SCUOLA E
ISTRUZIONE IN ITALIA
Di Federico
Novelli
Ottobre 2008
INDICE
1. INTRODUZIONE. 1
2. LA LEGISLAZIONE SCOLASTICA
NELL’ ITALIA UNITA.. 1
3. LA SCUOLA NELL’ ORDINAMENTO
COSTITUZIONALE REPUBBLICANO E NELLA LEGISLAZIONE VIGENTE. 1
5. LA RIFORMA MORATTI 1
6. L’ ATTUAZIONE DELLA RIFORMA
MORATTI 1
7. L’ ANALISI DELLE VARIE
TIPOLOGIE DI SCUOLA NEL VIGENTE SISTEMA.. 1
7.1 La scuola dell’ infanzia. 1
7.2 La scuola primaria. 1
7.3 La scuola secondaria di 1°
grado. 1
7.4 La scuola secondaria di 2°
grado. 1
7.4.1 I percorsi liceali 1
7.4.2 Gli istituti tecnici e gli
istituti professionali 1
8. IL SISTEMA DI ISTRUZIONE NON
STATALE. 1
8.1 LE VARIE TIPOLOGIE DI SCUOLE
NON STATALI 1
9. L’ AUTONOMIA DELLE ISTITUZIONI
SCOLASTICHE. 1
9.1 L’ autonomia finanziaria e
contabile. 1
9.2 L’ autonomia didattica. 1
9.3 L’ autonomia organizzativa. 1
9.4 L’ autonomia di ricerca,
sperimentazione e sviluppo. 1
9.5 L’ autonomia funzionale. 1
10. SITUAZIONE ATTUALE E
PROSPETTIVE FUTURE PER IL SISTEMA SCOLASTICO ITALIANO.. 1
BIBLIOGRAFIA.. 1
SITI INTERNET 1
APPENDICE. 1
DECRETO-LEGGE 1 settembre 2008, n.
137 – Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università. 1
Schema di piano programmatico del
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di concerto
con il Ministro dell’Economia e delle Finanze di cui all’art. 64 del decreto
legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. 32
Accesso studenti stranieri, la
proposta della Lega. 48
1) - INTRODUZIONE
Il
termine “scuola” deriva dal greco scholè,
parola che significa ozio, tempo libero, ossia tempo dedicato agli studi e
non al lavoro.
Oggi la scuola costituisce
(dovrebbe costituire) l’ istituzione ed il luogo nel quale si studia, ci si
istruisce e si cresce culturalmente, si acquista spirito critico e ci si
prepara alla vita.
Se queste sono le
finalità dell’ istituzione scolastica allora si comprende l’
importanza di essa per tutti gli individui.
Col secolo dei lumi, con la
manifesta inadeguatezza dell’assolutismo, con l’avvento dello stato moderno,
sono aumentati i compiti e le funzioni dello stato stesso, sicché esso ha
puntato a rendere generale l’interesse
alla istruzione dei cittadini, entrata
a pieno titolo, a partire dagli anni 60 del ‘700, tra gli obbiettivi primari
dello stato e divenuta, appunto, pubblica.
Al 1763 risale, infatti, l’ emanazione, da parte di Federico 2° di Prussia,
di un regolamento che riservava all’ autorità pubblica l’
attività di programmazione e quella ispettiva.
La rivoluzionaria Costituzione
francese del 1793 (la più radicale tra quelle nate durante l’ epoca
rivoluzionaria, non fu mai attuata) riconosceva, all’ interno della sua
Dichiarazione dei Diritti, il diritto all’ istruzione.
Nel corso del 19° secolo l’
istruzione è divenuta funzione pubblica statale ed ha assunto i
caratteri fondamentali della gratuità e della obbligatorietà.
Anche in Italia si è
presa coscienza della necessità di organizzare un sistema di istruzione
pubblica, e ciò già prima del conseguimento dell’ unità.
Infatti risale al 1847 l’ istituzione del Ministero della Pubblica Istruzione
nel Regno di Piemonte e Sardegna. Proprio l’ assetto dell’ istruzione
costruito in Piemonte dal 1847 è stato esteso al Regno d’ Italia.
2. LA LEGISLAZIONE SCOLASTICA NELL’
ITALIA UNITA
A partire
dal 1848 si sono susseguiti provvedimenti normativi in materia di istruzione,
fra i quali il più importante è il r.d.l. n. 3725 del 13
novembre 1859, la cosiddetta legge Casati.
Essa prevedeva un’ istruzione
elementare quadriennale, obbligatoria per i primi due anni; successivamente
gli studenti potevano scegliere tra più vie:
·
il ginnasio (5 anni) che dava sbocco al liceo
classico (3 anni);
·
la scuola normale per la preparazione degli
insegnanti elementari (3 anni);
·
un canale di istruzione professionale che
comprendeva le scuole biennali tecniche e gli istituti tecnici.
E’ opportuno domandarsi, a
questo punto, quale fosse, nell’ Italia che aveva da poco raggiunto l’
unità, la consapevolezza dell’ importanza della scuola e dell’
istruzione e quali fossero le strategie per rendere il sistema efficiente.
Per quanto riguarda il primo punto si potrebbe dire che, vista l’ istituzione
del Ministero della Pubblica Istruzione fin dal 1847, la classe dirigente
fosse cosciente del fatto che l’ istruzione dovesse essere garantita ai
cittadini attraverso un sistema pubblico; ciò rappresenta una vera
scelta di civiltà. Inoltre la legge Casati del 1859 prevedeva un
sistema scolastico abbastanza razionale in quanto cercava di assicurare a
tutti un minimo di scolarizzazione calibrando la tipologia del corso di studi
superiori sulle diversificate capacità e potenzialità degli
studenti.
Modificazioni alla legge Casati
sono state apportate dal Ministro Coppino attraverso la legge 15 luglio 1877,
n. 3968, che aumentò gli anni di istruzione elementare portandoli a 5
e stabilendo l’ obbligo a 3 anni (dai 6 ai 9 anni di età), in luogo
dei soli 2 previsti dalla legge Casati.
Se da una parte la classe dirigente
del neonato stato italiano aveva coscienza della necessità di
garantire un minimo di istruzione a tutti i cittadini, dall’ altra sorgevano
contrasti in seno ad essa per quanto riguardava la gestione delle diverse
tipologie di studi: tale problema si pose nel 1861, allorquando fu creato il
Ministero dell’ Agricoltura, dell’ Industria e del Commercio. Si decise,
allora, di porre gli istituti tecnici sotto la gestione di questo Ministero,
in quanto si credeva che nell’ ambito dell’ istruzione tecnica esso potesse
agire meglio rispetto al Ministero della Pubblica Istruzione. Quando, nel
1877, fu abolito temporaneamente il Ministero dell’ Agricoltura, dell’
Industria e del Commercio, gli istituti tecnici tornarono sotto la gestione
del Ministero della Pubblica Istruzione con r.d. 20 dicembre 1877, n. 4220.
Nel 1878 (legge 30 giugno 1878,
n. 4449), fu ripristinato il Ministero dell’ Agricoltura, dell’ Industria e
del Commercio e di nuovo si ricostruì un’ istruzione tecnica
più specializzata e autonoma dalla formazione scolastica.
Emergeva, così, il
dualismo tra formazione scolastica, più alta e finalizzata al
proseguimento degli studi fino ai massimi livelli, e formazione
tecnico-professionale, di livello più basso, finalizzata all’
apprendimento dei mestieri.
Altra tappa importante nella
storia della scuola italiana è costituita dalla legge Orlando dell’ 8
luglio 1904, la quale estendeva l’ obbligo scolastico dal 9° al 12° anno d’
età e riduceva a 4 anni l’ istruzione elementare.
Per quanto riguarda,
invece, l’ impostazione dei corsi di
studi superiori occorre segnalare l’ istituzione, nel 1911, della sezione
moderna dei licei ginnasi, trasformata nel 1923 nei licei scientifici.
Considerando gli aspetti
gestionali del sistema dell’ istruzione occorre notare che, a partire dai
primi anni del ‘900 e fino agli anni 30 lo Stato assunse gradualmente la
gestione dei vari istituti sia elementari, sia secondari, mentre gli enti
locali erano solamente tenuti a dare il loro contributo fornendo beni e
servizi. A tale proposito si deve fare riferimento alla legge 4 luglio 1911,
n. 487 (legge Daneo-Credaro), la quale sancì il passaggio allo Stato
delle competenze in materia di scuole elementari; i comuni capoluoghi di
provincia e quelli che ne avessero fatto richiesta avrebbero continuato a
mantenere le proprie competenze.
Veniva così ribaltata l’
impostazione originaria che vedeva gli enti locali gestire la scuola
elementare, mentre il controllo amministrativo dello Stato interessava
solamente le Università e alcuni ginnasi e scuole normali.
Non si può prescindere,
in questo excursus, dalla riforma operata negli anni 20
da Giovanni Gentile. L’ impostazione che Gentile diede al sistema fu
piuttosto elitaria e tendente a far confluire nell’ ambito scolastico (o,
meglio, nell’ ambito del Ministero dell’ Istruzione) ogni istituzione
formativa, anche tecnica. Elementi fondamentali della riforma furono:
·
l’ elevazione dell’ obbligo scolastico fino a
14 anni d’ età; in tal modo l’ istruzione elementare veniva portata a
5 anni;
·
l’ introduzione di corsi integrativi di
avviamento professionale della durata di 3 anni, da effettuarsi dopo le
elementari (la sesta, la settima e l’ ottava elementare);
·
la trasformazione delle scuole tecniche in
scuole complementari, integrative delle elementari;
·
la fusione della sezione fisico-matematica
dell’ istituto tecnico con la sezione moderna del ginnasio, che diede vita al
liceo scientifico;
·
l’ istituzione dell’ istituto magistrale per
la preparazione dei maestri elementari;
·
la previsione di controlli per l’
inadempimento dell’ obbligo scolastico;
·
l’ insegnamento obbligatorio della religione
cattolica;
·
l’ istituzione di scuole speciali per gli
handicappati sensoriali della vista e dell’ udito;
·
il passaggio al Ministero dell’ economia
nazionale della sezione industriale dell’ istituto tecnico;
·
il passaggio al Ministero dell’ Istruzione
delle scuole artistiche.
Nel 1928, con r.d.l. 17 giugno
1928 n. 1314, ogni istituzione formativa fu posta sotto la gestione del
Ministero dell’ Educazione Nazionale (ex Ministero dell’ Istruzione).
Negli anni 30 rimasero fuori
della gestione del Ministero dell’ Educazione Nazionale (ma comunque sotto la
sua vigilanza) solamente i corsi a carattere meramente addestrativo e l’
istruzione professionale delle maestranze occupate.
Durante il Fascismo il ruolo
totalizzante del Partito Nazionale Fascista investì anche la scuola,
tanto che ad esso venne affidata l’ assistenza scolastica, come anche l’
educazione fisica.
Alla caduta del Fascismo, il
Ministero della Pubblica Istruzione riacquistò le proprie competenze
in materia di:
·
assistenza scolastica ed educazione fisica
(r.d.l. 2 agosto 1943, n. 704);
·
vigilanza sulle scuole private (durante il
Fascismo essa era di competenza dell’ ente nazionale per l’ insegnamento
medio e superiore, soppresso con d.lg.lt. 24 maggio 1945, n. 412).
Venne poi istituita la scuola
popolare per gli adulti, gestita dal Ministero della Pubblica Istruzione, con
d.lg.C.p.S. 17 dicembre 1947, n. 1599.
3. LA SCUOLA NELL’ ORDINAMENTO
COSTITUZIONALE REPUBBLICANO E NELLA LEGISLAZIONE VIGENTE
La Costituzione
Repubblicana del 1948 ha sancito i capisaldi del sistema dell’
istruzione nel nuovo ordinamento democratico. Essi si trovano negli artt. 33
e 34. Il principio più importante sancito nell’ art. 33 della
Costituzione è la libertà di insegnamento. Di seguito l’ art.
33 prescrive che la
Repubblica ponga le norme generali sull’ istruzione ed
istituisca scuole per ogni ordine e grado. Ancora, l’ art. 33 stabilisce che anche istituzioni
private possono costituire scuole senza oneri per lo Stato.
L’ art. 34 stabilisce, invece,
che la scuola è aperta a tutti e che l’ istruzione inferiore è
obbligatoria, gratuita e impartita per un periodo di almeno otto anni.
Inoltre, sempre in base all’ art. 34, i capaci e meritevoli hanno diritto di
raggiungere i più alti livelli negli studi, anche se privi di mezzi. A
tal fine sono istituite borse di studio. Dunque all’ interno della
Costituzione Repubblicana sono consacrati due principi che potremmo definire
speculari: da un lato la libertà dell’ insegnamento, dall’ altro il
diritto di tutti ad essere istruiti (“La scuola è aperta a tutti”,
come recita l’ art. 34, comma 1).
Il fatto che nella Costituzione
siano sanciti i principi fondamentali riguardanti il sistema dell’ istruzione
dimostra l’ importanza che lo Stato assegna alla scuola: infatti è lo
Stato stesso che assume l’ onere di garantire il diritto all’ istruzione per tutti. Ciò perché la scuola ha
il compito di formare i futuri cittadini e la futura società.
Tanto è considerata
fondamentale l’ istruzione che la Costituzione ha stabilito che essa debba
essere, almeno per un primo periodo, obbligatoria e gratuita; ciò
significa che il cittadino, per un certo periodo di tempo della sua vita, deve necessariamente essere istruito
anche, eventualmente, contro la sua volontà. Ciò fa sì
che si parli di servizio pubblico sociale a fruizione coattiva.
L’ obbligo scolastico, sancito in Costituzione (l’ art. 34 fa riferimento ad
un periodo di almeno 8 anni) si giustifica anche alla luce di altre
importanti disposizioni costituzionali, ossia gli artt. 3 e 4. Con
riferimento all’ art. 3 si può dire che l’ obbligo scolastico permette
la realizzazione dell’ uguaglianza sostanziale e del pieno sviluppo della
persona umana; consente, inoltre, la partecipazione all’ organizzazione
politica, economica e sociale del Paese.
Per quanto riguarda, invece, la
disposizione dell’ art. 4 si deve considerare il fatto che l’ istruzione
costituisce un dovere sociale: infatti l’ assolvimento dell’ obbligo
scolastico è un’ azione propedeutica allo svolgimento, “secondo le
proprie possibilità e la propria scelta, di un’ attività o di
una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della
società”.
Dunque l’ istruzione è,
da una parte, diritto soggettivo, dall’ altra dovere sociale.
Nell’ analisi delle norme
costituzionali che trattano di scuola e istruzione si deve anche fare
riferimento alla riforma del Titolo 5° ed al nuovo art. 117. Come è
noto, la
Costituzione Repubblicana prevede il decentramento
amministrativo nei servizi che dipendono dallo Stato (art. 5); tra questi va
certamente annoverato quello dell’ istruzione.
L’ art. 117, come riformato nel
2001 dalla legge costituzionale n. 3, sancisce che:
·
lo Stato ha potestà legislativa
esclusiva per quanto riguarda le norme generali sull’ istruzione (cfr. anche
l’ art. 33);
·
Stato e Regioni hanno potestà
legislativa concorrente in materia di istruzione, salva l’ autonomia delle
istituzioni scolastiche e con l’ esclusione dell’ istruzione e della
formazione professionale.
Sebbene l’ istruzione sia da
garantire come servizio pubblico, il costituente, ha lasciato anche ai
privati la possibilità di offrire il servizio dell’ istruzione,
creando un equilibrio tra pubblico e privato e favorendo il pluralismo nell’ istruzione,
fondamentale in una società aperta e democratica. Tuttavia l’ art. 33
della Costituzione pone un limite preciso alla possibilità per i
privati di offrire il servizio: che essi istituiscano scuole senza oneri per lo Stato; inoltre gli
istituti creati da privati devono chiedere la parità e la legge, nel
fissare i diritti e gli obblighi per le scuole non statali deve assicurare ad
esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico
equipollente a quello riservato a coloro che frequentano istituti statali.
Dopo l’ entrata in vigore della
Costituzione Repubblicana, la riforma della scuola operata da Giovanni
Gentile nel 1923 rimase sostanzialmente in vigore fino a quando, nel 1962, il
Parlamento approvò la legge istitutiva della scuola media unica (legge
31 dicembre 1962, n. 1859). Veniva in tal modo attuata la disposizione dell’
art. 34 della Costituzione in base alla quale l’ istruzione deve essere
impartita per almeno 8 anni e deve essere obbligatoria e gratuita. La legge
del 1962 aboliva le scuole di avviamento professionale, i primi 3 anni del
ginnasio, i primi 4 anni degli istituti magistrali e tecnici, i corsi
inferiori dei conservatori di musica e delle scuole d’ arte e le classi
post-elementari previste dal T.U. n. 577 del 1928.
La scuola media unica, che
è scuola secondaria di 1° grado, garantisce a una formazione di base
uguale per tutti.
Altro elemento di novità
nel periodo repubblicano è costituito dall’ introduzione, nel 1968,
della scuola materna statale (legge 18 marzo 1968, n. 444), la quale accoglie
i bambini dai 3 ai 6 anni di età preparandoli alla scuola dell’
obbligo e contribuendo con la famiglia allo sviluppo della loro
personalità.
Nel 1971 venne istituito il tempo
pieno (legge 24 settembre 1971, n. 820).
Nel 1973 venne emanata una
legge delega (legge 30 luglio 1973, n. 477) con la quale il Parlamento
delegava il Governo all’ emanazione di norme sul riordinamento dell’
organizzazione della scuola e sullo stato giuridico del personale direttivo,
ispettivo, docente e non docente della scuola dello Stato. La risultante
furono i decreti legislativi nn. 416, 417, 418, 419, 420, emanati il 31
maggio 1974. Le norme in essi contenute riguardavano, tra l’ altro:
·
Istituzione e riordinamento degli organi
collegiali della scuola
·
Sperimentazione e ricerca educativa,
aggiornamento culturale e professionale;
·
Stato giuridico del personale della scuola
statale.
Nel 1977, con la legge n. 517,
si sancì che, in una scuola realmente aperta a tutti devono trovare
posto anche alunni portatori di handicap.
Nel 1990, con la legge 5 giugno
1990, n. 148 si attuò la riforma della scuola elementare. L’ art. 1,
comma 1 della legge stabilisce che la scuola elementare provvede alla
formazione dell’ uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla
Costituzione e nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità
individuali, sociali e culturali. In base al comma 2 dell’ art. 1 la scuola
elementare assicura la continuità del processo formativo mediante
opportuni raccordi con la scuola materna e con quella media.
L’ art. 3 stabilisce che le
classi non possono essere formate da più di 25 alunni, salvo il limite
di 20 sancito per le classi nelle quali ci sono portatori di handicap.
Novità importante
è prevista nell’ art. 10, il quale sancisce che nella scuola
elementare deve essere insegnata una lingua straniera.
Molti dei provvedimenti
normativi su scuola e istruzione sono stati raccolti in un Testo Unico
(decreto legislativo n. 297 del 16 aprile 1994). Tuttavia il quadro normativo
non si esaurisce con il T.U. Occorre infatti considerare altre norme che
completano il quadro, come ad esempio la normativa contrattuale, quella sul
pubblico impiego e le norme intervenute dopo l’ emanazione del T.U. a
regolare la materia.
Tra queste consideriamo le
più significative:
·
La legge 10 dicembre 1997, n. 425, che ha
riformato gli esami di maturità;
·
La legge 10 febbraio 2000, n. 30, che ha
riformato i cicli d’ istruzione;
·
La legge 20 gennaio 1999, n. 9, che ha
innalzato l’ obbligo scolastico;
·
La legge 17 maggio 1999, n. 144, che ha
introdotto l’ obbligo formativo.
Con riferimento al primo
provvedimento, esso ha articolato il nuovo esame di Stato su 3 prove scritte
di cui una a carattere multidisciplinare, e una prova orale. La legge ha
inoltre introdotto la valutazione in centesimi ed il parametro valutativo del
credito scolastico.
Il secondo strumento normativo
menzionato, ossia la legge n. 30 del 2000 ha basato il sistema scolastico su 2
cicli d’ istruzione (scuola di base e scuola secondaria) in luogo dei
precedenti 3. Tale legge non è stata sostanzialmente attuata ed
è stata completamente superata dalla legge 28 marzo 2003, n. 53
(riforma Moratti).
Il terzo provvedimento (l. 9
del 1999) ha portato l’ obbligo scolastico da 8 a 10 anni.
L’ ultimo provvedimento
menzionato (legge 144 del 1999) prevede, a partire dall’ anno scolastico
1999-2000, l’ obbligo di frequentare attività formative fino al
compimento del 18° anno d’ età. Tale obbligo può essere assolto
nel sistema scolastico, in quello della formazione professionale di
competenza regionale e nell’ esercizio dell’ apprendistato.
5. LA RIFORMA MORATTI
La riforma operata dal Ministro
dell’ Istruzione Letizia Moratti si è concretizzata nella legge 28
marzo 2003, n. 53. Detta legge contiene la “delega al Governo per la
definizione delle norme generali sull’ istruzione e dei livelli essenziali
delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale”.
L’ art. 1 comma 1 della legge
stabilisce che il Governo è delegato ad adottare, entro 24 mesi dall’
entrata in vigore, uno o più decreti legislativi per la definizione
delle norme generali sull’ istruzione e dei livelli essenziali delle
prestazioni. Ciò al fine di favorire la crescita e la valorizzazione
della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’ età evolutiva, delle
differenze e dell’ identità di ciascuno e delle scelte educative della
famiglia, nel quadro della cooperazione
tra scuola e genitori, in coerenza con il principio dell’ autonomia
scolastica e con i principi della Costituzione.
L’ art. 2 stabilisce i principi
ed i criteri direttivi su cui si devono basare i decreti legislativi. I
più significativi sono:
·
Promozione dell’ apprendimento in tutto l’ arco
della vita; pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali
e di sviluppare le capacità e le competenze;
·
Promozione del conseguimento di una formazione
spirituale e morale, anche ispirata ai principi della Costituzione;
·
Deve essere assicurato a tutti il diritto all’
istruzione ed alla formazione per almeno 12 anni e comunque sino al conseguimento di una
qualifica entro il diciottesimo anno d’ età;
·
Il sistema di istruzione e formazione
professionale si basa su una scuola dell’ infanzia, su un primo ciclo (scuola
primaria e scuola secondaria di 1° grado) e su un secondo ciclo (licei e
sistema di istruzione e formazione professionale);
·
La scuola dell’ infanzia dura 3 anni e
concorre all’ educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo,
morale, religioso e sociale dei bambini e delle bambine dai 3 ai 6 anni;
·
Il primo ciclo di istruzione è
costituito dalla scuola primaria che dura 5 anni e dalla scuola secondaria di
1° grado, che dura 3 anni. La scuola primaria è strutturata in un primo
anno nel quale si devono raggiungere le strumentalità di base e in due
periodi didattici biennali. La scuola secondaria di primo grado è
articolata in un biennio e in un terzo anno che completa prioritariamente il
percorso e assicura il raccordo con il secondo ciclo; la scuola primaria
promuove lo sviluppo della personalità nel rispetto delle
diversità individuali, fa acquisire e sviluppare le conoscenze e le
abilità di base fino alle prime sistemazioni logico-critiche. Inoltre
deve far conoscere almeno una lingua dell’ Unione Europea oltre la lingua
italiana;
·
Il secondo ciclo è finalizzato alla
crescita educativa, culturale e professionale dei giovani, allo sviluppo
dell’ autonoma capacità di giudizio e all’ esercizio della
responsabilità personale e sociale.
L’ art. 4
della legge prevede l’ alternanza scuola-lavoro. Gli studenti che hanno
compiuto il quindicesimo anno d’ età possono frequentare i corsi del
2° ciclo in alternanza scuola-lavoro. Anche per quanto riguarda questa
materia il Governo è delegato all’ emanazione di un apposito decreto
legislativo, secondo principi e criteri direttivi, tra cui:
·
Svolgimento dell’ intera formazione dai 15 ai
18 anni attraverso l’ alternanza scuola-lavoro sotto la responsabilità
dell’ istituzione scolastica o formativa sulla base di convenzioni con le
imprese, con le rispettive associazioni di rappresentanza o con le Camere di
Commercio
·
Fornire indicazioni generali per il
reperimento e l’ assegnazione delle risorse finanziarie necessarie alla
realizzazione dei percorsi di alternanza.
Per quanto
riguarda la formazione degli insegnanti, l’ art. 5 stabilisce principi e
criteri direttivi ai quali si devono uniformare i decreti legislativi di cui
all’ art. 1. Tra questi ricordiamo:
·
La formazione di base per gli insegnanti deve
essere di pari dignità per tutti i docenti e avviene nei corsi
universitari di laurea specialistica.
Il primo provvedimento
normativo attuativo della riforma Moratti è il decreto legislativo 19
febbraio 2004, n. 59. Esso contiene norme di carattere generale sulla scuola
dell’ infanzia, sul primo ciclo d’ istruzione e sulle prestazioni essenziali
che devono essere fornite da tutte le istituzioni scolastiche.
Il decreto è abbastanza
schematico e contiene disposizioni riguardanti le finalità, l’
accesso, le attività educative e didattiche ed il sistema di
valutazione nella scuola dell’ infanzia e nel primo ciclo d’ istruzione
(scuola primaria e scuola secondaria di 1° grado). Per quanto concerne il
termine del primo ciclo d’ istruzione, sono previsti esami di stato.
Nel decreto sono anche
contenuti degli allegati indicanti le indicazioni nazionali per i piani
personalizzati delle attività educative nelle scuole dell’ infanzia
(allegato A), le indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati
nella scuola primaria (allegato B) e in quella secondaria di 1° grado
(allegato C).
Infine, l’ allegato D contiene
il “profilo educativo, professionale e culturale dello studente alla fine del
primo ciclo d’ istruzione (6-14 anni)”.
Le scuole devono attenersi ai
piani suddetti, agendo però in autonomia. Ciò significa che
hanno valore vincolante solamente gli obiettivi generali e quelli specifici
di apprendimento.
Altro decreto di attuazione
della riforma Moratti è il decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 76,
il quale contiene le norme generali sul diritto-dovere all’ istruzione e alla
formazione professionale.
Il diritto-dovere dell’
istruzione si realizza nei 2 cicli di scuola primaria e scuola secondaria.
Poiché, come è stato
già detto, l’ istruzione costituisce anche un dovere sociale (cfr. l’
art. 4 della Costituzione), è necessario anche porre delle norme
riguardanti la vigilanza sul rispetto dell’ obbligo scolastico. In base all’
art. 7 del decreto sono previsti meccanismi sanzionatori per gli
inadempimenti. La responsabilità per l’ adempimento dell’ obbligo
spetta ai genitori dei minori o a coloro che ne fanno le veci. Alla
vigilanza, invece, provvedono:
·
Il comune di residenza dei giovani soggetti
all’ adempimento;
·
I dirigenti scolastici o i responsabili;
·
I servizi per l’ impiego.
Gli studenti possono assolvere
all’ obbligo scolastico, per quanto riguarda il 2° ciclo, anche attraverso il
percorso formativo di alternanza scuola-lavoro, tra i 15 ed i 18 anni d’
età. Ciò in base al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77.
I percorsi di alternanza sono progettati, attuati, verificati e valutati
sotto la responsabilità dell’ istituzione scolastica, sulla base di
accordi con le imprese, con le associazioni di rappresentanza di queste, le
camere di commercio e altri enti, pubblici o privati. I percorsi di
alternanza si svolgono alternando, appunto, periodi di apprendimento in aula
e periodi di lavoro in imprese.
L’ ultimo dei decreti attuativi
della riforma Moratti è il d. lgs. 17 ottobre 2005, n. 226, il quale
ha riformato il secondo ciclo d’ istruzione ossia quello riguardante la
scuola secondaria superiore.
L’ art. 1, comma 3, del decreto
sancisce che nel secondo ciclo di istruzione si persegue la formazione
intellettuale, spirituale e morale degli studenti, anche ispirata ai principi
della Costituzione, lo sviluppo della coscienza storica, dell’ appartenenza
alla comunità locale, alla collettività nazionale e alla
civiltà europea. Il secondo ciclo è costituito dal sistema dei
licei e della formazione professionale. Esso realizza il secondo grado dell’
obbligo (del diritto-dovere) di istruzione e formazione professionale.
Sempre in base all’ art. 1 del
decreto, lo Stato garantisce i livelli essenziali delle prestazioni relative
al secondo ciclo d’ istruzione e formazione professionale.
In base all’ art. 2 del
decreto, la finalità essenziale del secondo ciclo è quella di
fornire gli strumenti metodologici e culturali per una comprensione
approfondita ed elevata dei temi legati alla società e alla persona
nella realtà contemporanea. Ciò affinché lo studente si ponga
di fronte ad essa con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico.
I percorsi liceali hanno durata
quinquennale e si concludono con un esame di Stato. Il sistema dei licei si
sviluppa in 8 articolazioni:
·
Liceo classico;
·
Liceo scientifico;
·
Liceo artistico;
·
Liceo linguistico;
·
Liceo economico;
·
Liceo musicale e coreutico;
·
Liceo delle scienze umane;
·
Liceo tecnologico.
Ognuna di queste articolazioni
approfondisce la cultura liceale nei vari ambiti specifici.
Come abbiamo avuto modo di
vedere, la scuola dell’ infanzia fu istituita nel 1968, con la legge n. 444
ed ha finalità di educazione, sviluppo della personalità
infantile e preparazione alla scuola dell’ obbligo, integrando l’ opera della
famiglia. La scuola dell’ infanzia non è obbligatoria, ma facoltativa;
la frequenza è gratuita.
In base a quanto stabilito
dalla riforma Moratti e dal decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, la
scuola materna ha durata triennale e concorre allo sviluppo affettivo,
psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale dei bambini dai 3 ai 6
anni.
L’ orario di funzionamento
varia da un minimo di 875 ore annuali ad un massimo di 1700, comprensive
della quota riservata alle regioni, alle istituzioni scolastiche autonome e
all’ insegnamento della religione cattolica.
La scuola primaria dura 5 anni
ed è articolata in un anno di raccordo con la scuola dell’ infanzia e
teso al conseguimento delle strumentalità di base. Gli altri 4 anni
costituiscono due periodi didattici biennali.
La scuola elementare ha la
finalità di promuovere la formazione dell’ uomo e del cittadino
secondo i principi della Costituzione, di dare la prima alfabetizzazione
culturale e di sviluppare la personalità del fanciullo.
Per quanto concerne gli
insegnanti, fino ad oggi operano, dopo un primo periodo in cui c’ era l’
insegnante unico, 3 docenti su 2 classi. La prospettiva che si pone oggi,
invece, è quella di un ritorno al maestro unico.
L’ orario annuale delle
lezioni, comprensivo della quota riservata alle regioni, all’ autonomia delle
istituzioni scolastiche e all’ insegnamento della religione cattolica
è di 891 ore. Il tempo dedicato alla mensa e al dopo mensa è di
330 ore massime.
Per quanto riguarda la
valutazione, essa è affidata ai docenti responsabili delle
attività didattiche ed educative previste dai piani di studio
personalizzati; essa è periodica e annuale.
L’ art. 7, commi 5, 6, 7, del
decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, prevede che per le
attività di cui al comma 2, ossia quelle attività legate alla
personalizzazione del piano di studi, un docente tutor in possesso di una specifica formazione svolga una funzione
di orientamento in ordine alla scelta delle stesse.
La scuola secondaria di primo
grado (scuola media), è articolata in tre anni. Come abbiamo
già avuto modo di vedere, la scuola media unica fu istituita nel 1962;
prima di questo anno esistevano la scuola media e la scuola per l’ avviamento
professionale.
La scuola media è di
formazione dell’ uomo e del cittadino, che colloca nel mondo, orientativa e
secondaria.
La riforma Moratti e il decreto
legislativo n. 59 del 2004, attuativo della stessa, hanno sancito che la
scuola media:
·
È finalizzata alla crescita delle
capacità autonome di studio e al rafforzamento delle attitudini all’
interazione sociale;
·
Organizza ed accresce, anche attraverso l’
alfabetizzazione e l’ approfondimento delle tecnologie informatiche, le
conoscenze e le abilità;
·
È caratterizzata dalla diversificazione
didattica e metodologica in relazione allo sviluppo della personalità
dell’ allievo;
·
Cura la dimensione sistematica delle
discipline;
·
Sviluppa progressivamente le competenze e le
capacità di scelta in base alle attitudini;
·
Fornisce strumenti adeguati alla prosecuzione
delle attività di istruzione e formazione;
·
Introduce lo studio di una seconda lingua
dell’ Unione Europea;
·
Orienta le successive scelte di istruzione e di
formazione.
L’ orario annuale della scuola
media è di 891 ore. Possono essere organizzati altri insegnamenti ed
attività per ulteriori 198 ore annue.
Anche per la scuola secondaria
di 1° grado è previsto il docente tutor
per l’ organizzazione e la scelta delle attività dei piani di studio
personalizzati.
La valutazione avviene da parte
dei docenti su tutti gli apprendimenti, sia obbligatori sia opzionali; ai
fini della validità dell’ anno scolastico, l’ alunno deve aver
frequentato almeno i ¾ dell’ orario annuale obbligatorio e facoltativo
prescelto.
Il primo ciclo di istruzione si
conclude con un esame di Stato.
La scuola secondaria di 2°
grado ha lo scopo di preparare gli studenti agli studi universitari o all’
entrata nel mondo del lavoro.
Prima che nel 2003 intervenisse
la riforma Moratti, la scuola superiore era organizzata nel sistema dei
licei, che prevedeva:
·
Il liceo classico;
·
Il liceo scientifico;
·
L’ istituto magistrale (per la preparazione
degli insegnanti elementari);
·
La scuola magistrale (per la preparazione all’
insegnamento nella scuola materna);
·
Gli istituti tecnici;
·
Gli istituti professionali;
·
I licei artistici;
·
Gli istituti d’ arte.
La riforma Moratti (legge n. 53
del 2003) ha ridisegnato il secondo ciclo d’ istruzione, che ora risulta
disciplinato dal decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226.
Il secondo ciclo è
articolato nel sistema dei licei e in quello dell’ istruzione e della formazione
professionale, che sono considerati di pari dignità; essi si
propongono il fine di promuovere l’ educazione alla convivenza civile, la
crescita educativa, culturale e professionale dei giovani.
La parola “liceo” deriva dalla
scuola che Aristotele fondò nel 336 a.C. nel ginnasio dedicato ad Apollo
Licio. Il liceo di Aristotele è considerato la prima scuola superiore
della storia e costituisce forse la massima istituzione culturale dell’
antichità. I licei sono dunque le fondamentali scuole che trasmettono
la cultura più alta.
In base all’ art. 2 del decreto
legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, “i percorsi liceali forniscono allo
studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione
approfondita ed elevata dei temi legati alla persona ed alla società
contemporanea, affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo,
progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai suoi fenomeni e ai
problemi che la investono, ed acquisisca la padronanza di conoscenze,
competenze, abilità e capacità, generali e specifiche, coerenti
con le attitudini e le scelte personali, e le competenze adeguate all’
inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro”.
I percorsi liceali hanno durata
quinquennale e si concludono con l’esame di Stato.
In base alla legge 2 aprile
2007, n. 40, gli istituti tecnici e professionali sono considerati parte del
sistema di istruzione secondaria in luogo dei percorsi liceali economico e
tecnologico.
Prescrive l’ art. 13, comma 1-bis del decreto coordinato con la
legge di conversione, che gli istituti tecnici e professionali sono
finalizzati al conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore e
attivano ogni opportuno
collegamento con il mondo del lavoro e dell'impresa, ivi compresi il
volontariato e il privato sociale, con la formazione professionale, con l'
universita' e la ricerca e con gli enti locali.
Esistono varie tipologie di
istituti tecnici e professionali. Per quanto riguarda i primi ricordiamo:
·
Istituto tecnico commerciale;
·
Istituto tecnico industriale;
·
Istituto tecnico per geometri;
·
Istituto tecnico agrario;
·
Istituto tecnico turistico;
·
Istituto tecnico per le attività
sociali;
·
Istituto tecnico aeronautico;
·
Istituto tecnico per perito aziendale e
corrispondente in lingue estere.
Fra i secondi:
·
Istituto professionale agrario;
·
Istituto professionale abbigliamento e moda;
·
Istituto professionale chimico e biologico;
·
Istituto professionale elettrico ed
elettronico;
·
Istituto professionale meccanico-termico;
·
Istituto professionale alberghiero e della
ristorazione;
·
Istituto professionale economico aziendale e
turistico;
·
Istituto professionale per la
pubblicità;
·
Istituto professionale per i servizi sociali.
Anche il percorso degli
istituti tecnici e professionali si conclude con l’ esame di Stato.
L’ art. 33 della Costituzione
sancisce che enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituzioni
educative senza oneri per lo Stato. Questo è il principio del
pluralismo nell’ istruzione: oltre lo Stato, infatti, anche altre istituzioni
(anche private e religiose, per esempio), possono istituire scuole a
determinate condizioni. Tali condizioni sono stabilite sia in Costituzione,
sia anche da fonti legislative ordinarie, quali la legge sulla parità
scolastica (legge 10 marzo 2000, n. 62). Per quanto concerne la Costituzione si
è già detto che essa prescrive che le istituzioni educative non
statali devono essere istituite senza oneri per lo Stato. Per quanto riguarda
invece la legge sulla parità scolastica, essa stabilisce all’ art. 1,
comma 4, che le scuole non statali (definite paritarie) siano in linea con i
seguenti principi:
a)
un progetto educativo in armonia con i
princípi della Costituzione; un piano dell'offerta formativa conforme agli
ordinamenti e alle disposizioni vigenti; attestazione della titolarità
della gestione e la pubblicità dei bilanci;
b) la
disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche propri del
tipo di scuola e conformi alle norme vigenti;
c) l'istituzione e il
funzionamento degli organi collegiali improntati alla partecipazione
democratica;
d) l'iscrizione alla
scuola per tutti gli studenti i cui genitori ne facciano richiesta, purché in
possesso di un titolo di studio valido per l'iscrizione alla classe che essi
intendono frequentare;
e) l'applicazione delle
norme vigenti in materia di inserimento di studenti con handicap o in
condizioni di svantaggio;
f) l'organica
costituzione di corsi completi: non può essere riconosciuta la
parità a singole classi, tranne che in fase di istituzione di nuovi
corsi completi, ad iniziare dalla prima classe;
g) personale docente
fornito del titolo di abilitazione;
h) contratti individuali
di lavoro per personale dirigente e insegnante che rispettino i contratti
collettivi nazionali di settore.
I direttori scolastici
regionali hanno la facoltà di eseguire controlli sull’ esistenza dei
succitati requisiti con una periodicità non eccedente il triennio.
Possiamo notare, dunque, che il
sia il Costituente che il legislatore ordinario hanno inteso stabilire un
sistema di istruzione misto, basato sul pubblico e sul privato, in modo da
realizzare un sano ed equilibrato pluralismo, congeniale ad una
società aperta e democratica.
Tuttavia, però, siccome
l’ istruzione costituisce un settore importante e di dimensione pubblica, lo
Stato pone comunque dei vincoli e delle condizioni per il suo corretto
esercizio da parte di altri enti.
La suddivisione delle scuole
non statali in varie tipologie non vale per la scuola materna.
Invece le scuole elementari non
statali si dividono in:
- scuole parificate: sono quelle create da enti ed associazioni
aventi personalità giuridica ed equipollenti a quelle statali. Lo
Stato contribuisce tramite convenzione per le spese dovute al compenso dei
docenti, che devono percepire lo stipendio legale;
- scuole sussidiate: sono scuole aperte da privati con
l’autorizzazione dell’ ufficio scolastico regionale nelle località
dove non esistono altre scuole statali o parificate. Esse percepiscono un
sussidio dallo Stato, in forma di premio ai docenti;
- scuole private autorizzate: sono autorizzate con un provvedimento
del Direttore didattico competente per territorio e gestite da cittadini che
siano in possesso di diploma di maturità magistrale, classica o
tecnica. Esse devono uniformarsi agli obiettivi dei programmi in vigore per
la scuola elementare statale e sono sottoposte alla vigilanza dell’ ufficio
scolastico regionale.
Le scuole secondarie non
statali sono suddivise in:
- scuole legalmente riconosciute: sono istituite da enti o privati
cittadini che rilasciano titoli di studio legali; il riconoscimento è
accordato se sussistono determinate condizioni, quali: sede scolastica con
caratteristiche di sicurezza, igieniche, didattiche consone; insegnamenti ed
esercitazioni dello stesso tipo di quelle impartite nelle scuole statali
dello stesso tipo; docenti e personale direttivo con gli stessi requisiti di
quelli della scuola statale; alunni provvisti di titoli di studio per le
classi che frequentano.
- scuole
pareggiate: sono quelle mantenute da enti pubblici o da enti
ecclesiastici indicati dall’
art. 29 del Concordato. Per il pareggiamento sono previsti determinati
requisiti, quali: numero e tipo di cattedre uguali a quelli delle
corrispondenti scuole statali; personale docente nominato a seguito di
pubblico concorso; trattamento economico iniziale per il personale di ruolo
pari a quello delle scuole statali.
- scuole private: sono create da enti o privati con presa d’ atto
da parte del Ministero della Pubblica Istruzione. Possono svolgere la loro
attività senza l’ autorizzazione del Ministero, ma il Ministro
può disporre la loro chiusura per motivi di ordine morale o didattico.
Le scuole private non possono rilasciare titoli di studio con valore legale,
possono essere aperte alla generalità dei cittadini ed i loro piani di
studi possono non essere conformi a quelli delle scuole statali.
Il nostro ordinamento
costituzionale riconosce e garantisce alle istituzioni scolastiche l’
autonomia, che si concretizza in vari ambiti: essa è autonomia
finanziaria, contabile, didattica, organizzativa, di sperimentazione e
funzionale.
In base a quanto sancito dall’
art. 21 della legge 59 del 1997, si attua prima di tutto attraverso l’
attribuzione della personalità giuridica alle istituzioni scolastiche.
La personalità giuridica viene accordata alle scuole che raggiungano,
entro e non oltre il 31 dicembre 2000, una ben precisa dimensione, definita
come dimensione ottimale sulla base di precisi parametri economici, sociali,
demografici e geografici dei relativi bacini di utenza.
Il comma 5 dell’ art. 21 della
legge 59 del 1997, come modificato dal decreto-legge 28-8-2000, n. 240,
convertito nella legge 27-10-2000, n. 306, ha previsto che lo Stato eroghi alle
scuole una dotazione finanziaria ordinaria determinata sulla base di
parametri fissi e, in particolari casi, un’ assegnazione perequativa.
Le risorse assegnate dallo
Stato hanno come unico vincolo di destinazione quello dello svolgimento delle
attività di istruzione, formazione, orientamento.
L’ autonomia contabile, come
prevista dal d.m. 1-2-2001, n. 44, si concretizza nell’ autonoma allocazione
delle risorse.
Trattando di autonomia
didattica occorre premettere che esiste un sistema nazionale di istruzione.
Ciò implica che il nucleo essenziale dell’ istruzione costituisce
materia di interesse nazionale e non può essere frammentato.
Ciò detto, tuttavia, bisogna dire che il perseguimento degli scopi del
sistema nazionale di istruzione viene raggiunto anche attraverso l’ autonomia
didattica delle istituzioni scolastiche.
L’ autonomia didattica si
traduce nella scelta libera e programmata delle metodologie, degli strumenti,
dell’ organizzazione e dei tempi di insegnamento. In attuazione dell’
autonomia didattica possono anche essere offerti insegnamenti opzionali,
facoltativi ed aggiuntivi.
Il documento fondamentale
attraverso il quale si esplica l’ autonomia didattica è il Piano dell’
offerta formativa (POF). Esso viene elaborato dal Collegio dei docenti sulla
base degli indirizzi generali per le attività della scuola e sulla
base delle scelte di gestione e di amministrazione definiti dal consiglio di
circolo e di istituto. Nell’ elaborazione del POF il collegio dei docenti deve
anche tenere in considerazione i pareri delle associazioni dei genitori e,
per quanto riguarda la scuola secondaria di secondo grado, degli studenti.
Attraverso il POF, l’
istituzione scolastica esprime la propria identità culturale e
progettuale delineando gli itinerari curricolari, extracurricolari ed
educativi.
L’ autonomia organizzativa
consente alle istituzioni scolastiche di organizzarsi liberamente al fine di
realizzare la flessibilità, la diversificazione, l’ efficienza e l’
efficacia del servizio scolastico, la migliore utilizzazione delle risorse e
delle strutture.
Le scuole esercitano anche,
singolarmente o in forma associata, l’ autonomia di ricerca, sperimentazione
e sviluppo in armonia con le esigenze del contesto culturale, sociale ed
economico delle realtà locali.
L’ autonomia di ricerca,
sperimentazione e sviluppo si esplica, per esempio, attraverso l’ innovazione
metodologica e disciplinare, la formazione e l’ aggiornamento culturale del
personale, gli scambi di informazioni, esperienze e materiali didattici.
La scuola vede riconosciuto
anche l’ esercizio di funzioni e competenze in precedenza proprie delle
istituzioni dell’ amministrazione centrale e periferica relative a:
- carriera scolastica e
rapporto con gli alunni;
- amministrazione e gestione
del patrimonio e delle risorse finanziarie;
- stato giuridico ed economico
del personale.
Attualmente e già a
partire dal 2006, il sistema scolastico italiano vive un momento di profondo
rinnovamento o, almeno, di tentativo di rinnovamento, pur tra molte
resistenze.
L’ inizio di questo grande
cambiamento, a giudizio di chi scrive positivo, è iniziato a partire
dal 2006, ed è dovuto all’ azione del Ministro dell’ epoca, Giuseppe
Fioroni, il quale ha avuto il merito di riportare nell’ istituzione
scolastica il necessario rigore, la meritocrazia e la serietà. I
provvedimenti più significativi che sono stati posti in essere durante
la gestione del Ministro Fioroni sono:
·
la legge 11 gennaio 2007, n. 1;
·
il decreto-legge 7 settembre 2007, n. 147,
convertito nella legge 25 ottobre 2007, n. 176.
Il primo provvedimento reca “Disposizioni in materia
di esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria e
delega al Governo in materia di raccordo tra la scuola e le
università”.
Con tale strumento normativo l’
esame di Stato conclusivo della scuola secondaria superiore (cosiddetto esame
di maturità) è stato reso più serio; infatti sono stati
resi più rigidi i criteri di ammissione all’ esame stesso, non essendo
più sufficiente che gli studenti abbiano frequentato l’ ultimo anno di
corso, ma essendo necessario che essi siano stati valutati positivamente
nello scrutinio finale ed abbiano comunque saldato i debiti formativi
contratti nei precedenti anni scolastici. Coloro che vogliono anticipare l’
esame per merito dovranno non solo avere conseguito 8/10 in tutte le materie
nel penultimo anno, ma anche 7/10 nei due anni precedenti.
Il secondo provvedimento, o
meglio la legge di conversione, reca, tra l’ altro, “disposizioni urgenti per
l’ ordinato avvio dell’ anno scolastico 2007-2008” e ha ristabilito il
tempo pieno. Inoltre ha stretto le maglie per i provvedimenti disciplinari
nei confronti:
·
dei docenti assenteisti, per i quali si
abbassa il termine per l’ irrogazione di sanzioni;
·
dei docenti che si sono resi colpevoli di
reati gravi che possono essere sospesi cautelativamente dal Capo d’ istituto;
Per quanto riguarda i candidati
esterni agli esami di maturità, essi potranno esprimere preferenze per
gli istituti nei quali sostenere l’esame, ma sarà comunque il
dirigente preposto all’ ufficio scolastico regionale ad assegnare la sede d’
esame.
Il “decreto Fioroni” prevede
poi regole più severe per l’ ammissione all’ esame di terza media, che
è a tutti gli effetti esame di Stato: è infatti previsto un
giudizio di ammissione.
Tra gli interventi positivi
realizzati dal Ministro Fioroni, ricordiamo anche il suo impegno contro il
bullismo nelle scuole come testimonia, per esempio, la direttiva n. 16 del 5
febbraio 2007, e il decalogo del 15 marzo 2007 con cui si vieta l’ uso dei
cellulari nelle scuole, sia da parte
degli studenti che da parte dei docenti.
Dobbiamo considerare, poi, che il Ministro Fioroni ha stabilito tempi
più certi per il recupero dei debiti formativi degli studenti delle
scuole superiori, per cui se uno studente non colma le sue lacune entro il 31
agosto o, comunque, prima che inizi il nuovo anno scolastico, dovrà
ripetere l’ anno. Da ultimo, e ciò non sembri soltanto un formalismo
di poco conto, egli ha reintrodotto la definizione di “Ministero della Pubblica Istruzione”, in luogo della
precedente definizione, che qualificava il Dicastero come “Ministero dell’
Istruzione, dell’ Università e della Ricerca”.
La positiva azione portata
avanti dal Ministro Fioroni sembra continuare anche con il nuovo responsabile
dell’ istruzione, Mariastella Gelmini.
Il provvedimento più
significativo del nuovo Ministro è il decreto-legge 1 settembre 2008, n. 137,
recante “disposizioni urgenti in materia di istruzione ed Università”.
Il decreto è stato approvato dalla Camera dei Deputati il 9 ottobre
scorso ed il Senato ha tempo fino al prossimo 31 ottobre per approvarlo.
Le disposizioni più
importanti contenute nel decreto sono le seguenti:
- Assegnazione delle classi
elementari ad un insegnante unico;
- deve essere espressa una
valutazione sulla condotta degli studenti e solamente se questa è
positiva (non inferiore ai 6 decimi), l’ alunno sarà ammesso a
frequentare l’ anno successivo;
- nella scuola secondaria di
primo grado la valutazione periodica ed annuale dell’ apprendimento degli
alunni è espressa in decimi (ossia, c’ è un ritorno ai voti
numerici);
- adozione dei libri di testo
con cadenza quinquennale per evitare spese ingiustificate;
- studio dell’ educazione
civica e della Costituzione;
- finanziamento per interventi
nell’ edilizia scolastica e per la messa in sicurezza degli istituti.
Questo provvedimento, ancora
non divenuto legge, viene proprio in questi giorni contestato, spesso
aspramente, da più parti, ma a parere di chi scrive è positivo
e segue la via già tracciata dal precedente Ministro, Giuseppe
Fioroni, riportando rigore e serietà nel sistema d istruzione
italiano.
Particolarmente
positivo risulta il fatto che il decreto Gelmini reintroduca lo studio dell’
educazione civica e della Costituzione, indispensabile affinché si formi una
coscienza nazionale nei cittadini fin dalla tenera età.
Qualche
perplessità si potrebbe forse manifestare a proposito della
reintroduzione del maestro unico, ma del resto è forse più
opportuno che i bambini abbiano una sola figura alla quale fare riferimento.
Il problema deriva semmai dal fatto che molti insegnanti resteranno senza
lavoro, ma bisogna considerare il fatto che la scuola deve essere a misura
dei discenti, e non a misura dei docenti. Il problema degli insegnanti in
più deve essere certamente risolto, ma non di tutto può farsi
carico la scuola.
Le perplessità sulla
gestione del sistema dell’ istruzione da parte dell’ attuale amministrazione
possono manifestarsi anche con riferimento ai tagli che l’ attuale Governo
sta operando. A proposito di ciò si devono svolgere alcune
considerazioni; da una parte bisogna tenere presente che il sistema
scolastico va razionalizzato eliminando inutili sprechi, rendite di posizione
e privilegi; ciò soprattutto in tempi di crisi internazionale quali
sono quelli che stiamo vivendo oggi. Tuttavia la giusta opera di
razionalizzazione e snellimento delle spese va contestualizzata in un ambito
più ampio: infatti, se è vero che si sta vivendo un periodo di
crisi grave, ciò vale per ogni settore della vita pubblica: questo
implica che, se si deve procedere a tagli finanziari, non possono essere solo
alcuni settori, per di più di capitale importanza (l’ istruzione e la
sanità che oggi non può contare più nemmeno su un
Ministero ad hoc, per esempio) a sopportarne il peso; i tagli
dovrebbero, per quanto possibile, distribuiti su tutti i settori. Oggi,
invece, si ridimensionano le risorse per l’ istruzione da una parte e si
danno aiuti a piene mani alle banche ed alle industrie in difficoltà
per la crisi finanziaria in atto dall’ altra, rispondendo positivamente ai diktat
della Confindustria che assomiglia oggi più ad una lobby di
affaristi che a quella borghesia illuminata e lungimirante che forse l’
Italia non ha mai avuto.
A conclusione del nostro
discorso possiamo dire che il sistema di istruzione italiano ha un grande
bisogno di rigore e di serietà se vuole formare una classe dirigente
degna e preparare le giovani generazioni a vivere e lavorare in un mondo
selettivo e globalizzato quale è quello nel quale viviamo oggi. L’
azione iniziata da Giuseppe Fioroni
nel 2006 e proseguita da Mariastella Gelmini oggi sembra essere, pur tra le
inevitabili ombre, quella giusta per il raggiungimento di questo obiettivo.
·
CALCERANO (L.), MARTINEZ Y CABRERA (G.), Scuola,
voce tratta da Enciclopedia del diritto, vol. XLI, CEDAM, Padova,
1989;
·
SANDULLI (A.), Istruzione, voce tratta
dal Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, vol. IV, Giuffré,
Milano, 2006;
·
Manuale di preparazione al concorso per 100
assistenti al Ministero della Pubblica Istruzione, Simone, 2007.
-
www.asca.it;
·
www.camera.it;
·
www.comune.san-piero-a-sieve.fi.it;
·
www.corriere.it;
·
www.ilsole24ore.com
·
www.istruzione.it;
·
www.lastampa.it;
·
www.liceoamaldi.it;
·
www.parlamento.it;
·
www.senato.it;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 77 e 87
della Costituzione [1];
Ritenuta la straordinaria necessità
ed urgenza di emanare disposizioni per l’attivazione nei percorsi di
istruzione di insegnamenti relativi alla cultura della legalità e del
rispetto dei principi costituzionali, per disciplinare le attività
connesse alla valutazione complessiva del comportamento degli studenti
nell’ambito della comunità scolastica, per ripristinare il valore
abilitante dell’esame finale del corso di laurea in Scienze della formazione
primaria e per la semplificazione e razionalizzazione delle procedure di
accesso alle scuole di specializzazione medica;
Vista la deliberazione del
Consiglio dei Ministri adottata nella riunione del 28 agosto 2008;
Sulla proposta del presidente del
Consiglio dei Ministri e dei Ministri dell’istruzione, dell’università
e della ricerca, dell’economia e delle finanze, e per la pubblica
amministrazione e per l’innovazione;
EMANA
Il seguente decreto-legge
Articolo 1.
Cittadinanza e
Costituzione
1. A
decorrere dall’inizio dell’anno scolastico 2008/2009, oltre ad una
sperimentazione nazionale, ai sensi dell’articolo 11, del D.P.R. n. 275dell’8 marzo 1999 [2],
sono attivate azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale
finalizzate all’acquisizione nel primo e nel secondo ciclo di istruzione
delle conoscenze e delle competenze relative a "Cittadinanza e
Costituzione", nell’ambito delle aree storico-geografica e
storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse.
Iniziative analoghe sono avviate nella scuola dell’infanzia.
2. All’attuazione del presente
articolo si provvede entro i limiti delle risorse umane, strumentali e
finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 2.
Valutazione del
comportamento degli studenti
1. Fermo restando quanto previsto
dal decreto del
Presidente dellaRepubblica 24 giugno 1998, n. 249 [3] e successive
modificazioni, in materia di diritti, doveri e sistema disciplinare degli
studenti nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado, in sede di
scrutinio intermedio e finale viene valutato il comportamento di ogni
studente durante tutto il periodo di permanenza nella sede scolastica anche
in relazione alla partecipazione alle attività ed agli interventi
educativi realizzati dalle istituzioni scolastiche anche fuori della propria
sede.
2. La valutazione del
comportamento è espressa in decimi.
3. La votazione sul comportamento
degli studenti attribuita dal consiglio di classe concorre alla valutazione
complessiva dello studente e determina, se inferiore a sei decimi, la non
ammissione al successivo anno di corso o all'esame conclusivo del ciclo.
Ferma l'applicazione della presente disposizione dall'inizio dell'anno
scolastico di cui al comma 2, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università
e della ricerca sono specificati i criteri per correlare la particolare e
oggettiva gravità del comportamento al voto insufficiente, nonché
eventuali modalità applicative del presente articolo.
Articolo 3.
Valutazione del
rendimento scolastico degli studenti
1. Dall'anno scolastico 2008/2009,
nella scuola primaria la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti
degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite è
espressa in decimi ed illustrata con giudizio analitico sul livello globale
di maturazione raggiunto dall'alunno.
2. Dall'anno scolastico 2008/2009,
nella scuola secondaria di primo grado la valutazione periodica ed annuale
degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi
acquisite è espressa in decimi.
3. Sono ammessi alla classe
successiva, ovvero all'esame di Stato a conclusione del ciclo, gli studenti
che hanno ottenuto un voto non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina
o gruppo di discipline.
4. L'articolo 13, comma
3, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226[4], è
abrogato e all'articolo
177 del decreto legislativo 16 aprile1994, n. 297 [5], sono
apportate le seguenti modificazioni:
a) i commi 2, 5, 6 e 7, sono
abrogati;
b) al comma 3, dopo le parole:
«Per la valutazione» sono inserite le seguenti: «, espressa in decimi,»;
c) al comma 4, le parole: «giudizi
analitici e la valutazione sul» sono sostituite dalle seguenti: «voti
conseguiti e il»;
d) l'applicazione dei commi 1 e 8
dello stesso articolo 177 resta sospesa fino alla data di entrata in vigore
del regolamento di cui al comma 5;
e) è altresì
abrogata ogni altra disposizione incompatibile con la valutazione del
rendimento scolastico mediante l'attribuzione di voto numerico espresso in
decimi.
5. Con regolamento emanato ai
sensi dell'articolo
17, comma 2, della legge23 agosto 1988, n. 400 [6], su proposta
del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, si
provvede al coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli
studenti e sono stabilite eventuali ulteriori modalità applicative del
presente articolo.
Articolo 4.
Insegnante unico nella
scuola primaria
1. Nell'ambito degli obiettivi di
contenimento di cui all'articolo 64 deldecreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 [7],
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nei
regolamenti di cui al relativo comma 4 è ulteriormente previsto che le
istituzioni scolastiche costituiscono classi affidate ad un unico insegnante
e funzionanti con orario di ventiquattro ore settimanali. Nei regolamenti si
tiene comunque conto delle esigenze, correlate alla domanda delle famiglie,
di una più ampia articolazione del tempo-scuola.
2. Con apposita sequenza
contrattuale e a valere sulle risorse di cui all'articolo 64, comma 9, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla
legge 6 agosto 2008, n. 133, è definito il trattamento economico
dovuto per le ore di insegnamento aggiuntive rispetto all'orario d'obbligo di
insegnamento stabilito dalle vigenti disposizioni contrattuali.
Articolo 5.
Adozione dei libri di
testo
1. Fermo restando quanto disposto
dall'articolo 15
del decreto-legge 25giugno 2008, n. 112 [8], convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, i competenti organi
scolastici adottano libri di testo in relazione ai quali l'editore si sia impegnato
a mantenere invariato il contenuto nel quinquennio, salvo le appendici di
aggiornamento eventualmente necessarie da rendere separatamente disponibili.
Salva la ricorrenza di specifiche e motivate esigenze, l'adozione dei libri
di testo avviene con cadenza quinquennale, a valere per il successivo
quinquennio. Il dirigente scolastico vigila affinché le delibere del collegio
dei docenti concernenti l'adozione dei libri di testo siano assunte nel
rispetto delle disposizioni vigenti.
Articolo 6.
Valore abilitante della
laurea in scienze della formazione primaria
1. L'esame
di laurea sostenuto a conclusione dei corsi in scienze della formazione
primaria istituiti a norma dell'articolo 3, comma 2, della legge19 novembre 1990, n.
341 [9], comprensivo della valutazione delle attività di
tirocinio previste dal relativo percorso formativo, ha valore di esame di
Stato e abilita all'insegnamento, rispettivamente, nella scuola dell'infanzia
e nella scuola primaria.
2. Le disposizioni di cui al comma
1 si applicano anche a coloro che hanno sostenuto l'esame di laurea
conclusivo dei corsi in scienze della formazione primaria nel periodo
compreso tra la data di entrata in vigore della legge 24 dicembre 2007, n.
244, e la data di entrata in vigore del presente decreto.
Articolo 7.
Sostituzione
dell'articolo 2, comma 433, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
1. Il comma 433
dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244[10], è
sostituito dal seguente:
«433. Al concorso per l'accesso
alle scuole di specializzazione mediche, di cui al decreto legislativo 17
agosto 1999, n. 368, e successive modificazioni, possono partecipare tutti i
laureati in medicina e chirurgia. I laureati di cui al primo periodo, che
superino il concorso ivi previsto, sono ammessi alle scuole di
specializzazione a condizione che conseguano l'abilitazione per l'esercizio
dell'attività professionale, ove non ancora posseduta, entro la data
di inizio delle attività didattiche di dette scuole immediatamente
successiva al concorso espletato.».
Articolo 8.
Norme finali
1. Dall'attuazione del presente
decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica.
2. Il presente decreto entra in
vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la
conversione in legge.
Il presente decreto, munito del
sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti
normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti
di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Roma, addì 1°
settembre 2008
NAPOLITANO
Berlusconi, Presidente del
Consiglio dei Ministri
Gelmini, Ministro dell'istruzione,
dell'università e della ricerca
Tremonti, Ministro dell'economia e
delle finanze
Brunetta, Ministro per la pubblica
amministrazione e l'innovazione
Visto, il Guardasigilli: Alfano
Da cittadinolex.kataweb.it
Schema di piano programmatico
del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di
concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze di cui all’art. 64 del
decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n.
133
PREMESSA
Il nostro sistema d’istruzione sta
vivendo da anni una preoccupante crisi i cui effetti sono tra l’altro
evidenziati da ricorrenti indagini nazionali ed internazionali: a fronte di
una spesa per allievo superiore alla media OCSE, di un rapporto insegnanti
studenti decisamente più alto rispetto alla media europea (9,2
insegnanti per cento studenti che raggiunge l’11,5 se si tiene conto degli
insegnanti di sostegno, degli insegnanti che svolgono attività diverse
dall’insegnamento e dagli insegnanti soprannumerari ecc..), si riscontrano
consistenti divari tra gli esiti scolastici degli studenti italiani e quelli
degli altri paesi OCSE e ritardi significativi nei livelli di conoscenza e di
competenza relativi agli apprendimenti di base ed in particolare della
matematica e della comprensione linguistica. A questo si aggiungono diffuse
forme di disinteresse degli alunni verso la scuola, demotivazione e
stanchezza del personale anche in assenza di incentivi e riconoscimenti del
merito e un preoccupante clima di incertezza e di sfiducia.
Un bilancio deludente che pone una
seria ipoteca sul futuro dei nostri giovani, chiamati a confrontarsi tra loro
in un contesto internazionale globalizzato, dove la conoscenza è
fattore prioritario di crescita personale e collettiva e l’investimento più
produttivo è quello in capitale umano. E’ noto, infatti, che nella
società in cui viviamo la "qualità" delle risorse
umane costituisce un bene primario e strategico di straordinaria importanza
per interpretare correttamente e governare
l’innovazione e il cambiamento,
per sostenere e orientare le vicende economiche, per essere competitivi, per
dare solidità e stabilità alle istituzioni democratiche, per
assicurare coesione sociale e promuovere la piena fruizione dei diritti di
cittadinanza, per raggiungere livelli di benessere accettabili e duraturi.
Ma "qualità"
delle risorse umane significa "qualità" dell’istruzione,
centralità della scuola quale sede privilegiata di formazione
integrale della persona, di crescita umana, civile e culturale delle giovani
generazioni e fondamentale fattore di sviluppo della società nel suo
complesso.
Nel nostro Paese, alle profonde
trasformazioni intervenute nella vita individuale e negli assetti sociali, ai
nuovi scenari disegnati dalla scienza e dalla tecnologia, alle nuove logiche
della produzione e del mercato del lavoro non è corrisposta una
politica dell’istruzione che realizzasse un disegno organico ed un intervento
riformatore unitario e condiviso e, comunque, tale da adeguare alla mutevole
realtà gli ordinamenti scolastici, i percorsi formativi, i modelli
organizzativi e didattico-pedagogici, i profili professionali degli
insegnanti, i sistemi di valutazione.
Le riforme e le innovazioni
introdotte negli ultimi decenni hanno conosciuto vicende alterne e spesso
tormentate, spinte in avanti, ritorni al passato e rifacimenti che ne hanno
impedito la completa attuazione, generando confusione e sensibili ritardi nel
processo di modernizzazione. Si rende perciò necessario un profondo e
sereno ripensamento dell’impianto complessivo del nostro sistema scolastico,
e l’avvio e la gestione di una fase di revisione, riordino ed
"essenzializzazione"
dell’intero quadro normativo,
ordinamentale, organizzativo e operativo. Non tanto si tratta di aggiungere a
quelle esistenti altre soluzioni innovative, ma di razionalizzare e
semplificare l’esistente e rendere pienamente efficienti i servizi scolastici
al fine di raggiungere risultati qualitativi migliori e di più alto
profilo.
Il presente piano programmatico,
elaborato in attuazione dell’art. 64, comma 3, del decreto legge 25 giugno
2008, n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 [1] , si fa
interprete di questa esigenza, individuando un quadro organico di interventi
e misure volti a realizzare contestualmente sia il riassetto della spesa
pubblica sia l’ammodernamento e lo sviluppo del sistema.
Ai fini suddetti sono stati tenuti
in debita evidenza gli elementi di successo degli apprendimenti evidenziati
nel "Quaderno bianco sulla scuola", elaborato d’intesa tra il
Ministero dell’Istruzione e quello dell’Economia e che si ritiene utile
richiamare:
- percorsi formativi
caratterizzati dalla chiarezza dei profili di uscita, dagli obiettivi e dai
livelli di apprendimento per ogni ciclo di studi;
- essenzialità, coerenza e
continuità dei contenuti dei curricoli e dei piani di studio, nella
prospettiva di un progressivo passaggio ad una didattica per competenze, i
cui esiti vanno certificati con "strumenti" oggettivi;
- autonomia didattica e di ricerca
delle scuole nell’organizzare le soluzioni più efficaci per
raggiungere i livelli di apprendimento previsti e per superare i fenomeni di
dispersione e di insuccesso scolastico;
- un sistema di monitoraggio e di
valutazione che misuri conoscenze, competenze e abilità degli studenti
nel tempo, offrendo elementi per una didattica più personalizzata e
assicurando maggiore omogeneità degli esiti tra le diverse aree del
Paese;
- forme integrative della
retribuzione di base, legate al riconoscimento del merito, in un contesto di
autonomia organizzativa, didattica e di ricerca, sia a livello di istituzione
scolastica che di singolo docente.
In consonanza con gli obiettivi e
le strategie utilizzati in ambito internazionale, per realizzare il successo
scolastico, il piano intende coniugare il dato quantitativo relativo al
migliore assetto delle classi e alla riduzione degli indirizzi e dei carichi
orario di insegnamento con quelli della migliore qualità dei servizi
scolastici e di un efficace dimensionamento del sistema e a un più
produttivo impegno degli insegnanti.
Le soluzioni di carattere
strutturale e le politiche del territorio per rivelarsi produttive di effetti
e assicurare il successo scolastico debbono essere sostenute da un corretto e
ben ponderato impiego delle risorse professionali della scuola, attraverso
l’adozione di interventi e misure che, nel mentre eliminino sprechi e
sottoutilizzo di mezzi, responsabilizzino e recuperino motivazioni,
valorizzino il merito, coinvolgano e rendano partecipi nelle scelte,
conferiscano maggior ruolo, diano un più avvertito senso di
appartenenza.
Si rende pertanto necessario ed
urgente procedere alla revisione degli ordinamenti scolastici, dei piani di
studio e dei quadri orari, all’attivazione di politiche del territorio
efficaci, alla definizione e al riordino del sistema di istruzione
professionale corrispondente alle attese ed ai bisogni della
collettività: il tutto all’insegna della
"essenzialità" e della "continuità" e alla
luce di quanto previsto dalle Indicazioni nazionali da ridefinire
rapidamente, tenendo anche conto, per il primo ciclo, degli esiti delle
sperimentazioni in atto.
Si ritiene poi preliminare
rispetto alle altre azioni e non più rinviabile, una complessiva e
incisiva revisione della rete scolastica e dell’offerta formativa sul
territorio, che elimini nel triennio duplicazioni di indirizzi - spesso
frutto della pura sedimentazione di innovazioni successive e della mancanza
di proficui raccordi e interazioni tra i livelli istituzionali, i soggetti e
gli organismi rappresentativi interessati - e legittimi la presenza di
istituzioni scolastiche secondo criteri di
corretto dimensionamento, sulla
base dei parametri
previsti dal DPR 233/98[2]per l’attribuzione dell’autonomia. A tal
fine occorre stabilire una forte interlocuzione con le Regioni e gli Enti
locali, al fine di consentire agli stessi, anche con la collaborazione degli
Uffici Scolastici Regionali e Provinciali, scelte di politica scolastica
più aderenti ai bisogni del territorio e meglio integrate con la formazione
professionale, l’istruzione post-secondaria e l’istruzione per gli adulti.
Per poter raggiungere gli
obiettivi di razionalizzazione e di sviluppo previsti dal presente piano si
richiede, inoltre, un forte impegno che porti ad un’intesa con la Conferenza
unificata e crei le condizioni per una progressiva attuazione di quanto
previsto dal novellato titolo V della Costituzione.
Gli interventi finalizzati al
razionale ed efficace utilizzo delle risorse - che si inseriscono nel
più ampio contesto di un globale riassetto della spesa pubblica che il
Governo è chiamato inderogabilmente ad avviare – mirano ad
incrementare di un punto il rapporto alunni/docenti e a ridurre del 17% la
consistenza del personale ATA. Contrariamente a quanto avvenuto nel passato,
mirano anche a realizzare il riordino complessivo del sistema, attraverso la
valorizzazione
dell’autonomia delle unità
scolastiche, il pieno coinvolgimento delle Regioni e delle Autonomie locali,
una nuova governance territoriale dell’istruzione/formazione e un
più appropriato ed efficace utilizzo delle risorse.
Il 30% delle economie che saranno
realizzate sarà destinato al merito e allo sviluppo professionale del
personale della scuola, la cui partecipazione attiva e responsabile ai
processi innovativi è indispensabile per il buon esito degli stessi.
I provvedimenti che si intende
adottare si pongono, altresì, in una linea di continuità con le
azioni poste in essere nel recente passato, previste dalle leggi finanziarie
2007 e 2008, dal c.d. decreto mille proroghe, dalla normativa sull’obbligo di
istruzione e dalla Legge 40/2007, relativa all’istruzione
tecnico-professionale.
CRITERI DI
PREDISPOSIZIONE E ATTUAZIONE DEL PIANO.
Il citato articolo 64 individua
una rete di collaborazioni interistituzionali per l’organizzazione del
sistema scuola, in grado di assicurare trasparenza e qualità allo
stesso e basata sull’impegno e sul lavoro comune del Ministero
dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, del Ministero
dell’Economia e delle Finanze, delle Regioni e delle Autonomie locali.
Il piano programmatico predisposto
tenendo in debito conto, ai fini della puntuale realizzazione degli
interventi, dell’importante ruolo della citata rete di collaborazioni, si
ispira ai seguenti criteri e principi guida:
− la dimensione territoriale
quale ambito di riferimento sia per l’esercizio delle competenze nazionali e
regionali previste dalla Costituzione, anche in relazione alle attribuzioni
delle Regioni in ordine all’allocazione delle risorse umane disponibili, sia per
la definizione dell’offerta formativa e della rete territoriale di scuole,
sia infine per la gestione del servizio scolastico, nel rispetto delle norme
generali delle prestazioni e secondo criteri che assicurino uno sviluppo
coerente ed omogeneo del sistema scolastico sul territorio nazionale;
− la trasparenza nelle
scelte, con l’individuazione di parametri oggettivi, che consentano di
valutare il percorso di riqualificazione della spesa e di progressivo
riequilibrio territoriale nell’utilizzo delle risorse;
− l’integrazione delle
risorse dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali, per il governo della
flessibilità e la valorizzazione del livello territoriale
nell’individuazione delle soluzioni organizzative più idonee a
rispondere alle esigenze degli studenti e delle loro famiglie;
− l’ottimale dimensionamento
delle scuole autonome e la funzionale previsione di una rete di punti di
erogazione del servizio realmente rispondente ai bisogni dell’utenza che
risiede in aree disagiate (insulari, collinari, montane, etc.);
− la sostenibilità
per gli studenti del carico orario e della dimensione quantitativa dei piani
di studio, opportunamente riducendo l’eccessiva espansione degli insegnamenti
e gli assetti orari dilatati, che si traducono in un impegno dispersivo e
poco produttivo, in parte responsabile degli insuccessi, del fenomeno della
dispersione e dell’abbandono;
− il superamento della
frammentazione e proliferazione degli indirizzi di studio, che disorienta
l’utenza e determina un aumento ingiustificato di docenti, e spesso produce
una modesta qualità dei risultati di apprendimento.
LE AREE DI INTERVENTO
Per ragioni sistematiche e
chiarezza di quadro espositivo si strutturano e articolano gli interventi
programmati con riferimento alle tre aree successivamente indicate,
riconducibili alle fattispecie e tipologie previste dalla legge 133/2008.
Il presente documento
programmatico individua una sequenza organica di azioni strettamente
correlate e interdipendenti secondo una logica unitaria, riferite alle
seguenti macro aree:
1. Revisione degli ordinamenti
scolastici;
2. Riorganizzazione della rete
scolastica, ivi compresi i centri territoriali per l’educazione
degli adulti e i corsi serali;
3. Razionale ed efficace utilizzo
delle risorse umane delle scuole.
ACCELERAZIONE DELLE
PROCEDURE
Al fine di poter disporre di
strumenti normativi che consentano di raggiungere l’obiettivo del
contenimento, della razionalizzazione e della migliore qualificazione dei
servizi scolastici entro i tempi utili per la gestione di tutte le operazioni
concernenti l’anno scolastico 2009/10, si prevederà l’emanazione di
uno o più Regolamenti, secondo la procedura di cui all’art. 64, comma
4, della legge 133/2008, recante i principi base, le modalità ed i
tempi per la realizzazione delle azioni
relative alle aree prima indicate,
da declinare anche attraverso l’adozione di decreti ministeriali e
interministeriali.
In particolare i citati
Regolamenti disciplineranno la revisione dei curricoli del I e II ciclo e
conterranno le indicazioni per l’adozione, entro il mese di dicembre, di una
prima azione volta al dimensionamento e razionalizzazione della rete
scolastica, da realizzare d’intesa con le Regioni, nonché i criteri e le misure
da adottare per l’innalzamento del rapporto alunni docenti a modifica del
D.M. 331/1998.
1. Revisione degli
ordinamenti scolastici.
In questa area si rende necessaria
l’attivazione di iniziative volte sia ad armonizzare e ricondurre in un
quadro coerente i diversi interventi di riforma ordinamentale succedutisi
negli ultimi anni, sia ad operare, all’interno dei diversi ordini di scuola
opportunamente rivisti, una riformulazione degli assetti orari. Nel quadro di
tali iniziative si darà attuazione alla disposizione di cui all’art. 4
del decreto legge 1 settembre 2008, n. 137, concernente la reintroduzione
nella scuola primaria del maestro unico dal 1 settembre 2009.
- Intervento e
razionalizzazione dei piani di studio
La revisione dei piani di studio
di insegnamento e, conseguentemente, dei carichi orario, anche ai fini di una
loro "essenzializzazione", tiene conto dei recenti interventi che
hanno riguardato, da una parte, il primo ciclo di istruzione e, dall’altra,
l’impianto di riforma del secondo ciclo di cui alla legge 53/2003 [3],
nonché delle recenti misure di riassetto dell’istruzione tecnica e
professionale introdotte dalla legge 40/2007[4] e dal decreto legge
137/2008 [5]. Tale revisione sarà realizzata anche mediante
l’adozione di uno o più Regolamenti ai sensi dell’art. 64 più
volte citato nonché, per
favorire il rapido e completo
raggiungimento degli obiettivi, di appositi decreti ministeriali che avviino
il processo di innovazione fin dall’anno scolastico 2009/2010.
In tale ottica le Indicazioni
nazionali relative alla scuola dell’infanzia e alle scuole del
primo ciclo di istruzione, di cui agli allegati A, B e C al decreto
legislativo 18 febbraio 2004, n. 59, saranno opportunamente
armonizzate con le Indicazioni per il curricolo proposte con direttiva
ministeriale 3 agosto 2007, n. 68, con l’obiettivo di pervenire ad una
stesura unitaria e semplificata. I relativi piani di studio, le
discipline e i carichi orario saranno contestualmente riesaminati ed
"essenzializzati".
I nuovi piani di studio della
scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione costituiranno parte
integrante dei Regolamenti da emanare in attuazione del presente piano
programmatico.
I piani di studio relativi al sistema
dei licei, di cui al decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, come
modificato dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, saranno riesaminati con
l’obiettivo di razionalizzarne l’impianto in termini di massima
semplificazione. Andranno in tale contesto definite le discipline ed i
carichi orario delle singole tipologie in misura non superiore alle 30 ore
settimanali. I piani di studio relativi agli istituti tecnici e
professionali di cui la legge 2 aprile 2007, n. 40, saranno anch’essi
riveduti al fine di pervenire ad una ulteriore razionalizzazione e
semplificazione. Per quanto riguarda l’istruzione tecnica, se ne definiranno
gli indirizzi in un numero contenuto e adottando un carico orario annuale obbligatorio
delle lezioni non superiore a 32 ore settimanali. Per i citati ordini di
studio le suddette operazioni dovranno essere raccordate con i tempi previsti
per la effettuazione delle iscrizioni e la determinazione degli organici.
Per l’istruzione professionale si
opererà nel senso che gli indirizzi aventi una sostanziale
corrispondenza con quelli dell’istruzione tecnica, confluiscano in
quest’ultima, evitando duplicazioni di percorsi e di carichi orari e
conseguente disorientamento dell’utenza. Si riorganizzeranno i rimanenti
indirizzi di durata quinquennale, finalizzati al conseguimento di un titolo
di studio di istruzione secondaria superiore, in un numero ristretto di
tipologie che abbiano rilevanza nazionale, con un carico orario settimanale
non superiore a quello degli istituti tecnici.
Si provvederà, inoltre,
all’elaborazione delle linee guida di cui all’art. 13, comma 1 quinquies,
della legge n. 40/2007, con le quali saranno definiti i criteri atti a
consentire, in regime di transitorietà e sussidiarietà, la
prosecuzione dei percorsi di durata triennale degli istituti professionali
finalizzati al rilascio di qualifiche professionali nei limiti delle risorse
umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Dovrà infine essere
ridefinito l'assetto organizzativo-didattico dei Centri di istruzione per gli
adulti. I nuovi piani di studio degli istituti di istruzione secondaria
costituiranno parte integrante dei Regolamenti da emanare in attuazione del
presente piano programmatico.
- Revisione dei quadri
orario nei diversi ordini di scuola
L’assestamento dei curricoli e la
razionalizzazione dei piani di studio di cui sopra dovranno comportare nuovi
quadri orario di durata più contenuta, con il superamento della
duplicazione di indirizzi corrispondenti e la revisione delle attuali forma
di compresenza, finalizzata al più proficuo utilizzo del personale
docente e all’estensione del servizio.
Nella scuola
dell’infanzia l’orario obbligatorio delle attività
educative, nell’ottica di una progressiva generalizzazione e tenendo conto
delle diversificate esigenze rappresentate dalle famiglie, si svolge anche
solamente nella fascia antimeridiana, impiegando una sola unità di
personale docente per sezione e riorganizzando il più possibile il
funzionamento delle sezioni di una medesima scuola sulla base di tali
opzioni. Le conseguenti economie di ore e di posti potranno consentire nuove
attivazioni e conseguentemente l’estensione del servizio.
Nei territori montani, delle
piccole isole e dei piccoli comuni privi di strutture educative per la prima
infanzia, sarà consentita, ad integrazione del numero delle sezioni
che non raggiungono il numero dei bambini stabilito, l’iscrizione alla scuola
dell’infanzia di piccoli gruppi di bambini di età compresa tra i due e
i tre anni, da inserire sulla base di progetti integrati, ispirati
all’esperienza delle sezioni primavera, entro limiti massimi del numero di
bambini fissato per sezione e dell’orario di svolgimento dell’attività
educativa.
E’ reintrodotto con apposito
intervento normativo, l’istituto dell’anticipo di cui alla legge 53/2003 e al
decreto leg.vo 59/2004, nei limiti delle disponibilità finanziarie
esistenti.
Ulteriori risposte alle esigenze
relative alla medesima fascia di età potranno essere soddisfatte anche
attraverso la prosecuzione e dallo sviluppo delle c.d. "sezioni
primavera".
Nella scuola primaria
va privilegiata ai sensi del decreto legge 1 settembre 2008, n. 137,
l’attivazioni di classi affidate ad un unico docente e funzionanti per un
orario di 24 ore settimanali.
Tale modello didattico e
organizzativo, infatti, appare più funzionale
"all’innalzamento" degli obiettivi di apprendimento, con
particolare riguardo all’acquisizione dei saperi di base, favorisce
l’unitarietà dell’insegnamento soprattutto nelle classi iniziali,
rappresenta un elemento di rinforzo del rapporto educativo tra docente e
alunno, semplifica e valorizza la relazione fra scuola e famiglia. Nell’arco
di vita intercorrente dai sei ai dieci anni si avverte il bisogno di una
figura unica
di riferimento con cui l’alunno
possa avere un rapporto continuo e diretto.
Le economie derivanti da tale
modello didattico, allo stato non quantificabili, consentono di ottenere
ulteriori risorse che potranno ridurre l’incidenza degli altri interventi.
Resta comunque aperta la possibilità di una più ampia
articolazione del tempo scuola, tenuto conto della domanda delle famiglie e
della dotazione organica assegnata alle scuole, nel rispetto dell’autonomia
delle stesse.
Le relative opzioni organizzative
possibili sono le seguenti:
- la prima (27 ore),
corrispondente all’orario di insegnamento di cui al decreto legislativo
59/2004, con esclusione delle attività opzionali facoltative;
- la seconda (30 ore) comprensiva
dell’orario opzionale facoltativo e con l’introduzione delmaestro prevalente;
quest’ultimo nei limiti dell’organico assegnato, integrabile con le risorse
disponibili presso le scuole.
Potrà altresì
aversi, ai sensi del decreto legislativo 59/2004, una estensione delle ore di
lezione pari ad un massimo di 10 ore settimanali, comprensive della mensa.
L’insegnamento della lingua
inglese è affidato ad un insegnante di classe opportunamente
specializzato. Si dovrà prevedere, pertanto, un piano di formazione
linguistica obbligatoria della durata di 150/200 ore attraverso l’utilizzo,
come formatori, di docenti specializzati e di docenti di lingua della scuola
secondaria di I grado. I docenti in tal modo formati, saranno preferibilmente
impiegati, già dall’anno scolastico 2009/2010, nelle prime due classi
della scuola primaria e saranno assistiti da interventi periodici di
formazione. Potrà altresì essere previsto, in via transitoria,
un affiancamento da parte di un nucleo di docenti specializzati operanti
presso ogni scuola, nonché, negli istituti comprensivi, da parte di docenti
di lingua inglese.
Nelle more della conclusione del
piano di formazione, in via transitoria e fino all’a.s. 2010/2011, potranno
continuare ad essere utilizzati, in caso di carenza di docenti specializzati,
docenti specialisti esterni alle classi, per l’intero orario settimanale di
docenza previsto dal CCNL.
L’orario obbligatorio delle
lezioni per la scuola secondaria di I grado è
definito, in via ordinaria, nella misura di 29 ore settimanali (rispetto alle
32 attuali) con conseguente adattamento del quadro orario previsto
dall’allegato C al decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59. Sono fatte
salve le situazioni ordinamentali relative alla classi ad indirizzo musicale.
Le classi funzionanti col tempo
prolungato, previste dall’art. 166, comma 4 del Testo Unico delle
disposizioni legislative in materia di istruzione, di cui al decreto
legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, saranno
ricondotte all’orario normale qualora non dispongano di servizi e strutture
per lo svolgimento obbligatorio di attività in fascia pomeridiana per
almeno tre giornate a settimana ovvero non sia previsto il funzionamento di
un corso intero a tempo prolungato. I quadri orario delle classi a tempo
prolungato saranno opportunamente definiti per un orario massimo di 36
ore per insegnamenti e
attività. Saranno determinate entro il mese di dicembre le classi di
abilitazione ai sensi dell’art. 14 del decreto legislativo 59/2004 e la
conseguente composizione delle cattedre, riconsiderando quelle attuali al
fine di superare l’esistente frammentazione degli insegnamenti, privilegiando
quelli di base e aggregazioni umanistico letterarie, scientifico tecnologiche
e linguistiche.
L’orario obbligatorio di lezione
nei licei classici, linguistici, scientifici e delle scienze umane
sarà pari ad un massimo di 30 ore settimanali, con conseguente
revisione dei quadri orario previsti dagli allegati al decreto legislativo 17
ottobre 2005, n. 226.
Per i licei artistici e i
licei musicali e coreutici l’orario obbligatorio di lezione
sarà di 32 ore settimanali, con conseguente revisione dei quadri
orario previsti dagli allegati al decreto legislativo 17 ottobre, n. 226.
Per gli istituti tecnici
e professionali previsti dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, per i
quali il numero degli indirizzi di studio dovrà essere opportunamente
ridimensionato tenendo conto anche delle proposte del documento finale
predisposto dall’apposita Commissione ministeriale di studio, l’orario
obbligatorio delle lezioni non potrà essere superiore a 32 ore
settimanali, comprensive delle ore di laboratorio. Per quanto riguarda gli
indirizzi degli istituti professionali, si fa rinvio a quanto in precedenza
previsto per la semplificazione e riduzione dei percorsi. La modifica degli
ordinamenti si avvierà progressivamente a decorrere dall’anno
scolastico 2009/2010. Dall’a.s. 2009/2010 non saranno conseguentemente
attivate nelle prime classi le sperimentazioni attualmente in atto.
Per i centri di istruzione per gli
adulti, (compresi i corsi serali degli istituti di II grado) bisognerà
ridefinire l’assetto organizzativo-didattico, prevedendo un numero contenuto
di materie di insegnamento e legando l’autorizzazione dei corsi stessi al
monitoraggio degli esiti finali. Eventuali docenti in esubero non potranno
essere utilizzati in corsi o in moduli non ordinamentali. Apposito intervento
dovrà riguardare la figura del docente tecnico-pratico presente negli
istituti di
secondo grado, riducendo di almeno
il 30%, rispetto a quelle previste dagli ordinamenti vigenti, le compresenze
con il titolare della cattedra e la contemporanea revisione delle relative
funzioni e di quelle dell’assistente tecnico, con l’obiettivo prioritario di
assicurare la massima efficienza ed efficacia dell’attività didattica
e in laboratorio.
2. Riorganizzazione della
rete scolastica.
Il DPR 233/1998, nel fissare i
parametri per il dimensionamento delle istituzioni scolastiche, prevede uno
standard generale compreso tra i 500 e i 900 alunni, quale requisito per il
conferimento dell’autonomia alle istituzioni scolastiche.
Lo stesso DPR 233 consente
tuttavia una deroga a tale standard autorizzando, in via eccezionale,
dimensionamenti di istituzioni scolastiche con una popolazione compresa tra
le 300 e le 500 unità, a condizione che si trovino in zone montane o
nelle piccole isole e si tratti di istituti comprensivi del 1° ciclo o
"istituti superiori"del 2° ciclo.
Da quasi un decennio, però,
la rete scolastica, è rimasta pressoché immutata nelle sue strutture
vale a dire nei suoi punti di erogazione del servizio (plessi, sedi
distaccate o principali, sezioni associate) e nei centri di coordinamento e
gestione (istituzioni scolastiche), e ciò nonostante le dinamiche
demografiche che spesso hanno svuotato o riempito a dismisura la platee
scolastiche o hanno reso difficili o superflui la gestione e il coordinamento
delle scuole.
La presenza dei due diversi
livelli di competenza, quello nazionale e quello territoriale, l’assenza di
un adeguato coordinamento tra i livelli istituzionali interessati, e la
carenza di idonei monitoraggi della rete, che potessero prevenire o
correggere tempestivamente il deteriorarsi dei livelli di erogazione del
servizio, hanno favorito sprechi di risorse, sperequazioni e disfunzioni.
Attualmente circa 700 istituzioni
scolastiche autonome hanno una popolazione scolastica inferiore ai minimi
previsti dalla fascia in deroga (meno di 300 alunni). All’interno poi della
stessa fascia in deroga vi sono oltre 850 istituzioni scolastiche che non
hanno titolo, per tipologia di scuola (circoli didattici, scuole medie,
istituti superiori), a farne parte, perché per la loro istituzione non
è prevista la possibilità di deroga. Alle citate scuole se ne
aggiungono altre 1.050 (istituti comprensivi)
comprese nella fascia minima, ma
non tutte si trovano effettivamente nei territori montani o nelle piccole
isole.
Si può dunque stimare che
una buona percentuale di istituzioni scolastiche, compresa tra il minimo
certo del 15% e il massimo probabile del 20%, non sia legittimato a
funzionare come istituzione autonoma.
Anche per i diversi punti di
erogazione del servizio le dinamiche demografiche hanno determinato
significative modifiche nel numero della popolazione scolastica accolta.
La presenza di oltre 10.760
istituzioni scolastiche autonome, che governano 41.862 punti di erogazione
del servizio, è di ostacolo alla stabilità delle stesse e
all’offerta di una pluralità di scelte aggregate in maniera razionale
alle esigenze del territorio e che agevolino l’esercizio del diritto
all’istruzione. Inoltre, escludendo dal computo le scuole dell’infanzia per
la loro particolare natura di servizio capillarmente diffuso, su poco
più di 28 mila punti di erogazione del servizio circa il
15% ha meno di 50 alunni e un
altro 21% ha meno di 100 alunni. In effetti, la polverizzazione sul
territorio di piccole scuole non risulta funzionale al conseguimento degli
obiettivi didattico-pedagogici, in quanto non consente l’inserimento dei
giovani in comunità educative culturalmente adeguate a stimolarne le
capacità di apprendimento e di socializzazione
Si rende pertanto necessario non
solo eliminare le numerose situazioni non conformi ai parametri dell’attuale
normativa, ma anche ripensare il sistema nel suo complesso al fine
dell’ottimizzazione e della perequazione delle risorse umane a sostegno di
una maggiore funzionalità gestionale, prevedendo anche ricorrenti
verifiche, tali da prevenire e correggere tempestivamente le eventuali
anomalie.
Il dimensionamento delle
istituzioni scolastiche dovrà procedere pertanto attraverso la
verifica delle situazioni in atto finalizzata al rispetto dei parametri
previsti dalla normativa vigente per il funzionamento delle scuole autonome,
a cominciare dai territori non ubicati nelle comunità montane o nelle piccole
isole, anche attraverso il progressivo superamento delle attuali situazioni
relative a plessi e a sezioni staccate con meno di 50 alunni. L’esperienza
virtuosa di diversi Comuni, che ha consentito in questi anni di ovviare, ove
possibile, alle criticità e all’isolamento delle piccole scuole, deve
essere assunta come linea di intervento generalizzata, anche se
richiederà tempi medio-lunghi, soprattutto nei territori montani e
nelle piccole isole.
È opportuno, tuttavia, che
l’intervento sia gradualmente realizzato dalle Regioni e dagli Enti Locali,
col supporto di azioni mirate quali, ad esempio, l’attivazione di trasporti,
l’adeguamento delle strutture edilizie ecc.. e provvedendo contestualmente
alla realizzazione di servizi in rete. In tale contesto va anche considerato
il conferimento dell’autonomia ai centri provinciali per l’istruzione degli
adulti di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 25 ottobre 2007, in applicazione
dell’articolo 1, comma 632, della legge finanziaria 2007.
Nell’azione di razionalizzazione
della rete scolastica un modello da incentivare è quello degli
Istituti «comprensivi» che, oltre a consentire una migliore organizzazione
delle risorse, rispondono meglio sul piano didattico, garantendo una
più incisiva continuità, il curricolo verticale e un migliore
orientamento scolastico e professionale.
Un ulteriore ambito di intervento
può essere quello di evitare, nella scuola secondaria superiore,
duplicazioni di indirizzi formativi sostanzialmente equipollenti, riducendo
la flessibilità dell’organico.
L’istituzione, la soppressione o
l’aggregazione delle scuole, quali punti di erogazione del servizio
scolastico, rientrano, com’è noto, nelle competenze delle Regioni e
alle Autonomie locali, in base al disposto del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112, e alle previsioni del novellato titolo V della Costituzione
sulla base dei parametri e dei criteri per il dimensionamento e per
l’individuazione dei punti di erogazione dei servizi definiti dal Ministero
dell’istruzione con
l’emanazione dell’apposito
Regolamento previsto dall’art. 64.
In attesa della conclusione
dell’iter di emanazione del citato Regolamento, l’Amministrazione scolastica
offrirà alle Regioni e alle Autonomie locali la collaborazione
necessaria per dimensionare la rete scolastica nel rispetto delle
disposizioni vigenti; ciò tanto con riferimento alle istituzioni
scolastiche, che al funzionamento delle sedi di erogazione del servizio.
3. Razionale ed
efficiente utilizzo delle risorse umane della scuola.
Il processo di razionalizzazione
dell’utilizzo delle risorse prevede peculiari interventi volti ad eliminare
circoscritte, ma non poco onerose, nicchie di spreco e sottoutilizzo delle
risorse stesse, sia attraverso una verifica della situazione applicativa delle
norme di ordinamento vigenti, sia attraverso l’emanazione di un nuova
normativa mirata al contenimento di oneri non funzionali al
raggiungimento degli obiettivi
istituzionali. Le azioni previste dal piano per il raggiungimento della
suddetta finalità si riferiscono agli ambiti di seguito descritti.
Personale docente
− Criteri e parametri
per la determinazione degli organici del personale
Per il raggiungimento
dell’obiettivo di un più razionale utilizzo delle risorse
professionali occorre intervenire, in primo luogo, su quel complesso di norme
e procedure che presiedono alla definizione degli organici del personale.
Si indicano, di seguito, alcune
delle misure previste:
definizione di nuovi criteri per
la determinazione e distribuzione delle dotazioni organiche in relazione alla
revisione degli ordinamenti scolastici. L’organico di istituto, determinato
secondo le nuove previsioni ordinamentali, verrà assegnato alle scuole
che, nell’ambito della propria autonomia, organizzeranno l’attività didattica
con criteri di flessibilità;
- ridefinizione dei criteri e
parametri che presiedono alla formazione delle classi, con particolare
riguardo ai valori minimi e massimi necessari per la costituzione delle
stesse che consentano di incrementare sia il rapporto alunni/docenti che
quello alunni/classi, per un accostamento di tale rapporto ai relativi
standard europei, come previsto dall’art. 64 comma 4 della legge 133/2008.
Si confermerà il criterio
di costituire le classi iniziali di ciclo esclusivamente sulla base del
numero di alunni iscritti, procedendo solo successivamente all’assegnazione
degli stessi alle classi secondo le diverse scelte espresse e nel limite dei
posti disponibili. I dirigenti scolastici sono personalmente responsabili di
tale operazione.
Come riportato nella scheda
allegata, il rapporto alunni-classe si eleverà di uno 0,20 con
riferimento all’a.s. 2009/2010 e di uno 0,10 in ciascuno dei due
anni scolastici successivi.
L’innalzamento sarà
riferito ai livelli massimi di alunni per classe attualmente vigenti per i
vari gradi di istruzione, tenendo altresì conto della presenza di
alunni disabili.
Tale intervento si rende
necessario non solo per contenere la spesa, ma anche per superare la
polverizzazione dei centri di erogazione del servizio non funzionali agli
obiettivi formativi, in quanto non consente di inserire gli studenti in
comunità educative culturalmente adeguate.
L’intervento in questione
consentirà, altresì, di evitare, specie nel biennio iniziale,
quella frammentazione degli indirizzi che costituisce ostacolo
all’acquisizione di una formazione di base coerente con le esigenze della
società della conoscenza.
L’applicazione dei nuovi
parametri, correlata alla revisione della rete scolastica da parte delle
Regioni, costituisce lo strumento necessario per la determinazione e
l’assegnazione dei contingenti di organico. Resta inteso che, in relazione al
progressivo rafforzamento dell’autonomia delle scuole, l’ottimale utilizzo
dell’organico dei docenti potrà essere realizzato secondo criteri di flessibilità
che promuovano l’azione modulare, ai sensi dell’art. 4, comma 2 lettera d)
del DPR 8 marzo 1999, n. 275, di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o
da diverse classi o da diversi anni di corsi.
-superamento delle attività
di co-docenza e contenimento delle attività in compresenza tra docenti
di teoria e insegnanti tecnico-pratici di laboratorio;
- riconduzione a 18 ore di tutte
le cattedre di scuola di I e II grado;
- eliminazione nella scuola
secondaria di secondo grado della norma che consente di salvaguardare la
titolarità del docente nei casi in cui vi sia stata la riconduzione
della cattedra a 18 ore di insegnamento;
-determinazione dell’organico dei
docenti relativo ai corsi per l’istruzione degli adulti che tenga conto della
serie storica degli alunni scrutinati e non di quelli iscritti, privilegiando
i curricoli e i piani di studio con percorsi più brevi ed essenziali
rispetto a quelli previsti per i corsi ordinari;
-sostegno allo sviluppo di sistemi
di istruzione a distanza;
-graduale piena attuazione della
disciplina prevista dal comma 413 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre
2007 n. 244, relativa alla determinazione dei posti di sostegno per gli
alunni disabili.
Classi di concorso
Si provvederà ad accorpare
le classi di concorso con una comune matrice culturale e professionale, ai
fini di una maggiore flessibilità nell’impiego dei docenti. Tale
misura risulta funzionale al processo di essenzializzazione dei curricoli
previsto dal piano, nonché alla revisione dei quadri orario delle discipline
d’insegnamento.
Docenti specialisti di
lingua inglese nella scuola primaria
Come in precedenza evidenziato, si
porranno in essere le azioni finalizzate alla realizzazione di una intensiva
formazione dei docenti che non hanno ancora il titolo per poter insegnare la
lingua inglese.
Docenti inidonei per
motivi di salute
La legge finanziaria per l’anno
2008 dispone la costituzione di un ruolo specifico per i docenti inidonei per
motivi di salute, da impiegare anche in altre Amministrazioni. Occorre
accelerare la prevista procedura. Ciò consentirà di eliminare
questa voce di spesa che grava notevolmente sul bilancio dell’istruzione.
Riconversione
professionale dei docenti
Saranno attivati corsi di
riconversione professionale per i docenti, facenti parte delle classi di
concorso in esubero, nonché corsi relativi ad altre tipologie di docenti, ai
fini dell’inserimento in classi di concorso più ampie.
Utilizzo dei docenti in
compiti diversi dall’insegnamento
Saranno rivisti gli istituti
giuridici che comportano comandi, collocamenti fuori ruolo, utilizzazioni
ecc.., onde ridurre allo stretto necessario la incidenza della spesa
rappresentata dal pagamento dei supplenti in sostituzione. La revisione degli
ordinamenti scolatici con una riduzione generalizzata del monte ore
settimanale di insegnamento e la definizione di nuovi criteri per la
formazione delle classi e degli organici, determinerà una riduzione
strutturale della spesa. Quand’anche in via temporanea, in alcuni ambiti, si
determinassero situazioni di soprannumero, riassorbibili con i successivi
pensionamenti,
si determinerebbe comunque una
economia a seguito dell’utilizzo di tale personale per le supplenze e, nella
scuola primaria, per fronteggiare le richieste delle famiglie di un
ampliamento del tempo scuola.
PERSONALE ATA
- Criteri e parametri per la
determinazione del personale ATA.
Anche per il personale ATA si
dovrà procedere ad una revisione dei criteri e parametri che
presiedono alla sua
quantificazione e assegnazione.
Occorre premettere che la
riduzione dell’organico del personale ATA verrà realizzata su tutti i
profili professionali, salvaguardando, per quanto possibile, le figure
amministrative necessarie allo sviluppo dell’autonomia, come indicato nel
parere della Commissione cultura della Camera.
Si ipotizza un’ azione di
contenimento nella misura media del 17 % della dotazione organica modulando
tale misura sui diversi profili.
La riduzione richiederà
pertanto:
a) la revisione delle tabelle che
attualmente determinano l’organico dei vari profili professionali,
salvaguardando, prioritariamente, il contingente degli assistenti
amministrativi. Al fine di assicurare una maggiore aderenza nell’attribuzione
del personale agli effettivi carichi di lavoro, si potrebbe ipotizzare
l’attribuzione alle scuole di un organico essenziale, lasciando al livello
territoriale l’intervento sulla complessità e per una più equa
e funzionale distribuzione. Nell’ambito delle risorse finanziarie e di
organico come sopra definite, vanno promosse iniziative di qualificazione
professionale, procedendo anche alla costituzione dell’organico di area C,
per dare concretezze a quelle figure di coordinamento previste dal vigente
contratto di lavoro;
b) la formulazione del nuovo piano
di dimensionamento sopra descritto ridurrà sia il numero delle
istituzioni scolastiche che quello delle sezioni staccate, dei plessi e delle
succursali, con conseguente riduzione del fabbisogno di personale ATA;
c) la revisione dell’orario degli
assistenti tecnici, ai fini di una sua maggiore flessibilità in
relazione alla specifiche esigenze delle scuole, con particolare riferimento
alla funzionalità dei laboratori.
QUADRO DEGLI INTERVENTI
L’art. 64 della legge 6 agosto
2008, n.133 prevede l’adozione, con decorrenza dall’a.s. 2009/10, di interventi
e misure da portare a compimento nell’arco di un triennio, volti a:
a) incrementare gradualmente di un
punto il rapporto alunni/docenti da realizzare comunque entro il 2011/2012;
b) ridurre nel triennio 2009/11
del 17% la consistenza del personale ATA determinata per l’anno scolastico
2007/08.
Sono confermate le riduzioni
previste dalla Legge finanziaria per il 2008.
Gli obiettivi attesi sono quelli
indicati nella relazione tecnica di accompagnamento al decreto legge n.
112/2008, convertito dalla legge n.133/2008 e nel totale generale si
quantificano in:
Personale docente
Anno scolastico
|
2009/2010
|
2010/2011
|
2011/2012
|
TOTALE
|
Decreto legge
|
32.105
|
15.560
|
19.676
|
67.341
|
Finanziaria 2008
|
10.000
|
10.000
|
|
20.000
|
Totale
|
42.105
|
25.560
|
19.676
|
87.341
|
Personale ATA
Anno scolastico
|
2009/2010
|
2010/2011
|
2011/2012
|
TOTALE
|
Decreto Legge
|
14.167
|
14.167
|
14.167
|
42.500
|
Finanziaria 2008
|
1.000
|
1.000
|
|
2.000
|
Totale
|
15.167
|
15.167
|
14.167
|
44.500
|
Di seguito sono riportati gli
interventi di riduzione per conseguire i risultati nel triennio di
riferimento di cui all’art. 64:
ANNO SCOLASTICO 2009/10 – Tabella
1
Aree di intervento
|
Stima riduzioni
|
a) Innalzamanto del rapporto alunni classe dello 0,20
|
6.000
|
b) Determinazione organico scuola primaria con il solo orario
obbligatorio (quota riducibile fino a 10.000 unità in
correlazione
all’eventuale attribuzione di un budget specifico per
l’attivazione
dell’area opzionale facoltativa; per budget superiore non si
ottiene il
raggiungimento completo dell’obiettivo di contenimento)
|
10.000
|
c) Riduzione insegnanti specialisti lingua inglese scuola primaria
|
4.000
|
d) Determinazione organico scuola I grado con il solo orario
obbligatorio e applicazione D.L.vo n. 59/04
|
10.300
|
e) Eliminazione clausola salvaguardi titolarità nella
riconduzione
delle cattedre a 18 ore di insegnamento
|
2.000
|
f) Riconduzione di tutte le cattedre a 18 ore di insegnamento
|
5.000
|
g) Revisione dei curricoli istitutivi II grado
|
3.300
|
h)Razionalizzazione dell’organico dei corsi serali e dei corsi per
|
1.500
|
l’istruzione degli adulti
|
|
TOTALE
|
42.100
|
ANNO SCOLASTICO 2010/2011- Tabella
2
Aree di intervento
|
Stima riduzioni
|
a) Innalzamento del rapporto alunni-classe di un ulteriore 0,10
|
3.400
|
b) Determinazione organico scuola primaria con il solo orario
obbligatorio – ulteriore riduzione
|
4.000
|
c) Riduzione insegnanti specialisti lingua inglese scuola primaria
|
3.900
|
d) Revisione dell’organizzazione e dell’orario del tempo prolungato
nella scuola secodnaria di I grado
|
10.600
|
g) Revisione dei curricoli istitutivi II grado
|
3.700
|
TOTALE
|
25.600
|
ANNO SCOLASTICO 2011/12 - Tabella
3
Aree di intervento
|
Stima riduzioni
|
a) Innalzamento del rapporto alunni classe di un ulteriore 0,10
|
3.400
|
c) Riduzione insegnanti specialisti lingua inglese scuola primaria
|
3.300
|
d) Determinazione organico scuola I grado con il solo orario
obbligatorio e applicazione D.L.vo n. 59/04 - ulteriore riduzione
-
|
3.000
|
d) Revisione dell’organizzazione e dell’orario del tempo prolungato
nella scuola secondaria di I grado
|
3.000
|
g) Revisione dei curricoli istitutivi II grado
|
7.000
|
TOTALE
|
19.700
|
Totale generale 87.400
Personale ATA
Riduzioni Decreto legge n. 42.500
Legge finanziaria 2008 n. 2.000
TOTALE n. 44.500
Riduzioni per profilo
1)D.S.G.A. (segretari)
|
|
700
|
2) Assistenti Amministrativi
|
|
10.452
|
3) Assistenti Tecnici
|
|
3.965
|
4) Collaboratori scolastici
|
|
29.076
|
5) Altri profili
|
|
307
|
TOTALE
|
|
44.500
|
Nei tre anni scolastici
considerati le riduzioni verranno operate in proporzione ad ogni profilo
professionale e il decremento
sarà pari ad un terzo per anno scolastico della riduzione complessiva
da conseguire.
La riduzione di circa 700
istituzioni scolastiche comporterà conseguentemente la riduzione
dell’organico del personale
dirigente scolastico oltre i DSGA sopra indicati.
Da
cittadinolex.kataweb.it
Accesso studenti stranieri, la
proposta della Lega
(Mozione 1-00033 Cota ed altri -
Camera dei Deputati - 10.10.2008)
Il
Governo dovrà rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri
alla scuola di ogni ordine e grado, prevedendo il loro ingresso previo
superamento di test e specifiche prove di valutazione. Chi non
supererà questi esami sarà iscritto in "classi di
inserimento" per lo studio della lingua italiana, classi propedeutiche
all'ingresso nelle classi permanenti. E' quanto prevede una mozione della
Lega approvata il 14 ottobre dalla Camera. La motivazione del provvedimento,
ha spiegato la Lega, è legata al fatto che in classi comuni gli
studenti immigrati non apprendono e impediscono di apprendere agli studenti
italiani. Inoltre non dovrà essere consentito l'ingresso nelle classi
ordinarie oltre il 31 dicembre di ciascun anno, "al fine di un razionale
ed agevole inserimento degli studenti stranieri", mentre
occorrerà prevedere una distribuzione proporzionata al numero
complessivo degli alunni per classe, per favorirne la piena integrazione e
evitare il rischio della formazione di classi di soli alunni stranieri.(15
ottobre 2008)
Mozione 1-00033 Cota ed
altri - Camera dei Deputati - 14 ottobre 2008
La Camera,
premesso che:
il crescente fenomeno
dell'immigrazione ha modificato sensibilmente il modello organizzativo del
sistema scolastico italiano;
l'elevata presenza di alunni
stranieri nelle singole classi scolastiche della scuola dell'obbligo
determina difficoltà oggettive d'insegnamento per i docenti e di
apprendimento per gli studenti;
il diverso grado di
alfabetizzazione linguistica si rivela, quindi, un ostacolo per gli studenti
stranieri che devono affrontare lo studio e gli insegnamenti previsti nei
programmi scolastici, e per gli alunni italiani che assistono a una
«penalizzante riduzione dell'offerta didattica» a causa dei rallentamenti
degli insegnamenti dovuti alle specifiche esigenze di apprendimento degli
studenti stranieri;
tale situazione è ancora
più evidente nelle classi che vedono la presenza di studenti
provenienti da diversi Paesi, le cui specifiche esigenze personali sono anche
caratterizzate dalle diversità culturali del Paese di origine, tanto
da indurre gli insegnanti ad essere più tolleranti e meno rigorosi in
merito alle valutazioni volte a stabilire i livelli di competenza acquisiti
dagli alunni stranieri e italiani sulle singole discipline;
dai dati forniti dal ministero
dell'istruzione, dell'università e della ricerca la crescita di alunni
stranieri, registrata nell'anno scolastico 2007-2008, è pari a 574.133
unità, con un incidenza del 6,4 per cento rispetto alla popolazione
scolastica complessiva;
tale situazione è
determinata dalla crescita degli alunni stranieri nel triennio 2003-2005
intensificatasi anche per effetto dei provvedimenti di regolarizzazione
(legge n. 189 del 2002 e legge n. 222 del 2002);
rispetto alle nazionalità
si confermano ai primi posti i gruppi di studenti provenienti dai Paesi
dell'Est europeo, in particolare la Romania che, nell'arco di due anni,
è passata dal 12,4 per cento (52.821 alunni), al 16,15 per cento
(92.734 alunni), superando la numerosità degli alunni provenienti
dall'Albania (85.195 pari al 14,84 per cento), e dal Marocco (76.217
presenze, pari al 13,28 per cento);
la disomogenea distribuzione
territoriale di alunni con cittadinanza non italiana, molto concentrata al
Centro-Nord e scarsa al Sud e nelle Isole, interessa circa 37.000 punti di
erogazione del servizio scolastico, rispetto ai 57.000 presenti in ambito
nazionale. È evidente il divario esistente tra i primi e i secondi,
determinato dalla necessità per i primi di adeguare gli aspetti
organizzativi e didattici all'attività di integrazione degli alunni
stranieri;
la più elevata consistenza
di alunni stranieri si trova nella scuola primaria e secondaria di I grado
(il 7,7 per cento frequenta la primaria, il 7,3 per cento la secondaria di I
grado, il 6,7 per cento le scuole dell'infanzia). Gli istituti di istruzione
secondaria di II grado, pur non raggiungendo complessivamente i valori delle
presenze registrate nella scuola primaria e secondaria di I grado, registrano
l'8,7 per cento del totale degli studenti. Tra questi ultimi la maggior parte
è concentrata nei professionali, dove rappresentano l'8,7 per cento
del totale degli studenti, mentre nei tecnici raggiungono il 4,8 per cento e
nei licei sono appena l'1,4 per cento;
l'osservazione a livello
territoriale evidenzia che l'incidenza degli alunni con cittadinanza non
italiana è particolarmente significativa in Emilia-Romagna,Umbria,
Lombardia e Veneto dove essi rappresentano più del 10 per cento della
popolazione scolastica regionale;
la presenza di studenti stranieri
nel Centro-Nord è quindi superiore alla media italiana fino a
raggiungere i 12 studenti stranieri ogni 100 in Emilia-Romagna,
mentre nel Mezzogiorno l'incidenza percentuale varia tra l'1,3 e il 2,3 per
cento ad eccezione dell'Abruzzo con il 5 per cento;
di grande attualità
risultano i dati sulla presenza di alunni nomadi, essi raggiungono le 12.342
unità e pertanto rappresentano il 2,1 per cento degli alunni
stranieri. Più della metà degli alunni nomadi frequenta la
scuola primaria;
relativamente al rapporto tra la
frequenza delle scuole statali e non statali e le loro suddivisioni tra i
diversi gradi della scuola, si registra la presenza del 90,3 per cento di
alunni stranieri in scuole statali, mentre il restante 9,7 per cento risulta
iscritto in istituzioni scolastiche non statali;
i Paesi di provenienza degli
alunni stranieri, sui 194 censiti dall'Istituto nazionale di statistica, sono
ben 191. Nelle scuole della provincia di Bergamo, ad esempio, i dati del 2005
registravano la rappresentanza di 118 cittadinanze, a Perugia 109, a Pesaro 90, a Siena 80, a Latina 78;
l'osservazione sull'esito
scolastico degli alunni italiani a confronto con quello degli alunni
stranieri rivela che nelle scuole dove sono presenti alunni con cittadinanza
non italiana si riscontra una maggiore selezione nei loro riguardi che
finisce per incidere sui livelli generali di promozione: il divario dei tassi
di promozione degli allievi stranieri e di quelli italiani è -3,36 per
cento nella scuola primaria, -7,06 per cento nella secondaria di I grado,
-12,56 per cento nella secondaria di II grado, in cui più di un alunno
straniero su quattro non consegue la promozione;
la presenza di minori stranieri
nella scuola si inserisce come fenomeno dinamico in una situazione in forte
trasformazione a livello sociale, culturale, di organizzazione scolastica:
globalizzazione, europeizzazione e allargamento dell'Unione europea, processi
di trasformazione nelle competenze territoriali (decentramento, autonomia ed
altro), trasformazione dei linguaggi e dei media della comunicazione,
trasformazione dei saperi e delle connessioni tra i saperi, processi di
riforma della scuola;
il fenomeno migratorio sta
assumendo caratteri di stabilizzazione sia per le caratteristiche dei
progetti migratori delle famiglie, sia per la quota crescente di minori di
origine immigrata che nascono in Italia o comunque frequentano l'intero
percorso scolastico;
la Convenzione internazionale dei
diritti dell'infanzia sancisce che tutti devono poter contare su pari
opportunità in materia di accesso alla scuola, nonché di riuscita
scolastica e di orientamento;
la scuola italiana deve quindi
essere in grado di supportare una politica di «discriminazione transitoria
positiva», a favore dei minori immigrati, avente come obiettivo la riduzione
dei rischi di esclusione;
la maggior parte dei Paesi europei
ha costruito luoghi d'apprendimento separati per i bambini immigrati, allo
scopo di attuare un percorso breve o medio di alfabetizzazione culturale e
linguistica del Paese accogliente. La presenza di bambini stranieri, ma anche
nomadi o figli di genitori con lo status di rifugiati politici, implica
l'aggiunta di finanziamenti e di docenti, e l'organizzazione di classi di
recupero successive o contemporanee all'orario normale, di classi bilingue,
oppure con la presenza di assistenti assunti a tal fine;
in Grecia, ad esempio, le scuole
con un gran numero di alunni stranieri, figli di genitori nomadi o di greci
rimpatriati, organizzano delle classi propedeutiche o delle sezioni
preparatorie per l'insegnamento del greco, ma anche della linguad'origine,
per facilitare l'integrazione di questi bambini nel sistema educativo. Queste
classi e sezioni usano materiale didattico specifico e possono essere seguite
da insegnanti ordinari che effettuano delle ore supplementari, insegnanti di
sostegno temporanei o da insegnanti con qualifiche specifiche a orario
ridotto. Il rapporto ufficiale alunni/insegnanti da rispettare è di
9-17 alunni per insegnante nelle classi propedeutiche e di 3-8 alunni per
insegnante nelle sezioni preparatorie. L'assegnazione delle risorse dipende
dalla presenza di un numero di alunni sufficiente per poter organizzare una
classe o sezione;
le gerarchie istituzionali del
precedente Governo di centro-sinistra hanno rigettato la proposta della Lega
Nord, sulla necessità di istituire dette «classi propedeutiche»,
considerandole addirittura «luoghi di segregazione culturale», o «mere
strategie di integrazione degli alunni immigrati», ritenendole «soluzioni
compensatorie di carattere speciale», avvolte in schemi stereotipi e
folkloristici;
la pedagogia interculturale del
centro-sinistra, attraverso l'affermazione dell'«universalismo», ha lasciato
l'iniziativa alle singole scuole e agli enti locali che, pur avendo agito in
maniera equilibrata, non possono attuare strategie per il superamento dei
problemi derivanti dall'accoglienza e dalla formazione degli studenti
stranieri. Le normative sull'immigrazione del 1998 e del 2002 (Testo unico di
cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 e legge n. 189 del 2002)
contengono indicazioni utili sulla funzione e sull'uso dei cosiddetti «spazi
dotati di strumenti appositamente dedicati», demandando alle scuole e agli
enti locali l'iniziativa e la gestione di tali spazi e strumenti mirati
all'istituzione di percorsi specifici di alfabetizzazione linguistica di
durata variabile;
i dati forniti dal ministero
dell'istruzione, dell'università e della ricerca evidenziano come il
problema dei ripetenti e della dispersione scolastica incida soprattutto sui
ragazzi stranieri. Secondo tali dati, il numero degli studenti stranieri
ripetenti è del 4 per cento nella scuola primaria, dell'8 per cento
nella scuola secondaria di primo grado e arriva al 14 per cento nella scuola
secondaria di secondo grado. In riferimento a quest'ultimo ciclo di
istruzione si rilevano, inoltre, incongruenze tra la classe frequentata e
l'età, incongruenze che riguardano circa il 75 per cento degli
studenti stranieri;
la dimensione della scuola, la
quantità di stranieri rispetto alla popolazione scolastica e la
quantità di cittadinanze concorrono al successo o all'insuccesso
scolastico di tutti gli studenti;
dai dati ministeriali si rileva
che per i diversi ordini di scuola gli alunni stranieri sembrano ottenere
maggiori risultati quando sono ridotti di numero;
la densità della presenza
di alunni con cittadinanza non italiana in piccole scuole sembra non favorire
livelli elevati di esiti positivi. Tale fattore si determina maggiormente
nelle scuole secondarie di secondo grado dove il decremento degli esiti in
rapporto alla maggiore consistenza di alunni stranieri è ancora
più accentuato: negli istituti di piccole dimensioni con gruppi minimi
di studenti non italiani, il tasso di promozione degli alunni stranieri
scende dal 93,29 per cento (da 1
a 5) fino al 78,64 per cento (da 11 a 30) se vi sono
consistenti gruppi di alunni stranieri. Negli istituti di medie dimensioni
(da 101 a
300 alunni complessivi) si passa dal 91,79 per cento al 78,46 per cento;
negli istituti maggiormente dimensionati si passa dall'89,87 per cento
all'80,26 per cento; ciò vuol dire che il tasso di promozione di
alunni stranieri nelle scuole primarie e secondarie di I grado è
inversamente proporzionale alla dimensione della loro presenza nella scuola;
l'elemento della presenza di molte
diverse cittadinanze nelle scuole, pur non coincidendo necessariamente con
esiti negativi finali degli alunni stranieri, rappre senta un fattore
condizionante del complesso sistema educativo e formativo che influenza
l'intera classe;
le sopraccitate analisi sugli
esiti scolastici sono importanti poiché consentono di comprendere determinate
categorie di alunni per i quali l'obiettivo, oltre a quello degli
apprendimenti, è anche quello dell'integrazione del sistema scolastico
e del sistema sociale;
questa tipologia di alunni con
cittadinanza non italiana consegue determinati esiti scolastici, in rapporto
al livello di conoscenza della lingua italiana, alla dimensione temporale di
scolarizzazione nel nostro Paese, alle misure di accompagnamento per la loro
integrazione all'interno e all'esterno dell'ambito scolastico;
tali misure risultano infatti
determinate sia dal numero degli studenti stranieri, sia dalle diverse
nazionalità presenti nella stessa classe o scuola e dalle conseguenti
differenti situazioni culturali e sociali che generano molteplici esigenze
cui dare risposta,
impegna il Governo:
a rivedere il sistema di accesso
degli studenti stranieri alla scuola di ogni ordine e grado, favorendo il
loro ingresso previo superamento di test e specifiche prove di valutazione;
a istituire classi di inserimento
che consentano agli studenti stranieri che non superano le prove e i test
sopra menzionati di frequentare corsi di apprendimento della lingua italiana,
propedeutiche all'ingresso degli studenti stranieri nelle classi permanenti;
a non consentire in ogni caso
ingressi nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre di ciascun anno, al fine
di un razionale ed agevole inserimento degli studenti stranieri nelle nostre
scuole e a prevedere, altresì, una distribuzione degli stessi
proporzionata al numero complessivo degli alunni per classe, per favorirne la
piena integrazione e scongiurare il rischio della formazione di classi di
soli alunni stranieri;
a favorire, all'interno delle
predette classi di inserimento, l'attuazione di percorsi monodisciplinari e
interdisciplinari, attraverso l'elaborazione di un curricolo formativo
essenziale, che tenga conto di progetti interculturali, nonché
dell'educazione alla legalità e alla cittadinanza:
a) comprensione dei diritti e
doveri (rispetto per gli altri, tolleranza, lealtà, rispetto della
legge del paese accogliente);
b) sostegno alla vita democratica;
c) interdipendenza mondiale;
d) rispetto di tradizioni
territoriali e regionali del Paese accogliente, senza etnocentrismi;
e) rispetto per la
diversità morale e cultura religiosa del Paese accogliente;
a prevedere l'eventuale maggiore
fabbisogno di personale docente da assegnare a tali classi, inserendolo nel
prossimo programma triennale delle assunzioni di personale docente
disciplinato dal decreto-legge n. 97 del 2004, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 143 del 2004, alla cui copertura finanziaria si provvede
mediante finanziamenti da iscrivere annualmente nella legge finanziaria.
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