CENACOLO DEI COGITANTI |
Documento d’interesse Inserito
il 24-7-2009
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La Stampa 24/7/2009 – Due
articoli
1) IL SAPERE INUTILE.
SISTEMA SOTTO ACCUSA
Tutti bocciati prof e allievi
Scuola da rifare.
RAFFAELLO MASCI
"Giovani incapaci di risolvere qualsiasi problema"
Una scuola che non serve a niente. Detta in maniera meno
brutale, con le parole dell’Ocse: incapace di indurre una cultura del «problem solving», tutto quello
che si impara non si è poi in grado di utilizzarlo nella vita e
nell’esperienza. E’ la più grave carenza del nostro sistema scolastico,
associata ai mali di cui ieri, su «La Stampa», Luca Ricolfi
ha fatto una impietosa disamina: incapacità degli
allievi di leggere e di esprimersi, di esercitare la memoria e il dono di
sintesi, di concentrarsi e di valutare.
La situazione, in effetti, trova riscontro oggettivo nelle tre indagini Pisa-Ocse sui livelli di apprendimento dei ragazzi
italiani, realizzate negli ultimi 10 anni (a intervalli di tre anni l’una
dall’altra: l’ultima è del dicembre scorso). Non solo - dice l’Ocse - i
quindicenni italiani (questa la classe di età indagata) non sanno né leggere né
esprimersi nella loro lingua, non solo non conoscono la matematica e in
generale le materie scientifiche, ma mancano - soprattutto - della capacità di
«problem solving», cioè non
hanno alcuna attitudine a fare proprie le conoscenze acquisite e ad applicarle
ai problemi che la vita e l’esperienza pongono. Una preparazione la loro
(quando c’è) essenzialmente teorica e libresca.
«E’ questo un problema annoso della scuola italiana -
dice Claudia Donati, responsabile del settore processi formativi del Censis, e
quindi osservatrice costante della scuola italiana -. Il passaggio da
conoscenza a competenza è stato sempre il tallone d’Achille del nostro sistema.
In questo senso il professor Ricolfi ha messo il dito
nella piaga. Tuttavia va detto che la scuola italiana è viva, e negli ultimi 15
anni ha anche cercato di dare risposta alle sue carenze più evidenti nel
raffronto internazionale: per esempio ha cercato di attivare un sistema di
valutazione, realizza progetti pilota, fa laboratori, alternanza scuola-lavoro
e valorizzazione dell'istruzione tecnica attraverso rapporti col mondo
produttivo. Con la Gelmini sta cercando anche di darsi un maggiore rigore, che
vorrebbe essere anche disciplina nei metodi di lavoro. Ma si tratta di elementi
sganciati l’uno dall’altro, segmenti che, se non coordinati rischiano di essere
episodici».
Peraltro non esiste una «scuola italiana», ma molte realtà diversificate sul
piano qualitativo. Specie dopo l’introduzione dell’autonomia scolastica (1998)
i piani dell’offerta formativa presentati da ogni istituto consentivano di far
emergere esperienze di grande rilievo. «Abbiamo quindi
una realtà frastagliata, con punte avanzate proprio nella direzione indicata da
Ricolfi - dice Antonio Petrolino, presidente dei
presidi romani - ma una buona scuola non basta da sola a sortire risultati.
Sulla preparazione dell’allievo incidono molto altri due fattori: la famiglia
di provenienza e il territorio. In sostanza uno studente, anche dotato, dà
risultati molto diversi se proviene da una famiglia colta piuttosto che da una
in cui l’unico libro è l’elenco del telefono. Allo stesso modo un buon liceo
non è lo stesso, se si trova a Bolzano o a Scampia». Dunque non basta una buona
scuola se non ha apporti di pregio dalla società.
«Allo stesso modo - aggiunge Claudia Donati - dobbiamo
considerare che la formazione di un giovane non avviene più solo nella scuola,
ma moltissimo, ormai, attraverso i canali informali della trasmissione del
sapere: Internet, le tecnologie digitali, le tv anche tematiche, il sistema dei
mass media, eccetera. Questo significa che nei processi educativi occorre saper
gestire questa massa enorme di soggetti. E se le nuove generazioni hanno le
carenze segnalate da Ricolfi, è a questa pluralità di
fonti di istruzione che dobbiamo rivolgerci. La scuola dunque conta molto, ma
la famiglia e il gruppo sociale in cui si vive, almeno altrettanto».
L’importante poi, secondo Petrolino «non è tanto tornare a insegnare, quanto tornare a imparare.
Nella scuola italiana l’accento va messo molto di più sull’output piuttosto che
sull’input. Dobbiamo, cioè conoscere meglio gli
studenti e il loro mondo e valutare il lavoro docente per i risultati che
produce su di loro». In tutto questo non sarebbe male se la
scuola si potesse giovare di un periodo di tranquillità: «Quello che manca -
dice il presidente dell’associazione presidi, Giorgio Rembado
- è un progetto formativo chiaro, che punti a determinati obiettivi di fondo e
li persegua nel tempo: non si può continuare a dire tutto e il contrario di
tutto, sconfessando periodicamente quello che si diceva pochi mesi prima.
Non è possibile che si pensi ad una scuola diversa ad ogni cambio di
maggioranza».
La Stampa 24-7-2009
2) La studentessa modello
"Non capite la generazione degli sms"
"Al liceo si sbaglia l'ortografia"
MARIA TERESA MARTINENGO
Ricolfi sottolinea la difficoltà dei giovani ad
esprimersi correttamente per iscritto. Cosa ne dici?
«Ho compagni che fanno ancora errori di ortografia. Mi
sembra grave che alla fine della quinta liceo non si sappia scrivere bene in
italiano».
Non
andrebbe meglio nell’«arte della parola»...
«Molti usano frasi corte perché non riescono a
collegare i concetti. Nella vita di tutti i giorni è diverso, manelle interrogazioni, quando non conoscono bene la
materia con il suo linguaggio specifico e devono arrampicarsi sui vetri, è
tragico. Usano termini vaghi e i professori si innervosiscono, li interrompono
per farli ragionare. Poi, c’è chi ripete il libro parola per parola...».
Ricolfi dice che si è persa la capacità di concentrarsi e
gli errori logici sono all’ordine del giorno.
«Vero anche questo, ma non per tutti: almeno 4-
Incapaci
di autovalutazione?
«Molti non sono in grado di migliorare o non vogliono».
Allenati
a superare test, ma non a padroneggiare una disciplina?
«Nei licei, i test a risposta multipla sono poco usati». È vero che si
dimentica in pochi anni ciò che si è imparato in ambito scientificomatematico?
«Ho difficoltà a ricordare storia, latino. Forse se
avessi fatto il classico sarebbe stato il contrario. Credo sia sempre capitato,
non è una novità».
Gli
studenti di oggi considerano Internet «la memoria»?
«Ciò che noi studiamo è tutto nel Web e nel Web siamo
abituati a verificare ogni dubbio. È la memoria cui si può ricorrere comunque,
poi sta ad ogni persona usarla bene. E’ probabile che oggi ricordare sia meno
importante. Io però ho avuto una maestra che ci faceva studiare le poesie ed è
stato un utile allenamento».
Scarsa
concentrazione, ma capacità di fare più cose insieme?
«Nello studio serve concentrazione. È improbabile
mandare sms ed essere attenti alla lezione».
Ottima
capacità di far funzionare ogni oggetto tecnologico, ma senza capire com’è
fatto?
«Può valere per le ragazze, ma tra i maschi la passione per l’elettronica c’è
davvero».
Grandi
navigatori nella Rete, ma esposti a credere alle bufale?
«Sì, ho visto portare ricerche con dati veramente assurdi».
Riconosci
la tua generazione nella descrizione di Ricolfi? Una
generazione a cui, a forza di facilitazioni, è stata spacciata per istruzione
un’«allegra infarinatura»?
«Nella scuola di oggi chi vuole imparare può
farlo, ma chi non è interessato può comunque finire con facilità. Il ritorno
degli esami di riparazione ha spaventato, poi la gente si è accorta che sono
abbastanza semplici e si è tranquillizzata».
Ci
sono stati insegnanti particolarmente importanti per te?
«Il prof di matematica di quest’anno, senza il quale
non avrei superato lo scritto così come l’ho superato. E poi la maestra delle
elementari, quella delle poesie a memoria».