CENACOLO DEI COGITANTI |
Documento d’interesse Inserito
il 30-4-2009
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Il Corriere della Sera 30-4-2009
I RAGAZZI E I SILENZI DEGLI
ADULTI. I nostri figli senza maestri
di Isabella Bossi Fedrigotti
Della politica, di ogni suo minimo sussulto, controversia o screzio, si
discute per giorni, si ragiona, si polemizza. Dei giovani e giovanissimi, dei
loro problemi, dei loro allarmi, della loro violenza, dei terrificanti crimini
che riescono a commettere quando ancora, almeno in teoria, devono rispettare
l’orario di rientro dettato dai genitori, dopo un momentaneo commento incredulo
e sbigottito, si tende, invece, a tacere. E così gli accoltellamenti, le
rapine, le aggressioni, gli stupri di gruppo, gli assassini per opera di
adolescenti o poco più transitano veloci, giorno dopo giorno, negli spazi delle
cronache nere senza che ci prendiamo la briga di riflettere davvero su cosa sta
succedendo nella nostra società. Di loro, dei ragazzi, quando li arrestano, si
coglie per lo più la freddezza e l’indifferenza, non solo per le vittime ma
anche per i propri cari e il proprio destino, quasi che qualsiasi cosa—compreso
il carcere — fosse preferibile all’insopportabile noia che li affligge. E
sembra specchiarsi, quest’indifferenza, nel loro
abbigliamento, sempre uguale, jeans, scarpe sportive e felpa, del tutto
indifferente a diversi luoghi e occasioni: casa, scuola, lavoro, pub, sport
oppure discoteca.
Vanno e rubano, vanno e accoltellano, vanno e dan
fuoco a un barbone, vanno e uccidono un compagno di scorribande, quasi sempre
in gruppo, per farsi forza, naturalmente, perché da soli forse non oserebbero;
e noi ce la sbrighiamo parlando di «fenomeno delle baby gang», come se il
termine straniero minimizzasse la tragicità dei fatti. Ma da dove vengono e chi
sono questi alieni crudeli e indifferenti? Da case normali per lo più; anche
dal degrado, dalla miseria e dall’emarginazione, ma altrettanto, da case belle,
quartieri buoni e famiglie per bene. Potrebbero essere figli di tutti noi,
incappati per insicurezza, per solitudine, per noia nell’amico più forte, nel
gruppo sbagliato; e si sa che il gruppo ormai conta più della famiglia, per il
semplice fatto che la famiglia, nonostante il gran parlare che se ne fa, è oggi più debole che mai. Oltre a essere spesso
dimezzata, per cui i ragazzi sono privi della costante ed equilibrante presenza
di entrambi i genitori, non è più come un tempo affiancata e
sostenuta nel suo magistero dagli insegnanti e da altre figure di
educatori come, per esempio, i parroci, per ragioni che a volte risalgono
paradossalmente proprio alla famiglia.
Se, infatti, padri e madri—come spesso succede — prendono sistematicamente
le parti dei figli contro maestri e professori, è difficile che si crei
quell’alleanza di intenti preziosa per l’educazione. E rinunciare a qualsiasi
forma di istruzione religiosa è, ovviamente, una scelta rispettabilissima che
però priva la famiglia di un supporto non indifferente. Moltissimi sono
naturalmente i padri e le madri forti abbastanza per
farcela da soli a insegnare ai figli cos’è bene e cos’è male, ma molti sono
anche quelli che, invece, non ce la fanno. Ma c’è dell’altro, ed è la
profondissima infelicità dei giovani. Perché è certo che sono infelici, lo
gridano dietro i loro indecifrabili silenzi, che non sempre riflettono soltanto
il comodo, rilassante oppure stanco silenzio degli adulti. È un’infelicità
chiusa e senza desideri, peraltro, secondo il geniale titolo del romanzo di
Peter Handke, perché non può esserci desiderio dove non c’è speranza.
Ecco, quel che atterra i nostri figli, quel che toglie loro qualsiasi
energia positiva, quel che li rende tetri e annoiati e, dunque, disponibili
alle trasgressioni più atroci, è la mancanza di speranze condivise. Speranze
che molto prima di essere di natura economica sono di natura ideale, nutrimento
e carburante indispensabile per i giovani. Anche per noi adulti, ovviamente,
perché l’uomo non può vivere senza aspettarsi per domani una sia pur minuscola
luce, ma in modo molto meno assoluto e radicale, perché abbiamo ormai imparato
bene a difenderci dal vuoto. Speranze —condivise — che una volta riguardavano
la politica, per esempio, oppure la religione o la cultura e che adesso,
mediamente, s’innalzano fino ai successi della squadra di calcio del cuore o al
sogno di finire in tv oppure alla conquista di un certo tipo di abbigliamento
firmato e uniforme. Poveri ragazzi, viene da dire, però è questo il piatto che
abbiamo preparato per loro, gli esempi che abbiamo fornito, i modelli che
abbiamo fabbricato. Ed è un serpente che si morde la coda perché se famiglia,
scuola e istituzioni varie oggi si rivelano così deboli, così inascoltate e
incapaci di educare è anche perché per prime sembrano aver smarrito nel tempo
le ragioni forti del loro essere. I maestri, insomma, i
tanto invocati maestri grandemente scarseggiano perché non credono più al loro
magistero.
30 aprile 2009