CENACOLO  DEI  COGITANTI

PRIMA PAGINA

Documenti d’interesse - Raccolta

 

Documento d’interesse   Inserito il  13-4-2009


 

 

DOCUMENTI CORRELATI

Cogitando in Cenacolo: Su “Facebook e rapporti umani”

 

 

 

Rassegna di valutazioni e commenti su Facebook (13-4-2009)

 


 

 Indice

 

- Fuga da Facebook. La più grande comunità virtuale del mondo continua a crescere. Ma molti, a partire da Bill Gates, iniziano a pentirsi. Ecco perché. 1

di RICCARDO STAGLIANO. 1

- Critica dei critici di Facebook. 4 di Massimiliano Di Giorgio  scritto in Donne & Uomini, Media, Schermi, Tecnologia | permalink. 4

- 5 critiche a Facebook, uno dei più famosi Social Network! 8

- La società sparente in un articolo dell’Unità. Facebook, un viaggio nel pianeta «utile e dannoso» di Enrico Fierro. 9

- «Ma tu ci sei?».«Dove ?». «Ma su Facebook, diamine». Da unita.it. 10

- Da www.loschermo.it. Lo "Shock emozionale" di FaceBook & Co. La parola ai lettori : Lettere alla redazione. del 05/04/2009. 12

 


 

 

 

Fuga da Facebook. La più grande comunità virtuale del mondo continua a crescere. Ma molti, a partire da Bill Gates, iniziano a pentirsi. Ecco perché  

di RICCARDO STAGLIANO

 

 

ANCHE Bill Gates se n'è andato. Da quest'estate ha chiuso con Facebook. Ogni giorno, in media, ottomila sconosciuti volevano diventare suoi "amici". Un po' tantini. Come se in un bar qualcuno volesse stringervi la mano ogni dieci secondi. Se qui siamo online, il fastidio non è meno reale. Ma la notizia ne contiene un'altra: cosa ci faceva, per mezz'ora al giorno (lui ossessionato dalle perdite di tempo, famoso per le corse all'aeroporto per imbarcarsi all'ultimo secondo) il fondatore di Microsoft nel sito di social networking più famoso del mondo? Voleva capirlo. Comprendere il perché di un successo planetario che a giugno ha fatto registrare il sorpasso sul principale concorrente, MySpace: 132 milioni di visitatori contro 115,7. Poi, oltre a una pletora di scocciatori, ha anche scoperto una quantità di bizzarri fan club che gli erano stati dedicati. Uno si chiamava "Faresti sesso con Bill Gates per metà dei suoi soldi?". Non l'ha fatto ridere e si è ritirato a vita digitalmente privata. Diventando il più famoso di un esercito di transfughi. In crescita. I delusi di Facebook.

Al picco della popolarità gli abbandoni fanno più rumore. Tra dicembre 2007 e gennaio 2008 ventimila frequentatori francesi e 23 mila spagnoli, riporta Le Figaro, hanno cancellato il loro account. "Suicidarsi", è il gergo drammatizzante che si usa in questi casi. Evidentemente si erano stancati del loro "potere di condividere, per rendere il mondo più aperto e connesso", come il ventiquattrenne fondatore Mark Zuckerberg ha definito la sua creatura alla recente convention di San Francisco. Perché nel frattempo, scartato il giocattolo, si sono accorti di alcuni difetti. Cerano tutte le attività classiche. Una volta digitata la password, si poteva vedere dov'era e che faceva in quel momento una serie di vostri amici. Scoprire che alcuni avevano familiarizzato per merito vostro. Che un altro paio aveva cambiato la foto con cui presentarsi nella società telematica. E ancora, declinare un numero sempre troppo alto di inviti alla comunità di amanti del gatto o a quella dei lettori del Piccolo principe, come ricaduta transitiva del fatto che qualche vostra lontana conoscenza vi si era iscritta. Ma una volta entrati in questo circolo era difficilissimo uscire. Ancora pochi mesi fa Facebook era una trappola. Se decidevate che eravate stanchi di far sapere alla vostra cerchia di sodali virtuali dove vi trovavate, cosa stavate leggendo, quali acquisti avevate fatto potevate "disattivare" il vostro account. Lo mettevate in stand by, non lo spegnevate davvero però. Le vostre informazioni personali rimanevano sul server "per un ragionevole periodo di tempo", come recitava la clausola del sito. Alan Burlison, un ingegnere informatico britannico, piuttosto bravino con la tecnologia, ha provato di tutto per cancellarsi.

Niente. E dopo lettere di fuoco al servizio clienti è riuscito a far rimuovere le innumerervoli tracce del suo passaggio solo spedendo ad alcuni responsabili del sito un link al video dell'intervista rilasciata a Channel 4 per denunciare l'accaduto. Come lui tanti altri hanno vissuto lo stesso calvario. E, con un cortocircuito tipico delle cose internettiane, era anche nato un gruppo di discussione interno a Facebook su "come distruggere permanentemente il tuo account" messo su da un ventiseienne svedese che a febbraio contava 4.300 membri.

Un attaccamento così tenace al cliente, ai suoi dati personali piuttosto, si spiega col fatto che il sito guadagna vendendo informazioni demografiche e di comportamento online alle aziende di marketing. Anonime, aggregate, ma comunque preziose. Più schedature quindi (anche di utenti non attivi) uguale più soldi. Ma quando il risentimento ha toccato il livello di guardia la compagnia ha, molto discretamente, concesso l'exit strategy. La prima scelta è sempre "disattivarsi". Ma oggi, spulciando nella sezione "aiuto", spunta anche un bottone per fare hara-kiri virtuale. E sparire una volta per tutte.
Se la vita è stata resa più facile a chi vuole andarsene, i rischi per chi resta rimangono. E la casistica di vittime di Facebook si allunga, facendosi sempre più variegata. C'è la compagnia di assicurazioni statunitense che, per negare un risarcimento di spese mediche al cliente, porterà in tribunale delle confessioni online che dimostrerebbero la causa emotiva e non organica dei suoi disordini alimentari.

C'è il procuratore texano che, per provare la colpa di un guidatore che ha ucciso un uomo in un incidente d'auto, allegherà le pagine in cui dichiara "non sono un alcolista: sono un iper-alcolista". E non è necessario dire o fare cose di rilevanza penale per passare dei guai. Come sanno bene i 27 dipendenti dell'Automobile Club della Southern California licenziati per messaggi offensivi nei confronti di colleghi. Regolarmente scambiati - e letti - attraverso il sito. Stando a un sondaggio recente di Viadeo, un altro social network, il 62% dei datori di lavoro britannici darebbero ormai un'occhiata alle pagine di Facebook e simili prima dei colloqui. E un quarto dei candidati sarebbe stato respinto di conseguenza. Per Michael Fertik, presidente di ReputationDefender, la quota di bocciati per incontinenze internettiane negli Stati Uniti è addirittura del 43%. La sua società, a pagamento beninteso, setaccia la rete alla ricerca di potenziali fonti di imbarazzo.

"È inquietante quante informazioni siano disponibili sul vostro conto in un social network - ha detto a Wired - e quante conclusioni, più o meno vicine alla realtà, vi si possano trarre". La totalità dei suoi dipendenti, confessa per niente contento, è su Facebook. E le figuracce di quando uno scopre che l'altro, la sera prima, è stato a un barbecue di un collega che invece si era guardato bene dall'invitarlo sono all'ordine del giorno. Ci sono gaffe ben peggiori, ovvio. Al punto che l'anno scorso l'esercito inglese ha mandato una direttiva ai suoi soldati al fronte proibendo loro di rivelare informazioni che potessero localizzarli temendo che Al Qaeda potesse intercettarle. Niente di più facile, in effetti. Potremmo farlo tutti, senza avere né un particolare talento di hacker né di 007. Basta avere un "conto" per entrare e dare un'occhiata. Spionaggio elettronico al quale anche i genitori si sono rapidamente riconvertiti. Una volta rovistavano nei diari dei figli per scoprire ciò che loro gli volevano nascondere. Oggi possono sapere molto di più, rischiando molto meno di essere beccati in flagranza.

Ti iscrivi, cerchi il nome del pargolo e scopri cosa dicono, pensano e fanno lui e la banda dei suoi amici. Un'autobiografia collettiva a portata di clic.
Perché quel che sorprende è ciò che gli esperti chiamano il "paradosso della privacy". Succede che, come ha spiegato l'economista della Carnegie Mellon George Loewenstein, quando lui e i suoi ricercatori hanno posto domande delicate a un gruppo di studenti dando forti garanzie di riservatezza ha risposto il 25%. Quando neppure si nominava la riservatezza, si confidava oltre la metà degli intervistati. Non evocare rischi li aveva resi più tranquilli, meglio disposti. Il contesto poi fa la differenza e pochi, di fronte al pc, sentono minacciata la loro privacy. Sbagliando, ovviamente. Ma è un dato di fatto che solo un quarto degli utenti di Facebook utilizzi i controlli per graduare quante informazioni sul proprio conto gli altri possano consultare. Non si pongono il problema, oppure non sanno come utilizzarli. E restano nudi nel cyberspazio.

Una circostanza che non impedisce a Facebook di crescere impetuosamente. "Mario Rossi added you as a friend..." è una delle intestazioni più frequenti nel nuovo spam che intasa le nostre caselle elettroniche. Non sappiamo bene perché, ma quando qualcuno ci invita accettiamo di far parte del club. D'altronde uno dei boss della compagnia, il futurologo neocon Peter Thiel, è un grande fan del filosofo di Stanford René Girard, teorico del "desiderio mimetico". Banalizzando: la gente segue quel che fa il gregge, senza tanto riflettere. Il motore immobile di tanti successi commerciali. Nel mondo reale come in quello virtuale.

(27 agosto 2008)

 


 

Critica dei critici di Facebook

di Massimiliano Di Giorgio

scritto in
Donne & Uomini, Media, Schermi, Tecnologia | permalink

La crescita esponenziale di Facebook ha portato con sé, com’era prevedibile, anche un’escalation di critiche. Molto spesso immotivate, moraliste o fuori fuoco, perché che prendono di mira il social network ma in realtà si applicano a tutto il web…

C’è una categoria di critici di Facebook che trovo particolarmente insopportabile. Quelli che non rinunciano ad avere una pagina sul social network perché hanno capito che era trendy, che bisognava esserci. Solo che probabilmente poi non hanno ben chiaro a che serva, Fb, e perché starci. E dunque, pur senza rinunciare a navigare tra le pagine altrui, continuano a parlarne male.
A criticare, per esempio, l’abitudine degli utenti a raccontare cosa stanno facendo, che faranno o che hanno fatto; a caricare foto e video; a scambiarsi commenti, ad accrescere il numero dei propri friends.

Già, i famosi “friends”. Facebook consente di averne un numero limitato, “soltanto” 5.000, molti più di quanti potreste davvero frequentarne nella vita “normale”, quotidiana, a meno che non siate un politico in ascesa… Chi cerca più contatti, deve aprirsi un fan club. Come quelli di cantanti, attori, personaggi vari e appunto, politici. Che fanno da tempo parte della categoria dello spettacolo, in fondo.
La critica moralista della normale aspirazione di un utente-tipo di Fb - farsi più amici - nasce proprio dal fraintendimento della parola “friend”, amico. Che su Facebook non significa esclusivamente qualcuno con cui si condivide un sentimento di amicizia. No, può anche trattarsi di uno sconosciuto, fino a quel momento. Diciamo, per semplificare, che “friend” significa conoscente. O, addirittura, contatto.
Probabilmente all’inizio, per Fb, non era così. Visto che il social network è nato all’interno di un campus, forse amico significava proprio quello. Però, pensiamo a quanto gente - persone qualunque ma anche vip - utilizza nella vita quotidiana il termine “amico” per disegnare un conoscente, o un tale che a malapena conosce: “Vi presento il mio amico Caio”.
E amico, per i democristiani, e per i loro eredi politici, significa semplicemente “membro dello stesso partito”.
Che la parola abbia subìto un cambiamento di significato non è così strano, in fondo. Succede a tutte le parole dense di significato. Prendete, che so, il termine socialismo. O l’aggettivo riformista.

Contando i miei “friends” su Facebook, arrivo a circa 300. In grandissima parte, si tratta di persone che conosco davvero. No, forse davvero no: chi può dire di conoscere davvero qualcuno, se già è difficile conoscere davvero noi stessi? Sono persone che conosco in carne e ossa. Alcune da 30 anni. Diverse da 20, o da 10. Qualcun altro non l’ho mai incontrato fisicamente - per dire, alcuni di coloro che partecipano a Novamag - ma credo di avere lo stesso un certo grado di conoscenza. Si tratta di amici, colleghi, compagni di scuola, ex compagni di lotta o di partito.
Altri “friends” sono effettivamente occasionali. Amici di amici, per esempio. Cioè persone con cui condividi un certo numero di contatti su Fb, o con cui trovi qualcosa in comune (che so, il fatto che mi piaccia la band brasiliana Cansei de Ser Sexy ha spinto un’universitaria poco più che ventenne a essere amica mia).
Con alcune donne invece ho “flirtato” su “Are You Interested”, una delle centinaia - o migliaia, ormai - di applicazioni sviluppate intorno a Facebook, in cui clicchi su lunghi elenchi di foto per dire se la tizia - o il tizio - ti piace oppure no. Infantile, ne convengo. Ma anche lo svago vuole la sua parte.

Altro punto debole di Facebook, dicono ancora i critici, è quello della privacy. Che però è un problema generale del web, e del modo in cui le persone lo usano. Alcuni in modo ingenuo, altri, all’opposto, fraudolento. Un esempio di privacy violata: Tizio pubblica delle foto in cui compare Sempronio, e lo tagga, lo indica esplicitamente. Foto magari di 30 anni fa, quando entrambi andavano al liceo e Sempronio era brufoloso e rotondetto.
Una regola non scritta della privacy - che spesso è legata alla sensibilità e all’educazione, e non è qualcosa di misurabile - vorrebbe che si chiedesse il consenso della persona prima di schiaffare una sua foto - o un suo scritto privato - in un luogo pubblico. Ma su Fb ci sono degli strumenti che consentono di far vedere a una sola persona la foto in cui si è “taggati”, o anche rendere impossibile la tag da parte di altri.
Al contrario, che succede quando qualcuno pubblica tranquillamente una foto di Sempronio sul proprio sito o blog? Nulla. A meno che Sempronio non se ne accorga, o perché stava googlando il proprio nome o perché qualcun altro glielo ha riferito.
E anche in quel caso, il nostro amico Sempronio non ha che due possibilità: chiedere di rimuovere la foto o rivolgersi al Garante della privacy.
In realtà, il discorso andrebbe rovesciato: Facebook, al contrario del web, col suo anonimato e nella sua anomia, ti consente sempre di sapere quando qualcuno ti cita o ti mostra, e di intervenire.
La privacy che molti invocano è qualcosa che ha sempre meno senso. A meno di non uscire dalla Rete, che invece diventa sempre più trasparente. E qui lascio la parola a William Gibson, che ha sviluppato il tema nel maggio scorso al Festival delle Letterature di Roma:
“Guidati da un sempre più rapido incremento della potenza di computer e connessioni, e dal contemporaneo sviluppo dei sistemi di sorveglianza e delle tecnologie di localizzazione, stiamo avvicinandoci a uno stato teorico di assoluta trasparenza dell’informazione, in cui lo scrutinio «orwelliano» non è più un’attività gerarchica, dall’alto in basso, ma un’attività resa nuovamente democratica. Come individui perdiamo sempre più livelli di privacy, così come, alla fine dei conti, succede ad aziende e stati. Questo è probabilmente intrinseco alla natura stessa della tecnologia dell’informazione (…)”.

Altro problema sollevato, quello del rischio che su Facebook gli utenti si lascino ad andare a esternazioni di cui potrebbero pentirsi, perché quel che si scrive spesso può essere letto da più persone di quante si creda (per esempio nei commenti sui wall di un “friend”, che a sua volta ha altri “friend”, appunto), creando situazioni potenzialmente imbarazzanti. Ma anche qui, la colpa non è di Fb, né di Internet. A parte conoscere gli strumenti che il social network mette a disposizione, occorre prima di tutto un minimo di senso di responsabilità e attenzione. Degli utenti.

Il senso di Facebook, per qualcuno, è quello di una vetrina, un luogo dove mettersi in evidenza. E anche questo dà adito a moralismi. Perché farsi vedere dovrebbe essere di per sé un male? Eppure, una delle pratiche più diffuse sul web è cercarsi o cercare altre persone utilizzando i motori di ricerca. Dunque, non è strano che si desideri essere trovati. La definizione dell’uomo come “animale sociale” è vecchia come il cucco, in fondo. Diciamo che Facebook è un social animal network.
Conosco anche persone che hanno cominciato a usare Fb come strumento di lavoro. Per esempio, addetti stampa, Pr, promoter, scrittori. E sarebbe interessante prima o poi che qualcuno raccolga le esperienze lavorative nate sulle sue pagine.

Ma più ancora che pensare alla propria pagina Fb come una vetrina, credo che sia più esatto considerarla come la propria presenza ufficiale sul web, la propria identità mediatica.
Non so se il progetto di Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, sia questo, cioè trasformare il sito in una sorta di condominio terrestre, però mi pare un dei possibili sviluppi, in barba a chi vede in Second Life la versione virtuale del mondo (sulla scorta della visione contenuta nei libri di Gibson).
In fondo, già oggi Fb è uno strumento multifunzionale e multimedia. Consente di inviare messaggi privati agli altri utenti, come un servizio email. Di scrivere post, come un blog. Di caricare video, foto, file audio. Di chattare. Di ritrovare amici e compagni di classe. Di incontrare potenziali partner (ma anche di acquistare sesso). Di fare spese. Di lavorare meglio (certo, dipende da che mestiere si fa).
Dunque, l’idea che di una “cittadinanza Facebook” ha già discrete basi di partenza per svilupparsi, in direzione di un mondo in cui ognuno abbia il proprio account, la propria pagina…
Ma succederà poi davvero? Credo di no. L’idea di un Facebok globale e totale (o totalitario, dipende dai punti di vista) cozza in fondo con le caratteristiche del web per come lo conosciamo, un luogo che consente a molte idee diverse di farsi spazio e di conquistare popolarità, attraverso meccanismi che in certi casi restano oscuri agli stessi “esperti”.
Invece, ci si può domandare per quanto tempo durerà la Facebook-mania dei media (ne sono vittima anche io, come giornalista, lo ammetto), in cui qualsiasi cosa accada su Fb è una notizia tout court. E tra quanto tempo gli utenti smetteranno di pensare che per cambiare il mondo basti aderire a una cause su Facebook.


 

 

5 critiche a Facebook, uno dei più famosi Social Network!

 

Amati o odiati i Social Network sono uno dei servizi più utilizzati dagli utenti di Internet, e tra questi il più famoso è Facebook. Ci si iscrive gratuitamente, si inserisce un profilo con foto opzionale e si completano dei campi di informazioni sulla nostra persona, dalle abitudini agli hobby, dai rapporti interpersonali al lavoro, dalle scuole frequentate alle frasi preferite e così via. Molte sono state le critiche che negli ultimi tempi hanno subito i Social Network in generale, e ovviamente più sono diffusi più sono presi di mira dalle polemiche. C’è stata recentemente per esempio una avvocatessa, Carla De Gerolamo, che in un video dei Tech5 di ICTv ha enunciato ed esplicato 5 validi motivi per boicottare Facebook (e tutti i Social Network in genere).

I cinque punti a sfavore sono:
1. C’è un calo della produttività sul lavoro. Questo fa ben immaginare la rabbia delle aziende con molti dipendenti, i danni che subisce la micro economia della società in primis e la macro economia a livello più generale.

2. C’è il rischio di complotti. Si vocifera addirittura che la Cia, nota agenzia investigativa americana, sia coinvolta nello spionaggio di profili, gruppi e quanto altro gira sul web di Facebook.

3. C’è l’occhio indiscreto del marketing. Le grosse società del mercato italiano e straniero “spiano” gusti, preferenze, tendenze, abitudini degli internauti per creare prodotti sempre più vicini ai desideri di noi umani.

4. La Privacy è completamente assente. Diciamoci la verità, completare tutto il profilo su Facebook significa dire anche quante volte si va al bagno.

5. Ultimo ma non per importanza, questi spazi web creano dipendenza. La mattina appena svegli, o appena acceso il pc sul posto di lavoro controlliamo le e-mail e apriamo la pagina di Facebook per vedere se qualcuno ha lasciato un commento nella bacheca, se ci sono aggiornamenti nell’album di foto del nostro amico o se la persona che ci interessa ha per caso cambiato il profilo.

Se osserviamo con attenzione l’elenco ci rendiamo conto che molto di quanto detto è vero, tuttavia non si può neanche negare l’utilità che tali servizi web possono fornire. Amici di lunga data che abitano in luoghi molto distanti si tengono in contatto, c’è la possibilità di conoscere gente nuova e allargare le proprie vedute, discutere le proprie idee con un’infinità di gente.
L’importante è essere sempre coscienziosi e consapevoli delle proprie azioni, poi ogni strumento telematico e non può essere usato a nostro vantaggio nonostante i difetti che può presentare.

 


 

 

La società sparente in un articolo dell’Unità. Facebook, un viaggio nel pianeta «utile e dannoso» di Enrico Fierro

su facebook: Coraggio: è quello che ti trasmettono i tanti che fanno antimafia.

sabato 29 novembre 2008.

 

Degli stessi autori

Francesco Saverio Alessio

Florense

sito: Florense

Autore, insieme a Emiliano Morrone, del libro "La società sparente" (Neftasia Editore, Pesaro, 2007), che denuncia i rapporti fra ’ndrangheta e politica in Calabria, continuando sulla linea di impegno a difesa della propria terra tracciata da Roberto Saviano con "Gomorra". Vicedirettore del giornale "la Voce di Fiore", attualmente vive nascosto cambiando abitazione spesso ospite di amici in seguito a gravi minacce di morte, si occupa prevalentemente di computer grafica applicata all’Architettura e al Web e di problemi che riguardano l’emigrazione, l’immigrazione, di relazioni interculturali, di tecnologie educative e comunicative applicate allo sviluppo del territorio e del Mezzogiorno, di Arte, Architettura e Design del Mediterraneo.

Dal dicembre 2001 all’ottobre 2003 ha collaborato con il Centro Mediterraneo di Ricerca Scientifica Università Mediterranea S.r.l. del quale è stato Socio Fondatore (1). Per il C.M.R.S. Università Mediterranea ha curato le Relazioni Diplomatiche della Casa del Mediterraneo in Italia e all’estero, particolarmente in Francia.

Ha collaborato per volontariato con la HERITAGE Associazione Florense degli Emigrati, della quale ha progettato e realizzato il Sito Internet attraverso una ricerca operata insieme al Presidente di questa Associazione; l’Associazione HERITAGE in quella forma non esiste più essendosi divisa in due associazioni: l’Associazione Heritage Calabria e l’Associazione Un Sorriso agli Emigrati. Il sito www.heritagesgf.it dismesso è stato quasi interamente assorbito da www.emigrati.it.

Ideatore e fondatore con Alfredo FEDERICO e Pasquale BIAFORA del Sito Internet www.emigrati.it, é Presidente dell’Associazione Internet degli Emigrati Italiani nata intorno a tale sito web, ed è convinto che lo studio ed il dibattito sui problemi causati dall’emigrazione di massa della nostra popolazione e la conseguente disintegrazione della nostra Cultura siano alla base di ogni serio progetto di sviluppo per il territorio Florense e Calabrese.

E’ Redattore per la sezione Architettura ed Urbanistica del Laboratorio di Produzione Culturale "La Voce di Fiore", Direttore Responsabile della rivista è Emiliano MORRONE; fra i collaboratori Gianni VATTIMO, Derrick DE KERCKHOVE, Alfonso Maurizio IACONO.

E’ Corrispondente per la Calabria della rivista trimestrale di Arti e Mestieri "Arti Tessili Italiane" diretta da Geneviève Porpora.

E’ Socio Fondatore e membro del Consiglio dei Soci dell’I.S.Ca.P.I. - Istituto Superiore Calabrese di Politiche Internazionali presso l’Università della Calabria, Arcavacata di Rende.

Dal 16 ottobre 2005 è divenuto membro dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai.

Dal gennaio 2006 è socio onorario di Calabria Mondo - Associazione Culturale dei Calabresi nel Mondo e consulente per l’emigrazione di tale Associazione.

Dal maggio 2006 al dicembre 2007 è stato responsabile nazionale del settore immigrazione e membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione ConVoglio Valori.

Il 7 giugno 2006 è stato fra i relatori al 1° Festival internazionale della filosofia in Sila

 

 


 

«Ma tu ci sei?».«Dove ?». «Ma su Facebook, diamine». Da www.unita.it

 

Il mio interlocutore - un collega più o meno della mia stessa età - è rimasto di sasso quando gli ho risposto che non, non ero su Facebook. Caritatevole, mi ha preso sotto braccio e mi ha spiegato il mondo. In sintesi: se non sei su Fb non sei nessuno, se il tuo nome non appare su Wikipedia sei una nullità, se digitando su Google le tue generalità non escono almeno un migliaio di richiami sei out. Un mondo di certezze mi si è sfarinato addosso. Pensavo che bastasse scrivere un articolo ogni tanto, avere un discreto numero di relazioni, partecipare a qualche dibattito, dialogare via mail con i lettori per essere soddisfatti. Roba vecchia, da buttare. «Devi essere su Fb», mi ha imposto prendendomi per mano e spiegandomi come si fa. La tecnica è facile, difficile superare le diffidenze. Sarà uno sfogatoio, una vetrina, sarà un posto pieno di gente che vuole “acchiappare”. Ho provato e alla fine ho scoperto che è divertente. Ritrovi amici che non vedevi da una ventina di anni, colleghi che incontri distrattamente sul lavoro con i quali il dialogo è ridotto all’osso (che pezzo fai, dove andiamo a cena...), personaggi politici che parlano liberamente (rispondono), allegri mattacchioni e....pure i figli, quelli degli amici e i tuoi. Ecco il mio viaggio di sette giorni nello sconfinato pianeta di Fb.

Il poeta dei numeri: è Franco Festa, avellinese come me e grande professore di matematica prima di diventare preside del liceo più importante della città. Lo chiama così un suo ex allievo e trovo la definizione commovente. Con Franco in un’altra vita abbiamo fatto mille battaglie politiche. Ora è in pensione e scrive romanzi bellissimi per una piccola casa editrice. Ha inventato la figura del commissario Melillo, un Montalbano triste che attraversa i vizi e i mali della sua città armato di un sano scetticismo. Abbiamo un impegno: convincere Gabriele a dotarsi di internet e computer.

Renato Natale: è un medico di Casal di Principe (nota località!). Ha fatto politica, è stato il sindaco del paese e non si è abbandonato alla morsa mortale della disillusione. Finito l’impegno nei partiti (che disastro quando anche quelli democratici e di sinistra perdono persone così) ora è volontario in una marea di associazioni. Mi scrive spesso del centro Fernandez a Castelvolturno. «Quando vieni e fai qualcosa per il giornale?». Spero presto!

W la campagna: Titti Beneduce è una brava collega del Corriere del Mezzogiorno, ha scritto sempre per giornali importanti (la si può leggere anche sul Riformista), insomma è una di quelle giornaliste che si devono obbligatoriamente consultare (e leggere) per capire Napoli. Con lei parliamo di campagna, verdure, frutta...è diventata una vera appassionata. Da invidiare. L’invidia: “è questo il problema della sinistra. Voi invidiate chi ha successo”. E’ il messaggio che con ossessiva regolarità mi invia Rocco Sarachiello. Io gli rispondo che non è così, che Berlusconi, la destra...lui insiste: il problema è l’invidia. La Torre, i pizzini e Villari: dibattito infuocato con alcuni deputati e iscritti al Pd. Michele Bordo, onorevole di Manfredonia, ammette: «Così non andiamo da nessuna parte». Io credo - e con me una marea di “amici” delusi (ci chiamiamo così su Fb) - che invece da una parte si vada: verso l’eterna vittoria di Berlusca & soci.

Coraggio: è quello che ti trasmettono i tanti che fanno antimafia. Scrive Aldo Pecora (Ammazzateci tutti), Pino Masciari, Emiliano Morrone che con Francesco Saverio Alessio ha scritto un bel libro,«La società sparente», il sociologo Marcello Ravveduto che vuole fare un coordinamento degli scrittori antimafia, Biagio Simonetta che anima un bel sito (www.ndrangheta.it) sempre carico di informazioni e di un entusiasmo velato dalla tristezza per la sua disperata Calabria, Rosaria Capacchione e Rita Borsellino...e tantissimi altri. Altro che Villari, La Torre e pizzini...

Musica: un altro amico ritrovato, Goran Kuzminac, una lunga convivenza nella stessa casa a Roma, non ci vediamo da anni. Ha fatto un nuovo Cd, «Dio suona la chitarra». «È bellissimo, ne parli sull’Unità?». «Tenterò!». Il cane: Caterina, che vive in Molise, ha perso il cane.

Ti ho taggato...un video. Non so cosa significhi, è il messaggio del mio amico e collega Ruben Oliva. Mi ha messo in pagina un video girato a Quindici nel 2002. Ci fu una strage di camorra noi eravamo lì. Come va l’Unità?: me lo chiedono in tanti, soprattutto ex colleghi (in altri giornali o in pensione). Ne discutiamo via mail. No, la mia bambina no: Martina e Lella sono le mie figlie gemelle. Patite di internet (chattano e hanno un blog di grafica). Sono iscritte a Fb e ho faticato un po’ a convincerle ad accettare la mia amicizia. Martina ha fatto un errore, nel descriversi alla voce “interessi” ha scritto “uomini”. Quando l’ho visto ho rischiato l’infarto al grido de “la mia bambina noooo”. L’ho chiamata, ha ammesso l’errore e l’ha corretto. Ho avuto i sudori freddi.

Ecco, questa è la vita su Facebook, un modo per ritrovarsi, parlarsi, dirsi cose. È uno dei tanti figli malati dei nostri tempi, un frutto avvelenato della crisi, è utile, è dannoso...agli specialisti del cazzeggio applicato l’ardua sentenza.

Enrico Fierro

l’Unità, 21 Nov 2008


 

 

Da www.loschermo.it. Lo "Shock emozionale" di FaceBook & Co. La parola ai lettori : Lettere alla redazione. del 05/04/2009

 

"Spinti dai mass media e dal passaparola i social forum come FaceBook - scrive Vittorio Baccelli -, ma non solo quello, stanno attraversando il loro momento di gloria. Milioni di utenti sparsi per il mondo comunicano tra loro scambiandosi anche immagini e suoni. Sono utili come contatto tra amici, ma anche come contatto professionale e sembra proprio che in questo momento il mondo i ntero non ne possa far a meno. Eppure tutto ciò non è una novità, per chi era già abituato a navigare con una certa dimestichezza, tutti i servizi offerti dai social forum, erano già a disposizione...

RISPONDE IL DIRETTORE

"Ma adesso il fenomeno è di massa e per tutti c'è la possibilità di andare alla ricerca di parenti scomparsi per il mondo o di vecchi compagni di scuola o di amici dei quali si erano perse le tracce. È semplice consultare elenchi di ricerca.

E così l'utente si ritrova i volti attuali di amici d'infanzia, lo zio disperso nelle Americhe, la prima ragazza che dai banchi di scuola gli faceva girar la testa, la sua prima cotta, insomma. Bello, ma tutto ciò comporta uno shock emozionale, un impatto al quale non tutti sono preparati.

I rischi possono essere al di là del prevedibile, nel mondo reale le emozioni positive e negative si depositano, si stratificano nel tempo, la nostra mente ci permette di elaborarle e digerirle pian piano. Nei nuovi network, no. Qui tutto viaggia velocemente, tutto avviene in tempo reale, il PC non dà il tempo di digerire con calma l'input appena arrivato.

E anche le notizie giungono in presa diretta, ancor prima dei telegiornali e della stampa. Questa velocità applicata alle emozioni può farci trovare impreparati di fronte alla realtà globale che ci circonda, e anche a tutto ciò che capita nel nostro gruppo di contatti che è allargato, non solo agli amici, ma anche gli amici degli amici.

Complica il tutto il fatto che i contatti non si limitano a quelli della nostra vita reale, alle persone che fisicamente ci circondano, ma includono gli amici degli amici e anche i fantasmi del passato, dalla ragazzina di cui eravamo innamorati ai colleghi del nostro primo lavoro, a chi frequentavamo all'università, passando per tutta una serie di persone che abbiamo incrociato nella nostra vita.

L'unione della velocità agli amici a-temporali con i loro amici, può dun que creare un'onda emozionale alla quale non siamo ancora pronti. Il mondo virtuale è fantastico, ma solo con la dovuta coscienza possiamo apprezzarne i vantaggi e minimizzare i problemi che potrebbe causarci. Limitare il web? Assurdo e impossibile, è il singolo che deve comprenderlo e affrontarlo".

- Vittorio Baccelli -
 

Caro Vittorio,

siamo perfettamente d'accordo sul fatto che limitare  il web sia assurdo e (per ora) impossibile. Per il resto credo che sia molto più pericoloso, per ragioni storiche più che oggettive, mettersi a criticare Internet, piuttosto che sostenerlo a spada tratta.

Ci sono già troppe campagne denigratorie in corso da parte degli organi di informazione classici, quelli controllati dal potere, per buttare altra benzina sul fuoco.

Non credo infatti sia corretto mettersi a criticare la naturale tendenza all'aggregazione data da un social network come FaceBook, sull'altare di un'analisi dell'impatto psicologico di una comunità parallela e virtuale, rispetto ad un'altra più formale e reale.

Ma se il mondo reale è la nostra vita di tutti i giorni, è davvero giusto parlare di realtà virtuale riferendoci a Internet? Oggi lavoriamo sul web. Ci facciamo acquisti e transazioni. Lo usiamo per organizzare le vacanze e i viaggi.

Poi alla fine ci sono tanti modi per ammazzare il tempo senza farlo in modo pragmatico e programmato. Ascoltare un bel cd o andare al cinema non è forse una fuga dal mondo reale? Perché nessuno ha mai denunciato il cinema come un pericolo di estraniazione dell'individuo?

Bisogna stare molto attenti, caro Vittorio. Perché questo tempo ci pone davanti a delle vere rivoluzioni nel campo della comunicazione che non possono e non devono essere valutate con il metro classico della formalità. Né, per una volta, con i soliti strumenti del moralismo diffuso. O pesate sulla bilancia della psicologia spicciola.

Ricordiamoci che Internet, fino a pochi anni fa (e per molte persone ancora) era liquidato come  il luogo "dove si vedevano le donne nude". Dose che poi è stata rincarata da una certa propaganda con lo spettro della pedofilia.

L'ultimo arrivato è il fantasma della violazione della privacy.

Iscriversi a FaceBook, insomma, fa circolare nel mondo i dati personali e quindi servono leggi comunitarie internazionali per arginare il fenomeno della diffusione di dati sensibili, a tutela delle persone che usufruiscono del servizio.

Certo, ok.

Ma vogliamo parlare delle carte di credito? Dei telefonini?

Ormai sappiamo che il fatto di usare questi due strumenti, che dal canto loro alimentano business plurimiliardari in tutto il mondo, cancella totalmente la nostra privacy.

Un telefonino, oltre ad essere intercettabile nelle trasmissioni, può segnalare la nostra posizione in qualsiasi momento e in ogni parte del pianeta.

Anche se spento.

Una carta di credito può tracciare il nostro identikit attraverso il monitoraggio dei nostri acquisti e segnalare gli spostamenti di chi la usa.

Perché nessun progetto di legge o crociata moralista si mette a limitare l'impatto sulla privacy di certe tecnologie mentre Internet è messo alla gogna ogni giorno?

E' talmente semplice da risultare banale: perché Internet è LIBERA e non controllabile.

Dà la possibilità a tutti di accedere a qualsiasi tipo di informazioni e, a sua volta, crearne di nuove da far circolare per informare. Il tutto praticamente a costo zero.

Hai presente, Vittorio, il significato di questo valore aggiunto rispetto ai grandi mass media che fino ad ora hanno monopolizzato la comunicazione e l'informazione?

Dal 1950 fino ai giorni nostri la televisione era divenuto il mezzo di comunicazione più potente della storia del mondo. E quello con la potenza di assorbimento più totalizzante, visto che la radio non creava quello stato vegetativo nell'ascoltatore.

Per controllare la televisione, però, sono sempre stati necessari grandi quantitativi di denaro, così che il mezzo è sempre stato l'espressione del potere di turno, che lo ha di conseguenza usato naturalmente per il controllo delle menti. Per la diffusione di ideologie, per la propaganda.

"E' vero, perché lo hanno detto in televisione", è ancora il mantra di intere generazioni.

E la politica, l'economia hanno sempre sfruttato la cosa fino in fondo.

Ma adesso, con Internet, ogni cittadino può dire la sua ed essere ascoltato. Trovare le informazioni di cui ha bisogno per crearsi un'opinione non viziata da fattori opportunistici esterni.

Dici che certe metodologie di approccio di FaceBook sono pericolose in quanto effimere? Beh... francamente credo che anche quando le persone fanno delle fesserie effimere come postare su Flickr le foto dei gatti sia sempre meglio che guardare la televisione.

Perché la cosa, seppure superficiale, crea una fondata consapevolezza di partecipazione, data dalla condivisione.

Come pure FaceBook.

Perché è vero, Vittorio, che si può usare questo nuovo network per reincontrare la fidanzatina del liceo (ma non sottovalutiamo il "fattore volontà" che sta dietro ai meccanismi del social network, ossia il fatto che tutti gli iscritti possono o non cercare amicizie, oppure accettarle o meno), ma la cosa più importante di FaceBook è che permette realmente, assieme ad altri mezzi del web, di fare grandi cose.

In California FB ha portato al voto milioni di immigrati che neanche sapevano di averne il diritto.

Senza contare il fatto che mai un candidato afroamericano come Barak Obama non sarebbe stato preso in considerazione senza l'azione di mobilitazione legata all'uso dei social network on line (il mito della neutralità dei media tradizionali americani non avrebbe mai fatto emergere certe peculiarità del candidato democratico, filtrando agli occhi dell'elettorato la percezione della rivoluzione che si portava appresso e, probabilmente, rendendolo di fronte all'opinione pubblica involontariamente un alieno senza speranze).

Senza contare la rete di solidarietà, informazione e cooperazione nata su FB a seguito del terremoto in Abruzzo.

Questo è il valore aggiunto, quello che farà sempre pendere la bilancia della democrazia dalla parte di Internet: la partecipazione. Il doppio senso di marcia nelle informazioni dato dal web 2.0.

Il fatto che dà la possibilità di creare delle iniziative dal basso e usare al meglio gli strumenti per farle crescere.

Quindi non facciamoci offuscare le menti da coloro che credono di avere il diritto di educare le masse a loro piacimento. Il dubbio che si sta insinuando nelle menti tramite l'uso dei mezzi di informazione controllati dal potere non deve insinuarsi nella nostra capacità di giudizio critica, ma piazzato sempre sul piatto di quella famosa bilancia della consapevolezza.

Certo, il web è anche una macchina di distrazione, sarebbe ipocrita non considerarne anche questo aspetto. Per molti è un mezzo nuovo, al quale magari si sono avvicinati proprio grazie a FaceBook.

E sempre, quando si passa dall'uso occasionale a quello continuo di uno strumento dobbiamo trovare il modo di manterere l'attenzione e la concentrazione giusta per non venirne travolti.

Un guru di Internet del livello di Clay Shirky ha dichiarato provocatoriamente che "Ogni minuto in cui guardiamo la tv anziché arricchire Wikipedia è tempo sprecato".

D'altronde la deriva del mezzo televisivo dipende anche dalla naturale legge che dice che ogni sostanza, se assunta in grandi quantità, diventa velenosa. 

Adesso però dobbiamo tenere presente che la televisione è diventata la babysitter del mondo proprio sulla base della passività richiesta dal mezzo ai suoi spettatori.

Al contrario il web 2.0 - quindi anche FaceBook & Co. - fin dal primo giorno della sua comparsa ha trasmesso una carica rivoluzionaria in quanto opposta: essere capace di liberare nel mondo energie creative mai immaginate prima, aprendo la porta a sviluppi futuri di democrazia inimmaginabili.

Non facciamoci confondere dai proclami.

Liberiamo la mente dalle sovrastrutture che ci vanno valutare il "virtuale" con il metro del "reale"

Il resto, il mondo che immaginiamo, magari poi verrà da sé.

O forse lo costruiremo insieme, in un'ottica cosmopolita capace di rendere al cittadino la sua centralità nell'economia del sistema sociale civile.

- Stefano Giuntini -