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di Mauro
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Inserito 14-1-2007
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n° 97. Ustica: a che servono i guerrieri paciocconi che paghiamo? |
Da http://www.mercatiesplosivi.com/guerrepace/134stefanelli.htm
Italia Spese militari:
avanti tutta! di Alberto Stefanelli
Il bilancio della difesa proposto per il 2007
prevede un aumento delle spese militari. Una scelta di continuità con il
“pensiero unico della difesa” e di rilancio del riarmo previsto dal modello di
difesa deciso ormai 15 anni fa e progressivamente applicato
Nonostante l’arcobaleno inserito nel simbolo elettorale
dell’Unione e i richiami al disarmo contenuti nel suo programma elettorale, la
finanziaria 2007 riguardo alle spese militari mostra ancora quanto sia
imperante il pensiero unico della difesa, con un approccio bipartisan che non
lascia intravedere discontinuità con i precedenti governi.
Dopo la flessione delle spese per la difesa avvenuta negli ultimi
due anni del governo Berlusconi, per il prossimo anno il governo Prodi prevede
di destinare al ministero della Difesa 18.134,5 milioni di euro, con un aumento
del 2% rispetto ai 17.782 milioni di euro previsti per il 2006.
All’interno di questo bilancio per esercito, aeronautica e
marina (la cosiddetta Funzione difesa), la previsione di spesa è di
12.437 milioni di euro. Qui l’aumento della spesa è più elevato,
+2,7% rispetto ai 12.106 del 2006, ed è così suddiviso: 8.940
(+2%) per il personale, 1.940 per l’esercizio (+5,6%) e 1.557 milioni di euro
per l’investimento (+3%).
SICUREZZA E DIFESA
Prima di proseguire, un piccolo accenno anche all’Arma dei
Carabinieri (Funzione sicurezza pubblica). Infatti, pur considerata spesso solo
come funzione di sicurezza pubblica, l’Arma partecipa a pieno titolo a tutte le
missioni militari italiane all’estero, attraverso propri corpi quali, tra gli
altri, i paracadutisti del Tuscania e il Gruppo di intervento speciale (Gis).
La previsione di spesa dell’Arma per il 2007 è di 5.282
milioni di euro; si tratta di un trascurabile aumento rispetto al 2006
(solo 11 milioni di euro), ma con una diversa storia alle spalle; infatti
l’Arma dei Carabinieri ha usufruito di un costante aumento del bilancio per tutta
la precedente legislatura, passando dai 4.263 milioni di euro nel 2002 ai 5.271
del 2006 (+23%).
Ritornando alla Funzione difesa, si può vedere come la
principale voce di spesa per le forze armate sia dovuta al personale. Questo
è frutto della professionalizzazione e della scelta di mantenere le
forze armate a 190.000 unità, di cui tra l’altro circa 103.000 soldati e
quasi 87.000 tra ufficiali e sottufficiali: quasi un graduato per ogni soldato.
In effetti si calcola in circa 40.000 il numero dei marescialli in esubero e in
3.000 quello degli ufficiali; numeri questi lasciati in eredità dal
precedente modello basato sul servizio di leva.
Risulta sempre più evidente come questo modello a 190.000
uomini (e donne) sia sempre più insostenibile economicamente. Questo sta
portando molti analisti, non certo di estrazione antimilitarista, a ragionare
su un diverso modello, con personale ridotto, in modo da poter liberare risorse
da investire nel funzionamento e nell’acquisto di sistemi d’arma.
FINANZIARIA CON SORPRESA
In definitiva, un netto aumento in tutte le voci, una chiara
inversione di tendenza rispetto al bilancio dello scorso anno, anche se la
spesa resterebbe al di sotto dei 19.000 milioni di euro, la media annua che il
precedente governo ha dedicato al ministero della Difesa
Ma come spesso succede quando si tratta di bilanci militari, le
cose non sono come appaiono.
Ed ecco che nel Ddl Finanziaria troviamo l’articolo 110 che
riserva 100 milioni di euro per le imprese aeronautiche, in particolare con
riferimento al programma EFA (110 per il 2008 e altri 100 per il 2009).
Ma è con altri due articoli che si registra il vero salto quantitativo
nelle spese per la difesa: l’articolo 113 istituisce un fondo di 1.700 milioni
di euro per il 2007 (altri 2.750 sono previsti per il biennio successivo)
destinato al finanziamento degli interventi a sostegno dell’economia nel
settore dell’industria nazionale ad elevato contenuto tecnologico; mentre
l’articolo 187 istituisce un fondo di 400 milioni di euro per il 2007 (che
diventano 500 per il 2008 e 2009) destinato a spese di funzionamento dello
strumento militare, più altri 20 milioni per programmi abitativi per le
forze armate.
I COSTI DELLE MISSIONI
Inoltre ci sono sempre i costi della missioni militari
all’estero: l’Italia ha sue truppe in 19 paesi impegnate in 28 missioni
militari ed è il terzo paese al mondo per impegno militare all’estero.
Per questo indubbio privilegio qualcosa andrà pagato; infatti l’articolo
188 prevede per le missioni 1 miliardo di euro, rendendo inoltre automatico il
rifinanziamento delle missioni senza dover passare ogni sei mesi dal voto
parlamentare.
Certo, il governo si è impegnato a stralciare questo
articolo (anche se ad oggi non risulta ancora predisposto l’apposito
emendamento, che andrà comunque votato). Rimane il fatto che, in
finanziaria o con voto semestrale, le missioni saranno rifinanziate; salvo che
l’inversione di rotta nelle relazioni internazionali, di cui si è molto
parlato per la missione in Libano, si concretizzi attraverso il ritiro delle truppe
anche dall’Afghanistan.
Tutto questo con buona pace di chi aveva preso sul serio alcuni
richiami al disarmo contenuti nel programma di governo dell’unione [“L’Unione
si impegna, nell’ambito della cooperazione europea, a sostenere una politica
che consenta la riduzione delle spese per armamenti”].
MA LE SPESE NON FINISCONO MAI
Le spese nascoste, però, non sono una novità di
questo governo: quando si parla di spese militari occorre sempre ricordare che
non tutte rientrano nel bilancio della Difesa, poiché alcune finiscono sotto
altri ministeri (ad esempio leggi speciali a sostegno dell’industria militare).
A questo punto per fare chiarezza ci viene in aiuto la Nato:
andando a leggere i dati che fornisce riguardo le spese militari dei paesi
membri si scopre che per l’Italia le spese per la difesa sono più alte
del 20-25% rispetto a quanto dichiarato dal ministero della Difesa (Fig.A), con
un rapporto di spese per la difesa rispetto al Pil che per l’Italia si attesta,
per gli anni Duemila, mediamente sul 2,0%, corrispondente appunto alla media
dei paesi Nato. Questo con buona pace dei lacrimandi sulle spese militari.
Considerando quindi tutte le risorse di competenza del ministero
della Difesa ecco che il panorama si fa ancora più fosco: la gestione
delle risorse spettanti al ministero della Difesa passa dai 18.134,5 milioni di
euro dichiarati inizialmente ai 20.354,5 (spese per le missioni escluse).
Un bel salto avanti rispetto al precedente governo, ma non basta
ancora. Parisi va già oltre: secondo il ministro, infatti, per
recuperare il gap dei precedenti anni occorre investire per manutenzione e
addestramento altri 1.000 milioni di euro, da reperire, dice lui, nel corso
dell’anno attraverso appositi accorgimenti di sostegno, oggi ancora da
individuare.
MA CHI DOBBIAMO ATTACCARE?
Tornando alla lettura del bilancio di previsione del ministero
della Difesa osserviamo che anche la voce investimenti (la lista della spesa)
crea non pochi dubbi. Si tratta di sistemi d’arma con costi elevati e una lunga
fase di progettazione, che si traduce in una lievitazione dei costi anno dopo
anno, con il rischio che quando si arriva alla consegna si abbia un prodotto
magari superato da un quadro geopolitico in evoluzione ma sicuramente
più costoso di quanto previsto inizialmente.
Inoltre c’è una incongruenza tecnica fra
qualità della spesa e fini dichiarati: la maggior parte dei programmi
finanziati da questo bilancio riguardano infatti sistemi d’arma più
adatti a combattere guerre tradizionali che ad affrontare “il terrorismo
internazionale e la proliferazione delle armi di distruzione di massa”.
Un’occhiata alla parziale lista delle spesa dei principali
sistemi d’arma in fase di acquisizione da parte delle nostre forze armate
chiarisce meglio (i costi sono riferiti all’intero programma di acquisto,
spalmato su più anni; alcuni progetti sono in fase di conclusione,
altri, come il caccia JSF sono alla fase di sviluppo):
- 121 esemplari dell’EF2000, il cui compito primario è
“contrastare le forze aeree avversarie” (quali?) al costo di 18.100 milioni di
euro;
- 22 aerei da trasporto per truppe e materiali C-130J al costo
di 1.730 milioni di euro;
- 4 nuovi aerorifornitori B-767 per soli 985 milioni di euro;
- fase di sviluppo del supercaccia statunitense JSF per 1.028
milioni di euro (l’Italia dovrebbe acquistarne un centinaio al costo di circa 9
miliardi di euro);
- 116 elicotteri NH-90 per 3.350 milioni di euro;
- 4 sommergibili per 920 milioni di euro;
- 12 navi da guerra (Fregate) per 7.180 milioni di euro;
- circa 920 tra autoblindo e cingolati per l’esercito per soli
963 milioni di euro;
- la seconda portaerei, per soli 1.390 milioni di euro (a cui
andranno aggiunti i costi per i sistemi d’arma);
- 70 obici per l’artiglieria dell’esercito per 414 milioni di
euro;
- 3.748 milioni di euro per il completamento di tutti i
programmi di sviluppo e acquisizione relativi a sistemi missilistici
(più altri 800 milioni per siluri, missili anticarro e aria-superficie).
ESIBIZIONISMO?
Da qui il triste lamento del generale Fraticelli quando nel
2005, allora capo di Stato maggiore dell’esercito, si chiedeva quale paese
l’Italia pensasse di attaccare quando si accinge ad acquistare centinaia di
aerei da guerra, decine di fregate e la seconda portaerei. “Al massimo serviranno
per esibizioni e qualche crociera”, aggiungeva, preoccupato soprattutto che le
risorse maggiori andassero a marina e aeronautica. E in effetti ci aveva
azzeccato. Consideriamo come è stata avviata la missione in Libano:
nelle precedenti operazioni per trasportare uomini e mezzi a destinazione si
sono utilizzati soprattutto i grandi traghetti in affitto, mentre per il Libano
la marina militare ha avuto la sua parata con tanto di navi da sbarco e
portaerei. Il costo dell’operazione si aggira sui 20 milioni di euro, tra spese
vive, usura dei mezzi e indennità per gli equipaggi. Viceversa il costo
dell’operazione effettuata tramite l’utilizzo di traghetti si stima sui 2,5
milioni di euro.
Spreco o investimento per esigenze sceniche? Forse è solo
il ticket che ci è toccato pagare per assistere all’esordio operativo
della “Forza nazionale di proiezione dal mare”, nuovo costoso giocattolo che
serve a portare le truppe in territori lontani dai confini nazionali.
Comunque resta una strana scelta per l’ammiraglio Biraghi, capo
di Stato maggiore della marina, che solo a gennaio di quest’anno paventava il
rischio, causa mancanza di fondi, di dover andare in giro con le divise
rattoppate.
RIDURRE LA SPESA, MA NON SOLO
I numeri ci dicono chiaramente che siamo ancora una volta di
fronte a un finanziaria in grigioverde, con scelte fatte per sostenere e
rilanciare un insostenibile modello di interventismo militare.
Uno scenario inquietante, soprattutto per chi avesse preso sul
serio i richiami al disarmo contenuti del programma di governo dell’Unione.
A fronte di queste cifre, con quello che significano nella
realtà (ad esempio risorse bruciate, militarizzazione crescente della
società e deterioramento delle relazioni internazionali), diventa sempre
più urgente rivendicare e sostenere le proposte di riduzione delle spese
militari, con l’obiettivo di rendere il modello di difesa più consono al
dettato costituzionale (art.11), ad esempio reinvestendo parte della cifra
risparmiata nella riconversione a fini civili di parte dell’industria militare
impegnata nella produzione di sistemi d’arma per la proiezione di potenza e
dando finalmente attuazione ai progetti di corpi civili di pace totalmente
separati da missioni militari.
Il problema di questo apparato militare non è però
solo nel suo bilancio, nelle risorse che prosciuga togliendole ad altri
servizi, certamente più utili per la “sicurezza” dei cittadini. Il vero
problema continua a essere il progetto politico per cui questo modello di
difesa è stato creato e a cui è funzionale: cioè la difesa
degli interessi nazionali ovunque si trovino, che si tratti di pozzi
petroliferi in Iraq oppure di “migliorare l’interscambio commerciale e portare
contratti” (così il sottosegretario alla Difesa Forcieri).
Occorre rimettere in discussione il modello di difesa, ma per
questo il movimento contro la guerra dovrebbe riprendere la parola.