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inserito il 9-2-2008 |
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Il Sole 24
Ore 8-2-2008 I
costi nascosti delle obbligazioni strutturate
Di Vito Lops Gli italiani, si
sa, hanno un debole per le obbligazioni. Il 20,4% della ricchezza delle famiglie,
infatti, è investita in titoli a reddito fisso, contro l’1,4% della
Francia, il 9,7% della Germania e una media europea del 10,2 per cento. Quel
che non si sa, invece, è che un italiano su dieci detiene bond
bancari. Fra questi, rientrano anche le cosiddette obbligazioni strutturate,
titoli più complessi, la cui rivalutazione è legata anche alle
performance di beni sottostanti, come ad esempio materie prime o azioni
quotate nei mercati internazionali. Negli ultimi tempi questi prodotti stanno
conquistando la platea dei risparmiatori, considerato che vengono collocati
anche da Poste italiane e da molte compagnie assicurative. Tanto che, i
gestori dei fondi comuni non hanno dubbi nell’attribuire al crescente
successo delle obbligazioni strutturate una buona parte del deflusso di
capitali dai fondi che a gennaio ha toccato la cifra record di 19 miliardi di
euro. Come si spiega questo fenomeno? Costi. Il meccanismo di
ripartizione temporale dei costi dei prodotti strutturati è diverso rispetto
a quello dei fondi comuni e permette alle banche di incassare commissioni
perfino doppie (3-4% del capitale a seconda della durata, in media di
tre-sette anni) rispetto ai fondi e subito, cioè al momento della
sottoscrizione dei contratti. Sono pochi, infatti, i fondi che prevedono
anche costi di ingresso, la cui incidenza, comuque, è inferiore all’1
per cento. «Oltre a offrire maggiori margini, i titoli strutturati danno la
possibilità alle banche di attualizzare gli incassi futuri - dichiara
Alessandro Rota, direttore investimenti di Assogestioni -. Un meccanismo
attraverso il quale vengono ingrassate le trimestrali». Trasparenza. Le obbligazioni
strutturate sollevano, inoltre, perplessità legate alla trasparenza.
Non si tratta, infatti, di prodotti di facile comprensione. Il prezzo pagato
inizialmente viene scomposto in tre parti: la quota più rilevante
è, appunto, quella dell’investimento obbligazionario, poi vi sono le
commissioni incassate immediatamente dal collocatore. Con la parte restante viene
acquistato un derivato (un’opzione) che potrebbe generare un extra profitto
alla scadenza. Ad esempio, mediamente, un’obbligazione strutturata funziona
in questo modo: fatto 100 il prezzo di emissione, una quota pari a 87,5 viene
investita in obbligazioni che renderanno 100 alla scadenza (rendimento
garantito), 3 vanno direttamente al collocatore e 9,5 vengono investiti in
un’opzione che, in certi casi, consente di ottenere una performance ulteriore
(rendimento variabile). «Il problema di trasparenza si pone perché le opzioni
agganciate al prodotto sono strutturate in modo complesso - spiega Rota -.
Per questo motivo, solo l’emittente è in grado di valutarle.
L’investitore, quindi, acquista un derivato a un determinato prezzo senza
avere evidenza reale del suo costo». Alla presenza di costi impliciti va
aggiunto che nei prospetti informativi non viene indicata quale sia la
probabilità che il derivato possa generare la performance aggiuntiva.
Nonostante ciò, il maxi-guadagno è uno dei punti di forza su cui
si fa leva nella fase di vendita. Liquidità. In ultimo, le obbligazioni strutturate, a
differenza di quelle tradizionali (sia governative che societarie), non sono
uno strumento liquido. Venderle prima della scadenza, al mercato secondario,
è possibile. Ma non è facile trovare un compratore che non sia
l’emittente stesso che, però, è disposto a comprarle a un
prezzo più basso. Maggiori approfondimenti (e le tabelle inerenti) su questo link. |