Conferenza Episcopale Italiana
Nota
del Consiglio Episcopale Permanente a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio
e di
iniziative legislative in materia di unioni di fatto
L’ampio dibattito che si è aperto intorno ai temi fondamentali della
vita e della famiglia ci chiama in causa come custodi di una verità e
di una sapienza che traggono la loro origine dal Vangelo e che continuano a
produrre frutti preziosi di amore, di fedeltà e di servizio agli
altri, come testimoniano ogni giorno tante famiglie. Ci sentiamo responsabili
di illuminare la coscienza dei credenti, perché trovino il modo migliore di
incarnare la visione cristiana dell’uomo e della società nell’impegno
quotidiano, personale e sociale, e di offrire ragioni valide e condivisibili
da tutti a vantaggio del bene comune.
La Chiesa da sempre ha a cuore la famiglia e la sostiene con le sue cure e da
sempre chiede che il legislatore la promuova e la difenda. Per questo, la
presentazione di alcuni disegni di legge che intendono legalizzare le unioni
di fatto ancora una volta è stata oggetto di riflessione nel corso dei
nostri lavori, raccogliendo la voce di numerosi Vescovi che si sono
già pubblicamente espressi in proposito. È compito infatti del Consiglio Episcopale Permanente «approvare
dichiarazioni o documenti concernenti problemi di speciale rilievo per la
Chiesa o per la società in Italia, che meritano un’autorevole
considerazione e valutazione anche per favorire l’azione convergente dei
Vescovi» (Statuto C.E.I., art. 23, b).
Non abbiamo interessi politici da affermare; solo sentiamo il dovere di dare
il nostro contributo al bene comune, sollecitati oltretutto dalle richieste
di tanti cittadini che si rivolgono a noi. Siamo convinti, insieme con
moltissimi altri, anche non credenti, del valore rappresentato dalla famiglia
per la crescita delle persone e della società intera. Ogni persona,
prima di altre esperienze, è figlio, e ogni figlio
proviene da una coppia formata da un uomo e una donna. Poter avere la
sicurezza dell’affetto dei genitori, essere introdotti da loro nel mondo
complesso della società, è un patrimonio incalcolabile di
sicurezza e di fiducia nella vita. E questo patrimonio è garantito
dalla famiglia fondata sul matrimonio, proprio per l’impegno che essa porta
con sé: impegno di fedeltà stabile tra i coniugi e impegno di amore ed educazione dei figli.
Anche per la società l’esistenza della famiglia è una risorsa
insostituibile, tutelata dalla stessa Costituzione italiana (cfr artt. 29 e 31). Anzitutto
per il bene della procreazione dei figli: solo la famiglia aperta alla vita
può essere considerata vera cellula della società perché
garantisce la continuità e la cura delle generazioni. È quindi
interesse della società e dello Stato che la famiglia sia solida e cresca nel modo più equilibrato
possibile.
A partire da queste considerazioni, riteniamo la legalizzazione delle unioni
di fatto inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale
ed educativo. Quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto
sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. Si toglierebbe, infatti,
al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti
che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro. Del resto, la
storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume.
Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione
delle unioni di persone dello stesso sesso, perché,
in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è
insuperabile.
Queste riflessioni non pregiudicano il riconoscimento della dignità di
ogni persona; a tutti confermiamo il nostro rispetto e la nostra
sollecitudine pastorale. Vogliamo però ricordare che il diritto non
esiste allo scopo di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di
fornire riconoscimenti ideologici: ha invece il fine di garantire risposte
pubbliche a esigenze sociali che vanno al di là della dimensione
privata dell’esistenza.
Siamo consapevoli che ci sono situazioni concrete nelle quali possono essere
utili garanzie e tutele giuridiche per la persona che convive. A questa
attenzione non siamo per principio contrari. Siamo
però convinti che questo obiettivo sia perseguibile nell’ambito dei
diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe
alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di
quelli che vorrebbe sanare.
Una parola impegnativa ci sentiamo di rivolgere specialmente ai cattolici che
operano in ambito politico. Lo facciamo con l’insegnamento del Papa nella sua
recente Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum
Caritatis: «i politici e i legislatori cattolici,
consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi
particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a
presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana»,
tra i quali rientra «la famiglia fondata sul
matrimonio tra uomo e donna» (n. 83). «I Vescovi – continua il Santo Padre –
sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della
loro responsabilità nei confronti del gregge loro
affidato» (ivi). Sarebbe quindi incoerente quel cristiano che sostenesse la
legalizzazione delle unioni di fatto.
In particolare ricordiamo l’affermazione precisa della Congregazione per la
Dottrina della Fede, secondo cui, nel caso di «un progetto di legge
favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare
cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo
disaccordo e votare contro il progetto di legge» (Considerazioni della
Congregazione per la Dottrina della Fede circa i progetti di riconoscimento
legale delle unioni tra persone omosessuali, 3 giugno 2003, n. 10).
Il fedele cristiano è tenuto a formare la propria coscienza
confrontandosi seriamente con l’insegnamento del Magistero e pertanto non
«può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici
in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la
salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della
società» (Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede circa
alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella
vita politica, 24 novembre 2002, n. 5).
Comprendiamo la fatica e le tensioni sperimentate dai cattolici impegnati in
politica in un contesto culturale come quello attuale, nel quale la visione
autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale. Ma
è anche per questo che i cristiani sono chiamati a impegnarsi in politica.
Affidiamo queste riflessioni alla coscienza di tutti e in particolare a
quanti hanno la responsabilità di fare le leggi, affinché si
interroghino sulle scelte coerenti da compiere e sulle conseguenze future
delle loro decisioni. Questa Nota rientra nella sollecitudine pastorale che
l’intera comunità cristiana è chiamata quotidianamente ad
esprimere verso le persone e le famiglie e che nasce dall’amore di Cristo per
tutti i nostri fratelli in umanità.
Roma, 28 marzo 2007
I
Vescovi del Consiglio Permanente della C.E.I.
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