HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli Documentazione Inserito il 22-5-2007 |
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Conferenza Episcopale Italiana
57a ASSEMBLEA GENERALE
Roma, 21-25 maggio 2007
O.d.g. n. 1
Venerati e cari Confratelli!
1. Potete facilmente immaginare i
sentimenti che mi animano nel momento in cui prendo per la prima volta la
parola dinanzi a tutti voi come presidente della nostra Conferenza episcopale:
sono sentimenti di umiltà e di trepidazione, perché l’incarico
inaspettatamente ricevuto dalla benevolenza del Santo Padre supera di molto non
solo i meriti ma le attitudini che posso mettere in
campo. Questo tuttavia è un motivo in più per confidare nella
solidarietà concreta che ciascuno di Voi vorrà donarmi,
nell’amicizia e nella stima reciproca. I due mesi e mezzo trascorsi dalla
nomina altro non hanno fatto che rafforzare in me la consapevolezza che il munus episcopale è segnato dalla croce
del Signore, e che questa è il fondamento da una parte della nostra
fraternità apostolica e dall’altra della nostra missione come della
gioia evangelica che l’accompagna.
Il cammino compiuto insieme a Voi nei nove anni del mio episcopato, le relazioni che ho
intrecciato, i contatti che ho avuto, mi rendono desideroso di avere uno spazio
nei vostri cuori: insieme serviremo il ministero della gioia, la gioia dell’Exsultet
pasquale, la gioia suscitata dallo Spirito Paraclito,
che a Pentecoste fu effuso sugli Apostoli, come domenica prossima la liturgia
della Chiesa ci farà rivivere.
2. Come da tradizione, vogliamo
anzitutto accogliere ufficialmente nella nostra Conferenza i nuovi Confratelli
che nel corso degli ultimi dodici mesi la Provvidenza ci ha donato:
- Mons. Vincenzo Bertolone, Vescovo
di Cassano all’Jonio;
- Mons. Carlo Chenis, Vescovo di Civitavecchia - Tarquinia;
- Mons.
- Mons. Mosè Marcia, Vescovo ausiliare di Cagliari;
-
- Mons. Sergio Pintor, Vescovo di Ozieri;
-
- Mons. Giuseppe Versaldi, Vescovo
eletto di Alessandria;
- Mons. Salvatore Visco, Vescovo
eletto di Isernia - Venafro;
- Mons. Giovanni Paolo Zedda,
Vescovo di Iglesias;
- Mons. Alberto Silvani, Vescovo
eletto di Volterra.
Sono entrati a far parte della CEI:
- Card.
Crescenzio Sepe, già Prefetto della
Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Arcivescovo di Napoli;
- Mons. Paolo Romeo, già Nunzio Apostolico in Italia,
Arcivescovo di Palermo.
In sua vece – com’è noto –
è stato nominato l’Arcivescovo Giuseppe Bertello,
al quale rivolgiamo l’augurio più sentito per la sua alta e delicata
missione insieme al “benvenuto” più cordiale ai lavori della nostra
Assemblea.
Rivolgo un cordiale fraterno saluto
ai vescovi delle altre Conferenze Episcopali d’Europa che hanno accolto il
nostro invito e partecipano ai nostri lavori.
Hanno lasciato
- Card. Tarcisio Bertone, già Arcivescovo di Genova, Segretario di
Stato;
- Mons. Francesco Coccopalmerio,
già Vescovo ausiliare di Milano, Presidente del Pontificio Consiglio dei
Testi Legislativi.
Ma ricordiamo anche con grande
affetto i Vescovi che per i raggiunti limiti di età hanno lasciato il
governo delle rispettive diocesi, e che continuano con noi ad amare e a servire
- Mons. Flavio Roberto Carraro,
Vescovo emerito di Verona;
- Mons. Fernando Charrier, Vescovo
emerito di Alessandria;
- Card. Salvatore
De Giorgi, Arcivescovo emerito di Palermo;
- Mons. Giuseppe Di Falco, Vescovo emerito di Sulmona -
Valva;
-
- Card. Michele
Giordano, Arcivescovo emerito di Napoli;
- Mons. Girolamo Grillo, Vescovo emerito di Civitavecchia - Tarquinia;
- Mons. Alessandro Maggiolini, Vescovo emerito di Como;
- Mons. Giovanni Marra, Arcivescovo emerito di Messina -
Lipari - Santa Lucia del Mela;
- Dom Tarcisio Giovanni Nazzaro, Abate Ordinario emerito di Montevergine;
- Mons. Tarcisio Pillolla, Vescovo
emerito di Iglesias;
-
- Mons. Antonio Vacca, Vescovo emerito di Alghero
- Bosa.
Una memoria speciale vogliamo qui
fare dei confratelli Vescovi che hanno raggiunto la Casa del Padre e oggi
godono i frutti del loro sacrificio d’amore:
- Mons. Mario Ismaele Castellano, Arcivescovo emerito di
Siena - Colle Val d’Elsa - Montalcino, già
Vicepresidente della CEI;
- Mons. Ettore Di Filippo, Arcivescovo emerito di Campobasso
- Boiano;
- Mons. Daniele Ferrari, Vescovo emerito di Chiavari;
- Mons. Antonio Forte, Vescovo emerito di Avellino;
- Mons. Pietro Giachetti, Vescovo
emerito di Pinerolo;
- Dom
- Mons. Ovidio Lari, Vescovo emerito di Aosta;
- Mons. Cataldo Naro, Arcivescovo di Monreale;
- Card. Salvatore
Pappalardo, Arcivescovo emerito di Palermo,
già Vicepresidente della CEI;
- Mons. Oscar Serfilippi, Vescovo
emerito di Jesi;
- Mons. Salvatore Sorrentino,
Vescovo emerito di Pozzuoli;
- Mons. Francesco Saverio Toppi, Arcivescovo Prelato emerito
di Pompei;
- Mons. Marcello Morgante, Vescovo
emerito di Ascoli Piceno.
In questo contesto di famiglia amo
salutare insieme a tutti Voi il cardinale Camillo
Ruini, Vicario di Sua Santità per
3. E come il cardinale Ruini ha
esemplarmente proposto in ogni nostro appuntamento, vogliamo agli inizi di
questa assemblea guardare anzitutto al Papa. La nostra comunione infatti ha il suo centro nella persona e nel ministero del
Successore di Pietro. Abbiamo celebrato, nelle settimane scorse, il suo 80°
genetliaco e il 2° anniversario della sua elezione a quel soglio cui egli sta
dando nuova freschezza: “L’ombra di Pietro – egli ha detto − mediante la
comunità della Chiesa cattolica, ha coperto la mia vita fin dall’inizio,
e ho appreso che essa è un’ombra buona, un’ombra
risanatrice, perché, appunto, proviene in definitiva da Cristo stesso” (Omelia della Messa in occasione
dell’80° genetliaco, 15 aprile 2007). Queste ricorrenze sono state sentite
in modo particolare dal popolo cristiano, che vi ha partecipato con
l’intensità dell’affetto e una più corale preghiera.
Anche da questa sede, come Vescovi
d’Italia desideriamo rinnovargli gli auguri più sentiti, avvalorati da
una piena e aperta adesione e una fattiva e costante collaborazione. Ci muove a
questo anche l’esperienza dell’incontro personale che ciascuno di noi ha avuto
nella visita ad
limina, la
premura e la delicatezza che ci ha testimoniato, insieme al sostegno e
all’incoraggiamento. Nel corso di questa assemblea avremo ancora il dono della
sua presenza: la parola che egli ci rivolgerà
sarà suggello al ciclo ormai completato delle visite ad limina, essendo ad un tempo
indicazione provvidenziale e benedetta per il cammino pastorale delle singole
nostre Chiese.
4. Un’anticipazione preziosa
l’abbiamo raccolta dal viaggio pastorale che Benedetto XVI ha compiuto il 21 e
22 aprile a Vigevano e Pavia. Viaggio col quale – precisava – “ho voluto dare
inizio al mio pellegrinaggio pastorale in Italia”. Si è così
intenzionalmente posto sulle tracce del Predecessore, andando a visitare per
prima la diocesi della Lombardia – Vigevano – non visitata da Giovanni Paolo
II, come per riprendere “il cammino da lui percorso per continuare a proclamare
agli uomini e alle donne dell’amata Italia l’annuncio, antico e sempre nuovo…
Cristo è risorto” (Saluto iniziale dal Balcone del Vescovado,
21 aprile 2007). Se nelle due Celebrazioni Eucaristiche, presiedute dapprima in
Piazza Ducale, a Vigevano, quindi agli Orti dell’Almo Collegio Borromeo, a Pavia, sono da rintracciare i “momenti
culminanti” di questa visita – con omelie quanto mai ricche sotto il profilo
teologico e pastorale – essa ha ad un certo punto acquistato “la forma del
pellegrinaggio” al sepolcro che accoglie le spoglie mortali di sant’Agostino, “per esprimere sia l’omaggio di tutta
Anche noi, Vescovi italiani,
desideriamo porci insieme al Papa alla scuola di
Agostino, immedesimarci nel suo sguardo che ardentemente fissava il mistero per
trovare “la Verità che tanto cercava: Gesù Cristo, Verbo
incarnato” (ibid).
5. Il viaggio pastorale in Brasile
che Benedetto XVI ha concluso una settimana fa è stato un forte richiamo
all’essenziale dell’annuncio cristiano. “Oggi è in gioco
l’identità cattolica” dell’America Latina, ha detto aprendo i lavori
della Quinta Conferenza del Celam, con un discorso
che rappresentava il culmine di quell’intenso viaggio. Ma tutta la sua
predicazione, dal primo momento in cui ha messo piede in Brasile, è
stata una scuola di cristianesimo: “Ripartire da Cristo in tutti gli ambiti
della missione”. Questo, non altro, il compito della Chiesa, la quale
può svolgere un grande ruolo nella società se si mantiene fedele
a tale ispirazione. Benedetto XVI non ha esitato a chiamare per nome i grandi
problemi che assillano l’America Latina, le ingiustizie, la fame, la
povertà, la diffusione delle droghe, la corruzione della vita pubblica.
“Ma se
Il rinnovamento profondo della
Chiesa è, per il Papa, ciò che potrà permettere la rinascita
del “continente della speranza”.
6. Per il suo compleanno Benedetto
XVI ha fatto dono, alla Chiesa e a tutti gli uomini che cercano, del libro
“Gesù di Nazaret”. Sappiamo che è
l’approdo a cui è “giunto dopo un lungo cammino
interiore”, facendovi qui rifluire le ricerche e la sintesi di una vita spesa
nello studio e nel servizio alla verità. Di più, spesa nell’ “intima amicizia con Gesù”, quell’amicizia da
cui “tutto dipende” (Introduzione,
pag. 8). Non c’è bisogno che io insista qui
sulla provvidenzialità di questo libro in cui
parla il credente Joseph Ratzinger,
il quale con semplicità riesce a proporsi innanzi ai cercatori del vero
Dio. Egli mostra come nei Vangeli si trovano tutti gli elementi per asserire
che la persona storica di Gesù è anche realmente il Figlio di Dio
venuto sulla terra per salvare l’umanità. E pagina dopo pagina, Joseph Ratzinger
- Benedetto XVI accompagna il lettore nella ricerca e nella scoperta del vero
volto di Dio.
È noto come il proposito che
ha mosso il Papa nello scrivere questo libro sia superare lo “strappo... sempre
più ampio” tra il Gesù storico e il Gesù della fede. Come,
allora, non vedere qui l’esito di tanto dibattito tra esperti, ma che ha avuto
talora riverberi non proprio insignificanti anche nelle nostre comunità?
L’intenzione era generalmente buona, nel senso di voler rendere abbordabile la
figura di Gesù anche alla mentalità odierna. Ma una progressiva
astrazione della figura storica di Gesù, anziché più convincente
per la fede, si è rivelata più rischiosa. Nel senso che, come
dice il Papa, la figura di Gesù si è piuttosto allontanata,
diventando più indefinita: una “situazione drammatica per la fede –
scrive – perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento” (ibid.), rende incerto quel punto di leva
reale, storico, su cui invece poggia la credibilità del Gesù
della fede. La rarefazione di Cristo rende vago il volto di Dio che rischia di
diventare una realtà astratta e lontana: “Il tema fondamentale – diceva
il Papa in un’intervista alla televisione tedesca (13 agosto 2006) – è
che noi dobbiamo riscoprire Dio e non un Dio
qualsiasi, ma il Dio con un volto umano, poiché quando vediamo Gesù
vediamo Dio”.
Non cogliere l’occasione di questo
libro, e di ciò che questo libro può
rappresentare in termini di conoscenza vera, di ricerca sicura, di “visione
affidabile”, sarebbe una grave occasione mancata. Non solo la ricerca
intellettuale e il dibattito pubblico hanno qui un testo importante che segna
traguardo, ma anche il movimento catechistico e l’intero filone formativo delle
nostre diocesi, trovano in questo libro un polmone a cui
ossigenarsi.
7. La spinta a identificarsi in
Gesù Cristo, che sottende al libro e a tanti interventi del Santo Padre,
sollecita e sostiene in noi Vescovi il desiderio di
una continua purificazione a livello personale come in ambito comunitario. Le
nostre Chiese hanno in Gesù Cristo il loro unico e fondamentale, ma
anche concreto ed efficace, punto di riferimento. Concentrati in Lui, siamo
obbedienti alla sua Parola e alla tradizione che questa ha suscitato lungo il
tempo, per cui accettiamo di buon grado di essere a
nostra volta segno di contraddizione: il discepolo, infatti, non è di
più del Maestro (cfr Matteo 10,24).
Il Convegno ecclesiale di Verona,
del quale abbiamo in mano
Se questo compito è proprio
di ogni battezzato, a maggior ragione lo è per noi Pastori che siamo
posti come guide ed esempio delle comunità cristiane. Responsabilità
grande e grave, ma anche grazia straordinaria.
Mi è caro fare un accenno alla
santità nella luce del Mistero eucaristico che il Santo Padre ha
richiamato all’attenzione orante e alla cura pastorale della Chiesa
nell’Esortazione post sinodale Sacramentum caritatis.
Come nel Mistero eucaristico, siamo
chiamati a diventare “dono”, dono di vita per tutti,
seguendo la via della Croce e il paradigma del Risorto sulla via di Emmaus: si affianca, domanda e ascolta, non si scoraggia di
fronte alla rudezza sgarbata dei discepoli, illumina con le Scritture, spezza
il Pane della vita, riaccende la speranza e
8. Annunciando il Signore
Gesù,
La concezione della persona, com’è
noto, è un’acquisizione della teologia cristiana che trova delle
anticipazioni nella filosofia greca. Ne viene colta
tutta la bellezza e dignità fino a far affermare a San Tommaso che la
persona è ciò che vi è di più perfetto in tutta la
natura (cfr Summa
T. I, q.29 a.3). Nella luce della fede, l’uomo è creato come
“immagine e somiglianza di Dio”; amato a tal punto che il Creatore si volge
contro se stesso per donarsi a lui e salvarlo (cfr Deus caritas est,
nn. 9-10 e 12). Ecco la redenzione.
Se la fede può accedere alla
Rivelazione sull’uomo, anche la ragione ha la presa sulla verità umana
della persona. è la forza
della ragione senza preconcetti, è la luce del buon senso comune: e
questo nonostante lentezze ed errori nel corso della storia. La persona non
è una fase della vita umana, ma è – possiamo dire – la “forma” in
cui l’uomo è uomo. Per questo, anche quando la
persona non ha ancora sviluppato e attuato le sue capacità o perde
coscienza di sé, resta persona degna di rispetto e di diritto. La sua dignità
è dunque intrinseca e incancellabile qualunque siano le circostanze di
vita. L’uomo non è riducibile ad un agglomerato di pulsioni e desideri,
ma è un soggetto ricco e unitario; non è né una macchina corporea
né un pensare disincarnato. è
sempre “qualcuno”, non è e non diventa mai “qualcosa”, un “mezzo” per
raggiungere altro. La sua ragione non solo è
capace di autocoscienza, di ragionamenti formali, di applicazione alla
realtà empirica, ma si apre anche ai significati e alla questione del
bene e del male. Essa supera i limiti della sequenza dei fatti, della mera
cronaca, e l’interpreta cercandone i perché, le direzioni future. In questo
dinamismo si pone l’universale questione del senso del vivere e del morire da
cui la storia umana è attraversata, come da un sigillo bruciante, a
testimonianza della capacità dell’uomo a trascendersi, della radicale
apertura della sua anima sull’infinito, del richiamo ontologico della persona
verso
Il suo costitutivo essere in
relazione con il mondo e con gli altri, inoltre, getta una decisiva luce sul
pensarsi dell’individuo, ed è denso di conseguenze e di stimoli per le
società, nonché per la costruzione di un mondo più giusto e
quindi più umano. La libertà stessa ne beneficia, libertà che è premessa e condizione dell’amore
senza il quale vi è solitudine e morte. Essa non è un valore
individualistico e assoluto, ma ha sempre a che fare con altro da noi, uomini e
cose. Soprattutto è in relazione con dei contenuti veritativi che sono
oggetto della scelta personale e la specificano nella sua eticità.
A questo riguardo, la storia umana
ci attesta un altro elemento di fondamentale importanza: la natura umana. Senza bisogno di particolari statistiche, infatti,
l’umanità conosce ciò di cui l’uomo ha strutturalmente bisogno
per essere all’altezza del suo destino. E questo nonostante le più
diverse situazioni di epoca e di luogo, nonostante le più disparate
condizioni sociali e culturali, politiche ed economiche.
9. C’è un’altra dimensione
intimamente legata all’annuncio della speranza cristiana, nonché all’essere
della Chiesa e alla sua missione nella storia, una dimensione che vorrei far
emergere in questa occasione, perché sembra a me che essa ci interpelli in
maniera crescente. Mi riferisco a quella carità, su cui Benedetto XVI si
è soffermato nella seconda parte dell’enciclica Deus caritas est. In particolare, vorrei dire una parola sul servizio della
carità a cui le nostre comunità sono
chiamate per andare concretamente incontro alle sofferenze e alle
necessità dei fratelli. Questa carità esige anzitutto una
conoscenza reale delle condizioni di vita delle gente,
conoscenza che
La nostra esperienza diretta,
confermata dalla Caritas e dalla stessa Fondazione Zancàn, registra una progressiva crescita del
disagio economico sia di una larga fascia di persone sole e pensionate, sia
delle famiglie che fino a ieri si sarebbero catalogate
nel ceto medio. E proporzionalmente, c’è un ulteriore schiacciamento
delle famiglie che avremmo già definito povere.
Dalle segnalazioni che giungono ai
nostri “centri di ascolto” parrocchiali, vicariali e diocesani distribuiti sul
territorio nazionale, la situazione attualmente più esposta sembra
essere quella della famiglia monoreddito con più figli a carico. Spesso
con difficoltà si arriva alla fine del mese. è da questa tipologia di famiglie che viene oggi alle
nostre strutture una richiesta larga e crescente di aiuto – anche con i “pacchi
viveri” che parevano definitivamente superati – per lo
più mascherata e nascosta per dignità. Con alcune sottolineature:
la disoccupazione di lunga durata, quando colpisce i genitori di oltre 40 anni,
diventa terreno fertile per l’alcolismo e dipendenze varie, portando a
situazioni di degrado progressivo; le donne, gravate da tassi di disoccupazione
più alti degli uomini, hanno livelli retributivi più bassi, e quando
sono madri sole con figli a carico e con la difficoltà di asili nido,
non ce la fanno senza un ricorso ai vecchi genitori; i giovani si trovano oggi
in un mercato immobiliare fuori dalla loro portata, e
il loro bilancio familiare deve dall’inizio scontare un costo dell’affitto
troppo elevato per gli stipendi correnti, specialmente quando il lavoro
è ancora precario. Questo incide non poco anche nel progettare il loro
futuro. Situazioni varie, dunque, che ci stanno dinanzi e che ci interpellano
per intensificare la testimonianza della carità evangelica e per far
crescere la sensibilizzazione generale.
Come cittadini e come cristiani,
è sbagliato pensare alla collettività di cui si fa parte senza
tener conto che ci sono sempre delle persone che stanno peggio di noi. Senza
avvertire il vincolo di solidarietà che ci lega agli altri e il dovere
che tutti abbiamo – con responsabilità specifiche − in ordine alla
costruzione del bene comune. C’è, per questo, un’accortezza nello spendere
che va salvaguardata sempre, sia per rispetto di chi non ha nulla, sia per
poter dare qualcosa del nostro agli altri. Nelle nostre comunità va
promossa, con garbo e costanza, l’attitudine al dono, specie nei tempi forti
dell’anno. Esse possono infatti sopperire alle
crescenti richieste solo se c’è alle spalle una dinamica comunitaria
capace di rifornire con sufficiente continuità gli sportelli aperti
all’aiuto.
In questo orizzonte, un pensiero
particolare va ai Confratelli del nostro Sud che da anni si stanno prodigando
attraverso intelligenti azioni di formazione e talora anche di sostegno
concreto per garantire ai giovani un futuro nelle loro terre. Tali iniziative –
com’è noto − sono sostenute con convinzione dalla nostra
Conferenza Episcopale tramite il “Progetto Policoro”.
Siamo certi che le devastazioni e le intimidazioni che vengono
inflitte dalla malavita locale non ostacoleranno il processo di sviluppo nella
legalità, e che non verrà a mancare il sostegno e la
solidarietà di tutti.
Mi è caro esprimere inoltre
la fraterna vicinanza di questa Assemblea a tutte le famiglie colpite dalla
morte sul lavoro di un loro caro. Chiediamo alle parti
sociali e alle istituzioni le iniziative necessarie perché si rimuovano per
quanto è possibile le cause di tanti incidenti; emerga il lavoro nero ed
irregolare; si rendano trasparenti gli appalti, affinché la vita di ogni
lavoratore sia sempre tutelata e rispettata nella sua piena dignità.
Il 40° anniversario dell’Enciclica
di Paolo VI Populorum progressio ci
stimola e ci conferma nell’attenzione lucida, concreta e determinata anche su
questi versanti del bene comune.
10. Un fatto molto importante e, per
noi Vescovi consolante, è stata l’ottima riuscita della manifestazione
nota col nome Family Day che sabato
12 maggio si è svolta a Roma, in piazza San
Giovanni in Laterano, e che da lì si è
espansa nelle zone vicine, tanto è stato elevato – oltre certamente il
milione − il numero dei partecipanti. A promuoverla, com’è noto,
sono state le principali aggregazioni laicali della Chiesa che è in
Italia, alle quali si sono prontamente unite tutte le altre, e soprattutto
moltissime parrocchie. Non possiamo non vedere qui riflessa quella
maturità dei laici che è stata uno degli obiettivi tenacemente
perseguiti nel Concilio Vaticano II, e che proprio nel matrimonio e nella
famiglia ha il suo ambito privilegiato di espressione (cfr.
GS 46-52, ma anche AA 11). Concepita come un’autentica
festa di popolo, questa manifestazione ha colpito per freschezza e
serenità, e per quel senso civico di rispetto degli altri, di proposta e
di inclusione che l’ha interamente attraversata. Voleva essere ed è
stata una testimonianza forte e corale a favore del matrimonio quale nucleo
fondante e ineguagliabile per
Se a livello di
media laici non c’è stata sempre prontezza nel cogliere la
novità e la portata di questo evento, non di meno esso rimarrà
come un segno forte nell’opinione pubblica e come un appello decisamente non
trascurabile per la politica. è
la società civile infatti che si è
espressa in maniera inequivocabile e che ora attende un’interlocuzione
istituzionale commisurata alla gravità dei problemi segnalati.
E così
11. Sempre a proposito di segnali
positivi che investono la famiglia, vorrei citare i risultati emersi dal Congresso
su “Diritti e responsabilità della famiglia” che si è svolto a
Roma nel mese di marzo, e che ha visto riuniti sotto l’egida dell’Onu i
rappresentanti di 44 Paesi e quasi cento organizzazioni non governative. La
“dichiarazione” che da questo incontro è scaturita
chiede infatti alla comunità internazionale “la più ampia
protezione della famiglia da ogni forma di discriminazione”. Non si teme qui di
parlare di stabilità della famiglia, quale
risorsa preziosa, anzi “insostituibile”, in ordine allo sviluppo educativo,
alla coesione sociale e alla stessa crescita economica. è rilevabile in effetti che i
fallimenti scolastici, la dipendenza dalle droghe e le violenze diminuiscono
nella misura in cui si sviluppano politiche di sostegno economico e sociale
della famiglia. Per questo è del tutto conveniente che si rimuovano gli
ostacoli che impediscono di avere il numero di figli desiderati, e di
conciliare il lavoro con la famiglia. “In questo contesto – prosegue la
dichiarazione – la famiglia si sta mostrando, in tutti i Paesi e in tutte le
culture, come
l’elemento fondamentale per la coesione sociale delle diverse generazioni”.
Queste acquisizioni tuttavia non
appaiono per ora sufficienti ad arrestare i
travisamenti che il concetto di famiglia sta subendo. Spiace rilevare anche che
si levano a volte accuse di omofobia alla Chiesa e ai suoi esponenti. Diciamo
serenamente che la critica è semplicemente ideologica e calunniosa, e
contrasta con lo spirito e la prassi di totale e cordiale accoglienza verso
tutte le persone.
Questo, tra l’altro, spiega perché
il Segretario vaticano dei Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Dominique Mamberti, di recente
criticava quell’intolleranza prevaricatrice che ha indotto il Parlamento
europeo ad avanzare fino ad oggi ben 30 richiami censorii
nei confronti della Chiesa cattolica. Di qui anche “il pericoloso
individualismo, disattento alle conseguenze per il futuro” denunciato da
Benedetto XVI, e che vede l’Europa “su una via che potrebbe portarla al congedo
dalla storia”, ad una “forma di apostasia da se stessa” (Discorso ai Partecipanti al Congresso promosso dalla Comece, 24 marzo 2007).
12. Desidero esprimere a Papa
Benedetto XVI la più sentita e partecipe vicinanza della Conferenza
Episcopale Italiana per le sorprendenti esternazioni – tanto superficiali,
quanto inopportune – con le quali si è inteso da taluni criticare il suo
alto magistero. Rivolgo inoltre al Santo Padre, con sentimenti filiali, uno
speciale ringraziamento per le sue affettuose espressioni di vicinanza e di
incoraggiamento a seguito dei noti episodi di cronaca
che mi hanno direttamente coinvolto. Episodi, peraltro, costruiti su
interpretazioni distorte e su attribuzioni di pensieri mai pensati, e che
neppure le immediate smentite e precisazioni sono servite a chiarire.
Rispetto a tali episodi, pur di
diversa natura e rilevanza, la maggiore preoccupazione riguarda il rischio di
una contrapposizione forzosa e strumentale tra laici e cattolici. Questa
contrapposizione in realtà non trova riscontro nel sentire della
stragrande maggioranza del nostro popolo, né può desumersi dalla
legittima diversità di posizioni su alcune pur rilevanti tematiche, che
deve potersi esprimere con serenità e chiarezza, in un clima di
rispettoso dialogo.
Sotto questo profilo, risultano
significative e apprezzabili le recenti affermazioni del Presidente della
Repubblica, volte a riaffermare “il più pacato, responsabile e
costruttivo dialogo tra
13. Vorrei anche dire, però,
che noi Vescovi sentiamo la vicinanza che la gente ci esprime quasi con accenti
particolari. Il rapporto della Chiesa con la società italiana resta
significativo e rilevante, perché basato sulla reciproca conoscenza e su un
ascolto autentico da entrambe le parti. La gente di tutti i giorni, quella
della strada – cioè della vita semplice, quotidiana, spesso dura – sa che
le nostre porte sono sempre aperte per chiunque, sa che accogliamo tutti, che
non portiamo rancore, che siamo sempre pronti a ricominciare.
Permettete che io vi ringrazi, cari
Confratelli, per i segni innumerevoli di vicinanza, di sostegno e di preghiera
che mi avete manifestato insieme alle vostre Comunità. E così quanti si sono resi vicini da tutta l’Italia e da
Paesi esteri: Istituzioni politiche, civili, militari, parrocchie, associazioni
e gruppi, nonché innumerevoli persone: sacerdoti e laici, bambini, giovani e
adulti.
La nostra fraterna comunione si
manifesterà anche nel comunicato finale che – come ho già detto
nel Consiglio Permanente di marzo – è resoconto del qualificato incontro
collegiale della nostra Conferenza.
Guardo al nostro amato Paese e
ripeto a tutti che i Vescovi rinnovano il gesto semplice e vero dell’amicizia.
Non parliamo dall’alto, né vogliamo fare in alcunché da padroni. Ci preme Cristo
e il suo Vangelo, null’altro. Lo annunciamo come misura piena dell’umanesimo,
non per rilevare debolezze o segnare sconfitte, ma per un’obbedienza che
è esigente prima di tutto verso di noi, e che è promozione di
autentica libertà per tutti. Quando ci appelliamo alle coscienze, non
è per essere intrusivi, ma per richiamare quei
contenuti pregnanti senza i quali cessa il presidio ultimo di ogni persona,
anzitutto per i meno fortunati. La distinzione “tra ciò che è di
Cesare e ciò che è di Dio”, come struttura fondamentale non solo
del cristianesimo ma anche delle moderne democrazie, ci trova decisamente
persuasi che dobbiamo insieme, ciascuno a proprio modo, cercare il progresso
delle nostre comunità, risvegliando anche quelle forze spirituali e
morali senza le quali un popolo non può svettare.
Se come Vescovi rileviamo, magari
più spesso di quanto sarebbe gradito, i fondamenti etici e spirituali
radicati nella grande tradizione del nostro Paese, non è perché vogliamo
attentare alla laicità della vita pubblica, sfigurandola, ma per
innervare questa delle inquietudini che possono garantire il futuro. La nostra
parola non ha mai doppiezze. Con trasparenza, siamo a servizio della gioia. Nel
nostro orizzonte non c’è un popolo triste, svuotato dal nichilismo e
tentato dalla decadenza. C’è un popolo vivo, capace di rinnovarsi grazie
alle proprie risorse e alla propria inevitabile
disciplina, capace di non tradire i suoi giovani, capace di parole credibili
nel consesso internazionale.
I Vescovi sono con il loro popolo, e
per questo popolo come sui lavori di questa assemblea
invocano − oranti − l’aiuto onnipotente del Signore, per
intercessione della Vergine, in ogni nostra contrada amata e invocata.
X Angelo Bagnasco