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Ultimo documento inserito il: 16-12-2016

Sommario DIES NOTANDA

 

26-12-2016 Claudio Giua  Vincere la battaglia delle bufale digitali: così salveremo il giornalismo

16-12-2016 Alchimie monetarie.  Stampare moneta crea valore o inflazione? La domanda è meno banale di quanto possa apparire.  di Francesco Lippi    15-12-2016 alle 10:40

15-12-2016 Popcorn Time, attenti al nuovo virus: per liberarsene oltre al riscatto bisogna "infettare" gli amici

13-12-2016  Da leoniblog.it 1.  Cavour, il protezionismo e la globalizzazione. Pensieri moderni di 165 anni fa.. 1 Rocco Todero  12-12-2016. 1

 

 

 

 

 

 

Da ilfoglio.it

Alchimie monetarie.  Stampare moneta crea valore o inflazione? La domanda è meno banale di quanto possa apparire.  di Francesco Lippi    15-12-2016 alle 10:40

 

Si sente sempre più spesso proporre di finanziare nuova spesa stampando la moneta. È un'idea antica che da sempre tenta chi governa. Il fascino dell'idea è comprensibile: chi da bambino, vedendo quei semplici pezzi di carta colorati consentire ogni tipo di acquisto, non ha pensato di fabbricarseli? La nostra esperienza, poco avvezza ai miracoli, ci fa dubitare di una formula che promette di creare posti di lavoro, case e automobili, semplicemente stampando carta colorata. È giusto? stampare moneta crea valore o inflazione?

La domanda è meno banale di quanto possa apparire e per rispondere bisogna fare delle precisazioni. Diverse evidenze avvalorano i benefici del batter moneta: la monumentale opera di Milton Friedman ha documentato come i fallimenti bancari degli anni 30, e la conseguente contrazione di depositi e altri strumenti di pagamento, resero più persistente e profonda la depressione economica degli Stati Uniti. Quest'analisi suggerisce che creare moneta sia utile. La politica monetaria degli ultimi anni nell'area dell'euro ne è un esempio: la banca centrale europea (Bce) ha aumentato le riserve bancarie, favorendo l'aumento della moneta (banconote e depositi bancari a vista), quasi raddoppiata dal 2007. Le iniezioni monetarie della BCE seguite alla crisi, cosi come quelle della Fed americana, sono state motivate da una forte domanda di liquidità da parte del pubblico, desideroso di spostare la propria ricchezza verso attività meno rischiose. Queste espansioni dell'offerta di moneta non hanno causato inflazione perché sono andate a soddisfare un'accresciuta domanda di moneta e, proprio come argomentava Friedman, hanno probabilmente evitato che una quantità insufficiente di strumenti liquidi amplificasse ulteriormente la crisi di investimenti e consumi.

Ma sarebbe sbagliato concludere, basandosi solo su questi fatti, che la creazione di moneta non conduce all'inflazione. Nel caso in cui la nuova moneta non vada a soddisfare una maggiore domanda da parte del pubblico, ci si ritrova ad avere troppa moneta a caccia di poca merce e i prezzi salgono. I più grandi disastri monetari della storia, dall'iperinflazione della repubblica di Weimar a quelle recenti di Venezuela e Zimbabwe, hanno una matrice identica: la stampa di moneta su base continuativa per finanziare spesa pubblica. Tali politiche hanno sempre causato inflazione, in alcuni casi con grandezze da astrofisici: il record, nell'Ungheria del dopoguerra, è vicino al 10^16 per cento mensile, pari a un raddoppio del livello generale dei prezzi ogni 15 ore.  Sintetizzando, la creazione di moneta è inflattiva solo quando essa eccede la domanda di strumenti di pagamento da parte del pubblico.  

   

Le conseguenze di un banchiere “grillino”

Finanziare spesa pubblica stampando moneta, come oggi suggerito da alcuni esponenti Grillini o dalla Lega, avrebbe conseguenze completamente diverse dalle iniezioni monetarie degli ultimi anni. Primo, un finanziamento diretto del deficit pubblico, proibito dal trattato di Maastricht, richiederebbe l'uscita dall'unione monetaria e la creazione di una nuova lira. Destinata a essere stampata in grandi quantità, per pagare le nuove consistenti spese di cui parlano questi soggetti politici (reddito di cittadinanza, abolizione irap, abbassamento età pensionabile, etc.), la domanda per la nuova valuta sarebbe bassa, come lo era quella per le vecchie lire negli anni dell'alta inflazione. Secondo, per fronteggiarne la fuga, dovrebbero essere imposti controlli di capitale, costringendo gli italiani a detenere i loro risparmi in una valuta debole. Stampare moneta è semplicemente un modo primitivo di tassare il risparmio, con tutte le inefficienze che a ciò si associano. È un film già visto nella seconda meta degli anni 70, un film che oggi si vede in Argentina, e in tutti quei paesi dove le persone fanno la coda per convertire la valuta locale in dollari, nel tentativo di difendere il potere d'acquisto dei propri risparmi.

Una buona confezione aiuta a vendere il prodotto e così   la monetizzazione della spesa viene presentata con un'attraente slogan: il recupero della sovranità monetaria. L'analisi degli eventi descritti sopra mostra che il nostro paese ha beneficiato delle iniezioni di liquidità cosi come gli altri paesi dell'unione; anzi si potrebbe argomentare che i massicci acquisti di titoli pubblici da parte della Bce (il programma di quantitative easing) hanno favorito in misura maggiore proprio i paesi con debito pubblico elevato, come l'Italia, evitando l'innescarsi di una spirale sui tassi dei titoli di stato. Paradossalmente, proprio il fatto che le scelte di politica monetaria non risiedono interamente in mani italiane ha fornito garanzia che tali acquisti sarebbero stati una tantum e non sistematici, evitando il formarsi di attese inflattive e di una fuga dalla valuta. Delegando la politica monetaria nelle mani di una banca centrale indipendente e credibile il nostro paese ha minimizzato il costo del debito pubblico e l'erosione del risparmio da parte dell'inflazione, come non era riuscito a fare nei 30 anni precedenti. Non è riuscito invece a portare avanti le riforme necessarie ad aumentare la produttività, cruciali per rimanere competitivi nel nuovo mondo globalizzato. Anche in questo il nostro destino purtroppo ci ricorda quello dell'Argentina, di un paese bellissimo e un tempo ricco la cui incapacità di cambiare e di stare al passo coi tempi ha condotto a un inesorabile declino.

 

Francesco Lippi, economista, Università di Sassari

 


 

 

Da studiocataldi.it

Popcorn Time, attenti al nuovo virus: per liberarsene oltre al riscatto bisogna "infettare" gli amici

L'allarme della Polizia di Stato sul nuovo potente ransomware che blocca il pc

 

di Redazione – "Non lasciatevi ingannare del nome dolce di Popcorn" dietro questa immagine evocativa di momenti spensierati si cela in realtà un nuovo e potente ransomware. A lanciare l'allarme è la Polizia di Stato sulla pagina Facebook Una vita da social, nella rubrica #OCCHIOALVIRUS, invitando a prestare molta attenzione.

Non si è di fronte, avvisano gli agenti, ad un semplice virus o malware ma ad un "potente programma malevolo in grado di bloccare il computer", criptando il disco fisso.

Ma non solo. Per liberarsene, non basta pagare il riscatto. Oltre alla somma richiesta in bitcoin (circa 780 dollari) avvisano gli agenti, occorre anche diventare suoi complici.

Soltanto "infettando" almeno due amici, infatti, sarà possibile ottenere la chiave di sblocco e rientrare in possesso del proprio pc. La catena che si apre, com'è evidente, è potenzialmente infinita. Infettare è molto semplice: basta inviare 2 link a 2 contatti della propria rubrica. E solamente quando i link saranno installati sui pc dei malcapitati, il ricatto potrà ritenersi chiuso e il pc restituito.

 


 

Da leoniblog.it

Cavour, il protezionismo e la globalizzazione. Pensieri moderni di 165 anni fa

                      Rocco Todero 12-12-2016

 

Nel 1851 Camillo Benso Conte di Cavour all’età di 41 anni guidava il Ministero dell’agricoltura e del Commercio del Governo di Sua Maestà Vittorio Emanuele II Re di Sardegna. Nel mese di aprile di quello stesso anno il giovane Ministro dovette affrontare il dibattito parlamentare sul suo progetto di riforma doganale che prevedeva trattati commerciali con Belgio e Inghilterra e consistenti riduzioni dei dazi sino a quel momento vigenti.

A capo dell’opposizione protezionista il Conte Ottaviano Thaon di Revel fece osservare come il libero commercio nuocesse gravemente all’accumulo dei capitali all’interno del Regno di Sardegna e mettesse in serie difficoltà le imprese esposte alla concorrenza internazionale con conseguente flessione dei livelli occupazionali.

Cavour, che non fu mai un grande oratore ma i cui discorsi furono sempre chiari, asciutti e poco inclini alla retorica, replicò con un bellissimo intervento che riassunse le linee essenziali del suo pensiero in materia di politica economica e commerciale.

Con grande coraggio e lucida consapevolezza di come l’intervento dello Stato alterasse il libero gioco della concorrenza a vantaggio ora di questa ora di quella industria, Cavour esordì affermando che il suo Ministero professava “schiettamente il libero scambio”, e che fosse dell’avviso “che non si possa imporre alla generalità dei consumatori dazio veruno, onde favorire certi rami dell’industria…”

Il futuro Presidente del Consiglio dimostrò di comprendere appieno come il protezionismo non fosse altro che il risultato delle pressioni degli imprenditori più forti e capaci di rappresentare i loro interessi ai più alti livelli istituzionali ed una maschera, allo stesso tempo, con la quale si tentava di nascondere politiche distributive, utili solo a trasferire risorse dai consumatori ad alcuni produttori.

A chi insisteva nell’affermare che il protezionismo avrebbe consentito all’interno del Regno l’accumulazione di quei capitali di cui il sistema economico aveva necessità (sopratutto nei settori posti al riparo dalla concorrenza estera), il Conte di Cavour replicò dimostrando come in realtà il protezionismo alterasse proprio l’allocazione dei capitali poiché rappresentava un falso segnale capace di attirare risorse in settori protetti e per ciò solo incapaci di assicurare adeguato sviluppo e crescita.

Il sistema protettore non ha facoltà di creare capitali, ma solo che i capitali disponibili e destinati alla produzione si rivolgano a questo, piuttosto che a quell’altro ramo dell’industria – affermò Cavour, e più avanti precisò il suo pensiero dichiarando come – il sistema protettore abbia per effetto di spingere i capitali nelle vie che sono meno profittevoli.

Dimostrando grande capacità di leggere i fenomeni dell’economia mondiale il Ministro del Commercio illustrò le conseguenze nefaste che il protezionismo avrebbe avuto sulla divisione internazionale del lavoro e sulla capacità delle imprese (sopratutto in una realtà molto piccola come il Piemonte) di innovare e progredire perché stimolate dalla concorrenza esterna:

Ora, signori, il sistema protettore impedisce appunto la divisione del lavoro, col far sì che il capitale nazionale disponibile, il capitale di riproduzione, si rivolga a tutti quei rami d’industria di cui il Paese ha bisogno, ma i cui prodotti potrebbe procurarsi dall’estero; ma l’avere attivato tutti questi rami d’industria, riuscendo d’impedimento alla riunione dei diversi capitali in un’industria, impedisce appunto la divisione del lavoro, e ciò mi pare assolutamente evidente … ed accade sempre che mercè il dazio protettore,  produttori si addormentano e sono lentissimi nei progressi che altrove si fanno celermente.

Cavour, infine, si fece carico (col garbo del linguaggio e la forza dell’argomentazione razionale) di svelare come l’idea degli industriali protezionisti di tutelare il lavoro dei loro operai per mezzo dei dazi fosse radicalmente sbagliata perché sottovalutava il profondo legale fra la quantità di capitali investita in un sistema economico e l’aumento della forza lavoro:

Se il sistema protettore avesse la virtù di aumentare i capitali, tornerebbe certamente proficuo alla classe degli operai: ma se invece di aumentare i capitali, non dà che un cattivo interesse, invece di tornare utile le torna dannoso. Potrà, egli è vero, essere di vantaggio ad una determinata località. È vero che il sistema protettore può favorire notevolmente, largamente, una provincia addetta ad una particolare industria … Ma bisogna vedere se il vantaggio che la valle d’Aosta ha ricavato dal dazio protettore sui ferri non sia stato pagato dieci volte dalle altre parti dello Stato.

Tutto questo nell’aprile del 1851, 165 anni fa…

@roccotodero