto che una buona quota di conferimenti sta
coinvolgendo prodotti che presentano quotazioni mai raggiunte. Questa
caratteristica rimane sopita in un periodo, come l’attuale, in cui i corsi
dei titoli stanno crescendo anche se, come sempre, con andamento a denti di
sega, ma con una tendenza verso l’alto abbastanza ben definita (vedi il
grafico seguente di Borsa Italiana che traccia il FTSE MIB); in un periodo,
appunto, in cui troppi articoli, anche di testate blasonate, esprimono
meraviglia e soddisfazione per gli andamenti per i prodotti di investimento
offerti dai gestori del risparmio. Ma che succederà quando i corsi dovessero
invertire la rotta? Cioè quando, ad esempio, BCE considererà esaurita
l’esperienza del QE? Molti degli investitori degli ultimi anni sono stati
convinti dagli eccellenti rendimenti fatti rimarcare dagli addetti ai lavori
venditori di performance, ma avranno spalle finanziarie e psicologiche tali
da permettere – se opportuno - il mantenimento delle posizioni anche se in
perdita? Oppure si confermeranno membri onorari del “parco buoi”, pronti a comprare
con quotazioni alte ed in crescita, nella convinzione (quasi sempre indotta
dai bovari) che i rendimenti passati ed il trend crescente possano continuare
per sempre?
___________________________________ DOCUMENTAZIONE. 1)
Riportiamo un articolo di Mike Bird ( pubblicato il 18-5-2015 su
http://uk.businessinsider.com) di commento ad uno studio di Bank of America Merrill Lynch
(BAML). In esso sono illustrati i 5 punti deboli dell’attuale situazione
finanziaria gòlobale in grado di innescare un
crollo dei mercati mobiliari. Bank of America just named the 5 'CRASH'
catalysts most likely to spark a global market slump
·
·
MAY 18,
2015, 10:07 AM ·
287 ·
Bank of
America Merrill Lynch (BAML) analysts just flagged five factors that could
cause a "cleansing drop in asset prices." They've even given the possible catalysts a
catchy acronym: "CRASH." Each factor is an assumption of a consensus in
the market that if overturned could spark a slump. Here are the "CRASH" indicators to
watch, with some snippets of text from the note itself: ·
Consumers: US consumption data has been unexpectedly weak in
recent months. "Few are positioned for a contagious sell-off in US
dollar, bonds & stocks if US GDP growth were to stumble once again in Q2
& Q3." ·
Rates: If inflation picks back up quicker than expected, the
low and stable interest rates most investors are expecting might not be a
given, and a surge would be destabilising. ·
A-shares: China's surging stocks provide BAML some reasons to
worry. "Investors are not positioned for full-blown policy failure in
China. Chinese growth expectations may be weak, but the A-share market hardly
portends a collapse in Chinese activity." ·
Speculation: "There is a risk that investors, in particular
systematic macro funds, have crowded and levered positions that do not assume
a rise in cash rates." ·
High
yield Markets
scrambling to find investments with decent yields, given low interest rates
around the world, "remains the biggest Achilles' heel for
positioning," according to BAML. On the last point, the bank has illustrated the surge
into high-yield investments, compared with safer and lower-yielding assets
like inflation-protected US bonds (TIPS): __________________________ 2)
Da L’Espresso del 20-5-2015, un articolo di V. Malagutti
sui giochini attorno alle “performance fee”. Fondi comuni, la beffa
per tutti gli investitori 400 milioni
di commissioni pagate ai
gestori A tanto ammontano le "performance fee"
versate da chi ha messo i propri soldi in queste forme di risparmio. Peccato
che si tratti di un balzello vietato da Bankitalia.
Ma le regole vengono aggirate. Ecco come DI VITTORIO MALAGUTTI 20 maggio 2015 I tecnici del settore le chiamano “performance fee”. O anche
commissioni d’incentivo, per dirla in italiano. Tradotto in parole povere
significa una tassa supplementare sul risparmio. Questa volta però i soldi
non vanno allo Stato. È un balzello privato, che arricchisce banche e società
di gestione di fondi d’investimento. Ecco qualche numero: solo nei primi tre
mesi di quest’anno, gli italiani hanno pagato oltre 400 milioni a titolo di
performance fee. Questa è la somma complessiva
incassata da Anima, Azimut, Banca Generali e Mediolanum, i quattro marchi del
risparmio gestito quotati in Borsa. Tutto bene? Mica tanto. In altri mercati, per
esempio negli Stati Uniti, questi premi extra di fatto non esistono. In
Italia invece le commissioni di incentivo, legate all’andamento del fondo,
vanno ad aggiungersi a quelle ordinarie. E, a ben guardare, si scopre che in
molti casi il compenso supplementare non è proporzionale al rendimento.
Peggio ancora: a volte i sottoscrittori sono costretti a pagare anche se i
risultati sono stati negativi. Risultato: un fiume di denaro finisce nelle
casse delle società di gestione del risparmio, in sigla Sgr. Piove sul bagnato, perché di questi tempi i fondi
d’investimento navigano nell’oro. La raccolta è ai massimi storici. Nel 2014
gli italiani hanno affidato ai gestori qualcosa come 88 miliardi di euro, il
triplo rispetto all’anno precedente. E quest’anno la raccolta ha superato i
35 miliardi in soli tre mesi. Tanto successo è dovuto in buona parte al
crollo dei rendimenti dei titoli di Stato. Il popolo dei risparmiatori si affida
ai fondi nella speranza di guadagnare qualcosa in più rispetto alle misere
cedole dei Btp. Ecco spiegato, allora, perché Azimut ha appena
festeggiato il “miglior trimestre nella storia del gruppo”, come si legge nel
comunicato che accompagna i conti chiusi al 31 marzo scorso con utile di 128
milioni, più del triplo rispetto all’anno prima. Corre anche Banca Generali:
98 milioni di profitti in tre mesi, contro i 39 milioni fatti segnare nella
prima trimestrale del 2014. Numeri strepitosi, non c’è che dire. E anche in
Borsa i titoli delle società di gestione continuano a correre a gran
velocità. Negli ultimi sei mesi hanno fatto segnare in media un rialzo vicino
o di poco superiore al 60 per cento.
Il boom però non si spiega soltanto con la crescita
degli indici di Borsa. Gli analisti segnalano che il meccanismo di calcolo
delle commissioni sembra studiato apposta per aumentare i costi a carico dei
risparmiatori. Che cosa succede? Semplice: gli oneri supplementari per gli
investitori vengono calcolati sulla base dell’andamento mensile o
trimestrale. Funzionano così, per esempio, numerosi fondi della scuderia
Azimut, che applicano commissioni ogni trenta giorni. I prodotti di Banca
Generali, invece, prevedono in molti casi prelievi trimestrali. Un sistema
come questo finisce per penalizzare gli investitori. DIETRO IL CALCOLO C’È IL TRUCCO Per capire come, facciamo un esempio concreto. Se un
fondo ha perso il 10 per cento in un mese per poi recuperare il 5 per cento
in quello successivo, il sottoscrittore si troverà a pagare un premio al
gestore anche se il fondo è ancora in rosso del 5 per cento nell’arco dei due
mesi considerati. In pratica, le performance fee vengono addebitate anche se
l’investitore non ha ancora finito di recuperare le perdite dei mesi
precedenti. Questo meccanismo, tra l’altro, finisce per premiare
i risultati a breve termine. Eppure i prodotti finanziari, soprattutto quelli
legati ai mercati azionari, andrebbero valutati nel lungo periodo, un paio di
anni o più. Va segnalato che il sistema funziona a senso unico. Infatti, in
caso di rendimenti negativi, non c’è nessuna regola che imponga delle
penalità ai gestori. Se così fosse, i risparmiatori potrebbero recuperare
almeno in parte i costi elevati a loro carico. La Banca d’Italia, a dire il vero, ha già fissato
alcune regole in materia. Le norme emanate nel maggio del 2012 prevedono tra
l’altro che la provvigione d’incentivo venga applicata «con cadenza non
inferiore ai 12 mesi». Sarebbero quindi fuori legge le commissioni mensili e
trimestrali. Ma come si misura il rendimento? Di solito la performance viene
calcolata sulla base di un indice di riferimento, in gergo benchmark. Per
esempio, l’andamento di un fondo che investe gran parte del patrimonio sui
titoli della Borsa di Wall Street, verrà
confrontato con un indice tra quelli che misurano l’andamento dei mercati
nordamericani. Il premio al gestore scatta solo se la performance riesce a
battere il benchmark di riferimento. Tutto diventa più semplice, però, se il
gestore cambia le carte in tavola. Per esempio può succedere che l’andamento
della Borsa di New York venga preso come termine di confronto per un fondo
che invece investe gran parte del suo patrimonio in Europa o in Asia. Bankitalia è intervenuta anche su questo punto,
precisando che l’indice di riferimento deve essere «coerente con la politica
di investimento del fondo». SCAPPATOIA OFFSHORE Tutto chiaro, quindi. I rendimenti vanno misurati su
base almeno annuale e il gestore non può scegliersi l’indice che più gli fa
comodo. Bene, benissimo, se non fosse che centinaia di fondi venduti ai
risparmiatori italiani sono registrati in Irlanda o in Lussemburgo. E da
quelle parti le norme varate da Bankitalia non
valgono. Liberi tutti, allora. Azimut, Banca Generali e
Mediolanum fanno soldi a palate sulle commissioni d’incentivo con buona pace
delle regole made in Italy. Una ricerca della
società di analisi Norisk ha individuato alcune
decine di prodotti finanziari su cui gravano perfomance
fee calcolate su base mensile o trimestrale. Lo
studio risale al 2013, ma «da allora la situazione non è cambiata»,
sottolinea Marcello Rubiu di Norisk.
Sarebbe sorprendente il contrario. I gestori non hanno nessun obbligo legale
di mettersi in regola, visto che lavorano oltreconfine, ben lontani dal
raggio d’azione della Banca d’Italia. Non è solo una questione di commissioni. Le società
di gestione con base all’estero finiscono anche per risparmiare sulle tasse.
In Irlanda e in Lussemburgo il fisco ha notoriamente la mano leggera. E così,
al riparo di quelle legislazioni no-tax, Azimut,
Banca Generali e Mediolanum riescono a ridurre ai minimi termini le imposte
da pagare. In altre parole, non solo le commissioni, ma anche i profitti
viaggiano offshore. E il doping fiscale, come “l’Espresso” ha raccontato in
un’inchiesta pubblicata un anno fa, vale decine e decine di milioni. SE FA MEGLIO UN ETF Insomma, nessun pasto è gratis. Il risparmiatore
deve rassegnarsi. I prodotti migliori sono anche i più costosi. Davvero? I
ricercatori di Norisk hanno messo a confronto i
risultati di alcuni fondi con commissioni mensili o trimestrali con le
performance realizzate da Etf con caratteristiche
simili. Gli Etf, una sigla inglese
che sta per “exchange traded
fund”, sono prodotti d’investimento che hanno come unico obiettivo quello di
replicare l’andamento di un indice. La loro gestione viene per questo
definita passiva. Si può dire che viaggiano come auto con il pilota
automatico su una strada determinata in partenza. Proprio per questo gli Etf hanno costi di gran lunga ridotti rispetto ai normali
fondi. |
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||