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8-1-2007
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Da
Il Corriere della Sera (8-1-2007)
«Il partito democratico? Nasce sulla sabbia. Cari
leader non siete più credibili» Di Nicola Rossi
Dibattito sul riformismo,
nuovo contributo dell'economista che ha lasciato polemicamente i Ds
Conviene partire dalla
sera dell'ultimo dell' anno.
Conviene partire dalle parole del Capo dello Stato sulla distanza fra la
politica e la società e dal suo invito agli italiani a colmare quella
distanza, a tornare a guardare alla politica non più come altro da sé. E
dal corrispondente invito alla politica a dare di sé un'immagine tale da
giustificare una ritrovata fiducia da parte dei cittadini. Parole sante, come
si dice. Ma, sia detto con il massimo rispetto per chi le ha pronunciate, forse
anche parziali. Perché il punto non è tanto - a mio modestissimo parere
- quello del rumore della politica (che, sia chiaro, c'è ed è
spesso molto sgradevole) ma quello, assai più
serio, della qualità della politica che quel rumore sottende. Una
qualità che porta oggi gli italiani non già all'irritazione e
all'invettiva ma all'indifferenza. A considerare la politica come un peso di
cui non è possibile liberarsi ma che, appunto, è solo un peso.
Fastidioso e spesso ingiustificato. Maprima di
affrontare quel punto, una premessa è essenziale, a scanso di equivoci.
Chi scrive pensa non solo, come si dice con una punta di retorica, che i
partiti sono uno strumento essenziale della democrazia, ma che la politica si
fa, in primis, dentro e con i partiti. Comprendendone il ruolo, interpretandone
i rituali, rispettandone le forme, ricordandone la storia, percorrendone tutte
le articolazioni. Tutte attività non sempre gratificanti e a volte anche un pochino noiose ma senza le quali non si
comprende, al tempo stesso, la durezza e la ricchezza della politica.
E chi scrive ne è
tanto convinto che nel 2001 - memore della indicazione di Mitterrand ad un noto intellettuale francese del suo tempo
- non ha chiesto di essere candidato a Siena o a Modena
(nessuno si offenda, per favore, ho fatto solo due esempi) ma in un collegio
meridionale saldamente tenuto da parecchi anni dagli avversari. Ciò
detto, torniamo alla qualità della politica. Allentatosi il vincolo
della ideologia, la politica è oggi più di tante altre cose,
credibilità. Credibilità della classe politica nel suo insieme e
credibilità dei singoli che fanno politica. E una politica credibile
è quella che crede in quello che dice ed in quello che fa, o che cerca di
fare. E' tutto qui il dibattito sul riformismo che
andiamo facendo da qualche tempo o, meglio, da qualche
anno. Non riguarda solo i risultati - che pure sono piuttosto magri - ma la convinzione che dovrebbe animare i
protagonisti di quel dibattito. Cosa pensereste di un grande manager che oggi
indica nel mercato cinese una opportunità da
non mancare e promette, di lì a qualche tempo, di sbarcarci in forze e
poi, qualche tempo dopo, vi dice che sì, poi, in fondo, il mercato
cinese non è così importante? E cosa pensereste di un leader politico
che a novembre annuncia urbi et
orbi che per marzo il paese avrà messo un punto
fermo sui temi della riforma previdenziale e poi a gennaio conclude che, in La
citazione fondo, la cosa non è poi così urgente? Non pensereste
quello che pensano molti italiani? E, gentilmente, non
si tiri fuori l'argomento francamente un po' deboluccio relativo alle
difficoltà entro le quali quotidianamente si
muove la politica. Alla fatica - che c'è, lo sappiamo - della
costruzione politica. Alla incertezza degli esiti: sappiamo anche questo, si
può vincere e si può perdere. Il punto
è un altro: da una classe politica si chiede - avrei voluto scrivere, si
pretende - che spenda il proprio tempo a pensare come evitare o superare quelle
difficoltà. La politica - mi si perdoni la franchezza - non è
pagata per raccontare ai cittadini gli ostacoli che incontra giorno dopo giorno ma per superarli. Se ne è capace. E se non ne
è, per lasciare ad altri la possibilità di provarci. Le
difficoltà in cui si dibatte, giorno dopo giorno,
l'odierna azione di governo sono il frutto malato di cinque anni di opposizione
in cui - anche grazie a qualche editoriale domenicale non sempre illuminato -
non un solo giorno è stato speso per costruire la cultura e le
condizioni che sarebbero servite a governare e non è lecito, oggi, usare
quelle difficoltà come un'attenuante. (E
l'argomento vale, mutatis mutandis,
per il governo della passata legislatura.) Si è seminato male e quindi
si raccoglie poco. E si è seminato male perché non si credeva fino in
fondo in quel che si diceva di voler fare. Una politica credibile è una politica che rischia e che si assume responsabilità.
Che si espone al pericolo di perdere perché solo così si vince.
Che non trasforma un
grande progetto politico come quello del Partito democratico -
evidentemente difficile e rischioso - in un piccolo espediente tattico. Per
quel pochissimo che capisco di politica mi sembra di poter sommessamente dire
che non si costruisce un partito con un solo punto nell'agenda: consolidare gli
equilibri esistenti. Politici e di potere (benedetti intellettuali! continuo a non riuscire a non tenere separate le due cose).
Vedere per credere come, a livello locale, si vanno preparando i prossimi
congressi. In molte regioni d'Italia (almeno una la conosco piuttosto bene)
l'attività politica oggi prevalente è quella relativa alla
attenta allocazione delle tessere ed al relativo "traffico". Perché
il congresso non comporti il minimo rischio. Perché tutto sia noto e definito
in anticipo. Perché le minoranze non manchino e le maggioranze siano definite
per residuo. Nulla di nuovo e tanto meno di sorprendente. Lo
si faceva anche negli anni d'oro della Prima Repubblica. Per quel che
ricordo, spesso con più stile e certamente con più
fantasia. Il punto grave è che tutto questo accade non già in
vista di congressi di routine ma addirittura nella
prospettiva di scelte che dovrebbero cambiare il modo stesso di essere della
politica italiana. Che dovrebbero chiudere una transizione (che, ovviamente,
non a caso è infinita). Come si può - lo chiedo a Michele Salvati - contemplare senza battere ciglio una
abdicazione della politica di questa portata? Come si può, con il
sorriso sulle labbra, esporre il sistema politico italiano -
prima ancora che alcune sue parti - a pericoli fin troppo evidenti,
perché partiti così sono costruiti sulla sabbia e possono scomparire al
primo risultato elettorale non troppo esaltante, lasciando dietro di sé - e nel
migliore dei casi - solo macerie? Come si può non vedere che l'Italia
cresciuta, economicamente e socialmente, nell' ultimo
quindicennio di un partito costruito su basi culturali e politiche così
fragili non saprebbe che farsene e cercherebbe altrove le risposte alle proprie
domande?
Se il Partito democratico
fallirà - mi rivolgo ancora a
Michele Salvati - non sarà a ragione di subdole ed infide
iniziative trasversali (e, sia detto per inciso, è più subdolo ed
infido discutere con Bruno Tabacci di pensioni o
trattare sulla legge elettorale con Roberto Calderoli?), ma sarà a causa
della mancanza di coraggio di chi pensa che il rischio sia pane quotidiano per
le famiglie e per le imprese ma non per la politica. Una politica credibile
è una politica che rispetta le regole. Che non
si limita, giustamente, a chiedere giornalmente ai cittadini di rispettare le
regole ma che rispetta essa per prima le regole che
alla politica si applicano. E ce n'è una, in molti paesi e soprattutto
in quelli che il maggioritario ce lo hanno da tempo,
che non è nemmeno scritta: chi perde abbandona il campo. Definitivamente
(salvo straordinarie eccezioni). Sia che perda elettoralmente, sia che perda politicamente (chiedere, per ulteriori dettagli, a Margaret Thatcher). E non
è una astruseria. Ma una semplice - rozza, lo
ammetto - norma di garanzia. Intesa ad evitare che chi c'è usi del
proprio indubbio potere per rimanere. E, gentilmente, si eviti a questo punto
di alzare il dito per osservare che nuove classi politiche all'orizzonte non si
vedono. Perché non sappiamo se l'impresa entrante ci offrirà
prodotti di qualità migliore e a un prezzo inferiore, ma consideriamo un
bene pubblico il fatto che possa provarci e lo tuteliamo come tale. La politica
italiana - credo di averlo detto e scritto in tempi non sospetti - è
oggi guidata (al di là dei meriti o dei demeriti dei singoli) da due
leadership entrambe sconfitte. E quindi automaticamente, inevitabilmente, al di
là della loro volontà e delle loro
capacità, non più credibili. Della politica non possiamo fare a
meno. Quindi, quel che fa la differenza è la qualità della
politica. Si può fare politica per una vita intera senza mai farla
veramente e farla per un giorno solo mettendoci la passione di una intera vita.
Nicola
Rossi
08 gennaio 2007