Il Corriere della Sera 22-7-2007
Il buco nero. Travolti dalla carte di
credito. In terapia il popolo dei debitori
Usa, da restituire 12 mila miliardi di
dollari. Cure come per gli alcolisti.
Massimo Gaggi
DAL
NOSTRO INVIATO
NEW YORK — Con l’evoluzione dei
costumi sociali, gli americani hanno imparato a parlare anche dei problemi
più intimi e difficili da confessare: alcolismo, tendenze sessuali,
droga. Ma dei debiti no: le famiglie che si sono esposte troppo e ora
faticano a rimborsare il mutuo, il prestito scolastico, le rate dell’auto o i
pagamenti delle carte di credito, considerano questo un argomento tabù.
Sbagliare i conti e trovarsi in ristrettezze finanziarie per l’americano
è una cosa imbarazzante, da non confidare a nessuno, spesso nemmeno al
coniuge. Situazioni inconfessabili, ma sempre più diffuse: negli
ultimi mesi — con l’aumento dei tassi d’interesse, l’esplosione della crisi
dei mutui subprime (quelli concessi a soggetti in
condizioni economiche precarie), il ricorso sempre più frenetico alle
carte di credito come estrema fonte di liquidità — il numero delle
famiglie in difficoltà è nettamente aumentato.
Molti cercano di ristrutturare il loro
debito, si mettono nelle mani di un consulente finanziario, addirittura,
delle organizzazioni religiose che ormai si sono dotate in pianta stabile di
personale specializzato che consiglia i fedeli in difficoltà. Ma ci
sono anche i debitori incalliti, quelli che non riescono a trattenersi dallo
spendere e dall’accumulare nuove esposizioni anche quando il conto è
già in rosso. Sono i consumatori «compulsivi»:
10-15 milioni di americani ipnotizzati dall’atmosfera dei mall,
le grandi gallerie di negozi suburbane. Lì, con in
tasca un portafoglio pieno di carte di credito, si sentono i padroni del
mondo. Casi disperati, anche perché il plastic money è quello che viene prestato ai tassi più elevati: in media il
16%, ma c’è chi, tra penali per il superamento dei «tetti» e rimborsi
ritardati, arriva a pagare anche il 30% senza nemmeno saperlo.
Per loro la salvezza viene, a volte,
dai «Debitori anonimi», circoli costruiti sul modello degli «Alcolisti
anonimi» (ma esistono anche quelli per i drogati e i giocatori d’azzardo
anonimi), nei quali lo schiavo dello shopping confessa le sue debolezze,
promette di tenersi alla larga dalle vetrine e di non usare per un po’ le
carte di credito, si impegna davanti ai «compagni di sventura» a rimettere in
ordine la sua vita finanziaria. Una sorta di terapia di gruppo nella quale
ognuno si sente protetto dall’anonimato e al tempo stesso sollevato dalla
scoperta che molti altri sono nelle sue stesse condizioni; fissa, quindi, i suoi obiettivi di rientro dal debito e recupera dosi
crescenti di autostima proprio dimostrando agli altri di averli centrati.
Queste organizzazioni esistono da parecchi anni, ma di recente hanno
intensificato la loro attività: secondo i siti dei «Debitori anonimi»,
ogni settimana negli Usa si svolgono almeno 500 riunioni di questo tipo. Ma nell’era di Internet, la gente sta anche imparando a
organizzarsi da sola: compreso che la confessione dei propri errori
finanziari ha un valore catartico e che il prendere impegni davanti agli
altri aiuta a risalire la china, molti debitori incalliti hanno dato vita a
decine di blog come wereindebt.com e
bloggingawaydebt.com nei quali denunciano le proprie «malefatte» contabili:
spesso vere e proprie storie dell’horror finanziario, come quelle di Maxed Out, film-documentario di James
Scurlock. Storie che vengono
lette avidamente da chi ha problemi analoghi, con la non disprezzabile
conseguenza di far confluire di questi siti anche un po’ di pubblicità
di consulenti finanziari e di istituti che gestiscono i crediti «in
sofferenza».
Di debiti le famiglie americane ne
hanno sempre fatti parecchi: per comprare la casa, pagare
l’università dei figli, anticipare consumi che un professionista
ancora all’inizio della carriera non si sarebbe potuto permettere.
L’abbondanza di credito, il dinamismo e l’efficienza di questo settore, sono
stati una chiave importante dell’aumento del benessere dei
ceti medi Usa ed anche un volano per lo sviluppo della domanda e, quindi,
dell’economia. Poi, però, si è arrivati agli eccessi,
alimentati da una stagnazione dei redditi da lavoro che ha indotto molti a
usare il denaro preso a prestito per sostenere il tenore di vita familiare. I
bassi tassi d’interesse, il boom dei valori immobiliari e la moltiplicazione degli
strumenti finanziari, hanno fatto il resto. Oggi, come risulta anche da una
recente analisi della Business School
della George Washington University, non solo il
numero delle famiglie americane che fanno un ricorso significativo al credito
è salito al 75 per cento, ma sono aumentati fino a diventare quasi la
norma, i casi di nuclei che devono fronteggiare un mutuo-casa, un home equity loan (un prestito per
spese di vario tipo garantito dall’aumento di valore dell’immobile), le rate
per l’auto, un prestito di studio e una pioggia di carte di credito. La
«nazione debitrice», che vive da anni al di sopra dei suoi mezzi, importando
molto più di quello che esporta, è popolata da cittadini che,
nel loro complesso, hanno ormai accumulato debiti complessivi per circa 12
mila miliardi di dollari. Le carte di credito, da sole, sono responsabili di
un’esposizione di 880 miliardi. Le hanno in tasca circa 90 milioni di
americani il cui debito medio è, quindi, di circa 10 mila dollari per
il solo «denaro di plastica».
Negli ultimi anni l’accelerazione
è stata spettacolare anche grazie alla riforma del credito varata
nei primi anni ’80 che ha portato al consolidamento del sistema bancario,
alla moltiplicazione delle offerte di credito e a una piena liberalizzazione
tanto delle tecniche di marketing, quando della fissazione di costi e
penalità del servizio. Con la moltiplicazione degli strumenti
finanziari messi a disposizione del pubblico, le famiglie americane si sono
trovate — senza capire bene cosa stesse succedendo —
nel bel mezzo di una Disneyland di
opportunità di spesa offerte, in apparenza, a costo zero o quasi. Le
banche inviano a chiunque ha una casa e un lavoro un’infinità di
offerte di carte di credito a tasso zero per sei o
nove mesi (poi, avverte una scritta minuscola, si passa al 15,9%). È
un bombardamento: nel 2006 gli istituti di credito hanno spedito ben 8
miliardi di proposte di questo tipo, più del doppio rispetto al 2000.
Ogni famiglia, in media, ne riceve un’ottantina l’anno. Finiscono quasi tutte
nella spazzatura, ma ogni tanto — per un improvviso
bisogno di liquidità o perché un’offerta appare particolarmente
attraente — qualche carta viene attivata: nasce in quel momento un nuovo
canale di indebitamento permanente e molto costoso. Il meccanismo psicologico
è perverso perché, se a fine mese si trova a
corto di soldi, l’americano medio, piuttosto che non rimborsare una rata del
mutuo, preferisce indebitarsi di più col plastic money: è il
modo più semplice e «discreto» per nascondere le sue difficoltà,
ma anche di gran lunga il più costoso.
Dai dati appena pubblicati dalla Federal Reserve, la banca
centrale Usa, emerge che a maggio l’indebitamento da carte di credito ha
subito un’ulteriore impennata del 9,8 per cento, la crescita più
consistente dell’ultimo anno (periodo delle spese natalizie a parte).
È la direzione sbagliata, commenta Andrew Husser, direttore del portale web di consulenza
finanziaria bills.com: «Eliminare i debiti contratti con le carte di credito
è il miglior investimento che chiunque di noi possa
fare: è come fare un investimento che dà un rendimento sicuro
del 20 per cento».
22
luglio 2007
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