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inserito il 2-4-2008 |
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1. Introduzione: il
concetto di elezione e gli standards internazionali fondamentali
Il termine “elezione” indica il metodo seguito, negli attuali regimi democratici,
per la preposizione ad un ufficio; in particolare l’ elezione è la
modalità attraverso la quale vengono scelti i membri delle istituzioni
rappresentative. L’ elezione, dunque, è l’ elemento di base dei regimi
democratici. Questo fatto spiega perché la materia in esame costituisca un
settore molto regolamentato sia dagli ordinamenti nazionali, sia dall’
ordinamento internazionale. A questo proposito esistono strumenti normativi
del diritto internazionale che stabiliscono standards fondamentali per la disciplina delle elezioni. Tra
questi ricordiamo, ad esempio, Anche il Protocollo addizionale del 20 marzo 1952 alla Convenzione
europea dei diritti dell’ uomo del 1950 prevede “libere elezioni a scrutinio segreto,
in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell’ opinione del
popolo”. Il Consiglio d’ Europa ha costituito L’ OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa)
produce dei veri manuali per l’ organizzazione di elezioni corrette. 2. Il sistema elettorale
italiano nella sua evoluzione dall’ unità ad oggi
2.1 Il sistema elettorale
nel periodo statutario (1861-1945 circa)
Quando il 17 marzo 1861 fu proclamato il Regno d’ Italia, tra i tanti
problemi che si posero, ci fu anche quello di organizzare la nuova
rappresentanza parlamentare nello Stato unitario. Come era avvenuto per La riforma elettorale successiva si ebbe nel 1882; la nuova legge
riconosceva il diritto di voto ai cittadini maschi che avessero compiuto 21
anni ed avessero superato l’ esame finale del corso elementare obbligatorio o
dimostrassero di saper leggere e scrivere. Il requisito del censo poteva
ancora operare come alternativa a quello dell’ istruzione, ma veniva
abbassato alla metà rispetto a quello previsto nel 1861: per votare
occorreva pagare 20 lire annue di tasse. La riforma elettorale del 1882 fu varata dal governo di Agostino
Depretis, leader della Sinistra, al
potere dal 1876. Il suffragio fu ulteriormente allargato durante il quarto Ministero
Giolitti (1911-1914) con l’ approvazione della legge 30 giugno 1912, n. 665.
Sebbene si creda che detta legge abbia stabilito il suffragio universale
maschile, in realtà non è proprio così; infatti il
diritto di voto venne sì riconosciuto ad un maggior numero di
categorie di cittadini, ma non a tutti. La legge del 1912 riconosceva,
infatti, il diritto di voto ai
cittadini maschi con almeno 30 anni di età; gli analfabeti di
età compresa tra 21 e 30 anni avrebbero potuto votare, purché avessero
determinati requisiti di capacità e di censo. Inoltre avrebbero avuto
diritto di voto anche i cittadini maschi di età compresa tra 21 e 30
anni che avessero prestato servizio militare per un determinato periodo. Un’ ulteriore svolta si ebbe dopo la prima guerra mondiale. Il 16
dicembre 1918 fu votata la legge n. 1985 che estendeva il diritto di voto a
tutti i cittadini maschi che avessero compiuto il 21° anno di età e, a
prescindere dall’ età, a tutti i cittadini che avessero prestato
servizio nell’ esercito mobilitato. Dall’ evoluzione del suffragio va distinto il progressivo mutamento
del sistema elettorale. A questo proposito la legge elettorale del Regno di Sardegna, estesa
all’ Italia intera dal 1861, introdusse il collegio uninominale maggioritario
per quasi sessanta anni. Infatti, nel 1919, fu stabilito un sistema
elettorale proporzionale (legge 15 agosto 1919, n. 1401). Dal 1922 il regime fascista realizzò, progressivamente, un
sistema elettorale improntato su criteri diversi da un’ equa rappresentanza
democratica. La legge 18 novembre 1923, n. 2444 (c.d. legge Acerbo), sanciva
che il partito che avesse conquistato almeno il 25% dei voti avrebbe ottenuto
addirittura 2/3 dei seggi[1]. Il restante 1/3 sarebbe
stato suddiviso tra le varie liste di opposizione. La legge Acerbo del 1923
si iscriveva perfettamente nel programma del regime fascista, che voleva
stravolgere le basi di uno stato liberale ormai afasico e agonizzante.
Infatti l’ abnorme premio di maggioranza sancito dalla nuova normativa aveva
il chiaro obiettivo di rafforzare fino a renderla padrona della Camera
elettiva la maggioranza fascista[2]. Lo stravolgimento del sistema elettorale conobbe un ulteriore “salto
di qualità” con la legge 17 maggio 1928, n. 1019, la quale sanciva che
la scelta dei candidati alle elezioni doveva essere operata dai
rappresentanti delle associazioni di categoria; essi avrebbero proceduto
compilando una lista di candidati successivamente approvata dal Gran
Consiglio del Fascismo; ai cittadini non restava che approvare o disapprovare
in blocco con un “sì” o un “no” la lista. Infine, con la legge 19 gennaio 1939 n. 129, 2.2 Il sistema elettorale
nel periodo repubblicano
Nel 1945 il diritto di voto fu
esteso anche alle donne e così il suffragio divenne davvero
universale; per quanto riguarda il sistema elettorale si stabilì, in
continuità con la scelta espressa nel 1919, la rappresentanza
proporzionale, che caratterizzò il sistema fino alla riforma del 1993. Le norme costituzionali in
materia elettorale sono contenute nel 1° titolo della seconda parte, dedicato
al Parlamento. L’ art. 56 sancisce che L’ art. 57 riguarda l’ elezione del Senato e statuisce che quest’
ultimo è eletto a base regionale, ma sono previsti 6 seggi da
assegnare alla circoscrizione Estero. C’ è da ricordare che la seconda
Camera non è completamente elettiva; i Senatori elettivi sono 315[5], 6 dei quali eletti
nella circoscrizione Estero. Nessuna regione può avere un numero di
Senatori inferiore a 7; il Molise ne ha 2 e L’ art. 58 stabilisce che sono eleggibili a Senatori gli elettori che
hanno compiuto il quarantesimo anno d’ età. Per quanto concerne invece
l’ elettorato attivo, possono partecipare alle elezioni del Senato (con
suffragio universale e diretto), gli elettori che hanno superato il
venticinquesimo anno d’ età. Come si può facilmente notare, Altre disposizioni in materia elettorale sono presenti all’ art. 60,
comma 1, il quale sancisce che le 2 Camere sono elette per 5 anni e all’ art.
61, comma 1 che sancisce che l’ elezione delle nuove Camere avviene entro 70
giorni dalla scadenza delle precedenti. Passiamo ora ad esaminare le legislazioni elettorali che si sono
succedute negli ultimi decenni. Il 18 aprile 1993 si svolse un referendum
abrogativo che ebbe esito positivo (83% di “sì”). Furono così
abrogate alcune disposizioni della legge elettorale del Senato (legge n. 29
del 1948). La disciplina che ne scaturì trasformò il sistema da
sostanzialmente proporzionale a sostanzialmente maggioritario. Benché il referendum riguardasse
solo il sistema del Senato, per motivi di opportunità e di
omogeneità anche quello della Camera fu trasformato in maggioritario
con correttivo proporzionale. Il sistema elettorale maggioritario[6] del 1993 era basato su
più strumenti normativi; per quanto riguarda il Senato si faceva
riferimento a:
per
Prima dello svolgimento delle elezioni dovevano essere effettuate
alcune operazioni preliminari. Il procedimento elettorale iniziava con il decreto del Presidente
della Repubblica che indiceva le elezioni. Successivamente venivano scelti i
candidati e presentate le candidature. La presentazione delle candidature e
la loro pubblicazione apriva la campagna elettorale, che durava fino al
giorno precedente la votazione. Per quanto riguarda il sistema elettorale del Senato, in base alla
normativa del 1993, su 315 seggi
elettivi[7], 238 erano assegnati con
metodo maggioritario secondo un procedimento che attribuiva il seggio al
candidato che avesse conquistato la maggioranza anche relativa dei voti,
nell’ ambito di ciascun collegio. I restanti 77 seggi venivano attribuiti con
metodo proporzionale secondo la seguente procedura: si determinava la cifra
elettorale di ciascun gruppo di candidati collegati; in base all’ art. 17 del
decreto legislativo n. 533 del 1993, tale cifra era data dalla somma dei voti
validi ottenuti dai candidati presenti nei collegi uninominali con il
medesimo contrassegno, sottratto il numero dei voti validi ottenuti
già utilizzati per l’ elezione di un candidato nel collegio
uninominale (con sistema maggioritario). La cifra elettorale era poi
suddivisa, attraverso il metodo di Hondt per 1, 2, 3, 4, 5… fino al
raggiungimento del numero di seggi da assegnare[8]. Alla fine si ottenevano
tanti quozienti quante erano le divisioni effettuate per ciascun gruppo. Tali
quozienti erano posti in ordine decrescente formando una graduatoria; i seggi
da assegnare erano suddivisi tra i vari gruppi e ovviamente i gruppi che
avevano i quozienti più alti ottenevano un maggior numero di seggi.
All’ interno dei vari gruppi di candidati i seggi venivano attribuiti al
candidato che avesse conseguito la più alta cifra individuale. Il sistema elettorale della Camera era simile a quello del Senato; su
630 seggi da assegnare, 475 venivano assegnati ai candidati che ottenevano il
maggior numero di voti nei collegi uninominali (metodo maggioritario) e 155
attraverso il cosiddetto scorporo
proporzionale. L’ elettore aveva a disposizione due schede: con una eleggeva
il candidato nel collegio uninominale (maggioritario), mentre con l’ altra
votava una lista (proporzionale); per quanto riguarda la quota di seggi
assegnata con il metodo dello scorporo, la legge del 1993 prevedeva che
potessero partecipare solamente le liste che avessero ottenuto almeno il 4%
dei voti su scala nazionale (clausola di sbarramento). Il meccanismo dello
scorporo era estremamente complicato ed era stabilito dall’ art. 77 del
D.P.R. n. 361 del 1957, come modificato dalla legge del 1993. Ne descriviamo le fasi principali. Prima di
tutto, l’ Ufficio centrale circoscrizionale determinava la cifra elettorale
circoscrizionale di ogni lista, data dal numero di voti ottenuto dalla lista
nelle singole sezioni della circoscrizione a cui era sottratto, per ogni
collegio in cui era stato eletto un candidato collegato alla lista medesima
un numero pari ai voti ottenuti dal candidato immediatamente successivo per
cifra di suffragi più uno, e comunque non inferiore al 25%, a meno che il candidato eletto abbia
conseguito una quota di suffragi inferiore al 25%. Dopo questa prima fase, in base all’ art. 83 del D.P.R. del 1957,
come modificato dalla legge del 1993, si determinava la cifra elettorale
nazionale delle varie liste prendendo a base la somma delle cifre elettorali
di ogni circoscrizione; svolta questa operazione si procedeva alla
ripartizione dei seggi tra le varie liste e poi alla distribuzione dei seggi
così assegnati nelle varie circoscrizioni. Infine, in base all’ art. 84, vengono proclamati eletti, nei limiti
dei seggi ai quali ha diritto ciascuna lista, i candidati compresi nelle
liste secondo l’ ordine di presentazione.
2.2.1 La legge elettorale
del 2005
Il sistema prevalentemente maggioritario introdotto a seguito dei
risultati del referendum del 1993
è stato sostituito con una velocità a dir poco sorprendente
alla fine del 2005 dalla maggioranza di centro-destra. Tra il settembre ed il
dicembre 2005 il progetto di legge elettorale fu approvato. La legge 21 dicembre 2005, n. Prima di tutto dobbiamo sottolineare il fatto che il nuovo sistema
elettorale è fondato su liste di
candidati. Non esistono più collegi uninominali se non in alcuni
casi che vedremo. Il sistema è, dunque, prevalentemente proporzionale.
L’ art. 1 della legge è molto consistente e modifica il
meccanismo d’ elezione della Camera dei Deputati. A tal fine esso prescrive numerose correzioni al
decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, ossia il Testo
Unico delle leggi recanti norme per l’ elezione della Camera dei Deputati. In particolare esso stabilisce che il nuovo art. 1 del suddetto
D.P.R. debba sancire l’ elezione a suffragio universale con voto eguale,
diretto, libero e segreto. Il voto è attribuito a liste di candidati concorrenti. L’ art. 1 della legge stabilisce poi modifiche dell’ art. 4 del
D.P.R. n. 361 del 1957. Il nuovo art. 4 prevede che il voto costituisce un
dovere civico; inoltre è prescritto che ogni elettore disponga di un voto
per la scelta della lista, attraverso una sola scheda recante i contrassegni
delle varie liste concorrenti. E’ aggiunto, sempre attraverso l’ art. 1 della legge, un art. 14 bis secondo il quale i partiti ed i gruppi
politici possono effettuare il collegamento in una coalizione delle liste da
essi rispettivamente presentate. Inoltre i partiti o i gruppi politici che si
candidano a governare devono depositare, contestualmente al contrassegno,
anche il programma elettorale in cui dichiarano il nome ed il cognome della
persona da loro indicata come unico capo della coalizione. Restano ferme, in
ogni caso, le prerogative del Presidente della Repubblica di cui all’ art.
92, comma 2, della Costituzione. Con riferimento alla presentazione delle candidature, l’ art. 19
modificato dalla legge del 2005 mantiene un unico limite: l’
impossibilità di presentare la candidatura alla Camera ed al Senato.
Ricordiamo che, in modo più saggio, il legislatore del 1993 aveva
posto maggiori limitazioni: infatti l’ art. 18 del D.P.R. del 1957, come
modificato dalla legge 277 del 1993, prevedeva che il candidato non potesse
presentarsi in più di un
collegio uninominale; l’ art. 19, come modificato dalla stessa legge
stabiliva che il candidato non potesse presentarsi in più di tre circoscrizioni con una medesima
lista. Attualmente, invece, con l’ unico limite che abbiamo in precedenza
indicato, si attenuano molto i legami tra il candidato ed il suo territorio
e, dunque, il candidato risulta essere meno responsabilizzato nei confronti
del suo elettorato. Altra novità non positiva è rappresentata
dalla modifica dell’ art. 18 bis
del D.P.R. del 1957. Il nuovo articolo prevede, al comma 2, che non è
necessaria alcuna sottoscrizione per la presentazione di partiti e gruppi
politici costituiti in gruppo
parlamentare in entrambe le Camere all’ inizio della legislatura in corso al
momento della convocazione dei comizi elettorali. Parimenti non è necessaria alcuna
sottoscrizione per la presentazione di partiti o gruppi politici che hanno
effettuato dichiarazioni di collegamento con almeno due partiti o gruppi
politici in precedenza menzionati (ossia quelli che sono già
costituiti in gruppo parlamentare nei due rami del Parlamento all’ inizio della
legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi elettorali) e
che abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni
del Parlamento Europeo con lo stesso contrassegno depositato ai sensi dell’
art. 14 del D.P.R. del 1957[9]. Questa disposizione tende a cristallizzare l’ agone
politico-parlamentare in quanto avvantaggia i partiti già presenti
nelle assemblee. Per quanto riguarda poi il meccanismo di assegnazione dei seggi, l’
art. 1 della legge del 2005 apporta modifiche all’ art. 77 del D.P.R. n. 361
del 30 marzo 1957. Il nuovo art. 77 sancisce che l’ Ufficio centrale
circoscrizionale determina la cifra elettorale circoscrizionale di ogni
lista, che è data dalla somma dei voti ottenuti dalla lista in
ciascuna sezione della circoscrizione elettorale. Tale cifra deve
successivamente, sempre ad opera dell’ Ufficio circoscrizionale, essere
comunicata, a mezzo di estratto del verbale, all’ Ufficio centrale nazionale.
L’ Ufficio circoscrizionale deve poi comunicare, per i fini di cui all’ art.
83, comma 1, n. 3 del D.P.R. del 1957 (che vedremo più avanti), il
totale dei voti validi della circoscrizione. L’ art. 83, come modificato dall’ art. 1 della legge del 2005,
sancisce che l’ Ufficio centrale nazionale determina, desumendola dagli
estratti dei verbali degli uffici circoscrizionali, la cifra elettorale
nazionale di ogni lista, che è data dalla somma delle cifre
circoscrizionali. Successivamente stabilisce la cifra elettorale nazionale di
ciascuna coalizione di liste collegate, la quale è data dalla somma
delle cifre elettorali nazionali delle liste che compongono la coalizione;
stabilisce, inoltre, la cifra nazionale delle liste non collegate ed
individua la coalizione o la lista non collegata che ha conseguito il maggior
numero di suffragi validi espressi. Sono previste delle soglie di sbarramento sia per le liste che per le
coalizioni. Infatti il numero 3 del comma 1 del nuovo art. 83, prevede che l’
Ufficio nazionale individui, al fine dell’ assegnazione dei seggi, le
coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 10%
dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista con un minimo di
voti, a livello nazionale, pari al 2%. In alternativa al criterio del 2% le
coalizioni possono anche contenere una lista rappresentativa di minoranze
linguistiche riconosciute, presentata esclusivamente in una delle
circoscrizioni che fanno parte di regioni che, per statuto speciale, tutelano
espressamente tali minoranze; detta lista deve aver conseguito, però,
almeno il 20% dei voti validi espressi nella circoscrizione. L’ Ufficio centrale nazionale deve poi provvedere ad individuare le
liste non collegate che abbiano ottenuto, a livello nazionale, almeno il 4%
dei voti validi espressi; ciò sempre ai fini dell’ assegnazione dei
seggi. In alternativa al criterio del 4%, le liste non collegate possono
essere ammesse al riparto dei seggi anche qualora siano rappresentative di
minoranze linguistiche riconosciute, siano presentate esclusivamente in una
delle circoscrizioni comprese in regioni che, per statuto speciale, tutelano
dette minoranze e abbiano conseguito almeno il 20% dei voti validi espressi
nella circoscrizione. L’ Ufficio centrale nazionale provvede anche ad individuare le liste
delle coalizioni che, sebbene non abbiano conseguito il 2% dei voti validi
espressi sul piano nazionale, tuttavia hanno ottenuto, a livello nazionale,
almeno il 4% dei voti validi espressi ovvero siano rappresentative di
minoranze linguistiche riconosciute e siano presentate esclusivamente in una
delle circoscrizioni comprese in regioni che, per statuto speciale, tutelano
dette minoranze; tali liste devono avere ottenuto almeno il 20% dei voti
validi espressi nella circoscrizione. Esaurito questo procedimento di individuazione delle liste e delle
coalizioni, l’ Ufficio centrale nazionale prosegue nell’ assegnazione, alle
sole liste e coalizioni che soddisfano i criteri ora menzionati, dei seggi in
base alle cifre elettorali nazionali di ciascuna lista e coalizione (Cfr. l’
art. 1, comma 12 legge 270/2005 nella parte in cui modifica l’ art. 83, comma
1, n. 4 del D.P.R. n. 361 del 1957). Il nuovo art. 83 prevede, al numero 5, che l’ Ufficio centrale
nazionale verifichi se la coalizione o la lista che ha conseguito il maggior
numero di voti validi espressi abbia ottenuto almeno 340 seggi. Individua,
poi, nell’ ambito di ciascuna coalizione, le liste che hanno acquisito almeno
il 2% dei voti validi espressi e le liste rappresentative di minoranze
linguistiche in precedenza menzionate che hanno conquistato almeno il 20% dei
suffragi validi espressi nell’ ambito della circoscrizione. Individua anche,
tra quelle che non hanno ottenuto sul piano nazionale almeno il 2% dei voti
validi espressi, la lista ha acquisito la cifra elettorale nazionale maggiore
(n. 6 del nuovo art. 83 del D.P.R. n. 361 del 1957). Se la verifica di cui al n. Vediamo ora cosa accade nel caso in cui la coalizione o la lista che
ha conquistato il maggior numero di suffragi validi espressi non consegua
almeno 340 seggi. In questo caso scatta il premio di maggioranza. In base al
comma 2 del nuovo art. 83 del D.P.R. n. 361 del 1957, l’ Ufficio centrale
nazionale assegna comunque 340 seggi alla lista o alla coalizione che ha
ottenuto il maggior numero di voti validi espressi. Bisogna, tuttavia, tenere
presente che sia i 12 seggi della circoscrizione Estero, sia il seggio della
Valle d’ Aosta sono esclusi dal collegamento in coalizione, ai fini dell’ assegnazione del premio di
maggioranza. Per ciascuna coalizione di liste l’ Ufficio centrale nazionale
provvede a ripartire i seggi rimanenti tra le altre coalizioni e liste di cui
al comma 1, n. 3 del nuovo art. 83[10]. Infine, in base al comma 4 dell’ art. 83 modificato, l’ Ufficio
centrale nazionale procede, per ciascuna coalizione, alla suddivisione dei
seggi ad essa spettanti tra le varie liste che la compongono, purché queste
siano ammesse al riparto. Si nota, dall’ analisi di questa normativa di modifica del D.P.R. n.
361 del 1957, che il sistema elettorale della Camera (ma, come vedremo, anche
quello del Senato) è stato notevolmente trasformato, anche se tale
profondo mutamento sembra non aver intaccato l’ assetto bipolare. Tuttavia il
problema più serio determinato da questa legge elettorale, quello su
cui si concentrano i giudizi più negativi, è posto dal nuovo
sistema di elezione del Senato, come vedremo. Un cenno, a conclusione di questo discorso sul sistema d’ elezione
dei membri della Camera, merita la diversa soluzione che, rispetto alla
precedente normativa (1993), è data al problema dei seggi vacanti. In
base alla legislazione del 1993, se alla Camera dei Deputati un seggio
diveniva vacante si potevano avere due diverse soluzioni: nel caso in cui il
seggio vacante fosse quello assegnato al candidato in un collegio uninominale
si procedeva ad una elezione suppletiva; nel caso di assegnazione con
correttivo proporzionale il seggio era attribuito a colui che, nell’ ambito
della medesima circoscrizione, seguiva immediatamente l’ ultimo degli eletti
nella lista. Oggi, in base all’ art. 1, comma 14, della legge n. 270 del 2005, l’
art. 86 del D.P.R. n. 361 del 1957 è stato modificato; in base a tale
correzione il seggio che, alla Camera dei Deputati, si renda vacante per
qualsiasi causa è assegnato al candidato che segue, nella medesima
circoscrizione, l’ ultimo degli eletti nella lista. Se una lista ha già
esaurito tutti i suoi candidati, allora si procede in base a quanto stabilito
dal nuovo art. 84, commi 2, 3, e 4[11]. Un elemento di diversità nel sistema
è dato dal fatto che se il seggio vacante è quello della
circoscrizione Valle d’ Aosta si deve procedere ad elezione suppletiva. Terminato l’ esame della procedura d’ elezione e assegnazione dei
seggi alla Camera dei Deputati passiamo ora ad esaminare cosa avviene al
Senato. Anche qui scompare il collegio uninominale ed il sistema è
basato su liste e coalizioni di liste. La disciplina è data dall’ art. 4 della legge n. 270 del 2005.
Il comma 1 determina la modificazione dell’ art. 1 del decreto legislativo 20
dicembre 1993, n. 533 (Testo Unico delle leggi recanti norme per l’ elezione
del Senato della Repubblica). Il nuovo art. 1, comma 1, stabilisce che il Senato è eletto su
base regionale[12]. Il comma 2 sancisce che l’ assegnazione dei seggi tra liste
concorrenti avviene con metodo proporzionale ed eventuale assegnazione di un
premio di coalizione regionale.
Anche qui ci sono, però, delle differenze che riguardano L’ assegnazione dei seggi avviene attraverso una procedura simile a
quella che abbiano visto per L’ art. 16 modificato stabilisce una procedura per l’ individuazione
delle varie cifre elettorali, al fine dell’ attribuzione dei seggi. Tale
procedura è simile a quella prevista per l’ assegnazione dei seggi
alla Camera dei Deputati. Il procedimento inizia con l’ individuazione, ad opera dell’ Ufficio
elettorale circoscrizionale (regionale, in quanto la circoscrizione è
la regione), delle cifre circoscrizionali delle varie liste. Esse sono date
dalla somma dei voti conquistati da ciascuna lista nelle singole sezioni
elettorali della circoscrizione. In seguito è determinata la cifra
circoscrizionale delle coalizioni, data dalla somma delle cifre delle varie
liste che le costituiscono. L’ Ufficio provvede poi ad individuare le coalizioni che abbiano
ottenuto, a livello regionale, almeno il 20% dei voti validi espressi e che
contengano una lista con un minimo del 3% dei suffragi validi espressi
ottenuti sul piano regionale. Determina successivamente le liste non
collegate che hanno conseguito, sul piano regionale, almeno l’ 8% dei
suffragi validi espressi e le liste che, pur essendo presenti in coalizioni
che non hanno superato il 20% dei voti sul piano regionale, hanno acquisito,
a livello regionale, l’ 8%. L’ art. 17 del decreto legislativo n. 533 del 1993, come modificato
dal comma 8 dell’ art. 4 della legge 270 del 2005, prevede che l’ Ufficio
elettorale regionale proceda ad una assegnazione provvisoria dei seggi tra le
coalizioni e le liste di cui all’ art. 16; ciò in base alla cifra
circoscrizionale da esse conseguita. L’ Ufficio regionale provvede poi a verificare se la coalizione o la
singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi nell’ ambito
della circoscrizione abbia conseguito il 55% dei seggi spettanti alla
regione, con arrotondamento all’ unità superiore. In caso di esito
positivo procede ad una ripartizione dei seggi tra le varie liste che
costituiscono le coalizioni, tenendo presente lo “sbarramento” del 3% che
opera a livello circoscrizionale[13]. Se, al contrario, l’ esito della verifica fosse negativo, l’ Ufficio
regionale assegnerebbe comunque, alla coalizione o alla singola lista che ha
ottenuto il maggior numero di suffragi validi espressi, il numero di seggi necessario
a raggiungere il 55% dei seggi spettanti alla regione, con arrotondamento
all’ unità superiore. E’ questo il tanto discusso premio di
maggioranza regionale. I seggi rimanenti sono distribuiti tra le altre
coalizioni o liste. Nel caso di vacanza di seggi non si procede più ad elezioni
suppletive, ma subentra, nell’ ambito della stessa circoscrizione, il
candidato che segue immediatamente l’ ultimo degli eletti nell’ ordine della
lista (nuovo art. 19, comma 1, del decreto legislativo n. 533 del 1993,
modificato dall’ art. 4, comma 10 della legge n. 270 del 2005). Un elemento di confusione e di disomogeneità è
rappresentato dal diverso criterio di elezione ed assegnazione dei seggi per
quanto riguarda Un’ ulteriore anomalia riguarda l’ elezione dei due Senatori
spettanti al Molise. Infatti l’ art. 4, comma 9, della legge 270 del 2005
inserisce un articolo 17 bis al
decreto legislativo 533 del 1993, il quale prevede che per l’ attribuzione
dei seggi spettanti al Molise si deve procedere in base all’ art. 17, commi 1
e 3, mentre non si applicano le disposizioni di cui ai commi 2, 4, 5 e 6.
Ciò significa che l’ elezione dei Senatori del Molise avviene senza premio di maggioranza. Fra le norme significative, soprattutto perché gravide di conseguenze
non positive, è degno di nota l’ art. 9 della legge del 2005. Esso
contiene una norma in base alla quale gli scrutatori sono nominati e non più sorteggiati dalle Commissioni
elettorali comunali. Ciò rappresenta una vera involuzione sia dal punto di vista meramente temporale (la nomina
era prevista fino al 1989), sia, molto più significativamente, dal
punto di vista della “bontà” della norma; infatti appare più
sensato e anche più “democratico” sorteggiare
piuttosto che nominare gli
scrutatori; e ciò in quanto le nomine potrebbero essere “pilotate” dai
partiti. Tali perplessità sono fondate se si considera che dopo le
elezioni politiche del 2006 c’ è stata notevole difficoltà per
la proclamazione dei risultati, legata anche alle polemiche sul computo delle
schede. Terminato l’ esame delle norme più significative, occorre
menzionare altri strumenti normativi importanti che costituiscono la
struttura del sistema elettorale. Parliamo del decreto legge 3 gennaio 2006, n. 1. La prima riflessione
riguarda i tempi di conversione del decreto stesso; se si pensa che spesso i
decreti legge vengono convertiti quasi al 60° giorno dopo la loro emanazione,
sorprende la inusuale rapidità con cui questo decreto è stato
convertito: la conversione è avvenuta, il 27 gennaio, poco più di
3 settimane dopo. Ritroviamo la stessa rapidità che abbiamo visto per
l’ approvazione della legge 270 (solo da settembre a dicembre). Ciò, a
mio avviso, non fa che radicare ancora di più la convinzione che l’
intento della maggioranza di centro-destra fosse quello di creare una legge
che ridimensionasse la vittoria degli avversari e creasse difficoltà
al nuovo esecutivo. Tutti fattori, questi, che avrebbero (e, nei fatti,
hanno) notevolmente danneggiato il paese.
Svolta questa considerazione preliminare, vediamo il contenuto della
legge 27 gennaio 2006, n. 22. Alcune novità introdotte dalla legge
sono positive. Ad esempio ricordiamo fra queste la possibilità, per
coloro che dipendono da apparecchiature elettromedicali, di votare a domicilio.
I cittadini che sono temporaneamente all’ estero impegnati in missioni
internazionali, che sono dipendenti dello stato o professori universitari che
si trovano all’ estero per motivi di servizio possono esprimere il loro voto
nella circoscrizione estero. Negativa, a mio avviso, è la nuova
normativa prevista dalla legge 22 del 2.2.2 Il voto degli
italiani all’ estero
Il 17 gennaio 2000 fu varata una legge costituzionale (n. 1) che ha
riformato l’ art. 48 della Costituzione inserendo in esso una disposizione
significativa che prevede che gli italiani residenti all’ estero possano
esprimere il loro voto: “La legge stabilisce requisiti e modalità per
l’ esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’ estero e ne
assicura l’ effettività. A tal fine è istituita una
circoscrizione Estero per l’ elezione delle Camere (…)”. Conseguentemente a
questa riforma, il 23 gennaio 2001 un’ altra legge costituzionale (la n. 1)
ha provveduto a modificare gli articoli 56 e 57 della Costituzione inserendo
in essi le disposizioni riguardanti i seggi da attribuire alla circoscrizione
Estero nelle due Camere. Abbiamo già avuto modo di vedere, analizzando
i due articoli in questione, che essi sanciscono che i seggi per
Per ogni ripartizione sono eletti un Deputato ed un Senatore; i
rimanenti seggi sono suddivisi tra le ripartizioni in proporzione del numero
di cittadini italiani che vi risiedono, sulla base dei quozienti interi e dei
più alti resti. In base all’ art. 7 è istituito, presso Con l’ art. 11 inizia la parte della legge che stabilisce le norme
per la procedura di votazione e di assegnazione dei seggi. Il comma 1 prevede
che l’ assegnazione dei seggi tra le varie liste avviene in ragione
proporzionale per ciascuna ripartizione. Il comma 3 prevede che gli elettori
possano esprimere due voti di preferenza nelle ripartizioni a cui sono
assegnati due o più Deputati o Senatori ed un solo voto di preferenza
nelle altre. E’ questo l’ unico caso in cui, con il vigente sistema
elettorale, l’ elettore può esprimere preferenze. L’ art. 15 statuisce che l’ Ufficio centrale per la circoscrizione
Estero determina la cifra elettorale di ciascuna lista per ogni ripartizione;
tale cifra è data dalla somma dei voti validi ottenuti nell’ ambito
della ripartizione. Successivamente l’ Ufficio individua la cifra elettorale
del singolo candidato, data dalla somma dei suffragi ottenuti dal candidato
nell’ ambito della ripartizione. Attraverso un procedimento simile a quello
previsto per l’ assegnazione dei seggi alle liste nelle circoscrizioni
nazionali, i seggi vengono suddivisi tra le varie liste e, a seguire, tra i
vari candidati, in base alle cifre individuali. In base all’ art. 16, il seggio che si renda vacante è
assegnato, nell’ ambito della stessa ripartizione, al candidato che nella
lista segue immediatamente l’ ultimo degli eletti nella graduatoria delle
cifre individuali e, in assenza di questi, nella lista. La legge n. 459 del 2001 stabilisce anche norme per la procedura di
voto. L’ art. 1, comma 2 prevede che i cittadini residenti all’ estero votino
per corrispondenza o, in alternativa (comma 3), in Italia. Le polemiche che seguirono le elezioni politiche del 2006
riguardarono anche il voto degli italiani all’ estero. Può essere
giusto che anche coloro che risiedono e vivono fuori dall’ Italia concorrano
alle scelte politiche che riguardano la loro nazione di origine, ma è
chiaro che, poiché il loro voto si esprime per corrispondenza, esso è
più soggetto ad eventuali manipolazioni e meno garantito. Inoltre c’
è difficoltà nello stabilire chi siano gli italiani all’
estero; questo interrogativo, che potrebbe apparire banale, in realtà
non è di poco conto. A questo proposito ricordiamo che fin dalla legge
n. 555 del 13 giugno 1912, l’ ordinamento italiano ha sempre avuto favore per
lo jus sanguinis[15].
Tale principio prevale anche nella legge 5 febbraio 1992, n. 91. La preferenza per lo jus
sanguinis fa sì che possano essere riconosciuti come cittadini
italiani anche coloro che discendono in linea retta da cittadini italiani,
anche se hanno sempre vissuto all’ estero. Non solo, ma tali individui
possono anche cumulare due cittadinanze (Italia più Stato di
residenza). Si comprende facilmente come le persone ora menzionate potrebbero
non avere più alcun legame (magari neppure linguistico) con l’ Italia
e potrebbero non avere alcun interesse a riallacciare tale legame. Stando
così le cose non appare equo che esse abbiano la possibilità di
incidere sulle scelte politiche italiane. 3. Considerazioni
conclusive sulla legge 270 del 2005
Complessivamente non si può dare un giudizio positivo sulla
legge elettorale del 2005. Del resto gli stessi esponenti del centro-destra,
che nel dicembre 2005 approvarono così velocemente la legge,
riconoscono oggi la necessità e l’ urgenza di riformare il sistema;
sicché oggi, all’ inizio del 2008, la riforma elettorale è in primo
piano nell’ agenda politica e ci si aspetta che lo sia sempre di più
dopo che Il problema principale posto dall’ attuale legge elettorale è
dato dal meccanismo di elezione del Senato; si ritiene che l’ attuale
situazione di stallo che si verifica nella seconda Camera, derivante dal
fatto che la maggioranza è estremamente esigua, sia il frutto del
premio di maggioranza assegnato non su base nazionale, bensì regione
per regione. Ora, poiché in base alla Costituzione (art. 94) il Governo deve
avere la fiducia delle due Camere, è chiaro che anche il Senato
può “fare crisi”. Con una situazione così confusa ed incerta
nella Camera alta l’ esecutivo è sempre soggetto a possibili crisi,
soprattutto se si tiene conto del fatto che le coalizioni sono estremamente
eterogenee e frammentate. Concentriamo l’ attenzione sul fatto che la legge
del 2005 opera in un regime di bicameralismo
perfetto (come si è detto ora anche il Senato “fa le crisi”): dal
momento che essa non assicura che la coalizione (o la lista) vincente alla
Camera sia vincente anche al Senato, si può facilmente comprendere che
l’ eventualità in questione generi una situazione di paralisi e di
ingovernabilità. Una situazione simile si è verificata proprio
nelle elezioni politiche del 2006: infatti, grazie al premio di maggioranza
nazionale alla Camera il centro-sinistra ha un’ ampia maggioranza, ma a causa
del premio di maggioranza regionale, al Senato si è creata una
situazione di quasi parità che rende spesso decisivo il voto dei 6 Senatori
eletti all’ estero e dei Senatori a vita. Altro elemento negativo che questa legge porta con sé è
costituito dalle liste bloccate; ciò implica che l’ elettore non
può esprimere preferenze, ma solo votare per un partito apponendo un
segno sul simbolo. In tal modo vengono eletti, progressivamente, coloro che
sono nei primi posti nella lista. Questa disposizione dà grande forza
ai partiti (che porranno nei primi posti della lista le personalità
più docili e obbedienti) e ridimensiona di molto la possibilità
di scelta degli elettori. Inoltre la lista bloccata deresponsabilizza molto i
candidati nei confronti dei loro elettori; ai candidati basterà avere
una buona disciplina di partito. Altra norma fortemente partitocratica è quella in base alla
quale non è richiesta alcuna sottoscrizione per quei partiti o gruppi
politici che sono già costituiti in gruppi parlamentari in entrambi i
rami del Parlamento all’ inizio della legislatura in corso al momento della
convocazione dei comizi. Abbiamo poi visto che non è necessaria alcuna
sottoscrizione per quei partiti o gruppi che si collegano a quelli ora
menzionati e che abbiamo conseguito almeno un seggio al Parlamento Europeo
nelle ultime elezioni con il medesimo contrassegno. Come già
osservato, questa disposizione avvantaggia i partiti già stabilmente
presenti nell’ agone politico-parlamentare e crea, invece, difficoltà
alle nuove forze. Negativa è anche la norma che prevede la nomina in luogo del sorteggio
degli scrutatori, di cui abbiamo già trattato. Ancora, tra gli elementi negativi della legge 270 del 2005 ricordiamo
il notevole svilimento del legame tra territorio e candidati, al quale
corrisponde un rafforzamento tra candidati e partiti. Tutto ciò deriva
sia dalle liste bloccate, sia dall’ eliminazione dei collegi uninominali[16]. Anche il fatto che la
legge preveda la possibilità di candidarsi in più
circoscrizioni (anche in tutte!) e che l’ unico limite posto alle candidature
sia quello dell’ impossibilità di presentarsi in entrambe le Camere
è un difetto grave. Ancora, torniamo sul fatto che i seggi della circoscrizione Estero e
quello della Valle d’ Aosta sono esclusi dal collegamento in coalizione ai
fini dell’ assegnazione del premio: ciò determina una disparità
tra gli elettori inaccettabile. Infine, se da una parte il premio di maggioranza previsto dalla legge
può incentivare una razionalizzazione del sistema partitico attraverso
l’ aggregazione delle liste in coalizioni, dall’ altro, il sistema
proporzionale, benché siano presenti soglie di sbarramento, incoraggia al
contrario la proliferazione dei partiti e la frammentazione dell’ agone
politico-parlamentare. In conclusione, non bisogna commettere l’ errore di credere che la
legge elettorale del 2005 sia all’ origine di tutti i mali, in quanto molte
delle deficienze del nostro sistema politico sono già insite e
connaturate in esso e nella frammentarietà della società
italiana. La legge del 2005 non fa che acuire tali difetti. 4. Il sistema elettorale
francese
L’ attuale regime costituzionale presente in Francia è basato
sulla Costituzione del 1958, che ha dato origine alla Quinta Repubblica. La forma di governo che la vigente costituzione dà all’
ordinamento francese è quella cosiddetta “semipresidenziale”. In
realtà tale forma di governo potrebbe essere considerata una specie
molto particolare di forma di governo parlamentare, in cui il presidente
della Repubblica assume una posizione di preminenza nell’ ordinamento. Per
comprendere la particolarità e l’ originalità della forma di
governo francese dobbiamo analizzare la posizione dell’ esecutivo nella
Costituzione del 1958. Ebbene l’ esecutivo non appare emanazione del
Parlamento, ma piuttosto del Presidente della Repubblica, che presiede il
Consiglio dei Ministri e nomina il Primo Ministro (e mette anche fine alle
sue funzioni qualora il governo si dimetta) e, su proposta di questo, i
Ministri (cfr. gli artt. 8 e 9 della Costituzione del 1958). A fronte di
ciò, però, non dobbiamo dimenticare che il governo deve avere
la fiducia dell’ Assemblea Nazionale (non anche del Senato). A proposito
della fiducia, dobbiamo tenere presente che l’ art. 49 della Costituzione non
parla esplicitamente di fiducia, ma stabilisce che il Primo Ministro, su
deliberazione del Consiglio dei Ministri, impegna la sua responsabilità
sul suo programma o su una dichiarazione di politica generale. L’ Assemblea
Nazionale mette in causa la responsabilità del Governo con una mozione
di sfiducia. Dunque si parla esplicitamente solo della sfiducia; è
solo quest’ ultima ad essere oggetto di una mozione votata dall’ Assemblea,
mentre la fiducia si presume. Questa disciplina del rapporto fiduciario
Governo-Parlamento contribuisce a snellire e a rendere più efficiente
il sistema. A tutto ciò dobbiamo aggiungere che, in base alla riforma
costituzionale del 6 novembre 1962, il Presidente della Repubblica è
eletto a suffragio universale e diretto; ciò costituisce un ulteriore
elemento di forza del Capo dello Stato in Francia. Dunque la forma di governo francese, così come stabilita dalla
Costituzione del 1958 può considerarsi un ibrido a metà strada
tra la forma parlamentare e quella presidenziale[17]. Questo breve excursus sull’
ordinamento della Quinta Repubblica è necessario per comprendere ed
analizzare meglio il sistema elettorale francese, dal momento che la forma di
Governo e la formula elettorale sono due elementi fondamentali e legati tra
loro; da essi dipende l’ efficienza di un sistema politico. Per quanto riguarda più specificamente la formula elettorale
dobbiamo tenere conto del fatto che siamo in presenza di un ordinamento in
cui il Presidente della repubblica viene eletto direttamente dal corpo elettorale. La formula con cui viene
scelto il Capo dello Stato è quella della majority[18]:
ciò significa che il candidato
deve conseguire la maggioranza assoluta (50% + 1 dei voti validi). Se questa
percentuale non viene raggiunta al primo turno si procede ad un secondo turno
(ballottaggio) al quale partecipano i 2 candidati meglio piazzati al primo
turno. Tale formula elettorale maggioritaria a doppio turno è
utilizzata anche per l’ elezione dei membri dell’ Assemblea Nazionale[19]. Inizialmente,
effettuato il primo turno elettorale, i candidati potevano passare al secondo
qualora avessero conseguito, all’ interno del collegio, almeno il 5% dei voti
validi. Successivamente, nel 1966, la soglia fu innalzata al 10%; questa
percentuale però veniva calcolata non più in base ai voti
validi, bensì in base al numero degli aventi diritto al voto. Nel 1978
ci fu un ulteriore innalzamento della soglia al 12,5% degli aventi diritto al
voto. Analogamente a quanto avviene per l’
elezione del Presidente della Repubblica, anche nel caso delle elezioni dell’
Assemblea Nazionale è utilizzata la formula della majority. Quindi, se un candidato non riesce a raggiungere il 50%
+1 dei voti validi a primo turno, si procede ad un ballottaggio al quale sono
però ammessi soltanto coloro che hanno conseguito, al primo turno, un
numero di suffragi pari 12,5% degli aventi diritto al voto. Nel caso in cui
nessuno, o soltanto un candidato abbia raggiunto la soglia del 12,5%, si
possono presentare al secondo turno i 2 meglio piazzati. Questo sistema nettamente maggioritario presente in Francia è
fortemente selettivo e relega ai margini dell’ agone politico i due partiti
cosiddetti “antisistema”, ossia il partito comunista a sinistra e il Front
National a destra. Si ha così una convergenza al centro che premia le
componenti più moderate. Una conferma della bontà del sistema
maggioritario a doppio turno è data sia dalla notevole stabilità
dei governi della Quinta Repubblica, sia dalla penalizzazione dei partiti
estremisti. Si pensi, a questo proposito, che quando nel 1986 ci fu la breve
“parentesi” proporzionale, più di 30 deputati del Front National
poterono entrare nell’ Assemblea Nazionale.
Se poi si considera che nel periodo della Quarta Repubblica, ossia
dal 1946 al Quanto alla
possibilità di “importare” in Italia il sistema elettorale francese,
se da una parte potrebbe essere positivo realizzarla in quanto si renderebbero
più solidi i nostri esecutivi, dall’ altra bisognerebbe fare i conti
con le scontate resistenze e con i veti dei piccoli partiti, che
difficilmente accetterebbero soglie di sbarramento alte e maggioranze
assolute necessarie per conseguire l’ elezione e la visibilità in
Parlamento. 5. Il sistema elettorale
tedesco
Appare difficile
definire in modo univoco e preciso il sistema elettorale vigente in Germania.
Esso potrebbe essere definito come sistema misto, data la presenza in esso di elementi maggioritari e
proporzionali. Tuttavia, come vedremo, la formula elettorale tedesca andrebbe
considerata come prevalentemente
proporzionale. Preliminarmente occorre
dire che il Parlamento tedesco è costituito da due Camere: il Bundestag ed il Bundesrat. Il primo rappresenta il popolo nella sua
totalità ed è eletto a suffragio universale e diretto, mentre
il secondo è l’ organo rappresentativo dei vari Länder in cui è suddiviso il territorio tedesco; esso non
è un organo elettivo, in quanto i suoi membri sono nominati e revocati
dai governi dei Länder (cfr. artt.
38 e 51 della Grundgesetz tedesca
del 1949). Per quanto riguarda i
rapporti Governo-Parlamento, secondo l’ art. 63 della Legge Fondamentale, il
Cancelliere Federale è eletto dal solo Bundestag su proposta del Presidente Federale. Secondo l’ art. 67
il Bundestag può esprimere
la sfiducia al Cancelliere solo se elegge un nuovo Cancelliere (sfiducia
costruttiva); altrimenti il Presidente federale può sciogliere il Bundestag (cfr. art. 68). La formula elettorale
per l’ istituzione rappresentativa, prevede che, su 598 seggi da assegnare
nell’ ambito del solo Bundestag,
299 sono attribuiti con il metodo maggioritario della plurality[20]
in altrettanti collegi uninominali. I restanti 299 sono invece aggiudicati
con metodo proporzionale. Per operare la sua
scelta, l’ elettore tedesco ha a disposizione una sola scheda sulla quale
effettua, però, due votazioni
distinte. Con il 1° voto viene scelto il candidato nel collegio uninominale
con il metodo maggioritario. Con il 2° voto l’ elettore esprime un voto di lista (su una lista bloccata).
L’ elemento fondamentale di questo doppio voto è la prevalenza del
voto di lista (proporzionale) su quello effettuato per scegliere il candidato
nel collegio uninominale. E’ il 2° voto, infatti, a determinare quanti sono i
seggi da assegnare a ciascun partito (indipendentemente dagli eletti nei
collegi uninominali). Il 1° voto stabilisce, invece, quali candidati
risultano eletti nell’ ambito di ogni lista. In sostanza la scelta
proporzionale decide tutto. Un elemento basilare di
cui occorre tener conto è la soglia di sbarramento: solamente le liste
che superano il 5% dei voti a livello nazionale ottengono seggi nel Bundestag. Alternativamente a questo
criterio selettivo ne opera un altro: può ottenere seggi anche il
partito che consegue almeno 3 vittorie in altrettanti collegi uninominali. E’ importante tenere
presente che, nel caso in cui un partito abbia ottenuto più seggi nei
collegi uninominali di quanti gli spettano con il conteggio proporzionale,
può conservarli: sono i cosiddetti “mandati in eccesso”. Questa
particolarità del sistema elettorale tedesco fa sì che il
numero dei deputati al Bundestag
sia variabile. La formula elettorale
ora descritta può essere definita come una proporzionale
“personalizzata”: proporzionale in quanto, come già detto, i seggi
spettanti a ciascun partito vengono assegnati su base proporzionale;
personalizzata in quanto con il 1° voto l’ elettore sceglie un candidato nel
collegio uninominale. 6. Il sistema elettorale
spagnolo
Il sistema elettorale
vigente in Spagna presenta caratteristiche molto interessanti. E’ proporzionale, ma
è in grado di produrre effetti molto maggioritari. La formula elettorale
spagnola attuale risale al 1975, anno in cui morì il dittatore Franco
e fu ristabilita la democrazia. Secondo quanto
stabilito dall’ art. 69, il Senato è Il rapporto fiduciario
tra Governo e Parlamento coinvolge solo il Congresso dei deputati, e non
anche il Senato (cfr. artt. 99, 108, 112, 113, 114). Si è affermato
in precedenza che la formula elettorale spagnola è una proporzionale
che però ha effetti notevolmente maggioritari. Tali effetti sono
determinati da alcuni importanti fattori, ossia: ·
L’ esistenza di circoscrizioni di
dimensioni assai ridotte, coincidenti con le 50 province spagnole; ·
La soglia legale di sbarramento al 3%; ·
La conversione dei voti in seggi operata
attraverso il metodo d’ Hondt. I deputati del
Congresso sono 350: in media ogni circoscrizione ne ha 7. Ciò fa
sì che lo sbarramento per accedere al Congresso sia di fatto piuttosto
difficile da superare. La soglia legale del 3% che opera a livello
circoscrizionale risulta essere, nei fatti,
ben più alta nelle circoscrizioni più piccole: il 3%
è effettivo solo nelle due grandi circoscrizioni di Madrid e Barcellona.
A ciò aggiungiamo che il divisore d’ Hondt determina effetti piuttosto
maggioritari. Come abbiamo già avuto modo di vedere, infatti, il
metodo del divisore d’ Hondt prevede che il numero dei voti di ogni lista sia
successivamente diviso per 1, 2, 3, 4, 5… fino al raggiungimento della cifra
dei seggi da attribuire. In tal modo si hanno tanti quozienti quante sono le
divisioni così effettuate per ciascuna lista. I quozienti derivanti da
tali divisioni vengono poi posti in graduatoria ed i seggi vengono assegnati
alle liste che hanno ottenuto i quozienti più alti. Rispetto ad altri
divisori, come ad esempio il Saint-Laguë, il divisore d’ Hondt, prevede cifre
meno distanziate tra loro: 1, 2, 3, 4, 5… Il Saint-Laguë, invece, prevede un
maggiore divario tra i divisori successivi: 1, 3, 5, 7, 9… Sulla base di ciò
si può empiricamente verificare che il metodo d’ Hondt permette di
assegnare più seggi ai partiti che riescono a conseguire un alto
numero di voti, ossia i partiti più grandi. Da ultimo, occorre
tenere conto del fatto che le liste sono bloccate. Tale caratteristica
potrebbe essere considerata negativa in quanto priverebbe l’ elettore della
libertà di scelta del candidato. Tuttavia occorre riflettere sul fatto
che in quasi tutte le democrazie occidentali non c’ è
possibilità di esprimere preferenze. Il sistema spagnolo ora
descritto consente un’ alta rappresentazione ai partiti più forti (il
Partito socialista e il Partito popolare), una sottorappresentazione delle
forze più estreme (a destra come a sinistra) e una buona
rappresentazione per le forze regionali, tanto radicate nella compagine
politico-partitica spagnola. 7. Conclusioni
Dopo aver analizzato la
legislazione elettorale vigente in alcuni importanti stati dell’ U.E.
possiamo svolgere alcune considerazioni in merito alla possibilità di
riformare il sistema elettorale italiano, prendendo ad esempio la normativa
degli altri paesi. Prima di tutto occorre
sottolineare il fatto che non esiste un sistema che sia l’ optimum; ciò in quanto la
formula elettorale non costituisce l’ unica variabile in grado di influire
sulla stabilità politico-istituzionale. Esistono anche altri fattori
in gioco, diversi da paese a paese: tipo di società, struttura dei
partiti, forma di governo, elementi culturali, sistema economico… Insomma,
prendendo spunto dal pensiero di Montesquieu, possiamo dire che le leggi
esprimono e sono la risultante di quello che è lo “spirito generale”
di un popolo. Ora, questo discorso vale anche per le leggi elettorali: esse
variano da stato a stato; ogni popolo cerca di scegliere quella che
può meglio garantire un governo stabile e rappresentativo. Un sistema
elettorale valido per un paese può non esserlo per un altro, proprio
per la molteplicità dei fattori in gioco e, nello stesso tempo, non
esiste quello che potremmo chiamare “il migliore sistema elettorale”. Svolta questa
importante considerazione preliminare, si può cercare di capire quale
legislazione elettorale è più adatta al nostro
ordinamento. In linea di massima si
può dire, innanzitutto, che le formule maggioritarie riducono la
frammentazione ed assicurano una maggiore stabilità, mentre quelle
proporzionali garantiscono una maggiore rappresentatività, ma nello
stesso tempo incentivano la frammentazione, soprattutto in una società
non omogenea. Tuttavia i sistemi
elettorali non possono essere classificati solo in base alla dicotomia
maggioritario-proporzionale. Esistono, infatti, formule che potremmo chiamare
“miste” o “corrette”, con la compresenza di elementi maggioritari e
proporzionalistici. E’ possibile anche
suddividere le normative elettorali in base al grado di libertà di
scelta che concedono all’ elettore; a questo proposito è interessante
fare riferimento alla classificazione suggerita da Domenico Fisichella[22]:
in base a tale classificazione i sistemi possono essere ad alta attitudine
manipolativa, come quello maggioritario vigente in Gran Bretagna, basato
sulla plurality, oppure a bassa attitudine manipolativa. L’
esempio in tal senso è fornito dai sistemi proporzionali a collegi plurinominali,
che prevedono poi il recupero dei resti in sede di collegio unico nazionale.
Se la formula ha un’ alta attitudine manipolativa vuol dire che è in
grado di influenzare e di vincolare la scelta dell’ elettore; se invece l’
attitudine manipolativa è bassa, l’ elettore ha una maggiore
libertà di scelta. Nonostante queste
catalogazioni siano utili per comprendere meglio le legislazioni elettorali e
per individuare quella che più si addice al nostro ordinamento,
bisogna sempre tenere ben presente la molteplicità di fattori che
influiscono sulla stabilità dei governi. Tendenzialmente, una
società eterogenea e complessa potrebbe essere meglio rappresentata
nelle istituzioni parlamentari attraverso l’ adozione di un sistema elettorale
proporzionale, mentre un corpo sociale più omogeneo e pragmatico
potrebbe preferire un sistema maggioritario. Il problema centrale
che deve essere risolto è quello derivante dalla necessità di
coniugare l’ elemento della rappresentatività con quello della
stabilità. Per comprendere quale
sia la formula più adeguata bisogna innanzitutto dire che se da una
parte è vero che la legislazione elettorale dovrebbe adattarsi al tipo
di società, d’ altra parte è anche vero che la normativa
elettorale potrebbe influire sull’ assetto sociale. Ora, la società
italiana attuale (ma credo non solo quella italiana) è eterogenea e
molto complessa e perciò si potrebbe pensare che una formula
proporzionale sia la più adatta a rappresentarne le varie e diversificate
componenti. Tuttavia c’ è anche un urgente bisogno di stabilità
dei governi, essendo l’ instabilità una caratteristica endemica dell’
Italia repubblicana. La svolta maggioritaria del 1993, arrivata in seguito ai
risultati di un referendum abrogativo, testimonia proprio la
volontà, da parte dei cittadini italiani, di avere un sistema politico
stabile ed efficiente. La normativa che è derivata dall’ esito del referendum
del 1993 e che abbiamo in precedenza analizzato ha introdotto così una
formula maggioritaria con correttivo proporzionale e soglia di sbarramento al
4%, tentando di conciliare la stabilità con la
rappresentatività. Tuttavia tale sistema non sembra aver sortito i
risultati sperati dal punto di vista della stabilità. La legge 21 dicembre
2005, n. 270 fu approvata con notevole rapidità dalla sola maggioranza
di centro-destra con intenti difensivi e in modo necessariamente affrettato e
poco ponderato. Con tale legge, nonostante i correttivi maggioritari (premi
di maggioranza e soglie di sbarramento), l’ instabilità e la frammentazione
sembrano, almeno finora, aver avuto la meglio. All’ inizio del 2008 si sono
esperiti tentativi per modificare ancora la normativa, ma la caduta del
Governo Prodi, l’ impossibilità di varare un governo “di scopo” che
provvedesse a riformare il sistema elettorale e la necessità di
procedere a nuove elezioni politiche hanno messo “in ghiaccio” le prospettive
di riforma. Peraltro, non si può non notare che, vigente la legge del
2005, la nascita del Partito Democratico e la decisione di questa forza politica
di correre sostanzialmente sola alle prossime elezioni, ha prodotto uno
sconvolgimento notevole all’ interno dell’ agone politico; sicché oggi l’
offerta politica appare molto diversa rispetto al bipolarismo “coatto” e
muscolare che ha dominato finora. Ciò rende evidente che quando il
sistema è cambiato nel 2005, l’ agone politico è rimasto
sostanzialmente identico mentre oggi, a legislazione elettorale costante, la
compagine politica è stata rivoluzionata. Ciò costituisce un’
ulteriore conferma del fatto che non è solo la normativa elettorale
che influisce sull’ assetto politico, ma esiste una molteplicità di
fattori in gioco. Nonostante il
“congelamento” della riforma elettorale, si dovrà, dopo le elezioni,
riprendere il dibattito, anche perché nel maggio 2009 l’ attuale legge
elettorale sarà sottoposta a referendum
abrogativo. I sistemi analizzati
hanno tutti elementi positivi e potrebbero essere presi ad esempio. Di certo
una formula elettorale proporzionale sarebbe migliore ai fini di una
più corretta rappresentanza, data la complessità della nostra
società. Tuttavia è urgente la necessità di garantire la
stabilità dei governi e dunque sarebbe opportuno introdurre elementi
correttivi, come gli sbarramenti. A questo proposito sia il sistema tedesco,
sia quello spagnolo costituiscono dei validi esempi “importabili” in Italia. Prima della crisi di
governo intervenuta nel gennaio 2008, le forze politiche si stavano
accordando sulla possibilità di elaborare una riforma basata su un
sistema simile a quello tedesco, con ovvie rielaborazioni: si tratta della
cosiddetta “bozza Bianco”, presentata dal presidente della Commissione Affari
Costituzionali del Senato, Enzo Bianco, il 15 gennaio 2008. Tale testo
prevede modifiche alla legislazione elettorale dei due rami del Parlamento.
Per quanto riguarda Con riferimento alle
candidature, è possibile presentarsi in un solo collegio uninominale,
ma un candidato potrà essere presente in due diverse liste
circoscrizionali. E’ prevista un clausola di salvaguardia per le minoranze
linguistiche. Per quanto riguarda il
Senato, l’ assegnazione dei seggi avviene con metodo proporzionale sulla base
di collegi uninominali. Restano, però, ferme, le speciali discipline
previste per Valle d’ Aosta, Trentino-Alto Adige, Molise. La soglia di sbarramento
opera a livello regionale ed è pari al 5%. E’ importante
sottolineare che vi è l’ obbligo
per le forze politiche di dichiarare, prima del voto, l’ alleanza di
riferimento, il candidato premier
ed il relativo programma che intendono sostenere. Il voto è unico, a differenza di quanto avviene
in Germania dove, come abbiamo visto, è previsto un doppio voto.
Infine, i seggi sono assegnati a livello nazionale
sulla base della somma dei vari risultati ottenuti a livello
circoscrizionale. Come si può
facilmente notare, questa formula elettorale è abbastanza simile a
quella vigente in Germania e tenta di coniugare i due elementi fondamentali
della giusta rappresentanza da una parte e della stabilità dall’
altra. Infatti il metodo proporzionale assicura una migliore
rappresentatività in una società complessa e frammentata,
mentre la stabilità e l’ omogeneità della compagine politica
possono essere garantite da alcuni correttivi introdotti nel progetto: soglie
di sbarramento, collegi uninominali con metodo maggioritario, obbligo di
dichiarare prima del voto l’ alleanza di riferimento, il candidato premier
ed il programma che si intende sostenere.
Tuttavia, a mio avviso,
anche il sistema spagnolo presenta elementi interessanti per una possibile
“importazione” in Italia. Come abbiamo visto, questa formula è
proporzionale e dunque garantirebbe una buona rappresentanza. Però
sappiamo anche che essa produce effetti piuttosto maggioritari grazie alle
esigue dimensioni delle circoscrizioni, alla soglia di sbarramento ed all’
utilizzo del divisore d’ Hondt. Gli effetti maggioritari si traducono, come
abbiamo notato, nella penalizzazione dei partiti estremi e nel vantaggio
accordato, invece ai due partiti più grandi. E tale situazione
è stata confermata anche dalle ultime elezioni svoltesi in Spagna il 9
marzo 2008. Così anche la normativa elettorale spagnola presenta
caratteristiche interessanti per l’ ordinamento italiano, il quale è
affetto da una cronica ed esasperata frammentazione partitica. Tale caratteristica
risulta essere piuttosto dannosa perché oltre a portare alla paralisi il
sistema politico, fa sì che partiti molto piccoli e spesso estremi
tengano in scacco un intero Governo. Infine, a mio avviso,
non ci si potrà limitare a riformare il sistema elettorale, ma occorrerà
anche procedere ad una modifica della Costituzione volta a snellire il
rapporto fiduciario Parlamento-Governo; ciò potrebbe avvenire mediante
una riforma che preveda che solo FONTI BIBLIOGRAFICHE
In particolare si è fatto riferimento al cap. III scritto da Carlo Fusaro ed al cap. IV scritto da Giovanni Tarli Barbieri;
Siti Internet consultati·
www.ildirittoamministrativo.it;
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[1] Ci si riferisce ai seggi della Camera dei Deputati. Infatti quando si parla di sistemi elettorali nell’ età statutaria non si deve dimenticare che lo Statuto Albertino stabiliva che il Senato fosse composto di membri non elettivi, bensì nominati dal Sovrano a vita.
[2] L’ obiettivo fu pienamente raggiunto nelle elezioni del 6 aprile 1924, nelle quali il partito fascista ottenne il 65% dei voti e più di 3/4 dei seggi.
[3] All’ origine non era così. Infatti il numero di 630 fu stabilito dalla legge costituzionale n. 2 del 9 febbraio 1963.
[4] Ai 630 Deputati vanno sottratti i 12 eletti nella circoscrizione Estero.
[5] All’ origine il numero dei Senatori, come quello dei Deputati, variava a seconda della popolazione. Sono intervenute riforme costituzionali che hanno portato il numero dei Senatori elettivi a 315.
[6] Sarebbe più corretto parlare di sistema misto, visto il correttivo proporzionale.
[7] Si ricorda che la seconda Camera non è completamente elettiva, ma composta anche di Senatori di diritto e a vita (cfr art. 59 della Costituzione).
[8] Ad esempio, se i seggi da assegnare fossero 3, si dividerebbe la cifra elettorale per 1, per 2 e per 3.
[9] Il contrassegno con cui i partiti o gruppi intendono distinguersi deve essere depositato presso il Ministero dell’ Interno.
[10] Si tratta delle coalizioni e delle liste che abbiamo in precedenza menzionato, ossia quelle che soddisfano le condizioni per essere ammesse alla ripartizione dei seggi.
[11] Questi 3 commi dell’ art. 84 stabiliscono un complicato procedimento in base al quale l’ Ufficio centrale nazionale provvede ad assegnare i seggi spettanti alle liste anche nel caso in cui queste abbiano esaurito i candidati presentati in una circoscrizione.
[12] Per quanto riguarda l’ elezione del Senato, le circoscrizioni coincidono con le regioni.
[13] Evidentemente nel caso in cui una lista non abbia conseguito almeno il 3% dei voti validi espressi a livello circoscrizionale essa non partecipa alla ripartizione dei seggi.
[14] Il volume è a cura di R. D’ Alimonte e A. Chiaramonte, edito da “Il Mulino”, 2007.
[15] Letteralmente “diritto del sangue”. Questa espressione contiene in sé il principio in base al quale la cittadinanza che l’ individuo acquista è quella dei propri genitori.
[16] Il collegio uninominale creava un rapporto più forte tra candidato e territorio (il collegio, appunto) e responsabilizzava il candidato nei confronti dell’ elettorato del collegio.
[17] In realtà la presenza del rapporto fiduciario induce a propendere per la forma parlamentare.
[18] Questa formula differisce
dalla plurality, che era il sistema
con cui venivano eletti i candidati nei collegi uninominali in Italia prima
della riforma elettorale del
[19] In Francia il Senato è eletto a suffragio indiretto.
[20] In base a questo metodo, il seggio è assegnato al candidato che ottiene la maggioranza relativa dei suffragi. La plurality è il sistema con cui venivano assegnati i seggi nei collegi uninominali nella formula elettorale italiana del 1993. E’ previsto un solo turno, a differenza della majority francese.
[21] Sono i due territori esterni della Spagna. Si trovano sulla costa settentrionale del Marocco.
[22] D. Fisichella, Elezioni (sistemi elettorali), in Enciclopedia del diritto, vol. XIV, Milano Giuffré, 1965.