HOME     PRIVILEGIA NE IRROGANTO    di Mauro Novelli    

Documento d’interesse   Inserito il 18-2-2008


 

Documenti correlati

Il Sole 24 Ore (8-2-2008) I costi nascosti delle obbligazioni strutturate. Di Vito Lops

 

 

Da lamiafinanza.it del 13-2-2008

 

Perché non convengono le obbligazioni strutturate

 

di redazione

 

Sono fra i prodotti su cui le banche spingono di più, reclamizzando la garanzia di un rendimento minimo e la possibilità di realizzare un extra rendimento. In realtà sono strumenti costosi, complessi e non privi di rischio

Le lettere dei nostri lettori lo confermano: allo sportello della banca capita sempre più spesso di sentirsi offrire obbligazioni “strutturate”. E molti le sottoscrivono, senza sapere nemmeno che di obbligazioni strutturate si tratta.

Vediamo allora cosa sono. Si tratta di obbligazioni, emesse dalle stesse banche, composte da due componenti: una obbligazione, di solito zero coupon, che quindi non corrisponde dividendi, ma garantisce un rendimento a scadenza; e uno strumento derivato, di solito un’opzione, dal quale può derivare un extra rendimento, un rendimento cioè superiore a quello del mercato obbligazionario.

In una obbligazione equity linked, legata cioè al mercato azionario, per esempio, l’opzione sarà legata all’andamento di un indice, o di un paniere di titoli azionari.

Dove stanno i problemi? Innanzitutto nei costi. In fase di vendita, la banca incassa il 3-4% del capitale a seconda della durata, che di regola è compresa fra i tre e i sette anni. Ciò significa che, su 100 euro investiti, almeno 3 vanno in costi, e quindi, di fatto, se ne investono 97.

Poi la scarsa trasparenza. Capire i meccanismi che determinano l’eventuale extra rendimento è sempre molto difficile, anche per chi ha una certa esperienza in materia di investimenti. Di fatto, poi, solo l’emittente sa come sono ripartiti i soldi investiti: dei 97 euro che restano una volta pagate le commissioni, quale parte va all’obbligazione e quale all’opzione? E quanto costa l’opzione? I prospetti non lo spiegano.

Certo, ad attirare gli investitori è la garanzia della restituzione del capitale a scadenza: comunque vadano le cose, dopo tre-sette anni si potrà contare sulla restituzione di quanto investito. Ma se questo accade, non si può non mettere in conto il mancato guadagno che si sarebbe realizzato scegliendo un prodotto più semplice – e meno costoso – come per esempio un Btp.

Un altro elemento di rischio è il fatto che si tratta di obbligazioni “subordinate”: in caso di insolvenza dell’emittente, vengono rimborsate soltanto dopo le altre obbligazioni.

Ultimo, ma non meno importante, problema: la liquidità. Chi volesse disinvestire prima della scadenza, può in teoria vendere sul mercato secondario. Ma si tratta di un mercato molto poco liquido, e con ogni probabilità l’unica controparte disposta a comprare sarà la stessa banca emittente, a un prezzo decisamente più basso.