HOME    PRIVILEGIA NE IRROGANTO    di Mauro Novelli    

Documento d’interesse   Inserito il 26-7-2007


 

Documenti correlati

l ConsigliO 43. Carte revolving. Chi le conosce, le evita!

 

 

 

 

Il Corriere della Sera 22-7-2007

 

Il buco nero. Travolti dalla carte di credito. In terapia il popolo dei debitori

Usa, da restituire 12 mila miliardi di dollari. Cure come per gli alcolisti.

 

Massimo Gaggi

 

 

 

DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK — Con l’evoluzione dei costumi sociali, gli americani hanno imparato a parlare anche dei problemi più intimi e difficili da confessare: alcolismo, tendenze sessuali, droga. Ma dei debiti no: le famiglie che si sono esposte troppo e ora faticano a rimborsare il mutuo, il prestito scolastico, le rate dell’auto o i pagamenti delle carte di credito, considerano questo un argomento tabù. Sbagliare i conti e trovarsi in ristrettezze finanziarie per l’americano è una cosa imbarazzante, da non confidare a nessuno, spesso nemmeno al coniuge. Situazioni inconfessabili, ma sempre più diffuse: negli ultimi mesi — con l’aumento dei tassi d’interesse, l’esplosione della crisi dei mutui subprime (quelli concessi a soggetti in condizioni economiche precarie), il ricorso sempre più frenetico alle carte di credito come estrema fonte di liquidità — il numero delle famiglie in difficoltà è nettamente aumentato.

Molti cercano di ristrutturare il loro debito, si mettono nelle mani di un consulente finanziario, addirittura, delle organizzazioni religiose che ormai si sono dotate in pianta stabile di personale specializzato che consiglia i fedeli in difficoltà. Ma ci sono anche i debitori incalliti, quelli che non riescono a trattenersi dallo spendere e dall’accumulare nuove esposizioni anche quando il conto è già in rosso. Sono i consumatori «compulsivi»: 10-15 milioni di americani ipnotizzati dall’atmosfera dei mall, le grandi gallerie di negozi suburbane. Lì, con in tasca un portafoglio pieno di carte di credito, si sentono i padroni del mondo. Casi disperati, anche perché il plastic money è quello che viene prestato ai tassi più elevati: in media il 16%, ma c’è chi, tra penali per il superamento dei «tetti» e rimborsi ritardati, arriva a pagare anche il 30% senza nemmeno saperlo.

Per loro la salvezza viene, a volte, dai «Debitori anonimi», circoli costruiti sul modello degli «Alcolisti anonimi» (ma esistono anche quelli per i drogati e i giocatori d’azzardo anonimi), nei quali lo schiavo dello shopping confessa le sue debolezze, promette di tenersi alla larga dalle vetrine e di non usare per un po’ le carte di credito, si impegna davanti ai «compagni di sventura» a rimettere in ordine la sua vita finanziaria. Una sorta di terapia di gruppo nella quale ognuno si sente protetto dall’anonimato e al tempo stesso sollevato dalla scoperta che molti altri sono nelle sue stesse condizioni; fissa, quindi, i suoi obiettivi di rientro dal debito e recupera dosi crescenti di autostima proprio dimostrando agli altri di averli centrati. Queste organizzazioni esistono da parecchi anni, ma di recente hanno intensificato la loro attività: secondo i siti dei «Debitori anonimi», ogni settimana negli Usa si svolgono almeno 500 riunioni di questo tipo. Ma nell’era di Internet, la gente sta anche imparando a organizzarsi da sola: compreso che la confessione dei propri errori finanziari ha un valore catartico e che il prendere impegni davanti agli altri aiuta a risalire la china, molti debitori incalliti hanno dato vita a decine di blog come wereindebt.com e bloggingawaydebt.com nei quali denunciano le proprie «malefatte» contabili: spesso vere e proprie storie dell’horror finanziario, come quelle di Maxed Out, film-documentario di James Scurlock. Storie che vengono lette avidamente da chi ha problemi analoghi, con la non disprezzabile conseguenza di far confluire di questi siti anche un po’ di pubblicità di consulenti finanziari e di istituti che gestiscono i crediti «in sofferenza».

Di debiti le famiglie americane ne hanno sempre fatti parecchi: per comprare la casa, pagare l’università dei figli, anticipare consumi che un professionista ancora all’inizio della carriera non si sarebbe potuto permettere. L’abbondanza di credito, il dinamismo e l’efficienza di questo settore, sono stati una chiave importante dell’aumento del benessere dei ceti medi Usa ed anche un volano per lo sviluppo della domanda e, quindi, dell’economia. Poi, però, si è arrivati agli eccessi, alimentati da una stagnazione dei redditi da lavoro che ha indotto molti a usare il denaro preso a prestito per sostenere il tenore di vita familiare. I bassi tassi d’interesse, il boom dei valori immobiliari e la moltiplicazione degli strumenti finanziari, hanno fatto il resto. Oggi, come risulta anche da una recente analisi della Business School della George Washington University, non solo il numero delle famiglie americane che fanno un ricorso significativo al credito è salito al 75 per cento, ma sono aumentati fino a diventare quasi la norma, i casi di nuclei che devono fronteggiare un mutuo-casa, un home equity loan (un prestito per spese di vario tipo garantito dall’aumento di valore dell’immobile), le rate per l’auto, un prestito di studio e una pioggia di carte di credito. La «nazione debitrice», che vive da anni al di sopra dei suoi mezzi, importando molto più di quello che esporta, è popolata da cittadini che, nel loro complesso, hanno ormai accumulato debiti complessivi per circa 12 mila miliardi di dollari. Le carte di credito, da sole, sono responsabili di un’esposizione di 880 miliardi. Le hanno in tasca circa 90 milioni di americani il cui debito medio è, quindi, di circa 10 mila dollari per il solo «denaro di plastica».

Negli ultimi anni l’accelerazione è stata spettacolare anche grazie alla riforma del credito varata nei primi anni ’80 che ha portato al consolidamento del sistema bancario, alla moltiplicazione delle offerte di credito e a una piena liberalizzazione tanto delle tecniche di marketing, quando della fissazione di costi e penalità del servizio. Con la moltiplicazione degli strumenti finanziari messi a disposizione del pubblico, le famiglie americane si sono trovate — senza capire bene cosa stesse succedendo — nel bel mezzo di una Disneyland di opportunità di spesa offerte, in apparenza, a costo zero o quasi. Le banche inviano a chiunque ha una casa e un lavoro un’infinità di offerte di carte di credito a tasso zero per sei o nove mesi (poi, avverte una scritta minuscola, si passa al 15,9%). È un bombardamento: nel 2006 gli istituti di credito hanno spedito ben 8 miliardi di proposte di questo tipo, più del doppio rispetto al 2000. Ogni famiglia, in media, ne riceve un’ottantina l’anno. Finiscono quasi tutte nella spazzatura, ma ogni tanto — per un improvviso bisogno di liquidità o perché un’offerta appare particolarmente attraente — qualche carta viene attivata: nasce in quel momento un nuovo canale di indebitamento permanente e molto costoso. Il meccanismo psicologico è perverso perché, se a fine mese si trova a corto di soldi, l’americano medio, piuttosto che non rimborsare una rata del mutuo, preferisce indebitarsi di più col plastic money: è il modo più semplice e «discreto» per nascondere le sue difficoltà, ma anche di gran lunga il più costoso.

Dai dati appena pubblicati dalla Federal Reserve, la banca centrale Usa, emerge che a maggio l’indebitamento da carte di credito ha subito un’ulteriore impennata del 9,8 per cento, la crescita più consistente dell’ultimo anno (periodo delle spese natalizie a parte). È la direzione sbagliata, commenta Andrew Husser, direttore del portale web di consulenza finanziaria bills.com: «Eliminare i debiti contratti con le carte di credito è il miglior investimento che chiunque di noi possa fare: è come fare un investimento che dà un rendimento sicuro del 20 per cento».

22 luglio 2007